La felicità della banalità

di watereyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Avvenimenti sorprendenti ***
Capitolo 2: *** Scontri ***
Capitolo 3: *** Pesci raffreddati ***



Capitolo 1
*** Avvenimenti sorprendenti ***


1- Avvenimenti sorprendenti

Capitolo 1 – Avvenimenti sorprendenti

- Basta così, Terreni. Torna al tuo posto.

Mi blocco ancora a metà della frase e –faticosamente- mi costringo a chiudere la bocca. Mi dirigo verso il mio banco, ancora rigida come un baccalà e attendo, con il fiato sospeso. Clio, la mia migliore amica, mi sorride incoraggiante. Cerco di ricambiare, ma mi esce soltanto una strana smorfia: chimica è per me la peggiore materia mai esistita, persino più insidiosa del latino. Come se non bastasse, la mia professoressa, Elvira Rossi, ed io ci detestiamo cordialmente. Non c’è un motivo preciso. Semplicemente, non ci siamo mai prese, ecco tutto. Mettetela come volete, caratteri incompatibili, segni zodiacali discordanti (in realtà non so quando è nata, ma potrei indovinare più facilmente quanto tempo fa. Almeno un secolo, direi, quando la chimica era ancora considerata come alchimia): fatto sta che è da due anni che le ore di chimica e biologia sono diventate il mio inferno personale e per strappare la sufficienza devo fare i salti mortali.

Quindi è perfettamente comprensibile che io me ne stia seduta sul bordo della sedia, tesa come una corda di violino e con le mani che artigliano con forza il sottobanco.

- Bene, Terreni.. sette e mezzo.

Sbam. Sento ancora l’eco della mia mascella sfracellata sul pavimento, mentre guardo la Rossi con gli occhi fuori dalle orbite. Che cosa ha appena detto? Sette e mezzo? È impazzita per caso? Mai –ripeto- mai, in questi due anni sono andata oltre il sei e mezzo nella sua materia, nonostante i miei sforzi. Cos’è questo repentino cambiamento? Forse è diventata buddhista e crede che il suo karma avrà una spinta positiva facendo una buona azione?

Clio interrompe i miei vaneggiamenti mentali con un pizzicotto sul fianco. Ancora barcollante, mi alzo (di nuovo) e le porto il mio diario. Mi aspetto quasi che si metta a gridare: “Pesce d’aprile! Non avrai pensato sul serio di poter prendere sette e mezzo?!”. Invece, con la sua calligrafia spigolosa, disegna un bel sette virgola cinque con tanto di firma. Mi ridà il diario e mi soppesa per qualche secondo con lo sguardo:

- Sa una cosa, Terreni? – se ne esce poi – lei è una continua sorpresa.

Senti da che pulpito.

 

Comunque, non sono una che medita troppo sulle cose (soprattutto se le vanno bene), perciò intasco soddisfatta il mio bel sette e mezzo e mi lancio in una chiacchierata senza pari con Clio –anche lei esaltata per il risultato inaspettato- beccandoci una sacra sgridata dal prof d’italiano, ma sono talmente felice che quasi non me ne accorgo.

Verso la fine della terza ora comincio ad agitarmi. Sono inquieta e non riesco a stare ferma, nemmeno per un secondo.

- Insomma, vedi di darti una calmata! Sembra che tu abbia un mazzo di carciofi sotto il sedere!

Che simpatica.

- È che non vedo l’ora di dirlo ad Alex! – esclamo gongolante.

Alex è il mio ragazzo, stiamo insieme da un mese e mezzo. Stranamente, anche se frequentiamo la stessa scuola, non c’eravamo mai parlati, ma ci siamo conosciuti grazie ad un litigio. Lo so che sembra strano ma è così. Ero su un autobus e stavo discutendo ferocemente con l’autista –una vera carogna senza cuore- perché non voleva credermi quando dicevo di aver dimenticato l’abbonamento a casa e non voleva farmi salire sull’autobus, nonostante fuori piovesse che Dio la mandava. Eravamo nel bel mezzo della nostra gara di a chi urla di più, quando una voce gentile alle mie spalle si è intromessa, esclamando:

Basterà fare una telefonata alla centrale degli autobus, no? Tutti gli abbonati annuali sono registrati lì.

L’autista ed io ci bloccammo, ansimanti e infastiditi per la voce che aveva interrotto il nostro match. Ci voltammo per vedere chi fosse stato a risolvere il problema tanto in fretta e così brillantemente, ma il poco fiato rimastomi andò a farsi benedire non appena lo vidi. Dio, quel ragazzo era.. mi veniva in mente solo un aggettivo, divino. Ed era ancora poco. Rimasi a guardarlo a bocca aperta.

- Allora? Mi hai sentita? – mi chiese il ragazzo, con aria interrogativa.

- Eh? – balbettai, rossa come un gambero. Dietro di me sentii la risata soffoca dell’autista e sperai ardentemente che gli venisse un tremendo bruciore di stomaco il giorno del cenone di Natale. Ma come potevo aver sentito quello che mi aveva detto? Ero troppo impegnata a guardare il movimento delle sue labbra e le gocce di pioggia che si impigliavano fra i suoi capelli.

- Ho detto – ripetè paziente il ragazzo, senza dare in alcun modo l’impressione di dubitare della mia sanità mentale – come ti chiami?

Per un lungo istante –in cui probabilmente sia il ragazzo, che l’autista, che il resto dell’autobus che seguiva con interesse lo sviluppo della vicenda pensarono che fossi da internare d’urgenza- rimasi a fissarlo in silenzio con la bocca spalancata (sospetto che ci fosse anche un accenno di bava); per fortuna riuscii all’ultimo momento a collegare le mie sinapsi per capire la domanda che mi aveva fatto e rispondere:

- Federica. Mi chiamo Federica Terreni.

L’autista borbottò qualcosa che suonava molto come un “Alleluia” e si attaccò al telefono. In meno di un minuto risolvemmo la faccenda e, dopo un'altra battaglia di sguardi da sfida mancata tra me e l’autista, andai a sedermi in fondo all’autobus, appoggiando la testa al finestrino e infilandomi le cuffiette dell’ipod, in un misero tentativo di conservare un briciolo di dignità.

- Ehi – mi chiamò una voce, al di sopra degli strilli e dei colpi di percussione della canzone – ti spiace se mi siedo qui?

Mi girai e vidi di nuovo quel sorriso da infarto. Cercando di mantenere un’aria indifferente, feci un cenno d’assenso.

- A proposito, grazie per prima. Mi hai salvata – dissi, cercando di fare un timido sorriso e sembrando più che altro una con una paralisi facciale da botox mal riuscito.

Per fortuna non sembrò accorgersene e ricambiò con un sorriso -che in comune con il mio aveva solo il nome -talmente abbagliante che se la Mentadent l’avesse visto l’avrebbe scritturato su due piedi per una pubblicità e rispose:

- Figurati, è stato un piacere. A proposito, mi chiamo Alex Barra.

- Piacere. Barra, hai detto? Mi sembra di averlo già sentito.. – meditai con aria cogitabonda. Poi l’illuminazione mi colse:

- Scusa, ma che scuola fai?

Alex sorrise sotto i baffi (rischiando di nuovo di accecarmi), come se si aspettasse quella domanda:

- Vado al liceo classico – rispose.

Spalancai gli occhi, sorpresa – Davvero? Anche io! Ecco perché avevo già sentito il tuo nome..

Alex si mise a ridere di fronte alla mia aria sorpresa, che ricordava molto quella di una triglia e disse:

- Anch’io sapevo già chi fossi. Sei in quarta C, giusto?

- Giusto. E tu sei..?

- In quinta A.

Non so come, ma da quel momento in poi la conversazione divenne piacevole e scorrevole come una sciarpa di seta. Era sorprendentemente facile e piacevole parlare con lui. Così piacevole che non mi accorsi di aver perso la mia fermata, ma lui fu tanto carino da accompagnarmi fino a casa, sotto quel diluvio universale. Mi chiese di uscire e iniziammo a frequentarci. Stiano felicemente insieme da allora e io sono la persona più schifosamente fortunata di tutta la terra.

- Fede? Fede! Ti prego, smettila di farti film mentali su te e Alex da soli in un stanza in mia presenza! Mi fai impressione! – esclama Clio, riportandomi bruscamente coi piedi per terra.

Non so perché, ma a lei Alex non piace molto. Non so, cercano di mantenere un rapporto civile l’uno verso l’altra, ma lo fanno solo per affetto nei miei confronti, altrimenti, ne sono certa, si scannerebbero allegramente.

Per fortuna, proprio in quel momento suona la campanella, risparmiandomi la fatica di inventarmi una scusa pietosa sui miei film mentali con Alex. Scatto in piedi, rovesciando la sedia, e schizzo fuori dalla classe. Sto andando talmente veloce che vado a sbattere contro quella che sembra una montagna in rapido movimento. Atterro di sedere e chiudo istintivamente gli occhi per il contraccolpo con il freddo e poco morbido pavimento. La montagna davanti a me –che si rivela essere un ragazzo- esclama:

- E guarda dove vai!

- Guarda dove vai tu, piuttosto! – rispondo, furibonda. Mi alzo per vedere in faccia chi è la mia prossima vittima e quasi mi viene un colpo.

È Filippo sono-bello-solo-io Lombardi, alias dio del calcio, del sesso… in ogni scuola esiste un individuo del genere (purtroppo), più comunemente etichettato come “ragazzo più popolare”.

Ora, su questi personaggi corrono un sacco di luoghi comuni, come quello del “bello e stronzo (che può variare anche a quello del “bello e dannato” se l’espressione del ragazzo è perennemente incazzosa) ” e del “bello e impossibile”. In più, si sa che questo tipo di studente cambia ragazza con la stessa frequenza con cui si cambia le mutande (si spera), ha un ego smisurato e la simpatia di un pezzo di legno.

Filippo Lombardi rispetta scrupolosamente tutte queste caratteristiche standard (tranne quella del “bello e dannato”. Anzi, è fin troppo felice per i miei gusti).

- Tu saresti? – mi fa, inarcando il sopracciglio con intenzione.

- Tu saresti? – gli faccio il verso – chi saresti tu, semmai! Chi ti credi di essere? – sbotto, cercando di aggirarlo, ma riesco a compiere solo qualche passo perché mi si piazza davanti, bloccandomi la strada.

- Siamo maleducati, eh? Di solito, quando qualcuno ti fa una domanda, si risponde.

- Di solito, quando si va addosso a qualcuno, si chiede scusa – ribatto acida.

- Sei stata tu a venirmi addosso! Comunque, chi sei?

- Federica Terreni, quarta C. Diciassette anni, diciotto a dicembre, fratello maggiore di venti, sorella minore di quindici. Frequento il liceo classico, adoro la Vespa e faccio ginnastica ritmica. Mi piace leggere e non mi piace perdere il prezioso e cronometrato tempo della ricreazione a parlare con dei rompiscatole, quando potrebbe essere impiegato in modi decisamente migliori. Quindi, cortesemente, ti spiacerebbe levarti di torno?

- Però, che vita interessante. E in che modo ancora migliore potrebbe essere impiegato il tuo tempo, se parlare con me non lo è già abbastanza? – fa lui, con un sorriso divertito che gli conferisce una faccia da schiaffi che la metà sarebbe sufficiente.

- Per esempio, potrei andare dal mio ragazzo che mi sta aspettando a sole tre classi di distanza per festeggiare il mio inaspettato sette e mezzo in chimica e stare con lui fino alla fine della ricreazione.

Il ghigno di Filippo si allarga:

- Se consideri quell’attività migliore che lo stare con me, prego, vai pure – si sposta per farmi passare e si volta, andandosene.

Io, spiazzata per il repentino cambio di comportamento del ragazzo, non mi muovo. Filippo si gira e, da sopra la spalla, mi lancia uno sguardo ammiccante ed esclama:

- Ci si vede in giro!

Mi volto e mi incammino verso la classe di Alex con un diavolo per capello, senza riuscire a levarmi dalla testa lo sguardo che Filippo mi ha lanciato prima di sparire tra la marmaglia di studenti urlanti.

Ma che cavolo vuole questo tizio?

 

Spazio autrice (scriverlo gasa più di quanto pensassi):

Buongiorno! O buonasera, a seconda dell’orario in cui avete letto questa pseudo-storia.

Vi ringrazio all’infinito per essere passate di qua e vi ringrazierò ancora di più se vorrete lasciare anche solo un misero commento. Così, per sapere se la storia vi è piaciuta o vi ha fatto schifo e se vale la pena di proseguirla. È una storia senza pretese, la scrivo per divertirmi e nella speranza di farvi divertire, almeno un po’.

So che finira non è successo niente di interessante e i personaggi sono stati solo introdotti, ma mi piacerebbe lo stesso sapere che ne pensate.

Grazie, al prossimo capitolo!

Besoos

P.S.

Se avete domande, richieste, consigli ditemi pure, sono tutta orecchi! :D 

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Capitolo 2
*** Scontri ***


2 - scontri e imprevisti

- Tesoro!!

- Alex!

Non appena sento la sua voce chiamarmi comincio a correre, completamente dimentica di quello sbruffone di Lombardi. Lo vedo sorridere e aprire le braccia per accogliermi e mi sembra di essere in un film: vedo la scena al rallenty, come se fossi in una di quelle commedie romantiche. Raggiante, spicco un salto per raggiungerlo. Ora, seguendo il prevedibile copione, lui dovrebbe prendermi al volo, farmi fare qualche giro giravolta e poi abbracciarmi. Ovviamente, invece, le nostre teste si scontrano come due sassi battuti l’uno contro l’altro.

- Ahia! – strillo, massaggiandomi la fronte.

Perché la mia vita non è mai come un film?

Alex ridacchia, strofinandosi la testa. Deve aver preso una bella botta anche lui.

- Cavolo Fede, sei sempre la solita! – esclama, accogliendomi con più cautela fra le sue braccia - Allora? Com’è andata? L’arpia ti ha interrogato?

Questa è un’altra delle cose che adoro di Alex. È così premuroso, si ricorda tutto! In più, riesce a sopportare anche quella palla al piede di mia sorella, il che gli fa guadagnare un sacco di punti.

- Sì!! – grido, euforica – e indovina cosa mi ha dato? Eh? Indovina!!

A volte mi chiedo sul serio come faccia a sopportarmi. Alex invece sembra trovare molto divertente questo mio lato infantile ed entusiasta, infatti ride e mi asseconda:

- Mmm.. cinque? – azzarda.

- Ma ti pare che sarei così felice se mi avesse dato cinque!? – sbotto, le mani sui fianchi.

- Beh, dovresti, considerando che di solito ti aggiri sul quattro, quattro e mezzo.. – mi prende in giro lui, senza ritegno.

- Ah ah ah. Ma che spiritoso! – mi lamento, fingendomi offesa.

- Dai, sto scherzando. Hai preso dieci? – chiede lui, incapace di trattenersi.

Lo fulmino con lo sguardo.

- Okay okay, adesso sono serio.. sei e mezzo?

Fortuna per lui che ha proposto un voto inferiore a quello ottenuto o l’avrei sbranato vivo.

- No! – trillo, riacquistato il buonumore – ho preso sette e mezzo!

Spalanca gli occhi, sorpreso, poi di slancio mi stringe e mi solleva in aria, facendomi girare come una bambina. Adesso si che mi sembra di stare in un film e rido, felice come una bambina.

- Amore! Sono così contento per te! – mi sussurra all’orecchio, stringendomi ancora di più a sé. Il suo tono è cambiato, la voce è più bassa, vibrante, suadente. Chiudo gli occhi e sorrido leggera, dischiudendo le labbra in attesa delle sue, che non arrivano affatto in ritardo. Leggera, passo la lingua sulle sue labbra lisce, per gustarne il sapore. È molto dolce, mi fa venire in mente il latte caldo con il miele che mi fa la mamma quando sono malata. Il suo bacio è delicato e le sue labbra sono morbide, fin troppo. Anzi, se volete saperlo, ho sempre pensato che Alex avesse una bocca quasi femminea: è troppo morbida per essere quella di un uomo. Ovviamente, non lo ammetterò mai, nemmeno sotto tortura. Soprattutto con Clio che non fa altro che cercare difetti in lui. Sento che sta cercando di approfondire il bacio, ma lo fermo: detesto le effusioni in pubblico. Per carità, un bacio ci sta benissimo, solo che non mi piace dare spettacolo o sentirmi responsabile per un attacco di diabete di qualche povero malcapitato che si trovava nei paraggi.

- Dai Ale, lo sai che non mi piace.. – dico, sorridendogli con aria di scuse.

Mi sembra di vedere un lampo di fastidio passargli fugace negli occhi, ma un attimo dopo è lo stesso Alex di sempre, dolce e premuroso.

- Non preoccuparti – mi sorride infatti – non sono arrabbiato. Oggi cosa fai?

- Mmm.. devo fare una versione di greco, tra poco abbiamo il compito e non voglio andare male. Poi penso che andrò a fare un giro con Clio oppure andrò a ginnastica. Tu invece, che fai?

- Oggi ho gli allenamenti, poi pensavo di portarti fuori, che ne dici?

- Sì! Sì! Assolutamente sì!! – strillo contenta, gettandogli le braccia al collo e rischiando nuovamente di farlo crollare – Dove andiamo?

- Vedrai. È una sorpresa.

Sta per aggiungere qualcos’altro, ma proprio in quel momento suona la campana.

- Oh cavolo! Scusami, ma devo andare! Adesso ho la Ferraresi, e sai che quella non accetta ritardi!

Gli schiocco un rapido bacio sulle labbra e fuggo via, credendomi veloce come un bolide e sembrando più che altro un rinoceronte alla carica. Questo spiega perché tutti quelli che incrocio lungo il mio cammino si scansano terrorizzati. Tutti tranne uno, che corre alla mia stessa velocità ma in direzione contraria. Per la seconda volta nell’arco di dieci minuti vengo scaraventata a terra per il contraccolpo.

- Scusa.. – esclamo, ad occhi chiusi – mi.

Strabuzzo gli occhi, rendendomi conto di chi ho investito. Non è possibile. Ancora lui.

- Ancora tu! – esclama quello rialzandosi, gli occhi fiammeggianti.

Lui che dice a me così? Dev’essere uno scherzo.

- Guarda che se vuoi provarci con me, puoi usare altri metodi. Non che mi dispiaccia la tua originalità e apprezzo molto la tua fantasia ma, francamente, sarebbe meglio se non fosse sempre doloroso. Possiamo uscire insieme se vuoi, non ho nulla in contrario, ma ti consiglio caldamente di tentare con approcci più tradizionali.

Lo fisso, senza parole. Ma davvero ci sono ragazze che vogliono uscire con questo qui? Come fa la scuola a contenere un ego di tale portata? Non è fisicamente possibile, finirà per scoppiare.

- Che c’è, ti sei incantata? Lo so, quando mi si sta troppo vicino può succedere. È uno degli effetti collaterali.

Mi riscuoto e mi allontano bruscamente da lui:

- Cosa sei, una medicina?! Effetti collaterali! Lasciatelo dire, l’unico che qui ha bisogno di una visita sei tu. Non uscirò mai e poi mai con te, hai preso una bella cantonata. Adesso scusami, ma devo andare in classe.

Senza aspettare una risposta, mi dirigo a rapidi passi verso la mia classe, senza voltarmi indietro ma percependo il suo sguardo trapassarmi la schiena come una freccia incandescente.

 

- Aauf!! – sospiro, lasciandomi cadere sul banco e premendomi le mani sulle guance per cercare un po’ di sollievo. Sono arrivata in tempo, per fortuna – Che nervoso! Dio, che nervoso!!

- Che c’è? Hai litigato con Fido? – mi chiede Clio, speranzosa.

- No.. e non chiamarlo così! – esclamo, punta sul vivo – è quel cretino, che mi fa incavolare come un orso.

- Quel cretino chi? – fa lei curiosa, sporgendosi verso di me e ignorando il mio poco sensato paragone – c’è qualcuno più cretino di Alex?

Le riservo un’occhiata di fuoco che le fa fare un sorriso di scuse e replico:

- Quel cretino di Filippo Lombardi, per esempio! – sbotto, furente.

- Vorrai dire quel gran figo di Lombardi! – esclama Margherita, una nostra amica e compagna di classe, unendosi a noi – l’avete visto bene?

- Per quel che mi riguarda, l’ho visto anche troppo – sputo, velenosa.

- Oh sì – sospira invece Clio, ignorandomi – ma è sempre un piacere farlo.

Sbuffo, frustata. È proprio vero che l’apparenza inganna, cavoli!! Lo vedo anche io che è bello –perdio, per non notarlo bisogna essere proprio ciechi!- ma ho sempre pensato che se la tirasse troppo. Dopo oggi, poi, è finito sulla mia lista nera, battendosela alla pari con mio fratello.

- Comunque, perché dici che è un cretino? – mi fa Clio, evidentemente tornata sulla terra.

- Perché è un cretino megalomane che travolge le persone!! Si crede chissà chi e non ha un briciolo di educazione! Non riesco a sopportarli i tipi così..

Racconto in breve i fatti accaduti mentre fingo di prendere appunti, sotto lo sguardo appannato della Ferraresi. Ascolto cercando di reprimere il fastidio per i loro commenti eccitati. Sto per scoppiare quando, grazie al cielo, qualcuno bussa alla porta, interrompendo la lezione. Mio salvatore!

- Scusate l’interruzione. Avrei una comunicazione da fare.

No. Non è possibile! È una persecuzione!!

Filippo Lombardi sosta sulla porta, circondato dalla sua solita aurea di fascino naturale che lo contraddistingue. Sorride disinvolto alla classe, finchè non incrocia il mio sguardo. I suoi occhi si illuminano divertiti e ammicca nella mia direzione. Lo fulmino con lo sguardo e mi giro dall’altra parte. Che comportamento maturo, complimenti Fede.

Lo sento soffocare una risatina, per poi schiarirsi la voce ed annunciare:

- La scuola ha indetto un corso di orientamento al lavoro. Insieme ad altre classi la quarta b è stata scelta per condurre la visita guidata a palazzo ducale. Studierete bene il vostro percorso e lo dovrete esporre ai turisti in inglese, dato che non siete del linguistico. Ovviamente saranno scelti solo quelli con una maggiore conoscenza della lingua. Non è obbligatorio partecipare, anche se è caldamente consigliato, senza contare che assicura un credito a fine anno.

Le sue parole scatenano immediatamente un brusio eccitato, difficile da reprimere.

- Wow, Chicca, hai sentito?? – mi strilla Clio nelle orecchie.

A volte mi chiama così, non saprei spiegare bene il motivo. Semplicemente, è così. In ogni caso, non posso negare di non essere allettata da questa oppurtunità, così contraccambio il suo entusiasmo (anche se so che se Lombardi parteciperà al progetto tutta l’eccitazione svanirà) mentre la Ferraresi intima invano il silenzio e Lombardi ci guarda.

Ah già, è venuto Lombardi a farci questo annuncio perché è –purtroppo- uno dei nostri rappresentanti d’istituto.

Il cicaleccio si placa un poco, permettendomi di sentire la voce di Lucchini gridare a Lombardi:

- Si guadagna qualcosa?

Il solito pragmatico.

- Purtroppo no – sospira lui, dispiaciuto - A proposito di quelli che parteciperanno a queste progetto, saranno una trentina, più o meno. Prima dovrete superare un test per verificare le vostre abilità linguistiche. Però so che nella vostra classe c’è qualche fortunato che è bilingue francese. Insieme a noi del linguistico può occuparsi dei turisti francesi, che a quanto pare costituiscono la stragrande maggioranza.

No.

Ditemi che è solo un brutto sogno.

Non può succedere sul serio!!

- Allora? Chi è il fortunato poliglotta? – chiede Lombardi, facendo veleggiare lo sguardo su di noi. Mi sembra che i suoi occhi si soffermino un attimo di più del normale su di me, ma sicuramente è una mia impressione.

Sospiro pesantemente e –grazie a un altro micidiale pizzicotto di Clio- esclamo:

- Sono io. Mia madre è francese.

- Tu? – esclama quel bucefalo sorpreso.

Sbruffone megalomane! Perché sembra così stupito? Sorprende così tanto che io sappia parlare più di una lingua?

- Chi l’avrebbe mai detto! – prosegue – sei una continua sopresa.

È già il secondo che me lo dice oggi e la cosa non mi fa per niente piacere. Per di più, la prima persona ad avermelo detto è stata la mia professoressa di chimica e questo non contribuisce certo a farlo entrare nelle mie grazie:

- Sai, i miei hanno ben pensato di insegnarmi due lingue, perché avessi una possibilità in più di farmi capire, dato che ci sono persone che non capiscono un’acca nemmeno nella loro lingua madre.

Lo fisso con intenzione, per fargli capire che mi sto riferendo proprio a lui. Rimane per una attimo in silenzo, fissandomi, prima di scoppiare a ridere divertito.

Sta ancora ridendo quando la voce smielata di Camilla D’Arconte chiede, talmente piena di sospiri e sottintesi da sembrare una ragazza che parla su hot line:

- Tu ci sarai?

Credo sia inutile dirvi che ruolo ricopra Camilla con le sue gonne inguinali e le unghie laccate più affilate di rasoi nella nostra classe.

La risata di Filippo si spegne lentamente. Guarda Camilla e poi il suo sguardo si ferma su di me. Il suo viso si apre in un sorriso divertito e –per quanto mi secchi ammetterlo- terribilmente affascinante:

- Credo proprio di sì – esclama, gli occhi fissi nei miei – ci sarò anch’io.

 

SPAZIO AUTRICE:

Scusatemi!!!
Cavolo, non pensavo di impiegarci così tanto! D:
Non so, penso di aver avuto (veramente credo di averlo ancora, purtroppo) il mio primo cosiddetto blocco dello scrittore. Sempre che mi si possa considerare una scrittrice J

Coomunque, ho stravolto tutta la trama che avevo in mente prima e, in pratica, ora ho solo un sottilissimo filo conduttore. Per questo, se volete darmi consigli, suggerimenti o altro sarò ben lieta di ascoltarvi!

Ringrazio infinitamente tutti quelli che hanno recensito, preferito, ricordato e seguito la mia pseudostoria!! *-*

Grazie mille davvero, non sapete quanto sia importante per me e quanto mi renda felice!

A presto
Besos
watereyes

 

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Capitolo 3
*** Pesci raffreddati ***


3 - Pesci raffreddati

PESCI RAFFREDDATI

Quello stupido cretino deficiente!! Come poteva comportarsi così?!?

Dopo la sua grandiosa uscita di scena avrei voluto sotterrarmi. E il peggio era che non riuscivo a trattenermi io stessa dal rispondere come una scema alle sue provocazioni! Era più forte di me, nessuno riusciva a mandarmi in bestia come lui.

Tornai a casa di pessimo umore. Entrai sbattendo la porta e buttando con malagrazia lo zaino in un angolo non precisato della casa. Con un sospiro, mi lasciai cadere sul divano e mi misi un braccio davanti agli occhi, come facevo sempre quando ero stanca.

- Ehi! – chiamai da quella posizione – c’è qualcuno?

Nessuna risposta. Strano, eppure sia Davide che Sara sarebbero dovuti essere a casa.. non feci nemmeno in tempo a finire di pensare, che mi ritrovai schiacciata contro il divano da una specie di bue.

- Aaaaahia!!! – gridai, divincolandomi – spostati, cerebroleso.

Sentii la sua risata nelle orecchie e questo mi fece arrabbiare ancora di più.

- Grr, spostati, ho detto! – ordinai, cercando di sembrare autoritaria.

Questo sembrò divertirlo ancora di più, tanto che cominciò a farmi il solletico:

- Come sta la mia sorellina, oggi? – mi gridò nelle orecchie, facendomi mio malgrado ridacchiare.

- Come vuoi che stia, mi sembra di aver sempre più cose in comune con le sogliole e di poter sbranare anche mia madre, tanta è la fame.

Finalmente, quel peso morto si decise ad alzarsi e ripresi a respirare.

- Dai vieni che è pronto, piagnona – disse, porgendomi la mano per aiutarmi ad alzarmi.

- Ottimo! – esultai – che si mangia?

- Lasagne – ghignò lui, perfido.

- Cosa?! – esclamai, orripilata.

Okay, probabilmente mi prenderete per matta, ma è così. Credo di essere l’unica italiana –in realtà, l’unica in generale, esclusi i vegetariani- a non sopportare le lasagne. Non riesco a spiegarmi il perché di quest’odio, dato che adoro alla follia la pasta al ragù, ma quell’ammasso informe di pasta, carne e besciamella mi dà il voltastomaco. Forse è proprio perché è così complicata che non riesco a mangiarla: preferisco di gran lunga le cose più semplici.

- Eh già, mi dispiace – scrollò le spalle quel bastardo che mi ritrovavo per fratello, mentre si sedeva a tavola e tagliava un quadro di quel cibo tanto odiato per sé e per mia sorella, che sarebbe arrivata a momenti.

Restai a guardarlo, allibita ed arrabbiata. Continuai a fulminarlo, mentre lui mi ignorava con intenzione, portandosi con studiata lentezza un boccone alla bocca e masticandolo con soddisfazione.

- Mmm, che bontà! – mugolò, ad occhi chiusi con un sorrisetto bastardo a increspargli le labbra.

- Io ti odio – sbottai, stringendo gli occhi a fessura.

Perfetto, ci mancava anche questa. Ora mi tocca pure farmi il cibo da sola.

Mi diressi in cucina, borbottando tra me e me e lanciando contro Davide quanti più anatemi possibili. Gli stavo ancora inveendo contro quando notai un piatto poggiato sull’isola della cucina, con un altro piatto capovolto sopra, come si fa quando si vuole tenere al caldo qualcosa. Lo scoperchio in fretta e un sorriso mi illumina il volto: spaghetti al pomodoro.

Ve l’ho detto che sono una che ama le cose semplici, no?

Corsi in sala e saltai letteralmente addosso al mio fratellone:

- Grazie Dave! Ti voglio bene! – esclamai, schioccandogli un grosso bacio sulla guancia.

- Sì, sì – borbottò lui, con un mezzo sorriso – ruffiana.

Proprio in quel momento la porta si spalancò nuovamente, facendo entrare mia sorella Sara, la piccolina di casa e l’artista di famiglia.

- Ehi ragazzi! Che si mangia? – esclamò, entrando in sala con il suo solito sorriso tranquillo e i ricci castani ad incorniciarle il volto.

Di noi tre era di sicuro quella più calma e timida. Certo, con noi non si faceva problemi ovviamente, ma con gli altri era molto pacata, ci voleva un po’ prima che si sciogliesse e –anche quando lo faceva- non esagerava mai, per sua propria indole.

Un po’ il contrario di me e Davide, che eravamo molto più esuberanti.

- Lasagne, dolcezza – annunciò Davide, facendole segno di sedersi – a parte la pecora nera di famiglia, ovviamente – aggiunse.

Gli risposi con un linguaccia, ulteriore dimostrazione della mia maturità, che lo fece ridacchiare.

Sara, a dimostrazione di quanto fosse diversa da me, prima si tolse il cappotto e lo appese ordinatamente nell’armadio, ripose lo zaino all’inizio del corridoio e poi si diresse a passo tranquillo verso di noi, accompagnata dal suo solito sorriso da Monna Lisa.

- Beh, buon appetito! – augurò Dave, cominciando a strafogarsi.

Dopo nemmeno cinque minuti, i piatti erano lucenti come se non fossero mai state usate. Una delle caratteristiche della famiglia Terreni era quella di essere delle fogne (per essere buchi senza fondo, non per la puzza o, almeno, si sperava).

- Allora, com’è andata oggi? – chiesi, tanto per fare un po’ di conversazione.

- Oh, il solito – rispose Sara, sbuffando – siamo ancora alla teoria.

Mia sorella frequentava il secondo anno della scuola d’arte. Aveva un enorme talento, e le mani perennemente macchiate d‘inchiostro e l’aria sempre un po’ svagata propria di tutti gli artisti, che le donava un fascino incredibile. Certo, anche io avevo quell’espressione spesso e volentieri, ma di solito la mia era sbadataggine e non il concepimento di qualche grandiosa opera. In più, la mia aria sognante ricordava più quella di un merluzzo al bancone del pesce, mentre quella di Sara –grazie ai suoi ingenui occhi blu- sembrava più quella di una bambina indifesa. Questo solitamente attivava nel DNA dei ragazzi il loro gene da cavalier servente, e infatti cadevano tutti ai suoi piedi.

- Dai, vedrai che tra poco passerete alla pratica – cercai di placarla.

Mia sorella odiava studiare la teoria delle tecniche di disegno e smaniava per passare subito alla pratica, dicendo che era inutile e che l’arte bisognava sentirla, non studiarla. Anch’io ero d’accordo con lei, anche se capivo che lo studio aveva la sua importanza.

- Lo spero – sbottò lei, scura in volto.

- A te invece com’è andata? – chiese, rivolta a nostro fratello.

Mio fratello era al primo anno di università e studiava architettura, materia che per me aveva dello fantascientifico.

- Il solito – disse con una scrollata di spalle – non sto qui a spiegartelo perché ho come l’impressione che altrimenti il neurone di tua sorella farebbe harakiri – aggiunse, provocatorio.

Davide ed io ci punzecchiavamo sempre, in continuazione, mentre Sara faceva da calmante, scongiurando così l’avvento di eventi catastrofici, come tsunami o terremoti di magnitudo sette.

- Il mio neurone, insieme alla sua numerosa prole, potrebbe sì fare harakiri, ma solo per la noia – risposi, velenosa – sai, a sentirsi sempre ripetere le tabelline e le sottrazioni ci si stufa – aggiunsi, con un sorriso dolce come fiele.

Davide stava per rispondere con una delle sue, quando il citofono misi fine a quella piccola diatriba familiare.

- Chi è? – chiese Sara, rispondendo al telefono – è.. Jessica? – sussurrò rivolta verso di noi, con aria interrogativa e un po’ confusa. In effetti, nemmeno io sapevo chi fosse quella ragazza, anche se qualche sospetto già ce l’avevo – è per te – aggiunse infatti lei, rivolta verso Dave.

Dave la guardò scarsamente interessato:

- Dille che non ci sono – disse, lanciandomi poi addosso un pezzo di pane.

Scattai immediatamente, saltandogli addosso e rovinando per terra con lui, iniziando una lotta all’ultimo sangue. Sara ci guardò, per poi sospirare rassegnata e spiegare gentilmente alla ragazza dall’altro capo del filo che in quel momento nostro fratello non era a casa.

Dopo aver appeso, marciò a passo di carica verso di noi e si fermò davanti alla massa informe che avevano preso i nostri corpi, attorcigliati in una strana, contorta posizione.

- Dave, non puoi fare così – cominciò, battagliera, facendomi tirare un sospiro di sollievo per non essere io la causa delle sue filippiche, almeno stavolta.

- Non ho fatto niente! – esclamò lui, da un punto imprecisato vicino al mio piede – è lei che è più appiccicosa di una cozza allo scoglio!

- Non puoi comunque comportarti in questo modo! – sbottò lei, arrabbiata – così le illudi e basta.. – proseguì, guardandomi negli occhi, evidentemente convinta di parlare con Dave. La nostra posizione doveva essere strana forte.

Sara si lanciò nella sua arringa femminista, mentre io lasciai la sua povera vittima al suo destino, parcheggiandomi davanti alla tv.

 

- Grazie mille, eh! – sbottò lui, lasciandosi cadere accanto a me sul divano e fregandomi il telecomando. Cambiò immediatamente canale, tanto per rispettare il suo istinto viscerale di darmi fastidio, ma poi tornò sui Simpson, dato che li adorava anche lui.

- E di cosa? Io condivido le opinioni di della Sira. Non vedo perché dovrei difenderti e non vedo nemmeno il motivo di faticare nel lamentarmi del tuo comportamento, dato che lo fa già lei egregiamente al posto mio – esclamai soddisfatta, sistemandomi meglio sul divano.

Davide era praticamente il contrario di Sara. Dannatamente bello e consapevole di esserlo, aveva una fila di ragazze che gli morivano dietro più lunga della Muraglia Cinese. Con i suoi occhi verdi e il sorrisetto sfrontato avrebbe fatto sciogliere anche un gelato in Alaska. Questo era, ovviamente, quello che proclamavano a gran voce le mie amiche. Io, in qualità di sorella e consapevole della sua natura cerebrolesa, non potevo essere iniziata a certi misteri. Accidenti, che sfortuna.

- Vado a prepararmi – esclamai, alzandomi.

Davide non mi degnò nemmeno di uno sguardo, totalmente assorto nel guardare Homer fare una delle sue cretinate, probabilmente cercando l’ispirazione per emularne qualcuna.

Andai in camera mia e calzai il body nero e le calze, infilandomi poi una tuta. Mi fece uno chignon e preparai il borsone. Stavo per uscire, quando il grido di Sara mi fece tornare indietro di corsa.

- Che è successo?! – esclamammo in coro io e Davide, accorrendo.

Inutile dire chi fosse la beniamina della famiglia.

- Agamennone sta male! – gridò lei, mostrandoci la boccia in cui teneva il suo dannato pescerosso. Sorvoliamo sulla scelta del nome, per favore. Non oso nemmeno immaginare come debba sentirsi il glorioso eroe greco nel sapere che il suo nome è stato affibbiato ad uno stupido pesce.

Probabilmente si starà rivoltando nella tomba, ammesso e non concesso che l’abbia avuta. Non venivano bruciati..?

- Ma che cos’ha? – chiese Dave, fissando la boccia.

Il pesce aveva degli strani scatti, da cui uscivano piccole bollicine.

- Sembra quasi che abbia.. il raffreddore – esclamai, basita, osservando Agamennone sputare un'altra fila di bollicine.

Davide scoppiò a ridere:

- Non dire cretinate, Dede! I pesci non hanno il raffreddore!!

- Oh, ma tu che ne sai? Sei un veterinario? – sbottai, irritata – comunque, Sira, dallo a me, lo porto dal veterinario.

- Oh, grazie! Ti prego fa in fretta!!

Mentre sistemavo il pesce sulla moto, in modo che non cadesse, sentii la voce di mia sorella gridarmi:

- Guarda che il nostro veterinario ha chiuso! Vai in quello vicino alla tua palestra!

- Uffa, che palle – borbottai fra me e me – ci mancava solo questa!

Nel giro di dieci minuti, avevo deposto Agamennone al veterinario, un arzillo e simpatico vecchietto dai brillanti occhi azzurro scuro, ero arrivata in palestra e avevo cominciato a scaldarmi.

Se c’era qualcosa in cui ero veramente portata e che mi faceva stare veramente bene era la ginnastica ritmica. Faticavo come una disperata, ma l’allenarsi fino allo sfinimento, fino a sentire i muscoli urlanti e i tendini che chiedevano pietà mi riempiva di soddisfazione.

Sembrerò anche masochista, ma è la mia valvola di sfogo e non l’avrei cambiata per niente al mondo.

Due ore e una doccia più tardi, avevo finito. Stavo per uscire dalla palestra, quando venni fermata da Nicoletta, la donna che insieme alla sua amica Marcella aveva fondato la nostra scuola di danza: lei sbrigava le faccende economiche e burocratiche, mentre Marcella insegnava.

- Ehi Fede – mi chiamò, sorridendo.

Tra me e lei c’era un ottimo rapporto, la consideravo ormai come una seconda madre.

- Dimmi.

- Avrei un problema.. Alexandra –hai presente la ragazza russa che insegna ginnastica nel secondo corso?- è dovuta tornare a casa perché sua madre non si sente bene, e adesso non riesco a trovare un rimpiazzo. Saresti disponibile per qualche lezione?

Mi fermai e riflettei per un secondo: il secondo corso era quello delle bambine, non mi avrebbe fatto faticare tanto e mi avrebbe portato via solo un paio di ore alla settimana, quindi non vedevo preblemi.

- Certamente! – risposi, con un sorriso.

Vidi immediatamente il viso di Nico distendersi per il sollievo.

- Grazie a Dio che ci sei! Non sai da quanti impicci mi hai tolta!

- Ma figurati.. piuttosto, quand’è la prima lezione?

- Domani, dalle quattro e mezza alle sei. Devi solo mostrare le basi e fare qualche gioco propedeutico, davvero, non farai alcuna fatica.

- Okay, va bene. A domani, allora! – salutai, aprendo la porta.

- Ah Fede! – mi chiamò – per il compenso..

- Nico – la richiamai, arrabbiata – non ci pensare nemmeno.

- Ma..

- Niente ma. Ciao, ci vediamo domani.

Mi diressi velocemente verso la mia vespa e tornai dal veterinario per vedere se Agamennone stesse meglio.

- Permesso – mormorai, spalancando l’uscio che si aprì con un tintinnio – sono venuta per il pesce.. ancora tu?!

Ebbene sì, davanti ai miei occhi altri non c’erano se non il mio incubo personale, la persecuzione fatta persona: Filippo Lombardi stava leggendo un libro, bellamente stravaccato su una sedia dietro il bancone. Al mio grido, alzò gli occhi e, non appena mi riconobbe, sorrise.

- Ehi, ci incontriamo sempre noi due, eh? Dev’essere il destino – esclamò, mettendo da parte il libro che stava leggendo per venirmi incontro.

- Già, l’importante è crederci – ringhiai – dov’è il veterinario?

- Oh, non c’è –fece lui, innocente – ci sono io, per il momento.

- E tu che cosa ci fai qui? – esclamai, alzando un sopracciglio accigliata.

- Forse ci lavoro? – disse lui, ironico.

Mmm. Non ci credevo nemmeno se mi pagava. Non era il tipo da lavorare in posti come questo, piuttosto avrebbe potuto fare il pierre per qualche discoteca.

- Ma fammi il piacere. Non ci credo nemmeno se mi fai vedere il contratto che lavori qui – ribattei – sei più il tipo che lavora in qualche bar o discoteca, se proprio deve faticare.

- Non ti facevo così acuta, poliglotta – mi prese in giro lui, avvicinandosi ulteriormente e facendomi innervosire non poco – mi hai fregato. Mio nonno è il proprietario, e io ogni tanto vengo qui.

Stavo per chiedergli come mai, ma riuscii a tenere a freno la lingua. Dopo tutto, che cosa mi interessava? Cercai di allontanarmi, ma lui non me lo permise, schiacciandomi tra il mangime per i cani e quello per le galline.

- Ma li tratti tutti così i clienti? Fallirete in poco più di un mese, se è così! – sbottai, irritata.

- Come siamo acidi.. – mi riprese lui, scherzoso, accarezzandomi una guancia e ricevendo un pollo di gomma in testa.

- Devo vedere un pesce – esclamai in fretta, liberandomi dalla sua presa e girandomi a fronteggiarlo.

I suoi occhi azzurri si spalancarono ancora di più e sembrarono quasi ridere, maliziosi e divertiti, ma anche terribilmente affascinanti.

- Perché, il tuo ragazzo non te lo fa vedere? – rise, divertito, scoccandomi un’occhiata densa di sottintesi.

Lo guardai e mi resi conto del doppio senso: che cretina che ero, con un maniaco simile in che situazioni mi andavo a cacciare!

- Deficiente – esclamai, cercando di mantenere la calma – questo non ti deve interessare. Devo vedere il pesce di mia sorella, Agamennone. 

- Scommetto che è una sardina – esclamò lui, con aria di sfida.

- No, è un normale pesce rosso – dissi io, guardandolo in modo strano. Perché si metteva a fare queste domande assurde?

- Parlavo del pesce del tuo ragazzo – ghignò lui.

Spalancai gli occhi e, incavolata come una biscia, gridai:

- Potrebbe anche essere un pesce spada, per quello che ti riguarda, razza di maniaco pervertito! Come ti permetti? A malapena sai il mio nome! – ringhiai, facendo d’istinto un passo verso di lui.

- No, non è vero – ribattè rapido, facendo a sua volta un passo avanti – so che ti chiami Federica Terreni, che hai diciassette anni ma ne fai diciotto a dicembre, hai una madre francese, un fratello maggiore di venti e una sorella minore di quindici con un pessimo gusto nel dare il nome agli animali; so che sei in quarta C, che ami la vespa, che ti piace leggere e fare ginnastica ritmica e che non ti piace perdere tempo con dei rompiscatole, anche se qui sono un po’ dubbioso, dato che stai con quell’Alex che, a proposito, non ha di sicuro un pesce spada in dotazione – concluse lui, con un ghigno – quindi, direi che ci conosciamo abbastanza bene, no?

Rimasi a bocca aperta, con il respiro corto e il battito cardiaco accelerato in modo inspiegabile. Ero davvero sorpresa: come faceva a ricordarsi tutto? Ero completamente nel pallone, non avevo la più pallida idea di cosa dire, dato che mi aveva colto totalmente alla sprovvista; per fortuna, a quanto pare Dio non si era dimenticato d me, perché accorse in mio aiuto.

- Fil! – esclamò una voce gioviale – non ci starai mica provando con questa bella ragazza? – aggiunse, facendomi l’occhiolino.

Okay, forse avevo parlato troppo in fretta.

- Ciao nonno – ridacchiò Filippo, stringendomi a sé – stavamo facendo una piacevole chiacchierata, vero Fede?

- Ehm.. già – balbettai io, divincolandomi e fulminandolo con lo sguardo – potrei vedere Agamennone? Mia sorella è preoccupatissima.

- Certamente! L’ho messo nella boccia con Dolly. Sta benissimo, tranquilla. Non mi era mai capitato di vedere un pesce raffreddato, sai?

Pescò con il retino il pesce, che non voleva saperne di staccarsi dalla pesciolina dalle pinne azzurre:

Ecco a te, e tranquilizza pure tua sorella, il suo pesce sta benissimo.

- Grazie mille, signore. Quanto le devo?

- Oh, nulla cara, non ho fatto niente! Chiamami pure Giovanni! Siete compagni di scuola? – disse allegro, sventolando una mano.

- Sì – rispose Filippo, prima che potessi intervenire – e frequentiamo un corso di orientamento al lavoro insieme.

- Oh, molto bene! Prima cominciate meglio è! Torna pure quando vuoi o ti serve qualcosa, cara – mi salutò affettuosamente Giovanni, che evidentemente mi aveva preso in simpatia.

- Grazie mille – sorrisi – arrivederci! Ci vediamo a scuola – aggiunsi, molto meno calorosa, verso Filippo.

Stavo per partire, quando lui mi si parò davanti.

- Che c’è ora? – sbuffai.

- Niente. Mio nonno mi ha detto di darti questo – disse, ficcandomi in mano del mangime per i pesci – fai attenzione mentre torni a casa.

Prima che potessi impedirglielo, si chinò veloce verso di me e mi diede un bacio sulla guancia. Una strana sensazione di calore, data dalla sua vicinanza, mi pervase, lasciandomi spiacevolmente raffreddata quando si allontanò da me, con un sorriso soddisfatto a incorniciargli il volto – ci vediamo a scuola – sussurrò, tornando poi dentro al negozio.

Restai scossa per tutto il viaggio verso casa.

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Bello lungo questo capitolo, eh?

Ma dovevo pur farmi perdonare.

Ecco i primi componenti della famiglia, che sono apparsi quasi normali u.u

Filippo è ancora odiato o sta prendendo quota? :D

Comunque, io vi adoro! VI ADORO! Volete farmi morire, 6 preferiti, 2 ricordate e 13 seguite con 2 soli capitoli?!? Mi volete sicuramente morta :D

Ditemi se questo capitolo vi è piaciuto, per favore!

Baci riconoscenti

watereyes

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