Different Seasons di Shari Deschain (/viewuser.php?uid=24910)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hope Springs Eternal ***
Capitolo 2: *** Summer of Corruption ***
Capitolo 3: *** Fall From Innocence ***
Capitolo 4: *** A Winter's Tale ***
Capitolo 1 *** Hope Springs Eternal ***
Warnings:
Pre-serie,
Spoiler 3x03, Angst, Violenza.
Word
Count: 9507
(FDP)
N/A:
OMG,
da dove inizio? XD Ah, ecco: Different
Seasons è una raccolta di
novelle di Stephen King (che è quanto di più
vicino ad un dio io
abbia mai avuto), e l'idea di prenderla ad ispirazione mi è
venuta
nel momento esatto in cui ho visto che le date riportate sul diario
di Stefan (quelle che tra l'altro trovate all'inizio di ogni
capitolo) coincidevano perfettamente con le quattro stagioni (okay,
una me la sono creata io, ma credo che il Rippah non se ne
avrà
troppo a male).
Dunque
questa storia ce l'ho in mente da quando ho visto l'episodio 3x03, ma
per qualche motivo ho continuato a rimuginarci sopra per mesi prima
di scriverla, perché mi aspettavo sempre qualche
informazione in
più, che però non è arrivata mai 'XD
Non che la cosa mi sorprenda
troppo, ci hanno fatto già la grazia di farci vedere Lexi un
altro
paio di volte, quindi io ringrazio, incasso e porto a casa.
Come
conseguenza, però, ho dovuto inventarmi di sana pianta molte
cose: i
luoghi prima di tutto, e poi il background che gli autori non ci
hanno mai dato come si deve, in particolar modo quello di Lexi. Per
la sua storia ho ripreso quella contenuta in Stefan's diaries:
Bloodlust, e l'ho adattata un po' come volevo io, giusto
perché sì
XD
Per
il resto, beh, queste sono ovviamente tutte speculazioni personali.
Il rapporto tra questi due mi ha sempre interessata moltissimo e
siccome dubito fortemente che in futuro ci verrà svelato
nella sua
interezza, ho deciso di spiegarmelo da sola (gioie del mestiere di
fanwriter, già XD).
Scritta
per la missione #1 del COW-T
@ maridichallenge,
prompt Anni.
Different
Seasons
#1
─
Hope Springs Eternal
Chicago,
Aprile 1922.
“Lexi
found me last night, dragged
me
off the train tracks.
Thinks
she can make
me care again.”
L'appartamento
è
completamente al buio da giorni, forse addirittura da settimane. Le
finestre sono sbarrate, le tende tirate, il disordine regna sovrano
ovunque. L'odore di polvere e sangue rappreso impregna l'aria come
fumo solido e denso, nauseabondo per qualunque essere umano. Da
quando gli unici due orologi della stanza sono stati lanciati
rispettivamente contro un muro e dentro il camino, nessun tipo di
rumore risuona tra quelle pareti, se non un respiro talmente lieve
che lo stesso proprietario fa fatica ad udirlo.
Il
vampiro giace
pesantemente sul letto disfatto, il corpo nudo avvolto per
metà
nelle lenzuola sporche, la testa adagiata nell'incavo tra due
cuscini, e un braccio penzoloni nel vuoto. Il comodino e il pavimento
lì vicini sono cosparsi di bottiglie: molte sono ridotte in
pezzi,
alcune sono già vuote, altre sono state semplicemente
lasciate lì a
sgocciolare a poco a poco il loro contenuto sul pavimento.
L'unico
vero movimento
presente nella stanza è quello di due occhi verdi,
indistinguibili
tra quell'ammasso pesante di ombre, ma comunque ben spalancati e
intenti a scrutare il soffitto con la tipica attenzione dettata dalla
noia: si soffermano quindi su ogni crepa, ogni anfratto, ogni filo di
ragnatela che penzola, ormai abbandonato, nel buio circostante.
Un
istinto affinato
attraverso gli anni lo avverte che tra poche ore sarà il
crepuscolo,
e un brivido leggero gli percorre la spina dorsale. È un
brivido di
eccitazione e di attesa: tra poco sarà di nuovo tempo di
caccia. Non
sa per quale motivo nell'ultimo periodo si costringa sempre ad
aspettare la notte per cacciare, dal momento che un limite del genere
non gli è mai stato imposto da nessuno. Forse un retaggio
atavico
della sua razza che ha improvvisamente deciso di tornare alla
ribalta. Forse è solo che quella città, come un
po' tutte le altre,
è molto più bella di notte.
Non
più così
bella, però.
Quel
pensiero lo colpisce all'improvviso, come un getto di acqua fredda, e
il vampiro aggrotta le sopracciglia, lievemente alterato. Da qualche
tempo ─
non sa di preciso da quanto, ma potrebbe essere più o meno a
partire
dal momento in cui ha deciso di sbarrare le finestre e fare di quella
casa poco più che una tana ─,
una strana sensazione continua a grattare appena sotto la superficie
della sua coscienza. Non sa bene come identificarla, se non come una
mancanza.
Mancanza
di cosa
o di chi
non
saprebbe proprio dire, però sì, la sensazione gli
sembra più o
meno quella.
E
gli capita di
provarla soprattutto quando si trova a girovagare da solo per i
quartieri periferici di Chicago, tra quei locali segreti che con il
passare del tempo diminuiscono a vista d'occhio a causa dei controlli
sempre più assidui e precisi della polizia. Non che la cosa
lo turbi
particolarmente: per lui non esiste alcun tipo di proibizionismo, e
l'idea di qualcuno che cerchi di arrestarlo non gli provoca alcuna
reazione, se non forse un sorriso sarcastico.
Resta
il fatto che
all'improvviso la solitudine è diventata un peso opprimente,
e
Stefan non capisce perché. È arrivato a Chicago
da solo, e ci ha
vissuto da solo fino a quel momento senza alcun problema (anche Damon
è lì in città, a dire il vero. Stefan
lo sa perché gli ambienti
interessanti da frequentare si contano sulle dita di una mano, e
anche se non si sono mai incrociati personalmente, la presenza di suo
fratello raramente passa inosservata. Per fortuna l'idea di una
rimpatriata non è passata per la testa di nessuno dei due).
Non
riesce a spiegarsi,
quindi, il motivo per cui a volte si ritrova ad ordinare due drink
invece che uno. O perché, certe sere, il suo sguardo inizia
a vagare
nervosamente per il locale, in cerca di una donna bionda che balla da
sola tra la folla ─ non gli sono mai nemmeno piaciute
particolarmente, le bionde. Se non come cena. O pranzo. O colazione.
Sul cibo difficilmente fa preferenze.
È
uno dei motivi per
cui non è più tornato al locale di Gloria dopo
quella strana notte
in cui la polizia vi ha fatto irruzione. Lì quel genere di
stranezze
sono ancora più frequenti, tanto che anche solo pensare a
quel posto
gli fa puntualmente venire il mal di testa.
Il
vampiro si volta su
di un fianco, verso il punto in cui, se le imposte non fossero
così
rigidamente serrate, potrebbe vedere il sole cominciare il suo lento
declino alle spalle della città. È affamato ed
è stanco,
nonostante non abbia nessuna ragione di essere né l'una
né l'altra
cosa: non sono passate che una decina di ore da quando ha abbandonato
una graziosa ragazza in un vicolo del centro, e da quel momento non
ha fatto altro che starsene sdraiato su quel letto, incapace di
dormire o di pensare, perso semplicemente a fissare il vuoto.
Non
più così
bella, quella città.
Non
più così
eccitanti, le sue notti.
Non
più.
Stefan
si alza a sedere
e si rimette in piedi con uno scatto rapido, sentendo improvvisamente
il bisogno di uscire da quel tugurio. Le lenzuola gli scivolano via
di dosso mentre si allontana dal letto e il vetro si infrange sotto i
suoi piedi nudi, aprendo ferite che guariscono meno di un istante
più
tardi.
Esita
sulla porta del
bagno per qualche momento, aspettando che i suoi occhi si abituino
alla luce penetrante delle lampade elettriche, poi apre il rubinetto
della vasca e rimane ad osservare il gettito fumante fino a quando il
livello dell'acqua raggiunge il massimo consentito.
Rimane
dentro la vasca
per ore, con gli occhi chiusi e la mente completamente vuota di
qualsiasi pensiero, decidendosi ad uscire solo quando l'acqua ─
tinta ormai di una leggera sfumatura di rosso ─, non diventa
abbastanza fredda da dargli fastidio.
Si
veste velocemente,
ma con precisione, ripetendo gesti imparati grazie al tempo e
all'esperienza, e come premio lo specchio gli rimanda l'immagine di
un gentiluomo, curato ed elegante come vuole la moda del momento.
Stefan cerca di sorridere a quella figura distinta, ma il massimo che
il suo riflesso gli concede è una smorfia sprezzante.
È difficile
prendere in giro se stessi.
Esce
sbattendosi la
porta alle spalle, e dietro di lui l'appartamento torna buio e
silenzioso come prima. È di nuovo impossibile, quindi,
notare le
tracce di rossetto sulle lenzuola, o i fini capelli biondi sparsi sui
cuscini. Alcune paillette luccicanti, palesemente strappate via da un
vestito da sera tolto troppo in fretta, si perdono tra i cocci di
bottiglie rotte, finendo per passare inosservate perfino agli occhi
attenti di un vampiro.
Ma
in fin dei conti, se
anche Stefan avesse notato tutte queste piccole cose, quei piccoli
ricordi materiali non sarebbero serviti a nulla, se non a rinsaldare
quella sensazione indefinita di perdita che già odia
così tanto.
La
notte scivola via
lentamente, così come i sottili rivoli di sangue agli angoli
della
sua bocca, che scorrono pian piano sulla sua pelle fino ad
accarezzargli il colletto, macchiandolo di un rosso reso quasi
indistinguibile dalla luce fioca dei lampioni stradali, che nel
frattempo, arrivate le prime ore del mattino, iniziano gradualmente
ad affievolirsi per poi spegnersi del tutto.
Stefan
si sente
magnificamente bene: le lunghe ore di veglia ormai ben lontane dai
suoi pensieri, sazio, con l'adrenalina ancora a mille e il cuore che
gli batte forte nel petto, pompando a ritmo folle quel sangue appena
rubato nelle sue vene. Quei pochi istanti immediatamente successivi
alla fine di una caccia sono quasi meglio della caccia stessa, o
almeno così gli sembra di credere in quel momento, con il
sapore
bollente del sangue ancora sulla lingua.
La
ragazza al suo
fianco, intanto, barcolla come se fosse tremendamente ubriaca. Il
vampiro la sostiene passandole un braccio intorno alla vita,
stringendola così vicina come potrebbe fare soltanto un
innamorato.
O un assassino. Lei balbetta parole sconnesse, preda sia dello shock
che della debolezza. Se non le spezza il collo subito, considera il
vampiro, ci sono forti probabilità che muoia comunque, e in
modo
molto più lento e doloroso.
Stefan
le accarezza la
gola con un dito, rimuginando sulla questione per qualche momento,
infine si decide a trascinarla sul marciapiede e a lasciarla
lì,
malamente distesa sull'asfalto freddo. È già
stata soggiogata a
dimenticarsi di lui, quindi non gli creerà problemi di alcun
genere
se anche dovesse sopravvivere. E non è un 'se' da
poco,
questo.
Un
attimo dopo, e senza
degnarla di un secondo sguardo, il vampiro le volta le spalle e si
dirige verso casa, abbandonandola così al suo destino.
Quando
arriva davanti
al palazzo è quasi l'alba e le strade sono ancora del tutto
deserte.
L'aria gelida gli pizzica appena la pelle: è molto
più fredda di
quanto dovrebbe essere in quella stagione, ma al contempo ha un che
di limpido e di pulito. Non gli dispiace affatto.
Si
accorge che qualcuno
è penetrato nel suo appartamento non appena i suoi occhi si
posano
sulla maniglia rotta. Sorride, un po' divertito e un po' infastidito,
chiedendosi perché diamine si prenda la briga di uscire,
visto che a
quanto pare il cibo preferisce auto-invitarsi a colazione.
Ladro
sfortunato,
pensa, spalancando la porta.
Ma
non è un ladro quello che si ritrova davanti. E se
c'è qualcuno di
sfortunato, lì in quella stanza, quel qualcuno è
probabilmente lui
stesso. O comunque lo diventerà a breve.
«Salve,
Lexi», saluta Stefan, assottigliando gli occhi per
distinguerla
meglio tra le ombre. Non che ne abbia bisogno: riconoscerebbe il suo
profilo ovunque, inoltre ha imparato a distinguere la sua presenza da
quella di chiunque altro, così come si imparano a
riconoscere i
propri familiari dalla cadenza dei loro passi.
Lei
non gli presta attenzione, ma continua a muoversi silenziosamente nel
buio, come se stesse cercando qualcosa.
«Cosa
ci fai qui?», domanda il vampiro.
Uno
sbuffo ironico è la risposta che ottiene per prima.
«Lo sai perché
sono qui», aggiunge però Lexi subito dopo, tanto
per essere quanto
più chiara possibile.
L'altro
si limita ad annuire, pur non sapendo se lei possa vederlo o meno. La
sensazione di stanchezza torna di nuovo, prepotentemente, a prendere
possesso del suo corpo. Non la fame però. O almeno non
ancora. Ma
anche quella verrà presto.
Stefan
posa una spalla contro lo stipite della porta e continua ad osservare
la stanza buia, mentre la figura di Lexi si sposta verso le finestre.
«Non
ho bisogno del tuo aiuto», mormora sottovoce. Mente sapendo
di
mentire, ma non può farne a meno.
«Già
sentito», ribatte infatti lei, scostando bruscamente le
tende. Un
timido chiarore si infiltra tra le fessure del legno, cogliendo un
riflesso dei suoi lunghi capelli biondi.
Uno
scricchiolio sinistro, poi un rumore fragoroso di qualcosa che si
spacca in due e le finestre infine si aprono. Il primo sole del
mattino avviluppa Lexi in un alone chiaro, reso ancora più
brillante
dal pulviscolo che si solleva tutto intorno a lei.
Adesso
riescono finalmente a guardarsi negli occhi. Nessuno dei due
è
cambiato, eppure entrambi si trovano profondamente diversi.
«Non
ci riuscirai. Non questa volta», dice Stefan. A quelle parole
Lexi
alza gli occhi al cielo, con un'espressione che in un altro momento
potrebbe forse apparire comica.
«Oh,
smettila», sbotta di rimando, evidentemente spazientita.
«Cerca di
essere positivo! Non senti questo profumo? È
primavera!», esclama,
indicando la finestra spalancata e il mondo lì fuori, che
sta giusto
iniziando a svegliarsi.
Stefan
si limita ad alzare un sopracciglio.
«E
allora?», chiede.
Lei
sorride appena ed inizia ad avvicinarglisi. Il vampiro si
irrigidisce, pur cercando di non darlo a vedere. Tentativo inutile,
probabilmente, ma che deve comunque costringersi a fare.
«La
primavera è la stagione dell'eterna speranza»,
spiega Lexi, quando
è ormai a pochi passi da lui. «È bello
rivederti, Stefan»,
aggiunge poi, quasi con dolcezza, allungando una mano sia per
carezzargli una guancia sia per nascondere il movimento dell'altro
braccio.
Stefan
lo nota comunque, ma finge il contrario. Chiude gli occhi e sospira
pesantemente, rinunciando fin da subito ad opporre resistenza.
«Ti
arrenderai mai, Lexi?», bisbiglia soltanto.
Per
tutta risposta il paletto di legno lo trafigge appena sotto il
costato, penetrando in profondità attraverso la carne. Fa
male, ed
il dolore è una sensazione che non prova da parecchio tempo.
Si
consola pensando che è comunque meglio del sentire la
mancanza di
qualcosa che non ricorda, o che nemmeno sa se è davvero
esistita.
Lexi
lo afferra per le spalle, accompagnando la sua ovvia caduta, ed
intanto si china su di lui fino a sfiorargli il volto con le labbra.
«Mai»,
gli sussurra all'orecchio la sua bellissima e spietata migliore
amica, mentre lui si accascia debolmente tra le sue braccia.
E
Stefan sa che quella
è una promessa.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Summer of Corruption ***
#2
- Summer of
Corruption
Detroit,
Giugno 1924.
“Lexi's driving me
crazy. More animal blood, more misery.”
Il
caldo è soffocante,
molto più di quanto dovrebbe ragionevolmente essere
all'inizio
dell'estate, e perfino le mosche che ronzano tutt'intorno alla
stanza, grosse e pesanti, sono così stordite dalla
temperatura
inaspettata da non riuscire nemmeno a volare come si deve.
L'appartamento
in cui
lui e Lexi si sono trasferiti è una specie di seminterrato,
poco più
di una cantina, in realtà. Un buco di cemento arroventato,
spoglio
di qualsiasi decorazione non strettamente necessaria e appena appena
vivibile per dei vampiri, figuriamoci quindi per degli esseri umani.
Lexi dice che è il posto migliore per passare inosservati
tra le
centinaia e centinaia di persone che affollano Detroit dopo il boom
dell'immigrazione. A Stefan sembra semplicemente una tana per topi.
Le
loro opinioni non
sono mai state così contrastanti su qualcosa come lo sono su
quel
luogo (eccettuato ovviamente un paio di piccole cose, tipo il senso
dell'esistenza di un vampiro e il rispetto della vita umana.
Pochezze, davvero).
Già
dal primo giorno,
Stefan ha riservato a quella città un odio profondo, che
fino a quel
momento ha dedicato a davvero ben poche cose, considerato il lungo
corso della sua vita. A Lexi invece Detroit piace molto. Non lo dice
mai esplicitamente, ma Stefan vede come le si illuminano gli occhi
quando torna a casa, quando parla della gente che ha incontrato,
delle cose che ha visto.
Ai
suoi occhi
quell'agglomerato umano di varie razze in guerra tra loro non
è
altro che un grosso ristorante a cielo aperto, ma questo alla sua
compagna non può dirlo. Non che lei non lo intuisca da sola,
ovviamente, ma perlomeno evitano di discuterne. Cortesia: la prima
regola della convivenza. Non sempre la rispettano. Anzi.
Il
problema è che
Stefan non capisce perché mai dovrebbe prendersi la briga di
mostrarsi ─
o perfino
essere! ─,
ancora umano,
dato che non lo è più da ormai sessant'anni e il
cambiamento non
gli dispiace affatto, gli sembra anzi una miglioria, checché
ne
pensi al proposito Lexi. C'è anche da dire che quel periodo
non
aiuta affatto le tesi della sua amica: l'umanità non sta
mostrando
la sua faccia migliore, e perfino lei è costretta ad
ammetterlo.
Discutono
spesso su
questa cosa, a volte anche violentemente. Parlano della guerra appena
finita e di quella che nelle strade è soltanto all'inizio,
parlano
dell'Europa, della politica, delle nuove scoperte scientifiche, degli
ultimi film esposti al cinematografo. Di qualsiasi cosa, insomma.
Lexi
non gli permette
di uscire, ma in cambio gli racconta storie, gli porta giornali, gli
riferisce notizie e pettegolezzi, cerca di farlo ridere. E gli
procura il sangue, ovviamente. Da quanto Stefan è riuscito a
capire,
è riuscita a soggiogare il macellaio del quartiere, ed
è lì che si
procura, giorno dopo giorno, quella robaccia orribile che il vampiro
è costretto a cacciarsi giù per la gola per
calmare i crampi della
fame.
Stefan
pensa spesso di
mandare tutto al diavolo, di voltare le spalle a Lexi e cambiare
città, Paese, o perfino continente, di ricominciare tutto
daccapo.
Poi si rende conto che non c'è proprio nulla da
ricominciare, che in
fondo le cose vanno meglio rispetto a due anni prima, e che Lexi ha
ragione quando dice che andranno ancora meglio con il tempo, che se
ce l'ha fatta una volta può farlo ancora.
A
volte quelle parole
riescono veramente a confortarlo e a dargli speranza. Altre volte ha
solo voglia di gridare a Lexi che sono tutte stronzate, che
c'è un
motivo se continua a ricascare sempre nello stesso baratro, che lei
dovrebbe smettere di cercare di salvarlo e piantargli piuttosto un
pezzo di legno nel petto. A trattenerlo è solo l'idea della
sua
risata davanti a quelle affermazioni. Non crede di poter sopportare
una cosa del genere.
Un
sottile alito di
vento fa scricchiolare dolcemente la porta, lasciata aperta
nell'inutile tentativo di rinfrescare l'aria, e Stefan si volta a
fissare il riquadro incorniciato dagli infissi di legno marcio. Tutto
ciò che riesce a vedere, considerato il dislivello tra la
casa e la
superficie, è un pezzetto di cielo, azzurrissimo e sgombro
di
nuvole, e sotto di esso una striscia di strada, color grigio
impolverato e quasi altrettanto sgombra di esseri umani. Quasi.
Sul
marciapiede di
fronte a quello dove si affaccia la porta del seminterrato, infatti,
una ragazzina si è fermata a riposare all'ombra di un albero
e si
guarda intorno con aria stanca e annoiata. Ha la fronte sudata, le
mani sporche di terra, e il vestito leggero le aderisce alla pelle in
un modo che molti riterrebbero al limite dello scandaloso. Sotto il
braccio porta un cesto pieno di frutta, e con la mano libera si
sventola lentamente il volto con il cappello.
I
loro sguardi si
incrociano nonostante i diversi metri di distanza, come naturalmente
attirati l'uno dall'altro. Lì dall'altra parte della strada
lei
sorride, un sorriso candido e ingenuo che Stefan ricambia per
riflesso, pur senza alcuna ingenuità né candore.
Non
è niente di che,
pensa intanto, solo una ragazzina di strada che cerca di mettere
insieme i soldi della cena. Probabilmente un'orfana, oppure una delle
prime figlie di una nidiata troppo numerosa di bambini. In entrambi i
casi, una persona che non verrà pianta troppo e la cui
scomparsa non
farà molto rumore.
Nel
momento stesso in
cui quei pensieri emergono dal suo subconscio per palesarsi ad un
livello più cosciente, Stefan scuote violentemente la testa,
disgustato da se stesso. Si alza in piedi e si avvia verso la porta,
intenzionato a sbattergliela in faccia. Ma ormai è troppo
tardi.
«Una
pesca, signore?»,
domanda la ragazzina, affacciandosi timidamente nello specchio
dell'entrata. Stefan la osserva dal basso, costernato. Vorrebbe dire
di no, ma non ci riesce. Il suo sguardo si perde lungo la linea del
collo di lei, seguendo una goccia di sudore che vi scivola a rilento,
fino a perdersi tra l'incavo dei seni appena accennati.
«Ho
anche delle belle
mele, signore», continua lei con allegria, mentre il vampiro
diventa
dolorosamente conscio del rumore del suo piccolo cuore che batte ad
un ritmo lento e regolare, a così pochi metri da lui. I
pensieri si
accavalcano confusamente nella sua mente mentre i morsi della fame
gli attanagliano ogni singolo muscolo del petto.
«Signore?»,
lo
richiama la ragazzina, ora con tono preoccupato.
«Va'
via», cerca di
dirle Stefan, ma il suono strozzato che esce dalle sue labbra
è
intraducibile persino a lui stesso. Lei fa l'enorme errore di
scendere un paio di scalini, avvicinandoglisi per controllare che
stia bene.
Prima
ancora che riesca
a prendere una decisione razionale, Stefan sente il proprio volto
cambiare, le zanne crescere fino ad affondare nel labbro inferiore,
le vene intorno agli occhi ingrossarsi pericolosamente.
Mi
dispiace.
La
ragazzina urla.
Stefan scatta istintivamente verso di lei. Lexi arriva al momento
giusto, come sempre. O quasi.
Il
silenzio nella
stanza è oppressivo quasi come il sole di mezzogiorno, che
è
riuscito a trovare lo spiraglio dell'unica finestra presente nella
stanza e ora gli brucia crudelmente una guancia. Lexi non dice nulla,
ma ogni suo gesto e sguardo emanano furia e delusione. Se la
disapprovazione fosse materia tangibile, ora mezza città ne
sarebbe
invasa.
Stefan
cerca di
allungare le braccia, indolenzite dalla scomoda posizione a cui sono
costrette, ma le corde gli stringono i polsi troppo forte per
concedergli qualsiasi tipo di movimento. L'idea di fare fisicamente
del male a Lexi gli ripugna, ma in quel momento non può fare
a meno
di accarezzarla, e se non fosse legato probabilmente non ci
penserebbe due volte ad avventarsi su di lei, pur sapendo che
potrebbe batterlo senza difficoltà.
L'incapacità
di
muoversi, tuttavia, non pregiudica quella di riflettere. O di
parlare. Ci sono molti modi per ferire una persona, e le parole non
sono affatto la meno efficace: Stefan lo ha imparato fin da bambino,
grazie ai modi taglienti di suo padre.
«Tutto
questo non ha
senso, Lexi. Se non è stata quella ragazzina sarà
un'altra. Se non
è successo oggi succederà domani, o tra due anni.
Perché non lasci
perdere e basta?»
Lexi
gli dà le spalle,
intenta a sistemare in una ciotola colorata la frutta che la sua
mancata vittima ha lasciato cadere nella sua fuga disperata. Fuga che
si è conclusa poco dopo, ovviamente, dato che non le si
poteva certo
permettere di gridare al resto della città che
c'è un vampiro
affamato tenuto prigioniero in una cantina dei quartieri popolari.
«Non
appena ti sarai
ricordato di non essere un animale in trappola ma un essere
senziente, con una mente e dei sentimenti, capirai da solo
perché
non lascio perdere. Siamo ancora a metà lavoro, Stefan.
Anche se
pensavo che ormai avessi acquistato più controllo, devo
ammetterlo»,
replica seccamente la vampira, continuando ad impilare le mele in una
piramide perfetta.
«Non
ho mai avuto
controllo, lo sai. È proprio questo il problema,
no?», sospira
Stefan, abbandonandosi contro il materasso e cercando una posizione
quanto più possibile comoda, considerate le circostanze.
Lexi
si volta
finalmente a guardarlo, l'espressione dura addolcita da una sfumatura
di compassione che Stefan non è sicuro di gradire molto.
Sempre meno
doloroso di un paletto nello stomaco, certo, ma anche decisamente
più
difficile da incassare.
«Questo
è un problema
che posso aiutarti a risolvere», risponde Lexi, conciliante.
«Ti
riporterò sulla giusta via, Stefan. Che ti piaccia o
meno»
Stefan
ribatte con una
risatina sdegnosa, poi piega appena la testa di lato e fissa il suo
sguardo in quello di lei. Le riserva la stessa occhiata che di solito
rivolge alle sue vittime, e il suo sorriso si accentua visibilmente
quando lei mostra di esserne innervosita.
«Non
sarebbe più facile il contrario?», le chiede
allora Stefan, con un
tono più suadente che veramente serio. «Non
sarebbe più facile se
invece di cercare di fare di me un vampiro civilizzato non fossi tu a
lasciarti corrompere, Lexi? Ci divertiremmo molto di
più», le
assicura, tendendosi in avanti il più possibile, fino quasi
a
lacerarsi la pelle dei polsi ancora incatenati.
Dal
volto della vampira sparisce subito qualsiasi traccia di simpatia o
comprensione, e torna l'espressione accigliata e delusa.
«La
mia idea di divertimento è molto diversa da quella che hai
in mente
tu», risponde duramente lei, lanciandogli uno sguardo di
chiaro
avvertimento. Non le piacciono quei discorsi, Stefan lo sa. Forse
è
per questo che lo divertono tanto.
«Oh,
lo so», continua quindi, sempre sorridendo, ma le sue labbra
assumono una piega decisamente più crudele. «La
tua idea di
divertimento è imitare gli esseri umani, fingere di essere
una di
loro, comportarti come pensi che si comporterebbero loro con te, se
dovessi mai ritrovarti alla loro mercé. Povera
illusa»
«Smettila,
Stefan», gli ordina Lexi, e l'aria si carica ancora di
più di
tensione ora che anche lei riesce a stento a trattenere il proprio
istinto violento, che probabilmente le sta suggerendo di sbattergli
la testa contro il muro fino a farci un buco.
Stefan,
com'era ovvio, non smette affatto. Anzi, decide di rincarare.
«La
tua idea di divertimento è passare anni interi in compagnia
di
persone che non ti vogliono, cercando di convincerle a guardarti come
esempio perché non hai nient'altro a cui aggrapparti. Io
sarò anche
un mostro, Lexi, ma tu sei un essere decisamente più
patetico»,
continua con un ghigno.
Più
veloce di un battito di ciglia, Lexi attraversa la stanza e gli
pianta un paletto al centro del petto, calcando con forza per fargli
più male possibile. Ma il dolore non serve a niente questa
volta.
Non di fronte alla sua rabbia, che Stefan è contento di
essere
riuscito a suscitare fino a quel punto.
«Brutta
idea provocare chi ha il paletto dalla parte del manico, non
credi?»,
dice Lexi, con un tono che vorrebbe essere quanto più
distaccato
possibile, ma lui non si lascia ingannare.
Capisce
di averla ferita ─
ferita
profondamente, per giunta ─,
e per un attimo la soddisfazione è così forte che
il vampiro piega
indietro la testa e ride, ride così forte da farsi bruciare
la gola,
ride come potrebbe ridere qualcuno che stia perdendo il senno, ride
fino a piangere.
Quasi
nemmeno si accorge del modo in cui lei fa ruotare il pezzo di legno,
scavando a fondo nella carne, ancora e ancora, prima di costringersi
ad estrarlo completamente, ammettendo quindi la propria resa. Quando
diversi minuti più tardi Stefan riesce finalmente a
ricomporsi, Lexi
è già sparita, la porta è sbarrata e
il suo sangue continua a
riversarsi sulla maglietta, sulle lenzuola e sul letto, tingendo
tutto di un rosso vivo.
Lexi
sparisce per due giorni interi, e Stefan quasi si convince di essere
stato abbandonato lì a marcire per il resto
dell'eternità. La fame
gli fa dolere ogni singolo muscolo del corpo, e persino la
prospettiva della robaccia di scarto del macellaio di turno diventa
improvvisamente molto appetitosa. Non che abbia modo di procurarsela,
comunque. Ha provato infinite volte a liberarsi dalle corde, ma tutto
ciò che è riuscito ad ottenere è di
segarsi ancora più a fondo i
polsi, perdendo altro sangue, diventando quindi sempre più
debole.
Le
ore passano indolenti, ogni secondo un tormento eterno che Stefan non
ricorda di aver mai provato prima. Bugia, ovviamente, perché
in
realtà c'è già passato una volta, e sa
anche che peggiorerà di
parecchio prima di diventare anche solo lontanamente sopportabile.
Ma
intanto, immerso nella luminosità cocente di quella cantina,
impossibilitato a qualsiasi tipo di movimento, Stefan si trova
costretto a scendere a patti con se stesso.
Ripensa
alla ragazzina terrorizzata. Al volto deluso di Lexi, alla sua
espressione ferita di cui, per pochi secondi, è stato
così fiero.
Torna ancora più indietro nel tempo. Torna a Chicago, a
quella
sensazione di perdita affogata violentemente nel sangue. Facce e
nomi. Lettere incise su un muro. Vite spezzate in cambio di poche ore
di divertimento.
Il
caldo è una cappa quasi solida, intorno a lui. Il sangue ha
irrigidito i suoi vestiti, e ora li sente addosso pesanti e ruvidi.
La puzza lo disgusta fino alla nausea, la quantità indecente
di
mosche che gli ronzano vicino gli fa rivoltare lo stomaco. Se questo
non è il fondo, manca davvero poco prima di toccarlo,
considera tra
sé.
Le
notti sono più facile da gestire, sebbene non portino
comunque alcun
tipo di riposo. Il buio, perlomeno, riesce a nascondere un po' di
quell'orrore. Lexi è ormai il suo pensiero fisso. I suoi
occhi
addolorati diventano un'ossessione. Non ha mai voluto farle del male.
Non a lei. Forse nemmeno ad altri... perlomeno così era una
volta.
Sì, c'è stato un tempo in cui il dolore degli
altri lo feriva, e
provocarlo era davvero l'ultima cosa che avrebbe voluto fare.
E
non succedeva poi così tanto
tempo addietro.
Quando
Lexi torna ─
come lui in fondo sapeva che avrebbe fatto ─,
a Stefan sembra che siano passati anni interi.
Lei
rimane in piedi ai
bordi del letto e lo fissa dall'alto, con un'espressione
indecifrabile sul volto e una fiaschetta di sangue animale stretta
tra le dita. Stefan ne sente l'odore, ma non è su quello che
si
concentra.
«Mi
dispiace», sussurra all'amica, con una voce arrochita e
stanca.
Lexi
sorride.
«Bentornato»,
dice
solo, prima di sedersi al suo fianco.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Fall From Innocence ***
#3
- Fall From Innocence
Praga,
Settembre 1930.
La
punta della
stilografica disegna ghirigori astratti nell'aria, pochi centimetri
al di sopra della pagina bianca, senza però mai sfiorarla.
Stefan
sbuffa, poi prende tra le mani il proprio diario ed inizia a
sfogliarlo a caso, senza vederlo veramente. Pagine e pagine di parole
che non ha voglia di leggere e di storie che preferisce non
ricordare. Troppo dolore concentrato in un solo posto. Non a caso
Lexi minaccia spesso di bruciarglielo, quel benedetto diario.
Il
vampiro sospira e
alza lo sguardo sulla grande vetrata di fronte a lui. Fuori da
lì
Praga è battuta da una pioggia impetuosa, così
fitta da creare una
sorta di pesante sipario semitrasparente, che incombe minaccioso
sull'intera città.
Venire
in Europa è
stata un'idea di Lexi, ovviamente. Cambiare del tutto aria, lasciarsi
alle spalle quello che è successo, vedere nuovi posti,
iniziare
daccapo. Così ha detto, o almeno questo è quello
che gli sembra di
ricordare. Non le ha prestato molta attenzione, ad essere onesti.
Non
si può comunque
dire dispiaciuto di aver lasciato l'America, il cui clima di Grande
Depressione non gli avrebbe di certo giovato all'umore, come afferma
scherzando Lexi certe volte. Si trovi su un continente o su un altro,
Stefan non ha comunque molta voglia di ridere al momento, e se da una
parte gli dispiace essere un compagno di viaggio così poco
gradevole, dall'altra sa che a Lexi non importa affatto. La cosa,
inoltre, non le impedisce affatto di trascinarselo dietro nei suoi
giri per la città, tra negozi, musei e locali di dubbio
gusto.
Stefan
di solito sbuffa
ma poi si lascia coinvolgere senza troppe discussioni. Le lunghe
passeggiate lo aiutano a distrarsi e, stando entrambi sempre ben
attenti a non trovarsi mai a lungo nel mezzo di una folla, anche a
controllarsi meglio. Altre volte semplicemente non se la sente di
affrontare il mondo esterno, e allora rimane lì in albergo,
a
leggere e ad ascoltare musica. O a tentare di scrivere, come ad
esempio sta facendo in quel momento.
Il
vampiro getta un
ultimo sguardo al diario e poi si decide a chiuderlo una volta per
tutte, avvolgendolo strettamente nel suo laccio di cuoio. Non sa
davvero cosa scriverci sopra, né come anche solo iniziare a
descrivere questi mesi di viaggio, passati a spostarsi
ininterrottamente da una parte all'altra dell'Europa, senza una meta
precisa né un itinerario che abbia un minimo di senso. A
dire il
vero non fanno altro che prendere il primo treno in partenza dalla
stazione più vicina, e scendere poi alla fermata che piace a
Lexi.
Hanno già girato quasi tutto il nord est europeo, in quel
modo.
A
Stefan però riesce
difficile tenere il conto delle città, ricordarne i nomi o
apprezzarne le bellezze. È come se fosse avvolto in una
bolla di
sapone, sottile ma fin troppo concreta, che lo tiene separato dalla
realtà, pur lasciandogliela intravedere.
Fa
molta fatica perfino
a parlare con Lexi, che pure non esita ad invitarlo puntualmente a
sfogarsi con lei se sente il bisogno di scaricarsi un po' di peso
dalle spalle. Stefan sorride e la ringrazia, cordiale come si
è
imposto d'essere sempre nei suoi riguardi, ma sa che quello
è un
peso che può condividere con nessuno, tanto meno con
qualcuno che
non ha la minima idea di cosa significhi portarlo.
Non
saprebbe proprio
come spiegare quella sensazione di vivere a metà tra il
passato e il
presente, né il fatto di sentirsi due persone diverse,
completamente
opposte l'una all'altra, eppure con la stessa faccia, gli stessi
ricordi e le stesse esperienze. Gli risulta fastidioso persino
guardarsi allo specchio, perché non sa mai quale Stefan gli
stia
restituendo lo sguardo.
Ci
ha provato, in un
paio di occasioni, a raccontarle di tutto questo, ma non è
sicuro di
essere riuscito a spiegarsi a dovere. Lexi comunque ha sorriso e gli
ha detto che forse era un bene, che quello potrebbe essere uno stadio
decisivo per il suo processo di guarigione.
Ma
Stefan non si sente
malato, solo stanco. E sì, beh, anche affamato, ovviamente,
ma la
fame sta imparando a sopportarla, pur trovandosi sgomento di fronte
alla prospettiva di doverci convivere per il resto
dell'eternità.
In
tutto ciò la parte
peggiore sono forse gli incubi, perché quelli non ha modo di
affrontarli, può solo subirne la furia violenta e
autodistruttiva.
Sono anche l'unica cosa che, nonostante la buona volontà,
non può
nascondere a Lexi, dato che spesso e volentieri se la trova di
fianco, nel cuore della notte, con le mani strette intorno alle sue e
un sorriso rassicurante sul volto. Non gli fa mai domande, non gli
chiede mai chi gli dia la caccia durante quelle notti. Forse
perché
conosce già la risposta e forse anche perché non
ha il cuore di
fargli notare che in fondo se lo merita. Stefan gli è
decisamente
grato per questo.
La
pioggia continua a
battere insistentemente contro i vetri, e il vampiro si domanda dove
diamine sia finita la sua amica. Sa che voleva fare un giro nel
centro storico della città, ma è uscita ormai da
più di sei ore, e
l'acquazzone non ha smesso di riversarsi sulla città nemmeno
per un
momento. Stefan osserva la pioggia e si domanda se non sia il caso di
andare a cercarla. Non perché creda che possa succederle
qualcosa,
ma solo perché, beh, ha improvvisamente voglia di averla
accanto.
Non
fa in tempo a
finire di pensarlo che la porta dell'appartamento si spalanca di
botto, lasciando entrare una Lexi fradicia dalla punta dei capelli a
quella delle scarpe, carica di enormi pacchetti e raggiante di
felicità.
«Devi
venire con me a
visitare il centro della città. Voglio vedere il Castello da
vicino,
e poi ci sono dei quartieri bellissimi e tu devi, devi vederli!»,
esclama come prima cosa, con una determinazione che a Stefan
preoccupa abbastanza.
Però
non si prende la
briga di contraddirla, anzi, l'ascolta attentamente mentre lei parla
di Staré Město, Malá Strana e altri nomi
impronunciabili, o
comunque pronunciati indubbiamente male. In uno slancio di
generosità
le promette anche di accompagnarla a fare il giro della
città in
battello, e addirittura arriva ad assicurarle che farà del
suo
meglio per sorridere almeno un paio di volte durante il corso della
giornata.
Lexi
ha provato più
volte a mostrargli il lato meraviglioso della loro natura. Ha provato
a spiegargli la meraviglia dell'assistere allo spettacolo di un mondo
che cresce e cambia, fino a trasformarsi in qualcosa di totalmente
differente. Gli ha parlato del tempo, di quanto poco sia importante
per loro, tanto che si tende spesso e volentieri a dimenticarsi
perfino della sua esistenza, per poi riscoprirne l'importanza quando
ci si rende conto che quello che si è abituati a considerare
ieri
è diventato un decennio fa, e che in quegli anni durati
attimi sono
accadute un sacco di cose inaspettate. Lexi gli ha descritto tutto
questo e poi gli ha detto di immaginarsi il mondo, quello che
avrebbero potuto girare mille volte, fino ad arrivare nei suoi angoli
più nascosti, e ogni volta l'avrebbero trovato diverso.
Stefan
ha ascoltato, ha
capito e ha immaginato, ma ancora non è sicuro di essere
riuscito a
figurarsi l'eternità. È un concetto che ancora
oggi, più di
ottant'anni dopo la sua morte, non gli riesce bene di assimilare.
Ne
comprende un
pezzettino adesso, camminando per le piccole strade acciottolate, tra
negozi appena costruiti e grandi monumenti del passato. Non
è sicuro
che quella sensazione gli piaccia, gli sembra anzi un po' angosciante
l'idea di rimanere immutato come una statua o una vecchia chiesa
mentre il mondo intorno a lui evolve e va avanti. Decide comunque di
non mettere a parte Lexi di quella riflessione, più che
altro perché
non ha alcuna voglia di discuterne.
Per
raggiungere i vari
quartieri attraversano più volte il Ponte Carlo, e si
fermano in
continuazione di fronte ad ogni nuovo artista di strada, musicista o
pittore che sia, ascoltando ed osservando tutto quello che hanno da
mettere in mostra.
Per
quel giorno la
pioggia decide di dare loro una tregua, e nonostante le nubi
minacciose sopra le loro teste, nemmeno una goccia d'acqua rovina la
loro gita. Quindi Lexi continua a ridere e a trascinarlo in giro per
la città, e come promesso Stefan cerca di divertirsi ─
o almeno di fare finta ─,
e
sorride perfino ben più di due volte.
Alla
fine si rivela
essere per davvero una delle più belle giornate che Stefan
abbia mai
vissuto da molto, molto tempo.
«Damon
è in città»,
gli dice Lexi, qualche giorno dopo la loro escursione nel centro di
Praga. Il suo tono è quanto di più colloquiale
possibile, ma i suoi
occhi raccontano tutta un'altra storia.
Stefan
non sa bene come
reagire alla notizia. Ha cercato di pensare a suo fratello il meno
possibile in quegli anni, e vorrebbe decisamente continuare in quel
modo. È già abbastanza impegnato a combattere
contro se stesso, non
ha davvero le forze per guerreggiare anche contro Damon.
«Ci
hai parlato?»,
domanda allora, più per prendere tempo che altro.
Lexi
gli scocca
un'occhiataccia quasi offesa.
«Ho
di meglio da fare
che perdere tempo con quell'idiota», sbotta, arricciando il
naso.
Stefan
alza un
sopracciglio, ma non commenta. Gli è capitato raramente di
sentire
Lexi parlare di Damon ─
forse perché lui stesso fa di tutto per evitare l'argomento ─,
ma tutte le volte che è successo non ha potuto fare a meno
di notare
qualcosa di strano nel suo modo di farlo. Non per gli insulti (quelli
Damon se li va a cercare un po' da chiunque), ma per
quell'impressione di non detto che aleggia tra le sue parole. Quasi
che lei gli stesse nascondendo qualcosa, come se tra di loro ci fosse
una specie di patto di cui lui non è tenuto ad essere a
conoscenza.
Cosa alquanto improbabile, conoscendo lei (e conoscendo lui, anche),
ma di tanto in tanto Stefan non riesce a fare a meno di pensarci.
«Non
sono sicuro di
essere dell'umore giusto per sopportarlo», dice allora il
vampiro,
chiedendosi intanto quando mai sia dell'umore giusto per sopportare
suo fratello.
Lexi
si limita ad
annuire.
«Domani
partiamo,
allora», decide, alzandosi dal divano su cui si era
stravaccata un
paio d'ore prima e dirigendosi verso l'armadio, probabilmente per
iniziare a fare le valigie. Poi, come un ripensamento, si volta
indietro e aggiunge: «Non stiamo scappando, Io non scappo
davanti a
nessuno, tanto meno davanti a quel bell'imbusto di tuo
fratello»
«Certo
che no»,
concorda Stefan. E non sa perché, ma gli viene da ridere.
Lexi non
condivide affatto la sua ilarità, quindi il vampiro
è costretto a
nascondere la risata dietro un finto colpo di tosse. Cosa che
comunque non gli evita di ricevere una cuscinata dritta sul naso.
Stefan
ci mette molto
poco ad impacchettare le sue cose, anche perché non
è che poi ne
abbia così tante. Trovandosi sempre in costante movimento
preferisce
non appesantirsi troppo con i bagagli, e sia lui che Lexi tendono a
procurarsi ciò che serve loro nel posto in cui decidono di
fermarsi,
invece di trascinarsi chili e chili di valige in giro per il mondo.
L'ultima
cosa che
infila nella sacca da viaggio è il suo diario, su cui ancora
non è
riuscito a scrivere una sola riga. Se lo rigira per un attimo tra le
mani, valutando per qualche istante l'idea di abbandonarlo
lì, in
quella camera d'albero, come una sorta di lapide ad un passato che
ora sta cominciando davvero a considerare come morto.
Alla
fine, però,
decide di non farlo: forse perché una parte di lui sente di
non
essere ancora pronto per quel passo ─
simbolico o reale che sia ─,
forse
perché sa che in futuro ne avrà ancora bisogno, o
forse, più
semplicemente, perché è un dannato nostalgico.
Lexi
osserva quel
piccolo dibattito interiore con le braccia incrociate al petto, le
sopracciglia alzate e una smorfia che la dice lunga sulla sua
opinione in proposito.
Stefan
le mostra la
lingua.
Infine,
dopo aver gettato un ultimo sguardo alla stanza, Stefan indossa il
lungo cappotto nero, i guanti di pelle e il cappello che Lexi gli ha
regalato giusto qualche giorno prima, durante una sosta al loro
vagabondaggio. Una volta pronto afferra la sacca con una mano e offre
educatamente l'altro braccio alla sua compagna che lo afferra
ridendo, dopo essersi prodigata in un inchino perfetto.
Uscendo
nell'aria frizzante dell'autunno, Stefan scopre di sentirsi di nuovo
magnificamente bene, e questa volta ─ davvero per la prima
volta ─ ciò non ha niente a che fare con il sangue.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** A Winter's Tale ***
#4
- A Winter's Tale
San
Pietroburgo, Dicembre 1935.
“Cravings
are there, but it's easier.
Lexi's
on to her next project... Getting me to laugh.”
Intorno
a loro tutto è
bianco e perfettamente immobile: un manto di neve che si estende
ininterrotto a perdita d'occhio, punteggiato qua e là
soltanto da
alcuni alberi più testardi ad arrendersi al rigore
dell'inverno. La
distesa sembra continuare infinita, almeno fino a quando non
raggiunge la costa e lì si mescola con il mare, anch'esso
immoto ma
di un brillante grigio ghiaccio. È un paesaggio
così bello da
sembrare quasi irreale, come se fossero finiti per caso dentro
l'illustrazione di un libro di fiabe.
Lexi
si sistema meglio
il colbacco, afferrandolo per i paraorecchie e calandoselo ben bene
sulla testa. I suoi capelli biondi spiccano quasi brutalmente contro
il bianco sia del copricapo che della pesante pelliccia, è
quello è
l'unico vero tocco di colore visibile per miglia.
Avvolto
in una
pelliccia simile, ma di un colore indefinito tra il nero e il marrone
scuro, Stefan osserva l'enorme distesa bianca di fronte ai suoi
occhi, completamente insensibile al freddo gelido che gli frusta la
faccia.
Sono
arrivati a San
Pietroburgo da meno di due settimane, dopo un tremendo e lunghissimo
viaggio sulla nuova ferrovia Transiberiana: un'esperienza che Stefan
eviterebbe ben volentieri di ripetere, se non fosse che Lexi si
rifiuta categoricamente di salire su una nave russa e quindi non ci
sono altri modi per lasciare la città. Per quanto bello
possa
essere, nessuno dei due ha alcuna intenzione di trasferirsi
permanentemente in quel luogo.
«Torniamo
a casa?»,
domanda all'improvviso Lexi, e Stefan si volta a guardarla con un
sopracciglio alzato, o almeno ci prova, dato che il volto gli si
è
quasi completamente congelato.
«A
quale casa ti
riferisci di preciso? A questa alle nostre spalle», e
così dicendo
indica l'isba che hanno affittato da una famiglia di contadini per il
loro breve soggiorno. «O più in generale a quella
dall'altra parte
del mondo?»
Lexi
sorride e scuote
la testa, poi gli si avvicina e passa un braccio sotto il suo,
stringendoglisi contro.
«Al
momento intendevo
questa, sì. Però non mi dispiacerebbe tornare in
America. Siamo
stati lontani per parecchio tempo, non è vero?»,
sospira.
«Già»,
concorda
Stefan. «Mi spiace», aggiunge dopo un attimo,
consapevole che quel
viaggio infinito è stato fatto solo per lui.
Per
tutta risposta Lexi
gli tira un pugno nel fianco. Stefan lo sente appena, protetto
com'è
da tutta quella pelliccia, ma decide di prenderlo come un invito a
smetterla di dire stupidaggini.
«Riserva
le tue scuse
per qualcuno che ha bisogno di sentirle», lo rimprovera
comunque la
sua amica. «E non insultare me credendomi una di quelle
persone»
Stefan
si stringe nelle
spalle, e sta quasi per scusarsi di nuovo, quando l'occhiataccia di
Lexi lo fulmina sul posto.
«Okay,
okay», dice
allora, alzando le mani avvolte nei guanti in gesto di difesa.
«Ho
capito: niente scuse. Passando a cose serie... hai fatto scorta di
vodka, vero?»
«Oh
sì», risponde
Lexi, con un sorriso irresistibile e un luccichio di divertimento
negli occhi.
Tornano
all'isba
correndo e incespicando nella neve, spintonandosi ma senza volersi
davvero allontanare l'uno dall'altra. Cosa tecnicamente difficile,
comunque, dal momento che si tengono per mano tutto il tempo.
La
vodka c'è, e ce n'è
anche tanta, probabilmente troppa persino per loro. Non che si
lascino scoraggiare, naturalmente, anzi entrambi attaccano le
bottiglie con grande temerarietà, pronti ad averla vinta su
di esse
o a perire ubriachi sotto il tavolo.
Il
fuoco nel camino
scoppietta sullo sfondo delle loro risate, quasi con compiacenza,
scaldandoli quasi più di quanto non riesca a fare l'alcool.
Ben
presto i discorsi
cominciano a perdere qualsiasi senso logico, e a nessuno dei due
importa, fintantoché hanno entrambi una bottiglia ancora
piena in
mano e nessun tipo di tristezza riesce ad infiltrarsi tra le loro
parole.
La
notte arriva senza
che se ne accorgano, portata dolcemente dal vento e accompagnata dal
turbinio dei fiocchi di neve che si accalcano sui davanzali della
finestre, oscurando ben presto la vista. Non che ci sia poi qualcosa
da vedere: a parte un paio di luci solitarie che brillano tenui in
lontananza, il buio è totale e perfetto, come difficilmente
potrebbe
mai esserlo in una città.
Stefan
piega la testa
all'indietro, posandola sul bracciolo di stoffa, e chiude per un
attimo gli occhi, cercando di costringere la propria testa a smettere
di girare come una giostra. Accoccolata all'altra estremità
del non
proprio grandissimo divano, Lexi ne approfitta per allungare le gambe
e posargliele in grembo, distendendosi quindi su di lui.
«Comoda?»,
borbotta
Stefan, pizzicandole la caviglia per dispetto.
«Mhmh»,
annuisce lei,
sorridendo.
Per
qualche minuto un
silenzio confortevole e palesemente ubriaco scende sulla piccola
stanza, interrotto solo dallo scrocchiare ─
un po' meno convinto rispetto ad alcune ore prima ─
dei ceppi di legno che ancora bruciano nel camino. La vodka sembra
aver riportato una vittoria schiacciante, e in fin dei conti nessuno
dei due può dirsi veramente sorpreso della cosa.
«Lexi?»,
la richiama
Stefan dopo un po', seguendo il filo dei suoi pensieri sconnessi che
ormai da qualche ora non fanno altro che continuare a tornare ad una
e una sola domanda.
«Mh?»,
mormora
l'altra, e il fatto che stia continuando a comunicare a mugugni la
dice lunga su quanto terribile sia la sconfitta inflittale
dall'alcool. Stefan pensa per un attimo di lasciar perdere, di
aspettare che i fumi della vodka si dissolvano, portandosi via anche
quella domanda che ─
lo
nota solo adesso ─
gli
brucia sulla lingua non già da ore, ma ormai da lunghi anni.
Di
fronte al suo
silenzio prolungato, però, Lexi si rimette faticosamente a
sedere,
poi si china in avanti, posa il mento sulle dita intrecciate delle
mani e fissa il compagno con aria interrogativa.
Stefan
si rende conto
che è la sua ultima occasione di liquidare quel momento
dicendo una
sciocchezza qualunque, e finire quindi quella serata così
come lei
vorrebbe che finisse, ovvero in una risata e un probabile mal di
testa.
«Perché?»,
domanda
invece, non riuscendo a trattenersi. È una cosa che non
riesce a
capire, che non ha spiegazioni logiche, almeno non ai suoi occhi.
Forse adesso, dopo anni e anni di conoscenza, lui e Lexi possono
considerarsi davvero amici ─
lui di sicuro la considera un'amica, ma d'altronde Stefan è
quello a
cui quell'amicizia giova di più e pesa di meno ─,
ma all'inizio... all'inizio per lei non era altro che un mostro
assetato di sangue, sciocco e violento, uno sconosciuto pericoloso e
decisamente più facile da eliminare che da redimere.
Eppure
Lexi aveva
deciso che lui valeva la pena di essere salvato, e si era accollata
quella missione che tutto sembrava, ai suoi stessi occhi, tranne che
facile o piacevole.
«Solo...
perché?»,
ripete, con un soffio di voce a stento udibile.
Lexi
capisce benissimo
il senso di quella domanda, ma non risponde, non subito. I suoi occhi
si fanno improvvisamente lontani e distanti, e quel senso di vuoto
che Stefan vi riesce ora a leggere dentro ha ben poco a che fare con
l'ubriachezza. È qualcosa di antico e triste, qualcosa che
l'altro
vampiro può riconoscere facilmente come il peso di un
ricordo
doloroso o una perdita troppo importante perché il tempo ne
curi la
cicatrice, o forse entrambe le cose.
Aspetta
in silenzio,
indeciso su come comportarsi. Da una parte vorrebbe dirle di lasciar
perdere, scusarsi per quella domanda che sembra toccare una sfera
forse troppo intima perché lui ne possa già
reclamare l'accesso,
dall'altra sa che non riuscirebbe mai e poi mai a togliersi di testa
quell'interrogativo, che sta diventando quasi un'ossessione, e in
fondo non è stata la stessa Lexi a dirgli che non le deve
alcuna
scusa, mai, per nessun motivo?
Dopo
una indefinita
quantità di tempo gli occhi di Lexi perdono quella sfumatura
di
lontananza e tornano a focalizzarsi su di lui, abbandonando il
passato in favore di quel presente. Forse tenta di sorridere, forse
no, Stefan non saprebbe dirlo. Sa che sta per rispondergli,
però, è
questo lo tranquillizza più di quanto credeva possibile.
«Ho
fatto una
promessa», racconta pacatamente Lexi, mentre le ombre gli
danzano
sul viso, seguendo i movimenti leggeri delle fiamme del camino.
«Due
promesse a dire il vero. Una sola riguarda te, l'altra l'ho fatta a
me stessa, secoli prima che tu nascessi».
Stefan
annuisce, le
labbra piegate appena in un sorriso di circostanza, che è
l'unica
cosa che gli riesce di mettere insieme di fronte a quell'argomento
che sembra rivelarsi più scomodo di quanto non pensasse
all'inizio.
«Della
prima non ho
intenzione di raccontarti, perché non è compito
mio», chiarisce
subito la vampira, e quando lui fa per interromperla alza una mano
per bloccarlo e scuote la testa. «Mi spiace, Stefan, prendere
o
lasciare. Sarà qualcun altro a farlo, se mai
deciderà di volerlo
fare», spiega.
Nel
sentire quel
qualcun altro Stefan pensa immediatamente a Damon,
poi si dà
dell'idiota perché le probabilità che Damon
c'entri qualcosa in
tutto quello sono totalmente sotto lo zero. Ma chi altri avrebbe mai
potuto chiedere a Lexi di fare una promessa su di lui? Non ha
più
alcun legame con nessuno, se non con suo fratello, e anche questo non
per loro scelta.
«Posso
dirti della
seconda, però. Se ti interessa», continua Lexi,
interrompendo il
filo dei suoi pensieri.
Davanti
a quella
proposta Stefan spalanca appena gli occhi. Nonostante lei lo conosca
probabilmente meglio di se stesso, fino a quel momento Lexi si
è
sempre gentilmente astenuta dal raccontargli qualcosa sulla sua vita
passata, e soprattutto non ha mai accennato della sua vita da essere
umana.
«Mi
farebbe molto
piacere», risponde allora il vampiro, trattenendo a stento la
propria curiosità. «Anche se forse dovremmo
aspettare domani,
quando saremo entrambi meno ubriachi»
«No»,
sorride Lexi.
«Se non fossi così ubriaca non te lo racconterei.
E lo sto facendo
solo perché mi aspetto che domani tu abbia dimenticato
completamente
quello che sto per dirti. Il passato mi piace quando rimane tale,
senza disturbare il mio presente. Chiaro?»
Stefan
annuisce,
intuendo sia il rimprovero che la minaccia nascoste dietro quelle
parole apparentemente divertite.
«Avevo
un fratello»,
inizia quindi a raccontare Lexi. «Un fratello a cui ero molto
legata, e che avevo promesso di proteggere da qualsiasi cosa, a
qualsiasi prezzo. Diventare un vampiro mi sembrava un ottimo modo per
adempiere alla mia promessa»
«Ti
sei trasformata
volontariamente?», domanda Stefan, leggermente sorpreso. Una
risata
amara accompagna il sospiro di Lexi.
«Era
il
diciassettesimo secolo, non uno dei migliori per una ragazza orfana e
non benestante. Inoltre ero giovane ed ero innamorata. Sì,
di un
vampiro, prima che tu me lo chieda. Dovresti sapere che esercitano un
certo fascino sugli esseri umani, no?»
«Non
proprio su tutti
gli esseri umani», mormora Stefan, mentre il ricordo del
volto
furioso di suo padre gli passa come un lampo davanti agli occhi. Lo
caccia via con rabbia, e torna a concentrarsi sulla sua amica.
«Quindi hai lasciato che ti uccidesse?»
«Non
prima di avermi
promesso il mondo, l'eternità e poteri sovrannaturali che mi
avrebbero permesso di proteggere l'unica persona che amavo oltre a
lui», sorride Lexi, recuperando intanto una delle bottiglie
di vodka
ancora piene. «Ero sciocca, Stefan. Lo siamo tutti a
vent'anni»
L'altro
vampiro non sa
come rispondere se non annuendo di nuovo.
«Per
un po' le cose
andarono bene», prosegue Lexi, facendo saltare via il tappo
con
un'abile mossa e portandosi la bottiglia alle labbra. Un po' di
liquore gli scivola via dall'angolo della bocca e lei lo raccoglie
con un dito, prima di decidersi a continuare a raccontare.
«Sono
stata più fortunata di te, questo è certo. Non so
se il vampiro che
mi ha creata mi abbia mai davvero amato, ma mi è stato
accanto
durante quel primo periodo, il più difficile, e mi ha
insegnato come
muovermi in quella nuova vita. Quando poi gli ho detto addio mi ha
lasciata andare, anche se avrebbe potuto non farlo»
«Un
vero gentiluomo»,
considera Stefan con un pizzico di sarcasmo.
«Lo
era più di quanto
potresti pensare, credimi», replica Lexi, e l'altro non
può fare a
meno di notare il continuo uso del passato.
«Non
l'hai più
rivisto?», domanda, protendendosi ad afferrare la bottiglia
che lei
tiene ancora tra le mani. Prima di passargliela Lexi ne beve un sorso
così lungo che gli occhi le si riempiono di lacrime.
«Una
sola volta dopo
quel giorno, e per non più di qualche minuto. Giusto quanto
bastava
per trafiggergli il cuore con un paletto di legno», risponde
poi,
con semplicità.
Stefan
non si permette
alcun commento.
Lexi
si arrotola una
ciocca dei lunghi capelli intorno alle dita, e si volta a guardare il
fuoco come se stesse cercando l'ispirazione o la forza per andare
avanti.
«Che
ne è stato di
tuo fratello?», la precede Stefan, intuendo che è
proprio quello il
punto della questione.
«Morto.
In un
incendio», risponde velocemente Lexi. «Il mio
insegnante si era
dimenticato di dirmi che se non invecchi nemmeno di un giorno e
rimani nello stesso luogo per anni, prima o poi la gente
comincerà a
farsi domande. E a darsi risposte. A quel tempo di solito la risposta
migliore consisteva in una sfilata di fiaccole e forconi».
«In
questo le cose non
sono cambiate poi molto, durante gli ultimi trecento anni»,
commenta
Stefan.
«Già»,
sbuffa Lexi,
e poi, con lo stesso tono sbrigativo di poco prima, conclude:
«Io
sono riuscita a scappare. Mio fratello no. Aveva sedici
anni».
Entrambi
lasciano che
quell'ultima frase cada nel silenzio. Stefan passa di nuovo la
bottiglia all'amica, e lei la svuota senza pensarci due volte. Ormai
la notte è già entrata nella sua seconda
metà, quella più vicina
all'alba, e perfino la tormenta di neve si è assopita.
Stefan
non dice che gli
dispiace. «Ancora non capisco», mormora invece.
«Hanno dato fuoco
alla tua casa, hanno ucciso una persona che amavi e probabilmente ti
hanno dato la caccia. Quando è successo a me, l'unica cosa a
cui
riuscivo a pensare era la vendetta».
«Lo
stesso valeva per
me. Abbiamo semplicemente scelto due modi diversi per
vendicarci»,
spiega Lexi, e Stefan ripensa al vampiro che l'ha trasformata e che
lei non ha mai chiamato per nome, come se bastasse quello ad
offenderla.
«E
comunque io ho
imparato a controllare le mie emozioni amplificate molto prima che
venissero messe alla prova così violentemente. A te ne
è mancata
l'occasione, e i primi sentimenti che hai provato dopo la
trasformazione sono quelli che ti hanno travolto e segnato, e da cui,
come avrai notato, è difficile liberarsi»,
aggiunge Lexi.
Stefan
le è
mentalmente grato per aver detto difficile e non impossibile.
«Ma
cosa c'entra tutto
questo con me?», non può fare a meno di domandare
ancora il
vampiro.
Lexi
piega la testa
contro lo schienale del divano e socchiude gli occhi, chiaramente
esausta ed assonnata.
«Mi
ricordi lui»,
sussurra con un filo di voce. «Non so neanche io bene il
perché, ma
mi ricordi lui»
Stefan
non sa proprio
cosa replicare di fronte a quella confidenza. Così non dice
nulla e
lascia che lei si addormenti lentamente, con le gambe ancora posate
sulle sue e la bottiglia vuota stretta al petto.
Cercando
di disturbarla
il meno possibile, Stefan si china in avanti, le toglie la bottiglia
dalle mani e, dopo una leggera esitazione, le posa un brevissimo
bacio sulla guancia.
Il
giorno successivo si
rivela essere uno dei momenti più confusi, caotici e
tremendi del
loro viaggio. Appena sveglia Lexi decide che la Russia non le piace,
che la vodka è orribile, che la neve è fastidiosa
e che quella
parte del mondo, in generale, non ha più alcuna attrattiva.
Si
ritrovano quindi a fare i bagagli e a correre da una parte all'altra
del paese, seduti su carretti sbilenchi e circondati da persone che
non capiscono una parola di quello che dicono, cercando di
raggiungere, in un modo o nell'altro la stazione ferroviaria in tempo
per prendere il primo e ultimo treno della giornata.
Finalmente
si ritrovano
sani e salvi all'interno del vagone gelido, seduti su sedili che
sembrano fatti di ghiaccio scolpito, con la prospettiva di giorni e
giorni da passarci dentro prima di poter raggiungere un posto un po'
meno inospitale delle pianure russe. E dopo una mattinata intera
passata a litigare anche per le più piccole cose, non
possono fare a
meno di guardarsi negli occhi e scoppiare a ridere, così
forte da
attirarsi dietro i rimbrotti degli altri viaggiatori.
«Ora
che siamo
riusciti a tirare fuori di nuovo il tuo lato umano, c'è solo
un'altra cosa da fare», dice Lexi, ad un certo punto, quando
finalmente riescono a calmare le risa.
«Ovvero?»
«Cercare
di far
emergere anche il tuo senso dell'umorismo», risponde
seriamente
Lexi. «E so che sarà un'impresa ancora
più difficile della prima,
ma─»
Stefan
le lancia
addosso il proprio cappello, cercando di zittire la sua risata.
Fuori
dal finestrino il
paesaggio scorre veloce, macchie confuse di bianco e di grigio,
mentre il treno continua a correre ad una velocità folle
lungo
binari che si estendono per una lunghezza tale che è
difficile
persino cercare di immaginarsela.
Le
ultime settimane
dell'inverno fuggono via quasi con la stessa rapidità di
quel treno,
e quando infine Lexi e Stefan tornano a casa è di nuovo
primavera.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=978684
|