Different Seasons

di Shari Deschain
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hope Springs Eternal ***
Capitolo 2: *** Summer of Corruption ***
Capitolo 3: *** Fall From Innocence ***
Capitolo 4: *** A Winter's Tale ***



Capitolo 1
*** Hope Springs Eternal ***


Warnings: Pre-serie, Spoiler 3x03, Angst, Violenza.
Word Count: 9507 (FDP)
N/A: OMG, da dove inizio? XD Ah, ecco: Different Seasons è una raccolta di novelle di Stephen King (che è quanto di più vicino ad un dio io abbia mai avuto), e l'idea di prenderla ad ispirazione mi è venuta nel momento esatto in cui ho visto che le date riportate sul diario di Stefan (quelle che tra l'altro trovate all'inizio di ogni capitolo) coincidevano perfettamente con le quattro stagioni (okay, una me la sono creata io, ma credo che il Rippah non se ne avrà troppo a male).
Dunque questa storia ce l'ho in mente da quando ho visto l'episodio 3x03, ma per qualche motivo ho continuato a rimuginarci sopra per mesi prima di scriverla, perché mi aspettavo sempre qualche informazione in più, che però non è arrivata mai 'XD Non che la cosa mi sorprenda troppo, ci hanno fatto già la grazia di farci vedere Lexi un altro paio di volte, quindi io ringrazio, incasso e porto a casa.
Come conseguenza, però, ho dovuto inventarmi di sana pianta molte cose: i luoghi prima di tutto, e poi il background che gli autori non ci hanno mai dato come si deve, in particolar modo quello di Lexi. Per la sua storia ho ripreso quella contenuta in Stefan's diaries: Bloodlust, e l'ho adattata un po' come volevo io, giusto perché sì XD
Per il resto, beh, queste sono ovviamente tutte speculazioni personali. Il rapporto tra questi due mi ha sempre interessata moltissimo e siccome dubito fortemente che in futuro ci verrà svelato nella sua interezza, ho deciso di spiegarmelo da sola (gioie del mestiere di fanwriter, già XD).
Scritta per la missione #1 del COW-T @ maridichallenge, prompt
Anni.





Different Seasons






#1 Hope Springs Eternal





Chicago, Aprile 1922.



Lexi found me last night, dragged me off the train tracks.

Thinks she can make me care again.”







L'appartamento è completamente al buio da giorni, forse addirittura da settimane. Le finestre sono sbarrate, le tende tirate, il disordine regna sovrano ovunque. L'odore di polvere e sangue rappreso impregna l'aria come fumo solido e denso, nauseabondo per qualunque essere umano. Da quando gli unici due orologi della stanza sono stati lanciati rispettivamente contro un muro e dentro il camino, nessun tipo di rumore risuona tra quelle pareti, se non un respiro talmente lieve che lo stesso proprietario fa fatica ad udirlo.

Il vampiro giace pesantemente sul letto disfatto, il corpo nudo avvolto per metà nelle lenzuola sporche, la testa adagiata nell'incavo tra due cuscini, e un braccio penzoloni nel vuoto. Il comodino e il pavimento lì vicini sono cosparsi di bottiglie: molte sono ridotte in pezzi, alcune sono già vuote, altre sono state semplicemente lasciate lì a sgocciolare a poco a poco il loro contenuto sul pavimento.

L'unico vero movimento presente nella stanza è quello di due occhi verdi, indistinguibili tra quell'ammasso pesante di ombre, ma comunque ben spalancati e intenti a scrutare il soffitto con la tipica attenzione dettata dalla noia: si soffermano quindi su ogni crepa, ogni anfratto, ogni filo di ragnatela che penzola, ormai abbandonato, nel buio circostante.

Un istinto affinato attraverso gli anni lo avverte che tra poche ore sarà il crepuscolo, e un brivido leggero gli percorre la spina dorsale. È un brivido di eccitazione e di attesa: tra poco sarà di nuovo tempo di caccia. Non sa per quale motivo nell'ultimo periodo si costringa sempre ad aspettare la notte per cacciare, dal momento che un limite del genere non gli è mai stato imposto da nessuno. Forse un retaggio atavico della sua razza che ha improvvisamente deciso di tornare alla ribalta. Forse è solo che quella città, come un po' tutte le altre, è molto più bella di notte.

Non più così bella, però.

Quel pensiero lo colpisce all'improvviso, come un getto di acqua fredda, e il vampiro aggrotta le sopracciglia, lievemente alterato. Da qualche tempo non sa di preciso da quanto, ma potrebbe essere più o meno a partire dal momento in cui ha deciso di sbarrare le finestre e fare di quella casa poco più che una tana ─, una strana sensazione continua a grattare appena sotto la superficie della sua coscienza. Non sa bene come identificarla, se non come una mancanza.

Mancanza di cosa o di chi non saprebbe proprio dire, però sì, la sensazione gli sembra più o meno quella.

E gli capita di provarla soprattutto quando si trova a girovagare da solo per i quartieri periferici di Chicago, tra quei locali segreti che con il passare del tempo diminuiscono a vista d'occhio a causa dei controlli sempre più assidui e precisi della polizia. Non che la cosa lo turbi particolarmente: per lui non esiste alcun tipo di proibizionismo, e l'idea di qualcuno che cerchi di arrestarlo non gli provoca alcuna reazione, se non forse un sorriso sarcastico.

Resta il fatto che all'improvviso la solitudine è diventata un peso opprimente, e Stefan non capisce perché. È arrivato a Chicago da solo, e ci ha vissuto da solo fino a quel momento senza alcun problema (anche Damon è lì in città, a dire il vero. Stefan lo sa perché gli ambienti interessanti da frequentare si contano sulle dita di una mano, e anche se non si sono mai incrociati personalmente, la presenza di suo fratello raramente passa inosservata. Per fortuna l'idea di una rimpatriata non è passata per la testa di nessuno dei due).

Non riesce a spiegarsi, quindi, il motivo per cui a volte si ritrova ad ordinare due drink invece che uno. O perché, certe sere, il suo sguardo inizia a vagare nervosamente per il locale, in cerca di una donna bionda che balla da sola tra la folla ─ non gli sono mai nemmeno piaciute particolarmente, le bionde. Se non come cena. O pranzo. O colazione. Sul cibo difficilmente fa preferenze.

È uno dei motivi per cui non è più tornato al locale di Gloria dopo quella strana notte in cui la polizia vi ha fatto irruzione. Lì quel genere di stranezze sono ancora più frequenti, tanto che anche solo pensare a quel posto gli fa puntualmente venire il mal di testa.

Il vampiro si volta su di un fianco, verso il punto in cui, se le imposte non fossero così rigidamente serrate, potrebbe vedere il sole cominciare il suo lento declino alle spalle della città. È affamato ed è stanco, nonostante non abbia nessuna ragione di essere né l'una né l'altra cosa: non sono passate che una decina di ore da quando ha abbandonato una graziosa ragazza in un vicolo del centro, e da quel momento non ha fatto altro che starsene sdraiato su quel letto, incapace di dormire o di pensare, perso semplicemente a fissare il vuoto.

Non più così bella, quella città.

Non più così eccitanti, le sue notti.

Non più.

Stefan si alza a sedere e si rimette in piedi con uno scatto rapido, sentendo improvvisamente il bisogno di uscire da quel tugurio. Le lenzuola gli scivolano via di dosso mentre si allontana dal letto e il vetro si infrange sotto i suoi piedi nudi, aprendo ferite che guariscono meno di un istante più tardi.

Esita sulla porta del bagno per qualche momento, aspettando che i suoi occhi si abituino alla luce penetrante delle lampade elettriche, poi apre il rubinetto della vasca e rimane ad osservare il gettito fumante fino a quando il livello dell'acqua raggiunge il massimo consentito.

Rimane dentro la vasca per ore, con gli occhi chiusi e la mente completamente vuota di qualsiasi pensiero, decidendosi ad uscire solo quando l'acqua ─ tinta ormai di una leggera sfumatura di rosso ─, non diventa abbastanza fredda da dargli fastidio.

Si veste velocemente, ma con precisione, ripetendo gesti imparati grazie al tempo e all'esperienza, e come premio lo specchio gli rimanda l'immagine di un gentiluomo, curato ed elegante come vuole la moda del momento. Stefan cerca di sorridere a quella figura distinta, ma il massimo che il suo riflesso gli concede è una smorfia sprezzante. È difficile prendere in giro se stessi.

Esce sbattendosi la porta alle spalle, e dietro di lui l'appartamento torna buio e silenzioso come prima. È di nuovo impossibile, quindi, notare le tracce di rossetto sulle lenzuola, o i fini capelli biondi sparsi sui cuscini. Alcune paillette luccicanti, palesemente strappate via da un vestito da sera tolto troppo in fretta, si perdono tra i cocci di bottiglie rotte, finendo per passare inosservate perfino agli occhi attenti di un vampiro.

Ma in fin dei conti, se anche Stefan avesse notato tutte queste piccole cose, quei piccoli ricordi materiali non sarebbero serviti a nulla, se non a rinsaldare quella sensazione indefinita di perdita che già odia così tanto.





La notte scivola via lentamente, così come i sottili rivoli di sangue agli angoli della sua bocca, che scorrono pian piano sulla sua pelle fino ad accarezzargli il colletto, macchiandolo di un rosso reso quasi indistinguibile dalla luce fioca dei lampioni stradali, che nel frattempo, arrivate le prime ore del mattino, iniziano gradualmente ad affievolirsi per poi spegnersi del tutto.

Stefan si sente magnificamente bene: le lunghe ore di veglia ormai ben lontane dai suoi pensieri, sazio, con l'adrenalina ancora a mille e il cuore che gli batte forte nel petto, pompando a ritmo folle quel sangue appena rubato nelle sue vene. Quei pochi istanti immediatamente successivi alla fine di una caccia sono quasi meglio della caccia stessa, o almeno così gli sembra di credere in quel momento, con il sapore bollente del sangue ancora sulla lingua.

La ragazza al suo fianco, intanto, barcolla come se fosse tremendamente ubriaca. Il vampiro la sostiene passandole un braccio intorno alla vita, stringendola così vicina come potrebbe fare soltanto un innamorato. O un assassino. Lei balbetta parole sconnesse, preda sia dello shock che della debolezza. Se non le spezza il collo subito, considera il vampiro, ci sono forti probabilità che muoia comunque, e in modo molto più lento e doloroso.

Stefan le accarezza la gola con un dito, rimuginando sulla questione per qualche momento, infine si decide a trascinarla sul marciapiede e a lasciarla lì, malamente distesa sull'asfalto freddo. È già stata soggiogata a dimenticarsi di lui, quindi non gli creerà problemi di alcun genere se anche dovesse sopravvivere. E non è un 'se' da poco, questo.

Un attimo dopo, e senza degnarla di un secondo sguardo, il vampiro le volta le spalle e si dirige verso casa, abbandonandola così al suo destino.





Quando arriva davanti al palazzo è quasi l'alba e le strade sono ancora del tutto deserte. L'aria gelida gli pizzica appena la pelle: è molto più fredda di quanto dovrebbe essere in quella stagione, ma al contempo ha un che di limpido e di pulito. Non gli dispiace affatto.

Si accorge che qualcuno è penetrato nel suo appartamento non appena i suoi occhi si posano sulla maniglia rotta. Sorride, un po' divertito e un po' infastidito, chiedendosi perché diamine si prenda la briga di uscire, visto che a quanto pare il cibo preferisce auto-invitarsi a colazione.

Ladro sfortunato, pensa, spalancando la porta.

Ma non è un ladro quello che si ritrova davanti. E se c'è qualcuno di sfortunato, lì in quella stanza, quel qualcuno è probabilmente lui stesso. O comunque lo diventerà a breve.

«Salve, Lexi», saluta Stefan, assottigliando gli occhi per distinguerla meglio tra le ombre. Non che ne abbia bisogno: riconoscerebbe il suo profilo ovunque, inoltre ha imparato a distinguere la sua presenza da quella di chiunque altro, così come si imparano a riconoscere i propri familiari dalla cadenza dei loro passi.

Lei non gli presta attenzione, ma continua a muoversi silenziosamente nel buio, come se stesse cercando qualcosa.

«Cosa ci fai qui?», domanda il vampiro.

Uno sbuffo ironico è la risposta che ottiene per prima. «Lo sai perché sono qui», aggiunge però Lexi subito dopo, tanto per essere quanto più chiara possibile.

L'altro si limita ad annuire, pur non sapendo se lei possa vederlo o meno. La sensazione di stanchezza torna di nuovo, prepotentemente, a prendere possesso del suo corpo. Non la fame però. O almeno non ancora. Ma anche quella verrà presto.

Stefan posa una spalla contro lo stipite della porta e continua ad osservare la stanza buia, mentre la figura di Lexi si sposta verso le finestre.

«Non ho bisogno del tuo aiuto», mormora sottovoce. Mente sapendo di mentire, ma non può farne a meno.

«Già sentito», ribatte infatti lei, scostando bruscamente le tende. Un timido chiarore si infiltra tra le fessure del legno, cogliendo un riflesso dei suoi lunghi capelli biondi.

Uno scricchiolio sinistro, poi un rumore fragoroso di qualcosa che si spacca in due e le finestre infine si aprono. Il primo sole del mattino avviluppa Lexi in un alone chiaro, reso ancora più brillante dal pulviscolo che si solleva tutto intorno a lei.

Adesso riescono finalmente a guardarsi negli occhi. Nessuno dei due è cambiato, eppure entrambi si trovano profondamente diversi.

«Non ci riuscirai. Non questa volta», dice Stefan. A quelle parole Lexi alza gli occhi al cielo, con un'espressione che in un altro momento potrebbe forse apparire comica.

«Oh, smettila», sbotta di rimando, evidentemente spazientita. «Cerca di essere positivo! Non senti questo profumo? È primavera!», esclama, indicando la finestra spalancata e il mondo lì fuori, che sta giusto iniziando a svegliarsi.

Stefan si limita ad alzare un sopracciglio.

«E allora?», chiede.

Lei sorride appena ed inizia ad avvicinarglisi. Il vampiro si irrigidisce, pur cercando di non darlo a vedere. Tentativo inutile, probabilmente, ma che deve comunque costringersi a fare.

«La primavera è la stagione dell'eterna speranza», spiega Lexi, quando è ormai a pochi passi da lui. «È bello rivederti, Stefan», aggiunge poi, quasi con dolcezza, allungando una mano sia per carezzargli una guancia sia per nascondere il movimento dell'altro braccio.

Stefan lo nota comunque, ma finge il contrario. Chiude gli occhi e sospira pesantemente, rinunciando fin da subito ad opporre resistenza.

«Ti arrenderai mai, Lexi?», bisbiglia soltanto.

Per tutta risposta il paletto di legno lo trafigge appena sotto il costato, penetrando in profondità attraverso la carne. Fa male, ed il dolore è una sensazione che non prova da parecchio tempo. Si consola pensando che è comunque meglio del sentire la mancanza di qualcosa che non ricorda, o che nemmeno sa se è davvero esistita.

Lexi lo afferra per le spalle, accompagnando la sua ovvia caduta, ed intanto si china su di lui fino a sfiorargli il volto con le labbra.

«Mai», gli sussurra all'orecchio la sua bellissima e spietata migliore amica, mentre lui si accascia debolmente tra le sue braccia.

E Stefan sa che quella è una promessa.


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Capitolo 2
*** Summer of Corruption ***


#2 - Summer of Corruption



Detroit, Giugno 1924.



Lexi's driving me crazy. More animal blood, more misery.”







Il caldo è soffocante, molto più di quanto dovrebbe ragionevolmente essere all'inizio dell'estate, e perfino le mosche che ronzano tutt'intorno alla stanza, grosse e pesanti, sono così stordite dalla temperatura inaspettata da non riuscire nemmeno a volare come si deve.

L'appartamento in cui lui e Lexi si sono trasferiti è una specie di seminterrato, poco più di una cantina, in realtà. Un buco di cemento arroventato, spoglio di qualsiasi decorazione non strettamente necessaria e appena appena vivibile per dei vampiri, figuriamoci quindi per degli esseri umani. Lexi dice che è il posto migliore per passare inosservati tra le centinaia e centinaia di persone che affollano Detroit dopo il boom dell'immigrazione. A Stefan sembra semplicemente una tana per topi.

Le loro opinioni non sono mai state così contrastanti su qualcosa come lo sono su quel luogo (eccettuato ovviamente un paio di piccole cose, tipo il senso dell'esistenza di un vampiro e il rispetto della vita umana. Pochezze, davvero).

Già dal primo giorno, Stefan ha riservato a quella città un odio profondo, che fino a quel momento ha dedicato a davvero ben poche cose, considerato il lungo corso della sua vita. A Lexi invece Detroit piace molto. Non lo dice mai esplicitamente, ma Stefan vede come le si illuminano gli occhi quando torna a casa, quando parla della gente che ha incontrato, delle cose che ha visto.

Ai suoi occhi quell'agglomerato umano di varie razze in guerra tra loro non è altro che un grosso ristorante a cielo aperto, ma questo alla sua compagna non può dirlo. Non che lei non lo intuisca da sola, ovviamente, ma perlomeno evitano di discuterne. Cortesia: la prima regola della convivenza. Non sempre la rispettano. Anzi.

Il problema è che Stefan non capisce perché mai dovrebbe prendersi la briga di mostrarsi o perfino essere! , ancora umano, dato che non lo è più da ormai sessant'anni e il cambiamento non gli dispiace affatto, gli sembra anzi una miglioria, checché ne pensi al proposito Lexi. C'è anche da dire che quel periodo non aiuta affatto le tesi della sua amica: l'umanità non sta mostrando la sua faccia migliore, e perfino lei è costretta ad ammetterlo.

Discutono spesso su questa cosa, a volte anche violentemente. Parlano della guerra appena finita e di quella che nelle strade è soltanto all'inizio, parlano dell'Europa, della politica, delle nuove scoperte scientifiche, degli ultimi film esposti al cinematografo. Di qualsiasi cosa, insomma.

Lexi non gli permette di uscire, ma in cambio gli racconta storie, gli porta giornali, gli riferisce notizie e pettegolezzi, cerca di farlo ridere. E gli procura il sangue, ovviamente. Da quanto Stefan è riuscito a capire, è riuscita a soggiogare il macellaio del quartiere, ed è lì che si procura, giorno dopo giorno, quella robaccia orribile che il vampiro è costretto a cacciarsi giù per la gola per calmare i crampi della fame.

Stefan pensa spesso di mandare tutto al diavolo, di voltare le spalle a Lexi e cambiare città, Paese, o perfino continente, di ricominciare tutto daccapo. Poi si rende conto che non c'è proprio nulla da ricominciare, che in fondo le cose vanno meglio rispetto a due anni prima, e che Lexi ha ragione quando dice che andranno ancora meglio con il tempo, che se ce l'ha fatta una volta può farlo ancora.

A volte quelle parole riescono veramente a confortarlo e a dargli speranza. Altre volte ha solo voglia di gridare a Lexi che sono tutte stronzate, che c'è un motivo se continua a ricascare sempre nello stesso baratro, che lei dovrebbe smettere di cercare di salvarlo e piantargli piuttosto un pezzo di legno nel petto. A trattenerlo è solo l'idea della sua risata davanti a quelle affermazioni. Non crede di poter sopportare una cosa del genere.





Un sottile alito di vento fa scricchiolare dolcemente la porta, lasciata aperta nell'inutile tentativo di rinfrescare l'aria, e Stefan si volta a fissare il riquadro incorniciato dagli infissi di legno marcio. Tutto ciò che riesce a vedere, considerato il dislivello tra la casa e la superficie, è un pezzetto di cielo, azzurrissimo e sgombro di nuvole, e sotto di esso una striscia di strada, color grigio impolverato e quasi altrettanto sgombra di esseri umani. Quasi.

Sul marciapiede di fronte a quello dove si affaccia la porta del seminterrato, infatti, una ragazzina si è fermata a riposare all'ombra di un albero e si guarda intorno con aria stanca e annoiata. Ha la fronte sudata, le mani sporche di terra, e il vestito leggero le aderisce alla pelle in un modo che molti riterrebbero al limite dello scandaloso. Sotto il braccio porta un cesto pieno di frutta, e con la mano libera si sventola lentamente il volto con il cappello.

I loro sguardi si incrociano nonostante i diversi metri di distanza, come naturalmente attirati l'uno dall'altro. Lì dall'altra parte della strada lei sorride, un sorriso candido e ingenuo che Stefan ricambia per riflesso, pur senza alcuna ingenuità né candore.

Non è niente di che, pensa intanto, solo una ragazzina di strada che cerca di mettere insieme i soldi della cena. Probabilmente un'orfana, oppure una delle prime figlie di una nidiata troppo numerosa di bambini. In entrambi i casi, una persona che non verrà pianta troppo e la cui scomparsa non farà molto rumore.

Nel momento stesso in cui quei pensieri emergono dal suo subconscio per palesarsi ad un livello più cosciente, Stefan scuote violentemente la testa, disgustato da se stesso. Si alza in piedi e si avvia verso la porta, intenzionato a sbattergliela in faccia. Ma ormai è troppo tardi.

«Una pesca, signore?», domanda la ragazzina, affacciandosi timidamente nello specchio dell'entrata. Stefan la osserva dal basso, costernato. Vorrebbe dire di no, ma non ci riesce. Il suo sguardo si perde lungo la linea del collo di lei, seguendo una goccia di sudore che vi scivola a rilento, fino a perdersi tra l'incavo dei seni appena accennati.

«Ho anche delle belle mele, signore», continua lei con allegria, mentre il vampiro diventa dolorosamente conscio del rumore del suo piccolo cuore che batte ad un ritmo lento e regolare, a così pochi metri da lui. I pensieri si accavalcano confusamente nella sua mente mentre i morsi della fame gli attanagliano ogni singolo muscolo del petto.

«Signore?», lo richiama la ragazzina, ora con tono preoccupato.

«Va' via», cerca di dirle Stefan, ma il suono strozzato che esce dalle sue labbra è intraducibile persino a lui stesso. Lei fa l'enorme errore di scendere un paio di scalini, avvicinandoglisi per controllare che stia bene.

Prima ancora che riesca a prendere una decisione razionale, Stefan sente il proprio volto cambiare, le zanne crescere fino ad affondare nel labbro inferiore, le vene intorno agli occhi ingrossarsi pericolosamente.

Mi dispiace.

La ragazzina urla. Stefan scatta istintivamente verso di lei. Lexi arriva al momento giusto, come sempre. O quasi.





Il silenzio nella stanza è oppressivo quasi come il sole di mezzogiorno, che è riuscito a trovare lo spiraglio dell'unica finestra presente nella stanza e ora gli brucia crudelmente una guancia. Lexi non dice nulla, ma ogni suo gesto e sguardo emanano furia e delusione. Se la disapprovazione fosse materia tangibile, ora mezza città ne sarebbe invasa.

Stefan cerca di allungare le braccia, indolenzite dalla scomoda posizione a cui sono costrette, ma le corde gli stringono i polsi troppo forte per concedergli qualsiasi tipo di movimento. L'idea di fare fisicamente del male a Lexi gli ripugna, ma in quel momento non può fare a meno di accarezzarla, e se non fosse legato probabilmente non ci penserebbe due volte ad avventarsi su di lei, pur sapendo che potrebbe batterlo senza difficoltà.

L'incapacità di muoversi, tuttavia, non pregiudica quella di riflettere. O di parlare. Ci sono molti modi per ferire una persona, e le parole non sono affatto la meno efficace: Stefan lo ha imparato fin da bambino, grazie ai modi taglienti di suo padre.

«Tutto questo non ha senso, Lexi. Se non è stata quella ragazzina sarà un'altra. Se non è successo oggi succederà domani, o tra due anni. Perché non lasci perdere e basta?»

Lexi gli dà le spalle, intenta a sistemare in una ciotola colorata la frutta che la sua mancata vittima ha lasciato cadere nella sua fuga disperata. Fuga che si è conclusa poco dopo, ovviamente, dato che non le si poteva certo permettere di gridare al resto della città che c'è un vampiro affamato tenuto prigioniero in una cantina dei quartieri popolari.

«Non appena ti sarai ricordato di non essere un animale in trappola ma un essere senziente, con una mente e dei sentimenti, capirai da solo perché non lascio perdere. Siamo ancora a metà lavoro, Stefan. Anche se pensavo che ormai avessi acquistato più controllo, devo ammetterlo», replica seccamente la vampira, continuando ad impilare le mele in una piramide perfetta.

«Non ho mai avuto controllo, lo sai. È proprio questo il problema, no?», sospira Stefan, abbandonandosi contro il materasso e cercando una posizione quanto più possibile comoda, considerate le circostanze.

Lexi si volta finalmente a guardarlo, l'espressione dura addolcita da una sfumatura di compassione che Stefan non è sicuro di gradire molto. Sempre meno doloroso di un paletto nello stomaco, certo, ma anche decisamente più difficile da incassare.

«Questo è un problema che posso aiutarti a risolvere», risponde Lexi, conciliante. «Ti riporterò sulla giusta via, Stefan. Che ti piaccia o meno»

Stefan ribatte con una risatina sdegnosa, poi piega appena la testa di lato e fissa il suo sguardo in quello di lei. Le riserva la stessa occhiata che di solito rivolge alle sue vittime, e il suo sorriso si accentua visibilmente quando lei mostra di esserne innervosita.

«Non sarebbe più facile il contrario?», le chiede allora Stefan, con un tono più suadente che veramente serio. «Non sarebbe più facile se invece di cercare di fare di me un vampiro civilizzato non fossi tu a lasciarti corrompere, Lexi? Ci divertiremmo molto di più», le assicura, tendendosi in avanti il più possibile, fino quasi a lacerarsi la pelle dei polsi ancora incatenati.

Dal volto della vampira sparisce subito qualsiasi traccia di simpatia o comprensione, e torna l'espressione accigliata e delusa.

«La mia idea di divertimento è molto diversa da quella che hai in mente tu», risponde duramente lei, lanciandogli uno sguardo di chiaro avvertimento. Non le piacciono quei discorsi, Stefan lo sa. Forse è per questo che lo divertono tanto.

«Oh, lo so», continua quindi, sempre sorridendo, ma le sue labbra assumono una piega decisamente più crudele. «La tua idea di divertimento è imitare gli esseri umani, fingere di essere una di loro, comportarti come pensi che si comporterebbero loro con te, se dovessi mai ritrovarti alla loro mercé. Povera illusa»

«Smettila, Stefan», gli ordina Lexi, e l'aria si carica ancora di più di tensione ora che anche lei riesce a stento a trattenere il proprio istinto violento, che probabilmente le sta suggerendo di sbattergli la testa contro il muro fino a farci un buco.

Stefan, com'era ovvio, non smette affatto. Anzi, decide di rincarare.

«La tua idea di divertimento è passare anni interi in compagnia di persone che non ti vogliono, cercando di convincerle a guardarti come esempio perché non hai nient'altro a cui aggrapparti. Io sarò anche un mostro, Lexi, ma tu sei un essere decisamente più patetico», continua con un ghigno.

Più veloce di un battito di ciglia, Lexi attraversa la stanza e gli pianta un paletto al centro del petto, calcando con forza per fargli più male possibile. Ma il dolore non serve a niente questa volta. Non di fronte alla sua rabbia, che Stefan è contento di essere riuscito a suscitare fino a quel punto.

«Brutta idea provocare chi ha il paletto dalla parte del manico, non credi?», dice Lexi, con un tono che vorrebbe essere quanto più distaccato possibile, ma lui non si lascia ingannare.

Capisce di averla ferita ferita profondamente, per giunta , e per un attimo la soddisfazione è così forte che il vampiro piega indietro la testa e ride, ride così forte da farsi bruciare la gola, ride come potrebbe ridere qualcuno che stia perdendo il senno, ride fino a piangere.

Quasi nemmeno si accorge del modo in cui lei fa ruotare il pezzo di legno, scavando a fondo nella carne, ancora e ancora, prima di costringersi ad estrarlo completamente, ammettendo quindi la propria resa. Quando diversi minuti più tardi Stefan riesce finalmente a ricomporsi, Lexi è già sparita, la porta è sbarrata e il suo sangue continua a riversarsi sulla maglietta, sulle lenzuola e sul letto, tingendo tutto di un rosso vivo.





Lexi sparisce per due giorni interi, e Stefan quasi si convince di essere stato abbandonato lì a marcire per il resto dell'eternità. La fame gli fa dolere ogni singolo muscolo del corpo, e persino la prospettiva della robaccia di scarto del macellaio di turno diventa improvvisamente molto appetitosa. Non che abbia modo di procurarsela, comunque. Ha provato infinite volte a liberarsi dalle corde, ma tutto ciò che è riuscito ad ottenere è di segarsi ancora più a fondo i polsi, perdendo altro sangue, diventando quindi sempre più debole.

Le ore passano indolenti, ogni secondo un tormento eterno che Stefan non ricorda di aver mai provato prima. Bugia, ovviamente, perché in realtà c'è già passato una volta, e sa anche che peggiorerà di parecchio prima di diventare anche solo lontanamente sopportabile.

Ma intanto, immerso nella luminosità cocente di quella cantina, impossibilitato a qualsiasi tipo di movimento, Stefan si trova costretto a scendere a patti con se stesso.

Ripensa alla ragazzina terrorizzata. Al volto deluso di Lexi, alla sua espressione ferita di cui, per pochi secondi, è stato così fiero. Torna ancora più indietro nel tempo. Torna a Chicago, a quella sensazione di perdita affogata violentemente nel sangue. Facce e nomi. Lettere incise su un muro. Vite spezzate in cambio di poche ore di divertimento.

Il caldo è una cappa quasi solida, intorno a lui. Il sangue ha irrigidito i suoi vestiti, e ora li sente addosso pesanti e ruvidi. La puzza lo disgusta fino alla nausea, la quantità indecente di mosche che gli ronzano vicino gli fa rivoltare lo stomaco. Se questo non è il fondo, manca davvero poco prima di toccarlo, considera tra sé.

Le notti sono più facile da gestire, sebbene non portino comunque alcun tipo di riposo. Il buio, perlomeno, riesce a nascondere un po' di quell'orrore. Lexi è ormai il suo pensiero fisso. I suoi occhi addolorati diventano un'ossessione. Non ha mai voluto farle del male. Non a lei. Forse nemmeno ad altri... perlomeno così era una volta. Sì, c'è stato un tempo in cui il dolore degli altri lo feriva, e provocarlo era davvero l'ultima cosa che avrebbe voluto fare.

E non succedeva poi così tanto tempo addietro.

Quando Lexi torna come lui in fondo sapeva che avrebbe fatto , a Stefan sembra che siano passati anni interi.

Lei rimane in piedi ai bordi del letto e lo fissa dall'alto, con un'espressione indecifrabile sul volto e una fiaschetta di sangue animale stretta tra le dita. Stefan ne sente l'odore, ma non è su quello che si concentra.

«Mi dispiace», sussurra all'amica, con una voce arrochita e stanca.

Lexi sorride.

«Bentornato», dice solo, prima di sedersi al suo fianco.



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Capitolo 3
*** Fall From Innocence ***


#3 - Fall From Innocence




Praga, Settembre 1930.





La punta della stilografica disegna ghirigori astratti nell'aria, pochi centimetri al di sopra della pagina bianca, senza però mai sfiorarla. Stefan sbuffa, poi prende tra le mani il proprio diario ed inizia a sfogliarlo a caso, senza vederlo veramente. Pagine e pagine di parole che non ha voglia di leggere e di storie che preferisce non ricordare. Troppo dolore concentrato in un solo posto. Non a caso Lexi minaccia spesso di bruciarglielo, quel benedetto diario.

Il vampiro sospira e alza lo sguardo sulla grande vetrata di fronte a lui. Fuori da lì Praga è battuta da una pioggia impetuosa, così fitta da creare una sorta di pesante sipario semitrasparente, che incombe minaccioso sull'intera città.

Venire in Europa è stata un'idea di Lexi, ovviamente. Cambiare del tutto aria, lasciarsi alle spalle quello che è successo, vedere nuovi posti, iniziare daccapo. Così ha detto, o almeno questo è quello che gli sembra di ricordare. Non le ha prestato molta attenzione, ad essere onesti.

Non si può comunque dire dispiaciuto di aver lasciato l'America, il cui clima di Grande Depressione non gli avrebbe di certo giovato all'umore, come afferma scherzando Lexi certe volte. Si trovi su un continente o su un altro, Stefan non ha comunque molta voglia di ridere al momento, e se da una parte gli dispiace essere un compagno di viaggio così poco gradevole, dall'altra sa che a Lexi non importa affatto. La cosa, inoltre, non le impedisce affatto di trascinarselo dietro nei suoi giri per la città, tra negozi, musei e locali di dubbio gusto.

Stefan di solito sbuffa ma poi si lascia coinvolgere senza troppe discussioni. Le lunghe passeggiate lo aiutano a distrarsi e, stando entrambi sempre ben attenti a non trovarsi mai a lungo nel mezzo di una folla, anche a controllarsi meglio. Altre volte semplicemente non se la sente di affrontare il mondo esterno, e allora rimane lì in albergo, a leggere e ad ascoltare musica. O a tentare di scrivere, come ad esempio sta facendo in quel momento.

Il vampiro getta un ultimo sguardo al diario e poi si decide a chiuderlo una volta per tutte, avvolgendolo strettamente nel suo laccio di cuoio. Non sa davvero cosa scriverci sopra, né come anche solo iniziare a descrivere questi mesi di viaggio, passati a spostarsi ininterrottamente da una parte all'altra dell'Europa, senza una meta precisa né un itinerario che abbia un minimo di senso. A dire il vero non fanno altro che prendere il primo treno in partenza dalla stazione più vicina, e scendere poi alla fermata che piace a Lexi. Hanno già girato quasi tutto il nord est europeo, in quel modo.

A Stefan però riesce difficile tenere il conto delle città, ricordarne i nomi o apprezzarne le bellezze. È come se fosse avvolto in una bolla di sapone, sottile ma fin troppo concreta, che lo tiene separato dalla realtà, pur lasciandogliela intravedere.

Fa molta fatica perfino a parlare con Lexi, che pure non esita ad invitarlo puntualmente a sfogarsi con lei se sente il bisogno di scaricarsi un po' di peso dalle spalle. Stefan sorride e la ringrazia, cordiale come si è imposto d'essere sempre nei suoi riguardi, ma sa che quello è un peso che può condividere con nessuno, tanto meno con qualcuno che non ha la minima idea di cosa significhi portarlo.

Non saprebbe proprio come spiegare quella sensazione di vivere a metà tra il passato e il presente, né il fatto di sentirsi due persone diverse, completamente opposte l'una all'altra, eppure con la stessa faccia, gli stessi ricordi e le stesse esperienze. Gli risulta fastidioso persino guardarsi allo specchio, perché non sa mai quale Stefan gli stia restituendo lo sguardo.

Ci ha provato, in un paio di occasioni, a raccontarle di tutto questo, ma non è sicuro di essere riuscito a spiegarsi a dovere. Lexi comunque ha sorriso e gli ha detto che forse era un bene, che quello potrebbe essere uno stadio decisivo per il suo processo di guarigione.

Ma Stefan non si sente malato, solo stanco. E sì, beh, anche affamato, ovviamente, ma la fame sta imparando a sopportarla, pur trovandosi sgomento di fronte alla prospettiva di doverci convivere per il resto dell'eternità.

In tutto ciò la parte peggiore sono forse gli incubi, perché quelli non ha modo di affrontarli, può solo subirne la furia violenta e autodistruttiva. Sono anche l'unica cosa che, nonostante la buona volontà, non può nascondere a Lexi, dato che spesso e volentieri se la trova di fianco, nel cuore della notte, con le mani strette intorno alle sue e un sorriso rassicurante sul volto. Non gli fa mai domande, non gli chiede mai chi gli dia la caccia durante quelle notti. Forse perché conosce già la risposta e forse anche perché non ha il cuore di fargli notare che in fondo se lo merita. Stefan gli è decisamente grato per questo.

La pioggia continua a battere insistentemente contro i vetri, e il vampiro si domanda dove diamine sia finita la sua amica. Sa che voleva fare un giro nel centro storico della città, ma è uscita ormai da più di sei ore, e l'acquazzone non ha smesso di riversarsi sulla città nemmeno per un momento. Stefan osserva la pioggia e si domanda se non sia il caso di andare a cercarla. Non perché creda che possa succederle qualcosa, ma solo perché, beh, ha improvvisamente voglia di averla accanto.

Non fa in tempo a finire di pensarlo che la porta dell'appartamento si spalanca di botto, lasciando entrare una Lexi fradicia dalla punta dei capelli a quella delle scarpe, carica di enormi pacchetti e raggiante di felicità.

«Devi venire con me a visitare il centro della città. Voglio vedere il Castello da vicino, e poi ci sono dei quartieri bellissimi e tu devi, devi vederli!», esclama come prima cosa, con una determinazione che a Stefan preoccupa abbastanza.

Però non si prende la briga di contraddirla, anzi, l'ascolta attentamente mentre lei parla di Staré Město, Malá Strana e altri nomi impronunciabili, o comunque pronunciati indubbiamente male. In uno slancio di generosità le promette anche di accompagnarla a fare il giro della città in battello, e addirittura arriva ad assicurarle che farà del suo meglio per sorridere almeno un paio di volte durante il corso della giornata.





Lexi ha provato più volte a mostrargli il lato meraviglioso della loro natura. Ha provato a spiegargli la meraviglia dell'assistere allo spettacolo di un mondo che cresce e cambia, fino a trasformarsi in qualcosa di totalmente differente. Gli ha parlato del tempo, di quanto poco sia importante per loro, tanto che si tende spesso e volentieri a dimenticarsi perfino della sua esistenza, per poi riscoprirne l'importanza quando ci si rende conto che quello che si è abituati a considerare ieri è diventato un decennio fa, e che in quegli anni durati attimi sono accadute un sacco di cose inaspettate. Lexi gli ha descritto tutto questo e poi gli ha detto di immaginarsi il mondo, quello che avrebbero potuto girare mille volte, fino ad arrivare nei suoi angoli più nascosti, e ogni volta l'avrebbero trovato diverso.

Stefan ha ascoltato, ha capito e ha immaginato, ma ancora non è sicuro di essere riuscito a figurarsi l'eternità. È un concetto che ancora oggi, più di ottant'anni dopo la sua morte, non gli riesce bene di assimilare.

Ne comprende un pezzettino adesso, camminando per le piccole strade acciottolate, tra negozi appena costruiti e grandi monumenti del passato. Non è sicuro che quella sensazione gli piaccia, gli sembra anzi un po' angosciante l'idea di rimanere immutato come una statua o una vecchia chiesa mentre il mondo intorno a lui evolve e va avanti. Decide comunque di non mettere a parte Lexi di quella riflessione, più che altro perché non ha alcuna voglia di discuterne.

Per raggiungere i vari quartieri attraversano più volte il Ponte Carlo, e si fermano in continuazione di fronte ad ogni nuovo artista di strada, musicista o pittore che sia, ascoltando ed osservando tutto quello che hanno da mettere in mostra.

Per quel giorno la pioggia decide di dare loro una tregua, e nonostante le nubi minacciose sopra le loro teste, nemmeno una goccia d'acqua rovina la loro gita. Quindi Lexi continua a ridere e a trascinarlo in giro per la città, e come promesso Stefan cerca di divertirsi o almeno di fare finta , e sorride perfino ben più di due volte.

Alla fine si rivela essere per davvero una delle più belle giornate che Stefan abbia mai vissuto da molto, molto tempo.





«Damon è in città», gli dice Lexi, qualche giorno dopo la loro escursione nel centro di Praga. Il suo tono è quanto di più colloquiale possibile, ma i suoi occhi raccontano tutta un'altra storia.

Stefan non sa bene come reagire alla notizia. Ha cercato di pensare a suo fratello il meno possibile in quegli anni, e vorrebbe decisamente continuare in quel modo. È già abbastanza impegnato a combattere contro se stesso, non ha davvero le forze per guerreggiare anche contro Damon.

«Ci hai parlato?», domanda allora, più per prendere tempo che altro.

Lexi gli scocca un'occhiataccia quasi offesa.

«Ho di meglio da fare che perdere tempo con quell'idiota», sbotta, arricciando il naso.

Stefan alza un sopracciglio, ma non commenta. Gli è capitato raramente di sentire Lexi parlare di Damon forse perché lui stesso fa di tutto per evitare l'argomento , ma tutte le volte che è successo non ha potuto fare a meno di notare qualcosa di strano nel suo modo di farlo. Non per gli insulti (quelli Damon se li va a cercare un po' da chiunque), ma per quell'impressione di non detto che aleggia tra le sue parole. Quasi che lei gli stesse nascondendo qualcosa, come se tra di loro ci fosse una specie di patto di cui lui non è tenuto ad essere a conoscenza. Cosa alquanto improbabile, conoscendo lei (e conoscendo lui, anche), ma di tanto in tanto Stefan non riesce a fare a meno di pensarci.

«Non sono sicuro di essere dell'umore giusto per sopportarlo», dice allora il vampiro, chiedendosi intanto quando mai sia dell'umore giusto per sopportare suo fratello.

Lexi si limita ad annuire.

«Domani partiamo, allora», decide, alzandosi dal divano su cui si era stravaccata un paio d'ore prima e dirigendosi verso l'armadio, probabilmente per iniziare a fare le valigie. Poi, come un ripensamento, si volta indietro e aggiunge: «Non stiamo scappando, Io non scappo davanti a nessuno, tanto meno davanti a quel bell'imbusto di tuo fratello»

«Certo che no», concorda Stefan. E non sa perché, ma gli viene da ridere. Lexi non condivide affatto la sua ilarità, quindi il vampiro è costretto a nascondere la risata dietro un finto colpo di tosse. Cosa che comunque non gli evita di ricevere una cuscinata dritta sul naso.





Stefan ci mette molto poco ad impacchettare le sue cose, anche perché non è che poi ne abbia così tante. Trovandosi sempre in costante movimento preferisce non appesantirsi troppo con i bagagli, e sia lui che Lexi tendono a procurarsi ciò che serve loro nel posto in cui decidono di fermarsi, invece di trascinarsi chili e chili di valige in giro per il mondo.

L'ultima cosa che infila nella sacca da viaggio è il suo diario, su cui ancora non è riuscito a scrivere una sola riga. Se lo rigira per un attimo tra le mani, valutando per qualche istante l'idea di abbandonarlo lì, in quella camera d'albero, come una sorta di lapide ad un passato che ora sta cominciando davvero a considerare come morto.

Alla fine, però, decide di non farlo: forse perché una parte di lui sente di non essere ancora pronto per quel passo simbolico o reale che sia ─, forse perché sa che in futuro ne avrà ancora bisogno, o forse, più semplicemente, perché è un dannato nostalgico.

Lexi osserva quel piccolo dibattito interiore con le braccia incrociate al petto, le sopracciglia alzate e una smorfia che la dice lunga sulla sua opinione in proposito.

Stefan le mostra la lingua.

Infine, dopo aver gettato un ultimo sguardo alla stanza, Stefan indossa il lungo cappotto nero, i guanti di pelle e il cappello che Lexi gli ha regalato giusto qualche giorno prima, durante una sosta al loro vagabondaggio. Una volta pronto afferra la sacca con una mano e offre educatamente l'altro braccio alla sua compagna che lo afferra ridendo, dopo essersi prodigata in un inchino perfetto.

Uscendo nell'aria frizzante dell'autunno, Stefan scopre di sentirsi di nuovo magnificamente bene, e questa volta ─ davvero per la prima volta ─ ciò non ha niente a che fare con il sangue.

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Capitolo 4
*** A Winter's Tale ***


#4 - A Winter's Tale



San Pietroburgo, Dicembre 1935.



Cravings are there, but it's easier.
Lexi's on to her next project... Getting me to laugh.”







Intorno a loro tutto è bianco e perfettamente immobile: un manto di neve che si estende ininterrotto a perdita d'occhio, punteggiato qua e là soltanto da alcuni alberi più testardi ad arrendersi al rigore dell'inverno. La distesa sembra continuare infinita, almeno fino a quando non raggiunge la costa e lì si mescola con il mare, anch'esso immoto ma di un brillante grigio ghiaccio. È un paesaggio così bello da sembrare quasi irreale, come se fossero finiti per caso dentro l'illustrazione di un libro di fiabe.

Lexi si sistema meglio il colbacco, afferrandolo per i paraorecchie e calandoselo ben bene sulla testa. I suoi capelli biondi spiccano quasi brutalmente contro il bianco sia del copricapo che della pesante pelliccia, è quello è l'unico vero tocco di colore visibile per miglia.

Avvolto in una pelliccia simile, ma di un colore indefinito tra il nero e il marrone scuro, Stefan osserva l'enorme distesa bianca di fronte ai suoi occhi, completamente insensibile al freddo gelido che gli frusta la faccia.

Sono arrivati a San Pietroburgo da meno di due settimane, dopo un tremendo e lunghissimo viaggio sulla nuova ferrovia Transiberiana: un'esperienza che Stefan eviterebbe ben volentieri di ripetere, se non fosse che Lexi si rifiuta categoricamente di salire su una nave russa e quindi non ci sono altri modi per lasciare la città. Per quanto bello possa essere, nessuno dei due ha alcuna intenzione di trasferirsi permanentemente in quel luogo.

«Torniamo a casa?», domanda all'improvviso Lexi, e Stefan si volta a guardarla con un sopracciglio alzato, o almeno ci prova, dato che il volto gli si è quasi completamente congelato.

«A quale casa ti riferisci di preciso? A questa alle nostre spalle», e così dicendo indica l'isba che hanno affittato da una famiglia di contadini per il loro breve soggiorno. «O più in generale a quella dall'altra parte del mondo?»

Lexi sorride e scuote la testa, poi gli si avvicina e passa un braccio sotto il suo, stringendoglisi contro.

«Al momento intendevo questa, sì. Però non mi dispiacerebbe tornare in America. Siamo stati lontani per parecchio tempo, non è vero?», sospira.

«Già», concorda Stefan. «Mi spiace», aggiunge dopo un attimo, consapevole che quel viaggio infinito è stato fatto solo per lui.

Per tutta risposta Lexi gli tira un pugno nel fianco. Stefan lo sente appena, protetto com'è da tutta quella pelliccia, ma decide di prenderlo come un invito a smetterla di dire stupidaggini.

«Riserva le tue scuse per qualcuno che ha bisogno di sentirle», lo rimprovera comunque la sua amica. «E non insultare me credendomi una di quelle persone»

Stefan si stringe nelle spalle, e sta quasi per scusarsi di nuovo, quando l'occhiataccia di Lexi lo fulmina sul posto.

«Okay, okay», dice allora, alzando le mani avvolte nei guanti in gesto di difesa. «Ho capito: niente scuse. Passando a cose serie... hai fatto scorta di vodka, vero?»

«Oh sì», risponde Lexi, con un sorriso irresistibile e un luccichio di divertimento negli occhi.

Tornano all'isba correndo e incespicando nella neve, spintonandosi ma senza volersi davvero allontanare l'uno dall'altra. Cosa tecnicamente difficile, comunque, dal momento che si tengono per mano tutto il tempo.





La vodka c'è, e ce n'è anche tanta, probabilmente troppa persino per loro. Non che si lascino scoraggiare, naturalmente, anzi entrambi attaccano le bottiglie con grande temerarietà, pronti ad averla vinta su di esse o a perire ubriachi sotto il tavolo.

Il fuoco nel camino scoppietta sullo sfondo delle loro risate, quasi con compiacenza, scaldandoli quasi più di quanto non riesca a fare l'alcool.

Ben presto i discorsi cominciano a perdere qualsiasi senso logico, e a nessuno dei due importa, fintantoché hanno entrambi una bottiglia ancora piena in mano e nessun tipo di tristezza riesce ad infiltrarsi tra le loro parole.

La notte arriva senza che se ne accorgano, portata dolcemente dal vento e accompagnata dal turbinio dei fiocchi di neve che si accalcano sui davanzali della finestre, oscurando ben presto la vista. Non che ci sia poi qualcosa da vedere: a parte un paio di luci solitarie che brillano tenui in lontananza, il buio è totale e perfetto, come difficilmente potrebbe mai esserlo in una città.

Stefan piega la testa all'indietro, posandola sul bracciolo di stoffa, e chiude per un attimo gli occhi, cercando di costringere la propria testa a smettere di girare come una giostra. Accoccolata all'altra estremità del non proprio grandissimo divano, Lexi ne approfitta per allungare le gambe e posargliele in grembo, distendendosi quindi su di lui.

«Comoda?», borbotta Stefan, pizzicandole la caviglia per dispetto.

«Mhmh», annuisce lei, sorridendo.

Per qualche minuto un silenzio confortevole e palesemente ubriaco scende sulla piccola stanza, interrotto solo dallo scrocchiare un po' meno convinto rispetto ad alcune ore prima dei ceppi di legno che ancora bruciano nel camino. La vodka sembra aver riportato una vittoria schiacciante, e in fin dei conti nessuno dei due può dirsi veramente sorpreso della cosa.

«Lexi?», la richiama Stefan dopo un po', seguendo il filo dei suoi pensieri sconnessi che ormai da qualche ora non fanno altro che continuare a tornare ad una e una sola domanda.

«Mh?», mormora l'altra, e il fatto che stia continuando a comunicare a mugugni la dice lunga su quanto terribile sia la sconfitta inflittale dall'alcool. Stefan pensa per un attimo di lasciar perdere, di aspettare che i fumi della vodka si dissolvano, portandosi via anche quella domanda che lo nota solo adesso gli brucia sulla lingua non già da ore, ma ormai da lunghi anni.

Di fronte al suo silenzio prolungato, però, Lexi si rimette faticosamente a sedere, poi si china in avanti, posa il mento sulle dita intrecciate delle mani e fissa il compagno con aria interrogativa.

Stefan si rende conto che è la sua ultima occasione di liquidare quel momento dicendo una sciocchezza qualunque, e finire quindi quella serata così come lei vorrebbe che finisse, ovvero in una risata e un probabile mal di testa.

«Perché?», domanda invece, non riuscendo a trattenersi. È una cosa che non riesce a capire, che non ha spiegazioni logiche, almeno non ai suoi occhi. Forse adesso, dopo anni e anni di conoscenza, lui e Lexi possono considerarsi davvero amici lui di sicuro la considera un'amica, ma d'altronde Stefan è quello a cui quell'amicizia giova di più e pesa di meno , ma all'inizio... all'inizio per lei non era altro che un mostro assetato di sangue, sciocco e violento, uno sconosciuto pericoloso e decisamente più facile da eliminare che da redimere.

Eppure Lexi aveva deciso che lui valeva la pena di essere salvato, e si era accollata quella missione che tutto sembrava, ai suoi stessi occhi, tranne che facile o piacevole.

«Solo... perché?», ripete, con un soffio di voce a stento udibile.

Lexi capisce benissimo il senso di quella domanda, ma non risponde, non subito. I suoi occhi si fanno improvvisamente lontani e distanti, e quel senso di vuoto che Stefan vi riesce ora a leggere dentro ha ben poco a che fare con l'ubriachezza. È qualcosa di antico e triste, qualcosa che l'altro vampiro può riconoscere facilmente come il peso di un ricordo doloroso o una perdita troppo importante perché il tempo ne curi la cicatrice, o forse entrambe le cose.

Aspetta in silenzio, indeciso su come comportarsi. Da una parte vorrebbe dirle di lasciar perdere, scusarsi per quella domanda che sembra toccare una sfera forse troppo intima perché lui ne possa già reclamare l'accesso, dall'altra sa che non riuscirebbe mai e poi mai a togliersi di testa quell'interrogativo, che sta diventando quasi un'ossessione, e in fondo non è stata la stessa Lexi a dirgli che non le deve alcuna scusa, mai, per nessun motivo?

Dopo una indefinita quantità di tempo gli occhi di Lexi perdono quella sfumatura di lontananza e tornano a focalizzarsi su di lui, abbandonando il passato in favore di quel presente. Forse tenta di sorridere, forse no, Stefan non saprebbe dirlo. Sa che sta per rispondergli, però, è questo lo tranquillizza più di quanto credeva possibile.

«Ho fatto una promessa», racconta pacatamente Lexi, mentre le ombre gli danzano sul viso, seguendo i movimenti leggeri delle fiamme del camino. «Due promesse a dire il vero. Una sola riguarda te, l'altra l'ho fatta a me stessa, secoli prima che tu nascessi».

Stefan annuisce, le labbra piegate appena in un sorriso di circostanza, che è l'unica cosa che gli riesce di mettere insieme di fronte a quell'argomento che sembra rivelarsi più scomodo di quanto non pensasse all'inizio.

«Della prima non ho intenzione di raccontarti, perché non è compito mio», chiarisce subito la vampira, e quando lui fa per interromperla alza una mano per bloccarlo e scuote la testa. «Mi spiace, Stefan, prendere o lasciare. Sarà qualcun altro a farlo, se mai deciderà di volerlo fare», spiega.

Nel sentire quel qualcun altro Stefan pensa immediatamente a Damon, poi si dà dell'idiota perché le probabilità che Damon c'entri qualcosa in tutto quello sono totalmente sotto lo zero. Ma chi altri avrebbe mai potuto chiedere a Lexi di fare una promessa su di lui? Non ha più alcun legame con nessuno, se non con suo fratello, e anche questo non per loro scelta.

«Posso dirti della seconda, però. Se ti interessa», continua Lexi, interrompendo il filo dei suoi pensieri.

Davanti a quella proposta Stefan spalanca appena gli occhi. Nonostante lei lo conosca probabilmente meglio di se stesso, fino a quel momento Lexi si è sempre gentilmente astenuta dal raccontargli qualcosa sulla sua vita passata, e soprattutto non ha mai accennato della sua vita da essere umana.

«Mi farebbe molto piacere», risponde allora il vampiro, trattenendo a stento la propria curiosità. «Anche se forse dovremmo aspettare domani, quando saremo entrambi meno ubriachi»

«No», sorride Lexi. «Se non fossi così ubriaca non te lo racconterei. E lo sto facendo solo perché mi aspetto che domani tu abbia dimenticato completamente quello che sto per dirti. Il passato mi piace quando rimane tale, senza disturbare il mio presente. Chiaro?»

Stefan annuisce, intuendo sia il rimprovero che la minaccia nascoste dietro quelle parole apparentemente divertite.

«Avevo un fratello», inizia quindi a raccontare Lexi. «Un fratello a cui ero molto legata, e che avevo promesso di proteggere da qualsiasi cosa, a qualsiasi prezzo. Diventare un vampiro mi sembrava un ottimo modo per adempiere alla mia promessa»

«Ti sei trasformata volontariamente?», domanda Stefan, leggermente sorpreso. Una risata amara accompagna il sospiro di Lexi.

«Era il diciassettesimo secolo, non uno dei migliori per una ragazza orfana e non benestante. Inoltre ero giovane ed ero innamorata. Sì, di un vampiro, prima che tu me lo chieda. Dovresti sapere che esercitano un certo fascino sugli esseri umani, no?»

«Non proprio su tutti gli esseri umani», mormora Stefan, mentre il ricordo del volto furioso di suo padre gli passa come un lampo davanti agli occhi. Lo caccia via con rabbia, e torna a concentrarsi sulla sua amica. «Quindi hai lasciato che ti uccidesse?»

«Non prima di avermi promesso il mondo, l'eternità e poteri sovrannaturali che mi avrebbero permesso di proteggere l'unica persona che amavo oltre a lui», sorride Lexi, recuperando intanto una delle bottiglie di vodka ancora piene. «Ero sciocca, Stefan. Lo siamo tutti a vent'anni»

L'altro vampiro non sa come rispondere se non annuendo di nuovo.

«Per un po' le cose andarono bene», prosegue Lexi, facendo saltare via il tappo con un'abile mossa e portandosi la bottiglia alle labbra. Un po' di liquore gli scivola via dall'angolo della bocca e lei lo raccoglie con un dito, prima di decidersi a continuare a raccontare. «Sono stata più fortunata di te, questo è certo. Non so se il vampiro che mi ha creata mi abbia mai davvero amato, ma mi è stato accanto durante quel primo periodo, il più difficile, e mi ha insegnato come muovermi in quella nuova vita. Quando poi gli ho detto addio mi ha lasciata andare, anche se avrebbe potuto non farlo»

«Un vero gentiluomo», considera Stefan con un pizzico di sarcasmo.

«Lo era più di quanto potresti pensare, credimi», replica Lexi, e l'altro non può fare a meno di notare il continuo uso del passato.

«Non l'hai più rivisto?», domanda, protendendosi ad afferrare la bottiglia che lei tiene ancora tra le mani. Prima di passargliela Lexi ne beve un sorso così lungo che gli occhi le si riempiono di lacrime.

«Una sola volta dopo quel giorno, e per non più di qualche minuto. Giusto quanto bastava per trafiggergli il cuore con un paletto di legno», risponde poi, con semplicità.

Stefan non si permette alcun commento.

Lexi si arrotola una ciocca dei lunghi capelli intorno alle dita, e si volta a guardare il fuoco come se stesse cercando l'ispirazione o la forza per andare avanti.

«Che ne è stato di tuo fratello?», la precede Stefan, intuendo che è proprio quello il punto della questione.

«Morto. In un incendio», risponde velocemente Lexi. «Il mio insegnante si era dimenticato di dirmi che se non invecchi nemmeno di un giorno e rimani nello stesso luogo per anni, prima o poi la gente comincerà a farsi domande. E a darsi risposte. A quel tempo di solito la risposta migliore consisteva in una sfilata di fiaccole e forconi».

«In questo le cose non sono cambiate poi molto, durante gli ultimi trecento anni», commenta Stefan.

«Già», sbuffa Lexi, e poi, con lo stesso tono sbrigativo di poco prima, conclude: «Io sono riuscita a scappare. Mio fratello no. Aveva sedici anni».

Entrambi lasciano che quell'ultima frase cada nel silenzio. Stefan passa di nuovo la bottiglia all'amica, e lei la svuota senza pensarci due volte. Ormai la notte è già entrata nella sua seconda metà, quella più vicina all'alba, e perfino la tormenta di neve si è assopita.

Stefan non dice che gli dispiace. «Ancora non capisco», mormora invece. «Hanno dato fuoco alla tua casa, hanno ucciso una persona che amavi e probabilmente ti hanno dato la caccia. Quando è successo a me, l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era la vendetta».

«Lo stesso valeva per me. Abbiamo semplicemente scelto due modi diversi per vendicarci», spiega Lexi, e Stefan ripensa al vampiro che l'ha trasformata e che lei non ha mai chiamato per nome, come se bastasse quello ad offenderla.

«E comunque io ho imparato a controllare le mie emozioni amplificate molto prima che venissero messe alla prova così violentemente. A te ne è mancata l'occasione, e i primi sentimenti che hai provato dopo la trasformazione sono quelli che ti hanno travolto e segnato, e da cui, come avrai notato, è difficile liberarsi», aggiunge Lexi.

Stefan le è mentalmente grato per aver detto difficile e non impossibile.

«Ma cosa c'entra tutto questo con me?», non può fare a meno di domandare ancora il vampiro.

Lexi piega la testa contro lo schienale del divano e socchiude gli occhi, chiaramente esausta ed assonnata.

«Mi ricordi lui», sussurra con un filo di voce. «Non so neanche io bene il perché, ma mi ricordi lui»

Stefan non sa proprio cosa replicare di fronte a quella confidenza. Così non dice nulla e lascia che lei si addormenti lentamente, con le gambe ancora posate sulle sue e la bottiglia vuota stretta al petto.

Cercando di disturbarla il meno possibile, Stefan si china in avanti, le toglie la bottiglia dalle mani e, dopo una leggera esitazione, le posa un brevissimo bacio sulla guancia.





Il giorno successivo si rivela essere uno dei momenti più confusi, caotici e tremendi del loro viaggio. Appena sveglia Lexi decide che la Russia non le piace, che la vodka è orribile, che la neve è fastidiosa e che quella parte del mondo, in generale, non ha più alcuna attrattiva. Si ritrovano quindi a fare i bagagli e a correre da una parte all'altra del paese, seduti su carretti sbilenchi e circondati da persone che non capiscono una parola di quello che dicono, cercando di raggiungere, in un modo o nell'altro la stazione ferroviaria in tempo per prendere il primo e ultimo treno della giornata.

Finalmente si ritrovano sani e salvi all'interno del vagone gelido, seduti su sedili che sembrano fatti di ghiaccio scolpito, con la prospettiva di giorni e giorni da passarci dentro prima di poter raggiungere un posto un po' meno inospitale delle pianure russe. E dopo una mattinata intera passata a litigare anche per le più piccole cose, non possono fare a meno di guardarsi negli occhi e scoppiare a ridere, così forte da attirarsi dietro i rimbrotti degli altri viaggiatori.

«Ora che siamo riusciti a tirare fuori di nuovo il tuo lato umano, c'è solo un'altra cosa da fare», dice Lexi, ad un certo punto, quando finalmente riescono a calmare le risa.

«Ovvero?»

«Cercare di far emergere anche il tuo senso dell'umorismo», risponde seriamente Lexi. «E so che sarà un'impresa ancora più difficile della prima, ma»

Stefan le lancia addosso il proprio cappello, cercando di zittire la sua risata.

Fuori dal finestrino il paesaggio scorre veloce, macchie confuse di bianco e di grigio, mentre il treno continua a correre ad una velocità folle lungo binari che si estendono per una lunghezza tale che è difficile persino cercare di immaginarsela.

Le ultime settimane dell'inverno fuggono via quasi con la stessa rapidità di quel treno, e quando infine Lexi e Stefan tornano a casa è di nuovo primavera.

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