Tutti dicono I love you

di Fra The Duchess
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tempo condizionale ***
Capitolo 2: *** Voce morta ***



Capitolo 1
*** Tempo condizionale ***


Rimestava la farina con mano svogliata, facendola cadere in bianchi sbuffi sul tavolo, per terra e sul suo grembiulino verde primavera. Allungando il braccio si protese a prendere la busta del lievito, ma aprendola la scoprì vuota.

Sbuffò seccata, ma prima che la potesse fermare, l'immaginazione aveva già preso a galoppare, e ben presto si trovò a sognare ad occhi aperti.

Ecco Nino, lo vedeva scendere frettoloso per la via, coprendosi malamente dalla pioggia con la giacca scura e lisa tirata fin sopra il capo, dritto verso il fruttivendolo dell'angolo tra rue Besançon e rue Magritte. Jules, il giovane fruttivendolo gli avrebbe sorriso affabile mentre metteva a posto la cesta di radicchio rosso, e Nino gli avrebbe chiesto: -Una busta di lievito, Jules, per favore.-

Jules avrebbe allargato il sorriso candido tra la carnagione ambrata. -Ah! La signorina Lori deve preparare la sua quiche lorranie, eh? Glielo do subito!-

-Grazie, Jules, a presto!- la voce di Nino era così ansiosa di poter risalire e stare in casa all'asciutto!

Avrebbe fatto le quattro rampe di scale coi gradini a due a due, poi leggermente col fiatone, sarebbe entrato di soppiatto, facendo piano, poggiando con cautela le scarpe appena bagnate per evitare che il parquet scricchiolasse, e dalla porta della cucina l'avrebbe osservata con un sorrisino divertito, trattenendosi dal ridacchiare sommesso, e si sarebbe soffermato solo quel poco per poterle guardare le spalle appena scoperte dalla maglietta blu.

Poi avrebbe fatto tintinnare appena, appena i lunghi fili di perline colorate che cadevano a cascata davanti alla porta della cucina, carezzandoli lieve come una carezza intima...

Lori bloccò le fantasie, e ascoltò con un piacevole fremito i fili dell'uscio alle sue spalle che tintinnavano piano. Si voltò di scatto, col cuore in gola, ma vide che Robespierre, il suo gatto tigrato, la osservava pigro coi suoi enormi occhi gialli a metà uscio, le perline che incorniciavano la sua figura snella e felina.

Lori sentì un enorme groppo alla gola. Era stato così reale! Aveva sentito sulla pelle lo sguardo affettuoso di Nino, le era parso persino di sentirlo mentre tratteneva il fiato per evitare di tradirsi con le risatine, lo aveva sentito correre nella via sottostante per cercare di evitare di inzupparsi sotto la lieve pioggia d'aprile. Se l'era davvero tutto sognato?

Singhiozzò piano, sconsolata, chiusa nel suo piccolo nucleo di dolore personale, per non aver Nino con lei, per non averlo lì accanto, pronto ad abbracciarla e poterla consolare. Ma in fondo non era colpa sua? Certo che sì, colpa sua, stupida Lori che non sei altro! Dovevi trovare il coraggio di avvicinarglisi quando ti cercava, no? Avresti potuto dirgli che non avevi pensato che a lui per tutti quei tre mesi, che aveva giocato al gatto col topo, ma che in fondo era perché lei era timida e nonostante gli anni, aveva ancora timore di farsi avanti. Se non avesse sprecato le occasioni ora lui sarebbe stato seduto sul divano in sala, col braccio destro attorno alle sue spalle mentre la ascoltava pazientemente con quel sorriso buono e semplice che aveva pure quando passeggiava per strada...

Alt.

Lori si fermò. Basta pensare al condizionale. Meglio il futuro, o il presente. Lori andrà, uscirà, lo fermerà, gli parlerà. Basta vivere di ipotesi e rimpianti.

Asciugandosi tempestosamente le lacrime con il polso pulito, non si tolse nemmeno il grembiule e corse alla porta, la spalancò e Nino stava davanti a lei.

Si bloccò, fermandosi giusto in tempo per non rovinarglisi addosso, e alzò lo sguardo in muto stupore, trovando gli occhi di Nino che la fissavano altrettanto stupiti, la mano ancora alzata nell'atto di bussare.

Ci fu un attimo di silenzio un po' sconcertato.

Nino era davvero lì? Al presente? Non al condizionale?

L'altro la fissava ammutolito, osservando come il piccolo naso di Lori fosse piacevolmente bianco di farina, e stava già mormorando: -Mio dio, ma...-, quando lei gli tappò la bocca con dito pallido e morbido, e lo trascinò per il bavero dentro casa. La porta la chiuse con un piede, e quella sbatté rumorosamente facendo rimbombare il suono per la tromba delle scale, come a far intendere a tutti i condomini che per quella serata nessuno avrebbe dovuto dar fastidio all'appartamento B del quarto piano.

Lori lasciò piano la presa sulla giacchetta leggera di Nino, constatando che quello che aveva davanti era davvero la realtà, nessuna fantasia. Con la coda dell'occhio si vide nello specchio a parete sulla sinistra, quel vecchio cimelio della nonna che nessun cugino o zio aveva voluto in casa, ed eccola lì col capo alzato a fissarsi nei grandi occhi chiari e acquosi di Nino; la sua immagine le mostrò un sorriso smagliante, e facendole l'occhiolino le fece il pollice insù come segno di incoraggiamento. Rivolse all'immagine un sorrisino accennato di gratitudine, e tornò al suo uomo. E senza dire nulla si allunò a baciargli cauta le labbra sottili. Non aveva sbagliato: sapevano proprio di caramella alla fragola.

E per un bel po' nessuno uscì o entrò nell'appartamento.






N.d.A. Carissimi, per chi l'avesse riconosciuto: questo è un breve flash ispirato al delizioso film "Il favoloso mondo d'Amélie". Dopo la prima visione (anni fa), l'ho rivisto la primavera scorsa e me ne sono innamorata perdutamente. Non potevo fare altro che pensarci, canticchiando la canzone principale ("La vals d'Amélie" di Yann Tiersen) e ripensando alla dolce Amélie, a quanto mi assomigliava per questa sua passione nel sognare ad occhi parti una realtà alternativa e migliore dell'esistente. Giuro che ancora adesso nella scena in cui piange mi vengono su le lacrime agli occhi. Insomma, ne ero ossessonata. E il migliore modo per esorcizzarmi è sempre stato la scrittura. E racconto fu.

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Capitolo 2
*** Voce morta ***


Lo guardò, in silenzio come sempre.

-Cosa siete venuta fare qui?- fece lui brusco, sdraiato sul suo scomodo letto nell'angolo buio a destra della capanna. -Non...non mi pare abbiate dimenticato qualcosa qui.-

Lei tamburellò le mani sulla grande gonna, avanzando di un passo.

George si tirò a sedere, si passò lento una mano tra i folti capelli scompigliati e con un sospiro alla fine si alzò.

-Steward sa di noi?- chiese piano.

Ada camminò avanti e indietro come una tigre in gabbia, irrequieta.

-Il piano è arrivato a casa senza problemi?- continuò cercando di interpretare gli occhi enormi di Ada.

Lei evitò il suo sguardo, sempre più ansiosa.

-Volete sedervi?-

Non rispose.

-Beh, mi siederò io allora.- Aveva finito le domande di cortesia. Alzò il capo e la squadrò accigliato. -Ada... Sono infelice.- Le rivolse un sorriso sghembo, che non riuscì a velare la sua profonda tristezza. Ada concentrò il suo sguardo intenso su di lui, così enorme su quello sgabello minuscolo. -Ti voglio.- Per un attimo ebbe la sensazione che Ada avesse trattenuto il respiro. -Sono...malato di desiderio.- Sbuffò con un mezzo sorrisino, cercando le parole giuste da poter dire. -Non mangio più. Non dormo più.- Con aria grave tornò a guardarla e rimase un breve secondo a galleggiare nelle sue enormi iridi nocciola.

Ada fremeva. Osservava l'omaccione confessare il proprio desiderio senza mezzi termini, ricorrendo a parole consumate e lise dal loro utilizzo, mentre con occhi piccoli e chiari le scrutava l'anima.

-Se...se non provi davvero qualcosa per me, puoi anche andartene- e con fare vinto crollò, afflosciandosi con le braccia sulle ginocchia. Gli parve quasi di udire lo scalpiccio dei suoi stivali sulle asse scure, tac tac tac. Eppure lei stava ancora lì.

Alzò il capo con cautela, studiando l'esile figura nell'ingombrante vestito scuro davanti a lui, eretta e fiera. -Vattene- gli tremò la voce, e per dare enfasi alla frase indicò con un gesto secco della testa la porta semichiusa.

Ada non si mosse. Lo continuava a guardare in quella maniera angosciosa di chi scorge nel mare burrascoso la terra da lontano.

Con furia si alzò, il panchetto si rovesciò a terra, e aprì la porta violentemente. -Vattene!- le gridò stringendo le mani sullo stipite.

Lei rimase immobile con gli occhi sgranati e lucidi, poi a labbra serrate avanzò con quel suo portamento da gran dama, e piazzandoglisi davanti lo schiaffeggiò a tradimento. Lo picchiò ancora e ancora, le braccia esili e sottili come fuscelli ma carichi del suo volere ferreo; poi scivolò a terra con aria incredula, come se si stesse chiedendo pure lei cosa ci stesse facendo lì.

George chiuse la porta e le si inginocchiò davanti. Attimi di un silenzio vibrante e non muto, come i suoi occhi dardeggianti, ed infine fu lei per prima a gettargli le braccia al collo, affondando il naso nel suo incavo riconoscendo l'odore familiare di casa, di affetto e di tenerezza. Lui la baciò irruento.

-Ti amo- le mormorò con cipiglio aggrottato, spaventato da loro stessi.

Ada mugolò al suo orecchio mentre la esplorava sotto i vestiti.

Sorpreso George ad un tratto si chinò per udire meglio, interrompendo le loro danze frenetiche. -Dillo. Per favore. Sussurramelo.-

Ada gli si strinse contro con maggior necessità. Ma lui non se l'era sognato: aveva appena ascoltato il fruscio della rinascita di una voce morta.







N.d.A. Il film a cui mi sono ispirata è stata un'altra mia grande ossessione, persino peggio che per la dolce Amélie Poulain. Il film è "Lezioni di piano" (guardatelo, ragazzi, è una BOMBA), e me lo sono sciroppato durante le lezioni di "Storia della Gran Bretagna e del Commonwealth" l'anno scorso. Sì, c'era la professoressa esaltata che fermava il film ogni 5 minuti per commentare in tempo reale ogni minimo avvenimento della storia, ma è stato meglio così, perchè l'ho capito fino in fondo in questa maniera. Una storia tormentata, lei muta per sua scelta e lui reietto nella società ottocentesca neozelandese per preferire il contatto coi maori. Ero fuori di me. Ci pensavo, ci pensavo e ci pensavo. E piagevo come una fontana per lei, Ada. Oddio, quanto sono piagnona! XD E mi sono dovuta esorcizzare a forza, e finalmente mi sono riuscita a calmare. Almeno un po'.

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