Fino all'ultimo momento di Sweet Pink (/viewuser.php?uid=36214)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo. Introduzione al pregiudizio ***
Capitolo 2: *** Secondo. Disgusto. ***
Capitolo 3: *** Terzo. Vergogna e Solitudine. ***
Capitolo 4: *** Quarto. Indecifrabilità e colpa. ***
Capitolo 5: *** Quinto. La linea spezzata, il muro che crolla. ***
Capitolo 6: *** Sesto. Se si finge indifferenza... ***
Capitolo 7: *** Settimo. Verità. ***
Capitolo 8: *** Ottavo. Chiave di volta. ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono. Sentirne la mancanza. ***
Capitolo 10: *** decimo. Lo amava e, in fondo, l'aveva sempre saputo. ***
Capitolo 11: *** Undicesimo. Fino all'ultimo momento. ***
Capitolo 12: *** Dodicesimo. La morte di Jane. ***
Capitolo 1 *** Primo. Introduzione al pregiudizio ***
Sono stata a lungo indecisa se pubblicare o no questa storia. In fondo,
era da parecchio tempo che non pubblicavo più e mi limitavo
solo ad essere "lettrice". Però, visto che ormai questa
storia è praticamente finita, ho deciso di pubblicare
un'altra volta, come un tempo.
Un' ultima cosa: gli asterischi rimandano a frasi del romanzo Orgoglio
e Pregiudizio di Jane Austen, poiché quello non l'ho
evidentemente scritto io! Se vi va fatemi sapere qualcosa!
Un bacio!
Darcy, alla
pari di
Elisabeth, voleva loro veramente bene, e tutti e due conservarono
sempre la più
calda riconoscenza verso coloro che, per averla condotta nel
Derbyshire, erano
stati il tramite della loro unione.*
Callie Honeycombe alzò gli
occhi sognanti dal libro,
richiudendolo di scatto. Orgoglio e
Pregiudizio, probabilmente il romanzo più bello
che le fosse capitato di
leggere nei suoi ventun anni di vita.
Rigirò il libro ormai
consumato- l’aveva letto e riletto
fino allo sfinimento- tra le dita: nessuna indicazione
sull’autore, solo un
enigmatico “ Scritto dalla stessa autrice di Ragione
e sentimento”.
Appoggiò il libro sul
tavolino accanto, di fianco al
servizio da tea, e si sdraiò sul divano, come poco conveniva
ad una signorina
di buona famiglia come lei.
Ma poco importava: il padre era in
città per affari e la
sorellina minore di otto anni, Henrietta, giocava sotto
l’occhio vigile della
balia in giardino.
Si coprì gli occhi con il
braccio: poteva vederli lì davanti
a lei, Mr e Mrs Darcy a braccetto che attraversavano il cortile di casa
sua
felici e sorridenti. Sospirò sognante.
“ Quando mi lasciano sola
con un buon libro so essere molto
romantica se voglio…” si prese in giro la ragazza,
ridendo di sé stessa.
Già,
ma quando
incontrerò il mio Mr. Darcy?
La signorina Honeycombe era
un’amante della vita di società:
i ricevimenti, gli spettacoli a teatro, i concerti ma, soprattutto, i
balli.
Occasioni dove si danzava, rideva e si conoscevano persone nuove.
“ Peccato che spesso ci si
trovi circondati dall’ipocrisia
più assoluta!” scattò a sedere, con il
viso tirato in un’espressione un poco
infastidita.
“ Gentiluomini indegni di
questo nome armati di monocolo e
prontissimi a mettersi in mostra! E le signore…ah! Non
parliamo di loro! Siamo
proprio tremende noi donne!”
I suoi occhi seccati fissarono il
paesaggio fuori dalla
finestra: il sole si posava dolcemente su campi e alberi in fiore. La
primavera
era già arrivata.
Gli
uomini…sono
personaggi impossibili o insipidi e ottusi o ancora cacciatori di dote!
Come
può anche sperare
una donna al giorno d’oggi?!
Il suo ragionamento fu interrotto
dall’arrivo non annunciato
della sorellina minore che si palesò sbattendo malamente la
porta.
“ Sorella! Ho delle notizie
da darti!” rivelò appoggiando le
mani sui fianchi con fare deciso e altezzoso. Dietro di lei fece la sua
comparsa una affannata e sconcertata Nanny, la balia di Henrietta.
Callie, dal canto suo, era
già in piedi; intenta a darsi un
contegno da padrona di casa, per
nulla
stupita dall’aspetto malandato di Henrietta.
“Perdonatemi, signorina
Honeycombe….ma la piccola…”
“ Non ti preoccupare Nanny,
questa ragazzina verrà sgridata
a dovere anche perché ha disubbidito ad un ordine diretto
del signor Honeycombe…”
aspirò l’aria per poi sillabare, ad alta voce
“…non salire sull’albero dei
vicini!”
“Ma loro hanno la casetta
sull’albero e noi no!” protestò la
piccola.
Callie fu impassibile “ Non
m’importa…Nanny puoi ritirarti,
qui ci penso io.”
“Ma…”
La ragazza fece un cenno con la testa
“è
tutto a posto…”
La balia si inchinò
“ Serva vostra “ e, gettando un ultima
occhiata esasperata ad Henrietta, uscì.
Le due sorelle si guardarono: una
ragazza castana in un bel abito
da giorno azzurro e una bambina bionda tutta sporca e lacera. Il
silenzio calò
in modo grave fra loro.
Poi Callie scoppiò a
ridere e si lasciò cadere sul divano “
Hennie ti adoro!” disse prendendo le mani della bambina che
sorrideva,
furbetta. Sapeva di potersela sempre cavare con Callie;
perché anche lei, se
avesse potuto, sarebbe volentieri salita sugli alberi con la sorellina
minore.
“ Nanny mi ha fatto
così tante storie!”
“Perché non
sembri per niente la signorina modello che
dovresti essere!” le rispose sorridente Callie “
Allora, piccola detective, che
notizie devi darmi?”
Henrietta piegò la testa
di lato sorridente “Hai presente
quella signora un po’decrepita che ogni domenica in chiesa si
siede in prima
fila? Quella...”
“La vedova Norris? E non
esprimerti così…”
“Sì, proprio
lei” sbuffò Henrietta “Pare che non
riesca più
a vivere da sola nella sua grande casa e così suo figlio ha
deciso di
trasferirsi qui con moglie e figli piccoli per non lasciarla
sola…ah, e anche
l’altro suo figlio quello grande dovrebbe
raggiungerli…finalmente avrò qualcuno
di interessante con cui giocare!”
Sicuramente
il signor
Norris si vorrà assicurare di poter amministrare la tenuta,
finché suo fratello
è impegnato in mare. Vuole la casa tutta per sé e
porta moglie e
figli…veramente gentile verso sua madre!
Callie si riscosse dai suoi
ragionamenti vedendo la sorella
con la manina tesa; sorrise. “ Allora, dieci caramelle come
da contratto, non
una di più…e ora vai a cambiarti, rospo, che fra
poco nostro padre sarà qui!”
Henrietta non si mosse “
C’è dell’altro…”
“Sì?”
chiese Callie alzando leggermente un sopracciglio.
Henrietta
è proprio
una bambina furba…
“ Ma solo per altre due
caramelle!”
Appunto
Callie alzò gli occhi al
cielo, chiedendosi perché sua
sorella fosse già così vispa e insolente a soli
otto anni “Tieni, Hennie! Sarai
veramente la mia rovina!”
“ Son solo
affari…comunque la signora Norris darà un grande
ballo di benvenuto a cui tu e papà sarete
invitati!” e detto questo se ne uscì
correndo.
Sai che
novità, la
vedova Norris sarà ansiosa di mettere in vetrina la sua
splendida famiglia!
“Devo dire al piccolo
Charles Martins di smettere di
vantarsi di queste notizie con Henrietta altrimenti finirò
le caramelle nel
giro di due settimane!” si ricordò ad alta voce.
Raccolse il libro dal tavolino e ne
accarezzò il dorso.
Elisabeth…chissà
se
comparirà Mr. Darcy a questo ballo?
Mise via il romanzo sorridendo tra
sé.
“Sono proprio una
sciocca!” pensò amaramente per poi
voltarsi e uscire dalla stanza.
La visita della famiglia Norris venne
nuovamente discussa
durante una delle tante passeggiate di Callie con le altre signorine di
buona
famiglia del circondario.
La ragazza si stava godendo uno di
quei momenti di serenità
che quel paesaggio campestre poteva offrirgli che, pochi secondi dopo,
la
signorina Charlotte Hayer con un risolino annunciò, per
l’ennesima volta: “Ma
ovviamente hanno invitato anche noi domani sera! Catherine è
assolutamente
agitata! E ne ha ben donde visto che sarà il suo debutto in
società! Infatti…”
Callie ringraziò Dio di
esser dietro la ragazza per poter
comodamente alzare gli occhi al cielo.
Ed ecco che
un’altra
oca si va aggiungere allo stagno…oh, ma che delizia davvero!
“ So esattamente cosa stai
pensando, cara Callie…” fece una
voce melodiosa e pacata.
La ragazza voltò il viso
verso Linda Clayton, sua migliore
amica di sempre: era una giovane donna di ventiquattro anni, alta e
magrissima,
il volto affilato e lo sguardo un po’austero sottolineavano
il suo carattere
nobile e un po’orgoglioso, mentre una cascata di riccioli
biondi le
incorniciavano il volto rendendola bellissima.
Callie si era sempre chiesta
perché fosse ancora senza
marito. Con un viso e un patrimonio come il suo Linda poteva
permettersi
chiunque; ma forse, come lei stessa, non aveva ancora trovato la
persona di cui
veramente potersi innamorare.
Ritornò con la mente al
giorno in cui, parecchi anni prima,
Linda era sparita mettendo in agitazione non solo lei, ma anche tutta
la
famiglia Clayton. Fortunatamente Callie l’aveva ritrovata
poche ore dopo,
seduta su una panchina, a piangere.
L’uomo che
l’aveva circuita per mesi, facendo sperare alla
famiglia in un matrimonio pressoché imminente, non solo era
un libertino della
peggior specie, ma era anche sposato.
Inutile dire che era fuggito
all’estero a causa, come
pensava Callie, di importanti debiti di gioco.
“…non vedi
l’ora di poter assistere al debutto di Catherine
Hayer, non è vero?”
Callie scosse la testa e si tolse il
cappellino lasciando i
capelli castano scuro, imprigionati nella solita acconciatura,esposti
al sole “
Mi chiedo solamente, Linda carissima, in che posto dovrò
accomodarmi per
ammirarla meglio infatti…”
Charlotte Hayer che aveva udito e,
ovviamente, non aveva
compreso la battuta si voltò raggiante “Oh! Anche
voi signorina Honeycombe
siete ansiosa di assistere mia sorella al suo debutto?”
“Sarò
estasiata” rispose atona Callie beccandosi una leggera
gomitata da una divertita Linda.
“In molti lo saranno!
D’altronde è pur sempre una Hayer!”
continuava a blaterare Charlotte “Non è vero,
Margareth?”
La cugina di Charlotte, la signorina
Margareth Hayer,
assentì solamente con la testa, loquace come sempre.
Probabilmente
è assai
cupa perché questo non è un pic-nic e non ci si
può ingoz…oh, santo cielo
Callie stai diventando così acida!
Dopo un’altra straziante
mezz’ora passata ad ascoltare le
fasi di preparazione dell’abito bianco di Catherine,
finalmente le quattro
giovani signorine si sedettero comodamente su una larga tovaglia,
portata da
Linda per l’occasione.
E appena furono sedute che Charlotte
tirò fuori il pezzo
forte della discussione di quel pomeriggio.
“Care amiche, non posso
trattenermi oltre dal dirvi che,
finalmente, i Norris sono arrivati ieri mattina! E con essi anche il
figlio
maggiore del signore e la signora Norris!” squittì
tutto d’un fiato.
Anche se infastidita, Callie era pur
sempre una ragazza di
indole piuttosto curiosa quindi non si poté trattenere dal
domandare “Avete
avuto modo di vederli?”
So bene che
non
aspettavi che questa domanda, cara la mia Charlotte!
“Ma certo, signorina
Honeycombe, ma certo!” rispose
trionfante la ragazza “Che persone distinte! E i
bambini!Assolutamente
adorabili!”
“Sbaglio o abitano a
Londra?” chiese Linda interessata.
Charlotte sgranò gli
occhi, fingendosi stupita
dall’ignoranza che la circondava. Evidentemente si stava
godendo la posizione
di superiorità in cui la ponevano quelle informazioni.
“Certo che no! Cara Linda,
pensavo sapeste che attualmente
la famiglia vive nel Derbyshire! Sapeste che paesaggi vi sono
laggiù! La
signora Norris me li ha descritti a pranzo ieri…vorrei
proprio convincere papà
a portarci me e Catherine un giorno!” aggiunse ridendo.
Callie scambiò uno sguardo
divertito con Linda per poi
aggiungere in tono leggermente ironico “ Sì,
sì, tutto ciò è molto
interessante…comunque sia, ragazze, non ha senso crucciarci
con questi discorsi
quando potremo scoprirlo con i nostri occhi domani sera!”
“Assolutamente
giusto!” assentì Margareth Hayer, attirando
su di sé tutta l’attenzione delle ragazze,
compresa la cugina. D’altronde, era
raro vederla spiaccicare più di due monosillabi a giornata.
Callie aveva sempre pensato che fosse
o immensamente timida
e impacciata, o immensamente stupida. E, avendo come esempio la cugina,
propendeva per la seconda ipotesi.
Ma in fondo non era mai stata una
ragazza ritrosa a cambiare
i suoi giudizi sulle persone e, quando udì Margareth
proporre a Linda di
leggere un brano del libro che aveva portato con sé, era
perfettamente sicura
che la cugina di Charlotte fosse solo estremamente timida.
“ Ah,
ma…è Ragione e
sentimento?” balbettò Margareth
tormentandosi le pieghe della gonna.
“Sì, avete letto
anche voi il libro?” chiese stupita Linda,
ignorando lo sguardo sbigottito di Callie, seduta di fianco a lei.
Margareth annuì
“ Sì…effettivamente
vedete…”
“Oh, Santo cielo
cugina!” esplose Charlotte in una risatina
“ Ero quasi certa che voi non sapeste leggere! Insomma non
credo di avervi
visto più di due volte con un libro in mano!”
aggiunse, cominciando a farsi
aria con il ventaglio.
Un silenzio stupito scese sul
gruppetto. Callie rivolse i
suoi occhi nocciola su Linda, scioccata; su Margareth, rossa in viso
come un
peperone e con le nocche delle dita, bianchissime, strette intorno al
tessuto
della veste; infine sulla stessa Charlotte che, sorridente, sventolava
il
ventaglio guardando le colline lontane.
Né
timida né stupida,
solo cresciuta all’ombra di una cugina così idiota
da far ammutolire anche le
pietre!
Non
c’è da stupirsi
che Margareth faccia solo fatica a dire
“Sì” o “No”!
“Credo…”
cominciò Callie “… che potrei prestarvi
un libro
della stessa autrice, penso che vi piacerebbe molto..”
La ragazza paffuta sollevò
lo sguardo di scatto, guardando
Callie come se la stesse prendendo in giro. Poi si sciolse in un
sorriso pieno
di gratitudine “ Mi… Mi farebbe molto
piacere…vi ringrazio!”
Callie annuì, sentendosi
piena di orgoglio per aver salvato
la povera ragazza da quella situazione. Ma forse era anche
felicità, perché con
una semplice frase si era guadagnata il rispetto di una persona che un
giorno
avrebbe potuto chiamare amica.
Cosa che con Charlotte non le passava
neanche per
l’anticamera del cervello di fare.
“ Ora che avete finito di
discutere di libri…” arrivò
puntuale a rovinare il momento la voce dura di Charlotte “
…mi sono appena
ricordata che è il figlio maggiore del signor Norris a
vivere a Londra!”
Callie sbuffò: ecco che
aveva riacquistato il suo buon
umore. E la causa era chiara come il sole: il figlio del signor Norris.
Immaginava che i perché fossero pochi, sicuramente sarebbe
stato…
“…Un uomo
assolutamente elegante, dai modi gentili, di bel aspetto
e, cosa da non sottovalutare, ricco come Creso!”
spiattellò Charlotte agitando
le mani come per far intendere alle altre la portata di ciò
che stava dicendo.
Infatti
“
Secondo me state
esagerando cara Charlotte!” sorrise incredula Linda, per poi
rivolgere uno
sguardo a Callie, intenta a cercare di nascondere le risate che
rischiavano di
esplodere in faccia alla signorina Hayer.
Callie sapeva bene che Charlotte era
solita descrivere così
ogni uomo che non fosse di ceto sociale inferiore al suo e che non
fosse
sposato, quindi assolutamente abbordabile. Aveva fatto
dell’accasarsi prima
della sua cerchia d’amiche una missione. Soprattutto prima di
Linda, che ormai
si avviava verso i venticinque anni.
Ma Callie dubitava che qualsiasi
uomo, trovandosi di fronte
una bellezza delicata come quella di Linda Clayton, avrebbe scelto una
Charlotte Hayer qualsiasi.
Poveretto
colui che
l’avrebbe fatto!
La ragazza in questione
sospirò “ Potete non credermi, ma vi
assicuro che è un uomo veramente distinto! E che stile!
Comunque sia, avrete
l’occasione di incontrarlo domani sera…e allora mi
darete ragione!”
Callie rise “
D’accordo, vi prendo in parola! Spero per voi
di non dovervi smentire!”
Charlotte si sentì punta
sul vivo “ Credetemi, cara Callie…”
incominciò con impazienza per poi essere interrotta da una
balbettante cugina
Margareth.
“ Ma…leggiamo un
brano di Ragione e sentimento o no?
Insomma…lo dico perché fra poco dobbiamo
rincasare...”
Aggiudicandosi così tutta
la simpatia e ammirazione di
Callie.
Era in torto.
Per la prima volta nella sua vita
aveva torto su Charlotte
Hayer.
Callie, amando i balli, aveva passato
il pomeriggio ad
attendere la sera, passando da uno stato di agitazione ad uno di totale
apatia
in cui fantasticava sui divertimenti della serata.
Ed era ballando attorniata da persone
a lei famigliari che
Callie riusciva a lasciarsi andare, sfoggiando spesso volentieri un
sorriso
luminoso.
“Un vero sorriso”
come soleva definirlo Linda.
Il padre di Callie non finiva mai di
stupirsi dell’impressionante
cambiamento di stati d’animo della ragazza. “
Tesoro, credo che tu abbia
assolutamente bisogno di vedere un medico. D’altronde, dopo
tre season passate a Londra,
ancora sei
capace di agitarti per un semplice ballo di campagna..”
asserì nascondendosi
dietro al giornale, dopo l’ennesimo spostamento della ragazza.
“ Non fate
l’indifferente! Siete o non siete voi che alla
vostra età, passatemi l’imprudenza, ancora vi
dilettate nella danza come un
giovane appena uscito dalla nursery?”
scherzò lei andandosi a sedere in un angolo della stanza e
concentrando il suo
sguardo sulla finestra. Oltre le nuvole e le colline
all’orizzonte.
“Venite,
Darcy,” gli
aveva detto “voglio che balliate. Mi dà noia
vedervi lì solo impalato. Fareste
molto meglio a ballare.”*
Il signor Honeycombe
schivò abilmente la frecciata di sua
figlia e sospirò “ Sei proprio come tua
madre..”
La ragazza si voltò di
scatto, lasciando i capelli scuri
invaderle parzialmente il viso leggermente scurito dal sole. Gli occhi
nocciola
si rifecero attenti sul padre.
Il signor Honeycombe non parlava mai
della moglie e, se lo
faceva, non la paragonava certo a Callie. Morta dando alla luce
Henrietta,
Grace Honeycombe era una donna bellissima e altrettanto fatale. Parlava
poco,
ma con poche parole, era capace di far infatuare tutti gli uomini
intorno a
lei.
E suo padre l’aveva amata
teneramente.
“Perché dite
questo?”
Lui piegò il giornale e
guardò la ragazza sorridendo “
Perché come te si perdeva ore nelle sue
fantasticherie…e io l’amavo anche per
questo. Te l’ho detto, era una donna fatale...”
“ Una donna sognante non la
definirei proprio con
l’aggettivo fatale, padre!” inarcò le
sopracciglia Callie. Non poteva
trattenersi dall’essere scettica su quelle parole,
soprattutto perché era stato
lui stesso a definirla così diversa da sua madre.
E poi,
perché parlarne
proprio ora?
Il signor Honeycombe scosse
stancamente la testa. “ E voleva
avere sempre ragione!”
Ma ora sono
assolutamente in torto…
Charlotte
Hayer
stavolta l’ha raccontata giusta...
E io sono in
torto.
Questo aveva pensato scorgendo per la
prima volta la sagoma
alta del figlio maggiore dei Norris. La signorina Hayer non aveva
gonfiato la
verità, almeno sull’aspetto fisico.
Per il resto l’aveva solo
scorto per un momento, perché poi
era stata sommersa dai complimenti dell’anziana vedova Norris
ed era stata
prontamente presentata a tutta la famiglia.
“Signor Honeycombe,
signorina! Posso avere l’onore di
presentarvi mio figlio David Norris e sua moglie Teresa?”
I due coniugi si fecero avanti
distribuendo ai nuovi vicini
i sorrisi più smaglianti che riuscissero ad avere
“ L’onore è nostro. Mia madre
ha parlato veramente bene di voi…sapeste quanti complimenti
vi ha prodigato
signorina!” esclamò David Norris inchinandosi
davanti a lei.
Callie ebbe modo di osservare che
erano proprio una bella
coppia: lui, a dispetto dei suoi cinquantacinque anni, era veramente
distinto e
di bel aspetto. Mentre la moglie, se non affascinante come lui, aveva
dalla sua
parte una figura davvero gradevole e una risata cristallina che portava
quasi
subito alla inconsapevole simpatia.
“Mi dispiace non potervi
presentare mio figlio maggiore…” si
scusò l’uomo voltando appena la testa verso
l’interno della casa “ Ma sembra
che sia stato rapito da qualcosa di urgente all’interno della
sala…questi
giovani, quando impareranno a rispettare
l’etichetta?”
Callie sorrise “ Non
importa, davvero…avrò modo di essere
presentata durante la serata” e con un inchino
sparì dentro il salone, alla
ricerca di qualcuno di conosciuto.
Non trovò Linda, ma ebbe
modo di comprendere cosa avesse rapito
il figlio di David Norris. O
perlomeno chi.
Attorno all’uomo si
raggruppava un capannello di ragazze con
il viso imporporato di rosso, tutte sospiranti e agitate, che facevano
letteralmente a gara per presentarsi e rivolgere la parola a colui che
sarebbe
sicuramente diventato il punto di più alto interesse di
tutta la serata.
E poteva capire il perché.
Callie non poté non ammettere di
essere stata totalmente sconfitta da Charlotte Hayer: Alexander James
Norris, perché
questo era il suo nome, era un uomo dalla pelle leggermente scura, i lineamenti
delicati resi ancora più
belli a causa degli occhi neri, che brillavano di una non comune
furbizia. La
figura era alta, slanciata e i capelli, corvini, ricadevano sulla
fronte in
onde pericolosamente ribelli.
A Callie bastò osservare
l’assoluta eleganza del suo
abbigliamento composto dai soli nero e bianco;
e dai modi composti e assolutamente gentili con cui si
rivolgeva a tutte
le signore per capire chi aveva davanti. Il fiore
all’occhiello della giacca e
una spilla perlata sulla cravatta
fecero
il resto.
Un
dandy…
La ragazza distolse gli occhi
nocciola da quella scena,
costringendo la sua persona a portarsi in fondo alla sala, dove un
piccolo
corridoio portava ad un più ampio salone, adibito ad
ospitare le danze.
Si accorse di avere le guance calde.
Era arrossita, come
quasi tutte le dame che ora erano impegnate a strisciare attorno a
quell’uomo
assurdamente intrigante.
Scosse la testa, ricacciando indietro
l’imbarazzo.
Io non li
sopporto!
Perché lei detestava quei
personaggi ridicoli che a Londra
sembravano ormai essere “di moda”…li
trovava grotteschi nella loro continua
ricerca della bellezza attraverso l’eleganza. Avevano fatto
del loro essere la
maschera dell’indifferenza e dietro i loro modi gentili era
sicura che si
nascondesse un artificioso divertimento.
Per non
parlare delle
loro abitudini sessuali!
Callie cercò di non
arrossire al ricordo di ciò che aveva
sentito sui loro confronti. Le storie che giravano su personaggi come
il signor
Alexander Norris erano note a Londra e dintorni. Tutti sapevano e tutti
elevavano queste figure a idoli della Buona società!
È
semplicemente
ridicolo!
Colui che
ferì
profondamente Linda era dello stesso stampo!
E
anche…
No
Callie chiuse gli occhi, respirando
profondamente.
“ Immagino che voi abbiate
già avuto modo di vedere il
figlio maggiore dei Norris”
La ragazza alzò lo sguardo
ed ebbe il tempo di ricomporsi
dietro al solito sorriso gaio prima che Linda fosse a pochi passi da
lei.
“ L’ho
intravisto, in effetti. Ma non sono stata presentata
presso di lui e, che voi ci crediate o no, non penso di voler che
ciò accada!”
rise Callie prendendo le mani della migliore amica
“Finalmente vi trovo Linda
carissima!”
La bionda sospirò
“ Non c’è alcun bisogno di fingere con
me.
So benissimo quanto vi infastidiscano personaggi come il signor Norris,
il
figlio, intendo…”
La castana rinforzò appena
la presa sulle mani dell’amica,
per poi lasciarle andare “Ma lo stesso vale per voi, o
sbaglio?” fece sorridendo
“Certo, ammetto che non mi sarei mai aspettata di vedere
nell’Hampshire, e
soprattutto nella nostra modesta vita campestre, un dandy di tale
stampo pronto
ad allietare le nostre dame della sua presenza!”
Linda scosse la testa, ridendo
“ Ora esagerate! Come sempre!
Ma d’altronde se io stessa posso ammettere che questo
discorso valga anche per
me, voi potete ammettere che il vostro sia anche pregiudizio?”
Pregiudizio?
Sì,
lo era e lo
sapeva.
E riusciva
anche ad
ammettere a sé stessa di essere profondamente antipatica su
questo argomento…
Ma
ripensandoci, ogni
volta, le sembrava di stare male persino fisicamente.
Un’altra
volta.
Callie prese sottobraccio
l’amica.
“ Avete vinto voi, al
solito! Ma ora non pensiamo a queste
sciocchezze!” si arrese “ pensiamo piuttosto a fare
onore all’orchestra! Perché
non ballare tutta la notte?”
“E voi siete pazza, nessuna
novità! Ma vi prenderò in
parola!”
E, ridendo, si fecero strada nel
salone.
La serata esaudì i suoi
desideri: ballò praticamente per
tutto il tempo a disposizione, parlò con tutte le persone
con cui riteneva
conveniente parlare e non venne mai presentata ad Alexander James
Norris.
Quest’ultimo, poi, sembrava
abbastanza occupato a compiacere
la cerchia di ragazze ormai perdutamente innamorate e ad intrattenere
una
vivace conversazione con tutti i giovanotti del paese presenti,
intrigati dal
suo abbigliamento elegante e dai suoi modi studiati.
E anche se avesse notato la ragazza
castana che volteggiava
radiosa per la sala, Callie era sicura di aver sentito il suo sguardo
addosso
almeno una volta, non chiese di lei e non diede nemmeno segno
d’averla veduta.
“Meglio
così” si trovò a pensare Callie verso
la fine della
serata “ Ciò non fa che confermare la mia opinione
su di lui…pregiudizio o no!”
Evidentemente
avrà già
abbastanza signorine intorno per questa sera!
Non ebbe tempo di approfondire questo
ragionamento che sentì
una presenza farsi timidamente vicina alla colonna dove si era
momentaneamente
appoggiata lei.
Margareth Hayer le si mise al fianco,
aprendo il ventaglio e
cominciando a farsi aria con esso. Era
“impacchettata” in un abito azzurro che
non faceva per nulla onore alla sua figura, facendola sembrare ancora
più
goffa.
“ Caldo,
nevvero?”
Margareth annuì
“ Non mi aspettavo…che i Norris avessero
invitato così tanta gente. Anche se, come potete vedere voi
stessa, sembra che
il punto di massimo grado si tocchi proprio davanti a
noi…” e fece cenno al bel
gruppetto radunato attorno al giovane signor Norris.
Callie rise “
Già! E, scusate l’impertinenza, ma credo che
vostra cugina Catherine sia già perdutamente
innamorata!”
Le due si fermarono un momento a
guardare la sedicenne che,
rossa in viso, veniva condotta al centro del salone dal signor Norris.
Quando
la danza iniziò, Margareth si voltò verso la
ragazza al suo fianco.
“ Non…non che
non me lo aspettassi sinceramente…ero quasi
sicura che sarebbe caduta ai piedi di un bel giovane la stessa sera del
suo
debutto. Non per niente lei e Charlotte sono sorelle!” ammise
tutto d’un fiato.
Callie guardò stupita
Margareth Hayer: quella che
inizialmente aveva giudicato ingiustamente come una delle
più grosse sciocche
che avesse mai conosciuto si stava rivelando come una persona dotata di
buon
senso e spirito d’osservazione.
E Callie era prontissima ad ammettere
una certa simpatia nei
suoi confronti.
Rivolse di nuovo il suo sguardo alla
sala e ciò che vide non
poté non farla scoppiare in una risata gustosa.
“ Si…signorina
Callie?” chiese scioccata Margareth.
La ragazza castana allungò
una mano guantata sul fondo della
sala; indicandole con discrezione sua cugina Charlotte Hayer che,
schiumante di
rabbia, fulminava la sorella ancora impegnata a danzare con il giovane
Norris.
Le due si guardarono per poi
scoppiare in una risata
silenziosa.
“ Ragazze!” le
richiamò all’attenzione una Linda affaticata,
evidentemente appena uscita da un complicato giro di danza “
La serata sta per
giungere al termine e voi siete qui ferme! Un ultimo ballo?”
Callie guardò Margareth,
che sembrava più che intenta a non
voler danzare per tutto l’oro del mondo, e la prese per mano
trascinandosela
dietro “ Ma certo! Tutti i balli devono concludersi con una
danza!”
Aveva un estremo bisogno di dormire.
Il ballo si era concluso almeno
quattro ore prima ma lui,
ovviamente, si era trovato qualcos’altro
da fare. Come d’abitudine ormai.
Sorrise leggermente, portando una
mano guantata a
scompigliarsi i capelli corvini.
Qui in
campagna sembro
già essere molto famoso…
Vi
è buona probabilità
di trarne qualche divertimento.
Non fece in tempo ad aprire la porta
della camera da letto
che la voce fredda di David Norris lo inchiodò lì
dov’era.
“ Abbiamo fatto
particolarmente tardi, Alexander?”
Il moro si voltò verso la
figura composta del padre: era a
pochi metri da lui, già in un completo da giorno, e lo
osservava con occhi
carichi di biasimo.
Troppo biasimo a parere del figlio.
“
Padre…” iniziò lui “
…non sono appena uscito dalla nursery
e non sono nemmeno più così giovane per cui voi
possiate sgridarmi così
facilmente. Ho già trentun anni e sono qui ospite, come voi,
sempre che ve lo
siate dimenticato…”
David Norris lo ascoltò in
silenzio e rimase a guardarlo
ancora per qualche secondo prima di dire, con una lentezza estenuante
“ Voglio
solo ricordarti chi sei e dove ti trovi. Qui non siamo a Londra, dove
puoi
atteggiarti come ti è più comodo. Gestisci i miei
affari con una bravura fuori
dal comune e quindi non trovo niente da dire sugli…atteggiamenti che adotti in
città. Ma qui siamo in campagna e
ospiti di tua nonna, mia stimata madre… non vorrei mai dover
prendere
provvedimenti nei tuoi confronti. Mi hai compreso Alexander?”
Visto che l’uomo in
questione sembrava non voler rispondere
in alcun modo, egli si voltò e cominciò a
scendere le scale quando la voce
carica d’ironia del figlio gli giunse alle orecchie
“ Non credo che voi
possiate darmi alcun consiglio sul comportamento da
adottare…e voi sapete a
cosa mi riferisco. Vi auguro una buona giornata, padre.”
E il rumore secco della porta che si
chiudeva pose fine ad
ogni possibile discussione. David Norris sospirò
sistemandosi i baffi arcuati.
Quel ragazzo sembrava esser nato per dare a lui e a sua madre dei
problemi: il
suo nome e quello dei suoi amici, quasi tutti dello stesso stampo,
erano noti a
Londra e dintorni. Per non parlare delle voci che giungevano alle
orecchie di
un vecchio padre.
Non erano propriamente positive.
Ma Alexander era uno dei fiori
all’occhiello della Buona
società e lui, come padre, doveva
soprassedere e farsi da parte.
Non a caso
quel
ragazzo assomiglia a me da giovane!
Appunti:
* Orgoglio e pregiudizio,
cap. LXI
* Orgoglio e pregiudizio,
cap. III
|
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Capitolo 2 *** Secondo. Disgusto. ***
Capitolo
piuttosto lungo, ma non mi andava proprio per niente di spezzarlo in
due
parti...credo che renda meglio così! E qui avviene il primo
e diretto scontro
fra Callie ed Alexander: rileggendo la storia mi rendo conto di quanto
siano
entrambi un poco strambi!
Comunque ringrazio tutti coloro che mi hanno dato fiducia aggiungendo
la storia
fra le seguite, da ricordare ecc. Spero che con questo capitolo
continuiate ad
apprezzarla! Un bacio!
Callie fissò in silenzio
il piatto di pane tostato che la
domestica aveva appena servito in tavola. Non accennò a
prendersene una fetta
neanche per un momento, però continuò a fissarlo.
Al suo fianco, Henrietta e il padre
si scambiarono uno
sguardo perplesso. Poi l’uomo, alzando gli occhi al cielo, si
rintanò dietro al
giornale lasciando alla figlia più piccola il compito di
svelare il mistero
mattutino.
“ Sorella, ti senti
male?” chiese esitante Henrietta.
Codesti modi
hanno
posto in me un fondamento di disapprovazione sulla quale gli
avvenimenti
successivi hanno costruito una avversione irremovibile; non era ancora
ben un
mese che la conoscevo e già sentivo…
“Sorella?!”
…che
lei era l’ultimo
uomo su questa terra che avrei potuto sposare.*
“ Callie! Riprendi un
contegno!”
La ragazza alzò di scatto
lo sguardo alle parole esasperate
di suo padre. Allarmato dal fatto che la ragazza non rispondeva alle
domande
della sorella, si era preso la briga di alzare gli occhi dal giornale e
riprenderla.
“ Scusate,
padre..” rispose piano la figlia abbassando gli
occhi “ Ero un momento…”
“ Fra le nuvole,
invero?” finì la frase l’uomo per lei
trincerandosi
dietro il giornale “ Voi donne, quando arriverà
qualcuno in grado di
comprendervi, voglio che venga da me. Magari scoprirei cosa si cela
dietro le
testoline delle mie figliuole!”
Callie rise, servendosi una fetta di
pane tostato e
cominciando a spalmarci sopra un poco di burro e marmellata. Ora che
l’avevano
riportata al presente, si accorse di avere veramente fame.
D’altronde aveva danzato
tutta la notte!
“Perché nessuno
mi vuole raccontare del ballo?” sbuffò
rumorosamente Henrietta, agitando le gambe esili sulla sedia.
“ Dovresti imparare ad
esprimerti con più contegno,
Henrietta!” la fulminò Callie “ quante
volte te lo dovrò spiegare?!”
Henrietta saltò
giù dalla sedia, affrontando la sorella a
viso duro: il fatto che la sgridasse quando c’era suo padre e
poi, in segreto,
approvasse quasi tutti i suoi atteggiamenti la faceva davvero infuriare!
Non riusciva a comprendere tutte
quelle frasi formali, gli
inchini, il fatto di non poter dire le cose come si
pensavano…e il fatto che
sua sorella le desse ragione ma, alla fine, fosse come loro!
“Ma né
Papà, né Nanny e nemmeno tu volete dirmi
nulla!”
cominciò a pestare i piedi “ Non è
giusto!”
Callie non riuscì a
mantenere la calma di fronte
all’arroganza della sorella “Modera i termini,
Henrietta! Il fatto che tu abbia
solamente otto anni non è una giustificazione per tutti
questi tuoi
piagnistei!”
Gli occhi verdi della bambina si
riempirono di lacrime prima
che questa, trattenendo i singhiozzi, uscisse correndo dalla stanza.
“L’hai fatta
piangere…”
La ragazza si voltò verso
il padre, ancora trincerato dietro
al giornale “ Capisco che sia cresciuta, al contrario di me,
senza conoscere
sua madre…” incominciò a bassa voce
“ Ma penso che voi dovreste essere più duro
con lei, padre mio. Henrietta è completamente fuori
controllo!”
Non era la prima volta che cercava di
andare su questa
conversazione con lui. Ma l’uomo, al solito,
cambiò argomento.
“Allora cosa ne pensi dei
nostri nuovi vicini, Callie?”
La ragazza si rabbuiò un
poco “ Il signor e la signora
Norris sembrano due persone a modo.”
“E il figlio maggiore? So
che ieri sera sembra aver riscosso
parecchio successo…” chiese con un sorrisetto
divertito.
“Lo trovo assai
sopravvalutato. In sincerità quei modi
gentili e studiati non mi convincono affatto!” rispose la
castana in tono
indifferente.
Il padre si rintanò
nuovamente dietro il giornale.
“Penso che, forse, avrai
modo di ricrederti domani. La
famiglia sarà nostra ospite a pranzo.”
buttò lì, come se stesse parlando del
tempo.
Callie si soffocò nel the.
Tossendo, si ripulì con un
fazzolettino ricamato.
Perfetto, la
giornata
è iniziata nel migliore dei modi!
Siccome ricevere la famiglia Norris
al completo con una
bambina di otto anni in una piena crisi di nervi non era una delle
più rosee
aspettative né di Callie né del padre, la ragazza
decise di andare a parlare
con la sorellina minore. In fondo, le voleva un mondo di bene e si
sentiva un
po’in colpa per la scenata di quella mattina.
Inizialmente non fu del tutto facile:
Henrietta si rifiutava
di ascoltarla, piangeva, batteva i piedi per terra e Callie dovette
ricorrere a
tutta la sua pazienza per calmare la sorella.
Poi questa si arrese e le due
cominciarono a parlare
abbastanza tranquillamente. E, alla fine, le due si abbracciarono, come
vere
sorelle: avevano fatto la pace.
Mentre scendevano le scale, in
previsione di una passeggiata
prima di pranzo, Henrietta sospirò “Ci sono ancora
tante cose che non capisco…”
Callie prese il parasole e le
poggiò una mano sulla spalla “
Credimi, lo so che adesso tutto questo potrà sembrarti
assurdo, ma quando sarai
più grande comincerai a capire da sola il significato delle
cose. Questo non
vuol dire che su alcuni discorsi io non sia parzialmente
d’accordo con te ma,
credimi, quando sarai più grande capirai.”
Henrietta sembrò
soddisfatta da quella risposta e, con un
sorrisetto, chiese “ Ciò vuol dire che adesso
posso fare ciò che voglio?”
“Ovviamente no, mia
cara!”
La bambina sbuffò: almeno
ci aveva provato.
Le due si godettero una lunga
camminata e, un po’ammirando
le bellezze che la primavera offriva, un po’ giocando a
rincorrersi fra i campi
immersi nel sole del primo pomeriggio, si accorsero di essere in
ritardo per il
pranzo. Sapendo quanto il padre tenesse ad avere la sua piccola
famiglia sempre
riunita durante i pasti, le due dovettero correre di gran carriera
attraverso
la campagna per poi arrivare sulla soglia di casa sudate, con i capelli
fuori
posto e gli abiti in disordine.
Fu così che Callie quasi
si scontrò contro la figura bionda
dell’amica Linda che, venuta in visita con i genitori,
guardava lei e Henrietta
stupita.
Poi scoppiò a ridere
“ Santo cielo, Callie! Per un momento
ho temuto che foste state aggredite!”
La ragazza castana arrossì
vergognandosi un poco del suo
stato, poi si voltò verso i genitori di Linda, inchinandosi
leggermente “
Buongiorno. Come state?”
Le solite
frasi di
rito…
Dopo aver scambiato quattro
chiacchiere con la famiglia ed essersi
assicurata – con vero sollievo- la loro presenza al pranzo
dell’indomani,
Callie e sua sorella salirono al piano di sopra per rinfrescarsi e
cambiarsi
d’abito.
Mentre Giuditte, una giovane serva
che da tempo lavorava
presso casa Honeycombe, l’aiutava a cambiarsi, Callie vagava
con lo sguardo
fuori dalla finestra. I campi in fiore erano spazzati da una brezza
leggera e
poteva vedere tre piccole figure passeggiare per la campagna in
lontananza.
Sentì di stare arrossendo:
domani la famiglia Norris avrebbe
varcato la soglia di casa sua. Lui
avrebbe varcato la soglia di casa sua.
Non aveva più scuse per
evitare una presentazione.
Non sapeva perché ma si
sentiva quasi impaurita: non voleva
in alcun modo incontrare gli occhi neri di quell’uomo. Se
avesse potuto
presentarsi rivolgendogli le spalle…ma ahimè di
certo l’avrebbero presa per
pazza!
Perché
mi sento così
agitata?
“Signorina, scusate se vi
importuno…vorrei sapere se davvero
domani i Norris saranno ospiti presso di voi a
pranzo…”
La voce incerta di Giuditte ebbe
l’effetto di spezzare le
sue fantasticherie ma affondò comunque il coltello nella
piaga. Callie si voltò
perplessa: ovviamente i servi non avrebbero dovuto rivolgere quel tipo
di
domande ai propri padroni ma Giuditte era in confidenza con lei ormai
da molto
tempo e Callie non si sentiva in alcun modo oltraggiata.
Fu così che le rispose,
rivolgendole un sorriso stiracchiato
“ Sì, mio padre pensa che sarebbe gradevole
ricambiare l’invito al ballo di
ieri sera. Posso sapere perché vuoi saperlo?”
Giuditte arrossì
furiosamente e fissò lo sguardo sul
pavimento, non osando guardare la giovane padrona “Non vorrei
mai importunarvi
signorina…era…era solo una mia egoistica
curiosità…ecco tutto…”
Callie aveva l’orribile
presentimento che la curiosità della
sua serva avesse molto a che fare con un certo personaggio ormai di sua
conoscenza.
“Capisco…”
Comincio a
pensare che
il pranzo di domani non sarà davvero piacevole!
Si guardò intorno: anche
quel giorno il sole baciava i campi
in fiore che coloravano allegramente l’ambiente, spargendo un
gradevolissimo
profumo nell’ambiente circostante.
Un’altra
bellissima
giornata…
Niente oggi
può
andarmi per il verso sbagliato…
Si tolse il cappello a cilindro
lasciando che i capelli
corvini gli ricadessero sulla fronte; nascondendo gli occhi neri,
illuminati
dalla solita luce divertita, che intanto osservavano la dignitosa villa
stagliarsi in lontananza.
La
proprietà degli
Honeycombe
Un altro invito da parte di
un’altra famiglia sconosciuta
che non vedeva di certo l’ora di includere i Norris nella
loro cerchia d’amici.
Come spesso non vedevano l’ora di includere lui nella loro
ristretta cerchia di
amici.
Non essendo uno stupido vedeva
benissimo l’ammirazione che
suscitava nelle famiglie di quel luogo. Notava lo sguardo invidioso di
parecchi
di quei ragazzetti e i sospiri languidi delle signorine di buona
famiglia e non
che lo guardavano come se venisse da un mondo lontano.
Ed era pronto a scommettere che
neanche uno di loro avesse
mai partecipato ad una vera season
a
Londra.
Se vedessero come le cose in
città erano diverse! Ogni loro
patetico discorso sarebbe immediatamente caduto nel vuoto.
Sono
così ingenui!
Sorrise “ Qui in campagna
ho trovato quasi più divertimenti
che in città e ho ovviamente intenzione di sfruttarli
più che posso…d’altronde
chi si metterà mai in testa di darmi contro?”
Niente oggi
può
andarmi il verso sbagliato…
“Alexander…”
La voce fredda del padre lo
richiamò alla realtà.
Il signor Norris si era avvicinato al
figlio maggiore,
lasciando la moglie più avanti in compagnia
dell’anziana madre, e ora lo
guardava senza dire nulla. Ma con il solito biasimo negli occhi.
Alexander lo degnò di
un’occhiata fugace prima di voltarsi a
guardare nuovamente di fronte a sé, il sorriso ormai
scomparso dalle sue belle
labbra “ Immagino che vogliate farmi ancora il solito
discorso
padre…evidentemente non nutrite la minima fiducia in
me.”
“ Sei e sarai sempre mio
figlio, ma sta a me decidere come e
quando concederti la mia fiducia…di nuovo.” e qui
fece una pausa per osservare
il volto del giovane uomo di fianco a lui: Alexander continuava a
restare
trincerato dietro ad una stoica facciata indifferente, ma
poté scommettere di
aver notato un lampo d’amarezza dietro i suoi profondi occhi
neri.
Lo
so…lo so che non
hai dimenticato, figlio mio…
Ma nemmeno
io posso
assolverti dalla colpa per ciò che hai commesso…
Sospirò “
Comunque sia…volevo solo ricordarti che qui non
puoi fare di testa tua…cerca di mettertelo in
testa...”
Alexander accelerò il
passo, con il chiaro intento di lasciare
indietro il padre. Si voltò verso di lui: di fronte a
sé aveva un uomo ormai
vecchio e stanco. Un vecchio che aveva passato metà della
sua vita a
biasimarlo. A disapprovare suo figlio.
“E io continuo a ricordarvi
la mia età…non potete più aver
alcuna influenza su di me, padre, come facevate un
tempo…” gli disse, ben
conscio di quanto fossero irrispettose le sue parole.
Poi riprese a camminare,
poiché in quel momento tutto ciò
che voleva era mettere la maggior distanza fra sé e il
padre; l’uomo che sempre
gli ricordava il suo passato.
Era quella la ragione che
l’aveva indotto a partire per
Londra e a prendervi casa in maniera stabile. Londra era la meta di
svago
perfetta per lui. La Buona Società
l’aveva accolto a braccia aperte e lui non si era tirato
indietro.
Perché
ormai era
completamente un’altra persona…e lo riusciva a
trovare divertente…
Niente oggi
può
andarmi per il
verso sbagliato.
Sorrise; ma questa volta il volto era
più una maschera di
tristezza che divertimento.
…d’altronde
chi si
metterà mai in testa di darmi contro?
Solo la voce della madre, gentile ma
ferma al tempo stesso,
lo convinse a tornare indietro e a offrire il braccio
all’anziana nonna con il
sorriso galante di sempre stampato in volto.
Il tutto era stato pianificato nei
minimi dettagli: la
tavola era già pronta e il servizio buono di piatti era
stato rispolverato per
l’occasione, i servi avevano lucidato casa da cima a fondo,
Henrietta era stata
lavata e strigliata a sufficienza e ora aspettava l’arrivo
degli ospiti
sbirciando fuori dalla finestra ogni pochi secondi, Nanny intanto le
ricordava
che avrebbe salutato i Norris e gli altri ospiti e poi si sarebbe
ritirata,
come una brava signorina, lasciando gli adulti soli per pranzo; anche
in cucina
era tutto sotto controllo.
Callie, dal canto suo, aspettava
seduta sul divanetto del
salotto l’arrivo della famiglia Norris e intanto cercava di
dissimulare la sua
agitazione leggendo un libro, con la massima indifferenza possibile.
Gli occhi
nocciola fissati insistentemente sulla stessa frase da dieci minuti a
quella
parte.
“Mi
sento così
sciocca!” pensò amareggiata “ Non
può essere che per un semplice pranzo io
debba andare fuori di me!”
Sembra che
il cuore
voglia uscirmi dal petto…
…sono
proprio una
perfetta idiota!
E il grido di Henrietta che le
trapanava i timpani non fu di
certo d’aiuto “Eccoli! Sono arrivati!”
Callie dovette costringersi ad
alzarsi in piedi, a sfoderare
il solito sorriso gaio e sereno e di essere pronta per ricevere i nuovi
vicini.
Proprio come una brava signorina.
E poco importava se Alexander James
Norris gli stava ormai
così in antipatia. Doveva essere una brava, composta,
sorridente padrona di
casa.
Così quando
sentì suo padre salutare affettuosamente David
Norris e consorte, Henrietta assicurarsi i complimenti della anziana
madre di
quest’ultimo, si fece avanti come la creatura più
felice di tutta
l’Inghilterra.
“Siete veramente i
benvenuti! Sono davvero felice che vi
siate potuti unire a noi per pranzo!” fece inchinandosi
leggermente. Si sentì
orgogliosa del suo comitato di benvenuto “Brava Callie! Ora
continua così
ancora per qualche ora!” pensò decisa.
Ma, proprio nell’alzare lo
sguardo, si ritrovò riflessa
negli occhi neri di Alexander James Norris che la squadravano con
un’attenta
aria divertita.
Distolse lo sguardo, cercando di non
arrossire.
Forse,
dopotutto, era
destino che questa giornata andasse per il verso sbagliato!
Ancora una volta era stata fortunata:
una volta arrivati
anche i Clayton e gli Hayer, scoprì di essere seduta tra
l’affascinante moglie
di David Norris e Margareth, mentre di fronte a lei sedeva Linda. E,
cosa degna
di nota, Alexander James Norris era seduto dall’altro capo
della tavola.
Ringraziando il cielo,
l’attesa dell’arrivo delle altre due
famiglie era stata più breve del previsto e ora Callie era
pronta ad ammettere
di starsi veramente godendo il pranzo, con una simile compagnia seduta
attorno
a lei: Margareth si era fatta meno timida e, prendendo coraggio,
riusciva a
intavolare dei discorsi a cui partecipavano con piacere quasi tutti i
commensali ( fatta eccezione per Charlotte, che non sembrava gradire
questo
cambio repentino di carattere della cugina); Linda era più
bella e ciarliera
che mai; mentre la moglie del Signor Norris aveva dei modi
così affabili che
era impossibile non trovarla simpatica.
Durante il pranzo Callie ebbe modo di
sbirciare ogni tanto
verso il giovane uomo seduto così lontano da lei: persino il
suo modo di
mangiare sembrava studiato ed elegante.
“Ma non gli riesce di far
nulla in modo naturale?” pensò con
ironia mentre lo osservava parlare con Charlotte, più gaia
che mai all’idea di
essere seduta di fianco a lui, e Catherine.
Il suo volto era una maschera di
perfetta indifferenza e
galanteria, mentre il sorriso compiacente non accennava ad abbandonarlo
neanche
per un secondo. Sembrava un perfetto gentiluomo. Nemmeno Callie poteva
non
vedere l’alone di fascino che quell’uomo si portava
naturalmente dietro.
Non riusciva
proprio a
negarlo…
Poi però, quando Charlotte
si fu voltata per scambiare due
parole con Catherine, notò negli occhi neri del giovane
Norris uno scintillio
di disprezzo. Fu talmente passeggero, che credette di esserselo
immaginato.
Infatti eccolo di nuovo ascoltare
sorridente Charlotte che
gli domandò, ad alta voce “ Parola mia! Signor
Norris, non è normale per un
inglese come voi avere la pelle così abbronzata! Sono tutti
così tremendamente
pallidi qui!”
Con grandissima sorpresa di Callie,
la donna al suo fianco
scoppiò a ridere “ Scusatemi signorina Hayer, non
avevo intenzione di prendermi
gioco di voi…ma vedete è la prima volta che
qualcuno fa notare questo evidente
particolare ad Alexander…” aggiunse poi,
giustificandosi di fronte alle
sopracciglia aggrottate di una Charlotte un po’offesa.
L’uomo in questione
sbuffò, appoggiando il capo sulla mano
destra in una posa un po’inelegante ma a cui nessuno fece
caso “ Forse, madre,
intendete sottolineare che poche persone sono a conoscenza del fatto
che non
sono perfettamente e totalmente inglese?”
Tutta la tavolata si voltò
sorpresa verso di lui, Callie
compresa.
“Oh! Adesso sì
che sono veramente stupita!” fece la madre,
trovando inaspettato che il figlio lo ammettesse così
schiettamente davanti a
degli estranei. Poi pensò che era talmente tanto cambiato da
risultare
imprevedibile anche ai suoi occhi di madre.
La voce cinguettante di Charlotte
Hayer si levò alta e
arrogante sui commensali “ E di grazia, cosa vorreste dire
con questo? Siete
crudele a tenerci sulle spine, signore!”
Alexander la guardò
divertito per poi rispondere “ In realtà
sono inglese solamente da parte di padre…” e qui
fece un cenno verso un David
Norris che sembrava intenzionato a non seguire i discorsi del figlio e,
anzi,
parlava tranquillamente con il padre di Callie
“…mentre mia madre è di origine
portoghese...”
Un ‘Oh!’ stupito
percorse tutta la tavolata.
Callie era pronta a scommettere che
l’uomo se la godeva un
mondo, con tutta l’attenzione degli ospiti su di
sé. E aveva anche la sua. Un
po’invidiò suo padre e David Norris che se la
parlavano pacatamente.
“ Qui in Inghilterra, da
sposata, sono la signora Norris;
mentre in Portogallo, da nubile, ero solo Teresa Gomez de
Brito!” informò loro
la madre di Alexander, con aria gaia.
Il padre di Linda, un uomo anziano
dallo sguardo vivace, si
sporse verso di lei “ Credetemi guardando voi e vostro figlio
non l’avrei mai
immaginato. Devo ammettere di aver subito pensato ad una leggera
abbronzatura
dovuta al sole!”
L’argomento venne
nuovamente tirato fuori al termine del
pranzo, quando Callie, Linda e le ragazze più giovani
cominciarono a servire il
Caffé agli ospiti, beatamente seduti in salotto. Il
chiacchiericcio leggero si
spargeva nell’aria e la primogenita degli Honeycombe si
sentiva finalmente
tranquilla “Evidentemente il fatto di essere stati presentati
e di esser stati
per tanto tempo nella stessa stanza è servito a mettermi a
mio agio.” pensò
serena, mentre riceveva da Linda una tazzina di Caffé caldo
“ Finalmente posso
godermi queste ore in letizia! Non mi importa proprio nulla di
Alexander
Norris!”
E così, con un dolce
sorriso stampato in volto, si portò
proprio davanti all’uomo in questione impegnato in una fitta
discussione con i
genitori di Charlotte e Catherine Hayer.
Notò che si era dovuto
stringere sul divano per riuscire a
farci accomodare anche le altre due figure pesanti e rise fra
sé.
“Ecco il vostro
Caffé, signore.” fece, porgendogli la
tazzina fumante.
Lui alzò gli occhi neri su
di lei e Callie seppe di essere
passata attentamente in esame da quel damerino che poi le prese la
tazza dalle
mani delicatamente. Sentì per un momento il suo tocco
delicato sfiorarle le
dita.
“Grazie…”
Lei scosse la testa. “
Figuratevi, per così poco!” e stava
per andarsene quando la sua voce divertita la inchiodò
lì dov’era.
“Non mi aspettavo davvero
che mi avreste servito voi, non
dopo aver notato che a malapena mi rivolgete la parola….per
non parlare del
fatto che sembrate evitarmi sin dal primo momento in cui mi avete
visto…vi
faccio paura per caso, signorina?”
Callie si voltò inorridita
verso di lui, il volto che andava
arrossandosi ogni istante di più: l’uomo la
fissava con un sorrisetto che
sembrava non promettere niente di buono, i bei occhi neri che non la
lasciavano
per nemmeno un secondo. Si appoggiò stancamente al divano,
come se si
aspettasse una risposta. Era pronto a scommettere che quella ragazzina
castana
si sarebbe indignata e l’avrebbe apostrofato di certo in malo
modo, mettendosi
in ridicolo di fronte a tutti gli altri.
D’altronde era
così rossa che sembrava stesse per scoppiare
da un momento all’altro.
La trovava divertente: il modo in cui
i suoi occhi nocciola
lo guardassero confusi, in cui si era bloccata incerta sul da farsi. E
gli
piaceva il fatto che Callie Honeycombe si sforzasse di fare la
signorina
indifferente, specchio di galanteria e modi vivaci e allegri.
Bisogna
essere esperti
per giocare a questo gioco…e tu non lo sei affatto, ragazza
mia.
Ma non accadde nulla di
ciò che aveva previsto.
Di certo non si aspettava di vedere
la signorina Callie
ridere in maniera leziosa e asserire, in tono gaio “Ma
andiamo, signor Norris!
Capisco che abbiate sempre voglia di scherzare, ma farmi paura? Penso
che
stiate esagerando!”
Lei si accorse con soddisfazione di
averlo lasciato
letteralmente di stucco. “Ben ti sta, imbecille!”
pensò allontanandosi con il
cuore in tumulto. Come la faceva infuriare! Avrebbe davvero voluto
coprirlo di
maledizioni lì di fronte a tutti!
Lisciandosi nervosamente il vestito
si avvicinò a Linda
ancora intenta a versare il Caffé nelle tazzine rimaste. Si
sentiva scoppiare
dall’imbarazzo: aveva davvero l’intenzione di
metterla in ridicolo! Ma perché
poi?
“Siete
pronta ad
ammettere che il vostro sia anche pregiudizio?”
Forse, alla fine, pure
quell’uomo se ne era accorto e aveva
voluto in qualche modo punirla per averlo giudicato fin
dall’inizio?
Ma
no…dev’essere per
un altro motivo…
Di sicuro
molto più
superficiale.
Pensò, trattenendo un
brivido, a quando le loro mani si
erano sfiorate. Era stato solo un momento, però…
Perché
mi sento così?
Infine si decise per una passeggiata
fra i campi, prima che
il sole tramontasse facendo sprofondare la campagna nel buio. Tutti
furono più
che entusiasti dell’idea e la piccola Henrietta si
unì a loro, seguita da
un’apprensiva Nanny che segretamente pregava tutti i santi
del paradiso affinché
la bambina non si comportasse male.
Il solo a rimanere indietro fu
Alexander James Norris che,
scompigliandosi i capelli neri, tirò fuori qualche scusa a
proposito di una
lettera ed ebbe il permesso dal padre di Callie di terminarla
lì a casa loro, a
patto che poi li raggiungesse assolutamente.
Callie non era altrettanto tranquilla
a lasciare quel
damerino a casa sua, ma sarebbe sembrato strano se ora avesse
contraddetto il
padre. E quell’uomo lo sapeva benissimo: le rivolse un fugace
sguardo carico di
ironia, come se la sfidasse a dire qualcosa.
La ragazza si costrinse a voltarsi e
avviarsi su per il
sentiero con Linda e Margareth, mentre i signori Hayer costringevano
due
disperate Charlotte e Catherine a camminare. Le due non potevano
sopportare di
dividersi dal loro beniamino.
Ma alla fine tutti furono in marcia e
la casa era ormai
scomparsa in lontananza. Callie mantenne la calma per quasi
mezz’ora prima di
lasciarsi trascinare da tutti i suoi numerosi dubbi: non era affatto
tranquilla. Aveva un brutto presentimento, perché non
riusciva a fidarsi per
nulla di quel giovane ed elegante uomo che sin dall’inizio si
era attirato la
sua antipatia.
Guardò il padre: lui
invece sembrava tranquillo come non
mai. Non lo preoccupava affatto che uno sconosciuto girasse per casa
loro
totalmente indisturbato. Si consolò pensando che almeno vi
erano i servi a
tenerlo d’occhio.
Ma ho
comunque un
bruttissimo presentimento…
Una strana coincidenza si
presentò poco dopo. Il padre di
Callie le fece notare di aver dimenticato il parasole e, con quella
luce, era
meglio che corresse subito a casa a prenderlo. D’altronde non
erano ancora così
distanti da non poter tornare indietro.
Tornare significava anche incontrare
Alexander Norris, ma
accettò perché così avrebbe potuto
tranquillamente controllare la situazione. Con
una smorfia si immaginò quello che le avrebbe detto:
Siete
addirittura
tornata indietro a controllare che non facessi danni…sono
abbastanza ricco da
non aver bisogno di
rubare in casa
altrui, sapete?
Lasciò quindi la comitiva,
assicurando a tutti che sarebbe
tornata presto, e ignorando le assurde proteste di Charlotte che voleva
assolutamente andare al suo posto.
Fu sull’uscio di casa in
meno di dieci minuti tanto aveva
fretta di arrivare. Mentre apriva la porta si diede della stupida, per
il suo
cuore che batteva forte, malgrado i suoi tentativi di calmarsi “Tanto non me ne
importa nulla no?”
In casa regnava il silenzio
più assoluto e il salotto era
deserto. Sulla scrivania una lettera era stata lasciata incompiuta,
dopo solo
poche righe. Callie sbarrò gli occhi: ora era veramente
turbata.
C’era
qualcosa che
sicuramente non andava…
L’uscio socchiuso, che dava
sul corridoio che portava
direttamente alle camere della servitù, attirò la
sua attenzione. Si avvicinò
cercando di fare meno rumore possibile: sentiva delle voci, come
sussurri,
farsi sempre più vicine.
E, sbirciando attraverso la porta,
vide qualcosa a cui non
avrebbe mai dovuto assistere:
Giuditte era seduta su un cassettone
in legno, la divisa in
disordine calata fin sotto al seno, e si stringeva ad una figura alta e
solida
che affondava i suoi capelli neri e ribelli nell’incavo del
suo collo.
La giacca dell’uomo e il
panciotto giacevano sul pavimento,
mentre la camicia bianca scendeva dalle spalle di lui rivelando una
schiena
solida e scura, attraversata dalle mani pallide e avide di Giuditte.
Giuditte, la
sua
serva. La sua cameriera personale, con cui era tanto in
confidenza…
Vide Alexander James Norris prenderle
il viso fra le mani e
baciarla con foga, vide che la toccava, vide che si approfittava di
quella
ragazza con il solito sorriso di trionfo, con gli occhi neri resi
ancora più belli
dall’eccitazione.
Non ebbe il tempo di odiarlo, di
pensare nemmeno a cosa fare
poiché il suo cuore fu letteralmente ghiacciato dagli occhi
neri dell’uomo
puntati su di lei.
L’aveva
vista…
Si guardarono per un lungo momento:
Callie non riusciva a
distogliere gli occhi da quello sguardo tagliente che sembrava
intenzionato a ferirla,
ad ucciderla.
Mi sta
disprezzando…
“Perché ti sei
fermato?” chiese Giuditte ansimante, ma lui
non le rispose. Continuava a fissare la figura seminascosta
nell’oscurità e che
ora, tornata alla realtà, correva velocemente lontano dalla
scena.
Callie non seppe neanche come
riuscì a mantenere tanta
presenza di spirito da ricordare di prendere il parasole prima di
uscire. Aprì
la porta di casa e corse per tutto il giardino senza voltarsi indietro,
il
cuore che sembrava volerle scoppiare letteralmente fuori dal petto e
una
sgradevolissima sensazione di nausea in fondo allo stomaco.
Non riusciva nemmeno a pensare, a
darsi una sola spiegazione
per quello che aveva visto. Per quanto quell’uomo suscitasse
la sua antipatia
non avrebbe mai immaginato che potesse arrivare a compiere un atto del
genere.
A casa sua. Con la sua cameriera personale.
Ma avrei
dovuto
aspettarmelo da uno come lui…
Rallentò la sua folle
corsa, sentendo l’esigenza di fermarsi
almeno un attimo per raccogliere i pensieri. Che avrebbe dovuto fare
ora?
Sarebbe stato meglio raggiungere la comitiva e avvisare suo padre e il
signor
Norris di quanto successo? Oppure sarebbe stato meglio tacere?
O, ancora, avrebbe dovuto
interrompere i due, appena vista
la scena?
Si prese il viso caldo fra le mani,
lasciando che qualche
ciocca di capelli scuri le cadessero attorno al volto: non riusciva a
dimenticare lo sguardo tagliente con cui lui l’aveva
trafitta. Come se l’avesse
colta con le mani nella marmellata.
Cosa
penserà ora di
me?
Anche se confusa, Callie sapeva che
era meglio raggiungere
la comitiva, poiché se fosse mancata per troppo tempo di
certo si sarebbero
preoccupati e avrebbero mandato qualcuno a cercarla. E di certo non
desiderava
che qualcun altro assistesse alla scena che poco prima le si era parata
davanti.
Immaginò che avessero
mandato davvero Charlotte al suo
posto.
Sarebbe
stato uno
scandalo.
I suoi pensieri furono bruscamente
interrotti da una presa
quasi ferrea che si stringeva attorno al suo esile braccio. Si
voltò spaventata
e sgranò gli occhi nel vedere Alexander James Norris di
fronte a lei.
Si
era infilato in
fretta e furia la giacca e
la camicia
bianca era ancora sbottonata fino a metà, rivelando la pelle
leggermente scura
sotto il tessuto. I capelli si movevano come una tempesta nera su quel
viso che
la fissava con ironia. Gli occhi ora così diversi da quelli
freddi e taglienti
di poco prima.
E Callie ebbe ancora più
paura. Cercò di divincolarsi,
inutilmente.
“Prima mi evitate e ora
prendete a spiarmi?” chiese lui in
tono neutro “ Che avete in mente, signorina?”
La ragazza non riuscì a
non rabbrividire sotto il tocco
dell’uomo. Si diede, come ormai d’abitudine, della
stupida; poiché nemmeno in
preda alla rabbia, all’indignazione e al disgusto di fronte
al comportamento di
lui riusciva a smorzare i sentimenti che le suscitava.
Arrossì e disse,
distogliendo lo sguardo “ Lasciatemi
andare, per piacere…”
L’uomo non
accennò a mollare la presa che, anzi, si strinse
ancora di più attorno al suo braccio. Quando
parlò il suo volto esprimeva
ancora l’ironia di prima, come se fossero due amici che
stessero discorrendo
del tempo anziché due perfetti sconosciuti in una situazione
piuttosto
sconveniente.
“Non lo direte ad anima
viva, d’accordo?”
“Lasciatemi andare, signor
Norris!” continuò lei
imperterrita, senza guardarlo in faccia. Come poteva chiederglielo? Era
come se
pretendesse di farsi complice di un qualcosa
di…di…
…sbagliato…
Questa volta la presa le strappo un
lamento, che la riportò
a guardarlo negli occhi. Si stupì di vedervi uno sguardo
sofferente, quasi
disperato. Ma, ancora una volta, fu solo un momento, poiché
si ritrovò di
fronte allo sguardo indifferente e costruito di sempre.
“D’accordo?”
Chi siete
realmente?
“D’accordo!
D’accordo!” quasi urlò Callie
“ Però, ve ne
prego, lasciatemi il braccio…mi state facendo
male!”
Lui mollò bruscamente la
presa e la ragazza si allontanò
istintivamente di qualche passo. Gli occhi nocciola puntati
sull’uomo in piedi
di fronte a lei. Osservò la figura elegante e slanciata, la
tonalità scura
della sua pelle, il viso delicato e i capelli corvini che si agitavano
intorno
al viso in onde ribelli. Gli occhi neri che la guardavano vittoriosi.
L’aveva ridotta al
silenzio. Non poteva dire nulla. Ma,
anche se avesse parlato, chi le avrebbe creduto?
Era la parola di una ragazzina di
ventun anni contro quella
di un uomo di trentuno, abbastanza ricco e stimato in città
da fare ombra a
tutte le doti di lei. E anche alla stessa verità.
Avrebbe
voluto
ucciderlo…
Chiuse gli occhi e respirò
profondamente, scacciando quel
pensiero pieno di odio.
“Ora ci siamo capiti,
signorina Honeycombe…” fece lui come
se le avesse letto nel pensiero “Mi auguro che fra di noi non
vi siano più
incidenti di questo genere…”
Callie aprì il parasole
sopra la testa “ Non parlerò solo
per evitare un terribile dolore a mio padre. La vostra condotta
è ignobile,
lasciate che ve lo dica…e i modi falsi con cui vi proponete
su di me non hanno
alcun effetto…”
Lui restò perfettamente
indifferente alle parole della
ragazza “ Non pretendete di dire bugie se non siete in grado
di
mascherarle…poiché, vedete, state arrossendo a
vista d’occhio, ragazza mia…”
Callie lo guardò confusa
per un momento, arrossendo come un
peperone.
“Voi mi
disgustate!” fece per poi voltargli le spalle e
correre via.
Alexander si voltò verso
la casa con un sorrisetto
compiaciuto stampato in volto, si scompigliò i capelli e
guardò il cielo ormai
tinto di rosso. Fra poco sarebbe calato il buio.
Niente oggi
può
andarmi per il verso sbagliato…
Quella
ragazzina
l’aveva davvero divertito un mondo!
Note:
* Orgoglio e Pregiudizio, cap. XXII
|
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Capitolo 3 *** Terzo. Vergogna e Solitudine. ***
Chiedo scusa
per il
ritardo ma il lavoro e lo studio si fanno sentire! Ecco qui il terzo
capitolo!
Voglio ringraziare ancora chi segue questa storia, spero davvero che
possa
continuare a piacervi!
Sono
però indecisa se
spostarla da Romantico a Storico. Voi che ne dite?
Una
recensione, anche
piccola piccola, mi farebbe molto piacere!!
Un bacio!
Callie se ne stava seduta di fianco
alla finestra. Fuori il
pomeriggio cupo tingeva di grigio i campi e le case, che avevano perso
tutti i
loro colori brillanti di pochi giorni prima.
Sospirò: era trascorsa una
settimana da allora. Una
settimana in cui non aveva visto praticamente nessuno dei suoi vicini,
una
settimana passata da reclusa volontaria.
In quei giorni aveva declinato quasi
tutti gli inviti delle
famiglie del circondario e, ovviamente, anche quelli indirizzati dai
Norris.
Aveva accusato un giramento di testa, un malessere diffuso che da una
settimana
a quella parte non la lasciava in pace.
Suo padre e Henrietta non avevano
minimamente pensato che
potesse essere una bugia. Si erano premurati di starle vicino pronti a
qualsiasi evenienza, ma poi l’avevano lasciata in pace. Anche
se la sorellina
minore le ronzava sempre intorno, quando doveva sfuggire a Nanny dopo
aver
combinato qualche guaio.
Linda e Margareth
si
erano recate spesso a trovarla e, con gran gioia di Callie, non avevano
portato
con sé né Charlotte né Catherine. La
sua migliore amica non le chiese nulla a
proposito di quella improvvisa malattia a cui, sicuramente, non
credeva. Era
strano che Callie rifiutasse pranzi, pic-nic, balli e altri generi di
diletto
sociale.
“Sarai tu stessa a dirmelo,
se vorrai…” le aveva detto durante
l’ultima visita, prima di andare via.
La ragazza si prese le ginocchia con
le braccia e vi
appoggiò la fronte, lasciando che i lunghi capelli castani
le coprissero il
volto. Si vergognava immensamente.
Guardava suo padre girare serenamente
per casa e si
vergognava. Osservava Henrietta scherzare con i servi proprio in quel
corridoio
stretto, appoggiata al cassettone di legno. A quel
cassettone di legno. E si vergognava.
“Non
lo direte ad
anima viva, d’accordo?”
Premette forte la fronte contro le
ginocchia.
Si
vergognava…
Sapeva bene che le cose a Londra
andavano molto diversamente
che in quella tranquilla campagna. E ne era stata testimone durante le
suoi tre
soggiorni in città. Ma allora ci aveva riso su, ne aveva
scherzato insieme a Linda
tanto il tutto le era sembrato un carnevale grottesco.
Aveva flirtato con molti giovani, ma
si era sempre tenuta a
distanza da tutti gli intrighi, tutte le menzogne e aveva cercato di
non farsi
troppo notare dalla Buona Società cittadina.
Pronta a tornare alla sua
realtà di campagna, fatta di
sguardi semplici e sinceri, di conversazioni quasi mai leziose e di
divertimento sereno.
Ma ora che la città
sembrava esserle piombata addosso sotto
le fattezze dell’avvenente Alexander James Norris si sentiva
confusa.
Era uno sconosciuto e già
l’aveva costretta a mentire a suo
padre.
Aveva un’ideale di vita che
lei detestava, poiché le
ricordava troppo il suo passato e quanto aveva già sofferto.
Quanto Linda, la
sua migliore amica, aveva sofferto.
Aveva dei pregiudizi, ma
quell’uomo era riuscito solo a
dimostrarle che erano fondati. Ed
era un
estraneo che riusciva a suscitarle i sentimenti più
contrastanti.
Strinse ancora di più le
braccia attorno alle ginocchia.
Antipatia,
indignazione, rabbia, stupore, curiosità,
disprezzo…
…attrazione.
Si sentì arrossire. Chiuse
gli occhi cercando di calmarsi e
respirò a fondo “Santo cielo, quanto sono
confusa!” pensò sorridendo
amaramente.
E tutto
questo a causa
di un estraneo.
“No, a causa di un
idiota!” pensò con uno scattò di
rabbia,
voltandosi verso la finestra.
I suoi occhi nocciola si persero nel
panorama di fronte a
lei: in più, con Giuditte era tutto mutato. Non aveva il
coraggio di guardarla
in faccia, anche se intendeva che la sua serva era piuttosto confusa.
Evidentemente
non si era accorta del fatto che la sua padrona era a conoscenza di
ciò che era
accaduto. E la faccia sorridente, le guance tinte di rosa, lo sguardo
felice
con cui Giuditte si era presentata la stessa sera del fattaccio, per
aiutarla a
cambiarsi, non avevano fatto altro che irritarla ancora di
più.
Sbuffò: le costava davvero
molto non partecipare a tutte le
uscite a cui era stata invitata. La tediava stare in casa mentre gli
altri
erano a divertirsi in compagnia.
Ma non
voleva vederlo…
E quando i Norris si erano recati a
casa sua il giorno
prima, per una visita, era riuscita a non farsi trovare;
poiché era uscita
prima per una passeggiata in mezzo ai campi, trascinando con
sé Henrietta, che
protestava perché voleva restare a casa.
Una volta tornata, scoprì
che la sua strategia era stata
completamente vana visto che Alexander Norris non era presente alla
visita.
Teresa si era giustificata, con aria dispiaciuta, spiegando che il
figlio era
impegnato da ore ad una lunga serie di partite a Faraone*, dove teneva
banco.
Callie aveva sospirato di sollievo
nel scoprire di non aver
corso nessun rischio. Per un momento aveva pensato che anche lui avesse
intenzione di evitarla, ma non avrebbe avuto nessun senso,
poiché era
completamente indifferente alla pena che le aveva causato.
D’altronde
avrei
dovuto immaginare che una partita di carte sarebbe stata sicuramente
più…divertente per lui.
Sentì la voce del padre
che la chiamava dal piano di sotto.
Voleva salutarla prima di recarsi al ballo degli Hayer e assicurarsi
che
badasse alla sorellina più piccola.
Callie guardò nuovamente
fuori dalla finestra: si stava
facendo buio.
“Devo esser rimasta in
stato comatoso per almeno due ore!”
pensò, avviandosi giù per le scale.
E il tutto
per un
estraneo.
Abbracciò il padre e lo
guardò dall’uscio di casa salire
sulla carrozza che l’avrebbe portato dagli Hayer: ci sarebbe
stata la musica,
si sarebbe ballato per molte ore, ci sarebbero state Linda e le altre,
ci
sarebbe stato da ridere e scherzare. Ci sarebbe stato lui.
Si strinse le spalle e
entrò in casa.
Mi sto
comportando
proprio come una stupida!
La
serata era in
pieno svolgimento. Era appena l’una e mezza e la casa degli
Hayer non poteva
esser più gremita di gente. La cena era stata squisita e
piacevole, tutti i
giovani le avevano fatto i complimenti per il vestito blu cobalto con
cui si
era presentata, ma soprattutto lui aveva mostrato di apprezzarla molto
di più
di quanto avesse mai fatto in precedenza.
E ora che si lasciava guidare dalle
sue braccia forti in una
danza lenta sotto gli occhi di tutti si sentì completamente
felice.
Il trionfo di Charlotte Hayer non
poteva essere più completo.
Continuò a danzare
appoggiandosi completamente al sostegno
del suo compagno che ora la guardava con un sorriso accondiscendente in
volto
“Siete stanca?” chiese.
“Perché mai me
lo domandate?”
“Vedo che vi state
appoggiando a me…” rispose per poi
aggiungere, vedendo l’imbarazzo evidente tingere di rosso le
guance di
Charlotte “ …ma non fraintendetemi, mi fa onore
che una ragazza graziosa come
voi si fidi di me.”
“Oh! Come siete premuroso,
voi! Questo vi fa onore!” rise
gaiamente, guardando gli occhi neri dell’uomo senza
riconoscervi, però, lo
sguardo ironico che ora le rivolgeva.
Finita la danza, i due si inchinarono.
“Avete sete? Se me lo
permettete, sarò felice di andarvi a
prendere da bere…”
Charlotte aprì il
ventaglio e distolse lo sguardo dalla
figura bruna di Alexander James Norris che ora la guardava,
più attraente che
mai.
“Muoio di sete! Vi
aspetterò laggiù!” fece, indicando un
divanetto
in fondo al salone “ E non perdetevi per strada!”
aggiunse in tono perentorio.
Lui si voltò annuendo e
raggiunse a passo svelto un servo in
livrea che gli porse un vassoio pieno di bicchieri di cristallo
riempiti di
liquido scuro. Ne prese due e, invece che ritornare verso Charlotte
Hayer,
cominciò a guardarsi intorno con insistenza.
Attraversò con gli occhi neri la
stanza, pensieroso, e poi sospirò, abbassando la testa
corvina.
Quella
sciocca ragazza
mi sta evitando…
“Il guaio è che
tutto questo comincia a tediarmi…avrei quasi
voglia di tornare a Londra…” pensò
fissando distrattamente due giovani signore
che ridevano fra loro, imbarazzate. Si erano accorte che lui le stava
osservando.
“Voi
mi disgustate!”
Sorrise amaramente, un lampo di
tristezza attraversò
fulmineo i suoi occhi. Quella ragazza non l’avrebbe mai
perdonato. L’odiava,
l’aveva letto nei suoi occhi nocciola che lo guardavano
arrabbiati e confusi.
Avrebbe
dovuto ridere,
ma…a volte, anche lui provava disgusto per sé
stesso…
E sempre,
continuamente
non riusciva a perdonarsi…
“Cercate qualcuno,
signore?” chiese una voce dolce alla sua
destra, che spezzò i suoi pensieri per riportarlo alla
realtà. Al ballo di
quella sera. Si ripromise di non ritornare più al passato,
almeno per quella
serata.
La giovane e bellissima Linda Clayton
lo guardava con un
sorriso gentile, ma che non prometteva niente di buono. Aveva
già sospettato
che quella ragazza fosse furba più di quanto non desse
intendere e, ora,
sentiva di aver ragione.
Si trincerò dietro alla
solita facciata indifferente e
galante “Nessuno in particolare, signorina. Dovrei portare
questo…” e alzò il
bicchiere scuro “ …alla signorina Charlotte, ma
potrebbe farmi l’onore della
prossima danza? Non ricordo di aver mai ballato insieme a
voi.”
La bionda non fece fatica a sostenere
quel sorriso avvenente
e quello sguardo penetrante “ Dovete scusarmi, ma ho
già un cavaliere! Vi
consiglierei, piuttosto, di non far aspettare troppo la vostra
dama…” e,con un
inchino, se ne andò.
Alexander rimase fermo a guardarla
andare via: allora anche
lei non lo vedeva di buon occhio, eh?
Però la sua calma e
indifferenza lo divertivano molto meno
dello sguardo confuso e irato di una certa signorina castana. Una
signorina che
sembrava decisa più che mai a non rivederlo mai
più.
Ahimé,
cara mia, credo
che non sarà proprio possibile!
“Lo pensate
veramente?”
La voce dolce ma stranamente acuta di
Linda, che la guardava
incredula e anche un po’offesa, fece sorridere
Callie. La ragazza castana lisciò
l’abito rosa, fingendo indifferenza.
“Ne sono più che
certa, Linda carissima. D’altronde mio
padre in gioventù percorse da Londra a Newmarket in tre ore
e trentanove
minuti….sfido che il vostro abbia potuto fare di
meglio!” e qui si voltò verso
il signor Clayton “Non voglio essere impudente signore, il
vostro record è
comunque ammirevole!”
L’uomo rise, sventolando
una mano in aria con leggerezza “Vi
perdono, cara Callie, ma solo perché sono stato io a tirare
fuori l’argomento!”
e detto questo porse un piattino riempito d’uva al padre
della ragazza, che
aveva assistito alla scena chiuso in un divertito silenzio
“Voi che ne pensate,
amico mio?”
“Bah! Percorrere da Londra
a Newmarket in calesse nel minor
tempo possibile era una moda ricorrente quando ero giovane io e credo
che anche
ora questa spericolata nuova generazione ci stia trovando gusto. Devo
dire però
che il mio record ha resistito a malapena due
settimane…”
Il signor Clayton si sporse verso di
lui con aria sognante,
con la mente rivolta ai bei momenti del passato “ Sono state
due settimane di
gloria per voi, invero!”
“Sì,
però guidai completamente ubriaco…ed è
noto che quando
si è ubriachi il calesse sia più facile da
portare…” rispose il signor
Honeycombe con noncuranza.
“Padre!”
sbottò stupita Callie, mentre Linda nascondeva un
sorriso divertito dietro alla mano guantata. La ragazza scosse la testa
castana, sospirando “ E che ne è stato alla fine
del vostro record, padre?”
Lui indicò con la testa un
punto alla loro destra “ è
stato distrutto da quel gentiluomo
laggiù.”
Tutti e quattro si voltarono a
guardare David Norris e
consorte camminare nella loro direzione accompagnati dai due figli
più piccoli,
rispettivamente di otto e dieci anni; da Henrietta e
dall’onnipresente Nanny.
Callie si prese il tempo di
osservarli: lui sembrava un
perfetto galantuomo nella sua mise da giorno morbida e chiara, i baffi
grigiastri che nascondevano un sorriso sereno, ma autoritario. Si
muoveva con
grazia e velocità, per la sua età, e la sua
figura sembrava slanciata e forte
come quella di un adolescente.
Teresa Norris era veramente avvenente
e la pelle scura
risaltava ancora di più sotto l’abito azzurro
acqua che aveva indosso. I
capelli neri erano imprigionati in un acconciatura elegante e
complicata,
mentre gli occhi verde chiaro si guardavano attorno con aria attenta e
vivace.
La sua figura, un po’più ingrossata di quella del
marito, risultava comunque
notevole.
Non c’era da stupirsi che
Alexander James Norris fosse loro
figlio.
E l’uomo in questione, quel
giorno, non era presente al
pic-nic organizzato dai Clayton. Callie aveva sentito dire che era
stato
chiamato a Londra per qualche giorno, a causa di alcune questioni
riguardanti i
suoi affari.
La ragazza addentò una
pesca. Aveva preso la decisione di
uscire di casa dopo il ballo degli Hayer, rendendosi conto di essersi
comportata, in quella settimana, in maniera ridicola.
Ed era stata inaspettatamente
fortunata, perché lui
era tornato a Londra.
Cosa che la rasserenava, mentre aveva
gettato Catherine e
Charlotte in una profonda disperazione.
Quelle due
sono
proprio delle oche eh!
Prese a tormentarsi una ciocca di
capelli castani con le
dita. E, senza capirne il motivo, si chiese cosa stesse facendo lui in
quel
momento.
Molteplici e scandalose scene le
passarono per la mente.
Arrossendo, si costrinse a riportare l’attenzione su Linda e
gli altri, che
stavano sgridando Henrietta e i due piccoli Norris per il troppo rumore
che
facevano giocando.
“A
proposito, prima
che mi passi di mente!” squittì Teresa ad alta
voce “Io e il signor Norris
organizzeremo un grande ballo a casa per la prossima settimana. Sapete
bene che
presto dovremo tornare nel Derbyshire…”
Lasciò che le proteste si
spensero prima di continuare “…mi
fa onore che voi vi siate così affezionati in questo
periodo, ma purtroppo è
necessario per noi tornare a casa. La madre di mio marito
verrà a stare da noi
per qualche tempo. E, quando vorrete, potrete sempre venirci a
trovare...”
I vicini si guardarono dispiaciuti,
ma ben sollevati dal
sapere di aver consolidato una nuova amicizia e di potersi recare in
visita ai
nuovi amici quando avrebbero voluto.
“Ringrazio il cielo che
né Charlotte né Catherine siano
qui!” sussurrò Callie a Linda
“Altrimenti vi immaginate la tragedia? ‘Oh no,
signor Alexander porteci con voi a Londra ve ne
prego!!’” concluse imitando una
Charlotte in lacrime.
Linda, ridendosela sotto i baffi, le
diede una leggera
gomitata “Ancora con questi pregiudizi, amica mia?”
“Mi ha ampiamente
dimostrato che sono fondati, fidatevi…”
“Non
lo direte ad
anima viva, d’accordo?”
L’amica guardò
attentamente negli occhi castani di Callie,
puntati ostinatamente verso terra. Si conoscevano ormai da molti anni e
vederla
turbata, proprio lei così scherzosa e sognatrice,
così allegra e vivace non la
faceva stare bene. Era quasi sicura che centrasse Alexander James
Norris.
Come era quasi sicura che pochi
giorni prima, al ballo degli
Hayer, l’uomo stesse cercando proprio Callie fra la folla.
Ma
perché?
Non pensava nemmeno per un attimo che
lui potesse essere
infatuato di lei, perciò qualcosa doveva essere accaduto.
Qualcosa che turbava
profondamente la sua migliore amica.
Le appoggiò delicatamente
una mano sulla spalla e la sentì
sussultare, come se fosse immersa in chissà quali pensieri
“Comunque sia, manca
solo un ballo e poi non dovrete più vederlo qui.”
Callie le sorrise brevemente: era
vero. Doveva solo
sopportarlo per la durata di una sera e poi se ne sarebbe finalmente
tornato a
Londra.
Mi
basterà fare finta
di non vederlo…
La donna si scostò i
capelli rossi dal viso, per poter
guardare meglio la figura seduta mollemente contro la testata del
letto, di
fianco a lei.
Non le era sembrato mai
così in disordine come in quel
momento: la camicia bianca era aperta sul suo petto scuro, tutta
spiegazzata, e
il colletto bianco si nascondeva dietro a quelle onde ribelli nere come
la
pece, che gli accarezzavano il collo. Gli occhi scuri erano assenti,
persi ad
osservare il muro bianco che aveva di fronte mentre, di tanto in tanto,
si
portava un sigaro alla bocca aspirando fumo distrattamente.
Due bottiglie di vino, vuote,
giacevano ai piedi del letto
insieme ai vestiti di lei e a quelli di lui, buttati a caso, nella
fretta.
“Sei ubriaco.”
“Lo so.”
Lei sbuffò e
portò gli occhi sui pantaloni scuri di lui.
Avrebbe voluto toglierglieli. Avrebbe voluto esser presa da lui come il
giorno
prima. E quello prima ancora. E l’anno prima.
Ma allora, cos’era cambiato
quella sera?
Non aveva mai visto gli occhi neri di
lui così freddi e
lontani. E ora se ne stava immobile a fumare, senza rivolgerle la
parola o
volgersi verso di lei e toccarla, baciarla, prenderla con la solita
foga e il
solito trasporto.
“Perché sei
venuto da me stasera?” gli chiese, la voce
incrinata dalla delusione.
Lui ci mise un po’a
rispondere “ Non avevo nulla di meglio
da fare, immagino….”
e qui la guardò. La
donna sentì tutto il ghiaccio di quello sguardo che sembrava
volerla trafiggere
da parte a parte.
Scrollò i capelli
rossicci, come per farsi passare la
sensazione di terrore che lui, in un momento, le aveva trasmesso
“Non è che
stai ancora pensando a quel fatto?”
Lo vide sbarrare gli occhi e, con
soddisfazione, notò un
attimo di smarrimento sul suo volto. Gattonò vicino al suo
corpo immobile e
cominciò a passargli le mani fra quelle onde nere e ribelli
portandosi con il
viso a pochi centimetri dal suo. Ora il suo sguardo sembrava
sofferente, ma era
ancora perso, lontano. Non la guardava negli occhi.
“Da quando è
morta non riesci di darti pace non è
così?”
fece stringendoselo forte al petto. L’uomo si
lasciò cadere pesantemente su di
lei come un corpo vuoto e freddo “Ma ci sono qua io per te,
amor mio…”
Posò le sue labbra tinte
di rosso su quelle dell’uomo che si
lasciò baciare, senza in alcun modo partecipare
poiché in quel momento si
sentiva così sopraffatto dal passato che faceva quasi fatica
a respirare.
Ed
è tutta colpa mia…
“Voi
mi disgustate!”
Con un gesto secco
allontanò la donna da lui, sentendola squittire
dalla sorpresa e dal disappunto. Non vi fece minimamente caso,
perché tanto di
lei non gli importava granché: Ma da quanto tempo aveva
smesso di interessarsi a
qualcuno che non fosse solo ed esclusivamente se stesso?
Dal giorno
della sua
morte…
Si alzò in piedi,
rivolgendole le spalle e spegnendo il
sigaro nel posacenere. Doveva andarsene.
“Non ti ho mai pagata per
farmi la predica, se non
m’inganno.” Le ricordò freddamente,
mentre raccoglieva il panciotto da terra.
Guardò l’orologio da taschino: erano le quattro e
mezza di mattina.
“Che succede, Alexander?
Non ti va più bene pagare a
contanti per ripulirti dai tuoi sensi di colpa? Aver il mio corpo da
usare
quando tutto ti sembra insostenibile?”
Lui la guardò brevemente,
di nuovo rintanato dietro ad una
perfetta Poker face. Poi si avviò verso la porta di quella
casa fatiscente “
Esattamente. Ma non aver la presunzione di crederti l’unica
che sia stata
disposta a vendersi a me in tutto questo tempo. Addio.”
Una volta fuori, sentì
l’aria della notte pizzicargli il
viso immerso nell’oscurità. Alzò una
mano guantata verso il cielo come per
afferrare la luna che brillava lontana; era davvero ubriaco.
Non una sola luce brillava nei suoi
occhi neri.
Si trovava in uno dei
quartieri più poveri di
Londra e si sentiva solo come non mai.
* Il Faraone
era
un gioco di carte molto in voga nell'Ottocento, come il Poker
e il Picchetto.
|
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Capitolo 4 *** Quarto. Indecifrabilità e colpa. ***
Ed eccomi di nuovo qui con un altro
capitolo! Un capitolo in
cui, ancora, le cose si complicano, compresi i sentimenti di Callie
stessa. Ma
a parte ciò ringrazio ancora chi mi segue e anche chi passa
temporaneamente a
dare un’occhiata a questa storia. Sotto consiglio di cicina (grazie ancora per la recensione!)
ho deciso che questa
storia rimarrà in questa sezione!
E ora alla lettura! Fatemi sapere!
Un bacio!
Le sembrava di essere immersa in
profonde acque bollenti,
tanto aveva caldo. Casa Norris straripava di gente e c’era
chi le aveva
assicurato che fosse almeno il doppio di quella presente al ballo degli
Hayer.
Ma d’altronde era dei Norris che si parlava e la presenza di
Alexander,
scortato da una decina di amici londinesi, non aveva fatto altro che
aumentare
l’aspettativa e curiosità della gente del luogo.
Una volta entrata, ore prima, Callie
si era ritrovata
davanti, nello stupore più assoluto, una decina di
gentiluomini che rasentavano
pericolosamente il dandismo ed il suo cuore aveva cominciato a battere
velocemente, tanto era turbato.
Chissà
perché ogni
volta penso che possa esserci anche lui in mezzo a loro…
Proprio come
un tempo…
Invece aveva messo a fuoco un
più che affascinante Alexander
Norris e così si era velocemente voltata
dall’altra parte, alla ricerca di Linda
o di qualsiasi altra persona con cui attaccar bottone. Non desiderava
per
niente al mondo esser presentata a quei damerini così alla
moda.
Soprattutto se erano a conoscenza (
come lei pensava che
fossero) di ciò che era accaduto due settimane prima.
Così mantenne la
decisione presa di far finta di nulla e si impegnò ad esser
sempre in
movimento: scherzò, ballò e girò di
sala in sala in continuazione con il solito
sorriso gaio in volto. Non si stupì nemmeno quando si
accorse di starsi
veramente divertendo.
Con tutta la gente presente, evitare
le presentazioni era
stato facile.
“Sono proprio orgogliosa di
me!”pensò mentre, con un
inchino, si preparava a danzare con l’ennesimo cavaliere.
Chi invece non aveva bisogno di farsi
pregare erano le
signorine Hayer che, entro i primi cinque minuti dall’entrata
in casa, erano
già state presentate a tutta la compagnia del loro beniamino
e ora se ne
stavano beate a ciarlare con tre di loro.
“Parola mia, non pensavo
che un uomo potesse portare degli
orecchini e stare così bene!” cinguettò
Charlotte indicando un giovane dai
capelli castani che si inchinò al suo complimento, con gli
occhi azzurri
intrisi di gentilezza. Si portò i ricci boccoluti dietro
l’orecchio, per far
ammirare meglio alla ragazza un brillante attaccato al lobo
dell’orecchio.
David Norris bevve d’un
colpo la sostanza alcolica con una
smorfia: Alexander lo aveva sfidato un'altra volta, portando i suoi
discutibili
amici al ballo. Ma cosa poteva fare ormai?
Solo sperare che finisse presto.
Si voltò verso il
cameriere e prese dal vassoio un altro
bicchiere.
La luna si nascondeva dietro le
nuvole quella notte, ma
almeno fuori faceva più fresco. Callie se ne stava con i
gomiti appoggiati alla
balaustra di marmo e fissava l’orizzonte che si perdeva nel
buio, respirando a
pieni polmoni l’aria della sera. Avrebbe voluto un mondo
sciogliere i capelli
da quella terribile acconciatura, che ne lasciava libera solo qualche
ciocca ad
incorniciarle il viso arrossato dal caldo.
Chiuse gli occhi e si mise in ascolto
dei rumori smorzati
che provenivano dall’interno della casa: risate, voci,
musica…si sentiva così
piccola in quei momenti di solitudine. Niente
in confronto all’universo. Ma questo senso di pace le piaceva.
Si spaventò, sentendo un
tocco ghiacciato alla base del
collo. Voltandosi incrociò lo sguardo con quello
dell’uomo che aveva cercato di
evitare per tutta la serata.
Il senso di tranquillità
di poco prima andò in frantumi in
pochi secondi. Callie guardò la figura slanciata e alta, il
portamento elegante
con cui portava quell’abito da sera sontuoso, i capelli
ribelli come al solito
che gli conferivano sempre quell’aria un
po’disordinata ma comunque
irresistibile.
Sentendo di stare arrossendo,
abbassò gli occhi sulla giacca
blu scuro di lui.
“E ora che posso fare? Sono
con le spalle al muro…!” pensò.
Alexander tendeva ancora verso di lei
il bicchiere
ghiacciato con cui l’aveva toccata “ Avete
sete?” chiese mettendoglielo in mano
senza aspettare la risposta, prima di appoggiarsi con la schiena alla
balaustra,
di fianco a lei.
La ragazza cercò di
nascondere il volto dietro il bicchiere,
bevendo un sorso di quella sostanza scura, ma dolce. Intanto pensava a
come
sfuggire il prima possibile da quella situazione; però,
forse a causa
dell’agitazione, non riusciva a formulare un pensiero che le
sembrasse coerente
o una scusa abbastanza convincente.
I due rimasero per qualche minuto in
silenzio, senza
guardarsi negli occhi. Una, rossa come un peperone, che fissava
ostinatamente
il pavimento; l’altro con gli occhi neri puntati
sull’interno della casa e un
sorrisetto per niente tranquillizzante stampato in volto.
“Ballereste con me,
signorina?”
“No!”
I due si guardarono: lui sorpreso,
lei spaventata dalla sua
stessa reazione. Aveva parlato senza pensare e così gli
aveva risposto in un
modo per niente cortese. Strinse la presa sul bicchiere.
Perchè
le mie gambe
non si muovono da qui? Perché?
“Io…vi chiedo di
scusarmi, ma vedete ho danzato tutta la
sera e comincio ad accusare la stanchezza…”
cercò di giustificarsi, alzando gli
occhi nocciola sul suo volto.
Alexander Norris la guardava con aria
divertita, per nulla
offeso dal comportamento della ragazza. Ne sembrava quasi ammirato. Se
ne stava
voltato verso di lei, con una mano appoggiata al parapetto, e se la
godeva a vederla
in imbarazzo.
Dopo un’altra pausa di
silenzio, in cui Callie finì il
bicchiere, lui le chiese ancora “Posso chiedervi, se non vi
importuno, perché
fate di tutto per evitarmi?”
“E io posso chiedervi
perché voi vi ostinate a comportarvi
così?” lo rimbeccò in uno scatto di
rabbia lei. Perché lo evitava? Ma non era
ovvio? Già
da prima l’aveva preso in
antipatia e l’accaduto a casa sua era stato del tutto
imperdonabile…
Ma era solo
per questo
motivo, vero?
Sospirò: non sapeva. Stava
di fatto che quella conversazione
la metteva a disagio. Quell’uomo la metteva a disagio.
Avrebbe voluto tanto
scappare, ma contemporaneamente non riusciva a muoversi di un solo
metro.
Sentì la mano di lui
portarsi sulla sua guancia e rimanervi
lì, come una tenera carezza. Malgrado i battiti del cuore
pericolosamente in
aumento, Callie la sentiva morbida e fresca. Non poté fare a
meno di
appoggiarcisi leggermente, evitando ostinatamente lo sguardo
dell’uomo.
Perché
non si tirava
indietro?!
“Mi accusate di
fingere…” fece lui in un sussurro,
chinandosi un poco su Callie “…ma io non mi
comporto, io sono
così…”
Stupita, la ragazza castana
portò i suoi occhi nocciola su
Alexander, accorgendosi di averlo troppo vicino, troppo pericolosamente
vicino.
Poteva vedere nei suoi occhi neri chiari segni di sofferenza: ora non
la
guardava più carico di ironia, né con disprezzo,
ma quasi con…
…disperazione.
“Non è
vero..”
L’uomo la guardò
sorpreso “ Come?”
Gli occhi della ragazza brillavano di
una luce pensierosa e
un po’triste, poteva scommettere che lo fissasse con
compassione. E questo lo
irritò.
“Voi…a volte,
avete uno sguardo colmo di tristezza…”
mormorò
lei abbassando gli occhi sul petto dell’uomo.
Arrossì ancora di più: aveva
detto un’altra delle sue sciocchezze! Cosa le era saltato in
mente?
“Brava Callie! Sai sempre
essere fuori luogo!” si maledì
mentalmente.
Alexander sentì il suo
corpo irrigidirsi sotto le parole
della ragazza, il suo cuore ghiacciarsi poco a poco: il passato lo
inghiottiva
di nuovo. Tolse bruscamente la mano dalla guancia arrossata di Callie,
che
sussultò sorpresa, e se la portò davanti agli
occhi neri. Come se volesse
nascondersi.
“Non
è che stai ancora
pensando a quel fatto?”
“Questi non sono affari che
vi riguardano…” fece tagliente.
Lei sgranò gli occhi, ora
spaventata dal suo tono freddo e
dai suoi occhi di ghiaccio. La stava fissando come se volesse
ucciderla.
Quell’uomo era incomprensibile, non lo capiva… e
questo le faceva paura.
“…non
permettetevi più di dirmi una cosa del genere!”
rincarò, allontanandosi da Callie di un passo.
Le parole di Alexander ricaddero nel
silenzio più assoluto.
La musica che si spargeva nell’aria e le risate ricordarono
alla ragazza dove
si trovava esattamente. Il ballo dei Norris. Sì, doveva
andare…aveva promesso a
suo padre che avrebbe danzato almeno una volta con lui….
Sentì gli occhi riempirsi
di lacrime.
“Voi siete impossibile! Vi
detesto!” e superò la sua figura
forte, camminando velocemente verso la sicurezza del salone. Si
asciugò le
lacrime e preparò il sorriso più gaio possibile,
prima di attraversare la
soglia e perdersi fra la folla.
Alexander James Norris non
cercò nemmeno di fermarla. Si
appoggiò con i gomiti alla balaustra, prendendosi la testa
fra le mani, i
capelli corvini che gli nascondevano il volto. Cercò di
respirare
profondamente, per calmarsi. Non ci riuscì.
Maledizione!
“Voi siete
impossibile! Vi detesto!”
Callie strinse il cuscino forte
contro il suo petto,
accovacciandosi in posizione fetale. Non un rumore spezzava la calma di
quella
notte, ma lei non riusciva comunque a prendere sonno.
“Sono stata proprio
crudele…non avrei mai dovuto perdere il
controllo così…dirgli quelle
cose…” pensò socchiudendo gli occhi.
Nascose il
viso contro il tessuto del cuscino.
Poteva vedere di fronte a lei, come
se fosse ancora al ballo
dei Norris, lo sguardo disperato di lui trasformarsi in una maschera di
freddezza. E di nuovo quegli occhi neri che la disprezzavano, come se
l’avesse
colta ancora con le mani nella marmellata.
Una
ragazzina che non
riusciva a farsi gli affari propri…
Si portò una mano sulla
guancia. Però, quando lui l’aveva
toccata, quando le si era avvicinato, aveva pensato che sarebbe stato
bello se
l’avesse baciata. Se avesse annullato le distanza fra loro,
se le avesse preso
il viso fra quelle mani scure e forti e l’avesse guardata con
i suoi profondi
occhi neri. Per un momento, aveva dimenticato tutto. E il muro che gli
aveva
posto di fronte era crollato.
“Voi…a volte, avete uno
sguardo colmo di tristezza…”
Callie chiuse gli occhi, reprimendo
una smorfia infastidita.
Ovviamente era riuscita a rovinare tutto…non sapeva nemmeno
come quella frase
le era sfuggita dalle labbra.
“Anche
se…” pensò “
…è la pura verità.”
Sì, era vero che Alexander
James Norris aveva un carattere
completamente incomprensibile. Non riusciva a prevedere le sue
reazioni, a
capire cosa gli passasse per la mente, a comprendere i suoi cambiamenti
d’umore
così repentini. In più, detestava il modo in cui
si atteggiava in società.
Odio quella
maledetta
maschera…
La ragazza arrossì. Si
chiese perché, poi, sentisse il
bisogno di capirlo. Di sapere. Quando all’uomo, di lei, non
gli importava
proprio niente.
Al pensiero, Callie sentì
una sgradevole sensazione. Una
sensazione che non aveva intenzione di indagare. Così si
mise ritta a sedere e,
con attenzione, accese quattro candele; in modo che un po’di
luce si spargesse
per la stanza. Afferrò il suo libro preferito dal comodino
e, aprendolo a caso,
cominciò a leggere. D’altronde sentiva un gran
bisogno di distrarsi e Orgoglio e Pregiudizio
l’avrebbe senz’altro
aiutata. Parole e scene si susseguirono sotto i suoi occhi voraci,
finché….
“E
posso chiedere a
che tendono queste domande?”
“Unicamente
a
illuminarmi sul suo carattere” disse Elizabeth, sforzandosi
di non parere più
seria. “Ecco a cosa tendo.”
“E
con quale
risultato?”
Ella scosse
il capo…*
Callie alzò gli occhi dal
libro, gli occhi nocciola
nuovamente tristi e pensierosi: forse anche lei come Elizabeth si
sforzava di
comprendere un uomo quasi impossibile da decifrare. Forse, si stava
facendo
accecare dal pregiudizio, era depistata dall’antipatia che
fin dall’inizio
aveva provato nei suoi confronti…
“Non
lo direte ad
anima viva, d’accordo?”
Chiuse il libro di scatto. No. Era
tutto un errore.
Quell’uomo impossibile si era comportato male fin
dall’inizio con lei: si era
preso gioco della sua dignità, l’aveva costretta a
mentire mentre lui
continuava ad atteggiarsi come voleva. L’aveva guardata come
se fosse un
passatempo con cui divertirsi.
La ragazza castana spense le candele
e si rintanò sotto le
coperte, abbracciando nuovamente il cuscino morbido e fresco. Di nuovo
lo
rivide portare una mano sulla sua guancia e guardarla disperato. “Però…avrei
dovuto evitare di dirgli quelle
parole…”
“Voi
siete
impossibile! Vi detesto!”
Erano passati tre giorni da quella
sera. Non si era recata
con Charlotte, Catherine e Margareth a salutare la famiglia Norris
prima della
partenza. Lui, sicuramente, in quel momento era già a
Londra: non l’avrebbe più
rivisto, come tanto aveva desiderato.
Le mani andarono a stringere il
cuscino con forza.
Non sono
riuscita
nemmeno a chiedergli scusa.
L’orologio aveva appena
scoccato le due e tre quarti di
mattina quando Alexander James Norris si era palesato nella sua grande
casa di
Londra. I servi, ancora in piedi e in attesa del suo ritorno,
osservarono
stupiti l’uomo attraversare il grande salone e dirigersi
spedito verso la
camera da letto. Era raro per loro vedere
rincasare il padrone prima delle quattro di mattina,
contando che egli
non si alzava mai prima delle due di pomeriggio. E, notando
l’espressione che
aleggiava sul volto di lui, capirono che era meglio stargli alla larga
almeno
fino alla mattina dopo.
Poiché il loro giovane
padrone aveva l’espressione infuriata
di chi ha appena perduto una forte somma al gioco d’azzardo.
Cosa che Alexander
non riusciva proprio a sopportare.
Dal canto suo, l’uomo si
era buttato sul letto stancamente e
ora fissava il soffitto. L’espressione del suo viso non
comunicava nulla di
buono: le belle labbra sottili erano piegate verso il basso, gli occhi
neri
sembravano più freddi che mai e le sopracciglia aggrottate
gli conferivano
un’aria concentrata. Persino i capelli sembravano
più ribelli del solito.
“Che
umiliazione…perdere cinquecento sterline così, in
un
soffio!” pensò sorridendo amaramente. Di certo non
erano i soldi il suo
problema. I soldi erano solo un fine, ovviamente…e a lui non
mancavano di
certo. Ma dover sopportare quegli sguardi vittoriosi e increduli, come
se
nessuno avesse mai pensato che Alexander James Norris potesse perdere
una sola
partita a carte.
Era stato uno smacco, lo sapeva.
“Questi
sono affari
che non vi riguardano…non permettetevi più di
dirmi una cosa del genere!”
Si voltò improvvisamente
su un fianco, i capelli corvini che
nascondevano il volto, gli occhi persi
nell’oscurità che brillavano turbati.
Sentì il ritmo cardiaco farsi pericolosamente accelerato e
si portò una mano
sul petto, come se potesse fermarlo solo desiderandolo.
Perché
non riesco a
pensare ad altro?!
Ricordava chiaramente quegli occhi
nocciola guardarlo
pensierosi e un po’ tristi, la voce dolce di lei che gli
rivolgeva parole di
compassione, che gli diceva quanto a volte avesse uno sguardo triste.
Gli aveva
chiesto perché continuasse a comportarsi
così…
Alexander trattenne
un’amara risata: com’era ingenua, quella
ragazzina!
La società intera, tutti
coloro che conosceva, persino lei
erano attratti dal suo modo di atteggiarsi artificioso e avvenente.
Rideva
internamente a vederli lì, a pendere dalle sue labbra, si
divertiva. E se
fingeva, tanto a chi importava?
D’altronde…chi
si
metterà mai in testa di darmi contro?
Ma a lei
importava…lei, quella sera, voleva capire. Voleva
ascoltarti…
Le sue dita strinsero convulsamente
il tessuto scuro della
coperta:non era vero. Callie Honeycombe era sicuramente paragonabile a
tutte le
altre. Una ragazzina sciocca, proprio come tutte le altre.
E anche se l’avesse
ascoltato, di certo non avrebbe capito.
Soprattutto lei, che così ingiustamente l’aveva
giudicato senza conoscerlo.
Aveva tentato in tutti i modi di evitarlo, l’aveva accusato
di tenere un
comportamento ignobile, l’aveva insultato e poi,
però, non era riuscita a non
cadere nella sua rete. Proprio come tutte le altre.
Ma allora
perché non
riesco a pensare ad altro?
Si rimise supino e si tirò
indietro i capelli neri con un
gesto nervoso e secco. E, come quella sera, poteva rivedere lo sguardo
ferito
che la ragazza gli aveva rivolto, la sua pelle arrossarsi ancora di
più, le
belle labbra rosate aprirsi sorprese…poi la rivide scappare,
superarlo
velocemente, senza rivolgergli neanche uno sguardo. Solo parole piene
di odio.
Alexander si coprì i bei
occhi scuri con un braccio. Sorrise.
“ L’ho proprio ferita, eh!”
“Questi
sono affari
che non vi riguardano…non permettetevi più di
dirmi una cosa del genere!”
Perchè
mi sento così
in colpa?
“Non è normale,
vi dico!”
Il signor Honeycombe alzò
gli occhi per l’ennesima volta, in
quella lunga mattinata. Si rivolse al Cielo e domandò alla
sua amata Grace
perché era stato da lei così ingiustamente
abbandonato. Lasciato solo con due figliuole
pestifere e così complicate!
Rise fra sé. Gli capitava
spesso di parlare con Grace, anche
se sapeva benissimo che lei non poteva sentirlo né
rispondergli. Ormai erano
passati molti anni dalla sua scomparsa.
Inizialmente pensava che non ne
sarebbe uscito vivo. L’aveva
amata così profondamente che sempre il passato tornava alla
memoria, sempre
sentiva la sua mancanza nella casa così irrimediabilmente
vuota.
Poi però guardava Callie e
Henrietta. Le osservava crescere
e assomigliare alla sua amata in un modo che quasi lo spaventava,
soprattutto
la primogenita, Callie. Se la piccola era scalmanata e incontrollabile
quasi
come lo era stato lui da giovane, lo sguardo della più
grande era perso sempre
lontano, proprio come quello della madre. Anche Grace adorava la vita
di
società, si perdeva spessissimo in sogni ad occhi aperti ed
era così sensibile
ai sentimenti degli altri.
E lo sguardo di Callie, in
quell’esatto momento, era così
simile a quello della sua amata Grace che al signor Honeycombe
sembrò di rivederla
lì in giardino, al posto della figlia.
“Ultimamente è
più distratta del solito!” continuò
Henrietta, agitando le esili gambe sotto la sedia e intanto osservando
la
sorella maggiore che vagava per il giardino, persa in chissà
quali pensieri.
Il padre si trincerò, come
d’abitudine, dietro il giornale
sorseggiando di tanto in tanto una tazza di tea. Poi, dopo qualche
minuto
disse, lentamente “Spero sia l’eccitazione di
andare a Londra per la Season,
altrimenti…”
“Altrimenti?”
scattò la vocina acuta della bambina bionda
“Avanti papà, non tenetemi sulle spine!”
…ho
il terribile
dubbio che la mia piccola Callie sia infatuata di qualcuno.
E per tutto
l’oro del
mondo non vorrei che fosse così…non ancora.
Alzò lo sguardo sulla
ragazza e la vide protendere una mano
verso un cespuglio di rose, accarezzando un fiore distrattamente con la
punta
delle dita. Gli occhi nocciola evidentemente altrove. Sembrava
malinconica.
Non
è felice…e se
penso a quanto in passato abbia sofferto…a causa di
quell’uomo…
Sospirò, cacciando dalla
mente i ricordi di molti anni
prima. Troppo dolorosi. Il signor Honeycombe si riteneva un padre
premuroso e,
da quando Callie era diventata una donna, aveva deciso di lasciarla in
pace e
intervenire solo quando necessario, perché voleva
giustamente lasciarle vivere
la sua vita. Ma si era ben accorto di quanto Alexander James Norris
assomigliasse a quell’individuo che molti anni indietro
l’aveva profondamente
ferita.
Lo stile di vita,
l’abbigliamento, il modo di comportarsi e
di parlare che in pieno rientrava nel dandismo…e Callie
l’aveva detestato dal
primo momento in cui l’aveva veduto.
“Bambina mia, non hai
ancora dimenticato vero?” pensò
socchiudendo gli occhi. Si sentiva stanco, molto stanco. Sicuramente
Grace
avrebbe saputo come intervenire.
Ma lei non
c’era più.
Il signor Honeycombe
guardò Henrietta, che teneva ancora gli
occhi castani puntati su di lui. Le sorrise dolcemente “Ho
idea di far
preparare una bella torta per oggi pomeriggio…che ne
pensi?”
La bambina si illuminò e
gli donò un sorriso felice “Vi
voglio bene, papà! Lo andrò subito a dire a
Callie!” e, dopo averlo
abbracciato, corse fuori.
L’uomo osservò
dalla finestra le due sorelle che si
prendevano per mano e improvvisavano un balletto, evidentemente felici
per la
notizia. Lui si accigliò: Callie sapeva essere veramente
infantile, a volte.
Notò quanto si stesse sforzando di ridere e di sembrare
veramente contenta,
mentre ballava con la bambina bionda.
Si rintanò dietro il
giornale, sospirando “ Non è un compito
facile, mia cara Grace!”
Note:
*Orgoglio e
pregiudizio, cap.XVIII
|
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Capitolo 5 *** Quinto. La linea spezzata, il muro che crolla. ***
Mi scuso immensamente per il ritardo,
ma sembra che in
questo periodo io non abbia mai trovato il tempo per pubblicare! Allora
capitolo nuovo, nuovo avvicinamento fra Callie ed Alexander. O, per lo
meno, li
chiamerei veri e propri scontri…mi accorgo sempre
più che questi due qua non
riescono proprio a capirsi eh! Ringrazio ancora chi mi segue,
continuerò a
pubblicare con fiducia!
Un bacio!
E infine due mesi erano passati.
Callie piegò la lettera in
modo che risultasse perfetta, ma tutto il rumore che producevano quelle
fastidiose carrozze sotto la sua finestra non faceva che toglierle
concentrazione.
Dopo pochi minuti, appoggiò la lettera indirizzata a Linda
bene in vista sullo
scrittoio e si alzò, portandosi vicino alla finestra.
Fuori un’ampia strada
ciottolata era percorsa da carrozze
più o meno fastose che andavano e venivano, mentre una gran
quantità di gente
si godeva una passeggiata mattutina. Vide qualche capannello di persone
qua e
là, sicuramente prese a scambiarsi gli ultimi pettegolezzi
del momento.
Sospirò. Alla fine era
cominciata la
Stagione e lei, il padre
e Henrietta, seguite dalla sempre presente Nanny, si erano trasferiti a
Londra.
Erano ospiti dalla signora Fay Tricot, sua nonna materna.
Quest’ultima era
un’arzilla signora di ottant’anni ormai
vedova e, come la figlia, in gioventù era stata una delle
più affascinanti
ragazze mai vedute a Londra e dintorni. Aveva sofferto immensamente per
la
perdita di Grace e del marito, perciò era sempre molto
felice di ospitare il
genero e le sue due uniche nipoti a Londra durante la Stagione.
Callie si allontanò dalla
finestra: era ansiosa di rivedere
Linda. Sapeva che Margareth era giunta, come lei, da poco in
città visto che i
suoi genitori vi vivevano in pianta stabile e ne era felice. Era anche
molto
contenta del fatto che i genitori di Charlotte e Catherine non
sembravano
intenzionati a recarsi né a lasciar andare le figliole in
città per la Season.
Non poteva sopportare i modi
presuntuosi e imprudenti delle
due ragazze anche a Londra. Rise fra sé “Se penso
a tutte le lacrime versate in
casa Hayer da due mesi a questa parte!”
Il suo viso si rifece serio: due
mesi. E, sebbene il suo
malumore iniziale fosse scomparso, non era riuscita comunque a non
pensare a
quell’uomo…ogni notte il suo viso le ricompariva
davanti. Ogni notte le era
capitato di immaginare come sarebbe stato stare fra le sue braccia o
perdersi
fra le sue labbra sottili.
Si accorse di arrossire e, portandosi
le mani sulle guance,
scosse la testa vigorosamente “Che sciocca!
D’altronde, per come si è
comportato, non dovrebbe farmi sentire così in
imbarazzo…”
E poi non
voleva per
niente al mondo sentirsi legata ad Alexander James Norris…
“Sono proprio diventata
come Charlotte!” pensò disperata,
raccogliendo i lunghi capelli castani in una acconciatura semplice e
altrettanto malferma “Ma ho sempre saputo che un giorno lei e
sua sorella mi
avrebbero contagiata con le loro assurdità!”
aggiunse guardandosi allo specchio
con un sogghigno.
Davanti a lei stava una ragazza esile
e non particolarmente
alta, dagli occhi nocciola grandi e vivaci. I capelli castani, ora
raccolti, lasciavano
intravedere l’ovale
del viso e l’espressione leggermente divertita che vi era
dipinta sopra. La sua
pelle delicata non era mai stata particolarmente pallida e le labbra
rosate non
erano né troppo sottili, né troppo carnose.
Callie si giudicò abbastanza graziosa
per Londra.
“Spero di essere
all’altezza di tutte quelle giovani signore
che fanno dei pettegolezzi e intrighi cittadini tutto il loro
divertimento!
Charlotte si sarebbe sicuramente divertita in loro
compagnia!” pensò lei
infilandosi il vestito verde chiaro che nonna Fay aveva insistito a
comprarle.
“Non
sei minimamente
paragonabile a nessuna ragazza che abbia mai visto…non
voglio separarmi da te,
né ora, né mai…”
Una ciocca di capelli le sfuggi
dall’acconciatura, ma lei
non vi badò. Continuava a fissare il pavimento di legno
sotto i suoi piedi,
mentre in realtà era persa da tutta altra parte. Ricordava
perfettamente tutti
quei gesti, tutte quelle parole, malgrado gli anni
passati…no, non aveva
dimenticato.
Tutte
menzogne. Tutte
scuse per spezzarmi il cuore.
Callie uscì dalla stanza.
Aveva un gran bisogno d’aria, di
pensare ad altro, di lasciarsi trascinare dalla vorticante vita di
Londra e
dalle sue vivaci quanto altrettanto vuote conversazioni.
Così scese in salotto
trovando padre e nonna immersi in una
lunga conversazione, con
la sola
compagnia di una bottiglia di sherry. I due si voltarono alla vista
della
signorina Honeycombe e sul viso rugoso di Fay Tricot
s’aprì un sorriso luminoso
e ammirato.
“Sapevo che il vestito
sarebbe stato d’incanto sulla tua
figura, nipotina mia!” esclamò alzandosi in piedi
e venendole incontro
velocemente: era piuttosto agile per la sua veneranda età
“Siediti, per favore,
e aspettiamo insieme che Pauline mi porti cappello e scialle. Un
bicchiere di
sherry, cara?”
Callie si accomodò sul
divanetto accanto al padre e scosse
la testa di fronte al bicchiere che la nonna le porgeva “ No,
vi ringrazio! Mi
sento così frastornata dal nostro arrivo in città
che un bicchiere come quello
potrebbe farmi sicuramente stare male!”
“Tua nonna, mia cara,
è convinta che un bicchiere di liquore
sia il rimedio a tutti i mali…tanto che lo sostituisce a
qualsiasi soluzione
medica.” asserì il signor Honeycombe sporgendosi
verso la figlia con un
sorrisetto allusivo.
La signora annuì
vigorosamente “ E così sempre sarà!
Nemmeno
tu, caro mio Charles, sei stato capace di farmi ingurgitare quei strani
intrugli. In più, non mi fido dei medici, lo sai!”
“Di certo, cara Fay, la
vostra saggezza è sempre
illuminante…e la vostra età ne è una
conferma!” le disse lui prendendole la
mano grinzosa e accarezzandola gentilmente.
“Stai forse dicendo che
sono ormai tremendamente vecchia?!”
Callie non poté non ridere
di fronte a quella scenetta
famigliare, avrebbe voluto che Henrietta fosse lì con lei
per godersela. Ma la
piccola era fuori con Nanny, alla ricerca di vestitini nuovi.
Alla vista di Pauline, una delle
cameriere di casa, che
veniva verso di loro con ciò che la nonna le aveva
richiesto; Callie si alzò in
piedi “Possiamo uscire ora, nonna…voi, padre, vi
unite a noi?”
L’uomo scosse la testa con
decisione “Per niente al mondo!
Piuttosto che essere inghiottito da quella folla scalmanata
là fuori, io
preferisco stare qui in casa al sicuro con un buon
libro…” e, detto questo,
salutò suocera e figlia per avviarsi verso la piccola
biblioteca.
Quando furono sole, la signora Fay la
prese sotto braccio
“Sai, tu ricordi tantissimo Grace, piccola mia…tuo
padre ti vuole immensamente
bene, ricordalo sempre.”
La ragazza annuì,
chiedendosi in fondo se fosse davvero
così, visto che in precedenza lui sempre le ricordava quanto
madre e figlia
fossero diverse. Però non metteva in dubbio di certo
l’affetto di suo padre per
lei e Henrietta “Lo so, nonna. E anche per me e Henrietta
è così. A volte mi
domando perché non si sia mai voluto
risposare…”
Un’espressione triste
attraversò gli occhi dell’anziana “Per
lui Grace era tutto.” poi aggiunse, cambiando discorso
“ Allora, cara, mi vuoi
dire quale abito hai scelto per il ballo di questa sera? Voglio che tu
sia la
più bella delle signorine presenti, mi raccomando!”
Per lui
Grace era
tutto…
Callie si sentì
tremendamente in pena per il padre. Avrebbe
voluto stargli vicino, ma non capiva come avrebbe potuto alleviare il
suo
dolore. Dopotutto, sua madre era morta da molti anni e non
c’era modo di
riportarla indietro.
Ma la voce della nonna, che le
ricordava il ballo di quella
sera, spezzò i suoi pensieri. Sentì uno
sgradevole formicolio alla base dello
stomaco: erano appena arrivati a Londra e lei già aveva il
timore di rivederlo.
Il pensiero che in città,
con tutto il vivaio di gente
presente, fosse effettivamente più difficile trovarsi
insieme ad una stessa
serata la rincuorò un poco. E, a confermarlo,
c’era il fatto di non averlo
ancora veduto a nessun ricevimento in quei tre giorni trascorsi dal suo
arrivo.
Anche
se…
Era appena passata la mezzanotte e
Callie si era finalmente
messa il cuore in pace. Dopo una prima ansiosa ora passata a guardarsi
furtivamente intorno, ad indagare con gli occhi le grandi sale della
villa dei
Dotthermoore con un incessante e fastidioso sfarfallio alla bocca dello
stomaco, si era rassegnata. Ma,
in
realtà, si sentiva ben contenta di quel fatto.
La serata, nelle ore seguenti, era
trascorsa in maniera
serena e divertente: aveva ritrovato vecchie conoscenze cittadine, era
stata
ragguagliata sugli ultimi avvenimenti e pettegolezzi, aveva danzato con
dei
giovani sorridenti e gentili e ora se ne stava beatamente a parlare con
Margareth e altre due signorine di libri. In più, in molti
le avevano fatto i
complimenti per via del nuovo vestito beige che delineava le curve
sinuose
della sua figura e dei suoi piccoli fiori bianchi, incastonati
nell’acconciatura semplice. Sì, era proprio una
bellissima serata.
“è
appena
scoccata la mezzanotte e io mi sento già stanca
morta!” esclamò Margareth
facendosi timidamente aria con il ventaglio.
Callie rise “Avanti, cara
mia, la notte è ancora giovane! Io
mi sento pronta ad andare a casa non prima delle cinque di
mattina!”
Le altre due signorine le diedero
ragione annuendo
vigorosamente all’unisono: erano due sorelle cresciute nel
tipico ambiente
cittadino. Le loro acconciature complicate, i vestiti
all’ultima moda e i
ninnoli che pendevano dai loro colli e braccia sottolineavano una
sicurezza e
un fascino fuori dal comune; d’altronde le signorine Thompson
erano tra le
ragazze più popolari di Londra. Callie le trovava, oltre che
affascinanti,
anche intelligenti e simpatiche.
Margareth aprì la bocca
con fare scocciato ma, l’arrivo
improvviso di una cugina delle due sorelle le impedì di
esprimere la propria
disapprovazione.
“Lui è
qui!” annunciò in tono tra l’ansioso e
il gaio
l’ultima arrivata, aprendo di scatto il ventaglio e facendosi
aria con forza.
“Lui chi?” chiese
curiosa Callie mentre Margareth aggrottava
le sopracciglia perplessa.
Le signorine Thompson non diedero il
tempo alla cugina di
rispondere. Si sporsero verso di lei, con il viso che esprimeva
sorpresa “Jane,
parlate proprio di lui?”
Callie cominciava davvero a voler
sapere chi era questo
fantomatico signore che suscitava tanto stupore e ansia nelle signorine
più
popolari di Londra e nella loro cugina.
“E di chi altro? Se non di
Alexander James Norris!” rispose
agitata quest’ultima.
Ah, ecco.
Callie si accorse di sentirsi
nuovamente agitata, quasi come
se dalla leggera corrente elettrica la stesse percorrendo da parte a
parte.
Ritirò la decisione di rimanere a lungo al ballo, anzi,
sarebbe ritornata a
casa immediatamente se avesse potuto. Per niente al mondo voleva
incontrarlo,
non dopo il disastroso ballo dei Norris di due mesi prima.
“Voi
siete
impossibile! Vi detesto!”
Socchiuse gli occhi e
respirò profondamente. Doveva stare
calma. “Magari ha dimenticato l’avvenuto, anzi sono
sicura che non ci ha dato
il minimo peso! D’altronde a uno come lui cos’altro
può importare se non solo
sé stesso?” pensò con fermezza,
sentendosi quindi giustificata a non allarmarsi
per la sua presenza al ricevimento.
Quindi non
sono
obbligata a scusarmi, no?
“Ma…ma avevo
creduto che stasera non avrebbe partecipato al
ballo dei Dotthermoore!” fece stupita la signorina Fiona
Thompson,
interrompendo gli ansiosi pensieri di Callie.
“Pare invece che sia venuto
via prima dal ricevimento dei
Garderet e si sia precipitato qui!” rispose estasiata Jane
“ E io penso che sia
molto meglio così!”
Fiona aggrottò le
sopracciglia e si lasciò sfuggire un verso
di disapprovazione, incrociando le braccia sotto il petto prosperoso
“ Sono
quasi certa che sia a causa della presenza della signorina
Duval…in questi
ultimi tempi è stato sempre visto con
lei…”
Callie ignorò la fitta
dolorosa che quella notizia
involontariamente le aveva provocato e si concentrò
sull’arredamento della sala
cercando di non ascoltare, invano.
“Ma è una
francese! E anche fin troppo ingenua per i miei
gusti. Non si è minimamente accorta che il signor Alexander
si sta divertendo a
giocare con lei…”
“Bah! È
risaputo: ad Alexander James Norris piace iniziare
continue schermaglie d’amore con ragazze giovani e
ingenue...se tutte non
cadessero ai suoi piedi!”
Jane sospirò sognante
“ Come vorrei che giocasse anche con
me!”
“Giusto Cielo, cugina! Non
siate scandalosa!”
Le tre parenti e Margareth, che era
rimasta in disparte ad
ascoltare tutto il tempo, scoppiarono a ridere e Callie si
sforzò di imitarle,
in un modo o nell’altro. Si voltò, aprendo il
ventaglio sottile e nascondendosi
dietro di esso “ Scusate amiche mie, penso che
andrò a servirmi da bere…muoio
dal caldo!”
E, detto questo, si
incamminò velocemente verso un punto
imprecisato della villa, scostando la folla senza quasi accorgersene.
Non
sapeva nemmeno lei dove si stavano dirigendo i suoi passi.
…sta
giocando con lei…
…con
ragazze giovani e
ingenue…
“Mi
accusate di
mentire…io sono così.”
“Quanto lo
detesto!” pensò socchiudendo gli occhi e
continuando a camminare. Non riusciva a
capire…perché era del tutto assurdo che
dovesse sentirsi turbata. D’altronde non aveva imparato nulla
di nuovo sul
conto di quel damerino. Era proprio come tutti gli altri.
“
Ovviamente ti ho
corteggiata…ma non sei mai stata di
certo l’unica. Stai cominciando ad annoiarmi,
Callie.”
Era proprio
come lui.
Fermò la sua folle corsa
di fronte ad un cameriere e
agguantò un bicchiere di liquore scuro. Era ad un ballo, non
aveva proprio
voglia di dover ricordare e pensare. Così, individuato un
divanetto vuoto, vi
si sedette e cominciò a bere a piccoli sorsi il bicchiere,
guardandosi
tranquillamente intorno.
Dovettero passare pochi minuti prima
che i suoi occhi
nocciola incontrassero quelli neri e profondi di Alexander James
Norris. L’uomo
la stava guardando stupito, come se non si aspettasse di trovarla a
Londra o
non si aspettasse che quella bella ragazza così elegante
fosse proprio
l’ingenua e campagnola Callie Honeycombe.
La ragazza castana sostenne quello
sguardo di pece, ma non
fece cenno di alzarsi né di aver l’intenzione di
salutarlo. Ebbe modo di
osservare, prima di distogliere lo sguardo, che nessuna signorina
francese
sembrava essere con lui.
“Certo
che…” pensò arrossendo “
…come al solito è sempre
molto affascinante…”
Alexander non venne verso di lei,
anzi la ragazza lo vide
sparire nel salone e ne fu veramente sollevata. Così,
osservando un po’la gente
esibirsi al pianoforte situato in quella stessa stanza e un
po’scambiando
qualche parola con alcuni conoscenti che si avvicinavano al divanetto,
il bicchiere
finì e Callie era pronta per ritornare nella sala da ballo.
Fece in tempo ad alzarsi che, in un
istante, si trovò
davanti l’alta figura di Alexander. L’uomo la
guardava con il solito sorriso
affabile stampato sul volto “Buonasera.”
Se la apparizione di lui non
l’avesse messa abbastanza in
imbarazzo, ci pensò il suo tono di voce gentile ma fermo a
farle sentire il
viso andare in fiamme.
“Buonasera,
signore.”
Callie non capiva come era riuscita a
finire in quella
situazione. O meglio, se doveva trovare qualcuno colpevole per il solo
fatto di
star seduta sul divanetto in compagnia dell’uomo che meno
voleva incontrare,
l’unica imputata non poteva che essere lei stessa. Lei e le
sue gambe
traditici, che non volevano saperne di muoversi da lì.
Alexander la stava squadrando, lo
sentiva. I suoi occhi neri
percorrevano tutta la sua figura, dalla punta dei capelli castani fino
ai suoi
piedi esili, fasciati da piccole scarpette color panna. Se ne stava
zitto,
divertendosi a metterla in imbarazzo solo guardandola.
Callie si sentì arrossire
mentre, a fatica, cercava di
ignorare il suo sguardo “Anche voi qui,
allora…” tentennò, alla ricerca delle
parole giuste da dire. Non sapeva mai come comportarsi in presenza di
quell’uomo incomprensibile.
Dopo le parole che gli aveva dedicato
al ricevimento dei
Norris avrebbe dovuto essere indignato, se non furioso, nei suoi
confronti.
Avrebbe dovuto evitarla. E invece l’aveva salutata con il
sorriso sulle labbra
ed ora era seduto al suo fianco, con l’aria più
tranquilla e indifferente del
mondo.
“Ciò significa
che le mie parole non l’hanno minimamente
colpito?” si chiese la ragazza, portando lo sguardo
pensieroso sul viavai di
gente per la sala.
“I Dotthermoore mi erano
sembrati talmente dispiaciuti
all’idea di non avermi presente a questa serata che non ho
potuto
rifiutare…anche se avevo intanto accettato un altro
invito…” spiegò con
noncuranza, spostando anch’egli lo sguardo sulla stanza.
Malgrado le voci, le risate, il suono
del piano strimpellato
a tutto spiano colmassero la stanza in modo quasi insopportabile, il
silenzio
era calato come piombo fra di loro. Entrambi non osavano guardarsi
negli occhi
e non sembravano intenzionati a rivolgersi più la parola.
Alexander guardava
fisso l’entrata del salone adibito alle danze, come se
aspettasse di veder
comparire qualcuno o qualcosa d’interessante; Callie
rivolgeva lo sguardo
esattamente dalla parte opposta e non vedeva l’ora di
ritrovarsi a casa sua,
sotto le coperte.
“Perché non
trovo niente da dire? Potrei approfittarne e
rivolgergli le mie scuse per il mio ignobile comportamento della volta
scorsa...”
Evidentemente erano stati colpiti
dallo stesso pensiero,
poiché si voltarono entrambi nello stesso momento, pronti a
parlare…se non
fosse stato per l’intervento repentino della padrona di casa,
la signora
Dotthermoore, una ingombrante donna di mezz’età
dalle maniere splendidamente
maleducate, che si pose in mezzo a loro senza tanti complimenti.
“Alexander, mio caro amico!
Finalmente siete giunto! Sapete,
mia figlia Clara vi sta cercando in lungo e in largo! Era ansiosa di
vedervi
sapete poiché l’altra volta…”
L’uomo in questione
sostenne tutto quell’abbondante flusso
di parole con un’invidiabile sorriso e
un’altrettanta invidiabile pazienza,
mentre Callie, dopo uno sguardo sbalordito alla signora, decise che era
il
momento giusto per andarsene. Così si alzò in
piedi senza una parola;
d’altronde la donna non sembrava volerla degnare di uno
sguardo, tanto era
presa a decantare le lodi della figlia ad Alexander.
Che strega!
“Avete mai visitato i
giardini della villa, signorina
Honeycombe?” la
ghiacciò, come ormai
d’abitudine, la voce del giovane uomo che aveva interrotto il
fastidioso
chiacchiericcio di una quanto mai sconcertata signora Dotthermoore.
Callie avrebbe tanto voluto dire di
sì, per non trovarsi
ancora una volta sola con lui; ma lo sguardo indignato che la padrona
di casa
le rivolgeva, come se fosse una presenza di troppo nella sua elegante
sala e
nei suoi piani di avere l’attenzione dell’uomo
tutta per sé, la indusse a
rispondere in tono gaio “No davvero! Immagino che debbano
essere incantevoli,
vero signora Dotthermoore?”
Uno sorrisetto divertito comparve
sulle labbra di Alexander
Norris mentre si alzava in piedi e offriva il braccio alla ragazza
castana “
Allora sento assolutamente il dovere di mostrarvelo!” e poi,
rivolgendosi ad
una signora Dotthermoore pietrificata “ Immagino che voi non
abbiate nulla in
contrario, so quanto andate orgogliosa dei vostri meravigliosi
fiori.”
Non avendo nessuna risposta, se non
uno strano gorgoglio,
l’uomo si allontanò velocemente trascinandosi
dietro Callie, ben agganciata al
suo braccio.
Una volta attraversata la soglia di
casa ed essere usciti
allo scoperto di una notte senza luna, Callie si prese la briga di
chiedere “
Perché mai vi siete messo in testa di trascinarmi
qui?”
“Avanti, signorina! Ho
liberato me da una presenza
fastidiosa e voi dalla sua maleducazione. Non siete contenta?”
“Non di restare sola in
vostra compagnia…” avrebbe voluto
dirgli la ragazza. Ora che erano veramente soli, in compagnia solo di
piante e
dell’oscurità della notte, poteva sentire quanto
forte martellasse il suo
cuore, quanto le guance le stessero andando in fiamme.
“Dovrei esserlo, ma ancora
non capisco perché…”
“Vi piacciono i
fiori?” chiese lui, interrompendola. Il suo
sguardo che vagava per il giardino e ne ammirava la bellezza. E a
Callie sembrò
ancora una volta lontano e distante, come se fosse perso in
chissà quale tempo
e spazio. Di nuovo quello sguardo triste e pensieroso.
Non perderti.
Rimani,
rimani qui con
me.
Strinse un poco le dita sul braccio
di lui, sentendo come un
senso di angoscia invaderle il corpo. Perché sentiva quasi
il disperato bisogno
di sapere? Di capirlo?
“Tantissimo….ma
era mia madre la vera appassionata, non io…”
mormorò rivolgendo lo sguardo a terra. Non voleva vedere
quegli occhi così
malinconici.
Lui si voltò verso di lei,
nuovamente presente “ La signora
Honeycombe? Vostro padre non la nomina spesso.”
“Non da quando è
morta. Ne parla poco persino con me e mia
sorella…per lui mia madre era tutto.” concluse la
ragazza, riutilizzando le
parole di sua nonna. Si chiese perché non provasse il minimo
turbamento a
parlarne con un perfetto estraneo.
Sentì il corpo
dell’uomo irrigidirsi un poco.
“Sembra
quasi che
l’anima ti venga portata via, quando succede.”
disse Alexander in un tono non
suo “E sembra di impazzire poiché non si
può dimenticare un dolore così
grande…no, non è possibile. Ci si rassegna solo,
alla fine.”
Callie lo guardò sorpresa.
I suoi occhi neri ora erano più
lontani che mai, il corpo era rigido e l’espressione del viso
trasudava di
nuovo di disperazione. Lo vide voltarsi dall’altra parte,
come se non volesse
farle vedere il volto.
Quindi
è questo…
Però,
ti prego, non
perderti, non tornare indietro.
“Ci sediamo?”
chiese lei con un tono di voce un po’più alto
del solito. Desiderava distrarlo dai quei pensieri dolorosi, riportarlo
indietro, al presente, a lei. E sembrò funzionare
poiché Alexander annuì e la
guidò verso una panchina di pietra situata a pochi metri da
loro.
Callie sentiva una sottile ansia
percorrerle ogni centimetro
del corpo: l’uomo al suo fianco non accennava a proferir
parola. Si chiese cosa
potesse fare o dire, quali fossero le parole giuste da rivolgergli ma
non
faceva altro che osservare quella figura in nero tormentandosi un lembo
del
vestito con le mani.
Alexander era piegato in avanti, con
le braccia appoggiate
alle ginocchia e le mani leggermente intrecciate. I capelli corvini e
ribelli
che gli coprivano parzialmente il volto scuro. E ancora non parlava.
Dì
qualcosa…
“Io…”
esordì lentamente e senza guardarla
“…io non ho fatto
altro che pensare a voi in questi due
mesi.”
La ragazza spalancò gli
occhi, sorpresa dalle uniche parole
che si aspettava di non udire. Sentì chiaramente il cuore
martellarle il petto
ferocemente e una bruttissima sensazione bruciarle nello stomaco. Le
sembrava
quasi di non riuscire a respirare.
Ancora una volta il pensiero di non
riuscire proprio a
comprendere le intenzioni e i modi di Alexander le passò
velocemente per la
testa. Non capiva perché le avesse rivolto quelle
parole…era vero? Avrebbe
dovuto dare credito alle parole di un uomo assurdamente ricco e
affascinante
che poteva pretendere e avere tutto ciò che voleva?
Di certo molto più di una
strana ragazza come lei.
Si riscosse e, distogliendo lo
sguardo da lui, disse piano
“Signore, come al solito vi divertite a farvi beffe di
me?”
Alexander guardò un
po’sorpreso la ragazza al suo fianco.
No, non era quella la reazione che si era aspettato. Per un momento,
aveva pensato
che lei fosse diversa, che avrebbe capito, che gli avrebbe creduto. E
invece
eccola lì, che gli rivolgeva parole a cui di solito non
avrebbe dato alcun
peso, poiché tante volte se le era sentite dire da signorine
ormai perdutamente
innamorate. Ma dette da quella ragazzina, quella frase aveva assunto
improvvisamente un altro sapore.
La signorina
Honeycombe era sicuramente paragonabile a tutte le altre.
“Voi…a volte,
avete uno sguardo colmo di
tristezza…”
Poi accadde qualcosa.
“ Vi chiedo
scusa…” fece Callie con una voce stranamente
piccola, rotta dall’imbarazzo “…vi
chiedo scusa per le parole terribili
dell’altra volta. …voi siete tremendo in un certo
qual modo ma…in quel momento
sono io che ho sbagliato.”
E lo guardò dritto negli
occhi: non doveva lasciarsi vincere
dall’incertezza, non ora che era riuscita a trovare il
coraggio di chiedergli
perdono. Non doveva più abbassare la testa di fronte a
quell’uomo, per quanto
il suo cuore la tradisse ogni singola volta che lui fosse nei paraggi.
Perché
anche io non
riesco a pensare ad altro…
Vide che Alexander la guardava con
occhi sorpresi, poi un
piccolo sorriso triste si fece strada sul suo volto dandogli
un’aria
malinconica che, pensò Callie, lo rendeva ancora
più bello. Sussultò sentendo
la presa improvvisa delle sue mani forti sul viso, la sua figura alta
chinarsi
su di lei.
Dopo un lungo momento, in cui la
ragazza aveva pensato di
poter morire d’infarto, le mani dell’uomo scesero
leggere sul suo collo e le
andarono ad accarezzare le spalle scoperte in una tenera carezza. Poi
di nuovo
risalirono verso l’alto, verso il viso arrossato di lei, e
percorsero ogni
singolo lineamento, dalla punta del naso alle labbra rosee ora
dischiuse in un
sospiro.
Callie rabbrividì sotto
quel tocco, neanche per un momento
aveva pensato di sottrarsi ad esso. Anche se, forse, sarebbe stata la
cosa
migliore. Per la sua salute, ovviamente.
Alexander, come se si accorgesse dei
suoi pensieri, le
chiese sfacciatamente “Posso toccarvi?”
“Lo state gia
facendo.” gli rispose lei in tono severo,
alzando i suoi luminosi occhi nocciola su quelli bui di lui. Sembravano
bruciare, quegli occhi.
Lui sorrise e, avvicinandosi di
più, continuò ad
accarezzarle il viso e le spalle con dolcezza. A Callie era sembrato
che lui
volesse esplorarla, conoscerla, capirla attraverso i sensi
più che con le
parole. Poiché con le parole loro due non riuscivano davvero
a comprendersi. La
ragazza capì ancora una volta che il muro che lei gli aveva
posto davanti era
crollato in mille pezzi. Chiuse gli occhi, come se così
potesse capire meglio i
suoi gesti, scoprire i tracciati misteriosi delle sue dita sulla sua
pelle.
Continuo a
gravitare
attorno a quest’uomo impossibile e ancora non ne capisco il
motivo…
Sentì la fronte di lui
contro la sua e le sue parole
sussurrate piano all’orecchio “Posso
baciarvi?”
…ma
ora, adesso, è
tutto diverso.
Callie socchiuse gli occhi, trovando
il viso di Alexander
così vicino da poter sentire il suo respiro. Anche se avesse
potuto, non sapeva
comunque cosa rispondergli. La sua mente era annebbiata, come
anestetizzata;
sentiva di non poter formulare neanche un pensiero minimamente coerente
tanto
la vicinanza di lui le metteva confusione. Sapeva benissimo che se lui
avesse
scelto di averla lì, in quel momento, lei non
l’avrebbe fermato. Questo un poco
la spaventava, perché i suoi occhi neri stavano bruciando
come non mai.
Alexander non abbandonava il suo viso
nemmeno per un
secondo: le pareva infinitamente bella e innocente. Le sembrava
così diversa da
lui che sentiva l’impellente bisogno di stringerla, di
averla, di macchiarla un
po’con la sua anima ormai corrotta. Ora, solcando la sua
pelle con le dita,
poteva capirlo: non sarebbe mai riuscito a paragonarla a tutte le altre
donne.
Mai.
“Questo
vuol dire per sempre,
lo sai?”
“Perché
me lo chiedi?”
“Oh!
Non metterti così
a ridere, Alexander! Se pensi che io sia l’unica,
l’unica donna a cui puoi
aprire il tuo cuore…”
“è
quello che ho detto, infatti. Non
posso più guardare nessun altra da quando ho conosciuto
te.”
“Allora
questo non può
che essere per sempre, non credi, meu amor?”
E quel
sorriso
luminoso, come dimenticarlo?
Con un gesto secco, quanto
improvviso, l’uomo puntò le mani
sulle spalle di Callie e l’allontanò da
sé. Non fece caso al sussultò sorpreso
di lei, come non fece caso allo sguardo confuso che si faceva strada
nei suoi
meravigliosi occhi nocciola. Si alzò in piedi e, senza
guardarla, le diede le
spalle.
In quel momento la sua presenza,
lì vicino a lui, sembrava
essere insopportabile. Si sentiva bruciare.
L’arrivo delle signorine
Thompson fu provvidenziale. Le due
avevano svoltato l’angolo e adesso si stavano dirigendo verso
la panchina
radiose e sorridenti, alla vista di Alexander e dell’amica.
L’uomo in questione
si affrettò ad andare verso di loro e a prodigare i migliori
saluti, con un
sorriso affettato in volto.
Callie era ancora seduta e fissava la
scena in svolgimento
davanti a lei con occhi sbarrati. Non capiva. Si portò un
dito sulle labbra:
prima la strana discussione riguardo alla morte di sua madre, poi le
sue dita
sulla pelle e le sue parole sussurrate all’orecchio e
ora…l’aveva bruscamente
allontanata. Ma questo prima dell’arrivo delle due sorelle,
quindi cos’era
accaduto?
No, non capiva.
“Non mi guarda nemmeno
negli occhi…” pensò confusa Callie,
fissando la schiena solida di Alexander che ora parlava serenamente con
le due
signorine Thompson “ Perché non si volta verso di
me?!”
“Insomma!”
chiocciò seccata Fiona “Dovete assolutamente
dirci cosa facevate qui con la nostra amica! Non la stavate tediando
spero!”
“Al contrario, la signorina
Honeycombe ama molto i fiori e
quindi ho pensato che sarebbe stato divertente condurla nei giardini
della
villa, tutto qui.” rispose l’uomo con un gesto di
noncuranza.
Sarebbe
stato
divertente…
…tutto
qui.
“Voi…”
cominciò Callie con voce tremante “
Voi…vi stavate
divertendo?”
Cercava di sembrare più
serena, indifferente possibile.
Cercava di contenere tutto quel sentimento che rischiava di travolgerla
e
straripare come un fiume in piena. Anche se aveva una gran voglia di
piangere.
Furono le parole di lui a dare la
sferzata finale al suo
cuore. Si voltò leggermente verso di lei, tanto che tutto
quello che Callie
riuscì a vedere era il suo sorriso. Ma non era il solito
sorriso di circostanza
o il sorriso malinconico di poco prima. Era un sorriso largo, quasi
folle.
“Proprio
così!” disse.
E Callie non seppe più
cosa rispondere.
Tutte
menzogne. Tutte
scuse per spezzarmi il cuore.
“…stai
cominciando ad
annoiarmi, Callie.”
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Capitolo 6 *** Sesto. Se si finge indifferenza... ***
Eccomi tornata con il sesto capitolo!
E, sia lodato il
Cielo, vediamo il ritorno in scena di una Linda pronta a sostenere
l’amica in
questa situazione a dir poco impossibile.
Alexander è una persona a dir poco complicata, no?
Eh, povera poverissima
Callie!
Un bacione!!
Ah! Non dimentico mai di ringraziare
coloro che continuano a
seguire questa storia!!! Spero di continuare ad appassionarvi!
Callie era riuscita nel suo intento.
Era sembrata la
fanciulla più gaia del mondo mentre si alzava dalla panchina
e prendeva congedo
dalle due signorine Thompson, mentre volgeva le spalle a
quell’idiota di
Alexander James Norris, mentre pregava Margareth di riaccompagnarla a
casa con
la sua carrozza e si scusava del fastidio che poteva darle, visto che
erano
appena le tre.
Poi però non era
più riuscita a fingere. Era bastata una
lacrima traditrice per farla scoppiare in un pianto a dirotto che aveva
stupito
e spaventato Margareth. La paffuta ragazza non le aveva chiesto niente:
l’aveva
solo accolta fra le sue possenti braccia e l’aveva fatta
sfogare, in attesa di
qualche spiegazione o almeno che si sentisse un po’meglio.
Ma Callie non riusciva a sentirsi
affatto meglio. Più
piangeva, più si sentiva bruciare: le guance, lo stomaco, i
polmoni, il
cuore…tutto sembrava bruciare. Forse, pensò, la
colpa era stata di quegli
occhi.
“Proprio
così!”
L’aveva maledetto.
L’aveva maledetto veramente tanto mentre
piangeva sul petto di Margareth, nella carrozza che l’avrebbe
portata a casa, a
letto. Al sicuro. Sotto le coperte, dove sicuramente non avrebbe potuto
prender
sonno, poiché sarebbe stata troppo occupata a darsi della
stupida.
Un’altra
volta.
Si era
scusata, si era
confidata, si era illusa di poterlo
capire e si era lasciata andare.
Si era
fidata…
Un’altra
volta.
E un’altra volta aveva
sbagliato.
Alla fine le lacrime si esaurirono e
Callie, senza una
parola, si accontentò di appoggiare il capo sulla spalla
dell’amica mentre
quest’ultima sospirando le accarezzava la testa dolcemente.
Era grata a
Margareth di quel silenzio anche se, forse, avrebbe preferito che le
dicesse
qualcosa. Qualsiasi cosa pur di non ascoltare i suoi stessi pensieri.
“Se avete bisogno sapete,
io sarò sempre qui.”
Callie alzò la testa
lentamente e fissò quei rotondi occhi
verdi, che brillavano preoccupati “ Grazie, Margareth. Di
tutto, davvero.”
L’altra scosse la testa
sospirando “Dobbiamo aiutarci a
vicenda…penso che questo mondo sia molto più
difficoltoso da vivere per noi
donne che per gli uomini. Dobbiamo sopportare troppe cose e superare
troppi
ostacoli…Dio solo sa quanti segreti noi donne dobbiamo saper
tacere.”
“Non
lo direte ad
anima viva d’accordo?”
“Già…”
rispose Callie in un sussurro.
Erano rimaste in silenzio per tutto
il viaggio restante,
solo con il rumore delle ruote della carrozza sulla strada ciottolata
come
sfondo sonoro. A Callie sembrava che nemmeno quel suono potesse coprire
i suoi
pensieri che facevano a gara ad accavalcarsi l’uno
sull’altro.
Una volta arrivate alla casa, e aver
ringraziato per
l’ennesima volta Margareth, la ragazza castana si era
infilata velocemente a
letto e aveva tirato su le coperte fin sopra la testa.
Si sentiva bruciare ma, stranamente,
non aveva caldo; anzi
sentiva come un senso di vuoto e si accorse di stare tremando. Si
chiese se era
possibile sentire due sensazioni così contrastanti nello
stesso momento…ma,
d’altro canto, quella situazione si adattava benissimo ai
suoi rapporti con il
giovane signor Norris: fin dall’inizio lui era riuscito a
sfaldare le sue
certezze e a mescolare le carte in tavola, facendola sentire una
sciocca a
causa di quei sentimenti che Callie non riusciva o non voleva
decifrare.
Proprio come il carattere di lui. Incomprensibile: non riusciva proprio
a
capire dove finisse il limite della bugia e iniziasse la
verità.
“Posso
toccarvi?”
Callie si prese il viso tra le mani.
I percorsi tracciati
dalle sue dita sembravano voler rimaner bene impressi sulla sua pelle e
bruciavano come vere e proprie ferite fisiche. Gli aveva permesso di
toccarla,
di rompere il muro che lei gli aveva posto davanti. Aveva pensato,
assurdamente, che fosse un modo suo per esplorarla,
conoscerla…che imbecille
che era stata!
“Voi
…vi state
divertendo?”
Chiuse gli occhi di scatto, come se
potesse scacciare quei
ricordi dalla mente. Si accorse di odiarlo con tutte le sue forze. Ora
vedeva
chiaramente la verità: odiava quella figura alta, odiava i
suoi capelli corvini
e ribelli, odiava quei profondi occhi neri. E odiava il modo in cui
sorrideva,
affettato e galante. Pure il sorriso triste che poche volte le aveva
dedicato
le dava il voltastomaco. Lo detestava più di chiunque altro,
persino più di lui.
Poiché la sua comparsa aveva
rivangato il passato, ricordi che lei credeva ormai archiviati nella
sua
memoria. Lo odiava e avrebbe voluto che sparisse per sempre.
“Proprio
così!”
Aveva il corpo in fiamme.
Linda, una volta arrivata a Londra,
non si aspettava di
trovarsi di fronte ad una Callie più sorridente e gaia che
mai. Pensava di
trovarla un po’pensierosa, forse cupa al pensiero di dover
incontrare così
spesso Alexander James Norris nel suo territorio naturale.
D’altronde nella settimana
prima della sua partenza, Callie
non era riuscita a parlare d’altro. Era veramente curiosa di
essere aggiornata
dall’amica: voleva sapere ogni cosa della settimana passata a
Londra da Callie.
Poiché, sospettava, che tra la ragazza e Alexander vi fosse
qualcosa.
Le sue aspettative vennero deluse da
una scalmanata e
gioiosa Callie che, trascinandola per le vie della città
sotto braccio, le
decantava le bellezze della vita sociale londinese e le spifferava
tutti i
pettegolezzi di cui non era a conoscenza.
“Davvero! E pensare che non
ha ballato che due volte! Ah,
Linda, guardate questo cappellino! Non credete sia stupendo?”
La ragazza bionda trovava strano che
Callie non avesse
nominato ancora Alexander Norris in due giorni che erano state insieme
e ora
quasi disperava che l’amica non ne avrebbe mai più
parlato. Si chiese il
perché…evidentemente qualcosa, ancora una volta,
doveva essere accaduto.
Perché
Callie sta
fingendo.
Conoscendola da molti anni, Linda non
poteva non riconoscere
la maschera quasi perfetta che la ragazza aveva indossato. Avrebbe
voluto che
si confidasse con lei, che le parlasse, poiché dopo che
Callie l’aveva aiutata
a risollevarsi in quel periodo buio della sua vita, si sentiva in
eterno debito
con lei.
“Capite?!
Era
sposato…è uno scandalo! I miei genitori non mi
vorranno nemmeno più guardare in
faccia!”
“Linda,
non è colpa
vostra! Guardatemi! Ci sarò sempre io accanto a voi,
qualsiasi cosa accada!”
“Da…davvero?”
“Sì,
ricominceremo
insieme, passo dopo passo…”
Linda sospirò,
spazzolandosi i lunghi capelli biondi. E due
anni dopo, quando era toccato a Callie cadere nella più
profonda disperazione,
lei non si era sentita abbastanza adatta ad aiutarla. Altrimenti
l’amica non si
sarebbe portata dietro negli anni i segni di quel terribile fatto.
Aveva appena
diciassette anni.
“A che pensate?”
La voce serena della ragazza in
questione spezzò il filo dei
ricordi di Linda che rispose, voltandosi leggermente verso
l’amica “ Penso che
sia ora di smettere di fingere…”
Il sorriso di Callie si
trasformò in una strana smorfia
spigolosa. Appoggiò il quadrino che stava dipingendo sul
comodino e si alzò
dalla sedia, dirigendosi verso Linda “A che vi
riferite?”
“ Oh! Lo potete benissimo
intuire da sola…” rispose questa,
posando lo sguardo sullo specchio di fronte a sé. Poteva
vedere l’espressione
combattuta di Callie, in piedi dietro di lei “ ..parlo del
signor Alexander
Norris.”
Solo a pronunciarne il nome Callie si
irrigidì e spostò lo
sguardo confuso all’altro capo della stanza “E
quindi?”
Linda seppe d’aver centrato
il nervo scoperto dell’amica.
“Non volete raccontarmi cos’è accaduto?
Non potete mentirmi…” e aggiunse, in
tono più dolce “…vi conosco da molti
anni, l’avete dimenticato?”
“Ci
sarò sempre io
accanto a voi, qualsiasi cosa accada!”
“Cosa deve essere
successo?” esplose d’un tratto Callie, con
voce pericolosamente incrinata. Si prese il volto fra le mani,
nascondendosi a
Linda “ Non è accaduto proprio nulla! Lo sapete
bene, io odio quell’uomo! Lo
odio!”
La ragazza bionda si alzò
velocemente in piedi e si
precipitò ad abbracciare l’amica “ Oh,
tesoro…” sospirò “Lo
so…perdonatemi, non
volevo causarvi questa pena…”
Callie scosse la testa e si tolse
lentamente dall’abbraccio
di Linda “No, siete nel giusto. Non ne posso più
di dover fingere…soprattutto
con voi. È tempo che vi racconti tutto.”
E così Linda venne a
conoscenza del fattaccio accaduto al
ballo dei Dotthermoore. Non poté fare a meno di pensare che
un’altra volta
Callie si fosse infatuata di un uomo davvero impossibile, ma questo si
trattenne dal dirlo all’amica, visto che la stessa
interessata era decisa a
negarlo con forza.
In più, non riusciva
davvero a capire il comportamento di
Alexander Norris: era evidente che non ci fosse da fidarsi di lui, ma
contemporaneamente, la stupiva il fatto che nei confronti di Callie
tenesse un
comportamento alquanto bizzarro per un dandy popolare come lui.
E poi, perché accanirsi su
Callie, se aveva avuto e poteva
avere molto meglio di lei?
Come quella signorina
Duval…
“Amica mia, prima di
questo…non è che è accaduto
altro?”
La ragazza in questione
alzò gli occhi nocciola su di lei,
sorpresa e presa in contropiede da quella domanda. Non se
l’aspettava.
“Non
lo direte ad
anima viva d’accordo?”
“…non
permettetevi più
di dirmi una cosa del genere!”
“Io
non ho fatto altro
che pensare a voi in questi due mesi.”
Si morse un labbro. “No,
non è accaduto nient’altro….”
rispose, sentendosi tremendamente in colpa poiché sapeva che
Linda non le
avrebbe affatto creduto. Glielo leggeva negli occhi azzurri percorsi
dalla
delusione.
“D’accordo…”
sospirò quest’ultima, cominciando a intrecciare
i capelli dorati “ E d’ora in poi che avete
intenzione di fare?”
“In che senso?”
“Con
colui-che-è-meglio-non-nominare, intendo!”
Callie sorrise, divertita “
E che altro se non ignorarlo? Di
certo non posso prenderlo a ceffoni, anche se lo farei volentieri. Me
ne terrò
lontana!”
“E se fosse lui a venire da
voi?”
Gli occhi nocciola di Callie
sembrarono svuotarsi “Peggio
per lui, allora.”
Linda si immobilizzò: gli
occhi di Callie erano davvero
pieni di risentimento. Di rancore pericoloso. E questo, per un momento,
la
spaventò.
Temo che i
guai siano
appena iniziati.
Il banco di prova fu il ricevimento
indetto dai Thompson
pochi giorni dopo.
Linda poté osservare come
Callie riusciva a tenere fede alle
sue parole: temeva che la ragazza si potesse far sopraffare dai suoi
stessi
sentimenti. E l’idea dell’amica che gettava il
bicchiere di vino addosso ad
Alexander James Norris di fronte a tutta Londra non le infondeva di
certo
sicurezza.
Ma non accadde nulla di tutto
ciò che aveva temuto.
Quando Callie e Alexander si
incrociarono, diretti entrambi
nella direzione opposta, la ragazza non posò nemmeno uno
sguardo su di lui e,
d’altra parte, nemmeno l’uomo si sognò
d’avvicinarla.
Si erano praticamente sfiorati, ma fu
come se non si fossero
nemmeno veduti.
Linda si accorse con soddisfazione
che Alexander non si era
del tutto aspettato quell’atteggiamento di pura indifferenza
da parte di
Callie. E, sempre con crescente soddisfazione, notò gli
sguardi sfuggenti che
lui di tanto in tanto le rivolgeva durante tutta la serata. Per il
resto, il damerino
si comportava come se nulla fosse e, con il solito sorriso artificioso,
si
godeva il ricevimento da vero beniamino della Buona Società.
Linda vide che Callie non sembrava
essersi accorta degli
sguardi di lui ed avrebbe detto che fosse una delle signorine
più felici del
ballo se il modo in cui rideva, un po’forzatamente, e la
presa stretta
convulsamente sul bicchiere non avessero tradito una certa tensione.
La ragazza bionda era intenta a farsi
aria con il ventaglio,
mentre osservava l’amica che ballava soavemente per il
salone, quando una voce
acuta le penetrò l’orecchio.
“Giusto Cielo! Ma non era
stato trattenuto in America per
affari?”
“Che dite, cara?! Come
potete non sapere che ormai è qui a
Londra da una settimana? Non l’avete forse veduto ieri, al
pranzo dei
Garderet?”
Linda diede attenzione alle due
signorine al suo fianco che,
tutte agitate, parlottavano fissando insistentemente un punto
indefinito tra la
folla. Si chiese di chi stessero parlando.
“Sarà pure uno
dei migliori amici del signor
Alexander…”pigolò
una “…ma secondo me fra lui e il signor Cecil
Price non c’è margine di
paragone!”
“Ben detto amica
mia!” assentì l’altra.
Linda seguì con gli occhi
lo sguardo delle due donne e non
fece fatica ad individuare l’uomo di cui parlavano in mezzo
alla folla: Cecil
Price era una persona alta e molto magra e, al contrario
dell’amico Alexander,
i capelli erano biondissimi e lunghi, tenuti legati da una morbida e
bassa
coda. Gli occhi castano chiaro brillavano calmi e tranquilli dietro a
sottili
occhiali cerchiati d’oro.
Ed era sicuramente un dandy ma,
diversamente da Alexander e
altri, era un eccentrico. Preferiva colori sgargianti
nell’abbigliamento e
anelli vari si esibivano attorno alle sue dita pallide e sottili,
mentre alcuni
bracciali facevano bella mostra di sé attorno al suo polso.
Linda era solita ridere di quei
personaggi grotteschi che si
aggiravano per Londra; ma ora, nel osservare l’alta figura
del signor Price,
non riusciva proprio a trovare nulla da dire nei suoi confronti. Come
poi tutte
le altre persone presenti.
Anzi, le signorine sembravano
idolatrarlo.
Per qualche coincidenza
l’uomo si trovò proprio al fianco
della ragazza, mentre chiacchierava serenamente con le due signorine
che fino a
poco prima avevano parlato di lui. Linda ascoltava di nascosto la
conversazione
dei tre, gettando qualche occhiata timida di tanto in tanto alla
schiena di
Cecil, ed ebbe modo di notare quanto fosse misurato e calmo il suo tono
di
voce.
“Signorina
Clayton?”
Linda si voltò verso i
tre, sorpresa “Sì?”
“Posso presentarvi il
signor Cecil Price? Sapete è appena
tornato dal continente Americano!” chiocciò una
delle signorine, evidentemente orgogliosa
di potersi vantare di quella conoscenza così di spicco in
società.
Linda accennò ad un breve
inchino. “Piacere…” sussurrò,
arrossendo.
L’uomo la
squadrò, aggiustandosi gli occhiali sul naso “Il
piacere è mio, signorina.”
“Non siate così
composto, signor Price! Perché non la
invitate a ballare?”
Linda si sentiva studiata a fondo da
quegli occhi castani,
ma fece leva su tutta la sua volontà per non distogliere lo
sguardo. Non si
sarebbe mostrata debole davanti ad un uomo.
Mai
più…
Osservò con orrore la mano
guantata del damerino che si
allungava verso di lei “Un’ultima danza prima della
fine del ballo?”
Non avrebbe dovuto fidarsi di
quell’eccentrico, soprattutto
se era amico di Alexander James Norris. Ma Linda diede la colpa alla
sua voce
gentile e tranquillizzante, ad una sua momentanea distrazione o ad un
momento
di demenza per il fatto di averla afferrata ed aver accettato la sua
proposta.
Brava
Linda…ti eri
riproposta di non avvicinarti più a
personaggi del genere!
Mentre
Callie ha
tenuto fede alle sue parole…tu, adesso, che hai combinato?
“Voi
…vi stavate
divertendo?”
“Un altro,
Gordon.”
“Ma…signore,
questo è il sesto bicchiere…non credete
che…”
Alexander fulminò il suo
maggiordomo con lo sguardo “Ti
consiglio vivamente di tacere e di portarmi direttamente tutta la
bottiglia. A
meno che tu non voglia essere definitivamente congedato da questa casa
ovviamente.”
Il tono gelido del padrone indusse
l’anziano servitore a
stare, come consigliato, zitto e ad ubbidire velocemente
all’ordine. D’altronde
sapeva bene di cosa era capace Alexander quando perdeva il controllo,
quindi
meglio lasciarlo da solo a bere.
Quando Gordon fu di ritorno, con una
bottiglia piena in
mano, notò che il suo padrone si era tolto la giacca nera e
l’aveva buttata
malamente sul pavimento, lontano da sé. Se ne stava
beatamente seduto sul
divano con le gambe appoggiate sul tavolino.
Sospirando, il maggiordomo
poggiò la bottiglia sul piano e
andò a raccogliere la giacca: il padrone era proprio un uomo
impossibile. Erano
le sei del mattino e lui ancora non accennava a voler smettere di bere,
visto
che sicuramente aveva già iniziato al ricevimento dei
Thompson, molte ore
prima.
“Signore, con il vostro
permesso…”
“Vattene.”
A Gordon non rimaneva che inchinarsi
e sparire in silenzio.
Alexander, approfittando della
solitudine, prese un lungo
sorso di liquore direttamente dalla bottiglia. Voleva bere e non
pensare a
nient’altro. A nessun altro.
Appoggiò la testa corvina
all’indietro, sul divano. Gli
occhi neri si fissarono sull’alto soffitto del suo salone, in
quel momento
tremendamente vuoto.
“Dio, quanto mi sento
solo.”
“Voi
…a volte, avete
uno sguardo colmo di tristezza…”
Perché
le veniva
sempre in mente lei?
La
voleva. Sì, perché
non poteva più negare il desiderio di possederla
interamente. La signorina
Honeycombe era così bella e ingenua. Ed era innocente,
pulita. Era tutto ciò
che lui non era.
“Sono proprio
ubriaco…a pensare certe cose di una donna come
tutte le altre.”
Non sarebbe
mai
riuscito a paragonarla a tutte le altre donne. Mai.
E per tutta la serata dai Thompson,
l’aveva trattato con
un’indifferenza che faceva quasi invidia. Aveva fatto finta
di non conoscerlo
con una naturalezza che l’aveva letteralmente lasciato di
stucco, perché di
certo non se l’era aspettato. Aveva creduto di incontrare due
occhi nocciola
furiosi e imbarazzati, non freddi e vuoti. Ancora una volta Callie
l’aveva
stupito.
“L’ho ferita
un’altra volta…” pensò,
prendendo un altro
lungo sorso dalla bottiglia. Si posò una mano sulle labbra sottili e umide, mentre un
sorriso amaro si
faceva strada sul suo volto.
Ma anche a
me non è
costato poco…lei… mi fa agire come uno stupido.
Mi fa
sentire
veramente un imbecille!
Un fruscio alle sue spalle lo
distolse dai suoi poco lucidi
pensieri. Voltandosi, inquadrò una figura esile ai piedi
della scalinata,
coperta solo da un lenzuolo candido.
“Alexander…non
venite a letto?”
“No.” rispose
seccamente l’interessato.
La giovane donna si fece timidamente
avanti, con un
sorrisetto poco sicuro stampato in faccia “Perché
vi siete rivestito?”
L’uomo si alzò
in piedi stancamente, cercando di dominare il
giramento di testa folle “Per riaccompagnarvi a casa
signorina. Credo che
vostra madre, la signora Dotthermoore, sia un poco preoccupata. Avanti,
rivestitevi. Guiderò io la carrozza.”
“Ma…ma…”
l’imbarazzo e la delusione della signorina furono
evidenti. D’altronde sua madre l’aveva fatta andare
al ballo dei Thompson
proprio per accalappiare il ricco damerino a qualsiasi costo. E invece era stato lui ad
accalappiare lei al
ricevimento.
“Siete ubriaco!”
concluse la ragazza con voce incrinata.
Alexander si posò un dito
sulle labbra con espressione sorpresa
“Oh! Avete proprio ragione! In questo
caso…Gordon!”
Il maggiordomo preferito del giovane,
sempre a disposizione
e reperibile, comparve dal corridoio con aria stanca. Anche se aveva
una
propria opinione sulla scena di fronte a lui, non lo diede a vedere
“Sì,
signore?”
“Per favore, accompagnate
questa signorina a casa. Dopo che
si sarà rivestita ovviamente…”
ordinò Alexander Norris ributtandosi stancamente
sul divano, con un sorriso artificioso stampato in volto.
Callie…dormirai
in
questo momento?
Il buio l’avvolgeva
completamente. Nessun rumore veniva
disturbarla, a parte qualche carrozza che passava in lontananza. Gli
occhi
nocciola di Callie brillavano nell’oscurità: era
perfettamente sveglia.
Cosa
starà facendo?
La ragazza si strinse al cuscino con
forza, mentre i capelli
castani si spargevano sulle lenzuola come lunghe macchie
d’inchiostro. Sospirò:
era stata brava ad ignorarlo durante il ricevimento. Persino lui ne era
rimasto
stupito. Ripensò alla soddisfazione provata di fronte alla
sua espressione
sbalordita, nascosta prontamente dalla solita facciata elegante e
studiata.
Non l’aveva più
guardata per tutta la sera.
“Meglio
così!” pensò Callie con decisione
“Infatti mi sono
divertita moltissimo senza la sua presenza intorno!”
“Posso
baciarvi?”
Sentì di stare arrossendo.
Se era brava a fingere
indifferenza davanti alla società intera, di fronte a suo
padre e ai suoi
amici, durante la notte non era altrettanto capace di scacciare quei
scomodi
pensieri. Se ne stava ad occhi aperti, avvolta dal buio crescente e
solo i
respiri di Linda, al suo fianco, la riuscivano a rasserenare un poco.
Si sentiva meno sola.
…con
ragazze giovani e
ingenue…
“Proprio
così!”
E pensare che si era persino scusata!
Che si era data la
pena di preoccuparsi per lui! Come
al
solito era stata una perfetta sciocca, perché sapeva fin
dall’inizio che non
poteva fidarsi di quell’individuo.
Ma ovviamente lei c’era
cascata comunque.
“Io
odio quell’uomo!”
“Però…”
si chiese, portando le esili gambe più vicine al
corpo “ …mi chiedo chi abbia perso di
così importante. Alla fine, anche lui si
porta dentro una ferita difficile da rimarginare….”
Potevano anche essere tutte
congetture. D’altronde Alexander
James Norris era pur sempre un uomo borioso a cui non importava nulla
al di
fuori di sé stesso e delle sue questioni personali. E men
che meno badava ai
sentimenti altrui.
Sin da
principio,
potrei dire dal primo momento che l’ho conosciuta, i suoi
modi mi hanno
rivelato tutta la sua superbia, orgoglio ed egoistico disdegno dei
sentimenti
altrui…*
“Elizabeth,
Elizabeth…” pensò ironicamente
chiudendo gli
occhi “Aiutami tu!”
Si sentiva molto stanca. E aveva un
desiderio ardente di
tornare in campagna, a casa. Ma, purtroppo, la Season
era ancora lungi dal terminare. Mancava parecchio tempo.
Prima di addormentarsi una scomoda
immagine le si infiltrò
prepotentemente nella testa: Linda che ballava, tutta rossa in viso,
con uno
strano damerino biondo. Fra l’altro amico di
quell’uomo detestabile che era,
ormai, la sua rovina.
Temo che i
guai siano
appena iniziati.
* Orgoglio e
pregiudizio, cap. XXXIV
Chiedo scusa se questo capitolo
risulterà più corto degli
altri! Prometto che il prossimo sarà più ricco!!
A presto!
|
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Capitolo 7 *** Settimo. Verità. ***
Here again! Tornata con un nuovo e,
sfortunatamente per voi,
ricco e lungo capitolo! Con questo ci avviciniamo alla vera svolta
nelle vite
di Alexander e Callie! Chissà, chissà se i
sentimenti di questi due riusciranno
finalmente a comprendersi? Come in un vero e proprio romanzetto di
serie ‘B’
per ora ci stanno solo girando intorno!
Era scontato,
no? :)
Un
mega bacio a tutti
e a presto!
Sweet Pink
A Londra, si sapeva, la vita di
società scorreva veloce come
un fiume in piena. Durante la Stagione poi, il viavai
di gente cresceva enormemente e gli
eventi, come i concerti, i balli, il teatro o semplici inviti a pranzi
e cene
privati erano all’ordine del giorno. Se si era fortunati non
si aveva
l’occasione di passare neanche una sera in casa propria.
E alla signorina Honeycombe questo
fatto andava più
che bene: era sempre stata un’amante
della vita di società, come la madre, e non riusciva proprio
a lasciarsi
sfuggire un’occasione di divertimento. Era presente alle
serate musicali, a
teatro, da brava sostenitrice della musica qual era; partecipava con
gioia a
molti ricevimenti, vista la sua passione per il ballo e le chiacchiere;
ed era
la benvenuta nei salotti di molte famiglie londinesi, felici di avere
come
conoscente una così graziosa
e vivace
ragazza.
Ovviamente non era lontanamente
popolare come le signorine
Thompson o sotto i riflettori come la signorina Duval, ma Callie di
certo non
ambiva a farsi seguire dall’occhio attento e capriccioso
della Buona Società.
Le era bastato osservare Alexander, che era il fiore
all’occhiello di Londra
insieme a tutti i suoi particolari amici. Sapeva essere sempre sagace e
di
spirito, qualche volta sfacciato, ma mai volgare. Era elegante e tutti
i suoi
modi, così studiati, non facevano che aumentare
l’ammirazione dei signori e
delle signore nei suoi confronti. E infine era un bel uomo, pure ricco.
Chi
l’avrebbe mai buttato giù dal suo piedistallo?
Callie l’aveva rincontrato
in altre due o tre occasioni e,
sempre facendo finta di non conoscerlo, non era riuscita ad impedirsi
di
osservarlo un poco da lontano. Gli occhi di tutti erano puntati su di
lui e sui
suoi amici: dai vestiti, alle schermaglie d’amore, a cosa
avevano mangiato a
colazione.
L’aveva trovato spesso in
compagnia di ragazze diverse, ma
aveva sentito pochissime voci biasimare il suo atteggiamento
così sfacciato. E
questo un poco le faceva rabbia.
“Egli è di certo
libero di frequentare tutte le ragazze che
vuole! È il principio che mi infastidisce!” si
diceva lei, per convincersi che
quel sentimento doloroso alla bocca dello stomaco non era gelosia.
Callie aveva avuto poi la sfortuna di
incrociarlo un
pomeriggio al parco: si stava godendo una passeggiata al fianco di Roy
Carter,
un suo amico di Londra, che era stata affiancata da una grande carrozza
scoperta.
Alzando lo sguardo aveva subito
inquadrato la magra figura
della signorina Duval e quella alta di Alexander James Norris, alle
redini di
due bellissimi cavalli neri. L’uomo aveva posato per un
infinito momento lo
sguardo buio sul giovane accanto a Callie, prima di togliersi il
capello a
cilindro e salutare, con una certa freddezza nelle parole.
La ragazza castana si era inchinata,
arrossendo. Come aveva
immaginato, era stata la signorina Duval a volersi fermare a salutarli
e non
lui. D’altronde, ormai si evitavano in continuazione.
“Non so se questo
potrà giovarvi a lungo….”
L’affermazione di Linda
fece alzare gli occhi stupiti di
Callie dal libro che era intenta a leggere “A che vi
riferite? Parola mia, a
volte sapete essere molto misteriosa!”
L’amica si girò
verso di lei, portandosi lontano dalla
finestra, picchiettata da una pioggerellina leggera. Il suo sguardo
azzurro era
un poco imbarazzato “Forse avrei dovuto dirvelo un
po’prima, ma corre voce in
giro che voi teniate troppo contegno nei confronti del giovane Norris e
questo
non giovi alla vostra reputazione in
società…”
“Cosa?!”
“Vi assicuro che
è la pura verità. Temo che in giro cominci
a formarsi la convinzione che il modo freddo con cui trattate il signor
Alexander vi faccia passare per una contadinotta poco
educata.”
Callie spalancò la bocca,
sbalordita “Non
ci posso credere! Io maleducata! Se solo
si prendessero la briga di farsi un esame di coscienza!”
Linda si premurò di
mettere a tacere i bollenti spiriti di
Callie, che ora si era alzata e camminava impaziente per la stanza.
“Non è
ancora cosa affermata, ma è solo un brusio che fa capolino
qua e là…non dovete
darvi tanta pena!” fece la bionda, inseguendola in lungo e in
largo per la
camera.
Callie si fermò di botto
“Quindi che dovrei fare?!” fece con
aria ironica “Immagino che per non farmi distruggere dalla
Buona Società io
debba omologarmi a tutte le sue fanatiche signorine?! Neanche
morta!” urlò
infine.
Linda alzò gli occhi al
cielo: quando si parlava di
Alexander James Norris, l’amica perdeva il controllo. E
ancora si ostinava a
negare i sentimenti che provava nei suoi confronti.
”Io odio
quell’uomo!”
Sapeva che non era vero,
perché Callie era profondamente
ferita. Ma non era Alexander che lei odiava, anche se le ricordava
tanto il
passato. La persona che veramente detestava era sempre e solo una,
malgrado gli
anni passati. Il giovane signor Norris era colui che aveva risvegliato
il
sentimento e i ricordi in Callie, un sentimento che le faceva male.
Bruciava e
si stava
pian piano consumando…
E Linda era quasi convinta che anche
per l’uomo fosse lo
stesso. Anche se erano lontani come non mai in quel momento.
“Inutile. Callie
si è arresa, non vuole più sapere né
cercare di comprendere nulla di
quell’individuo...”
La voce rassegnata della ragazza
castana le giunse alle
orecchie “Vorrà dire che dovrò cercare
di essere un po’più finta con lui. Lo
saluterò, cercherò di essere un
po’più sorridente quando lo
incontreremo…ma
nulla più di questo.”
Linda le prese le mani “Non
deve essere niente più di
questo! Poi, qui ci sono io! Potete sempre contare sulla mia
amicizia…”
“Ci
sarò sempre io
accanto a voi, qualsiasi cosa accada!”
Callie guardò i suoi occhi
azzurri e fu invasa da un gran
senso di tenerezza. Sorrise all’amica e
l’abbracciò stretta “Non saprei come
fare senza di voi, amica mia! A voi e alla vostra saggezza!”
La sentì ridere divertita.
Socchiuse gli occhi, mentre il
sorriso spariva dalle sue belle labbra.
Alexander…me
l’hai
fatta un’altra volta.
Poiché
la tua fama può
distruggere la mia reputazione nella società in pochi minuti.
Non odi
anche tu
essere così egoisticamente amato e ammirato?
Io ne sarei
disgustata.
Callie era impegnata in una fitta
conversazione con Linda,
Margareth e altre due o tre signorine, riguardante il suo libro
preferito. A
fare da sfondo alle sue argomentazioni, il pianoforte strimpellato un
po’maldestramente dalla signorina Duval, padrona della serata
e della casa
presso cui si era riunita metà Londra.
“Difenderò
sempre e comunque Orgoglio e Pregiudizio,
fino alla mia morte!” asserì Callie
sorridente “Emma,
purtroppo, non sono
riuscita ad apprezzarlo fino in fondo!”
Fiona Thompson intervenne indignata
“Che mi tocca sentire!
È il mio
preferito senza dubbio alcuno!
Come ha fatto a non piacerle?”
“Non dico che non mi sia
piaciuto! Ma la figura di Eliza è
insuperabile ai miei occhi!”
La voce intimidita di Margareth
coprì il verso di
disapprovazione di Fiona “E le due sorelle Dashwood? Ragione e sentimento?! Io…io
preferisco di gran lunga loro due!”
A questo punto le varie opinioni si
sovrapponevano le une
con le altre e il cicaleccio delle ragazze era diventato alto e
fastidioso.
Linda, l’unica in silenzio, sospirò: era evidente
che ognuna aveva idee molto
diverse. Anche se il punto focale era che nessuno sapesse il vero nome
dell’autrice di quei meravigliosi libri.
“Secondo voi ne
scriverà altri?”
“Speriamo
proprio!”
“Deve essere
così!”
Per quanto le ragazze potessero
essere impegnate in una
lunga discussione, una sola frase bastò a ridurle al
silenzio e all’attenzione.
“Oh! Signor Alexander ve ne
prego, suonate qualcosa!” aveva
esclamato la signorina Duval, con il suo trascinato accento francese.
Aveva
smesso di suonare e ora aveva preso a braccetto il giovane Norris che
scuoteva
la testa corvina, sorridente. “Non costringetemi, sapete che
non suono che
poche volte!”
Fiona Thompson, che conosceva
sicuramente molto meglio
Alexander della signorina Duval, si portò davanti ai due
“Avanti, amico mio!
Suonate veramente poco, ma così magnificamente
bene!”
L’uomo si
inchinò un poco di fronte alla donna che si era
portata ora vicino a lui. Altri si unirono al coro dei ‘Vi
prego suonate!’ e
così Alexander non ebbe più vie di fuga. Si
avvicinò al pianoforte e,
sospirando rassegnato, disse “Solo per pochi
minuti...”
“Oh, perché
dovete fare così tante storie?” si
lamentò la
signorina Duval, nascondendosi leziosamente dietro al ventaglio
colorato “Ora
che so quanto siete bravo, sono ancora più curiosa di
sentirvi suonare!”
Callie osservava il capannello che si
era formato vicino
alla figura alta dell’uomo. Quando l’aveva
incontrato all’ingresso, ore prima,
si erano di nuovo rivolti la parola dopo quell’incidente
spiacevole. Niente di
rilevante, ma erano bastati due saluti di pura e formale cortesia per
farla
sentire bene. Non avrebbe dovuto essere così: era solo
perché la formalità
glielo richiedeva che gli aveva rivolto la parola.
Però, in quel momento, si
era sentita arrossire sotto il suo
sguardo un po’stupito ed era stata stranamente contenta delle
parole gentili
che lui le aveva dedicato.
Io odio
quell’uomo!
Callie si portò una mano
sulle labbra rosee “Ad ogni modo…non
posso perdonare il suo comportamento. Dall’inizio alla
fine!”
La voce di Jane Thompson, cugina
delle due sorelle più
popolari di Londra, interruppe i suoi pensieri “Sapete
perché il signor
Alexander non suona quasi mai?”
Callie si voltò verso di
lei, interessata “No, ma vedete, io
non so quasi nulla di quel signore…”
Ed era
così vero…
Perché
sentiva quel
impellente bisogno di capirlo? Di sapere?
“Beh, allora
sarò io a dirvelo!” sussurrò la giovane
sporgendosi verso di lei “Non è cosa certa, ma
Fiona mi ha confidato ch’egli
soleva suonare il piano praticamente ogni giorno. S’intende
che parliamo ancora
di parecchi anni fa, quando il signor Alexander viveva e studiava in
Portogallo. Ma poi pare che sia accaduto qualcosa e ch’egli
abbia giurato di
non suonare mai più nemmeno una nota…mi chiedo
che possa essere accaduto! E
voi?”
“E
sembra di impazzire
poiché non si può dimenticare un dolore
così grande…no, non è possibile. Ci si
rassegna solo, alla fine.”
Callie rispose un vago ‘Non
saprei ’ e posò lo sguardo sull’uomo
con un sottile senso d’ansia: allora era vero. Era proprio
come aveva
immaginato. Una tragica perdita aveva segnato la vita di
quell’assurdo
damerino…si chiese ancora una volta di chi potesse trattarsi.
Una donna?
Le sue mani si strinsero
istintivamente sul vestito “Perché mi
sento così triste per lui?” pensò, non
accorgendosi subito di avere gli occhi
neri di Alexander James Norris puntati su di lei. Era così
presa dalle sue
preoccupazioni che non si era minimamente resa conto di avere uno
sguardo un
po’ malinconico puntato addosso. Si sentì
arrossire: la guardava ancora con uno
sguardo estremamente triste.
Ma fu un momento. Alexander si
voltò verso il pianoforte e,
osservandolo come se non sapesse bene cosa fare, cominciò a
suonare. Se
l’inizio era stato un poco incerto, dopo poco le sue mani si
muovevano leggere
sulla tastiera, come se stesse sfiorando i tasti. A Callie sembrava che
non
avesse fatto altro per tutta la vita se non suonare.
Accompagnava quella melodia
meravigliosa con un’espressione
serena, un sorriso a fior di labbra, un vero sorriso di
tranquillità….e la
ragazza non poté far a meno di esser completamente assorbita
da quelle note,
forse le stesse che aveva suonato per quella donna.
E quando la musica finì,
si ritrovò ad applaudire con tutti
gli altri; un sorriso che le sfuggiva dalle labbra “ Sembra
incredibile che una
persona tremenda come voi possa produrre qualcosa di così
bello…” pensò,
guardandolo alzarsi e gustarsi tutti i complimenti della cerchia che
gli stava
attorno.
“Bethoveen…”
fece Linda, al suo fianco.
Callie annuì “
Sì, Moonlight
sonata….eseguita perfettamente.”
“Come fate a dirlo? Non vi
intendete moltissimo di musica!”
la prese in giro l’amica ridendo.
“Per me era
perfetta.” sussurrò la ragazza castana, gli
occhi ancora puntati su Alexander e l’espressione pensosa.
Linda aprì la bocca, forse
per dire qualcosa, ma fu chiamata
da Margareth, e dovette quindi tacere la sua opinione in merito
all’esecuzione
del giovane Norris.
Callie era ancora immobile. Ora
l’uomo se ne stava
trincerato dietro ai soliti modi artificiosi e, con un sorriso
soddisfatto
sulle labbra, ascoltava le lodi di una signorina Duval più
che sognante.
“Che
individuo
impossibile….però, per un momento, è
come se avessi intravisto la vostra anima,
signor Alexander….ed è molto triste e
malinconica. Quasi come la mia.”
Come se avesse potuto sentire i
pensieri della ragazza,
Alexander si voltò verso di lei perforando i suoi occhi
nocciola con uno
sguardo serio e calmo. Callie, sentendosi arrossire come un peperone,
gli
sorrise e si voltò di scatto, avviandosi velocemente nel
salone adibito alle
danze.
Si sentiva così in
imbarazzo! Le sembrava ancora una volta
di starsi impicciando nei suoi affari personali, come se non potesse
farne a
meno…proprio come una ragazzina ficcanaso.
Attraversò il piccolo
corridoio che portava alla grande
sala. Era quasi sulla soglia che la sua ‘corsa’ fu
letteralmente bloccata da
una stretta ferma ma gentile sul suo braccio scoperto. Voltandosi, ebbe
la
sorpresa di trovarsi di fronte ad Alexander e ritornò subito
alla mente a quel
giorno, nel giardino di casa sua.
“Lasciatemi
il
braccio…mi state facendo male!”
Ma ora non la stringeva affatto e,
anzi, la stava osservando
con uno sguardo stupito, come se nemmeno lui capisse cosa
l’avesse indotto ad
inseguirla e a fermarla in quella maniera.
“Signorina…signorina…”
Il suo tono era incerto, sembrava che
non sapesse bene cosa
dirle. E Callie, con il cuore in gola, non riusciva a muovere un solo
muscolo:
era in attesa delle sue parole. Forse finalmente le avrebbe spiegato,
le
avrebbe rivelato il mistero dietro al suo carattere indecifrabile, a
quella
meravigliosa musica di prima. L’avrebbe aiutata a capire.
“Io…”
iniziò “…volevo
solo…”
“Buonasera,
Callie.”
Quella voce.
La ragazza e Alexander si voltarono
verso la persona che
aveva parlato. Callie si sentì ghiacciare: dopo anni di
silenzio, anni passati
a rimarginare la ferita e a vergognarsi di sé stessa, dopo
anni di odio e
rancore, lui era lì, di
fronte a lei.
Capì di non riuscire a muoversi né a parlare.
L’uomo sorrise e fece un
breve inchino galante ad Alexander
“Permettetemi di presentarmi, sono Henry William
Bell…amico di vecchia data
della signorina Honeycombe.”
Amico di
vecchia
data…era impossibile…
Sentì che Alexander
rispondeva vagamente alla presentazione,
mentre lei non riusciva a fare niente di meglio che starsene
lì impalata a
fissare quell’uomo comparso direttamente dal suo passato. Era
affascinante come
un tempo: lo stesso abbigliamento costoso, lo stesso sorriso
artificioso e galante,
gli stessi occhi azzurri che sembravano leggere la mente. Ci sarebbe
stato
quasi da ridere.
Sentì gli occhi neri di
Alexander su di sé: la fissava
preoccupato.
“Callie…”
fece suadente Henry “ Posso presentarti mia moglie
Paula?”
Sua
moglie…
Doveva
assolutamente
andarsene via da lì. Doveva
scappare
via.
“S…sì,
certamente…ma
ora…” cominciò a balbettare
“…devo proprio andare…sapete, ho
sentito …che la
signorina Thompson…sì, lei mi stava cercando
urgentemente. Lieta di averla
rivista, signore.” e
s’impegnò per
far trasparire più disprezzo possibile in
quell’ultima parola.
Cercò di scansarlo,
lasciandolo solo con Alexander poiché
non dubitava che quei due sarebbero andati sicuramente
d’accordo. Ma ovviamente
lui le si parò davanti, bloccandole la sua unica via di
fuga, cosa che era poi
tipicamente da signor Bell.
Quante volte
l’aveva
fatto?
Tante,
troppe.
“Ma come?” le
sussurrò l’uomo “Non mi vedi da anni e,
dopo
tutto ciò che abbiamo condiviso, non vuoi parlarmi neanche
un po’? Mi deludi
Callie…avanti, almeno concedimi un ballo. Ti piace danzare,
se non ricordo
male.”
Callie spalancò gli occhi,
inorridita.
Come si
permetteva di
darle ancora del tu?
“Mi
deludi, Callie…”
Notò che si stava per
sporgere verso di lei, ma un braccio
teso si intromise veloce nel suo campo visivo. Callie guardò
perplessa
Alexander James Norris che si portava davanti a lei, nascondendola alla
vista
del signor Henry.
“Mi spiace, ma questo
è impossibile. La signorina Honeycombe
stasera è con me. Gradirei, inoltre, che non si rivolgesse
più a lei con questo
tono, se non vi dispiace.”
La ragazza non poteva vedere gli
occhi taglienti dell’uomo,
ma le bastò sentire il tono freddo di Alexander per capire
quanto fosse
furioso. Abbassò gli occhi sulle sue scarpette verdi,
arrossendo furiosamente:
la stava proteggendo?
“Capisco…”
rispose lentamente Henry Bell dopo un lungo
momento “ …ho sentito parlare molto di voi, signor
Norris. Si dice che abbiate
la società londinese in pugno…siete degno erede
di vostro padre David, sapete?”
Il tono irrisorio con cui era stata
pronunciata l’ultima
frase indicava che non si trattava affatto di un complimento, ma la
voce di
Alexander rimase comunque fredda e calma “Ne sono onorato,
signore. E ora, se
volete scusarci noi andremmo…buona serata.”
Prese Callie per il polso, mentre
questa guardava
imbambolata la scena, incredula che il signor Norris Junior la stesse
difendendo come un vero gentiluomo, e la trascinò lontano da
lì, all’interno
del salone.
“Arrivederci
Callie” soffiò Henry, ormai solo.
Vi era così tanta calma
ora: si sentiva completamente vuota.
Fino a pochi momenti prima le era sembrato di soffocare, tanto il
passato la
stava inghiottendo.
Tanto il cuore
sembrava essersi fermato e aveva così sconnesso ogni nervo
del suo corpo,
gettandosi in balia dei ricordi. Ricordi resi reali dalla presenza di
quell’uomo che ormai da anni non aveva più
rivisto. L’aveva trattata come se
non fosse mai accaduto nulla, come se quattro anni non fossero mai
passati.
Ma in quel preciso istante, con le
voci e la musica che le
giungevano smorzate, come lontanissime, e la brezza notturna che le
muoveva un
poco le ciocche di capelli sfuggite dall’acconciatura, era
perfettamente
tranquilla. Respirò a fondo, godendosi quel momento di pace:
sapeva che non
sarebbe durato molto.
“Vi sentite
meglio?”
Callie si voltò verso
l’uomo al suo fianco: si era
completamente scordata della sua presenza. Alexander James Norris se ne
stava
appoggiato al muro bianco a braccia incrociate e la osservava con aria
seria e concentrata,
ignorando completamente i capelli corvini che, mossi dal vento, gli
ondeggiavano continuamente sopra gli occhi.
“Si
dice che abbiate
la società londinese in pugno.”
Callie riposò lo sguardo
sul panorama di fronte a lei. Non
che fosse interessante, solo comignoli di case lontane, ma non aveva
proprio
voglia di incontrare quegli occhi neri
“Sapete…” cominciò
“...vi sono andata
incontro per salutarvi, poche ore fa, solo perché girano
strane voci sulla mia
educazione. Sembra che la vostra fama possa distruggere anche la
reputazione di
una campagnola come me, signore. Per quanto possa io averne!”
Alexander sospirò e, con
un sorrisetto saccente disse
“L’avevo immaginato. E, credetemi, ne sono
veramente dispiaciuto….”
“Bugiardo.”
sussurrò Callie sorridendo anch’essa in maniera
alquanto ironica “State perdendo la vostra sorprendente
abilità di fingere,
sapete?”
“Da quando ho incontrato
voi, probabilmente….”
“Non
posso più
guardare nessun altra da quando ho conosciuto te.”
L’uomo scosse la testa,
scacciando quel ricordo scomodo.
Fissò la figura esile
della ragazza castana che si stagliava
di fronte a lui, illuminata da una pallida luna e dalle poche candele
posate
qua e là sul pavimento dell’ampio balcone. I suoi
occhi nocciola erano persi
lontano e Alexander per un secondo pensò che non fosse
veramente lì con lui, ma
in un altro tempo, nel passato. Gli venne anche in mente che quella
situazione
li rispecchiava perfettamente: Callie sempre nella luce,
poiché nemmeno la
sofferenza in lei era nascosta; e lui invece
nell’oscurità intento ad osservare.
Così, visto che la
signorina Honeycombe non sembrava
intenzionata a spezzare in alcun modo il silenzio che si era creato e
nemmeno a
guardarlo in faccia, chiese “Cos’è
successo?”
Callie si voltò perplessa
verso il cono d’ombra dove si
trovava il damerino “Cosa?”
“Lo sapete benissimo,
signorina…con quell’uomo, intendo.”
La ragazza ebbe un sussulto agitato.
Di certo non avrebbe
dovuto dirgli nulla, d’altronde non solo erano affari suoi
personali, lui era
praticamente uno sconosciuto e lei lo detestava; ma Callie
sentì d’aver paura
del suo giudizio. Però poi si ritrovo lei stessa a dire, con
voce incerta “
Tanti anni fa…soggiornò per un anno presso la
nostra zona…è lì che mi ha
corteggiata.”
“Eravate innamorata di
lui?”
L’uomo non toglieva gli
occhi da lei nemmeno per un secondo.
Il tono delle sue parole era calmo ma leggermente freddo e Callie si
chiese il
perché. Come si domandava il senso di quella sua domanda.
Era semplicemente
assurdo!
Abbassò gli occhi,
arrossendo “Sì… Per mesi pensai di
essere
ufficialmente impegnata con lui. Avreste dovuto vedere la
felicità di mio
padre, di tutti i miei conoscenti! E poi lui era perfetto! I suoi modi
così galanti,
il suo rango, la sua sagacia, il suo abbigliamento così
elegante e costoso!
Tutti mi dissero che era il partito perfetto e anche io ovviamente lo
credevo!”
Si accorse di stare quasi urlando e
quindi tacque,
imbarazzata. Dall’ombra Alexander la fissava attentamente,
ancora in silenzio.
“
Ovviamente ti ho
corteggiata…ma non sei mai stata di
certo l’unica. Stai cominciando ad annoiarmi,
Callie.”
“Finché…”
ricominciò piano lei fissando il pavimento
“…non
mi accorsi che qualcosa non andava. Si scoprì che il mio
promesso sposo mi
aveva raggirata poiché frequentava altre donne, tra cui la
ricchissima
ereditiera che ora è diventata la sua cara moglie devota.
Oh, vi erano stati
dei segnali, ma io non vi avevo dato peso perché, sapete,
l’amavo!” e qui rise
aspramente.
“E cosa avete fatto quando
avete scoperto chi fosse
realmente?” chiese la voce seria dell’uomo al suo
fianco.
Callie alzò le spalle
“ Mi misi in testa che tutto poteva
essere sistemato, che magari mi amava davvero. Solo me e nessun altra.
Lo supplicai,
lo pregai in ginocchio…perché non se ne andasse.
Ma quando vidi che davvero era
solo stata un gioco buttato via, che lui non sarebbe mai
rimasto…allora mi
infuriai e lo raggiunsi a casa sua prima della partenza. Lo accusai,
tutto il
mio rancore represso esplose.”
“Tu
mi hai sporcata!
Avevi giurato di amarmi e invece mi hai solo usata! Io ti
odio!”
Alexander era stato immobile tutto il
tempo ad osservare i
cambiamenti d’animo di Callie durante il suo racconto: prima
strillava, in
preda alla rabbia, mentre ora stava tremando. Capì che
doveva essere accaduto
qualcos’altro. Normalmente, non avrebbe dovuto importargliene
nulla; mai si
faceva coinvolgere dai sentimenti altrui, mai gli era importato
veramente
qualcosa delle donne che frequentava. Ma con la signorina Honeycombe
sembrava
andare tutto a rovescio, malgrado i suoi numerosi sforzi.
Quella
sciocca ragazzina
ha troppo potere su di me…
“E lui cosa fece?”
Callie si voltò verso di
il signor Alexander. L’uomo la
guardava ancora con quell’espressione seria e imperscrutabile
di prima. Si
chiese cosa stesse pensando in quel momento e se la paura che lei aveva
provato
nel rivivere quei momenti raccontandoli fosse penetrata un poco anche
nel suo
animo insensibile.
Tremò violentemente.
“Mi picchiò per
mettermi a tacere.”
Callie sorrise leggermente vedendo
Alexander staccarsi
istintivamente dal muro e lasciar cadere la sua facciata di ghiaccio,
l’espressione sorpresa ora stampata sul volto delicato.
Capite ora,
perché non
riuscirò mai a fidarmi di voi, signor Alexander?
Così
brillante
all’esteriore, mentre dentro siete pieno di egoismo
corrotto…siete buio.
Devo trovare
il
coraggio di voltarvi le spalle e andarmene. Di non guardarvi
più.
“Io non sono come
quell’uomo.”
La ragazza castana
spalancò gli occhi sorpresa. Guardò il
damerino portarsi lentamente fuori dall’ombra, esattamente
davanti a lei. La
luce illuminava i suoi occhi neri e Callie capì dal suo
sguardo serio che non
stava affatto scherzando.
Qualcosa cominciò ad
agitarsi dentro di lei.
Vedendo la sua figura così
vicina, voltò la testa e puntò
una mano sul petto dell’uomo cercando in qualche modo di
mettere distanza fra
il suo corpo e quello di lui. Di ricostruire quel muro andato in pezzi
troppe
volte. “Non
dite così…non ditemi così,
per favore!” sussurrò.
Perché
doveva rendere
tutto più difficile?
Perché
doveva
mostrarle un’altra parte di sé proprio in quel
momento?
Ora che si
era
rassegnata a non voler più saper niente di lui.
Alexander non si fece smuovere dalle
preghiere della
ragazza: Callie le sembrava più indifesa e innocente che
mai, piena di luce. E
il fatto che cercasse furiosamente di resistere gli dava la giusta
forza per
andare fino in fondo. La voleva. La desiderava disperatamente.
Poiché da quando l’aveva
conosciuta non faceva che consumarsi,
bruciando poco a poco.
Non poteva sopportare che non lo
guardasse in faccia, che
quei bellissimi occhi nocciola così luminosi non si
volessero far macchiare un
poco dai suoi. Le prese il volto arrossato fra le mani e la
voltò
delicatamente, obbligandola a finalmente a guardarlo “Io non
vi farei mai del
male…”
Callie corrugò un poco le
sopracciglia. “ State mentendo….ve
l’avevo gia detto in passato: questi modi falsi su di me non
hanno alcun
effetto.”
Anche
perché del male,
voi me ne avete già fatto…
“Ora siete voi che
mentite…signorina Honeycombe, siete una
piccola bugiarda, sapete?” fece lui sfoderando un sorrisetto
divertito che rese
il suo viso, a parere della ragazza, ancora più
irresistibile.
Come al solito, le mani fresche di
lui sembravano lasciare
un marchio invisibile sulle sue guance arrossate e Callie
sentì il solito
bisogno di fuggire mescolato al desiderio di rimanere inchiodata
lì.
Ma poi l’uomo tolse la sua
presa su di lei delicatamente e
le poggiò una mano sulla spalla “Ora vi sentite
meglio?”
A parte il rossore che rischiava di
farla assomigliare ad
una ciliegia e il fatto di esser prossima ad un infarto; Callie era
pronta ad
ammettere di sentirsi più sollevata, svuotata da quella
confessione fatta non
solo ad una persona estranea, ma a quell’uomo impossibile che
diceva di
detestare.
“Eppure anche prima,
è stato lui a salvarmi dal passato e
portarmi qui…” pensò la ragazza, per
poi rivolgere un incerto sorriso grato ad
Alexander e dire “Sì, sfogarmi con voi, anche se
inaspettato, mi ha aiutata…lo
devo proprio ammettere!”
Ma questo
non implica
che ora io mi fidi di voi…
…però
un poco siete
migliorato ai miei occhi signor Alexander James Norris.
“Temo che dovremo tornare
dentro.” asserì lui voltandosi
verso l’interno di casa Duval e togliendo la mano dalla
spalla di Callie “Le
vostre amiche si staranno chiedendo dove siete finita e tutto il resto
degli
invitati starà di certo parlando della mia
scomparsa!”
La ragazza castana cercò
di reprimere un risolino divertito
e disse, in tono forzatamente serio “ Non per me. Credo che
prenderò congedo e
farò chiamare una carrozza, d’altronde questa
serata è stata un po’troppo e mi
sento veramente stanca.”
È
stato un po’troppo
rivedere quell’uomo e confessare tutto a voi.
Sento di
dover
pensare.
Alexander si voltò verso
di lei con lo sguardo pensieroso
“Sarò felice di accompagnarvi a casa con la mia
carrozza, in questo caso.”
Lei sussultò, sorpresa.
“N…non ce n’è veramente
bisogno!”
balbettò imbarazzata “Poi, di certo la signorina
Duval rimarrà molto delusa,
come il resto dei presenti, dalla
vostra
assenza!”
L’uomo, con un gesto di
noncuranza, le rispose indifferente
“Non è importante. A me non interessa molto
ciò che Londra pensa di me…e in
qualsiasi caso nessuno mi biasima mai troppo.”
Callie si morse un labbro e disse in
tono severo “Non credo
di essere molto d’accordo su questo vostro modo di
pensare…è talmente
egoistico!”
Ma da quanto
tempo
aveva smesso di interessarsi a qualcuno che non fosse solo ed
esclusivamente sé
stesso?
“Immaginavo che mi avreste
risposto così.” commentò lui con
triste ironia. Lui e quella ragazzina non sarebbero mai riusciti ad
andare
d’accordo veramente su qualcosa, d’altronde con le
parole non riuscivano a fare
altro che ferirsi o fraintendersi. Era terribilmente testarda nei suoi
confronti.
E questo di lei, gli piaceva.
D’altronde
chi si
metterà mai in testa di darmi contro?
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Capitolo 8 *** Ottavo. Chiave di volta. ***
Eccomi qua!! Sono tornata finalmente
con un nuovo capitolo!
Dico finalmente perché
è questo il
vero capitolo chiave di tutta la storia, da qui tutto comincia a
cambiare. E
voi direte: oh! Era ora! :)
Oltre ad essere giunti alla svolta,
ci stiamo anche
avvicinando alla vera e propria fine della storia. Chissà,
chissà…
A parte tutto questo, voglio
ringraziare coloro che
continuano a seguirmi e anche quelli che mi hanno recensito! Continuo a
pubblicare con fiducia!
Un bacione!
Sweet
pink
Callie alla fine aveva ceduto. Si era
lasciata convincere da
quell’uomo ad accompagnarla a casa con la sua carrozza. Di
certo, non dava
molto peso a quello che avrebbe detto la gente, sarebbe stato solo
l’ennesimo
pettegolezzo che gravitava attorno ad Alexander James Norris, beniamino
della
Buona Società. Poi, se questo aveva anche
l’effetto di smorzare le voci sulla
sua maleducazione, tanto di guadagnato.
Questi erano i ragionamenti della
ragazza che, mentre
aspettava l’arrivo della carrozza, cercava di distrarre la
sua mente dall’ansia
che le metteva l’idea di stare con quel damerino in uno
spazio così ristretto.
Un sorriso timido si
affacciò sul suo volto: però…gli era
veramente grata per tutto quello che aveva fatto per lei quella sera.
Si
ricordò il momento in cui si era posto fra lei e il signor
Henry, proprio come
se volesse difenderla. “In un certo qual
modo…” pensò
“…è stato coraggioso.”
Callie avrebbe dovuto immaginare,
trattandosi di Alexander
James Norris, che quel suo piccolo momento di ammirazione sarebbe stato
presto
o tardi rovinato.
E, forse, per sua fortuna
ciò avvenne quasi subito.
Aspettava in un angolo che Alexander
e il cocchiere
giungessero con la carrozza, quando due signorine le passarono
lentamente
accanto senza notarla: una era praticamente in lacrime, mentre
l’altra la
teneva sotto braccio e le tendeva un fazzoletto, consolandola
“Avanti, non fate
così, amica mia!”
Callie riconobbe il volto bagnato di
Clara Dotthermoore
ridere in maniera isterica “Avete proprio ragione!
D’altronde sono stata io ad
accettare di farmi accompagnare a casa, ed è stata la mia
vergognosa madre a
spingermi alla conquista di quell’uomo pericoloso!”
“Non dite queste
parole…cara, sto soffrendo per voi,
contenetevi! Sapevate fin dall’inizio che flirtare con
Alexander James Norris
equivale a giocare col fuoco. Tutta Londra ne è
consapevole…quell’uomo non
vuole legarsi a nessuno.” fece in tono severo
all’amica. Poi si addolcì e
aggiunse “Come avete potuto rimanere a casa sua? Siete stata
terribilmente
avventata, Clara.”
La signorina Dotthermoore esplose in
uno scatto di rabbia “
Non è di questo che mi pento! Ma del fatto che oggi non mi
abbia praticamente
rivolto parola!”
L’amica sospirò,
mentre aiutava Clara a salire sulla
carrozza “Ora state proprio sragionando, cara mia.”
Il rumore del mezzo che si
allontanava lasciò una Callie
impietrita da sola nell’atrio. Le parole di Clara
Dotthermoore e dell’amica
sembravano rimbombarle insistentemente in testa; qualcosa
cigolò
fastidiosamente dentro di lei. Una sensazione sgradevole, come se si
sentisse
tradita, come se anche lei avesse una gran voglia di piangere.
“Siete
stata
terribilmente avventata…”
Già sapeva che Alexander
era visto in compagnia di molte
signorine, ma la conversazione ascoltata poco prima le aveva lasciato
dentro
uno strano senso di vuoto doloroso. Sapere di non essere in fondo nulla
per lui
le faceva male. Si strinse nelle spalle cercando di cacciare quella
sensazione
di nausea che l’aveva invasa improvvisamente.
“…Sono
stata io ad
accettare di farmi accompagnare a casa…”
“Come
avete potuto
rimanere a casa sua?”
Dunque le cose stavano in questo
modo. E, ancora una volta,
Callie sentì che avrebbe dovuto aspettarsi un comportamento
del genere da lui,
poiché non c’era proprio da fidarsi di
quell’uomo pericoloso. Cercò di
reprimere l’impulso di piangere: perché si
ostinava a dargli fiducia? A provare
di comprendere cosa si celava dietro i suoi comportamenti? Di decifrare
il suo
carattere?
Perché
tu lo ami. Lo
ami e, in fondo, l’hai sempre saputo.
“No!”
pensò lei, scacciando con tutte le sue forze quella
vocina che sembrava sussurrarle all’orecchio la
verità.
Proprio in quel momento una carrozza
grande e scura si fermò
davanti a lei. Callie ne vide discendere un Alexander James Norris
più studiato
e artificioso che mai: tutto il contrario dell’uomo serio e
comprensivo che le
si era mostrato poco prima sul balcone, a cui aveva affidato i suoi
ricordi più
dolorosi e segreti.
L’uomo si fece da parte per
farla passare e, con una fitta di
rimpianto mista a panico, Callie si preparò ad entrare nella
tana del lupo.
Se non fosse stato per il rumore
delle ruote e degli zoccoli
che calpestavano con forza il selciato, il silenzio in quella cabina
sarebbe
stato pressoché assoluto. Da quando il signor Alexander
James Norris l’aveva
aiutata a salire ed erano partiti, non si erano rivolti che poche
parole:
tentativi di dialogo galanti e artificiosi da parte di lui e risposte
fredde e
secche da parte di lei avevano infine spento ogni conversazione.
Callie si fissava le mani intrecciate
sul grembo
insistentemente, ignorando i lievi scossoni della carrozza e tentando
di
resistere alla tentazione di alzare lo sguardo e posarlo sul
finestrino, per
controllare che seriamente si stessero dirigendo a casa sua e non a
quella di
lui.
Rise di sé stessa,
nascondendo un sorriso un po’ amaro:
quanto era ingenua! Di certo quell’uomo non le trascinava a
forza le signorine
a recarsi nella sua residenza e rimanervi lì, fino a quando
lui non le avrebbe
poi trovate noiose. Sapeva bene che Clara Dotthermoore e altre ragazze
erano da
biasimare quanto lui per quanto riguardava la condotta, ma sentiva
comunque che
non era affatto giusto accettare e assecondare le attenzioni di tutte
solo
perché queste gli cadevano ai piedi una dopo
l’altra. E poco contavano le
ragioni, che andassero dalla sua bellezza al suo patrimonio.
Niente contava se poi dentro era
solamente un uomo
detestabile che tendeva ad annoiarsi di qualsiasi cosa, tranne che di
sé stesso
ovviamente.
“Non
è importante. A
me non interessa molto ciò che Londra pensa di
me…e in qualsiasi caso nessuno
mi biasima mai troppo.”
Callie strinse la presa sui guanti
bianchi che stringeva fra
le mani: a che scopo vivere inseguendo un ideale che portava ad avere
indifferenza e noia verso tutti? Quale il motivo di ferire
così
inconsapevolmente, ma nemmeno tanto, altre persone solo per proteggere
sé
stesso?
Poteva benissimo essere un dandy, un
uomo alla moda nella
Buona Società, ma il comportamento che aveva tenuto nei suoi
confronti era
stato così poco nobile, così…assurdo.
E tutto per
lei, posso
scommetterci.
Nessuna ai
suoi occhi
è donna, solo quella persona che ora non può
più stargli accanto.
La
verità è che voi
disprezzate tutti…tutti, ma soprattutto voi stesso.
Con il cuore gonfio, Callie
portò lo sguardo su Alexander
proprio nel momento in cui lui le diceva, in tono indifferente
“Guardate,
signorina. Ancora pochi metri e saremo davanti a casa vostra.”
Se ne stava appoggiato alla mano
guantata in modo galante e
il volto era rivolto verso il finestrino, un poco illuminato dalla luce
che
proveniva a tratti dall’esterno. Gli occhi brillavano lontani
tra le ciocche di
capelli corvini: erano occhi gelidi. La
ragazza capì che davanti a lei stava l’Alexander
di sempre, l’uomo ammirato e
seguito da tutta la società londinese, l’uomo che
la riteneva nient’altro che
una divertente e ingenua provinciale.
“…quell’uomo
non vuole
legarsi a nessuno.”
Fu troppo per Callie.
Si sporse velocemente un poco fuori
dal finestrino e gridò
al cocchiere, in tono perentorio “Fermatevi
immediatamente!”
Questi, notando bene che la ragazza
non ammetteva repliche,
tirò le redini. Non appena avvertì che la
carrozza era finalmente immobile,
Callie afferrò la maniglia e si precipitò fuori
dalla vettura. Respirò a fondo
l’aria fresca della notte, di quella notte in cui ne erano
successe veramente
troppe, e cominciò a camminare velocemente verso casa visto
che la distanza da
percorrere era veramente irrilevante.
Sentì la camminata veloce
di Alexander venire verso di lei e
non si stupì più di tanto quando lui
l’afferrò per un braccio e la costrinse
con forza a voltarsi, a guardarlo “Si può sapere
che avevate in quella piccola
testolina, ragazza?!” fece lui, gridandole praticamente in
faccia.
Callie arrossì ma
fronteggiò la sua rabbia senza abbassare
lo sguardo: d’altronde anche lei si sentiva furiosa. E poco
importava se
scendere precipitosamente da una carrozza e camminare da sola per
strada fosse
sconveniente, poiché troppo era il sentimento che bruciava
dentro di lei.
Cercò di divincolarsi
dalla presa di lui, ma invano. “Dovrei
dirlo io a voi, piuttosto!”
“Ma che state
dicendo?”
Callie esplose e, fissando quei
terribili occhi neri, gli
disse con voce rabbiosa “ Dal primo momento in cui vi ho
incontrato, vi ho detestato
con tutte le mie forze. E , se potevo all’inizio essere in
torto, il vostro
comportamento mi ha solo confermato tutto ciò che pensavo di
voi. Il disdegno
che avete per tutti quelli al di fuori di voi stesso,
l’indifferenza per i
sentimenti altrui, il vostro terribile comportamento mi hanno portato
alla
ferma convinzione che voi non siate altro se non un uomo orribile e
ignobile!”
“Quindi è questo
che pensate di me!” la sovrastò lui,
strattonandole il braccio “Vi ringrazio davvero!
D’altronde niente di quello
che io posso aver fatto o detto per voi avrebbe comunque significato
qualcosa
ai vostri occhi!”
La ragazza rise aspramente e gli
rispose ironica “Di certo,
perché voi avete fatto davvero molto per me! Siete riuscito
a dimostrarmi solo
quanto il vostro potere di far star male una persona sia infallibile! E
se
pensate che il fatto di aver perso una persona a voi cara vi dia la
giustificazione per un comportamento simile, siete in torto!”
Callie si portò una mano
sulle labbra e sbarrò gli occhi:
non avrebbe mai dovuto dire una cosa simile. Ora era lei ad aver
superato il
limite. Era lei ad essersi rivelata ignobile. Ma il rancore verso
quell’uomo
sembrava farle perdere ogni padronanza di sé.
Ora sono io
ad averlo
ferito.
Gli occhi neri di Alexander James
Norris sembravano volerla
trafiggere tanto lo sguardo che le mostrò era tagliente.
Callie tremò
spaventata e si chiese cosa ora sarebbe potuto accadere.
“Bene!”
esordì lui con forza “Bene…”
ripeté poi abbassando
la testa corvina e lasciandole lentamente il braccio. Si
voltò, così che lei
non potesse più vedergli il volto “ Per un momento
avevo pensato…avevo
sperato…ma le vostre parole sono state fin troppo chiare. Vi
auguro la buona
notte, signorina Honeycombe.”
Callie, non volendo vederlo
andarsene, si voltò a sua volta
e si avviò velocemente verso casa sua. Scosse la testa
castana: doveva
resistere, poiché non poteva proprio piangere. Anche se
aveva il cuore gonfio
di dolore, se a malapena guardava dove metteva i piedi tanto era
confusa. La
vista cominciò ad appannarsi terribilmente.
Non devo
piangere.
Quando sentì una mano
forte prenderla per le spalle e
tirarla indietro per un momento aveva pensato e sperato che si
trattasse di
Alexander. Ma quando, alzando lo sguardo, sentì un terribile
odore d’alcool e
incrociò gli occhi con un perfetto estraneo si rese conto di
essere nei guai.
L’uomo le mise una mano davanti alla bocca e
cominciò a premere forte. Callie
credeva di dover morire, tanto aveva paura.
Lacrime terrorizzate cominciarono a
scenderle dalle guance,
mentre guardava ad occhi sbarrati quel borseggiatore che ora le
strappava i
pochi ornamenti che aveva indosso. Si chiese se l’avrebbe
lasciata andare
incolume.
“Finirà presto,
deve finire presto…” pensò lei per
calmarsi,
il corpo che tremava violentemente.
Si sentì sprofondare nel
sentire la sua voce strascicata
asserire “Questo non è neanche buono a farmi
vivere per una settimana, non è!
Allora la piccola mi ripagherà in un altro modo!”
e, con suo grande orrore,
sentì la mano di lui tentare di infilarsi sotto il suo
vestito.
Radunando tutte le forze rimaste,
Callie riuscì a spingerlo
via e farlo cadere, ma non fece nemmeno in tempo a voltarsi che
l’uomo aveva
estratto una piccola pistola lucida e gliela stava puntando contro con
un
ghigno totalmente folle. Tremando, rimase inchiodata lì
dov’era: non c’era
dubbio, sarebbe morta.
Fu un attimo. Vide una sagoma scura
pararsi davanti a lei e
un colpo di pistola esploderle nelle orecchie. Aveva chiuso gli occhi
di scatto
così, quando li riaprì lentamente,
trovò di fronte a lei un serissimo Alexander
James Norris che, con la pistola ancora puntata davanti a
sé, fissava il corpo
inerte dell’uomo davanti a loro.
Callie si fece più vicina
a lui, il cuore che sembrava
volerle uscire letteralmente dal petto. L’aveva salvata,
un’altra volta.
“L’avete ucciso?”
“Sì.”
rispose lui freddamente e senza voltarsi.
La ragazza stava per dire qualcosa
quando il gemito di
Alexander la ghiacciò lì, sul posto. Lo
osservò prendersi il costato e piegarsi
in ginocchio, cadere davanti a lei.
Callie, presa dal panico, si
inginocchiò davanti a lui e lo
prese per una spalla, cercando di sostenerlo. Lui tolse la mano dal
fianco e se
la portò davanti al viso: era piena di sangue. Sorrise
appena “Anche lui ha
sparato.”
La ragazza si chiese come potesse
scherzare in momento come
quello e, cercando di non farsi sopraffare dal terrore,
balbettò “Un…un medico!
Bisogna chiamare un medico! Dov’è il
cocchiere?”
“Sarà qui fra
poco, immagino. Era dietro di me poco fa…”
ansimò debolmente l’uomo.
Alexander cadde addosso a lei con
tutto il suo peso e la
ragazza si dovette aggrappare al coraggio e alla forza rimaste per
sostenerlo.
Lo prese fra le braccia delicatamente e sentì che lui
nascondeva la testa
nell’incavo del suo collo “…ma se non me
la cavassi…andrebbe bene ugualmente.
In fondo, me la merito…”
“Non dite così!
Cercate di conservare le forze, piuttosto!”
gli disse Callie con voce incrinata. Sentiva il fiato di lui sulla
pelle e
aveva il terrore che smettesse di respirare. Quando vide la figura del
cocchiere correre verso di loro con altre due persone al seguito,
ringraziò il
cielo.
Si piegò su Alexander, che
teneva lo sguardo buio davanti a
sé. Lo vide sorridere leggermente: era un sorriso amaro e
triste “…è colpa mia
se è morta. Tutta colpa mia.”
Sentì il cuore stringersi
dal dolore e dalla pena.
Non andare
da lei,
rimani…rimani con me.
Callie non poté fare altro
che guardare due uomini forzuti
portargli via delicatamente il corpo di Alexander dalle braccia, mentre
il
cocchiere le metteva sopra le spalle una coperta e le porgeva dei Sali.
Si
lasciò cadere a sedere sul marciapiede, sostenuta dal
braccio del vetturino
sopra le spalle.
Ora che non aveva più lui
a gravare con il suo peso si
sentiva infinitamente vuota, le sembrava che qualcuno le avesse
strappato via
una parte di sé. Scoppiò a piangere.
Lo ami e, in
fondo,
l’hai sempre saputo.
Da quando in giro si era sparsa la
voce che il signor
Alexander James Norris l’aveva salvata da un borseggiatore e
aveva quasi perso
la vita nell’intento, la curiosità nei confronti
della signorina Callie
Honeycombe da parte della Buona Società era notevolmente
aumentata.
Siccome non era possibile recarsi in
visita dal beniamino di
Londra, il medico aveva assolutamente proibito qualsivoglia contatto
che potesse
mettere il ferito in stato di agitazione, la folla cittadina si era
riversata
presso Callie. Sotto le lettere e i visi preoccupati si nascondeva
semplicemente l’egoistico scopo di racimolare qualche
informazione dalla
diretta interessata.
A parte gli amici intimi della
famiglia, qualsivoglia
scocciatore era ben tenuto lontano da un’agguerrita Fay
Tricot seguita dalla
sua stregua di domestici.
“Quattro
giorni…” pensò Callie, rivolgendo lo
sguardo fuori
dalla finestra. La vita di Londra alla fine procedeva come sempre, con
il
solito vivai. La ragazza appoggiò le punta delle dita sul
vetro fresco. Avrebbe
voluto vederlo.
Ma non poteva. Il giorno dopo il
fatto, si era presentata a
casa sua, ma secondo il medico Alexander era ancora troppo debole e
l’aveva
invitata a tornare dopo qualche giorno. Callie aveva lasciato passare
quei quattro
giorni, ma aveva deciso di ripassare l’indomani. Doveva
rivederlo.
Doveva
chiedergli
scusa e ringraziarlo.
Chiedere perdono per avergli dedicato
quelle parole
terribili e per essersi messa in quella situazione pericolosa, come una
sciocca; dirgli
grazie per averla
salvata. Sospirò, appoggiando la fronte contro la finestra:
ora riusciva a
capire come veramente stavano le cose. Anche se il comportamento di lui
fin
dall’inizio era stato tremendo, Callie non poteva non
ignorare quanto anche lei
fosse stata diffidente nei suoi confronti, quanto avesse sempre
trattato
quell’uomo con un fondo di disprezzo.
“Per
un momento avevo
pensato…avevo sperato…ma le vostre parole sono
state fin troppo chiare.”
Lo ami e, in
fondo,
l’hai sempre saputo.
Callie si porto le mani al petto,
come se potesse arginare
la tristezza dentro di lei solo con quel gesto. Socchiuse gli occhi,
sentendo
le lacrime prossime a cadere dai suoi bei occhi nocciola:
sì, l’aveva sempre
saputo. Dal momento in cui aveva deciso di stargli lontano, di erigere
un muro
tra sé e lui, un muro che troppe volte quell’uomo
era riuscito a infrangere
solo con un gesto e una parola.
Ma ogni
volta che lo
lasciava cadere in mille pezzi poi lui l’aveva fatta soffrire
immensamente.
La ragazza si allontanò
dalla finestra e andò a sedere allo
scrittoio. Fissò il legno davanti a sé senza in
realtà vederlo: l’aveva
detestato anche per il semplice fatto di ricordargli il passato, l’uomo che aveva
amato immensamente e che,
come ringraziamento, l’aveva picchiata fino a farle perdere
la voce: Henry Bell.
“Mi
accusate di
fingere…ma io non mi comporto, io
sono
così…”
“Posso
baciarvi?”
“Io
non vi farei mai
del male.”
Callie si prese il volto fra le mani,
lasciando ai capelli
castani il compito di nasconderla. Si detestava, poiché lo
sapeva, dentro di
sé, che era stata la prima a mentire con sé
stessa. Sentiva che lui in qualche
modo le stava dando una possibilità, anzi, si
stava dando una possibilità...e voleva che Callie
l’ascoltasse.
“Per
un momento avevo
pensato…avevo sperato…”
Ma in quel momento lei non aveva
pensato ad altro se non a
ferirlo, accecata dalla rabbia e dai suoi stessi sentimenti. E
l’aveva messo in
pericolo, comportandosi da sciocca. Rivide di fronte a sé
l’immagine di lui che
cadeva a terra, della sua mano piena di sangue, di quel leggero sorriso.
“…è
colpa mia se è
morta. Tutta colpa mia.”
Ora le lacrime scendevano libere
sulle sue guance scosse dai
singhiozzi. Non ci sarebbe stata nessuna possibilità, perché aveva
capito molto bene quanto
Alexander James Norris appartenesse ad una sola persona.
Callie pensò che forse non
avrebbe più voluto vederla; lei e
le sue parole terribili.
“Come
ho agito
bassamente!” esclamò “Io che tenevo
tanto al mio discernimento! …sino a oggi
non mi ero mai conosciuta!”*
Fuori pioveva. Il rumore delicato di
quella pioggia fine che
bagnava la città contribuiva a rendere il panorama ancora
più grigio e sciatto.
Cominciava, come suo solito, ad annoiarsi.
Stare a letto per dei giorni interi,
quando la sua mente era
perfettamente lucida, e non poter fare assolutamente niente lo tediava
immensamente. Il medico aveva addirittura proibito che assumesse
alcolici. Le
sue belle labbra sottili si curvarono leggermente, in una smorfia
insoddisfatta.
Distolse lo sguardo dalla finestra e
si voltò verso Cecil
Price, seduto di fianco al letto, che lo guardava con due occhi castani
piuttosto pensierosi. Ad Alexander sembrò che fosse in
attesa che lui dicesse
qualcosa, così posò nuovamente gli occhi neri sul
panorama esterno e disse, con
voce piatta “ Lei non si è fatta vedere?”
“No, non è
venuta.”
L’uomo sorrise appena
ascoltando il tono calmo e contenuto dell’amico
“Lo immaginavo. Sicuramente mi odia, anche se le ho salvato
la vita.”
“Sono sicuro che le cose
non stiano esattamente così, amico
mio.” fece l’altro con voce severa
“perché non le fate avere un biglietto?
Così
saprebbe che siete già in grado e ben disposto a
riceverla.”
“Oh! Non metterti
così a ridere, Alexander! Se
pensi che io sia l’unica, l’unica donna a cui puoi
aprire il tuo cuore…”
“è
quello che ho detto, infatti. Non
posso più guardare nessun altra da quando ho conosciuto
te.”
“No.” La voce
fredda dell’amico stupì Cecil. “Credo
che sia
meglio non vederla, poiché ha la straordinaria
capacità di combinare un guaio
dopo l’altro…mi annoia, quella
ragazzina.”
Il signor Price sospirò:
conosceva da molti anni Alexander e
non faceva alcuna fatica a capire quando l’amico si
trincerava dietro alla sua
solita finta facciata. Guardò con insistenza la chioma
corvina e ribelle di lui
prima di dire “Mentite, ancora una volta. Se la signorina
Honeycombe per voi
non rappresenta altro che un elemento di fastidio, perché
siete così triste e
abbattuto?”
“Voi…a
volte, avete
uno sguardo colmo di tristezza.”
Alexander trattenne una risata amara.
Si portò una mano
sugli occhi stancamente “Non è vero. E comunque,
io e lei non potremo mai
comprenderci…è impossibile!”
L’ultima parola
piombò in un silenzio carico di gravità. Poi
la voce di Cecil ruppe non solo quel silenzio, ma ebbe anche
l’effetto di
smuovere l’amico “Forse perché entrambi
non avete mai nemmeno fatto un
tentativo. Voi l’amate, non è vero?”
Alexander James Norris
voltò la testa di scatto: Cecil lo
scrutava con aria seria, le mani intrecciate sulle ginocchia. Il moro
rivide
gli occhi nocciola di Callie davanti a sé, il suo sguardo
corrucciato, il suo
adorabile rossore che le invadeva le guance, la sua voce testarda.
Distolse gli
occhi dall’amico, l’espressione sofferente che pian
piano si dipingeva sul bel
viso scuro.
“Un
medico! Un medico
presto!”
“Alexander, non c’è
più niente da
fare…promettimelo…”
“Non
dire così…tu non
morirai…non dire così!”
“Promettimi…
promettimi
che non ti fermerai con …con me…andrai
avanti…promettilo…”
“Non
ti posso
promettere questo! Non posso!”
“Laura non avrebbe voluto
vedervi così.” continuò serio
Cecil Price “Non ancorato al passato, a lei, non avrebbe
voluto vedervi
tormentato in questo modo. Vi state solo facendo del male.”
“Adesso
smettetela.” la voce di Alexander non ammetteva
repliche. Non intendeva più ascoltare quelle parole,
perché non le meritava. Come
Callie non meritava un uomo come lui.
“Quindi,
cos’avete intenzione di fare?”
“Domani stesso
partirò per il Derbyshire, raggiungerò i miei
genitori e passerò là il resto
dell’anno, che altro?”
Cecil scosse la testa biondissima
sospirando “State solo
scappando, amico mio.”
Alexander non gli rispose, ma
abbassò la testa lasciando che
i capelli corvini gli nascondessero il volto. Le dita delle mani
andarono a
stringere convulsamente il tessuto della coperta.
No, sto
salvando
quella ingenua e sciocca ragazza.
Non so
veramente se
ora lei mi detesta, ma so quanto l’ho fatta soffrire. E
quanto lei ha fatto
soffrire me.
Perdonami,
Callie.
Callie fissava l’ampio
salone di casa Norris con stupore e
ammirazione. La residenza londinese di Alexander non era solo situata
in uno
dei quartieri più eleganti e ‘alti’
della città, ma era veramente enorme. Non
aveva nulla a che vedere con le distinte ma modeste dimore di campagna
e
superava di gran lunga ogni qualsivoglia residenza cittadina che aveva
finora
veduto. Pensò, d’altronde, che l’uomo
che abitava in quella casa, con
un’entrata di quarantamila sterline l’anno, poteva
permettersi questo e altro.
Non c’era da stupirsi che fosse uno dei partiti
più ambiti di Londra e
dintorni.
La ragazza non aveva avuto modo di
osservare seriamente
tutti i particolari della casa durante la sua ultima visita, anche
perché aveva
incontrato il medico proprio sull’uscio; quindi ora era
intenta a contemplare
attentamente l’ampio soffitto sopra di lei. Doveva proprio
ammettere che il
signor Alexander James Norris aveva un gusto per
l’arredamento che eguagliava o
superava quello del suo abbigliamento elegante e costoso.
“Buongiorno
signorina.”
La voce del maggiordomo, che si era
avvicinato in silenzio a
lei, la riscosse dalla sua contemplazione “Mi presento:
Gordon Wallice,
maggiordomo personale del signor Alexander. Posso aiutarvi in qualche
modo?”
Callie annuì e disse
“ Stavo cercando proprio il
proprietario, se è per questo. È stato informato
della mia visita?”
Il viso un poco rabbuiato e
dispiaciuto di Gordon non
tranquillizzò Callie, che in realtà non aveva
affatto un buon presentimento. E
le parole che seguirono, non ebbero altro effetto se non quello di
farla
sprofondare in una perplessità dolorosa.
“Mi spiace, signorina, ma
il mio padrone è partito
stamattina presto.”
“Oh!” rispose
Callie, con evidente delusione “E…e ha
lasciato intendere quando sarà di ritorno?” chiese
poi con voce un poco
incrinata.
“Non tornerà qui
fino all’anno prossimo, credo.”
Callie si sentì
impallidire: Alexander voleva evitarla. Era
partito per non correre il rischio di trovarsela in casa, in una
situazione
dove non avrebbe potuto non incontrarla. Si chiese perché
avesse dovuto
arrivare a tanto e, solo per un momento, si disse che stava scappando.
Mentre poco tempo fa avrebbe gioito
di una notizia come
quella, ora si sentiva solamente abbandonata e vuota.
No, non ci
sarebbe
stata nessuna possibilità…
Ancora una volta fu la voce del
maggiordomo a riscuoterla
dalle sue riflessioni “Signorina, vi sentite bene? Vi prego
di sedervi un
poco…siete pallida.”
La ragazza guardò
l’anziano servitore e scosse la testa,
asserendo debolmente “Vi ringrazio, ma preferisco tornare a
casa.”
“Scusate la mia
impertinenza, ma mi permetto di insistere.
Il mio padrone non sarebbe certo fiero di me se sapesse che io, il suo
maggiordomo personale, ho congedato una signorina con così
malo modo.”
Callie alla fine accettò
l’offerta e si disse che almeno
avrebbe potuto sedere un momento, perché le tremavano le
gambe. Aveva sorriso
in maniera un poco ironica alle parole del maggiordomo: dipingevano
Alexander
come un perfetto gentiluomo, ma era anche normale che Gordon difendesse
il suo
padrone.
Il servitore la scortò in
salotto e la fece sedere su un
divano morbido e grande; poi, inchinandosi, le annunciò che
sarebbe andato a
prenderle qualcosa da bere, per risollevarla un poco. Così
Callie si mise ad
osservare la grande sala: vi era un viavai continuo di domestici
intenti a
coprire con lunghi teli bianchi il mobilio e a mettere in grandi bauli
vari
oggetti che probabilmente sarebbero serviti al proprietario fuori
città. Il
camino era spento e freddo.
Alla ragazza si strinse il cuore: lui
se n’era andato. E non
le aveva nemmeno fatto sapere nulla, non le aveva fatto avere nemmeno
due righe
striminzite. Ora davvero non l’avrebbe rivisto più
per molto tempo. Si
appoggiò allo schienale stancamente, con
un senso di dolorosa tristezza: sentiva che le sarebbe mancato, anche
se
avrebbe voluto che non fosse così.
Signor
Alexander,
voglio rivedervi.
Si ricompose al ritorno di Gordon con
un bicchiere di
liquore scuro. Egli si scusò, asserendo che in casa era
rimasto poco altro. Incominciò
a spiegare alla signorina Honeycombe tutti i dettagli del trasloco e di
quanto
fosse, se le perdonava l’ardire, faticoso per un maggiordomo
ormai anziano come
lui organizzare uno spostamento così ampio.
Quando lei gli chiese se Alexander
avesse intenzione di
chiudere la casa, lui le rispose positivamente aggiungendo “
Il mio padrone ha
deciso di rimanere alcuni mesi presso i genitori, ma in seguito si
sposterà in
un’altra delle sue proprietà, situata solo qualche
miglio da quella della
famiglia. Noi domestici ci trasferiremo subito là, a
preparare il suo arrivo.”
Callie annuì pensierosa
“Capisco. La Stagione ha ancora
qualche settimana dinnanzi a sé, ma anche io e la mia
famiglia torneremo presto
nell’Hampshire.” O almeno così sperava
ardentemente. Aveva bisogno della
tranquillità di campagna. Aveva bisogno di casa.
“Dunque…non
ditemi…voi siete la signorina Honeycombe?!”
Il tono sorpreso
dell’anziano indusse Callie a chiedere
“Sì,
sono io. Perché me lo chiedete?”
L’uomo si
inchinò di fronte a lei “Allora sono sicuro che
conosciate tutti i pregi e difetti del mio padrone, quindi non ho
difficoltà a
dirvi che è stato proprio lui a parlarmi di voi:”
“Seriamente?”
chiese Callie con voce più alta del dovuto, in
attesa che l’uomo continuasse il suo discorso. Ardeva dalla
voglia di sapere
cosa il signor Alexander aveva potuto dire di lei.
“In confidenza,
più volte l’ho sentito riferirsi a voi come
una sciocca ragazzina ingenua…”
Appunto, non
mi
aspettavo altrimenti.
“…ma anche la
più adorabile e testarda creatura che abbia
mai veduto. Più volte ho pensato che volesse far di voi la
padrona di questa
casa e ora vedo, conoscendovi, che voi non siete affatto paragonabile a
tutte
quelle dubbie ragazze che poneva sotto la sua protezione.”
Callie sussultò e
arrossì furiosamente. Si pentì per un
momento di aver chiesto a quel domestico un po’chiacchierone
cosa il suo
padrone dicesse di lei.
La padrona
di questa
casa…se solo non avessi pensato ad altro che a ferirlo.
Ormai non ci
sarebbe
stata più nessuna possibilità. Sempre che ce ne
fosse mai stata una.
Cercò di non indugiare
più su questi pensieri, perché capì
che l’idea di diventare la moglie di Alexander James Norris
l’avrebbe resa
felice come non mai.
Scosse un poco la testa e sorrise
appena “Evidentemente
avete sbagliato i vostri calcoli! Lui se ne è andato. Ma in
fondo, non importa,
perché come avete già detto in precedenza io
conosco bene i difetti di quell’uomo
e dubito che saremo mai potuti andare d’accordo.”
Gordon ascoltò le parole
dure della ragazza senza
rispondere: era in effetti facile capire il motivo del trasloco
improvviso del
padrone. Stava letteralmente fuggendo da quella signorina, da quella
situazione
che non avrebbe potuto che portargli felicità. Gordon
sospirò rassegnato. Se
non fosse stato per quel senso di colpa che da anni lo tormentava, se
non fosse
stato ancora così legato alla povera signora Laura.
Di certo aveva pensato di non potersi
meritare una come la
signorina Honeycombe, una volta compreso che i sentimenti per lei
andavano ben
di là del comune divertimento e attrazione. Sicuramente
credeva che stare
vicino a uno come lui, li avrebbe fatti soffrire entrambi, che avrebbe
rovinato
Callie proprio come si dava la colpa della morte di Laura. E quando
aveva
lasciato tornare a casa la signorina da sola e questa era stata
aggredita, il
padrone di certo se ne era incolpato e era stato ancora più
sicuro del dovere
di tenerla lontano da lui.
Callie volendo spezzare il silenzio
grave e imbarazzato,
chiese con voce un poco incerta “Posso
chiedere…posso chiedere cosa rappresentava
per il signor Alexander la donna scomparsa molti anni fa?”
Gordon fu un poco stupito dal fatto
che quella ragazza
graziosa sapesse di quel fatto, ma poi rispose, in tono serio
“Era sua moglie.”
Callie, che stava fissando
insistentemente il tappeto
sontuoso sotto i suoi piedi, si voltò di scatto verso il
maggiordomo.
L’espressione di pura sorpresa che si faceva strada sul suo
volto imbarazzato.
“Erano sposati da appena un
anno. Il padrone allora aveva
ventiquattro anni e la signora Laura ventidue…aspettavano un
bambino.”continuò
Gordon in tono grave.
La ragazza castana guardava
quell’uomo ormai anziano,
oppresso da una pesante preoccupazione. Lo guardava e le sue parole
sembrarono
penetrarle nella mente con un dolore e una pena infinite. Si
portò una mano sul
petto: il cuore pulsava velocemente, profondamente turbato e ferito.
“…per
lui mia madre
era tutto.”
“Sembra
quasi che
l’anima ti venga portata via, quando succede. E sembra di
impazzire poiché non
si può dimenticare un dolore così
grande…no, non è possibile. Ci si rassegna
solo, alla fine.”
Callie capì che,
probabilmente, di possibilità non ce ne
erano mai state.
Note:
* Orgoglio
e
pregiudizio, cap. XXXVI
|
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Capitolo 9 *** Capitolo nono. Sentirne la mancanza. ***
ABOMINEVOLE ritardo!!!!!!!! Chiedo
scusa a tutti quelli che
seguono questa storia, ma ho fatto davvero fatica a pubblicare in
questi
giorni!!! Beh, l’importante è che sia riuscita ad
aggiungere un nuovo capitolo,
no? :)
Ed ecco qua, giunti al dopo.
Perché dopo la tempesta segue sempre un po’di
sole, o almeno si spera!
Ringrazio ancora chi mi segue e mando
un bacione!
Alla prossima!
P. s.: Vi prometto che Alexander e
Callie non rimarranno a
lungo separati. Giusto, giusto questo capitolo! :)
“Erano
sposati da
appena un anno. Il padrone allora aveva ventiquattro anni e la signora
Laura
ventidue…aspettavano un bambino.”
La brezza soffiava dolcemente e le
accarezzava la pelle
lasciandole lievi brividi di freddo. Il frusciare degli alberi e delle
foglie
secche mosse dal vento erano l’unico suono che poteva udire,
mentre con la
punta delle dita accarezzava il dorso ruvido di un libro abbandonato al
suo
fianco. Bianche masse di nuvole incombevano sopra di lei, lasciando
intravedere
il sole di tanto in tanto.
Era uno di quei momenti di pace che
tanto le piaceva
assaporare.
“…aspettavano
un
bambino.”
Ma, sebbene fosse finalmente a casa,
non riusciva a trarne
nessun conforto. Il momento di tranquillità se ne era andato
rapidamente, come veloci
riaffioravano i ricordi nella sua mente.
Si alzò stancamente a
sedere, togliendosi qualche fogliolina
secca incastrata tra i capelli sciolti e lunghi. Callie si
guardò intorno: si
era rifugiata su una collinetta poco lontano da casa. Da lì
poteva vedere un
ampio squarcio di campagna, con le sue dimore più o meno
dignitose, con i
colori dell’autunno, ormai in arrivo, che spegnevano le
tonalità accese
dell’estate.
Era passato un mese da quando lei e
la sua famiglia erano
tornati nell’Hampshire. E, al suo arrivo, la ragazza aveva
trovato tutto come
l’aveva lasciato settimane prima: le stesse conversazione
sobrie e serene, gli
stessi volti conosciuti, le stesse serate passate in una cerchia
ristretta di
amici, le sorelle Hayer che avevano sommerso lei e Linda di domande
riguardanti
la vita di Londra.
Ovviamente, le due avevano anche
insistito per sapere tutto
ciò che aveva fatto il loro beniamino in città e
quando seppero che l’uomo
aveva salvato la vita a Callie, rischiando la propria, esplosero in
lamenti
tristi e invidiosi.
“Parola mia, cara
signorina! Quanto avrei voluto essere al
vostro posto! Io di certo, un signore come quello, non me lo sarei
lasciato
sfuggire! D’altronde, quando soggiornava qui da noi, mi ha
fatto centro di
palesi attenzioni!” aveva detto Charlotte con aria di
superiorità, ignorando
ovviamente che lei stessa non solo si era lasciata sfuggire un partito
come il
signor Alexander; ma che questi non era mai stato sfiorato dal pensiero
di
corteggiarla.
Callie sorrise tristemente. Se
Charlotte avesse saputo che
il signor Alexander aveva preso seriamente in considerazione
l’idea di fare
della signorina Honeycombe sua moglie sarebbe letteralmente esplosa
dalla
rabbia.
La ragazza portò le
ginocchia al petto, arrossendo. Fissò il
grande telo a quadri su cui era seduta: tanto ormai era del tutto
inutile
indugiare su quei pensieri, poiché quell’uomo si
era allontanato da lei
definitivamente. In più, non aveva nemmeno la certezza che
le parole del
maggiordomo fossero vere.
“Era
sua moglie.”
Con una dolorosa fitta allo stomaco,
alzò nuovamente lo
sguardo nocciola sul panorama di fronte a lei. Alla fine, di
un’unica cosa era
perfettamente sicura. “Il signor Alexander ha amato una sola
donna in vita
sua…e la signora Laura non può essere sostituita
da nessun altra.”
E ne era una conferma il suo
comportamento nei confronti del
genere femminile in generale. Quanto dovevano esserle sembrate lontane
anni
luce le altre signorine, così diverse dalla donna che aveva
sempre amato. Dalla
madre di suo figlio.
Callie chiuse gli occhi. Ecco, lo
stomaco che ancora si
contorceva dolorosamente al pensiero. La ragazza cercò di
immaginare un
Alexander più giovane, innamorato, provò a capire
come fosse il suo carattere,
se era diverso da quello che lei ormai conosceva così bene.
E poi cercava di ricostruire
un’immagine di quella donna. Ma
tutto ciò che riusciva a vedere era un sorriso dolce e
gentile, per il resto,
non sapeva proprio come continuare quel ritratto immaginario. Si
aspettava che
fosse una ragazza sicuramente bellissima.
Però poi, alla sua
fantasia e alla figura di quel ragazzo
così aperto e solare si sovrapponevano i ricordi di quello
che ormai era un
uomo ricchissimo quanto impossibile. Tutti i suoi cambi
d’umore, tutte le sue
artificiose maniere, i suoi occhi neri che l’avevano
più e più volte guardata
in modi immensamente diversi, le sue mani sulla sua pelle…le
sue parole. Le
parole che si erano scambiati: le ricordava esattamente, dalla prima
frase
all’ultima.
“Non mi aspettavo
davvero che mi avreste servito
voi, non dopo aver notato che a malapena mi rivolgete la
parola….per non
parlare del fatto che sembrate evitarmi sin dal primo momento in cui mi
avete
visto…vi faccio paura per caso, signorina?”
Callie chiuse gli occhi, respingendo
la sua tristezza in
fondo ad un cassetto del suo cuore, ben nascosta. Si ricordò
il momento in cui
lui le aveva detto che mai le avrebbe fatto del male. Si
portò una mano sulle
labbra tremanti.
Mi mancate,
mi mancate
terribilmente.
Riaprì gli occhi giusto in
tempo per osservare l’alta figura
bionda di Linda Clayton incespicare in mezzo all’erba,
diretta verso di lei.
Sorrise debolmente all’amica: in quel periodo gli sforzi di
Margareth e Linda,
volti a distrarla il più possibile, si traducevano nel non
lasciarla mai troppo
da sola con sé stessa. Evidentemente non volevano lasciarle
nemmeno un minuto
per pensare.
E Callie fu loro grata per questo
poiché, da sola, non
sentiva di averne la forza. Sapeva bene quanto importante fosse
dimenticare
presto quell’uomo e sotterrare i suoi scomodi sentimenti,
poiché solo così
sarebbe tornata alla sua vita di sempre senza pensare troppo a rimorsi
o
rimpianti.
“Callie, vi ho trovata
finalmente!” esultò Linda,
avvicinandosi alla ragazza castana “ Stavate giocando a
nascondino, per caso?”
“ Questo sarebbe un modo
per dirmi che sono infantile?”
ipotizzò ridendo Callie.
La signorina Clayton si
portò le mani sulla vita sottile e
disse, in tono fintamente severo “Sapete che ore sono?!
Sapete, mia cara, che
vostro padre vi sta cercando da più di
un’ora?”
La ragazza guardò quella
figura alta sporgersi su di lei e,
ridendo, si alzò in piedi “ Giusto Cielo! Questo
vuol dire che Nanny starà
pattugliando tutta la zona alla mia ricerca!” fece,
raccogliendo il libro e la
tovaglia.
Linda le diede una mano a piegarla
“ Beh d’altronde è stata
la vostra balia!”
“Sì, ma non sono
più una bambina! Anche se, a volte, so
essere più infantile di Henrietta!”
Linda annuì, sempre
sorridente “ Su questo ci troviamo
perfettamente d’accordo. Ma ora…” e qui
cambiò tono “…basta scherzare. Amica
mia, credo che vostro padre debba darvi una notizia. E non molto
piacevole.”
L’espressione preoccupata
che si era fatta strada sul volto
dell’amica non fece che mettere Callie in
un’ansiosa attesa “E così grave?
Avete una faccia!”
Linda fece un gesto di noncuranza con
la mano e si avviò giù
per la china, seguita a ruota da una Callie ora ormai liberamente
preoccupata.
La ragazza castana cominciò a tempestare l’amica
di fastidiose domande, ma
questa non era intenzionata a rispondere. D’altronde erano
affari del signor
Honeycombe e lo stesso uomo aveva pregato Linda di non riferire nulla
alla
figlia.
All’ennesimo “E
avanti, ditemelo! Lo voglio sapere! Perché
non me lo dite?’ Linda alzò gli occhi al cielo,
esasperata. “Vostro padre mi ha
pregato di non farvene parola. Vuole parlarvene lui stesso.”
Callie esibì
un’espressione un poco corrucciata: la sua
innata curiosità avrebbe voluto che Linda le accennasse
almeno qualcosa mentre,
dall’altra parte, sapeva che suo padre non le avrebbe detto
nulla quella sera.
Poiché vi era una cena dai Moore. e ovviamente
anche il colonnello Moore, da sempre grande amico di suo padre, sarebbe
stato
presente. Ciò stava a significare che il signor Honeycombe
si sarebbe preparato
di tutta fretta, avrebbe cenato e poi lui e il colonnello si sarebbero
rinchiusi, insieme agli altri signori, nello studio a parlare della
guerra
ormai finita, dei tempi andati, eccetera. E sempre andava
così.
Ed infatti, il signor Honeycombe non
accennò nulla alla
figlia in quella serata, ma nemmeno nell’intera settimana che
ne era seguita.
Callie ebbe la delusione e la sorpresa di capire che il padre evitava
l’argomento, sordo ad ogni suo tentativo di portarlo su
quella strada.
Si chiese il perché.
“D’altronde mio padre è sempre stato un
uomo molto schietto, non è da lui fare tanto il
misterioso.”
Callie era arrivata anche a
ipotizzare un possibile secondo
matrimonio in arrivo e, quindi, anche il conseguente imbarazzo del
padre ad
annunciarlo alle due figlie. Ma poi ci ripensò: sapeva bene
quanto lui amasse
ancora così profondamente sua madre. Di certo non voleva
risposarsi.
“Per
lui Grace era
tutto.”
A quel pensiero, Callie ne
associò immediatamente un altro
e, non volendo per niente al mondo indugiare nuovamente su un argomento
che la rendeva
così triste, non vi pensò più.
Passarono più o meno
veloci altre due settimane e la ragazza
cominciava a pensare di starsi nuovamente abituando alla vita di
sempre, alla
campagna dove era nata, ai ricevimenti e ai balli offerti dagli
abitanti della
zona. Si disse di essere addirittura contenta di aver ritrovato le
solite
sorelle Hayer che, nella loro sciocca vanità, erano
così famigliari da farla
sentire tranquilla.
Era a casa. Era giovane, intelligente
e vivace. Aveva suo
padre e sua sorella. Aveva i suoi amici. Nient’altro doveva
contare.
Callie avrebbe dovuto immaginare che,
come solito, quel
breve periodo di apparente tranquillità sarebbe presto stato
messo alla prova.
E fu destino che proprio Charlotte Hayer dovesse sconvolgerla, con
queste parole:
“ A proposito, signorina Honeycombe, sono assolutamente
invidiosa di voi e
vostro padre! Andare, tra qualche mese, nel Derbyshire con i
Clayton!”
La ragazza castana era rimasta
impietrita a
quell’affermazione e, balbettando, chiese spiegazioni a
Charlotte che, con una
smorfia, chiocciò “Ma sì, ma
sì! Me l’ha riferito lui stesso qualche giorno fa!
Vostro padre pensava di recarsi in visita presso il signor David Norris
per
qualche giorno…possibile che non ve ne abbia fatto
cenno?”
Anche Callie si fece la stessa
domanda. “ No, non me ne ha
parlato. Temo…temo che se ne sia
dimenticato…”
“ Comunque sia, che fortuna
sfacciata signorina! Se penso
che quest’inverno io e Catherine saremo costrette a passare
le acque con i
nostri genitori a Bath!”
La signorina Honeycombe non fece
presente a Charlotte che
Bath d’inverno rappresentava una grande attrattiva per la
vita di società e non
le disse nemmeno che, tra le due, la più fortunata
sicuramente era lei.
Si chiese perché suo padre
non avesse voluto dirglielo. Aveva
un’idea molto spiacevole al riguardo e, al solo pensiero, si
sentì furiosa nei
confronti del signor Honeycombe.
Così, dopo una notte
insonne, fece in tono noncurante “
Allora, quando è fissata la data di partenza?”
Erano intenti a fare colazione e, al
suono di quelle parole,
suo padre si irrigidì. Callie lo guardò dilatare
gli occhi dalla sorpresa e una
soddisfazione rabbiosa si impadronì di lei. “Non
so quanto volevate aspettare a
dirmelo…probabilmente lo avrei saputo il giorno stesso, se
la gentile signorina
Hayer non me l’avesse detto ieri.”
scherzò poi, versandosi del Caffé con finta
indifferenza.
“Mi sento
sollevato…” sospirò l’uomo,
mettendo da parte il
giornale “..confesso di essermi comportato come un perfetto
idiota. Ma ti
chiedo di perdonarmi, perché pensavo solo alla tua
serenità, bambina mia.”
Callie lo osservò
allungare una mano verso di lei e
accarezzarle con affetto una guancia. Se aveva deciso fermamente di
rimanere in
collera con lui, ogni difesa cedette di fronte a quel gesto e a quegli
occhi
così malinconici.
“Sono stato molto
combattuto in questi giorni.”
“Padre, io
non…”
“Voi ne siete innamorata,
non è vero?”
Quelle parole, e il tono dolce e
gentile con cui erano state
pronunciate, fecero sbalordire Callie che abbassò gli occhi
nocciola, in preda
ad un’improvvisa confusione. Mai e poi mai si sarebbe
aspettata una frase del
genere da suo padre. Come poteva sapere? Forse Linda glielo aveva detto
o…
Con il cuore in tumulto,
riuscì a dire “Io…non
so…”
L’uomo tolse la mano dalla
sua guancia e le sorrise “Non ho
bisogno di alcuna spiegazione. Sono tuo padre e certe cose riesco
ancora a
comprenderle da solo…devo solo dire di averlo temuto
già da tempo. D’altronde
Alexander James Norris è un uomo pericoloso!” e
qui ridacchiò divertito.
“Per questo motivo temete
ad andare in visita dai
Norris?”chiese Callie, alzando lo sguardo su di lui.
Il signor Honeycombe annuì
“ So bene che quel giovane è
residente lì da parecchie settimane...e, bambina mia, l’ultima cosa
che voglio è vederti soffrire.”
Lei scosse la testa risolutamente
“No e no! Ascoltate, non
deve essere questo a porvi un freno! Quanto a me, sto benissimo! Padre,
ve ne
prego, d’ora in poi non tenetemi più nascoste cose
simili!” e, facendo del suo
meglio per apparire sorridente, aggiunse “
D’accordo?”
Il signor Honeycombe
capitolò. “ Va bene. Ora che è tutto a
posto, ammetto di sentirmi ancora più sciocco.”
Callie, sentendo
l’impellente bisogno di stare da sola a
pensare, si alzò “ Non datevene più
pena. Ora, con il vostro permesso, penso
che andrò a prepararmi: ho proprio bisogno di una
passeggiata!”
La ragazza si avviò fuori
dalla stanza ma, colpita da un
pensiero improvviso, si fermò di botto e,
sull’uscio, si voltò verso un signor
Honeycombe trincerato dietro al giornale “Padre?”
“Sì,
cara?”
“Come avete..?”
L’uomo piegò il
quotidiano e, con un’espressione sorridente,
disse “Lo guardavi nella stessa maniera in cui tua madre
guardava me, tanti
anni fa. Gli stessi identici occhi.”
La ragazza arrossì, ma poi
scosse la testa e rispose con decisione
“Non dite assurdità! Io per quell’uomo
non provo niente di lontanamente simile
al sentimento della mamma per voi!”
Lo sguardo scettico del padre la
colpì con altrettanta
forza.
“Ora
siete voi che
mentite…signorina Honeycombe, siete una piccola bugiarda,
sapete?”
Callie trovò prudente
battere in ritirata, senza aggiungere
una sola parola.
“Ovviamente ci saranno
anche il signor Honeycombe e sua
figlia…due persone squisite, caro Basil, voglio proprio
farveli conoscere!”
Bastò
quell’unica frase, detta in tono casuale da David
Norris, per spezzare a metà l’esecuzione al piano
del signor Alexander. Il
giovane uomo portò gli occhi neri ad osservare ed ascoltare
attentamente la
conversazione fra il padre e il signor Basil Thompson, a pochi metri da
lui.
“Per me sarà un
vero onore, credimi! D’altronde le mie due
amate figlie hanno parlato molto di loro a casa…soprattutto
della signorina
Honeycombe! Fiona la descrive come una ragazza graziosa e dalla
conversazione
vivace!” assicurò con convinzione il signor
Thompson.
David Norris si mostrò
assolutamente d’accordo con lui. “In
effetti, mi stupisco di come possa essere ancora senza marito,
Basil.”
L’amico scolò
l’ultima sorsata di liquore dal bicchiere
prima di asserire, in tono gaio “In tal caso, sarò
più che felice di promuovere
una conoscenza fra lei e mio figlio William. Trentasei anni e ancora
non si
vede ombra di un matrimonio! Comincio ad essere seriamente preoccupato,
David!”
Alexander spostò lo
sguardo sui tasti dal pianoforte, con
una smorfia infastidita sul bel volto delicato. Ricominciò a
suonare, ma la sua
mente non era più concentrata sulla melodia e, anzi, vagava
libera per ben
altri pensieri.
“Fiona
la descrive
come una ragazza graziosa e dalla conversazione vivace!”
Non era assolutamente vero. Callie
non era né graziosa né
vivace: era molto, molto di più di quelle due parole
così prive di significato.
Ogni volta che i suoi occhi si erano posati su di lei, non vedeva una
ragazza
graziosa ma una donna semplicemente bella.
E i suoi modi, lei non era vivace…la trovava così
sorprendentemente perfetta.
L’uomo cercò di concentrarsi
nuovamente su ciò che stava suonando, poiché
voleva arginare in qualsiasi modo
quel dolore che sentiva ardere ogni volta che pensava a lei. Quel senso
di
colpa, quel maledetto senso di colpa, che non riusciva a lasciarlo in
pace
nemmeno un secondo quando nei suoi pensieri era presente lei.
Aveva disperatamente cercato di
convincersi che non era in
fuga, che allontanarsi da quella ragazza avrebbe giovato ad entrambi,
che
probabilmente Callie l’odiava e che, anche se le aveva
salvato la vita, non
avrebbe voluto più avere a che fare con una persona come lui.
“E
se pensate che il
fatto di aver perso una persona a voi cara vi dia la giustificazione
per un
comportamento simile, siete in torto!”
Sì, l’aveva
ferito con quelle parole. Ma quante volte lui,
con il suo carattere egoista, l’aveva ferita? Quanto male si
erano fatti l’un
l’altro?
Non aveva bisogno di Cecil che gli
ricordava continuamente
come stesse buttando via l’unica probabilità di
esser di nuovo completamente
felice. Lo sapeva già, sapeva di starla lasciando
andare. Ma lo faceva per
lei, per Callie, perché sentiva che l’avrebbe
rovinata, un giorno.
Non poteva
lasciarsi
andare. Perché lei era davvero perfetta.
Le dita ora scorrevano veloci sulla
tastiera producendo una
melodia energica quanto rabbiosa, ma lui non vi faceva caso tanto era
assorbito
da quei pensieri dolorosi. E ciò che più lo
tormentava era proprio l’immagine
di lei: il suo viso che arrossiva in modo adorabile, i suoi occhi
nocciola così
luminosi e espressivi, le sue labbra graziose che si schiudevano per
lui, la
sua figura esile e armoniosa. E soffriva quando ricordava le parole di
quella
ragazzina, tutte le parole che gli aveva dedicato da quando
l’aveva incontrata.
“
Vi chiedo scusa…vi
chiedo scusa per le parole terribili dell’altra volta.
…voi siete tremendo in
un certo qual modo ma…in quel momento sono io che ho
sbagliato.”
Era perfetta e lui l’aveva
ferita. E doveva anche accettare
l’eventualità che altri si facessero avanti, cha
altri potessero reclamare la
proprietà su di lei come del suo cuore. Rise internamente
ripensando i progetti
del signor Thompson nei confronti della signorina Honeycombe.
“Ci sarebbe quasi da
ridere, visto che suo figlio William non
è neanche degno di rivolgerle la
parola…” pensò irritato. Non avrebbe
mai
ammesso di essere geloso di altre donne, ma in quel momento non aveva
un’altra
definizione per descrivere quello che provava nei confronti di tutti
coloro che
potevano avvicinarsi a Callie.
Perché
di certo lui se
ne doveva tenere lontano.
La voce alta e severa di suo padre
spezzò il filo dei suoi
pensieri “Alexander, stai suonando con un po’troppa
energia non credi?”
L’uomo guardò
David Norris e sua madre con uno sguardo
assente; ma si riprese subito e, trincerandosi dietro la solita
espressione
galante, rispose con indifferenza “ Vi chiedo perdono padre.
Non era mia
intenzione tediare gli ospiti. Ora, se volete scusarmi.”
Teresa e David videro la figura alta
e scura del figlio
allontanarsi e sparire in uno dei corridoi senza dire nulla. Infine, si
guardarono preoccupati “ Mi sembra cambiato.”
La madre annuì, prendendo
a braccetto il marito e asserendo
“Non suonava più il piano dalla morte di Laura e
ora, da quando è arrivato qui,
si esercita ogni giorno. Temo che la signorina Callie l’abbia
scosso più di
quanto lui stesso ammetta.”
“Lo immaginavo.”
rispose freddamente David Norris, fissando
il punto in cui il figlio era sparito poco prima.
Alexander James Norris, intanto,
percorreva silenziosamente
un corridoio vuoto e buio. Aveva intenzione di uscire a prendere una
boccata
d’aria notturna, quando una voce sottile attirò la
sua attenzione.
“ Signor
Alexander.”
L’uomo si voltò
leggermente e i suoi occhi neri inquadrarono
la figura imbarazzata della giovane cameriera assunta da poco a
lavorare presso
quella casa. Sorrise suadente. “Sì?”
“Ecco…io…”
Alexander si scompigliò i
capelli corvini, notando di avere
di fronte proprio una bella ragazza. La figura di Callie si sovrappose
a quella
della imbarazzata domestica. L’uomo si avvicinò
lentamente a lei e la bloccò
contro la parete. Ora le parole di quella ragazzina sciocca
rimbombavano nella
sua mente.
“Voi
siete
impossibile! Vi detesto!”
“ Signore?”
La vocina agitata della domestica non
gli arrivò nemmeno.
Vide che si era fatta rossa in viso: un rossore che aveva un effetto
ben
diverso sulle guance di un’altra persona di sua conoscenza.
Decise di non voler
pensarci più. Si chinò sul volto della ragazza,
che ora si sporgeva verso di
lui.
“Voi
l’amate, non è
vero?”
Lei
è perfetta. Non
voglio che venga macchiata da una persona come me.
|
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Capitolo 10 *** decimo. Lo amava e, in fondo, l'aveva sempre saputo. ***
Come un regalo di Natale, ecco il
nuovo lungo capitolo dell’odissea
di Callie e Alexander…arrivato
dopo dei lunghi problemi con internet del mio computer! Ringrazio tanto
chi
ancora mi segue e che si appassiona a questa storia!!
Siamo quasi alla
fine…nemmeno io so come potrebbe andare a
finire fra questi due tormentati personaggi!!
Speriamo in un lieto
fine, no? :)
Difficile per Callie Honeycombe dire
se i due mesi che
precedettero la partenza per il Derbyshire passarono in modo veloce.
Dipendeva
dai punti di vista: se pensava a quanto quell’uomo le
mancava, i giorni si
susseguivano immersi in un’apatia e lentezza quasi mortale;
ma, come accadeva
spesso, se si concentrava sul timore e la vergogna che avrebbe provato
nel
rivederlo, allora i giorni erano passati con la velocità di
un lampo.
Stava di fatto che il giorno della
partenza era arrivato.
Callie non solo non aveva dormito tutta la notte precedente, ma nel
momento in
cui era salita sulla carrozza e si era accomodata al fianco di Linda, era stata sfiorata dal
folle pensiero di
accusare un malore e far andare Charlotte Hayer al suo posto. Era
sicura che ne
sarebbe stata più che entusiasta.
Però, per qualche volere
del destino, lei non si era mossa e
la carrozza era partita a velocità sostenuta, trascinandola
lontano dalla
sicurezza della sua amata casa. Si strinse nelle spalle: sapeva che
presto o
tardi avrebbe comunque dovuto affrontarlo e, se questo le poteva dare
la
possibilità di scusarsi, era meglio che la cosa accadesse e
finisse il
prima possibile.
“E dunque ecco
qua!” fece la vocina entusiasta di Henrietta
“In viaggio per casa Norris!”
A Callie le parole innocenti della
sorella minore suonarono
in qualche modo minacciose e, spostando lo sguardo sul finestrino,
cercò di
domare l’agitazione che sentiva dentro di sé.
La carrozza era occupata dalle sole
signore, poiché il
signor Honeycombe e il signor Clayton viaggiavano nell’altra
insieme ad una
Nanny sollevata di non dover guardare, almeno per quelle ore di
viaggio, la
scalmanata Henrietta.
“Non vedi l’ora
di arrivare, vero Henrietta?” chiese con
voce dolce la signora Clayton, posando una mano sui riccioli biondi
della
bambina. La piccola si lasciò sfuggire un sorrisetto
eccitato e dondolò le
gambe. “ Sì, signora! Mi sono tanto mancati Jimmy
e Edward in questi mesi!”
rispose, schietta.
Ovviamente Henrietta si riferiva ai
figli minori di David
Norris, diventati suoi compagni di gioco preferiti. Callie sorrise al
pensiero
degli innumerevoli guai che quei tre avevano combinato insieme e alle
crisi di
nervi che avevano provocato nella povera Nanny.
“E voi signorina Callie? Ho
saputo che a Londra andavate
parecchio d’accordo con il signor Alexander
Norris!” la signora Clayton era del
tutto ignara dell’effetto che quelle parole avrebbero avuto
sulla ragazza in
questione. D’altronde, non sapeva praticamente nulla di
quello che era accaduto
e dei veri sentimenti dell’amica di sua figlia.
Linda puntò i suoi occhi
azzurri, preoccupati, su Callie.
Per un momento questa era rimasta interdetta, ma poi aveva sfoderato
uno dei
suoi soliti sorrisi di circostanza e aveva risposto “Oh,
sì! Sarò entusiasta di
rivedere la famiglia Norris! E poi, come dice la signorina Hayer, nel
Derbyshire vi sono paesaggi mozzafiato!”
La ragazza bionda osservò
l’amica voltare il viso verso il
finestrino e perdersi nel paesaggio che passava veloce davanti ai suoi
occhi.
Sospirò: era sicura che Callie stesse pensando nuovamente a
lui. Era del tutto
inutile, lo amava e non riusciva in nessun modo a dimenticarlo.
Soprattutto
dopo che lui l’aveva salvata e che era partito, sicuramente
per non rivederla
tanto presto. E l’amica aveva finalmente ammesso con
sé stessa i suoi
sentimenti.
Linda pensava che Alexander stesse
solo scappando e, da
quello che aveva saputo da Cecil Price, nemmeno lui riusciva a
togliersi dalla
testa una certa ragazza castana, anzi, la distanza sembrava fare ancora
più
male.
La
signorina Clayton
arrossì leggermente: non sapeva come era arrivata a
sviluppare un rapporto così
profondo con un signore così eccentrico come Cecil Price.
Stava di fatto che
avevano cominciato a scriversi qualche sporadica lettera, con la scusa
di
informarsi reciprocamente sullo stato di Callie e di Alexander, che poi
era
diventata una corrispondenza frequente. E non parlavano solo dei due
amici,
anzi spesso e volentieri parlavano di loro, delle loro esperienze, del
loro
passato.
Linda gli aveva persino raccontato di
quel fattaccio
accadutole parecchi anni prima e lei sapeva che Cecil aveva visto
morire un
fratello sotto i suoi occhi senza poter fare nulla; cosa che aveva
raccontato
solo a pochi intimi. Questo, pensava Linda, lo avvicinava molto ad
Alexander.
Linda si chiese se l’amico
sapesse della loro corrispondenza
fissa, perché lei, a Callie, non aveva detto nulla. Sapeva
che era in qualche
modo sbagliato ma aveva un poco timore della reazione
dell’amica, turbata già
da ben altri problemi. Ma, si era promessa, gliel’avrebbe
detto presto.
Callie poteva solo ringraziare il
cielo che i cavalli, da
animali in carne e ossa quali erano, avessero
bisogno di riposo e che il Derbyshire fosse abbastanza distante da
necessitare
almeno qualche giorno di viaggio. “Non so bene il
perché, ma il fatto di poter
avere ancora qualche giorno prima di arrivare dai Norris, mi
tranquillizza un
poco.”
Così, quando la carrozza
si fermò davanti alla dimora dei
Norris, la ragazza castana non poté fare a meno di chiedersi
come quei giorni
potessero esser passati così velocemente. Le sembrava di
esser partita
solamente da poche ore!
Scese dal mezzo e, con il cuore in
tumulto, posò lo sguardo
sulla residenza che aveva di fronte a sé. Se aveva
già avuto modo di notarla da
lontano, ora si rendeva pienamente conto di quanto fosse enorme: era
una villa
austera, dallo stile classico. Callie pensò che si adattava
perfettamente al
carattere di David Norris e le piacque immensamente. Poi, il fatto che
fosse
circondata da ampi e ricchi giardini, non faceva che aumentare la sua
curiosità
e la voglia di esplorarla da cima a fondo.
La voce di Teresa Norris
spezzò le sue fantasie e la riportò
alla realtà con un sussultò agitato; ma, posando
gli occhi sull’ingresso, non
notò altri se non David e consorte. I due vennero verso di
loro, prodigandosi
in saluti e sorrisi luminosi. La riconciliazione fra le famiglie fu
piuttosto
allegra: erano parecchi mesi che non si vedevano e tutti sembravano
aver una
grande voglia di parlare. Callie ascoltava e partecipava al
chiacchiericcio con
un sorriso dolce sulle labbra, ma con la testa evidentemente altrove.
“Magari è
già partito…” pensò gettando
un fugace sguardo
alla casa. Non seppe dirsi se si sentiva più sollevata o
delusa dalla cosa.
Fu la domanda della signora Clayton a
soddisfare la sua
curiosità “E ditemi, signora Norris, suo figlio
maggiore è ancora ospite qui?”
A Callie sembrò che gli
occhi di Teresa si fossero posati
per un secondo su di lei, prima di rispondere alla madre di Linda
“ Certamente!
Anche se, temo, lo vedremo partire presto. Desidera stabilirsi al
più presto
nella sua propria dimora. Lo vedo così di rado! Ma mi
consola saperlo a poche
miglia da qui.”
“ Oh, come vi
capisco!” chiocciò l’altra donna con
fare
teatrale “è
stata una sofferenza
per me vedere il mio amato Frederick sposarsi ed andare ad abitare in
Scozia,
così distante de me e suo padre! Ma almeno ho ancora Linda
accanto a me!”
Callie lasciò le due alle
loro chiacchiere e si concentrò
sul battito del suo cuore, che sembrava voler letteralmente esplodere.
Sentiva
di voler scappare il più lontano possibile da lì
e il pensiero di un Alexander
James Norris che poteva sbucare in qualsiasi momento da qualsiasi
angolo della
proprietà, non la metteva a suo agio.
Sono sicura
che finirà
presto…deve finire presto…
Dopo che i signori finirono di
parlare di caccia, tutta la
comitiva venne guidata all’interno della casa e dovette
seguire attentamente le
spiegazioni dei due coniugi sulla storia della proprietà,
mentre ogni sala
veniva visitata. Se possibile, la dimora era ancora più
bella e distinta dentro
che fuori: era luminosa e spaziosa, l’arredamento costoso e
antico le dava
un’aria di solenne severità, l’ordine
regnava sovrano. Callie seguiva la voce
del signor Norris, mentre con gli occhi nocciola vagava sui quadri
appesi in
ogni stanza. Ce ne erano innumerevoli e, ogni volta che il suo sguardo
si posava
su quelli che ritraevano il giovane Alexander, sentiva un tuffo agitato
in
fondo allo stomaco.
Era stupendo anche da giovanissimo.
Callie non poteva non
riconoscere quel portamento elegante, quegli occhi neri così
profondi e sagaci,
senza lasciarsi sfuggire un sorrisetto divertito e arrossire.
“La
signorina conosce
il signor Darcy?”
Elizabeth
arrossendo
rispose:
“Un
poco…”
“E
non trova,
signorina, che è un gran bel signore?”
“Bellissimo.”
Ad un certo momento, la compagnia
finì per sciogliersi e
Callie si trovò a vagare da sola per le stanze e corridoi di
casa Norris,
immersi nel silenzio più totale. La ragazza si sentiva
più tranquilla e, presa
da un’ardente curiosità, esplorava ogni angolo
minuziosamente. Quando pensava
di aver ormai già visto tutto ciò che poteva in
quella grande casa; una porta
in legno, socchiusa, attirò la sua attenzione.
Affacciandosi, notò che dava su
un largo e lunghissimo corridoio non arredato.
Entrandovi, si ritrovò
immersa nella luce. Callie si accorse
che il corridoio era percorso da un’ampia vetrata che dava
sul parco della
villa, suggerendo una vista stupenda del panorama circostante.
La ragazza, voltandosi, vide qualcosa
che attirò la sua
attenzione: poiché sulla parete di quel luogo spoglio
capeggiava un unico e
grande quadro, posto proprio dinnanzi alla grande finestra a vetri.
Il soggetto sembrava fissare con
serena allegria il panorama
posto davanti a sé. E Callie, avvicinandosi, si
trovò faccia a faccia con Laura
Norris.
Era stata davvero una bellissima
donna: la ragazza castana
divorò con gli occhi la sua figura minuta, i suoi capelli
biondo chiaro
incastonati in un’acconciatura elegante, il suo viso roseo e
delicatissimo
disteso in un’espressione serena e ridente, gli occhi verde
chiaro che
brillavano felici. Sentì che il cuore cominciava a batterle
velocemente in
petto.
Non poteva
nemmeno
essere paragonata ad una donna del genere.
“Cosa ci fate
qui?”
Callie si voltò di botto e
sgranò gli occhi nocciola alla
vista di Alexander James Norris appoggiato allo stipite della porta,
che la
fissava attentamente. Non sembrava particolarmente contento di vederla
di
fronte al quadro della donna amata. Callie si sentì
impallidire.
…finirà
presto…deve
finire presto…
Passò un infinito momento
di silenzio, prima che la ragazza
si fu decisa a voltarsi ed inchinarsi leggermente di fronte al signor
Alexander. Questi, in cambio, fece appena un cenno con la testa prima
di
staccarsi dallo stipite della porta e avviarsi, a passo lento, verso di
lei.
“Stavo solo visitando
alcune stanze della casa, ma temo di
essermi perduta!” rispose Callie sfoderando un sorriso
piuttosto incerto e
spostando gli occhi nocciola sul panorama fuori dall’enorme
finestra a vetri.
Ora che era arrivato il momento di affrontarlo, scoprì di
non riuscire proprio
a guardarlo in faccia senza arrossire. Come d’abitudine ormai.
L’uomo si portò
di fronte a lei e sospirò “ Lo immaginavo.
Di sotto sono tutti preoccupati per voi, visto che mancate da due
ore…e mia
madre ha ritenuto opportuno mandarmi alla vostra ricerca. Giocate
spesso alla
piccola esploratrice?”
Il tono canzonatorio e il sorrisetto
che era comparso sulle
belle labbra di lui non passarono inosservati a Callie: di certo erano
passati
mesi, ma quell’uomo era sempre lo stesso! Puntò i
piedi per terra e si sporse
verso di lui “ Non ero in esplorazione! Mi sono solo persa!
Certo che sapete
sempre come mettere a vostro agio una signora, voi!”
Alexander non poté
trattenersi dal ridere di gusto nel
sentire le parole indignate della ragazza, il labbro inferiore sporgere
deliziosamente
in fuori, dandole un’aria imbronciata che la rendeva
adorabile “ E vi capita
spesso?”
“Come?”
“Di perdervi, intendo. Vi
capita sovente?”
“Non meritate neanche una
risposta!”
Callie si voltò verso il
quadro di Laura Norris,
intenzionata a non degnarlo più nemmeno di uno sguardo.
Quell’uomo, come al
solito, si stava divertendo alle sue spalle. Le sembrava quasi
impossibile che,
dopo l’accaduto di parecchie settimane prima, egli la
trattasse ancora con le
sue maniere artificiose e galanti, la vedesse come una sciocca
provinciale. Non
aveva nemmeno fatto un accenno all’aggressione, non le aveva
chiesto come stava
e non si era nemmeno scusato per essere sparito nel nulla senza
scriverle due
righe. Si chiese se tutto quello che aveva pensato di lui, in quei
giorni di
lontananza, non fosse solo una sua
illusione…perché anche lei aveva sperato,
anche lei aveva creduto.
Ma ora
Alexander si fa
beffe di me, come sempre.
“Era bella, non
è vero?”
La voce seria dell’uomo in
questione la trascinò via dai
suoi pensieri e la portò a ritornare alla realtà.
Si accorse di stare fissando
il volto sereno di Laura Norris e, con la coda dell’occhio,
cercò l’espressione
del giovane al suo fianco. Era come aveva temuto: il viso di Alexander
era
solcato da un sorriso malinconico, mentre gli occhi neri osservavano
ogni
centimetro di quella tela.
Callie, nascondendo una punta di
delusione, riportò lo
sguardo sul quadro e rispose “Sì, era davvero una
bellissima donna. Mi
dispiace…mi dispiace che l’abbiate perduta
così presto.”
Stava per dire che
li
abbiate perduti, ma non le era sembrato il caso. Forse
l’uomo non avrebbe
gradito sapere che era venuta a conoscenza di fin troppi dettagli sul
suo
passato.
Lui annuì appena
“Già, un anno di matrimonio. Sapete, era
incinta di mio figlio.”
La ragazza abbassò la
testa, in silenzio. Avrebbe dato oro
per trovarsi lontano miglia da quel luogo: sentiva di essere di troppo,
lì con
quell’uomo e con la presenza di un’altra persona
che, sebbene morta, aleggiava
fra loro in maniera più che concreta.
Alexander, ignorando il mutismo di
Callie, continuò “Sarebbe
nato dopo pochi mesi…ma poi, come al solito, sono riuscito a
rovinare tutto.
Solo che quella volta ho perso tutto ciò per cui valeva la
pena vivere e
combattere in questa vita. Ed era stata tutta colpa
mia…”
“Perché…”
cominciò la voce incrinata della ragazza
“Perché
mi dite tutto questo?”
Dopo un eterno momento di silenzio,
l’uomo si voltò verso di
lei. Callie notò che il suo volto sembrava essere segnato da
una sofferenza
infinita. Gli sembrò improvvisamente molto stanco.
“Non posso darti quello che
stai cercando, Callie.”
Lei sgranò gli occhi al
suono delle sue parole, sentendo
chiaramente che qualcosa dentro di lei cominciava a sbriciolarsi in
mille
pezzi. Pensò, assurdamente, che probabilmente era il muro
che sempre gli aveva
posto davanti….
Visto che
ormai non ce
ne sarebbe più stato bisogno.
“Lo
so…l’ho sempre saputo, in fondo. Anche se, non
eravate
l’unico a sperare…e a
credere…” sussurrò lei sostenendo lo
sguardo dell’uomo.
Si sentiva ferita, terribilmente…ma, almeno per quella
volta, decise di non
voler abbassare gli occhi.
“Io
non vi farei mai
del male.”
Bugiardo.
Ma, in
fondo, siamo stati in due, a mentire.
Sussultò sentendo la sua
mano appoggiarsi dolcemente sulla
testa “ Ho paura di non poter mantenere le mie
parole…perché so che vi farei
del male, proprio come è successo con…con
lei.”
Callie sentì che quello
era il momento di scappare via,
poiché non sarebbe riuscita a lungo a trattenere le lacrime.
Così, riesumando
un sorriso da non si sa dove, disse
“
Anche io ho avuto paura. In ogni momento, da quando siete partito, ma
…ma
riesco perfettamente a comprendere il vostro stato d’animo,
signore…”
Così, balbettando qualche
altra parola incoerente, si
congedò; lasciandolo solo con il suo passato e con le sue
paure. Callie capì al
volo che lui, al contrario suo, non riusciva in alcun modo a
superarle…a
fidarsi totalmente di sé stesso. E a darle così
una possibilità. Ma forse era
molto meglio che le cose fossero andate in quel modo.
…di
possibilità,
probabilmente, non ce ne erano mai state.
La ragazza non si stupì
più di tanto quando vide la sua
figura alta e elegante superarla e asserire, senza guardarla, che suo
padre e
il resto degli ospiti li aspettavano nel salotto. Aveva anche aggiunto,
in tono
vago, che la cena doveva esser quasi pronta. Callie aveva risposto a
tutte le
sue frasi con qualche monosillabo. Poi
avevano continuato a camminare, uno davanti all’altra, chiusi
in un ostinato
mutismo pensieroso.
Erano infine arrivati davanti alle
ampia porta in legno che
dava sul salotto di casa Norris. Callie poteva sentire
l’allegro
chiacchiericcio provenire dietro di essa e, cercando di mandar
giù il
grossissimo groviglio che minacciava di soffocarla; si
preparò mentalmente ad
apparire una signorina gaia e vivace.
Vide Alexander poggiare una mano
sulla maniglia e, pensando
che l’avrebbe fatta passare, si avvicinò
inconsapevolmente alla sua schiena. Fu
quello il momento in cui quell’uomo impossibile decise di
stravolgere
nuovamente la signorina Callie Honeycombe.
La ragazza castana non si rese
nemmeno conto di come la mano
di lui fosse andata ad afferrare saldamente la sua, di come esattamente
le
avesse sollevato il mento con l’altra. Non era riuscita a
capire il preciso
momento in cui lui si era voltato e l’aveva baciata. Stava di
fatto che ora la
sua schiena aderiva perfettamente al muro e Alexander James Norris la
sovrastava, impedendole di fuggire. Callie si rese conto di quanto
dolce e
delicato fosse quel suo bacio e arrossì ancora
più furiosamente, non se lo
sarebbe mai aspettato da una persona passionale come lui.
E quando lo vide staccarsi da lei con
un’espressione
malinconica e sofferente, capì che le cose non erano affatto
cambiate. Ma in
quel momento di confusione, non riuscì nemmeno a sentirsi
furiosa o indignata.
Perché
lui l’aveva
baciata.
Alexander tolse la mano da sotto il
mento di lei, per
portarla contro il muro e imprigionare definitivamente Callie fra lui e
la
parete. Abbassò la testa lasciando che i capelli corvini e
ribelli gli
scivolassero sugli occhi, nascondendoli.
Passò un infinito momento,
in cui la ragazza non riusciva ad
ascoltare altro che il suo cuore e il chiacchiericcio gaio che
risuonava
smorzato fra loro. Si sentì tremare, aspettando le parole
che lui avrebbe pronunciato.
Sapeva che ne avrebbe sofferto.
“Vi chiedo scusa. Ogni
volta che ci incontriamo faccio ogni
sforzo possibile per controllarmi, ma questa volta non ci sono proprio
riuscito…” l’uomo s’interruppe
sfoderando un sorrisetto quasi impercettibile
“…voi mi fate agire come un idiota, signorina
Honeycombe.”
Prima che la ragazza potesse anche
solo di articolare una
risposta coerente, Alexander si staccò dal muro e si
portò davanti alla porta
del salotto. Callie non poté fare altro che osservare la sua
figura solida
darle le spalle in silenzio, perché non sapeva proprio cosa
dire; visto che
quel signore l’aveva ancora una volta posta in una situazione
assurda.
Lo sentì entrare nel
salotto e chiudersi la porta alle
spalle, informando
i presenti che la
signorina Honeycombe li avrebbe raggiunti da lì a poco. Poi
la sua voce si
mescolò alle altre e non riuscì più a
distinguerla. Callie si portò una mano
tremante alle labbra rosee, ancora umide per il bacio di poco prima.
“Non
posso darti
quello che stai cercando, Callie.”
Scivolò sul pavimento e vi
rimase seduta qualche secondo,
come poco sarebbe convenuto ad una brava signorina di buona famiglia
come lei.
Fu grata ad Alexander per averle lasciato quel momento di solitudine in
cui
raccogliere i pensieri, che ronzavano furiosamente nella sua testa.
Tutto
questo, come
dovrei interpretarlo?
Callie pensò che la cena
era stata squisita, la compagnia
non poteva essere migliore, che Linda e il signor Cecil Price non
riuscivano
proprio a staccarsi l’uno dall’altra e che tutte le
signorine a cui Alexander
rivolgeva la parola per più di venti minuti erano
insopportabili.
Così, per non assistere a
quelle scene, la ragazza portava
gli occhi nocciola da qualche altra parte e fu in quel modo che
notò quanto la
sua amica s’intendesse con quell’eccentrico signor
Price. La stessa Callie
doveva ammettere, malgrado tutto, che egli fosse davvero un bel uomo e
che i
suoi modi distinti e posati lo allontanavo anni luce dal signor
Alexander.
Era galante e studiato, ma nei suoi
modi vi era un certo
riserbo, una certa serietà che lo distinguevano dai sorrisi
affabili,
dall’ironia e dalla sagacia di quell’altro suo
amico così affascinante. Callie
sapeva che entrambi erano molto popolari nella società
londinese e quindi
doveva anche mettersi il cuore in pace nel vedere le signorine presenti
in
quella serata, tutte figlie di amici dei Norris,
accerchiare Alexander come un branco di cani
da caccia.
“D’altronde
dovrei essere abituata a scene di questo tipo!”
sospirò Callie, mentre cercava di convincersi, per
l’ennesima volta, di non
esser assolutamente gelosa del damerino. Non voleva che Alexander
vedesse
quanto in realtà si sentisse infastidita e così
fece di tutto per evitare di
parlargli durante la serata. In più, si disse, lui
l’aveva baciata, aveva fatto
intendere che lei fosse in qualche modo diversa; ma aveva un bel modo
di
dimostrarlo: chiacchierando allegramente con tutte le signorine che gli
prestavano attenzione!
Sapevo che
non poteva
essere cambiato per niente!
Infine Callie era furente, anche se
non l’avrebbe mai
ammesso nemmeno con sé stessa. Andò a sedersi su
di un divanetto libero e
cominciò a farsi aria seccamente con il ventaglio. Non
mostrò di aver veduto la
figura che le si era seduta al fianco, tanto era presa a darsi
mentalmente della
sciocca.
“Signorina?”
Callie sussultò e,
voltandosi, riconobbe William Thompson.
Era l’unico figlio maschio del signor Thompson e non era
ancora sposato,
malgrado i suoi modi affabili e l’aspetto alquanto gradevole.
Le sue due
sorelle asserivano spesso che non si sarebbe mai accasato con nessuna,
poiché
non era nel suo interesse. Evidentemente era in quello del padre, che
desiderava almeno un nipotino che portasse il suo cognome. Callie non
aveva
visto che poche volte il signor William a Londra e lo considerava un
poco
sciocco e borioso: non faceva altro che parlare di sé stesso.
Cosa che puntualmente avvenne appena
la ragazza ebbe finito
di chiedergli “Come state?”
“Oh!”
esclamò l’uomo, allargando le braccia con fare
melodrammatico “Non potrebbe andare meglio signorina
Honeycombe! Dopo anni di
ricerca ho trovato la mia casa ideale, proprio qui, nel
Derbyshire!”
E qui si portò le mani al
petto , sospirando languidamente.
Callie trattenne un risolino:
quell’uomo era semplicemente
grottesco. Si sforzò di parere seria e interessata
così, con aria forzatamente
austera disse “ Sono felice per voi! E l’avete
acquistata ad un buon prezzo,
signore?”
“Stracciato!” si
accalorò lui, tagliando l’aria con un gesto
secco della mano. Poi, abbassando la voce, aggiunse “In
confidenza, ho fatto un
ottimo affare: l’ho comprata da un certo Henry William Bell.
A quanto pare,
sembra navighi in una profonda crisi finanziaria. So che a Londra
è stato
presente al ricevimento della signorina Duval ma, credetemi, credo che
non
possa più permettersi di soggiornarvi come faceva un
tempo.”
Callie ora era parecchio interessata
alla cosa e, ignorando
il sottile sentimento che le agitava lo stomaco, chiese “
Debiti?”
“Oh, sapete signorina,
teneva un certo stile di vita e
spendeva molto più per le cose superflue che per quelle
fondamentali. Ora ha
gettato in disgrazia sé stesso e la moglie.”
La ragazza sapeva benissimo di cosa
si stava parlando, ma
tacque. D’altronde veramente pochi erano a conoscenza di
ciò accaduto fra lei e
il signor Bell. Callie sapeva che avrebbe dovuto dispiacersi un poco
per una
sorte così disonorevole, ma non vi riuscì in
alcun modo, anzi.
Ognuno ha
quel che si
merita.
“Comunque sia, quel signore
mi ha lasciato in eredità una
vasta collezione di libri e ciò mi riempie di
gioia!”
“Davvero? Io adoro
leggere!” esclamò la ragazza
piacevolmente sorpresa. A dirla tutta, pensava che una vasta libreria
sarebbe
stato un tesoro sprecato in casa Thompson: nessuno, compreso William
stesso,
aveva il tempo di leggere.
“Oh, signorina Honeycombe!
In questo caso dovete
assolutamente venir….”
“Bene, direi che basta
così, William. O la signorina
comincerà a lamentarsi se la tenete tutta per
voi.” fece un Alexander James
Norris dall’intervento più che tempestivo.
Ignorò il verso sbalordito del
signor Thompson e si voltò verso Callie con un sorrisetto
divertito stampato in
viso “Avete gradito la cena?”
Callie, sentendosi arrossire, si
nascose dietro al ventaglio
e cercò di ignorare quell’alta figura davanti a
lei. “Deliziosa, signore,
deliziosa. Ma vi sbagliate riguardo al povero Thompson: è
stato estremamente
gentile con me.” disse infine.
“Ah, visto caro
mio?!” esultò teatralmente quest’ultimo.
“Le
vostre maniere affascinanti sembrano non giovarvi affatto agli occhi
della
signorina Honeycombe!”
Mentre Callie se la rideva
internamente per
quell’affermazione; Alexander rispondeva in tono seccato
“ Mi sembra che le
vostre sorelle vi stiano cercando…” e porgendo una
mano alla ragazza castana,
aggiunse “…e io dovrei condurre un momento questa
signorina da mia madre. Di
certo un uomo rispettoso come voi, William, vorrà
scusarmi.”
Callie ebbe la tentazione di non
muoversi da quel divanetto,
ma gli occhi seri e infastiditi di Alexander le suggerirono che era
meglio
seguire il suo consiglio. Così si fece aiutare dal damerino,
prendendogli la
mano.
“Ah! Siete assolutamente
scandaloso!” si lamentò in tono
drammatico l’altro, congedando i due con un gesto della mano.
“Posso sapere che avete
tanto da ridacchiare?”
Il tono seccato del signor Alexander,
se possibile, divertì
ancora di più Callie che non riusciva proprio a rimanere
seria. In più il viso
di quell’uomo, contratto in una smorfia infastidita, era
estremamente ridicolo.
“No, nulla. Mi chiedevo
solo come mai vi siete scaldato
tanto all’affermazione di William Thompson!”
Alexander alzò gli occhi
neri al cielo: la ragazzina lo
stava provocando. Perché Callie sapeva benissimo il motivo,
d’altronde, fin
dall’inizio proprio lei aveva messo in discussione
l’effetto dei suoi modi. E
ora, sentirselo venire a dire da uno come William Thompson!
L’uomo non le rispose e,
agganciandola bene al suo braccio,
accelerò il passo. La signorina Honeycombe dovette
trattenere un sorriso
poiché, in quel momento, si sentiva assurdamente felice e
serena.
E questo non
andava
affatto bene.
Il sorriso svanì dalle sue
labbra quando notò che il giovane
signore non la stava conducendo verso il capannello di persone tra cui
era
presente Teresa Norris, ma anzi si dirigeva dalla parte opposta. Solo
dopo aver
attraversato un piccolo corridoio oscuro ed essere sbucati in una
saletta
svuotata di gente, Callie chiese preoccupata “Dove mi state
portando?”
La sua ansia crebbe vedendo che lui
non sembrava
intenzionato a risponderle: guardava dritto di fronte a sé
con un’aria imperscrutabile.
Lei allora decise di non dire più nulla: tanto di
lì a poco l’avrebbe scoperto.
E quando si ritrovarono in una grande
terrazza, illuminata a
malapena da qualche candela, la ragazza capì che tutti i
suoi timori erano ben
infondati. Come al solito avrebbe dovuto fidarsi più di
quell’uomo, per quanto
il suo comportamento fosse stato
terribile…perché, in fondo, sapeva che non
voleva farle del male.
Non riuscì a reprimere
un’esclamazione sorpresa quando di
fronte a sé si stagliarono i giardini della dimora in tutta
la loro bellezza:
anche se immersi nell’oscurità, la ragazza ebbe
modo di notare quanto fossero
maestosi. In più, il panorama era reso ancora più
spettacolare dalle stelle,
che brillavano serene in quella notte stranamente limpida.
Callie aggrottò le
sopracciglia, ignorando una familiare
sensazione alla bocca dello stomaco: le parole che si erano scambiati
ore prima
le ritornarono alla mente. Come quel bacio. Sapeva che non avrebbero
dovuto
trovarsi lì, loro due soli.
Perchè
fa tutto questo
per me?
“Vi piace?”
La voce era giunta da dietro di lei.
“è
bellissimo! Siete stato fortunato a
nascere qui!” rispose lei con una voce un po’
più allegra e serena di quello
che avrebbe dovuto essere.
Avrebbe voluto aggiungere altro, ma
le braccia dell’uomo che
la tiravano indietro smorzarono qualsiasi suono in gola. Alexander
l’aveva
stretta a sé con forza e ora affondava il viso nella sua
spalla. Callie era
ancora una volta imprigionata da quel corpo solido e alto, lo sentiva
talmente
vicino da poter sentire il respiro di lui sulla pelle.
Arrossì furiosamente.
“Come fate?” le
arrivò la sua voce: era poco più che un
lamento. “ Come fate a spezzare tutte le mie certezze in
questo modo? Tutte le
mie decisioni…tutto…”
Voi
l’amate?
“…perché
so che vi
farei del male, proprio come è successo con…con
lei.”
Callie
si appoggiò
leggermente alla spalla dell’uomo con la testa: era
estremamente comoda. Non
sapeva cosa rispondere, perché a malapena poteva credere a
ciò che lui le aveva
appena detto. “Voi… fate lo stesso con me,
sapete?” sussurrò lei timidamente.
Lo vide sciogliere lentamente
l’abbraccio, mentre l’ombra di
un sorriso gli aleggiava sul viso delicato. Alexander si
allontanò in silenzio
da Callie ed andò a sedersi scompostamene su una grande
poltrona di vimini, lasciando
la ragazza al centro del terrazzo. “Ah, allora i miei modi su
di voi qualche
effetto l’hanno avuto!” la prese in giro alla fine,
con un sorriso un poco
malinconico.
La ragazza sbuffò.
“Siete sempre il solito!” fece per poi
abbassare lo sguardo nocciola “A
proposito…io...ecco, credo di dovervi
ringraziare per l’altra volta…mi avete salvato la
vita.”
Se al posto di Callie vi fosse stata
una qualsiasi altra
donna, l’uomo avrebbe sicuramente sorriso nel suo solito modo
galante e avrebbe
assicurato che era stato un vero onore servire una così
deliziosa signorina. O
almeno prima di conoscere la suddetta ragazza.
Ma con Callie non riusciva proprio
più a fingere, perché
ormai il suo sentimento lo stava letteralmente bruciando. Era certo di
esser
praticamente morto…era stata lei ad averlo ucciso veramente.
Così, facendo un cenno con
il capo, disse solo “Non dovete
ringraziarmi. D’altronde è mia la colpa se siete
stata aggredita…sono io che
dovrei chiedervi perdono.”
Callie sgranò gli occhi.
“…è
colpa mia se è
morta. Tutta colpa mia.”
Si avvicinò di qualche
passo, portandosi a qualche metro da
lui. “Vorrei…vorrei che mi diceste come
è morta la signora Laura.”
Il tono con cui Alexander le rispose
era altrettanto deciso
e categorico. “No.”
Callie si sentì un poco
vergognare, ma decise di non
demordere. Doveva saperlo.”Dovete dirmelo.”
Ebbe il tempo di vedere i suoi occhi
neri brillare attenti
fra le ciocche di capelli corvini, prima che la mano di lui andasse a
nasconderli. L’uomo piegò un poco la testa di lato
“Perché volete saperlo?”
La risposta della ragazza lo
stupì. “Devo …devo saperlo.”
Alexander trattenne un sorriso
scettico: di certo, dopo,
l’avrebbe davvero disprezzato.
“E va bene.”
Callie si avvicinò ancora
di qualche passo all’uomo: ora
poteva vederlo, ad un metro da lei, seduto scomposto come se fosse
stato un
vestito gettato a caso su una sedia. Era bello, ma ancora le appariva
incredibilmente sofferente e stanco. Per un momento si pentì
d’aver preteso che
lui le raccontasse tutto, ma sentiva che era l’unico modo.
L’unica maniera per
comprendersi finalmente del tutto: se
era stata pronta ad ammettere per prima i suoi pregiudizi, le sue
paure, se si
era confidata…ora anche lui avrebbe dovuto fare lo stesso.
Perché era l’unico
modo per dissipare tutto ciò che fin ora era accaduto fra
loro. Era il nodo da
sciogliere.
La loro
unica
possibilità.
Alexander
la prese
per il polso e la costrinse, dolcemente, a sedersi sulle sue gambe.
Callie,
arrossendo, lasciò che nascondesse il capo
nell’incavo del suo collo come la
notte dell’aggressione. Solo che questa volta, si disse, lui
non se ne sarebbe
andato. Per un po’vi fu solo il suo respiro a sfiorarle la
pelle e il silenzio,
ma poi le parole cominciarono a scorrere come un fiume in piena.
“…è
accaduto, come sapete, un anno dopo il nostro
matrimonio. Aspettava un bambino, eravamo felici, facevamo
progetti…volevamo
venire a vivere tutti e tre in Inghilterra, vicino ai miei
genitori.”
Callie ebbe la consapevolezza
dolorosa che la dimora di cui
Gordon gli aveva accennato era stata predisposta proprio per questo:
accogliere
Laura e suo figlio. Sentì che Alexander non era capace di
continuare e, dopo un
momento di esitazione, portò una mano ad accarezzargli i
capelli corvini
dolcemente. Avrebbe voluto davvero fargli coraggio.
“
Poi…” ricominciò l’uomo,
incerto “ …un giorno…avevo perso
una forte somma al gioco. Non dissi nulla a nessuno, poiché
sicuramente sarei
stato in grado di pagarla prima della partenza per
l’Inghilterra. Passarono
alcuni giorni e il mio creditore…credo che, insomma tutti
hanno creduto che lui
pensasse veramente che io di certo l’avrei imbrogliato.
Pensava che non avrei
ripagato mai il mio debito e così si presentò a
casa mia, completamente folle.”
Callie capì immediatamente
che il peggio stava per arrivare:
lo sentiva nel tono di voce incrinato di Alexander, nel lieve tremore
del suo
corpo, nel suo viso nascosto con fermezza alla sua vista. Non voleva
essere
guardato dalla ragazza.
“Mi rivolse parole
che….aveva una pistola con sé e finì
che
ci affrontammo. Laura voleva farmi lasciar perdere, ma io la respinsi e
le
dissi che lei non centrava nulla in quella situazione. Ero
così fuori di
me...ed ero spaventato. Era a casa mia, sapevo che poteva succedere
qualsiasi
cosa da un momento all’altro. Il mio avversario
approfittò del momento in cui
parlavo con mia moglie per colpirmi praticamente alle spalle,
così anch’io
sparai…e a cadere fu Laura.”
Le ultime parole gli si smorzarono in
gola e caddero nel
silenzio più assoluto. Callie socchiuse gli occhi,
sopraffatta dal dolore che
provava dopo il racconto di quell’uomo. Aveva perso tutto
quello che amava, la
sua vita a causa del suo stesso orgoglio. Callie pensava che era stata
una
terribile disgrazia, che l’uomo non avrebbe dovuto darsene
così la colpa,
torturarsi in quel modo.
“Non credo che avreste mai
voluto la sua morte…era vostra
moglie e madre di vostro figlio. Voi…voi non siete un
assassino…io…io ho piena
fiducia in voi.” gli disse lei, timidamente.
Sì,
io ormai mi fido
di voi ciecamente…sembra assurdo, non è vero?
Alexander sollevò
finalmente gli occhi su di lei e la
gratificò di un sorriso malinconico che rese il suo volto
ancora più bello e
fece, al contempo, arrossire come una ciliegia Callie.
“Mi sono guadagnato il
vostro disprezzo, vero?”
La ragazza castana scosse
risolutamente la testa. “No!”
rispose portando una mano sulla guancia scura di lui. “ Io
non vi odio
affatto.”
Questa volta il bacio non fu
improvviso come quello che
l’aveva preceduto. Callie ebbe tutto il tempo di prendere
atto delle sue braccia
che si allacciavano al collo di Alexander, del suo corpo che si portava
consciamente verso quello di lui, della sua lingua che accarezzava
dolcemente
quella dell’uomo. Ebbe tutta la consapevolezza di notare
quanto lui fosse molto
più sicuro ed esperto di lei, impacciata e agitata ragazza. Ma non vi badava.
Alexander si staccò
dolcemente dalle sue labbra e le
accarezzò il collo con la punta delle dita. Un sorrisetto
saccente comparve sul
suo volto, mentre gli occhi bui si allacciavano a quelli nocciola della
ragazza
“Siete una donna bellissima, piccola ragazzina.”
Callie rise.
E lei lo
amava. In
fondo, l’aveva sempre saputo.
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Capitolo 11 *** Undicesimo. Fino all'ultimo momento. ***
Eccomi tornata! :) Pensavo davvero
che questo capitolo sarebbe
stato l’ultimo ma, ahimè, evidentemente nella mia
testa la storia è già bella
pronta mentre sulla carta tutte le mie idee sembrano diluirsi in lunghe
pagine!
Spero che continuerete comunque a
seguirmi in questi due o
tre capitoli che ci separano dalla conclusione della vicenda. Ora!
Passo a
ringraziare le persone che mi seguono e chi continua a recensirmi!
Tutto ciò mi
dà fiducia! :)
Buona lettura!
Sweet Pink
“Siete
una donna
bellissima, piccola ragazzina.”
Callie si girò su un
fianco e sospirò stancamente: no, non
aveva in alcun modo preso sonno, quella notte. E come avrebbe potuto? Il ricordo delle labbra di
Alexander le
bruciava nell’anima e nello stomaco da parecchie ore. Da
quando lui le aveva
dato la buonanotte, in realtà.
L’aveva riaccompagnata
presso il salotto, dove tutti gli
invitati erano ancora impegnati nei loro intrattenimenti, e
l’aveva lasciata
andare. Però, prima di questo, Alexander l’aveva
bloccata sulla soglia e di
nuovo si era impossessato delle sue labbra, come se non potesse farne a
meno.
Qualcuno avrebbe potuto vederli, ma a lui questo non sembrava
importare. E, in
tutta sincerità, nemmeno a lei.
Poi, non si
erano più
scambiati nemmeno una parola.
Callie si portò una mano
alle labbra: poteva ancora
sentirla, la lingua di Alexander, accarezzarla dolcemente e farla
precipitare
in un vortice di confusione e lussuria. Sì
poiché, era inutile negarlo, lei
avrebbe voluto davvero che quell’uomo mandasse in frantumi
anche l’ultimo
mattone di quel muro ormai in pezzi.
Le sue mani
e le sue
labbra avrebbero avuto il potere di farlo.
Per la prima volta dopo tanto tempo,
era pronta ad ammettere
con sé stessa di desiderare un altro uomo. Non solo dal
punto di vista
sentimentale, ma fisico. Certo, aveva flirtato con qualche giovane
negli anni
passati, ma non era la stessa cosa.
Da quando Henry Bell
l’aveva picchiata, umiliandola e
sottomettendola con la forza delle sue mani incollerite, da quando
aveva
calpestato la sua dignità e il suo cuore con le sue continue
bugie…Callie non
era riuscita più a fidarsi veramente degli uomini, a
pensare, un giorno, di
potersi concedere ancora una volta a qualcuno.
Ma ora era diverso. E a cambiarla era
stato proprio
quell’uomo impossibile che diceva di odiare.
Quell’uomo borioso che le aveva
salvato la vita, che le lasciava delle cicatrici ogni volta che la
toccava.
Lo voleva.
La ragazza si prese la testa castana
fra le mani con un
gesto secco e improvviso: a che pensava!
Non doveva dimenticare quanto male si
fossero inferti a
vicenda, non poteva scordare che il più grande ostacolo tra
loro probabilmente
era ancora in piedi e ben solido.
“Non
posso darti
quello che stai cercando, Callie.”
Ricordò il tremore leggero
della sua figura solida e forte,
mentre raccontava l’accaduto di molti anni prima. La sua voce
insicura, quasi
impaurita; così diversa da quel tono saccente e ironico a
cui lei era ormai
abituata. Alexander era un uomo ferito.
E amava
ancora Laura.
Non amava
lei.
Quel pensiero le provocò
una fitta dolorosa allo stomaco che
sembrava voler risalire, a tradimento, fino al cuore. La consapevolezza
di
essere, in fondo, solo una sostituta si propagava attraverso ogni corda
del suo
animo, avvelenandolo.
Perché
lui l’aveva
baciata.
Callie si alzò a sedere
sul letto, i lunghi capelli castani
che disordinatamente cadevano sul suo bel volto stanco. Davanti a lei,
l’oscurità di quella stanza grande e ordinata era
rotta solamente da pallidi raggi
di luna che filtravano attraverso le pesanti tende, appena socchiuse.
Avrebbe voluto dormire almeno un poco
e, in più, sentiva di
stare scottando. Si prese le guance fra le mani: erano così
calde. Forse aveva
la febbre.
“Siete
una donna
bellissima, piccola ragazzina.”
Alexander
bruciava…bruciava qualsiasi cosa.
La mattina dopo un tiepido sole e una
leggera nebbiolina
fecero capolino timidamente e avvolsero la tenuta dei Norris di uno
stupendo
manto dorato. Chiunque avesse osservato la villa, in quelle ore del
mattino, di certo
l’avrebbe trovata
ancora più signorile e magnificente di quanto non fosse
già; ma nessuno dei
padroni si era mai preoccupato troppo di questo aspetto: in generale,
David
Norris si interessava alla caccia, al gioco e agli affari, mentre era
Teresa ad
occuparsi dell’amministrazione della casa e dei figli. Il
marito le lasciava
totale potere decisionale sull’intera tenuta ed era stata
lei, appena arrivata
in Inghilterra, ad ordinare che fossero piantati gli immensi giardini
sul
retro.
Lei, che era cresciuta in una terra
di sole e fiori, non
poteva sopportare di vivere in una casa desolata e fredda. In quegli
stessi
giardini aveva giocato Alexander da bambino,
scorrazzavano scalmanati Jimmy ed Edward; in
quell’esatto punto,
all’altezza del roseto, Laura aveva accettato di sposare il
figlio maggiore dei
Norris.
E ora, al suo posto, Callie
Honeycombe si sporgeva verso una
rosa per poterne cogliere il profumo delicato. I suoi occhi nocciola,
solitamente luminosi e vivaci, sembravano distratti e distanti.
Alexander
l’ha avvelenata.
Questa era stata la considerazione
finale di Teresa Norris,
intenta ad osservare l’esile figura di Callie attraverso la
finestra della
camera da letto. Dall’alto, quella ragazza le sembrava ancora
più minuta e
gracile, come un ingenuo miraggio pronto a dissolversi da un momento
all’altro.
“Quella
ragazza…assomiglia a Laura.”
Teresa socchiuse gli occhi e
sospirò tristemente. Le parole
appena pronunciate da David Norris erano veritiere, lo sapeva. Ma
ammetterlo
direttamente le avrebbe causato troppo dolore.
Così si voltò,
pronta ad affrontare il marito a testa alta:
David era in piedi di fronte a lei, ritto come un solenne monumento di
marmo e
negli occhi brillava una severità che riusciva solamente ad
irritarla e
preoccuparla al contempo.
“Non hai la minima
intenzione di perdonare tuo figlio?”
“No, almeno
finché lui non riuscirà a perdonare sé
stesso
per ciò che ha fatto.” rispose freddamente
l’uomo, senza spostare di un millimetro
il suo sguardo da Teresa: era in collera con lui, era evidente.
“Ora sembra che sia
arrivato il momento.” sostenne con una
nota di furore la donna; le mani che minacciavano di strappare in due i
guanti
bianchi che teneva stretti fra le dita. “La signorina
Honeycombe gli sta
ridando speranza e vita, l’hai visto anche tu. Ha ripreso a
suonare.”
“Questo non sostiene
nulla.”
“È passato tanto
tempo!”
David ignorò la voce ora
apertamente inviperita di sua
moglie e ribatté, perfettamente sereno e stoico “
Assomiglia a Laura: Alexander
crede di potersi redimere, crede di amarla, ma è solo una
sostituta.”
“Ed è questa la vostra
umanità, signor Norris?! Questo ciò che pensate
di vostro figlio?”
David conosceva bene la moglie e
sapeva perfettamente che
quando questa si rivolgeva a lui con il voi
doveva temere tempeste d’ira imminenti. Questo non lo
trattenne comunque dal
dire: “ La rovinerà, lo sai anche tu.”
“Io credo in Alexander! Ho
fiducia in lui, cosa che voi non
avete minimamente, a quanto pare!” lo rimbeccò
Teresa con forza. L’avrebbe
strangolato, se solo avesse potuto: David, l’amore della sua
vita e padre dei
suoi figli, trattava uno di loro come un nemico. Non poteva
più perdonarlo per
questo.
Il signor Norris le voltò
le spalle e, con una calma
invidiabile, si avviò verso la porta della camera. Era
pronto ad uscire perché,
per lui, la conversazione era già finita. Soffriva nel
vedere Teresa contro di
lui e non riusciva a tollerare che potesse arrabbiarsi per un fatto
così
evidente.
Alexander
non amava
Callie.
“Molto bene. Voglio proprio
vedere cosa combinerà nostro
figlio.” asserì acidamente, per poi aggiungere
“ Ti aspetto di sotto, fra dieci
minuti. I nostri ospiti saranno già tutti in
piedi.”
Teresa aspettò che David
chiudesse la porta prima di
lanciare i guanti bianchi contro di essa: odiava la sua fredda
razionalità.
L’aveva sempre odiata!
Callie
era perduta
nel giardino segreto.
Quel nome gli era stato da Jimmy ed
Edward due anni prima;
quando Alexander, tornato da Londra per una visita alla famiglia, li
aveva
sfidati ad un estenuante nascondino. Anche se era ormai un uomo adulto
e
“rispettabile” non si negava mai un ora di gioco
con i fratellini più piccoli.
Comunque, al primo che avesse
scoperto il suo nascondiglio
nel parco, sarebbero andate dieci sterline. E, per i bambini, era una
ghiotta
tentazione!
Lo cercarono per tutto il pomeriggio
senza mai trovarlo.
Così, il suo nascondiglio fu ribattezzato il giardino
segreto anche se, a dirla tutta, non era che la porzione
di giardino più lontana dalla villa.
Quel giorno, i due fratellini non
erano stati né troppo
furbi né troppo fortunati e Alexander, come al solito, aveva
vinto.
Callie Honeycombe non sapeva tutto
questo e, con l’aria di
un’esploratrice sperduta nella giungla africana, si aggirava
fra gli alti
alberi e i cespugli sempreverdi osservando ogni angolo di quel
giardino. Era
semplicemente stupendo.
Come la madre, la ragazza aveva
sempre adorato i fiori e le
piante anche se non ne era particolarmente portata per la cura: non che
il
giardinaggio fosse compito di una signorina, s’intende, ma
ogni tanto invidiava
la delicatezza con cui il giardiniere di casa Honeycombe curava il loro
piccolo
giardino.
“è
bellissimo! Siete stato fortunato a
nascere qui!”
“Ma il mio non è
nulla paragonato a questo.” pensò Callie
alzando lo sguardo verso il cielo azzurro. Era stata una magnifica
mattinata di
sole, spazzata solamente da un vento pungente e freddo che faceva
irrigidire le
ossa sotto la pelle e i vestiti. Nell’aria, la ragazza
sentiva una strana
corrente elettrica che la portava ad avere un senso
d’aspettativa tutto
particolare: non aveva ancora incontrato il signor Alexander.
Non sapeva bene se voleva vederlo, in
effetti, perché
quell’uomo bruciava qualsiasi cosa. E lei non faceva
eccezione. Una notte
insonne non era bastata a comprendere come mai a tanta
felicità doveva
equivalere ora un senso di così disarmante malinconia.
Il mio
giardino, non è
nulla se paragonato a questo.
“…Aspettava
un
bambino, eravamo felici, facevamo progetti…”
Non poteva
nemmeno
essere paragonata ad una donna del genere.
“Non riuscite a fare altro
se non perdervi, signorina?”
La voce ironica e calda ebbe
l’effetto di risvegliarla dei
suoi cupi ragionamenti. Quella era la voce inconfondibile della sua
rovina che,
ancora una volta, l’aveva trovata senza alcun bisogno di
sapere dov’era. Callie
si voltò di scatto: Alexander James Norris era in piedi di
fronte a lei e,
malgrado i suoi occhi neri brillassero divertiti, le sembrò
stanco. Quasi come
lo era lei.
La ragazza arrossì un
poco, ma cercò di non scomporsi
troppo: “ Siete sempre così gentile, signor
Alexander...e voi? Mi stavate
pedinando?”
L’uomo sfoderò
uno dei suoi tipici sorrisi eleganti e
rispose, in tono del tutto casuale: “No, affatto. Mi sono
appena alzato, a dire
il vero, e ho pensato bene di venire qui a passeggiare. Sapete, fino a
prova
contraria, questa è casa mia.”
Callie era troppo impegnata a far
tacere il suo cuore
impazzito per potergli rispondere in tutta calma e serenità.
Ora che lui era
lì, fisicamente di fronte a lei, sentiva quasi di non poter
sopportare la sua
presenza perché i suoi occhi neri sembravano ardere. E anche
lei con loro.
“Siete
una donna
bellissima, piccola ragazzina.”
“Vi siete appena alzato? Mi
congratulo con voi, signore: è
mezzogiorno!”
“ Vi ringrazio di cuore del
gentile complimento,
perché io non mi desto mai prima delle due del
pomeriggio.” rispose ancora Alexander, accompagnando con un
gesto di noncuranza
le sue parole.
Si avvicinò di qualche
passo a lei e Callie, accorgendosene,
si fece istintivamente indietro: sentiva che lui le stava parlando con
quel
tono studiato che lei detestava perché voleva infastidirla.
Decise, per una
volta, di non dargli alcuna soddisfazione.
“E, di conseguenza, non
andate mai a coricarvi prima delle
quattro di mattina.” ribatté la ragazza con un
finto sorriso di serenità. Si
accorse di star tormentando un lembo di vestito con le mani e
così abbassò lo
sguardo, distogliendolo dagli occhi di lui. Magari senza vederli
sarebbe riuscita
a non impazzire.
Alexander sembrava non accorgersi
dell’agitazione di Callie
e continuava a parlare con il solito tono di divertimento misto a
noncuranza.
Si faceva sempre più vicino senza che lei potesse o volesse
impedirlo. La
ragazza, con lo sguardo ancora ostinatamente basso, si chiese se
l’uomo non
avesse proprio nulla da dire su quello che era accaduto la sera prima.
Sentì una fitta sgradevole
allo stomaco.
“…Non
si è minimamente
accorta che il signor Alexander si sta divertendo a giocare con
lei…”
Amava ancora
Laura.
Alzò lo sguardo nocciola
sull’uomo davanti a lei: le era
talmente vicino da poter udire ogni sfumatura del tono superficiale e
beffardo
con cui le si rivolgeva, riusciva ad intravedere il fuoco in quelle
iridi
nascoste da ciocche ribelli e corvine.
Non amava
lei.
“Voi non state ascoltando
neanche una parola di quello che
vi sto dicendo, non è vero?”
Callie si riscosse con un
sussultò violento alle parole
dell’uomo e, trovandolo piegato su di lei con il volto a
pochi centimetri dal
suo, fece per allontanarsi arrossendo furiosamente.
“No…no!
ecco...io…”
Ed era stato forse un movimento un
po’troppo veloce perché
si trovò a perdere l’equilibrio, il suo corpo che
si sbilanciava pesantemente
all’indietro.
Se non fosse stato per la presa
fulminea di Alexander, di
certo sarebbe caduta rovinosamente a terra. Fu così che, in
pochi secondi,
Callie si ritrovò attirata fra le braccia
dell’uomo tanto detestato e ora amato:
senza quasi rendersene conto, le mani piccole andarono a stringere il
suo
soprabito nero con forza e affondò il viso nel petto ampio
di lui, aspirando il
suo profumo pungente.
Alexander le accarezzò i
capelli castani con un gesto
incerto, ma molto dolce. Sentiva di essere completo così,
con Callie stretta a
lui: il ricordo delle sue labbra umide non aveva fatto altro che
tormentarlo
per tutta la notte. Non era riuscito a dormire.
La sera prima, lei non
l’aveva disprezzato. Non l’aveva
respinto: la signorina Honeycombe non lo detestava come aveva creduto.
Ma a lei
importava…lei, quella sera, voleva capire. Voleva
ascoltarti…
“
Io non vi odio
affatto.”
No. Era da
mesi che
stava bruciando per lei.
“Scusatemi, sono
terribilmente imbranata.”
La voce rotta
dall’imbarazzo proveniva da sotto di lui.
Alexander non riuscì a non sorridere: Callie era
semplicemente adorabile. Era
davvero piena di luce, una luce che lui temeva di spegnere...se solo
una forza
inarrestabile non spezzasse qualsiasi sua convinzione, portandolo
sempre a
desiderarla con tutte le sue forze. Attratto come una falena dalla
fiamma.
Callie era quella fiamma.
“…so
che vi farei del
male, proprio come è successo con…con
lei.”
“Davvero.”
assentì lui e, ignorando il lamento irritato
della ragazza, continuò: “Non vi siete mai chiesta
come mai riesco sempre a
trovarvi, senza sapere dove siete?”
Due occhi luminosi e perplessi si
alzarono su di lui: ora
Callie si stava chiedendo anche come l’uomo riuscisse sempre
ad indovinare con
esattezza i suoi pensieri. Ma Alexander non le diede né il
tempo né la forza di
rispondere perché aveva chiuso le sue labbra sottili su
quelle di lei e, quando
sentì la sua lingua premere dolcemente per entrarle nella
bocca, Callie si
arrese totalmente a lui.
L’aveva sconfitta: poteva
sentire il dolce sapore della resa
nel battito del suo cuore folle, nelle labbra di lui, nella sua anima
ormai interamente
sua, nelle sue mani che le premevano sulle guance in una carezza piena
di
passione.
Erano tutte
cicatrici.
Ora lei gli
apparteneva. Cuore e anima.
Alexander si allontanò di
malavoglia dalle labbra di Callie
e mormorò, sorridendo divertito: “Non lo sai,
Callie?”
E la ragazza sapeva che,
probabilmente, poteva esserci solo
una risposta possibile. Ma non poteva rispondere…non voleva rispondere. Sì, si
fidava di lui, ma non di sé stessa.
Non amava
lei.
“Non
posso darti
quello che stai cercando, Callie.”
Abbassò lo sguardo.
“Non lo so…” rispose, incerta. E sapeva
di stare mentendo.
Ebbe la sorpresa di vederlo
sorridere. Alexander lasciò la
presa su di lei con un movimento leggero e si allontanò di
qualche passo. “Oggi
pomeriggio…vorrei che veniste con me in un posto.”
le disse con una serietà non
sua.
“Perché?”
chiese Callie con una curiosità neanche troppo
velata. Si rese conto di pendere ormai quasi totalmente dalle sue
labbra:
sarebbe andata con lui fino in capo al mondo.
E questo non
so se sia
un bene…
L’uomo si
scompigliò i capelli neri con un gesto vago:
“Signorina Honeycombe, temo che dovrete fidarvi della mia
parola.”
La carrozza si allontanò
dalla proprietà dei Norris un’ora
dopo pranzo. Nessuno, tra proprietari e ospiti, si era meravigliato nel
sapere
che Alexander aveva invitato la signorina Honeycombe – e solo ed esclusivamente
lei – a venire con lui per un’uscita. Dove la
volesse condurre lo sapeva
probabilmente solo Alexander stesso.
Gli animi di chi osservò
la carrozza allontanarsi, però,
erano molto diversi: mentre Linda e Cecil erano i più sereni
al riguardo, David
Norris e consorte non lo erano altrettanto. Il padre di Callie, da
parte sua,
non avrebbe mai ammesso di esser geloso di quel damerino che le stava
portando
via la sua amata figlia maggiore. Sperava solo che tutto si concludesse
felicemente e al più presto.
Callie, che non era del tutto
consapevole di
quell’agitazione che si animava alle spalle sue e di
Alexander, fece tutto il
viaggio affacciata al finestrino fremente di curiosità e
eccitazione. Non
riusciva ancora credere come l’atmosfera fra lei e
quell’uomo si fosse
rasserenata di colpo, a come riuscisse a parlargli senza rischiare
l’infarto
così, all’improvviso.
No, meglio
non
pensare. Ancora una volta, come la sera prima, si sentiva follemente
felice.
“Guardate! Quella casetta
lassù, è isolata, ma magnifica! A
dire il vero, tutto il paesaggio è stupendo!”
Alexander non staccava gli occhi neri
da lei nemmeno per un
secondo. Sorrideva leggermente alle parole e ai gesti di Callie che, in
ginocchio sul sedile imbottito, sembrava proprio una bambina. Allungava
le mani
sul finestrino e avvicinava il viso al vetro, come se non volesse
dimenticare
neanche un frammento di ciò che stava osservando. Gli occhi
nocciola spalancati
e curiosi.
L’uomo si portò
una mano alle labbra sottili e trattenne una
risata divertita: solo averla vicina gli ridava vita. Luce.
Anche se quegli occhi avrebbe voluto
vederli su di lui, come
le sue mani piccole e curate che immaginò schiuse in una
carezza dolce e
sensuale sulla pelle: l’immagine di Callie sdraiata sotto di
lui e nuda, con un
viso adorabilmente arrossato, lo colpì con una forza tale da
farlo quasi
sussultare sul sedile.
Sapeva che
Callie era
sua ma…non lo era ancora abbastanza.
Fu così che, quando
arrivarono a destinazione, Alexander fu
sollevato dal dover scendere dal mezzo e non avere più la
ragazza così vicina.
Non sapeva se sarebbe riuscito a non toccarla ancora tanto a lungo.
Callie osservò con stupore
l’enorme casa che si innalzava di
fronte a lei: era di poco più piccola di quella dei Norris,
ma vi somigliava
parecchio; l’unica differenza era il verde. Qui il parco
sembrava esser
avanzato fino a lambire le finestre della villa, come se gli alberi
avessero
voluto fondersi con essa: non era un atto di trascuratezza, ma voluto.
Sembrava un castello delle fiabe, in
un certo senso, e la
ragazza l’amò dal primo momento.
“…volevamo
venire a
vivere tutti e tre in Inghilterra, vicino ai miei genitori.”
Questa
è casa sua.
Callie socchiuse gli occhi e
chinò la testa di fronte a
quella enorme costruzione: non era del tutto sicura di volerne varcare
la
soglia. Le pareva di entrare in un territorio sacro e invalicabile,
poiché
tutto quello che vi avrebbe trovato era portatore di dolorosi ricordi.
Amava ancora
Laura.
Soffrirai.
No. Lui
l’aveva
cambiata.
Ti
tradirà. Non fidarti. Ti
rovinerà.
No! Lei
l’aveva
cambiato. Con lei era diverso!
Tu non sei
lei.
Fortunatamente arrivò
tempestivamente Gordon, il
maggiordomo, ad accogliere lei ed il padrone sulla soglia e Callie fu
distratta
da quei pensieri così confusi.
“Bentornato
padrone.”
salutò, inchinandosi davanti ad Alexander. Poi
si rivolse alla
ragazza : “
Signorina
Honeycombe, è un piacere rivederla.”
Callie rispose al saluto, mentre
notava uno strano
sorrisetto addolcire le rughe sul volto dell’anziano.
Immaginò che fu davvero
contento rivederla in compagnia del suo signore e si accorse troppo
tardi di
stare arrossendo.
“Più
volte ho pensato
che volesse far di voi la padrona di questa casa…”
“Gordon, và ad avvertire Lucy del nostro arrivo e
dille di
preparare il tea. Voglio che sia servito il prima possibile,
d’accordo?”
Gordon annuì ed
esclamò, tutto sorridente: “Subito,
signorino! E dove desiderate che sia servito?”
Alexander si accigliò
all’agitazione gioiosa del suo vecchio
servitore e, guardandolo con finta indignazione, rispose “In quel posto. Ora và, prima che
la
signorina Honeycombe ti trovi troppo impudente!”
Callie, che se la stava ridendo per
il signorino utilizzato da Gordon,
si riscosse e asserì: “ Non siate
scortese, signore! Gordon sarà pure un domestico, ma
è di una premura mai
vista. Quando mi sono recata da voi, qualche mese fa, lui mi ha accolto
anche
se eravate già partito e mi ha trattato così
gentilmente!”
Alexander sgranò gli occhi
neri e la guardò, stupito: non
era a conoscenza di questo fatto. “Ma…cosa?!
Gordon!”
Il vecchio maggiordomo era
già lontano, si voltò solo per
congedarsi con un frettoloso quanto agitato inchino. Poi
sparì all’interno
della casa, battendo in ritirata.
Callie aveva assistito a quella bella
scenetta con il
sorriso sulle labbra e ora cominciava ad essere curiosa di sapere cosa
esattamente fosse quel posto.
Siccome
l’avrebbe comunque saputo presto, si rivolse ad Alexander e
commentò: “Non
dovete maltrattarlo.”
Il volto dell’uomo era
ancora voltato verso il punto in cui
il suo domestico era sparito. “è con
me da quando ero solo un bambino, quindi parecchi anni
fa…Credo che sia l’unico
dei miei servi che possa rivolgersi a me con quei toni da genitore
premuroso.”
rispose lui senza guardarla.
Callie studiava la sua espressione e
il suo tono di voce,
sorpresa: Alexander James Norris le si stava rivelando sempre
più sotto un
nuovo aspetto e una nuova luce. Non le sembrava nemmeno più
la persona che aveva
imparato a conoscere fin dall’inizio!
Qual
è il tuo vero io?
È
forse questo, non è
vero?
Ma tutto fu cancellato dalla sua voce
che la invitava ad
entrare in casa insieme a lui. Così Callie fece il passo e
oltrepassò quel
confine, specchio del passato dell’uomo impossibile che
diceva di amare.
La ragazza guardava Alexander aprire
la grande porta che li
divideva da quel posto. Era una
porta
imponente e in legno chiaro, intarsiata da motivi floreali che si
susseguivano
l’uno dentro l’altro: si chiese se, oltre la
soglia, vi fosse un altro mondo. E,
soprattutto, perché fosse stata ben chiusa a chiave.
La porta, aprendosi, non emise
nemmeno un cigolio e
Alexander si fece da parte per farla passare. Dipinta in volto
un’espressione
indecifrabile, un sorriso leggero che poteva esprimere qualunque cosa.
Callie si accorse di non aver
sbagliato di molto: poteva
benissimo trovarsi in un altro mondo. Perché quella stanza
differiva totalmente
dal resto della casa che aveva avuto modo di intravedere. Quel luogo
emetteva
luce: era immenso e alto, era candido, innocente, immutato. Era una
libreria
illuminata dalle ampie vetrate che davano sul giardino di fuori, quasi
un luogo
lontano dalla fredda Inghilterra.
Quel luogo
era Laura.
Callie con il cuore in gola e
l’espressione sbalordita, si
portò velocemente al centro dell’immensa sala:
ovunque attorno a lei si
innalzavano libri su libri. Erano centinaia!
Non riuscì a reprimere
un’esclamazione di meraviglia: “O mio
dio! È così bello…tutto
questo…non sembra neanche reale!” e
continuò a
guardarsi intorno freneticamente, camminando da una parte
all’altra, tra gli
alti scaffali. Come avrebbe voluto una libreria del genere in casa sua!
Ritornò verso
l’ingresso, ritrovando Alexander esattamente
dove l’aveva lasciato, appoggiato alla porta chiusa con le
braccia incrociate.
Callie si accorse che i suoi occhi neri non si staccavano da lei e,
improvvisamente, si sentì nuovamente ardere.
Non riuscendo a sostenere quello
sguardo, gli voltò le
spalle e chiese: “Questo luogo…era per lei, non
è vero?”
Alexander non fece in tempo a
rispondere perché un battito
leggero sulla porta annunciò l’arrivo di Gordon
con il tea. Il maggiordomo non
aveva la sua età per niente e capì subito che
aria tirava in quella stanza: non
pronunciò nemmeno una parola mentre appoggiava il vassoio
sul primo tavolo
disponibile e non fiatò nemmeno quando, con un inchino, si
ritirò. Lo sguardo
serio e impassibile di Alexander e l’ostinazione con cui
Callie gli stava
voltando le spalle bastarono a mettere in allarme il servitore.
Intanto la ragazza aspettava ancora
una risposta con un
senso di ansia tale da farle venire perfino la nausea. Le girava la
testa.
“Sì, ho
costruito questa stanza per lei.”
Il tono controllato di lui la
infastidì forse più di
qualsiasi sua affermazione pungente o ironica fatta fino ad allora.
Cercò di
non apparire troppo nervosa o, ancora peggio, gelosa: “Amava
leggere?”
“Sì. Passava
delle ore intere con lo sguardo perso nella
lettura, proprio come voi.”
Proprio come
voi.
Perchè
fa tutto questo
per me?
Tu non sei
lei.
“Perché mi avete
portato qui?” sbottò Callie, senza più
riuscire a nascondere il suo risentimento. Non avrebbe mai dovuto
seguirlo,
mettere piede in quella casa. In più, lo stomaco era
attanagliato dal senso di
colpa: essere gelosa di una persona ormai morta, non la faceva sentire
bene.
Udì Alexander portarsi
lentamente dietro di lei.
“Voglio che tutto questo
sia tuo.”
Callie, con il cuore che le
martellava ferocemente dentro,
si voltò di scatto: l’uomo era a meno di un metro
da lei e lo sguardo sicuro e
calmo che le rivolgeva, per un attimo, le fece paura. Ancora una volta,
non
stava affatto scherzando.
“Invece di guardarmi con
quella graziosa bocca aperta,
perchè non dite qualcosa?”
La ragazza arrossì
furiosamente, ma si riscosse in tempo per
potergli rispondere:” Vi ringrazio di cuore
ma…ancora non capisco perché vi
ostiniate a fare tutto questo. D’altronde sei stato tu a dirmi che da te, io, non potevo
avere nulla, no?”
“Non
posso darti
quello che stai cercando, Callie.”
La ragazza sentì uno
sgradevole sussulto nelle viscere
quando vide gli occhi neri di Alexander aprirsi in
un’espressione di amara
sorpresa. Abbassò lo sguardo per non vederli più.
Ma fu un errore, perché
ebbe l’effetto di far perdere
totalmente il controllo all’uomo che le stava davanti.
Callie si trovò
dolorosamente imprigionata fra lui e uno
scaffale in un attimo, mentre le mani grandi di Alexander le premevano
sui
polsi con decisione. Era accaduto tutto così in fretta che
non riuscì quasi a imporsi
di reagire.
Così alzò lo
sguardo su di lui, sorpresa.
“Ancora non
capisci?!” le gridò lui, con dipinta in volto
un’espressione rabbiosa a cui la ragazza non era abituata.
“Dimmi esattamente,
signorina Honeycombe, cosa devo fare per farti…comprendere
cosa nutro per te?! Non è abbastanza?!”
Gli occhi bui di Alexander le
bruciavano addosso, a pochi
centimetri da lei. E i suoi capelli corvini le solleticavano il volto
mentre il
loro padrone, senza aggiungere nient’altro, decideva di
prendersi le labbra di
Callie con decisione.
Era accaduto talmente
all’improvviso che Callie credette di
stare vivendo solo un sogno.
“Io
non sono come
quell’uomo.”
Il pavimento era gelido a contatto
con la sua schiena nuda
ma, stranamente, la sua mente era completamente persa
nell’atto di osservare.
Guardare e ammirare le sue piccole mani farsi strada sulla pelle
olivastra di
Alexander che, ora, nascondeva il viso fra i suoi capelli castani,
ormai tutti
in disordine.
“Io
non vi farei mai
del male.”
Ogni cosa. Tutto, in quei momenti,
era andato perduto,
dimenticato. Callie non sapeva più chi era Alexander, non le
importava. Non era
più la persona che aveva fatto emergere il suo passato, che
si era presa gioco
di lei, che l’aveva ferita, annientata. Non era
più il damerino tanto alla moda
e dal carattere altrettanto impossibile visto ogni settimana con una
signorina
diversa.
E non era più
l’uomo ferito con la moglie morta di cui lei
era la sostituta.
Solamente, era l’uomo che amava, sopra di lei e dentro di lei.
Alexander che la stava
prendendo completamente e, così facendo, le lasciava una
cicatrice che Callie
non avrebbe mai più potuto dimenticare.
“Io…non
ho fatto che
pensare a voi in questi due mesi.”
Tempo
prima, a Callie
sembravano ore, l’uomo le aveva sfilato il vestito e, senza
fretta, aveva
lasciato che lei potesse fare lo stesso con lui. La ragazza non aveva
avuto
alcun imbarazzo nel spogliarlo perché, paradossalmente, il
corpo di Alexander
le sembrava di conoscerlo da sempre. In fondo, stava bruciando da
talmente tanto
tempo che ormai non poteva più esser salvata.
E quando Alexander era andato ad
accarezzarla dolcemente tra
le gambe, ogni inibizione era stata abbandonata.
“Non
vi siete mai
chiesta come mai riesco sempre a trovarvi, senza sapere dove
siete?”
Callie si aggrappò con
forza alle sue spalle ampie,
chiudendo gli occhi, inseguendo ogni movimento che lui imprimeva dentro
di lei.
Un fuoco divampava e bruciava all’interno del suo corpo e in
quello di
Alexander: entrambi non avrebbero potuto dimenticarlo,
perché quello che stava
accadendo poteva significare felicità o rovina.
No. Non avrebbero più
dimenticato.
“Non
lo sai, Callie?”
Lo sentì gemere e quella
voce, quel gemito, le scaldò il
cuore: Alexander si abbandonava a lei, fra le sue braccia, sul suo
seno, fra le
sue gambe. Ovunque. Capì forse per la prima volta la reale
portata dei suoi
sentimenti, di quanto l’aveva sempre amato, proprio fin
dall’inizio.
Gli prese la testa corvina fra le
mani e lo baciò a lungo,
mentre quel movimento era sempre più veloce, deciso dentro
di lei. Serrò le
gambe attorno al suo bacino sudato mentre sentiva imminente il momento
di
massimo piacere. Non si stupiva più ormai di sentirsi
ansimare al suo orecchio,
perché tutto ciò che voleva era che Alexander non
si fermasse.
Non desiderava vederne la fine.
“Voglio
che tutto
questo sia tuo.”
Fino
all’ultimo
momento della sua vita.
Nota!
Per quanto riguarda la scena finale
di questo capitolo non ho
ritenuto necessario alzare il rating della storia stessa che ,quindi,
rimane
giallo.
Ok, lo so, potevo fare anche a meno
di specificarlo, vero? :)
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Capitolo 12 *** Dodicesimo. La morte di Jane. ***
ATTENZIONE! Questo
è l’ultimo capitolo di Fino
all’ultimo
momento e, prima di andare alla lettura, vorrei che leggeste
queste due
righe che mi accingo a scrivere. È importante per me
ringraziare tutti coloro
che mi hanno seguita e, anche se non ho né miliardi di
recensioni o di lettori
per questa storia, mi sono sentita veramente lusingata.
Ora, ho da dire solo altre due cosette: questo è
l’ultimo capitolo e non è stato facile
completarlo. Un po’ per essermi affezionata ai personaggi, un
po’ perché non
volevo farne uno schifo e rovinare tutto ciò che avevo
scritto in precedenza.
Spero possiate apprezzarlo comunque!
Infine, questa storia farà
parte di una serie ( sto
già scrivendo un’altra storia, per questo sono in
ritardo
J)
e domani pubblicherò il primo capitolo di un racconto nuovo,
quindi se volete
passare a dare un’occhiata mi farebbe molto piacere.
Piccola curiosità: non ho
resistito a non inserire Callie
anche nel nuovo racconto, ma avrà un ruolo fondamentalmente
marginale!
Ora, mi scuso per il papiro, vi
abbraccio tutti e vi lascio
leggere in pace! J
Sweet Pink
“Mi ami,
ragazzina?”
“Non dirmi che hai fatto
l’amore con me solo per farmelo
ammettere!”
L’uomo sorrise, divertito:
“Non mi hai ancora risposto,
Callie.”
La ragazza si prese un
po’di tempo prima di dargli una
risposta. Non perché fosse indecisa ma, piuttosto, per
lasciargli tutto il
tempo di bollire nel suo brodo. Infine rispose, arrossendo leggermente: “Lo sai che
è così.”
“Così
come?”
Il tono ironico di Alexander la fece
sbuffare irritata: ecco
di ritorno il damerino che se la godeva a prendere per i fondelli la
povera
signorina Honeycombe!
“Sei
insopportabile!”
“E tu una adorabile
testarda!”
Callie alzò la testa
all’indietro, per scrutare il suo
volto: era seduta fra le sue gambe da almeno una quindicina di minuti
e, da
quell’esatto momento, Alexander stava cercando di farla
andare su tutte le
furie con quella domanda di cui conosceva già probabilmente
la risposta.
Decise così di porre fine
alle sue sofferenze e ammettere:
“Ormai non posso non amarti. Credo sia troppo
tardi.”
Alexander
la guardò
per un momento sorridendo leggermente. Poi, passandole lentamente una
mano fra
i capelli castani, fece: “Sei la donna
più complicata e ostinata che abbia mai incontrato, ma
è anche per questo che
ti amo.”
Callie arrossì e, cercando
di nascondere la felicità che le
avevano provocato quelle parole, ironizzò: “Forse
perché sono l’unica dama che
ti ha resistito per più di una sera?”
“Oh! Il tea di Gordon deve
essere ormai freddo!”
“Stai cercando di cambiare
discorso?”
L’uomo le concesse uno
sguardo divertito prima di alzarsi in
piedi e tendere una mano verso di lei. “Sai, credo che
dovremmo tornare. Come
sempre, i miei ospiti cominceranno a fare brillanti ipotesi sulla
nostra
scomparsa! Inoltre, è quasi ora di cena.”
Callie prese la sua mano e si
alzò a sua volta. Lanciò uno
sguardo alla tenue oscurità che invadeva
quell’enorme libreria. Alexander aveva
ragione: la giornata volgeva al termine, quel momento era ormai
passato.
Avrebbe voluto rimanere lì seduta con lui fra gli scaffali
ancora per ore, ma
si guardò bene dal dirglielo.
In fondo, ad Alexander sarebbe potuta
parere la solita ragazzetta
infantile.
Fu così che si
aggiustò alla meglio i vestiti e i capelli
senza dire una parola. Anche lui non parlava. Ma, in realtà,
non si trattava di
un silenzio imbarazzato o teso: solamente, era quella
tranquillità che seguiva
alla conclusione di una lunga battaglia.
Tu parti
domani.
Quel pensiero colpì Callie
con forza, all’improvviso. Lei,
suo padre, sua sorella e i Clayton sarebbero ripartiti
l’indomani per
l’Hampshire. Sarebbero tornati a casa.
Se nelle settimane precedenti un
fatto del genere non
avrebbe provocato altro se non sollievo in lei, ora sentiva di non
volersene
più andare. Non voleva lasciare quella casa, sapeva di
amarla; e non voleva più
lasciare Alexander. Sperava che lui l’amasse veramente come
le assicurava.
Stava per attraversare
l’uscio di casa ed immergersi nel
verde del cortile, quando decise di voltarsi indietro.
L’ingresso di casa era
illuminato dalla luce tremolante delle candele e, il suo tepore, la
invitava a
fermarsi lì per sempre.
Cosa ne
sarà di questo
posto?
Alexander osservò Callie
attentamente per qualche secondo,
prima di chiedere: “Va tutto bene?”
La ragazza fu risvegliata da quel
tono rassicurante. Si
voltò verso di lui e rispose, con un poco di malinconia:
“Sì. Volevo solo dare
un’ultima occhiata alla casa prima di andarmene.”
“Un’ultima?
Pensi
davvero di non tornare più qui?”
“Domani torno
nell’Hampshire, Alexander.”
Gli occhi neri dell’uomo
non bruciavano più, ma continuava
fissarla con uno sguardo serio a cui lei faceva fatica ad abituarsi. E
seppe
immediatamente che lì, sulla soglia di casa, si sarebbe
deciso il loro destino.
Felicità
o rovina.
Alexander le posò una mano
sui capelli con dolcezza: “La
solita signorina ingenua. Se lo desideri, potrai abitare qui per
sempre. Questa
settimana, aspetta una mia visita presso casa
Honeycombe…parlerò con tuo
padre.”
Il cuore di Callie sembrava voler
abbandonarla da un momento
all’altro. L’ultima frase suonava esattamente come
un chiederò la vostra mano al
signor Honeycombe. Anche se sarebbe
stato un po’troppo pretendere da Alexander James Norris una
frase del genere.
Non
è Mr.Darcy…ma va
bene lo stesso.
Perché
è l’unico uomo
che desidero sposare.
La voce di Callie, come accadeva un
po’troppo sovente negli
ultimi tempi, sembrò incastrarsi in gola; riuscì
solo ad articolare: “Ma…cosa?”
“Una risposta molto
romantica, signorina. Mi sento davvero
soddisfatto.”
La ragazza scosse la testa,
arrossendo. Cercò di ripetersi,
alzando il braccio come per scusarsi: “Intendo, parli
seriamente?”
“Non mi accetteresti? Sai,
sono piuttosto ricco e stimato…”
“Lo sai che non intendo
questo! Solo che…”
Le labbra sottili di Alexander si
piegarono in un sorriso
non più beffardo o elegante. Le rivolgeva uno dei suoi rari
sorrisi veri,
reali. E disse: “Te lo posso promettere, Callie. Aspettami,
perché verrò.”
Fu così che si
voltò, cominciando a camminare senza di lei
verso la carrozza. Callie osservò, basita, la sua figura
elegante per qualche
secondo prima di raggiungerlo frettolosamente. Non era del tutto
conscia del
sorriso da sciocca che si estendeva sul suo volto.
Lei non era
Laura.
Ma lui,
comunque, l’amava.
Cecil Price pareva tale e quale alle
raffigurazioni degli
angeli in chiesa.
Almeno, era stato questo il primo
pensiero di Linda Clayton
quando, per caso, aveva incontrato l’uomo durante una delle
sue passeggiate.
Con il cuore in gola,
l’aveva osservato andarle incontro e
si era immediatamente chiesta quale fosse stato il motivo della sua
presenza
lì, nell’Hampshire. D’altronde, erano
tornati dal Derbyshire solo una settimana
prima.
“Buongiorno,
signorina.”
Linda si era persa per un momento nel
tono caldo e gentile
di lui, prima di obbligare la sua mente a formulare una risposta:
“Buongiorno a
voi, signor Price. Sono felice di rivedervi!”
Cecil le aveva sorriso con dolcezza.
“E non ne siete
sorpresa?”
“Oh!
Sì…devo ammetterlo. Quindi, vista la vostra
domanda, mi
permetterò di essere insolente e chiedervi il motivo della
vostra presenza
nell’Hampshire!”
Linda di certo non si aspettava una
dichiarazione su due
piedi da parte di lui, ma nemmeno di vedere la sua espressione cortese
incupirsi fino a gettare ombra sul suo bel viso. Era con
gravità che ora la
stava guardando.
La ragazza sgranò gli
occhi chiari e le sue mani,
inconsciamente, andarono a stringere il manico
dell’ombrellino con forza.
Perché l’uomo non era venuto per lei.
Alexander.
“Cos’è
accaduto?”
Il sole tramontava dolcemente sulla
collina e i capelli
dorati di Cecil si tinsero improvvisamente di un colore accecante.
Proprio come
un angelo in chiesa.
Abbassò lo sguardo
altrove, evitando quello di Linda.
Perché
io…
Perché
devo essere io
a compensare il lato oscuro di Alexander?
“Passeggiamo, signorina. Vi
va?” chiese infine, porgendole
il braccio.
Linda era ancora esitante: gli occhi
castani del signor
Price trasudavano rassegnazione e tristezza. Le si strinse il cuore
perché, in
fondo, sapeva cosa stava per accadere.
Non vi fu tempo per aggiungere altro;
un grido proveniente
dal fondo del prato attirò l’attenzione dei due.
Giuditte, una serva di casa
Honeycombe, correva verso di loro agitando le braccia per aria.
“Signorina Clayton! Deve
seguirmi immediatamente!” la sua
voce giungeva smorzata “La signorina Honeycombe
è…”
Linda fu presa da un panico
improvviso e si voltò di scatto
verso Cecil Price che, in cambio, le mise una mano sulla spalla con
gentilezza.
“Ci sarò sempre io accanto a
voi, qualsiasi cosa accada!”
Una
settimana prima
Alexander era in piedi
nell’esatto centro dello studio
paterno. David se ne stava seduto dietro la scrivania; lo guardava con
serietà
da quasi un quarto d’ora.
Il viso non più giovane
parzialmente nell’ombra, così da
risultare ancora più impassibile e solenne al figlio. Aveva
giunto le mani
sotto il mento e Alexander poteva scommettere che, qualsiasi fosse il
motivo
per cui era stato chiamato lì, non prometteva niente di
buono.
All’uomo sembrava quasi di
esser ritornato indietro nel
tempo, quando da bambino combinava un guaio e subito il padre lo veniva
a
sapere, convocandolo nel suo studio. Ma era passato troppo tempo e
troppe cose
erano accadute, compromettendo forse per sempre il rapporto fra figlio
e padre.
La voce seria di
quest’ultimo spezzò il suo ragionamento,
facendolo tornare alla realtà. Al presente. A Laura.
E a Callie
Honeycombe.
“Alexander, non hai ancora
deciso di volerti sedere?” indicò
David Norris, accompagnando le sue parole con un gesto vago della mano.
“Grazie, padre. Preferisco
stare in piedi e conoscere il
motivo della vostra convocazione.”
“Non l’hai ancora
indovinato?” chiese l’altro, inarcando un
sopracciglio. “è
alquanto strano il
tuo cambiamento, dopo l’incontro con la signorina Honeycombe.
Almeno in apparenza.”
Alexander si irrigidì e,
fra i denti, cercò di rispondere:
“Vi ringrazio della consueta fiducia che riponete in me.
Tornando in tema,
quella ragazza è...”
“Assomiglia a Laura, lo sai
anche tu.” lo interruppe il
padre, alzandosi in piedi. “Non è bizzarro
questo?”
Il figlio, dal canto suo, non osava
muoversi. Se ne stava
semplicemente inchiodato lì, in piedi, e impallidiva.
“Sì.
Passava delle ore
intere con lo sguardo perso nella lettura, proprio come voi.”
Lo aveva
sempre
notato. Fin dall’inizio.
Cercò di recuperare un
po’della sua solita irriverenza
elegante e disse: “Avanti, padre. Ditemi qual è
stato il mio terribile errore
questa volta! D’altronde, quella ragazza, io non la sto
affatto ingannando.”
“Te lo dirò
immediatamente: il tuo sentimento…la tua
ossessione per lei ha portato solo dolore nella sua vita. Non puoi
negarlo.”
Credi
davvero di non
rovinare anche lei stavolta?
Forse, se
non ti
avesse mai incontrato…
Alexander fece un passo indietro,
istintivamente: la figura
del padre sembrava immensa, quasi diabolica. “Lei vuole
me!”
David scosse la testa grigia
lentamente: “Lei è avvelenata
da te, è diverso. Credi che, una volta sposati,
passerà sopra al tuo carattere
scostante e alla tua passione per il gioco d’azzardo? Ai tuoi
continui
tradimenti?”
“Ora basta!”
ordinò il figlio, tagliando l’aria con un gesto
secco del braccio. Le accuse del padre, anche da adulto, erano
difficili da
sopportare. Inoltre, il pensiero di poter ferire
quell’ingenua ragazza lo
riempiva di dolore, poiché troppo male le aveva
già causato.
“Io la sposerò,
che voi lo vogliate oppure no!”
Dopo un momento di silenzio, dove i
due si guardarono con
vero e proprio astio, David riprese il suo discorso con calma:
“Ti vuoi
redimere. Ma lei è una sostituta…una sostituta di
Laura.”
Una sostituta di Laura.
“Questo
vuol dire per
sempre, sai meu amor?”
“Io
non vi odio
affatto!”
Come un fulmine a ciel sereno,
così improvvisamente, la
verità sembrò colpirlo con forza lasciandolo
nuovamente solo con i suoi oscuri
fantasmi.
Ma lui ancora non sapeva di stare
sbagliando. Di nuovo.
Guardò la figura del
padre, smarrito. Tutte le immagini, il
passato, i momenti trascorsi con Callie fino a quel momento scorrevano
davanti a
lui.
Si era intestardito su di lei.
Aveva frequentato altre donne in quei
mesi, ma continuava a
pensare a quella piccola sciocca. Era ossessionato da lei. Bruciava.
E il suo
sorriso, come
dimenticarlo?
Ma era il
sorriso di
Laura, non di Callie.
“Sei veramente innamorato
della signorina Honeycombe?”
Quel tono duro come
l’acciaio provocò in lui una reazione
immediata. E fu una doccia fredda sentire sé stesso
rispondere: “Non credo. Non
ora.”
Gli occhi di David Norris celavano in
maniera invidiabile la
sua soddisfazione: aveva avuto ragione anche quella volta su Alexander.
Suo
figlio maggiore non poteva più tornare indietro dal suo
oscuro passato.
Ma nemmeno il padre,
dall’alto della sua presupposta
saggezza, aveva capito che forse l’unico legato al passato
non era altri se non
sé stesso. E si accontentava di non lasciare libero
Alexander, forgiando catene
fatte del suo senso di colpa.
Il figlio sentiva aleggiare nella
stanza la vittoria del
signor Norris. Lo percepiva, quel compiacimento di sé
stesso, anche se il padre
non parlava.
Fu in quell’esatto momento
che capì di doversene andare.
Doveva fuggire. Abbandonare quel posto, il presente.
Lasciare
Callie. Come
aveva fatto con tutte le altre donne.
Così, dando le spalle al
padre, disse in tono sommesso: “Ho
appena preso la mia decisione. Dopo oggi, ve ne prego, fatemi la grazia
di non
venirmi più a cercare, padre. Questa è stata la
nostra ultima conversazione.”
David accolse le sue parole con
serenità e, con altrettanta
calma, lo osservò congedarsi da lui. Suo figlio se ne
andava, tranciando
qualsivoglia legame che ancora lo teneva ancorato al presente. Che
ancora lo
poteva redimere.
Il signor Norris poteva quasi sentir
il tono isterico della
moglie urlargli contro: “Hai
ottenuto ciò
che volevi ora?”
“Alexander sei ormai
adulto, ma codardo. A dire il vero, in
fondo, lo sono anche io.” pensò lui, quando
sentì la porta del suo studio
chiudersi.
L’avrebbe
uccisa.
Alexander si teneva la testa corvina
fra le mani e il suo
senso di disperazione e vergogna non pareva voler essere lenito.
Era tutto vero: l’aveva
avvelenata. Avevano combattuto,
avevano sofferto. Lui l’aveva ingannata e lei era stata la
prima donna ad aver
vinto quella battaglia.
Perché
era come Laura.
Callie era luce e lui, sicuramente,
non sarebbe riuscito a
lasciarla vivere. Avrebbe soffocato quella fiamma in un solo istante.
“Questo
luogo…era per
lei, non è vero?”
La piccola l’aveva
già capito. Solo lui, da adulto quale non
era, si era dimostrato completamente cieco.
Ma quella
luce…era
così abbagliante.
Gli occhi neri di Alexander si
posarono sul foglio di carta
che giaceva, intonso, davanti a sé. Un’altra
dolorosa fitta andò a pugnalargli
l’anima. Si preparava ad affondare il coltello nel cuore di
Callie.
“Ormai
non posso non
amarti. Credo sia troppo tardi.”
La immaginò a casa,
nell’Hampshire, in attesa della sua
venuta. Le aveva fatto una promessa. Gli pareva quasi di poterla
vedere, felice
e radiosa, con quel grazioso sorriso sognante che l’aveva
colpito fin dalla
prima volta in cui aveva posato gli occhi su di lei, al ballo indetto
da sua
nonna mesi prima.
Era un
codardo.
Un dannato
miserabile.
Appena tornata
nell’Hampshire, Callie aveva ricevuto una
notizia terribile: la sua amata autrice, colei che aveva scritto di suo
pugno Orgoglio e Pregiudizio, era
deceduta
pochi giorni prima.
Ora, era già divenuta
discretamente famosa e aveva
finalmente un nome. Jane Austen.
Le portatrici di tale sventura erano
state, guarda caso, le
sorelle Hayer che subito corsero addosso alla signorina Honeycombe per
formulare
le solite domande riguardanti Alexander James Norris. Evidentemente
Charlotte
non si era messa ancora il cuore in pace.
“Sì,
sì, la morte di quella povera donna e alquanto triste;
pensate, non aveva che quarant’anni! Ma, signorina Callie,
ditemi: si dice che
presto sentiremo campane a nozze in casa Honeycombe. Dobbiamo dare
credito alle
voci?” aveva così chiesto, non senza un certo
astio.
Callie moriva letteralmente dalla
voglia di confermarle il
pettegolezzo, solo per vedere Charlotte schiumare di rabbia senza
poterlo poi
esprimere; ma decise di glissare sull’argomento. In fondo, la
prudenza non era
mai troppa con le sorelle Hayer, quindi rispose gaia: “Oh!
Quelle voci devono
sicuramente essere frutto di qualche chiacchiera senza fondamento, mia
cara amica!
Ma, se mai dovessi sposarmi, sappiate che sarete più che
benvenuta al mio
matrimonio!”
Charlotte, allora, aveva fatto
solamente uno strano verso
con la bocca e, senza aggiungere altro, si era voltata verso Linda.
Callie
invece se la rideva sotto i baffi e pensava che anche Alexander, se
fosse stato
presente, avrebbe fatto lo stesso.
La ragazza arrossì
leggermente, sentendosi di nuovo sciocca
e infantile. Come una bambina.
Le mancava.
Ma lo stava aspettando,
perché lui sarebbe venuto presto.
Aveva fatto una promessa e lei si fidava delle sue parole, come aveva
sempre
fatto. Nel bene o nel male.
“Se
non viene da me
adesso,” diceva “rinunzio per sempre.”*
Era un luminoso pomeriggio di
venerdì e Callie leggeva per
un’ultima volta il suo libro preferito. Ed era quasi arrivata
alla fine.
La sua decisione di rileggere la
storia di Elizabeth e Darcy
prima di riporre il libro sullo scaffale, e lasciarlo intoccato ancora
per
molto tempo a venire, era dovuta alla morte di Jane. Ora che lei non
c’era più,
i suoi libri sembravano assumere un’aura quasi sacrale per
Callie e il mondo di
cui scriveva pareva esser perduto insieme a lei. Si sentiva come se una
cara
amica se ne fosse andata per sempre.
Eliza era
morta con
Jane.
Un rumore improvviso, proveniente dal
cortile, attirò la sua
attenzione. E Callie, con il cuore schizzato improvvisamente in gola,
si affacciò
alla finestra. In realtà, da quando erano tornati dal
Derbyshire ogni minimo
rumore era un pretesto per precipitarsi alla porta, nella speranza di
vedere
una sagoma elegante emergere dalla nebbia. La ragazza sapeva bene che
era poco
conforme, per una ventunenne come lei, perdere la calma e il contegno
ad ogni
scricchiolio ma, da quando conosceva Alexander, ne aveva commessi di
atti poco
consoni alla sua posizione.
Voleva
essere la
prima a corrergli incontro.
Sarebbe
arrivato.
Gliel’aveva
promesso.
Fu così che rimase delusa
quando, sbirciando dalla finestra,
non vide altri se non Giuditte con il cestino della posta.
Però i suoi occhi
nocciola misero a fuoco parecchie buste e, senza pensarci due volte,
Callie era
ai piedi delle scale in meno di dieci secondi.
La domestica, entrando, fece in tempo
a vedere una macchia
castana venirle velocemente incontro. Riconobbe all’ultimo la
sua giovane
padrona che, con agitazione male controllata, allungava una mano verso
il
cestino pieno di corrispondenza.
“Grazie, Giuditte. Prendo
io la posta.”
“Non volete che la metta in
salotto come al solito,
signorina?”
Callie scosse la testa.
“No, non ti preoccupare. La farò
avere io al signor Honeycombe.”
Quando finalmente si trovò
sola, con in mano un plico di
buste piuttosto consistente, la ragazza cominciò a scorrere
una ad una tutte le
missive nella speranza di trovarne una indirizzata a lei.
Scoprì di averne due.
Una era da parte di Margareth, ancora a Londra con i genitori, e
l’altra….le
mani di Calli cominciarono a tremare.
Perché la seconda lettera
proveniva dal Derbyshire.
Lasciò così le
restanti nel salotto e, trattenendosi dal
correre, salì le scale con apparente calma.
Guadagnò la sua camera e, quando si
fu chiusa la porta alle spalle, lasciò che ogni sua emozione
traspirasse dal corpo:
tremava leggermente e, senza rendersene
conto, era impallidita.
Era da parte
di
Alexander? Cosa vi era scritto? Quando sarebbe venuto?
Callie fece un respiro profondo,
imponendosi di rimanere
tranquilla. Per prima cosa, avrebbe letto la missiva di Margareth,
lasciando
per ultima quella proveniente dal Derbyshire.
La sua amica le scriveva di Londra,
degli ultimi
pettegolezzi e delle feste, ma la ragazza non riusciva veramente a
concentrarsi: ogni due minuti controllava con gli occhi che la busta di
Alexander fosse ancora lì accanto a lei. Aveva quasi paura
che sparisse, come
per una magia.
Callie fu talmente brava che
riuscì anche ad imporsi di
rispondere a Margareth, prima di aprirla. E quando ebbe finito, il sole
ormai
tramontava dolcemente sulle colline.
Fu così che la ragazza si
avvicinò alla finestra e aprì di
fretta la busta, piena di aspettative.
I suoi bei occhi nocciola si
spalancarono.
Il cuore smise di battere in meno di
un secondo.
Parto.
Divorò il resto della
lettera in pochi secondi.
Scusami.
Continuò a fissare la
carta anche quando ebbe finito di
leggere. Decise di leggerla una seconda volta, ma il senso non
cambiava. E le
parole di inchiostro si confondevano nella sua mente, in un groviglio
inestricabile.
Le sembrò di morire.
Non posso
venire. Non
più. Callie, ascoltami…
Ma lei non voleva ascoltare. Non
poteva, perché lui non era
arrivato….non poteva capire. E, prima di cadere nel buio,
solo due frasi
continuavano a scorrerle davanti agli occhi.
Ti ho fatto
del male.
Me ne vado
dall’Inghilterra.
Jane era morta.
E anche lei.
Linda arrivò
più in fretta che poté sotto casa di Callie.
Era preoccupata per l’amica: il misterioso arrivo di Cecil
Price, le sue parole
cariche di gravità. E, infine,
Giuditte
e il suo tono agitato. Ora, tutti e tre, correvano verso la porta degli
Honeycombe che era, con sorpresa di Linda, spalancata.
Ma furono le urla a gelarle il cuore.
Poteva sentirle dal
cortile, accompagnate dal rumore di oggetti che andavano in frantumi
contro la
parete; il caos proveniva senza dubbio dalla stanza di Callie.
Poi il silenzio. La signorina Clayton
alzò lo sguardo verso
la finestra dell’amica e, senza degnare di
un’occhiata né Giuditte né Cecil,
entrò in casa con passo veloce. Le prime persone che
incontrò furono il signor
Honeycombe e Henrietta, ai piedi delle scale. La piccola si teneva
stretta al
padre e pareva spaventata, mentre
l’uomo
ora guardava Linda con dolorosa preoccupazione.
“Scusatemi se vi ho fatto
chiamare, Linda.” fece lui con
voce gracchiante. “Ma la mia adorata
bambina…è inavvicinabile. Quindi ho
pensato che…”
La ragazza bionda si
avvicinò a Charles Honeycombe e gli
strinse le mani con affetto. Non era sicura di riuscire a trasmettergli
sicurezza: “Avete fatto bene, signore. Lasciatemi andare da
lei ora.”
L’uomo annuì
solo e indicò la cima delle scale con un cenno
del capo.
Linda cominciò a salire e,
ad ogni gradino, la sua anima
sembrava tingersi di un tono più cupo di preoccupazione e
dolore: non voleva
pensare ai motivi che avevano portato l’amica
all’esplosione. Sapeva già
cos’era accaduto. Perché ora solo una persona
poteva avere un potere così
devastante su Callie. Gli si stringeva il cuore al pensiero di quanto
era
felice, fino al giorno prima.
“Eccoci
qui, cara
Linda, tutte e due nuovamente innamorate!”
“Anche
se voi ce ne
avete messo di tempo per ammetterlo!”
Callie aveva
riso.
“Oh, andiamo! E il vostro bel signor Price allora?”
La signorina Clayton spinse
lentamente la porta della camera
di Callie, timorosa di ciò che avrebbe trovato. Come aveva
previsto, ciò che
vide non fece che aumentare l’angoscia che nutriva per
l’amica: Callie era
accovacciata al centro esatto della stanza, mentre tutto il resto non
esisteva
più. La ragazza aveva distrutto qualsiasi cosa. Gli oggetti
erano in pezzi, le
sedie rovesciate, i libri sparsi un
po’ovunque…anche Orgoglio
e Pregiudizio non si era salvato, anzi. Linda notò
che
Callie teneva stretta nella mano una lettera tutta spiegazzata. In quel
disastro, sembrava che non l’avesse mai lasciata andare.
I suoi occhi azzurri si abbassarono,
fissando il pavimento.
Provava timore ad entrare in quella stanza: l’odio e il
dolore di Callie
sembravano regnare in quel perimetro e non volevano avvicinare nessuno.
“Ci
sarò sempre io
accanto a voi, qualsiasi cosa accada!”
Poi, si decise a fare il passo
definitivo e avanzò con calma
verso l’amica che ancora non accennava a muoversi. Solo
quando Linda fu in
piedi a pochi centimetri da lei, le parole uscirono finalmente dalle
sue
labbra. Il suo tono di voce era strozzato, quasi esitante:
“Lui non viene. Ha
detto che se ne va dall’Inghilterra.”
Un altro che
parte.
Anche lui mi abbandona, dopo avermi usata.
“Io
non sono come
quell’uomo.”
Che
bugiardo. Che
dannato bugiardo!
Sentì a malapena la mano
di Linda accarezzarle con
delicatezza la schiena, mentre si accovacciava accanto a lei:
“Non so che dire,
Callie. Solo che qua ci sono io; con te, come sempre.” Il suo
tono era caldo e
rassicurante, ma la ragazza si accorse del dispiacere che provava Linda
nei
suoi confronti. “Qualsiasi cosa accada.”
Aveva perso la ragione. Non aveva
fatto avvicinare suo padre
e aveva spaventato Henrietta. Si accorse solo in quel momento di quanto
la casa
fosse diventata silenziosa, come una tomba. La sua tomba.
Il veleno di
Alexander
aveva fatto effetto e lei era morta.
No, era
ancora viva.
Era lì, davanti a Linda. Era passata oltre.
Dentro di lei il dolore si propagava
fino a volerle crepare
il cuore in grandi e informi pezzi. Non avrebbe mai dovuto far cadere
il muro che
l’aveva divisa e protetta per anni ma, sapeva, che a poco a
poco sarebbe
riuscita a ricostruirlo.
Fu così che
appoggiò il capo sulla spalla di Linda, mentre
le sue dita lasciavano andare la lettera ormai distrutta di Alexander.
Le
lacrime ricominciarono a bagnale le guance, silenziose.
“Posso piangere un poco
sulla tua spalla?”
“Anche tutto il giorno,
Callie.” rispose la ragazza bionda,
sorridendo dolcemente.
Un anno dopo
Pare incredibile come una piccola e
quieta società campestre
possa entrare in fermento quando all’orizzonte compare la
prospettiva di un
matrimonio. Negli anni nulla era mutato e la stessa agitazione gioiosa
si
ripeté anche per le nozze della signorina Clayton. Dopo
quasi un anno di
fidanzamento, la ragazza si era decisa a legare il suo destino con
quello
dell’affascinante signor Price.
A dire il vero, parecchie voci erano
girate sul loro conto:
c’era chi si dichiarava sicuro di una gravidanza di lei, chi
affermava che i
due sposini sarebbero andati a vivere in America, chi ancora pensava
che Linda
sarebbe fuggita sull’altare, visto lo scandalo di parecchi
anni prima.
Per una volta, le sorelle Hayer
furono le uniche portatrici
di verità. Spinte dal signor Clayton, che bene conosceva la
loro inclinazione
al chiacchiericcio, le ragazze dissero a tutto il villaggio nulla
più del
dovuto e del vero: il matrimonio si sarebbe celebrato nella chiesa del
paese,
Linda e Cecil erano più felici che mai, e sarebbero rimasti
a vivere in
Inghilterra. Di bambini, ancora, non si parlava.
Dopo
i due sposini, i
più allegri erano sicuramente i Clayton, che vedevano
assicurato il futuro
della loro figlia preferita, e gli Honeycombe, da sempre amici di
famiglia. E
Callie, la figlia maggiore di Charles Honeycombe, non poteva apparire
più
graziosa mentre sfilava dietro Linda, nel suo abito bianco da damigella.
Era stata la sposa ad insistere
perché le ragazze
indossassero quel colore, così a tutti sembrò che
Cecil dovesse sposare almeno
quattro signorine, invece che una.
La cerimonia si esaurì,
gli sposi si scambiarono le promesse
e tutti erano pronti ad uscire dalla chiesetta, diretti verso il
ricevimento
indetto a casa Clayton. Callie, per tutta la durata del matrimonio,
aveva
osservato incantata Linda: era bella come una dea. All’amica
non le era parso
di vederla mai così felice in tutta la sua vita.
Così ogni tanto aveva
scambiato qualche occhiata complice
con Margareth, l’unica insieme a lei che ancora non avesse
trovato un partito.
Le due Hayer, infatti, durante l’ultimo soggiorno a Bath
erano corse incontro a
parecchia fortuna.
Tutte e due aspettavano di
pronunciare il sì in
pompa magna, legandosi a due
discretamente ricchi industriali. Charlotte aveva dimenticato Alexander
James
Norris da tempo.
Era quasi un mistero come i Norris
fossero scomparsi dalla
bocca di tutti. La madre di David era tornata nel Derbyshire e la casa
nell’Hampshire era stata definitivamente chiusa, mentre
dell’amicizia che
legava Charles Honeycombe al capofamiglia dei Norris nulla si sapeva.
L’unica cosa certa era che
né Teresa, né David e tantomeno
il figlio maggiore, Alexander, si era fatto più vedere da un
anno a quella parte.
Anche se qualche voce maligna sussurrava che Charles tenesse ancora
segreti
contatti con David Norris.
Callie poteva dire di sentirsi
serena; se così si può
definire una ragazza dall’anima in pace, ma con il cuore
spezzato. Non aveva
dimenticato quell’uomo impossibile con cui ne aveva passate
veramente troppe.
Ogni singolo giorno da un anno a quella parte, aveva ripensato, almeno
per un
secondo, a quelle labbra sottili piegate in un sorriso elegante e
sfacciato. Un
sorriso da bugiardo, ma che sapeva essere anche molto dolce e gentile.
Aveva fatto della rassegnazione il
suo stile di vita. Non
sapeva dove lui fosse ma, se proprio provava a pensarci, lo immaginava
là dove
tutto aveva avuto inizio. Nella terra dove Laura era nata e cresciuta,
là dove
aveva amato la prima volta.
Da tempo aveva compreso il motivo
della sua fuga. Alexander
era stato ossessionato da lei solo perché assomigliava a
Laura. La vedeva in
lei, come se fosse stata ancora viva.
Era passato un anno da allora e,
anche se poteva dirsi poco
tempo, Callie pareva di aver attraversato cent’anni senza la
presenza di
Alexander. Almeno, tutto era tornato alla normalità, come
era stato prima di
incontrarlo.
Le
cicatrici, però,
non scompariranno mai.
Il matrimonio di Linda era un nuovo
inizio. Cecil Price era
rimasto e, se teneva contatti con il suo miglior amico, Callie non
sapeva e non
voleva sapere. Ovviamente quest’ultimo si era guardato bene
dal parlarne con
lei, agendo così in modo saggio.
Callie, in mezzo agli applausi dei
parenti e degli amici, si
sporse ad abbracciare l’amica: “Sono
così felice per voi! Congratulazioni,
signora Price!”
Quest’ultima diede una
pacca gentile sul braccio della
ragazza castana: “Non osate, Callie! Io sono e
sarò sempre Linda per voi, mi
avete capito?”
L’interessata rise:
“Qualsiasi cosa accada! Stavo solo
scherzando, cara mia!”
Poi la sposa fu rapita dal resto
delle damigelle e Callie si
vide avvicinare da Cecil, che allungò una mano verso di lei.
La ragazza gliela
strinse volentieri e disse con dolcezza: “Abbiate cura di
lei, signor Price.”
“Più della mia
stessa vita, cara Callie. Potrete
accertarvene voi stessa: le porte di casa nostra saranno sempre aperte
a voi e
alla vostra famiglia.”
“Accetto la vostra offerta
con piacere, allora!”
L’uomo le concesse un
sorriso gentile e pieno di gratitudine
ma non ebbe modo di aggiungere altro, perché il parroco e la
signora Clayton
richiamarono i due sposi all’attenzione, invitandoli ad
uscire dalla chiesa. Il
ricevimento li stava aspettando.
Fu così che Callie si
portò dietro a Margareth e cominciò ad
incamminarsi con lei fuori dall’edificio. La luce di quel
pomeriggio speciale
la investì in pieno, intessendo fili d’oro sul suo
abito bianco. Il prato
riluceva di mille colori e le fronde degli alberi venivano mosse
leggermente da
un venticello fresco e gentile. Gli ospiti gettavano petali e riso
sulla coppia
felice davanti a lei.
Callie fece per portarsi la mano
davanti agli occhi.
Fu in quel momento che lo
vide: la figura elegante e alta si ergeva davanti a lei, in fondo al
prato. Gli
occhi neri puntati sulla scena in corso, un sorriso leggero che
increspava le
labbra sottili. I capelli erano cresciuti, sempre nerissimi, ma tenuti
a bada
da un codino basso.
Era vestito di blu.
Alexander.
Come se l’avesse chiamato,
anche lui alzò lo sguardo su di
lei. I suoi occhi sembrarono allargarsi un poco dalla sorpresa, come se
non si
aspettasse di trovarla lì al matrimonio del suo migliore
amico. Eppure doveva
aspettarselo. L’unica impreparata era Callie, che ora se ne
stava in piedi all’ingresso
della chiesa e non osava muoversi. Ghiacciata.
Era bastato incrociare i suoi occhi
bui per capire che nulla
era cambiato: lo amava, come sempre era stato. Se
si era rassegnata, non era preparata a
rivederlo. Non ancora.
“Non
vi siete mai
chiesta come mai riesco sempre a trovarvi, senza sapere dove
siete?”
“Callie.”
La ragazza continuò a
fissare il vuoto assoluto davanti a
sé. Sorda a quella voce che, dietro di lei, aveva cominciato
a chiamare il suo
nome. Forse, in fondo, era tutta un’illusione.
Ma quando i suoi occhi catturarono
l’immagine di un uomo che
sedeva al suo fianco, sul muretto di casa Clayton, ebbe modo di
constatare che
Alexander era ben reale e non un sogno. Continuò comunque a
non voltarsi.
Non aveva più nulla da
spartire con quel damerino. E voleva
che se ne andasse al più
presto…d’altronde che senso aveva avuto evitarlo
per
tutto il ricevimento, se ora lui l’aveva ritrovata e sembrava
non volerla
lasciare in pace?
“Ancora mi trovate senza
che nessuno vi abbia detto dove
sono?” chiese infine, con un tono di voce monocorde.
Continuava a guardare la
campagna, che sempre più si immergeva
nell’oscurità della sera.
“Così
sembra.”
Un silenzio tombale regnava fra i
due. Solo il verso di
qualche animale e il vociare gioioso proveniente da casa Clayton
copriva i loro
pensieri; a Callie quasi sembrava di essere tornata a quel famoso
ballo, quando
ancora si illudeva di nutrire solamente odio nei confronti di Alexander.
“Ballereste
con me,
signorina?”
“No!”
Fu lui a parlare: “Non hai
nulla da chiedermi?”
“Dovrei?”
“Pensavo avessi molte
domande da farmi.”
Callie cominciò a sentire
la rabbia e il fastidio agitarsi
in fondo alle sue viscere, ma cercò di mantenere comunque il
controllo mentre
diceva: “Te ne sei andato. Ora, cosa dovrei sapere? Vuoi che
ti chieda se ti
sei accasato?”
“No, non sono sposato con
nessuna.”
La ragazza cercò di
ignorare il tuffo al cuore che quella
notizia le aveva involontariamente provocato. Dondolò
lentamente le gambe sotto
il vestito bianco e aggiunse, in tono sommesso: “Hai fatto
come credi. Come
d’abitudine, mi vien da dire.”
Anche lui continuava a guardare di
fronte a sé. Le stelle brillavano
lontane. “E tu? Mi sembra strano che non ti sia arrivata
nessuna proposta di
matrimonio.”
“Non ti ho aspettato, se
è quello che stai pensando.”
Il silenzio della sera
ripiombò fra di loro.
Ora, cosa
dirà?
Se ne
andrà… un’altra
volta?
“Pensavo di fermarmi qui
per un po’…in realtà, sto considerando
l’idea di rimanere nell’Hampshire qualche
mese.”
Callie finalmente si voltò
verso di lui, sbalordita. Non
poteva farle questo. Gli occhi neri di Alexander la scrutavano con la
coda
dell’occhio, mentre il viso delicato era ancora rivolto alle
stelle e al cielo.
Non sorrideva beffardo, anzi, pareva più serio che mai.
“Come?”
L’uomo voltò il
viso verso di lei e, per la prima volta, la
sua espressione sembrò ammorbidirsi un poco. “Non
è difficile…pensavo di
riaprire la casa della nonna e portare Gordon qui
per…”
“Ho capito, ma io
intendevo…perché?” lo interruppe lei,
angosciata.
Alexander non poteva certo pretendere
di sparire nel nulla e
tornare dopo un anno, trasferendosi fra l’altro a pochi
chilometri da casa sua!
Callie non sapeva se voleva o non
voleva rivederlo nella sua
vita. Non l’avrebbe mai ammesso direttamente ma, in
realtà, desiderava sentire
una minima spiegazione da parte dell’uomo, delle ragioni che
l’avevano portato
ad infrangere la promessa che le aveva fatto.
Io somiglio
a Laura.
Ma mi rifiuto di credere che lui non mia abbia mai amata.
Almeno un
poco…in
fondo…
“Avevo alcuni conti da
chiudere in Portogallo. Con il
passato. Avevo proprietà…di cui ho dovuto
sbarazzarmi, ricordi…ma lasciamo
perdere. Me ne sono andato perché sono, in
realtà, un grande codardo.”
Callie si alzò di scatto e
prese coraggio, portandosi di
fronte a lui. Alexander la guardava, serio e rassegnato, dritto in
viso. I
capelli neri sfuggivano dal codino e, ribelli, si intrecciavano sul suo
viso
leggermente abbronzato.
“Avevi promesso.”
“Lo so…ma ho
avuto paura, Callie. Di te, di noi, ma
soprattutto di me…mi sono convinto davvero di averti
sostituito e, allora, mi
sono sentito ancora più miserabile di adesso.”
Callie lo guardò
perplessa. Non sapeva dove volesse andare a
parare con quel discorso, o meglio, non era sicura di volerlo sapere.
Perché
anche lei aveva paura: se lui le avesse detto che, per tutto quel
tempo,
l’aveva sempre amata.
Proprio come aveva fatto lei.
“Non
lo sai, Callie?”
“Adesso?”
Alexander portò lentamente
una mano sulla sua guancia e
Callie non fece nulla per evitarlo. Voleva affrontarlo ma, ancora, il
sapore
della sconfitta cominciava a farsi sentire nella sua bocca.
Avvampò e a
malapena riusciva a guardare negli occhi quell’impossibile
personaggio.
Avrebbe dovuto andarsene
già da un pezzo, ma non riusciva a
non fidarsi delle parole di quell’uomo. Erano come veleno e
lei non era altro
che una stupida ragazzina, intestardita nel voler seguire il suo
istinto.
Probabilmente Alexander l’avrebbe ferita un’altra
volta, ma questo non bastava
ad allontanarla.
“Ora che tu sei davanti a
me e mi affronti con così tanto
coraggio. Ho undici anni in più di te, ma sei stata sempre
tu la vera
vincitrice, fra noi due.”
Sei stata
sempre tu la
vera vincitrice.
Alexander ritirò la mano
lentamente, con riluttanza.
Callie, senza sapere cosa
l’avesse spinta a farlo, l’afferrò
con dolcezza. La mano di lui era come l’aveva sempre
ricordata, calda e
rassicurante. La ragazza distolse lo sguardo dall’espressione
stupita che
andava dipingendosi sul volto di Alexander e chiese: “Hai
detto di avere avuto
alcuni conti da chiudere in Portogallo…”
Lui intrecciò le sue dita
con quelle di Callie. “Sì, non mi
sono mai sbarazzato della vecchia dimora e di tutti i ricordi che mi
legavano a
Laura. In fondo, non ero riuscito ad affrontare faccia a faccia il mio
passato.”
“E cosa ne hai
fatto?”
Alexander aveva un sorriso triste ma,
contemporaneamente, i
suoi occhi neri sembravano diversi. Come se finalmente qualcosa di
soffocante e
oscuro l’avesse abbandonato per sempre. Così
rispose: “Ho venduto la casa e ho bruciato
tutto il resto. Solo alcuni
dipinti, quelli li ho riconsegnati ai genitori di lei.”
Callie aveva alzato il volto su di
lui e osservava con
attenzione l’uomo a cui ora stringeva la mano. Se dentro di
lei il cuore pareva
avere già preso una decisione definitiva, le rimaneva solo
una domanda da fare.
Perché la testa ancora non voleva arrendersi.
“Sei rimasto via un anno.
Perché tornare ora?”
Alexander attirò la
ragazza a sé, con dolcezza. Callie non
fece resistenza, ma i suoi occhi nocciola esprimevano fermezza: voleva
sapere.
E lui, dal canto suo, non desiderava altro che spiegarle e tornare
vicino a
lei. Avere il suo perdono, a tutti i costi.
“I rapporti con mio padre
non sono più così…idilliaci. In
una certa misura, la mia partenza è dovuta anche a lui. Ma
la verità è che sono
stato un dannato codardo… ho fatto l’errore
più grande della mia vita,
abbandonandoti.”
Perché
più ti sto
lontano più non faccio che desiderarti, Callie.
Sei tu. Sei
sempre
stata tu.
E
nessun’ altra.
La ragazza si rese conto troppo tardi
di avere le labbra a pochi
centimetri da quelle di Alexander e che le mani dell’uomo
premevano con
tenerezza sulle sue guance, intrecciandosi ai suoi capelli castani.
Potevano
essere passati dodici mesi, ma le cicatrici sembrarono aprirsi di colpo
e
ricominciare a bruciare.
Il suo
istinto le
diceva di fidarsi. Un’ultima volta.
Alexander appoggiò la
fronte su quella della ragazza e
sospirò: “Mi odi, Callie?”
“No,
io non vi odio
affatto.”
“Un
po’…signor Alexander.” rispose lei,
sorridendo con
leggerezza.
E allora gli occhi bui di lui
sembrarono illuminarsi
nuovamente, mentre le restituiva indietro quel sorriso al contempo
ironico e
gentile.
Un rumore attirò
l’attenzione dei due che si staccarono e,
voltandosi verso il cortile di casa Clayton, videro Linda avanzare
verso di
loro con stampata in volto un’espressione pensosa. I suoi
occhi chiari andavano
da Callie ad Alexander, analizzando la situazione.
“Ero piuttosto preoccupata!
State bene, Callie?” chiese
infine, fermandosi a qualche metro da loro.
“Non vi preoccupate, amica
mia!” aveva risposto la ragazza,
per poi voltarsi verso Alexander e dire: “Mi hanno appena
invitata a danzare.”
Fine
Il giardino
segreto.
Una ragazzina gracile e dai capelli
scurissimi correva a
perdifiato in un lungo labirinto, costruito da vegetali verdi e folti.
I suoi
occhi nocciola si guardavano intorno freneticamente ad ogni curva, come
se
cercasse qualcosa.
Aveva passato una faticosa ora nella
sua estenuante ricerca,
lasciando indietro la madre e la sorellina più piccola,
probabilmente rimaste
presso il cortile di casa.
All’ultima curva,
finalmente, la piccola riuscì nel suo
intento: un uomo vestito di nero sedeva su una panchina di pietra
dandole le
spalle. La bambina riprese fiato e corse incontro alla figura,
saltandole al
collo.
Sfoderò un sorrisetto
soddisfatto, sentendo le spalle del padre
sussultare, sorprese di quel contatto. Proprio con la
silenziosità di un
leopardo, aveva afferrato la sua preda.
“Grace!”
“Ti ho fatto paura,
papà!”
L’uomo sorrise: aveva sui
quarantacinque anni e, come da
giovane, era ancora un gran bel gentiluomo. Grace, la figlia maggiore,
aveva
una vera e propria adorazione per lui.
“Sei la solita selvaggia
eh? Cosa dirà tua madre vedendo
questo bel vestitino tutto strappato e sporco?” chiese il
padre afferrando un
lembo della gonna di Grace,
tutta sporca di fango.
“La mamma ha detto che,
finché non mi faccio male, posso
giocare nel parco!” protestò la piccola puntando i
piedi. “Piuttosto, papà, non
cambiate discorso! Vi ho trovato! Sono cinque sterline!”
L’uomo guardò la
mano tesa della figlia undicenne e sospirò:
“Sei proprio come tua madre…”
“Spero sia un complimento
questo, Alexander.”
La voce squillante che aveva appena
pronunciato queste
parole, apparteneva ad una bella signora minuta e castana che avanzava
verso di
loro. Di fianco a lei, procedeva una bambina di nove anni che si
stringeva alla
mano della madre con forza.
Questa, al contrario di Grace, era
più timida e pallida; dai
capelli castano chiaro.
L’uomo, preso in causa,
sorrise beffardo alla moglie: “Tesoro,
lo sai che i miei sono sempre complimenti.”
La signora Norris sospirò:
“Come al solito le tue bugie su
di me non funzionano, mio signore!”
Alexander prese la mano di Callie e
disse, ridendo: “Ti amo
proprio per questo!”
La donna fece solo in tempo a
sorridere perché, prima di
poter formulare una risposta, un pianto isterico attirò la
loro attenzione. I
due genitori guardarono preoccupati nella direzione dei lamenti: Grace
era
caduta a terra e ora si teneva il ginocchio ferito, piangendo
disperatamente.
Callie fu subito su di lei:
“Madonna santa, Grace! Ne combini
di tutti i colori! Stai bene?”
“Mi fa male il ginocchio,
mamma! Morirò?”
“No che non muori, piccola.
Ora andiamo a casa e vedrai che
Gordon metterà un po’di disinfettante.”
“Ma il disinfettante
brucia!”
In mezzo a tutto quel caos, Alexander
aveva intanto preso in
braccio la figlia più piccola che, con gli occhioni
spalancati, guardava la
scena: “Papà, perché Grace combina
sempre tutti questi disastri?”
“Oh! Laura, ti
svelerò un segreto…” rispose Alexander,
mentre la bambina giocherellava con i suoi capelli neri. Diceva sempre
che le
sarebbe piaciuto farne tante treccine e, ovviamente, il padre non era
molto d’accordo.
“ ….anche tua
madre era una perfetta imbranata da giovane,
sai?”
“Quindi anche io e Grace
diventeremo imbranate?”
“È
probabile.”
La voce di Callie, severa, si
levò alta nel giardino
segreto: “Laura! Non dare ascolto a tuo padre, per favore! Lo
sai che gli piace
scherzare con voi due!”
Alexander fissò gli occhi
nocciola della moglie che ora lo
guardavano come se volesse rimproverarlo. Sorrise: “Tesoro,
Grace ci muore
davanti agli occhi se stai lì a guardarmi così un
altro po’!”
Ovviamente la piccola ferita
cominciò nuovamente a piangere
spaventata, e Callie lasciò andare un gemito di disperazione.
“Sei insopportabile,
Alexander!”
“E tu una adorabile
testarda!”
*Note: Orgoglio
e
Pregiudizio, cap. LIV
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