One step closer

di bacinaru
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** S. H. ***
Capitolo 3: *** Call me when you need it ***
Capitolo 4: *** A wasted day off ***
Capitolo 5: *** The world's spinning in his own way ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Nickname: bacinaru
Titolo: One step closer
Fandom: Sherlock BBC
Personaggi: Lestrade, Sherlock Holmes
Rating: Arancione
Avvertimenti: Pre-series, riferimento ad uso di droghe
Beta-reading: Un grazie enorme a OperationFailed che mi ha gentilmente betato questo primo capitolo/prologo nonostante l'ora e si è offerta di continuare, tanti cuoricini tutti per te <3
Note: La storia è ambientata circa cinque anni prima dell'effettivo inizio della serie. Ho in testa una certa idea di come dovrebbe finire, ma in effetti non so ancora bene dove andrà a parare, con la speranza che l'ispirazione non mi abbandoni. Spero comunque che l'incipt (un pò povero, sorry) vi sia piaciuto e magari, dopo aver coccolato a dovere quel cucciolo dii Lestrade, mi lasciate anche un commentino, che dite? Giusto per sapere le prime impressioni XD Ora la smetto di rompere, anzi, sarebbe tempo di andare a nanna, e vi auguro buona lettura! (e anche buona notte XD)





One step closer




“Come se tu mi avessi teso una mano,
facendomi superare il confine oltre il quale si trova la luce.”
{"Che tu sia per me il coltello" di David Grossman}




PROLOGO




Stava ascoltando, ma il suo cervello aveva già smesso di analizzare le parole di quel discorso troppo complicato. Non capiva la metà di ciò che l'uomo col camice gli stava dicendo. Non era un medico, lui, ma non era neanche poi così stupido e quello che c'era da capire lo aveva capito. Il resto era superfluo.
La denotazione scientifica di una qualche sorta di imperfezione gli diceva poco o niente, ma la frase “infertilità femminile” era piuttosto eloquente.
Così fu anche lo scivolare dolce, impercettibile, delle dita della moglie dalla stretta della sua mano.
Solo che a questo, Gregory, decise di non fare caso.

La situazione sembrò migliorare. Sua moglie era spesso fuori, da amiche – diceva lei – e Gregory, promosso da poco ispettore, finse di crederle, mentendo persino a se stesso.
All'inizio Cecilia era stata furiosa con lui, come se quello che le era capitato potesse essere colpa sua. Spesso lui le dava semplicemente corda: era l'uomo di casa, doveva mostrarsi forte per la donna che amava. Poi, alla fine, sembrò che il problema fosse scomparso: in fondo non avevamo mai progettato di avere dei figli. Sua moglie sembrava di nuovo felice e il suo lavoro andava a gonfie vele; nulla sembrava fuori posto, era tutto perfetto.
Quasi non si accorse del freddo che piano piano si era insinuato tra le lenzuola del letto, ma con il passare del tempo esaurì le scuse per giustificare l'assenza della moglie al proprio fianco.
E ogni volta un pezzo del suo cuore cadeva giù, in frantumi.

Alla verità non si può fuggire in eterno e Gregory la trovò a casa, ad aspettarlo tra le lenzuola del letto disfatto. Non fu tanto la vista di sua moglie che si scopava allegramente il vicino di casa – neanche si erano accorti della sua presenza sulla porta, tanto erano forti (e volgari!) i loro gemiti di piacere – ma piuttosto la triste consapevolezza di aver sempre saputo e non aver mai fatto nulla a riguardo, che lo fece voltare ed uscire fuori dall'appartamento di corsa, senza una parola.

L'ispettore Lestrade non ne parlò mai con nessuno, né con la moglie, né con gli amici a Scotland Yard. Si immerse profondamente nel proprio lavoro. Spesso non tornava a casa e quando lo faceva era troppo stanco per pensare. Si limitava a cambiarsi, a volte neanche quello, e a sprofondare addormentato sul divano. Al letto non osava nemmeno avvicinarsi.

Senza accorgersene, era caduto in un pozzo freddo e buio, dove la luce si stagliava lontana e irraggiungibile. Fu proprio lì, nel bel mezzo dell'oscurità, che Lestrade incontrò per la prima volta Sherlock Holmes.


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Capitolo 2
*** S. H. ***


I Capitolo

S. H.



Il suono dell'acqua corrente aveva isolato qualsiasi altro rumore all'interno dell'edificio, non che questo fosse una sorpresa, dal momento che la gran parte degli ufficiali erano ormai a casa da tempo.
Lestrade fissò per qualche minuto l'acqua che scorreva nel lavandino, alzando di tanto in tanto gli occhi per guardare il proprio riflesso nello specchio, senza poter fare a meno di notare un altro capello grigio che faceva capolino tra gli altri più scuri, un po' sbiaditi.
Immaginava fosse tutta colpa dello stress.
Non era mai stato vanitoso, ma per ogni capello grigio si accorgeva di star invecchiando e non era affatto piacevole. Aveva solo quarant'anni, per la miseria!
Quando finalmente si accorse della leggera nube di fumo che si era distesa attorno a lui, Lestrade immerse le mani sotto l'acqua, ignorando volutamente il bruciore provocato dal flusso bollente. Non era autolesionismo. Sperava solo che l'acqua calda potesse portargli via il sangue dalle mani, sangue che in realtà non aveva mai toccato, ma che le vittime di ogni giorno gli davano la sensazione di averne le dita piene.
Amava il suo lavoro, ciò non voleva dire, però, che gli piacesse la vista del sangue.
Una volta soddisfatto, chiuse il rubinetto, attento che non versasse neanche più una goccia – Dio solo sapeva se avevano bisogno di altre spese lì dentro – e uscì dal bagno, con le mani ancora umide.
Scotland Yard era deserta a quell'ora, doveva essere l'una di notte.
Lestrade tirò fuori il cellulare dalla tasca e cercò tra le voci in rubrica il nome di Cecilia, poi, come ripensandoci, decise di mandarle un messaggio, invece che chiamare:


“Torno a casa tra dieci minuti”


Probabilmente non gli avrebbe nemmeno risposto, ma Lestrade voleva essere sicuro che lo sapesse, per evitare sorprese.
Erano passati solo due mesi da quella volta e nemmeno lui sapeva perché avesse continuato a tacere.
Era solo stanco, stanco e vecchio, e forse un po' ingenuo. In fondo credeva ci fosse ancora speranza per loro, sebbene lui stesso non facesse nulla a riguardo, a parte il pugno che si era scontrato con la mascella del vicino pochi giorni dopo l'accaduto – come osava anche rivolgergli la parola? - e che con molte probabilità aveva fatto insospettire la moglie, tanto da farle cambiare partner per stare sul sicuro. Questa volta non sapeva chi fosse, ma Gregory pregò per lui che non incrociasse mai la sua strada.
Una volta entrato in ufficio, l'ispettore guardò un po' amareggiato i documenti che ricoprivano la scrivania al centro della stanza, l'unico mobilio con del disordine in superficie, mentre attorno regnavano del tutto immacolati un piccolo fax, un attaccapanni con addosso il suo cappotto e un cestino nell'angolo, già svuotato.
Avevano un caso difficile in corso, una donna assassinata in un centro benessere, nel bel mezzo del giorno, con le telecamera in disuso e nessun testimone. Sarebbe morto felice il giorno in cui un omicida si fosse presentato alla sua porta, senza alibi e con una confessione già pronta.
Sospirando - cosa che faceva spesso oramai - raccolse i documenti e li ordinò tutti all'interno di un'anonima cartellina, che ripose, poi, nell'ultimo cassetto della scrivania. Avrebbe continuato il lavoro l'indomani.
Preso il cappotto e spente le luci, Lestrade uscì finalmente da Scotland Yard.
Londra illuminava la notte inoltrata, in sottofondo il rumore delle auto che correvano per strada. Una città insonne.
L'ispettore raggiunse con passo stanco la propria auto - non aveva poi tutta questa fretta di tornare a casa. Quando, però, cercò le chiavi nelle tasche dei pantaloni e in quelle del cappotto e poi, alla fine, si ricordò d averle lasciate sulla scrivania, non poté fare a meno di imprecare a  denti stretti.
Si strofinò gli occhi con il pollice e l'indice - non aveva alcuna voglia di salire di nuovo, aprire l'ufficio e prendere le chiavi. Se fosse salito sapeva che non se ne sarebbe più andato e la sua schiena gli stava categoricamente proibendo di passare un'altra notte seduto alla sua scrivania.
Fu anche per questo che decise – contro ogni ragione, per altro – di tornare a casa a piedi.
Non abitava poi così lontano.


Camminava con passo svelto, tenendo la testa bassa e le spalle alzate, in un vano tentativo di ripararsi dal freddo gelo di dicembre.
Aveva iniziato a fioccare e per un attimo Lestrade si domandò se qualche diabolica divinità non ce l'avesse con lui a causa di qualche torto subìto.
Almeno, peggio di così non può andare.
Non ebbe neanche il tempo di formulare quel pensiero che udì degli strani rumori provenire da un vicolo buio, a qualche passo di distanza da lui.
Un uomo comune avrebbe semplicemente ignorato l'evento, perché di suoni sospetti ne è piena ogni strada di Londra, ma Lestrade era un poliziotto, o meglio, un Detective Inspector, e indagare faceva parte del suo lavoro.
Si avvicinò lentamente, rimuovendo per sicurezza la pistola dalla fondina. Doveva capire cosa stesse succedendo prima di buttarsi a capofitto in una situazione potenzialmente pericolosa; glielo avevano insegnato tanti anni di esperienza.
Una volta all'entrata del vicolo, si nascose vicino al muro, in ascolto. Tutto quello che udì, però, era il respiro pesante di - quanti? Due, tre uomini, forse? - insieme al rumore non distinguibile di qualcosa che veniva ripetutamente sbattuta a terra o contro il muro. Solo quando Lestrade si sporse  per dare un'occhiata si accorse di ciò che stava davvero accadendo: c'era un uomo a terra ripiegato su se stesso, nel tentativo di proteggersi dai calci di tre uomini che lo sovrastavano.
D'istinto Lestrade si mise a correre verso il piccolo gruppetto, urlando “Polizia!”.
Come previsto, i tre uomini fuggirono immediatamente, spaventati.
Poteva sembrare una mossa sciocca, ma catturarli non era stato l'obiettivo primario dell'ispettore. Dopotutto erano in tre e lui era solo, e provare ad arrestarli, nonostante avesse una pistola in mano, sarebbe stato controproducente.
Quello che a Lestrade era importato davvero, in quel momento, era allontanare quei teppisti dalla loro vittima. Era sempre stato troppo emotivo, i suoi colleghi glielo ripetevano in continuazione.
Senza pensare al fango che gli avrebbe macchiato per sempre i pantaloni, Lestrade si mise in ginocchio accanto alla figura ancora a terra, immobile.
La prima cosa che l'ispettore notò fu il lungo cappotto scuro che avvolgeva l'uomo privo di coscienza. Era così strano che una persona con addosso un cappotto del genere, che costava sicuramente molto più del suo stipendio, girasse per i vicoli di Londra a quell'ora della notte.
Non sapeva bene cosa fare - di solito le vittime erano già morte da un po’ quando lui arrivava sulla scena del crimine - mentre questa respirava ancora.
Forse cercare di svegliarlo era una buona idea, avrebbe potuto avere una commozione celebrale.
Con quanta più delicatezza potesse raccogliere, Gregory girò l'uomo sulle spalle, in modo da guardarlo in volto.
- Gesù...-
Il viso era imbrattato di sangue, fuoriuscito da uno squarcio abbastanza profondo che solcava la fronte dell'uomo.
Lestrade si morse il labbro inferiore, sentendo quel familiare istinto di protezione che nasceva in lui quando si trovava di fronte a qualche povero bastardo in difficoltà. Non aiutava affatto, poi, che quell'uomo sembrasse davvero giovane - doveva avere poco più di vent'anni.
Lo scosse piano per una spalla nel tentativo di svegliarlo, senza ottenere risultati.
-Maledizione-
Mormorò tra sé e sé, prendendo in mano il cellulare per chiamare aiuto. Sperò solo che il giovane non gli morisse tra le braccia, sarebbe stato sconveniente.
Quando, però, fu sul punto di digitare il numero di emergenza, dita sottili gli afferrarono il polso, costringendolo a desistere.
Guardò in basso e si sorprese nel vedere due languidi occhi grigio-azzurri, un po' infuocati dalla luce rossastra del lampione in fondo alla strada.
-Non farlo-
Lo disse così piano che quasi Lestrade non ne afferrò il senso, ma prima che questi potesse dire qualsiasi altra cosa, il giovane tentò di mettersi a sedere, gemendo per il dolore.
Forse aveva anche qualche costola rotta.
L'ispettore lasciò cadere immediatamente il cellulare a terra per aiutare il ragazzo a mettersi seduto, le spalle e la testa appoggiate al muro.  
Lestrade, guardandolo, si sentì un po' in soggezione. Con il sangue che continuava a fuoriuscire dalla ferita aperta, gli occhi del giovane iniziarono a fissarlo con un'attenzione inquietante, quasi volessero leggere per intero la sua vita solo osservandolo.
Aveva il viso affilato, gli zigomi sporgenti, e profonde occhiaie gli ombreggiavano la parte di viso sotto agli occhi. Nonostante  la poca luce rimasta ad illuminare il vicolo, Lestrade pensò  che quel volto era davvero troppo pallido.
Le dita dell'altro erano ancora sul suo polso, ma la presa era troppo debole per impedire a Lestrade di scivolare via e riprendere in mano il telefono.
-Devo chiamare un'ambulanza. Hai bisogno di andare in ospedale-
Su questa decisione non si sarebbe mosso, che al ragazzo piacesse o meno.
L'altro non disse niente, ma continuò a fissarlo.
Era piuttosto inquietante.
-Accidenti!-
L'ispettore si accorse solo allora che non c'era campo in quella parte del quartiere, sarebbe dovuto uscire dal vicolo per poter chiamare qualcuno.
Ritornò a guardare verso il basso, al ragazzo che aveva finalmente smesso di fissarlo e adesso si stava guardando attorno, un po' accigliato, come immemore di dove si trovasse.
Non sembrava, comunque, sul punto di addormentarsi, né di andare da qualsiasi altra parte.
-Non c'è campo. Devo allontanarmi per qualche minuto, ok?-
Il giovane non diede segno di averlo sentito, ma Lestrade era sicuro del contrario.
Anche testardo, doveva essere.
-Non si muova da qui-
Ancora niente.
Bene o male che fosse, l'ispettore iniziò ad allontanarsi, dovendo uscire dal vicolo per poter chiamare.
I paramedici gli fecero un sacco di domande - alla maggior parte delle quali non seppe rispondere – e fu solo dopo aver perso minuti preziosi che decisero di lasciarlo andare, con la promessa che sarebbero giunti lì in poco tempo.
Conclusa la telefonata, Lestrade si passò una mano sul viso. Forse avrebbe potuto chiamare domani al lavoro e fingersi malato.
No, non lo avrebbe fatto.  Stupido senso del dovere.
Sospirando per l'ennesima volta, fece marcia indietro e si addentrò di nuovo nel vicolo. Meglio controllare che il ragazzo fosse ancora vivo.
-Dannazione!-
Lestrade fece gli ultimi passi correndo, ma vide già che lì dove avrebbe dovuto esserci la figura accucciata del giovane, non c'era più nessuno.
Corse nella direzione opposta a quella dalla quale era venuto, e poi tornò indietro. Del ragazzo non c'era più traccia.
Eppure era convinto fosse troppo debole e malridotto per muoversi.
Come aveva potuto essere così idiota?
A volte si odiava per essere quello che era, sempre pronto a  mettersi in prima fila - e mai una volta che venisse ringraziato come si deve.
Guardò ancora una volta nel punto esatto in cui ricordava seduto il giovane e fu per caso che notò qualcosa, nascosto dietro ad una vecchia scatola di cartone.
Si chinò per afferrare l'oggetto.
Sembrava essere una piccola agenda di forma rettangolare; al suo interno le pagine erano cosparse di strani appunti, formule e quelli che sembravano essere degli esperimenti di un gusto davvero cattivo.
Lestrade si accigliò. Si rigirò l'agenda tra le mani e notò sulla quarta di copertina, in basso a destra, una piccola incisione: S. H.
Per qualche motivo, tutta la faccenda lo incuriosiva parecchio.
Aveva la strana sensazione che quella non sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto quel ragazzo.
Mise l'oggetto trovato in tasca proprio quando udì le sirene dell’ambulanza avvicinarsi.
Gemette frustrato. E adesso cosa si sarebbe inventato?


*  *  *


-Andiamo!-
Colpì la parte superiore della macchinetta ancora un paio di volte, ma quella sembrava non ne volesse proprio sapere di preparargli il caffè. Le aveva dato anche i suoi ultimi spiccioli, perché le cose a lui non funzionavano mai?
-Brutta giornata, eh?-
Il sergente Sally Donovan gli apparve alle spalle, porgendogli un bicchierino colmo di caffè, con una piega delle labbra leggermente divertita.
-Grazie-
Lestrade accettò volentieri l'offerta e ne bevve subito un sorso.
Ne aveva davvero bisogno.
-Allora, abbiamo qualcosa di nuovo?-
Chiese non appena ebbe finito la magra colazione, dal momento che non gli era sfuggita la cartellina che la giovane donna reggeva nella mano destra.
Donovan gliela porse, iniziando a parlare mentre entrambi si dirigevano verso l'ufficio di lui, dove avrebbero potuto continuare a lavorare sul caso con maggiore tranquillità.
-Non molto, ma abbiamo scoperto che aveva un amante: Mark Thompson. E'... -
-Sir!-
I due furono interrotti dal grido un po' traumatizzato di un giovane agente, entrato a far parte del corpo di polizia da poco, evidentemente.
-Che c'è da gridare così tanto?-
Lestrade era abbastanza nervoso quella mattina. Non solo non aveva dormito e la macchinetta del caffè lo odiava e aveva anche quel dannato caso che non ne voleva sapere di essere risolto, ma c'erano anche giovani agenti che gli urlavano nei timpani giusto per il gusto di provocargli una terribile emicrania.
-Sir... nel suo ufficio... -
L'agente gli si fermò di fronte, respirando a fatica. Sembrava avesse appena concluso una lunga maratona, o meglio… sembrava fosse appena uscito da uno scontro corpo a corpo con qualcuno, dato lo stato in cui era ridotto.
-Per favore, dimmi che il fax non è di nuovo impazzito-
L'ultima volta era quasi esploso e sinceramente Lestrade non voleva ripetere l'esperienza.
-No, sir... c'è... c'è un intruso-
L'ispettore scambiò uno sguardo confuso con il sergente, che lo guardava un po' accigliata, prima di affrettare il passo verso il proprio ufficio.
Se qualcuno aveva osato disturbare l'ordine del suo schedario lo avrebbe ammazzato seduta stante.
-Che cosa è successo?- chiese nervoso avvicinandosi alla porta, dove un altro agente, un po' più anziano ed esperto del giovane di prima, sembrava fare la guardia a qualcuno.
-Lo abbiamo trovato a rovistare tra i documenti del caso e lo abbiamo ammanettato alla  scrivania- gli disse quello. Lestrade però lo aveva già oltrepassato, ascoltandolo solo per metà.
Quando vide chi era seduto alla sua scrivania - se non fosse stato per gli occhi e il cappotto inconfondibile - Gregory Lestrade pensò che non lo avrebbe mai riconosciuto.
-Lasci perdere l'amante. E' stato il marito-
La domanda che ne seguì gli uscì spontanea, tanto era la sorpresa.
-Di che diavolo sta parlando?!-
Lo sguardo che ricevette in cambio lo lasciò senza più alcun dubbio.
Dio doveva avercela con lui.








NDA: Hi, e dopo l'ottimo betaggio della mia carissima beta, ecco a voi il nuovo chap! Contenti? Su, non fate quelle facce terrorizzate, non è poi così brutto XD Scherzi a parte spero davvero che vi piaccia e se avete un pò di tempo me lo lasciate un commentino? *occhi da cucciolo*
Vabbuò, ci sentiamo al prossimo aggiornamento XD
Baci!

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Capitolo 3
*** Call me when you need it ***


II CAPITOLO

Call me when you need it





-Non faccia lo stupido ispettore. Sa benissimo di cosa sto parlando-.
In realtà a Lestrade sembrò di non sapere più nulla.
Quando la sera prima lo aveva salvato da quei tre teppisti, Gregory aveva pensato di lasciarlo in ospedale, magari fargli qualche domanda e, se avesse avuto fortuna, catturare i delinquenti. Di certo non si aspettava che il ragazzo facesse irruzione nel suo ufficio, finendo ammanettato alla scrivania, né che si presentasse a lui con una frase del genere.
-Il caso Moulier?
La domanda apparve più esitante di quanto avrebbe voluto.
Lo sconosciuto alzò gli occhi al cielo con una teatralità sconcertante.
-No, parlo del tempo. Certo che si tratta del caso.
Calò un silenzio pesante in tutto il reparto. Quella strana situazione aveva attirato l'attenzione anche di agenti impegnati in tutt'altro, che non avevano saputo resistere a qualcosa di così interessante.
A Lestrade non erano mai piaciute tutte quelle attenzioni.
-Va bene, tornate tutti a lavoro!
Ordinò a quei maledetti curiosi. Poi si rivolse al sergente e, consegnatale la cartella con i nuovi sviluppi, le chiese di fare qualche ricerca e vedere se quella pista poteva portarli da qualche parte.
Solo quando rimasero soli, la porta dell'ufficio chiusa alle loro spalle, Lestrade rivolse tutta la sua attenzione al giovane, che ancora occupava il suo posto.
Si sedette dalla parte opposta della scrivania, quella dove di solito sedevano tutti gli altri, e fissò i propri occhi in quelli azzurri, simili al ghiaccio, del ragazzo.
La luce del giorno gli conferiva un aspetto molto diverso - o forse era solo, come dire, più pulito della notte precedente.
Il fango sui vestiti era scomparso, così come la polvere che si era infilata tra i riccioli scuri, e del sangue che aveva imbrattato quel viso cereo – poteva ricordarne ogni singola goccia come se lo vedesse in quel momento stesso – era rimasta solo una brutta ferita.
Il suo volto era magro, scavato - da quanto tempo non mangiava?
-Come si chiama?
-Non è rilevante. Ora, se ha finito con domande stupide, ispettore, le consiglio di fare subito qualcosa riguardo al caso. Sbaglio o il vostro compito è quello di catturare assassini?
Lestrade strinse le labbra in una linea sottile.
Il ragazzo era arrogante e sicuro di sé, ma con l’aspetto di chi non non vedeva un letto da secoli.
Era inquietante, oltre che fastidioso, ma per qualche motivo l'ispettore se ne sentiva inevitabilmente attratto.
C'era qualcosa di curioso, qualcosa che non era ancora riuscito a cogliere e che metteva a dura prova il suo istinto di poliziotto.
-Bene, si spieghi.
-Cosa c'è da spiegare?
-Non posso arrestare un uomo solo perché lei ritiene che sia un assassino!
Il giovane sospirò frustrato, facendo tintinnare appena le manette che lo tenevano legato alla scrivania.
-E' così semplice! Guardi queste foto, non riesce a vedere?!
Detto questo, il ragazzo gli spinse sotto il naso le immagini che ritraevano la scena del crimine, più una della donna quando era ancora in vita.
Gregory le guardò, non cogliendovi nulla di nuovo. Aveva studiato quelle foto già un miliardo di volte senza che ne ricavasse un ragno dal buco.
La donna era piuttosto giovane, trentadue anni o giù di lì.
Era distesa con la schiena su uno di quei lettini bianchi e comodi che si potevano trovare solo in un centro benessere costoso come quello; il volto, incorniciato da lunghi capelli biondi, era rilassato, come se l'assassino si fosse preso la briga di distenderlo dopo averla pugnala più volte con un paio di forbici del centro e soffocata subito dopo.
-Avanti, ispettore. E' così ovvia la differenza che c'è tra la foto che la ritrae prima della morte e quella dopo!
Lestrade alzò lo sguardo per incontrare quello impaziente dell'uomo.
Si sentiva uno scolaro interrogato alla cattedra e colpevole di non aver imparato la lezione.
Tornò ad osservare le foto indicate. Quella che ritraeva la donna ancora in vita non differiva poi così tanto da quella post-mortem, a parte il fatto che aveva ancora gli occhi aperti, un sorriso sulle labbra e non si vedeva tutto il corpo, ma solo la parte superiore, dal seno in su.
-Non lo so. Non c'è...
E poi i suoi occhi si posarono quasi inconsciamente su un particolare, così minuscolo da passare inosservato.
-La collana che porta al collo. Non l'abbiamo trovata sul corpo.
Si maledì interiormente per aver fatto apparire quella che doveva essere un'affermazione più simile ad una timida domanda.
La risposta sembrò comunque soddisfare il giovane. Lestrade era quasi certo che l'angolo delle labbra gli si fosse piegato in su giusto per un attimo in un accenno di sorriso e si sentì stupidamente orgoglioso di esserne la causa.
-Pensa che l'assassino possa averla presa con sé?
-Non lo penso: lo so.
Il mondo sembrava capovolto e per un momento a Lestrade parve di essere tornato indietro nel tempo, ai suoi primi giorni d'agente, quando tutto era nuovo e spaventoso, ma anche eccitante; l'emozione nel risolvere un enigma e consegnare un colpevole alla giustizia, sapendo di aver fatto qualcosa di buono e concreto, che diventava quasi palpabile e gli inebriava i sensi.
-Ok. Dimmi tutto quello che sai.
Gregory si pentì di quello che aveva detto non appena vide un sorrisetto arrogante comparire sul viso dell'altro. Sapeva, per qualche strana ragione, che con quelle parole si era appena dato la zappa sui piedi.
-La collana è ovviamente un regalo del marito. E' vecchia di più di dieci anni, poco più di quanto non lo sia la fede, segno evidente che sia un regalo di fidanzamento. E anche non notando questo si può benissimo capire che non è un regalo comprato dall'amante, troppo costoso, né da se stessa - non avrebbe portato al collo un oggetto così prezioso ogni giorno se fosse stata lei ad averlo pagato. Ora, perché la collana è scomparsa dal corpo? I segni sul collo della vittima sono abbastanza eloquenti. La collana gli è stata tolta violentemente, un atto di passione? Sì, ma la violenza e l'oggetto preso indicano qualcos'altro: tradimento. Potrebbe essere stato l'amante, geloso del marito, ma come ho già detto quest'uomo, pur potendoselo permettere, non gli ha mai comprato nulla di costoso - evidentemente non teneva a lei tanto quanto la donna teneva a lui, quindi non avrebbe avuto alcun movente. Adesso il marito. Ha scoperto la relazione, ovviamente, e si è sentito tradito. Ha seguito la moglie fino al centro benessere, forse voleva solo parlarle, ma la situazione gli è sfuggita di mano e in preda alla rabbia l'ha pugnalata al petto con il primo oggetto che gli è capitato tra le mani. In un centro benessere non è difficile trovare un paio di forbicine per sopracciglia. I colpi non le furono subito fatali, perciò lui, che amandola ancora non poteva guardarla morire in agonia, l'ha soffocata con una pezza bagnata, trovata sempre in quella stanza, e poi ha adagiato il corpo sul lettino, chiudendole gli occhi ormai vuoti. In un ultimo gesto di rabbia e disperazione le ha strappato la collanina di dosso. Molto probabilmente la tiene ancora nascosta da qualche parte, per una di quelle assurde ragioni che esseri stupidi come lui sono soliti trovare in tutto ciò che fanno.
Ora, invece, si starà chiedendo come mai un omicidio non premeditato come questo non abbia lasciato alcuna traccia. Ebbene, è dicembre, l'uomo portava certamente dei guanti, quindi nessuna impronta digitale. Per quanto riguarda le telecamere, è stato solo un caso che fossero in disuso, deve averle disattivate lo stesso proprietario del centro, non potendo avere alcuna prova della sua relazione con una cliente. Infatti, se non sbaglio, è stato proprio lui a trovare il corpo poco dopo. Ora, crede che questo sia sufficiente per richiedere un mandato di perquisizione? Sono sicuro che troverete la collana nascosta nell'appartamento del marito, dalla quale potrà rilevare le tracce di sangue della vittima che le servono come prova conclusiva per questo caso.
Mi meraviglio che non l'abbiate capito subito, mi sono bastati meno di dieci minuti con queste foto per risolverlo.
Snocciolò il tutto con una tale velocità che Lestrade fece fatica a seguirlo, con la domanda curiosa “ma respira almeno?” che più volte aveva tentato di distrarre l'ispettore da quel ragionamento tanto assurdo quanto logico.
Nessuno avrebbe dato ascolto ad uno sconosciuto qualsiasi che, dopo aver fatto irruzione nel tuo ufficio, ti presenta in meno di cinque minuti la soluzione ad un caso su cui stai lavorando da giorni.
-E' impossibile che tu capisca tutto questo solo guardando un paio di foto! I miei migliori uomini ci hanno lavorato per giorni senza trovare nulla!
-Questo perché siete tutti degli idioti.
Lestrade lo guardò con la bocca aperta, incapace di dire o fare qualsiasi altra cosa. A lasciarlo sbigottito non era stato tanto l'insulto in sé per sé, ma piuttosto la calma con la quale era stato pronunciato, come se il suo scopo non fosse stato quello di offendere, ma solo di constatare una verità certa.
Si leccò le labbra secche, cercando di trovare qualcosa da dire. A toglierlo da quell’impiccio fu il bussare forte e deciso alla porta dell’ufficio.
Una volta datole il permesso, si affacciò all'entrata il sergente Donovan.
-Sir, abbiamo l'indirizzo di Thompson. Dobbiamo portalo in centrale?
Lestrade fissò ancora per un attimo il volto dell'uomo, prima di rivolgersi alla donna.
Tanto valeva tentare.
-No, lasci stare l'amante e si procuri un mandato di perquisizione per la villa del signor Moulier.
Donovan lo guardò sbigottita, pronta a ribattere, ma lo sguardo dell'ispettore la fece desistere.
-Certo, sir.
Uscì, non prima però di aver lanciato uno sguardo infastidito a quel tipo strano ancora ammanettato alla scrivania.
-Spero davvero che lei abbia ragione.
Disse Lestrade, prendendo intanto le chiavi per liberare il giovane dalle manette.
-Dovrei arrestarla per essersi intrufolato nel mio ufficio.
Il ragazzo si massaggiò piano il polso ormai libero, osservando con un particolare interesse il segno rossastro lasciato dalle manette, forse un po' troppo strette.
-Allora perché mi sta lasciando andare?
Sembrava curioso. Da quando lo aveva incontrato la notte scorsa, quella era la prima volta che Lestrade gli vedeva quella sottile linea in mezzo alle sopracciglia, giunta a disturbare il viso altrimenti privo di espressione.
-Immagino stesse solo cercando qualcosa che le appartiene. Anche se le sarebbe bastato chiedere.
Gli rispose, prendendo dalla tasca l'agenda raccolta nel vicolo.
-Questa, giusto? E comunque, come diavolo ha fatto a sapere che lavoro qui?-.
L'uomo ignorò volutamente la domanda. Afferrò l'oggetto e lo ripose nella tasca destra del cappotto. Nell'euforia del momento doveva essersene dimenticato.
-Grazie. Non si disturbi ad accompagnarmi, conosco l'uscita.
Annunciò burbero, avviandosi verso la porta.
Fu solo allora che Lestrade notò un certa rigidità nei movimenti.
-Aspetti! Non vuole sporgere denuncia?
L'uomo si voltò di nuovo a guardarlo, piuttosto confuso.
-Come, scusi?
-Denuncia. Contro i suoi aggressori.
Il giovane ci pensò un attimo con la fronte corrugata. Non poteva essersene dimenticato!
-Oh!
Il suo viso si distese quando capì di cosa l'ispettore stava parlando e un altro sorrisetto impertinente fece capolino sulle sue labbra.
-Non si preoccupi di loro, ispettore. Se ne è già occupata una mia vecchia conoscenza.
Se ne andò senza aggiungere altro, lasciando Lestrade con un enorme punto interrogativo stampato in faccia e una minima preoccupazione per i tre uomini, che sembravano aver scelto proprio la vittima sbagliata.



Quella stessa sera, più tardi, l'ispettore Gregory Lestrade si trovò di nuovo solo nel suo ufficio, a compilare soddisfatto il rapporto del caso ormai concluso.
Ancora non riusciva a capire bene come lo avessero risolto, ma un criminale era stato assicurato alla giustizia e questo poteva bastargli.
Rilesse per intero il rapporto, controllando calligrafia, stile e grammatica, oltre che ad aver usato il lessico appropriato, e quando fu soddisfatto del proprio lavoro, lo firmò e lo ripose in una cartellina dentro ad un cassetto della scrivania. Lo avrebbe consegnato l'indomani.
Si abbandonò contro lo schienale della sedia con un sospiro gratificato, ripensando un po' agli eventi della giornata.
L'incontro con quel ragazzo era stato interessante. C'era qualcosa che gli sfuggiva e allo stesso tempo lo incuriosiva. Lo aveva osservato mentre gli snocciolava impaziente tutte le informazioni e nonostante era sembrato reggersi in piedi a malapena, in quel momento aveva visto l'eccitazione bruciare nei suoi occhi di ghiaccio. Era la vita che si accendeva.
Lo sguardo cadde quasi inconsciamente sulla busta da lettera che riposava da ormai qualche tempo sulla sua scrivania. Il bianco che si confondeva con il bianco. Avrebbe potuto quasi non vederla, tanto era immacolata, ma il sigillo di cera aveva un colore inconfondibile: rosso come il sangue.
L'aveva ricevuta circa una mezz'ora prima, ma non ci aveva fatto caso. Era impegnato a compilare il rapporto e solo poche cose, come ad esempio la fine del mondo o un'improbabile fuga di massa dalla prigione di Pentonville, avrebbero potuto distrarlo da tale compito.
Quella busta era rimasta in attesa di essere aperta e ora che l'ispettore la stringeva tra le mani, la curiosità di chi mai avrebbe potuto mandargli una lettera del genere iniziò a mangiargli le budella.
Sperò vivamente che non ci fosse una bomba all'interno o che non fosse il regalo di qualche psicopatico.
L'aprì con impazienza, aspettandosi quasi di trovare qualcosa di disgustoso. Quello che ne uscì fuori, però, fu un semplice pezzo di carta. Si librò a mezz'aria per qualche secondo, prima di posarsi con leggiadra sul bianco non altrettanto immacolato della sua amata scrivania.
Su di esso un numero di telefono e poche parole:
Sherlock Holmes,
call me when you need it.
Lestrade sorrise, curioso e anche un po' contento, senza sapere quanto davvero in profondità quelle parole gli avrebbero segnato la vita.










Note piccole piccole: Allora, non c'è molto da aggiungere, se no che con questo capitolo possiamo dire conclusa la parte introduttiva. Dal prossimo dovrebbe iniziare la storia vera e propria, con la speranza che la scuola non mi uccida prima ç.ç
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio tantissimo per il tempo che perdete a leggere questa storia. I commenti sono sempre graditi, ovviamente (come direbbe Sherlock XD) e soprattutto le critiche, perchè mi aiutano a migliorare e ne ho davvero bisogno =)
Ci vediamo il prima possibile con il prossimo aggiornamento, Baci!

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Capitolo 4
*** A wasted day off ***


III Capitolo

A wasted day off







Lestrade mugugnò infastidito, il viso premuto per metà nel cuscino e una striscia di bava che colava in modo indecente dalle labbra. Il rivestimento del divano in pelle premeva duro tra le scapole, ma ci aveva ormai fatto l'abitudine. Non era quello a recargli fastidio, piuttosto il suono indistinto che turbò all'improvviso la calda quiete del mattino.
L'ispettore cercò di ignorarlo, forse così lo avrebbe lasciato riposare in pace.
Tuttavia il battito - adesso riusciva a distinguerlo bene – continuò a lungo, tanto che alla fine Lestrade immaginò di avercelo in testa. Qualcosa che gli martellava le tempie fino a fargli esplodere il cervello.
Con un ultimo grugnito infastidito, aprì gli occhi ancora appannati dal sonno e si mise a sedere con  fatica.
Sua moglie era in viaggio con amiche, quindi lei non poteva essere.
- Chiunque sia, giuro che lo ammazzo.
Borbottò, mentre metteva i piedi fuori da letto e si alzava di malavoglia, incurante delle coperte che cadevano sul pavimento sporco.
Ricordandosi all’ultimo di mettere almeno la vestaglia, lanciò uno sguardo alla sveglia sul tavolino lì davanti: otto e mezza.
- Ce ne ha messo di tempo, Lestrade.
Avrebbe dovuto immaginarlo.
Una volta aperta la porta, Sherlock Holmes si precipitò all'interno, come scottato dalla calda luce di maggio. Lestrade non si aspettò un “buongiorno” né uno “scusi se la disturbo, posso entrare?”. In realtà non si aspettava neanche di vederlo lì, in casa sua, proprio nel suo giorno libero.
Dopo lo shock iniziale, che tentò di smaltire stando a fissare per un minuto e tre secondi il viale fuori casa ancora deserto, chiuse la porta e raggiunse Sherlock in soggiorno.
- Cosa diavolo ci fai qui a quest'ora?
A differenza dell'altro, aveva smesso di dargli del “lei” da tempo ormai.
Lestrade era l'emblema dell’uomo appena gettato giù dal letto. La vestaglia aperta mostrava i pantaloni scuri, così larghi che erano lì lì per cadere. Sopra ad essi, una canottiera bianca (più sul grigio, in effetti), era un po' arricciata sul fianco destro. I capelli erano un disastro e  sulla guancia destra era rimasto ancora il segno del guanciale. Inoltre, la sua irritazione era evidente e l'ispettore non fece nulla per nasconderla.
Sherlock non se ne accorse, o – molto più probabile – fece finta di non notare.
- Non capisco quale sia il problema.
Si aggirava tra soggiorno e cucina in preda ad un'eccitazione esagerata, abbracciando tutto con lo sguardo.
Solo guardarlo gli faceva girare la testa.
- Sherlock, datti una calmata. Cosa accidenti vuoi?
Lestrade si diresse di nuovo al divano, con l'intenzione di sedersi e magari riaddormentarsi senza aver cura di nulla. Al diavolo l'educazione!
Sherlock, ovviamente, aveva altre idee.
- Non si preoccupi di mettersi seduto, ispettore. Abbiamo da fare!
Il ragazzo lo prese per le braccia e iniziò a spingerlo nel corridoio con energia disarmante.
- Si vesta in fretta!
Lestrade tentò di frenare con i piedi – per poco non inciampò, e Sherlock con lui.
- Di cosa diavolo parli?!
Il più giovane alzò gli occhi al cielo.
- Un caso, Lestrade! Cos'altro?
- Ma è il mio giorno libero!
No, non aveva la minima intenzione di lavorare.
- Non più. L'ispettore Hount è stato davvero contento di cederle l’indagine.
Lo disse con tanta innocenza da apparire spudoratamente falso.
Lestrade era sul punto di protestare ancora, ma convenne che parlare non avrebbe giovato al suo mal di testa, ormai compagno di vita.
- Ti odio, sai.
Borbottò, entrando in camera e sbattendo la porta, con il sorrisetto di Sherlock che gli pizzicava dietro la nuca.
- Non dica bugie, ispettore.



Lestrade tentò in malo modo di nascondere l'indecente sbadiglio che gli si formò sulle labbra, mentre quasi correva per tenere il passo veloce di Sherlock.
Il giovane gli aveva snocciolato tutte le informazioni sul caso, mentre lo aveva costretto a guidare in auto fino al St. Bartholomew's Hospital.
Lestrade appuntò mentalmente di leggere di persona il fascicolo, una volta tornato in ufficio.
Guidare e seguire contemporaneamente la parlantina di Sherlock era stato umanamente impossibile, soprattutto alle nove di mattina, nel tuo giorno libero e senza neanche aver fatto colazione.
Arrivati a destinazione, Sherlock spalancò le porte dell'ospedale con impazienza, pur mantenendo la sua caratteristica eleganza. Quell'uomo era un caleidoscopio di certezze e misteri: sembrava avere la risposta a tutto, ma la sua persona era un'incognita impossibile da risolvere.
L'ospedale era un via vai continuo di personale e pazienti, che attraversavano l'atrio circolare per dirigersi chi in un reparto, chi in un altro.
Sherlock non se ne curò e tirò dritto, diretto all'obitorio.
Lestrade lo seguì con l'ennesimo sospiro della giornata, chiedendosi quale divinità avesse fatto infuriare per non poter godere del suo meritato riposo.
Man mano che si avvicinavano alla meta, scala dopo scala, il brusio della gente iniziò a diminuire e ben presto si poterono udire soltanto i loro passi.
Sarebbe stato preoccupante vedere molta gente nei pressi dell'obitorio, ma quel silenzio gli lasciava sempre un senso di inquietudine, monito perpetuo di ciò che celavano quelle mura.
Ad accoglierli nella stanza fredda e bianca fu una ragazza che Lestrade non aveva mai visto.
Era impegnata a compilare alcune carte, tanto da non accorgersi della loro presenza – almeno fino a quando Sherlock non aprì bocca.
- Dov'è Alison?
La giovane donna sobbalzò per la sorpresa, voltandosi finalmente a guardarli.
Aveva un'area un po' spaesata e le guance le si tinsero subito di rosso, in netto contrasto con gli occhi scuri e i capelli castani, raccolti in una maldestra coda di cavallo.
- Oh... ehm... non è... non è qui.
Squittì in imbarazzo, spostando in continuazione lo sguardo da Sherlock all'ispettore.
- Ovviamente.
Le rispose Sherlock, infastidito dalla banalità di quella risposta.
Lestrade intervenne prima che l'altro potesse incombere su quella povera creatura.
- Sono l'ispettore Lestrade, di Scotland Yard. Lei è....
Le disse con un sorriso rassicurante, mentre le porgeva una mano.
La ragazza gliela strinse, sorridendo con gli occhi un po' bassi.
- Molly Hooper. Sono...
-Il nuovo patologo, ovviamente. Questo è il suo primo giorno di lavoro.
Intervenne Sherlock, con lo sguardo che già spaziava nella stanza alla ricerca del giusto sacco nero.
- Come...-
-Avremmo una certa fretta, Molly. Le avranno già detto perché siamo qui.
Lestrade guardò Sherlock sorridere, con suo grande stupore.
Da quando avevano iniziato a lavorare insieme – circa sette mesi, ma parevano molti di più -  Sherlock non aveva mai sorriso in quel modo. Sembrava quasi volesse affascinare la ragazza, per scopi che l'ispettore era sicuro non fossero quelli giusti.
Comunque fosse, Molly ne rimase estasiata e si mise subito al lavoro.
Greg si era sbagliato: lui il diavolo ce lo aveva accanto.
Molly controllò su una tabella quale fosse il sacco giusto da mostrare loro.
Ad un'osservazione più attenta anche Lestrade poteva capire che quella ragazza non aveva una grande esperienza. A prescindere dall'età e dalla timidezza, i suoi gesti erano impacciati e gli appunti e le annotazioni che stava leggendo non erano certo opera sua.
Era capitato anche a lui e sapeva per esperienza che gli appunti di altri non sono facili da interpretare. Per questo preferiva prendere sempre nota da sé, per avere tutti i concetti ben fissi nella mente e studiarli con attenzione in ogni particolare.
Lestrade sentì Sherlock sbuffare impaziente e gli rivolse uno sguardo di rimprovero, che l'altro ignorò come sempre. Sperava solo che non iniziasse a tormentare la poveretta, rinfacciandole uno dei suoi segreti più intimi, magari.
In quel caso, sarebbe stata la volta buona che lo arrestava per molestie.
-Ecco! E' lei!-
Molly sembrava aver trovato il suo cadavere.
Macabra constatazione, ma almeno Sherlock ne sembrava contento.
I due uomini si avvicinarono al sacco nero, mentre questo veniva aperto in due per mostrare il corpo di una ragazza. Doveva avere circa vent'anni.
Era bella, nonostante tutto, con i riccioli scuri che le circondavano il volto cereo e il corpo magro, ma non troppo. I vestiti le erano già stati tolti e sul petto pallido spiccava il buco profondo che, con ogni probabilità, le aveva tolto la vita. La ferita aveva una forma strana: non era stata provocata da un'arma da fuoco, ma nemmeno da un coltello; era più piccola e di forma quadrata.
-Allora, l'arma del delitto è...
Lestrade iniziò con tono pacato, mentre osservava attento le mosse di Sherlock. Il giovane,  dopo aver allontanato Molly con un altro di quei suoi stranissimi sorrisi – stava tramando qualcosa, ne era certo – aveva iniziato a girare attorno al corpo, osservandolo con una piccola lente di ingrandimento tascabile.
- Ne abbiamo già parlato in macchina.
- Stavo solo riepilogando. A noi comuni mortali torna utile qualche volta.
Rispose sarcastico, ma Sherlock lo ignorò ancora una volta.
Si piegò sul petto della donna, osservando attentamente la ferita attraverso la lente.
- Un crocifisso.
- Un crocifisso, giusto.
- Era davvero necessario ripeterlo?
Sherlock terminò il suo esame, sfilando i guanti in lattice dalle dita affusolate.
Lestrade continuò a guardare il corpo e quella ferita dalla forma singolare. Se l'arma del delitto era un crocifisso, le cose non si mettevano affatto bene. Avrebbe potuto essere una sorta di rituale di qualche setta e se fosse stato così, la probabilità che presto se ne sarebbe verificato un altro era alta.
-Non è un rituale, ispettore.
Lestrade alzò la testa di scatto, distolto dai suoi pensieri.
Sherlock lo fissava con il solito sorrisetto arrogante e per un attimo Gregory si chiese se fosse anche in grado di leggere la mente.
- Come...?
- L'interno della ferita. E' troppo irregolare: il crocifisso era scheggiato e le tracce di legno provengono da materiale poco costoso. Se fosse stato un rituale, a compierlo sarebbe stato un credente, ovviamente, e un vero credente non avrebbe utilizzato qualcosa di così poco raffinato. Avrebbe utilizzato un crocifisso consacrato, tenuto in buono stato. Quindi non è stato un rituale, ma è stato fatto in modo che sembrasse tale.
Lestrade assorbì bene le informazioni.
- Quindi hanno cercato di depistarci.
- Ottimo, ispettore.
Si congratulò l'altro, ma di certo Lestrade non lo prese come un complimento.
Sherlock non faceva mai complimenti, al massimo poteva trattarsi di un piccolo riconoscimento.
Come a dire che per una volta il suo cervello aveva deciso di mettere a frutto qualcosa di vagamente intelligente e quindi si alzava di appena un gradino al di sopra degli altri, restando comunque mille miglia lontano dalla cima. Gregory immaginava ci fosse Sherlock sull'ultimo gradino: una figura scura stagliata lontano, alta e imponente e irraggiungibile.
- Ho bisogno di vedere la scena del crimine.
Annunciò Sherlock, all'improvviso.
- Come, non l'hai già vista?
Fu divertente – Lestrade fece uno sforzo enorme per non mettersi a ridere -  vedere la piega quasi invisibile che increspò le labbra del più giovane, creando una buffa smorfia di disappunto.
- Non mi hanno fatto entrare.
A quel punto non ce la fece a trattenersi e una risata leggera gli sgorgò dal fondo della gola.
- Cosa ti aspettavi? Avresti bisogno del distintivo per accedere ad una scena del crimine.
Sherlock lo fulminò con lo sguardo, ma Lestrade aveva imparato dal migliore ad ignorare certe cose.
- Andiamo, te la mostro.
L'ispettore si morse il labbro inferiore per impedirsi di ridere ancora, ma il solo pensiero di qualcuno che osava impedire qualcosa a Sherlock era esilarante.
- Aspetti, devo chiedere una cosa. Molly?
Lestrade guardò dubbioso la ragazza avvicinarsi. Aveva come l'impressione che non avesse mai smesso di fissarli – o meglio, fissare Sherlock –  dall'angolino in cui si era nascosta per tutto il tempo.
Strana creatura.
- Si? Avete bisogno di qualcos'altro?
Chiese timida, gli occhi rivolti quasi con fatica verso l'alto, puntati in quelli di Sherlock.
In confronto alla donna, l'uomo pareva un gigante.
Non che Gregory fosse poi così alto.
Sherlock sorrise - di nuovo?
Una nuova catastrofe stava per abbattersi sulla Terra e lui non ne sapeva niente?
- Sono certo che Alison ti avrà già riferito le mie richieste, Molly-
Il modo in cui aveva pronunciato il nome della ragazza fece salire un brivido spiacevole lungo le scapole dell'ispettore.
- Richieste?
- Non te ne ha parlato? Un vero peccato. Mi aveva promesso alcuni campioni.
- Campioni?
- Dita. Si tratta di un'importantissima ricerca scientifica.
Adesso Lestrade capiva benissimo a cosa servisse quel sorriso.
- Oh... beh... è una strana richiesta, ma se le servono...
Molly spostò incerta gli occhi da lui a Sherlock, ma bastò che le labbra del giovane accentuassero un po' di più il sorriso palesemente falso, che Molly gli sorrise radiosa.
- Certo. Vado a prenderle.
E si dileguò, lasciando uno Sherlock profondamente soddisfatto e un Lestrade a dir poco scioccato.
- Alison non ti ha promesso niente. Anzi, se non sbaglio ti ha vietato categoricamente di rubare pezzi di cadavere dall'ospedale!
C'erano tanti motivi per cui Lestrade avrebbe potuto arrestare Sherlock, ma in qualche modo sapeva sarebbe stato inutile.
Sherlock lo guardò inarcando le sopracciglia, come se fosse davvero confuso.
- Non li sto rubando. E' Molly a darmeli.
Gregory aprì la bocca per ribattere, ma si limitò a scuotere la testa.
Era del tutto inutile.
Sherlock distolse lo sguardo e si guardò attorno in attesa.
Passarono un paio di minuti, durante i quali l'unico gesto da parte del giovane fu quello di toccarsi  inconsciamente il braccio sinistro, prima che interrompesse il silenzio.
- Lei può andare, ispettore. La raggiungerò più tardi.
Lestrade, le mani giunte dietro la schiena, lo guardò con le sopracciglia piegate verso il basso.
- Non è un problema, posso aspe...
- No, non può. Vada.
Sherlock non lo guardava, ma l'ispettore era sicuro che ci fosse qualcos'altro oltre al fastidio di restare in attesa con lui. D'altronde, Sherlock non si sarebbe mai fatto problemi neanche a farlo aspettare ore al gelo sotto la pioggia – come era già capitato, dopotutto.
Prima che potesse chiedere qualsiasi cosa, comunque, l'altro lo anticipò.
- Devo fare una cosa. La raggiungerò più tardi.
Il tono usato aveva messo la parola fine a quella conversazione.
Lestrade sospirò frustrato. Di certo Sherlock non gli avrebbe mai detto quale fosse questo impegno improrogabile di cui doveva occuparsi. Più importante di una scena del crimine?
- Va bene, ci vediamo lì.
Lasciò la stanza senza guardarsi indietro, ma con addosso la strana sensazione che qualcosa non quadrava. Forse Sherlock era eccezionalmente bravo nel capire le mosse degli assassini o nell'individuare qualsiasi tipo di indizi, ma anche Lestrade era bravo a capire certe cose, cose che Sherlock non era in grado di scorgere.
Ci avrebbe pensato in seguito. Ora aveva un crimine da risolvere.
Infatti, avrebbe dovuto passare in ufficio per prendere il fascicolo relativo al caso e verificare tutte le informazioni importanti.
Stava appunto per lasciare l'ospedale, quando una strana discussione attirò la sua attenzione.
- Sei tu l'unica ad avere le chiavi e un movente! Lo so che sei stata tu!
- Io non ho fatto nulla, lo giuro!
Lestrade si guardò attorno per scovare la fonte del dibattito. La trovò poco distante da lui, in un angolo dell'atrio circolare. C'erano due ragazze – due infermiere, a giudicare dal camice azzurro che indossavano –  che stavano discutendo tra di loro. Il tono si era fatto man mano più alto, tanto che molte persone si erano voltate a guardarle. Loro non sembravano darci peso, troppo impegnate nella loro discussione.
Da buon poliziotto, Lestrade decise di intervenire.
- Qualcosa non va, ragazze?
Chiese il più gentilmente possibile, mostrando il distintivo. La più alta sembrava tanto indemoniata che Gregory ebbe paura potesse saltargli al collo. Per fortuna si limitò a leggere il nome sul distintivo, prima di urlargli nei timpani:
- Agente, questa qui è una ladra!
Aveva un viso affilato, occhi piccoli e scuri e un'alta coda di cavallo che raccoglieva i lunghi capelli corvini. Indossava uno spesso paio di occhiali rotondi che le davano un aspetto buffo e allo stesso tempo terribilmente inquietante.
L'altra, più giovane, era minuta e molto magra. Aveva corti capelli biondi e due grandi occhi verdi, un po' spauriti. Si stava contorcendo le mani in preda all'ansia e al nervosismo, ma a Lestrade non sembrava proprio il tipo da rubare qualcosa.
- Cosa è stato preso?
Cercò di informarsi, più per amor della giovane malcapitata. Non bisognerebbe mai accusare nessuno senza avere delle prove ben concrete.
La donna con gli occhiali fece un passo in avanti, verso di lui, e per un attimo Lestrade pensò davvero che lo avrebbe azzannato.
- Farmaci!
- Che tipo di farmaci?
- Per lo più morfina, ma anche altri tipi di antidolorifici.
Rispose la più giovane, guardandolo intimorita.
Lestrade le sorrise gentile, cercando di rassicurarla.
Fino  a prova contraria restava innocente.
- Avete già parlato con la polizia?
Chiese con la fronte corrugata. Sembrava trattarsi di un semplice furto.
- Lo abbiamo fatto, cinque mesi fa! Non abbiamo più avuto risposta e i farmaci continuano a sparire.
E' stata lei, le dico! Sua nonna è malata e sofferente e le starà sicuramente portando la morfina per aiutarla!
Le due ragazze iniziarono di nuovo a litigare e Lestrade quasi si pentì di aver adempiuto al proprio dovere.
- Calma, calma.
Dopo qualche tentativo riuscì ad ottenere di nuovo la loro attenzione.
- Chi si occupa del caso?
Le due si guardarono un momento, prima che l'accusata lo informasse di non averne memoria.
- Sentite, cercherò di fare qualcosa, va bene? Per adesso nessuno accusa nessuno, ok?
Quella con gli occhiali si morse il labbro inferiore, in dubbio, ma poi annuì.
- Grazie.
Gli disse invece la più giovane, riconoscente.
Lestrade sorrise loro, prima di congedarsi.
Una volta uscito dall'ospedale si passò una mano sugli occhi, sospirando frustrato.
Mentre si avviava verso la sua auto, pensò distrattamente che doveva davvero smetterla di immischiarsi in faccende che non lo riguardavano.
Ogni volta che lo faceva finiva sempre in qualche sorta di guaio.
Sherlock ne era la prova più esemplare.

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Capitolo 5
*** The world's spinning in his own way ***


IV capitolo

The world's spinning in his own way








L'appartamento era di piccole dimensioni. Contava in tutto tre stanze: il bagno, la cucina e il soggiorno, che fungeva anche da studio e da stanza da letto.
Lestrade si trovava in mezzo a quest'ultimo.
Tra il via vai continuo dei tecnici della scientifica poteva scorgere una scrivania, sommersa da un'ingente quantità di fogli, penne e giornali sparsi in modo disordinato, un po' sulla superficie laccata di un tenue grigio perla, un po' sul pavimento piastrellato di bianco.
Era un chiaro segno di colluttazione, ma in mezzo al disordine dell'appartamento (vestiti sparsi sul letto disfatto, briciole sul pavimento, scatole di take away e piatti sporchi nel lavabo della cucina), non appariva tanto strano quanto avrebbe dovuto.
Al centro della stanza, a terra, un cerchio di gesso e strani simboli. Nel suo perimetro, la sagoma del corpo e il sangue che si era lasciato dietro.
Le pareti, colorate di un pallido giallo estivo, erano illuminate dalla calda luce del mattino, che penetrava dall'unica finestra della stanza.
Spalancata.
Una scelta della scientifica a quanto pare, che dopo aver fatto tutti i prelievi più importanti aveva deciso di cambiare aria, per liberarsi dell'odore acre di morte e sangue comune a tutte quelle situazioni.
Un venticello fresco accarezzò il viso dell'ispettore, quasi beffandosi della tragedia avvenuta.
Sherlock non ne sarebbe stato contento, Lestrade poteva quasi sentirlo urlare su quanto fossero idioti, di come, aprendo quella finestra, avessero probabilmente distrutto qualche prova importante - il tutto seguito da un'altra serie di insulti poco gentili.
Lestrade sospirò, le mani nascoste in tasca e lo sguardo indagatore che vagava per lo spazio circoscritto. Solo lui poteva collaborare con qualcuno che pretendeva di risolvere un crimine tenendo il naso per aria.
E se questo non fosse stato vero, almeno, si sarebbe sentito meno idiota.
L'ispettore aprì con senso pratico il proprio taccuino.
A salutarlo, i suoi appunti, scritti con una calligrafia ancora un po' elementare.
La vittima era Carolyn Eden. Aveva ventidue anni e studiava medicina presso l'università di Oxford. Si era trasferita in quell'appartamento da pochi mesi. La madre abitava a due isolati di distanza, insieme al fratello minore. Il padre, invece, se ne era andato di casa due anni prima. Carolyn ne aveva denunciato la scomparsa, ma la madre aveva rassicurato la polizia che il marito era andato via di sua spontanea volontà. La faccenda non era andata oltre.
Perché allora la ragazza credeva il contrario?
- Vedo che ha iniziato a farsi le domande giuste.
La voce alle sue spalle lo fece sussultare.
Sherlock gli si era avvicinato con passo felpato, molto simile al predatore che si appresta all’assalto della propria preda.
- Smettila di apparire come un fottuto fantasma.
Borbottò l'ispettore, contrariato – senza prendersela davvero più di tanto.
Non si domandò nemmeno come l'altro fosse a conoscenza dei suoi pensieri.
Sherlock era fatto così.
- Finestra spalancata? Ottimo lavoro, razza di idioti!
Ecco, lo sapeva.
- Smettila. E come sei entrato, comunque?
Sherlock alzò le spalle, disinteressato.
- Ho preso in prestito un distintivo.
Lestrade portò d'istinto una mano alla tasca della giacca. Il suo era ancora lì e ciò voleva dire che lo aveva preso altrove, forse da qualche povero agente nei dintorni.
A volte si domandava seriamente se Sherlock non fosse un qualche tipo di criminale in incognito.
- Non puoi farlo! E' un reato!
- L'ho fatto e lei non mi sta ancora arrestando, come vede.
Prima di avere la possibilità di replicare, Sherlock lo zittì con una mano.
L'ispettore smise all'istante di parlare e, reprimendo l'insana voglia di prendere l'altro a schiaffi, concesse  spazio e silenzio alla mente del giovane. Sperava solo che il ragazzo non lo costringesse a mandare via tutti, come era già successo un paio di volte in precedenza. Lestrade poteva capire che Sherlock aveva bisogno di silenzio per pensare, ma nessuno li conosceva, lì – se non di vista e per sentito dire – ed era già abbastanza frustante dover lavorare con sconosciuti, senza dover aggiungerci anche la loro antipatia.
Per fortuna, Sherlock sembrò badarci poco, questa volta.
Iniziò a camminare per il soggiorno, con passi piccoli e misurati. Si piegò sulle ginocchia –  senza che queste toccassero il pavimento – e passò un dito sulle piastrelle, vicino ai bordi del cerchio.
Indossava un paio di guanti in lattice, ovviamente.
Esaminò qualche foglio, limitandosi a leggere i primi righi di alcuni di essi, mentre ad altri prestò maggiore attenzione. Avvicinatosi alla scrivania, prese tra le mani una cornice rovesciata, per poi lasciarla sul posto così come l'aveva trovata. Si soffermò nei pressi della libreria, sfiorò con l'indice vari titoli e si guardò attorno, notando altri libri sparsi per la stanza.
Con un sorriso soddisfatto, concluse la sua osservazione.
- Cosa mi sai dire?
- Non molto.
L'ispettore sapeva che mentiva. Il sorriso compiaciuto e un po' arrogante sulle labbra di Sherlock gli diceva tutto il contrario.
- Quindi?
Odiava quando si metteva in mostra, tenendolo sulle spine.
- Due persone.
- Ne sei sicuro?
Si fidava del ragazzo, aveva dovuto ammetterlo a se stesso solo qualche tempo addietro, ma il suo lavoro era quello di avere prove concrete, fare domande e capire – quindi, in un modo o nell'altro, cercare di penetrare nella mente di Sherlock.
Il giovane sospirò con fare drammatico.
- E’ sufficiente osservare questa stanza per capirlo. L'assassino era arrabbiato, data la violenza del colpo inferto alla vittima, che ha scaraventato prima contro la scrivania – lo si può dedurre facilmente dai documenti sparsi in modo così disordinato - e poi sul pavimento. Il cerchio e i simboli – devono far parte di qualche antica religione - sono stati realizzati dopo l'omicidio stesso e da una lettura veloce di questi documenti, desumo che ne manchino diversi. Dopo un omicidio del genere, l'assassino non avrebbe avuto lucidità sufficiente per curare tutti questi dettagli. Ergo, deve essere intervenuta una seconda persona, legata all'assassino in qualche modo. Infatti, tutto è stato fatto con lo scopo di proteggere l'omicida. Come ha provato a coprire le tracce? Semplice. Il sangue della vittima si trova soltanto attorno al corpo e solo all'interno del cerchio. Il pavimento qui intorno è più lucido rispetto ad altre zone dell'appartamento. Il complice ha lavato via parte del sangue per disegnare il cerchio, ha pulito la scrivania e si è sbarazzato di molti documenti. Probabile che l'assassino, in preda alla rabbia, abbia toccato molti oggetti lasciando le proprie impronte. Il complice ha fatto davvero un ottimo lavoro, splendido!
Lestrade evitò di far notare a Sherlock quanto fuori luogo fosse stato il suo ultimo commento, preferendo concentrarsi sulle informazioni ricevute.
- Se quello che hai detto è vero e non ti stai inventando tutto di sana pianta...
Sherlock lo trafisse con lo sguardo, quasi a volerlo fulminare.
- ... la vittima conosceva il suo assassino.
Le labbra del giovane si piegarono un po' all'insù, in una smorfia molto simile ad un sorriso compiaciuto. Lestrade notò distrattamente che aveva delle profonde occhiaie e un evidente bisogno di riposo.
- Il complice deve aver preso anche il computer della vittima.
- Come fai a dirlo?
- Questi documenti sono stati scritti al computer, ma di quest'ultimo non c'è traccia. A giudicare dai segni ancora visibili sul polso della ragazza, lo stava usando poco prima di essere assassinata. Quindi, l'assassino o il suo complice devono averlo preso con loro.
- La ragazza aveva scoperto qualcosa? Qualcosa contro di loro?
- Ovvio, ma cosa?
Sherlock unì i palmi delle mani, le punta delle dita che gli sfioravano appena le labbra.
Quando assumeva quella posizione, era pericoloso interrompere il corso dei suoi pensieri. Così, Lestrade decise di fare qualcosa per conto suo.
Aveva bisogno di sapere di più sulla vittima e sulle sue relazioni. Se aveva un ragazzo, un lavoro, chi erano i suoi compagni di corso. Delegò il compito a un paio di agenti.
- Una giornalista.
- Cosa?
Lestrade non si era neanche accorto che Sherlock gli si era avvicinato.
- La vittima era una giornalista. Non di professione, ma si dilettava a scrivere alcuni articoli. Deve aver intrapreso la facoltà di medicina per volere della madre, ma voleva diventare una giornalista.
- Come fai a saperlo?
- I libri sulla scrivania. Sono i suoi libri di corso, ma c'è un sottile strato di polvere su di loro, ne deduco che venivano usati molto poco. Non le interessava la medicina, aveva intenzione di abbandonare la facoltà. Per la stanza, invece, sono sparsi molti testi di scrittura e articoli sul giornalismo. Sono piuttosto logori, segno evidente di un utilizzo continuo. Usava il computer per le sue ricerche e per scrivere i suoi articoli. Deve aver scoperto qualcosa, qualcosa di importante...
- Qualcosa che l'ha fatta ammazzare.
Concluse Lestrade, che adesso vedeva la situazione molto più chiaramente.
Sentì il proprio corpo pervaso da una familiare sensazione. Empatia, forte e dolorosa. Per quanto ci provasse, abituarsi a certe cose gli era impossibile. Non era un santo. Aveva anche lui i suoi vizi, fumava, perdeva la pazienza e a volte beveva un po' più del necessario, ma proprio non riusciva ad accettare che al mondo esistesse tanta crudeltà. Spesso si domandava se quella perseguita da loro fosse davvero la giustizia, perché a quanto sembrava più si cercava di essere onesti, più si rischiava di finire con i piedi nella fossa.
Molti bastardi avrebbero continuato a vivere, mentre a quella povera ragazza il futuro era stato precluso per sempre. Era ingiusto, eppure il mondo girava in un modo tutto suo e nessuno avrebbe potuto davvero cambiare le cose. Anche Lestrade ne era consapevole. L'unica speranza restava nelle piccole azioni, in quel po' di pace che potevano donare agli altri trovando risposte alle loro domande.
- Chi ha trovato il corpo?
Sherlock si infilò tra i suoi pensieri con la solita voce baritonale, riportandolo con i piedi per terra. Lestrade sfogliò di nuovo i suoi appunti.
- Una sua compagna di corso. A quanto pare dovevano incontrarsi per studiare, stamattina, intorno alle sette. Aveva le chiavi dell'appartamento, così quando è entrata ha trovato il corpo.
L'ora della morte è stimata intorno al pomeriggio di ieri, ma dobbiamo aspettare i risultati dell'autopsia per avere un dato più preciso.
Lestrade corrugò la fronte.
- Pensi possa essere stata la ragazza?
- Improbabile. Il modo in cui tutto è stato ripulito è molto accurato. E' stato fatto con mano ferma ed esperta, non credo che una semplice universitaria possa averlo fatto, ma per essere certo avrei bisogno di vederla.
Vederla, non interrogarla.
Lestrade annuì distrattamente, mentre decideva sul da farsi.
- Devo parlare prima con la famiglia. Vuoi venire?
Sherlock non gli rispose, ma lo precedette verso l'uscita, dando così il suo consenso.
Lestrade lo seguì subito dopo.
Sarebbe stata una lunga giornata.







Angolino di Baci
Mi dispiace tantissimo per il ritardo, ma avrò iniziato e riscritto questo capitolo almeno un centinaio di volte. Un vero parto! Purtroppo è più corto rispetto agli altri, ma mi sono appena accorta che il giallo non è proprio il genere più facile da scrivere, almeno per me, quindi sto cercando di andare con calma per non ingarbugliarmi tra le mie stesse idee. Vedetelo come un capitolo di presentazione del delitto XD Ok, la finisco di dire cretinate e prego che il capitolo via sia piaciuto almeno un pochino. Spero di rivedervi al prossimo aggiornamento XD Baci e buona notte! <3

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