Ho osservato il taglio degli occhi e ho capito verso dove gira il mondo.

di AquilaSognatrice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** New York. Lavanderia. Obiettivo raggiunto. ***
Capitolo 2: *** Dentro e fuori ***
Capitolo 3: *** Incontri parole, sospetti ***
Capitolo 4: *** Una barriera contro il mondo. ***
Capitolo 5: *** Proposte. ***



Capitolo 1
*** New York. Lavanderia. Obiettivo raggiunto. ***


New York ha sempre il suo fascino.
Anche se gestisci una lavanderia in uno dei quartieri più squallidi.
Sono Sara, ho 20 anni e ho un segreto.
Sono nata in Francia, cresciuta in Italia e scappata da una società troppo chiusa per venire qui, nella capitale dell'apertura. C'è parecchia confusione sulla mia effettiva nazionalità, ma non mi do la pena di decidere quale sia.
Avevano grandi progetti per me. Tante passioni.
Una “bella testolina”. Un buon percorso scolastico. Amante della cultura. Credo di aver deluso tutte le aspettative. Sono capitata qui, nella Grande Mela, con l'Erasmus, per studiare, abbandonando tutto dopo un solo anno per riuscire a realizzare il mio di sogno: conoscere la gente. Non si parla di “socializzare”, non ne sono capace, qui si tratta di osservare: un'arte, una pratica e un'attività che ti impegna, mettendo in gioco anche te stessa.
La gestione di questa lavanderia è stata la prima e unica fonte di lavoro che mi hanno offerto da quando sono qui e l'ho accettata al volo perchè, pur non facendomi godere di uno stipendio troppo ricco, mi permette di osservare una vasta gamma di esseri umani che, vivendo nella capitale delle stranezze, sono tra i più svariati.
Lavoro in questa stanzina da quasi un anno e ho riempito sei quaderni di descrizioni un po' dedotte e un po' inventate dei miei clienti assai originali.
Ognuno, nei propri gesti, mi fa capire qualcosa di sé, qualcosa di intimo, e io, con l' I-Pod nelle orecchie, trascorro le mie giornate immaginandomi le loro case, le loro famiglie, la loro tipica giornata e, a volte, anche la loro vita più intima.Arrivata a “casa”, se si può definire tale il buco che divido con la mia migliore amica Anna, per tutti Nì, metto tutto per iscritto sui quaderni a righe di carta riciclata che ogni anno mia madre mi manda per il compleanno, scegliendo ogni volta un motivo floreale diverso da mettere in copertina.
Scrivo storie di vite non mie in cui racchiudo esistenze che avrei voluto avere, che appartengono ai miei incubi più oscuri o che sogno di notte senza sapere se sono ciò che desidero o meno. 
Tesso vite come la sarta che lavora in parte alla lavanderia tesse calzini.
Talvolta mi ci immedesimo a tal punto che risulta quasi doloroso tornare alla mia realtà.
Ho ricevuto un dono importante nella mia esistenza che mi appartiene da quando sono nata: la fantasia.
E' la fantasia che mi permette, ogni giorno, di immaginare o forse di vedere effettivamente gioie inespresse, nostalgie velate, maschere di felicità, tristezze di circostanza e volti indifferenti nelle espressioni dei miei clienti.
Nì dice che secondo lei il mio passatempo è un po' perverso, ma la verità è che alla sera, a cena, si diverte anche lei a leggere le mie invenzioni e, spesso e volentieri, mi offre anche spunti e consigli sugli identikit dei miei personaggi.
 
Pur “conoscendo” così bene i miei clienti, non ho mai parlato con nessuno di loro e loro non hanno mai avuto il bisogno di parlare con me, per questa ragione, quando, in un ozioso pomeriggio, un uomo che osservavo molto attentamente mi rivolse la parola, rimasi stupefatta.
Non avevo mai pensato al fatto che sentire le voci delle persone potesse aiutare a capire qualcosa di più su di loro.
 
 
Angolo autrice.
Okok è la prima volta che pubblico qualcosa, quindi se dovessi sbagliare, vi prego aiutatemi. Questa è solo l'introduzione però nei prossimi capitoli (alcuni sono già pronti quindi saranno ad aggiornamento veloce) pubblicherò le brevi storie che la ragazza (solo in parte autobiografica)  ha scritto sui suoi clienti. Vi prego commentate e criticate qualsiasi cosa vi passi per la testa. A presto! Aquila :)

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Capitolo 2
*** Dentro e fuori ***


Dentro e fuori.

 

A John piacevano i palloncini. Non gli piaceva il suo nome perchè era troppo banale.

A John piacevano gli uccellini dei parchi, però non gli piacevano gli insetti che si posavano sul cibo.

A John non piacevano tante cose, ma gliene piacevano altrettante. John era una persona semplice e non attirava l'attenzione di nessuno, se non quando parlava.

John aveva una vita semplice come lui, vestiti semplici come il suo carattere, un aspetto semplice e insignificante come le sue doti. John era uno dei tanti. Eppure c'era qualcosa che faceva di lui John e non Goerge, Bill o James.

John aveva un sogno. John aveva un sogno come ce l'hanno tutti. John sorrideva tanto quanto si addice ad una persona semplice come lui. John non aveva momenti di gioia estrema o di tristezza infinita perchè John era una persona semplice e le persone semplici come lui provano emozioni tranquille, con la giusta dose di forza e pacatezza.

Le persone semplici non eccedono in nulla.

John aveva una moglie semplice, come lui, aveva anche due figli, altrettanto semplici e tranquilli. Nella famiglia di John non c'erano mai problemi irrisolvibili, c'erano tante piccole e semplici questioni da “aggiustare” durante un pasto.

John ricordava la sua adolescenza senza rimpianti e con poca nostalgia. A John piaceva il suo lavoro perchè era una persona semplice e, in quanto tale, non aveva mai provato nient'altro da quando era uscito dalla scuola.

John aveva una situazione economica tranquilla, com'è di dovere per la gente semplice. Entrambe le situazioni alle estremità economiche non fanno per la gente semplice: portano a eccessivi lussi o ad eccessivi disagi.

John ascoltava la musica poche volte, così come poche volte guardava il televisore perchè era una persona semplice e seria che non si dedica a questo genere di svaghi.

John era il ritratto della salute e sapeva prendere tutti gli inconvenienti della vita con quel tocco di ironia che gli permetteva di non abbattersi.

John era apprezzato dalla maggior parte delle persone che conosceva. Non si sbilanciava per quanto riguardava la politica, ma tutti erano certi che non avesse idee estremiste.

John era un tipo molto abitudinario, ma in quanto persona semplice era facile, per lui, adattarsi ad eventuali cambi di routine.

John non era né bello né brutto, ma, soprattutto, non aveva segni particolari.

John era in quell'età media tra giovane e anziano in cui ancora nessuno si pone il problema della vecchiaia e in cui ancora nessuno è stanco della vita.

John non aveva nessuna inclinazione particolare.

Si era semplicemente accocolato tra le braccia della vita con un lieve sorriso stampato in viso godendosi ciò che l'esistenza gli dava, ma senza darsi la pena di guadagnarsi di più.

John era la classica brava persona di cui tutti si sarebbero fidati poiché aveva un carattere fermo e tranquillo, un umore poco variabile e valori saldi, ma non irremovibili.

O almeno così credevano tutti.

 

 

 

 

 

 

A John piacciono i palloncini perchè gli ricordano la libertà. Non gli piace il suo nome perchè è falso. A John piacciono gli uccellini dei parchi perchè lo guardano senza sospetto. Non gli piacciono gli insetti che si posano sul cibo perchè gli ricordano i ficcanaso che ha conosciuto tanto bene.

A John non piacciono tante cose perchè gli ricordano il suo passato, ma gliene piacciono altrettante perchè gli permettono di costruirsi un futuro. John è una persona silenziosa e fa di tutto per non attirare l'attenzione di nessuno se non quando parla.

John conduce una vita il meno sospettosa possibile perchè non vuole attirare su di sé sguardi indiscreti, per questa ragione compra vestiti neutri e cerca di non indossare nulla che possa anche solo far posare lo sguardo su di lui, nel timore che si legga nei suoi occhi color nocciola il senso di colpa. John sembra uno dei tanti. Ma c'è un segreto che non rende John uguale a George, James o Bill.

John ha un sogno ben diverso da quello di tutti gli altri, ma è ugualmente irraggiungibile.

John non sorride molto perchè nel momento in cui lo fa i rimorsi gli stringono lo stomaco, John non piange neppure molto. E' incapace di piangere.

John ha una moglie semplice che sostituisce il carattere esuberante e originale di cui si era innamorato anni addietro. John ha anche due figli che gli danno una triste felicità poiché sa che sono gli unici ad amarlo tanto profondamente.

Nella famiglia di John i problemi si risolvono alla svelta perchè lui ha risolto cose ben peggiori e ha acquisito il giusto tocco di praticità necessario per dirigere con successo una famiglia. John ricorda la sua adolescenza con profondo rimpianto e dolore, per questo non la riporta a galla spesso. A John piace il suo lavoro: scaccia i brutti pensieri, lo tiene impegnato. John ha una situazione economica tranquilla per scelta: è deciso a non lasciarsi trascinare dagli eccessi.

John non ascolta molta musica perchè le canzoni parlano sempre d'amore e il dolore è insopportabile quando le sente. Ripensa sempre all'amore che ha spezzato. Non guarda spesso il televisore perchè ha paura che ancora una volta, al telegiornale venga detto il nome di sua madre. John ha sviluppato una certa ironia dal giorno dell'incidente perchè non vuole cadere nel baratro come la maggior parte della gente.

John non ha idee riguardo alla politica. Gli fa schifo. Vota sempre con una scheda bianca. John è un tipo abitudinario perchè ha sviluppato una routine che gli permette di soffrire di meno, di ricordare di meno. John ha una cicatrice che nasconde più della sua vera identità perchè è la firma del suo passato che torna a fargli visita. John è ancora relativamente giovane e non vede l'ora che il supplizio della vita finisca, troppo orgoglioso per togliersela da sé.

John ha rinunciato a tutte le sue inclinazioni per evitare di tornare a galla.

John si è accocolato tra le braccia dell'indifferenza, il miglior balsamo per le ferite passate.

John è la classica brava persona da cui tutti si lasciano ingannare perchè lui a diciotto anni aveva ucciso sua madre.

John ha imparato l'arte dell'indifferenza, ha imparato ad ingannare tutti.

Ma questo lo sapeva solo lui.

Shhht.

Angolo dell'autrice.

Ehilà :) Dunque per chi non l'avesse capito questa è una delle storie che la protagnista scrive sui suoi clienti... Ho pensato di alternare ai capitoli della storia di fondo alcuni dei racconti di cui si parla nella storia. Che ne dite? E' una bella idea o spezza troppo?

Fatemi sapere!!

A presto! Aquila :)

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Capitolo 3
*** Incontri parole, sospetti ***


L'uomo, comunque, era sulla trentina e indossava uno strampalato maglioncino di lana con le renne e, stampato sulla faccia, un sorriso amichevole.

< Che scrivi? > mi chiese innocente.

< Nulla > mi affrettai a rispondere arrossendo violentemente al pensiero che potesse leggere ciò che stavo scrivendo su di lui.

< Non mi sembra che pagine e pagine scritte in modo così fitto e piccolo contengano il nulla > osservò tranquillamente.

Risi nervosamente: l'ultima delle mie intenzioni era rivelargli cosa stavo scrivendo prima che mi interrompesse.

Colse il mio imbarazzo e allargò ancora di più il sorriso che non aveva ancora abbandonato il suo viso, ma, invece di cambiare argomento, insistette: < Non sarai un scrittrice mancata per caso? >

Sgranò gli occhi con finto stupore.

Arrosii di nuovo, punta sul vivo: il mio più grande cruccio e problema era quello di non riuscire a scrivere nulla che dovesse leggere qualcun altro esclusa Nì.

L'uomo sorrise con quella schiera di denti che iniziava a darmi sui nervi per l'insistenza, scaricò la lavatrice a gettoni che aveva caricato poco prima e se ne andò tranquillo e silenzioso come era venuto, una vaga ombra di compiacimento nel ghigno.

A sera scrissi più pagine del solito su quello strano personaggio che aveva occupato i pensieri di tutto il pomeriggio poiché mi aveva dato parecchi elementi su cui riflettere.

Quando Nì lo lesse sorrise sarcastica con la stessa fossetta nella guancia sinistra che di solito le attribuivo quando mi prendeva in giro: < Faresti meglio a decidere immedietamente se sei interessata all' “ acquisto ” se non vuoi trovartelo sotto casa con un mazzo di rose. >

Bisogna dire che Nì è un'inguaribile romantica che vede l'amore anche dove non c'è e non sempre questa sua caratteristica volge a suo favore.

Ora era il mio turno di essere sarcastica: < Chi vuoi che perda tempo con me? >

Era uno scambio di battute talmente frequente tra noi che ci veniva da ridere nel pronunciarle, ricordando tutti i momenti legati a quelle parole, ma noi, in fondo, ridevamo per tutto, ancora come due quindicenni alla ricerca di se stesse.

Tuttavia mi sembrava esagerato pensare subito che quello strano sconosciuto ci stesse provando con me solo per lo scambio di qualche parola più o meno amichevole; per quel che ne sapevamo potevo semplicemente fargli pena perchè ero sempre lì sola con il mio vecchio I-Pod e vestita male e aveva quindi provato a mostrarsi un po' amichevole, o forse a aveva semplicemnte voluto togliersi lo sfizio di sentirmi parlare.

Un tempo non c'era mai questo problema, parlavo sempre e se non parlavo, cantavo.

Ora, a meno che qualcuno non si ricordi di me, solo io e Nì sappiamo come canto.

Lei ormai ha sfondato in questo campo e spesso mi chiede consigli sui brani da cantare, anche se ora si sta impegnando per scrivere una sua canzone.

Lavora in un bar dove, tre volte a settimana, intrattiene, cantando.

E in più studia. Quanto l'ammiro. E' sempre stata il mio modello: sapeva fare venti cose contemporaneamente e sapeva farle bene, aveva successo in tutto. Anch'io sapevo fare più cose allo stesso tempo, con l'unica lieve, ma sostanziale, differenza che ottenevo sempre scarsi risultati.

Tornando a noi, l'uomo col maglione di lana tornò per tutti i giorni a seguire alla stessa ora senza più rivolgermi la parola e limitandosi a sorridermi.

Nì aveva smesso di autoconvincersi che ci stesse provando con me, solo credeva che fosse matto, e non sarebbe stata una novità a New York, o che stesse provando una qualche nuova terapia yoga secondo la quale per stare bene con te stesso dovevi sorridere a tutti gli altri

Io lo fissavo sottecchi, un po' turbata e un po' divertita perchè mi aveva “ scoperta ”, le pagine dedicate a lui nel mio quaderno decorato con le violette erano ormai innumerevolmente più numerose rispetto a quelle di qualsiasi altro personaggio, la mia migliore creazione in tutta la collezione, eppure non ero soddisfatta perchè qualsiasi cosa provassi ad immaginare su di lui non mi convinceva, non gli calzava a pennello e andava rafforzandosi in me il sospetto che avesse qualcosa di particolare che meritava di essere colto. Il desiderio di conoscerlo meglio si faceva insistente.

Il venerdì sera mi decisi a seguirlo, la mia curiosità era giunta al culmine: come poteva un uomo così tranquillo e apparentemente benestante abitare in uno dei quartieri più poveri di New York?


Angolo dell'autrice.

Okok, è un po' noioso, ma spero di rifarmi :)

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Capitolo 4
*** Una barriera contro il mondo. ***


Era una calda giornata d'estate, i muri sembravano sciogliersi al sole e io mi ero ritirata nella penombra della lavanderia, troppo esausta per fare qualsiasi cosa.

 

Fu in quel momento che una ragazza sorridente entrò, facendo tintinnare la porta e salutandomi con familiarità.

Era Celestina, un' universitaria della zona che abitava al piano sopra la lavanderia. Era una delle mie clienti più affezionate. Era gioiosa e allegra, ma, nonostante si fermasse volentieri a chiacchierare con gli altri clienti non aveva mai fatto nemmeno un piccolo cenno alla sua vita privata.

Era magrissima e un po' sciupata e la mia mente malata non riusciva a darsi una spiegazione riguardo a ciò.



UNA BARRIERA CONTRO IL MONDO.

 

Celestina aveva 16 anni. Come le sue coetanee amava ascoltare la musica e guardare film. Amava leggere giornalini sulle sue star preferite, uscire il sabato sera e disubbidire alle regole. Ma ogni adolescente ha una passione che lo distingue da tutti gli altri.
La passione di Celestina era mangiare. Mangiava sempre. Quando era felice, quando era triste, quando era agitata, quando era stressata, quando stava per succedere qualcosa di importante, quando era una giornata lunga e noiosa, quando non sapeva cosa fare e quando aveva poco tempo per far qualsiasi altra cosa che non fosse uno spuntino.
La sua passione, però, al contrario di quelle degli altri portava non pochi problemi.
Lei, scherzando con le amiche, lo chiamava il suo “piccolo grosso problemino”.

Non le era mai importato di apparire in nessun modo: non era mai stato un problema avere qualche taglia in più, mai aveva pensato alle sue guance tonde come ad un motivo di vergogna e mai aveva disprezzato le sue mani grassocce.

Tutto questo non le era mai importato fino al giorno in cui un ragazzo le aveva detto che aveva dei begli occhi.

Aveva sorriso e poi si era sentita scombussolata per tutta la giornata senza capire il perchè. E poi all'improvviso le era sembrato di essere stata catapultata in uno di quegli stupidi film americani in cui i due si innamorano e, dopo una serie di ostacoli minimi, si baciano al ballo di fine anno. Aveva fatto in fretta a dimenticarsi del ragazzo, autoconvincendosi che si trattasse di una presa in giro.
Ma da quel giorno tutto era cambiato: aveva iniziato a sentire l'enorme differenza che c'era tra la Celestina che tutti vedevano, grassa e con una faccia sorridente, e la Celestina che abitava dentro di lei, insicura e passionale come tutte le adolescenti che si rispettino.
Iniziava a percepire l'enorme spazio che occupava fisicamente e l'angolino che occupava nella sua testa.

Iniziava a immaginare di avere il corpo delle coetanee pensando a quanto sarebbe stato più adatto a lei: piccolo, minuto, fragile, ben proporzionato.
Era così che lei si sentiva.
Iniziava a percepire l'ipocrisia o la pietà che si nascondeva dietro ad ogni parola positiva nei suoi confronti.
Iniziava a leggere l'indifferenza o la sfacciata curiosità della gente nei suoi confronti.

Iniziava a sentire quella fascia di grasso e lardo come una barriera che divideva lei dal resto del mondo magro e palestrato.
Iniziava a capire quanto la sua mole impedisse agli altri di crederla capace di provare sentimenti quanto loro.

Iniziava a provare paura nei confronti del cibo. Il frigorifero con i suoi rumori notturni da fedele compagno di avventure notturne diventò un nemico tentatore. Le macchinette delle merendine a scuola la guardavano con occhi derisori.
La sua pancia che rimbalzava ad ogni passo era rumorosa come a ricordarle che era lì costantemente, quasi come se avesse dovuto dividere il suo corpo con un inquilino fastidioso.

Celestina aveva sempre amato andare a fare compere con la madre: era un rito che aveva accompagnato tutta la sua crescita. Un sabato al mese lei e la madre prendevano il pullman per andare in città e, dopo aver passato tutto il pomeriggio per negozi, andavano nella pasticceria più buona della zona e si concedevano un'intera portata di pasticcini e dolcetti vari.
Da quel giorno tutto cambiò, senza bisogno di parole. La madre percepì che qualcosa era cambiato nella figlia. Qualcosa era cambiato nello sguardo azzurro e sereno di Celestina: non guardava più verso l'alto, era fisso verso il basso come a controllare che la sua pancia enorme non crescesse.

Tuttavia, nonostante tutti questi mutamenti e trasformazioni, Celestina continuò a mangiare e a sorridere e, se vogliamo, anche ad ingrassare.

Nemmeno lei sapeva cosa fare. Era una sognatrice e credeva ancora nel principe azzurro e in tutte quelle storie in cui il brutto anatroccolo diventa un cigno. Lei aspettava solo la sua Fata Madrina o qualcuno che potesse vederla piccola e fragile come le sue amiche. Aspettava qualcuno che non attribuisse al suo aspetto una sorprendente forza di volontà, ma un profondo disagio interiore. Aspettava qualcuno che suonasse il pianoforte, che leggesse, che la guardasse negli occhi, che ascoltasse la sua stessa musica, che la portasse a fare passeggiate sul lago. Non sapeva chi stesse aspettando, ma nelle storie succedeva sempre che nel momento più critico della vita di qualcuno arrivasse un improvviso cambiamento che sollevava le sorti dello sfortunato protagonista.

Celestina compì 17 anni e fece una festa simile a quella di tutte le sue coetanee, tutti si divertirono molto. Lei continuava a sperare.

Compì 18 anni e col soffio delle candeline arrivò anche la consapevolezza che le sue speranze erano vane. E allora fece quello che qualunque sua coetanea avrebbe fatto da tempo: si mise a dieta. Rinunciò a Nutella, a merendine, a pastasciutte condite, a dolci fatti in casa e ad antipasti salati, sostituendoli con insipide insalate e frutti poco sostanziosi. Dimagrì. Dimagrì tantissimo. Il suo corpo non divenne perfetto come quello che si vede in televisione, ma divenne abbastanza magro da potersi permettere un paio di leggings e una maglietta attillata che mettesse in risalto le forme.

Tutti erano stupiti e compiaciuti dalla sua trasformazioni e ogni giorno Celestina sentiva frasi come :”Ora sei proprio una bella ragazza!” o “Per fortuna ti sei messa a dieta! Sarebbe stato un peccato non far vedere quel tuo bel corpo” rivelando tutta l'ipocrisia che si celava nei complimenti degli anni precedenti.

Un giorno Celestina tornava dalla casa di un'amica e passava attraverso il parco quando incontrò un gruppo di ragazzi, su per giù suoi coetanei.
Non ci mise molto a riconoscere quel ciuffo biondo cenere, quegli occhi marroni: lo stesso ragazzo che due anni prima le aveva scombussolato l'esistenza ora si trovava davanti a lei in compagnia dei suoi amici. Subito si chiese se credeva ancora che avesse dei begli occhi e stupidamente ringraziò il cielo di essersi messa una buona dose di mascara e di eyeliner prima di uscire.

Ma le sue aspettative furono deluse, passò davanti al gruppo di ragazzi e potè chiaramente sentire la stessa voce che tempo addietro l'aveva fatta riflettere e stare male dire: “Che culo c'ha quella! Un giro me lo farei volentieri!”

Gli occhi di Celestina si riempirono di lacrime e corse a casa.
Entrò tutta trafelata e sconvolta. Aprì il frigorifero e iniziò a mangiare.

 

Angolo dell'autrice. Ok, questa storia mi è saltata alla testa dopo una dieta particolarmente frustrante, lunga e, soprattutto, inutile. Non chiedete perchè Celestina a New York sia così magra, non lo so nemmeno io ;) Alla prossima, Aquila.

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Capitolo 5
*** Proposte. ***


Chiusi prima del solito il negozio e, stando piuttosto lontano da lui, lo seguii.

Svoltato l'angolo chiamò un taxi, si voltò nella mia direzione, mi sorrise e mi fece cenno di avvicinarmi. Ero stata scoperta, ma la curiosità superò la mia diffidenza e lo seguii. Sedetti sul sedile posteriore del taxi e stetti ferma, in silenzio.

Mezz'ora dopo l'auto si fermò: eravamo sulla 5th Avenue, la via più ricca di tutta la città.

Allora il mio desiderio di sapere si mischiò ad una sorpresa enorme: come mai un uomo che poteva permettersi un'abitazione su QUELLA strada veniva a fare il bucato in quel metro quadrato della mia lavanderia nel mezzo dei quartieri poveri della città?

Mi fece strada verso un palazzo bianco ed elegante come tutto quello che c'era intorno e, continuando a sorridermi, salì in ascensore facendomi gesto di imitarlo.

Abitava al settimo piano in un appartamento semplicissimo che contrastava per stile e dimensioni con il resto del palazzo.

Il clima era accogliente e tutto era ricoperto di un legno chiaro che non avrei saputo attribuire a nessuna pianta, ma ciò che più mi colpì fu l'immensa parete che si stagliava in tutta la sua originalità di fronte agli occhi.

Non riuscivo a immaginare di che colore potesse essere il muro perchè ogni singolo cenitmetro era ricoperto da piccole locandine di films, quelle che si trovano in regalo con la rivista “Ciak”.

Non c'era nessuna foto, nessun disegno o quadro che mi potessero fare immaginare se avesse famiglia o amici.

I fiori nel vaso chiaramente appena colti mi fecero pensare che quella figura misteriosa e troppo amichevole avesse una particolare cura di se stesso e del suo ambiente, al contrario di me, come se l'ordine gli servisse per compiere i suoi gesti quotidiani in ordine come da non doversene dimenticare nemmeno uno.

Improvvisamente il senso iniziale di accoglienza sparì cedendo velocemente il posto ad uno strano disagio: quei pavimenti immacolati, la mancanza di qualsiasi tipo di ricordo non erano da me.

Dopo un paio di minuti in cui regnò il silenzio più totale e imbarazzato l'uomo attirò la mia attenzione con un breve verso della gola; mi girai, la sorpresa ancora dipinta negli occhi tanto da non riuscirmi a preoccupare della faccia inebetita che dovevo avere in quel momento e mi resi conto in quell'istante di dove fossi e cosa stessi facendo.

Senza dire nulla il mio ospite se ne andò in cucina e io stupidamente mi ritrovai a pensare al suo armadio che doveva essere pieno di maglioncini in tutte le tinte e con tutta probabilità senza maniche per la versione estiva.

Stetti dunque cinque minuti in compagnia dei miei pensieri confusi in quell'immenso salotto, tentando invano di contare le locandine e chiedendomi in un angolino remoto della mia mente cosa stesse facendo l'uomo in cucina, ma ebbi ben presto risposta alle mie domande perchè la mia nuova conoscenza arrivò con due tazze fumanti e profumate di tisana ai frutti di bosco.

Sempre in quel particolare e poco familiare silenzio ci sedemmo scaldandoci le mani infreddolite con le tazze bollenti.

< Mi chiamo Andrew. Andrew J. Brown per la precisione. Per favore evita commenti sulla banalità del mio nome. Sono un regista in erba. Due settimane fa hanno accettato la mia idea di film offrendomi un budget veramente misero. Sono comunque molto determinato e ho scelto lei signorina. >

Angolo dell'autrice.

L'affare si fa più intrigante, ma qui finisce anche la parte in cui ero piuttosto soddisfatta di ciò che avevo scritto. Diventa sempre più difficile, per me, dire tutto ciò che vorrei scrivere.

Grazie mille per la pazienza :) Alla prossima, Aquila!

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