Ho ancora la forza...

di viandante90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un sogno senza fine ***
Capitolo 2: *** In bilico... ***
Capitolo 3: *** Passi sbagliati ***
Capitolo 4: *** Paura ***
Capitolo 5: *** Nemica vicinanza ***
Capitolo 6: *** Una fuga continua ***
Capitolo 7: *** Ai suoi ordini ***
Capitolo 8: *** Non sono abbastanza ***
Capitolo 9: *** Ebbrezza ***
Capitolo 10: *** Cattivi pensieri ***
Capitolo 11: *** Confessioni ***
Capitolo 12: *** Contraccolpo ***
Capitolo 13: *** Divergenze ***
Capitolo 14: *** Un'altra priorità ***
Capitolo 15: *** Un'unica cosa ***
Capitolo 16: *** Ho ancora la forza ***



Capitolo 1
*** Un sogno senza fine ***


POV EMMA




Faceva freddo. Non bastava quel piumone che mi aveva tenuto compagnia nei miei giorni più gelidi. Quello era il mio gelo. Un gelo diverso, un temporale che tardava ad andar via, e un vento che faceva scricchiolare le mie fondamenta.
Ascoltavo quella che era diventata la mia canzone, di quel gruppo che anni addietro aveva perdutamente catturato la mia attenzione. Lo ricordavo ancora quel viaggio, in balia di mille melodie che danzavano nella mia mente, e migliaia di note che pompavano sangue nelle mie flebili vene. Ero tutta loro ormai, e sinceramente non mi dispiaceva. Avrei voluto toccare con mano il mio sogno, alzarmi da quel letto e agganciarmi con tutte le forze, che mi rimanevano in corpo, al mio desiderio. Vivere ingenua e sperduta in quella realtà onirica, mi era tornato utile, quando tutto il mondo sembrava mi si fosse rivoltato contro, quando pensavo non ci fosse più posto per me in questo pianeta, chiamato Terra. Avevo trovato rifugio in quella mia dimensione, tra le sue viscere. 
Le luci filtravano da quelle tende che stavano lì, da tanto, troppo tempo. E forse anche io stavo lì da tanto, troppo tempo. Avrei voluto dire al mio cuore che era arrivato il momento di riprendere a battere seguendo un ritmo normale. Avrei voluto ordinare alle mie gambe, di toccare terra e andare avanti, consigliare alle mie labbra di sposare il sorriso migliore, ma non avevo più la forza, né la voglia.
Era la solita mattina, del solito giorno, della solita vita. Cercai di farmi spazio tra i miei pensieri, ignorando il suono della pioggia che batteva contro le imposte. Riecheggiava nell’aria la mia canzone preferita, mentre mi apprestavo lentamente a tornare alla realtà. Era uno scontro titanico: da una parte il sogno, dall’altra la mia vita. Un sogno animato da ombre che si allungavano per scaraventarmi ancora una volta nel mio buio, e una vita che sembrava non appartenermi più. Guardai da lontano quello specchio e tra le lacrime scorsi l’immagine di una me bambina che giocava con le bambole, con tutta la sua fretta di esser grande. La realtà invece, era un vero e proprio disastro: il trucco sbavato sugli occhi, le braccia e le gambe indolenzite per essere stata troppo tempo in quella posizione, i capelli arruffati, non era proprio così che volevo diventare. Volevo tornare indietro, proprio quando non potevo più.
Un suono improvviso ma familiare scostò la mia mente da quella matassa di pensieri. Cominciai a cercare disperatamente il cellulare. Inutile, il disordine ed io non avremmo mai smesso di andare d’accordo. Io, l’allampanata e timida ragazza, non ero poi così cambiata diventando grande. Inciampavo nei miei stessi piedi, e a volte anche nella mia stessa vita. Distratta dimenticavo i particolari, e col mio scarso equilibrio era perfino diventato difficile sopravvivere. E in più ero disordinata, tremendamente ingarbugliata nei miei grovigli, paralizzata in quel labirinto che io stessa avevo costruito. Conoscevo l’entrata ma non avevo mai visto l’uscita. E Dedalo, che io stessa avevo sbeffeggiato, a sua volta si prendeva gioco di me. Il cellulare continuò a squillare. Sperai che colui o colei che stava cercando invano una mia risposta non riattaccasse. Se mi conosceva non avrebbe messo giù la cornetta. Il telefono continuò imperterrito col suo richiamo. Mi inginocchiai sul letto, alzai il cuscino e trovai lì il minuscolo aggeggio.
 << Pronto>>, risposi quasi senza fiato. Sentii un sospiro.
 << Emma, dove diavolo sei?>>.
 “Dannazione, Anita!”, pensai. La sua voce era quasi un ruggito. Rimasi in silenzio. Che reazione stupida e insensata, avrei potuto, anzi avrei dovuto cercare una scusa.
<< Avevamo un appuntamento noi due, l’hai dimenticato?>>, mi ammonì con voce severa. Ripresi fiato, concedendomi del tempo per trovare le parole giuste. Una bugia mal confezionata avrebbe gettato benzina nel suo braciere già ardente. Lasciai perdere.
<< Scusa …>> riuscii a mormorare in preda allo sconforto. Sarei voluta sprofondare. Non servivano a nulla le mie scuse. Chissà quante volte si era ripetuta quella conversazione. Lei che mi chiamava per ricordarmi qualcosa, io che rispondevo e le davo prova di averlo dimenticato.
Con mia sorpresa, la sua voce si ammorbidì. << Emma … ho detto che stai male, e non mi pare sia una bugia…>>. Riuscii a immaginare la sua smorfia. 
<< Ma questo loro non lo sanno>> continuò << Ascoltami, quello che ti sto per dire è importante, siediti >>.
Sbuffai, fingendo indifferenza. << Anita…>>
<< Lasciami parlare >>, m’incalzò lei. << Domani partirai per Los Angeles, alle otto del mattino. Mi raccomando, puntuale, non ritardare. Mi raccomando! >>.
Continuò a travolgermi col flusso delle sue parole, senza lasciarmi il tempo di capire ciò che stava cercando di dirmi. << Frena,frena, frena! >>, quasi urlai.
<< Si, scusami. Mi sono lasciata prendere dall’entusiasmo. Ma è la tua occasione e voglio che tutto sia perfetto.>>
<< La mia cosa?? >>
<< La tua occasione!>> ripeté entusiasta.
Cosa mi ero persa? Indifferente com’ero alla vita, non avevo avvertito neanche il minimo spiraglio d’aria.
<< Emma, tu intervisterai i Free Fallen >>, annunciò la mia amica scandendo per bene le parole. Tremai.
<< I Free … I Free Fallen?>>, balbettai.
<< Si, non c’è tempo da perdere, prepara la valigia! >>.
<< Anita, io… >> dissi esitando.
<< Il capo ha già deciso, Emma! >> affermò tra i denti << Ci sarà uno speciale su di loro nel prossimo numero, e ovviamente, in quanto critica musicale, sarai tu ad occupartene!>>.
Il cuore martellava contro il mio petto. Le orecchie mi fischiavano e le gambe erano così molli, che se non fossi stata sdraiata avrei già battuto la testa per terra. Ma non volevo arrivare alle soglie del mio sogno così impreparata, così malconcia, e soprattutto inetta.
<< Io non me la sento … >> confessai sincera, ma le mie parole fecero infuriare ulteriormente la mia collega.
<< Emma … alzati da quel letto, e prepara le valigie!>>.
Mi sforzai di sorridere. << Vieni con me? >>.
Seguì un lungo attimo di silenzio. << Non so se posso …>>.
<< Ti prego … >>, la implorai. Se non ci fosse stata lei al mio fianco, avrei fatto dietrofront ancora prima di prendere quell’aereo. Il mio tono basso e supplichevole sembrò convincerla.
<< Verrò con te …>>, promise e la sua voce tremò.
<< Grazie Anita, non saprei come fare …>>, farfugliai. Avrei voluto continuare quella frase ma lei mi interruppe, imbarazzata.
<< Non mi ringraziare, domani sarà un inferno! Aerei, coincidenze, nodi alla gola, interviste! >>.
Io sorrisi. Avrei vissuto volentieri in quell’inferno pur di sfuggire all’inferno che io stessa mi ero regalata.
 
Riattaccai il telefono che ero ancora in trance. Stiracchiai le braccia e fu difficile accertarsi di non aver sognato tutto. Negli ultimi mesi avevo sviluppato un’immaginazione così vivida, da distogliermi dalla mia vita, e farmi credere che il mondo onirico fosse la realtà. Tante volte avrei preferito fosse così. Anche se gli incubi peggiori, venivano a bussare alla mia porta, ogniqualvolta chiudevo gli occhi. Mi svegliavo di soprassalto, con le mani tremanti e la fronte imperlata di sudore, e correvo, fuggivo da non so cosa. I miei sogni erano bui. Non c’era nulla, così come nella mia vita. Ma quella mattina ero sveglia e avevo ricevuto una buona notizia. Quella mattina ero sveglia e non avrei voluto dormire più.
Riuscii finalmente ad alzarmi da quel letto che ormai da mesi, era diventato la mia seconda casa. Mi trascinai a passi lenti in cucina, nel tentativo di cercare qualcosa di commestibile da mettere sotto i denti. Mi accorsi che avevo lasciato il frigo aperto. Stavo davvero cadendo a pezzi. Sarei voluta tornare in quella stanza, poggiare la testa su quel cuscino, che aveva già accolto la mia disperazione, scaturita dalla consapevolezza di aver regalato la mia vita a chi non la meritava. Mi ero resa conto che quello era stato il mio sbaglio più grande, solo quando, forse, era troppo tardi. Quando lontana dalla mia famiglia, non mi era rimasto più nulla.  Ma ero stata forte un tempo, e avrei potuto tornare ad esserlo. Bastava volerlo, riporre i ricordi in uno di quegli scatoloni che avrebbero preso polvere in soffitta, e ricominciare.
“ Se non sbatti la testa contro il muro, non ti darai mai pace!”. Mia madre, mi ripeteva sempre queste parole, quando entrava nella mia stanza e mi ritrovava con gli occhi gonfi di lacrime. Sbattevo la testa, e solo in quel momento mi rendevo conto di quanto fossi ostinata a perseguire battaglie più grandi di me. M’imbarcavo in zattere traballanti e pretendevo chissà che cosa. Dimenticando forse, che vivere a volte, è più difficile di remare contro il mare in tempesta.
 
Quella notte non dormii, le realtà era meglio di qualsiasi altro mio incubo.

 

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Capitolo 2
*** In bilico... ***


POV EMMA


“ Benvenuti a bordo. Il volo Roma - Los Angeles è in partenza. Si pregano i signori passeggeri di allacciare le cinture di sicurezza. Buon viaggio.”.
La voce dell’assistente di volo annunciò il decollo, che a breve mi avrebbe catapultato nel nuovo continente. Anita mi sorrise, e rividi in lei la mia compagna di banco del liceo, nonché l’attuale collega giornalista.  Era bella, lo era sempre stata. Non era un caso che molte ragazze la invidiassero.
 I capelli setosi del color del grano, incorniciavano il suo viso perfetto. Gli occhi ammalianti, riflettevano le più belle tonalità del verde. Gli zigomi forse,  erano troppo alti, ma il naso dritto e la bocca color fragola, ricreavano l’armonia che risiedeva in ogni suo movimento. Era decisamente tutto il mio opposto. Lei affascinante, appariscente. Io anonima, incolore. Lei era bella, io non lo ero mai stata. Molti ragazzi mi avevano corteggiata, e ciò mi aveva sempre insospettita. Non riuscivo a spiegarmi il motivo di tale interesse. Preferivo rimanere nell’ombra, nascondermi dietro il fisico statuario della mia amica. Odiavo i riflettori, la loro luce avrebbe potuto incenerirmi.
Il rombo dei motori, mi fece intuire che ormai era tutto pronto: stavamo decollando. Si stendevano davanti a me, ore infinite di volo. Mi chiedevo come avrei potuto riempire quel vuoto, dal momento che avevo dimenticato le mie letture a casa. Sospirai sconfitta. Anita se ne accorse e storse il naso.
<< Non preoccuparti, andrà tutto bene … L’intervista sarà strepitosa!>>, cercò di incoraggiarmi accompagnando le sue parole  con una carezza sulla mia spalla.
“ L’intervista …”, pensai. Adesso che me l’aveva ricordato, si che avevo un motivo per stare in ansia.
<< Grazie per avermelo ricordato …>> grugnii.
Lei sorrise appena. << E’ il motivo per cui siamo qui …>>
<< Certo certo …>> tagliai corto.
 Preferii chiudere il discorso, e costrinsi la mia schiena a rilassarsi contro lo schienale.
Chiusi gli occhi, sospirando. Sorvolavo l’oceano, ma i miei pensieri erano incastrati nella stessa parte di mondo, che non voleva lasciarmi andare via. La musica era stata l’unica cosa che aveva il potere di farmi andare oltre. Forse in quel frangente di vita, avevo osato andare un po’ troppo oltre, per amore o per chissà cosa. “ Lo scopriremo solo vivendo”, mi aveva detto lui. Ed io lo avevo scoperto, imparando a mie spese a non vivere. Ma ero stanca di pensare, e il sonno perso rendeva pesanti le mie palpebre. Decisi, dunque, di abbandonarmi di fronte all’oblio.
 
Me ne stavo in un angolo, rannicchiata su me stessa, e piangevo. Le foto che mi circondavano ritraevano me, la “me” di un tempo abbracciata ad un uomo. Tra le lacrime, mi accorsi che tutto aveva cominciato a prendere vita: le diapositive erano tornate a respirare, portando con sé i fantasmi del mio passato. Cominciai a scivolare lentamente senza trovare un appiglio. Sempre più giù, non toccando mai il fondo. Scesi  così in basso, che sperai di raggiungere finalmente la fine di quell’abisso.
 
“ Si pregano i signori passeggeri di allacciare le cinture di sicurezza. Stiamo sorvolando Los Angeles. Pochi minuti all’atterraggio.”
Una lieve scossa mi liberò da quell’incubo. I sogni ormai erano diventati la mia unica possibilità di riscatto contro quella vita, che assumeva ogni giorno una forma peggiore. Ebbi un sussulto.
<< Emma, sei sveglia? Stai bene? >>. La voce di Anita spazzò via l’ultimo flebile legame col mio incubo.
<< Si … >>, mormorai non del tutto convinta. Mi girava ancora la testa. La mia amica continuò a fissarmi preoccupata.
<< Cosa è successo?>> biascicai stordita.
Un sorriso affabile le incorniciò il viso. Ma era un sorriso di circostanza, d’altronde non era mai stata brava a mentire.
<< Niente, tranquilla … stai bene?>>.
Ma certo che stavo bene. Era il solito incubo. Il solito e ormai conosciuto buio.
<< Si sto bene. Perché continui a chiedermelo?>>.
Lei sospirò e gettò lo sguardo al di là del finestrino. Innervosita da quel suo strano atteggiamento ( non che il mio fosse normale ultimamente ), posai una mano sulla sua spalla e la strattonai.
<< Perché?>>, domandai a denti stretti.
Anita esitò ancora un istante. Ma la mia espressione parlava chiaro: non mi sarei arresa così facilmente!
<< Mi sono preoccupata …>>, ammise << Non hai fatto altro che muoverti. Non ricordavo fossi così irrequieta nel sonno. E poi …>>, sospirò << Poi … hai detto il suo nome …>>.
Sgranai gli occhi, non del tutto sorpresa però. Quando dormivo non rompevo mai completamente il legame col mio corpo. Rimanevo a metà, incastrata tra due mondi. Una posizione ridicola, che permetteva a chi dormiva al mio fianco di origliare tutti i miei improbabili e sconclusionati discorsi. Scossi la testa, per scacciare via quel pensiero.
<< Non preoccuparti per me. Sto bene >>. Le sorrisi per rassicurarla. Avevo detto così tante volte quella frase che stavo cominciando a crederci anche io. Ma la mia collega esitava, mi guardava perplessa, incerta se dire o no qualcosa.
<< Dimmi … >>, la incoraggiai, anche se avrei evitato volentieri le sue domande.
<< Ecco … io volevo sapere, lo sogni spesso? >> .
Deglutii e concentrai lo sguardo sulle mie mani congiunte e sudate. Rimasi in silenzio, e mi aggrappai con tutte le forze al sedile per non rischiare di vacillare. Mi girava la testa, e avvertivo un tonfo sordo al centro del petto. Somigliava a un dolore che avevo imparato a conoscere. Era come se una mano mi squarciasse il petto e mi strappasse via il cuore. Speravo con tutta me stessa che quel gesto fosse definitivo. Quella mano poteva portare via ciò che cercava, a me non serviva più.
<< Si lo sogno …>> bofonchiai << Ma non ho voglia di parlarne!>>
<< Io vorrei solo vederti felice >>.
Alzai lo sguardo e incrocia il suo. Era sincero, preoccupato.
<< Non è il mio momento. Ti prego sforzati di assecondarmi! >>
<< Invece no! Ho capito, non devo nominarlo. Ma sforzati tu di condurre una vita normale! >>. Sbuffai infastidita e misi il broncio come una bambina, alla quale si ripete per l’ennesima volta lo stesso rimprovero.
<< Lasciamo stare. Lasciami perdere, Anita. >>.
Mi guardò avvilita. << Devi reagire! >> disse a denti stretti.
<< Non ho voglia di parlarne! >> , ripetei acida e me ne pentii subito. La mia migliore amica non meritava quel trattamento. Ma ormai mi ero abituata alle mie disfatte: distruggevo ogni cosa che toccavo.
 
<< Taxi!!!>>, urlai sbracciandomi per richiamare l’attenzione di quell’uomo baffuto alla guida di quell’autovettura gialla, che avevo visto solo nei film americani. L’uomo si accostò al marciapiedi, e non appena salimmo a bordo si immerse in quelle strade caotiche.
Misi piede nella città dei miei sogni, e solo in quel momento mi resi conto di quanta strada avevo percorso. Se solo sei anni prima, qualcuno mi avesse detto che sarei stata l’inviata di una delle più importanti testate giornalistiche musicali, gli avrei riso in faccia. E gli avrei dato del pazzo se solo mi avesse detto che io, proprio io, avrei intervistato i Free Fallen. Diventare giornalista era sempre stato il mio sogno nel cassetto. Avevo iniziato da piccola a inventare storie per farmi compagnia. Avevo deciso di lasciare la mia città, e andare a studiare a Roma. Avevo lasciato tutto, e quel giorno era ancora vivo nei miei ricordi. Stranamente pioveva, sembrava che tutto quel pomeriggio, volesse ricordarmi che stavo andando via. Pioveva, mentre io alle mie spalle lasciavo la mia vecchia isola, la Sicilia, il caldo umido, le lunghe passeggiate sul corso principale sotto il sole cocente, il mare freddo e cristallino, la sabbia soffice al contatto con i miei piedi, la mia infanzia e le mie esperienze. Avevo lasciato tutto quello che avevo conquistato fino a quel momento, per colonizzare qualcosa di più grande per il mio futuro. E ho imparato a mie spese che grandi sogni implicano grandi sofferenze, rinunce.
Nonostante il traffico non lasciasse presagire nulla di buono, arrivammo sorprendentemente a destinazione. Era strano sentirsi sola pur essendo circondata da una folla immensa di gente, ma era bello aver lasciato tutto, ed essere andata alla ricerca di qualcosa che esisteva ma che stava lì, in una terra molto lontana. Avevo chiuso una porta e avevo lasciato lì dentro tutto ciò che di ributtante avevo visto, e che non volevo più rivedere. Una porta si era chiusa, e un’altra più grande stava per schiudersi. Ed io stavo lì, e non volevo ricordare la strada che mi ci aveva condotta, non in quel momento. Vedevo la mia felicità adesso, in un angolino, pronta a rivestire i suoi panni, stanca di essere sopraffatta da quell’inferno di noia e amarezza che aveva tessuto le fila della mia vita per troppo tempo.
Davanti a noi si stagliò la maestosa sagoma del “ Luxury Hotel “, uno di quelli che ti limiti ad ammirare alla tv.  Il receptionist, un ragazzo biondo sulla trentina, ci sorrise affabilmente e ci diede il benvenuto. Rimasi di stucco davanti allo spettacolo che si dispiegò davanti ai miei occhi increduli. Una sala immensa in stile neoclassico, con gigantesche colonne di marmo, che reggevano un altissimo soffitto ligneo color oro, fungeva da hall. Sulla destra faceva capolinea un lucente pianoforte a coda nero. Chissà se avrei potuto suonarlo, chissà se ricordavo come si faceva. Sorrisi in risposta a quel pensiero. Era da tanto che non sfioravo quei tasti bianchi e neri. James, era così che si chiamava il ragazzo che ci aveva accolte, ci consegnò subito le chiavi. Con il numero 913 tra le mani, m’incamminai lungo quei corridoi, che celavano dietro la loro ricercata tappezzeria, camere da sogno. Inevitabilmente inciampai nella moquette e mollai la presa dal trolley che cadde per terra. Anita a stento riuscì a trattenere un sorriso. Io rossa di vergogna raccolsi la mia roba e ricominciai a camminare. Speravo con tutto il cuore non fosse arrabbiata con me, per ciò che le avevo detto in aereo. In condizioni normali, mai le avrei risposto in quel modo, e soprattutto con quel tono aspro e arcigno. Mi voltai e la fissai abbozzando un sorriso. Lei sorrise di rimando, mi aveva già perdonata.
<< 911, 912…913… ecco la nostra! >>.
Lasciai scivolare lentamente la chiave nella toppa, e la girai appena, quasi avessi paura di vedere cadere ai miei piedi quello splendido sogno, una volta aperta la porta.
Anita sbuffò impaziente. << Emma, datti una smossa, non abbiamo tutto il giorno!>>.
Con un movimento veloce della mano scostò appena la mia, e aprì la porta girando al limite la chiave. Le mie paure si rivelarono infondate. Quel mondo meraviglioso aveva tutte le carte in regola per contribuire al coronamento del mio sogno.
<< Anita …>> sussurrai << Ti prego dammi un pizzicotto! >> .
La sua risata argentina mi mise di buonumore. << Emma… >> disse guardandosi intorno << Ricordami di ringraziarti un giorno…>>.
Che favola: l’unica certezza che avevo era quella di non volerne più uscire. Mi sarei chiusa in quella stanza, avrei riposato su quel letto, avrei aperto quelle tende su una nuova vita, avrei lavato il viso e asciugato tutti quei segni che ormai, inevitabilmente lo solcavano.  Forse ci sarei riuscita. In quel momento avevo la ferma convinzione che ce l’avrei potuta fare.  E anche se era una debole convinzione, fiera si faceva spazio tra i miei ripensamenti.

 
 

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Capitolo 3
*** Passi sbagliati ***


Salve ragazze! Ho deciso di non far passare molto tempo tra la pubblicazione dei vari capitoli, perchè sono tanti. La storia così va avanti, e mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate, se vi piace, se vi stuzzica, se vi fa anche schifo :) aspetto le vostre recensioni. Intanto godetevi il terzo capitolo!




POV EMMA





Ci distendemmo nel morbido letto. Il piumone rosso richiamava il colore delle pareti. I soffitti erano delle volte a schifo affrescate, e le fresie sul tavolo emanavano un buon odore. C’era  caldo in quella stanza. Ma non caldo in senso fisico, era un calore familiare che mi ricordava la Sicilia.
<< Emma … hai già stilato le domande, giusto?>>
<< Eh?! >>, domandai stordita. Che sbadata che ero, sempre con la testa tra le nuvole.
<< Le domande, Eva!!! >>, mi ricordò seria Anita.
Non mi ero mai resa conto di quanto fosse diventata professionale sul lavoro, fino a quell’istante. Voleva che tutto fosse perfetto, che io fossi perfetta, ma ahimè non lo ero mai stata. Mi passai una mano tra i capelli di nuovo in preda all’ansia.
<< Sei la solita testarda! >>. Anita mi lanciò un’occhiataccia, che ricambiai.
<< Improvviserò >>, risposi audace.
La mia collega diventò rossa per la rabbia. << Ma cosa pretendi di improvvisare? >>.
La guardai, ma non riuscii a sostenere il suo sguardo a lungo, feci spallucce e cercai di pensare ad altro. Tentativo inutile: cominciai a sudare freddo. Sentivo un nodo alla gola. Avevo paura di giocare male anche quella carta. Del resto avevo la ferma convinzione che quello a mia disposizione fosse un mazzo fatto di carte tutte uguali, con Jolly beffardi che si divertivano a prendersi gioco di me.
Scacciai dalla mente i cattivi pensieri, e cercai tra i fogli sparsi uno sul quale annotare qualche domanda, almeno la prima. Mi doleva ammetterlo, ma Anita aveva ragione. Ero testarda e volevo sempre fare tutto di testa mia, ma questa volta sapevo che dovevo evitare i colpi di scena. Dovevo trovare le parole giuste e perché no, anche un vestito decente. Avevo messo in valigia il mio abito preferito, ma decisi di lasciarlo lì, aspettando chissà quale altra occasione. Mi guardai allo specchio e l’immagine riflessa non era poi così diversa da ciò che mi aspettavo di vedere: una ragazza esile, con lunghi capelli ricci, che ricadevano morbidi sulle spalle. Un viso smagrito dall’insonnia degli ultimi mesi, da cui avevo ereditato anche profonde occhiaie che cerchiavamo i miei occhi neri, grandi ma spenti. Le labbra carnose, erano screpolate: il vizio di morderle non mi giovava affatto. Indossavo un dolcevita nero, e un paio di jeans sbiaditi. Pur essendo abituata agli spostamenti, preferivo sempre viaggiare con abiti comodi. Passavo e ripassavo davanti allo specchio, trascorrendo gli ultimi attimi di quell’interminabile attesa, a guardare su di esso il mio riflesso. Ero io, la ragazza che aveva vissuto scalando montagne e che un giorno fermatasi a bere in una delle sorgenti più belle che avesse mai visto, aveva perso tutto ciò che di più caro possedeva. Lì aveva perso anche se stessa. Mi scostai un attimo dalla mia immagine, d’altronde non avevo voglia di cambiarmi. A dire il vero avrei preferito mimetizzarmi con le pareti. “ Peccato” pensai “ Avrei potuto portare con me qualcosa di rosso”.
Anita, ancora distesa sul letto, si era assopita. Sorrisi dolcemente guardandola dormire beata, mentre riaffioravano nella mia mente immagini e ricordi passati: un pigiama party adolescenziale, una nottata persa a fantasticare sulla nostra vita futura, eccitate all’idea di lasciare Palermo e andare a vivere in una nuova città tutta da scoprire, lontane dai divieti imposti dai genitori, lontane da ciò che già conoscevamo.
Mancava solo un’ora all’incontro con i miei idoli di sempre, e avevo pensato solo a qualche domanda da fare, non a come impostare l’intera intervista. Ogniqualvolta fissavo l’orologio, e vedevo le lancette avvicinarsi all’ora dell’appuntamento, l’ansia mi assaliva, frenetica, soffocante. Decisi quindi, per stemperare la tensione, di fare un giro di ricognizione in quel magnifico hotel. Avevo bisogno di un caffè. L’adrenalina era già alle stelle, ma volevo la mia dose giornaliera di caffeina. Lasciai Anita avvolta nel suo sonno, sarei tornata a svegliarla in tempo per l’intervista. Chiusi la porta, e cercando di non fare rumore, mi allontanai. Trovare la mappa dell’hotel non fu difficile. Il bar era al primo piano. Presi un bel respiro e mi avventurai in quel lungo corridoio, cercando un ascensore che mi portasse a destinazione. La ricerca non produsse però alcun risultato. Sbuffai stizzita. << Ci deve essere un maledetto ascensore …>> borbottai tra me.
<< Si, è in fondo a destra! >>, rispose una ragazza che evidentemente aveva udito la mia imprecazione. Imbarazzata la ringraziai, e continuai a camminare. Svoltai a destra su indicazione della signorina, e prenotai l’ascensore, premendo un pulsante che cominciò a lampeggiare ininterrottamente.
 
Stringere tra le mani quel bicchierino di caffè fu una vera e propria conquista. Sorrisi, e James lo fece di rimando, il suo però sembrava più un ghigno. Mi chiesi perché, ma la risposta venne da sé, non appena assaggiai quella bevanda nera che si rivelò una vera e propria ciofeca. Deglutii rumorosamente, e decisi che fin quando fossi rimasta a Los Angeles, avrei volentieri fatto a meno di quell’acqua colorata. Voltai le spalle a quella paradisiaca hall, e prenotai l’ascensore. Mi preparai a una lunga attesa, ma con mia sorpresa in un batter d’occhio vidi le porticine spalancarsi di fronte a me. Intravidi lui. Stava con le spalle poggiate contro la parete. Indossava un paio di occhiali scuri, e la camicia a quadri rossi e bianchi, era almeno di una taglia più grande. I jeans erano maltrattati, ma lui, lui era di una bellezza disarmante. Era chiaro, voleva mimetizzarsi, un po’ come me, ma a lui non era concessa tale possibilità. Il mio cuore martellò frenetico, e sperai tanto non se ne accorgesse. Rossa si vergogna, abbassai lo sguardo e feci un passo indietro. Meglio prendere le scale. Avrei dovuto affrontare 10 piani a piedi, ma avrei scalato montagne pur di non trovarmi faccia a faccia con lui. “ Ridicolo” pensai “ Uno passa una vita intera a immaginare un momento. Poi lo vivi e vorresti andar via”, ma forse la pazza ero solo io.
<< Signorina che fa? Non sale? >>.
A parlare fu una voce vellutata, morbida. Mi guardai attorno, ma ero già sicura fosse stato lui a parlare. La sua era una voce che conoscevo bene.
<< Signorina? >>, chiese in un sussurro. Sembrava fosse preoccupato: chissà che brutta cera dovevo avere.
<< No … no … vado a piedi! >>, mormorai senza fiato. Lui scosse la testa, sorridendo appena.
<< Non dica sciocchezze, si accomodi >>.
Con una mano mi fece segno di entrare, con l’altra bloccò la porticina che stava per chiudersi. Sarebbe stato difficile per chiunque, resistere a quel tono seducente. Dunque, ammaliata, feci un bel respiro e decisi di entrare. Proprio quando varcai la soglia però, la mia goffaggine mi sorrise beffarda. Non passava giorno in cui io non inciampassi o rischiassi di farmi investire da un auto, ma speravo che almeno in quel momento il mio equilibrio rivendicasse la sua autorità. Speranza vana e inutile.
 Accadde tutto molto velocemente. Nel tentativo di aggrapparmi a qualcosa, lasciai scivolare dalle mie mani il bicchiere di caffè. La bevanda scura si riversò tutta sulla sua camicia. Mi sentii mancare il terreno sotto i piedi, e mi preparai allo schianto contro il pavimento. Ma con un movimento repentino, immobilizzò le mie spalle con le sue mani, e mi risparmiò un atterraggio gravoso. Quella vicinanza improvvisa e inaspettata però mi turbò abbastanza da togliermi il fiato. Il suo viso dai lineamenti angelici era a pochi centimetri dal mio, e questo bastò a mandarmi in tilt.
 << Mi scusi … >>, sussurrai disperata, consapevole di aver mandato a rotoli tutto, ancora prima di iniziare. Lui aggrottò la fronte e si allontanò da me, quel poco che bastava per guardarmi meglio.
<< Sicura di stare bene? >>
<< Non proprio … >>, ammisi.
Non avrei potuto mentire. Che ero fuori di testa l’aveva già intuito. Scosse la testa incredulo, e le labbra si tesero scoprendo un magnifico sorriso. Scostai lo sguardo per sfuggire al suo.
<< La sua camicia … >>, mormorai facendogli notare il danno che io stessa avevo provocato.
La sua risata mi colse di sorpresa. Cosa ci trovava di così divertente in quella situazione? Forse aveva capito che era meglio assecondarmi. Il tipico trattamento che si riserva ai folli. Con un gesto repentino della mano si sfilò gli occhiali e tornò a fissarmi, ed io potei finalmente ammirare i suoi occhi. Erano belli, non c’era dubbio, ma in loro c’era qualcosa di più. Attraevano a sé, quasi fossero due calamite. Con le loro iridi azzurro oltremare, catturavano inevitabilmente l’attenzione di chi, anche involontariamente si fermava a fissarli. Le lunghe ciglia che li circondavano, ogniqualvolta si aprivano, alzavano il sipario su un vero e proprio spettacolo. In quel momento sarei voluta scomparire, andare via e non fare più ritorno. Ma lui esitante provò ad avvicinare la sua mano al mio viso. Studiò attentamente la mia espressione e chissà cosa vi lesse, dal momento che fece ricadere la sua mano ancora prima di sfiorarmi. Io non dissi nulla, rimasi immobile, e in un’ istante il suo sguardo si distolse dal mio.
<< Io sono arrivato …>>, annunciò quasi imbarazzato. Le labbra tese si schiusero appena. Annuii lentamente, e avvertii uno strano calore sulle mie guance: stavano andando a fuoco. Sperai pensasse fosse una reazione dovuta alla figuraccia che aveva fatto, e non alla sua presenza.
<< Arrivederci, signorina …>>, continuò << E stia tranquilla, questa camicia … >> disse indicando ciò che ne era rimasto <>.
Lo guardai sbigottita incapace di proferire parola. Lui mi rivolse l’ultimo sorriso e si dileguò nella penombra di quei lunghi corridoi.
Persi la sua ombra, persi me stessa in quella parte di mondo, in quello sguardo che mai avrei dimenticato.
Avrei voluto sbattere la testa contro un muro. Cosa avevo fatto? Credevo forse che quell’uomo non avesse notato il mio imbarazzo? Avrei potuto dirgli chi ero, perché fossi lì in quell’istante, che stavo scappando da quelle lancette che scandivano lentamente l’attesa. “Attesa per cosa?”, mi avrebbe chiesto. “ Per la nostra intervista”, avrei risposto, e lui sarebbe scappato. Così facendo non avevo aggirato il problema, avevo solo posticipato di qualche minuto il momento della sua fuga.
 
 

 

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Capitolo 4
*** Paura ***


Ed eccomi di nuovo qua :D questo è il quarto capitolo, e spero che la storia vi stia piacendo. Colgo l'occasione per augurarvi un felice e sereno Natale, e per il resto cosa dirvi? Buona lettura :D



POV EMMA



Leonard Gore, era il cantante nonché leader dei Free Fallen, ed io gli avevo appena sporcato la camicia. Riuscii perfino a ridere della mia imbranataggine. Forse mi ero immaginata tutto, mi piaceva pensare che quell’incontro furtivo fosse stato solo frutto della mia immaginazione. Mi piaceva credere di avere ancora una possibilità. D’altronde anche da piccola non riuscivo a discernere perfettamente tra realtà e illusione. Tornai al mio presente, e la prospettiva fu tutt’altro che piacevole. Guardai terrorizzata l’orologio e le lancette segnavano le 18 e 45. L’appuntamento con la band era previsto per le 19. Corsi immediatamente nella mia stanza, concentrandomi sui miei piedi per evitare l’ennesimo ematoma sulle ginocchia causato da un brutto atterraggio sul pavimento.
Avevo lasciato Anita dormiente, e speravo che Morfeo l’avesse liberata dalla sua morsa, ma evidentemente quel giorno ogni mia speranza era destinata a spegnersi sul nascere. Mi avvicinai alla mia collega e cominciai a scuoterla lentamente, poi sempre più forte, dal momento che i miei scossoni sembravano non disturbarla affatto.
<< Anita. Anita per favore … svegliati!>>.
La voce che mi uscii dalle labbra era tesa e stridula.
<< Faremo tardi, l’appuntamento è tra un quarto d’ora! >>.
Non riuscii nemmeno a terminare la frase, che Anita spalancò gli occhi verdi e balzò giù dal letto. Che tempismo perfetto! Mi lanciò un’occhiata e storse il naso. Anticipai quella che sarebbe stata sicuramente una critica.
<< Cosa c’è che non va?>>, chiesi sarcastica.
Lei tornò a squadrarmi dalla testa ai piedi. << Dove sei stata?>>.
La sua domanda impertinente mi infastidì.
<< Non abbiamo tempo per i resoconti …>>, risposi tagliando corto. Anita mi fissò torva e cominciò ad aggirarsi frenetica per la stanza. Passò più volte davanti allo specchio: aggiustava i capelli, già perfettamente in ordine, il vestito color glicine. Scossi la testa sospirando. La sua vanità a volte mi irritava. Presa da chissà quale pensiero abbandonò lo specchio e tornò a fissarmi. Il suo sguardo sembrava preoccupato. << Potresti pure accennarmi qualcosa … >>.
Non so cosa e come mi convinse, ma mi ritrovai seduta sul letto a raccontarle tutto. Io parlavo, e lei incredula stava ad ascoltare. Ogni tanto mi fulminava con lo sguardo, altro volte strabuzzava gli occhi e scuoteva la testa rassegnata.
Le lancette oltrepassarono le 19, l’orario previsto per l’intervista, senza che noi ce ne rendessimo conto. Ma qualcun altro, non aveva ulteriore tempo da perdere, e un rumore alla porta, interruppe il mio monologo. Scattai in piedi, rivolsi una sguardo disperato ad Anita che si limitò ad annuire. Corsi immediatamente ad aprire. Davanti ai miei occhi si presentò un’esile figura dai capelli lisci e nero corvino. La guardai per un istante: non ricordavo il suo volto.
<< Buonasera, scusate il disturbo >>, esordì con voce sottile << Sono Susan Wayans, l’assistente dei Free Fallen …>>.
Sbiancai all’istante. Mi limitai ad annuire, perché sentivo di aver perso la voce.
<< Perfetto. Se non ho sbagliato persona, e se non ricordo male, l’appuntamento era alle 19 nella sala riservata ai congressi! >>.
Rabbrividii. << Si … si ci scusi … noi … >>, farfugliai impacciata, incespicando nelle mie stesse parole. Per mia fortuna Anita era sempre stata più fantasiosa di me.
<< Emma … va meglio! >>, disse avvicinandosi alla porta. << Mi scuso personalmente con lei e con la band!>>, continuò a dire mentre si accostava a me.
<< Ho avuto un brutto capogiro, il nostro ritardo è dovuto a questo malessere passeggero>> si scusò Anita portando una mano alla tempia.
Susan Wayans sospirò. << Mi dispiace tanto. Non potevo immaginare … >>, disse mortificata, abbandonando il precedente tono di rimprovero.
<< La mia collega è molto riservata, scommetto che stava già cercando una scusa decisamente più professionale. >>, ribatté Anita lanciandomi un’occhiataccia. Io abbassai lo sguardo.
<< Adesso come si sente? >> chiese Susan preoccupata.
Anita le sorrise. << Va molto meglio. Tra due minuti saremo da voi.>>
<< I ragazzi vi aspettano! >>, disse e si allontanò veloce.
Chiusi la porta alle mie spalle e nella stanza piombò il silenzio.
<< Anita cosa ti è saltato in testa?? >>, ruggii.
 La mia collega mi incenerì furibonda. << Non è il caso che io ti ricordi quello che … >>.
<< Okay okay … >> la interruppi. << Sbrighiamoci. Non siamo mica noi le star! >>. Anita con mia grande sorpresa mi si avvicinò e posò le sue mani sulle mie spalle. Parve esitare, mentre studiava attenta la mia espressione.
<< Andrà tutto bene >>, disse sicura.
<< Lo spero … >>, mormorai.
Non ero poi così tanto convinta che tutto sarebbe filato per il verso giusto. Se c’ero io di mezzo, non poteva andare come la mia amica sperava.
Dati i recenti risvolti della mia carriera, mi sarebbe piaciuto conoscere le motivazioni che avevano spinto il capo, ad affidare un servizio di tale importanza proprio a me. Fossi stata in lui non avrei affidato neanche la mia borsa alla tenera, impacciata e sbadata Emma. Anzi, mi sarei tenuto a debita distanza da lei. Per mia fortuna però, non tutti fuggivano da me, come io stessa invece avrei voluto fare.
Anita impaziente schioccò le sue dita davanti al mio viso. Quel suono richiamò la mia attenzione. Avevo come l’impressione che la mia collega bellissima, fosse stata inviata al mio fianco per proteggermi e allo stesso tempo distruggermi. Proteggermi perché in un batter di ciglia riusciva a strapparmi da quel mondo di pensieri, dove spesso mi rifugiavo. Distruggermi perché ritornare alla realtà era più complicato di quanto potesse e potessi io stessa immaginare. Stringevo la mano destra in quella sinistra, stritolandola in quella morsa che trasudava ansia. La sala riservata ai congresso era davvero grande, dispersiva. C’erano divani elegantissimi ai lati della grande stanza. Un tavolo lunghissimo di legno massiccio, occupava il centro della sala, illuminata dalle finestre che si affacciavano sulla via principale. Le pareti erano tappezzate da elegantissimi arazzi.
Rimasi impietrita sulla soglia. Ero stordita, mi sentivo ubriaca, ma l’unica cosa che avevo bevuto era un caffè … Cercai di non soffermarmi troppo su quell’ultimo particolare. I quattro musicisti si accorsero della mia presenza, e si voltarono nella mia direzione. Mi sentii vacillare, un senso di nausea si impossessò prepotente del mio stomaco. Non mi stupii però, ero emozionata e in balia di sensazioni opposte e travolgenti. Improvvisamente cominciai ad avvertire un formicolio, prima leggero, poi sempre più insistente lungo le gambe. In quel momento pensai che l’unica soluzione fosse schiodare i piedi da quella moquette e correre via, veloce, per rituffarmi nella mia vecchia vita. La mia vecchia vita: ecco cosa mi tratteneva invece in quella stanza, il frenetico terrore di tornare al passato. Anche un passo indietro sarebbe bastato per gettare nelle mie vene, tanta di quella aria, da uccidermi.
Senza rendermene conto mi ero avvicinata pericolosamente a loro, e in quei pochi centimetri che ormai ci dividevano, vedevo tracciato il bivio della mia vita. Potevo alzare i tacchi, voltargli le spalle e andare via. Fuggire era diventata la mia priorità. La fuga era l’unica cosa che mi riuscisse davvero bene. Ma decisi di rimanere, non volevo deludere chi, quel servizio, me l’aveva affidato. Ancora non riuscivo a capacitarmene. Anita ne sapeva sicuramente più di me.
Perché mi aveva chiamata lei e non il capo, ad esempio? La domanda sorgeva spontanea. Stava sicuramente architettando qualcosa. Le rivolsi uno sguardo confuso, ma lei seria e professionale guardava i quattro ragazzi che si avvicinavano.
 I Free Fallen erano una famosa rock band americana, formata da quattro musicisti, che avevano pian piano conquistato il pubblico di tutto il mondo. Dieci anni prima a stento riuscivano a riempire un palazzetto dello sport, adesso non bastavano più gli stadi. Sorrisi fiera di me stessa: io ero tra quelle poche persone che aveva seguito la band fin dai meno fortunati esordi. Adesso quei quattro ragazzi fissavano me. Frank Gore, il batterista nonché fratello di Leonard, il chitarrista Robert Lorence e il bassista Adam Black. Li fissai uno per uno evitando accuratamente di non incrociare lo sguardo del cantante, che avevo incontrato poco prima in ascensore. Non erano tanto diversi da come me li avevo sempre immaginati. Ciò che mi colpì fu la loro disinvoltura. Erano abituati alle interviste, e quel momento non era poi così importante per loro, come lo era per me.
Leonard richiamò l’attenzione di tutti, schiarendosi la voce. << Buonasera ragazze … >>.
Ci salutò disinvolto, prendendo subito la parola. Io non lo guardai nemmeno, e cercai di concentrare lo sguardo sugli altri tre. Presi fiato prima di parlare.
<< Scusate il ritardo, siamo mortificate … Spero vogliate e possiate perdonare tale incombenza!>>. Le labbra mi tremarono e sperai che le mie parole suonassero convincenti.
<< Ho avuto un forte capogiro>>, aggiunse prontamente Anita.
La sua voce richiamò la loro attenzione. Tutti la guardarono estasiati, tranne uno. Con la coda dell’occhio, osservai Leonard che sembrava guardarmi divertito.
<< Si! Susan ci ha messo al corrente dell’accaduto. Spero stia meglio!>>, disse il cantante non distogliendo lo sguardo da me. << Spero solo non fosse sola in camera. Si sarà presa un bello spavento!>>.
Quelle sue ultime parole costrinsero i miei occhi a cercare i suoi. Leonard sorrise beffardo. Era questo ciò che voleva: innescare la mia reazione, provocarmi. A quel punto non mi sentii più in colpa per avergli rovesciato il caffè addosso. Fossi tornata indietro, gliel’avrei gettato direttamente in faccia. Il cantante m’inchiodò con uno sguardo, ed io incapace di resistergli rimasi a fissarlo per un attimo che sembrò durare un’eternità.
<< Ci vogliamo accomodare?>>, chiese Frank, quasi avesse intuito che era arrivato il momento di porre fine a quello scontro di occhiate. Gliene fui grata.
Osservai per la prima volta il batterista. Era alto, muscoloso e slanciato. Gli occhi erano grandi, proprio come quelli del fratello, e il nocciola intenso non ne sminuiva la bellezza.
Persa nei miei pensieri, mi accorsi a malapena della mano di Frank che strinse la spalla del fratello, quasi a volerlo allontanare da me. In effetti Leonard non aveva smesso un attimo di guardami. Tutte quelle attenzioni apparentemente mi infastidivano. Ma era inutile mentire a me stessa: in realtà mi lusingavano. Ne ignoravo la causa però, forse mi aveva riconosciuta e mi voleva ridicolizzare davanti a tutti.
Cominciai a camminare nella loro direzione, mentre la band prendeva posto nei divani. Una presa ferrea, fece leva sul mio polso. Mi voltai e guardai stupita Anita. Lei mi sorrise. << Io vado …>>, sussurrò << Dimostra alla tua vita che c’è ancora una ragione! >>.
Strabuzzai gli occhi. << Dove diavolo vai?>>, dissi a denti stretti. Il mio sussurro fu isterico.
<< E’ la tua intervista. Io ti aspetto fuori!>>. Mollò la presa dal mio braccio e si allontanò da me.
Dovetti impiegare tutte le mie forze per trattenere le lacrime. Le mani vuote mi bruciavano. Avevo capito, adesso era tutto chiaro. Quello era il suo regalo per me! Mi aveva ceduto la sua occasione, ed io vigliacca rischiavo di stropicciarla tra le mie mani. Dovevo e volevo rimediare, prima che fosse troppo tardi. Guardai Anita allontanarsi, farsi sempre più piccola. Sentii un senso profondo di solitudine insinuarsi nelle mie vene e sfiorare i miei polmoni, ma dovevo reagire, non deludere quell’amica che aveva svenduto la sua possibilità.
<< Bene ragazzi, si comincia. Sono Emma Mantegna, e come già saprete sono qui, perché la rivista per cui lavoro, ha deciso di dedicarvi la copertina e uno speciale, in occasione del vostro ritorno in Italia …>>.
Li guardai entusiasta mentre mi parlavano fieri del loro tour, ripensando a quel palasport pieno di gente, e quella mia prima volta al cospetto della loro potenza live. L’intervista andò meglio di come sperassi. Una piacevole miscela di domande precise e risposte energiche. E tra le battute di Adam, la risata fragorosa di Frank, il sorriso timido di Tim e la professionalità di Leonard, trascorse veloce il tempo a nostra disposizione. Tempo destinato a finire, e a concludersi nel migliore dei modi, se solo quella manica fosse rimasta avvinghiata al mio polso. Un movimento azzardato del braccio destro, fece risalire il dolcevita che indossavo, scoprendo quella rosa rossa che mi ero fatta tatuare parecchi anni addietro. Era stata una scelta difficile ma inevitabile. Tormentata ma voluta. A soli diciotto anni, avevo deciso di farmi tatuare un rosa, ma non una rosa qualunque: la loro rosa, simbolo ed emblema dei Free Fallen. C’erano stati giorni in cui avrei voluto strappare quel lembo di carne e buttarlo via. Non avevo più le forze per credere in un sogno che sarebbe rimasto per sempre tale. Abbassai lo sguardo verso il mio braccio, che mostrava fiero quel fiore rosso. Con la mano sinistra cercai invano di riabbassare il maglione. Invano perché quattro paia di occhi erano già puntati sul mio esile polso.
Mi sentii pizzicare le guance. Arrossivo sempre quando ero imbarazzata. Raccattai tutto il coraggio di cui disponevo e mi convinsi ad alzare lo sguardo. Leonard mi fissava, silenzioso, con un’espressione indecifrabile sul viso. Mi stava studiando di nuovo. Mi sentivo la sua cavia di laboratorio. Non doveva guardarmi così! Intercettato chissà quale pensiero, si alzò di scatto e mi si sedette vicino. Indietreggiai istintivamente per paura di essere sfiorata da lui. Non volevo che mi toccasse. Quel contatto mi avrebbe tradita.
Ciò che non mi aspettavo però, fu la reazione degli altri. Tutti scoppiarono a ridere, fissando me e Leonard.
<< Leo … caspita, chi l’avrebbe mai detto?! Adesso spaventi anche le ragazze!>>, disse divertito Robert. Il chitarrista dai lunghi e arruffati capelli neri, mi fece l’occhiolino. Mi sforzai di sorridere, ma ciò che ne venne fuori fu qualcosa di più simile a una smorfia. Il bassista Adam, un ragazzo smilzo, biondo, il più giovane del gruppo, sembrava compatirmi. Mi guardava silenzioso avvolto nel fumo della sua ennesima sigaretta. Anche io rimasi in silenzio, troppo intimidita per proferire parola. Leonard al mio fianco era nervoso quasi quanto me. Era come se il suo corpo emanasse radiazioni, che colpivano nocivamente il mio. Fissava un punto davanti a sé. Sul suo viso neanche l’ombra di un sorriso. Improvvisamente si voltò, colpendomi con l’intensità del suo sguardo. Io non potei sostenerlo, era un vero affronto.
<< Emma … giusto?>>, mi chiese Leonard, scatenando in me un vortice di emozioni. La sua sola voce, bastò a riempirmi lo stomaco di farfalle. Ebbi un sussulto lento e soffocato, non appena il mio nome uscì così delicato e sensuale dalle sue labbra. Annuii e abbassai lo sguardo intimidita. Lo sentii sorridere.
<< Sei una nostra fan?>>, chiese sorpreso.
<< Si …>>, risposi impacciata.
<< Emma, wow! Non l’avevamo mica capito! >>, ammise sincero Robert.
<< Parla per te … >>, disse Leonard.
Mi voltai di scatto nella sua direzione, ma lui guardava altrove. Che tipo strano che era. Sapevo già che era un uomo bizzarro, eclettico e perché no, anche un po’ folle. E da fan mi piaceva. Avevo sempre pensato che gli artisti, fossero divenuti tali, perché trascinavano dietro di sé la giusta dose di maledizione, di pazzia. Carismatici e folli, ecco come erano i veri leader.
I suoi occhi sembravano di cristallo, vitrei, ma non ci si poteva specchiare. Nascondevano mille segreti. Sorrisi: quell’uomo non differiva da me poi così tanto.
<< Avevo intuito che non disdegnassi la nostra musica, da come hai impostato l’intervista!>>, ribadì Leonard serio. Lo guardai stupita.
<< Ho fatto del mio meglio … So che non amate particolarmente la stampa!>>, dissi sottovoce.
<< Dipende dal tipo di giornalismo, e dall’uso che si fa di esso!>>, precisò Adam.
Il cantante tornò a fissarmi, con quella sua espressione che non lasciava trapelare nulla.
<< Tu sei originale. Non ci hai rivolto le solite domande banali …>>, affermo sorridente. Poi tornò serio. << Forse sei stata mandata qui proprio per stupirmi …>>, concluse quasi frustrato.
Non mi aspettavo quelle parole. Da uno come lui no. Stupirlo io? L’unica volta che avevo stupito qualcuno, era perché stavo facendo un’assurdità. Pensandoci bene in quelle poche ore ne avevo fatte parecchie. Partire per Los Angeles era stata un’assurdità, la più bella della mia vita però.
 
In quel momento avrei voluto chiamare lui, dirgli che avevo ragione io, che mi aveva distrutta, ma che avevo avuto la forza, e la fortuna di ritrovare i miei pezzi per rimettermi in piedi. Non bramavo vendetta, non riuscivo nemmeno a odiarlo. Volevo solamente dimostrargli che io, proprio io, la piccola farfalla, a cui lui aveva tagliato le ali, aveva imparato a volare, anche senza il suo sostegno.
Ecco che tornava irrimediabilmente il nostro passato, una presenza ormai troppo scomoda per il mio presente.
..
 
 

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Capitolo 5
*** Nemica vicinanza ***


Salve a tutte/i  :D  Ritorno con il quinto capitolo, introducendo finalmente il punto di vista di Leonard. Questa sarà la prima volta in cui i due protagonisti potranno parlare e iniziare a scoprirsi a vicenda. Non sarà facile all’inizio e forse non lo sarà mai. Però le parole di Leonard ci aiuteranno a conoscere meglio la nostra Emma, a valutare le sue reazioni, ad aprire uno squarcio in questa sua facciata ben costruita. Se vi fa piacere, se semplicemente ne avete voglia lasciate anche una piccola recensione. Buona lettura :D



POV EMMA


<< Tutto bene?>>, domando Leonard che approfittando del mio silenzio, aveva colmato la distanza tra di noi. Dovetti resistere al desiderio di ritrarmi.
<< Si … Grazie!>>, risposi fingendo distacco. Volsi lo sguardo altrove, concentrandomi sugli altri tre raccolti intorno al pianoforte in fondo alla sala.
<< Sicura?>>. La sua mano fece un movimento impercettibile verso di me. Ancora prima di sfiorarmi, la ritrasse.
Rabbrividii. << Certo che lo sono …>>.
Cosa gli importava di me? Cosa potevo contare nella vita di un uomo che aveva già tutto? Provai a cambiare discorso e per mia fortuna ci riuscii.
<< Come sta la tua camicia?>>, gli chiesi trattenendo a stento un sorriso.
Leonard scoppiò in una fragorosa risata. << Non tanto bene! Però la signora della tintoria mi ha rincuorato. Ha detto che si riprenderà …>>.
Ecco, avevo tirato fuori la domanda più ridicola. Mi ero riconfermata una frana. Non sapevo gestire nemmeno un’innocua conversazione. Nascosi il mio viso tra i capelli e tornai a fissare un punto indefinito della stanza. Leonard si sporse verso di me, di nuovo quell’espressione frustrata sul suo viso.
<< Non nascondermi i tuoi occhi …>>, sussurrò incredibilmente imbarazzato.
Lo fissai in silenzio, spiazzata da quell’inaspettata richiesta.
<< Cosa?>>. Risi per sdrammatizzare. Lui rispose con un sorriso, ed io mi sentii travolgere da un’ondata di emozioni, fino ad allora represse.
<< Davvero … Amo gli occhi così scuri, perché puoi solo immaginare cosa ci sia dietro!>>.
Sciocchezze, per quanto i suoi fossero chiari, neanche io riuscivo a leggervi dentro. Non riuscii a parlare, davanti agli apprezzamenti non sapevo mai cosa dire. Non contento rincarò la dose.
<< Dietro ai tuoi ad esempio, c’è un mondo più grande di te …>>. Serrò le labbra in attesa di una mia risposta. Mi auguravo che stesse più attento in futuro a ciò che avrebbe detto. Una parola sbagliata avrebbe scatenato contro di lui, la belva che c’era in me.
<< Non lo conosco nemmeno io, questo mondo di cui tu parli … >>, risposi infastidita e sperai chiudesse il discorso.
<< Solo perché non vuoi >>, replicò insistente. Evidentemente non teneva alla sua vita.
 Io lo fissai irritata. << E’ brutto svegliarsi una mattina, e non trovare più al proprio fianco ciò che si vuole, ciò che più si desidera al mondo … >>, sospirai.
Mi stavo esponendo troppo. Leonard non si arrese, amava le cause perse, o forse quello scambio di parole era solo una parte del suo esperimento da laboratorio.
<< Non so cosa sia successo a questa persona, chi sia stato a spegnerla. Ma non si può giudicare il resto della propria vita rifacendosi a quella, che alla fine dei conti, sarà solo una brutta esperienza!>>.
<< Non avrebbe senso...nulla ha più senso! Credimi...>>.
Aggrottò la fronte e tornò a fissarmi. << Non hai vissuto abbastanza per deciderlo!>>.
<< Non stiamo parlando di me>>, ringhiai ma lui ignorò la mia reazione.
<< Dovresti cominciare ad apprezzare ciò che ti fa stare bene!>>, strinse i pugni sulle ginocchia. Mi concentrai sui suoi muscoli contratti.
<< Che ne sai tu di me? Della mia vita? Cosa pretendi di sapere? Tu sei una star! Hai soldi a palate, mille donne, tutte quelle che vuoi! Le conquisti tutte così, oppure cambi l'ordine delle parole? E’ una battaglia persa. Non sono quel tipo di ragazza >>, precisai in preda alla rabbia.
<< Lo so …>>, disse e sorrise divertito.
La mano mi bruciava, avrei voluto dargli uno schiaffo, rovinare quel bel viso d’angelo. Fortunatamente per lui, il buon senso ebbe la meglio sull’istinto.
<< Non mi conquisterai Leonard!>>. Le parole uscirono graffianti dalla mie labbra tese.
Ci fu un breve istante di silenzio, poi lui scoppiò a ridere.
<< Ci puoi scommettere …>>.
Mi alzai di scatto, ma lui bloccò il mio braccio con la presa ferrea della sua mano. Gli lancia un’occhiataccia, ma lui continuò a sorridere beato.
<< Fosse l’ultima cosa che faccio >>, disse e mi strizzò l’occhio.
Digrignai i denti, e strattonai il mio braccio per liberarlo dalla sua stretta. Il nervosismo innescò la lacrime, che riuscii a trattenere a stento, prima di salutare con un cenno della mano gli altri, e scappare via da quella stanza. Che reazione umiliante …

 
 
 
 
POV LEONARD
 
 
Rimasi immobile. Pietrificato, guardai Emma allontanarsi da me. L’avevo mortificata, ne ero sicuro, ma non riuscivo a togliermi quel sorriso sornione dalla faccia. Vederla mi metteva inspiegabilmente di buon umore. Era goffa, esageratamente imbranata, ma dolcemente fragile. Una creatura indifesa da proteggere. Lei non mi guardava nemmeno, e speravo non avesse notato l’espressione frustrata sul mio volto, ogni volta che la osservavo, e lei volgeva la sguardo altrove. Speravo fosse imbarazzo, quello che ogni fan avrebbe provato trovandosi al cospetto dei propri idoli, ma lei non era come le altre, era a sua insaputa imprevedibile. Imprevedibile e bella, più di quanto essa stessa potesse immaginare. Si capiva da ogni suo gesto o movimento. Si muoveva piano cercando di non attirare l’attenzione su di sé. Peccato, quella volta non c’era proprio riuscita.
<< Leo, ma cosa è successo?>>, chiese Adam preoccupato. Anche Robert e Frank mi si avvicinarono.
Rimasi in silenzio, incapace di distogliere lo sguardo dalla porta che le aveva permesso di andare via.
<< Nulla …>>, risposi sospirando.
Adam mi si sedette vicino. << Amico, non farla scappare via così!>>.
<< E che dovrei fare? Correrle dietro? Mai …>>. Mi sarei esposto troppo. Quella donna non mi permetteva di capire nulla. Mi voltai e incrociai lo sguardo di mio fratello concentrato su di me.
<< Sbaglio o sei troppo orgoglioso?>>, chiese sarcastico lasciandosi sfuggire una debole risata.
<< Se così non fosse non avrebbe reagito così >>, mormorò Adam. Lo guardai di sottecchi, speravo che almeno lui mi risparmiasse i propri commenti sulla faccenda.
<< E’ solo una delle tante giornaliste carine! Anzi fin troppo suscettibile...>>, risposi facendo una smorfia. Ma quella era la verità. Che fosse troppo suscettibile non vi era dubbio, che fosse una delle tante …
<< Beh dalla tua reazione, non direi proprio che sia una delle tante >> disse Robert sorridendo malizioso.
Sussultai, sembrava mi avesse letto nel pensiero. Non fiatai, ero troppo di malumore per degnarli di una risposta. Mi alzai da quel divano, presi quel block notes che lei aveva dimenticato , e lasciai dietro di me quel vociare sommesso ma fastidioso.
Volevo starmene un po’ da solo. In quel momento non disponevo del controllo totale sulle mie emozioni. Dovevo capire bene cosa mi stesse succedendo. Sentivo il bisogno di vederla, il bisogno irrazionale di sfiorare il suo viso. Le poche volte che avevo azzardato ad avvicinarmi, lei si era ritratta, spaventata e confusa. Io il cacciatore e lei la preda. La mia fragile e ingenua preda. Ma non era così che doveva andare. Non doveva proprio cominciare. Non potevo permetterle di condizionare il mio umore. La cosa più frustrante era vedere la sua totale indifferenza nei miei confronti. Chissà cosa pensava realmente. Stavo intraprendendo una battaglia impossibile, quella era l’unica sensazione di cui mi fidavo. Dovevo rischiare, un’altra volta nella mia vita. Ma l’avrei conquistata: mantenevo sempre le promesse.

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Capitolo 6
*** Una fuga continua ***


Salve a tutti/e. Ho deciso di postarvi oggi il sesto capitolo e approfittarne per augurare a tutti i lettori un felice e sereno 2012. Divertitevi, leggete tanto, e sognate :D
Ritorniamo al punto di vista di Emma. Perchè scappata in quel modo? Riuscirà a superare l'ennesima crisi? Riuscirà a venirne fuori?
Buona lettura :)




POV EMMA



La mia corsa fu bloccata dalle braccia di Anita. Con il dorso della mano asciugai subito le lacrime, ma gli occhi gonfi e rossi non potei nasconderli. La mia collega allargò le braccia, ed io mi rifugiai nella sua tenera stretta. In quell’abbraccio ritrovai la mia amica. Mi sentivo svuotata, distrutta, sgretolata ma non sola. Quel suo semplice gesto mi aveva tratta in salvo. E piansi davvero. Piansi per liberarmi da un dolore che ero stanca di trascinarmi dietro.
Lei aspettò paziente che la stanchezza placasse le mie lacrime. Non so per quanto tempo rimanemmo in quella posizione. Mi sentivo intorpidita, stremata. Alzai piano la testa, per paura di mostrarle il mio viso macchiato dal trucco sbavato. Con la mano asciugò le ultime lacrime che bagnavano il mio viso, e mi fissò per un attimo interminabile. Corrugò la fronte.
<< Emma … potresti dirmi cosa è successo?>>, domandò cauta.
Aveva chiaramente paura di una mia reazione isterica. Come darle torto?
<< Anita … ti giuro, l’intervista è andata bene …>>, balbettai con la voce strozzata dal pianto.
<< Ma cosa vuoi che me ne freghi dell’intervista >>, ringhiò infuriata, serrando i pugni lungo i fianchi. Io mi strinsi nelle spalle intimorita.
<< Io non voglio più vederti piangere … per lui, per loro, per nessuno!!!>>.
<< Scusa …>>, bisbigliai con un filo di voce. Mi sentivo debole, preda dello sconforto. Anita mi si avvicinò, e posò la sua mano calda sulla mia guancia umida.
<< Non ti devi scusare>>, disse dolce << Ma non devi permettere a nessuno di condizionare la tua vita>>.
Un nodo strinse la mia gola, e quasi mi soffocò.
<< Non tornerà mai. Mai più.>>, ribadì seria.
Certo che non sarebbe tornato. Lo sapevo già. L’avevo capito nell’attimo in cui se n’era andato, portando via con sé tutto, anche me.
Non le risposi. Le chiesi solamente di lasciarmi sola, e mi fiondai alla ricerca disperata della nostra stanza. Non appena vi entrai mi sentii al sicuro.
Mi distesi su quel letto, chiusi le tende e mi rifugiai nel mio mondo di pensieri.
Mi ero chiusa di nuovo, ancora una volta, nel mio guscio. C'ero, ma solo per pochi. Ecco cosa ero, un riccio piccolo , che cercava di proteggersi dagli scherni altrui, che si sentiva in colpa, per qualcosa che non aveva fatto. Un animaletto con mille e più ripensamenti, con un cuore solitario, che aveva perso le speranze, con troppe spine che solo pochi ormai sapevano schivare. Spine cresciute come uno scudo contro tutto e tutti!
Ma non avevo mai smesso di sperare nell’arrivo di qualcuno che sapesse rompere il mio ghiaccio. Anche se spesso questo "qualcuno" sembrava troppo lontano. Eh si anche i ricci sognano, ed io sognavo il mio principe, un uomo gentile e onesto, che non portava spine nelle rose, che mi avrebbe donato. Quel principe che avrebbe avuto un sorriso motivato da donarmi, che mi avrebbe aspettato nonostante avessi tardato ad arrivare, che non avrebbe tracciato due strade, ma l’unica insieme a me. Che avrebbe avuto il coraggio di guardarmi negli occhi, con tutta la voglia di scoprire chi realmente fossi: un riccio dal cuore tenero e indifeso, che aveva costruito uno scudo, in attesa del suo arrivo. Nonostante tutto, nonostante le delusioni e le amarezze lo aspettavo ancora. Volevo credere in quella favola. Non potevo lasciarmi sopraffare da un passato troppo scomodo ormai. Anita aveva ragione, non potevo permettergli di condizionare ulteriormente l’andazzo della mia vita.
Ingarbugliata nei miei pensieri, a stento riuscii a sentire un leggero rumore alla porta. Pensai di aver immaginato tutto: stavo aspettando il principe azzurro, ma non poteva essere arrivato così presto. Un altro colpo deciso alla porta però, mi risvegliò definitivamente dal mio torpore. Balzai giù dal letto, e rischiando di perdere l’equilibrio, raggiunsi la porta. Aprii automaticamente, senza chiedere nemmeno chi fosse, e davanti ai miei occhi trovai l’ultima persona che speravo e mi aspettavo di vedere.

 
Gli occhi cristallini di quell’uomo mi scrutavano. Un’espressione sgomenta sul viso.
Non mi aspettavo di trovare Leonard davanti alla mia porta. Ero sicura che fosse Anita, avermi vista in quello stato, l'aveva sicuramente turbata, o forse si era semplicemente abituata ai miei sbalzi d’umore.
<< Emma, mi dispiace immensamente! Se ti ho ferito in qualche modo, con le mie parole, dimmi cosa posso fare per farmi perdonare …>>, esordì Leonard.
M’investì con la forza del suo sguardo e mi sentii in colpa, terribilmente in colpa per averlo trattato in quel modo.
<< Leonard, tranquillo … Davvero! Dimentica tutto quello che è successo. Se puoi …>>.
Indugiò prima di rispondere. << Sono stato io la causa delle tue lacrime, dunque voglio rimediare>>. La sua voce si spezzò ancora prima di terminare la frase. Allungò una mano verso il mio viso, ma stavolta non la ritrasse. Con un tocco leggero mi sfiorò, ed io a stento riuscii a respirare.
Deglutii rumorosamente. << No … tu non sei la causa di nulla!>>.
Leonard alzò gli occhi al cielo. << Credi che io sia egocentrico, vero?>>.
Sorrisi appena.
Lui annuì. << In effetti lo sono >>, ammise. Poi alzò lo sguardo e incrociò il mio. In quell’attimo dimenticai pure il mio nome. Non riuscii però a distogliere i miei occhi dai suoi, mentre lui sembrava di nuovo imbarazzato, indeciso.
<< Ascolta …>> disse dolce. << Forse posso già prevedere quella che sarà la tua risposta, ma lasciami provare … >>.
La sua mano cercò la mia, ma io feci un passo indietro. Lui non doveva toccarmi, il cuore mi sarebbe uscito fuori dal petto e non avrei più potuto fingere la dovuta indifferenza. Leonard portò la mano tra i capelli e abbozzò un sorriso.
<< Scusami di nuovo, con te sbaglio sempre tutto …>>.
<< Stavi dicendo qualcosa, prima …>>, lo incoraggiai e il mio tentativo di cambiare discorso andò a buon fine.
Lui prese un bel respiro. << Si … Emma, verresti a cena con me se ti invitassi ad uscire?>>. La sua voce era speranzosa, io lo fissai sconvolta. Perché si comportava in quel modo? Perché mi dedicava tutte quelle attenzioni? Decisi di rimanere sulla difensiva.
<< Ti ho già detto che non devi farti perdonare …>>.
<< Infatti >>, m’incalzò lui << Io voglio semplicemente invitarti a cena!>>, ammise tutto d’un fiato.
<< No!!>>, sbottai e stavolta fu lui ad indietreggiare.
Era solo un invito a cena, nulla di più, e avrei voluto dire di si. Avrei sempre assecondato le scelte di quell’uomo, se solo il cuore non si ostinasse a voler battere ancora per qualcun altro.
<< Fa nulla >>, disse amareggiato. L’espressione che si impossessò del suo viso era tutt’altro che serena. Cercai di dire qualcosa, ma le parole mi si seccarono in gola.
<< Lo capisco …>>, mormorò.
Io scossi la testa. << Invece no >>, sibilai.
Come poteva capire? Come poteva capire le sensazioni opposte che provavo in quel momento? Non era lui quello depresso, malconcio, accasciato sulla sua stessa vita.
<< Vuoi che vada via?>>, chiese quasi intimorito. Possibile che avessi spaventato anche lui?
Non risposi e lui fraintese il mio silenzio. Mi lanciò un ultimo sguardo e mi voltò le spalle. Senza rendermi conto di quello che stessi facendo, lo afferrai per un braccio.
<< No. Non voglio.>>, risposi a mezza voce.
Leonard si girò di scatto, e incredulo osservò la mia mano su di sé. La ritrassi imbarazzata. Lui mi fissò in silenzio, ed io potei scorgere nei suoi occhi la paura di ferirmi ancora una volta.
<< E’ più difficile di quanto tu possa immaginare …>>, sospirai.
Serrò le labbra e mi si avvicinò cauto. << Mi dispiace … Non è giusto >>, mormorò sincero.
Accennai un sorriso. << In realtà è colpa mia. Sono un’incapace!>>.
M’interruppe. << Non sei un’incapace! Non sei nulla di tutto ciò che credi essere …>>, disse serio.
Le sue parole mi colsero di sorpresa.
<< Ah dimenticavo …>>, esordì e tirò fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni un block notes.
Spalancai gli occhi. << Grazie …>>, dissi << Non lo trovavo più …>>.
Leonard mi guardò perplesso, poi rise. << Diciamo che andavi di fretta …>>. Ricambiai il sorriso.
<< Adesso devo andare! Se ci ripensi …>>. Non terminò la frase e volse lo sguardo altrove.
<< Ripensare a cosa?>>, domandai confusa. D’altronde era stato parecchio ambiguo nei miei confronti.
<< Alla cena, intendo>>, replicò imbarazzato.
Io non sapevo cosa rispondere, e in silenzio torturai il mio labbro inferiore.
<< Sono stanca>>, mentii e sperai non se ne accorgesse.
Mi fissò serio e si strinse nelle spalle. << Farò finta di averci creduto >>.
Si avvicinò di nuovo e con la punta delle dita sfiorò la mia guancia che sembrò prendere fuoco. Mi girava la testa. Gli avrei ordinato di smetterla, ma non era ciò che volevo. In realtà avrei voluto che quell’attimo durasse in eterno. Ma la sua mano abbandonò troppo presto il mio viso. Nascosi la delusione dietro un sorriso forzato.
<< A presto!>>, sussurrò e il suo profumo mi travolse. Era dolce e intenso come lui.
<< A presto …>>, risposi senza fiato.
Lui se ne andò, lasciandomi così, sola davanti a quella stanza, in quell’angolo ignoto di mondo.
 
 Mi buttai sul letto con tutta la forza che mi rimaneva. Mi tremavano le gambe, e continuavo a punzecchiarmi le guance, per accettarmi che quella fosse davvero la realtà.
Ma avevo davanti ai miei, i suoi occhi, sentivo ancora il suo profumo e stringevo tra le mani il mio block notes. Nonostante tutto però, era difficile rendersi conto di quanto fosse accaduto. Più ci pensavo più mi sembrava assurdo. Era impossibile che quell’uomo magnifico mi avesse invitata a cena, e ancora più impossibile che io avessi rifiutato. Si era solo una cena, ma a me occorreva ben poco per illudermi, e sapevo già che un’altra illusione mi avrebbe uccisa. Proprio per questo avevo declinato l’invito. D’altronde mancavano pochi giorni al mio rientro in Italia, anche se sarei rimasta lontana da casa molto volentieri. Roma mi ricordava che lui un tempo c’era stato. Mi ricordava il suo sorriso, quando dopo una giornata stremante di lavoro, rientravo a casa, il suo tenero abbraccio, quando diceva di amarmi, e prometteva che avrebbe continuato a farlo per il resto della sua vita. L’errore più grande era stato credere a quelle promesse.
Un suono inaspettato richiamò la mia attenzione. Capii subito che era il cellulare, ed io come al mio solito, mi lancia alla ricerca sfrenata di esso. Frugai nella valigia, lo cercai tra le lenzuola del letto disfatto. Finalmente cadde per terra. Sullo schermo lampeggiava un numero che conoscevo a memoria. Con le mani che mi tremavano, raccolsi il telefono da terra e risposi.
<< Pronto …>>, risposi cercando di mantenere un tono neutro.
<< Emma, finalmente! >>, sospirò la voce familiare << Ho provato più volte a chiamarti al numero di casa. Ma niente. Nessuna risposta … Che fine hai fatto?>>, chiese poi con voce tagliente. Affilata come una lama, per una come me che si sentiva terribilmente in colpa.
<< Hai ragione, scusa, ma … ma …>> Non mi diede il tempo di rispondere.
<< Ma quale “ma”! Ti devo tirare le parole di bocca?>> ringhiò adirato.
Io non trovai un modo per giustificarmi. << Non te la prendere …>> sussurrai e mi resi conto che gli stavo chiedendo l’impossibile. Era già fin troppo arrabbiato con me.
<< Secondo te non mi dovrei arrabbiare? Prendi un aereo, affronti ore di viaggio, sorvoli l'oceano, soggiorni nell'altra parte di mondo...e non mi degni neanche di una chiamata?>>. Era furioso e aveva tutte le ragioni del mondo per esserlo. Io rimasi in silenzio, cercando disperatamente parole inutili, che potessero giustificare un mio simile comportamento. Ad ogni mio battito mi accorgevo, che in quella situazione non esisteva scusa più valida, che la sofferta verità. Mi preparai all’inevitabile sofferenza. Mi rannicchiai su me stessa, per concentrare il dolore su una sola parte del corpo, e potei udire il tonfo del mio cuore.
<< E’ difficile parlarne >> confessai.
<< Emma, puoi dirmi cosa è successo?>>. La sua voce era tesa, ed io dovetti sforzarmi per ricacciare indietro le lacrime.
<< E' da un anno che non vieni a Palermo. Pensavo che il tuo problema fosse il lavoro, i troppi impegni, ma è da mesi che non leggo un tuo articolo!!! Cosa ti è saltato in mente? Di abbandonare la tua più grande passione?>>.
Le sue parole mi scombussolarono, e non potei più trattenere le lacrime.
Sbuffò esasperato. << Non dirmi che è colpa sua …>>.
<< Si …>> riuscii a sussurrare, vittima della paura di dirlo ad alta voce, di riconoscere apertamente la causa di tutto, il motore immobile del mio sfacelo, il beffardo meccanismo che aveva calato il sipario sulla mia vita.
<< Emma … E’ la tua stupida storia d’amore la causa di tutto? Gridalo quel "si", voglio sentirlo uscire dalla tua bocca!!!>>
<< Si!>> urlai piangendo.
Sapevo già cosa stava pensando chi stava dall’altra parte del telefono. Avrebbe potuto rimproverarmi, chiunque altro l’avrebbe fatto, ma lui non lo fece, mi conosceva troppo bene.
<< Che ti ha fatto? Che fine ha fatto?>> si limitò a chiedere paziente e comprensivo.
<< Se n’è andato …>> mormorai.
Mi strinsi nelle spalle e cercai di riprendere fiato. Tirare fuori ciò che avevo seppellito, era un’impresa ardua, un’operazione che richiedeva da parte mia, uno sforzo immane. Sospirai e sperai di essere abbastanza forte per prelevare i brutti ricordi dalla mia mente, senza uscire fuori di senno. Non mentii stavolta. Sapevo che il mio interlocutore era sempre stato l'unico disposto ad ascoltarmi : l'unico uomo di cui potevo fidarmi ciecamente. Lo scrigno che avevo aperto, e in cui avevo riposto i miei più remoti segreti.
Gli raccontai tutto, di lui che mi aveva messa davanti a un bivio, che mi aveva obbligata a scegliere tra l'amore e la carriera. Di lui che voleva perseguire la sua di carriera a discapito della mia, ignorando tutti i miei sacrifici, vanificando gli sforzi e il dolore di quel giorno in cui avevo deciso di lasciare la mia città, per dare luce alla nostra vita insieme.
Mi ero svegliata una mattina sola nel nostro letto. Con una mano, ancora assonnata, avevo cercato lui ma non l’avevo trovato. Al suo posto c’era solo un bigliettino con su scritto: “A presto. Mi dispiace!”. La sera prima avevamo litigato, ma avevamo affrontato liti peggiori, e la cosa quindi non mi aveva preoccupata più di tanto. La notte però non era rientrato a casa, mi aveva lasciato quel biglietto sicuramente nelle mattinate, mentre io ignara di tutto quello che mi stesse succedendo attorno, dormivo tranquilla nel mio caldo letto. Mi accorsi successivamente che aveva svuotato l’armadio e portato con sé tutte le sue cose. Tremando, mi ero accasciata sul pavimento, intuendo mio malgrado che quel biglietto era il suo addio.
Erano trascorsi esattamente sei mesi dall’ultima volta che l’avevo visto, ed io cercavo di stare a galla sfidando me stessa. Era come se fossi paralizzata in uno stato di delusione e amarezza. Ero bloccata, immobile, e non riuscivo ad andare avanti nonostante i miei sforzi.
Piangevo lacrime di rabbia, non più di dolore: avevo già sofferto abbastanza.
Mi aveva lasciata sola in una città che conoscevo appena, senza la mia famiglia, con una carriera brillante, che lui voleva a tutti i costi distruggere.
Aveva deciso di partire con la sua band, tentare un colpo all'estero, e quella dannata sera si era ritirato a casa, con il pretesto di portarmi con sè, così all'avventura, abbandonando tutto ancora una volta, come se già non avessi perso abbastanza per strada.
<< Non è più tornato dopo quella sera! Mi ha distrutta, e se oggi sono solo uno spettro di me stessa, è colpa mia >>, dissi amareggiata.
<< Hai solo vissuto …>>
<< Se questo è vivere, non ci trovo nulla di così eclatante!>>.
Lo sentii sospirare. << Sbaglio o sei a Los Angeles? Non mi hai ancora detto per quale motivo però!>>.
Mi sforzai di sorridere. << Per i Free Fallen …>>, bisbigliai.
<< Davvero? Un concerto?>>, domandò fingendo il giusto entusiasmo.
<< No … Mi è stato affidato uno speciale su di loro >>. La mia voce tremò. Non riuscivo ancora a crederci.
<< E’ uno scherzo, vero?>> chiese incredulo.
<< Non potrei mai scherzare in un momento come questo …>>.
Il mio interlocutore rise, sembrava compiaciuto.
<< Li ho intervistati pochi minuti fa!>> aggiunsi con la voce carina di emozione.
<< Tua madre sarebbe fiera di te …>>, sussurrò.
<< Lo so … Ma per favore, non dirle nulla!>> lo implorai. La mia famiglia non sapeva tante cose di me, ormai.
<< Muto come un pesce >> promise.
Ci fu un breve istante di silenzio, poi lo sentii ridere.
<< Dimmi che non sei inciampata, che non hai sbattuto la testa! So già quanto sei imbranata, l’emozione poi non può far altro che alterare il tuo handicap >> concluse divertito.
<< Simpatico …>>sbottai sarcastica.
Lui non smise di ridere. << Su, stavo scherzando!>>.
Eh si, stava scherzando ma aveva anche indovinato. Ero abbastanza prevedibile quando si trattava di figuracce.
<< Beh …>> azzardai. << Effettivamente sono caduta …>>.
Il suo tono si fece preoccupato. << Spero nulla di grave >>.
Esitai un istante. << Certo, se si può considerare cosa da nulla, rovesciare un caffè addosso al proprio idolo …>>.
Quella telefonata si concluse così: con una risata, e un velo di buonumore sopra la mia coltre nube di malinconia.

 

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Capitolo 7
*** Ai suoi ordini ***


Salve ragazze :D Vi presento il settimo capitolo, scusate il ritardo, e buona lettura :D



POV EMMA




Parlare con mio cugino mi fece sentire meglio. Quella chiacchierata mi aiutò. Quella telefonata era stata la confessione a cuore aperto con me stessa. Avevo finalmente detto ad alta voce, cose che mi ero limitata solamente a pensare, perché mi faceva terribilmente male rendermi conto della realtà, nonostante ci vivessi a stretto contatto.
Adriano era il fratello che avevo sempre desiderato, il mio migliore amico, il bambino con cui avevo inventato e sperimentato i giochi più strambi, il ragazzo con cui ero cresciuta, e l’uomo che mi aveva lasciata libera di scegliere, libera di sbagliare.
Dopo quella chiamata mi sentivo abbastanza forte per recuperare me stessa. Avevo tirato fuori dalla sacca, qualche sassolino. Rimaneva ancora un grande macigno, ma forse a quello avrebbe pensato il tempo. Eppure non sapevo a chi rivolgere i miei pensieri: se a quel “ demone” che mi aveva smembrata, o a quel principe, che si era presentato davanti la mia porta con un invito sulle sue dolci labbra. . “E’ solo una cena” mi ripetevo ogni qual volta la paura di soffrire raggiungeva le mie membra. Ma lui era un uomo bellissimo e poteva illudermi con una sola parola.
Quando ero adolescente, il mio desiderio più grande era sfiorare anche solo per un attimo le mani di quei quattro prodigi, ma ogni tentativo si era rivelato un fallimento, ed ogni volta, un responso negativo era un colpo al cuore, che faceva sempre più male. Il destino aveva scelto così per me, ed io non avevo voluto più credere in quel sogno, anche se avevo inconsciamente continuato ad illudermi. Pensai ancora una volta al “demone”, anche lui era un loro fan. L’avevo incontrato quella sera, in quel primo concerto europeo. Io avevo il viso bagnato dalle lacrime d’emozione, lui aveva tracciato sul suo, un sorriso beffardo. Ed era così che sarebbe andata a finire, era disegnato sul nostro viso, quando le nostre vite si erano incrociate. Avevo diciotto anni quando tornai a Palermo con tutta la voglia di andare via, quando decisi di fare le valigie, per andare a vivere lontano da tutti, ma vicino a lui. Avevo sacrificato tutto, avevo messo all’asta la mia vita, per stare con una persona che poi l’avrebbe accartocciata e svenduta a chissà chi.
Ero piccola, ma volevo giocare a “far la grande”. Ero matura, ma abbastanza ingenua per credere a tutto quello che si professava amore. E se non c’è amore senza sofferenza, era come se io avessi amato solamente per soffrire. Avevo dato così tanto, che avevo la ferma convinzione di non avere più niente da dare. Di chi mi sarei potuta più fidare? Di un altro uomo no! Ma la realtà mi chiamava. Per un attimo fissai quella rosa rossa tatuata sul mio polso, e mi piaceva.
 
Mi piaceva quell’uomo dagli occhi blu …
 
 
Non avevo tanta fame, la stanchezza influiva sempre negativamente sul mio appetito. Non sapevo se il capo avesse optato per un pensione completa, non volevo nemmeno prendermene cura. Ero troppo stanca perfino per mettere in moto la mente. Quello che mi serviva era una doccia calda. Mi intrufolai nel bagno e mi sfilai jeans e maglione. Lasciai che l’acqua calda sciogliesse e rilassasse i miei muscoli contratti. Non so per quanto tempo rimasi sotto la doccia, il giusto necessario per consumare l’acqua calda. Sinceramente speravo che Anita non sentisse il mio stesso bisogno. Anita … chissà che fine aveva fatto. Magari si era intrattenuta con i Free Fallen, mi erano sembrati molto disponibili. Decisi dunque di non disturbarla, avrebbe deciso lei quando rientrare. Era grande abbastanza per badare a sé stessa. Dovevo riconoscerglielo: era più brava di me in questo. Almeno lei non somigliava a un automa. Forse era stata solo più fortunata di me. Feci una smorfia. No era stata più responsabile e meno ingenua.
 
Quella notte dormii tranquilla. Nessun incubo disturbò il mio sogno. Nessun incubo dopo sei mesi. Impiegai qualche minuto per rendermi conto di dove mi trovassi. Anita dormiva serena al mio fianco. Evitai di far rumore, non volevo svegliarla. Realmente non sapevo a che ora fosse rientrata, e soprattutto cosa avesse fatto. Decisi di tenere a bada la mia curiosità. Mi avrebbe raccontato tutto più tardi. Ma aspettare che si svegliasse mi rendeva nervosa, non ero paziente, non lo ero mai stata. Una passeggiata mi avrebbe fatto bene. Volevo sgranchirmi le gambe, vedere la luce del sole, distrarmi… non pensare.
La doccia mi rilassò e mi sentii finalmente pronta per iniziare una nuova giornata. Lasciai un bigliettino ad Anita. Le scrissi che sarei tornata a ora di pranzo: volevo farmi un bel giro in centro. Non badai molto al mio abbigliamento, afferrai la borsa, il cappotto e aprii svelta la porta. Non volevo rimanere in quella stanza un attimo di più.
Rimasi senza fiato. Un uomo stava con le spalle poggiate contro la parete di fronte la mia stanza. Non un uomo qualunque ma una creatura stupefacente. Leonard aveva lo sguardo perso nel vuoto, la sua espressione era illeggibile. Mi chiesi a cosa stesse pensando, ma con il cuore in gola cerca di ignorarlo e di non attirare la sua attenzione. Mi mossi appena per richiudere la porta alle mie spalle. Feci per allontanarmi, e Leonard si accorse di me. In momenti come quello, mi sarebbe piaciuto essere invisibile.
<< Ehi!>> mi chiamò. Sembrò inspiegabilmente felice di vedermi. Mi sorrise affabile ed io non dovetti sforzarmi per ricambiare. Il mio cuore perse un battito ma non me ne curai.
<< Ciao >> riuscii finalmente a bisbigliare.
Leonard fece un passo in avanti e potei sentire il suo profumo delizioso.           
<< Dormito bene?>> domandò disinvolto.
<< Abbastanza >> risposi tranquilla.
Sospirai e gli voltai le spalle. Feci un passo avanti ma la sua voce mi paralizzò.
<< Dove scappi?>>.
In un attimo mi affiancò, mise un dito sotto il mio mento e mi costrinse ad alzare il viso per guardarlo negli occhi.
Deglutii rumorosamente. << Voglio farmi un giro>>
Un sorriso apparve sulle sue labbra. << Io invece aspettavo una persona >>.
Sicuramente non aspettava me. Cercai di nascondere la delusione e decisi che non doveva importarmi. Feci un altro passo avanti e stavolta fu la sua mano a bloccarmi. Mi voltai di nuovo, e studiai il suo viso.
Lui si lasciò sfuggire un risolino. << Lo immaginavo …>> disse divertito. Io lo fissai confusa.
<< Davvero non hai capito nulla? >>
Era proprio di buonumore.
<< Come scusa? >> domandai ancora intontita.
Scoppiò a ridere poi però tornò serio. << Voglio farti fare un giro in città …>>.
Mi prese in contropiede, non mi aspettavo quella proposta.
<< Ah …>> aggiunse. << Non sono graditi rifiuti. Grazie >>.
Accompagnò le sue parole con un magnifico sorriso. Io cercai di prendere fiato.<< Dunque non ho scelta …>> constatai.
<< Direi proprio di no >>, ghignò.

Camminammo per ore, ma non mi sentivo stanca. Leonard voleva sapere tutto su di me. Mi poneva le sue domande, e attendeva paziente le mie risposte.
<< Invertiamo i ruoli >>, propose prima di iniziare l’interrogatorio.
Arrossivo ogniqualvolta mi guardava e il suo atteggiamento non mi aiutava affatto, dal momento che non distoglieva mai lo sguardo da me. Sembrava compiaciuto. Mi osservava, scrutava il mio viso, per capire le mie anomali reazioni. Mi chiese se avessi fratelli, come si chiamassero i miei genitori, quale fosse il mio cibo preferito, e il mio numero fortunato. Era il suo modo di conoscermi, ma non lo trovai invadente. Anzi, quelle sue attenzioni mi lusingavano. Cercai di non farglielo notare.
<< Come mai hai lasciato la tua città per andare a studiare in un’altra ?>> chiese all’improvviso.
A quel punto sentii il sangue raggelarsi nelle mie vene. Mi fermai a fissare il vuoto ma non vi vidi nulla, solo il buio dei miei incubi peggiori. Leonard si voltò e mi osservò preoccupato.
<< Scusami … Non volevo …>> disse mortificato.
Sospirai e cacciai fuori un bel respiro. << Tranquillo >> dissi. << Lasciare Palermo è stata la scelta più difficile che io abbia mai fatto …>>.
<< Ti manca?>>
<< Tanto >> sussurrai. << Ma se tornassi indietro farei la stessa identica scelta >>
Lui sorrise. << Sono felice che tu abbia preso questa decisione …>>.
Alzai lo sguardo e incrociai il suo. I suoi occhi cristallini brillavano alla luce del sole. Con un cenno della mano lo invitai a continuare.
<< Sono felice che sia andata così, altrimenti adesso non saresti qui con me >>.
Sorrisi incredula e imbarazzata. Il cuore mi diede prova di avere udito quelle parole. Provai una sensazione nuova, più forte, e mi sentii viva, come non ero da tempo. Ma non volevo illudermi, non potevo concedermi questo lusso, date le mie condizioni. Decisi, controvoglia, di difendermi.
<< Non sai neanche quello che dici, Leonard. Bada alle parole.>> La mia voce fu quasi un lamento.
Lui aggrottò la fronte pensieroso. << Una cosa che ho imparato nella vita, è di non permettere a me stesso di far soffrire gli altri >> disse fulminandomi con lo sguardo. Io arretrai istintivamente.
Lui sospirò. << Ti ho messa in imbarazzo?>>
Scossi la testa, non volevo si sentisse in colpa. Lui non poteva sapere. Con un dito sollevò il mio viso per guardarmi negli occhi, ma io li chiusi e mi voltai.
<< E allora perché mi sfuggi? >>, domandò esasperato.
Io mantenni lo sguardo basso e non risposi.
<< Io voglio solo capire …>>. La sua voce si spezzò.
Sembrava che soffrisse. Avvertii una fitta al cuore, forse si stava sgretolando. Eppure un attimo prima mi ero sentita viva. Ero solo una stupida vittima di reazioni contrapposte.
<< Leonard …>> feci una pausa. << Capisci ciò che vuoi, ma ti chiedo solo una cosa: non coinvolgermi. Per favore. >> 
Lui si morse il labbro inferiore, nervoso, poi si sforzò di sorridermi. << Sarò più discreto. Promesso >>, disse dolce.
Io non riuscii a sostenere il suo sguardo, mi faceva male fargli del male. Era una situazione paradossale: io stessa ero un paradosso. Mi augurai di non avergli rovinato l’umore, dopotutto era abbastanza lunatico, proprio come me.
Cercai di distrarlo e gli rivolsi io qualche domanda. Ero seriamente interessata alla sua vita, quindi non dovetti fingere. Tirai un sospiro di sollievo, non ero mai stata brava a mentire. Lui non si limitò solamente a rispondere, si dileguò in lunghi discorsi che seppero affascinarmi. Spesso mi rigirava la domanda, per conoscere il mio punto di vista. Voleva conoscere la mia persona, ma non osò più menzionare il mio passato. Aveva già capito che era un campo minato per me, e lui abilmente evitò di tirare fuori il discorso.
Solamente quando ci sedemmo al tavolo di un locale, mi ricordai di aver lasciato Anita dormiente quella mattina.
<< Maledizione …>>borbottai.
<< E’ successo qualcosa?>> chiese perplesso Leonard.
Scossi il capo. << No. Ho solo dimenticato di avere una collega…>>
Lui rise sereno, poi mi lanciò un’occhiata densa di sottintesi.
<< Se le faccio questo effetto signorina, non posso che sentirmi lusingato.>>
Il tono con cui lo disse mi fece ridere.
<< Non ti montare la testa. Mi dispiace deluderti ma io sono imbranata anche in tua assenza >>.
Leonard indugiò un istante. << Adesso sei imbranata e pure imbarazzata però >>.
Gli lanciai un’occhiataccia. << Non è vero.>> provai a ribattere.
<< E non sei brava neanche a mentire >> constatò allegro.
 
La giornata trascorse velocemente ed io avrei voluto non finisse mai. Eccetto quell’attimo di imbarazzo e blocco emotivo, dovuto a quella sua domanda sulla mia vita privata, era stato tutto perfetto. Io mi ero sentita straordinariamente a mio agio. Era come se conoscessi da anni, l’uomo al mio fianco, e non da soli due giorni. In sua presenza non pensavo mai al mio ex. Annullavo quella parte di me stessa che apparteneva ancora a qualcun altro. Fin quando c’era Leonard, sentivo il mio corpo, il mio cuore, era semplice persino respirare. Mi resi conto che sarebbe stata dura dirgli addio, ma avrei dovuto affrontare anche quel momento. In cuor mio, speravo di incontrare un uomo come lui un giorno, che fosse raggiungibile però. Lui non lo era, non per me almeno.
La sua voce melodiosa, vellutata mi distolse dai miei pensieri.
<< Allora signorina, dove la porto stasera?>> chiese.
Io diedi un’occhiata in giro disorientata, non mi ero accorta che eravamo già arrivati in hotel.
<< Beh …>> tentennai.
Avrei passato il resto dei miei giorni con lui, ma la mia priorità in quel momento era scoprire che fine avesse fatto Anita, dal momento che le avevo mandato un messaggio, ma non avevo ricevuto alcuna risposta.
Leonard si schiarì la voce per attirare la mia attenzione. Alzai subito lo sguardo e incontrai i suoi splendidi occhi. Temetti di perdere i sensi.
<< Niente “beh” niente “ma”. Te l’ho già detto: oggi non sono graditi rifiuti.>>
<< Me lo ricordo >> grugnii. << E tu piuttosto, ricordati che mi stai costringendo >>
Lui mi squadrò dalla testa ai piedi e rise di gusto. << Non ti vedo poi così tanto dispiaciuta. Non barare >>.
Mi si avvicinò e posò il dito sulle mie labbra serrate. << E non tenermi il broncio … Non occorre.>>
Sbuffai infastidita. << Sai che ti dico? Non mi dispiace affatto per la tua camicia!>>. Gli pestai un piedi e gli voltai le spalle. Lui continuò a sogghignare dietro di me.
<< Emma …>> mi chiamò.
A quel punto fui costretta a voltarmi.
<< Passo a prenderti tra un’ora >> promise contento.
Feci una smorfia. Mi doleva dargliela vinta, ma non volevo perdere un solo attimo con lui.
<< Ai suoi ordini …>> mugugnai e mi dileguai nella luce offuscata di quel lungo corridoio.

 

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Capitolo 8
*** Non sono abbastanza ***


Ecco l'ottavo capitolo :D la prima parte è narrata dal punto di vista di Emma, la seconda invece dal punto di vista di Leonard! Buona lettura :D



POV EMMA


Presi un bel respiro prima di aprire la porta della mia stanza. Sperai che Anita non si fosse arrabbiata tanto con me. Se mi avesse dato il tempo di spiegarle con chi ero stata per tutto quel tempo, ero sicura che mi avrebbe perdonata.
 Schiusi appena la porta, la luce era soffusa. Dal silenzio che vi regnava sembrava non ci fosse nessuno.
<< Anita …?>> chiamai guardandomi intorno.
<< Sono qui >> rispose la mia collega, e affacciò la testa dal bagno.
Le sorrisi. << Hai il telefono spento?>>
Lei fece cenno di no con la testa.
<< Ti ho mandato un messaggio e non mi hai risposto>>. La mia voce si abbassò appena.
Lei fece spallucce e mi strizzò l’occhio. << Non volevo disturbarti >>.
Le rivolsi un’occhiataccia. << Non c’era nulla da interrompere.>>
<< Neanche un bacio?>> domandò sarcastica.
<< Non è come pensi …>> replicai quasi delusa.
<< E com’è allora?>>
Sospirai. << Mi piacerebbe saperlo>> risposi sincera. Non avevo ancora capito cosa volesse quell’uomo da me.
<< Secondo me gli piaci …>> azzardò sorridente Anita.
Spalancai gli occhi. << Piantala. Non dire sciocchezze.>>
Le voltai le spalle e cominciai a frugare nella mia valigia. Dovevo trovare qualcosa da mettere per quella sera. Non appena ci pensai andai in iperventilazione.
Anita mi si avvicinò. << Che cerchi?>>
Alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi curiosi.
<< Leonard mi ha invitata a cenare con lui stasera …>> ammisi impacciata.
Anita scoppiò a ridere e mi scompigliò i capelli. << Amica mia, gli piaci più di quanto immaginavo …>>
<< Non penso >> bofonchiai e tirai fuori il mio vestito preferito. << Lui è Leonard Gore…>>.
Ripetei quella frase per l’ennesima volta, nel tentativo di convincermi che quella fosse l’unica ragione, che mi aveva spinta a costruire quel muro di difesa.
Anita ignorò il mio commento e focalizzò l’attenzione sul vestito che stringevo tra le mani. Sorrise maliziosa.
<< Questo è perfetto!>> esclamò esuberante.
Mi strinsi nelle spalle. << Non ho intenzione di indossarlo.>>
Anita mi fulminò con lo sguardo. << Ti giuro che se non lo indossi, troverò un modo per costringerti a farlo >> ringhiò.
Io risi di quella minaccia, poi m’incupii. << Mi sento ridicola …>> confessai sincera. << So bene che è inutile …>>
La mia collega portò una mano tra i capelli e alzò gli occhi al cielo.
<< Ma cosa è inutile? >> chiese adirata.
Ignorai la domanda. << Non sarò mai abbastanza per lui.>>
La verità mi colpì in pieno petto e la corazza che mi ero costruita non era pronta a difendermi.
Anita mi scrutò in silenzio. << Davvero pensi questo di te?>> domandò incredula.
Io mi limitai ad annuire. Scorsi sul suo viso un’espressione triste.
<< C’è qualcosa che non va?>> la interrogai preoccupata.
La mia amica alzò il capo e mi osservò. I suoi occhi erano lucidi. Spalancai la bocca.
<< Cosa …??>> feci per dire ma lei sollevò una mano e mi bloccai. Scosse la testa senza proferire parola. Poi sospirò confitta.
<< Mi fai sentire inutile …>> ammise delusa. << Non posso credere che lui ti abbia ridotta così. Credevo di aver fatto del mio meglio, ma evidentemente non è bastato …>>.
Fece una pausa, io cominciai a tremare. Avevo ferito tutti, anche lei.
<< Sono un fallimento come amica >> continuò con la voce tremante. << Non ho saputo aiutarti. Ho sbagliato. Ma credimi, rifarei mille volte questo errore, pur di stare al tuo fianco, e credere che un giorno ti avrei riportata a galla …>>.
I suoi occhi erano densi di lacrime, come i miei. Sarebbe bastato chiudere le palpebre per far straripare quel fiume in piena.
<< So già che non servirà a nulla, dirti che sei bellissima. La persona più squisita che io abbia mai conosciuto>> mormorò distrutta.
Con  entrambe le mani si coprii il viso, non voleva che io la vedessi piangere. Giurai a me stessa che mai più sarei stata la causa della sua sofferenza.
<< So che non mi crederai se ti dirò che mi emoziono ogniqualvolta leggo un tuo articolo, che sei una vera e propria forza della natura, che spesso sei stata tu la ragione che mi ha spinta ad andare avanti … Che mi hai regalato tanti di quei sorrisi, che ho smesso di credere che esista persona migliore di te! >>.
Le lacrime incrinarono la sua debole voce. Io rimasi in silenzio davanti a quel bene immenso che mi voleva.
<< E ho desiderato essere come te …>>
Alzai lo sguardo e scossi la testa. << E’assurdo …>>
<< No invece!> replicò sfinita. << Ho desiderato essere determinata come te, avere la tua forza, il tuo splendido sorriso, la tua fantasia, la tua creatività, la tua dolcezza, la tua straordinaria capacità di amare >>.
Socchiusi gli occhi. Le sue parole mi avevano stravolta. Non riuscivo a trovare in me la forza per muovere un muscolo, e correre da lei per abbracciarla. Non pensavo di contare tanto nella vita di qualcuno. Non pensavo di contare qualcosa. Cominciai a tremare, ma due braccia mi strinsero forte a sé. Sentii il suo profumo, e poggiai la testa sulla sua spalla minuta e familiare. Tremava anche lei …
 
 
Rimanemmo strette una nell’abbraccio dell’altra. Non so quanto tempo ci volle per placare i nostri singhiozzi.
<< Grazie >> riuscii finalmente a dire. << Senza il tuo aiuto non so nemmeno dove sarei in questo momento. >>
Non sarei stata sicuramente a Los Angeles, sarei riuscita a stento a sopravvivere. Anita mi fissò e sorrise. I suoi occhi verdi erano ancora arrossati.
<< Non dovresti nemmeno pensarle certe cose >> la ammonii in tono poco convinto.
Lei mi guardò in cagnesco. << Non costringermi a ripetere …>>
Mi lasciai sfuggire una debole risata. << No, no … direi che può andare bene così! >>
Lei fece un passo indietro, aggrottando le sopracciglia. Mi scrutò dalla testa ai piedi, e sul suo viso apparve un’espressione di panico.
Provai a dire qualcosa ma lei mi interruppe. << Dannazione Emma. Sei uno straccio!>> esclamò esasperata.
Io storsi il naso. << Beh grazie … >> mugugnai.
Anita mi ignorò e tirò fuori dalla mia valigia, l’unico vestito che avevo deciso di portare con me.
<< Indossalo! >> ordinò la mia amica porgendomi il tubino nero. Lo presi tra le mani mentre indecisa mi guardavo attorno.
<< Emma. Sono le 19 e 45, a che ora devi uscire? >>
Spalancai gli occhi e corsi subito in bagno. << Tra un quarto d’ora!!!>> urlai, e richiusi la porta alle mie spalle.




POV LEONARD


Attendevo impaziente davanti alla sua porta. Il bisogno che sentivo di vederla era irrefrenabile. Ero stato lontano da lei solo un’ora e incredibile, già mi mancava. Mi mancavano i suoi occhi neri e dolci, il suo sorriso timido, i capelli ricci che ricadevano armoniosi sulle sue esili spalle. La cosa più frustrante però, era notare il suo sguardo atterrito ogni volta che incrociava il mio. Mi guardava come se fossi un mostro, come se potessi distruggerla da un momento all’altro. Quella mattina l’avevo ferita con quella domanda inopportuna sulla sua vita privata, o forse era stata la mia frase azzardata ad innescare la sua violenta reazione.
“ Non coinvolgermi”, era questa l’unica condizione che aveva posto, e in quel momento giurai a me stesso che non l’avrei fatto. Anche se, ogni volta che mi rivolgeva uno splendido sorriso, era dura mantenere fede a quella promessa, anche se l’unico mio desiderio era poter assaggiare le sue dolci labbra. Mi risultava impossibile non sentirmi coinvolto da quella donna lunatica e folle proprio come me, e difficilmente sarei riuscito a dimenticarla. Ma avrei rispettato il suo volere, non le avrei fatto del male, quello mai, di lei avrei solo conservato il dolce ricordo.
La porta della sua stanza si schiuse appena e vidi apparire lei. Rimasi lì ad ammirarla in silenzio. Il vestito nero la avvolgeva e lasciava intravedere le sue forme sinuose. Le spalle erano scoperte, aveva raccolto i capelli e lasciato libere solo alcune ciocche. Era minuta ma le sue gambe erano slanciate e belle. Trovai la forza per distogliere lo sguardo dal suo corpo, solo perché ad attendermi c’era la bellezza sconvolgente del suo viso. I suoi occhi scuri erano accesi di una strana luce. Le deliziose fossette agli angoli della bocca carnosa, mi lasciarono intuire che stesse sorridendo. Il suo sorriso lo lasciai per ultimo, contemplarlo mi faceva sempre uno strano effetto.
<< Ehi >> disse con mia sorpresa e mi salutò con un cenno della mano. Avrei voluto avvicinarmi a lei e sfiorarle il viso. Ma la paura di vederla svanire bloccò i miei intenti.
<< Ciao Emma >> riuscii finalmente a dire. << Sei bellissima >>.
Lei mi rivolse uno sguardo incredulo, come se avessi appena detto la più grande bugia mai udita sulla faccia della terra. L’avevo messa in imbarazzo. Avevo già capito che lei e i complimenti non andavano tanto d’accordo, ma il mio non era stato un apprezzamento, ma semplice constatazione della realtà.
<< Grazie >> sussurrò a bassa voce, e fece un passo nella mia direzione. Deglutii e prima di parlare dovetti schiarirmi la voce.
<< Sono contento di vederti …>>.
Lei alzò lo sguardo sorpresa e mi sorrise. << Anche io lo sono >> ammise impacciata.
Rimasi immobile, non mi aspettavo quelle parole. Non si era mai sbilanciata più di tanto.
Lei mi guardò di sottecchi. << L’ho lasciata senza parole, signor Gore?>> chiese sarcastica.
<< Che presuntuosa …>> bofonchiai e mi incamminai verso l’ascensore. La osservai con la coda dell’occhio: stava immobile nella sua posizione con le braccia incrociate sul petto.
Corrugai la fronte e mi voltai. << Rimaniamo qui? >>
<< Tu che dici?>> .
La sua voce era forzatamente aspra. Sorrisi di quel tono, chissà quante volte si sforzava di essere ciò che in realtà non era. La invitai con un movimento leggero della mano ad andare avanti.
<< Grazie .>>
Con la coda dell’occhio cercai di scorgere i suoi movimenti, e senza pensare alle mie azioni, la raggiunsi e l’afferrai dal retro della giacca che aveva appena indossato. Emma si fermò di colpo.
La mia risata fu quasi un ghigno. << Non mi hai nemmeno salutato >>
<< Veramente si! >> replicò acida.
La guardai dritto negli occhi, e cercai di non pensare troppo a ciò che stavo per fare. Lei rimase immobile, pietrificata, mentre io posavo le mie labbra sulla sua guancia. Quel contatto innescò la reazione di entrambi. Lei avvampò per l’imbarazzo, io non riuscii più a controllare il mio battito cardiaco. Emma però si allontanò da me troppo presto.
<< Sbaglio o ti ho lasciata io senza parole stavolta? >> domandai ironico.
Ma lei non sorrise, fece una smorfia e mi voltò le spalle.
<< Siamo pari >> affermò stizzita. << Discorso chiuso.>>
 
Ci incamminammo per le vie della caotica e maestosa Los Angeles. Conoscevo quella città come le mie tasche, ogni strada, ogni angolo, ogni imperfezione, ma quella sera mi sentivo strano. Camminare al fianco di quella donna mi elettrizzava. Lei ad ogni passo si stringeva nella sua giacca di velluto. L’aria era inaspettatamente fredda. Ed io in quel momento, non desideravo altro che abbracciarla, stringerla al mio petto. Scossi la testa per liberarmi da quel pensiero. Non dovevo coinvolgerla, gliel’avevo promesso.
<< Posso chiederti una cosa? >> domandò timida Emma.
Annuii. << Dimmi …>>
<< Beh >> esitò. << Mi chiedevo com’è vivere la tua vita? Non ti da fastidio essere perseguitato dai paparazzi? >>
Mi guardai attorno. Eppure mi sembrava di non averne visti.
<< Ne vedi qualcuno in giro? >>
<< No … >> ammise. La sua voce si ruppe.
Quanto era fragile la donna che stava al mio fianco?
Le sorrisi. << La loro attenzione gravita altrove. Ci sono persone più interessanti di me …>>
Lei bisbigliò qualcosa tra sé. “Ne dubito”, mi parve di sentire o forse mi ero immaginato tutto.
<< Siamo arrivati >> esclamai, e lei mi guardò stranita.
Mi avvicinai alla mia auto e aprii la portiera sul lato passeggero. Mi volta ma non vidi Emma. Era rimasta ferma sul ciglio della strada.
<< Non dirmi che vuoi camminare a piedi per tutta la serata >>.
Lei scosse la testa e si avvicinò timida.
<< Andiamo in un locale in periferia, così ti dimostro che è possibile vivere la mia vita. Ti può tornare utile, qualora decidessi di diventare una star! >>.
Le strizzai l’occhio ma lei mi guardò malissimo.
<< Non sei simpatico. >>
Io scoppia a ridere. << Neanche tu lo sei >>
La mia risata contagiò anche lei, e pensai che se non avessi conosciuto il suo sorriso, forse sarebbe stato più semplice dimenticarmi di lei. Ormai però era troppo tardi.
 
Il buio dell’auto sembrò favorire la nostra conversazione. Lei era impacciata, bastava una parola fuori posto per ammutolirla, ma quella sera era loquace, e la sua voce sortiva un buon effetto su di me.
Mi parlò del suo lavoro, della sua città, della scuola che aveva frequentato, ed era un vero piacere poterla ascoltare. Ad ogni parola infatti, si rivelava sempre più intricata e interessante. Il tragitto mi apparve più breve del solito.
<< Siamo arrivati >> le annunciai entusiasta.
Lei si guardò attorno, poi posò il suo sguardo su di me. Sembrava dispiaciuta.
<< Scusa, ho monopolizzato la conversazione …>>
Fui sincero. << E’ un piacere stare ad ascoltarti >>.
Lei abbassò il capo, io allungai la mano lentamente. Non volevo che si ritraesse, e per mia fortuna non lo fece. Con un dito sollevai delicato il suo viso, e potei ammirare finalmente ammirarlo. Guardarla mi riempii di gioia. Mi sentivo un adolescente alle prese col suo primo amore, e la colpa era di quella donna ipersensibile e imprevedibile.
<< Non vorrei mai metterti a disagio >> ammisi.
Lei scosse il capo, poi sembrò prendere fiato. << Non sono abituata a tutte queste attenzioni. >>
Stavolta fui io a fissarla sbalordito. Possibile che nessuno si fosse accorto di lei?!
<< Sono tutti ciechi dalla tue parti >> commentai divertito.
Emma lasciò scorrere lo sguardo lungo il suo corpo, fece una smorfia, poi guardo me. << Beh anche tu lo sei >>.
Sbuffai infastidito. Era un caso perso, ma non lasciai correre. << Ti sei mai specchiata?>>
Lei con mia sorpresa, scoppiò a ridere. << Vuoi sapere se si è rotto lo specchio? >>
Sospirai. << Sei incredibile …>>.
 
La portai in un ristorante fuori città, lontano da sguardi indiscreti, e poi lì cucinavano ottimo cibo italiano. Ero sicuro che le sarebbe piaciuto. Io non feci altro che bere, il nervosismo mi chiuse lo stomaco. A lei non sfuggì questo particolare. Lanciava continuamente occhiate al mio piatto ancora pieno, poi mi scrutava senza dire nulla.
<< Non ho tanta fame …>> spiegai.
Lei alzò di scatto la testa. << E allora perché mi hai invitata a cena fuori? >>
<< Volevo semplicemente stare con te …>>
Alzai lo sguardo, ma lei tornò a fissare il suo piatto. Provò a dire qualcosa, ma forse si morse la lingua. Allungai la mano per cercare la sua e delicatamente ne accarezzai il dorso. Il suo viso sembrò prendere fuoco, e quella sua reazione, malgrado lei non volesse lasciar intendere nulla, mi lusingò. Non le ero del tutto indifferente. Ma quella sua reazione complicava al tempo stesso le cose. Se solo lei non avesse reagito così, io non avrei avuto motivo di desiderarla. Preferii credere che quello era l’unico motivo per cui non riuscissi a non pensare a lei.
Emma mi scrutava, ammutolita dalla mia confessione. La sua espressione era indecifrabile, ma notai subito la lacrima solitaria sulla sua guancia rosea. Non sapevo come comportarmi con lei, e quel viso triste di fronte a me, ne era la prova.
<< Cosa …?>> provai a chiederle, ma lei scosse la testa e mi rivolse un sorriso dolcissimo. Era stupenda, ancor più quando sorrideva. L’effetto che quel semplice gesto sortiva su di me era straordinario: mi disarmava.
Emma serrò le labbra e passò una mano tra i capelli. Era nervosa.
<< Perdonami … sono una piagnucolona>>
<< Sei sensibile …>>
<< Non più di tanto. >>
Spalancai gli occhi e lei scoppiò a ridere. << Sono presuntuosa, permalosa, ed egoista. Piango solo per ciò che mi riguarda …>>
Io feci una smorfia. Avevo già capito che quella donna era troppo severa con se stessa.
<< Avrai i tuoi buoni motivi per farlo.>>
Lei mi fulminò con lo sguardo. << Non giustificarmi>> mi ammonì.
<< Non era mia intenzione >> mi difesi. << Ho solo espresso il mio punto di vista.>>
<< Punto di vista sbagliato.>
Io sospirai. << Sei presuntuosa, permalosa, egoista e pure cocciuta >>.
“Ed estremamente dolce”, ma quel pensiero lo tenni per me.
<< Vedi …>> riprese lei. << Non sono la bella persona che tu credi.>>
<< Neanche io lo sono. >>
Il mio tentativo di persuaderla sfiorava le soglie del ridicolo.
Emma mi fissò e arricciò il labbro inferiore. << Non trattarti così male >> disse sincera.
A quel punto fui io a ridere, prima piano poi sempre più forte. Lei mi guardò come se fossi matto. Lo ero, ma non più di lei.
<< Cosa ti è preso?>> chiese arcigna. << Sei fuori di testa.>>
<< Detto da te è un complimento >> sogghignai.
Ma lei non rise, spostò lo sguardo altrove imbronciata. Infilzò la forchetta nelle lasagne calde e masticò distrattamente, attenta a non incrociare il mio sguardo.
Spettò a me spezzare quel silenzio imbarazzante.
<< E’ di tuo gradimento?>>
Lei si voltò appena. << Si >> rispose a bassa voce.
Io la fissai frustrato, le sue risposte ambigue appena sussurrate mi mettevano in difficoltà. In sua presenza non sapevo mai cosa dire.
<< Sai una cosa?>>
Lei alzò di scatto la testa e concentrò gli occhi su di me. Scosse il capo silenziosa.
<< Non so come comportarmi con te >> ammisi con voce spezzata.
Emma mi osservò in silenzio e corrugò la fronte. << Ti stai comportando benissimo >>, m’incoraggiò. Il suo tono fu inaspettatamente morbido e dolce.
Incrociai il suo sguardo, e avvertii in me una sensazione di serenità e completezza mai provata prima di allora.
Poi sospirai. << Non penso, viste le tue reazioni >> commentai deluso.
E tanti saluti al mio disperato tentativo di non espormi. I suoi occhi neri come la notte si accesero di colpo, e riuscii a distogliere lo sguardo da lei, solo perché sulla mia mano si posò delicatamente la sua. Fu un tocco leggero, fragile, ma al tempo stesso deciso. Fu il tocco di una ragazza che lottava contro una delusione che rischiava di soffocarla.
<< Leonard >> disse, e il mio nome si sposò benissimo con le sue labbra. << Dovresti aver già capito che le mie reazioni sono spropositate ed esagerate. Talvolta non mi sopporto neanche io. Sono … >>.
La interruppi prima che cominciasse di nuovo con quella sequela di insulti rivolti a se stessa.
<< Alt! Non voglio sorbirmi di nuovo l’elenco completo dei tuoi difetti. Rischierei di memorizzarli >>.
Scoppiamo entrambi a ridere. Per fortuna il tono della discussione si era alleggerito.
<< Ti stai comportando benissimo >> ripetè, e nonostante sembrasse assurdo, il suo tono riuscì a convincermi.

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Capitolo 9
*** Ebbrezza ***


Salve ragazze :D eccomi qui con il nono capitolo. Questo è interamente narrato da Leonard!! Buona lettura :*



POV LEONARD



Uscimmo da quel locale che era già buio inoltrato, ma il tempo in sua presenza passava sempre troppo in fretta.
Emma cominciò a camminare in direzione della mia macchina. Io invece mi fermai, perché non era mia intenzione concludere la serata.
<< Emma! >> la chiamai, e lei si girò di scatto.
Mi si avvicinò cauta, mentre una brezza leggera le scompigliava i capelli sul viso. Senza pensarci tesi una mano verso di lei. Se non avesse assecondato il mio gesto, promisi che l’avrei lasciata andare via. Ma lei impacciata, si aggrappò alla mia mano e si lasciò attirare a me, senza opporre la benché minima resistenza. Il suo profumo mi travolse, e capii subito che accorciare le distanze tra noi, non era stata una buona idea. Da vicino potei ammirare i suoi occhi brillanti, e la sua bocca appena dischiusa era un delizioso invito. Avrei voluto baciarla, ma qualcosa mi tratteneva dal farlo. Quel qualcosa era lei, quella donna così vicina, ma troppo lontana da me. Mi intristì la consapevolezza che non avrei mai conosciuto le sue labbra, il ritmo accelerato dei suoi respiri, che non avrei mai conosciuto il calore del suo abbraccio. Quella era l’unica cosa che desideravo, e la sola cosa che non avrei mai potuto avere.
Cercai di non pensare a ciò che avrei voluto dirle, mentre il suo respiro accarezzava il mio volto.
Fu lei a prendere la parola. << Grazie >> sussurrò.
Io la fissai perplesso. << Per cosa?>> chiesi e un brivido percorse la mia schiena. Strano, non avevo freddo.
<< Non lo so, volevo semplicemente dirlo >>.
Emma cercò di sfuggire al mio sguardo, ma io attendevo la sua risposta, e senza rifletterci strinsi più forte le sue mani tra le mie. Lei rimase senza fiato.
Inclinò la testa di lato. << Puoi spiegarmelo tu?>> domandò, e non c’era un filo di ironia nella sua voce. Cercava risposte alle sue domande, proprio come me.
<< Io voglio sapere chi sei …>> ammisi.
Il suo sguardo non abbandonò il mio, e i suoi occhi accesi, intensi aspettavano che io proferissi parola.
<< Non mi importa nulla del poco tempo che abbiamo a disposizione. Ne abbiamo già perso tanto. E non mi riferisco a questi due giorni, ma alla vita che entrambi abbiamo condotto fino ad ora.>>
Emma abbassò lo sguardo. Sapevo già che l’argomento “vita” era un tasto difficile per lei, ma avevo deciso ormai e non abbandonai la mia arringa.
<< A cosa serve vivere se non lo si fa realmente? >> domandai più a me stesso che a lei. La sua risposta infatti mi colse di sorpresa.
<< Ho paura >> confessò. << Non posso permettermi tutto questo. Non ce la faccio. Non ho più la forza per ricominciare daccapo. Sono una macchina usata e rotta, Leonard. E’ ora che tu lo capisca >> bisbigliò. La sua voce non era che un sussurro.
<< E tu quando lo capirai?>> chiesi infuriato. << Hai paura di cosa?  Tu non vuoi farti aiutare. Sappi che stai chiudendo troppe porte. Hai ragione: sei egoista!>>
La mia furia coinvolse anche lei.
<< E tu saresti una di quelle porte? >> ringhiò puntandomi un dito contro. << E chi ti dice che io voglia aprirla?! Piantala Leonard.>>
La delusione scaturita da quel palese rifiuto, fiaccò il mio animo, d’altronde non poteva essere più chiara di così. La fissai sgomento e lasciai le sue mani. Le mie tremavano. Tra i due, l’unico ad essersi illuso ero stato io. Feci un passo indietro, e nonostante tutto, allontanarmi da lei, mi parve un oltraggio. Le rivolsi un ultimo sguardo e le voltai le spalle.
Non avevo mai pianto per una donna, forse perché non avevo mai amato davvero una donna. Lei rimase immobile dietro di me. L’orgoglio era più forte di qualsiasi altra alchimia, e saremmo rimasti così per l’eternità, se io non avessi raccolto le mie forze per allontanarmi da lei. Avevo bisogno di starmene un po’ da solo, schiarirmi le idee e relegare la sua immagine in un angolo remoto della mia mente.
Sperai non mi seguisse, dato che in quel momento l’unica cosa che desideravo era dimenticarla. Avrei dovuto dimenticarla, tornare alla mia vita fatta di belle donne vuote e insignificanti.
Una goccia gelida bagnò improvvisamente il mio viso. Alzai gli occhi al cielo, e vidi nuvole plumbee pronte a scaricare la propria ira sulla città. Pensai subito a lei, infreddolita e sola in una città che nemmeno conosceva. Sarebbe bastato incrociare di nuovo il suo sguardo per infliggermi l’ennesima tortura, ma non potevo abbandonarla lì. Ero orgoglioso, ferito, ma dovevo farmene una ragione. Illudermi era stato un grande errore, ma dovevo pagarne io le conseguenze, non lei.
Mi voltai di scatto e rimasi di stucco. Non mi aspettavo di trovarla lì, stretta nella sua giacca, con le labbra tremanti e gli occhi socchiusi. Soffriva, più di me. Ed io avrei dovuto affrontarla di nuovo, nonostante mi fossi sforzato fino a poco prima, di abituarmi all’idea di averla persa.
La pioggia cominciò a venir giù dal cielo con forza sempre maggiore. Eravamo fradici, ma non riuscivamo a muoverci, anche se quella distanza era fastidiosa, e mi dava la nausea. Non dovevo sfiorarla, non potevo …
<< Leonard >> mormorò rompendo il silenzio. << Portami via.>>
Alzai di colpo la testa e cercai i suoi occhi. Non erano più chiusi ma spalancati e lucidi. Riuscii a malapena a sostenere il suo sguardo, e fu molto più difficile capire ciò che volevo dirle. Un nodo strinse la mia gola e quasi mi strozzò.
<< Portami via >> ripeté Emma. << Portami via da qui, dal mio lavoro, dai miei inutili sogni, dalla mia apatia, dal mio dolore …>>.
Rimasi ad ascoltarla esterrefatto e impaurito. Potevo darle tutto ciò di cui aveva bisogno? Senza neanche darmi il tempo di rispondere a quella mia domanda silenziosa, riprese a travolgermi con le sue parole.
<< Portami via, da lui, dalla mia vita >> m’implorò. << Portami con te Leonard. Solo stasera. Mai più. >>
M’inchiodò con lo sguardo, affannata, col fiato corto. Fu lei a fare un passo verso di me. Io rimasi immobile, come un imbecille. Avrei potuto portarla via, dopotutto era ciò che entrambi desideravamo. Ma non sempre purtroppo, i desideri coincidono con ciò che è giusto. E in presenza di Emma, avevo imparato a farmi tanti, forse anche troppi scrupoli.
<< Leonard >> disse di nuovo con quel tono supplichevole. << Sono qui. Adesso.>>
Sospirai disorientato. << Perché Emma? Perché hai cambiato idea?>>. Attesi la sua risposta.
<< Voglio illudermi che con te sia possibile, che con te sia diverso >>.
Io scossi la testa avvilito. << Non è questo ciò che vuoi >>
<< Invece si! >> urlò infuriata. << Voglio che sia tu ad aiutarmi, anche solo per una notte.>>
La guardai. Era sincera, e il mio desiderio di assecondarla era più forte della logica accettazione  della triste realtà. Combattevo contro me stesso, contro l’istinto di sfiorare le sue labbra.
<< Illudiamoci, Leonard >> disse a bassa voce. << Non rimane altro da fare. Domani avremo già dimenticato tutto.>>
La smorfia con la quale accompagnò le sue ultime parole, mi fece capire che non sarebbe stato semplice nemmeno per lei.
<< Non è così che deve andare, Emma >> sospirai. <>
Lei mi fissò triste. << Non sono abbastanza per te …>>
Le sue parole mi offesero, erano un vero e proprio insulto.
<< Ma che razza di opinione hai di me?>> sbottai. <>
Lei fece cenno di si col capo.
<< Tu, Emma, vali più di ogni persona incontrata nella mia vita. Ed io non voglio usarti e buttarti via. Vorrei darti di più. Perché tu meriti tutto ciò di cui qualcun altro ha osato privarti.>>
<< Non ti darò la colpa di nulla, Leonard …>>
<< Non m’importa su chi scaricherai la colpa. Tanto so già che troverai un modo per dimostrare che è solo colpa tua. L’unica cosa che a me importa è vedere il tuo sorriso, i tuoi occhi …>>
Lei distolse lo sguardo. << I miei occhi sono spenti ormai. Tu …>> disse alzando il capo. << Tu potresti riaccenderli … >>
<< E potrei spegnerli di nuovo … >> bisbigliai, ma lei mi ignorò e affondò i suoi occhi scuri nei miei chiari.
<< Non condannarmi a questo stato di insofferenza.>>
<< Emma >> dissi a bassa voce.
Lei posò un dito sulle mie labbra. << Non mi sentivo così da mesi, ormai, così viva. Sento di nuovo il cuore, le articolazioni. Riesco a provare qualcosa. Leonard, non privarmi di ciò che più desidero.>>
La situazione si era ribaltata: lei lì ad implorarmi, io a scuotere la testa. La scrutai e capii subito che attendeva una mia risposta.
Annuii rassegnato di fronte al mio e al suo volere. Inutile essere razionale in un momento come quello, mentre la pioggia offuscava le nostre viste, e i nostri corpi davano segno di attrarsi come due calamite.
L’avrei portata via, come mi aveva implorato di fare, ma non sarei stato la causa della sua sofferenza, come avevo promesso a me stesso.
<< Vieni con me.>>
Le porsi una mano e lei l’afferrò sorridendo euforica.
<< Non chiedo altro.>>
 
<< Questa è la mia umile dimora …>>.
Un cancelletto basso, coperto da una siepe di glicini, nascondeva dietro di sé un piccolo giardino antistante la porta d’ingresso. Immersa nell’oscurità di quell’angolo anonimo di mondo, si stagliava la mia casa.
All’inizio della mia carriera avevo messo da parte dei soldi, per ristrutturare la vecchia casa dei miei nonni. La casa dove ero cresciuto era lì davanti ai miei occhi. Lì dentro risiedeva il vero me stesso, la parte di me che preferivo celare. Avevo sempre difeso la mia vita privata, dal momento che non amavo leggere sui giornali cose che mi riguardavano e di cui perfino io ignoravo l’esistenza.
Emma rilassò il viso e mi sorrise. Io aprii la porta e la lasciai entrare nella mia vita, nel mio universo fatto di profumi orientali e colori esotici. Ero teso e un leggero brivido percorse la mia schiena. Lei invece si addentrò nel salone, non più timida e imbarazzata come le prime volte in cui avevamo parlato. Disinvolta diede un’occhiata in giro, e scrutò attentamente la stanza, i due divani rossi, la poltrona dello stesso colore, il televisore, e le mille cianfrusaglie che affollavano il mobile che lo sorreggeva.
Feci una smorfia. << Scusa il disordine …>>.
Lei si voltò e mi regalò un sorriso incantevole. << Solo una domanda >>, disse improvvisamente, e si guardò di nuovo intorno.
<< Dimmi >>.
<< Perché vivi in albergo se hai una casa ?>>.
Domanda ovvia. << Un trucco che non rivelo certamente alla stampa >>, scherzai.
<< Questa volta però, la stampa l’hai portata a casa tua >>, affermò con un tocco di malizia nella voce.
<< Sbaglio o dovevi fare uno speciale su di noi?>>.
<< Si >>, rispose disorientata.
Io mi avvicinai a lei, e presi le sue mani tra le mie. << Questo è speciale >>, dissi infine.
Distogliemmo entrambi lo sguardo imbarazzati. Emma si allontanò da me, e prese posto sul divano. Feci un bel respiro e mi andai a sedere accanto a lei. Rimanemmo in silenzio, incapaci entrambi di proferire parola. Lei mi lanciava occhiate furtive, mentre io con la coda dell’occhio osservavo ogni suo minimo e impercettibile movimento. Lei cominciò a giocare nervosamente con le sue dita, aspettando una mia parola, o un mio gesto che rompesse quel silenzio imbarazzante. Presi un bel respiro, mi alzai dal divano e mi diressi in cucina.
<< Dove vai ?>>, domandò quasi allarmata, mentre io frugavo nella dispensa alla ricerca di qualcosa da bere.
<< Hai sete? >>, le chiesi.
Mi voltai e la vidi annuire. Tirai fuori una bottiglia di vino rosso per me, e un aperitivo analcolico per lei. Mi aveva già parlato della sua astemia. Afferrai due bicchieri dal ripiano della cucina, e tornai a sedermi al suo fianco.
<< Dobbiamo brindare al nostro incontro >>, proposi.
Le sorrisi e lei ricambiò. Stappai le bottiglie e lei prese tra le mani i bicchieri. Feci per versare la bevanda analcolica nel suo, ma lei lo ritrasse contrariata, ed io per poco non lo riversai a terra.
<< Sono grande abbastanza. Posso bere >>, affermò con un velo di sarcasmo nella voce.
Io la fissai torvo. << Mi avevi detto di essere astemia >>, mi giustificai.
Lei mi osservò sorpresa, forse dal fatto che me lo fossi ricordato, poi si strinse nelle spalle. << Stasera, non voglio essere nulla di ciò che sono. >>.
Capii che aveva preso la sua decisione, evitai dunque di contraddirla. Voleva dare un valore a tutto, e quella serata significava tanto per lei, era il riscatto contro qualcuno che l’aveva ferita, e quello era il suo modo di dirgli addio.
Brindammo al nostro primo scontro-incontro in ascensore, alla sua intervista, a quel pomeriggio, a quel locale di cui non ricordavamo nemmeno più il nome. Passammo un’intera nottata a chiacchierare su lei, su me, su noi, finalmente senza freni, senza la benché minima paura di dire o fare qualcosa di sbagliato. Finimmo un’intera bottiglia di vino.
<< Emma per una che non è abituata, direi che hai alzato un po’ troppo il gomito >>, constatai. Io ero perfettamente lucido, lei decisamente no.
<< Io sto benissimo >>, ammise, ma le sue parole non convinsero nemmeno lei.
Era rossa in viso, gli occhi lucidi brillavano, ed erano visibili anche con la luce soffusa. L’alcool aveva decisamente fatto il suo effetto, ed Emma mi fissava ingenuamente disinibita. Tremai al solo pensiero di ciò che avrebbe potuto dire o fare, completamente fuori di sé, e alle difficoltà che avrei dovuto affrontare per rifiutare i suoi seducenti inviti. Come in risposta ai miei pensieri, vidi piombare la sua testolina sulle mie gambe. La fragile donna mi scrutò in silenzio.
<< L’azzurro è il mio colore preferito …>>, balbettò senza distogliere il suo sguardo dal mio.
<< Si? >>, domandai titubante.
Lei distese le labbra e sorrise. << Si … E’ il colore dei tuoi occhi. Non posso fare a meno di fissarli. >>.
Mi lasciai sfuggire una risata. << Hai bevuto davvero tanto >>.
Emma rise e socchiuse gli occhi. Tirai un sospiro di sollievo, se si fosse addormentata sarebbe stato meglio per entrambi. Ma un suo movimento improvviso destò la mia attenzione. Si raggomitolò nel mio petto, e portò il suo viso a pochi centimetri dal mio. In quel momento combattei contro me stesso, e dovetti concentrarmi per rifiutare la sua palese ma inconscia proposta.
<< Emma ti riaccompagno in albergo …>>. Volevo suonare minaccioso ma la mia voce non fu altro che un sussurro.
Lei allontanò il suo viso dal mio e sgranò gli occhi. <>, urlò isterica e si riavvicinò. Senza che io potessi impedirglielo, avvicinò la sua bocca carnosa al mio collo. Ed io non riuscii a nascondere i brividi che mi percorsero nell’attimo in cui il cambio di ruoli divenne palese. Io preda, lei sensuale cacciatrice. Mi fissò a lungo con i suoi occhi scuri da lupo, e i miei di ghiaccio, rifiutarono di distaccarsi dai suoi. Mi si inginocchiò accanto, e mise le sue mani sul mio petto. Io respirai a fondo: non dovevo permetterle di fare ciò che in realtà non avrebbe mai fatto. Ma l’ebbrezza le donava quella disinvoltura che rischiava di far vacillare anche me. Con le dita tremule, cominciò ad armeggiare con i bottoni della mia camicia. Sospirai e bloccai le sua mani, giovani e affusolate.
<< Emma, sei ubriaca >>.
Lei mi fissò imbronciata. << Non ti piaccio? >>.
Stupida ragazza. Non aveva proprio la minima idea di quanto fosse bella e piacevole.
<< Si >>, mormorai. << E vorrei potessi ricordare la mia risposta domani >>.
Dichiararsi a un’ubriaca era da vigliacchi. La consapevolezza che non avrebbe ricordato più nulla, rendeva fluide le mie parole.
Lei sorrise beata, e sul suo viso apparve un’espressione spensierata, che mi spinse a ricambiare il sorriso. Chiuse gli occhi e sprofondò la testa nei cuscini. Mi resi conto che portarla in albergo sarebbe stata una vera e propria impresa, e poi volevo essere al suo fianco al mattino, quando si sarebbe svegliata. Non sarebbe stata più la Emma di quella sera: audace, seducente, senza pudore, ma sarebbe tornata a vestire i panni della fragile, ingenua e determinata donna che aveva dato il nome a tutti i miei pensieri.
Con estrema delicatezza la presi tra le braccia, e mi diressi verso le scale. L’avrei lasciata dormire nel mio letto, io mi sarei accomodato sul divano. Lei si lasciò cullare, ed io la strinsi più forte al mio petto. Sorrisi tra me. Se fosse stata nel pieno delle sua capacità mentali, mi avrebbe sicuramente liquidato con uno schiaffo. Mi beai dunque, per un istante di quell’assurda situazione.
Con un calcio leggero aprii la porta della mia camera, e la distesi sul letto, o almeno ci provai, dal momento che gettò le sue mani intorno al mio collo, e avvicinò il mio viso al suo.
<< Rimani con me >>, propose, ma la sua fu quasi una preghiera.
Scostai i capelli e le stampai un bacio sulla fronte. Lei fraintese quel gesto e mi strinse ancora più forte a sé, padrona di una forza che mi stupii. Mi divincolai con destrezza.
<< Ti prego Emma, adesso riposa >>, la supplicai. << Prometto che torno subito >>.
Notai subito il suo cambiamento d’umore. Un’espressione triste le solcò il viso, e gli occhi un attimo prima accesi, si spensero. Si rabbuiò e schiava di quel bicchiere di troppo, si abbandonò alle lacrime. Le sue gambe cominciarono a tremare, così come le mani che frenetiche asciugavano il volto ormai bagnato. La vidi soffrire. E soffrii anche io con lei, e per lei.
<< Non mi lasciare sola >>, m’implorò tra i singhiozzi. << Anche lui mi ha lasciata con questa promessa, ma non è tornato più. >>.
La sua voce si spezzò, vittima del pianto frenetico, ed io mi sentii vuoto, vigliacco, e tanto inutile. Quell’uomo, di cui non conoscevo neanche il nome, l’aveva smembrata, distrutta ed io ignaro di tutto, avevo avuto la pretesa di poterla ricostruire. Qualcuno aveva gettato via quel tesoro, che adesso stava tra le mie mani, ed io ero così forte da poterlo annientare con una sola carezza. In quel momento compresi tutte le sue incertezze, tutti i suoi passi indietro, tutta quella sua paura di illudersi.
Abbassai lo sguardo per cercare il suo, e nell’attimo in cui incontrai i suoi occhi, trovai risposta alle mie domande. Capii che l’avrei seguita pure in capo al mondo.
<< Io non ti lascio sola >>, promisi. << Adesso che ti ho trovata>>.
Le rimboccai le coperte, sperando di aver placato in parte la sua ira con la mia promessa sincera. Ma lei sembrò ignorarmi.
<< Non sparire dalla mia vita. Non trattarmi male. Lui se n’è andato via, per sempre … Ed io non lo rivedrò mai più, eccetto che nei miei incubi peggiori >>, bisbigliò sfinita.
Tirare fuori tutta la rabbia che ancora aveva dentro, fu uno sforzo immane per lei. Non conoscevo quell’uomo che l’aveva ridotta così, ma gli avrei volentieri spaccato la faccia. Strinsi i pugni lungo i fianchi, in risposta a quel pensiero. Emma scostò le coperte pesanti dal suo corpo, e si rannicchiò portando le gambe al petto, mentre calde lacrime, bagnavano il suo vestito. Mi faceva male vederla soffrire in quel modo. Le sue reazioni erano alterate dall’alcool, ma il suo dolore era vero, autentico. Mi sedetti dunque accanto a lei sul letto, e con delicatezza la strinsi forte a me.
<< E’ tutto finito …>>, le sussurrai e le baciai i capelli.
<< E’ finita la mia vita, gli ho permesso di rovinarla …>>.
Io rimasi in silenzio, incapace di trovare la giuste parole per consolarla.
<< Mi sento terribilmente sola >>, ammise tra le lacrime.
Io la strinsi più forte e con una mano accarezzai il suo viso.
<< Ricominceremo >>, la incoraggiai.  << Insieme …>>.
Lei si allontanò dal mio petto per guardarmi in faccia. << Prometti che non mi lascerai mai? >>, chiese timida ma speranzosa.
Io la guardai radioso. << Anche se domani non ricorderai più nulla, o se un giorno non mi vorrai nemmeno più vedere, lo prometto >>, ammisi sicuro di voler mantenere quella promessa.
Ci sdraiammo sul letto, lei poggiò la testa sul mio petto, e portò il braccio destro intorno alla mia vita, io misi il mio intorno al suo collo, per avvicinarla ulteriormente a me. A quel punto capii che era sfinita, iniziai a giocherellare con i suoi ricci, e lei sopraffatta da quel tocco leggero e delicato, chiuse finalmente gli occhi alle lacrime. Intonai distrattamente una canzone, mentre si apprestava a lasciare del tutto il mondo reale.
Con le luci dell’alba avrebbe dimenticato tutto di quella notte, ogni parola, ogni respiro, ogni suo bacio sulla mia pelle. Avrebbe dimenticato le mie promesse e le sue lacrime. Avrebbe dimenticato tutto, e sarebbe tornata a credere in un’altra bellissima bugia.
 

 
 

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Capitolo 10
*** Cattivi pensieri ***


Decimo capitolo :D Ci avviciniamo piano piano alla fine :) Vi anticipo che è semplicemente un capitolo di transizione, non succede nulla di eclatante, consideratelo pure uno schifo XD


POV EMMA



Le luci che filtravano dalla finestra carezzavano dolcemente il mio viso, premendo sugli occhi, ancora carichi di sonno. Il letto era disfatto. Allungai la mano per cercare qualcuno al mio fianco. Aprii gli occhi: ero sola in una stanza che non conoscevo. Scostai la pesante coperta dal mio corpo, e massaggiai la testa, cercando invano di placare il dolore dovuto alla sbronza della sera prima. Non ricordavo più nulla di quello che era successo, ma un solo sguardo al mio vestito sgualcito, riportò a galla barlumi di ricordi. Un locale fuori città, una passeggiata, le mie lacrime, noi due sul divano e poi sul letto. Cosa era successo? Cosa avevamo fatto? Mi alzai di scatto al suono di un cattivo pensiero. Mi avvicinai alla finestra, alla ricerca disperata di un po’ d’aria fresca. Aprii le imposte e un vento gelido schiaffeggiò il mio volto. Continuai a torturare il cervello con i miei mille pensieri, i miei mille dubbi. Ero andata davvero a letto con lui? Avevo davvero gettato in un fosso e seppellito la mia dignità, per una stupida sbronza? Piccoli flash facevano compagnia ai miei confusi ricordi di quella serata. Io e lui abbracciati sul letto, come Cappuccetto Rosso e il suo Lupo. Ero stata una stupida ingenua, ancora una volta. Avevo voluto crederci, avevo io stessa aperto le braccia a una nuova illusione, credendomi padrona di una forza che non avevo più.
Raccolsi tutte le mie cose e scesi di corsa al piano di sotto. Le lancette del grande orologio appeso alla parete di fronte, mi ricordarono che erano già le due del pomeriggio. Mi aveva lasciata dormire mentre lui in cucina stava preparando da mangiare. Non mi lasciai coinvolgere da quell’atmosfera di tranquillità che regnava in casa. Sembrava non fosse successo nulla, ma io continuavo a combattere disperata contro il mio inferno personale. Affrettai il passo, volevo uscire da quella casa, evitare il suo sguardo, le mie domande, e le sue risposte. Ma lui mi venne incontro e mi trattenne per un braccio.
<< Emma dove corri? >>, chiese senza fiato.
<< Dannazione! Lasciami stare!>> gli urlai contro, ma lui non mi ascoltò.
<< Si può sapere cosa hai? >>.
<< Ti ho già detto e dato abbastanza non credi?! Lasciami andare. >>
Mi fissò incredulo. << Ti sei alzata col piede sbagliato?>>.
Io lanciai un’occhiata alle mie spalle. << Più che altro mi sono svegliata nel posto sbagliato! Adesso fammi andare via! >>, dissi sprezzante.
Nella sua voce affiorò il panico. << E dove hai intenzione di andare? >>.
Cercai di racimolare gli ultimi brandelli di determinazione che mi rimanevano in corpo, e liberai violentemente il mio braccio dalla sua stretta.
<< Non lo so. Voglio solo andare via. Lasciami libera…>>.
Mi rivolse uno sguardo sbigottito e arretrò. L’avevo offeso, e prima che il senso di colpa mi travolgesse corsi alla porta e mi tuffai nell’aria gelida.
Era il 28 Novembre : compivo venticinque anni. Erano passati relativamente pochi anni dal mio diciottesimo compleanno, ma ricordavo quel giorno in ogni suo piccolo particolare, in ogni suo colore e profumo, e ricordavo ancora e soprattutto la sua magnifica sorpresa. L’avevo trovato all’uscita da scuola con un mazzo di rose in mano. Aveva mantenuto la promessa, di quando io tra le lacrime, gli avevo chiesto la sua presenza come regalo per il mio compleanno. Aveva fatto 800 Km solo per me. Mi sentivo una regina, e lui era il mio re e tutto quello di cui avevo bisogno. L’avevo abbracciato con tutte le forze che avevo in corpo. Eravamo semplicemente noi: io, diciottenne con tutta la mia voglia di vivere, e lui sulla soglia dei venti, con tutta la sua voglia di amarmi. Abbozzai involontariamente un sorriso ripensando a quel giorno, mentre, seduta sul ciglio della strada osservavo gente anonima, darsi da fare per animare la propria vita. Io invece stavo lì a raccogliere ancora una volta, le briciole di me stessa. Non potei fare a meno di pensare a quell’uomo dagli occhi cristallini, che avevo appena ferito, ma il pensiero di non ricordare cosa fosse successo quella notte, corrodeva i pilastri delle mie poche certezze in quel momento.
<< Va meglio? >>. La sua voce mi fece sussultare. Senza darmi il tempo di rispondere poggiò il suo cappotto sulle mie spalle. Un vortice di sensazioni incompatibili tra loro, si impossessò del mio corpo. Ogni particella di esso desiderava ricongiungersi all’uomo che stava al mio fianco. La mia mente invece, viaggiava su altri lidi, meno spensierati e più razionali. Non riuscii a trovare il coraggio per alzare lo sguardo.
<< Voglio stare da sola >>, mormorai.
Lo sentii ridere, mentre si sedeva accanto a me sul marciapiede bagnato. << Anche io >>, dichiarò infine.
Alzai la testa solo per guardarlo in cagnesco. << E allora cosa ci fai qui?>> grugnii.
Lui addolcì la sua espressione e mise un braccio sulle mie spalle, avvicinandomi a sé. << Voglio stare solo … con te >>, ammise in difficoltà.
<< Ah …>>, riuscii solamente a dire, ma non potei fare a meno di lasciarmi andare tra le sue braccia.
<< Che ne dici di rientrare a casa? >>, chiese improvvisamente.
Con cautela si alzò e mi porse la mano. La strinsi e mi alzai anche io, però rimasi immobile, imbarazzata per la domanda che stavo per fare.
<< Prima voglio sapere una cosa …>>, azzardai.
Leonard si voltò di scatto e lo sguardo che mi rivolse mi lasciò senza fiato. << Dimmi >>, alitò.
Io abbassai la testa, rossa per la vergogna. << Cosa è successo questa notte? >>, balbettai. << Cosa … abbiamo fatto?>>.
Leonard si rilassò e scoppiò a ridere. << Ti sei scolata una bottiglia di vino, alla faccia dell’astemia  >> sogghignò.
Io lo fissai irritata. << Continua >>, lo incitai.
Il mio tono duro non placò però la sua ilarità. << Dopo hai cominciato a farmi proposte indecenti >>.
Rimasi paralizzata. << Lo trovi così divertente? >>.
<< Direi di si >>, rispose in un ghigno.
Lo guardai malissimo, e finalmente capii che era arrivato il momento di mettere fine a quella risata.
<< Va bene, continuo >>, si schiarì la voce. << Dopo ti ho portata a letto, e sfinita ti sei addormentata tra le mie braccia >>, concluse con un radioso e altrettanto meraviglioso sorriso.
Stentai a credere alle sue parole, anche se i suoi occhi erano palesemente sinceri.
<< Cioè … io … tu … niente? >>. Avrei voluto mordermi e inghiottirmi per sempre la lingua.
Lui scosse la testa sorridendo. << Non è così che deve andare ma come vogliamo entrambi che vada >>.
Le sue parole leali mi ridonarono la forza, e mi sentii una stupida ad aver pensato che lui potesse approfittare di me.
Sapevo però che mi nascondeva qualcosa. Quella notte era stata lunga per lui, glielo si leggeva negli occhi, cerchiati e gonfi. La ferma consapevolezza che l’alcool avesse fatto uscire dalla mia bocca segreti che dovevano rimanere tali, mi scombussolò lo stomaco.
<< Sai tutto adesso, vero? >>, ebbi il coraggio di chiedergli.
Lui mi osservò e corrugò la fronte. << Ho dimenticato tutto, tranne una cosa, la più importante >>, disse e cinse la mia vita con le sue braccia.
Non sentivo più nulla, solo il suo corpo contro il mio. << Cosa? >>.
Lui si fece serio. << La promessa che ti ho fatto >>.
Mi sforzai di ricordare, ma la mia mente rifiutò qualsiasi allusione a quella serata. << Cosa mi hai promesso? >>.
I suoi occhi diventarono lucidi. << Che non ti avrei mai più lasciata sola>>.
Ripescai tra i ricordi le sue parole e mi sentii felice. Mi allontanai dalle sue braccia per guardarlo in viso. Era confuso dalla mia reazione e gli ci volle un attimo per ricambiare il mio sorriso. Presi fiato e feci ciò che desideravo fare più di ogni altra cosa al mondo. Lo abbracciai con tutta me stessa e affondai la testa nel suo petto caldo e accogliente.
<< Baciami >>, sussurrai, e lui stampò un dolcissimo bacio sui miei capelli arruffati. Sorrisi tra me e alzai la testa per cercare i suoi occhi.
<< Baciami >>, ripetei.
Lui serrò le labbra, poi sorrise. << Me lo stai chiedendo? >>, domandò incredulo.
Annuii, mettendo a tacere la mia irrefrenabile timidezza. Leonard scosse la testa e si lasciò sfuggire una risata. Quell’uomo non capiva me, come io non capivo lui. Mi aveva rincorsa, ma adesso che gli chiedevo di baciarmi, rideva. Mi chiesi che senso avesse la sua reazione, misi il broncio e gli voltai le spalle. Lui prontamente mi afferrò per un braccio e mi fece voltare, riportandomi a pochi centimetri da sé.
<< Credevi davvero fossi così stupido da lasciarti andare via? >>, chiese e capii che non si riferiva solo a quella circostanza.
Si avvicinò ancora di più, colmando ormai quel piccolo spazio che rimaneva tra di noi. Potei sentire il suo corpo premere contro il mio, e fu difficile mantenere il controllo di me stessa. Con la punta delle dita, ormai infreddolite, carezzò il mio viso, e il suo toccò mandò a fuoco le mie guance.
Le sue labbra sfiorarono delicate le mie, e il respiro si spezzò nell’attimo in cui, persa nel mio sogno, mi resi conto che un bacio stava per cambiarmi la vita.
Leonard lasciò scivolare le sue mani lungo i miei fianchi, ed io portai le mie intorno al suo collo. Mi tenne stretta a sé, quasi avesse paura che gli sfuggissi un’altra volta. Mi strinse come se quello fosse il nostro primo e ultimo abbraccio. Quello fu il nostro bacio, il mio primo bacio. Primo perché non avevo mai desiderato così tanto qualcuno. Primo perché nessuno mi aveva mai baciata in quel modo. Era stato inaspettatamente dolce e delicato, da mozzarmi il fiato. Nel momento in cui Leonard scostò le sue labbra dalle mie, mi sentii me stessa. La determinata, energica e dolce Emma che tutti conoscevano.
Ci guardammo in silenzio, emozionati, mentre tra le mani stringevo le sue, il più bel regalo di compleanno che avessi mai ricevuto.
Leonard volse lo sguardo altrove, sospirando. Io lo fissai perplessa.
<< Che ne dici di rientrare? >>.
Il suo tono estremamente dolce mi inebriò. Riuscii solamente ad annuire. Lui mi prese per mano e mi ricondusse a casa.
 
Un’ondata di calore accarezzò il mio corpo ormai infreddolito. Davanti ai miei occhi si presentò un’ennesima sorpresa: una tavola imbandita, coperta di petali di rose rosse. Una lettera bianca spiccava tra esse. Lo guardai, e lui mi annuì sorridendo. Mi avvicinai al tavolo e presi il biglietto tra le mani, aveva il suo stesso profumo. Sullo sfondo si stagliava la scritta che mi lasciò senza parole: “Ti ho sempre aspettata. Buon compleanno Emma.”
Le lacrime offuscarono la mia vista, mi voltai per osservarlo. << Grazie >>, sussurrai piena di gioia.
Lui mi venne incontro e mi sorrise. << Solo per te >>.
Mi alzai in punta di piedi e gli gettai le braccia intorno al collo. << Sapessi quanto ti ho aspettato io >>.
Le sue braccia mi avvolsero, e la mia bocca incontrò la sua. Abbandonai le sue labbra, solo perché udii dei risolini soffocati alle mie spalle. Mi guardai attorno confusa, Leonard invece sogghignò e si divincolò dalla mia stretta.
<< Gli altri aspettano solo noi …>>.
Sbarrai gli occhi. << Gli altri …??>>.
Non feci in tempo a terminare la domanda che vidi spuntare sulla porta Anita, Frank, Adam e Robert.
<< Tanti auguri >>, urlarono tutti in coro.
Le gambe cominciarono a tremarmi, e dovetti deglutire più volte per mandar giù le lacrime. Non appena realizzai, lasciai la mano di Leonard e corsi ad abbracciare Anita. Sapevo già che dietro a tutto quello splendore, c’era stato un architetto che conosceva il destinatario del regalo alla perfezione. La mia migliore amica aveva dato una mano al mio sogno, affinché si realizzasse. Al resto avevo inconsciamente pensato io.
Non potei fare a meno di voltarmi a guardare Leonard. Era stato lui il mio dono più grande. Sorrisi felice di quella conquista. Poi con lo sguardo tornai ad Anita.
<< Grazie >>, sussurrai. E nonostante la mia riconoscenza, quel “grazie” mi sembrò banale di fronte a tutto ciò che avevo davanti: il sorriso sincero della mia amica, i tre musicisti che mi festeggiavano, e quell’uomo che nel bene e nel male, avrebbe cambiato per sempre la mia vita.
 
<< Ragazzi io … io non so davvero come ringraziarvi >>, mormorai impacciata.
Non trovai le giuste parole da dedicare a quei cinque angeli, che avevano reso il mio risveglio una piacevole sorpresa. Ogni mia sillaba poteva suonare banale, di fronte all’immensità di quel gesto. Era solo una torta, un biglietto, un pranzo, e loro erano “ solo” i Free Fallen, e per me in quel frangente di vita tutto questo era “solo” una ragione per andare avanti.
Pensai alla mia famiglia, volevo che fossero al mio fianco in quel giorno, ma egoisticamente gli avevo precluso la possibilità di starmi vicino. Non volevo che mi vedessero soffrire. Anche da piccola sotterravo le lacrime nel cuscino, piangevo in silenzio e inghiottivo dolore per non svelarmi agli occhi degli altri. Non ero falsa, no, ero solo una creatura debolissima che si era corazzata per non essere travolta. Non c’era mai stato nessuno a difendermi, stringendo i denti avevo vinto mille battaglie con la mia sola forza. Nessuno aveva mai ritenuto possibile che Emma avesse bisogno di aiuto, dopotutto ero sempre io ad aiutare gli altri. Sognavo ad occhi aperti e piangevo in silenzio. Avevo stravolto più volte la mia vita, come una grande scacchiera con tante pedine da muovere. Solo tre di loro non sarebbero mai andate via. Adriano, mio cugino, Anita e Beatrice, le migliori amiche che avevo trovato tra i banchi di scuola al liceo. Con loro avevo conquistato il mondo, avevo conosciuto la vita, avevo assaporato le lacrime, avevo passato intere nottate a sognare ad occhi aperti, avevo litigato e fatto pace con un abbraccio. Grazie a loro avevo continuato a vivere. Era il mio compleanno, e avevo spento le candeline sulla torta, sempre con loro al mio fianco, quell’anno sarebbe stato tutto diverso. Da un giorno all’altro era cambiato tutto, avevo lasciato a Roma tristezza e disperazione, per spiegare le ali su una nuova vita, e a Natale forse sarei stata troppo lontana da loro, e non avrei potuto scartare i regali sotto l’albero, come era nostra abitudine ormai da anni.
Anita sapeva quanto soffrissi e aveva organizzato tutto questo solo per vedermi sorridere. In quel momento più che mai ringraziai quel giorno che me l’aveva donata.
 
<< Puoi pensare anche mentre mangi, o non sei capace di fare le due cose contemporaneamente? >>, mi stuzzicò Leonard.
Abbassai lo sguardo e fissai il mio piatto ancora intatto. Feci una smorfia, Leonard non poteva conoscere l’intensità dei miei pensieri. La mia mente era un vero e proprio tornado.
<< E’ capace di farsi investire per strada se si ferma a pensare …>>, commentò Anita prendendo la parola.
Gli altri scoppiarono a ridere, ed io lanciai un’occhiataccia alla mia collega. Sapevo già a che episodio si riferisse, quindi speravo tagliasse la discussione.
<< Come quando …>>, cominciò a dire.
Io strinsi i pugni sulle ginocchia. Leonard se ne accorse e posò la sua mano sulla mia gamba.
<< Non mi sembra il caso >>, disse.
Io alzai lo sguardo incredula. Mi capiva più di quanto pensassi.
<< Stiamo solo scherzando >>, si giustificò Adam, curioso come gli altri due di sentire il resto della storia.
Leonard lo fulminò con lo sguardo, io gli sorrisi per tranquillizzarlo. Non volevo che estremizzasse il suo tentativo di proteggermi. Anita mi scrutò, si sentiva in colpa.
<< Continua! >>, la incoraggiai.
Lei riprese fiato. << Insomma, ha rischiato la vita. Si è catapultata tra le braccia del suo ragazzo, e l’autobus ha frenato appena in tempo >>.
Tutti scoppiarono a ridere, io invece strinsi i denti di fronte a quel ricordo di sette anni fa, quando amavo Daniele più di ogni altra cosa al mondo. Pensare al suo nome, provocò una fitta di dolore al cuore. Mi sforzai di sorridere.
<< Era così bello questo tizio? >>, chiese inaspettatamente Leonard. Sembrava infastidito. Tanti ricordi affollarono la mia mente. Cercai di mantenere la calma.
<< Beh si … >>, riuscii a dire.
<< Aveva gli occhi chiari >>, commentò Anita. << Belli >>.
Si belli, ma non come quelli di Leonard, sinceri, autentici.
<< Anche io li ho chiari >>, affermò orgoglioso.
Mi voltai per osservarlo.  << Non stavamo mica parlando di te >>, lo punzecchiai fiera del fatto che ero riuscita a mantenere il controllo. Il merito era soprattutto di Leonard. Averlo a mio fianco mi aveva aiutata.
Lui mi fissò stupito, gli altri continuarono a sogghignare.
<< Facile parlare adesso >>, mormorò Anita con un tono di voce però abbastanza udibile da Leonard, che non si lasciò sfuggire l’occasione.
<< Cosa diceva prima? >>, domandò curioso.
Ad Anita sarebbe bastata una sola parola per smascherarmi, per rivelare la mia ossessione per lui.
<< Questo è quello che si chiama segreto di stampa >>. Anita mi sorrise ed io finalmente mi rilassai.
Gli altri tentarono invano di strapparle quel piccolo segreto dalla bocca, mentre io assistevo divertita alla scena. Dopo svariati e inutili tentativi di corruzione, finimmo di pranzare, ma si toccò un argomento che non volevo uscisse fuori per nessun motivo al mondo.
<< Che avete fatto ieri sera?>>, chiese agli altri Leonard.
Io gli diedi un calcio sotto il tavolo, lui mi ignorò.
 << Beh io e Rob siamo rimasti in albergo …>>, rispose Adam sorridendo.
<< Gli altri li abbiamo persi di vista >>, continuò malizioso Robert.
Frank con un colpetto di tosse si schiarì la voce. Io lanciai un’occhiata d’intesa a Anita, che arrossì notevolmente e abbassò lo sguardo.
<< Va bene.. sparecchiamo? >>, proposi prima che il soggetto della discussione diventassimo io e Leonard.
<< Ma dove scappi? Non c’è mica fretta! Tranquilla sono più discreto di mio fratello >> disse Frank . Io lo guardai e gli sorrisi imbarazzata.
<< E’ abbastanza invadente quando vuole >>, continuò. Leonard gli lanciò un’occhiataccia, ma lui non se ne curò.
<< Cara donna, ti è capitato tra le mani, lassù qualcuno ce l’ha con te >>. Rise tranquillo, e la sua risata spensierata contagiò tutti, anche Leonard che doveva essersi abituato ormai agli scherni del fratello maggiore.
Però il suono del suo cellulare interruppe quell’atmosfera di ilarità generale.
<< Si >>, rispose. Si morse nervoso il labbro inferiore. << Come mai? >>.
La voce dall’altro capo era frenetica. << Va bene. Ti raggiungiamo subito. >>, promise serio e riattaccò.
<< Era Susan >>, spiegò ai colleghi. << Il soundcheck è stato anticipato alle quattro del pomeriggio>>.
Gli altri scattarono subito in piedi, e rividi in loro gli artisti professionali che avevo avuto la fortuna di intervistare.
<< Affrettiamoci >>, li incitò Robert.
Adam ci fissò. << Voi venite con noi? >>.
Io osservai quel caotico movimento, disorientata. Con lo sguardo cercai Leonard. << Cosa mi sono persa ? >>.
<< Stasera ci esibiremo al Gran Teatro >>, spiegò.
Io esplosi di gioia. << Davvero? >>.
Leonard sembrò lusingato dalla mia euforia. << Si, siamo carichi, sarà una bella serata >>.
<< Ne dubito, se perdiamo ulteriore tempo >>, lo incalzò il fratello.
Abbassai lo sguardo intimidita, e Leonard mi si avvicinò e mi abbracciò da dietro.
<< Stasera vedrai il concerto da un’altra prospettiva. Ti piacerà >>, sussurrò al mio orecchio.
Io annuii impacciata, non mi sarei abituata così presto a quella vicinanza tra noi.
<< Comunque voi andate tranquilli. Noi torniamo in albergo >>, dissi a voce più alta.
Sentivo il bisogno di farmi una doccia, di guardarmi allo specchio e assicurarmi che fossi ancora io.
<< Vi accompagniamo noi >>, propose il chitarrista lanciando uno sguardo agli altri che annuirono. Io storsi il naso, non mi andava di infastidirli ulteriormente, di far gravare il peso della nostra presenza sulle loro spalle.
Anita mi lanciò uno sguardo implorante. Io scossi il capo. << Andiamo a piedi.>>.
La mia collega mi incenerì. << Certo che andiamo a piedi >>, grugnì tra sé.
La risata di Leonard risuonò alle mie spalle. Mi voltai e lui continuò a sghignazzare.
<< Tu vorresti farmi credere che ricordi la strada? >>.
La sua domanda mi prese in contropiede. Leonard aveva ragione: ricordavo a stento chi fossi.
<< Si infatti >>, intervenne il fratello. << Ascoltate Leonard. E’ meglio che vi accompagniamo noi >>.
Anita gli sorrise grata, ed io non osai più replicare. Dall’occhiata che mi lanciò Leonard, capii che era meglio assecondare la sua scelta.
 

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Capitolo 11
*** Confessioni ***


Buon pomeriggio :D L'undicesimo capitolo è ancora una volta narrato interamente da Emma, vi anticipo che ci sarà un nuovo arrivo e un'ennesima figura... dunque buona lettura :)



POV EMMA




Uscimmo in fretta da casa, e dopo averci accompagnato in albergo, s’incamminarono verso il locale, che quella sera avrebbe ospitato la loro musica e le emozioni di migliaia di fan.
Mi girava la testa, non stavo ancora del tutto bene. Ubriacarsi, non era stata di certo un’ottima idea. Per non parlare poi di tutte quelle emozioni che il mio corpo aveva dovuto fronteggiare, nel giro di poche ore. Tuttavia avrei ripercorso quella strada milioni di volte. Non rimpiangevo più le mie lacrime, i miei affanni : mi avevano portato a Leonard.
Mi distesi sul letto, accanto ad Anita. La vista di noi, in quella stanza, su quel letto, gettò nella mia mente una rete di ricordi intrecciati alla mia vita da liceale. Tra i miei pensieri si facevano spazio le immagini di quei pochi e indimenticabili viaggi d’istruzione, di quei sabati sera passati su una panchina in centro città, di quelle feste di compleanno che scivolavano via una dopo l’altra, di quel periodo che era stato il più bello e controverso della mia vita.
Anita sospirò. Io mi girai nella sua direzione. Era assorta nei suoi pensieri, come me.
<< Ti ricordi quando ci chiedevamo cosa ne sarebbe stato di noi? >>.
Al suono di quella sua domanda, un brivido percorse la mia schiena. Non era facile rendersi conto di come fossimo davvero diventate grandi.
Annuii. << E adesso che ne sarà di noi? >>, domandai a mia volta, cercando nei suoi altrettanti dubbi le mie certezze.
Lei mi sorrise. << Si sa come inizia ma non come finisce >>.
Sbuffai, io di quella serata che avrebbe cambiato la mia vita, non ricordavo nulla o quasi. << Io non ricordo neanche come è iniziata >>, confessai.
Lei rimase in silenzio ad ascoltarmi,
<< Mi sono ubriacata, e la mia mente non vuole collaborare …>>.
Anita mi fissò incredula. << Tu … tu ti sei ubriacata? >>.
Annuii. << Si, non ne parliamo … >>, farfugliai.
La mia collega si inginocchiò sul letto e mi si avvicinò sorridendo beffarda. Conoscevo quell’espressione, ma speravo di sbagliarmi.
<< Sforzati di ricordare. Voglio sapere tutto. >>, disse.
Sospirai. Purtroppo non mi ero sbagliata.
 
Il buio avvolgeva la mia mente, e una luce troppo fioca illuminava i miei pochi ricordi di quella serata. Fu uno sforzo immane ricostruire il puzzle, e alcuni segreti rimasero tali.
Il racconto terminava al brindisi. Poi pochi flash e il mio essere disinibita che mi imbarazzava. I miei ricordi si confondevano con la notte scura e piovosa, per poi ri-delinearsi col mattino luminoso e freddo.
<< E’ stato davvero un galantuomo >>, commentò stupita Anita.
Il tono di sorpresa con cui accompagnò le sue parole quasi mi offese. Un altro uomo trovandosi tra le braccia una donna priva di coscienza, non avrebbe pensato al bene di lei ma alla sua fortuna. Ma Leonard non era quel tipo di uomo. Ritirai immediatamente il broncio, d’altronde quella mattina a innescare la mia fuga, era stato proprio un brutto presentimento. Mi vergognai ancora una volta di quel pensiero.
<< Si …>>, acconsentii.
Lei si voltò e mi guardò meravigliata. << Ti piace …>>. La sua non era una domanda.
Io mordicchiai nervosa il labbro inferiore. << Si, e non posso farci niente >>, dissi a bassa voce.
Anita mi scrutò seria, poi mi sorrise. << E’ una cosa bellissima, Emma. Non è una cosa da cui devi fuggire.>>, m’incoraggiò.
Abbassai lo sguardo, per paura che i miei occhi rivelassero il mio timore.
<< Voglio godermi questi ultimi giorni al pieno delle mie possibilità. Non voglio rinunciare a nulla. E se commetterò un errore, ne pagherò le conseguenze …>>.
<< Quindi è una semplice distrazione? >>, azzardò Anita.
Io rabbrividii. Leonard non era una distrazione, non lo sarebbe mai stato. Il cuore che sbatteva le ali, ogniqualvolta lui mi si avvicinava, era il chiaro segnale che per lui, se solo me lo fossi concessa, avrei potuto provare qualcosa di più grande.
<< Si >>, mentii.
Lei sbuffò. << Farò finta di crederci >>, disse balzando giù dal letto. << Vado a farmi una doccia.>>. Poi alzò lo sguardo e lo puntò su di me. << E semmai ti venisse voglia di scappare, non usare l’ascensore >>.
Io sorrisi. << Cosa vorresti insinuare? >>.
<< Che una distrazione, basta e avanza. >>, rispose sarcastica.
Io le rivolsi un’occhiataccia. Distrazione, pensai tra me, che brutta parola.
Il suo cellulare cominciò a squillare. Lei lo tirò fuori dalla borsa.
<< Maledizione >>, bofonchiò. << E’ mia madre, torno subito! >>.
Con il telefono tra le mani uscii di corsa dalla stanza, sbattendo la porta alle sue spalle. Sussultai, per poi ripiombare nel mio silenzio.
Guardai il mio orologio: erano già le quattro del pomeriggio. Avevo ricevuto un messaggio, una chiamata di auguri da tutti. Mancava solo la sua, ma non poteva essersi dimenticata del mio compleanno. Non volevo e non dovevo crederci, anche se non sapevo spiegarmi quel ritardo. Ma proprio quando avevo cominciato a raccogliere i brandelli delle mie speranze, il telefono cominciò a squillare, facendo vibrare il comodino, su cui era poggiato. Sospirai: lei non mi avrebbe mai e poi mai delusa.
<< Beatrice >>, risposi euforica.
<< Emma >>, disse. Il suo tono era decisamente meno allegro. << Potevi almeno salutarmi prima di partire…>>, mi ammonì.
Da anni ormai condividevamo la stessa città, ma in quei giorni lei sarebbe stata fuori Roma, per seguire un congresso sulle nuove tecniche di cura psichiatrica. Le avevo lasciato solo un bigliettino nella buca delle lettere, per dirle che io e Anita saremmo andate a Los Angeles, e saremmo state via per un po’ di giorni. Avevo tralasciato anche il motivo di quella nostra improvvisa partenza.
Strinsi i pugni lungo i fianchi. << Bea …>>, mormorai.
La sentii sospirare. << Per questa volta ti perdono >>.
Mi sentii sollevata. << Grazie >>, dissi sincera. << Credevo che fossi così tanto arrabbiata con me, da non degnarmi neanche di una chiamata oggi >>.
<< Ma per favore >>, biascicò.
<< Mi manchi tanto >>, confessai. Lei rimase in silenzio, io avrei voluto abbracciarla.
<< Sai che sarei voluta essere lì con te! L’importante però è che tu stia bene, e quello che mi ha fatto più piacere è che, almeno stavolta, hai deciso di andare e non di rimanere >>, sussurrò.
Io, Anita e Beatrice eravamo cresciute insieme, avevamo condiviso quegli anni di vita dove le scelte, delimitavano lo scorrere del tempo. Nella sua voce riconobbi il mio accento, il suono del dialetto della mia terra. Quell’isola era così lontana da noi, da troppo tempo ormai. Mi mancavano i suoi colori, i suoi odori. Mi mancavano quelle passeggiate sotto il sole afoso di Agosto, con lo sguardo perso nella profondità di quel mare cristallino, dove si rincorrevano i nostri sogni. In quella spiaggia dai mille granelli di sabbia, versavamo le nostre speranze per una vita ancora da costruire, e con le nostre nuotate al largo, spingevamo giù i cattivi pensieri. In ogni momento, in ogni tempo c’era quell’orizzonte infuocato, pronto a raccogliere le nostre delusioni, e a rassicurarci sotto il suo tenero abbraccio. Non c’era giorno in cui il sole non baciasse il nostro viso, e se pioveva era solo perché tutti lo desideravamo.
Ricordavo ancora quel parco vicino casa, e quegli alberi che portavano i segni della loro e della nostra età. Eravamo state lì i pomeriggi d’inverno sotto la pioggia, e intere giornate d’estate al fresco sotto i loro fitti rami. Immerse in quel verde amazzonico c’erano anche un paio d’altalene traballanti. Soffiavamo il posto ai bambini, e come non mai, eravamo libere di godere di quella libertà che poco sarebbe durata. La libertà di non pensare, di non soffrire. La libertà di essere libere.
In quella parte di mondo ogni molecola di aria sapeva di noi, ma quella parte di mondo un giorno sarebbe stata troppo lontana. Qualcosa avrebbe accecato la luminosità della nostra quotidianità. Salutando il nostro vecchio liceo, la nostra calda città, ci eravamo imbarcate in una nuova avventura. Roma con i suoi mille segreti ci attendeva, e tutto era andato via come le gocce d’acqua nel mare, una così vicino all’altra, da farsi addirittura male.
<< Emma … tanti auguri. Mi dispiace ma adesso devo salutarti >>, disse e la sua voce diventò cupa.
Cercai di nascondere la delusione. << Va bene >>.
<< Ci sentiamo presto. Te lo prometto >>, affermò.
<< Si. Ti voglio bene >>, ammisi con la voce rotta dalle lacrime che asciugai subito col dorso della mano.
Lei al suono di quelle mie ultime parole rimase in silenzio. Sapeva bene quanto fosse difficile per me, parlare di sentimenti. Ero diventata arida, come le dune di un deserto mai baciate dal mare.
<< Anche io >>, balbettò. << A presto >>.
<< A presto >>, risposi ma lei aveva già riattaccato. A malincuore posai il telefono. Mi mancava quell’amica che mi somigliava tanto. Mi mancava il suo abbraccio, la sua risata spensierata. Non ebbi però, neanche il tempo di rimettere a posto i miei terremotati pensieri, che sentii bussare alla porta. Doveva essere Anita, di ritorno da quella chiamata, che era durata più del solito.
<< Chi è? >>, chiesi per sicurezza.
<< Apri… >>. Rispose alla mia, una voce che non seppi riconoscere.
<< Chi è?>>, ripetei stringendo tra le mani la maniglia, e poggiando l’orecchio alla porta.
<< Apri >>.
Dopo pochi attimi di incertezza, mi decisi ad aprire. C’era Anita, ma non era da sola, al suo fianco c’era per me, un’altra bellissima sorpresa .
 


Un taglio di capelli sbarazzino, occhi grandi e un sorriso dolcissimo. Non mi aspettavo di trovare Beatrice lì, davanti ai miei occhi. Ci abbracciamo forte, e in quella stretta ritrovai una parte di me.
La guardai stupita, con la voce tremante e le lacrime agli occhi. << Che ci fai qui?>>.
<< Sbaglio o oggi è il compleanno della mia migliore amica? >>. Mi sorrise ed io ricambiai.
<< Questa è la più bella sorpresa che potessi ricevere>>, le dissi.
<< Dovresti esserci abituata ormai >>, insinuò Anita entrando in camera, e facendosi segno di seguirla. La guardai con aria interrogativa.
<< Stai con Leonard Gore, quello è un uomo imprevedibile >>, spiegò compiaciuta.
"Sto con Leonard Gore?", mi chiesi. Non poteva essere vero. Avevo permesso a quell’uomo di stringermi in un abbraccio che era stato di qualcun altro, di qualcun altro che mi aveva fatto a pezzi, ma che mi aveva insegnato ad amare. Per stargli vicino avevo sfidato il mondo, mentre quest’ultimo continuava ad allungare le distanze per dividerci. Avevo amato solo lui, ed ero fermamente convinta che non potevo tornare ad amare un’altra persona. Ma all’improvviso era arrivato Leonard. Non sapevo chi l’avesse deciso, chi ci avesse messo sulla stessa strada, chi avesse progettato il nostro incontro, chi avesse ordinato al mio cuore di tornare a battere. Scossi la testa in risposta ai miei pensieri.
Anita si intrufolò in bagno, improvvisamente silenziosa. La seguii con la coda dell’occhio, poi torna a fissare Beatrice. Snella, minuta, affaticata dal viaggio. Le rivolsi un sorriso raggiante che ricambiò.
<< Ci avevo quasi creduto >>, mormorai.
<< Non potevo mancare, ti ho promesso che ci sarei stata sempre >>.
<< Non dovevi sorvolare l’oceano solo per me …>>.
Beatrice mi guardò e scoppiò a ridere. << Infatti, anche per i Free Fallen >>, disse strizzandomi l’occhio.
La musica era solo una delle tante passioni che condividevamo, e per quella band avevamo fatto pazzie. La rosa tatuata sul mio polso, ne era la prova. Eravamo perfino scappate da casa per assistere a un loro concerto all’estero, e ricordavo quella come l’esperienza più elettrizzante e adrenalinica della mia vita. L’aggiornai su tutto quello che era successo alla mia vita negli ultimi tre giorni, e lei mi raccontò del congresso a cui aveva partecipato. Trascorse un’ora senza che noi ce ne accorgessimo. Parlare con lei era semplice e necessario, come respirare. Tranquilla mi voltai nella sua direzione, e vidi che passò nervosa una mano tra i capelli. Intuii subito che voleva dire qualcosa ma non sapeva da dove iniziare. La incoraggiai con un sorriso.
<< Emma >>, esitò. << Sono fiera di te. Questo non è un traguardo, è l’inizio di una serie di grandi successi. Sono così orgogliosa >>, ammise commossa. Io scelsi il silenzio, le sue parole mi avevano emozionata. Lei mi si avvicinò e prese le mie mani tra le sue. << E’ arrivato il momento di spiccare il volo, amica mia >>.
Sussultai non appena compresi il senso delle sue parole. << Soffro di vertigini. L’altezza non fa per me, lo sai …>>.
Lei aggrottò la fronte e increspò le labbra. << Non parliamo di lavoro o mi sbaglio? >>.
Sospirai. << Non ti sbagli >>.
Beatrice avrebbe sempre fatto centro. Lei mi fissò in attesa che continuassi a parlare.
<< Leonard >>, sussurrai. Pronunciare quel nome mi mandò in visibilio.
<< Si? >>, chiese la mia amica.
Io abbassai lo sguardo. << Leonard, è così carino con me, così dolce. Mi guarda come se gli piacessi davvero >>.
<< E tu hai paura di innamorartene >>, commento Beatrice.
Strabuzzai gli occhi in preda al panico. << Non posso innamorarmi >>.
<< Qualcuno te lo vieta? >>, domandò pungente. Il tono con cui disse “qualcuno” mi fece sobbalzare. Scossi la testa in preda alle vertigini.
<< E allora perché no? >>, incalzò la mia amica.
<< Ho già amato >>, riuscii a dire.
Convivevo da mesi ormai, con un senso profondo di solitudine e di vuoto,e l’idea di sentire di nuovo le farfalle allo stomaco, una stretta alla gola, e le gambe tremare, mi sembrava impossibile e soprattutto assurda.
Lei mi rivolse uno sguardo frustrato. << E perché ti precludi la possibilità di tornare a farlo?>>. Il suo tono era deciso, segno che non avrebbe sopportato un mio ulteriore passo indietro.
Io rabbrividii. << Ho paura. Paura di soffrire. Questo che sto vivendo è solo un sogno bellissimo. Tra pochi giorni lo saluterò, lo ringrazierò di tutto e me ne tornerò a casa, caricando sulle mie spalle altri miliardi di problemi>>.
<< Adesso non auto-commiserarti per favore!>>, mi rimproverò Beatrice.
<< Secondo te io non ho lottato?>> .
<< Non abbastanza >>, imprecò disperata.
<< Ho commesso un grande errore >>, dissi per l’ennesima volta rassegnata.
La mia amica sospirò. << Il grande errore è quello di stare ancora a pensare a ciò che è stato, e permettere a lui di continuare ad accartocciare la tua vita, nonostante tu non gli appartenga più >>.
Io rimasi in silenzio, concentrandomi sulle lacrime che continuavo a ricacciare indietro.
<< Quando ti deciderai a riprendere in mano le redini di una cosa che è tua? >>.
<< Io sto bene così…>>, mentii.
<< Tu stai bene così? Sei emotivamente un vegetale, e osi dire di stare bene? Sei solo intrappolata in un mondo che non è più tuo! >>.
Mi alzai si scatto: la verità che non volevo conoscere innescava sempre la mia fuga. Beatrice voleva aprirmi gli occhi, ma il suo tentativo era disperato. Lei lo aveva già capito, ma ci stava provando, come aveva sempre fatto.
<< Sto bene >>, ripetei stringendo i denti. L’avevo ripetuto mille volte, ma quelle parole non avevano mai convinto neanche a me.
<< Sei solo una povera illusa >>, ribatté delusa.
<< Hai concluso la tua predica? >>, chiesi sarcastica.
<< E tu hai finito di piangere? Di continuare a strizzare una vita, che è già di per sé uno straccio?>>.
La guardai sprezzante, i suoi occhi invece erano lucidi. Anita uscì dal bagno, preoccupata forse, per le voci che avevano dato legna al fuoco della nostra discussione.
Mi guardò in cerca di una risposta, ma senza neanche darle il tempo di capire, afferrai il cappotto e mi incamminai verso la porta.
<< Cosa è successo?>>, chiese preoccupata Anita.
<< Lasciala stare! Le servirà…>>, sentii dire a Beatrice.
<< Spero solo non commetta una pazzia>>
<< L’unica pazzia che può fare è correre da lui…>>.
Le loro parole, le loro supposizioni fastidiose, mi fecero affrettare il passo. Con tutta la mia forza spalancai la porta e mi lanciai in una corsa sfrenata.
In quel momento potevo trovare le risposte che cercavo, conforto,  solo in quella mia fuga. Continuai a correre senza una meta, lasciando le mie gambe libere di muoversi, mentre un vento gelido si insinuava imperterrito tra le mie viscere.
Sapevo che correvo alla ricerca disperata di lui, pur non volendo. Desideravo scivolare tra le sue braccia, trovare un rifugio nelle sue parole, e placare la mia rabbia stretta in suo abbraccio. Sentivo il bisogno di assaporare le sue labbra, il suo profumo, vedere i suoi occhi riflessi nei miei. Avevo bisogno di lui e non volevo accettarlo.
Non conoscevo quella città, ma continuai a correre alla ricerca di quella casa dove il tempo si era fermato, di un posto dove non arrivasse il sole, a far luce sul mio volto. Finalmente la pioggia venne in mio aiuto. Leggere gocce, che si fecero sempre più insistenti, cominciarono a picchiare contro il mio esile corpo. Ma il temporale non bloccò la mia fuga. Ero decisa ormai ad andar via.

 
Un urto deciso, due braccia pronte ad accogliere il mio corpo, a fermare la mia corsa contro il tempo, due mani pronte a carezzare il mio viso. Davanti ai miei, gli unici occhi che desideravo vedere …
 

<< Emma dove corri? >> mi chiese dolcemente Leonard. Affondai il mio viso nel suo petto, al riparo da quella pioggia incessante.
<< Emma? >>, mi chiamò preoccupato.
Non gli risposi, e singhiozzando mi strinsi più forte a lui. Rimase in silenzio sotto il mio tenero abbraccio. Immobili l’uno nelle braccia dell’altro, mentre la pioggia scendeva a tempesta giù dal cielo.
Lo sentii sorridere, poi sospirare. Con una mano alzò il mio viso. << Piange anche il cielo se lo fai tu …>>.
Lo guardai e finalmente mi sentii meglio.
Leonard lanciò un’occhiata alle sue spalle, poi tornò a fissarmi. << Vieni >>, disse.
<< Dove? >>.
<< Vieni con me>>.
Io gli rivolsi uno sguardo confuso.
Le sue labbra scoprirono il suo splendido sorriso. << Ti fidi? >>.
Annuii. << Si, portami via >>.
Mi prese per mano, ed io lo seguii in silenzio. Riconobbi la sua auto, poi quel viale alberato e quella casa nascosta e persa nell’immensità di quel verde intenso e senza tempo.
Leonard si fermò davanti alla porta e mi rivolse uno sguardo intenso. Io abbassai il capo imbarazzata. Mi chiedevo ancora come potessi piacere a un uomo così.
Mi si avvicinò cauto, sembrò esitare. << Posso baciarti? >>, chiese quasi timido.
Io deglutii. << Perché me lo chiedi? >>.
Lui sorrise, ma l’espressione frustrata non abbandonò il suo viso. << Ho paura… Ho paura di vederti scappare via >>, ammise. Con una mano accarezzò il mio volto. Io dovetti sforzarmi per sostenere il suo sguardo.
<< Io ho paura di affezionarmi a te … Non voglio …>>.
Leonard divenne di pietra e distolse lo sguardo, nervoso. << Non vuoi o non puoi? >>, chiese a denti stretti. Io cercai i suoi occhi, erano densi.
<< Rispondimi >>.
Socchiusi gli occhi. << Non voglio amarti >>. Cercai di liberarmi dalla sua stretta, ma lui non mi lasciò andare, e trattenne la mia mano nella sua.
<< Non voglio che tu vada via >>, ammise con voce rotta. A bagnare il suo volto non fu la pioggia, ma calde lacrime che nacquero dai suoi splendidi occhi, e ricalcarono i suoi angelici lineamenti. Rimasi pietrificata: non potevo averlo fatto piangere.
<< Ma se la tua paura è vivere, allora alzo i tacchi e tolgo il disturbo >>.
Allungai una mano e sfiorai il suo volto. Con la punta delle dita catturai una sua lacrima.
<< Hai promesso di non lasciarmi più sola >>.
<< E’ una promessa che vale solo se sarai tu a volermi al tuo fianco >>.
<< E tu? >>. Puntai il mio sguardo nel suo. << Tu lo vuoi davvero? Non mi obbligherai a dimenticarmi di te quando ti amerò abbastanza? >>.
Leonard serrò le labbra e mi avvolse nelle sue braccia. << Ricominceremo Emma >>, sussurrò al mio orecchio.
<< Io non so più cosa è l’amore >>, mormorai contro il suo petto.
Lui con un dito alzò il mio volto. << Ci proveremo, e impareremo insieme ad amare>>, m’incoraggiò. << Non dico che sarà facile, tu sei la persona più complessa che io abbia mai conosciuto. Ma dobbiamo provarci, questo tempo è per noi …>>.
Mi porse una mano. << Il treno sta partendo, o sali o rimani giù >>.
Studiai per un istante la sua espressione, dolce, sincera, speranzosa. Desideravo lui e nessun altro. Afferrai la sua mano. << Salgo >>, dissi e gli sorrisi.
Mi avvicinò a sé euforico, e posò le sue labbra sulle mie. Fu come danzare sulle note di una stessa melodia, e quello fu un bacio diverso, più ardito, più passionale, meno timido e prudente.
Senza fiato scostò la bocca dalla mia. << Dove correvi poco fa? >>.
<< Da te >>, ammisi.
Leonard mi accecò col suo sorriso. << Oggi è il tuo compleanno, dovrei farti un regalo >>.
Io scossi la testa sorridendo. Lui mi guardò stupido, mentre io stringevo il suo viso tra le mie mani. << Sei tu il mio più grande regalo >>.
 
Ci abbracciamo nel suo morbido divano, mentre la pioggia sbatteva impetuosa contro i vetri delle finestre. Lo guardavo mentre lui mi guardava. Leonard era straordinario, m’imbarazzava solo incrociare il suo sguardo.
<< Posso chiederti una cosa? >>, chiese inaspettatamente spezzando il silenzio.
Io lo guardai curiosa e annuii. << Dimmi >>.
Lui prese fiato. << Quando è finita?>>, domandò a disagio.
Capii subito a cosa si riferiva, e la sua domanda mi spiazzò.
Lui se ne accorse. << Se non vuoi rispondere lo capisco …>>.
Io mi strinsi nelle spalle, decisa ad abbattere tutti i muri che mi dividevano da lui. << Sei mesi fa, per divergenze lavorative, o almeno così ha voluto farmi credere >>.
Leonard attese che io continuassi a parlare, io ripresi fiato ignorando le gambe che mi tremavano.
<< Si chiama Daniele, è di Roma. L’ho conosciuto quando avevo appena diciassette anni ad un vostro concerto. Anche lui è un vostro fan di vecchia data …>>.
Leonard scosse la testa incredulo e fece una smorfia. << Mi chiedo come mai tu non ci odi. Dopotutto è anche colpa nostra se l’hai conosciuto >>.
Io mi sforzai di sorridere. << Ed è merito vostro se ho continuato a credere in qualcosa >>. Lui mi sorrise, e con il dorso della mano sfiorò la mia guancia.
<< Tornai a Palermo, ma non riuscii a dimenticarlo. Insieme decidemmo dunque di intraprendere una relazione a distanza. Ammetto che è stato difficile, sia perché la mia famiglia non ha mai approvato la mia scelta, sia perché era dura fidarsi di una persona che conoscevo appena. A un anno esatto di distanza, dopo il diploma, feci le valigie e partii per Roma. Lasciai troppo presto la mia famiglia, la mia città, e a volte ho come la sensazione di non aver goduto appieno della mia adolescenza. E’ come se fossi cresciuta troppo in fretta. Daniele si diede da fare, e con i soldi che riuscii a racimolare affittò una casa, dove andammo a vivere. Io invece per mantenermi agli studi cominciai a lavorare. Non abbandonai mai lo studio però, il giornalismo era e sarà per sempre la mia più grande passione >>. Alzai lo sguardo e incrociai quello di Leonard, attento, indecifrabile.
<< La distanza dalla mia famiglia >> continuai. << Era dura da affrontare. La mia più grande sfida. Fortunatamente dopo un anno mi raggiunsero le mie migliori amiche, Anita e Beatrice. Con loro al mio fianco divenne tutto più facile, anche se spesso a me bastava solo Daniele per sentirmi completa. Ero giovane e ingenuamente innamorata! Siamo stati insieme per sette anni. Il periodo più bello e travagliato della mia vita. Ero sicura che ne avrei conservato sempre un dolce ricordo, ma la fine è stata tutt’altro che piacevole. E’ arrivata e mi ha stravolta come un uragano che irrompe in una giornata di sole. Quel giorno in cui lui mi ha abbandonata, io l’amavo ancora. L’amavo come la prima volta che l’avevo baciato, che avevamo fatto l’amore. L’amavo e non potevo farci nulla. I mesi successivi sono stati un inferno. E’ come se si fosse portato via una parte di me stessa, una parte che a stento sono riuscita a ricostruire. >>, sospirai. Leonard abbassò lo sguardo taciturno, e strinse la mia mano tra le sue.
<< Spesso ho creduto di non farcela, di non avere abbastanza forza. Spesso ho preso tra le mani il telefono, ho fatto il suo numero ed ho riattaccato ancora prima che rispondesse. Non so neanche cosa avrei potuto dirgli. >>. Scossi la testa frustrata.
Leonard non si rilassò, era teso. << Lo ami ancora? >>, chiese tra i denti.
<< No >>, dissi sicura di quella risposta. << Non più. Anche se i ricordi lacerano la mia vita, non lo amo più. Ma il suo abbandono mi ha distrutta e non sto ancora del tutto bene >>.
Lui mi strinse forte a sé e mi baciò i capelli. << Adesso capisco, scusa se ho preteso troppo da te >>.
<< Non potevi saperlo, ma credimi è difficile tornare a credere in qualcosa che ha avuto il potere di sbriciolarti >>, ammisi sincera.
Quella confessione mi fece sentire meglio. Adesso che non c’erano più segreti era più facile parlare. Leonard invece sembrava preoccupato, nervoso, adesso che il peso della mia confessione gravava sulle sue spalle. Il suo viso era solcato da un’espressione triste.
Allungai una mano ma lui ritrasse la sua, alzandosi di scatto. Rabbrividii. Non avevo mai pensato a quale sarebbe stata la sua reazione al mio passato, e quell’atteggiamento improvvisamente distaccato mi terrorizzò. Si guardò attorno in difficoltà, poi si schiarì la voce. << Si è fatto tardi. Dobbiamo incamminarci >>.
Io lo guardai mortificata. << Perdonami Leonard, se ti ho rubato del tempo …>>.
Lui mi si avvicinò e prese il mio viso tra le mani. << Devi ancora capire quanto sei importante per me >>, disse serio.
Io abbassai lo sguardo, e sentii avvampare le guance. Lui sorrise e prendendomi per mano mi condusse verso la serata che attendevo da tempo.
 

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Capitolo 12
*** Contraccolpo ***


Anche questo è un capitolo un pò così, non so, a voi il giudizio :D Buona lettura!!



POV EMMA


Camminando al suo fianco sentii rivivere tutta la mia forza, mi sentii padrona di un mondo che avevamo costruito insieme, con della fondamenta ancora da rinforzare, sormontate dal mio sogno, che prepotentemente era diventato una magnifica realtà.
Io e lui, eravamo diventati “noi”, ed era bastato un breve istante di tempo, per capire chi fossimo realmente: due eterni sognatori che avevano tracciato e intrapreso milioni di strade diverse, per arrivare a un punto fisso, che portava il nome dell’altro.
Mi chiedevo come potessi essere così dedita a una persona che conoscevo da soli tre  giorni. Avevo paura, che il mio fosse un’ulteriore tentativo di mettere la parola “fine” alla terribile storia, che avevo lasciato alle mie spalle, ma che di tanto in tanto tornava per farmi uno sgambetto. Ma continuavo a ripetermi che quella fosse solo una paura infondata. Infondo avevo smesso di amare quell’uomo, nell’attimo in cui mi aveva imposto quella scelta infame, nell’istante in cui mi aveva baciata, lasciandomi l’amaro in bocca. Nel momento in cui mi aveva mi aveva detto “A presto”, nascondendosi dietro a una bugia, per paura di dirmi addio.
Ma per quanto mi fossi sforzata di odiarlo, non c’ero ancora riuscita, forse perché reputavo anche quel sentimento, seppur meschino, infinitamente nobile per una persona come lui.
E adesso stringevo sicura, la mano di quell’uomo nella mia. Avevo voglia di rassicurarlo, di dirgli che ero ormai nelle sue mani. Ma il suono del mio cellulare mi distrasse. Un nuovo messaggio in arrivo. L’ennesima rotta del destino contro di me.
Rimasi immobile con il telefono tra le mani, che cominciarono a tremare, così come tutto il resto del corpo.
Leonard se ne accorse e si fermò piantandosi davanti a me. << Emma tutto bene?>>.
Lo guardai. Abbassai lo sguardo, tornando a fissare quel messaggio, rileggendo incredula quelle parole.
 
“ Non mi dimentico mai di te. Auguri. Perdonami … se puoi.”
 
Cambiai volto, espressione, cambiò il mio stato d’animo e si affievolì la mia voglia di andare avanti. Come poteva chiedermi di perdonarlo? Perché era ritornato? Perché pretendeva di distruggermi ancora una volta? Proprio mentre stavo correndo, lui si era affacciato alla finestra della mia vita, protendendo le gambe in avanti, per farmi uno sgambetto. Non lo amavo più, ma quel messaggio rischiava di scardinare il mio equilibrio.
Era secco, ma deciso. Scarno ma profondo. Mi concentrai sul mio respiro che era quasi diventato un affanno.
<< E’ lui, vero? >>, chiese Leonard. La sua voce era tagliente come la lama di un coltello appena affilato. Ignorai il senso di nausea.
<< No no è un’amica. Si è ricordata del mio compleanno >>, mentii e gettai il telefono nella borsa.
<< Credevo fosse … Scusa …>>, farfugliò disorientato.
Mi sforzai di sorridere. << Sto bene. Andiamo >>.
<< Si …>>, disse a bassa voce.
Continuò a fissarmi con la coda dell’occhio. Non aveva creduto alla mia bugia. Sapeva già che stavo mentendo, ma aveva deciso di aspettare pazientemente che io gli aprissi completamente il cuore. Del resto da quell’istante, tutto sarebbe cambiato, e non avrebbe dovuto aspettare tanto.
Leonard stinse ancora di più, la mia mano nella sua, quasi avesse udito il suono dei miei pensieri.
<< Siamo arrivati …>>, annunciò sottovoce. Io mantenni basso lo sguardo.
<< Sicura che vada tutto bene?>>.
Si chinò per guardarmi negli occhi. Alzai lo sguardo.
Abbozzai un sorriso. << Si, salgo in camera, mi preparo e vi raggiungo! A che ora dobbiamo vederci? >>.
<< Alle sette e mezza può bastare! Mi raccomando, conto sulla tua puntualità >>.
Gli stampai un bacio sulla bocca e uscii dall’ascensore. << Aspettami …>>.
<< Sempre …>>, promise solenne e rimase lì, immobile, come la prima volta che l’avevo incontrato.
 
Raggiunsi in fretta la mia camera. Bussai una sola volta, ad aprirmi fu Beatrice. Senza pensarci su due volte l’abbracciai forte. La sentii sorridere.
<< Grazie >>, sussurrai.
Lei sapeva benissimo che sarei corsa da lui, sapeva che avrei terminato la mia fuga tra le sue braccia. Sapeva che quella discussione mi avrebbe scossa. Tante, forse troppe volte, Beatrice era stata l’incipit di un mio nuovo inizio, l’impulso nervoso che aveva messo in moto i miei muscoli.
Non potevo scegliere di fermarmi se c’era lei al mio fianco, con una gomitata al braccio, mi avrebbe spronata a continuare a stringere i denti, a camminare a testa alta, e non considerare una pausa, la fine di tutto. Avevo goduto del suo appoggio, anche nei momenti e nelle situazioni più strambe, se strambo si poteva considerare quel mio amore a distanza. Un amore che aveva intaccato tutto, ma non la nostra salda amicizia. Mi aveva scongiurato di non amarlo, ma testarda avevo continuato a lottare con lei al mio fianco, paurosa di vedermi alle prese con il suo stesso errore. Erano passati sette anni ormai. Lei stava ancora con quel ragazzo romano, che aveva conosciuto ai tempi dei liceo. Io cercavo le briciole di me stessa.
Ma proprio quel pomeriggio, il sole dopo una lunghissima eclissi, aveva osato ripresentarsi al cospetto della luna, chiedendole scusa, e implorando il suo perdono. La luna però era stata troppo a lungo sola, e forse, si era anche abituata a quello stato di buio perenne, dove non filtrava la benché minima luce del suo stesso riflesso. Io ero ancora la sua luna, lui un tempo era stato il mio sole.
“ Perdonami …”, aveva ancora il coraggio e la superbia di chiedermi cose, che per me erano impossibili. In tutto quel tempo, non avevo fatto altro che coltivare un sentimento opposto all’amore, che potesse vestire i miei pensieri, rivolti a lui. Ma nessuno calzava bene alla situazione.
Odio? No, non volevo odiarlo. Rancore? No, non potevo. Rimorso? Forse, ma solo per quello che avevo fatto io. Decisi dunque di non rispondere a quella sua richiesta di attenzione, ignorarla, fare finta ancora una volta, che nulla fosse successo.
Rivolsi uno sguardo a Beatrice che mi scrutava seria.
<< Dov’è Anita? >>, chiesi.
<< E’ fuori, voleva farsi un giro >>, rispose distrattamente. Poi tornò a fissarmi, e capii che il mio tentativo di cambiare discorso stava per rivelarsi del tutto inutile.
<< Emma, forse è presto per quanto riguarda Leonard, e su questo hai tutta la mia approvazione, ma non è presto per la tua vita. Quella passata è stata solo una delusione. Una fra tante. Magari alla fine dei conti, risulterà essere la più grande della tua vita, ma se non fai nulla per porre rimedio a tutto ciò, diventerà la tua stessa vita, una delusione>>.
Sospirai e mi gettai sul letto. << Ho voglia anche io di ricominciare >>, confessai. << Ma la cosa che mi blocca è l’oceano che tra un paio di giorni ci dividerà >>.
Beatrice corrugò la fronte e si sedette accanto a me. << Hai parlato con lui di questo? O è l’ennesimo problema che pretendi di risolvere da sola?>>.
<< Stasera c’è il concerto … non voglio rovinargli la serata >>, spiegai.
<< Ricorda però che il tempo non è illimitato …>>.
<< Lo so! Gli devo parlare, e devo trovare soprattutto il coraggio di farlo. Sai a volte ho paura di lui>>, ammisi. << E’ la persona che può darmi di più in questo momento, ma allo stesso tempo è quella che può privarmi di tutto >>.
Rabbrividii al solo pensiero. Beatrice cercò la mia mano e la strinse nella sua.
<< Emma, la paura è tua amica ormai. Impara a conviverci e prenditi i tuoi spazi >>.
 
Mi rifugiai nel bagno. Lasciai scorrere l’acqua calda sul mio corpo, lavando via i residui di quella giornata, che non avrei mai più dimenticato.
Parlare con Beatrice mi aveva distratta , ma pensavo ancora a quel messaggio. Annegai in quella schiuma bianca e soffice, i miei pensieri che, ritraevano me e lui di nuovo insieme. Il suo amore aveva nuociuto gravemente alla mia salute, ero ancora in convalescenza, e non così forte da poter affrontare una nuova malattia. La mia cura poteva essere solo Leonard, non lui che era stato la causa di tutto. Ma pensai che forse mi sarebbe bastato sentire la sua voce per tornare indietro sui miei passi, per ripensare che infondo lo amavo ancora.
Chiusi gli occhi di fronte allo specchio. No, non lo amavo, non potevo.
Continuai a bloccare il telefono, che insisteva a squillare, illuminando il suo nome nel display. Decisi di spegnerlo.
Lasciai scivolare il mio corpo lungo la parete, fino a toccare il pavimento gelido. Portai le gambe al petto, assicurandomi che il cuore, avesse ancora la forza di battere.
Le mie labbra cominciarono a tremare, iniziai a singhiozzare in silenzio. Mi dannai di fronte alla possibilità che mi si era presentata. Non volevo ridare la mia vita ad un uomo, che era fuggito via senza darmi neanche il tempo di capire. La tentazione di rispondere era tanta, ma la delusione impediva alle mie mani di premere quel tasto, che mi avrebbe permesso di udire la sua voce.
Pensai un attimo alle reazioni che avrebbe procurato in me, a che passo mi avrebbero riportato le sue parole. Sarei andata avanti o avrei fatto un ulteriore passo indietro? L’avrei scoperto solo rispondendo alla sua chiamata, alle sue richieste di attenzione che ormai, non si contavano più.
Sentivo un’insofferenza emotiva, simile a quella che caratterizzava i pomeriggi d’inverno, quando, persa nei miei pensieri, dimenticavo le montagne di libri, che giacevano impolverati alle mie spalle. Naufragavo nel mio mondo di distrazione, tralasciando qualsiasi attività, che potesse costituire un nesso con la realtà. E poi mi sentivo in colpa. In colpa, per non aver studiato, per aver gettato il tempo, in pasto alle nubi della mia mente. E in quel momento stavo lì, con un passato che occupava prepotentemente i miei pensieri, e un presente impolverato, come quei vecchi libri, che non desideravano altro che essere aperti.
Avevo sfogliato poche pagine della mia vita, e quei pochi fogli erano il mio vissuto. Righe su righe, canzoni, poesie, sorrisi, delusioni, aleggiavano nella mia mente, come vecchie foto dai contorni sbiaditi. Un segnalibro segnava la seguente pagina: 28 Novembre, l’inizio di mille e altre pagine, ancora da scrivere.
Quelle pagine ingiallite da un tempo che non le aveva ancora sfiorate, aspettavano solo il tocco della mia volontà, per ricevere tra le loro righe, le parole della mia vita.
Pensavo amareggiata a tutte le cose che non erano andate come volevo, a quanti sguardi avevo evitato, ai sorrisi che avevo negato, a tutte le parole che non avevo pronunciato per paura di deludere. Avevo chiuso tante di quelle porte, che erano troppe ormai, per poterle riaprire.
Gli spigoli di quel mio mancato coraggio, rischiavano di soffocarmi. Mi mancava l’aria, e rischiavo di impedire a me stessa di scendere in campo, e combattere la battaglia più grande, una di quelle spedizioni in cui il re, schierato in prima fila, nasconde la paura di perdere il bene per cui sta lottando: la vita
Sentii un leggero rumore alla porta. Era Beatrice.
<< Emma, tutto bene là dentro? >>, domandò ansiosa.
Stremata mi alzai dal pavimento. << Si >>, urlai. Asciugai frettolosamente le lacrime e aprii la porta del bagno.
La mia amica sorrise vedendomi. << Credevo avessi avuto un malore. Ti ho detto mille volte di non chiuderti a chiave in bagno …>>.
Abbozzai un sorriso. << Va tutto bene >>, la rassicurai ma la mia voce tremò.
Beatrice mi scrutò indecisa. << Non va bene per niente, vero?>>. Io scossi la testa.
<< Sediamoci.  Sei bianca come un cencio >>.
Rimasi immobile. << Non è questo il problema >>, dissi.
La mia amica si voltò di scatto. << Cosa è successo? >>.
Accesi il telefono, cercai tra i messaggi il suo, e glielo porsi. Beatrice lo rilesse più di una volta, mentre scuoteva la testa.
<< Mi ha anche chiamata >>, bisbigliai.
Lei sussultò. << Gli hai risposto? >>.
<< No …>>.
Lei passò una mano tra i capelli, nervosa. Il telefono cominciò a squillare. Fissai il display: era lui. Bloccai per l’ennesima volta.
<< Non è così che si risolvono i problemi >>.
La fissai confusa. << Dovrei rispondergli ? >>.
<< L’avresti fatto un tempo >>.
Strinsi il cellulare tra le mani. Volevo zittirlo, impedirgli di continuare a suonare, impedire a lui di digitare ininterrottamente il mio numero, e di implorare meschinamente il mio perdono.
No, non avrei mai e poi mai, potuto accettare le sue scuse. Avevo perso sei mesi di vita, di gioia, di me. Avevo solo navigato in un mare di delusione, repressione emotiva, vedendo scemare il mio sorriso ogniqualvolta pensavo a lui.
Mi vestii in fretta e in pochi minuti fui pronta. A guidare le mie mosse fu la frenesia. Non desideravo altro che vedere Leonard. Con la sua presenza, il suo profumo, avrei dimenticato ogni cosa.
In quel momento capii che non avrei potuto più fare a meno di lui. In poche ore era diventato indispensabile per me, la mia unica via d’uscita. Mi mancavano le forze, ma pensavo a lui che avrebbe saputo ridonarmele con un semplice sorriso.
Avremmo ricominciato, era ciò che entrambi desideravamo. Avrei sfidato l’oceano, mille contendenti, occhi indiscreti, le mie paure pur di stare al suo fianco. Avevo cercato in tutti i modi di sfuggirgli, chiudere gli occhi e negare l’evidenza. L’avevo cacciato, deluso, ferito, illuso, quando l’unica cosa che volevo più al mondo, era ricongiungermi a lui. Volevo Leonard e nessun altro. Desideravo vedere il suo sorriso nei giorni più importanti della mia vita, udire la sua voce nei momenti di sconforto, stringere la sua mano felice. Avevo bisogno di lui e non mi costava più nulla ammetterlo. Ma adesso toccava a me dimostrarglielo. Dimostrargli che valeva la pena amarmi, amarsi.
 
Arrivammo in quel locale, e stremata dai miei stessi pensieri, mi lasciai trasportare da chi sicuramente era più cosciente di me.
La security ci fece segno di entrare, ed io sentii un profondo senso di colpa, nei confronti di quelle ragazze dietro le transenne, da chissà quante ore. Alcune di loro avevano passato la notte al gelo, sui marciapiedi bagnati, pur di conquistare la prima fila. Io invece avevo passato la notte tra le sue braccia, nel suo letto, totalmente priva di coscienza.
Quelle ragazze avrebbero dato la vita, pur di sfiorare la mano di quei quattro musicisti. Io stavo sgretolando e calpestando il cuore di uno di loro. Mi chiedevo perché mi avesse dato il permesso di farlo.
Guardai una per una quelle ragazze, ritrovando nei loro volti, nelle loro mani tremanti, nei loro occhi lucidi, la mia gioia passata. Ma loro ignoravano e odiavano la possibilità che mi era stata data: entrare prima senza chiedere loro, il permesso. Stavo saltando le tappe, giocando sporco. Mi aspettavo che mi urlassero contro, che facessero chissà quale brutto pensiero, che per mia fortuna rimase tale.
Beatrice mi strattonò per il braccio e mi trascinò con sé, mentre Anita si faceva largo tra la gente.
Mi voltai dando le spalle a quella miriade di persone che mi odiava, non potendo sapere che anche io avevo odiato. Che anche io avevo odiato l’opportunità che mi era stata data.
 

 

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Capitolo 13
*** Divergenze ***


Eccomi qui :D questo capitolo è diviso in due parti. La prima è dal punto di vista di Leonard la seconda dal punto di vista di Emma. Spero non vi annoi eccessivamente :) E mi scuso in anticipo se il testo contiene alcuni errori!

Floriana.




POV LEONARD






Continuavo a roteare nervosamente sulla mia posizione, non perdendo di vista la porta dalla quale sarebbe entrata. La sua confessione mi aveva turbato. Mi chiedevo se fosse stata sincera nel dirmi che non lo amava più, d’altronde era cresciuta insieme a lui, ed io potevo solo immaginare le difficoltà che aveva dovuto affrontare per dimenticarlo. E quel messaggio che aveva ricevuto nel pomeriggio? Qualcosa mi diceva che era stato lui a mandarglielo. Il tremore che si era impossessato di lei non era la tipica reazione a un messaggio di un’amica. Non che Emma avesse delle reazioni normali, ma quella sicuramente le batteva tutte. Nonostante ciò, nonostante il dubbio, la gelosia, un passato troppo ingombrante, non volevo smettere di credere in quella strana alchimia. Avevo solo bisogno di un po’ di tempo per riflettere, per rendermi conto di tutto, per capire se ero disposto a giocare quella partita col rischio di perderla. Altra cosa tragica è che mancavano solo due ore all’inizio del concerto, ed io non me ne curavo affatto, come se la cosa non mi importasse, come se le priorità adesso fossero altre.
Distolsi lo sguardo dalla miriade di fogli che aveva riposto tra le mie mani Susan, e fissai i miei amici.
<< Sono arrivate? >>.
<< Penso di si >>, rispose Robert intento ad accordare la chitarra.
Adam provava il basso, mio fratello Frank invece mi fissava, e approfittò di quel breve momento di tranquillità per parlarmi.
<< Leonard >>, mi chiamò sottovoce. Io feci un cenno col capo e tornai a fissare l’entrata in attesa del suo arrivo.
Frank mi si avvicinò e lo sentii ridere. << Adesso arriva, non penso scappi via così >>, disse ironico.
Io alzai la testa e lo fulminai con lo sguardo. Stava scherzando, era chiaro, ma quello era un argomento delicato per me. Avevo realmente paura di perdere quella donna.
<< Ascoltami >>, m’implorò Frank schioccando le dita dinnanzi al mio volto. << Non è di lavoro che ti voglio parlare>>, continuò con voce seria, e riuscì finalmente a catturare la mia attenzione.
Lo fissai ma lui si strinse nelle spalle e volse lo sguardo altrove.
<< Dimmi >>, lo incoraggiai.
Lui rimase teso. << Come va? >>, farfugliò. << Come va … nel senso … come va con lei? >>, chiese imbarazzato mio fratello, cercando di introdurre suo malgrado, un discorso che io avrei preferito evitare. Ma mi rilassai, ricordando che quella che avevo di fronte era l’unica persona che poteva realmente ascoltarmi e capirmi.
Io e mio fratello Frank avevamo affrontato un’infanzia difficile: l’abbandono di un padre che non avremmo mai conosciuto, i sacrifici di nostra madre nel tentativo di darci una vita migliore, di quella a cui qualcun altro ci aveva condannato. Eravamo cresciuti insieme, mano nella mano, lui alla sua batteria, io di fronte ad un microfono. Eravamo giovanissimi, quando decidemmo di ampliare il progetto familiare e formare una vera band, una di quelle che riempie gli stadi, che fa sold out in pochi minuti, che è acclamata in tutto il mondo. Mai avremmo immaginato che le nostre ambizioni sarebbero coincise un giorno con la realtà.
Rimasi in silenzio e lui fraintese le mie intenzioni. Mi voltò le spalle e fece per andarsene.
<< E’ un iceberg >>, esordii richiamando la sua attenzione.
Frank si girò di scatto e mi fissò sospirando.
<< Congelata nella sua delusione, ed io ho solo due mani per poterla sciogliere >>, continuai amareggiato. L’espressione perplessa abbandonò il viso di mio fratello, segno che aveva capito la mia allusione.
<<  Non eri pronto. Non lo sei mai stato per l’amore >>, replicò sicuro.
Io storsi il naso. Non amavo esporre i miei sentimenti. Non sopportavo dover dimostrare agli altri che avevo paura di amare. Proprio per questo non mi ero mai concesso la possibilità di farlo. Trent’anni e neanche una storia seria. Quando incontri però la persona della tua vita, puoi tentare in tutti i modi di sfuggirle, ma alla fine il tuo traguardo porterà comunque il suo nome.
<< Ciò che più ti rode, è il fatto che sia lei a reggere il gioco. Le altre sono state solo avventure … forse adesso lo capirai. Sei stato usato, e perché no, permettimi di dire, che hai anche usato >>. Frank irrigidì la voce, io l’osservai frustrato.
<< Lei ha sofferto tanto …>>, dissi incupendo la voce.
<< Vuoi aiutarla? >>.
<< Si …>>, risposi sottovoce.
<< Non farla soffrire allora …>> sussurrò mio fratello.
Io strinsi i pugni lungo i fianchi. Sapevo già cosa stesse tentando di dirmi. << Dovrei rinunciare a lei allora? >>, chiesi tra i denti.
<< Non lo so, Leo. Non lo so. >>, sbuffò impaziente Frank.
<< Sono stato bene con lei, fratello. Non è cascata ai miei piedi come le altre. Mi ha fatto tremare, continua a scivolare dalle mie mani. Sono stati i tre giorni più belli e asfissianti della mia vita. Lei che mi sfugge ed io vittima del suo gioco >>, dissi senza fiato. Guardai mio fratello in cerca di approvazione. Lui mi sorrise ed io tirai un sospiro di sollievo.
<< E’ una sorta di attrazione gravitazionale. Più lei si allontana, più io mi avvicino >>.
Frank mi fissò sorpreso, dopotutto non mi aveva mai sentito parlare così. La mia enfasi era riservata alla musica. L’amore cosa era? Niente. Non era stato niente per me, fino al momento in cui avevo incrociato gli occhi di quella donna.
<< Ho paura >>, ammisi.
Mio fratello stavolta mi guardò sconvolto. Io non potevo avere paura. E poi paura di cosa? Di una ragazza?
Io presi fiato. << Ho paura di perderla, di farla andare via, di lasciarmi sopraffare dal mio egoismo >>.
<< Leo >>, sussurrò cauto Frank poggiando le sue mani sulle mie spalle.
<< Ma non devo farla soffrire, gliel’ho promesso. Quindi forse è meglio che io smetta di cercarla, che mi allontani in silenzio dalla sua vita, che la lasci libera di andare dove vuole >>.
Quella era l’unica soluzione. L’unica che non volevo accettare.
<< Sei tu l’unico che può aiutarla. Credici Leo! Sai che non esistono battaglie perse >>, m’incoraggiò Frank.
<< Questa mi sembra impossibile >>.
<< La parola “impossibile” non esiste nel tuo vocabolario. Porta a termine quello che hai iniziato, me lo dicevi sempre quando eravamo piccoli. Adesso io lo dico a te, nella speranza che tu possa prendere il meglio da tutto ciò che la vita ti sta offrendo >>.
Sospirai. << Odio l’amore. Si condivide con una persona che puoi amare più di te stesso, ma che è allo stesso tempo capace di distruggerti o di darti un senso >>.
<< Pensi di aver trovato il senso? >>.
<< Non ancora >>.
 
Rimanemmo lì, l’uno nelle speranze dell’altro. Frank fissava me, che a stento ricordavo tutte le parole che avevo riversato in quella discussione. Nella mia coscienza solo tanta incertezza, nella mia anima solo tanta paura, nel mio cuore solo un nome, il suo. Un nome che avrei dovuto cancellare, un ricordo che avrei dovuto annientare. Se non volevo farla soffrire dovevo allontanarla, ferirla una volta, per evitare di rovinarle la vita. Avrebbe trovato qualcun altro, disposto ad amarla. Lei avrebbe amato un altro uomo. Quel pensiero mi diede la nausea. Ma quello era l’unico aiuto che potevo offrirle.




POV EMMA




Il palco era già allestito. Mancava solo un’ora all’apertura delle porte. La folla avrebbe colmato, ogni spazio d’aria libero in quel locale.
Sentii una stretta d’emozione al cuore, rivedendo quel palco dopo tanto tempo. La batteria imperiosa di Frank, un microfono, un basso e una chitarra.
Frank non appena ci vide ci venne incontro. << Ragazze credevamo vi foste perse >> disse sorridendo nel vederci arrivare.
<< Ci prendi in giro?>> chiese incerta Anita. La smorfia del batterista, provocò una risata generale, ma io in silenzio, continuavo a guardarmi attorno, alla ricerca del “suo” sguardo. Preoccupata, mi avvicinai a Frank.
<<  Ehi …>>, lo tirai delicatamente per il braccio.  << Sai dov’è Leonard?>> chiesi sottovoce.
<< In camerino …>>, rispose laconico.
Lo guardai perplessa: a stento ricordavo dove mi trovassi, figuriamoci se riuscivo a trovare una stanza, persa in chissà quale corridoio, di quel labirinto.
La sua espressione si addolcì. << La vedi quella porticina?>>. Indicò una porta grigia appena sotto il palco. Annuii.
<< Quello è l’accesso al backstage. Vai!>>. Mi invitò, dandomi una leggera spinta, a seguire la direzione indicata dal suo dito.
<< Sicuro che posso andare?>> domandai corrosa dai miei eterni dubbi. L’ultimo sguardo che mi aveva rivolto Leonard era stato tutt’altro che spensierato.
<< Si la security ti farà entrare>>, mi rassicurò.
Io sospirai. << Sicuro che posso andare da lui?>>, riformulai la domanda.
Mi squadrò dalla testa ai piedi, poi serrò le labbra. << Penso che tu sia l’unica persona che lui voglia vedere>>, disse quasi con rammarico.
Mi sforzai di capire il suo atteggiamento, quel suo tono. Avevano parlato, ne ero sicura, lo leggevo nel suo viso. Lo scrutai in cerca di un suo movimento, di una sola espressione, che mi permettesse di capire ulteriormente.
Lui mi si avvicinò, mise le sue mani sulle mie spalle e si sforzò di sorridere. << Ne sono sicuro, Emma. Ascoltami, va da lui >>. Lo guardai in silenzio.
<< Ne ha bisogno …>>, continuò a dire.
Lanciai un’occhiata furtiva a quella porta, sperando che Leonard arrivasse, prima che io gli andassi incontro. Odiavo fare il primo passo, sbagliare le mosse, e tornare indietro ad imparare. Tante volte però, la paura si era aggrappata alla mia volontà, trascinandola con sé nell’inferno dei rimorsi e dei rimpianti. Se non gli fossi corsa incontro, forse avrei rimpianto a vita quella mia stupida scelta.
<< Vado >>, annunciai a Frank. << Grazie >>, bisbigliai.
Lui annuì ed io cominciai a camminare nella direzione che mi aveva indicato.
<< Comunque vada, è la cosa migliore che tu possa fare >>, affermò comprensivo.
Mi voltai e lo guardai : aveva ragione, quello era il mio momento, o almeno così avrei voluto credere.
 
 
Spinsi la porta delicatamente, cercando di non fare rumore.
Potevo sentire il suo odore, scorgere la sua sagoma. Era seduto su una sedia, dandomi involontariamente le spalle. Teneva la testa tra le mani, cantava qualcosa, ma non riuscii a capire cosa. Mi armai di tutto il mio coraggio e decisi di proferire parola.
<< Leonard …>> sussurrai.
L’unica risposta che ottenni fu il suo silenzio. Non si voltò. Sentii il cuore fremere, le gambe tremare.
<< Leonard …>>, lo chiamai alzando minimamente la voce, sperando che quella sua mancata risposta fosse solo dovuta al mio mormorio impercettibile. Ma lui non mosse un muscolo. Il mio cuore si fermò, le gambe rischiarono di cedere.
<< Vai via>>. Il suo tono era fermo, duro, sadico. Quel tono, non era il suo.
<< Cosa? >>, domandai sbalordita.
<< Vai via. Hai capito bene>> . lo sentii sospirare. << Emma non dovresti essere qui, vai via …>>, ringhiò.
<< Stai scherzando? >>, chiesi in preda al panico.
<< No, fa come ti dico. Vai via per favore. >>, ripeté distaccato. Continuava a fissare la parete bianca, senza degnarmi di uno sguardo.
Io strinsi i pugni lungo i miei fianchi, e sperai che il mio corpo fosse abbastanza forte per sopportare l’ennesimo urto.
<< Abbi almeno il coraggio di dirmelo, guardandomi in faccia e negli occhi … >>.
Leonard si voltò lentamente, in risposta alla mia provocazione. Aveva gli occhi lucidi e rossi. Capii che aveva pianto.
<< Leonard …>> mormorai sconfitta.<< Io voglio ricominciare con te. Voglio fidarmi di te, voglio amarti. Concedimi di credere a tutto ciò che mi hai promesso >>.
<< Emma >>, m’interruppe con voce gelida. << Non dovresti essere qui. Lo dico per te … credimi >>. Abbassò lo sguardo, e si affievolì anche la sua voce.
Seguì un attimo di silenzio, che sembrò durare un’eternità. Lo guardai afflitta, ma speranzosa. Non riuscivo a vedere una sconfitta, ma neanche una foto del nostro futuro. Quella sua frase aveva ormai demolito tutti i nostri castelli di sabbia. Ero arrabbiata, amareggiata, non volevo rimanere in quella stanza un attimo di più.
<< Non cercarmi più … lo dico per te credimi!>>, urlai con tutta la voce che mi rimaneva in corpo, ripetendo quella sua ultima frase, che mi aveva ferita.
Uscii da quel camerino, con un mondo di sogni distrutto e ripiegato sulle mie spalle, lasciando la mia vita nelle sue fredde mani, che frettolosamente l’avevano buttata via. Ancora una volta …

 

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Capitolo 14
*** Un'altra priorità ***


Scusate tanto il ritardo, ma con l'università e gli esami è davvero un casino :s Eccovi quindi il nuovo capitolo, un pò breve, ma solo perchè non volevo anticipare la fine ( mancano si e no due capitoli). E niente, volevo semplicemente ringraziare Gaia, che mi lascia sempre splendide recensioni, e complimenti che forse neanche merito. Questo capitolo è tutto per te, grazie :D

Floriana.




POV LEONARD



Ascoltai in silenzio, il fragore della porta che sbatteva contro la parete. In silenzio. Inerme. Sconfitto. Padrone di un tempo che avevo distrutto. Mi alzai di scatto da quella maledetta sedia e mi scaraventai contro il muro, con tutte le mie forze. Premetti il pugno contro quella parete, che aveva accolto i miei sospiri. Il sangue caldo cominciò a rigare la mia scarna mano. Non me ne curai, combattevo contro un dolore più forte. Un dolore emotivo, non fisico. Abbandonai quella stanza e cominciai a correre alla ricerca di lei. Sapevo già quanto sarebbe stato difficile riportare tutto indietro. Inserire la videocassetta nel vecchio videoregistratore e portare il nastro, al punto in cui tutto era iniziato. Volevo cancellare quella conversazione, quell’attimo di vita, tutti quei ragionamenti che mi avevano preso per mano, e condotto a quella scelta. Quella scelta, che ancora, e nonostante tutto, ritenevo la migliore … migliore per lei. Io sarei sparito dalla sua vita, non lasciando alcun segno del mio passaggio, e lei avrebbe fatto finta di nulla, convincendosi forse che quello, era stato solo un sogno. Ma io era egoista, più di quanto immaginassi. Sorridendo mi resi conto di quanto ancora non mi conoscessi. Cominciai a correre più veloce, schivando la gente che ostacolava il mio passaggio. Non curandomi del tempo che passava, dei minuti che scandivano l’attesa di quel pubblico, ormai pronto ad assistere al nostro spettacolo. Ma io non ero pronto, non quella volta.
 
<< Leonard!!! >>, urlò Frank tentando invano di bloccare la mia corsa. Io non lo ascoltai e mi diressi verso l’uscita secondaria. Mio fratello mi raggiunse e mi bloccò tenendomi per il braccio.
<< Dove credi di andare? Te ne rendi conto vero? Manca solo un’ora! Non fare cose azzardate … te ne prego! C’è in gioco tutto! Riesci a capirlo? Fratello non ti ho mai chiesto di rinunciare alla tua vita, ma almeno stavolta cerca di pensare. Provaci>> . La voce di Frank si spezzò nell’attimo in cui i suoi occhi incrociarono i miei.
<< Leo cosa è successo?>>, domandò nel panico. Io scossi la testa, rassegnato, pronto a sfuggire dalla sua presa.
<< Leo dimmi subito cosa è successo >>. Frank cercò di mantenere salda la voce, ma fu difficile. Non mi aveva mai visto così disorientato.
<< Dov’è? L’hai vista?>> chiesi guardando stordito da tutte le parti. Frank capì che le sue parole erano volate al vento, senza che io gli prestassi ascolto.
<< Non lo so. Non l’ho vista >>.
Alzai lo sguardo e lo fulminai. << Non mentirmi >>, ringhiai. << Non ho bisogno di bugie adesso! Per favore, dimmi dove è andata!>>.
Frank esitò un attimo. << Proprio dove stavi andando tu …>>.
<< Grazie …>>, mormorai grato e mi allontanai.
<< Manca solo un’ora >>, mi ricordò perentorio Frank.
<< Evita di ripetermelo ogni due minuti >> risposi nervoso.
<< Dovrei starmene qui tranquillo e beato mentre tu insegui una ragazza, che è andata chissà dove? >>. La risposta di Frank mi fece saltare ulteriormente i nervi.
<< Una ragazza? Una qualunque? Ti sembra che mi sono ammattito? Che sto mettendo in gioco me stesso per uno stupido capriccio?>>.
<< Non volevo dire questo Leo lo sai …>>, si scusò Frank. Mi sentii in colpa, del resto era solo preoccupato, e voleva che io lo capissi. Mi si avvicinò, poggiando con forza le mani sulle mie spalle.
<< Leo … cercala, trovala. Mi fido di te! Non dubitarne mai, nemmeno per un attimo >>. Addolcì la sua voce e mi sorrise. << Tutto quello che ho detto, il ricordarti l’orario, lo scadere e lo scorrere del tempo, era per loro…>>, disse indicando la folla, che lentamente riempiva il locale. In silenzio fissai il mio pubblico. Mi voltai a guardare mio fratello, e annuii sorridendo.
<< Tornerò in tempo … te lo prometto >>, dissi poi liberandomi dalla sua stretta, e raggiungendo finalmente l’uscita.
 
La pioggia mi colse di sorpresa, ma non fu sufficiente per bloccare la mia corsa. Mi guardai attorno. Non poteva essere andata tanto lontana. Quella era una città che lei non conosceva, ed era abbastanza prudente per non allontanarsi tanto. Continuai a cercare, a correre...




POV EMMA



La pioggia mi colse di sorpresa, ma non fu sufficiente per bloccare la mia corsa. Mi guardai attorno, pensai di essermi allontanata davvero tanto. Quella era una città che io non conoscevo, ma decisi di risparmiare la mia prudenza,per un altro momento della mia vita. Continuai a correre, a cercare chissà cosa …
 
Due braccia conosciute bloccarono la mia corsa.
<<  Non posso sottostare o dipendere dai tuoi sbalzi d’umore >>.
<< No?>>, chiese Leonard sorridendo.
<< No …>> risposi acidamente. << Adesso per favore lasciami andare, l’aereo parte domattina all’alba >>.
La sua espressione si fece seria. << Quale aereo?>>.
<< L’aereo per Roma>> , dissi sprezzante. << Torno a casa>>.
Lui mi fissò stupito, poi scoppiò a ridere.
<< Non ci trovo nulla da ridere >>, grugnii cercando di liberarmi dalla sue mani che stringevano i miei polsi.
<< Tu non andrai da nessuna parte …>>. La sua voce si ammorbidì. Io non alzai lo sguardo. Guardare i suoi occhi, mi avrebbe scombussolata. Ma lui mise un dito sotto il mio mento e sollevò il mio capo. La pioggia annebbiò la nostra vista, a stento scorsi Leonard che scuoteva la testa.
<< Non so quante volte mi sei scappata …>>.
<< Mi hai chiesto tu di sparire … >>. La mia voce non fu che un sussurro.
Sul suo viso riapparve la sofferenza. << Scusami …>> bisbigliò. << Non credevo sarebbe stato così facile farti andare via , ma così difficile permettere a me stesso di lasciarti andare …>>.
<< Non faccio pesare la mia presenza, se non è gradita …>>, mormorai.
<< E se ti dicessi di rimanere con me per sempre, decideresti con la stessa sicurezza con cui hai deciso di andare via? >> , chiese.
Quella domanda mi spiazzò. Desideravo sapere cosa pensasse. Ai miei occhi e in quel momento, era completamente folle. Socchiusi leggermente le palpebre, ma Leonard mi si avvicinò e strinse potentemente la mia testa tra le sue mani. Il suo tocco caldo, mi risvegliò da quell’incubo.
<< Perché mi hai fatto andare via?>>, domandai mandando giù le lacrime.
<< E tu perché mi hai ascoltato?>>.
Sospirai. <<  Non hai ancora risposto alla mia domanda…>> .
<< Credevo fosse la cosa migliore per te! Non posso garantirti nulla, solo una vita chissà dove, persa in una parte di mondo e solo per colpa mia. Soffriresti per le mie assenze, rinunceresti alla tua vita. E per chi? La tua vita non mi appartiene, ed è giusto così >>, farfugliò. Le sue parole erano confuse, così come i suoi pensieri.
<< Leonard se io andassi via, adesso, tu saresti capace di dimenticarmi? >>, chiesi impacciata e curiosa di sentire la sua risposta.
Razionalmente speravo che dicesse di si. Delusa e sconfitta avrei trovato la forza per andare via. Ma in cuor mio, speravo che dicesse no, perché in realtà, l’unica cosa che desideravo, era sprofondare nelle sue braccia. Mi guardò fisso negli occhi, e nei suoi potei vedere il riflesso dei miei, desiderosi di sapere, di conoscere quella verità, che avrebbe cambiato ancora una volta il gioco della sorte.
Fece una smorfia. << Non potrei mai dimenticarti. Mai. Prenderei il primo aereo per raggiungerti >>.
Capii quanto dolore gli avesse provocato cacciarmi in quel modo.
Sospirò. << Non sarei corso fino a qui, Emma. Mi sarei ancorato con tutte le forze alla mia decisione, se solo avessi avuto il potere di dimenticare >>, sussurrò quello che suonò come un rimprovero a sé stesso.
Poggiai un dito sulla sua bocca e lo zittii per impedirgli di farsi ancora del male. Lui scosse la testa.
<< Leonard,  mi basta sapere questo >>, dissi e accarezzai con le mani tremanti il suo viso. Lui mi cinse in un morbido e caldo abbraccio. Mi strinsi forte a lui respirando il suo profumo. Sapevo benissimo che la mia vita stava per cambiare. Per sempre. Avrei dovuto rinunciare, nel bene o nel male, a qualcosa. Ma avevo scelto di vivere in paradiso, e di questo ero assolutamente consapevole. E dimenticai quel messaggio, il mio dolore, il mio passato, la mia vita. Dimenticai tutto nell’istante in cui capii che non ci saremmo più dovuti dire addio.

 

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Capitolo 15
*** Un'unica cosa ***


Salve :D Questo è l'ultimo capitolo prima dell'epilogo, che posterò tra un paio di giorni! Quindi buona lettura :*

Floriana. 




POV EMMA



Giocavo nervosamente con le frange della mia sciarpa, nell’attesa che Leonard uscisse dal suo camerino.
<< Oh ma quanto ci mette …>>, sbottai nervosamente.
Beatrice, che mi stava seduta vicina, strinse la mia mano, poi alzò il viso e mi sorrise. Il nostro scambio di sguardi fu interrotto dal suo arrivo. La porta del camerino si spalancò davanti ai miei occhi, liberi e grati di assistere a una tale apparizione.
Ricordai per un istante di tempo insignificante, che non ero stata io a cercare amore, che ero stata io a sfuggire alla sua presa. Ma lui era entrato nella mia vita, così dolcemente, da diventare indispensabile per me. Ogni mio rifiuto aveva segnato una nuova sofferenza e ogni mia fuga aveva segnato un nuovo inizio.
Gli corsi incontro, abbracciandolo. Rimasi sorpresa di quel mio gesto, tanto azzardato. Posò le sue labbra delicatamente sui miei capelli, stringendomi forte a sé.
<< Come siamo andati? >>.
Io alzai lo sguardo. << C’erano alcune ragazze che ti fissavano beate >>, mormorai sarcastica.
Si lasciò sfuggire una risata. << Davvero? >>.
Io sbuffai stizzita e feci finta di mettere il broncio. << Non dirmi che non te ne sei accorto >>.
Lui si fece improvvisamente serio. << Lo sguardo più importante era appena dietro di me >>, disse.
Mi spiazzò. Quello era solo uno scambio di battute, non erano previste o almeno così credevo, le dichiarazioni.
<< Voglio stare con te.  Noi due da soli >>, mormorai imbarazzata al suo orecchio.
Lui si allontanò da me per guardarmi meglio. Io arrossì e distolsi lo sguardo.
Mi prese per mano. << Andiamo …>>, mi propose e mi trascinò con sé.
Ci congedammo dagli altri, e ci incamminammo insieme verso la fine di quella serata.
 
La casa era buia, silenziosa. Imbarazzati entrammo dentro, senza proferire parola. Leonard strinse la mia mano e mi condusse al piano di sopra. Disorientata mi ritrovai di fronte la porta della sua stanza. Cominciai a tremare.
Leonard se ne accorse. << Hai paura? >>, domandò apprensivo.
Io scossi la testa. << No >>.
La mia risposta però non lo convinse. << Se non vuoi …>>, disse incerto.
Io sfiorai il suo viso con le mie mani.
 << Io ti voglio. Ora. >>.
Leonard lasciò scivolare le sue mani lungo i miei fianchi, e mi attirò a sé. La sua bocca sfiorò leggiadra il mio collo, e un brivido percorse la mia schiena. Portai le mie mani tra i suoi capelli e inarcai la schiena nel tentativo di avvicinarlo ulteriormente a me. Cercai la sua bocca e lo baciai dolcemente. Poi la passione travolse entrambi, Leonard mi prese tra le braccia e mi fece sdraiare sul letto. Lo fissai felice come non ero mai stata. Con le mani che mi tremavano cominciai a sbottonare la sua camicia. Un attimo, e gli indumenti caddero leggeri sul pavimento ligneo.
Fu il desiderio esasperato di stare insieme a guidare le nostre mosse, i nostri movimenti. Fu quell’inspiegabile attrazione a spronare i nostri baci che si fecero sempre più arditi. Fu quello strano legame a far unire due corpi nudi, perfettamente combacianti tra loro. La sua bocca non lasciò la mia, e le mie mani non abbandonarono le sue spalle larghe e muscolose. Seguendo il ritmo dei nostri respiri, ci stringemmo più forte fino a farci male. I suoi movimenti dolci ma decisi mi intrappolarono appena sotto di lui, ed io fui eternamente grata a quella prigionia. Il suo tocco infuocato mi trascinò verso gemiti e sospiri soffocati.
Quella notte in cui diventammo un’unica cosa, io lo conobbi realmente, e riconobbi me, nei suoi abbracci, nei suoi respiri affannati, nelle nostre fronti madide di sudore. Mi riconobbi e mi sentii bella, desiderabile, anche da chi credevo irraggiungibile. Mi riconobbi e senza inciampare, trovai il mio posto nel mondo.

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<< Chiamami quando arrivi …>>.
<< Si …>>.
<< Prometti che ritornerai da me?>>.
<< Si …>>.
<< Per sempre?>>.
<< Per sempre …>>.
 
Attendevo l’arrivo di quell’aereo che mi avrebbe riportata a casa. Odiavo la fine dei viaggi, e quella più di tutti. Detestavo ritornare a casa dopo una vacanza che mi aveva cambiata, disfare quella valigia, che era impregnata di tutti gli odori dei posti magici che avevo visitato. Non sopportavo dovere indossare di nuovo quei vestiti, che mi ritraevano nelle foto di quella vacanza allegra e spensierata. Quello fu il viaggio della mia vita. Il viaggio che l’avrebbe cambiata.
Leonard mi cinse la vita e mi avvicinò a sé. 
<< Tornerai vero?>>, chiese preoccupato.
I miei continui ripensamenti di quei giorni, non l’avevano di certo aiutato a farsi un’idea precisa, di cosa io realmente volessi. Ma io avevo già deciso.
<< Fosse l’ultima cosa che faccio …>>, promisi sincera e mi strinsi a lui, ignorando il resto della gente che curiosa guardava senza chiedere il permesso.
Leonard sospirò. << Non sopporterei mai e poi mai di vederti varcare quella porta aerea e non saperti più al mio fianco …>>.
Io abbozzai un sorriso. << Sei fortunato, perché io non sopporterei mai e poi mai di tornare a casa, se non avessi la certezza che qui ad aspettarmi c’è l’unico uomo che voglio al mio fianco >>.
Quello fu il momento delle dichiarazioni e impedii a me stessa di essere arida ed egoista nei confronti di quello splendido uomo. Non dovevo più scappare e lui non doveva fuggire da me. Dovevo dargli tutte le ragioni per stare al mio fianco. Avevo già tirato troppo la corda, e sapevo che un mio ulteriore strattone l’avrebbe spezzata.
<< Non ti farò aspettare tanto …>>, dissi sicura di poter mantenere quella promessa.
<< Rinunci alla tua vita … per me?>>. Una smorfia solcò il suo viso. Sapevo già quanto gli costasse rivolgermi domande del genere.
<< La mia vita è adesso. Qui, ora, con te. >>, affermai scandendo per bene ogni singola parola. Volevo sottolineare il senso che queste avessero per me, per lui.
<< Ed io a cosa rinuncio? Al mio stupido egoismo? Al mio egocentrismo? A cosa, pur di stare al tuo fianco? Mi sento così inutile …>>.
Colsi un senso di frustrazione e di sofferenza nelle sue parole, e mi domandai come poteva un uomo straordinario come lui, sentirsi addirittura inutile in rapporto alla nostra relazione. Era stato lui a volerla con tutte le sue forze, io mi ero solo limitata a fuggire, rendendo la sua conquista sempre più difficile e volubile. Ed io allora cosa avrei dovuto pensare di me ? Cosa potevo ritenermi? Uno stupido parassita informe e per giunta senza voglia di vivere.?
Mi sporsi sulla spunta dei piedi e carezzai il suo viso con il dorso della mano. << L’amore non è rinuncia, ricordalo >>, sussurrai dolcemente.
<< Nel tuo caso si, invece >>, rispose laconico allontanandomi dal suo abbraccio.
<< Rinuncio a cosa? A una casa? A una città che non è nemmeno la mia? A una famiglia che sta già lontano da me? A un lavoro che potrebbe essere migliore?>>, chiesi tra i denti alzando appena la voce.
Leonard sospirò, ed io tornai ad abbracciarlo con tutte le mie forze.
<< Rinunciare a te sarebbe il mio errore più grande…>>.
Lui mi fissò e piegò le labbra in un sorriso, la cui gioia coinvolse anche gli occhi, fino a quel momento tormentati da una sofferenza che avevo appena compreso.
 
 
Lo schermo che segnava gli orari di arrivo e di ritorno di tutti i voli, lampeggiava insistentemente sul mio: volo in partenza da Los - Angeles diretto a Roma.
<< Arrivederci …>>, dissi debolmente con le lacrime agli occhi agli altri , che erano rimasti in disparte per concederci qualche attimo da soli, prima dell’imminente, anche se momentanea, separazione.
<< E’ stato un piacere ragazze >>, aggiunsero Adam, Robert e Frank. Quest’ultimo con il suo sorriso smorzò il tono melodrammatico di quel saluto. << Non è mica un addio >>. Poi mi si avvicinò e mi abbracciò impacciato. << Noi ci vedremo presto cara >>, sussurrò complice al mio orecchio, ed io non potei far altro che sorridere felice al mio alleato.
 
 
Tra abbracci , baci e promesse, mi distaccai dal mio sogno. La mia mano si allontanò malvolentieri dalla sua.
Riposi il bagaglio nella cappelliera e presi posto in aereo. Sarei ritornata, era quello che volevo. Cambiare vita era la scelta migliore. Non potevo non regalare un lieto fine alla mia favola. Non potevo chiudere il mio libro, con la figura triste e mesta di una principessa costretta a svegliarsi, a tornare alla realtà, e a lasciarsi alle spalle indifferente, il suo principe che stava soffrendo.
Il mio telefono cominciò a squillare, ed io cominciai a cercarlo freneticamente nella mia borsa. Non appena lo trovai  lo presi tra le mani, e un brivido mi percorse la schiena. Il cuore cominciò a battere, e si rivelò inefficace ogni mio tentativo di riportare alla luce, anche una minima parte di razionalità. Temetti di perdere i sensi: era Leonard.
<< Pronto …>>. La mia voce tremava, così come tutto il resto del mio corpo.
<< Sai perché ti ho chiamata?>>, domandò ed io capii subito che era emozionato. Forse stava per dire, ciò che avevo paura ma voglia di sentire.
<< Perché?>>, chiesi e il mio battito cardiaco accelerò.
<< Perché mancava ancora una cosa …>>. Il suo respiro era affannato, irregolare. << So che è presto per dirlo, ma un giorno ti amerò Emma, e non smetterò mai di farlo. Anche se finirà, anche se non mi vorrai più, prometto che continuerò ad amarti per il resto della mia vita. Perché scegliere di amarti è la cosa migliore che io possa fare>>.
Mi mancò l’aria e l’emozione strinse la mia gola nella sua morsa. << Non sarà mai troppo tardi per noi, Leonard. Aspettami sempre. Ti amerò anch’io, fosse l’ultima cosa che faccio >>, dissi e le farfalle invasero finalmente il mio stomaco.
 
 

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Capitolo 16
*** Ho ancora la forza ***


Eccomi qui con l'epilogo :D Voglio semplicemente ringraziare chi ha avuto la pazienza di leggere tutta la storia, e la voglia di farlo. Spero non vi abbia annoiato tanto con questa robaccia, altrimenti chiedo venia :D Beh si è finita, e forse questo è il capitolo che preferisco dell'intera storia. Non so, spero non deluda nessuno. Quindi basta, buona lettura :D

Floriana.





EPILOGO

 



Stringo tra le mani il libro che parla di noi. E’ da giorni che ti leggo la nostra storia, senza che tu mi risponda. Non abbozzi nemmeno un sorriso, forse perché non hai più il potere di farlo. Eppure mi manca. Mi manca al punto da togliermi il fiato.
Mi hai ridato la vita, e adesso io la svenderei pur di rivedere il tuo sorriso. Mi manchi, e ti strapperei via dai miei sogni per poterti riavere.
Non mi sono ancora rassegnata Leonard, e ho trovato una scusa per correre qui da te. Ho mentito anche all’uomo che ho sposato e che mi ha donato due figlie e una splendida famiglia. Ho mentito a chi non mi ha mai amato abbastanza. Solo tu hai saputo farlo. Ho mentito a chi non mi ha mai guardata come hai fatto tu, la prima volta che mi baciasti, la prima volta che mi distesi su quel letto e mi concessi a te.
Mi sono addormentata più notti tra le braccia dell’unico uomo che abbia mai amato. Mi sono addormentata più notti tra le tue braccia. Ho conosciuto i tuoi odori, le tue abitudini, i tuoi difetti. E ti ho sognato Leonard, così tante volte che ormai ho perso il conto. Ho sognato il nostro grande giorno, la tua mano nella mia, i tuoi occhi chiari e splendenti.
Una delle tante cose che ho apprezzato di te è che sei riuscito a mantenere tutte le promesse che mi hai fatto, e anche adesso so che in realtà non mi hai mai lasciata. E ti ringrazio, perché saperti al mio fianco è ciò che ancora oggi mi spinge ad andare avanti.
Da vigliacca ti confesso che non ho scritto mai quell’articolo su di voi e che ho conservato gelosamente quell’esperienza. Il capo ovviamente non accettò le mie condizioni, e rimasi senza lavoro. Mai avrei pensato di dire addio alla mia carriera per un uomo. Eppure l’ho fatto. Ho deciso di seguirti, di far parte della tua vita, e nonostante siano passati giorni, mesi, tanti anni, la mia scelta è rimasta impermeabile ai cambiamenti di stagione, di umore, di stato, alle incomprensioni, alle gelosie. Quella scelta si è rivelata la migliore fino ad oggi.
Mi hai cambiata, e non potrò fare a meno di pensarti fino al giorno in cui la morte porterà via anche me, e se mi aspetterà qualcosa nell’al di là, troverò il modo per rincontrarti, per rivedere il tuo viso, stringere le tue mani e saziarmi dei tuoi baci.
Rileggere la nostra storia mi ha aiutata a ricordare perché adoro il tormento che mi tiene sveglia, perché non invidio la serenità altrui. Le mie sofferenze ormai hanno le tue sembianze, ed io li adoro come adoro te.
La condanna che devo scontare però, è sapere che sei stato tu ad insegnarmi a sorridere. E adesso ogniqualvolta  sorrido ad un’amica, alle mie figlie, a mio marito, mi trema il cuore perché è a te che vorrei dedicare quel sorriso.
Sono corsa da te, e vorrei poter rimanere qui per sempre, ma le mie lacrime mi ricordano che sei andato via troppo presto. Mi chiedo ancora oggi come hai potuto farmi una cosa del genere, perché io voglio te e nessun altro, come quando a venticinque anni ti ho affidato la mia vita. Sono passati esattamente quarant’anni, ma davanti ai tuoi occhi m’imbarazzo come se fosse sempre la prima volta.
Ho girato il mondo insieme a te, ma penso che il nostro viaggio insieme non sia ancora finito. Ho conosciuto migliaia di persone, ma mai nessuno come te. Ho assaporato altri baci, ma non avevano il tuo stesso sapore. Ho fatto l’amore con un altro uomo, ma ho provato dolore. Dolore dovuto alla consapevolezza di averti perso per sempre.
Proprio adesso una folata di vento ha scompigliato i miei capelli, e ha schiaffeggiato il mio viso. So che sei stato tu a volerlo. Mi vieni a trovare ogni volta che rischio di dimenticare quanto grande è il tuo amore per me. Ricordo che una volta, durante un’intervista confessasti ad una giornalista di aver amato una sola donna nella tua vita, e sono fiera di sapere che quella donna sono stata io. Io che inciampando sono caduta tra le tua braccia, io che ti ho amato a tal punto da farmi male.
Oggi è il mio compleanno, ma non riceverò il mio regalo. Ho lasciato a casa il telefono, perché non voglio che nessuno disturbi il nostro incontro. Non spegnerò le candeline sulla torta, ma se mi sarà concesso esprimere un desiderio, desidererò te. Desidererò abbracciarti, sfiorare la tua pelle, sentirmi tua ancora una volta.
La nostra storia si è consumata presto, ma il segno che ha lasciato dentro di me è durato una vita.
“ Ho ancora la forza “, ho chiamato così il libro che ora tengo tra le mani. Ed io adesso mi chiedo: ho ancora questa forza? Quando sei andato via, l’hai portata con te.
Sono andata avanti come mi hai pregato di fare, quando ti sei reso conto che quella malattia ti stava divorando. Ho assistito inerme alla tua sconfitta, ma ho mantenuto fede alla promessa che ti ho fatto ancora prima che chiudessi gli occhi.
Sono andata via dalla tua città, ho portato un uomo all’altare, e ho provato ad amarlo. Ho dato alla luce due splendide figlie, e ho cercato in tutti i modi di non vedere nei loro volti la tua espressione. Avevo promesso di dimenticarti, ma non ci sono mai riuscita. Perché se è vero che potrebbe bastare un solo giorno per scordarsi di un’intera vita, a me non basterebbe un’intera vita per dimenticare chi ho amato veramente.
Ho portato una rosa rossa con me, la lascio qui sulla tua fredda lapide. Prometto che questa è l’ultima volta che mi vedrai. Spero di incontrarti stanotte, come ogni notte, nel mio sogno dove dolce dici di amarmi. Adesso vado via, ritorno alla mia vita, ma a malincuore allontano la mia mano rugosa da questo marmo gelido.
 
Perché in fondo io ti amo ancora …







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Ah dimenticavo una cosa importantissima, ma non volevo anticipare nulla... perdonate il "non-lieto fine" XD

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