Fino all'ultimo momento

di Sweet Pink
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo. Introduzione al pregiudizio ***
Capitolo 2: *** Secondo. Disgusto. ***
Capitolo 3: *** Terzo. Vergogna e Solitudine. ***
Capitolo 4: *** Quarto. Indecifrabilità e colpa. ***
Capitolo 5: *** Quinto. La linea spezzata, il muro che crolla. ***
Capitolo 6: *** Sesto. Se si finge indifferenza... ***
Capitolo 7: *** Settimo. Verità. ***
Capitolo 8: *** Ottavo. Chiave di volta. ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono. Sentirne la mancanza. ***
Capitolo 10: *** decimo. Lo amava e, in fondo, l'aveva sempre saputo. ***
Capitolo 11: *** Undicesimo. Fino all'ultimo momento. ***
Capitolo 12: *** Dodicesimo. La morte di Jane. ***



Capitolo 1
*** Primo. Introduzione al pregiudizio ***


Sono stata a lungo indecisa se pubblicare o no questa storia. In fondo, era da parecchio tempo che non pubblicavo più e mi limitavo solo ad essere "lettrice". Però, visto che ormai questa storia è praticamente finita, ho deciso di pubblicare un'altra volta, come un tempo.  
Un' ultima cosa: gli asterischi rimandano a frasi del romanzo Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen, poiché quello non l'ho evidentemente scritto io!  Se vi va fatemi sapere qualcosa!

Un bacio!






Darcy, alla pari di Elisabeth, voleva loro veramente bene, e tutti e due conservarono sempre la più calda riconoscenza verso coloro che, per averla condotta nel Derbyshire, erano stati il tramite della loro unione.*

 

Callie Honeycombe alzò gli occhi sognanti dal libro, richiudendolo di scatto. Orgoglio e Pregiudizio, probabilmente il romanzo più bello che le fosse capitato di leggere nei suoi ventun anni di vita.

Rigirò il libro ormai consumato- l’aveva letto e riletto fino allo sfinimento- tra le dita: nessuna indicazione sull’autore, solo un enigmatico “ Scritto dalla stessa autrice di Ragione e sentimento”.

Appoggiò il libro sul tavolino accanto, di fianco al servizio da tea, e si sdraiò sul divano, come poco conveniva ad una signorina di buona famiglia come lei.

Ma poco importava: il padre era in città per affari e la sorellina minore di otto anni, Henrietta, giocava sotto l’occhio vigile della balia in giardino.

Si coprì gli occhi con il braccio: poteva vederli lì davanti a lei, Mr e Mrs Darcy a braccetto che attraversavano il cortile di casa sua felici e sorridenti. Sospirò sognante.

“ Quando mi lasciano sola con un buon libro so essere molto romantica se voglio…” si prese in giro la ragazza, ridendo di sé stessa.

Già, ma quando incontrerò il mio Mr. Darcy?

La signorina Honeycombe era un’amante della vita di società: i ricevimenti, gli spettacoli a teatro, i concerti ma, soprattutto, i balli. Occasioni dove si danzava, rideva e si conoscevano persone nuove.

“ Peccato che spesso ci si trovi circondati dall’ipocrisia più assoluta!” scattò a sedere, con il viso tirato in un’espressione un poco infastidita.             

“ Gentiluomini indegni di questo nome armati di monocolo e prontissimi a mettersi in mostra! E le signore…ah! Non parliamo di loro! Siamo proprio tremende noi donne!”

I suoi occhi seccati fissarono il paesaggio fuori dalla finestra: il sole si posava dolcemente su campi e alberi in fiore. La primavera era già arrivata.

Gli uomini…sono personaggi impossibili o insipidi e ottusi o ancora cacciatori di dote!

Come può anche sperare una donna al giorno d’oggi?!

Il suo ragionamento fu interrotto dall’arrivo non annunciato della sorellina minore che si palesò sbattendo malamente la porta.

“ Sorella! Ho delle notizie da darti!” rivelò appoggiando le mani sui fianchi con fare deciso e altezzoso. Dietro di lei fece la sua comparsa una affannata e sconcertata Nanny, la balia di Henrietta.

Callie, dal canto suo, era già in piedi; intenta a darsi un contegno da padrona di casa,  per nulla stupita dall’aspetto malandato di Henrietta.

“Perdonatemi, signorina Honeycombe….ma la piccola…”

“ Non ti preoccupare Nanny, questa ragazzina verrà sgridata a dovere anche perché ha disubbidito ad un ordine diretto del signor Honeycombe…” aspirò l’aria per poi sillabare, ad alta voce “…non salire sull’albero dei vicini!”

“Ma loro hanno la casetta sull’albero e noi no!” protestò la piccola.

Callie fu impassibile “ Non m’importa…Nanny puoi ritirarti, qui ci penso io.”

“Ma…”

La ragazza fece un cenno con la testa “è tutto a posto…”

La balia si inchinò “ Serva vostra “ e, gettando un ultima occhiata esasperata ad Henrietta, uscì.

Le due sorelle si guardarono: una ragazza castana in un bel abito da giorno azzurro e una bambina bionda tutta sporca e lacera. Il silenzio calò in modo grave fra loro.

Poi Callie scoppiò a ridere e si lasciò cadere sul divano “ Hennie ti adoro!” disse prendendo le mani della bambina che sorrideva, furbetta. Sapeva di potersela sempre cavare con Callie; perché anche lei, se avesse potuto, sarebbe volentieri salita sugli alberi con la sorellina minore.

“ Nanny mi ha fatto così tante storie!”

“Perché non sembri per niente la signorina modello che dovresti essere!” le rispose sorridente Callie “ Allora, piccola detective, che notizie devi darmi?”

Henrietta piegò la testa di lato sorridente “Hai presente quella signora un po’decrepita che ogni domenica in chiesa si siede in prima fila? Quella...”

“La vedova Norris? E non esprimerti così…”

“Sì, proprio lei” sbuffò Henrietta “Pare che non riesca più a vivere da sola nella sua grande casa e così suo figlio ha deciso di trasferirsi qui con moglie e figli piccoli per non lasciarla sola…ah, e anche l’altro suo figlio quello grande dovrebbe raggiungerli…finalmente avrò qualcuno di interessante con cui giocare!”

Sicuramente il signor Norris si vorrà assicurare di poter amministrare la tenuta, finché suo fratello è impegnato in mare. Vuole la casa tutta per sé e porta moglie e figli…veramente gentile verso sua madre!

Callie si riscosse dai suoi ragionamenti vedendo la sorella con la manina tesa; sorrise. “ Allora, dieci caramelle come da contratto, non una di più…e ora vai a cambiarti, rospo, che fra poco nostro padre sarà qui!”

Henrietta non si mosse “ C’è dell’altro…”

“Sì?” chiese Callie alzando leggermente un sopracciglio.

Henrietta è proprio una bambina furba…

“ Ma solo per altre due caramelle!”

Appunto

Callie alzò gli occhi al cielo, chiedendosi perché sua sorella fosse già così vispa e insolente a soli otto anni “Tieni, Hennie! Sarai veramente la mia rovina!”

“ Son solo affari…comunque la signora Norris darà un grande ballo di benvenuto a cui tu e papà sarete invitati!” e detto questo se ne uscì correndo.

Sai che novità, la vedova Norris sarà ansiosa di mettere in vetrina la sua splendida famiglia!

“Devo dire al piccolo Charles Martins di smettere di vantarsi di queste notizie con Henrietta altrimenti finirò le caramelle nel giro di due settimane!” si ricordò ad alta voce.

Raccolse il libro dal tavolino e ne accarezzò il dorso.

Elisabeth…chissà se comparirà Mr. Darcy a questo ballo?

Mise via il romanzo sorridendo tra sé.

“Sono proprio una sciocca!” pensò amaramente per poi voltarsi e uscire dalla stanza.

 

La visita della famiglia Norris venne nuovamente discussa durante una delle tante passeggiate di Callie con le altre signorine di buona famiglia del circondario.

La ragazza si stava godendo uno di quei momenti di serenità che quel paesaggio campestre poteva offrirgli che, pochi secondi dopo, la signorina Charlotte Hayer con un risolino annunciò, per l’ennesima volta: “Ma ovviamente hanno invitato anche noi domani sera! Catherine è assolutamente agitata! E ne ha ben donde visto che sarà il suo debutto in società! Infatti…”

Callie ringraziò Dio di esser dietro la ragazza per poter comodamente alzare gli occhi al cielo.

Ed ecco che un’altra oca si va aggiungere allo stagno…oh, ma che delizia davvero!

“ So esattamente cosa stai pensando, cara Callie…” fece una voce melodiosa e pacata.

La ragazza voltò il viso verso Linda Clayton, sua migliore amica di sempre: era una giovane donna di ventiquattro anni, alta e magrissima, il volto affilato e lo sguardo un po’austero sottolineavano il suo carattere nobile e un po’orgoglioso, mentre una cascata di riccioli biondi le incorniciavano il volto rendendola bellissima.

Callie si era sempre chiesta perché fosse ancora senza marito. Con un viso e un patrimonio come il suo Linda poteva permettersi chiunque; ma forse, come lei stessa, non aveva ancora trovato la persona di cui veramente potersi innamorare.

Ritornò con la mente al giorno in cui, parecchi anni prima, Linda era sparita mettendo in agitazione non solo lei, ma anche tutta la famiglia Clayton. Fortunatamente Callie l’aveva ritrovata poche ore dopo, seduta su una panchina, a piangere.

L’uomo che l’aveva circuita per mesi, facendo sperare alla famiglia in un matrimonio pressoché imminente, non solo era un libertino della peggior specie, ma era anche sposato.

Inutile dire che era fuggito all’estero a causa, come pensava Callie, di importanti debiti di gioco.

“…non vedi l’ora di poter assistere al debutto di Catherine Hayer, non è vero?”

Callie scosse la testa e si tolse il cappellino lasciando i capelli castano scuro, imprigionati nella solita acconciatura,esposti al sole “ Mi chiedo solamente, Linda carissima, in che posto dovrò accomodarmi per ammirarla meglio infatti…”

Charlotte Hayer che aveva udito e, ovviamente, non aveva compreso la battuta si voltò raggiante “Oh! Anche voi signorina Honeycombe siete ansiosa di assistere mia sorella al suo debutto?”

“Sarò estasiata” rispose atona Callie beccandosi una leggera gomitata da una divertita Linda.

“In molti lo saranno! D’altronde è pur sempre una Hayer!” continuava a blaterare Charlotte “Non è vero, Margareth?”

La cugina di Charlotte, la signorina Margareth Hayer, assentì solamente con la testa, loquace come sempre.

Probabilmente è assai cupa perché questo non è un pic-nic e non ci si può ingoz…oh, santo cielo Callie stai diventando così acida!

Dopo un’altra straziante mezz’ora passata ad ascoltare le fasi di preparazione dell’abito bianco di Catherine, finalmente le quattro giovani signorine si sedettero comodamente su una larga tovaglia, portata da Linda per l’occasione.

E appena furono sedute che Charlotte tirò fuori il pezzo forte della discussione di quel pomeriggio.

“Care amiche, non posso trattenermi oltre dal dirvi che, finalmente, i Norris sono arrivati ieri mattina! E con essi anche il figlio maggiore del signore e la signora Norris!” squittì tutto d’un fiato.

Anche se infastidita, Callie era pur sempre una ragazza di indole piuttosto curiosa quindi non si poté trattenere dal domandare “Avete avuto modo di vederli?”

So bene che non aspettavi che questa domanda, cara la mia Charlotte!

“Ma certo, signorina Honeycombe, ma certo!” rispose trionfante la ragazza “Che persone distinte! E i bambini!Assolutamente adorabili!”

“Sbaglio o abitano a Londra?” chiese Linda interessata.

Charlotte sgranò gli occhi, fingendosi stupita dall’ignoranza che la circondava. Evidentemente si stava godendo la posizione di superiorità in cui la ponevano quelle informazioni.

“Certo che no! Cara Linda, pensavo sapeste che attualmente la famiglia vive nel Derbyshire! Sapeste che paesaggi vi sono laggiù! La signora Norris me li ha descritti a pranzo ieri…vorrei proprio convincere papà a portarci me e Catherine un giorno!” aggiunse ridendo.

Callie scambiò uno sguardo divertito con Linda per poi aggiungere in tono leggermente ironico “ Sì, sì, tutto ciò è molto interessante…comunque sia, ragazze, non ha senso crucciarci con questi discorsi quando potremo scoprirlo con i nostri occhi domani sera!”

“Assolutamente giusto!” assentì Margareth Hayer, attirando su di sé tutta l’attenzione delle ragazze, compresa la cugina. D’altronde, era raro vederla spiaccicare più di due monosillabi a giornata.

Callie aveva sempre pensato che fosse o immensamente timida e impacciata, o immensamente stupida. E, avendo come esempio la cugina, propendeva per la seconda ipotesi.

Ma in fondo non era mai stata una ragazza ritrosa a cambiare i suoi giudizi sulle persone e, quando udì Margareth proporre a Linda di leggere un brano del libro che aveva portato con sé, era perfettamente sicura che la cugina di Charlotte fosse solo estremamente timida.

“ Ah, ma…è Ragione e sentimento?” balbettò Margareth tormentandosi le pieghe della gonna.

“Sì, avete letto anche voi il libro?” chiese stupita Linda, ignorando lo sguardo sbigottito di Callie, seduta di fianco a lei.

Margareth annuì “ Sì…effettivamente vedete…”

“Oh, Santo cielo cugina!” esplose Charlotte in una risatina “ Ero quasi certa che voi non sapeste leggere! Insomma non credo di avervi visto più di due volte con un libro in mano!” aggiunse, cominciando a farsi aria con il ventaglio.

Un silenzio stupito scese sul gruppetto. Callie rivolse i suoi occhi nocciola su Linda, scioccata; su Margareth, rossa in viso come un peperone e con le nocche delle dita, bianchissime, strette intorno al tessuto della veste; infine sulla stessa Charlotte che, sorridente, sventolava il ventaglio guardando le colline lontane.

Né timida né stupida, solo cresciuta all’ombra di una cugina così idiota da far ammutolire anche le pietre!

Non c’è da stupirsi che Margareth faccia solo fatica a dire “Sì” o “No”!

“Credo…” cominciò Callie “… che potrei prestarvi un libro della stessa autrice, penso che vi piacerebbe molto..”

La ragazza paffuta sollevò lo sguardo di scatto, guardando Callie come se la stesse prendendo in giro. Poi si sciolse in un sorriso pieno di gratitudine “ Mi… Mi farebbe molto piacere…vi ringrazio!”

Callie annuì, sentendosi piena di orgoglio per aver salvato la povera ragazza da quella situazione. Ma forse era anche felicità, perché con una semplice frase si era guadagnata il rispetto di una persona che un giorno avrebbe potuto chiamare amica.

Cosa che con Charlotte non le passava neanche per l’anticamera del cervello di fare.

“ Ora che avete finito di discutere di libri…” arrivò puntuale a rovinare il momento la voce dura di Charlotte “ …mi sono appena ricordata che è il figlio maggiore del signor Norris a vivere a Londra!”

Callie sbuffò: ecco che aveva riacquistato il suo buon umore. E la causa era chiara come il sole: il figlio del signor Norris. Immaginava che i perché fossero pochi, sicuramente sarebbe stato…

“…Un uomo assolutamente elegante, dai modi gentili, di bel aspetto e, cosa da non sottovalutare, ricco come Creso!” spiattellò Charlotte agitando le mani come per far intendere alle altre la portata di ciò che stava dicendo.

Infatti

 “ Secondo me state esagerando cara Charlotte!” sorrise incredula Linda, per poi rivolgere uno sguardo a Callie, intenta a cercare di nascondere le risate che rischiavano di esplodere in faccia alla signorina Hayer.

Callie sapeva bene che Charlotte era solita descrivere così ogni uomo che non fosse di ceto sociale inferiore al suo e che non fosse sposato, quindi assolutamente abbordabile. Aveva fatto dell’accasarsi prima della sua cerchia d’amiche una missione. Soprattutto prima di Linda, che ormai si avviava verso i venticinque anni.

Ma Callie dubitava che qualsiasi uomo, trovandosi di fronte una bellezza delicata come quella di Linda Clayton, avrebbe scelto una Charlotte Hayer qualsiasi.

Poveretto colui che l’avrebbe fatto!

La ragazza in questione sospirò “ Potete non credermi, ma vi assicuro che è un uomo veramente distinto! E che stile! Comunque sia, avrete l’occasione di incontrarlo domani sera…e allora mi darete ragione!”

Callie rise “ D’accordo, vi prendo in parola! Spero per voi di non dovervi smentire!”

Charlotte si sentì punta sul vivo “ Credetemi, cara Callie…” incominciò con impazienza per poi essere interrotta da una balbettante cugina Margareth.

“ Ma…leggiamo un brano di Ragione e sentimento o no? Insomma…lo dico perché fra poco dobbiamo rincasare...”

Aggiudicandosi così tutta la simpatia e ammirazione di Callie.

 

Era in torto.

Per la prima volta nella sua vita aveva torto su Charlotte Hayer.

Callie, amando i balli, aveva passato il pomeriggio ad attendere la sera, passando da uno stato di agitazione ad uno di totale apatia in cui fantasticava sui divertimenti della serata.

Ed era ballando attorniata da persone a lei famigliari che Callie riusciva a lasciarsi andare, sfoggiando spesso volentieri un sorriso luminoso.

“Un vero sorriso” come soleva definirlo Linda.

Il padre di Callie non finiva mai di stupirsi dell’impressionante cambiamento di stati d’animo della ragazza. “ Tesoro, credo che tu abbia assolutamente bisogno di vedere un medico. D’altronde, dopo tre season passate a Londra, ancora sei capace di agitarti per un semplice ballo di campagna..” asserì nascondendosi dietro al giornale, dopo l’ennesimo spostamento della ragazza.

“ Non fate l’indifferente! Siete o non siete voi che alla vostra età, passatemi l’imprudenza, ancora vi dilettate nella danza come un giovane appena uscito dalla nursery?” scherzò lei andandosi a sedere in un angolo della stanza e concentrando il suo sguardo sulla finestra. Oltre le nuvole e le colline all’orizzonte.

“Venite, Darcy,” gli aveva detto “voglio che balliate. Mi dà noia vedervi lì solo impalato. Fareste molto meglio a ballare.”*

Il signor Honeycombe schivò abilmente la frecciata di sua figlia e sospirò “ Sei proprio come tua madre..”

La ragazza si voltò di scatto, lasciando i capelli scuri invaderle parzialmente il viso leggermente scurito dal sole. Gli occhi nocciola si rifecero attenti sul padre.

Il signor Honeycombe non parlava mai della moglie e, se lo faceva, non la paragonava certo a Callie. Morta dando alla luce Henrietta, Grace Honeycombe era una donna bellissima e altrettanto fatale. Parlava poco, ma con poche parole, era capace di far infatuare tutti gli uomini intorno a lei.

E suo padre l’aveva amata teneramente.

“Perché dite questo?”

Lui piegò il giornale e guardò la ragazza sorridendo “ Perché come te si perdeva ore nelle sue fantasticherie…e io l’amavo anche per questo. Te l’ho detto, era una donna fatale...”

“ Una donna sognante non la definirei proprio con l’aggettivo fatale, padre!” inarcò le sopracciglia Callie. Non poteva trattenersi dall’essere scettica su quelle parole, soprattutto perché era stato lui stesso a definirla così diversa da sua madre.

E poi, perché parlarne proprio ora?

Il signor Honeycombe scosse stancamente la testa. “ E voleva avere sempre ragione!”

 

Ma ora sono assolutamente in torto…

Charlotte Hayer stavolta l’ha raccontata giusta...

E io sono in torto.

Questo aveva pensato scorgendo per la prima volta la sagoma alta del figlio maggiore dei Norris. La signorina Hayer non aveva gonfiato la verità, almeno sull’aspetto fisico.

Per il resto l’aveva solo scorto per un momento, perché poi era stata sommersa dai complimenti dell’anziana vedova Norris ed era stata prontamente presentata a tutta la famiglia.

“Signor Honeycombe, signorina! Posso avere l’onore di presentarvi mio figlio David Norris e sua moglie Teresa?”

I due coniugi si fecero avanti distribuendo ai nuovi vicini i sorrisi più smaglianti che riuscissero ad avere “ L’onore è nostro. Mia madre ha parlato veramente bene di voi…sapeste quanti complimenti vi ha prodigato signorina!” esclamò David Norris inchinandosi davanti a lei.

Callie ebbe modo di osservare che erano proprio una bella coppia: lui, a dispetto dei suoi cinquantacinque anni, era veramente distinto e di bel aspetto. Mentre la moglie, se non affascinante come lui, aveva dalla sua parte una figura davvero gradevole e una risata cristallina che portava quasi subito alla inconsapevole simpatia.

“Mi dispiace non potervi presentare mio figlio maggiore…” si scusò l’uomo voltando appena la testa verso l’interno della casa “ Ma sembra che sia stato rapito da qualcosa di urgente all’interno della sala…questi giovani, quando impareranno a rispettare l’etichetta?”

Callie sorrise “ Non importa, davvero…avrò modo di essere presentata durante la serata” e con un inchino sparì dentro il salone, alla ricerca di qualcuno di conosciuto.

 

Non trovò Linda, ma ebbe modo di comprendere cosa avesse rapito il figlio di David Norris. O perlomeno chi.

Attorno all’uomo si raggruppava un capannello di ragazze con il viso imporporato di rosso, tutte sospiranti e agitate, che facevano letteralmente a gara per presentarsi e rivolgere la parola a colui che sarebbe sicuramente diventato il punto di più alto interesse di tutta la serata.

E poteva capire il perché. Callie non poté non ammettere di essere stata totalmente sconfitta da Charlotte Hayer: Alexander James Norris, perché questo era il suo nome, era un uomo dalla pelle leggermente  scura, i lineamenti delicati resi ancora più belli a causa degli occhi neri, che brillavano di una non comune furbizia. La figura era alta, slanciata e i capelli, corvini, ricadevano sulla fronte in onde pericolosamente ribelli.

A Callie bastò osservare l’assoluta eleganza del suo abbigliamento composto dai soli nero e bianco;  e dai modi composti e assolutamente gentili con cui si rivolgeva a tutte le signore per capire chi aveva davanti. Il fiore all’occhiello della giacca e una spilla perlata sulla cravatta  fecero il resto.

Un dandy…

La ragazza distolse gli occhi nocciola da quella scena, costringendo la sua persona a portarsi in fondo alla sala, dove un piccolo corridoio portava ad un più ampio salone, adibito ad ospitare le danze.

Si accorse di avere le guance calde. Era arrossita, come quasi tutte le dame che ora erano impegnate a strisciare attorno a quell’uomo assurdamente intrigante.

Scosse la testa, ricacciando indietro l’imbarazzo.

Io non li sopporto!

Perché lei detestava quei personaggi ridicoli che a Londra sembravano ormai essere “di moda”…li trovava grotteschi nella loro continua ricerca della bellezza attraverso l’eleganza. Avevano fatto del loro essere la maschera dell’indifferenza e dietro i loro modi gentili era sicura che si nascondesse un artificioso divertimento.

Per non parlare delle loro abitudini sessuali!

Callie cercò di non arrossire al ricordo di ciò che aveva sentito sui loro confronti. Le storie che giravano su personaggi come il signor Alexander Norris erano note a Londra e dintorni. Tutti sapevano e tutti elevavano queste figure a idoli della Buona società!

È semplicemente ridicolo!

Colui che ferì profondamente Linda era dello stesso stampo!

E anche…

No

Callie chiuse gli occhi, respirando profondamente.

“ Immagino che voi abbiate già avuto modo di vedere il figlio maggiore dei Norris”

La ragazza alzò lo sguardo ed ebbe il tempo di ricomporsi dietro al solito sorriso gaio prima che Linda fosse a pochi passi da lei.

“ L’ho intravisto, in effetti. Ma non sono stata presentata presso di lui e, che voi ci crediate o no, non penso di voler che ciò accada!” rise Callie prendendo le mani della migliore amica “Finalmente vi trovo Linda carissima!”

La bionda sospirò “ Non c’è alcun bisogno di fingere con me. So benissimo quanto vi infastidiscano personaggi come il signor Norris, il figlio, intendo…”

La castana rinforzò appena la presa sulle mani dell’amica, per poi lasciarle andare “Ma lo stesso vale per voi, o sbaglio?” fece sorridendo “Certo, ammetto che non mi sarei mai aspettata di vedere nell’Hampshire, e soprattutto nella nostra modesta vita campestre, un dandy di tale stampo pronto ad allietare le nostre dame della sua presenza!”

Linda scosse la testa, ridendo “ Ora esagerate! Come sempre! Ma d’altronde se io stessa posso ammettere che questo discorso valga anche per me, voi potete ammettere che il vostro sia anche pregiudizio?”

Pregiudizio?

Sì, lo era e lo sapeva.

E riusciva anche ad ammettere a sé stessa di essere profondamente antipatica su questo argomento…

Ma ripensandoci, ogni volta, le sembrava di stare male persino fisicamente.

Un’altra volta.

Callie prese sottobraccio l’amica.

“ Avete vinto voi, al solito! Ma ora non pensiamo a queste sciocchezze!” si arrese “ pensiamo piuttosto a fare onore all’orchestra! Perché non ballare tutta la notte?”

“E voi siete pazza, nessuna novità! Ma vi prenderò in parola!”

E, ridendo, si fecero strada nel salone.

 

La serata esaudì i suoi desideri: ballò praticamente per tutto il tempo a disposizione, parlò con tutte le persone con cui riteneva conveniente parlare e non venne mai presentata ad Alexander James Norris.

Quest’ultimo, poi, sembrava abbastanza occupato a compiacere la cerchia di ragazze ormai perdutamente innamorate e ad intrattenere una vivace conversazione con tutti i giovanotti del paese presenti, intrigati dal suo abbigliamento elegante e dai suoi modi studiati.

E anche se avesse notato la ragazza castana che volteggiava radiosa per la sala, Callie era sicura di aver sentito il suo sguardo addosso almeno una volta, non chiese di lei e non diede nemmeno segno d’averla veduta.

“Meglio così” si trovò a pensare Callie verso la fine della serata “ Ciò non fa che confermare la mia opinione su di lui…pregiudizio o no!”

Evidentemente avrà già abbastanza signorine intorno per questa sera!

Non ebbe tempo di approfondire questo ragionamento che sentì una presenza farsi timidamente vicina alla colonna dove si era momentaneamente appoggiata lei.

Margareth Hayer le si mise al fianco, aprendo il ventaglio e cominciando a farsi aria con esso. Era “impacchettata” in un abito azzurro che non faceva per nulla onore alla sua figura, facendola sembrare ancora più goffa.

“ Caldo, nevvero?”

Margareth annuì “ Non mi aspettavo…che i Norris avessero invitato così tanta gente. Anche se, come potete vedere voi stessa, sembra che il punto di massimo grado si tocchi proprio davanti a noi…” e fece cenno al bel gruppetto radunato attorno al giovane signor Norris.

Callie rise “ Già! E, scusate l’impertinenza, ma credo che vostra cugina Catherine sia già perdutamente innamorata!”

Le due si fermarono un momento a guardare la sedicenne che, rossa in viso, veniva condotta al centro del salone dal signor Norris. Quando la danza iniziò, Margareth si voltò verso la ragazza al suo fianco.

“ Non…non che non me lo aspettassi sinceramente…ero quasi sicura che sarebbe caduta ai piedi di un bel giovane la stessa sera del suo debutto. Non per niente lei e Charlotte sono sorelle!” ammise tutto d’un fiato.

Callie guardò stupita Margareth Hayer: quella che inizialmente aveva giudicato ingiustamente come una delle più grosse sciocche che avesse mai conosciuto si stava rivelando come una persona dotata di buon senso e spirito d’osservazione.

E Callie era prontissima ad ammettere una certa simpatia nei suoi confronti.

Rivolse di nuovo il suo sguardo alla sala e ciò che vide non poté non farla scoppiare in una risata gustosa.

“ Si…signorina Callie?” chiese scioccata Margareth.

La ragazza castana allungò una mano guantata sul fondo della sala; indicandole con discrezione sua cugina Charlotte Hayer che, schiumante di rabbia, fulminava la sorella ancora impegnata a danzare con il giovane Norris.

Le due si guardarono per poi scoppiare in una risata silenziosa.

“ Ragazze!” le richiamò all’attenzione una Linda affaticata, evidentemente appena uscita da un complicato giro di danza “ La serata sta per giungere al termine e voi siete qui ferme! Un ultimo ballo?”

Callie guardò Margareth, che sembrava più che intenta a non voler danzare per tutto l’oro del mondo, e la prese per mano trascinandosela dietro “ Ma certo! Tutti i balli devono concludersi con una danza!”

 

Aveva un estremo bisogno di dormire.

Il ballo si era concluso almeno quattro ore prima ma lui, ovviamente, si era trovato qualcos’altro da fare. Come d’abitudine ormai.

Sorrise leggermente, portando una mano guantata a scompigliarsi i capelli corvini.

Qui in campagna sembro già essere molto famoso…

Vi è buona probabilità di trarne qualche divertimento.

Non fece in tempo ad aprire la porta della camera da letto che la voce fredda di David Norris lo inchiodò lì dov’era.

“ Abbiamo fatto particolarmente tardi, Alexander?”

Il moro si voltò verso la figura composta del padre: era a pochi metri da lui, già in un completo da giorno, e lo osservava con occhi carichi di biasimo.

Troppo biasimo a parere del figlio.

“ Padre…” iniziò lui “ …non sono appena uscito dalla nursery e non sono nemmeno più così giovane per cui voi possiate sgridarmi così facilmente. Ho già trentun anni e sono qui ospite, come voi, sempre che ve lo siate dimenticato…”

David Norris lo ascoltò in silenzio e rimase a guardarlo ancora per qualche secondo prima di dire, con una lentezza estenuante “ Voglio solo ricordarti chi sei e dove ti trovi. Qui non siamo a Londra, dove puoi atteggiarti come ti è più comodo. Gestisci i miei affari con una bravura fuori dal comune e quindi non trovo niente da dire sugli…atteggiamenti che adotti in città. Ma qui siamo in campagna e ospiti di tua nonna, mia stimata madre… non vorrei mai dover prendere provvedimenti nei tuoi confronti. Mi hai compreso Alexander?”

Visto che l’uomo in questione sembrava non voler rispondere in alcun modo, egli si voltò e cominciò a scendere le scale quando la voce carica d’ironia del figlio gli giunse alle orecchie “ Non credo che voi possiate darmi alcun consiglio sul comportamento da adottare…e voi sapete a cosa mi riferisco. Vi auguro una buona giornata, padre.”

E il rumore secco della porta che si chiudeva pose fine ad ogni possibile discussione. David Norris sospirò sistemandosi i baffi arcuati. Quel ragazzo sembrava esser nato per dare a lui e a sua madre dei problemi: il suo nome e quello dei suoi amici, quasi tutti dello stesso stampo, erano noti a Londra e dintorni. Per non parlare delle voci che giungevano alle orecchie di un vecchio padre.

Non erano propriamente positive.

Ma Alexander era uno dei fiori all’occhiello della Buona società e lui, come padre, doveva soprassedere e farsi da parte.

Non a caso quel ragazzo assomiglia a me da giovane!



Appunti:

* Orgoglio e pregiudizio, cap. LXI
* Orgoglio e pregiudizio, cap. III

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Capitolo 2
*** Secondo. Disgusto. ***


Capitolo piuttosto lungo, ma non mi andava proprio per niente di spezzarlo in due parti...credo che renda meglio così! E qui avviene il primo e diretto scontro fra Callie ed Alexander: rileggendo la storia mi rendo conto di quanto siano entrambi un poco strambi! 
Comunque ringrazio tutti coloro che mi hanno dato fiducia aggiungendo la storia fra le seguite, da ricordare ecc. Spero che con questo capitolo continuiate ad apprezzarla!  Un bacio!



Callie fissò in silenzio il piatto di pane tostato che la domestica aveva appena servito in tavola. Non accennò a prendersene una fetta neanche per un momento, però continuò a fissarlo.

Al suo fianco, Henrietta e il padre si scambiarono uno sguardo perplesso. Poi l’uomo, alzando gli occhi al cielo, si rintanò dietro al giornale lasciando alla figlia più piccola il compito di svelare il mistero mattutino.

“ Sorella, ti senti male?” chiese esitante Henrietta.

Codesti modi hanno posto in me un fondamento di disapprovazione sulla quale gli avvenimenti successivi hanno costruito una avversione irremovibile; non era ancora ben un mese che la conoscevo e già sentivo…

“Sorella?!”

…che lei era l’ultimo uomo su questa terra che avrei potuto sposare.*

“ Callie! Riprendi un contegno!”

La ragazza alzò di scatto lo sguardo alle parole esasperate di suo padre. Allarmato dal fatto che la ragazza non rispondeva alle domande della sorella, si era preso la briga di alzare gli occhi dal giornale e riprenderla.

“ Scusate, padre..” rispose piano la figlia abbassando gli occhi “ Ero un momento…”

“ Fra le nuvole, invero?” finì la frase l’uomo per lei trincerandosi dietro il giornale “ Voi donne, quando arriverà qualcuno in grado di comprendervi, voglio che venga da me. Magari scoprirei cosa si cela dietro le testoline delle mie figliuole!”

Callie rise, servendosi una fetta di pane tostato e cominciando a spalmarci sopra un poco di burro e marmellata. Ora che l’avevano riportata al presente, si accorse di avere veramente fame.

D’altronde aveva danzato tutta la notte!

“Perché nessuno mi vuole raccontare del ballo?” sbuffò rumorosamente Henrietta, agitando le gambe esili sulla sedia.

“ Dovresti imparare ad esprimerti con più contegno, Henrietta!” la fulminò Callie “ quante volte te lo dovrò spiegare?!”

Henrietta saltò giù dalla sedia, affrontando la sorella a viso duro: il fatto che la sgridasse quando c’era suo padre e poi, in segreto, approvasse quasi tutti i suoi atteggiamenti la faceva davvero infuriare!

Non riusciva a comprendere tutte quelle frasi formali, gli inchini, il fatto di non poter dire le cose come si pensavano…e il fatto che sua sorella le desse ragione ma, alla fine, fosse come loro!

“Ma né Papà, né Nanny e nemmeno tu volete dirmi nulla!” cominciò a pestare i piedi “ Non è giusto!”

Callie non riuscì a mantenere la calma di fronte all’arroganza della sorella “Modera i termini, Henrietta! Il fatto che tu abbia solamente otto anni non è una giustificazione per tutti questi tuoi piagnistei!”

Gli occhi verdi della bambina si riempirono di lacrime prima che questa, trattenendo i singhiozzi, uscisse correndo dalla stanza.

“L’hai fatta piangere…”

La ragazza si voltò verso il padre, ancora trincerato dietro al giornale “ Capisco che sia cresciuta, al contrario di me, senza conoscere sua madre…” incominciò a bassa voce “ Ma penso che voi dovreste essere più duro con lei, padre mio. Henrietta è completamente fuori controllo!”

Non era la prima volta che cercava di andare su questa conversazione con lui. Ma l’uomo, al solito, cambiò argomento.

“Allora cosa ne pensi dei nostri nuovi vicini, Callie?”

La ragazza si rabbuiò un poco “ Il signor e la signora Norris sembrano due persone a modo.”

“E il figlio maggiore? So che ieri sera sembra aver riscosso parecchio successo…” chiese con un sorrisetto divertito.

“Lo trovo assai sopravvalutato. In sincerità quei modi gentili e studiati non mi convincono affatto!” rispose la castana in tono indifferente.

Il padre si rintanò nuovamente dietro il giornale.

“Penso che, forse, avrai modo di ricrederti domani. La famiglia sarà nostra ospite a pranzo.” buttò lì, come se stesse parlando del tempo.

Callie si soffocò nel the. Tossendo, si ripulì con un fazzolettino ricamato.

Perfetto, la giornata è iniziata nel migliore dei modi!

 

Siccome ricevere la famiglia Norris al completo con una bambina di otto anni in una piena crisi di nervi non era una delle più rosee aspettative né di Callie né del padre, la ragazza decise di andare a parlare con la sorellina minore. In fondo, le voleva un mondo di bene e si sentiva un po’in colpa per la scenata di quella mattina.

Inizialmente non fu del tutto facile: Henrietta si rifiutava di ascoltarla, piangeva, batteva i piedi per terra e Callie dovette ricorrere a tutta la sua pazienza per calmare la sorella.

Poi questa si arrese e le due cominciarono a parlare abbastanza tranquillamente. E, alla fine, le due si abbracciarono, come vere sorelle: avevano fatto la pace.

Mentre scendevano le scale, in previsione di una passeggiata prima di pranzo, Henrietta sospirò “Ci sono ancora tante cose che non capisco…”

Callie prese il parasole e le poggiò una mano sulla spalla “ Credimi, lo so che adesso tutto questo potrà sembrarti assurdo, ma quando sarai più grande comincerai a capire da sola il significato delle cose. Questo non vuol dire che su alcuni discorsi io non sia parzialmente d’accordo con te ma, credimi, quando sarai più grande capirai.”

Henrietta sembrò soddisfatta da quella risposta e, con un sorrisetto, chiese “ Ciò vuol dire che adesso posso fare ciò che voglio?”

“Ovviamente no, mia cara!”

La bambina sbuffò: almeno ci aveva provato.

Le due si godettero una lunga camminata e, un po’ammirando le bellezze che la primavera offriva, un po’ giocando a rincorrersi fra i campi immersi nel sole del primo pomeriggio, si accorsero di essere in ritardo per il pranzo. Sapendo quanto il padre tenesse ad avere la sua piccola famiglia sempre riunita durante i pasti, le due dovettero correre di gran carriera attraverso la campagna per poi arrivare sulla soglia di casa sudate, con i capelli fuori posto e gli abiti in disordine.

Fu così che Callie quasi si scontrò contro la figura bionda dell’amica Linda che, venuta in visita con i genitori, guardava lei e Henrietta stupita.

Poi scoppiò a ridere “ Santo cielo, Callie! Per un momento ho temuto che foste state aggredite!”

La ragazza castana arrossì vergognandosi un poco del suo stato, poi si voltò verso i genitori di Linda, inchinandosi leggermente “ Buongiorno. Come state?”

Le solite frasi di rito…

Dopo aver scambiato quattro chiacchiere con la famiglia ed essersi assicurata – con vero sollievo- la loro presenza al pranzo dell’indomani, Callie e sua sorella salirono al piano di sopra per rinfrescarsi e cambiarsi d’abito.

Mentre Giuditte, una giovane serva che da tempo lavorava presso casa Honeycombe, l’aiutava a cambiarsi, Callie vagava con lo sguardo fuori dalla finestra. I campi in fiore erano spazzati da una brezza leggera e poteva vedere tre piccole figure passeggiare per la campagna in lontananza.

Sentì di stare arrossendo: domani la famiglia Norris avrebbe varcato la soglia di casa sua. Lui avrebbe varcato la soglia di casa sua.

Non aveva più scuse per evitare una presentazione.

Non sapeva perché ma si sentiva quasi impaurita: non voleva in alcun modo incontrare gli occhi neri di quell’uomo. Se avesse potuto presentarsi rivolgendogli le spalle…ma ahimè di certo l’avrebbero presa per pazza!

Perché mi sento così agitata?

“Signorina, scusate se vi importuno…vorrei sapere se davvero domani i Norris saranno ospiti presso di voi a pranzo…”

La voce incerta di Giuditte ebbe l’effetto di spezzare le sue fantasticherie ma affondò comunque il coltello nella piaga. Callie si voltò perplessa: ovviamente i servi non avrebbero dovuto rivolgere quel tipo di domande ai propri padroni ma Giuditte era in confidenza con lei ormai da molto tempo e Callie non si sentiva in alcun modo oltraggiata.

Fu così che le rispose, rivolgendole un sorriso stiracchiato “ Sì, mio padre pensa che sarebbe gradevole ricambiare l’invito al ballo di ieri sera. Posso sapere perché vuoi saperlo?”

Giuditte arrossì furiosamente e fissò lo sguardo sul pavimento, non osando guardare la giovane padrona “Non vorrei mai importunarvi signorina…era…era solo una mia egoistica curiosità…ecco tutto…”

Callie aveva l’orribile presentimento che la curiosità della sua serva avesse molto a che fare con un certo personaggio ormai di sua conoscenza.

“Capisco…”

Comincio a pensare che il pranzo di domani non sarà davvero piacevole!

 

Si guardò intorno: anche quel giorno il sole baciava i campi in fiore che coloravano allegramente l’ambiente, spargendo un gradevolissimo profumo nell’ambiente circostante.

Un’altra bellissima giornata…

Niente oggi può andarmi per il verso sbagliato…

Si tolse il cappello a cilindro lasciando che i capelli corvini gli ricadessero sulla fronte; nascondendo gli occhi neri, illuminati dalla solita luce divertita, che intanto osservavano la dignitosa villa stagliarsi in lontananza.

La proprietà degli Honeycombe

Un altro invito da parte di un’altra famiglia sconosciuta che non vedeva di certo l’ora di includere i Norris nella loro cerchia d’amici. Come spesso non vedevano l’ora di includere lui nella loro ristretta cerchia di amici.

Non essendo uno stupido vedeva benissimo l’ammirazione che suscitava nelle famiglie di quel luogo. Notava lo sguardo invidioso di parecchi di quei ragazzetti e i sospiri languidi delle signorine di buona famiglia e non che lo guardavano come se venisse da un mondo lontano.

Ed era pronto a scommettere che neanche uno di loro avesse mai partecipato ad una vera season a Londra.

Se vedessero come le cose in città erano diverse! Ogni loro patetico discorso sarebbe immediatamente caduto nel vuoto.

Sono così ingenui!

Sorrise “ Qui in campagna ho trovato quasi più divertimenti che in città e ho ovviamente intenzione di sfruttarli più che posso…d’altronde chi si metterà mai in testa di darmi contro?”

Niente oggi può andarmi il verso sbagliato…

“Alexander…”

La voce fredda del padre lo richiamò alla realtà.

Il signor Norris si era avvicinato al figlio maggiore, lasciando la moglie più avanti in compagnia dell’anziana madre, e ora lo guardava senza dire nulla. Ma con il solito biasimo negli occhi.

Alexander lo degnò di un’occhiata fugace prima di voltarsi a guardare nuovamente di fronte a sé, il sorriso ormai scomparso dalle sue belle labbra “ Immagino che vogliate farmi ancora il solito discorso padre…evidentemente non nutrite la minima fiducia in me.”

“ Sei e sarai sempre mio figlio, ma sta a me decidere come e quando concederti la mia fiducia…di nuovo.” e qui fece una pausa per osservare il volto del giovane uomo di fianco a lui: Alexander continuava a restare trincerato dietro ad una stoica facciata indifferente, ma poté scommettere di aver notato un lampo d’amarezza dietro i suoi profondi occhi neri.

Lo so…lo so che non hai dimenticato, figlio mio…

Ma nemmeno io posso assolverti dalla colpa per ciò che hai commesso…

Sospirò “ Comunque sia…volevo solo ricordarti che qui non puoi fare di testa tua…cerca di mettertelo in testa...”

Alexander accelerò il passo, con il chiaro intento di lasciare indietro il padre. Si voltò verso di lui: di fronte a sé aveva un uomo ormai vecchio e stanco. Un vecchio che aveva passato metà della sua vita a biasimarlo. A disapprovare suo figlio.

“E io continuo a ricordarvi la mia età…non potete più aver alcuna influenza su di me, padre, come facevate un tempo…” gli disse, ben conscio di quanto fossero irrispettose le sue parole.

Poi riprese a camminare, poiché in quel momento tutto ciò che voleva era mettere la maggior distanza fra sé e il padre; l’uomo che sempre gli ricordava il suo passato.

Era quella la ragione che l’aveva indotto a partire per Londra e a prendervi casa in maniera stabile. Londra era la meta di svago perfetta per lui. La Buona Società l’aveva accolto a braccia aperte e lui non si era tirato indietro.

Perché ormai era completamente un’altra persona…e lo riusciva a trovare divertente…

Niente oggi può andarmi  per il verso sbagliato.

Sorrise; ma questa volta il volto era più una maschera di tristezza che divertimento.

…d’altronde chi si metterà mai in testa di darmi contro?

Solo la voce della madre, gentile ma ferma al tempo stesso, lo convinse a tornare indietro e a offrire il braccio all’anziana nonna con il sorriso galante di sempre stampato in volto.

 

Il tutto era stato pianificato nei minimi dettagli: la tavola era già pronta e il servizio buono di piatti era stato rispolverato per l’occasione, i servi avevano lucidato casa da cima a fondo, Henrietta era stata lavata e strigliata a sufficienza e ora aspettava l’arrivo degli ospiti sbirciando fuori dalla finestra ogni pochi secondi, Nanny intanto le ricordava che avrebbe salutato i Norris e gli altri ospiti e poi si sarebbe ritirata, come una brava signorina, lasciando gli adulti soli per pranzo; anche in cucina era tutto sotto controllo.

Callie, dal canto suo, aspettava seduta sul divanetto del salotto l’arrivo della famiglia Norris e intanto cercava di dissimulare la sua agitazione leggendo un libro, con la massima indifferenza possibile. Gli occhi nocciola fissati insistentemente sulla stessa frase da dieci minuti a quella parte.

 “Mi sento così sciocca!” pensò amareggiata “ Non può essere che per un semplice pranzo io debba andare fuori di me!”

Sembra che il cuore voglia uscirmi dal petto…

…sono proprio  una perfetta idiota!

E il grido di Henrietta che le trapanava i timpani non fu di certo d’aiuto “Eccoli! Sono arrivati!”

Callie dovette costringersi ad alzarsi in piedi, a sfoderare il solito sorriso gaio e sereno e di essere pronta per ricevere i nuovi vicini. Proprio come una brava signorina.

E poco importava se Alexander James Norris gli stava ormai così in antipatia. Doveva essere una brava, composta, sorridente padrona di casa.

Così quando sentì suo padre salutare affettuosamente David Norris e consorte, Henrietta assicurarsi i complimenti della anziana madre di quest’ultimo, si fece avanti come la creatura più felice di tutta l’Inghilterra.

“Siete veramente i benvenuti! Sono davvero felice che vi siate potuti unire a noi per pranzo!” fece inchinandosi leggermente. Si sentì orgogliosa del suo comitato di benvenuto “Brava Callie! Ora continua così ancora per qualche ora!” pensò decisa.

Ma, proprio nell’alzare lo sguardo, si ritrovò riflessa negli occhi neri di Alexander James Norris che la squadravano con un’attenta aria divertita.

Distolse lo sguardo, cercando di non arrossire.

Forse, dopotutto, era destino che questa giornata andasse per il verso sbagliato!

 

Ancora una volta era stata fortunata: una volta arrivati anche i Clayton e gli Hayer, scoprì di essere seduta tra l’affascinante moglie di David Norris e Margareth, mentre di fronte a lei sedeva Linda. E, cosa degna di nota, Alexander James Norris era seduto dall’altro capo della tavola.

Ringraziando il cielo, l’attesa dell’arrivo delle altre due famiglie era stata più breve del previsto e ora Callie era pronta ad ammettere di starsi veramente godendo il pranzo, con una simile compagnia seduta attorno a lei: Margareth si era fatta meno timida e, prendendo coraggio, riusciva a intavolare dei discorsi a cui partecipavano con piacere quasi tutti i commensali ( fatta eccezione per Charlotte, che non sembrava gradire questo cambio repentino di carattere della cugina); Linda era più bella e ciarliera che mai; mentre la moglie del Signor Norris aveva dei modi così affabili che era impossibile non trovarla simpatica.

Durante il pranzo Callie ebbe modo di sbirciare ogni tanto verso il giovane uomo seduto così lontano da lei: persino il suo modo di mangiare sembrava studiato ed elegante.

“Ma non gli riesce di far nulla in modo naturale?” pensò con ironia mentre lo osservava parlare con Charlotte, più gaia che mai all’idea di essere seduta di fianco a lui, e Catherine.

Il suo volto era una maschera di perfetta indifferenza e galanteria, mentre il sorriso compiacente non accennava ad abbandonarlo neanche per un secondo. Sembrava un perfetto gentiluomo. Nemmeno Callie poteva non vedere l’alone di fascino che quell’uomo si portava naturalmente dietro.

Non riusciva proprio a negarlo…

Poi però, quando Charlotte si fu voltata per scambiare due parole con Catherine, notò negli occhi neri del giovane Norris uno scintillio di disprezzo. Fu talmente passeggero, che credette di esserselo immaginato.

Infatti eccolo di nuovo ascoltare sorridente Charlotte che gli domandò, ad alta voce “ Parola mia! Signor Norris, non è normale per un inglese come voi avere la pelle così abbronzata! Sono tutti così tremendamente pallidi qui!”

Con grandissima sorpresa di Callie, la donna al suo fianco scoppiò a ridere “ Scusatemi signorina Hayer, non avevo intenzione di prendermi gioco di voi…ma vedete è la prima volta che qualcuno fa notare questo evidente particolare ad Alexander…” aggiunse poi, giustificandosi di fronte alle sopracciglia aggrottate di una Charlotte un po’offesa.

L’uomo in questione sbuffò, appoggiando il capo sulla mano destra in una posa un po’inelegante ma a cui nessuno fece caso “ Forse, madre, intendete sottolineare che poche persone sono a conoscenza del fatto che non sono perfettamente e totalmente inglese?”

Tutta la tavolata si voltò sorpresa verso di lui, Callie compresa.

“Oh! Adesso sì che sono veramente stupita!” fece la madre, trovando inaspettato che il figlio lo ammettesse così schiettamente davanti a degli estranei. Poi pensò che era talmente tanto cambiato da risultare imprevedibile anche ai suoi occhi di madre.

La voce cinguettante di Charlotte Hayer si levò alta e arrogante sui commensali “ E di grazia, cosa vorreste dire con questo? Siete crudele a tenerci sulle spine, signore!”

Alexander la guardò divertito per poi rispondere “ In realtà sono inglese solamente da parte di padre…” e qui fece un cenno verso un David Norris che sembrava intenzionato a non seguire i discorsi del figlio e, anzi, parlava tranquillamente con il padre di Callie “…mentre mia madre è di origine portoghese...”

Un ‘Oh!’ stupito percorse tutta la tavolata.

Callie era pronta a scommettere che l’uomo se la godeva un mondo, con tutta l’attenzione degli ospiti su di sé. E aveva anche la sua. Un po’invidiò suo padre e David Norris che se la parlavano pacatamente.

“ Qui in Inghilterra, da sposata, sono la signora Norris; mentre in Portogallo, da nubile, ero solo Teresa Gomez de Brito!” informò loro la madre di Alexander, con aria gaia.

Il padre di Linda, un uomo anziano dallo sguardo vivace, si sporse verso di lei “ Credetemi guardando voi e vostro figlio non l’avrei mai immaginato. Devo ammettere di aver subito pensato ad una leggera abbronzatura dovuta al sole!”

 

L’argomento venne nuovamente tirato fuori al termine del pranzo, quando Callie, Linda e le ragazze più giovani cominciarono a servire il Caffé agli ospiti, beatamente seduti in salotto. Il chiacchiericcio leggero si spargeva nell’aria e la primogenita degli Honeycombe si sentiva finalmente tranquilla “Evidentemente il fatto di essere stati presentati e di esser stati per tanto tempo nella stessa stanza è servito a mettermi a mio agio.” pensò serena, mentre riceveva da Linda una tazzina di Caffé caldo “ Finalmente posso godermi queste ore in letizia! Non mi importa proprio nulla di Alexander Norris!”

E così, con un dolce sorriso stampato in volto, si portò proprio davanti all’uomo in questione impegnato in una fitta discussione con i genitori di Charlotte e Catherine Hayer.

Notò che si era dovuto stringere sul divano per riuscire a farci accomodare anche le altre due figure pesanti e rise fra sé.

“Ecco il vostro Caffé, signore.” fece, porgendogli la tazzina fumante.

Lui alzò gli occhi neri su di lei e Callie seppe di essere passata attentamente in esame da quel damerino che poi le prese la tazza dalle mani delicatamente. Sentì per un momento il suo tocco delicato sfiorarle le dita.

“Grazie…”

Lei scosse la testa. “ Figuratevi, per così poco!” e stava per andarsene quando la sua voce divertita la inchiodò lì dov’era.

“Non mi aspettavo davvero che mi avreste servito voi, non dopo aver notato che a malapena mi rivolgete la parola….per non parlare del fatto che sembrate evitarmi sin dal primo momento in cui mi avete visto…vi faccio paura per caso, signorina?”

Callie si voltò inorridita verso di lui, il volto che andava arrossandosi ogni istante di più: l’uomo la fissava con un sorrisetto che sembrava non promettere niente di buono, i bei occhi neri che non la lasciavano per nemmeno un secondo. Si appoggiò stancamente al divano, come se si aspettasse una risposta. Era pronto a scommettere che quella ragazzina castana si sarebbe indignata e l’avrebbe apostrofato di certo in malo modo, mettendosi in ridicolo di fronte a tutti gli altri.

D’altronde era così rossa che sembrava stesse per scoppiare da un momento all’altro.

La trovava divertente: il modo in cui i suoi occhi nocciola lo guardassero confusi, in cui si era bloccata incerta sul da farsi. E gli piaceva il fatto che Callie Honeycombe si sforzasse di fare la signorina indifferente, specchio di galanteria e modi vivaci e allegri.

Bisogna essere esperti per giocare a questo gioco…e tu non lo sei affatto, ragazza mia.

Ma non accadde nulla di ciò che aveva previsto.

Di certo non si aspettava di vedere la signorina Callie ridere in maniera leziosa e asserire, in tono gaio “Ma andiamo, signor Norris! Capisco che abbiate sempre voglia di scherzare, ma farmi paura? Penso che stiate esagerando!”

Lei si accorse con soddisfazione di averlo lasciato letteralmente di stucco. “Ben ti sta, imbecille!” pensò allontanandosi con il cuore in tumulto. Come la faceva infuriare! Avrebbe davvero voluto coprirlo di maledizioni lì di fronte a tutti!

Lisciandosi nervosamente il vestito si avvicinò a Linda ancora intenta a versare il Caffé nelle tazzine rimaste. Si sentiva scoppiare dall’imbarazzo: aveva davvero l’intenzione di metterla in ridicolo! Ma perché poi?

“Siete pronta ad ammettere che il vostro sia anche pregiudizio?”

Forse, alla fine, pure quell’uomo se ne era accorto e aveva voluto in qualche modo punirla per averlo giudicato fin dall’inizio?

Ma no…dev’essere per un altro motivo…

Di sicuro molto più superficiale.

Pensò, trattenendo un brivido, a quando le loro mani si erano sfiorate. Era stato solo un momento, però…

Perché mi sento così?

 

Infine si decise per una passeggiata fra i campi, prima che il sole tramontasse facendo sprofondare la campagna nel buio. Tutti furono più che entusiasti dell’idea e la piccola Henrietta si unì a loro, seguita da un’apprensiva Nanny che segretamente pregava tutti i santi del paradiso affinché la bambina non si comportasse male.

Il solo a rimanere indietro fu Alexander James Norris che, scompigliandosi i capelli neri, tirò fuori qualche scusa a proposito di una lettera ed ebbe il permesso dal padre di Callie di terminarla lì a casa loro, a patto che poi li raggiungesse assolutamente.

Callie non era altrettanto tranquilla a lasciare quel damerino a casa sua, ma sarebbe sembrato strano se ora avesse contraddetto il padre. E quell’uomo lo sapeva benissimo: le rivolse un fugace sguardo carico di ironia, come se la sfidasse a dire qualcosa.

La ragazza si costrinse a voltarsi e avviarsi su per il sentiero con Linda e Margareth, mentre i signori Hayer costringevano due disperate Charlotte e Catherine a camminare. Le due non potevano sopportare di dividersi dal loro beniamino.

Ma alla fine tutti furono in marcia e la casa era ormai scomparsa in lontananza. Callie mantenne la calma per quasi mezz’ora prima di lasciarsi trascinare da tutti i suoi numerosi dubbi: non era affatto tranquilla. Aveva un brutto presentimento, perché non riusciva a fidarsi per nulla di quel giovane ed elegante uomo che sin dall’inizio si era attirato la sua antipatia.

Guardò il padre: lui invece sembrava tranquillo come non mai. Non lo preoccupava affatto che uno sconosciuto girasse per casa loro totalmente indisturbato. Si consolò pensando che almeno vi erano i servi a tenerlo d’occhio.

Ma ho comunque un bruttissimo presentimento…

Una strana coincidenza si presentò poco dopo. Il padre di Callie le fece notare di aver dimenticato il parasole e, con quella luce, era meglio che corresse subito a casa a prenderlo. D’altronde non erano ancora così distanti da non poter tornare indietro.

Tornare significava anche incontrare Alexander Norris, ma accettò perché così avrebbe potuto tranquillamente controllare la situazione. Con una smorfia si immaginò quello che le avrebbe detto:

Siete addirittura tornata indietro a controllare che non facessi danni…sono abbastanza ricco da non aver  bisogno di rubare in casa altrui, sapete?

Lasciò quindi la comitiva, assicurando a tutti che sarebbe tornata presto, e ignorando le assurde proteste di Charlotte che voleva assolutamente andare al suo posto.

Fu sull’uscio di casa in meno di dieci minuti tanto aveva fretta di arrivare. Mentre apriva la porta si diede della stupida, per il suo cuore che batteva forte, malgrado i suoi tentativi di calmarsi  “Tanto non me ne importa nulla no?”

In casa regnava il silenzio più assoluto e il salotto era deserto. Sulla scrivania una lettera era stata lasciata incompiuta, dopo solo poche righe. Callie sbarrò gli occhi: ora era veramente turbata.

C’era qualcosa che sicuramente non andava…

L’uscio socchiuso, che dava sul corridoio che portava direttamente alle camere della servitù, attirò la sua attenzione. Si avvicinò cercando di fare meno rumore possibile: sentiva delle voci, come sussurri, farsi sempre più vicine.

E, sbirciando attraverso la porta, vide qualcosa a cui non avrebbe mai dovuto assistere:

Giuditte era seduta su un cassettone in legno, la divisa in disordine calata fin sotto al seno, e si stringeva ad una figura alta e solida che affondava i suoi capelli neri e ribelli nell’incavo del suo collo.

La giacca dell’uomo e il panciotto giacevano sul pavimento, mentre la camicia bianca scendeva dalle spalle di lui rivelando una schiena solida e scura, attraversata dalle mani pallide e avide di Giuditte.

Giuditte, la sua serva. La sua cameriera personale, con cui era tanto in confidenza…

Vide Alexander James Norris prenderle il viso fra le mani e baciarla con foga, vide che la toccava, vide che si approfittava di quella ragazza con il solito sorriso di trionfo, con gli occhi neri resi ancora più belli dall’eccitazione.

Non ebbe il tempo di odiarlo, di pensare nemmeno a cosa fare poiché il suo cuore fu letteralmente ghiacciato dagli occhi neri dell’uomo puntati su di lei.

L’aveva vista…

Si guardarono per un lungo momento: Callie non riusciva a distogliere gli occhi da quello sguardo tagliente che sembrava intenzionato a ferirla, ad ucciderla.

Mi sta disprezzando…

“Perché ti sei fermato?” chiese Giuditte ansimante, ma lui non le rispose. Continuava a fissare la figura seminascosta nell’oscurità e che ora, tornata alla realtà, correva velocemente lontano dalla scena.

Callie non seppe neanche come riuscì a mantenere tanta presenza di spirito da ricordare di prendere il parasole prima di uscire. Aprì la porta di casa e corse per tutto il giardino senza voltarsi indietro, il cuore che sembrava volerle scoppiare letteralmente fuori dal petto e una sgradevolissima sensazione di nausea in fondo allo stomaco.

Non riusciva nemmeno a pensare, a darsi una sola spiegazione per quello che aveva visto. Per quanto quell’uomo suscitasse la sua antipatia non avrebbe mai immaginato che potesse arrivare a compiere un atto del genere. A casa sua. Con la sua cameriera personale.

Ma avrei dovuto aspettarmelo da uno come lui…

Rallentò la sua folle corsa, sentendo l’esigenza di fermarsi almeno un attimo per raccogliere i pensieri. Che avrebbe dovuto fare ora? Sarebbe stato meglio raggiungere la comitiva e avvisare suo padre e il signor Norris di quanto successo? Oppure sarebbe stato meglio tacere?

O, ancora, avrebbe dovuto interrompere i due, appena vista la scena?

Si prese il viso caldo fra le mani, lasciando che qualche ciocca di capelli scuri le cadessero attorno al volto: non riusciva a dimenticare lo sguardo tagliente con cui lui l’aveva trafitta. Come se l’avesse colta con le mani nella marmellata.

Cosa penserà ora di me?

Anche se confusa, Callie sapeva che era meglio raggiungere la comitiva, poiché se fosse mancata per troppo tempo di certo si sarebbero preoccupati e avrebbero mandato qualcuno a cercarla. E di certo non desiderava che qualcun altro assistesse alla scena che poco prima le si era parata davanti.

Immaginò che avessero mandato davvero Charlotte al suo posto.

Sarebbe stato uno scandalo.

I suoi pensieri furono bruscamente interrotti da una presa quasi ferrea che si stringeva attorno al suo esile braccio. Si voltò spaventata e sgranò gli occhi nel vedere Alexander James Norris di fronte a lei.

 Si era infilato in fretta e furia la giacca  e la camicia bianca era ancora sbottonata fino a metà, rivelando la pelle leggermente scura sotto il tessuto. I capelli si movevano come una tempesta nera su quel viso che la fissava con ironia. Gli occhi ora così diversi da quelli freddi e taglienti di poco prima.

E Callie ebbe ancora più paura. Cercò di divincolarsi, inutilmente.

“Prima mi evitate e ora prendete a spiarmi?” chiese lui in tono neutro “ Che avete in mente, signorina?”

La ragazza non riuscì a non rabbrividire sotto il tocco dell’uomo. Si diede, come ormai d’abitudine, della stupida; poiché nemmeno in preda alla rabbia, all’indignazione e al disgusto di fronte al comportamento di lui riusciva a smorzare i sentimenti che le suscitava.

Arrossì e disse, distogliendo lo sguardo “ Lasciatemi andare, per piacere…”

L’uomo non accennò a mollare la presa che, anzi, si strinse ancora di più attorno al suo braccio. Quando parlò il suo volto esprimeva ancora l’ironia di prima, come se fossero due amici che stessero discorrendo del tempo anziché due perfetti sconosciuti in una situazione piuttosto sconveniente.

“Non lo direte ad anima viva, d’accordo?”

“Lasciatemi andare, signor Norris!” continuò lei imperterrita, senza guardarlo in faccia. Come poteva chiederglielo? Era come se pretendesse di farsi complice di un qualcosa di…di…

…sbagliato…

Questa volta la presa le strappo un lamento, che la riportò a guardarlo negli occhi. Si stupì di vedervi uno sguardo sofferente, quasi disperato. Ma, ancora una volta, fu solo un momento, poiché si ritrovò di fronte allo sguardo indifferente e costruito di sempre.

“D’accordo?”

Chi siete realmente?

“D’accordo! D’accordo!” quasi urlò Callie “ Però, ve ne prego, lasciatemi il braccio…mi state facendo male!”

Lui mollò bruscamente la presa e la ragazza si allontanò istintivamente di qualche passo. Gli occhi nocciola puntati sull’uomo in piedi di fronte a lei. Osservò la figura elegante e slanciata, la tonalità scura della sua pelle, il viso delicato e i capelli corvini che si agitavano intorno al viso in onde ribelli. Gli occhi neri che la guardavano vittoriosi.

L’aveva ridotta al silenzio. Non poteva dire nulla. Ma, anche se avesse parlato, chi le avrebbe creduto?

Era la parola di una ragazzina di ventun anni contro quella di un uomo di trentuno, abbastanza ricco e stimato in città da fare ombra a tutte le doti di lei. E anche alla stessa verità.

Avrebbe voluto ucciderlo…

Chiuse gli occhi e respirò profondamente, scacciando quel pensiero pieno di odio.

“Ora ci siamo capiti, signorina Honeycombe…” fece lui come se le avesse letto nel pensiero “Mi auguro che fra di noi non vi siano più incidenti di questo genere…”

Callie aprì il parasole sopra la testa “ Non parlerò solo per evitare un terribile dolore a mio padre. La vostra condotta è ignobile, lasciate che ve lo dica…e i modi falsi con cui vi proponete su di me non hanno alcun effetto…”

Lui restò perfettamente indifferente alle parole della ragazza “ Non pretendete di dire bugie se non siete in grado di mascherarle…poiché, vedete, state arrossendo a vista d’occhio, ragazza mia…”

Callie lo guardò confusa per un momento, arrossendo come un peperone.

“Voi mi disgustate!” fece per poi voltargli le spalle e correre via.

Alexander si voltò verso la casa con un sorrisetto compiaciuto stampato in volto, si scompigliò i capelli e guardò il cielo ormai tinto di rosso. Fra poco sarebbe calato il buio.

Niente oggi può andarmi per il verso sbagliato…

Quella ragazzina l’aveva davvero divertito un mondo!

Note:
* Orgoglio e Pregiudizio, cap. XXII

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Capitolo 3
*** Terzo. Vergogna e Solitudine. ***


Chiedo scusa per il ritardo ma il lavoro e lo studio si fanno sentire! Ecco qui il terzo capitolo! Voglio ringraziare ancora chi segue questa storia, spero davvero che possa continuare a piacervi!

Sono però indecisa se spostarla da Romantico a Storico. Voi che ne dite?

Una recensione, anche piccola piccola, mi farebbe molto piacere!!

Un bacio!

 

 

 

 

 

 

Callie se ne stava seduta di fianco alla finestra. Fuori il pomeriggio cupo tingeva di grigio i campi e le case, che avevano perso tutti i loro colori brillanti di pochi giorni prima.

Sospirò: era trascorsa una settimana da allora. Una settimana in cui non aveva visto praticamente nessuno dei suoi vicini, una settimana passata da reclusa volontaria.

In quei giorni aveva declinato quasi tutti gli inviti delle famiglie del circondario e, ovviamente, anche quelli indirizzati dai Norris. Aveva accusato un giramento di testa, un malessere diffuso che da una settimana a quella parte non la lasciava in pace.

Suo padre e Henrietta non avevano minimamente pensato che potesse essere una bugia. Si erano premurati di starle vicino pronti a qualsiasi evenienza, ma poi l’avevano lasciata in pace. Anche se la sorellina minore le ronzava sempre intorno, quando doveva sfuggire a Nanny dopo aver combinato qualche guaio.

Linda e Margareth  si erano recate spesso a trovarla e, con gran gioia di Callie, non avevano portato con sé né Charlotte né Catherine. La sua migliore amica non le chiese nulla a proposito di quella improvvisa malattia a cui, sicuramente, non credeva. Era strano che Callie rifiutasse pranzi, pic-nic, balli e altri generi di diletto sociale.

“Sarai tu stessa a dirmelo, se vorrai…” le aveva detto durante l’ultima visita, prima di andare via.

La ragazza si prese le ginocchia con le braccia e vi appoggiò la fronte, lasciando che i lunghi capelli castani le coprissero il volto. Si vergognava immensamente.

Guardava suo padre girare serenamente per casa e si vergognava. Osservava Henrietta scherzare con i servi proprio in quel corridoio stretto, appoggiata al cassettone di legno. A quel cassettone di legno. E si vergognava.

“Non lo direte ad anima viva, d’accordo?”

Premette forte la fronte contro le ginocchia.

Si vergognava…

Sapeva bene che le cose a Londra andavano molto diversamente che in quella tranquilla campagna. E ne era stata testimone durante le suoi tre soggiorni in città. Ma allora ci aveva riso su, ne aveva scherzato insieme a Linda tanto il tutto le era sembrato un carnevale grottesco.

Aveva flirtato con molti giovani, ma si era sempre tenuta a distanza da tutti gli intrighi, tutte le menzogne e aveva cercato di non farsi troppo notare dalla Buona Società cittadina.

Pronta a tornare alla sua realtà di campagna, fatta di sguardi semplici e sinceri, di conversazioni quasi mai leziose e di divertimento sereno.

Ma ora che la città sembrava esserle piombata addosso sotto le fattezze dell’avvenente Alexander James Norris si sentiva confusa.

Era uno sconosciuto e già l’aveva costretta a mentire a suo padre.

Aveva un’ideale di vita che lei detestava, poiché le ricordava troppo il suo passato e quanto aveva già sofferto. Quanto Linda, la sua migliore amica, aveva sofferto.

Aveva dei pregiudizi, ma quell’uomo era riuscito solo a dimostrarle che erano fondati.  Ed era un estraneo che riusciva a suscitarle i sentimenti più contrastanti.

Strinse ancora di più le braccia attorno alle ginocchia.

Antipatia, indignazione, rabbia, stupore, curiosità, disprezzo…

…attrazione.

Si sentì arrossire. Chiuse gli occhi cercando di calmarsi e respirò a fondo “Santo cielo, quanto sono confusa!” pensò sorridendo amaramente.

E tutto questo a causa di un estraneo.

“No, a causa di un idiota!” pensò con uno scattò di rabbia, voltandosi verso la finestra.

I suoi occhi nocciola si persero nel panorama di fronte a lei: in più, con Giuditte era tutto mutato. Non aveva il coraggio di guardarla in faccia, anche se intendeva che la sua serva era piuttosto confusa. Evidentemente non si era accorta del fatto che la sua padrona era a conoscenza di ciò che era accaduto. E la faccia sorridente, le guance tinte di rosa, lo sguardo felice con cui Giuditte si era presentata la stessa sera del fattaccio, per aiutarla a cambiarsi, non avevano fatto altro che irritarla ancora di più.

Sbuffò: le costava davvero molto non partecipare a tutte le uscite a cui era stata invitata. La tediava stare in casa mentre gli altri erano a divertirsi in compagnia.

Ma non voleva vederlo…

E quando i Norris si erano recati a casa sua il giorno prima, per una visita, era riuscita a non farsi trovare; poiché era uscita prima per una passeggiata in mezzo ai campi, trascinando con sé Henrietta, che protestava perché voleva restare a casa.

Una volta tornata, scoprì che la sua strategia era stata completamente vana visto che Alexander Norris non era presente alla visita. Teresa si era giustificata, con aria dispiaciuta, spiegando che il figlio era impegnato da ore ad una lunga serie di partite a Faraone*, dove teneva banco.

Callie aveva sospirato di sollievo nel scoprire di non aver corso nessun rischio. Per un momento aveva pensato che anche lui avesse intenzione di evitarla, ma non avrebbe avuto nessun senso, poiché era completamente indifferente alla pena che le aveva causato.

D’altronde avrei dovuto immaginare che una partita di carte sarebbe stata sicuramente più…divertente per lui.

Sentì la voce del padre che la chiamava dal piano di sotto. Voleva salutarla prima di recarsi al ballo degli Hayer e assicurarsi che badasse alla sorellina più piccola.

Callie guardò nuovamente fuori dalla finestra: si stava facendo buio.

“Devo esser rimasta in stato comatoso per almeno due ore!” pensò, avviandosi giù per le scale.

E il tutto per un estraneo.

Abbracciò il padre e lo guardò dall’uscio di casa salire sulla carrozza che l’avrebbe portato dagli Hayer: ci sarebbe stata la musica, si sarebbe ballato per molte ore, ci sarebbero state Linda e le altre, ci sarebbe stato da ridere e scherzare. Ci sarebbe stato lui.

Si strinse le spalle e entrò in casa.

Mi sto comportando proprio come una stupida!

 

 La serata era in pieno svolgimento. Era appena l’una e mezza e la casa degli Hayer non poteva esser più gremita di gente. La cena era stata squisita e piacevole, tutti i giovani le avevano fatto i complimenti per il vestito blu cobalto con cui si era presentata, ma soprattutto lui aveva mostrato di apprezzarla molto di più di quanto avesse mai fatto in precedenza.

E ora che si lasciava guidare dalle sue braccia forti in una danza lenta sotto gli occhi di tutti si sentì completamente felice.

Il trionfo di Charlotte Hayer non poteva essere più completo.

Continuò a danzare appoggiandosi completamente al sostegno del suo compagno che ora la guardava con un sorriso accondiscendente in volto “Siete stanca?” chiese.

“Perché mai me lo domandate?”

“Vedo che vi state appoggiando a me…” rispose per poi aggiungere, vedendo l’imbarazzo evidente tingere di rosso le guance di Charlotte “ …ma non fraintendetemi, mi fa onore che una ragazza graziosa come voi si fidi di me.”

“Oh! Come siete premuroso, voi! Questo vi fa onore!” rise gaiamente, guardando gli occhi neri dell’uomo senza riconoscervi, però, lo sguardo ironico che ora le rivolgeva.

Finita la danza, i due si inchinarono.

“Avete sete? Se me lo permettete, sarò felice di andarvi a prendere da bere…”

Charlotte aprì il ventaglio e distolse lo sguardo dalla figura bruna di Alexander James Norris che ora la guardava, più attraente che mai.

“Muoio di sete! Vi aspetterò laggiù!” fece, indicando un divanetto in fondo al salone “ E non perdetevi per strada!” aggiunse in tono perentorio.

Lui si voltò annuendo e raggiunse a passo svelto un servo in livrea che gli porse un vassoio pieno di bicchieri di cristallo riempiti di liquido scuro. Ne prese due e, invece che ritornare verso Charlotte Hayer, cominciò a guardarsi intorno con insistenza. Attraversò con gli occhi neri la stanza, pensieroso, e poi sospirò, abbassando la testa corvina.

Quella sciocca ragazza mi sta evitando…

“Il guaio è che tutto questo comincia a tediarmi…avrei quasi voglia di tornare a Londra…” pensò fissando distrattamente due giovani signore che ridevano fra loro, imbarazzate. Si erano accorte che lui le stava osservando.

“Voi mi disgustate!”

Sorrise amaramente, un lampo di tristezza attraversò fulmineo i suoi occhi. Quella ragazza non l’avrebbe mai perdonato. L’odiava, l’aveva letto nei suoi occhi nocciola che lo guardavano arrabbiati e confusi.

Avrebbe dovuto ridere, ma…a volte, anche lui provava disgusto per sé stesso…

E sempre, continuamente non riusciva a perdonarsi…

“Cercate qualcuno, signore?” chiese una voce dolce alla sua destra, che spezzò i suoi pensieri per riportarlo alla realtà. Al ballo di quella sera. Si ripromise di non ritornare più al passato, almeno per quella serata.

La giovane e bellissima Linda Clayton lo guardava con un sorriso gentile, ma che non prometteva niente di buono. Aveva già sospettato che quella ragazza fosse furba più di quanto non desse intendere e, ora, sentiva di aver ragione.

Si trincerò dietro alla solita facciata indifferente e galante “Nessuno in particolare, signorina. Dovrei portare questo…” e alzò il bicchiere scuro “ …alla signorina Charlotte, ma potrebbe farmi l’onore della prossima danza? Non ricordo di aver mai ballato insieme a voi.”

La bionda non fece fatica a sostenere quel sorriso avvenente e quello sguardo penetrante “ Dovete scusarmi, ma ho già un cavaliere! Vi consiglierei, piuttosto, di non far aspettare troppo la vostra dama…” e,con un inchino, se ne andò.

Alexander rimase fermo a guardarla andare via: allora anche lei non lo vedeva di buon occhio, eh?

Però la sua calma e indifferenza lo divertivano molto meno dello sguardo confuso e irato di una certa signorina castana. Una signorina che sembrava decisa più che mai a non rivederlo mai più.

Ahimé, cara mia, credo che non sarà proprio possibile!

 

“Lo pensate veramente?”

La voce dolce ma stranamente acuta di Linda, che la guardava incredula e anche un po’offesa, fece  sorridere Callie. La ragazza castana lisciò l’abito rosa, fingendo indifferenza.

“Ne sono più che certa, Linda carissima. D’altronde mio padre in gioventù percorse da Londra a Newmarket in tre ore e trentanove minuti….sfido che il vostro abbia potuto fare di meglio!” e qui si voltò verso il signor Clayton “Non voglio essere impudente signore, il vostro record è comunque ammirevole!”

L’uomo rise, sventolando una mano in aria con leggerezza “Vi perdono, cara Callie, ma solo perché sono stato io a tirare fuori l’argomento!” e detto questo porse un piattino riempito d’uva al padre della ragazza, che aveva assistito alla scena chiuso in un divertito silenzio “Voi che ne pensate, amico mio?”

“Bah! Percorrere da Londra a Newmarket in calesse nel minor tempo possibile era una moda ricorrente quando ero giovane io e credo che anche ora questa spericolata nuova generazione ci stia trovando gusto. Devo dire però che il mio record ha resistito a malapena due settimane…”

Il signor Clayton si sporse verso di lui con aria sognante, con la mente rivolta ai bei momenti del passato “ Sono state due settimane di gloria per voi, invero!”

“Sì, però guidai completamente ubriaco…ed è noto che quando si è ubriachi il calesse sia più facile da portare…” rispose il signor Honeycombe con noncuranza.

“Padre!” sbottò stupita Callie, mentre Linda nascondeva un sorriso divertito dietro alla mano guantata. La ragazza scosse la testa castana, sospirando “ E che ne è stato alla fine del vostro record, padre?”

Lui indicò con la testa un punto alla loro destra “ è stato distrutto da quel gentiluomo laggiù.”

Tutti e quattro si voltarono a guardare David Norris e consorte camminare nella loro direzione accompagnati dai due figli più piccoli, rispettivamente di otto e dieci anni; da Henrietta e dall’onnipresente Nanny.

Callie si prese il tempo di osservarli: lui sembrava un perfetto galantuomo nella sua mise da giorno morbida e chiara, i baffi grigiastri che nascondevano un sorriso sereno, ma autoritario. Si muoveva con grazia e velocità, per la sua età, e la sua figura sembrava slanciata e forte come quella di un adolescente.

Teresa Norris era veramente avvenente e la pelle scura risaltava ancora di più sotto l’abito azzurro acqua che aveva indosso. I capelli neri erano imprigionati in un acconciatura elegante e complicata, mentre gli occhi verde chiaro si guardavano attorno con aria attenta e vivace. La sua figura, un po’più ingrossata di quella del marito, risultava comunque notevole.

Non c’era da stupirsi che Alexander James Norris fosse loro figlio.

E l’uomo in questione, quel giorno, non era presente al pic-nic organizzato dai Clayton. Callie aveva sentito dire che era stato chiamato a Londra per qualche giorno, a causa di alcune questioni riguardanti i suoi affari.

La ragazza addentò una pesca. Aveva preso la decisione di uscire di casa dopo il ballo degli Hayer, rendendosi conto di essersi comportata, in quella settimana, in maniera ridicola.

Ed era stata inaspettatamente fortunata, perché lui era tornato a Londra.

Cosa che la rasserenava, mentre aveva gettato Catherine e Charlotte in una profonda disperazione.

Quelle due sono proprio delle oche eh!

Prese a tormentarsi una ciocca di capelli castani con le dita. E, senza capirne il motivo, si chiese cosa stesse facendo lui in quel momento.

Molteplici e scandalose scene le passarono per la mente. Arrossendo, si costrinse a riportare l’attenzione su Linda e gli altri, che stavano sgridando Henrietta e i due piccoli Norris per il troppo rumore che facevano giocando.

 “A proposito, prima che mi passi di mente!” squittì Teresa ad alta voce “Io e il signor Norris organizzeremo un grande ballo a casa per la prossima settimana. Sapete bene che presto dovremo tornare nel Derbyshire…”

Lasciò che le proteste si spensero prima di continuare “…mi fa onore che voi vi siate così affezionati in questo periodo, ma purtroppo è necessario per noi tornare a casa. La madre di mio marito verrà a stare da noi per qualche tempo. E, quando vorrete, potrete sempre venirci a trovare...”

I vicini si guardarono dispiaciuti, ma ben sollevati dal sapere di aver consolidato una nuova amicizia e di potersi recare in visita ai nuovi amici quando avrebbero voluto.

“Ringrazio il cielo che né Charlotte né Catherine siano qui!” sussurrò Callie a Linda “Altrimenti vi immaginate la tragedia? ‘Oh no, signor Alexander porteci con voi a Londra ve ne prego!!’” concluse imitando una Charlotte in lacrime.

Linda, ridendosela sotto i baffi, le diede una leggera gomitata “Ancora con questi pregiudizi, amica mia?”

“Mi ha ampiamente dimostrato che sono fondati, fidatevi…”

“Non lo direte ad anima viva, d’accordo?”

L’amica guardò attentamente negli occhi castani di Callie, puntati ostinatamente verso terra. Si conoscevano ormai da molti anni e vederla turbata, proprio lei così scherzosa e sognatrice, così allegra e vivace non la faceva stare bene. Era quasi sicura che centrasse Alexander James Norris.

Come era quasi sicura che pochi giorni prima, al ballo degli Hayer, l’uomo stesse cercando proprio Callie fra la folla.

Ma perché?

Non pensava nemmeno per un attimo che lui potesse essere infatuato di lei, perciò qualcosa doveva essere accaduto. Qualcosa che turbava profondamente la sua migliore amica.

Le appoggiò delicatamente una mano sulla spalla e la sentì sussultare, come se fosse immersa in chissà quali pensieri “Comunque sia, manca solo un ballo e poi non dovrete più vederlo qui.”

Callie le sorrise brevemente: era vero. Doveva solo sopportarlo per la durata di una sera e poi se ne sarebbe finalmente tornato a Londra.

Mi basterà fare finta di non vederlo…

 

La donna si scostò i capelli rossi dal viso, per poter guardare meglio la figura seduta mollemente contro la testata del letto, di fianco a lei.

Non le era sembrato mai così in disordine come in quel momento: la camicia bianca era aperta sul suo petto scuro, tutta spiegazzata, e il colletto bianco si nascondeva dietro a quelle onde ribelli nere come la pece, che gli accarezzavano il collo. Gli occhi scuri erano assenti, persi ad osservare il muro bianco che aveva di fronte mentre, di tanto in tanto, si portava un sigaro alla bocca aspirando fumo distrattamente.

Due bottiglie di vino, vuote, giacevano ai piedi del letto insieme ai vestiti di lei e a quelli di lui, buttati a caso, nella fretta.

“Sei ubriaco.”

“Lo so.”

Lei sbuffò e portò gli occhi sui pantaloni scuri di lui. Avrebbe voluto toglierglieli. Avrebbe voluto esser presa da lui come il giorno prima. E quello prima ancora. E l’anno prima.

Ma allora, cos’era cambiato quella sera?

Non aveva mai visto gli occhi neri di lui così freddi e lontani. E ora se ne stava immobile a fumare, senza rivolgerle la parola o volgersi verso di lei e toccarla, baciarla, prenderla con la solita foga e il solito trasporto.

“Perché sei venuto da me stasera?” gli chiese, la voce incrinata dalla delusione.

Lui ci mise un po’a rispondere “ Non avevo nulla di meglio da fare, immagino….”  e qui la guardò. La donna sentì tutto il ghiaccio di quello sguardo che sembrava volerla trafiggere da parte a parte. 

Scrollò i capelli rossicci, come per farsi passare la sensazione di terrore che lui, in un momento, le aveva trasmesso “Non è che stai ancora pensando a quel fatto?”

Lo vide sbarrare gli occhi e, con soddisfazione, notò un attimo di smarrimento sul suo volto. Gattonò vicino al suo corpo immobile e cominciò a passargli le mani fra quelle onde nere e ribelli portandosi con il viso a pochi centimetri dal suo. Ora il suo sguardo sembrava sofferente, ma era ancora perso, lontano. Non la guardava negli occhi.

“Da quando è morta non riesci di darti pace non è così?” fece stringendoselo forte al petto. L’uomo si lasciò cadere pesantemente su di lei come un corpo vuoto e freddo “Ma ci sono qua io per te, amor mio…”

Posò le sue labbra tinte di rosso su quelle dell’uomo che si lasciò baciare, senza in alcun modo partecipare poiché in quel momento si sentiva così sopraffatto dal passato che faceva quasi fatica a respirare.

Ed è tutta colpa mia…

“Voi mi disgustate!”

Con un gesto secco allontanò la donna da lui, sentendola squittire dalla sorpresa e dal disappunto. Non vi fece minimamente caso, perché tanto di lei non gli importava granché: Ma da quanto tempo aveva smesso di interessarsi a qualcuno che non fosse solo ed esclusivamente se stesso?

Dal giorno della sua morte…

Si alzò in piedi, rivolgendole le spalle e spegnendo il sigaro nel posacenere. Doveva andarsene.

“Non ti ho mai pagata per farmi la predica, se non m’inganno.” Le ricordò freddamente, mentre raccoglieva il panciotto da terra. Guardò l’orologio da taschino: erano le quattro e mezza di mattina.

“Che succede, Alexander? Non ti va più bene pagare a contanti per ripulirti dai tuoi sensi di colpa? Aver il mio corpo da usare quando tutto ti sembra insostenibile?”

Lui la guardò brevemente, di nuovo rintanato dietro ad una perfetta Poker face. Poi si avviò verso la porta di quella casa fatiscente “ Esattamente. Ma non aver la presunzione di crederti l’unica che sia stata disposta a vendersi a me in tutto questo tempo. Addio.”

Una volta fuori, sentì l’aria della notte pizzicargli il viso immerso nell’oscurità. Alzò una mano guantata verso il cielo come per afferrare la luna che brillava lontana; era davvero ubriaco.

Non una sola luce brillava nei suoi occhi neri.

 Si trovava in uno dei quartieri più poveri di Londra e si sentiva solo come non mai.

 

 

 

* Il Faraone era un gioco di carte molto in voga nell'Ottocento, come il Poker e il Picchetto.


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Capitolo 4
*** Quarto. Indecifrabilità e colpa. ***


Ed eccomi di nuovo qui con un altro capitolo! Un capitolo in cui, ancora, le cose si complicano, compresi i sentimenti di Callie stessa. Ma a parte ciò ringrazio ancora chi mi segue e anche chi passa temporaneamente a dare un’occhiata a questa storia. Sotto consiglio di cicina (grazie ancora per la recensione!) ho deciso che questa storia rimarrà in questa sezione!

E ora alla lettura! Fatemi sapere!

Un bacio!

 

 

 

 

 

 

Le sembrava di essere immersa in profonde acque bollenti, tanto aveva caldo. Casa Norris straripava di gente e c’era chi le aveva assicurato che fosse almeno il doppio di quella presente al ballo degli Hayer. Ma d’altronde era dei Norris che si parlava e la presenza di Alexander, scortato da una decina di amici londinesi, non aveva fatto altro che aumentare l’aspettativa e curiosità della gente del luogo.

Una volta entrata, ore prima, Callie si era ritrovata davanti, nello stupore più assoluto, una decina di gentiluomini che rasentavano pericolosamente il dandismo ed il suo cuore aveva cominciato a battere velocemente, tanto era turbato.

Chissà perché ogni volta penso che possa esserci anche lui in mezzo a loro…

Proprio come un tempo…

Invece aveva messo a fuoco un più che affascinante Alexander Norris e così si era velocemente voltata dall’altra parte, alla ricerca di Linda o di qualsiasi altra persona con cui attaccar bottone. Non desiderava per niente al mondo esser presentata a quei damerini così alla moda.

Soprattutto se erano a conoscenza ( come lei pensava che fossero) di ciò che era accaduto due settimane prima. Così mantenne la decisione presa di far finta di nulla e si impegnò ad esser sempre in movimento: scherzò, ballò e girò di sala in sala in continuazione con il solito sorriso gaio in volto. Non si stupì nemmeno quando si accorse di starsi veramente divertendo.

Con tutta la gente presente, evitare le presentazioni era stato facile.

“Sono proprio orgogliosa di me!”pensò mentre, con un inchino, si preparava a danzare con l’ennesimo cavaliere.

Chi invece non aveva bisogno di farsi pregare erano le signorine Hayer che, entro i primi cinque minuti dall’entrata in casa, erano già state presentate a tutta la compagnia del loro beniamino e ora se ne stavano beate a ciarlare con tre di loro.

“Parola mia, non pensavo che un uomo potesse portare degli orecchini e stare così bene!” cinguettò Charlotte indicando un giovane dai capelli castani che si inchinò al suo complimento, con gli occhi azzurri intrisi di gentilezza. Si portò i ricci boccoluti dietro l’orecchio, per far ammirare meglio alla ragazza un brillante attaccato al lobo dell’orecchio.

David Norris bevve d’un colpo la sostanza alcolica con una smorfia: Alexander lo aveva sfidato un'altra volta, portando i suoi discutibili amici al ballo. Ma cosa poteva fare ormai?

Solo sperare che finisse presto.

Si voltò verso il cameriere e prese dal vassoio un altro bicchiere.

 

La luna si nascondeva dietro le nuvole quella notte, ma almeno fuori faceva più fresco. Callie se ne stava con i gomiti appoggiati alla balaustra di marmo e fissava l’orizzonte che si perdeva nel buio, respirando a pieni polmoni l’aria della sera. Avrebbe voluto un mondo sciogliere i capelli da quella terribile acconciatura, che ne lasciava libera solo qualche ciocca ad incorniciarle il viso arrossato dal caldo.

Chiuse gli occhi e si mise in ascolto dei rumori smorzati che provenivano dall’interno della casa: risate, voci, musica…si sentiva così piccola in quei momenti di solitudine.  Niente in confronto all’universo. Ma questo senso di pace le piaceva.

Si spaventò, sentendo un tocco ghiacciato alla base del collo. Voltandosi incrociò lo sguardo con quello dell’uomo che aveva cercato di evitare per tutta la serata.

Il senso di tranquillità di poco prima andò in frantumi in pochi secondi. Callie guardò la figura slanciata e alta, il portamento elegante con cui portava quell’abito da sera sontuoso, i capelli ribelli come al solito che gli conferivano sempre quell’aria un po’disordinata ma comunque irresistibile.

Sentendo di stare arrossendo, abbassò gli occhi sulla giacca blu scuro di lui.

“E ora che posso fare? Sono con le spalle al muro…!” pensò.

Alexander tendeva ancora verso di lei il bicchiere ghiacciato con cui l’aveva toccata “ Avete sete?” chiese mettendoglielo in mano senza aspettare la risposta, prima di appoggiarsi con la schiena alla balaustra, di fianco a lei.

La ragazza cercò di nascondere il volto dietro il bicchiere, bevendo un sorso di quella sostanza scura, ma dolce. Intanto pensava a come sfuggire il prima possibile da quella situazione; però, forse a causa dell’agitazione, non riusciva a formulare un pensiero che le sembrasse coerente o una scusa abbastanza convincente.

I due rimasero per qualche minuto in silenzio, senza guardarsi negli occhi. Una, rossa come un peperone, che fissava ostinatamente il pavimento; l’altro con gli occhi neri puntati sull’interno della casa e un sorrisetto per niente tranquillizzante stampato in volto.

“Ballereste con me, signorina?”

“No!”

I due si guardarono: lui sorpreso, lei spaventata dalla sua stessa reazione. Aveva parlato senza pensare e così gli aveva risposto in un modo per niente cortese. Strinse la presa sul bicchiere.

Perchè le mie gambe non si muovono da qui? Perché?

“Io…vi chiedo di scusarmi, ma vedete ho danzato tutta la sera e comincio ad accusare la stanchezza…” cercò di giustificarsi, alzando gli occhi nocciola sul suo volto.

Alexander Norris la guardava con aria divertita, per nulla offeso dal comportamento della ragazza. Ne sembrava quasi ammirato. Se ne stava voltato verso di lei, con una mano appoggiata al parapetto, e se la godeva a vederla in imbarazzo.

Dopo un’altra pausa di silenzio, in cui Callie finì il bicchiere, lui le chiese ancora “Posso chiedervi, se non vi importuno, perché fate di tutto per evitarmi?”

“E io posso chiedervi perché voi vi ostinate a comportarvi così?” lo rimbeccò in uno scatto di rabbia lei. Perché lo evitava? Ma non era ovvio?  Già da prima l’aveva preso in antipatia e l’accaduto a casa sua era stato del tutto imperdonabile…

Ma era solo per questo motivo, vero?

Sospirò: non sapeva. Stava di fatto che quella conversazione la metteva a disagio. Quell’uomo la metteva a disagio. Avrebbe voluto tanto scappare, ma contemporaneamente non riusciva a muoversi di un solo metro.

Sentì la mano di lui portarsi sulla sua guancia e rimanervi lì, come una tenera carezza. Malgrado i battiti del cuore pericolosamente in aumento, Callie la sentiva morbida e fresca. Non poté fare a meno di appoggiarcisi leggermente, evitando ostinatamente lo sguardo dell’uomo.

Perché non si tirava indietro?!

“Mi accusate di fingere…” fece lui in un sussurro, chinandosi un poco su Callie “…ma io non mi comporto, io  sono così…”

Stupita, la ragazza castana portò i suoi occhi nocciola su Alexander, accorgendosi di averlo troppo vicino, troppo pericolosamente vicino. Poteva vedere nei suoi occhi neri chiari segni di sofferenza: ora non la guardava più carico di ironia, né con disprezzo, ma quasi con…

…disperazione.

“Non è vero..”

L’uomo la guardò sorpreso “ Come?”

Gli occhi della ragazza brillavano di una luce pensierosa e un po’triste, poteva scommettere che lo fissasse con compassione. E questo lo irritò.

“Voi…a volte, avete uno sguardo colmo di tristezza…” mormorò lei abbassando gli occhi sul petto dell’uomo. Arrossì ancora di più: aveva detto un’altra delle sue sciocchezze! Cosa le era saltato in mente?

“Brava Callie! Sai sempre essere fuori luogo!” si maledì mentalmente.

Alexander sentì il suo corpo irrigidirsi sotto le parole della ragazza, il suo cuore ghiacciarsi poco a poco: il passato lo inghiottiva di nuovo. Tolse bruscamente la mano dalla guancia arrossata di Callie, che sussultò sorpresa, e se la portò davanti agli occhi neri. Come se volesse nascondersi.

“Non è che stai ancora pensando a quel fatto?”

“Questi non sono affari che vi riguardano…” fece tagliente.

Lei sgranò gli occhi, ora spaventata dal suo tono freddo e dai suoi occhi di ghiaccio. La stava fissando come se volesse ucciderla. Quell’uomo era incomprensibile, non lo capiva… e questo le faceva paura.

“…non permettetevi più di dirmi una cosa del genere!” rincarò, allontanandosi da Callie di un passo.

Le parole di Alexander ricaddero nel silenzio più assoluto. La musica che si spargeva nell’aria e le risate ricordarono alla ragazza dove si trovava esattamente. Il ballo dei Norris. Sì, doveva andare…aveva promesso a suo padre che avrebbe danzato almeno una volta con lui….

Sentì gli occhi riempirsi di lacrime.

“Voi siete impossibile! Vi detesto!” e superò la sua figura forte, camminando velocemente verso la sicurezza del salone. Si asciugò le lacrime e preparò il sorriso più gaio possibile, prima di attraversare la soglia e perdersi fra la folla.

Alexander James Norris non cercò nemmeno di fermarla. Si appoggiò con i gomiti alla balaustra, prendendosi la testa fra le mani, i capelli corvini che gli nascondevano il volto. Cercò di respirare profondamente, per calmarsi. Non ci riuscì.

Maledizione!

 

 “Voi siete impossibile! Vi detesto!”

Callie strinse il cuscino forte contro il suo petto, accovacciandosi in posizione fetale. Non un rumore spezzava la calma di quella notte, ma lei non riusciva comunque a prendere sonno.

“Sono stata proprio crudele…non avrei mai dovuto perdere il controllo così…dirgli quelle cose…” pensò socchiudendo gli occhi. Nascose il viso contro il tessuto del cuscino.

Poteva vedere di fronte a lei, come se fosse ancora al ballo dei Norris, lo sguardo disperato di lui trasformarsi in una maschera di freddezza. E di nuovo quegli occhi neri che la disprezzavano, come se l’avesse colta ancora con le mani nella marmellata.

Una ragazzina che non riusciva a farsi gli affari propri…

Si portò una mano sulla guancia. Però, quando lui l’aveva toccata, quando le si era avvicinato, aveva pensato che sarebbe stato bello se l’avesse baciata. Se avesse annullato le distanza fra loro, se le avesse preso il viso fra quelle mani scure e forti e l’avesse guardata con i suoi profondi occhi neri. Per un momento, aveva dimenticato tutto. E il muro che gli aveva posto di fronte era crollato.

 “Voi…a volte, avete uno sguardo colmo di tristezza…”

Callie chiuse gli occhi, reprimendo una smorfia infastidita. Ovviamente era riuscita a rovinare tutto…non sapeva nemmeno come quella frase le era sfuggita dalle labbra.

“Anche se…” pensò “ …è la pura verità.”

Sì, era vero che Alexander James Norris aveva un carattere completamente incomprensibile. Non riusciva a prevedere le sue reazioni, a capire cosa gli passasse per la mente, a comprendere i suoi cambiamenti d’umore così repentini. In più, detestava il modo in cui si atteggiava in società.

Odio quella maledetta maschera…

La ragazza arrossì. Si chiese perché, poi, sentisse il bisogno di capirlo. Di sapere. Quando all’uomo, di lei, non gli importava proprio niente.

Al pensiero, Callie sentì una sgradevole sensazione. Una sensazione che non aveva intenzione di indagare. Così si mise ritta a sedere e, con attenzione, accese quattro candele; in modo che un po’di luce si spargesse per la stanza. Afferrò il suo libro preferito dal comodino e, aprendolo a caso, cominciò a leggere. D’altronde sentiva un gran bisogno di distrarsi e Orgoglio e Pregiudizio l’avrebbe senz’altro aiutata. Parole e scene si susseguirono sotto i suoi occhi voraci, finché….

“E posso chiedere a che tendono queste domande?”

“Unicamente a illuminarmi sul suo carattere” disse Elizabeth, sforzandosi di non parere più seria. “Ecco a cosa tendo.”

“E con quale risultato?”

Ella scosse il capo…*

Callie alzò gli occhi dal libro, gli occhi nocciola nuovamente tristi e pensierosi: forse anche lei come Elizabeth si sforzava di comprendere un uomo quasi impossibile da decifrare. Forse, si stava facendo accecare dal pregiudizio, era depistata dall’antipatia che fin dall’inizio aveva provato nei suoi confronti…

“Non lo direte ad anima viva, d’accordo?”

Chiuse il libro di scatto. No. Era tutto un errore. Quell’uomo impossibile si era comportato male fin dall’inizio con lei: si era preso gioco della sua dignità, l’aveva costretta a mentire mentre lui continuava ad atteggiarsi come voleva. L’aveva guardata come se fosse un passatempo con cui divertirsi.

La ragazza castana spense le candele e si rintanò sotto le coperte, abbracciando nuovamente il cuscino morbido e fresco. Di nuovo lo rivide portare una mano sulla sua guancia e guardarla disperato.  “Però…avrei dovuto evitare di dirgli quelle parole…”

“Voi siete impossibile! Vi detesto!”

Erano passati tre giorni da quella sera. Non si era recata con Charlotte, Catherine e Margareth a salutare la famiglia Norris prima della partenza. Lui, sicuramente, in quel momento era già a Londra: non l’avrebbe più rivisto, come tanto aveva desiderato.

Le mani andarono a stringere il cuscino con forza.

Non sono riuscita nemmeno a chiedergli scusa.

 

L’orologio aveva appena scoccato le due e tre quarti di mattina quando Alexander James Norris si era palesato nella sua grande casa di Londra. I servi, ancora in piedi e in attesa del suo ritorno, osservarono stupiti l’uomo attraversare il grande salone e dirigersi spedito verso la camera da letto. Era raro per loro vedere  rincasare il padrone prima delle quattro di mattina, contando che egli non si alzava mai prima delle due di pomeriggio. E, notando l’espressione che aleggiava sul volto di lui, capirono che era meglio stargli alla larga almeno fino alla mattina dopo.

Poiché il loro giovane padrone aveva l’espressione infuriata di chi ha appena perduto una forte somma al gioco d’azzardo. Cosa che Alexander non riusciva proprio a sopportare.

Dal canto suo, l’uomo si era buttato sul letto stancamente e ora fissava il soffitto. L’espressione del suo viso non comunicava nulla di buono: le belle labbra sottili erano piegate verso il basso, gli occhi neri sembravano più freddi che mai e le sopracciglia aggrottate gli conferivano un’aria concentrata. Persino i capelli sembravano più ribelli del solito.

“Che umiliazione…perdere cinquecento sterline così, in un soffio!” pensò sorridendo amaramente. Di certo non erano i soldi il suo problema. I soldi erano solo un fine, ovviamente…e a lui non mancavano di certo. Ma dover sopportare quegli sguardi vittoriosi e increduli, come se nessuno avesse mai pensato che Alexander James Norris potesse perdere una sola partita a carte.

Era stato uno smacco, lo sapeva.

“Questi sono affari che non vi riguardano…non permettetevi più di dirmi una cosa del genere!”

Si voltò improvvisamente su un fianco, i capelli corvini che nascondevano il volto, gli occhi persi nell’oscurità che brillavano turbati. Sentì il ritmo cardiaco farsi pericolosamente accelerato e si portò una mano sul petto, come se potesse fermarlo solo desiderandolo.

Perché non riesco a pensare ad altro?!

Ricordava chiaramente quegli occhi nocciola guardarlo pensierosi e un po’ tristi, la voce dolce di lei che gli rivolgeva parole di compassione, che gli diceva quanto a volte avesse uno sguardo triste. Gli aveva chiesto perché continuasse a comportarsi così…

Alexander trattenne un’amara risata: com’era ingenua, quella ragazzina!

La società intera, tutti coloro che conosceva, persino lei erano attratti dal suo modo di atteggiarsi artificioso e avvenente. Rideva internamente a vederli lì, a pendere dalle sue labbra, si divertiva. E se fingeva, tanto a chi importava?

D’altronde…chi si metterà mai in testa di darmi contro?

Ma a lei importava…lei, quella sera, voleva capire. Voleva ascoltarti…

Le sue dita strinsero convulsamente il tessuto scuro della coperta:non era vero. Callie Honeycombe era sicuramente paragonabile a tutte le altre. Una ragazzina sciocca, proprio come tutte le altre.

E anche se l’avesse ascoltato, di certo non avrebbe capito. Soprattutto lei, che così ingiustamente l’aveva giudicato senza conoscerlo. Aveva tentato in tutti i modi di evitarlo, l’aveva accusato di tenere un comportamento ignobile, l’aveva insultato e poi, però, non era riuscita a non cadere nella sua rete. Proprio come tutte le altre.

Ma allora perché non riesco a pensare ad altro?

Si rimise supino e si tirò indietro i capelli neri con un gesto nervoso e secco. E, come quella sera, poteva rivedere lo sguardo ferito che la ragazza gli aveva rivolto, la sua pelle arrossarsi ancora di più, le belle labbra rosate aprirsi sorprese…poi la rivide scappare, superarlo velocemente, senza rivolgergli neanche uno sguardo. Solo parole piene di odio.

Alexander si coprì i bei occhi scuri con un braccio. Sorrise. “ L’ho proprio ferita, eh!”

“Questi sono affari che non vi riguardano…non permettetevi più di dirmi una cosa del genere!”

Perchè mi sento così in colpa?

 

“Non è normale, vi dico!”

Il signor Honeycombe alzò gli occhi per l’ennesima volta, in quella lunga mattinata. Si rivolse al Cielo e domandò alla sua amata Grace perché era stato da lei così ingiustamente abbandonato. Lasciato solo con due figliuole pestifere e così complicate!

Rise fra sé. Gli capitava spesso di parlare con Grace, anche se sapeva benissimo che lei non poteva sentirlo né rispondergli. Ormai erano passati molti anni dalla sua scomparsa.

Inizialmente pensava che non ne sarebbe uscito vivo. L’aveva amata così profondamente che sempre il passato tornava alla memoria, sempre sentiva la sua mancanza nella casa così irrimediabilmente vuota.

Poi però guardava Callie e Henrietta. Le osservava crescere e assomigliare alla sua amata in un modo che quasi lo spaventava, soprattutto la primogenita, Callie. Se la piccola era scalmanata e incontrollabile quasi come lo era stato lui da giovane, lo sguardo della più grande era perso sempre lontano, proprio come quello della madre. Anche Grace adorava la vita di società, si perdeva spessissimo in sogni ad occhi aperti ed era così sensibile ai sentimenti degli altri.

E lo sguardo di Callie, in quell’esatto momento, era così simile a quello della sua amata Grace che al signor Honeycombe sembrò di rivederla lì in giardino, al posto della figlia.

“Ultimamente è più distratta del solito!” continuò Henrietta, agitando le esili gambe sotto la sedia e intanto osservando la sorella maggiore che vagava per il giardino, persa in chissà quali pensieri.

Il padre si trincerò, come d’abitudine, dietro il giornale sorseggiando di tanto in tanto una tazza di tea. Poi, dopo qualche minuto disse, lentamente “Spero sia l’eccitazione di andare a Londra per la Season, altrimenti…”

“Altrimenti?” scattò la vocina acuta della bambina bionda “Avanti papà, non tenetemi sulle spine!”

…ho il terribile dubbio che la mia piccola Callie sia infatuata di qualcuno.

E per tutto l’oro del mondo non vorrei che fosse così…non ancora.

Alzò lo sguardo sulla ragazza e la vide protendere una mano verso un cespuglio di rose, accarezzando un fiore distrattamente con la punta delle dita. Gli occhi nocciola evidentemente altrove. Sembrava malinconica.

Non è felice…e se penso a quanto in passato abbia sofferto…a causa di quell’uomo…

Sospirò, cacciando dalla mente i ricordi di molti anni prima. Troppo dolorosi. Il signor Honeycombe si riteneva un padre premuroso e, da quando Callie era diventata una donna, aveva deciso di lasciarla in pace e intervenire solo quando necessario, perché voleva giustamente lasciarle vivere la sua vita. Ma si era ben accorto di quanto Alexander James Norris assomigliasse a quell’individuo che molti anni indietro l’aveva profondamente ferita.

Lo stile di vita, l’abbigliamento, il modo di comportarsi e di parlare che in pieno rientrava nel dandismo…e Callie l’aveva detestato dal primo momento in cui l’aveva veduto.

“Bambina mia, non hai ancora dimenticato vero?” pensò socchiudendo gli occhi. Si sentiva stanco, molto stanco. Sicuramente Grace avrebbe saputo come intervenire.

Ma lei non c’era più.

Il signor Honeycombe guardò Henrietta, che teneva ancora gli occhi castani puntati su di lui. Le sorrise dolcemente “Ho idea di far preparare una bella torta per oggi pomeriggio…che ne pensi?”

La bambina si illuminò e gli donò un sorriso felice “Vi voglio bene, papà! Lo andrò subito a dire a Callie!” e, dopo averlo abbracciato, corse fuori.

L’uomo osservò dalla finestra le due sorelle che si prendevano per mano e improvvisavano un balletto, evidentemente felici per la notizia. Lui si accigliò: Callie sapeva essere veramente infantile, a volte. Notò quanto si stesse sforzando di ridere e di sembrare veramente contenta, mentre ballava con la bambina bionda.

Si rintanò dietro il giornale, sospirando “ Non è un compito facile, mia cara Grace!”

 

 

Note:

*Orgoglio e pregiudizio, cap.XVIII

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Capitolo 5
*** Quinto. La linea spezzata, il muro che crolla. ***


Mi scuso immensamente per il ritardo, ma sembra che in questo periodo io non abbia mai trovato il tempo per pubblicare! Allora capitolo nuovo, nuovo avvicinamento fra Callie ed Alexander. O, per lo meno, li chiamerei veri e propri scontri…mi accorgo sempre più che questi due qua non riescono proprio a capirsi eh! Ringrazio ancora chi mi segue, continuerò a pubblicare con fiducia!

Un bacio!

 

 

 

 

E infine due mesi erano passati. Callie piegò la lettera in modo che risultasse perfetta, ma tutto il rumore che producevano quelle fastidiose carrozze sotto la sua finestra non faceva che toglierle concentrazione. Dopo pochi minuti, appoggiò la lettera indirizzata a Linda bene in vista sullo scrittoio e si alzò, portandosi vicino alla finestra.

Fuori un’ampia strada ciottolata era percorsa da carrozze più o meno fastose che andavano e venivano, mentre una gran quantità di gente si godeva una passeggiata mattutina. Vide qualche capannello di persone qua e là, sicuramente prese a scambiarsi gli ultimi pettegolezzi del momento.

Sospirò. Alla fine era cominciata la Stagione e lei, il padre e Henrietta, seguite dalla sempre presente Nanny, si erano trasferiti a Londra. Erano ospiti dalla signora Fay Tricot, sua nonna materna.

Quest’ultima era un’arzilla signora di ottant’anni ormai vedova e, come la figlia, in gioventù era stata una delle più affascinanti ragazze mai vedute a Londra e dintorni. Aveva sofferto immensamente per la perdita di Grace e del marito, perciò era sempre molto felice di ospitare il genero e le sue due uniche nipoti a Londra durante la Stagione.

Callie si allontanò dalla finestra: era ansiosa di rivedere Linda. Sapeva che Margareth era giunta, come lei, da poco in città visto che i suoi genitori vi vivevano in pianta stabile e ne era felice. Era anche molto contenta del fatto che i genitori di Charlotte e Catherine non sembravano intenzionati a recarsi né a lasciar andare le figliole in città per la Season.

Non poteva sopportare i modi presuntuosi e imprudenti delle due ragazze anche a Londra. Rise fra sé “Se penso a tutte le lacrime versate in casa Hayer da due mesi a questa parte!”

Il suo viso si rifece serio: due mesi. E, sebbene il suo malumore iniziale fosse scomparso, non era riuscita comunque a non pensare a quell’uomo…ogni notte il suo viso le ricompariva davanti. Ogni notte le era capitato di immaginare come sarebbe stato stare fra le sue braccia o perdersi fra le sue labbra sottili.

Si accorse di arrossire e, portandosi le mani sulle guance, scosse la testa vigorosamente “Che sciocca! D’altronde, per come si è comportato, non dovrebbe farmi sentire così in imbarazzo…”

E poi non voleva per niente al mondo sentirsi legata ad Alexander James Norris…

“Sono proprio diventata come Charlotte!” pensò disperata, raccogliendo i lunghi capelli castani in una acconciatura semplice e altrettanto malferma “Ma ho sempre saputo che un giorno lei e sua sorella mi avrebbero contagiata con le loro assurdità!” aggiunse guardandosi allo specchio con un sogghigno.

Davanti a lei stava una ragazza esile e non particolarmente alta, dagli occhi nocciola grandi e vivaci. I capelli castani, ora raccolti,  lasciavano intravedere l’ovale del viso e l’espressione leggermente divertita che vi era dipinta sopra. La sua pelle delicata non era mai stata particolarmente pallida e le labbra rosate non erano né troppo sottili, né troppo carnose. Callie si giudicò abbastanza graziosa per Londra.

“Spero di essere all’altezza di tutte quelle giovani signore che fanno dei pettegolezzi e intrighi cittadini tutto il loro divertimento! Charlotte si sarebbe sicuramente divertita in loro compagnia!” pensò lei infilandosi il vestito verde chiaro che nonna Fay aveva insistito a comprarle.

“Non sei minimamente paragonabile a nessuna ragazza che abbia mai visto…non voglio separarmi da te, né ora, né mai…”

Una ciocca di capelli le sfuggi dall’acconciatura, ma lei non vi badò. Continuava a fissare il pavimento di legno sotto i suoi piedi, mentre in realtà era persa da tutta altra parte. Ricordava perfettamente tutti quei gesti, tutte quelle parole, malgrado gli anni passati…no, non aveva dimenticato.

Tutte menzogne. Tutte scuse per spezzarmi il cuore.

Callie uscì dalla stanza. Aveva un gran bisogno d’aria, di pensare ad altro, di lasciarsi trascinare dalla vorticante vita di Londra e dalle sue vivaci quanto altrettanto vuote conversazioni.

Così scese in salotto trovando padre e nonna immersi in una lunga conversazione,  con la sola compagnia di una bottiglia di sherry. I due si voltarono alla vista della signorina Honeycombe e sul viso rugoso di Fay Tricot s’aprì un sorriso luminoso e ammirato.

“Sapevo che il vestito sarebbe stato d’incanto sulla tua figura, nipotina mia!” esclamò alzandosi in piedi e venendole incontro velocemente: era piuttosto agile per la sua veneranda età “Siediti, per favore, e aspettiamo insieme che Pauline mi porti cappello e scialle. Un bicchiere di sherry, cara?”

Callie si accomodò sul divanetto accanto al padre e scosse la testa di fronte al bicchiere che la nonna le porgeva “ No, vi ringrazio! Mi sento così frastornata dal nostro arrivo in città che un bicchiere come quello potrebbe farmi sicuramente stare male!”

“Tua nonna, mia cara, è convinta che un bicchiere di liquore sia il rimedio a tutti i mali…tanto che lo sostituisce a qualsiasi soluzione medica.” asserì il signor Honeycombe sporgendosi verso la figlia con un sorrisetto allusivo.

La signora annuì vigorosamente “ E così sempre sarà! Nemmeno tu, caro mio Charles, sei stato capace di farmi ingurgitare quei strani intrugli. In più, non mi fido dei medici, lo sai!”

“Di certo, cara Fay, la vostra saggezza è sempre illuminante…e la vostra età ne è una conferma!” le disse lui prendendole la mano grinzosa e accarezzandola gentilmente.

“Stai forse dicendo che sono ormai tremendamente vecchia?!”

Callie non poté non ridere di fronte a quella scenetta famigliare, avrebbe voluto che Henrietta fosse lì con lei per godersela. Ma la piccola era fuori con Nanny, alla ricerca di vestitini nuovi.

Alla vista di Pauline, una delle cameriere di casa, che veniva verso di loro con ciò che la nonna le aveva richiesto; Callie si alzò in piedi “Possiamo uscire ora, nonna…voi, padre, vi unite a noi?”

L’uomo scosse la testa con decisione “Per niente al mondo! Piuttosto che essere inghiottito da quella folla scalmanata là fuori, io preferisco stare qui in casa al sicuro con un buon libro…” e, detto questo, salutò suocera e figlia per avviarsi verso la piccola biblioteca.

Quando furono sole, la signora Fay la prese sotto braccio “Sai, tu ricordi tantissimo Grace, piccola mia…tuo padre ti vuole immensamente bene, ricordalo sempre.”

La ragazza annuì, chiedendosi in fondo se fosse davvero così, visto che in precedenza lui sempre le ricordava quanto madre e figlia fossero diverse. Però non metteva in dubbio di certo l’affetto di suo padre per lei e Henrietta “Lo so, nonna. E anche per me e Henrietta è così. A volte mi domando perché non si sia mai voluto risposare…”

Un’espressione triste attraversò gli occhi dell’anziana “Per lui Grace era tutto.” poi aggiunse, cambiando discorso “ Allora, cara, mi vuoi dire quale abito hai scelto per il ballo di questa sera? Voglio che tu sia la più bella delle signorine presenti, mi raccomando!”

Per lui Grace era tutto…

Callie si sentì tremendamente in pena per il padre. Avrebbe voluto stargli vicino, ma non capiva come avrebbe potuto alleviare il suo dolore. Dopotutto, sua madre era morta da molti anni e non c’era modo di riportarla indietro.

Ma la voce della nonna, che le ricordava il ballo di quella sera, spezzò i suoi pensieri. Sentì uno sgradevole formicolio alla base dello stomaco: erano appena arrivati a Londra e lei già aveva il timore di rivederlo.

Il pensiero che in città, con tutto il vivaio di gente presente, fosse effettivamente più difficile trovarsi insieme ad una stessa serata la rincuorò un poco. E, a confermarlo, c’era il fatto di non averlo ancora veduto a nessun ricevimento in quei tre giorni trascorsi dal suo arrivo.

Anche se…

 

Era appena passata la mezzanotte e Callie si era finalmente messa il cuore in pace. Dopo una prima ansiosa ora passata a guardarsi furtivamente intorno, ad indagare con gli occhi le grandi sale della villa dei Dotthermoore con un incessante e fastidioso sfarfallio alla bocca dello stomaco, si era rassegnata.  Ma, in realtà, si sentiva ben contenta di quel fatto.

La serata, nelle ore seguenti, era trascorsa in maniera serena e divertente: aveva ritrovato vecchie conoscenze cittadine, era stata ragguagliata sugli ultimi avvenimenti e pettegolezzi, aveva danzato con dei giovani sorridenti e gentili e ora se ne stava beatamente a parlare con Margareth e altre due signorine di libri. In più, in molti le avevano fatto i complimenti per via del nuovo vestito beige che delineava le curve sinuose della sua figura e dei suoi piccoli fiori bianchi, incastonati nell’acconciatura semplice. Sì, era proprio una bellissima serata.

è appena scoccata la mezzanotte e io mi sento già stanca morta!” esclamò Margareth facendosi timidamente aria con il ventaglio.

Callie rise “Avanti, cara mia, la notte è ancora giovane! Io mi sento pronta ad andare a casa non prima delle cinque di mattina!”

Le altre due signorine le diedero ragione annuendo vigorosamente all’unisono: erano due sorelle cresciute nel tipico ambiente cittadino. Le loro acconciature complicate, i vestiti all’ultima moda e i ninnoli che pendevano dai loro colli e braccia sottolineavano una sicurezza e un fascino fuori dal comune; d’altronde le signorine Thompson erano tra le ragazze più popolari di Londra. Callie le trovava, oltre che affascinanti, anche intelligenti e simpatiche.

Margareth aprì la bocca con fare scocciato ma, l’arrivo improvviso di una cugina delle due sorelle le impedì di esprimere la propria disapprovazione.

“Lui è qui!” annunciò in tono tra l’ansioso e il gaio l’ultima arrivata, aprendo di scatto il ventaglio e facendosi aria con forza.

“Lui chi?” chiese curiosa Callie mentre Margareth aggrottava le sopracciglia perplessa.

Le signorine Thompson non diedero il tempo alla cugina di rispondere. Si sporsero verso di lei, con il viso che esprimeva sorpresa “Jane, parlate proprio di lui?”

Callie cominciava davvero a voler sapere chi era questo fantomatico signore che suscitava tanto stupore e ansia nelle signorine più popolari di Londra e nella loro cugina.

“E di chi altro? Se non di Alexander James Norris!” rispose agitata quest’ultima.

Ah, ecco.

Callie si accorse di sentirsi nuovamente agitata, quasi come se dalla leggera corrente elettrica la stesse percorrendo da parte a parte. Ritirò la decisione di rimanere a lungo al ballo, anzi, sarebbe ritornata a casa immediatamente se avesse potuto. Per niente al mondo voleva incontrarlo, non dopo il disastroso ballo dei Norris di due mesi prima.

“Voi siete impossibile! Vi detesto!”

Socchiuse gli occhi e respirò profondamente. Doveva stare calma. “Magari ha dimenticato l’avvenuto, anzi sono sicura che non ci ha dato il minimo peso! D’altronde a uno come lui cos’altro può importare se non solo sé stesso?” pensò con fermezza, sentendosi quindi giustificata a non allarmarsi per la sua presenza al ricevimento.

Quindi non sono obbligata a scusarmi, no?

“Ma…ma avevo creduto che stasera non avrebbe partecipato al ballo dei Dotthermoore!” fece stupita la signorina Fiona Thompson, interrompendo gli ansiosi pensieri di Callie.

“Pare invece che sia venuto via prima dal ricevimento dei Garderet e si sia precipitato qui!” rispose estasiata Jane “ E io penso che sia molto meglio così!”

Fiona aggrottò le sopracciglia e si lasciò sfuggire un verso di disapprovazione, incrociando le braccia sotto il petto prosperoso “ Sono quasi certa che sia a causa della presenza della signorina Duval…in questi ultimi tempi è stato sempre visto con lei…”

Callie ignorò la fitta dolorosa che quella notizia involontariamente le aveva provocato e si concentrò sull’arredamento della sala cercando di non ascoltare, invano.

“Ma è una francese! E anche fin troppo ingenua per i miei gusti. Non si è minimamente accorta che il signor Alexander si sta divertendo a giocare con lei…”

“Bah! È risaputo: ad Alexander James Norris piace iniziare continue schermaglie d’amore con ragazze giovani e ingenue...se tutte non cadessero ai suoi piedi!”

Jane sospirò sognante “ Come vorrei che giocasse anche con me!” 

“Giusto Cielo, cugina! Non siate scandalosa!”

Le tre parenti e Margareth, che era rimasta in disparte ad ascoltare tutto il tempo, scoppiarono a ridere e Callie si sforzò di imitarle, in un modo o nell’altro. Si voltò, aprendo il ventaglio sottile e nascondendosi dietro di esso “ Scusate amiche mie, penso che andrò a servirmi da bere…muoio dal caldo!”

E, detto questo, si incamminò velocemente verso un punto imprecisato della villa, scostando la folla senza quasi accorgersene. Non sapeva nemmeno lei dove si stavano dirigendo i suoi passi.

…sta giocando con lei…

…con ragazze giovani e ingenue…

“Mi accusate di mentire…io sono così.”

“Quanto lo detesto!” pensò socchiudendo gli occhi e continuando a camminare. Non riusciva a capire…perché era del tutto assurdo che dovesse sentirsi turbata. D’altronde non aveva imparato nulla di nuovo sul conto di quel damerino. Era proprio come tutti gli altri.

“ Ovviamente  ti ho corteggiata…ma non sei mai stata di certo l’unica. Stai cominciando ad annoiarmi, Callie.”

Era proprio come lui.

Fermò la sua folle corsa di fronte ad un cameriere e agguantò un bicchiere di liquore scuro. Era ad un ballo, non aveva proprio voglia di dover ricordare e pensare. Così, individuato un divanetto vuoto, vi si sedette e cominciò a bere a piccoli sorsi il bicchiere, guardandosi tranquillamente intorno.

Dovettero passare pochi minuti prima che i suoi occhi nocciola incontrassero quelli neri e profondi di Alexander James Norris. L’uomo la stava guardando stupito, come se non si aspettasse di trovarla a Londra o non si aspettasse che quella bella ragazza così elegante fosse proprio l’ingenua e campagnola Callie Honeycombe.

La ragazza castana sostenne quello sguardo di pece, ma non fece cenno di alzarsi né di aver l’intenzione di salutarlo. Ebbe modo di osservare, prima di distogliere lo sguardo, che nessuna signorina francese sembrava essere con lui.

“Certo che…” pensò arrossendo “ …come al solito è sempre molto affascinante…”

Alexander non venne verso di lei, anzi la ragazza lo vide sparire nel salone e ne fu veramente sollevata. Così, osservando un po’la gente esibirsi al pianoforte situato in quella stessa stanza e un po’scambiando qualche parola con alcuni conoscenti che si avvicinavano al divanetto, il bicchiere finì e Callie era pronta per ritornare nella sala da ballo.

Fece in tempo ad alzarsi che, in un istante, si trovò davanti l’alta figura di Alexander. L’uomo la guardava con il solito sorriso affabile stampato sul volto “Buonasera.”

Se la apparizione di lui non l’avesse messa abbastanza in imbarazzo, ci pensò il suo tono di voce gentile ma fermo a farle sentire il viso andare in fiamme.

“Buonasera, signore.”

 

Callie non capiva come era riuscita a finire in quella situazione. O meglio, se doveva trovare qualcuno colpevole per il solo fatto di star seduta sul divanetto in compagnia dell’uomo che meno voleva incontrare, l’unica imputata non poteva che essere lei stessa. Lei e le sue gambe traditici, che non volevano saperne di muoversi da lì.

Alexander la stava squadrando, lo sentiva. I suoi occhi neri percorrevano tutta la sua figura, dalla punta dei capelli castani fino ai suoi piedi esili, fasciati da piccole scarpette color panna. Se ne stava zitto, divertendosi a metterla in imbarazzo solo guardandola.

Callie si sentì arrossire mentre, a fatica, cercava di ignorare il suo sguardo “Anche voi qui, allora…” tentennò, alla ricerca delle parole giuste da dire. Non sapeva mai come comportarsi in presenza di quell’uomo incomprensibile.

Dopo le parole che gli aveva dedicato al ricevimento dei Norris avrebbe dovuto essere indignato, se non furioso, nei suoi confronti. Avrebbe dovuto evitarla. E invece l’aveva salutata con il sorriso sulle labbra ed ora era seduto al suo fianco, con l’aria più tranquilla e indifferente del mondo.

“Ciò significa che le mie parole non l’hanno minimamente colpito?” si chiese la ragazza, portando lo sguardo pensieroso sul viavai di gente per la sala.

“I Dotthermoore mi erano sembrati talmente dispiaciuti all’idea di non avermi presente a questa serata che non ho potuto rifiutare…anche se avevo intanto accettato un altro invito…” spiegò con noncuranza, spostando anch’egli lo sguardo sulla stanza.

Malgrado le voci, le risate, il suono del piano strimpellato a tutto spiano colmassero la stanza in modo quasi insopportabile, il silenzio era calato come piombo fra di loro. Entrambi non osavano guardarsi negli occhi e non sembravano intenzionati a rivolgersi più la parola. Alexander guardava fisso l’entrata del salone adibito alle danze, come se aspettasse di veder comparire qualcuno o qualcosa d’interessante; Callie rivolgeva lo sguardo esattamente dalla parte opposta e non vedeva l’ora di ritrovarsi a casa sua, sotto le coperte.

“Perché non trovo niente da dire? Potrei approfittarne e rivolgergli le mie scuse per il mio ignobile comportamento della volta scorsa...”

Evidentemente erano stati colpiti dallo stesso pensiero, poiché si voltarono entrambi nello stesso momento, pronti a parlare…se non fosse stato per l’intervento repentino della padrona di casa, la signora Dotthermoore, una ingombrante donna di mezz’età dalle maniere splendidamente maleducate, che si pose in mezzo a loro senza tanti complimenti.

“Alexander, mio caro amico! Finalmente siete giunto! Sapete, mia figlia Clara vi sta cercando in lungo e in largo! Era ansiosa di vedervi sapete poiché l’altra volta…”

L’uomo in questione sostenne tutto quell’abbondante flusso di parole con un’invidiabile sorriso e un’altrettanta invidiabile pazienza, mentre Callie, dopo uno sguardo sbalordito alla signora, decise che era il momento giusto per andarsene. Così si alzò in piedi senza una parola; d’altronde la donna non sembrava volerla degnare di uno sguardo, tanto era presa a decantare le lodi della figlia ad Alexander.

Che strega!

“Avete mai visitato i giardini della villa, signorina Honeycombe?”  la ghiacciò, come ormai d’abitudine, la voce del giovane uomo che aveva interrotto il fastidioso chiacchiericcio di una quanto mai sconcertata signora Dotthermoore.

Callie avrebbe tanto voluto dire di sì, per non trovarsi ancora una volta sola con lui; ma lo sguardo indignato che la padrona di casa le rivolgeva, come se fosse una presenza di troppo nella sua elegante sala e nei suoi piani di avere l’attenzione dell’uomo tutta per sé, la indusse a rispondere in tono gaio “No davvero! Immagino che debbano essere incantevoli, vero signora Dotthermoore?”

Uno sorrisetto divertito comparve sulle labbra di Alexander Norris mentre si alzava in piedi e offriva il braccio alla ragazza castana “ Allora sento assolutamente il dovere di mostrarvelo!” e poi, rivolgendosi ad una signora Dotthermoore pietrificata “ Immagino che voi non abbiate nulla in contrario, so quanto andate orgogliosa dei vostri meravigliosi fiori.”

Non avendo nessuna risposta, se non uno strano gorgoglio, l’uomo si allontanò velocemente trascinandosi dietro Callie, ben agganciata al suo braccio.

Una volta attraversata la soglia di casa ed essere usciti allo scoperto di una notte senza luna, Callie si prese la briga di chiedere “ Perché mai vi siete messo in testa di trascinarmi qui?”

“Avanti, signorina! Ho liberato me da una presenza fastidiosa e voi dalla sua maleducazione. Non siete contenta?”

“Non di restare sola in vostra compagnia…” avrebbe voluto dirgli la ragazza. Ora che erano veramente soli, in compagnia solo di piante e dell’oscurità della notte, poteva sentire quanto forte martellasse il suo cuore, quanto le guance le stessero andando in fiamme.

“Dovrei esserlo, ma ancora non capisco perché…”

“Vi piacciono i fiori?” chiese lui, interrompendola. Il suo sguardo che vagava per il giardino e ne ammirava la bellezza. E a Callie sembrò ancora una volta lontano e distante, come se fosse perso in chissà quale tempo e spazio. Di nuovo quello sguardo triste e pensieroso.

Non perderti.

Rimani, rimani qui con me.

Strinse un poco le dita sul braccio di lui, sentendo come un senso di angoscia invaderle il corpo. Perché sentiva quasi il disperato bisogno di sapere? Di capirlo?

“Tantissimo….ma era mia madre la vera appassionata, non io…” mormorò rivolgendo lo sguardo a terra. Non voleva vedere quegli occhi così malinconici.

Lui si voltò verso di lei, nuovamente presente “ La signora Honeycombe? Vostro padre non la nomina spesso.”

“Non da quando è morta. Ne parla poco persino con me e mia sorella…per lui mia madre era tutto.” concluse la ragazza, riutilizzando le parole di sua nonna. Si chiese perché non provasse il minimo turbamento a parlarne con un perfetto estraneo.

Sentì il corpo dell’uomo irrigidirsi un poco.

 “Sembra quasi che l’anima ti venga portata via, quando succede.” disse Alexander in un tono non suo “E sembra di impazzire poiché non si può dimenticare un dolore così grande…no, non è possibile. Ci si rassegna solo, alla fine.”

Callie lo guardò sorpresa. I suoi occhi neri ora erano più lontani che mai, il corpo era rigido e l’espressione del viso trasudava di nuovo di disperazione. Lo vide voltarsi dall’altra parte, come se non volesse farle vedere il volto.

Quindi è questo…

Però, ti prego, non perderti, non tornare indietro.

“Ci sediamo?” chiese lei con un tono di voce un po’più alto del solito. Desiderava distrarlo dai quei pensieri dolorosi, riportarlo indietro, al presente, a lei. E sembrò funzionare poiché Alexander annuì e la guidò verso una panchina di pietra situata a pochi metri da loro.

Callie sentiva una sottile ansia percorrerle ogni centimetro del corpo: l’uomo al suo fianco non accennava a proferir parola. Si chiese cosa potesse fare o dire, quali fossero le parole giuste da rivolgergli ma non faceva altro che osservare quella figura in nero tormentandosi un lembo del vestito con le mani.

Alexander era piegato in avanti, con le braccia appoggiate alle ginocchia e le mani leggermente intrecciate. I capelli corvini e ribelli che gli coprivano parzialmente il volto scuro. E ancora non parlava.

Dì qualcosa…

“Io…” esordì lentamente e senza guardarla “…io non ho fatto altro che pensare a voi in questi due  mesi.”

La ragazza spalancò gli occhi, sorpresa dalle uniche parole che si aspettava di non udire. Sentì chiaramente il cuore martellarle il petto ferocemente e una bruttissima sensazione bruciarle nello stomaco. Le sembrava quasi di non riuscire a respirare.

Ancora una volta il pensiero di non riuscire proprio a comprendere le intenzioni e i modi di Alexander le passò velocemente per la testa. Non capiva perché le avesse rivolto quelle parole…era vero? Avrebbe dovuto dare credito alle parole di un uomo assurdamente ricco e affascinante che poteva pretendere e avere tutto ciò che voleva?

Di certo molto più di una strana ragazza come lei.

Si riscosse e, distogliendo lo sguardo da lui, disse piano “Signore, come al solito vi divertite a farvi beffe di me?”

Alexander guardò un po’sorpreso la ragazza al suo fianco. No, non era quella la reazione che si era aspettato. Per un momento, aveva pensato che lei fosse diversa, che avrebbe capito, che gli avrebbe creduto. E invece eccola lì, che gli rivolgeva parole a cui di solito non avrebbe dato alcun peso, poiché tante volte se le era sentite dire da signorine ormai perdutamente innamorate. Ma dette da quella ragazzina, quella frase aveva assunto improvvisamente un altro sapore.

La signorina Honeycombe era sicuramente paragonabile a tutte le altre.                               

“Voi…a volte, avete uno sguardo colmo di tristezza…”

Poi accadde qualcosa.

“ Vi chiedo scusa…” fece Callie con una voce stranamente piccola, rotta dall’imbarazzo “…vi chiedo scusa per le parole terribili dell’altra volta. …voi siete tremendo in un certo qual modo ma…in quel momento sono io che ho sbagliato.”

E lo guardò dritto negli occhi: non doveva lasciarsi vincere dall’incertezza, non ora che era riuscita a trovare il coraggio di chiedergli perdono. Non doveva più abbassare la testa di fronte a quell’uomo, per quanto il suo cuore la tradisse ogni singola volta che lui fosse nei paraggi.

Perché anche io non riesco a pensare ad altro…

Vide che Alexander la guardava con occhi sorpresi, poi un piccolo sorriso triste si fece strada sul suo volto dandogli un’aria malinconica che, pensò Callie, lo rendeva ancora più bello. Sussultò sentendo la presa improvvisa delle sue mani forti sul viso, la sua figura alta chinarsi su di lei.

Dopo un lungo momento, in cui la ragazza aveva pensato di poter morire d’infarto, le mani dell’uomo scesero leggere sul suo collo e le andarono ad accarezzare le spalle scoperte in una tenera carezza. Poi di nuovo risalirono verso l’alto, verso il viso arrossato di lei, e percorsero ogni singolo lineamento, dalla punta del naso alle labbra rosee ora dischiuse in un sospiro.

Callie rabbrividì sotto quel tocco, neanche per un momento aveva pensato di sottrarsi ad esso. Anche se, forse, sarebbe stata la cosa migliore. Per la sua salute, ovviamente.

Alexander, come se si accorgesse dei suoi pensieri, le chiese sfacciatamente “Posso toccarvi?”

“Lo state gia facendo.” gli rispose lei in tono severo, alzando i suoi luminosi occhi nocciola su quelli bui di lui. Sembravano bruciare, quegli occhi.

Lui sorrise e, avvicinandosi di più, continuò ad accarezzarle il viso e le spalle con dolcezza. A Callie era sembrato che lui volesse esplorarla, conoscerla, capirla attraverso i sensi più che con le parole. Poiché con le parole loro due non riuscivano davvero a comprendersi. La ragazza capì ancora una volta che il muro che lei gli aveva posto davanti era crollato in mille pezzi. Chiuse gli occhi, come se così potesse capire meglio i suoi gesti, scoprire i tracciati misteriosi delle sue dita sulla sua pelle.

Continuo a gravitare attorno a quest’uomo impossibile e ancora non ne capisco il motivo…

Sentì la fronte di lui contro la sua e le sue parole sussurrate piano all’orecchio “Posso baciarvi?”

…ma ora, adesso, è tutto diverso.

Callie socchiuse gli occhi, trovando il viso di Alexander così vicino da poter sentire il suo respiro. Anche se avesse potuto, non sapeva comunque cosa rispondergli. La sua mente era annebbiata, come anestetizzata; sentiva di non poter formulare neanche un pensiero minimamente coerente tanto la vicinanza di lui le metteva confusione. Sapeva benissimo che se lui avesse scelto di averla lì, in quel momento, lei non l’avrebbe fermato. Questo un poco la spaventava, perché i suoi occhi neri stavano bruciando come non mai.

Alexander non abbandonava il suo viso nemmeno per un secondo: le pareva infinitamente bella e innocente. Le sembrava così diversa da lui che sentiva l’impellente bisogno di stringerla, di averla, di macchiarla un po’con la sua anima ormai corrotta. Ora, solcando la sua pelle con le dita, poteva capirlo: non sarebbe mai riuscito a paragonarla a tutte le altre donne. Mai.

“Questo vuol dire per sempre, lo sai?”

“Perché me lo chiedi?”

“Oh! Non metterti così a ridere, Alexander! Se pensi che io sia l’unica, l’unica donna a cui puoi aprire il tuo cuore…”

è quello che ho detto, infatti. Non posso più guardare nessun altra da quando ho conosciuto te.”

“Allora questo non può che essere per sempre, non credi, meu amor?”

E quel sorriso luminoso, come dimenticarlo?

Con un gesto secco, quanto improvviso, l’uomo puntò le mani sulle spalle di Callie e l’allontanò da sé. Non fece caso al sussultò sorpreso di lei, come non fece caso allo sguardo confuso che si faceva strada nei suoi meravigliosi occhi nocciola. Si alzò in piedi e, senza guardarla, le diede le spalle.

In quel momento la sua presenza, lì vicino a lui, sembrava essere insopportabile. Si sentiva bruciare.

L’arrivo delle signorine Thompson fu provvidenziale. Le due avevano svoltato l’angolo e adesso si stavano dirigendo verso la panchina radiose e sorridenti, alla vista di Alexander e dell’amica. L’uomo in questione si affrettò ad andare verso di loro e a prodigare i migliori saluti, con un sorriso affettato in volto.

Callie era ancora seduta e fissava la scena in svolgimento davanti a lei con occhi sbarrati. Non capiva. Si portò un dito sulle labbra: prima la strana discussione riguardo alla morte di sua madre, poi le sue dita sulla pelle e le sue parole sussurrate all’orecchio e ora…l’aveva bruscamente allontanata. Ma questo prima dell’arrivo delle due sorelle, quindi cos’era accaduto?

No, non capiva.

“Non mi guarda nemmeno negli occhi…” pensò confusa Callie, fissando la schiena solida di Alexander che ora parlava serenamente con le due signorine Thompson “ Perché non si volta verso di me?!”

“Insomma!” chiocciò seccata Fiona “Dovete assolutamente dirci cosa facevate qui con la nostra amica! Non la stavate tediando spero!”

“Al contrario, la signorina Honeycombe ama molto i fiori e quindi ho pensato che sarebbe stato divertente condurla nei giardini della villa, tutto qui.” rispose l’uomo con un gesto di noncuranza.

Sarebbe stato divertente…

…tutto qui.

“Voi…” cominciò Callie con voce tremante “ Voi…vi stavate divertendo?”

Cercava di sembrare più serena, indifferente possibile. Cercava di contenere tutto quel sentimento che rischiava di travolgerla e straripare come un fiume in piena. Anche se aveva una gran voglia di piangere.

Furono le parole di lui a dare la sferzata finale al suo cuore. Si voltò leggermente verso di lei, tanto che tutto quello che Callie riuscì a vedere era il suo sorriso. Ma non era il solito sorriso di circostanza o il sorriso malinconico di poco prima. Era un sorriso largo, quasi folle.

“Proprio così!” disse.

E Callie non seppe più cosa rispondere.

Tutte menzogne. Tutte scuse per spezzarmi il cuore.

“…stai cominciando ad annoiarmi, Callie.”

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Capitolo 6
*** Sesto. Se si finge indifferenza... ***


Eccomi tornata con il sesto capitolo! E, sia lodato il Cielo, vediamo il ritorno in scena di una Linda pronta a sostenere l’amica in questa situazione a dir poco impossibile. Alexander è una persona a dir poco complicata, no? Eh, povera poverissima Callie!

Un bacione!!

Ah! Non dimentico mai di ringraziare coloro che continuano a seguire questa storia!!! Spero di continuare ad appassionarvi!

 

 

 

 

 

Callie era riuscita nel suo intento. Era sembrata la fanciulla più gaia del mondo mentre si alzava dalla panchina e prendeva congedo dalle due signorine Thompson, mentre volgeva le spalle a quell’idiota di Alexander James Norris, mentre pregava Margareth di riaccompagnarla a casa con la sua carrozza e si scusava del fastidio che poteva darle, visto che erano appena le tre.

Poi però non era più riuscita a fingere. Era bastata una lacrima traditrice per farla scoppiare in un pianto a dirotto che aveva stupito e spaventato Margareth. La paffuta ragazza non le aveva chiesto niente: l’aveva solo accolta fra le sue possenti braccia e l’aveva fatta sfogare, in attesa di qualche spiegazione o almeno che si sentisse un po’meglio.

Ma Callie non riusciva a sentirsi affatto meglio. Più piangeva, più si sentiva bruciare: le guance, lo stomaco, i polmoni, il cuore…tutto sembrava bruciare. Forse, pensò, la colpa era stata di quegli occhi.

“Proprio così!”

L’aveva maledetto. L’aveva maledetto veramente tanto mentre piangeva sul petto di Margareth, nella carrozza che l’avrebbe portata a casa, a letto. Al sicuro. Sotto le coperte, dove sicuramente non avrebbe potuto prender sonno, poiché sarebbe stata troppo occupata a darsi della stupida.

Un’altra volta.

Si era scusata,  si era confidata, si era illusa di poterlo capire e si era lasciata andare.

Si era fidata…

Un’altra volta.

E un’altra volta aveva sbagliato.

Alla fine le lacrime si esaurirono e Callie, senza una parola, si accontentò di appoggiare il capo sulla spalla dell’amica mentre quest’ultima sospirando le accarezzava la testa dolcemente. Era grata a Margareth di quel silenzio anche se, forse, avrebbe preferito che le dicesse qualcosa. Qualsiasi cosa pur di non ascoltare i suoi stessi pensieri.

“Se avete bisogno sapete, io sarò sempre qui.”

Callie alzò la testa lentamente e fissò quei rotondi occhi verdi, che brillavano preoccupati “ Grazie, Margareth. Di tutto, davvero.”

L’altra scosse la testa sospirando “Dobbiamo aiutarci a vicenda…penso che questo mondo sia molto più difficoltoso da vivere per noi donne che per gli uomini. Dobbiamo sopportare troppe cose e superare troppi ostacoli…Dio solo sa quanti segreti noi donne dobbiamo saper tacere.”

“Non lo direte ad anima viva d’accordo?”

“Già…” rispose Callie in un sussurro.

Erano rimaste in silenzio per tutto il viaggio restante, solo con il rumore delle ruote della carrozza sulla strada ciottolata come sfondo sonoro. A Callie sembrava che nemmeno quel suono potesse coprire i suoi pensieri che facevano a gara ad accavalcarsi l’uno sull’altro.

Una volta arrivate alla casa, e aver ringraziato per l’ennesima volta Margareth, la ragazza castana si era infilata velocemente a letto e aveva tirato su le coperte fin sopra la testa.

Si sentiva bruciare ma, stranamente, non aveva caldo; anzi sentiva come un senso di vuoto e si accorse di stare tremando. Si chiese se era possibile sentire due sensazioni così contrastanti nello stesso momento…ma, d’altro canto, quella situazione si adattava benissimo ai suoi rapporti con il giovane signor Norris: fin dall’inizio lui era riuscito a sfaldare le sue certezze e a mescolare le carte in tavola, facendola sentire una sciocca a causa di quei sentimenti che Callie non riusciva o non voleva decifrare. Proprio come il carattere di lui. Incomprensibile: non riusciva proprio a capire dove finisse il limite della bugia e iniziasse la verità.

“Posso toccarvi?”

Callie si prese il viso tra le mani. I percorsi tracciati dalle sue dita sembravano voler rimaner bene impressi sulla sua pelle e bruciavano come vere e proprie ferite fisiche. Gli aveva permesso di toccarla, di rompere il muro che lei gli aveva posto davanti. Aveva pensato, assurdamente, che fosse un modo suo per esplorarla, conoscerla…che imbecille che era stata!

“Voi …vi state divertendo?”

Chiuse gli occhi di scatto, come se potesse scacciare quei ricordi dalla mente. Si accorse di odiarlo con tutte le sue forze. Ora vedeva chiaramente la verità: odiava quella figura alta, odiava i suoi capelli corvini e ribelli, odiava quei profondi occhi neri. E odiava il modo in cui sorrideva, affettato e galante. Pure il sorriso triste che poche volte le aveva dedicato le dava il voltastomaco. Lo detestava più di chiunque altro, persino più di lui. Poiché la sua comparsa aveva rivangato il passato, ricordi che lei credeva ormai archiviati nella sua memoria. Lo odiava e avrebbe voluto che sparisse per sempre.

“Proprio così!”

Aveva il corpo in fiamme.

 

Linda, una volta arrivata a Londra, non si aspettava di trovarsi di fronte ad una Callie più sorridente e gaia che mai. Pensava di trovarla un po’pensierosa, forse cupa al pensiero di dover incontrare così spesso Alexander James Norris nel suo territorio naturale.

D’altronde nella settimana prima della sua partenza, Callie non era riuscita a parlare d’altro. Era veramente curiosa di essere aggiornata dall’amica: voleva sapere ogni cosa della settimana passata a Londra da Callie. Poiché, sospettava, che tra la ragazza e Alexander vi fosse qualcosa.

Le sue aspettative vennero deluse da una scalmanata e gioiosa Callie che, trascinandola per le vie della città sotto braccio, le decantava le bellezze della vita sociale londinese e le spifferava tutti i pettegolezzi di cui non era a conoscenza.

“Davvero! E pensare che non ha ballato che due volte! Ah, Linda, guardate questo cappellino! Non credete sia stupendo?”

La ragazza bionda trovava strano che Callie non avesse nominato ancora Alexander Norris in due giorni che erano state insieme e ora quasi disperava che l’amica non ne avrebbe mai più parlato. Si chiese il perché…evidentemente qualcosa, ancora una volta, doveva essere accaduto.

Perché Callie sta fingendo.

Conoscendola da molti anni, Linda non poteva non riconoscere la maschera quasi perfetta che la ragazza aveva indossato. Avrebbe voluto che si confidasse con lei, che le parlasse, poiché dopo che Callie l’aveva aiutata a risollevarsi in quel periodo buio della sua vita, si sentiva in eterno debito con lei.

“Capite?! Era sposato…è uno scandalo! I miei genitori non mi vorranno nemmeno più guardare in faccia!”

“Linda, non è colpa vostra! Guardatemi! Ci sarò sempre io accanto a voi, qualsiasi cosa accada!”

“Da…davvero?”

“Sì, ricominceremo insieme, passo dopo passo…”

Linda sospirò, spazzolandosi i lunghi capelli biondi. E due anni dopo, quando era toccato a Callie cadere nella più profonda disperazione, lei non si era sentita abbastanza adatta ad aiutarla. Altrimenti l’amica non si sarebbe portata dietro negli anni i segni di quel terribile fatto.

Aveva appena diciassette anni.

“A che pensate?”

La voce serena della ragazza in questione spezzò il filo dei ricordi di Linda che rispose, voltandosi leggermente verso l’amica “ Penso che sia ora di smettere di fingere…”

Il sorriso di Callie si trasformò in una strana smorfia spigolosa. Appoggiò il quadrino che stava dipingendo sul comodino e si alzò dalla sedia, dirigendosi verso Linda “A che vi riferite?”

“ Oh! Lo potete benissimo intuire da sola…” rispose questa, posando lo sguardo sullo specchio di fronte a sé. Poteva vedere l’espressione combattuta di Callie, in piedi dietro di lei “ ..parlo del signor Alexander Norris.”

Solo a pronunciarne il nome Callie si irrigidì e spostò lo sguardo confuso all’altro capo della stanza “E quindi?”

Linda seppe d’aver centrato il nervo scoperto dell’amica. “Non volete raccontarmi cos’è accaduto? Non potete mentirmi…” e aggiunse, in tono più dolce “…vi conosco da molti anni, l’avete dimenticato?”

“Ci sarò sempre io accanto a voi, qualsiasi cosa accada!”

“Cosa deve essere successo?” esplose d’un tratto Callie, con voce pericolosamente incrinata. Si prese il volto fra le mani, nascondendosi a Linda “ Non è accaduto proprio nulla! Lo sapete bene, io odio quell’uomo! Lo odio!”

La ragazza bionda si alzò velocemente in piedi e si precipitò ad abbracciare l’amica “ Oh, tesoro…” sospirò “Lo so…perdonatemi, non volevo causarvi questa pena…”

Callie scosse la testa e si tolse lentamente dall’abbraccio di Linda “No, siete nel giusto. Non ne posso più di dover fingere…soprattutto con voi. È tempo che vi racconti tutto.”

E così Linda venne a conoscenza del fattaccio accaduto al ballo dei Dotthermoore. Non poté fare a meno di pensare che un’altra volta Callie si fosse infatuata di un uomo davvero impossibile, ma questo si trattenne dal dirlo all’amica, visto che la stessa interessata era decisa a negarlo con forza.

In più, non riusciva davvero a capire il comportamento di Alexander Norris: era evidente che non ci fosse da fidarsi di lui, ma contemporaneamente, la stupiva il fatto che nei confronti di Callie tenesse un comportamento alquanto bizzarro per un dandy popolare come lui.

E poi, perché accanirsi su Callie, se aveva avuto e poteva avere molto meglio di lei?

Come quella signorina Duval…

“Amica mia, prima di questo…non è che è accaduto altro?”

La ragazza in questione alzò gli occhi nocciola su di lei, sorpresa e presa in contropiede da quella domanda. Non se l’aspettava.

“Non lo direte ad anima viva d’accordo?”

“…non permettetevi più di dirmi una cosa del genere!”

“Io non ho fatto altro che pensare a voi in questi due mesi.”

Si morse un labbro. “No, non è accaduto nient’altro….” rispose, sentendosi tremendamente in colpa poiché sapeva che Linda non le avrebbe affatto creduto. Glielo leggeva negli occhi azzurri percorsi dalla delusione.

“D’accordo…” sospirò quest’ultima, cominciando a intrecciare i capelli dorati “ E d’ora in poi che avete intenzione di fare?”

“In che senso?”

“Con colui-che-è-meglio-non-nominare, intendo!”

Callie sorrise, divertita “ E che altro se non ignorarlo? Di certo non posso prenderlo a ceffoni, anche se lo farei volentieri. Me ne terrò lontana!”

“E se fosse lui a venire da voi?”

Gli occhi nocciola di Callie sembrarono svuotarsi “Peggio per lui, allora.”

Linda si immobilizzò: gli occhi di Callie erano davvero pieni di risentimento. Di rancore pericoloso. E questo, per un momento, la spaventò.

Temo che i guai siano appena iniziati.

 

Il banco di prova fu il ricevimento indetto dai Thompson pochi giorni dopo.

Linda poté osservare come Callie riusciva a tenere fede alle sue parole: temeva che la ragazza si potesse far sopraffare dai suoi stessi sentimenti. E l’idea dell’amica che gettava il bicchiere di vino addosso ad Alexander James Norris di fronte a tutta Londra non le infondeva di certo sicurezza.

Ma non accadde nulla di tutto ciò che aveva temuto.

Quando Callie e Alexander si incrociarono, diretti entrambi nella direzione opposta, la ragazza non posò nemmeno uno sguardo su di lui e, d’altra parte, nemmeno l’uomo si sognò d’avvicinarla.

Si erano praticamente sfiorati, ma fu come se non si fossero nemmeno veduti.

Linda si accorse con soddisfazione che Alexander non si era del tutto aspettato quell’atteggiamento di pura indifferenza da parte di Callie. E, sempre con crescente soddisfazione, notò gli sguardi sfuggenti che lui di tanto in tanto le rivolgeva durante tutta la serata. Per il resto, il damerino si comportava come se nulla fosse e, con il solito sorriso artificioso, si godeva il ricevimento da vero beniamino della Buona Società.

Linda vide che Callie non sembrava essersi accorta degli sguardi di lui ed avrebbe detto che fosse una delle signorine più felici del ballo se il modo in cui rideva, un po’forzatamente, e la presa stretta convulsamente sul bicchiere non avessero tradito una certa tensione.

La ragazza bionda era intenta a farsi aria con il ventaglio, mentre osservava l’amica che ballava soavemente per il salone, quando una voce acuta le penetrò l’orecchio.

“Giusto Cielo! Ma non era stato trattenuto in America per affari?”

“Che dite, cara?! Come potete non sapere che ormai è qui a Londra da una settimana? Non l’avete forse veduto ieri, al pranzo dei Garderet?”

Linda diede attenzione alle due signorine al suo fianco che, tutte agitate, parlottavano fissando insistentemente un punto indefinito tra la folla. Si chiese di chi stessero parlando.

“Sarà pure uno dei migliori amici del signor Alexander…”pigolò una “…ma secondo me fra lui e il signor Cecil Price non c’è margine di paragone!”

“Ben detto amica mia!” assentì l’altra.

Linda seguì con gli occhi lo sguardo delle due donne e non fece fatica ad individuare l’uomo di cui parlavano in mezzo alla folla: Cecil Price era una persona alta e molto magra e, al contrario dell’amico Alexander, i capelli erano biondissimi e lunghi, tenuti legati da una morbida e bassa coda. Gli occhi castano chiaro brillavano calmi e tranquilli dietro a sottili occhiali cerchiati d’oro.

Ed era sicuramente un dandy ma, diversamente da Alexander e altri, era un eccentrico. Preferiva colori sgargianti nell’abbigliamento e anelli vari si esibivano attorno alle sue dita pallide e sottili, mentre alcuni bracciali facevano bella mostra di sé attorno al suo polso.

Linda era solita ridere di quei personaggi grotteschi che si aggiravano per Londra; ma ora, nel osservare l’alta figura del signor Price, non riusciva proprio a trovare nulla da dire nei suoi confronti. Come poi tutte le altre persone presenti.

Anzi, le signorine sembravano idolatrarlo.

Per qualche coincidenza l’uomo si trovò proprio al fianco della ragazza, mentre chiacchierava serenamente con le due signorine che fino a poco prima avevano parlato di lui. Linda ascoltava di nascosto la conversazione dei tre, gettando qualche occhiata timida di tanto in tanto alla schiena di Cecil, ed ebbe modo di notare quanto fosse misurato e calmo il suo tono di voce.

“Signorina Clayton?”

Linda si voltò verso i tre, sorpresa “Sì?”

“Posso presentarvi il signor Cecil Price? Sapete è appena tornato dal continente Americano!” chiocciò una delle signorine, evidentemente orgogliosa di potersi vantare di quella conoscenza così di spicco in società.

Linda accennò ad un breve inchino. “Piacere…” sussurrò, arrossendo.

L’uomo la squadrò, aggiustandosi gli occhiali sul naso “Il piacere è mio, signorina.”

“Non siate così composto, signor Price! Perché non la invitate a ballare?”

Linda si sentiva studiata a fondo da quegli occhi castani, ma fece leva su tutta la sua volontà per non distogliere lo sguardo. Non si sarebbe mostrata debole davanti ad un uomo.

Mai più…

Osservò con orrore la mano guantata del damerino che si allungava verso di lei “Un’ultima danza prima della fine del ballo?”

Non avrebbe dovuto fidarsi di quell’eccentrico, soprattutto se era amico di Alexander James Norris. Ma Linda diede la colpa alla sua voce gentile e tranquillizzante, ad una sua momentanea distrazione o ad un momento di demenza per il fatto di averla afferrata ed aver accettato la sua proposta.

Brava Linda…ti eri riproposta di non avvicinarti più a  personaggi del genere!

Mentre Callie ha tenuto fede alle sue parole…tu, adesso, che hai combinato?

 

“Voi …vi stavate divertendo?”

“Un altro, Gordon.”

“Ma…signore, questo è il sesto bicchiere…non credete che…”

Alexander fulminò il suo maggiordomo con lo sguardo “Ti consiglio vivamente di tacere e di portarmi direttamente tutta la bottiglia. A meno che tu non voglia essere definitivamente congedato da questa casa ovviamente.”

Il tono gelido del padrone indusse l’anziano servitore a stare, come consigliato, zitto e ad ubbidire velocemente all’ordine. D’altronde sapeva bene di cosa era capace Alexander quando perdeva il controllo, quindi meglio lasciarlo da solo a bere.

Quando Gordon fu di ritorno, con una bottiglia piena in mano, notò che il suo padrone si era tolto la giacca nera e l’aveva buttata malamente sul pavimento, lontano da sé. Se ne stava beatamente seduto sul divano con le gambe appoggiate sul tavolino.

Sospirando, il maggiordomo poggiò la bottiglia sul piano e andò a raccogliere la giacca: il padrone era proprio un uomo impossibile. Erano le sei del mattino e lui ancora non accennava a voler smettere di bere, visto che sicuramente aveva già iniziato al ricevimento dei Thompson, molte ore prima.

“Signore, con il vostro permesso…”

“Vattene.”

A Gordon non rimaneva che inchinarsi e sparire in silenzio.

Alexander, approfittando della solitudine, prese un lungo sorso di liquore direttamente dalla bottiglia. Voleva bere e non pensare a nient’altro. A nessun altro.

Appoggiò la testa corvina all’indietro, sul divano. Gli occhi neri si fissarono sull’alto soffitto del suo salone, in quel momento tremendamente vuoto.

“Dio, quanto mi sento solo.”

“Voi …a volte, avete uno sguardo colmo di tristezza…”

Perché le veniva sempre in mente lei?

 La voleva. Sì, perché non poteva più negare il desiderio di possederla interamente. La signorina Honeycombe era così bella e ingenua. Ed era innocente, pulita. Era tutto ciò che lui non era.

“Sono proprio ubriaco…a pensare certe cose di una donna come tutte le altre.”

Non sarebbe mai riuscito a paragonarla a tutte le altre donne. Mai.

E per tutta la serata dai Thompson, l’aveva trattato con un’indifferenza che faceva quasi invidia. Aveva fatto finta di non conoscerlo con una naturalezza che l’aveva letteralmente lasciato di stucco, perché di certo non se l’era aspettato. Aveva creduto di incontrare due occhi nocciola furiosi e imbarazzati, non freddi e vuoti. Ancora una volta Callie l’aveva stupito.

“L’ho ferita un’altra volta…” pensò, prendendo un altro lungo sorso dalla bottiglia. Si posò una mano sulle labbra  sottili e umide, mentre un sorriso amaro si faceva strada sul suo volto.

Ma anche a me non è costato poco…lei… mi fa agire come uno stupido.

Mi fa sentire veramente un imbecille!

Un fruscio alle sue spalle lo distolse dai suoi poco lucidi pensieri. Voltandosi, inquadrò una figura esile ai piedi della scalinata, coperta solo da un lenzuolo candido.

“Alexander…non venite a letto?”

“No.” rispose seccamente l’interessato.

La giovane donna si fece timidamente avanti, con un sorrisetto poco sicuro stampato in faccia “Perché vi siete rivestito?”

L’uomo si alzò in piedi stancamente, cercando di dominare il giramento di testa folle “Per riaccompagnarvi a casa signorina. Credo che vostra madre, la signora Dotthermoore, sia un poco preoccupata. Avanti, rivestitevi. Guiderò io la carrozza.”

“Ma…ma…” l’imbarazzo e la delusione della signorina furono evidenti. D’altronde sua madre l’aveva fatta andare al ballo dei Thompson proprio per accalappiare il ricco damerino a qualsiasi costo.  E invece era stato lui ad accalappiare lei al ricevimento.

“Siete ubriaco!” concluse la ragazza con voce incrinata.

Alexander si posò un dito sulle labbra con espressione sorpresa “Oh! Avete proprio ragione! In questo caso…Gordon!”

Il maggiordomo preferito del giovane, sempre a disposizione e reperibile, comparve dal corridoio con aria stanca. Anche se aveva una propria opinione sulla scena di fronte a lui, non lo diede a vedere “Sì, signore?”

“Per favore, accompagnate questa signorina a casa. Dopo che si sarà rivestita ovviamente…” ordinò Alexander Norris ributtandosi stancamente sul divano, con un sorriso artificioso stampato in volto.

Callie…dormirai in questo momento?

 

Il buio l’avvolgeva completamente. Nessun rumore veniva disturbarla, a parte qualche carrozza che passava in lontananza. Gli occhi nocciola di Callie brillavano nell’oscurità: era perfettamente sveglia.

Cosa starà facendo?

La ragazza si strinse al cuscino con forza, mentre i capelli castani si spargevano sulle lenzuola come lunghe macchie d’inchiostro. Sospirò: era stata brava ad ignorarlo durante il ricevimento. Persino lui ne era rimasto stupito. Ripensò alla soddisfazione provata di fronte alla sua espressione sbalordita, nascosta prontamente dalla solita facciata elegante e studiata.

Non l’aveva più guardata per tutta la sera.

“Meglio così!” pensò Callie con decisione “Infatti mi sono divertita moltissimo senza la sua presenza intorno!”

“Posso baciarvi?”

Sentì di stare arrossendo. Se era brava a fingere indifferenza davanti alla società intera, di fronte a suo padre e ai suoi amici, durante la notte non era altrettanto capace di scacciare quei scomodi pensieri. Se ne stava ad occhi aperti, avvolta dal buio crescente e solo i respiri di Linda, al suo fianco, la riuscivano a rasserenare un poco.

Si sentiva meno sola.

…con ragazze giovani e ingenue…

“Proprio così!”

E pensare che si era persino scusata! Che si era data la pena di preoccuparsi per lui!  Come al solito era stata una perfetta sciocca, perché sapeva fin dall’inizio che non poteva fidarsi di quell’individuo.

Ma ovviamente lei c’era cascata comunque.

“Io odio quell’uomo!”

“Però…” si chiese, portando le esili gambe più vicine al corpo “ …mi chiedo chi abbia perso di così importante. Alla fine, anche lui si porta dentro una ferita difficile da rimarginare….”

Potevano anche essere tutte congetture. D’altronde Alexander James Norris era pur sempre un uomo borioso a cui non importava nulla al di fuori di sé stesso e delle sue questioni personali. E men che meno badava ai sentimenti altrui.

Sin da principio, potrei dire dal primo momento che l’ho conosciuta, i suoi modi mi hanno rivelato tutta la sua superbia, orgoglio ed egoistico disdegno dei sentimenti altrui…*

“Elizabeth, Elizabeth…” pensò ironicamente chiudendo gli occhi “Aiutami tu!”

Si sentiva molto stanca. E aveva un desiderio ardente di tornare in campagna, a casa. Ma, purtroppo, la Season era ancora lungi dal terminare. Mancava parecchio tempo.

Prima di addormentarsi una scomoda immagine le si infiltrò prepotentemente nella testa: Linda che ballava, tutta rossa in viso, con uno strano damerino biondo. Fra l’altro amico di quell’uomo detestabile che era, ormai, la sua rovina.

Temo che i guai siano appena iniziati.

 

 

* Orgoglio e pregiudizio, cap. XXXIV

Chiedo scusa se questo capitolo risulterà più corto degli altri! Prometto che il prossimo sarà più ricco!! A presto!

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Capitolo 7
*** Settimo. Verità. ***


Here again! Tornata con un nuovo e, sfortunatamente per voi, ricco e lungo capitolo! Con questo ci avviciniamo alla vera svolta nelle vite di Alexander e Callie! Chissà, chissà se i sentimenti di questi due riusciranno finalmente a comprendersi? Come in un vero e proprio romanzetto di serie ‘B’ per ora ci stanno solo girando intorno!

Era scontato, no? :)

 Un mega bacio a tutti e a presto!

 

Sweet Pink

 

 

 

 

 

 

 

A Londra, si sapeva, la vita di società scorreva veloce come un fiume in piena. Durante la Stagione poi, il viavai di gente cresceva enormemente e gli eventi, come i concerti, i balli, il teatro o semplici inviti a pranzi e cene privati erano all’ordine del giorno. Se si era fortunati non si aveva l’occasione di passare neanche una sera in casa propria.

E alla signorina Honeycombe questo fatto andava  più che bene: era sempre stata un’amante della vita di società, come la madre, e non riusciva proprio a lasciarsi sfuggire un’occasione di divertimento. Era presente alle serate musicali, a teatro, da brava sostenitrice della musica qual era; partecipava con gioia a molti ricevimenti, vista la sua passione per il ballo e le chiacchiere; ed era la benvenuta nei salotti di molte famiglie londinesi, felici di avere come conoscente una così graziosa  e vivace ragazza.

Ovviamente non era lontanamente popolare come le signorine Thompson o sotto i riflettori come la signorina Duval, ma Callie di certo non ambiva a farsi seguire dall’occhio attento e capriccioso della Buona Società. Le era bastato osservare Alexander, che era il fiore all’occhiello di Londra insieme a tutti i suoi particolari amici. Sapeva essere sempre sagace e di spirito, qualche volta sfacciato, ma mai volgare. Era elegante e tutti i suoi modi, così studiati, non facevano che aumentare l’ammirazione dei signori e delle signore nei suoi confronti. E infine era un bel uomo, pure ricco. Chi l’avrebbe mai buttato giù dal suo piedistallo?

Callie l’aveva rincontrato in altre due o tre occasioni e, sempre facendo finta di non conoscerlo, non era riuscita ad impedirsi di osservarlo un poco da lontano. Gli occhi di tutti erano puntati su di lui e sui suoi amici: dai vestiti, alle schermaglie d’amore, a cosa avevano mangiato a colazione.

L’aveva trovato spesso in compagnia di ragazze diverse, ma aveva sentito pochissime voci biasimare il suo atteggiamento così sfacciato. E questo un poco le faceva rabbia.

“Egli è di certo libero di frequentare tutte le ragazze che vuole! È il principio che mi infastidisce!” si diceva lei, per convincersi che quel sentimento doloroso alla bocca dello stomaco non era gelosia.

Callie aveva avuto poi la sfortuna di incrociarlo un pomeriggio al parco: si stava godendo una passeggiata al fianco di Roy Carter, un suo amico di Londra, che era stata affiancata da una grande carrozza scoperta.

Alzando lo sguardo aveva subito inquadrato la magra figura della signorina Duval e quella alta di Alexander James Norris, alle redini di due bellissimi cavalli neri. L’uomo aveva posato per un infinito momento lo sguardo buio sul giovane accanto a Callie, prima di togliersi il capello a cilindro e salutare, con una certa freddezza nelle parole.

La ragazza castana si era inchinata, arrossendo. Come aveva immaginato, era stata la signorina Duval a volersi fermare a salutarli e non lui. D’altronde, ormai si evitavano in continuazione.

 

“Non so se questo potrà giovarvi a lungo….”

L’affermazione di Linda fece alzare gli occhi stupiti di Callie dal libro che era intenta a leggere “A che vi riferite? Parola mia, a volte sapete essere molto misteriosa!”

L’amica si girò verso di lei, portandosi lontano dalla finestra, picchiettata da una pioggerellina leggera. Il suo sguardo azzurro era un poco imbarazzato “Forse avrei dovuto dirvelo un po’prima, ma corre voce in giro che voi teniate troppo contegno nei confronti del giovane Norris e questo non giovi alla vostra reputazione in società…”

“Cosa?!”

“Vi assicuro che è la pura verità. Temo che in giro cominci a formarsi la convinzione che il modo freddo con cui trattate il signor Alexander vi faccia passare per una contadinotta poco educata.”

Callie spalancò la bocca, sbalordita  “Non ci posso credere! Io maleducata! Se solo si prendessero la briga di farsi un esame di coscienza!”

Linda si premurò di mettere a tacere i bollenti spiriti di Callie, che ora si era alzata e camminava impaziente per la stanza. “Non è ancora cosa affermata, ma è solo un brusio che fa capolino qua e là…non dovete darvi tanta pena!” fece la bionda, inseguendola in lungo e in largo per la camera.

Callie si fermò di botto “Quindi che dovrei fare?!” fece con aria ironica “Immagino che per non farmi distruggere dalla Buona Società io debba omologarmi a tutte le sue fanatiche signorine?! Neanche morta!” urlò infine.

Linda alzò gli occhi al cielo: quando si parlava di Alexander James Norris, l’amica perdeva il controllo. E ancora si ostinava a negare i sentimenti che provava nei suoi confronti.
”Io odio quell’uomo!”

Sapeva che non era vero, perché Callie era profondamente ferita. Ma non era Alexander che lei odiava, anche se le ricordava tanto il passato. La persona che veramente detestava era sempre e solo una, malgrado gli anni passati. Il giovane signor Norris era colui che aveva risvegliato il sentimento e i ricordi in Callie, un sentimento che le faceva male.

Bruciava e si stava pian piano consumando…

E Linda era quasi convinta che anche per l’uomo fosse lo stesso. Anche se erano lontani come non mai in quel momento. “Inutile. Callie si è arresa, non vuole più sapere né cercare di comprendere nulla di quell’individuo...”

La voce rassegnata della ragazza castana le giunse alle orecchie “Vorrà dire che dovrò cercare di essere un po’più finta con lui. Lo saluterò, cercherò di essere un po’più sorridente quando lo incontreremo…ma nulla più di questo.”

Linda le prese le mani “Non deve essere niente più di questo! Poi, qui ci sono io! Potete sempre contare sulla mia amicizia…”

“Ci sarò sempre io accanto a voi, qualsiasi cosa accada!”

Callie guardò i suoi occhi azzurri e fu invasa da un gran senso di tenerezza. Sorrise all’amica e l’abbracciò stretta “Non saprei come fare senza di voi, amica mia! A voi e alla vostra saggezza!”

La sentì ridere divertita. Socchiuse gli occhi, mentre il sorriso spariva dalle sue belle labbra.

Alexander…me l’hai fatta un’altra volta.

Poiché la tua fama può distruggere la mia reputazione nella società in pochi minuti.

Non odi anche tu essere così egoisticamente amato e ammirato?

Io ne sarei disgustata.

 

Callie era impegnata in una fitta conversazione con Linda, Margareth e altre due o tre signorine, riguardante il suo libro preferito. A fare da sfondo alle sue argomentazioni, il pianoforte strimpellato un po’maldestramente dalla signorina Duval, padrona della serata e della casa presso cui si era riunita metà Londra.

“Difenderò sempre e comunque Orgoglio e Pregiudizio, fino alla mia morte!” asserì Callie sorridente “Emma, purtroppo, non sono riuscita ad apprezzarlo fino in fondo!”

Fiona Thompson intervenne indignata “Che mi tocca sentire! È  il mio preferito senza dubbio alcuno! Come ha fatto a non piacerle?”

“Non dico che non mi sia piaciuto! Ma la figura di Eliza è insuperabile ai miei occhi!”

La voce intimidita di Margareth coprì il verso di disapprovazione di Fiona “E le due sorelle Dashwood? Ragione e sentimento?! Io…io preferisco di gran lunga loro due!”

A questo punto le varie opinioni si sovrapponevano le une con le altre e il cicaleccio delle ragazze era diventato alto e fastidioso. Linda, l’unica in silenzio, sospirò: era evidente che ognuna aveva idee molto diverse. Anche se il punto focale era che nessuno sapesse il vero nome dell’autrice di quei meravigliosi libri.

“Secondo voi ne scriverà altri?”

“Speriamo proprio!”

“Deve essere così!”

Per quanto le ragazze potessero essere impegnate in una lunga discussione, una sola frase bastò a ridurle al silenzio e all’attenzione.

“Oh! Signor Alexander ve ne prego, suonate qualcosa!” aveva esclamato la signorina Duval, con il suo trascinato accento francese. Aveva smesso di suonare e ora aveva preso a braccetto il giovane Norris che scuoteva la testa corvina, sorridente. “Non costringetemi, sapete che non suono che poche volte!”

Fiona Thompson, che conosceva sicuramente molto meglio Alexander della signorina Duval, si portò davanti ai due “Avanti, amico mio! Suonate veramente poco, ma così magnificamente bene!”

L’uomo si inchinò un poco di fronte alla donna che si era portata ora vicino a lui. Altri si unirono al coro dei ‘Vi prego suonate!’ e così Alexander non ebbe più vie di fuga. Si avvicinò al pianoforte e, sospirando rassegnato, disse “Solo per pochi minuti...”

“Oh, perché dovete fare così tante storie?” si lamentò la signorina Duval, nascondendosi leziosamente dietro al ventaglio colorato “Ora che so quanto siete bravo, sono ancora più curiosa di sentirvi suonare!”

Callie osservava il capannello che si era formato vicino alla figura alta dell’uomo. Quando l’aveva incontrato all’ingresso, ore prima, si erano di nuovo rivolti la parola dopo quell’incidente spiacevole. Niente di rilevante, ma erano bastati due saluti di pura e formale cortesia per farla sentire bene. Non avrebbe dovuto essere così: era solo perché la formalità glielo richiedeva che gli aveva rivolto la parola.

Però, in quel momento, si era sentita arrossire sotto il suo sguardo un po’stupito ed era stata stranamente contenta delle parole gentili che lui le aveva dedicato.

Io odio quell’uomo!

Callie si portò una mano sulle labbra rosee “Ad ogni modo…non posso perdonare il suo comportamento. Dall’inizio alla fine!”

La voce di Jane Thompson, cugina delle due sorelle più popolari di Londra, interruppe i suoi pensieri “Sapete perché il signor Alexander non suona quasi mai?”

Callie si voltò verso di lei, interessata “No, ma vedete, io non so quasi nulla di quel signore…”

Ed era così vero…

Perché sentiva quel impellente bisogno di capirlo? Di sapere?

“Beh, allora sarò io a dirvelo!” sussurrò la giovane sporgendosi verso di lei “Non è cosa certa, ma Fiona mi ha confidato ch’egli soleva suonare il piano praticamente ogni giorno. S’intende che parliamo ancora di parecchi anni fa, quando il signor Alexander viveva e studiava in Portogallo. Ma poi pare che sia accaduto qualcosa e ch’egli abbia giurato di non suonare mai più nemmeno una nota…mi chiedo che possa essere accaduto! E voi?”

“E sembra di impazzire poiché non si può dimenticare un dolore così grande…no, non è possibile. Ci si rassegna solo, alla fine.”

Callie rispose un vago ‘Non saprei ’ e posò lo sguardo sull’uomo con un sottile senso d’ansia: allora era vero. Era proprio come aveva immaginato. Una tragica perdita aveva segnato la vita di quell’assurdo damerino…si chiese ancora una volta di chi potesse trattarsi.

Una donna?

Le sue mani si strinsero istintivamente sul vestito “Perché mi sento così triste per lui?” pensò, non accorgendosi subito di avere gli occhi neri di Alexander James Norris puntati su di lei. Era così presa dalle sue preoccupazioni che non si era minimamente resa conto di avere uno sguardo un po’ malinconico puntato addosso. Si sentì arrossire: la guardava ancora con uno sguardo estremamente triste.

Ma fu un momento. Alexander si voltò verso il pianoforte e, osservandolo come se non sapesse bene cosa fare, cominciò a suonare. Se l’inizio era stato un poco incerto, dopo poco le sue mani si muovevano leggere sulla tastiera, come se stesse sfiorando i tasti. A Callie sembrava che non avesse fatto altro per tutta la vita se non suonare.

Accompagnava quella melodia meravigliosa con un’espressione serena, un sorriso a fior di labbra, un vero sorriso di tranquillità….e la ragazza non poté far a meno di esser completamente assorbita da quelle note, forse le stesse che aveva suonato per quella donna.

E quando la musica finì, si ritrovò ad applaudire con tutti gli altri; un sorriso che le sfuggiva dalle labbra “ Sembra incredibile che una persona tremenda come voi possa produrre qualcosa di così bello…” pensò, guardandolo alzarsi e gustarsi tutti i complimenti della cerchia che gli stava attorno.

“Bethoveen…” fece Linda, al suo fianco.

Callie annuì “ Sì, Moonlight sonata….eseguita perfettamente.”

“Come fate a dirlo? Non vi intendete moltissimo di musica!” la prese in giro l’amica ridendo.

“Per me era perfetta.” sussurrò la ragazza castana, gli occhi ancora puntati su Alexander e l’espressione pensosa.

Linda aprì la bocca, forse per dire qualcosa, ma fu chiamata da Margareth, e dovette quindi tacere la sua opinione in merito all’esecuzione del giovane Norris.

Callie era ancora immobile. Ora l’uomo se ne stava trincerato dietro ai soliti modi artificiosi e, con un sorriso soddisfatto sulle labbra, ascoltava le lodi di una signorina Duval più che sognante.

 “Che individuo impossibile….però, per un momento, è come se avessi intravisto la vostra anima, signor Alexander….ed è molto triste e malinconica. Quasi come la mia.”

Come se avesse potuto sentire i pensieri della ragazza, Alexander si voltò verso di lei perforando i suoi occhi nocciola con uno sguardo serio e calmo. Callie, sentendosi arrossire come un peperone, gli sorrise e si voltò di scatto, avviandosi velocemente nel salone adibito alle danze.

Si sentiva così in imbarazzo! Le sembrava ancora una volta di starsi impicciando nei suoi affari personali, come se non potesse farne a meno…proprio come una ragazzina ficcanaso.

Attraversò il piccolo corridoio che portava alla grande sala. Era quasi sulla soglia che la sua ‘corsa’ fu letteralmente bloccata da una stretta ferma ma gentile sul suo braccio scoperto. Voltandosi, ebbe la sorpresa di trovarsi di fronte ad Alexander e ritornò subito alla mente a quel giorno, nel giardino di casa sua.

“Lasciatemi il braccio…mi state facendo male!”

Ma ora non la stringeva affatto e, anzi, la stava osservando con uno sguardo stupito, come se nemmeno lui capisse cosa l’avesse indotto ad inseguirla e a fermarla in quella maniera.

“Signorina…signorina…”

Il suo tono era incerto, sembrava che non sapesse bene cosa dirle. E Callie, con il cuore in gola, non riusciva a muovere un solo muscolo: era in attesa delle sue parole. Forse finalmente le avrebbe spiegato, le avrebbe rivelato il mistero dietro al suo carattere indecifrabile, a quella meravigliosa musica di prima. L’avrebbe aiutata a capire.

“Io…” iniziò “…volevo solo…”

“Buonasera, Callie.”

Quella voce.

La ragazza e Alexander si voltarono verso la persona che aveva parlato. Callie si sentì ghiacciare: dopo anni di silenzio, anni passati a rimarginare la ferita e a vergognarsi di sé stessa, dopo anni di odio e rancore, lui era lì, di fronte a lei. Capì di non riuscire a muoversi né a parlare.

L’uomo sorrise e fece un breve inchino galante ad Alexander “Permettetemi di presentarmi, sono Henry William Bell…amico di vecchia data della signorina Honeycombe.”

Amico di vecchia data…era impossibile…

Sentì che Alexander rispondeva vagamente alla presentazione, mentre lei non riusciva a fare niente di meglio che starsene lì impalata a fissare quell’uomo comparso direttamente dal suo passato. Era affascinante come un tempo: lo stesso abbigliamento costoso, lo stesso sorriso artificioso e galante, gli stessi occhi azzurri che sembravano leggere la mente. Ci sarebbe stato quasi da ridere.

Sentì gli occhi neri di Alexander su di sé: la fissava preoccupato.

“Callie…” fece suadente Henry “ Posso presentarti mia moglie Paula?”

Sua moglie…

Doveva assolutamente andarsene via da lì.  Doveva scappare via.

 “S…sì, certamente…ma ora…” cominciò a balbettare “…devo proprio andare…sapete, ho sentito …che la signorina Thompson…sì, lei mi stava cercando urgentemente. Lieta di averla rivista, signore.” e s’impegnò per far trasparire più disprezzo possibile in quell’ultima parola.

Cercò di scansarlo, lasciandolo solo con Alexander poiché non dubitava che quei due sarebbero andati sicuramente d’accordo. Ma ovviamente lui le si parò davanti, bloccandole la sua unica via di fuga, cosa che era poi tipicamente da signor Bell.

Quante volte l’aveva fatto?

Tante, troppe.

“Ma come?” le sussurrò l’uomo “Non mi vedi da anni e, dopo tutto ciò che abbiamo condiviso, non vuoi parlarmi neanche un po’? Mi deludi Callie…avanti, almeno concedimi un ballo. Ti piace danzare, se non ricordo male.”

Callie spalancò gli occhi, inorridita. 

Come si permetteva di darle ancora del tu?

“Mi deludi, Callie…”

Notò che si stava per sporgere verso di lei, ma un braccio teso si intromise veloce nel suo campo visivo. Callie guardò perplessa Alexander James Norris che si portava davanti a lei, nascondendola alla vista del signor Henry.

“Mi spiace, ma questo è impossibile. La signorina Honeycombe stasera è con me. Gradirei, inoltre, che non si rivolgesse più a lei con questo tono, se non vi dispiace.”

La ragazza non poteva vedere gli occhi taglienti dell’uomo, ma le bastò sentire il tono freddo di Alexander per capire quanto fosse furioso. Abbassò gli occhi sulle sue scarpette verdi, arrossendo furiosamente: la stava proteggendo?

“Capisco…” rispose lentamente Henry Bell dopo un lungo momento “ …ho sentito parlare molto di voi, signor Norris. Si dice che abbiate la società londinese in pugno…siete degno erede di vostro padre David, sapete?”

Il tono irrisorio con cui era stata pronunciata l’ultima frase indicava che non si trattava affatto di un complimento, ma la voce di Alexander rimase comunque fredda e calma “Ne sono onorato, signore. E ora, se volete scusarci noi andremmo…buona serata.”

Prese Callie per il polso, mentre questa guardava imbambolata la scena, incredula che il signor Norris Junior la stesse difendendo come un vero gentiluomo, e la trascinò lontano da lì, all’interno del salone.

“Arrivederci Callie” soffiò Henry, ormai solo.

 

Vi era così tanta calma ora: si sentiva completamente vuota. Fino a pochi momenti prima le era sembrato di soffocare, tanto il passato la stava  inghiottendo. Tanto il cuore sembrava essersi fermato e aveva così sconnesso ogni nervo del suo corpo, gettandosi in balia dei ricordi. Ricordi resi reali dalla presenza di quell’uomo che ormai da anni non aveva più rivisto. L’aveva trattata come se non fosse mai accaduto nulla, come se quattro anni non fossero mai passati.

Ma in quel preciso istante, con le voci e la musica che le giungevano smorzate, come lontanissime, e la brezza notturna che le muoveva un poco le ciocche di capelli sfuggite dall’acconciatura, era perfettamente tranquilla. Respirò a fondo, godendosi quel momento di pace: sapeva che non sarebbe durato molto.

“Vi sentite meglio?”

Callie si voltò verso l’uomo al suo fianco: si era completamente scordata della sua presenza. Alexander James Norris se ne stava appoggiato al muro bianco a braccia incrociate e la osservava con aria seria e concentrata, ignorando completamente i capelli corvini che, mossi dal vento, gli ondeggiavano continuamente sopra gli occhi.

“Si dice che abbiate la società londinese in pugno.”

Callie riposò lo sguardo sul panorama di fronte a lei. Non che fosse interessante, solo comignoli di case lontane, ma non aveva proprio voglia di incontrare quegli occhi neri “Sapete…” cominciò “...vi sono andata incontro per salutarvi, poche ore fa, solo perché girano strane voci sulla mia educazione. Sembra che la vostra fama possa distruggere anche la reputazione di una campagnola come me, signore. Per quanto possa io averne!”

Alexander sospirò e, con un sorrisetto saccente disse “L’avevo immaginato. E, credetemi, ne sono veramente dispiaciuto….”

“Bugiardo.” sussurrò Callie sorridendo anch’essa in maniera alquanto ironica “State perdendo la vostra sorprendente abilità di fingere, sapete?”

“Da quando ho incontrato voi, probabilmente….”

“Non posso più guardare nessun altra da quando ho conosciuto te.”

L’uomo scosse la testa, scacciando quel ricordo scomodo.

Fissò la figura esile della ragazza castana che si stagliava di fronte a lui, illuminata da una pallida luna e dalle poche candele posate qua e là sul pavimento dell’ampio balcone. I suoi occhi nocciola erano persi lontano e Alexander per un secondo pensò che non fosse veramente lì con lui, ma in un altro tempo, nel passato. Gli venne anche in mente che quella situazione li rispecchiava perfettamente: Callie sempre nella luce, poiché nemmeno la sofferenza in lei era nascosta; e lui invece nell’oscurità intento ad osservare.

Così, visto che la signorina Honeycombe non sembrava intenzionata a spezzare in alcun modo il silenzio che si era creato e nemmeno a guardarlo in faccia, chiese “Cos’è successo?”

Callie si voltò perplessa verso il cono d’ombra dove si trovava il damerino “Cosa?”

“Lo sapete benissimo, signorina…con quell’uomo, intendo.”

La ragazza ebbe un sussulto agitato. Di certo non avrebbe dovuto dirgli nulla, d’altronde non solo erano affari suoi personali, lui era praticamente uno sconosciuto e lei lo detestava; ma Callie sentì d’aver paura del suo giudizio. Però poi si ritrovo lei stessa a dire, con voce incerta “ Tanti anni fa…soggiornò per un anno presso la nostra zona…è lì che mi ha corteggiata.”

“Eravate innamorata di lui?”

L’uomo non toglieva gli occhi da lei nemmeno per un secondo. Il tono delle sue parole era calmo ma leggermente freddo e Callie si chiese il perché. Come si domandava il senso di quella sua domanda. Era semplicemente assurdo!

Abbassò gli occhi, arrossendo “Sì… Per mesi pensai di essere ufficialmente impegnata con lui. Avreste dovuto vedere la felicità di mio padre, di tutti i miei conoscenti! E poi lui era perfetto! I suoi modi così galanti, il suo rango, la sua sagacia, il suo abbigliamento così elegante e costoso! Tutti mi dissero che era il partito perfetto e anche io ovviamente lo credevo!”

Si accorse di stare quasi urlando e quindi tacque, imbarazzata. Dall’ombra Alexander la fissava attentamente, ancora in silenzio.

“ Ovviamente  ti ho corteggiata…ma non sei mai stata di certo l’unica. Stai cominciando ad annoiarmi, Callie.”

“Finché…” ricominciò piano lei fissando il pavimento “…non mi accorsi che qualcosa non andava. Si scoprì che il mio promesso sposo mi aveva raggirata poiché frequentava altre donne, tra cui la ricchissima ereditiera che ora è diventata la sua cara moglie devota. Oh, vi erano stati dei segnali, ma io non vi avevo dato peso perché, sapete, l’amavo!” e qui rise aspramente.

“E cosa avete fatto quando avete scoperto chi fosse realmente?” chiese la voce seria dell’uomo al suo fianco.

Callie alzò le spalle “ Mi misi in testa che tutto poteva essere sistemato, che magari mi amava davvero. Solo me e nessun altra. Lo supplicai, lo pregai in ginocchio…perché non se ne andasse. Ma quando vidi che davvero era solo stata un gioco buttato via, che lui non sarebbe mai rimasto…allora mi infuriai e lo raggiunsi a casa sua prima della partenza. Lo accusai, tutto il mio rancore represso esplose.”

“Tu mi hai sporcata! Avevi giurato di amarmi e invece mi hai solo usata! Io ti odio!”

Alexander era stato immobile tutto il tempo ad osservare i cambiamenti d’animo di Callie durante il suo racconto: prima strillava, in preda alla rabbia, mentre ora stava tremando. Capì che doveva essere accaduto qualcos’altro. Normalmente, non avrebbe dovuto importargliene nulla; mai si faceva coinvolgere dai sentimenti altrui, mai gli era importato veramente qualcosa delle donne che frequentava. Ma con la signorina Honeycombe sembrava andare tutto a rovescio, malgrado i suoi numerosi sforzi.

Quella sciocca ragazzina ha troppo potere su di me…

“E lui cosa fece?”

Callie si voltò verso di il signor Alexander. L’uomo la guardava ancora con quell’espressione seria e imperscrutabile di prima. Si chiese cosa stesse pensando in quel momento e se la paura che lei aveva provato nel rivivere quei momenti raccontandoli fosse penetrata un poco anche nel suo animo insensibile.

Tremò violentemente.

“Mi picchiò per mettermi a tacere.”

Callie sorrise leggermente vedendo Alexander staccarsi istintivamente dal muro e lasciar cadere la sua facciata di ghiaccio, l’espressione sorpresa ora stampata sul volto delicato.

Capite ora, perché non riuscirò mai a fidarmi di voi, signor Alexander?

Così brillante all’esteriore, mentre dentro siete pieno di egoismo corrotto…siete buio.

Devo trovare il coraggio di voltarvi le spalle e andarmene. Di non guardarvi più.

“Io non sono come quell’uomo.”

La ragazza castana spalancò gli occhi sorpresa. Guardò il damerino portarsi lentamente fuori dall’ombra, esattamente davanti a lei. La luce illuminava i suoi occhi neri e Callie capì dal suo sguardo serio che non stava affatto scherzando.

Qualcosa cominciò ad agitarsi dentro di lei.

Vedendo la sua figura così vicina, voltò la testa e puntò una mano sul petto dell’uomo cercando in qualche modo di mettere distanza fra il suo corpo e quello di lui. Di ricostruire quel muro andato in pezzi troppe volte.  “Non dite così…non ditemi così, per favore!” sussurrò.

Perché doveva rendere tutto più difficile?

Perché doveva mostrarle un’altra parte di sé proprio in quel momento?

Ora che si era rassegnata a non voler più saper niente di lui.

Alexander non si fece smuovere dalle preghiere della ragazza: Callie le sembrava più indifesa e innocente che mai, piena di luce. E il fatto che cercasse furiosamente di resistere gli dava la giusta forza per andare fino in fondo. La voleva. La desiderava disperatamente.

 Poiché da quando l’aveva conosciuta non faceva che consumarsi, bruciando poco a poco.

Non poteva sopportare che non lo guardasse in faccia, che quei bellissimi occhi nocciola così luminosi non si volessero far macchiare un poco dai suoi. Le prese il volto arrossato fra le mani e la voltò delicatamente, obbligandola a finalmente a guardarlo “Io non vi farei mai del male…”

Callie corrugò un poco le sopracciglia. “ State mentendo….ve l’avevo gia detto in passato: questi modi falsi su di me non hanno alcun effetto.”

Anche perché del male, voi me ne avete già fatto…

“Ora siete voi che mentite…signorina Honeycombe, siete una piccola bugiarda, sapete?” fece lui sfoderando un sorrisetto divertito che rese il suo viso, a parere della ragazza, ancora più irresistibile.

Come al solito, le mani fresche di lui sembravano lasciare un marchio invisibile sulle sue guance arrossate e Callie sentì il solito bisogno di fuggire mescolato al desiderio di rimanere inchiodata lì.

Ma poi l’uomo tolse la sua presa su di lei delicatamente e le poggiò una mano sulla spalla “Ora vi sentite meglio?”

A parte il rossore che rischiava di farla assomigliare ad una ciliegia e il fatto di esser prossima ad un infarto; Callie era pronta ad ammettere di sentirsi più sollevata, svuotata da quella confessione fatta non solo ad una persona estranea, ma a quell’uomo impossibile che diceva di detestare.

“Eppure anche prima, è stato lui a salvarmi dal passato e portarmi qui…” pensò la ragazza, per poi rivolgere un incerto sorriso grato ad Alexander e dire “Sì, sfogarmi con voi, anche se inaspettato, mi ha aiutata…lo devo proprio ammettere!”

Ma questo non implica che ora io mi fidi di voi…

…però un poco siete migliorato ai miei occhi signor Alexander James Norris.

“Temo che dovremo tornare dentro.” asserì lui voltandosi verso l’interno di casa Duval e togliendo la mano dalla spalla di Callie “Le vostre amiche si staranno chiedendo dove siete finita e tutto il resto degli invitati starà di certo parlando della mia scomparsa!”

La ragazza castana cercò di reprimere un risolino divertito e disse, in tono forzatamente serio “ Non per me. Credo che prenderò congedo e farò chiamare una carrozza, d’altronde questa serata è stata un po’troppo e mi sento veramente stanca.”

È stato un po’troppo rivedere quell’uomo e confessare tutto a voi.

Sento di dover pensare.

Alexander si voltò verso di lei con lo sguardo pensieroso “Sarò felice di accompagnarvi a casa con la mia carrozza, in questo caso.”

Lei sussultò, sorpresa. “N…non ce n’è veramente bisogno!” balbettò imbarazzata “Poi, di certo la signorina Duval rimarrà molto delusa, come il resto dei presenti,  dalla vostra assenza!”

L’uomo, con un gesto di noncuranza, le rispose indifferente “Non è importante. A me non interessa molto ciò che Londra pensa di me…e in qualsiasi caso nessuno mi biasima mai troppo.”

Callie si morse un labbro e disse in tono severo “Non credo di essere molto d’accordo su questo vostro modo di pensare…è talmente egoistico!”

Ma da quanto tempo aveva smesso di interessarsi a qualcuno che non fosse solo ed esclusivamente sé stesso?

“Immaginavo che mi avreste risposto così.” commentò lui con triste ironia. Lui e quella ragazzina non sarebbero mai riusciti ad andare d’accordo veramente su qualcosa, d’altronde con le parole non riuscivano a fare altro che ferirsi o fraintendersi. Era terribilmente testarda nei suoi confronti.

E questo di lei, gli piaceva.

D’altronde chi si metterà mai in testa di darmi contro?

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Capitolo 8
*** Ottavo. Chiave di volta. ***


Eccomi qua!! Sono tornata finalmente con un nuovo capitolo! Dico finalmente perché è questo il vero capitolo chiave di tutta la storia, da qui tutto comincia a cambiare. E voi direte: oh! Era ora! :)

Oltre ad essere giunti alla svolta, ci stiamo anche avvicinando alla vera e propria fine della storia. Chissà, chissà…

A parte tutto questo, voglio ringraziare coloro che continuano a seguirmi e anche quelli che mi hanno recensito! Continuo a pubblicare con fiducia!

Un bacione!

Sweet pink

 

 

 

 

 

 

Callie alla fine aveva ceduto. Si era lasciata convincere da quell’uomo ad accompagnarla a casa con la sua carrozza. Di certo, non dava molto peso a quello che avrebbe detto la gente, sarebbe stato solo l’ennesimo pettegolezzo che gravitava attorno ad Alexander James Norris, beniamino della Buona Società. Poi, se questo aveva anche l’effetto di smorzare le voci sulla sua maleducazione, tanto di guadagnato.

Questi erano i ragionamenti della ragazza che, mentre aspettava l’arrivo della carrozza, cercava di distrarre la sua mente dall’ansia che le metteva l’idea di stare con quel damerino in uno spazio così ristretto.

Un sorriso timido si affacciò sul suo volto: però…gli era veramente grata per tutto quello che aveva fatto per lei quella sera. Si ricordò il momento in cui si era posto fra lei e il signor Henry, proprio come se volesse difenderla. “In un certo qual modo…” pensò “…è stato coraggioso.”

Callie avrebbe dovuto immaginare, trattandosi di Alexander James Norris, che quel suo piccolo momento di ammirazione sarebbe stato presto o tardi rovinato.

E, forse, per sua fortuna ciò avvenne quasi subito.

Aspettava in un angolo che Alexander e il cocchiere giungessero con la carrozza, quando due signorine le passarono lentamente accanto senza notarla: una era praticamente in lacrime, mentre l’altra la teneva sotto braccio e le tendeva un fazzoletto, consolandola “Avanti, non fate così, amica mia!”

Callie riconobbe il volto bagnato di Clara Dotthermoore ridere in maniera isterica “Avete proprio ragione! D’altronde sono stata io ad accettare di farmi accompagnare a casa, ed è stata la mia vergognosa madre a spingermi alla conquista di quell’uomo pericoloso!”

“Non dite queste parole…cara, sto soffrendo per voi, contenetevi! Sapevate fin dall’inizio che flirtare con Alexander James Norris equivale a giocare col fuoco. Tutta Londra ne è consapevole…quell’uomo non vuole legarsi a nessuno.” fece in tono severo all’amica. Poi si addolcì e aggiunse “Come avete potuto rimanere a casa sua? Siete stata terribilmente avventata, Clara.”

La signorina Dotthermoore esplose in uno scatto di rabbia “ Non è di questo che mi pento! Ma del fatto che oggi non mi abbia praticamente rivolto parola!”

L’amica sospirò, mentre aiutava Clara a salire sulla carrozza “Ora state proprio sragionando, cara mia.”

Il rumore del mezzo che si allontanava lasciò una Callie impietrita da sola nell’atrio. Le parole di Clara Dotthermoore e dell’amica sembravano rimbombarle insistentemente in testa; qualcosa cigolò fastidiosamente dentro di lei. Una sensazione sgradevole, come se si sentisse tradita, come se anche lei avesse una gran voglia di piangere.

“Siete stata terribilmente avventata…”

Già sapeva che Alexander era visto in compagnia di molte signorine, ma la conversazione ascoltata poco prima le aveva lasciato dentro uno strano senso di vuoto doloroso. Sapere di non essere in fondo nulla per lui le faceva male. Si strinse nelle spalle cercando di cacciare quella sensazione di nausea che l’aveva invasa improvvisamente.

“…Sono stata  io ad accettare di farmi accompagnare a casa…”

“Come avete potuto rimanere a casa sua?”

Dunque le cose stavano in questo modo. E, ancora una volta, Callie sentì che avrebbe dovuto aspettarsi un comportamento del genere da lui, poiché non c’era proprio da fidarsi di quell’uomo pericoloso. Cercò di reprimere l’impulso di piangere: perché si ostinava a dargli fiducia? A provare di comprendere cosa si celava dietro i suoi comportamenti? Di decifrare il suo carattere?

Perché tu lo ami. Lo ami e, in fondo, l’hai sempre saputo.

“No!” pensò lei, scacciando con tutte le sue forze quella vocina che sembrava sussurrarle all’orecchio la verità.

Proprio in quel momento una carrozza grande e scura si fermò davanti a lei. Callie ne vide discendere un Alexander James Norris più studiato e artificioso che mai: tutto il contrario dell’uomo serio e comprensivo che le si era mostrato poco prima sul balcone, a cui aveva affidato i suoi ricordi più dolorosi e segreti.

L’uomo si fece da parte per farla passare e, con una fitta di rimpianto mista a panico, Callie si preparò ad entrare nella tana del lupo.

 

Se non fosse stato per il rumore delle ruote e degli zoccoli che calpestavano con forza il selciato, il silenzio in quella cabina sarebbe stato pressoché assoluto. Da quando il signor Alexander James Norris l’aveva aiutata a salire ed erano partiti, non si erano rivolti che poche parole: tentativi di dialogo galanti e artificiosi da parte di lui e risposte fredde e secche da parte di lei avevano infine spento ogni conversazione.

Callie si fissava le mani intrecciate sul grembo insistentemente, ignorando i lievi scossoni della carrozza e tentando di resistere alla tentazione di alzare lo sguardo e posarlo sul finestrino, per controllare che seriamente si stessero dirigendo a casa sua e non a quella di lui.

Rise di sé stessa, nascondendo un sorriso un po’ amaro: quanto era ingenua! Di certo quell’uomo non le trascinava a forza le signorine a recarsi nella sua residenza e rimanervi lì, fino a quando lui non le avrebbe poi trovate noiose. Sapeva bene che Clara Dotthermoore e altre ragazze erano da biasimare quanto lui per quanto riguardava la condotta, ma sentiva comunque che non era affatto giusto accettare e assecondare le attenzioni di tutte solo perché queste gli cadevano ai piedi una dopo l’altra. E poco contavano le ragioni, che andassero dalla sua bellezza al suo patrimonio.

Niente contava se poi dentro era solamente un uomo detestabile che tendeva ad annoiarsi di qualsiasi cosa, tranne che di sé stesso ovviamente.

“Non è importante. A me non interessa molto ciò che Londra pensa di me…e in qualsiasi caso nessuno mi biasima mai troppo.”

Callie strinse la presa sui guanti bianchi che stringeva fra le mani: a che scopo vivere inseguendo un ideale che portava ad avere indifferenza e noia verso tutti? Quale il motivo di ferire così inconsapevolmente, ma nemmeno tanto, altre persone solo per proteggere sé stesso?

Poteva benissimo essere un dandy, un uomo alla moda nella Buona Società, ma il comportamento che aveva tenuto nei suoi confronti era stato così poco nobile, così…assurdo.

E tutto per lei, posso scommetterci.

Nessuna ai suoi occhi è donna, solo quella persona che ora non può più stargli accanto.

La verità è che voi disprezzate tutti…tutti, ma soprattutto voi stesso.

Con il cuore gonfio, Callie portò lo sguardo su Alexander proprio nel momento in cui lui le diceva, in tono indifferente “Guardate, signorina. Ancora pochi metri e saremo davanti a casa vostra.”

Se ne stava appoggiato alla mano guantata in modo galante e il volto era rivolto verso il finestrino, un poco illuminato dalla luce che proveniva a tratti dall’esterno. Gli occhi brillavano lontani tra le ciocche di capelli corvini: erano occhi gelidi.  La ragazza capì che davanti a lei stava l’Alexander di sempre, l’uomo ammirato e seguito da tutta la società londinese, l’uomo che la riteneva nient’altro che una divertente e ingenua provinciale.

“…quell’uomo non vuole legarsi a nessuno.”

Fu troppo per Callie.

Si sporse velocemente un poco fuori dal finestrino e gridò al cocchiere, in tono perentorio “Fermatevi immediatamente!”

Questi, notando bene che la ragazza non ammetteva repliche, tirò le redini. Non appena avvertì che la carrozza era finalmente immobile, Callie afferrò la maniglia e si precipitò fuori dalla vettura. Respirò a fondo l’aria fresca della notte, di quella notte in cui ne erano successe veramente troppe, e cominciò a camminare velocemente verso casa visto che la distanza da percorrere era veramente irrilevante.

Sentì la camminata veloce di Alexander venire verso di lei e non si stupì più di tanto quando lui l’afferrò per un braccio e la costrinse con forza a voltarsi, a guardarlo “Si può sapere che avevate in quella piccola testolina, ragazza?!” fece lui, gridandole praticamente in faccia.

Callie arrossì ma fronteggiò la sua rabbia senza abbassare lo sguardo: d’altronde anche lei si sentiva furiosa. E poco importava se scendere precipitosamente da una carrozza e camminare da sola per strada fosse sconveniente, poiché troppo era il sentimento che bruciava dentro di lei.

Cercò di divincolarsi dalla presa di lui, ma invano. “Dovrei dirlo io a voi, piuttosto!”

“Ma che state dicendo?”

Callie esplose e, fissando quei terribili occhi neri, gli disse con voce rabbiosa “ Dal primo momento in cui vi ho incontrato, vi ho detestato con tutte le mie forze. E , se potevo all’inizio essere in torto, il vostro comportamento mi ha solo confermato tutto ciò che pensavo di voi. Il disdegno che avete per tutti quelli al di fuori di voi stesso, l’indifferenza per i sentimenti altrui, il vostro terribile comportamento mi hanno portato alla ferma convinzione che voi non siate altro se non un uomo orribile e ignobile!”

“Quindi è questo che pensate di me!” la sovrastò lui, strattonandole il braccio “Vi ringrazio davvero! D’altronde niente di quello che io posso aver fatto o detto per voi avrebbe comunque significato qualcosa ai vostri occhi!”

La ragazza rise aspramente e gli rispose ironica “Di certo, perché voi avete fatto davvero molto per me! Siete riuscito a dimostrarmi solo quanto il vostro potere di far star male una persona sia infallibile! E se pensate che il fatto di aver perso una persona a voi cara vi dia la giustificazione per un comportamento simile, siete in torto!”

Callie si portò una mano sulle labbra e sbarrò gli occhi: non avrebbe mai dovuto dire una cosa simile. Ora era lei ad aver superato il limite. Era lei ad essersi rivelata ignobile. Ma il rancore verso quell’uomo sembrava farle perdere ogni padronanza di sé.

Ora sono io ad averlo ferito.

Gli occhi neri di Alexander James Norris sembravano volerla trafiggere tanto lo sguardo che le mostrò era tagliente. Callie tremò spaventata e si chiese cosa ora sarebbe potuto accadere.

“Bene!” esordì lui con forza “Bene…” ripeté poi abbassando la testa corvina e lasciandole lentamente il braccio. Si voltò, così che lei non potesse più vedergli il volto “ Per un momento avevo pensato…avevo sperato…ma le vostre parole sono state fin troppo chiare. Vi auguro la buona notte, signorina Honeycombe.”

Callie, non volendo vederlo andarsene, si voltò a sua volta e si avviò velocemente verso casa sua. Scosse la testa castana: doveva resistere, poiché non poteva proprio piangere. Anche se aveva il cuore gonfio di dolore, se a malapena guardava dove metteva i piedi tanto era confusa. La vista cominciò ad appannarsi terribilmente.

Non devo piangere.

Quando sentì una mano forte prenderla per le spalle e tirarla indietro per un momento aveva pensato e sperato che si trattasse di Alexander. Ma quando, alzando lo sguardo, sentì un terribile odore d’alcool e incrociò gli occhi con un perfetto estraneo si rese conto di essere nei guai. L’uomo le mise una mano davanti alla bocca e cominciò a premere forte. Callie credeva di dover morire, tanto aveva paura.

Lacrime terrorizzate cominciarono a scenderle dalle guance, mentre guardava ad occhi sbarrati quel borseggiatore che ora le strappava i pochi ornamenti che aveva indosso. Si chiese se l’avrebbe lasciata andare incolume.

“Finirà presto, deve finire presto…” pensò lei per calmarsi, il corpo che tremava violentemente.

Si sentì sprofondare nel sentire la sua voce strascicata asserire “Questo non è neanche buono a farmi vivere per una settimana, non è! Allora la piccola mi ripagherà in un altro modo!” e, con suo grande orrore, sentì la mano di lui tentare di infilarsi sotto il suo vestito.

Radunando tutte le forze rimaste, Callie riuscì a spingerlo via e farlo cadere, ma non fece nemmeno in tempo a voltarsi che l’uomo aveva estratto una piccola pistola lucida e gliela stava puntando contro con un ghigno totalmente folle. Tremando, rimase inchiodata lì dov’era: non c’era dubbio, sarebbe morta.

Fu un attimo. Vide una sagoma scura pararsi davanti a lei e un colpo di pistola esploderle nelle orecchie. Aveva chiuso gli occhi di scatto così, quando li riaprì lentamente, trovò di fronte a lei un serissimo Alexander James Norris che, con la pistola ancora puntata davanti a sé, fissava il corpo inerte dell’uomo davanti a loro.

Callie si fece più vicina a lui, il cuore che sembrava volerle uscire letteralmente dal petto. L’aveva salvata, un’altra volta. “L’avete ucciso?”

“Sì.” rispose lui freddamente e senza voltarsi.

La ragazza stava per dire qualcosa quando il gemito di Alexander la ghiacciò lì, sul posto. Lo osservò prendersi il costato e piegarsi in ginocchio, cadere davanti a lei.

Callie, presa dal panico, si inginocchiò davanti a lui e lo prese per una spalla, cercando di sostenerlo. Lui tolse la mano dal fianco e se la portò davanti al viso: era piena di sangue. Sorrise appena “Anche lui ha sparato.”

La ragazza si chiese come potesse scherzare in momento come quello e, cercando di non farsi sopraffare dal terrore, balbettò “Un…un medico! Bisogna chiamare un medico! Dov’è il cocchiere?”

“Sarà qui fra poco, immagino. Era dietro di me poco fa…” ansimò debolmente l’uomo.

Alexander cadde addosso a lei con tutto il suo peso e la ragazza si dovette aggrappare al coraggio e alla forza rimaste per sostenerlo. Lo prese fra le braccia delicatamente e sentì che lui nascondeva la testa nell’incavo del suo collo “…ma se non me la cavassi…andrebbe bene ugualmente. In fondo, me la merito…”

“Non dite così! Cercate di conservare le forze, piuttosto!” gli disse Callie con voce incrinata. Sentiva il fiato di lui sulla pelle e aveva il terrore che smettesse di respirare. Quando vide la figura del cocchiere correre verso di loro con altre due persone al seguito, ringraziò il cielo.

Si piegò su Alexander, che teneva lo sguardo buio davanti a sé. Lo vide sorridere leggermente: era un sorriso amaro e triste “…è colpa mia se è morta. Tutta colpa mia.”

Sentì il cuore stringersi dal dolore e dalla pena.

Non andare da lei, rimani…rimani con me.

Callie non poté fare altro che guardare due uomini forzuti portargli via delicatamente il corpo di Alexander dalle braccia, mentre il cocchiere le metteva sopra le spalle una coperta e le porgeva dei Sali. Si lasciò cadere a sedere sul marciapiede, sostenuta dal braccio del vetturino sopra le spalle.

Ora che non aveva più lui a gravare con il suo peso si sentiva infinitamente vuota, le sembrava che qualcuno le avesse strappato via una parte di sé. Scoppiò a piangere.

Lo ami e, in fondo, l’hai sempre saputo.

 

Da quando in giro si era sparsa la voce che il signor Alexander James Norris l’aveva salvata da un borseggiatore e aveva quasi perso la vita nell’intento, la curiosità nei confronti della signorina Callie Honeycombe da parte della Buona Società era notevolmente aumentata.

Siccome non era possibile recarsi in visita dal beniamino di Londra, il medico aveva assolutamente proibito qualsivoglia contatto che potesse mettere il ferito in stato di agitazione, la folla cittadina si era riversata presso Callie. Sotto le lettere e i visi preoccupati si nascondeva semplicemente l’egoistico scopo di racimolare qualche informazione dalla diretta interessata.

A parte gli amici intimi della famiglia, qualsivoglia scocciatore era ben tenuto lontano da un’agguerrita Fay Tricot seguita dalla sua stregua di domestici.

“Quattro giorni…” pensò Callie, rivolgendo lo sguardo fuori dalla finestra. La vita di Londra alla fine procedeva come sempre, con il solito vivai. La ragazza appoggiò le punta delle dita sul vetro fresco. Avrebbe voluto vederlo.

Ma non poteva. Il giorno dopo il fatto, si era presentata a casa sua, ma secondo il medico Alexander era ancora troppo debole e l’aveva invitata a tornare dopo qualche giorno. Callie aveva lasciato passare quei quattro giorni, ma aveva deciso di ripassare l’indomani. Doveva rivederlo.

Doveva chiedergli scusa e ringraziarlo.

Chiedere perdono per avergli dedicato quelle parole terribili e per essersi messa in quella situazione pericolosa, come una sciocca;  dirgli grazie per averla salvata. Sospirò, appoggiando la fronte contro la finestra: ora riusciva a capire come veramente stavano le cose. Anche se il comportamento di lui fin dall’inizio era stato tremendo, Callie non poteva non ignorare quanto anche lei fosse stata diffidente nei suoi confronti, quanto avesse sempre trattato quell’uomo con un fondo di disprezzo.

“Per un momento avevo pensato…avevo sperato…ma le vostre parole sono state fin troppo chiare.”

Lo ami e, in fondo, l’hai sempre saputo.

Callie si porto le mani al petto, come se potesse arginare la tristezza dentro di lei solo con quel gesto. Socchiuse gli occhi, sentendo le lacrime prossime a cadere dai suoi bei occhi nocciola: sì, l’aveva sempre saputo. Dal momento in cui aveva deciso di stargli lontano, di erigere un muro tra sé e lui, un muro che troppe volte quell’uomo era riuscito a infrangere solo con un gesto e una parola.

Ma ogni volta che lo lasciava cadere in mille pezzi poi lui l’aveva fatta soffrire immensamente.

La ragazza si allontanò dalla finestra e andò a sedere allo scrittoio. Fissò il legno davanti a sé senza in realtà vederlo: l’aveva detestato anche per il semplice fatto di ricordargli il passato,  l’uomo che aveva amato immensamente e che, come ringraziamento, l’aveva picchiata fino a farle perdere la voce:  Henry Bell.

“Mi accusate di fingere…ma io non mi comporto, io  sono così…”

“Posso baciarvi?”

“Io non vi farei mai del male.”

Callie si prese il volto fra le mani, lasciando ai capelli castani il compito di nasconderla. Si detestava, poiché lo sapeva, dentro di sé, che era stata la prima a mentire con sé stessa. Sentiva che lui in qualche modo le stava dando una possibilità, anzi, si stava dando una possibilità...e voleva che Callie l’ascoltasse.

“Per un momento avevo pensato…avevo sperato…”

Ma in quel momento lei non aveva pensato ad altro se non a ferirlo, accecata dalla rabbia e dai suoi stessi sentimenti. E l’aveva messo in pericolo, comportandosi da sciocca. Rivide di fronte a sé l’immagine di lui che cadeva a terra, della sua mano piena di sangue, di quel leggero sorriso.

“…è colpa mia se è morta. Tutta colpa mia.”

Ora le lacrime scendevano libere sulle sue guance scosse dai singhiozzi. Non ci sarebbe stata nessuna possibilità,  perché aveva capito molto bene quanto Alexander James Norris appartenesse ad una sola persona.

Callie pensò che forse non avrebbe più voluto vederla; lei e le sue parole terribili.

Come ho agito bassamente!” esclamò “Io che tenevo tanto al mio discernimento! …sino a oggi non mi ero mai conosciuta!”*

 

Fuori pioveva. Il rumore delicato di quella pioggia fine che bagnava la città contribuiva a rendere il panorama ancora più grigio e sciatto. Cominciava, come suo solito, ad annoiarsi.

Stare a letto per dei giorni interi, quando la sua mente era perfettamente lucida, e non poter fare assolutamente niente lo tediava immensamente. Il medico aveva addirittura proibito che assumesse alcolici. Le sue belle labbra sottili si curvarono leggermente, in una smorfia insoddisfatta.

Distolse lo sguardo dalla finestra e si voltò verso Cecil Price, seduto di fianco al letto, che lo guardava con due occhi castani piuttosto pensierosi. Ad Alexander sembrò che fosse in attesa che lui dicesse qualcosa, così posò nuovamente gli occhi neri sul panorama esterno e disse, con voce piatta “ Lei non si è fatta vedere?”

“No, non è venuta.”

L’uomo sorrise appena ascoltando il tono calmo e contenuto dell’amico “Lo immaginavo. Sicuramente mi odia, anche se le ho salvato la vita.”

“Sono sicuro che le cose non stiano esattamente così, amico mio.” fece l’altro con voce severa “perché non le fate avere un biglietto? Così saprebbe che siete già in grado e ben disposto a riceverla.”

 “Oh! Non metterti così a ridere, Alexander! Se pensi che io sia l’unica, l’unica donna a cui puoi aprire il tuo cuore…”

è quello che ho detto, infatti. Non posso più guardare nessun altra da quando ho conosciuto te.”

“No.” La voce fredda dell’amico stupì Cecil. “Credo che sia meglio non vederla, poiché ha la straordinaria capacità di combinare un guaio dopo l’altro…mi annoia, quella ragazzina.”

Il signor Price sospirò: conosceva da molti anni Alexander e non faceva alcuna fatica a capire quando l’amico si trincerava dietro alla sua solita finta facciata. Guardò con insistenza la chioma corvina e ribelle di lui prima di dire “Mentite, ancora una volta. Se la signorina Honeycombe per voi non rappresenta altro che un elemento di fastidio, perché siete così triste e abbattuto?”

“Voi…a volte, avete uno sguardo colmo di tristezza.”

Alexander trattenne una risata amara. Si portò una mano sugli occhi stancamente “Non è vero. E comunque, io e lei non potremo mai comprenderci…è impossibile!”

L’ultima parola piombò in un silenzio carico di gravità. Poi la voce di Cecil ruppe non solo quel silenzio, ma ebbe anche l’effetto di smuovere l’amico “Forse perché entrambi non avete mai nemmeno fatto un tentativo. Voi l’amate, non è vero?”

Alexander James Norris voltò la testa di scatto: Cecil lo scrutava con aria seria, le mani intrecciate sulle ginocchia. Il moro rivide gli occhi nocciola di Callie davanti a sé, il suo sguardo corrucciato, il suo adorabile rossore che le invadeva le guance, la sua voce testarda. Distolse gli occhi dall’amico, l’espressione sofferente che pian piano si dipingeva sul bel viso scuro.

“Un medico! Un medico presto!”                                                                                                

“Alexander, non c’è più niente da fare…promettimelo…”

“Non dire così…tu non morirai…non dire così!”

“Promettimi… promettimi che non ti fermerai con …con me…andrai avanti…promettilo…”

“Non ti posso promettere questo! Non posso!”

“Laura non avrebbe voluto vedervi così.” continuò serio Cecil Price “Non ancorato al passato, a lei, non avrebbe voluto vedervi tormentato in questo modo. Vi state solo facendo del male.”

“Adesso smettetela.” la voce di Alexander non ammetteva repliche. Non intendeva più ascoltare quelle parole, perché non le meritava. Come Callie non meritava un uomo come lui.

“Quindi, cos’avete intenzione di fare?”

“Domani stesso partirò per il Derbyshire, raggiungerò i miei genitori e passerò là il resto dell’anno, che altro?”

Cecil scosse la testa biondissima sospirando “State solo scappando, amico mio.”

Alexander non gli rispose, ma abbassò la testa lasciando che i capelli corvini gli nascondessero il volto. Le dita delle mani andarono a stringere convulsamente il tessuto della coperta.

No, sto salvando quella ingenua e sciocca ragazza.

Non so veramente se ora lei mi detesta, ma so quanto l’ho fatta soffrire. E quanto lei ha fatto soffrire me.

Perdonami, Callie.

 

Callie fissava l’ampio salone di casa Norris con stupore e ammirazione. La residenza londinese di Alexander non era solo situata in uno dei quartieri più eleganti e ‘alti’ della città, ma era veramente enorme. Non aveva nulla a che vedere con le distinte ma modeste dimore di campagna e superava di gran lunga ogni qualsivoglia residenza cittadina che aveva finora veduto. Pensò, d’altronde, che l’uomo che abitava in quella casa, con un’entrata di quarantamila sterline l’anno, poteva permettersi questo e altro. Non c’era da stupirsi che fosse uno dei partiti più ambiti di Londra e dintorni.

La ragazza non aveva avuto modo di osservare seriamente tutti i particolari della casa durante la sua ultima visita, anche perché aveva incontrato il medico proprio sull’uscio; quindi ora era intenta a contemplare attentamente l’ampio soffitto sopra di lei. Doveva proprio ammettere che il signor Alexander James Norris aveva un gusto per l’arredamento che eguagliava o superava quello del suo abbigliamento elegante e costoso.

“Buongiorno signorina.”

La voce del maggiordomo, che si era avvicinato in silenzio a lei, la riscosse dalla sua contemplazione “Mi presento: Gordon Wallice, maggiordomo personale del signor Alexander. Posso aiutarvi in qualche modo?”

Callie annuì e disse “ Stavo cercando proprio il proprietario, se è per questo. È stato informato della mia visita?”

Il viso un poco rabbuiato e dispiaciuto di Gordon non tranquillizzò Callie, che in realtà non aveva affatto un buon presentimento. E le parole che seguirono, non ebbero altro effetto se non quello di farla sprofondare in una perplessità dolorosa.

“Mi spiace, signorina, ma il mio padrone è partito stamattina presto.”

“Oh!” rispose Callie, con evidente delusione “E…e ha lasciato intendere quando sarà di ritorno?” chiese poi con voce un poco incrinata.

“Non tornerà qui fino all’anno prossimo, credo.”

Callie si sentì impallidire: Alexander voleva evitarla. Era partito per non correre il rischio di trovarsela in casa, in una situazione dove non avrebbe potuto non incontrarla. Si chiese perché avesse dovuto arrivare a tanto e, solo per un momento, si disse che stava scappando.

Mentre poco tempo fa avrebbe gioito di una notizia come quella, ora si sentiva solamente abbandonata e vuota.

No, non ci sarebbe stata nessuna possibilità…

Ancora una volta fu la voce del maggiordomo a riscuoterla dalle sue riflessioni “Signorina, vi sentite bene? Vi prego di sedervi un poco…siete pallida.”

La ragazza guardò l’anziano servitore e scosse la testa, asserendo debolmente “Vi ringrazio, ma preferisco tornare a casa.”

“Scusate la mia impertinenza, ma mi permetto di insistere. Il mio padrone non sarebbe certo fiero di me se sapesse che io, il suo maggiordomo personale, ho congedato una signorina con così malo modo.”

Callie alla fine accettò l’offerta e si disse che almeno avrebbe potuto sedere un momento, perché le tremavano le gambe. Aveva sorriso in maniera un poco ironica alle parole del maggiordomo: dipingevano Alexander come un perfetto gentiluomo, ma era anche normale che Gordon difendesse il suo padrone.

Il servitore la scortò in salotto e la fece sedere su un divano morbido e grande; poi, inchinandosi, le annunciò che sarebbe andato a prenderle qualcosa da bere, per risollevarla un poco. Così Callie si mise ad osservare la grande sala: vi era un viavai continuo di domestici intenti a coprire con lunghi teli bianchi il mobilio e a mettere in grandi bauli vari oggetti che probabilmente sarebbero serviti al proprietario fuori città. Il camino era spento e freddo.

Alla ragazza si strinse il cuore: lui se n’era andato. E non le aveva nemmeno fatto sapere nulla, non le aveva fatto avere nemmeno due righe striminzite. Ora davvero non l’avrebbe rivisto più per molto tempo.  Si appoggiò allo schienale stancamente, con un senso di dolorosa tristezza: sentiva che le sarebbe mancato, anche se avrebbe voluto che non fosse così.

Signor Alexander, voglio rivedervi.

Si ricompose al ritorno di Gordon con un bicchiere di liquore scuro. Egli si scusò, asserendo che in casa era rimasto poco altro. Incominciò a spiegare alla signorina Honeycombe tutti i dettagli del trasloco e di quanto fosse, se le perdonava l’ardire, faticoso per un maggiordomo ormai anziano come lui organizzare uno spostamento così ampio.

Quando lei gli chiese se Alexander avesse intenzione di chiudere la casa, lui le rispose positivamente aggiungendo “ Il mio padrone ha deciso di rimanere alcuni mesi presso i genitori, ma in seguito si sposterà in un’altra delle sue proprietà, situata solo qualche miglio da quella della famiglia. Noi domestici ci trasferiremo subito là, a preparare il suo arrivo.”

Callie annuì pensierosa “Capisco. La Stagione ha ancora qualche settimana dinnanzi a sé, ma anche io e la mia famiglia torneremo presto nell’Hampshire.” O almeno così sperava ardentemente. Aveva bisogno della tranquillità di campagna. Aveva bisogno di casa.

“Dunque…non ditemi…voi siete la signorina Honeycombe?!”

Il tono sorpreso dell’anziano indusse Callie a chiedere “Sì, sono io. Perché me lo chiedete?”

L’uomo si inchinò di fronte a lei “Allora sono sicuro che conosciate tutti i pregi e difetti del mio padrone, quindi non ho difficoltà a dirvi che è stato proprio lui a parlarmi di voi:”

“Seriamente?” chiese Callie con voce più alta del dovuto, in attesa che l’uomo continuasse il suo discorso. Ardeva dalla voglia di sapere cosa il signor Alexander aveva potuto dire di lei.

“In confidenza, più volte l’ho sentito riferirsi a voi come una sciocca ragazzina ingenua…”

Appunto, non mi aspettavo altrimenti.

“…ma anche la più adorabile e testarda creatura che abbia mai veduto. Più volte ho pensato che volesse far di voi la padrona di questa casa e ora vedo, conoscendovi, che voi non siete affatto paragonabile a tutte quelle dubbie ragazze che poneva sotto la sua protezione.”

Callie sussultò e arrossì furiosamente. Si pentì per un momento di aver chiesto a quel domestico un po’chiacchierone cosa il suo padrone dicesse di lei.

La padrona di questa casa…se solo non avessi pensato ad altro che a ferirlo.

Ormai non ci sarebbe stata più nessuna possibilità. Sempre che ce ne fosse mai stata una.

Cercò di non indugiare più su questi pensieri, perché capì che l’idea di diventare la moglie di Alexander James Norris l’avrebbe resa felice come non mai.

Scosse un poco la testa e sorrise appena “Evidentemente avete sbagliato i vostri calcoli! Lui se ne è andato. Ma in fondo, non importa, perché come avete già detto in precedenza io conosco bene i difetti di quell’uomo e dubito che saremo mai potuti andare d’accordo.”

Gordon ascoltò le parole dure della ragazza senza rispondere: era in effetti facile capire il motivo del trasloco improvviso del padrone. Stava letteralmente fuggendo da quella signorina, da quella situazione che non avrebbe potuto che portargli felicità. Gordon sospirò rassegnato. Se non fosse stato per quel senso di colpa che da anni lo tormentava, se non fosse stato ancora così legato alla povera signora Laura.

Di certo aveva pensato di non potersi meritare una come la signorina Honeycombe, una volta compreso che i sentimenti per lei andavano ben di là del comune divertimento e attrazione. Sicuramente credeva che stare vicino a uno come lui, li avrebbe fatti soffrire entrambi, che avrebbe rovinato Callie proprio come si dava la colpa della morte di Laura. E quando aveva lasciato tornare a casa la signorina da sola e questa era stata aggredita, il padrone di certo se ne era incolpato e era stato ancora più sicuro del dovere di tenerla lontano da lui.

Callie volendo spezzare il silenzio grave e imbarazzato, chiese con voce un poco incerta “Posso chiedere…posso chiedere cosa rappresentava per il signor Alexander la donna scomparsa molti anni fa?”

Gordon fu un poco stupito dal fatto che quella ragazza graziosa sapesse di quel fatto, ma poi rispose, in tono serio “Era sua moglie.”

Callie, che stava fissando insistentemente il tappeto sontuoso sotto i suoi piedi, si voltò di scatto verso il maggiordomo. L’espressione di pura sorpresa che si faceva strada sul suo volto imbarazzato.

“Erano sposati da appena un anno. Il padrone allora aveva ventiquattro anni e la signora Laura ventidue…aspettavano un bambino.”continuò Gordon in tono grave.

La ragazza castana guardava quell’uomo ormai anziano, oppresso da una pesante preoccupazione. Lo guardava e le sue parole sembrarono penetrarle nella mente con un dolore e una pena infinite. Si portò una mano sul petto: il cuore pulsava velocemente, profondamente turbato e ferito.

“…per lui mia madre era tutto.”

“Sembra quasi che l’anima ti venga portata via, quando succede. E sembra di impazzire poiché non si può dimenticare un dolore così grande…no, non è possibile. Ci si rassegna solo, alla fine.”

Callie capì che, probabilmente, di possibilità non ce ne erano mai state.

 

 

 

 

 

 

Note:

* Orgoglio e pregiudizio, cap. XXXVI

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Capitolo 9
*** Capitolo nono. Sentirne la mancanza. ***


ABOMINEVOLE ritardo!!!!!!!! Chiedo scusa a tutti quelli che seguono questa storia, ma ho fatto davvero fatica a pubblicare in questi giorni!!! Beh, l’importante è che sia riuscita ad aggiungere un nuovo capitolo, no? :)

Ed ecco qua, giunti al dopo. Perché dopo la tempesta segue sempre un po’di sole, o almeno si spera!

Ringrazio ancora chi mi segue e mando un bacione!

Alla prossima!

P. s.: Vi prometto che Alexander e Callie non rimarranno a lungo separati. Giusto, giusto questo capitolo! :)

 

 

 

 

 

“Erano sposati da appena un anno. Il padrone allora aveva ventiquattro anni e la signora Laura ventidue…aspettavano un bambino.”

La brezza soffiava dolcemente e le accarezzava la pelle lasciandole lievi brividi di freddo. Il frusciare degli alberi e delle foglie secche mosse dal vento erano l’unico suono che poteva udire, mentre con la punta delle dita accarezzava il dorso ruvido di un libro abbandonato al suo fianco. Bianche masse di nuvole incombevano sopra di lei, lasciando intravedere il sole di tanto in tanto.

Era uno di quei momenti di pace che tanto le piaceva assaporare.

“…aspettavano un bambino.”

Ma, sebbene fosse finalmente a casa, non riusciva a trarne nessun conforto. Il momento di tranquillità se ne era andato rapidamente, come veloci riaffioravano i ricordi nella sua mente.

Si alzò stancamente a sedere, togliendosi qualche fogliolina secca incastrata tra i capelli sciolti e lunghi. Callie si guardò intorno: si era rifugiata su una collinetta poco lontano da casa. Da lì poteva vedere un ampio squarcio di campagna, con le sue dimore più o meno dignitose, con i colori dell’autunno, ormai in arrivo, che spegnevano le tonalità accese dell’estate.

Era passato un mese da quando lei e la sua famiglia erano tornati nell’Hampshire. E, al suo arrivo, la ragazza aveva trovato tutto come l’aveva lasciato settimane prima: le stesse conversazione sobrie e serene, gli stessi volti conosciuti, le stesse serate passate in una cerchia ristretta di amici, le sorelle Hayer che avevano sommerso lei e Linda di domande riguardanti la vita di Londra.

Ovviamente, le due avevano anche insistito per sapere tutto ciò che aveva fatto il loro beniamino in città e quando seppero che l’uomo aveva salvato la vita a Callie, rischiando la propria, esplosero in lamenti tristi e invidiosi.

“Parola mia, cara signorina! Quanto avrei voluto essere al vostro posto! Io di certo, un signore come quello, non me lo sarei lasciato sfuggire! D’altronde, quando soggiornava qui da noi, mi ha fatto centro di palesi attenzioni!” aveva detto Charlotte con aria di superiorità, ignorando ovviamente che lei stessa non solo si era lasciata sfuggire un partito come il signor Alexander; ma che questi non era mai stato sfiorato dal pensiero di corteggiarla.

Callie sorrise tristemente. Se Charlotte avesse saputo che il signor Alexander aveva preso seriamente in considerazione l’idea di fare della signorina Honeycombe sua moglie sarebbe letteralmente esplosa dalla rabbia.

La ragazza portò le ginocchia al petto, arrossendo. Fissò il grande telo a quadri su cui era seduta: tanto ormai era del tutto inutile indugiare su quei pensieri, poiché quell’uomo si era allontanato da lei definitivamente. In più, non aveva nemmeno la certezza che le parole del maggiordomo fossero vere.

“Era sua moglie.”

Con una dolorosa fitta allo stomaco, alzò nuovamente lo sguardo nocciola sul panorama di fronte a lei. Alla fine, di un’unica cosa era perfettamente sicura. “Il signor Alexander ha amato una sola donna in vita sua…e la signora Laura non può essere sostituita da nessun altra.” 

E ne era una conferma il suo comportamento nei confronti del genere femminile in generale. Quanto dovevano esserle sembrate lontane anni luce le altre signorine, così diverse dalla donna che aveva sempre amato. Dalla madre di suo figlio.

Callie chiuse gli occhi. Ecco, lo stomaco che ancora si contorceva dolorosamente al pensiero. La ragazza cercò di immaginare un Alexander più giovane, innamorato, provò a capire come fosse il suo carattere, se era diverso da quello che lei ormai conosceva così bene.

E poi cercava di ricostruire un’immagine di quella donna. Ma tutto ciò che riusciva a vedere era un sorriso dolce e gentile, per il resto, non sapeva proprio come continuare quel ritratto immaginario. Si aspettava che fosse una ragazza sicuramente bellissima.

Però poi, alla sua fantasia e alla figura di quel ragazzo così aperto e solare si sovrapponevano i ricordi di quello che ormai era un uomo ricchissimo quanto impossibile. Tutti i suoi cambi d’umore, tutte le sue artificiose maniere, i suoi occhi neri che l’avevano più e più volte guardata in modi immensamente diversi, le sue mani sulla sua pelle…le sue parole. Le parole che si erano scambiati: le ricordava esattamente, dalla prima frase all’ultima.

 “Non mi aspettavo davvero che mi avreste servito voi, non dopo aver notato che a malapena mi rivolgete la parola….per non parlare del fatto che sembrate evitarmi sin dal primo momento in cui mi avete visto…vi faccio paura per caso, signorina?”

Callie chiuse gli occhi, respingendo la sua tristezza in fondo ad un cassetto del suo cuore, ben nascosta. Si ricordò il momento in cui lui le aveva detto che mai le avrebbe fatto del male. Si portò una mano sulle labbra tremanti.

Mi mancate, mi mancate terribilmente.

Riaprì gli occhi giusto in tempo per osservare l’alta figura bionda di Linda Clayton incespicare in mezzo all’erba, diretta verso di lei. Sorrise debolmente all’amica: in quel periodo gli sforzi di Margareth e Linda, volti a distrarla il più possibile, si traducevano nel non lasciarla mai troppo da sola con sé stessa. Evidentemente non volevano lasciarle nemmeno un minuto per pensare.

E Callie fu loro grata per questo poiché, da sola, non sentiva di averne la forza. Sapeva bene quanto importante fosse dimenticare presto quell’uomo e sotterrare i suoi scomodi sentimenti, poiché solo così sarebbe tornata alla sua vita di sempre senza pensare troppo a rimorsi o rimpianti.

“Callie, vi ho trovata finalmente!” esultò Linda, avvicinandosi alla ragazza castana “ Stavate giocando a nascondino, per caso?”

“ Questo sarebbe un modo per dirmi che sono infantile?” ipotizzò ridendo Callie.

La signorina Clayton si portò le mani sulla vita sottile e disse, in tono fintamente severo “Sapete che ore sono?! Sapete, mia cara, che vostro padre vi sta cercando da più di un’ora?”

La ragazza guardò quella figura alta sporgersi su di lei e, ridendo, si alzò in piedi “ Giusto Cielo! Questo vuol dire che Nanny starà pattugliando tutta la zona alla mia ricerca!” fece, raccogliendo il libro e la tovaglia.

Linda le diede una mano a piegarla “ Beh d’altronde è stata la vostra balia!”

“Sì, ma non sono più una bambina! Anche se, a volte, so essere più infantile di Henrietta!”

Linda annuì, sempre sorridente “ Su questo ci troviamo perfettamente d’accordo. Ma ora…” e qui cambiò tono “…basta scherzare. Amica mia, credo che vostro padre debba darvi una notizia. E non molto piacevole.”

L’espressione preoccupata che si era fatta strada sul volto dell’amica non fece che mettere Callie in un’ansiosa attesa “E così grave? Avete una faccia!”

Linda fece un gesto di noncuranza con la mano e si avviò giù per la china, seguita a ruota da una Callie ora ormai liberamente preoccupata. La ragazza castana cominciò a tempestare l’amica di fastidiose domande, ma questa non era intenzionata a rispondere. D’altronde erano affari del signor Honeycombe e lo stesso uomo aveva pregato Linda di non riferire nulla alla figlia.

All’ennesimo “E avanti, ditemelo! Lo voglio sapere! Perché non me lo dite?’ Linda alzò gli occhi al cielo, esasperata. “Vostro padre mi ha pregato di non farvene parola. Vuole parlarvene lui stesso.”

Callie esibì un’espressione un poco corrucciata: la sua innata curiosità avrebbe voluto che Linda le accennasse almeno qualcosa mentre, dall’altra parte, sapeva che suo padre non le avrebbe detto nulla quella sera. Poiché vi era una cena dai Moore. e ovviamente anche il colonnello Moore, da sempre grande amico di suo padre, sarebbe stato presente. Ciò stava a significare che il signor Honeycombe si sarebbe preparato di tutta fretta, avrebbe cenato e poi lui e il colonnello si sarebbero rinchiusi, insieme agli altri signori, nello studio a parlare della guerra ormai finita, dei tempi andati, eccetera. E sempre andava così.

Ed infatti, il signor Honeycombe non accennò nulla alla figlia in quella serata, ma nemmeno nell’intera settimana che ne era seguita. Callie ebbe la delusione e la sorpresa di capire che il padre evitava l’argomento, sordo ad ogni suo tentativo di portarlo su quella strada.

Si chiese il perché. “D’altronde mio padre è sempre stato un uomo molto schietto, non è da lui fare tanto il misterioso.”

Callie era arrivata anche a ipotizzare un possibile secondo matrimonio in arrivo e, quindi, anche il conseguente imbarazzo del padre ad annunciarlo alle due figlie. Ma poi ci ripensò: sapeva bene quanto lui amasse ancora così profondamente sua madre. Di certo non voleva risposarsi.

“Per lui Grace era tutto.”

A quel pensiero, Callie ne associò immediatamente un altro e, non volendo per niente al mondo indugiare nuovamente su un argomento che la rendeva così triste, non vi pensò più.

Passarono più o meno veloci altre due settimane e la ragazza cominciava a pensare di starsi nuovamente abituando alla vita di sempre, alla campagna dove era nata, ai ricevimenti e ai balli offerti dagli abitanti della zona. Si disse di essere addirittura contenta di aver ritrovato le solite sorelle Hayer che, nella loro sciocca vanità, erano così famigliari da farla sentire tranquilla.

Era a casa. Era giovane, intelligente e vivace. Aveva suo padre e sua sorella. Aveva i suoi amici. Nient’altro doveva contare.

Callie avrebbe dovuto immaginare che, come solito, quel breve periodo di apparente tranquillità sarebbe presto stato messo alla prova. E fu destino che proprio Charlotte Hayer dovesse sconvolgerla, con queste parole: “ A proposito, signorina Honeycombe, sono assolutamente invidiosa di voi e vostro padre! Andare, tra qualche mese, nel Derbyshire con i Clayton!”

La ragazza castana era rimasta impietrita a quell’affermazione e, balbettando, chiese spiegazioni a Charlotte che, con una smorfia, chiocciò “Ma sì, ma sì! Me l’ha riferito lui stesso qualche giorno fa! Vostro padre pensava di recarsi in visita presso il signor David Norris per qualche giorno…possibile che non ve ne abbia fatto cenno?”

Anche Callie si fece la stessa domanda. “ No, non me ne ha parlato. Temo…temo che se ne sia dimenticato…”

“ Comunque sia, che fortuna sfacciata signorina! Se penso che quest’inverno io e Catherine saremo costrette a passare le acque con i nostri genitori a Bath!”

La signorina Honeycombe non fece presente a Charlotte che Bath d’inverno rappresentava una grande attrattiva per la vita di società e non le disse nemmeno che, tra le due, la più fortunata sicuramente era lei.

Si chiese perché suo padre non avesse voluto dirglielo. Aveva un’idea molto spiacevole al riguardo e, al solo pensiero, si sentì furiosa nei confronti del signor Honeycombe.

Così, dopo una notte insonne, fece in tono noncurante “ Allora, quando è fissata la data di partenza?”

Erano intenti a fare colazione e, al suono di quelle parole, suo padre si irrigidì. Callie lo guardò dilatare gli occhi dalla sorpresa e una soddisfazione rabbiosa si impadronì di lei. “Non so quanto volevate aspettare a dirmelo…probabilmente lo avrei saputo il giorno stesso, se la gentile signorina Hayer non me l’avesse detto ieri.” scherzò poi, versandosi del Caffé con finta indifferenza.

“Mi sento sollevato…” sospirò l’uomo, mettendo da parte il giornale “..confesso di essermi comportato come un perfetto idiota. Ma ti chiedo di perdonarmi, perché pensavo solo alla tua serenità, bambina mia.”

Callie lo osservò allungare una mano verso di lei e accarezzarle con affetto una guancia. Se aveva deciso fermamente di rimanere in collera con lui, ogni difesa cedette di fronte a quel gesto e a quegli occhi così malinconici.

“Sono stato molto combattuto in questi giorni.”

“Padre, io non…”

“Voi ne siete innamorata, non è vero?”

Quelle parole, e il tono dolce e gentile con cui erano state pronunciate, fecero sbalordire Callie che abbassò gli occhi nocciola, in preda ad un’improvvisa confusione. Mai e poi mai si sarebbe aspettata una frase del genere da suo padre. Come poteva sapere? Forse Linda glielo aveva detto o…

Con il cuore in tumulto, riuscì a dire “Io…non so…”

L’uomo tolse la mano dalla sua guancia e le sorrise “Non ho bisogno di alcuna spiegazione. Sono tuo padre e certe cose riesco ancora a comprenderle da solo…devo solo dire di averlo temuto già da tempo. D’altronde Alexander James Norris è un uomo pericoloso!” e qui ridacchiò divertito.

“Per questo motivo temete ad andare in visita dai Norris?”chiese Callie, alzando lo sguardo su di lui.

Il signor Honeycombe annuì “ So bene che quel giovane è residente lì da parecchie settimane...e, bambina mia,  l’ultima cosa che voglio è vederti soffrire.”

Lei scosse la testa risolutamente “No e no! Ascoltate, non deve essere questo a porvi un freno! Quanto a me, sto benissimo! Padre, ve ne prego, d’ora in poi non tenetemi più nascoste cose simili!” e, facendo del suo meglio per apparire sorridente, aggiunse “ D’accordo?”

Il signor Honeycombe capitolò. “ Va bene. Ora che è tutto a posto, ammetto di sentirmi ancora più sciocco.”

Callie, sentendo l’impellente bisogno di stare da sola a pensare, si alzò “ Non datevene più pena. Ora, con il vostro permesso, penso che andrò a prepararmi: ho proprio bisogno di una passeggiata!”

La ragazza si avviò fuori dalla stanza ma, colpita da un pensiero improvviso, si fermò di botto e, sull’uscio, si voltò verso un signor Honeycombe trincerato dietro al giornale “Padre?”

“Sì, cara?”

“Come avete..?”

L’uomo piegò il quotidiano e, con un’espressione sorridente, disse “Lo guardavi nella stessa maniera in cui tua madre guardava me, tanti anni fa. Gli stessi identici occhi.”

La ragazza arrossì, ma poi scosse la testa e rispose con decisione “Non dite assurdità! Io per quell’uomo non provo niente di lontanamente simile al sentimento della mamma per voi!”

Lo sguardo scettico del padre la colpì con altrettanta forza.

“Ora siete voi che mentite…signorina Honeycombe, siete una piccola bugiarda, sapete?”

Callie trovò prudente battere in ritirata, senza aggiungere una sola parola.

 

“Ovviamente ci saranno anche il signor Honeycombe e sua figlia…due persone squisite, caro Basil, voglio proprio farveli conoscere!”

Bastò quell’unica frase, detta in tono casuale da David Norris, per spezzare a metà l’esecuzione al piano del signor Alexander. Il giovane uomo portò gli occhi neri ad osservare ed ascoltare attentamente la conversazione fra il padre e il signor Basil Thompson, a pochi metri da lui.

“Per me sarà un vero onore, credimi! D’altronde le mie due amate figlie hanno parlato molto di loro a casa…soprattutto della signorina Honeycombe! Fiona la descrive come una ragazza graziosa e dalla conversazione vivace!” assicurò con convinzione il signor Thompson.

David Norris si mostrò assolutamente d’accordo con lui. “In effetti, mi stupisco di come possa essere ancora senza marito, Basil.”

L’amico scolò l’ultima sorsata di liquore dal bicchiere prima di asserire, in tono gaio “In tal caso, sarò più che felice di promuovere una conoscenza fra lei e mio figlio William. Trentasei anni e ancora non si vede ombra di un matrimonio! Comincio ad essere seriamente preoccupato, David!”

Alexander spostò lo sguardo sui tasti dal pianoforte, con una smorfia infastidita sul bel volto delicato. Ricominciò a suonare, ma la sua mente non era più concentrata sulla melodia e, anzi, vagava libera per ben altri pensieri.

“Fiona la descrive come una ragazza graziosa e dalla conversazione vivace!”

Non era assolutamente vero. Callie non era né graziosa né vivace: era molto, molto di più di quelle due parole così prive di significato. Ogni volta che i suoi occhi si erano posati su di lei, non vedeva una ragazza graziosa ma una donna semplicemente bella. E i suoi modi, lei non era vivace…la trovava così sorprendentemente perfetta. L’uomo cercò di concentrarsi nuovamente su ciò che stava suonando, poiché voleva arginare in qualsiasi modo quel dolore che sentiva ardere ogni volta che pensava a lei. Quel senso di colpa, quel maledetto senso di colpa, che non riusciva a lasciarlo in pace nemmeno un secondo quando nei suoi pensieri era presente lei.

Aveva disperatamente cercato di convincersi che non era in fuga, che allontanarsi da quella ragazza avrebbe giovato ad entrambi, che probabilmente Callie l’odiava e che, anche se le aveva salvato la vita, non avrebbe voluto più avere a che fare con una persona come lui.

“E se pensate che il fatto di aver perso una persona a voi cara vi dia la giustificazione per un comportamento simile, siete in torto!”

Sì, l’aveva ferito con quelle parole. Ma quante volte lui, con il suo carattere egoista, l’aveva ferita? Quanto male si erano fatti l’un l’altro? 

Non aveva bisogno di Cecil che gli ricordava continuamente come stesse buttando via l’unica probabilità di esser di nuovo completamente felice. Lo sapeva già, sapeva di starla lasciando andare. Ma lo faceva per lei, per Callie, perché sentiva che l’avrebbe rovinata, un giorno.

Non poteva lasciarsi andare. Perché lei era davvero perfetta.

Le dita ora scorrevano veloci sulla tastiera producendo una melodia energica quanto rabbiosa, ma lui non vi faceva caso tanto era assorbito da quei pensieri dolorosi. E ciò che più lo tormentava era proprio l’immagine di lei: il suo viso che arrossiva in modo adorabile, i suoi occhi nocciola così luminosi e espressivi, le sue labbra graziose che si schiudevano per lui, la sua figura esile e armoniosa. E soffriva quando ricordava le parole di quella ragazzina, tutte le parole che gli aveva dedicato da quando l’aveva incontrata.

“ Vi chiedo scusa…vi chiedo scusa per le parole terribili dell’altra volta. …voi siete tremendo in un certo qual modo ma…in quel momento sono io che ho sbagliato.”

Era perfetta e lui l’aveva ferita. E doveva anche accettare l’eventualità che altri si facessero avanti, cha altri potessero reclamare la proprietà su di lei come del suo cuore. Rise internamente ripensando i progetti del signor Thompson nei confronti della signorina Honeycombe.

“Ci sarebbe quasi da ridere, visto che suo figlio William non è neanche degno di rivolgerle la parola…” pensò irritato. Non avrebbe mai ammesso di essere geloso di altre donne, ma in quel momento non aveva un’altra definizione per descrivere quello che provava nei confronti di tutti coloro che potevano avvicinarsi a Callie.

Perché di certo lui se ne doveva tenere lontano.

La voce alta e severa di suo padre spezzò il filo dei suoi pensieri “Alexander, stai suonando con un po’troppa energia non credi?”

L’uomo guardò David Norris e sua madre con uno sguardo assente; ma si riprese subito e, trincerandosi dietro la solita espressione galante, rispose con indifferenza “ Vi chiedo perdono padre. Non era mia intenzione tediare gli ospiti. Ora, se volete scusarmi.”

Teresa e David videro la figura alta e scura del figlio allontanarsi e sparire in uno dei corridoi senza dire nulla. Infine, si guardarono preoccupati “ Mi sembra cambiato.”

La madre annuì, prendendo a braccetto il marito e asserendo “Non suonava più il piano dalla morte di Laura e ora, da quando è arrivato qui, si esercita ogni giorno. Temo che la signorina Callie l’abbia scosso più di quanto lui stesso ammetta.”

“Lo immaginavo.” rispose freddamente David Norris, fissando il punto in cui il figlio era sparito poco prima.

Alexander James Norris, intanto, percorreva silenziosamente un corridoio vuoto e buio. Aveva intenzione di uscire a prendere una boccata d’aria notturna, quando una voce sottile attirò la sua attenzione.

“ Signor Alexander.”

L’uomo si voltò leggermente e i suoi occhi neri inquadrarono la figura imbarazzata della giovane cameriera assunta da poco a lavorare presso quella casa. Sorrise suadente. “Sì?”

“Ecco…io…”

Alexander si scompigliò i capelli corvini, notando di avere di fronte proprio una bella ragazza. La figura di Callie si sovrappose a quella della imbarazzata domestica. L’uomo si avvicinò lentamente a lei e la bloccò contro la parete. Ora le parole di quella ragazzina sciocca rimbombavano nella sua mente.

“Voi siete impossibile! Vi detesto!”

“ Signore?”

La vocina agitata della domestica non gli arrivò nemmeno. Vide che si era fatta rossa in viso: un rossore che aveva un effetto ben diverso sulle guance di un’altra persona di sua conoscenza. Decise di non voler pensarci più. Si chinò sul volto della ragazza, che ora si sporgeva verso di lui.

“Voi l’amate, non è vero?”

Lei è perfetta. Non voglio che venga macchiata da una persona come me.

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Capitolo 10
*** decimo. Lo amava e, in fondo, l'aveva sempre saputo. ***


Come un regalo di Natale, ecco il nuovo lungo capitolo dell’odissea di Callie e Alexander…arrivato dopo dei lunghi problemi con internet del mio computer! Ringrazio tanto chi ancora mi segue e che si appassiona a questa storia!!

Siamo quasi alla fine…nemmeno io so come potrebbe andare a finire fra questi due tormentati personaggi!!

Speriamo in un lieto fine, no? :)

 

 

 

 

 

Difficile per Callie Honeycombe dire se i due mesi che precedettero la partenza per il Derbyshire passarono in modo veloce. Dipendeva dai punti di vista: se pensava a quanto quell’uomo le mancava, i giorni si susseguivano immersi in un’apatia e lentezza quasi mortale; ma, come accadeva spesso, se si concentrava sul timore e la vergogna che avrebbe provato nel rivederlo, allora i giorni erano passati con la velocità di un lampo.

Stava di fatto che il giorno della partenza era arrivato. Callie non solo non aveva dormito tutta la notte precedente, ma nel momento in cui era salita sulla carrozza e si era accomodata al fianco di Linda,  era stata sfiorata dal folle pensiero di accusare un malore e far andare Charlotte Hayer al suo posto. Era sicura che ne sarebbe stata più che entusiasta.

Però, per qualche volere del destino, lei non si era mossa e la carrozza era partita a velocità sostenuta, trascinandola lontano dalla sicurezza della sua amata casa. Si strinse nelle spalle: sapeva che presto o tardi avrebbe comunque dovuto affrontarlo e, se questo le poteva dare la possibilità di scusarsi, era meglio che la cosa accadesse e finisse il prima  possibile.

“E dunque ecco qua!” fece la vocina entusiasta di Henrietta “In viaggio per casa Norris!”

A Callie le parole innocenti della sorella minore suonarono in qualche modo minacciose e, spostando lo sguardo sul finestrino, cercò di domare l’agitazione che sentiva dentro di sé.

La carrozza era occupata dalle sole signore, poiché il signor Honeycombe e il signor Clayton viaggiavano nell’altra insieme ad una Nanny sollevata di non dover guardare, almeno per quelle ore di viaggio, la scalmanata Henrietta.

“Non vedi l’ora di arrivare, vero Henrietta?” chiese con voce dolce la signora Clayton, posando una mano sui riccioli biondi della bambina. La piccola si lasciò sfuggire un sorrisetto eccitato e dondolò le gambe. “ Sì, signora! Mi sono tanto mancati Jimmy e Edward in questi mesi!” rispose, schietta.

Ovviamente Henrietta si riferiva ai figli minori di David Norris, diventati suoi compagni di gioco preferiti. Callie sorrise al pensiero degli innumerevoli guai che quei tre avevano combinato insieme e alle crisi di nervi che avevano provocato nella povera Nanny.

“E voi signorina Callie? Ho saputo che a Londra andavate parecchio d’accordo con il signor Alexander Norris!” la signora Clayton era del tutto ignara dell’effetto che quelle parole avrebbero avuto sulla ragazza in questione. D’altronde, non sapeva praticamente nulla di quello che era accaduto e dei veri sentimenti dell’amica di sua figlia.

Linda puntò i suoi occhi azzurri, preoccupati, su Callie. Per un momento questa era rimasta interdetta, ma poi aveva sfoderato uno dei suoi soliti sorrisi di circostanza e aveva risposto “Oh, sì! Sarò entusiasta di rivedere la famiglia Norris! E poi, come dice la signorina Hayer, nel Derbyshire vi sono paesaggi mozzafiato!”

La ragazza bionda osservò l’amica voltare il viso verso il finestrino e perdersi nel paesaggio che passava veloce davanti ai suoi occhi. Sospirò: era sicura che Callie stesse pensando nuovamente a lui. Era del tutto inutile, lo amava e non riusciva in nessun modo a dimenticarlo. Soprattutto dopo che lui l’aveva salvata e che era partito, sicuramente per non rivederla tanto presto. E l’amica aveva finalmente ammesso con sé stessa i suoi sentimenti.

Linda pensava che Alexander stesse solo scappando e, da quello che aveva saputo da Cecil Price, nemmeno lui riusciva a togliersi dalla testa una certa ragazza castana, anzi, la distanza sembrava fare ancora più male.

 La signorina Clayton arrossì leggermente: non sapeva come era arrivata a sviluppare un rapporto così profondo con un signore così eccentrico come Cecil Price. Stava di fatto che avevano cominciato a scriversi qualche sporadica lettera, con la scusa di informarsi reciprocamente sullo stato di Callie e di Alexander, che poi era diventata una corrispondenza frequente. E non parlavano solo dei due amici, anzi spesso e volentieri parlavano di loro, delle loro esperienze, del loro passato.

Linda gli aveva persino raccontato di quel fattaccio accadutole parecchi anni prima e lei sapeva che Cecil aveva visto morire un fratello sotto i suoi occhi senza poter fare nulla; cosa che aveva raccontato solo a pochi intimi. Questo, pensava Linda, lo avvicinava molto ad Alexander.

Linda si chiese se l’amico sapesse della loro corrispondenza fissa, perché lei, a Callie, non aveva detto nulla. Sapeva che era in qualche modo sbagliato ma aveva un poco timore della reazione dell’amica, turbata già da ben altri problemi. Ma, si era promessa, gliel’avrebbe detto presto.

Callie poteva solo ringraziare il cielo che i cavalli, da animali in carne e ossa quali erano,  avessero bisogno di riposo e che il Derbyshire fosse abbastanza distante da necessitare almeno qualche giorno di viaggio. “Non so bene il perché, ma il fatto di poter avere ancora qualche giorno prima di arrivare dai Norris, mi tranquillizza un poco.”

Così, quando la carrozza si fermò davanti alla dimora dei Norris, la ragazza castana non poté fare a meno di chiedersi come quei giorni potessero esser passati così velocemente. Le sembrava di esser partita solamente da poche ore!

Scese dal mezzo e, con il cuore in tumulto, posò lo sguardo sulla residenza che aveva di fronte a sé. Se aveva già avuto modo di notarla da lontano, ora si rendeva pienamente conto di quanto fosse enorme: era una villa austera, dallo stile classico. Callie pensò che si adattava perfettamente al carattere di David Norris e le piacque immensamente. Poi, il fatto che fosse circondata da ampi e ricchi giardini, non faceva che aumentare la sua curiosità e la voglia di esplorarla da cima a fondo.

La voce di Teresa Norris spezzò le sue fantasie e la riportò alla realtà con un sussultò agitato; ma, posando gli occhi sull’ingresso, non notò altri se non David e consorte. I due vennero verso di loro, prodigandosi in saluti e sorrisi luminosi. La riconciliazione fra le famiglie fu piuttosto allegra: erano parecchi mesi che non si vedevano e tutti sembravano aver una grande voglia di parlare. Callie ascoltava e partecipava al chiacchiericcio con un sorriso dolce sulle labbra, ma con la testa evidentemente altrove.

“Magari è già partito…” pensò gettando un fugace sguardo alla casa. Non seppe dirsi se si sentiva più sollevata o delusa dalla cosa.

Fu la domanda della signora Clayton a soddisfare la sua curiosità “E ditemi, signora Norris, suo figlio maggiore è ancora ospite qui?”

A Callie sembrò che gli occhi di Teresa si fossero posati per un secondo su di lei, prima di rispondere alla madre di Linda “ Certamente! Anche se, temo, lo vedremo partire presto. Desidera stabilirsi al più presto nella sua propria dimora. Lo vedo così di rado! Ma mi consola saperlo a poche miglia da qui.”

“ Oh, come vi capisco!” chiocciò l’altra donna con fare teatrale “è stata una sofferenza per me vedere il mio amato Frederick sposarsi ed andare ad abitare in Scozia, così distante de me e suo padre! Ma almeno ho ancora Linda accanto a me!”

Callie lasciò le due alle loro chiacchiere e si concentrò sul battito del suo cuore, che sembrava voler letteralmente esplodere. Sentiva di voler scappare il più lontano possibile da lì e il pensiero di un Alexander James Norris che poteva sbucare in qualsiasi momento da qualsiasi angolo della proprietà, non la metteva a suo agio.

Sono sicura che finirà presto…deve finire presto…

Dopo che i signori finirono di parlare di caccia, tutta la comitiva venne guidata all’interno della casa e dovette seguire attentamente le spiegazioni dei due coniugi sulla storia della proprietà, mentre ogni sala veniva visitata. Se possibile, la dimora era ancora più bella e distinta dentro che fuori: era luminosa e spaziosa, l’arredamento costoso e antico le dava un’aria di solenne severità, l’ordine regnava sovrano. Callie seguiva la voce del signor Norris, mentre con gli occhi nocciola vagava sui quadri appesi in ogni stanza. Ce ne erano innumerevoli e, ogni volta che il suo sguardo si posava su quelli che ritraevano il giovane Alexander, sentiva un tuffo agitato in fondo allo stomaco.

Era stupendo anche da giovanissimo. Callie non poteva non riconoscere quel portamento elegante, quegli occhi neri così profondi e sagaci, senza lasciarsi sfuggire un sorrisetto divertito e arrossire.

“La signorina conosce il signor Darcy?”

Elizabeth arrossendo rispose:

“Un poco…”

“E non trova, signorina, che è un gran bel signore?”

“Bellissimo.”

Ad un certo momento, la compagnia finì per sciogliersi e Callie si trovò a vagare da sola per le stanze e corridoi di casa Norris, immersi nel silenzio più totale. La ragazza si sentiva più tranquilla e, presa da un’ardente curiosità, esplorava ogni angolo minuziosamente. Quando pensava di aver ormai già visto tutto ciò che poteva in quella grande casa; una porta in legno, socchiusa, attirò la sua attenzione. Affacciandosi, notò che dava su un largo e lunghissimo corridoio non arredato.

Entrandovi, si ritrovò immersa nella luce. Callie si accorse che il corridoio era percorso da un’ampia vetrata che dava sul parco della villa, suggerendo una vista stupenda del panorama circostante.

La ragazza, voltandosi, vide qualcosa che attirò la sua attenzione: poiché sulla parete di quel luogo spoglio capeggiava un unico e grande quadro, posto proprio dinnanzi alla grande finestra a vetri.

Il soggetto sembrava fissare con serena allegria il panorama posto davanti a sé. E Callie, avvicinandosi, si trovò faccia a faccia con Laura Norris.

Era stata davvero una bellissima donna: la ragazza castana divorò con gli occhi la sua figura minuta, i suoi capelli biondo chiaro incastonati in un’acconciatura elegante, il suo viso roseo e delicatissimo disteso in un’espressione serena e ridente, gli occhi verde chiaro che brillavano felici. Sentì che il cuore cominciava a batterle velocemente in petto.

Non poteva nemmeno essere paragonata ad una donna del genere.

“Cosa ci fate qui?”

Callie si voltò di botto e sgranò gli occhi nocciola alla vista di Alexander James Norris appoggiato allo stipite della porta, che la fissava attentamente. Non sembrava particolarmente contento di vederla di fronte al quadro della donna amata. Callie si sentì impallidire.

…finirà presto…deve finire presto…

 

Passò un infinito momento di silenzio, prima che la ragazza si fu decisa a voltarsi ed inchinarsi leggermente di fronte al signor Alexander. Questi, in cambio, fece appena un cenno con la testa prima di staccarsi dallo stipite della porta e avviarsi, a passo lento, verso di lei.

“Stavo solo visitando alcune stanze della casa, ma temo di essermi perduta!” rispose Callie sfoderando un sorriso piuttosto incerto e spostando gli occhi nocciola sul panorama fuori dall’enorme finestra a vetri. Ora che era arrivato il momento di affrontarlo, scoprì di non riuscire proprio a guardarlo in faccia senza arrossire. Come d’abitudine ormai.

L’uomo si portò di fronte a lei e sospirò “ Lo immaginavo. Di sotto sono tutti preoccupati per voi, visto che mancate da due ore…e mia madre ha ritenuto opportuno mandarmi alla vostra ricerca. Giocate spesso alla piccola esploratrice?”

Il tono canzonatorio e il sorrisetto che era comparso sulle belle labbra di lui non passarono inosservati a Callie: di certo erano passati mesi, ma quell’uomo era sempre lo stesso! Puntò i piedi per terra e si sporse verso di lui “ Non ero in esplorazione! Mi sono solo persa! Certo che sapete sempre come mettere a vostro agio una signora, voi!”

Alexander non poté trattenersi dal ridere di gusto nel sentire le parole indignate della ragazza, il labbro inferiore sporgere deliziosamente in fuori, dandole un’aria imbronciata che la rendeva adorabile “ E vi capita spesso?”

“Come?”

“Di perdervi, intendo. Vi capita sovente?”

“Non meritate neanche una risposta!”

Callie si voltò verso il quadro di Laura Norris, intenzionata a non degnarlo più nemmeno di uno sguardo. Quell’uomo, come al solito, si stava divertendo alle sue spalle. Le sembrava quasi impossibile che, dopo l’accaduto di parecchie settimane prima, egli la trattasse ancora con le sue maniere artificiose e galanti, la vedesse come una sciocca provinciale. Non aveva nemmeno fatto un accenno all’aggressione, non le aveva chiesto come stava e non si era nemmeno scusato per essere sparito nel nulla senza scriverle due righe. Si chiese se tutto quello che aveva pensato di lui, in quei giorni di lontananza, non fosse solo una sua illusione…perché anche lei aveva sperato, anche lei aveva creduto.

Ma ora Alexander si fa beffe di me, come sempre.

“Era bella, non è vero?”

La voce seria dell’uomo in questione la trascinò via dai suoi pensieri e la portò a ritornare alla realtà. Si accorse di stare fissando il volto sereno di Laura Norris e, con la coda dell’occhio, cercò l’espressione del giovane al suo fianco. Era come aveva temuto: il viso di Alexander era solcato da un sorriso malinconico, mentre gli occhi neri osservavano ogni centimetro di quella tela.

Callie, nascondendo una punta di delusione, riportò lo sguardo sul quadro e rispose “Sì, era davvero una bellissima donna. Mi dispiace…mi dispiace che l’abbiate perduta così presto.”

Stava per dire che li abbiate perduti, ma non le era sembrato il caso. Forse l’uomo non avrebbe gradito sapere che era venuta a conoscenza di fin troppi dettagli sul suo passato.

Lui annuì appena “Già, un anno di matrimonio. Sapete, era incinta di mio figlio.”

La ragazza abbassò la testa, in silenzio. Avrebbe dato oro per trovarsi lontano miglia da quel luogo: sentiva di essere di troppo, lì con quell’uomo e con la presenza di un’altra persona che, sebbene morta, aleggiava fra loro in maniera più che concreta.

Alexander, ignorando il mutismo di Callie, continuò “Sarebbe nato dopo pochi mesi…ma poi, come al solito, sono riuscito a rovinare tutto. Solo che quella volta ho perso tutto ciò per cui valeva la pena vivere e combattere in questa vita. Ed era stata tutta colpa mia…”

“Perché…” cominciò la voce incrinata della ragazza “Perché mi dite tutto questo?”

Dopo un eterno momento di silenzio, l’uomo si voltò verso di lei. Callie notò che il suo volto sembrava essere segnato da una sofferenza infinita. Gli sembrò improvvisamente molto stanco.

“Non posso darti quello che stai cercando, Callie.”

Lei sgranò gli occhi al suono delle sue parole, sentendo chiaramente che qualcosa dentro di lei cominciava a sbriciolarsi in mille pezzi. Pensò, assurdamente, che probabilmente era il muro che sempre gli aveva posto davanti….

Visto che ormai non ce ne sarebbe più stato bisogno.

“Lo so…l’ho sempre saputo, in fondo. Anche se, non eravate l’unico a sperare…e a credere…” sussurrò lei sostenendo lo sguardo dell’uomo. Si sentiva ferita, terribilmente…ma, almeno per quella volta, decise di non voler abbassare gli occhi.

“Io non vi farei mai del male.”

Bugiardo. Ma, in fondo, siamo stati in due, a mentire.

Sussultò sentendo la sua mano appoggiarsi dolcemente sulla testa “ Ho paura di non poter mantenere le mie parole…perché so che vi farei del male, proprio come è successo con…con lei.”

Callie sentì che quello era il momento di scappare via, poiché non sarebbe riuscita a lungo a trattenere le lacrime. Così, riesumando un sorriso da non si sa dove,  disse “ Anche io ho avuto paura. In ogni momento, da quando siete partito, ma …ma riesco perfettamente a comprendere il vostro stato d’animo, signore…”

Così, balbettando qualche altra parola incoerente, si congedò; lasciandolo solo con il suo passato e con le sue paure. Callie capì al volo che lui, al contrario suo, non riusciva in alcun modo a superarle…a fidarsi totalmente di sé stesso. E a darle così una possibilità. Ma forse era molto meglio che le cose fossero andate in quel modo.

…di possibilità, probabilmente, non ce ne erano mai state.

La ragazza non si stupì più di tanto quando vide la sua figura alta e elegante superarla e asserire, senza guardarla, che suo padre e il resto degli ospiti li aspettavano nel salotto. Aveva anche aggiunto, in tono vago, che la cena doveva esser quasi pronta. Callie aveva risposto a tutte le sue frasi con qualche monosillabo.  Poi avevano continuato a camminare, uno davanti all’altra, chiusi in un ostinato mutismo pensieroso.

Erano infine arrivati davanti alle ampia porta in legno che dava sul salotto di casa Norris. Callie poteva sentire l’allegro chiacchiericcio provenire dietro di essa e, cercando di mandar giù il grossissimo groviglio che minacciava di soffocarla; si preparò mentalmente ad apparire una signorina gaia e vivace.

Vide Alexander poggiare una mano sulla maniglia e, pensando che l’avrebbe fatta passare, si avvicinò inconsapevolmente alla sua schiena. Fu quello il momento in cui quell’uomo impossibile decise di stravolgere nuovamente la signorina Callie Honeycombe.

La ragazza castana non si rese nemmeno conto di come la mano di lui fosse andata ad afferrare saldamente la sua, di come esattamente le avesse sollevato il mento con l’altra. Non era riuscita a capire il preciso momento in cui lui si era voltato e l’aveva baciata. Stava di fatto che ora la sua schiena aderiva perfettamente al muro e Alexander James Norris la sovrastava, impedendole di fuggire. Callie si rese conto di quanto dolce e delicato fosse quel suo bacio e arrossì ancora più furiosamente, non se lo sarebbe mai aspettato da una persona passionale come lui.

E quando lo vide staccarsi da lei con un’espressione malinconica e sofferente, capì che le cose non erano affatto cambiate. Ma in quel momento di confusione, non riuscì nemmeno a sentirsi furiosa o indignata.

Perché lui l’aveva baciata.

Alexander tolse la mano da sotto il mento di lei, per portarla contro il muro e imprigionare definitivamente Callie fra lui e la parete. Abbassò la testa lasciando che i capelli corvini e ribelli gli scivolassero sugli occhi, nascondendoli.

Passò un infinito momento, in cui la ragazza non riusciva ad ascoltare altro che il suo cuore e il chiacchiericcio gaio che risuonava smorzato fra loro. Si sentì tremare, aspettando le parole che lui avrebbe pronunciato. Sapeva che ne avrebbe sofferto.

“Vi chiedo scusa. Ogni volta che ci incontriamo faccio ogni sforzo possibile per controllarmi, ma questa volta non ci sono proprio riuscito…” l’uomo s’interruppe sfoderando un sorrisetto quasi impercettibile “…voi mi fate agire come un idiota, signorina Honeycombe.”

Prima che la ragazza potesse anche solo di articolare una risposta coerente, Alexander si staccò dal muro e si portò davanti alla porta del salotto. Callie non poté fare altro che osservare la sua figura solida darle le spalle in silenzio, perché non sapeva proprio cosa dire; visto che quel signore l’aveva ancora una volta posta in una situazione assurda.

Lo sentì entrare nel salotto e chiudersi la porta alle spalle,  informando i presenti che la signorina Honeycombe li avrebbe raggiunti da lì a poco. Poi la sua voce si mescolò alle altre e non riuscì più a distinguerla. Callie si portò una mano tremante alle labbra rosee, ancora umide per il bacio di poco prima.

“Non posso darti quello che stai cercando, Callie.”

Scivolò sul pavimento e vi rimase seduta qualche secondo, come poco sarebbe convenuto ad una brava signorina di buona famiglia come lei. Fu grata ad Alexander per averle lasciato quel momento di solitudine in cui raccogliere i pensieri, che ronzavano furiosamente nella sua testa.

Tutto questo, come dovrei interpretarlo?

 

Callie pensò che la cena era stata squisita, la compagnia non poteva essere migliore, che Linda e il signor Cecil Price non riuscivano proprio a staccarsi l’uno dall’altra e che tutte le signorine a cui Alexander rivolgeva la parola per più di venti minuti erano insopportabili. 

Così, per non assistere a quelle scene, la ragazza portava gli occhi nocciola da qualche altra parte e fu in quel modo che notò quanto la sua amica s’intendesse con quell’eccentrico signor Price. La stessa Callie doveva ammettere, malgrado tutto, che egli fosse davvero un bel uomo e che i suoi modi distinti e posati lo allontanavo anni luce dal signor Alexander.

Era galante e studiato, ma nei suoi modi vi era un certo riserbo, una certa serietà che lo distinguevano dai sorrisi affabili, dall’ironia e dalla sagacia di quell’altro suo amico così affascinante. Callie sapeva che entrambi erano molto popolari nella società londinese e quindi doveva anche mettersi il cuore in pace nel vedere le signorine presenti in quella serata, tutte figlie di amici dei Norris,  accerchiare Alexander come un branco di cani da caccia.

“D’altronde dovrei essere abituata a scene di questo tipo!” sospirò Callie, mentre cercava di convincersi, per l’ennesima volta, di non esser assolutamente gelosa del damerino. Non voleva che Alexander vedesse quanto in realtà si sentisse infastidita e così fece di tutto per evitare di parlargli durante la serata. In più, si disse, lui l’aveva baciata, aveva fatto intendere che lei fosse in qualche modo diversa; ma aveva un bel modo di dimostrarlo: chiacchierando allegramente con tutte le signorine che gli prestavano attenzione!

Sapevo che non poteva essere cambiato per niente!

Infine Callie era furente, anche se non l’avrebbe mai ammesso nemmeno con sé stessa. Andò a sedersi su di un divanetto libero e cominciò a farsi aria seccamente con il ventaglio. Non mostrò di aver veduto la figura che le si era seduta al fianco, tanto era presa a darsi mentalmente della sciocca.

“Signorina?”

Callie sussultò e, voltandosi, riconobbe William Thompson. Era l’unico figlio maschio del signor Thompson e non era ancora sposato, malgrado i suoi modi affabili e l’aspetto alquanto gradevole. Le sue due sorelle asserivano spesso che non si sarebbe mai accasato con nessuna, poiché non era nel suo interesse. Evidentemente era in quello del padre, che desiderava almeno un nipotino che portasse il suo cognome. Callie non aveva visto che poche volte il signor William a Londra e lo considerava un poco sciocco e borioso: non faceva altro che parlare di sé stesso.

Cosa che puntualmente avvenne appena la ragazza ebbe finito di chiedergli “Come state?”

“Oh!” esclamò l’uomo, allargando le braccia con fare melodrammatico “Non potrebbe andare meglio signorina Honeycombe! Dopo anni di ricerca ho trovato la mia casa ideale, proprio qui, nel Derbyshire!”

E qui si portò le mani al petto , sospirando languidamente.

Callie trattenne un risolino: quell’uomo era semplicemente grottesco. Si sforzò di parere seria e interessata così, con aria forzatamente austera disse “ Sono felice per voi! E l’avete acquistata ad un buon prezzo, signore?”

“Stracciato!” si accalorò lui, tagliando l’aria con un gesto secco della mano. Poi, abbassando la voce, aggiunse “In confidenza, ho fatto un ottimo affare: l’ho comprata da un certo Henry William Bell. A quanto pare, sembra navighi in una profonda crisi finanziaria. So che a Londra è stato presente al ricevimento della signorina Duval ma, credetemi, credo che non possa più permettersi di soggiornarvi come faceva un tempo.”

Callie ora era parecchio interessata alla cosa e, ignorando il sottile sentimento che le agitava lo stomaco, chiese “ Debiti?”

“Oh, sapete signorina, teneva un certo stile di vita e spendeva molto più per le cose superflue che per quelle fondamentali. Ora ha gettato in disgrazia sé stesso e la moglie.”

La ragazza sapeva benissimo di cosa si stava parlando, ma tacque. D’altronde veramente pochi erano a conoscenza di ciò accaduto fra lei e il signor Bell. Callie sapeva che avrebbe dovuto dispiacersi un poco per una sorte così disonorevole, ma non vi riuscì in alcun modo, anzi.

Ognuno ha quel che si merita.

“Comunque sia, quel signore mi ha lasciato in eredità una vasta collezione di libri e ciò mi riempie di gioia!”

“Davvero? Io adoro leggere!” esclamò la ragazza piacevolmente sorpresa. A dirla tutta, pensava che una vasta libreria sarebbe stato un tesoro sprecato in casa Thompson: nessuno, compreso William stesso, aveva il tempo di leggere.

“Oh, signorina Honeycombe! In questo caso dovete assolutamente venir….”

“Bene, direi che basta così, William. O la signorina comincerà a lamentarsi se la tenete tutta per voi.” fece un Alexander James Norris dall’intervento più che tempestivo. Ignorò il verso sbalordito del signor Thompson e si voltò verso Callie con un sorrisetto divertito stampato in viso “Avete gradito la cena?”

Callie, sentendosi arrossire, si nascose dietro al ventaglio e cercò di ignorare quell’alta figura davanti a lei. “Deliziosa, signore, deliziosa. Ma vi sbagliate riguardo al povero Thompson: è stato estremamente gentile con me.” disse infine.

“Ah, visto caro mio?!” esultò teatralmente quest’ultimo. “Le vostre maniere affascinanti sembrano non giovarvi affatto agli occhi della signorina Honeycombe!”

Mentre Callie se la rideva internamente per quell’affermazione; Alexander rispondeva in tono seccato “ Mi sembra che le vostre sorelle vi stiano cercando…” e porgendo una mano alla ragazza castana, aggiunse “…e io dovrei condurre un momento questa signorina da mia madre. Di certo un uomo rispettoso come voi, William, vorrà scusarmi.”

Callie ebbe la tentazione di non muoversi da quel divanetto, ma gli occhi seri e infastiditi di Alexander le suggerirono che era meglio seguire il suo consiglio. Così si fece aiutare dal damerino, prendendogli la mano.

“Ah! Siete assolutamente scandaloso!” si lamentò in tono drammatico l’altro, congedando i due con un gesto della mano.

 

“Posso sapere che avete tanto da ridacchiare?”

Il tono seccato del signor Alexander, se possibile, divertì ancora di più Callie che non riusciva proprio a rimanere seria. In più il viso di quell’uomo, contratto in una smorfia infastidita, era estremamente ridicolo.

“No, nulla. Mi chiedevo solo come mai vi siete scaldato tanto all’affermazione di William Thompson!”

Alexander alzò gli occhi neri al cielo: la ragazzina lo stava provocando. Perché Callie sapeva benissimo il motivo, d’altronde, fin dall’inizio proprio lei aveva messo in discussione l’effetto dei suoi modi. E ora, sentirselo venire a dire da uno come William Thompson!

L’uomo non le rispose e, agganciandola bene al suo braccio, accelerò il passo. La signorina Honeycombe dovette trattenere un sorriso poiché, in quel momento, si sentiva assurdamente felice e serena.

E questo non andava affatto bene.

Il sorriso svanì dalle sue labbra quando notò che il giovane signore non la stava conducendo verso il capannello di persone tra cui era presente Teresa Norris, ma anzi si dirigeva dalla parte opposta. Solo dopo aver attraversato un piccolo corridoio oscuro ed essere sbucati in una saletta svuotata di gente, Callie chiese preoccupata “Dove mi state portando?”

La sua ansia crebbe vedendo che lui non sembrava intenzionato a risponderle: guardava dritto di fronte a sé con un’aria imperscrutabile. Lei allora decise di non dire più nulla: tanto di lì a poco l’avrebbe scoperto.

E quando si ritrovarono in una grande terrazza, illuminata a malapena da qualche candela, la ragazza capì che tutti i suoi timori erano ben infondati. Come al solito avrebbe dovuto fidarsi più di quell’uomo, per quanto il suo comportamento fosse stato terribile…perché, in fondo, sapeva che non voleva farle del male.

Non riuscì a reprimere un’esclamazione sorpresa quando di fronte a sé si stagliarono i giardini della dimora in tutta la loro bellezza: anche se immersi nell’oscurità, la ragazza ebbe modo di notare quanto fossero maestosi. In più, il panorama era reso ancora più spettacolare dalle stelle, che brillavano serene in quella notte stranamente limpida.

Callie aggrottò le sopracciglia, ignorando una familiare sensazione alla bocca dello stomaco: le parole che si erano scambiati ore prima le ritornarono alla mente. Come quel bacio. Sapeva che non avrebbero dovuto trovarsi lì, loro due soli.

Perchè fa tutto questo per me?

“Vi piace?”

La voce era giunta da dietro di lei. “è bellissimo! Siete stato fortunato a nascere qui!” rispose lei con una voce un po’ più allegra e serena di quello che avrebbe dovuto essere.

Avrebbe voluto aggiungere altro, ma le braccia dell’uomo che la tiravano indietro smorzarono qualsiasi suono in gola. Alexander l’aveva stretta a sé con forza e ora affondava il viso nella sua spalla. Callie era ancora una volta imprigionata da quel corpo solido e alto, lo sentiva talmente vicino da poter sentire il respiro di lui sulla pelle. Arrossì furiosamente.

“Come fate?” le arrivò la sua voce: era poco più che un lamento. “ Come fate a spezzare tutte le mie certezze in questo modo? Tutte le mie decisioni…tutto…”

Voi l’amate?

“…perché so che vi farei del male, proprio come è successo con…con lei.”

 Callie si appoggiò leggermente alla spalla dell’uomo con la testa: era estremamente comoda. Non sapeva cosa rispondere, perché a malapena poteva credere a ciò che lui le aveva appena detto. “Voi… fate lo stesso con me, sapete?” sussurrò lei timidamente.

Lo vide sciogliere lentamente l’abbraccio, mentre l’ombra di un sorriso gli aleggiava sul viso delicato. Alexander si allontanò in silenzio da Callie ed andò a sedersi scompostamene su una grande poltrona di vimini, lasciando la ragazza al centro del terrazzo. “Ah, allora i miei modi su di voi qualche effetto l’hanno avuto!” la prese in giro alla fine, con un sorriso un poco malinconico.

La ragazza sbuffò. “Siete sempre il solito!” fece per poi abbassare lo sguardo nocciola “A proposito…io...ecco, credo di dovervi ringraziare per l’altra volta…mi avete salvato la vita.”

Se al posto di Callie vi fosse stata una qualsiasi altra donna, l’uomo avrebbe sicuramente sorriso nel suo solito modo galante e avrebbe assicurato che era stato un vero onore servire una così deliziosa signorina. O almeno prima di conoscere la suddetta ragazza.

Ma con Callie non riusciva proprio più a fingere, perché ormai il suo sentimento lo stava letteralmente bruciando. Era certo di esser praticamente morto…era stata lei ad averlo ucciso veramente.

Così, facendo un cenno con il capo, disse solo “Non dovete ringraziarmi. D’altronde è mia la colpa se siete stata aggredita…sono io che dovrei chiedervi perdono.”

Callie sgranò gli occhi.

“…è colpa mia se è morta. Tutta colpa mia.”

Si avvicinò di qualche passo, portandosi a qualche metro da lui. “Vorrei…vorrei che mi diceste come è morta la signora Laura.”

Il tono con cui Alexander le rispose era altrettanto deciso e categorico. “No.”

Callie si sentì un poco vergognare, ma decise di non demordere. Doveva saperlo.”Dovete dirmelo.”

Ebbe il tempo di vedere i suoi occhi neri brillare attenti fra le ciocche di capelli corvini, prima che la mano di lui andasse a nasconderli. L’uomo piegò un poco la testa di lato “Perché volete saperlo?”

La risposta della ragazza lo stupì. “Devo …devo saperlo.”

Alexander trattenne un sorriso scettico: di certo, dopo, l’avrebbe davvero disprezzato.

“E va bene.”

Callie si avvicinò ancora di qualche passo all’uomo: ora poteva vederlo, ad un metro da lei, seduto scomposto come se fosse stato un vestito gettato a caso su una sedia. Era bello, ma ancora le appariva incredibilmente sofferente e stanco. Per un momento si pentì d’aver preteso che lui le raccontasse tutto, ma sentiva che era l’unico modo.

L’unica maniera per comprendersi finalmente del tutto: se era stata pronta ad ammettere per prima i suoi pregiudizi, le sue paure, se si era confidata…ora anche lui avrebbe dovuto fare lo stesso. Perché era l’unico modo per dissipare tutto ciò che fin ora era accaduto fra loro. Era il nodo da sciogliere.

La loro unica possibilità.

 Alexander la prese per il polso e la costrinse, dolcemente, a sedersi sulle sue gambe. Callie, arrossendo, lasciò che nascondesse il capo nell’incavo del suo collo come la notte dell’aggressione. Solo che questa volta, si disse, lui non se ne sarebbe andato. Per un po’vi fu solo il suo respiro a sfiorarle la pelle e il silenzio, ma poi le parole cominciarono a scorrere come un fiume in piena.

“…è accaduto, come sapete, un anno dopo il nostro matrimonio. Aspettava un bambino, eravamo felici, facevamo progetti…volevamo venire a vivere tutti e tre in Inghilterra, vicino ai miei genitori.”

Callie ebbe la consapevolezza dolorosa che la dimora di cui Gordon gli aveva accennato era stata predisposta proprio per questo: accogliere Laura e suo figlio. Sentì che Alexander non era capace di continuare e, dopo un momento di esitazione, portò una mano ad accarezzargli i capelli corvini dolcemente. Avrebbe voluto davvero fargli coraggio.

“ Poi…” ricominciò l’uomo, incerto “ …un giorno…avevo perso una forte somma al gioco. Non dissi nulla a nessuno, poiché sicuramente sarei stato in grado di pagarla prima della partenza per l’Inghilterra. Passarono alcuni giorni e il mio creditore…credo che, insomma tutti hanno creduto che lui pensasse veramente che io di certo l’avrei imbrogliato. Pensava che non avrei ripagato mai il mio debito e così si presentò a casa mia, completamente folle.”

Callie capì immediatamente che il peggio stava per arrivare: lo sentiva nel tono di voce incrinato di Alexander, nel lieve tremore del suo corpo, nel suo viso nascosto con fermezza alla sua vista. Non voleva essere guardato dalla ragazza.

“Mi rivolse parole che….aveva una pistola con sé e finì che ci affrontammo. Laura voleva farmi lasciar perdere, ma io la respinsi e le dissi che lei non centrava nulla in quella situazione. Ero così fuori di me...ed ero spaventato. Era a casa mia, sapevo che poteva succedere qualsiasi cosa da un momento all’altro. Il mio avversario approfittò del momento in cui parlavo con mia moglie per colpirmi praticamente alle spalle, così anch’io sparai…e a cadere fu Laura.”

Le ultime parole gli si smorzarono in gola e caddero nel silenzio più assoluto. Callie socchiuse gli occhi, sopraffatta dal dolore che provava dopo il racconto di quell’uomo. Aveva perso tutto quello che amava, la sua vita a causa del suo stesso orgoglio. Callie pensava che era stata una terribile disgrazia, che l’uomo non avrebbe dovuto darsene così la colpa, torturarsi in quel modo.

“Non credo che avreste mai voluto la sua morte…era vostra moglie e madre di vostro figlio. Voi…voi non siete un assassino…io…io ho piena fiducia in voi.” gli disse lei, timidamente.

Sì, io ormai mi fido di voi ciecamente…sembra assurdo, non è vero?

Alexander sollevò finalmente gli occhi su di lei e la gratificò di un sorriso malinconico che rese il suo volto ancora più bello e fece, al contempo, arrossire come una ciliegia Callie.

“Mi sono guadagnato il vostro disprezzo, vero?”

La ragazza castana scosse risolutamente la testa. “No!” rispose portando una mano sulla guancia scura di lui. “ Io non vi odio affatto.”

Questa volta il bacio non fu improvviso come quello che l’aveva preceduto. Callie ebbe tutto il tempo di prendere atto delle sue braccia che si allacciavano al collo di Alexander, del suo corpo che si portava consciamente verso quello di lui, della sua lingua che accarezzava dolcemente quella dell’uomo. Ebbe tutta la consapevolezza di notare quanto lui fosse molto più sicuro ed esperto di lei, impacciata e agitata ragazza.  Ma non vi badava.

Alexander si staccò dolcemente dalle sue labbra e le accarezzò il collo con la punta delle dita. Un sorrisetto saccente comparve sul suo volto, mentre gli occhi bui si allacciavano a quelli nocciola della ragazza “Siete una donna bellissima, piccola ragazzina.”

Callie rise.

E lei lo amava. In fondo, l’aveva sempre saputo.

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Capitolo 11
*** Undicesimo. Fino all'ultimo momento. ***


Eccomi tornata! :) Pensavo davvero che questo capitolo sarebbe stato l’ultimo ma, ahimè, evidentemente nella mia testa la storia è già bella pronta mentre sulla carta tutte le mie idee sembrano diluirsi in lunghe pagine!

Spero che continuerete comunque a seguirmi in questi due o tre capitoli che ci separano dalla conclusione della vicenda. Ora! Passo a ringraziare le persone che mi seguono e chi continua a recensirmi! Tutto ciò mi dà fiducia! :)

Buona lettura!

Sweet Pink

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Siete una donna bellissima, piccola ragazzina.”

Callie si girò su un fianco e sospirò stancamente: no, non aveva in alcun modo preso sonno, quella notte. E come avrebbe potuto?  Il ricordo delle labbra di Alexander le bruciava nell’anima e nello stomaco da parecchie ore. Da quando lui le aveva dato la buonanotte, in realtà.

L’aveva riaccompagnata presso il salotto, dove tutti gli invitati erano ancora impegnati nei loro intrattenimenti, e l’aveva lasciata andare. Però, prima di questo, Alexander l’aveva bloccata sulla soglia e di nuovo si era impossessato delle sue labbra, come se non potesse farne a meno. Qualcuno avrebbe potuto vederli, ma a lui questo non sembrava importare. E, in tutta sincerità, nemmeno a lei.

Poi, non si erano più scambiati nemmeno una parola.

Callie si portò una mano alle labbra: poteva ancora sentirla, la lingua di Alexander, accarezzarla dolcemente e farla precipitare in un vortice di confusione e lussuria. Sì poiché, era inutile negarlo, lei avrebbe voluto davvero che quell’uomo mandasse in frantumi anche l’ultimo mattone di quel muro ormai in pezzi.

Le sue mani e le sue labbra avrebbero avuto il potere di farlo.

Per la prima volta dopo tanto tempo, era pronta ad ammettere con sé stessa di desiderare un altro uomo. Non solo dal punto di vista sentimentale, ma fisico. Certo, aveva flirtato con qualche giovane negli anni passati, ma non era la stessa cosa.

Da quando Henry Bell l’aveva picchiata, umiliandola e sottomettendola con la forza delle sue mani incollerite, da quando aveva calpestato la sua dignità e il suo cuore con le sue continue bugie…Callie non era riuscita più a fidarsi veramente degli uomini, a pensare, un giorno, di potersi concedere ancora una volta a qualcuno.

Ma ora era diverso. E a cambiarla era stato proprio quell’uomo impossibile che diceva di odiare. Quell’uomo borioso che le aveva salvato la vita, che le lasciava delle cicatrici ogni volta che la toccava.

Lo voleva.

La ragazza si prese la testa castana fra le mani con un gesto secco e improvviso: a che pensava!

Non doveva dimenticare quanto male si fossero inferti a vicenda, non poteva scordare che il più grande ostacolo tra loro probabilmente era ancora in piedi e ben solido.

“Non posso darti quello che stai cercando, Callie.”

Ricordò il tremore leggero della sua figura solida e forte, mentre raccontava l’accaduto di molti anni prima. La sua voce insicura, quasi impaurita; così diversa da quel tono saccente e ironico a cui lei era ormai abituata. Alexander era un uomo ferito.

E amava ancora Laura.

Non amava lei.

Quel pensiero le provocò una fitta dolorosa allo stomaco che sembrava voler risalire, a tradimento, fino al cuore. La consapevolezza di essere, in fondo, solo una sostituta si propagava attraverso ogni corda del suo animo, avvelenandolo.

Perché lui l’aveva baciata.

Callie si alzò a sedere sul letto, i lunghi capelli castani che disordinatamente cadevano sul suo bel volto stanco. Davanti a lei, l’oscurità di quella stanza grande e ordinata era rotta solamente da pallidi raggi di luna che filtravano attraverso le pesanti tende, appena socchiuse. 

Avrebbe voluto dormire almeno un poco e, in più, sentiva di stare scottando. Si prese le guance fra le mani: erano così calde. Forse aveva la febbre.

Siete una donna bellissima, piccola ragazzina.”

Alexander bruciava…bruciava qualsiasi cosa.

 

La mattina dopo un tiepido sole e una leggera nebbiolina fecero capolino timidamente e avvolsero la tenuta dei Norris di uno stupendo manto dorato. Chiunque avesse osservato la villa, in quelle ore del mattino,  di certo l’avrebbe trovata ancora più signorile e magnificente di quanto non fosse già; ma nessuno dei padroni si era mai preoccupato troppo di questo aspetto: in generale, David Norris si interessava alla caccia, al gioco e agli affari, mentre era Teresa ad occuparsi dell’amministrazione della casa e dei figli. Il marito le lasciava totale potere decisionale sull’intera tenuta ed era stata lei, appena arrivata in Inghilterra, ad ordinare che fossero piantati gli immensi giardini sul retro.

Lei, che era cresciuta in una terra di sole e fiori, non poteva sopportare di vivere in una casa desolata e fredda. In quegli stessi giardini aveva giocato Alexander da bambino,  scorrazzavano scalmanati Jimmy ed Edward; in quell’esatto punto, all’altezza del roseto, Laura aveva accettato di sposare il figlio maggiore dei Norris.

E ora, al suo posto, Callie Honeycombe si sporgeva verso una rosa per poterne cogliere il profumo delicato. I suoi occhi nocciola, solitamente luminosi e vivaci, sembravano distratti e distanti.

Alexander l’ha avvelenata.

Questa era stata la considerazione finale di Teresa Norris, intenta ad osservare l’esile figura di Callie attraverso la finestra della camera da letto. Dall’alto, quella ragazza le sembrava ancora più minuta e gracile, come un ingenuo miraggio pronto a dissolversi da un momento all’altro.

“Quella ragazza…assomiglia a Laura.”

Teresa socchiuse gli occhi e sospirò tristemente. Le parole appena pronunciate da David Norris erano veritiere, lo sapeva. Ma ammetterlo direttamente le avrebbe causato troppo dolore.

Così si voltò, pronta ad affrontare il marito a testa alta: David era in piedi di fronte a lei, ritto come un solenne monumento di marmo e negli occhi brillava una severità che riusciva solamente ad irritarla e preoccuparla al contempo.

“Non hai la minima intenzione di perdonare tuo figlio?”

“No, almeno finché lui non riuscirà a perdonare sé stesso per ciò che ha fatto.” rispose freddamente l’uomo, senza spostare di un millimetro il suo sguardo da Teresa: era in collera con lui, era evidente.

“Ora sembra che sia arrivato il momento.” sostenne con una nota di furore la donna; le mani che minacciavano di strappare in due i guanti bianchi che teneva stretti fra le dita. “La signorina Honeycombe gli sta ridando speranza e vita, l’hai visto anche tu. Ha ripreso a suonare.”

“Questo non sostiene nulla.”

“È passato tanto tempo!”

David ignorò la voce ora apertamente inviperita di sua moglie e ribatté, perfettamente sereno e stoico “ Assomiglia a Laura: Alexander crede di potersi redimere, crede di amarla, ma è solo una sostituta.”

“Ed è questa la vostra umanità, signor Norris?! Questo ciò che pensate di vostro figlio?”

David conosceva bene la moglie e sapeva perfettamente che quando questa si rivolgeva a lui con il voi doveva temere tempeste d’ira imminenti. Questo non lo trattenne comunque dal dire: “ La rovinerà, lo sai anche tu.”

“Io credo in Alexander! Ho fiducia in lui, cosa che voi non avete minimamente, a quanto pare!” lo rimbeccò Teresa con forza. L’avrebbe strangolato, se solo avesse potuto: David, l’amore della sua vita e padre dei suoi figli, trattava uno di loro come un nemico. Non poteva più perdonarlo per questo.

Il signor Norris le voltò le spalle e, con una calma invidiabile, si avviò verso la porta della camera. Era pronto ad uscire perché, per lui, la conversazione era già finita. Soffriva nel vedere Teresa contro di lui e non riusciva a tollerare che potesse arrabbiarsi per un fatto così evidente.

Alexander non amava Callie.

“Molto bene. Voglio proprio vedere cosa combinerà nostro figlio.” asserì acidamente, per poi aggiungere “ Ti aspetto di sotto, fra dieci minuti. I nostri ospiti saranno già tutti in piedi.”

Teresa aspettò che David chiudesse la porta prima di lanciare i guanti bianchi contro di essa: odiava la sua fredda razionalità. L’aveva sempre odiata!

 

 Callie era perduta nel giardino segreto.

Quel nome gli era stato da Jimmy ed Edward due anni prima; quando Alexander, tornato da Londra per una visita alla famiglia, li aveva sfidati ad un estenuante nascondino. Anche se era ormai un uomo adulto e “rispettabile” non si negava mai un ora di gioco con i fratellini più piccoli.

Comunque, al primo che avesse scoperto il suo nascondiglio nel parco, sarebbero andate dieci sterline. E, per i bambini, era una ghiotta tentazione!

Lo cercarono per tutto il pomeriggio senza mai trovarlo. Così, il suo nascondiglio fu ribattezzato il giardino segreto anche se, a dirla tutta, non era che la porzione di giardino più lontana dalla villa.

Quel giorno, i due fratellini non erano stati né troppo furbi né troppo fortunati e Alexander, come al solito, aveva vinto.

Callie Honeycombe non sapeva tutto questo e, con l’aria di un’esploratrice sperduta nella giungla africana, si aggirava fra gli alti alberi e i cespugli sempreverdi osservando ogni angolo di quel giardino. Era semplicemente stupendo.

Come la madre, la ragazza aveva sempre adorato i fiori e le piante anche se non ne era particolarmente portata per la cura: non che il giardinaggio fosse compito di una signorina, s’intende, ma ogni tanto invidiava la delicatezza con cui il giardiniere di casa Honeycombe curava il loro piccolo giardino.

è bellissimo! Siete stato fortunato a nascere qui!”

“Ma il mio non è nulla paragonato a questo.” pensò Callie alzando lo sguardo verso il cielo azzurro. Era stata una magnifica mattinata di sole, spazzata solamente da un vento pungente e freddo che faceva irrigidire le ossa sotto la pelle e i vestiti. Nell’aria, la ragazza sentiva una strana corrente elettrica che la portava ad avere un senso d’aspettativa tutto particolare: non aveva ancora incontrato il signor Alexander.

Non sapeva bene se voleva vederlo, in effetti, perché quell’uomo bruciava qualsiasi cosa. E lei non faceva eccezione. Una notte insonne non era bastata a comprendere come mai a tanta felicità doveva equivalere ora un senso di così disarmante malinconia.

Il mio giardino, non è nulla se paragonato a questo.

“…Aspettava un bambino, eravamo felici, facevamo progetti…”

Non poteva nemmeno essere paragonata ad una donna del genere.

“Non riuscite a fare altro se non perdervi, signorina?”

La voce ironica e calda ebbe l’effetto di risvegliarla dei suoi cupi ragionamenti. Quella era la voce inconfondibile della sua rovina che, ancora una volta, l’aveva trovata senza alcun bisogno di sapere dov’era. Callie si voltò di scatto: Alexander James Norris era in piedi di fronte a lei e, malgrado i suoi occhi neri brillassero divertiti, le sembrò stanco. Quasi come lo era lei.

La ragazza arrossì un poco, ma cercò di non scomporsi troppo: “ Siete sempre così gentile, signor Alexander...e voi? Mi stavate pedinando?”

L’uomo sfoderò uno dei suoi tipici sorrisi eleganti e rispose, in tono del tutto casuale: “No, affatto. Mi sono appena alzato, a dire il vero, e ho pensato bene di venire qui a passeggiare. Sapete, fino a prova contraria, questa è casa mia.”

Callie era troppo impegnata a far tacere il suo cuore impazzito per potergli rispondere in tutta calma e serenità. Ora che lui era lì, fisicamente di fronte a lei, sentiva quasi di non poter sopportare la sua presenza perché i suoi occhi neri sembravano ardere. E anche lei con loro.

Siete una donna bellissima, piccola ragazzina.”

“Vi siete appena alzato? Mi congratulo con voi, signore: è mezzogiorno!”

“ Vi ringrazio di cuore del gentile complimento, perché io non mi desto mai prima delle due del pomeriggio.” rispose ancora Alexander, accompagnando con un gesto di noncuranza le sue parole.

Si avvicinò di qualche passo a lei e Callie, accorgendosene, si fece istintivamente indietro: sentiva che lui le stava parlando con quel tono studiato che lei detestava perché voleva infastidirla. Decise, per una volta, di non dargli alcuna soddisfazione.

“E, di conseguenza, non andate mai a coricarvi prima delle quattro di mattina.” ribatté la ragazza con un finto sorriso di serenità. Si accorse di star tormentando un lembo di vestito con le mani e così abbassò lo sguardo, distogliendolo dagli occhi di lui. Magari senza vederli sarebbe riuscita a non impazzire.

Alexander sembrava non accorgersi dell’agitazione di Callie e continuava a parlare con il solito tono di divertimento misto a noncuranza. Si faceva sempre più vicino senza che lei potesse o volesse impedirlo. La ragazza, con lo sguardo ancora ostinatamente basso, si chiese se l’uomo non avesse proprio nulla da dire su quello che era accaduto la sera prima.

Sentì una fitta sgradevole allo stomaco.

“…Non si è minimamente accorta che il signor Alexander si sta divertendo a giocare con lei…”

Amava ancora Laura.

Alzò lo sguardo nocciola sull’uomo davanti a lei: le era talmente vicino da poter udire ogni sfumatura del tono superficiale e beffardo con cui le si rivolgeva, riusciva ad intravedere il fuoco in quelle iridi nascoste da ciocche ribelli e corvine.

Non amava lei.

“Voi non state ascoltando neanche una parola di quello che vi sto dicendo, non è vero?”

Callie si riscosse con un sussultò violento alle parole dell’uomo e, trovandolo piegato su di lei con il volto a pochi centimetri dal suo, fece per allontanarsi arrossendo furiosamente.

“No…no! ecco...io…”

Ed era stato forse un movimento un po’troppo veloce perché si trovò a perdere l’equilibrio, il suo corpo che si sbilanciava pesantemente all’indietro.

Se non fosse stato per la presa fulminea di Alexander, di certo sarebbe caduta rovinosamente a terra. Fu così che, in pochi secondi, Callie si ritrovò attirata fra le braccia dell’uomo tanto detestato e ora amato: senza quasi rendersene conto, le mani piccole andarono a stringere il suo soprabito nero con forza e affondò il viso nel petto ampio di lui, aspirando il suo profumo pungente.

Alexander le accarezzò i capelli castani con un gesto incerto, ma molto dolce. Sentiva di essere completo così, con Callie stretta a lui: il ricordo delle sue labbra umide non aveva fatto altro che tormentarlo per tutta la notte. Non era riuscito a dormire.

La sera prima, lei non l’aveva disprezzato. Non l’aveva respinto: la signorina Honeycombe non lo detestava come aveva creduto.

Ma a lei importava…lei, quella sera, voleva capire. Voleva ascoltarti…

“ Io non vi odio affatto.”

No. Era da mesi che stava bruciando per lei.

“Scusatemi, sono terribilmente imbranata.”

La voce rotta dall’imbarazzo proveniva da sotto di lui. Alexander non riuscì a non sorridere: Callie era semplicemente adorabile. Era davvero piena di luce, una luce che lui temeva di spegnere...se solo una forza inarrestabile non spezzasse qualsiasi sua convinzione, portandolo sempre a desiderarla con tutte le sue forze. Attratto come una falena dalla fiamma.

Callie era quella fiamma.

“…so che vi farei del male, proprio come è successo con…con lei.”

“Davvero.” assentì lui e, ignorando il lamento irritato della ragazza, continuò: “Non vi siete mai chiesta come mai riesco sempre a trovarvi, senza sapere dove siete?”

Due occhi luminosi e perplessi si alzarono su di lui: ora Callie si stava chiedendo anche come l’uomo riuscisse sempre ad indovinare con esattezza i suoi pensieri. Ma Alexander non le diede né il tempo né la forza di rispondere perché aveva chiuso le sue labbra sottili su quelle di lei e, quando sentì la sua lingua premere dolcemente per entrarle nella bocca, Callie si arrese totalmente a lui.

L’aveva sconfitta: poteva sentire il dolce sapore della resa nel battito del suo cuore folle, nelle labbra di lui, nella sua anima ormai interamente sua, nelle sue mani che le premevano sulle guance in una carezza piena di passione.

Erano tutte cicatrici.

Ora lei gli apparteneva. Cuore e anima.

Alexander si allontanò di malavoglia dalle labbra di Callie e mormorò, sorridendo divertito: “Non lo sai, Callie?”

E la ragazza sapeva che, probabilmente, poteva esserci solo una risposta possibile. Ma non poteva rispondere…non voleva rispondere. Sì, si fidava di lui, ma non di sé stessa.

Non amava lei.

“Non posso darti quello che stai cercando, Callie.”

Abbassò lo sguardo. “Non lo so…” rispose, incerta. E sapeva di stare mentendo.

Ebbe la sorpresa di vederlo sorridere. Alexander lasciò la presa su di lei con un movimento leggero e si allontanò di qualche passo. “Oggi pomeriggio…vorrei che veniste con me in un posto.” le disse con una serietà non sua.

“Perché?” chiese Callie con una curiosità neanche troppo velata. Si rese conto di pendere ormai quasi totalmente dalle sue labbra: sarebbe andata con lui fino in capo al mondo.

E questo non so se sia un bene…

L’uomo si scompigliò i capelli neri con un gesto vago: “Signorina Honeycombe, temo che dovrete fidarvi della mia parola.”

 

La carrozza si allontanò dalla proprietà dei Norris un’ora dopo pranzo. Nessuno, tra proprietari e ospiti, si era meravigliato nel sapere che Alexander aveva invitato la signorina Honeycombe – e solo ed esclusivamente lei – a venire con lui per un’uscita. Dove la volesse condurre lo sapeva probabilmente solo Alexander stesso.

Gli animi di chi osservò la carrozza allontanarsi, però, erano molto diversi: mentre Linda e Cecil erano i più sereni al riguardo, David Norris e consorte non lo erano altrettanto. Il padre di Callie, da parte sua, non avrebbe mai ammesso di esser geloso di quel damerino che le stava portando via la sua amata figlia maggiore. Sperava solo che tutto si concludesse felicemente e al più presto.

Callie, che non era del tutto consapevole di quell’agitazione che si animava alle spalle sue e di Alexander, fece tutto il viaggio affacciata al finestrino fremente di curiosità e eccitazione. Non riusciva ancora credere come l’atmosfera fra lei e quell’uomo si fosse rasserenata di colpo, a come riuscisse a parlargli senza rischiare l’infarto così, all’improvviso.

No, meglio non pensare. Ancora una volta, come la sera prima, si sentiva follemente felice.

“Guardate! Quella casetta lassù, è isolata, ma magnifica! A dire il vero, tutto il paesaggio è stupendo!”

Alexander non staccava gli occhi neri da lei nemmeno per un secondo. Sorrideva leggermente alle parole e ai gesti di Callie che, in ginocchio sul sedile imbottito, sembrava proprio una bambina. Allungava le mani sul finestrino e avvicinava il viso al vetro, come se non volesse dimenticare neanche un frammento di ciò che stava osservando. Gli occhi nocciola spalancati e curiosi.

L’uomo si portò una mano alle labbra sottili e trattenne una risata divertita: solo averla vicina gli ridava vita. Luce.

Anche se quegli occhi avrebbe voluto vederli su di lui, come le sue mani piccole e curate che immaginò schiuse in una carezza dolce e sensuale sulla pelle: l’immagine di Callie sdraiata sotto di lui e nuda, con un viso adorabilmente arrossato, lo colpì con una forza tale da farlo quasi sussultare sul sedile.

Sapeva che Callie era sua ma…non lo era ancora abbastanza.

Fu così che, quando arrivarono a destinazione, Alexander fu sollevato dal dover scendere dal mezzo e non avere più la ragazza così vicina. Non sapeva se sarebbe riuscito a non toccarla ancora tanto a lungo.

Callie osservò con stupore l’enorme casa che si innalzava di fronte a lei: era di poco più piccola di quella dei Norris, ma vi somigliava parecchio; l’unica differenza era il verde. Qui il parco sembrava esser avanzato fino a lambire le finestre della villa, come se gli alberi avessero voluto fondersi con essa: non era un atto di trascuratezza, ma voluto.

Sembrava un castello delle fiabe, in un certo senso, e la ragazza l’amò dal primo momento.

“…volevamo venire a vivere tutti e tre in Inghilterra, vicino ai miei genitori.”

Questa è casa sua.

Callie socchiuse gli occhi e chinò la testa di fronte a quella enorme costruzione: non era del tutto sicura di volerne varcare la soglia. Le pareva di entrare in un territorio sacro e invalicabile, poiché tutto quello che vi avrebbe trovato era portatore di dolorosi ricordi.

Amava ancora Laura.

                                                                                                                                                                Soffrirai.

No. Lui l’aveva cambiata.       

                                                                                                                       Ti tradirà. Non fidarti. Ti rovinerà.

No! Lei l’aveva cambiato. Con lei era diverso!                                                                                                                           

                                                                                                                                                     Tu non sei lei.      

Fortunatamente arrivò tempestivamente Gordon, il maggiordomo, ad accogliere lei ed il padrone sulla soglia e Callie fu distratta da quei pensieri così confusi.

“Bentornato padrone.”  salutò, inchinandosi davanti ad Alexander. Poi si rivolse alla ragazza : “ Signorina Honeycombe, è un piacere rivederla.”

Callie rispose al saluto, mentre notava uno strano sorrisetto addolcire le rughe sul volto dell’anziano. Immaginò che fu davvero contento rivederla in compagnia del suo signore e si accorse troppo tardi di stare arrossendo.

“Più volte ho pensato che volesse far di voi la padrona di questa casa…”                                                                                              
“Gordon, và ad avvertire Lucy del nostro arrivo e dille di preparare il tea. Voglio che sia servito il prima possibile, d’accordo?”

Gordon annuì ed esclamò, tutto sorridente: “Subito, signorino! E dove desiderate che sia servito?”

Alexander si accigliò all’agitazione gioiosa del suo vecchio servitore e, guardandolo con finta indignazione, rispose “In quel posto. Ora và, prima che la signorina Honeycombe ti trovi troppo impudente!”

Callie, che se la stava ridendo per il signorino utilizzato da Gordon, si riscosse e asserì: “ Non siate scortese, signore! Gordon sarà pure un domestico, ma è di una premura mai vista. Quando mi sono recata da voi, qualche mese fa, lui mi ha accolto anche se eravate già partito e mi ha trattato così gentilmente!”

Alexander sgranò gli occhi neri e la guardò, stupito: non era a conoscenza di questo fatto. “Ma…cosa?! Gordon!”

Il vecchio maggiordomo era già lontano, si voltò solo per congedarsi con un frettoloso quanto agitato inchino. Poi sparì all’interno della casa, battendo in ritirata.

Callie aveva assistito a quella bella scenetta con il sorriso sulle labbra e ora cominciava ad essere curiosa di sapere cosa esattamente fosse quel posto. Siccome l’avrebbe comunque saputo presto, si rivolse ad Alexander e commentò: “Non dovete maltrattarlo.”

Il volto dell’uomo era ancora voltato verso il punto in cui il suo domestico era sparito. “è con me da quando ero solo un bambino, quindi parecchi anni fa…Credo che sia l’unico dei miei servi che possa rivolgersi a me con quei toni da genitore premuroso.” rispose lui senza guardarla.

Callie studiava la sua espressione e il suo tono di voce, sorpresa: Alexander James Norris le si stava rivelando sempre più sotto un nuovo aspetto e una nuova luce. Non le sembrava nemmeno più la persona che aveva imparato a conoscere fin dall’inizio!

Qual è il tuo vero io?

È forse questo, non è vero?

Ma tutto fu cancellato dalla sua voce che la invitava ad entrare in casa insieme a lui. Così Callie fece il passo e oltrepassò quel confine, specchio del passato dell’uomo impossibile che diceva di amare.

 

La ragazza guardava Alexander aprire la grande porta che li divideva da quel posto. Era una porta imponente e in legno chiaro, intarsiata da motivi floreali che si susseguivano l’uno dentro l’altro: si chiese se, oltre la soglia, vi fosse un altro mondo. E, soprattutto, perché fosse stata ben chiusa a chiave.

La porta, aprendosi, non emise nemmeno un cigolio e Alexander si fece da parte per farla passare. Dipinta in volto un’espressione indecifrabile, un sorriso leggero che poteva esprimere qualunque cosa.

Callie si accorse di non aver sbagliato di molto: poteva benissimo trovarsi in un altro mondo. Perché quella stanza differiva totalmente dal resto della casa che aveva avuto modo di intravedere. Quel luogo emetteva luce: era immenso e alto, era candido, innocente, immutato. Era una libreria illuminata dalle ampie vetrate che davano sul giardino di fuori, quasi un luogo lontano dalla fredda Inghilterra.

Quel luogo era Laura.

Callie con il cuore in gola e l’espressione sbalordita, si portò velocemente al centro dell’immensa sala: ovunque attorno a lei si innalzavano libri su libri. Erano centinaia!

Non riuscì a reprimere un’esclamazione di meraviglia: “O mio dio! È così bello…tutto questo…non sembra neanche reale!” e continuò a guardarsi intorno freneticamente, camminando da una parte all’altra, tra gli alti scaffali. Come avrebbe voluto una libreria del genere in casa sua!

Ritornò verso l’ingresso, ritrovando Alexander esattamente dove l’aveva lasciato, appoggiato alla porta chiusa con le braccia incrociate. Callie si accorse che i suoi occhi neri non si staccavano da lei e, improvvisamente, si sentì nuovamente ardere.

Non riuscendo a sostenere quello sguardo, gli voltò le spalle e chiese: “Questo luogo…era per lei, non è vero?”

Alexander non fece in tempo a rispondere perché un battito leggero sulla porta annunciò l’arrivo di Gordon con il tea. Il maggiordomo non aveva la sua età per niente e capì subito che aria tirava in quella stanza: non pronunciò nemmeno una parola mentre appoggiava il vassoio sul primo tavolo disponibile e non fiatò nemmeno quando, con un inchino, si ritirò. Lo sguardo serio e impassibile di Alexander e l’ostinazione con cui Callie gli stava voltando le spalle bastarono a mettere in allarme il servitore.

Intanto la ragazza aspettava ancora una risposta con un senso di ansia tale da farle venire perfino la nausea. Le girava la testa.

“Sì, ho costruito questa stanza per lei.”

Il tono controllato di lui la infastidì forse più di qualsiasi sua affermazione pungente o ironica fatta fino ad allora. Cercò di non apparire troppo nervosa o, ancora peggio, gelosa: “Amava leggere?”

“Sì. Passava delle ore intere con lo sguardo perso nella lettura, proprio come voi.”

Proprio come voi.

Perchè fa tutto questo per me?

Tu non sei lei.

“Perché mi avete portato qui?” sbottò Callie, senza più riuscire a nascondere il suo risentimento. Non avrebbe mai dovuto seguirlo, mettere piede in quella casa. In più, lo stomaco era attanagliato dal senso di colpa: essere gelosa di una persona ormai morta, non la faceva sentire bene.

Udì Alexander portarsi lentamente dietro di lei.

“Voglio che tutto questo sia tuo.”

Callie, con il cuore che le martellava ferocemente dentro, si voltò di scatto: l’uomo era a meno di un metro da lei e lo sguardo sicuro e calmo che le rivolgeva, per un attimo, le fece paura. Ancora una volta, non stava affatto scherzando.

“Invece di guardarmi con quella graziosa bocca aperta, perchè non dite qualcosa?”

La ragazza arrossì furiosamente, ma si riscosse in tempo per potergli rispondere:” Vi ringrazio di cuore ma…ancora non capisco perché vi ostiniate a fare tutto questo. D’altronde sei stato tu a dirmi che da te, io, non potevo avere nulla, no?”

“Non posso darti quello che stai cercando, Callie.”

La ragazza sentì uno sgradevole sussulto nelle viscere quando vide gli occhi neri di Alexander aprirsi in un’espressione di amara sorpresa. Abbassò lo sguardo per non vederli più.

Ma fu un errore, perché ebbe l’effetto di far perdere totalmente il controllo all’uomo che le stava davanti.

Callie si trovò dolorosamente imprigionata fra lui e uno scaffale in un attimo, mentre le mani grandi di Alexander le premevano sui polsi con decisione. Era accaduto tutto così in fretta che non riuscì quasi a imporsi di reagire.

Così alzò lo sguardo su di lui, sorpresa.

“Ancora non capisci?!” le gridò lui, con dipinta in volto un’espressione rabbiosa a cui la ragazza non era abituata. “Dimmi esattamente, signorina Honeycombe, cosa devo fare per farti…comprendere cosa nutro per te?! Non è abbastanza?!”

Gli occhi bui di Alexander le bruciavano addosso, a pochi centimetri da lei. E i suoi capelli corvini le solleticavano il volto mentre il loro padrone, senza aggiungere nient’altro, decideva di prendersi le labbra di Callie con decisione.

 

Era accaduto talmente all’improvviso che Callie credette di stare vivendo solo un sogno.

“Io non sono come quell’uomo.”

Il pavimento era gelido a contatto con la sua schiena nuda ma, stranamente, la sua mente era completamente persa nell’atto di osservare. Guardare e ammirare le sue piccole mani farsi strada sulla pelle olivastra di Alexander che, ora, nascondeva il viso fra i suoi capelli castani, ormai tutti in disordine.

“Io non vi farei mai del male.”

Ogni cosa. Tutto, in quei momenti, era andato perduto, dimenticato. Callie non sapeva più chi era Alexander, non le importava. Non era più la persona che aveva fatto emergere il suo passato, che si era presa gioco di lei, che l’aveva ferita, annientata. Non era più il damerino tanto alla moda e dal carattere altrettanto impossibile visto ogni settimana con una signorina diversa.

E non era più l’uomo ferito con la moglie morta di cui lei era la sostituta.

Solamente, era l’uomo che amava, sopra di lei e dentro di lei. Alexander che la stava prendendo completamente e, così facendo, le lasciava una cicatrice che Callie non avrebbe mai più potuto dimenticare.

“Io…non ho fatto che pensare a voi in questi due mesi.”

 Tempo prima, a Callie sembravano ore, l’uomo le aveva sfilato il vestito e, senza fretta, aveva lasciato che lei potesse fare lo stesso con lui. La ragazza non aveva avuto alcun imbarazzo nel spogliarlo perché, paradossalmente, il corpo di Alexander le sembrava di conoscerlo da sempre. In fondo, stava bruciando da talmente tanto tempo che ormai non poteva più esser salvata.

E quando Alexander era andato ad accarezzarla dolcemente tra le gambe, ogni inibizione era stata abbandonata.

“Non vi siete mai chiesta come mai riesco sempre a trovarvi, senza sapere dove siete?”

Callie si aggrappò con forza alle sue spalle ampie, chiudendo gli occhi, inseguendo ogni movimento che lui imprimeva dentro di lei. Un fuoco divampava e bruciava all’interno del suo corpo e in quello di Alexander: entrambi non avrebbero potuto dimenticarlo, perché quello che stava accadendo poteva significare felicità o rovina.

No. Non avrebbero più dimenticato.

“Non lo sai, Callie?”

Lo sentì gemere e quella voce, quel gemito, le scaldò il cuore: Alexander si abbandonava a lei, fra le sue braccia, sul suo seno, fra le sue gambe. Ovunque. Capì forse per la prima volta la reale portata dei suoi sentimenti, di quanto l’aveva sempre amato, proprio fin dall’inizio.

Gli prese la testa corvina fra le mani e lo baciò a lungo, mentre quel movimento era sempre più veloce, deciso dentro di lei. Serrò le gambe attorno al suo bacino sudato mentre sentiva imminente il momento di massimo piacere. Non si stupiva più ormai di sentirsi ansimare al suo orecchio, perché tutto ciò che voleva era che Alexander non si fermasse.

Non desiderava vederne la fine.

“Voglio che tutto questo sia tuo.”

Fino all’ultimo momento della sua vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

Nota!

Per quanto riguarda la scena finale di questo capitolo non ho ritenuto necessario alzare il rating della storia stessa che ,quindi, rimane giallo.

Ok, lo so, potevo fare anche a meno di specificarlo, vero? :)

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Capitolo 12
*** Dodicesimo. La morte di Jane. ***


ATTENZIONE! Questo è l’ultimo capitolo di Fino all’ultimo momento e, prima di andare alla lettura, vorrei che leggeste queste due righe che mi accingo a scrivere. È importante per me ringraziare tutti coloro che mi hanno seguita e, anche se non ho né miliardi di recensioni o di lettori per questa storia, mi sono sentita veramente lusingata.

Ora, ho da dire solo altre due cosette: questo è l’ultimo capitolo e non è stato facile completarlo. Un po’ per essermi affezionata ai personaggi, un po’ perché non volevo farne uno schifo e rovinare tutto ciò che avevo scritto in precedenza. Spero possiate apprezzarlo comunque!

Infine, questa storia farà parte di una serie ( sto già scrivendo un’altra storia, per questo sono in ritardo J) e domani pubblicherò il primo capitolo di un racconto nuovo, quindi se volete passare a dare un’occhiata mi farebbe molto piacere.

Piccola curiosità: non ho resistito a non inserire Callie anche nel nuovo racconto, ma avrà un ruolo fondamentalmente marginale!

Ora, mi scuso per il papiro, vi abbraccio tutti e vi lascio leggere in pace! J

Sweet Pink

 

 

 

 

 

 

 

“Mi ami, ragazzina?”

“Non dirmi che hai fatto l’amore con me solo per farmelo ammettere!”

L’uomo sorrise, divertito: “Non mi hai ancora risposto, Callie.”

La ragazza si prese un po’di tempo prima di dargli una risposta. Non perché fosse indecisa ma, piuttosto, per lasciargli tutto il tempo di bollire nel suo brodo. Infine rispose, arrossendo leggermente:  “Lo sai che è così.”

“Così come?”

Il tono ironico di Alexander la fece sbuffare irritata: ecco di ritorno il damerino che se la godeva a prendere per i fondelli la povera signorina Honeycombe!

“Sei insopportabile!”

“E tu una adorabile testarda!”

Callie alzò la testa all’indietro, per scrutare il suo volto: era seduta fra le sue gambe da almeno una quindicina di minuti e, da quell’esatto momento, Alexander stava cercando di farla andare su tutte le furie con quella domanda di cui conosceva già probabilmente la risposta.

Decise così di porre fine alle sue sofferenze e ammettere: “Ormai non posso non amarti. Credo sia troppo tardi.”

 Alexander la guardò per un momento sorridendo leggermente. Poi, passandole lentamente una mano fra i capelli castani, fece: “Sei la donna più complicata e ostinata che abbia mai incontrato, ma è anche per questo che ti amo.”

Callie arrossì e, cercando di nascondere la felicità che le avevano provocato quelle parole, ironizzò: “Forse perché sono l’unica dama che ti ha resistito per più di una sera?”

“Oh! Il tea di Gordon deve essere ormai freddo!”

“Stai cercando di cambiare discorso?”

L’uomo le concesse uno sguardo divertito prima di alzarsi in piedi e tendere una mano verso di lei. “Sai, credo che dovremmo tornare. Come sempre, i miei ospiti cominceranno a fare brillanti ipotesi sulla nostra scomparsa! Inoltre, è quasi ora di cena.”

Callie prese la sua mano e si alzò a sua volta. Lanciò uno sguardo alla tenue oscurità che invadeva quell’enorme libreria. Alexander aveva ragione: la giornata volgeva al termine, quel momento era ormai passato. Avrebbe voluto rimanere lì seduta con lui fra gli scaffali ancora per ore, ma si guardò bene dal dirglielo.

In fondo, ad Alexander sarebbe potuta parere la solita ragazzetta infantile.

Fu così che si aggiustò alla meglio i vestiti e i capelli senza dire una parola. Anche lui non parlava. Ma, in realtà, non si trattava di un silenzio imbarazzato o teso: solamente, era quella tranquillità che seguiva alla conclusione di una lunga battaglia.

Tu parti domani.

Quel pensiero colpì Callie con forza, all’improvviso. Lei, suo padre, sua sorella e i Clayton sarebbero ripartiti l’indomani per l’Hampshire. Sarebbero tornati a casa.

Se nelle settimane precedenti un fatto del genere non avrebbe provocato altro se non sollievo in lei, ora sentiva di non volersene più andare. Non voleva lasciare quella casa, sapeva di amarla; e non voleva più lasciare Alexander. Sperava che lui l’amasse veramente come le assicurava.

Stava per attraversare l’uscio di casa ed immergersi nel verde del cortile, quando decise di voltarsi indietro. L’ingresso di casa era illuminato dalla luce tremolante delle candele e, il suo tepore, la invitava a fermarsi lì per sempre.

Cosa ne sarà di questo posto?

Alexander osservò Callie attentamente per qualche secondo, prima di chiedere: “Va tutto bene?”

La ragazza fu risvegliata da quel tono rassicurante. Si voltò verso di lui e rispose, con un poco di malinconia: “Sì. Volevo solo dare un’ultima occhiata alla casa prima di andarmene.”

Un’ultima? Pensi davvero di non tornare più qui?”

“Domani torno nell’Hampshire, Alexander.”

Gli occhi neri dell’uomo non bruciavano più, ma continuava fissarla con uno sguardo serio a cui lei faceva fatica ad abituarsi. E seppe immediatamente che lì, sulla soglia di casa, si sarebbe deciso il loro destino.

Felicità o rovina.

Alexander le posò una mano sui capelli con dolcezza: “La solita signorina ingenua. Se lo desideri, potrai abitare qui per sempre. Questa settimana, aspetta una mia visita presso casa Honeycombe…parlerò con tuo padre.”

Il cuore di Callie sembrava voler abbandonarla da un momento all’altro. L’ultima frase suonava esattamente come un chiederò la vostra mano al signor Honeycombe. Anche se sarebbe stato un po’troppo pretendere da Alexander James Norris una frase del genere.

Non è Mr.Darcy…ma va bene lo stesso.

Perché è l’unico uomo che desidero sposare.

La voce di Callie, come accadeva un po’troppo sovente negli ultimi tempi, sembrò incastrarsi in gola; riuscì solo ad articolare: “Ma…cosa?”

“Una risposta molto romantica, signorina. Mi sento davvero soddisfatto.”

La ragazza scosse la testa, arrossendo. Cercò di ripetersi, alzando il braccio come per scusarsi: “Intendo, parli seriamente?”

“Non mi accetteresti? Sai, sono piuttosto ricco e stimato…”

“Lo sai che non intendo questo! Solo che…”

Le labbra sottili di Alexander si piegarono in un sorriso non più beffardo o elegante. Le rivolgeva uno dei suoi rari sorrisi veri, reali. E disse: “Te lo posso promettere, Callie. Aspettami, perché verrò.”

Fu così che si voltò, cominciando a camminare senza di lei verso la carrozza. Callie osservò, basita, la sua figura elegante per qualche secondo prima di raggiungerlo frettolosamente. Non era del tutto conscia del sorriso da sciocca che si estendeva sul suo volto.

Lei non era Laura.

Ma lui, comunque, l’amava.

 

 

 

 

 

Cecil Price pareva tale e quale alle raffigurazioni degli angeli in chiesa.

Almeno, era stato questo il primo pensiero di Linda Clayton quando, per caso, aveva incontrato l’uomo durante una delle sue passeggiate.

Con il cuore in gola, l’aveva osservato andarle incontro e si era immediatamente chiesta quale fosse stato il motivo della sua presenza lì, nell’Hampshire. D’altronde, erano tornati dal Derbyshire solo una settimana prima.

“Buongiorno, signorina.”

Linda si era persa per un momento nel tono caldo e gentile di lui, prima di obbligare la sua mente a formulare una risposta: “Buongiorno a voi, signor Price. Sono felice di rivedervi!”

Cecil le aveva sorriso con dolcezza. “E non ne siete sorpresa?”

“Oh! Sì…devo ammetterlo. Quindi, vista la vostra domanda, mi permetterò di essere insolente e chiedervi il motivo della vostra presenza nell’Hampshire!”

Linda di certo non si aspettava una dichiarazione su due piedi da parte di lui, ma nemmeno di vedere la sua espressione cortese incupirsi fino a gettare ombra sul suo bel viso. Era con gravità che ora la stava guardando.

La ragazza sgranò gli occhi chiari e le sue mani, inconsciamente, andarono a stringere il manico dell’ombrellino con forza. Perché l’uomo non era venuto per lei.

Alexander.

“Cos’è accaduto?”

Il sole tramontava dolcemente sulla collina e i capelli dorati di Cecil si tinsero improvvisamente di un colore accecante. Proprio come un angelo in chiesa.

Abbassò lo sguardo altrove, evitando quello di Linda.

Perché io…

Perché devo essere io a compensare il lato oscuro di Alexander?

“Passeggiamo, signorina. Vi va?” chiese infine, porgendole il braccio.

Linda era ancora esitante: gli occhi castani del signor Price trasudavano rassegnazione e tristezza. Le si strinse il cuore perché, in fondo, sapeva cosa stava per accadere.

Non vi fu tempo per aggiungere altro; un grido proveniente dal fondo del prato attirò l’attenzione dei due. Giuditte, una serva di casa Honeycombe, correva verso di loro agitando le braccia per aria.

“Signorina Clayton! Deve seguirmi immediatamente!” la sua voce giungeva smorzata “La signorina Honeycombe è…”

Linda fu presa da un panico improvviso e si voltò di scatto verso Cecil Price che, in cambio, le mise una mano sulla spalla con gentilezza.

 “Ci sarò sempre io accanto a voi, qualsiasi cosa accada!”

 

 

 

 

 

                                                     Una settimana prima

 

 

Alexander era in piedi nell’esatto centro dello studio paterno. David se ne stava seduto dietro la scrivania; lo guardava con serietà da quasi un quarto d’ora.

Il viso non più giovane parzialmente nell’ombra, così da risultare ancora più impassibile e solenne al figlio. Aveva giunto le mani sotto il mento e Alexander poteva scommettere che, qualsiasi fosse il motivo per cui era stato chiamato lì, non prometteva niente di buono.

All’uomo sembrava quasi di esser ritornato indietro nel tempo, quando da bambino combinava un guaio e subito il padre lo veniva a sapere, convocandolo nel suo studio. Ma era passato troppo tempo e troppe cose erano accadute, compromettendo forse per sempre il rapporto fra figlio e padre.

La voce seria di quest’ultimo spezzò il suo ragionamento, facendolo tornare alla realtà. Al presente. A Laura.

E a Callie Honeycombe.

“Alexander, non hai ancora deciso di volerti sedere?” indicò David Norris, accompagnando le sue parole con un gesto vago della mano.

“Grazie, padre. Preferisco stare in piedi e conoscere il motivo della vostra convocazione.”

“Non l’hai ancora indovinato?” chiese l’altro, inarcando un sopracciglio. “è alquanto strano il tuo cambiamento, dopo l’incontro con la signorina Honeycombe. Almeno in apparenza.”

Alexander si irrigidì e, fra i denti, cercò di rispondere: “Vi ringrazio della consueta fiducia che riponete in me. Tornando in tema, quella ragazza è...”

“Assomiglia a Laura, lo sai anche tu.” lo interruppe il padre, alzandosi in piedi. “Non è bizzarro questo?”

Il figlio, dal canto suo, non osava muoversi. Se ne stava semplicemente inchiodato lì, in piedi, e impallidiva.

“Sì. Passava delle ore intere con lo sguardo perso nella lettura, proprio come voi.”

Lo aveva sempre notato. Fin dall’inizio.

Cercò di recuperare un po’della sua solita irriverenza elegante e disse: “Avanti, padre. Ditemi qual è stato il mio terribile errore questa volta! D’altronde, quella ragazza, io non la sto affatto ingannando.”

“Te lo dirò immediatamente: il tuo sentimento…la tua ossessione per lei ha portato solo dolore nella sua vita. Non puoi negarlo.”

Credi davvero di non rovinare anche lei stavolta?

Forse, se non ti avesse mai incontrato…

Alexander fece un passo indietro, istintivamente: la figura del padre sembrava immensa, quasi diabolica. “Lei vuole me!”

David scosse la testa grigia lentamente: “Lei è avvelenata da te, è diverso. Credi che, una volta sposati, passerà sopra al tuo carattere scostante e alla tua passione per il gioco d’azzardo? Ai tuoi continui tradimenti?”

“Ora basta!” ordinò il figlio, tagliando l’aria con un gesto secco del braccio. Le accuse del padre, anche da adulto, erano difficili da sopportare. Inoltre, il pensiero di poter ferire quell’ingenua ragazza lo riempiva di dolore, poiché troppo male le aveva già causato.

“Io la sposerò, che voi lo vogliate oppure no!”

Dopo un momento di silenzio, dove i due si guardarono con vero e proprio astio, David riprese il suo discorso con calma: “Ti vuoi redimere. Ma lei è una sostituta…una sostituta di Laura.”

Una sostituta di Laura.

“Questo vuol dire per sempre, sai meu amor?”

“Io non vi odio affatto!”

Come un fulmine a ciel sereno, così improvvisamente, la verità sembrò colpirlo con forza lasciandolo nuovamente solo con i suoi oscuri fantasmi.

Ma lui ancora non sapeva di stare sbagliando. Di nuovo.

Guardò la figura del padre, smarrito. Tutte le immagini, il passato, i momenti trascorsi con Callie fino a quel momento scorrevano davanti a lui.

Si era intestardito su di lei.

Aveva frequentato altre donne in quei mesi, ma continuava a pensare a quella piccola sciocca. Era ossessionato da lei. Bruciava.

E il suo sorriso, come dimenticarlo?

Ma era il sorriso di Laura, non di Callie.

“Sei veramente innamorato della signorina Honeycombe?”

Quel tono duro come l’acciaio provocò in lui una reazione immediata. E fu una doccia fredda sentire sé stesso rispondere: “Non credo. Non ora.”

Gli occhi di David Norris celavano in maniera invidiabile la sua soddisfazione: aveva avuto ragione anche quella volta su Alexander. Suo figlio maggiore non poteva più tornare indietro dal suo oscuro passato.

Ma nemmeno il padre, dall’alto della sua presupposta saggezza, aveva capito che forse l’unico legato al passato non era altri se non sé stesso. E si accontentava di non lasciare libero Alexander, forgiando catene fatte del suo senso di colpa.

Il figlio sentiva aleggiare nella stanza la vittoria del signor Norris. Lo percepiva, quel compiacimento di sé stesso, anche se il padre non parlava.

Fu in quell’esatto momento che capì di doversene andare. Doveva fuggire. Abbandonare quel posto, il presente.

Lasciare Callie. Come aveva fatto con tutte le altre donne.

Così, dando le spalle al padre, disse in tono sommesso: “Ho appena preso la mia decisione. Dopo oggi, ve ne prego, fatemi la grazia di non venirmi più a cercare, padre. Questa è stata la nostra ultima conversazione.”

David accolse le sue parole con serenità e, con altrettanta calma, lo osservò congedarsi da lui. Suo figlio se ne andava, tranciando qualsivoglia legame che ancora lo teneva ancorato al presente. Che ancora lo poteva redimere.

Il signor Norris poteva quasi sentir il tono isterico della moglie urlargli contro: “Hai ottenuto ciò che volevi ora?”

“Alexander sei ormai adulto, ma codardo. A dire il vero, in fondo, lo sono anche io.” pensò lui, quando sentì la porta del suo studio chiudersi.

 

 

 

 

L’avrebbe uccisa.

Alexander si teneva la testa corvina fra le mani e il suo senso di disperazione e vergogna non pareva voler essere lenito.

Era tutto vero: l’aveva avvelenata. Avevano combattuto, avevano sofferto. Lui l’aveva ingannata e lei era stata la prima donna ad aver vinto quella battaglia.

Perché era come Laura.

Callie era luce e lui, sicuramente, non sarebbe riuscito a lasciarla vivere. Avrebbe soffocato quella fiamma in un solo istante.

“Questo luogo…era per lei, non è vero?”

La piccola l’aveva già capito. Solo lui, da adulto quale non era, si era dimostrato completamente cieco.

Ma quella luce…era così abbagliante.

Gli occhi neri di Alexander si posarono sul foglio di carta che giaceva, intonso, davanti a sé. Un’altra dolorosa fitta andò a pugnalargli l’anima. Si preparava ad affondare il coltello nel cuore di Callie.

“Ormai non posso non amarti. Credo sia troppo tardi.”

La immaginò a casa, nell’Hampshire, in attesa della sua venuta. Le aveva fatto una promessa. Gli pareva quasi di poterla vedere, felice e radiosa, con quel grazioso sorriso sognante che l’aveva colpito fin dalla prima volta in cui aveva posato gli occhi su di lei, al ballo indetto da sua nonna mesi prima.

Era un codardo.

Un dannato miserabile.

 

 

 

 

Appena tornata nell’Hampshire, Callie aveva ricevuto una notizia terribile: la sua amata autrice, colei che aveva scritto di suo pugno Orgoglio e Pregiudizio, era deceduta pochi giorni prima.

Ora, era già divenuta discretamente famosa e aveva finalmente un nome. Jane Austen.

Le portatrici di tale sventura erano state, guarda caso, le sorelle Hayer che subito corsero addosso alla signorina Honeycombe per formulare le solite domande riguardanti Alexander James Norris. Evidentemente Charlotte non si era messa ancora il cuore in pace.

“Sì, sì, la morte di quella povera donna e alquanto triste; pensate, non aveva che quarant’anni! Ma, signorina Callie, ditemi: si dice che presto sentiremo campane a nozze in casa Honeycombe. Dobbiamo dare credito alle voci?” aveva così chiesto, non senza un certo astio.

Callie moriva letteralmente dalla voglia di confermarle il pettegolezzo, solo per vedere Charlotte schiumare di rabbia senza poterlo poi esprimere; ma decise di glissare sull’argomento. In fondo, la prudenza non era mai troppa con le sorelle Hayer, quindi rispose gaia: “Oh! Quelle voci devono sicuramente essere frutto di qualche chiacchiera senza fondamento, mia cara amica! Ma, se mai dovessi sposarmi, sappiate che sarete più che benvenuta al mio matrimonio!”

Charlotte, allora, aveva fatto solamente uno strano verso con la bocca e, senza aggiungere altro, si era voltata verso Linda. Callie invece se la rideva sotto i baffi e pensava che anche Alexander, se fosse stato presente, avrebbe fatto lo stesso.

La ragazza arrossì leggermente, sentendosi di nuovo sciocca e infantile. Come una bambina.

Le mancava.

Ma lo stava aspettando, perché lui sarebbe venuto presto. Aveva fatto una promessa e lei si fidava delle sue parole, come aveva sempre fatto. Nel bene o nel male.

 

 

 

 

 

“Se non viene da me adesso,” diceva “rinunzio per sempre.”*

Era un luminoso pomeriggio di venerdì e Callie leggeva per un’ultima volta il suo libro preferito. Ed era quasi arrivata alla fine.

La sua decisione di rileggere la storia di Elizabeth e Darcy prima di riporre il libro sullo scaffale, e lasciarlo intoccato ancora per molto tempo a venire, era dovuta alla morte di Jane. Ora che lei non c’era più, i suoi libri sembravano assumere un’aura quasi sacrale per Callie e il mondo di cui scriveva pareva esser perduto insieme a lei. Si sentiva come se una cara amica se ne fosse andata per sempre.

Eliza era morta con Jane.

Un rumore improvviso, proveniente dal cortile, attirò la sua attenzione. E Callie, con il cuore schizzato improvvisamente in gola, si affacciò alla finestra. In realtà, da quando erano tornati dal Derbyshire ogni minimo rumore era un pretesto per precipitarsi alla porta, nella speranza di vedere una sagoma elegante emergere dalla nebbia. La ragazza sapeva bene che era poco conforme, per una ventunenne come lei, perdere la calma e il contegno ad ogni scricchiolio ma, da quando conosceva Alexander, ne aveva commessi di atti poco consoni alla sua posizione.

 Voleva essere la prima a corrergli incontro.

Sarebbe arrivato.

Gliel’aveva promesso.

Fu così che rimase delusa quando, sbirciando dalla finestra, non vide altri se non Giuditte con il cestino della posta. Però i suoi occhi nocciola misero a fuoco parecchie buste e, senza pensarci due volte, Callie era ai piedi delle scale in meno di dieci secondi.

La domestica, entrando, fece in tempo a vedere una macchia castana venirle velocemente incontro. Riconobbe all’ultimo la sua giovane padrona che, con agitazione male controllata, allungava una mano verso il cestino pieno di corrispondenza.

“Grazie, Giuditte. Prendo io la posta.”

“Non volete che la metta in salotto come al solito, signorina?”

Callie scosse la testa. “No, non ti preoccupare. La farò avere io al signor Honeycombe.”

Quando finalmente si trovò sola, con in mano un plico di buste piuttosto consistente, la ragazza cominciò a scorrere una ad una tutte le missive nella speranza di trovarne una indirizzata a lei. Scoprì di averne due. Una era da parte di Margareth, ancora a Londra con i genitori, e l’altra….le mani di Calli cominciarono a tremare.

Perché la seconda lettera proveniva dal Derbyshire.

Lasciò così le restanti nel salotto e, trattenendosi dal correre, salì le scale con apparente calma. Guadagnò la sua camera e, quando si fu chiusa la porta alle spalle, lasciò che ogni sua emozione traspirasse dal  corpo: tremava leggermente e, senza rendersene conto, era impallidita.

Era da parte di Alexander? Cosa vi era scritto? Quando sarebbe venuto?

Callie fece un respiro profondo, imponendosi di rimanere tranquilla. Per prima cosa, avrebbe letto la missiva di Margareth, lasciando per ultima quella proveniente dal Derbyshire.

La sua amica le scriveva di Londra, degli ultimi pettegolezzi e delle feste, ma la ragazza non riusciva veramente a concentrarsi: ogni due minuti controllava con gli occhi che la busta di Alexander fosse ancora lì accanto a lei. Aveva quasi paura che sparisse, come per una magia.

Callie fu talmente brava che riuscì anche ad imporsi di rispondere a Margareth, prima di aprirla. E quando ebbe finito, il sole ormai tramontava dolcemente sulle colline.

Fu così che la ragazza si avvicinò alla finestra e aprì di fretta la busta, piena di aspettative.

I suoi bei occhi nocciola si spalancarono.

Il cuore smise di battere in meno di un secondo.

Parto.

Divorò il resto della lettera in pochi secondi.

Scusami.

Continuò a fissare la carta anche quando ebbe finito di leggere. Decise di leggerla una seconda volta, ma il senso non cambiava. E le parole di inchiostro si confondevano nella sua mente, in un groviglio inestricabile.

Le sembrò di morire.

Non posso venire. Non più. Callie, ascoltami…

Ma lei non voleva ascoltare. Non poteva, perché lui non era arrivato….non poteva capire. E, prima di cadere nel buio, solo due frasi continuavano a scorrerle davanti agli occhi.

Ti ho fatto del male.

Me ne vado dall’Inghilterra.

Jane era morta.

E anche lei.

 

 

 

 

Linda arrivò più in fretta che poté sotto casa di Callie. Era preoccupata per l’amica: il misterioso arrivo di Cecil Price, le sue parole cariche di gravità. E, infine,  Giuditte e il suo tono agitato. Ora, tutti e tre, correvano verso la porta degli Honeycombe che era, con sorpresa di Linda, spalancata.

Ma furono le urla a gelarle il cuore. Poteva sentirle dal cortile, accompagnate dal rumore di oggetti che andavano in frantumi contro la parete; il caos proveniva senza dubbio dalla stanza di Callie.

Poi il silenzio. La signorina Clayton alzò lo sguardo verso la finestra dell’amica e, senza degnare di un’occhiata né Giuditte né Cecil, entrò in casa con passo veloce. Le prime persone che incontrò furono il signor Honeycombe e Henrietta, ai piedi delle scale. La piccola si teneva stretta al padre e pareva spaventata,  mentre l’uomo ora guardava Linda con dolorosa preoccupazione.

“Scusatemi se vi ho fatto chiamare, Linda.” fece lui con voce gracchiante. “Ma la mia adorata bambina…è inavvicinabile. Quindi ho pensato che…”

La ragazza bionda si avvicinò a Charles Honeycombe e gli strinse le mani con affetto. Non era sicura di riuscire a trasmettergli sicurezza: “Avete fatto bene, signore. Lasciatemi andare da lei ora.”

L’uomo annuì solo e indicò la cima delle scale con un cenno del capo.

Linda cominciò a salire e, ad ogni gradino, la sua anima sembrava tingersi di un tono più cupo di preoccupazione e dolore: non voleva pensare ai motivi che avevano portato l’amica all’esplosione. Sapeva già cos’era accaduto. Perché ora solo una persona poteva avere un potere così devastante su Callie. Gli si stringeva il cuore al pensiero di quanto era felice, fino al giorno prima.

“Eccoci qui, cara Linda, tutte e due nuovamente innamorate!”

“Anche se voi ce ne avete messo di tempo per ammetterlo!”

Callie aveva riso. “Oh, andiamo! E il vostro bel signor Price allora?”

La signorina Clayton spinse lentamente la porta della camera di Callie, timorosa di ciò che avrebbe trovato. Come aveva previsto, ciò che vide non fece che aumentare l’angoscia che nutriva per l’amica: Callie era accovacciata al centro esatto della stanza, mentre tutto il resto non esisteva più. La ragazza aveva distrutto qualsiasi cosa. Gli oggetti erano in pezzi, le sedie rovesciate, i libri sparsi un po’ovunque…anche Orgoglio e Pregiudizio non si era salvato, anzi. Linda notò che Callie teneva stretta nella mano una lettera tutta spiegazzata. In quel disastro, sembrava che non l’avesse mai lasciata andare.

I suoi occhi azzurri si abbassarono, fissando il pavimento. Provava timore ad entrare in quella stanza: l’odio e il dolore di Callie sembravano regnare in quel perimetro e non volevano avvicinare nessuno.

“Ci sarò sempre io accanto a voi, qualsiasi cosa accada!”

Poi, si decise a fare il passo definitivo e avanzò con calma verso l’amica che ancora non accennava a muoversi. Solo quando Linda fu in piedi a pochi centimetri da lei, le parole uscirono finalmente dalle sue labbra. Il suo tono di voce era strozzato, quasi esitante: “Lui non viene. Ha detto che se ne va dall’Inghilterra.”

Un altro che parte. Anche lui mi abbandona, dopo avermi usata.

“Io non sono come quell’uomo.”

Che bugiardo. Che dannato bugiardo!

Sentì a malapena la mano di Linda accarezzarle con delicatezza la schiena, mentre si accovacciava accanto a lei: “Non so che dire, Callie. Solo che qua ci sono io; con te, come sempre.” Il suo tono era caldo e rassicurante, ma la ragazza si accorse del dispiacere che provava Linda nei suoi confronti. “Qualsiasi cosa accada.”

Aveva perso la ragione. Non aveva fatto avvicinare suo padre e aveva spaventato Henrietta. Si accorse solo in quel momento di quanto la casa fosse diventata silenziosa, come una tomba. La sua tomba.

Il veleno di Alexander aveva fatto effetto e lei era morta.

No, era ancora viva. Era lì, davanti a Linda. Era passata oltre.

Dentro di lei il dolore si propagava fino a volerle crepare il cuore in grandi e informi pezzi. Non avrebbe mai dovuto far cadere il muro che l’aveva divisa e protetta per anni ma, sapeva, che a poco a poco sarebbe riuscita a ricostruirlo.

Fu così che appoggiò il capo sulla spalla di Linda, mentre le sue dita lasciavano andare la lettera ormai distrutta di Alexander. Le lacrime ricominciarono a bagnale le guance, silenziose.

“Posso piangere un poco sulla tua spalla?”

“Anche tutto il giorno, Callie.” rispose la ragazza bionda, sorridendo dolcemente.

 

                                                   

                                                     

 

                                                      Un anno dopo

 

 

 

 

 

Pare incredibile come una piccola e quieta società campestre possa entrare in fermento quando all’orizzonte compare la prospettiva di un matrimonio. Negli anni nulla era mutato e la stessa agitazione gioiosa si ripeté anche per le nozze della signorina Clayton. Dopo quasi un anno di fidanzamento, la ragazza si era decisa a legare il suo destino con quello dell’affascinante signor Price.

A dire il vero, parecchie voci erano girate sul loro conto: c’era chi si dichiarava sicuro di una gravidanza di lei, chi affermava che i due sposini sarebbero andati a vivere in America, chi ancora pensava che Linda sarebbe fuggita sull’altare, visto lo scandalo di parecchi anni prima.

Per una volta, le sorelle Hayer furono le uniche portatrici di verità. Spinte dal signor Clayton, che bene conosceva la loro inclinazione al chiacchiericcio, le ragazze dissero a tutto il villaggio nulla più del dovuto e del vero: il matrimonio si sarebbe celebrato nella chiesa del paese, Linda e Cecil erano più felici che mai, e sarebbero rimasti a vivere in Inghilterra. Di bambini, ancora, non si parlava.

 Dopo i due sposini, i più allegri erano sicuramente i Clayton, che vedevano assicurato il futuro della loro figlia preferita, e gli Honeycombe, da sempre amici di famiglia. E Callie, la figlia maggiore di Charles Honeycombe, non poteva apparire più graziosa mentre sfilava dietro Linda, nel suo abito bianco da damigella.

Era stata la sposa ad insistere perché le ragazze indossassero quel colore, così a tutti sembrò che Cecil dovesse sposare almeno quattro signorine, invece che una.

La cerimonia si esaurì, gli sposi si scambiarono le promesse e tutti erano pronti ad uscire dalla chiesetta, diretti verso il ricevimento indetto a casa Clayton. Callie, per tutta la durata del matrimonio, aveva osservato incantata Linda: era bella come una dea. All’amica non le era parso di vederla mai così felice in tutta la sua vita.

Così ogni tanto aveva scambiato qualche occhiata complice con Margareth, l’unica insieme a lei che ancora non avesse trovato un partito. Le due Hayer, infatti, durante l’ultimo soggiorno a Bath erano corse incontro a parecchia fortuna.

Tutte e due aspettavano di pronunciare il in pompa magna, legandosi a due discretamente ricchi industriali. Charlotte aveva dimenticato Alexander James Norris da tempo.

Era quasi un mistero come i Norris fossero scomparsi dalla bocca di tutti. La madre di David era tornata nel Derbyshire e la casa nell’Hampshire era stata definitivamente chiusa, mentre dell’amicizia che legava Charles Honeycombe al capofamiglia dei Norris nulla si sapeva.

L’unica cosa certa era che né Teresa, né David e tantomeno il figlio maggiore, Alexander, si era fatto più vedere da un anno a quella parte. Anche se qualche voce maligna sussurrava che Charles tenesse ancora segreti contatti con David Norris.

Callie poteva dire di sentirsi serena; se così si può definire una ragazza dall’anima in pace, ma con il cuore spezzato. Non aveva dimenticato quell’uomo impossibile con cui ne aveva passate veramente troppe. Ogni singolo giorno da un anno a quella parte, aveva ripensato, almeno per un secondo, a quelle labbra sottili piegate in un sorriso elegante e sfacciato. Un sorriso da bugiardo, ma che sapeva essere anche molto dolce e gentile.

Aveva fatto della rassegnazione il suo stile di vita. Non sapeva dove lui fosse ma, se proprio provava a pensarci, lo immaginava là dove tutto aveva avuto inizio. Nella terra dove Laura era nata e cresciuta, là dove aveva amato la prima volta.

Da tempo aveva compreso il motivo della sua fuga. Alexander era stato ossessionato da lei solo perché assomigliava a Laura. La vedeva in lei, come se fosse stata ancora viva.

Era passato un anno da allora e, anche se poteva dirsi poco tempo, Callie pareva di aver attraversato cent’anni senza la presenza di Alexander. Almeno, tutto era tornato alla normalità, come era stato prima di incontrarlo.

Le cicatrici, però, non scompariranno mai.

Il matrimonio di Linda era un nuovo inizio. Cecil Price era rimasto e, se teneva contatti con il suo miglior amico, Callie non sapeva e non voleva sapere. Ovviamente quest’ultimo si era guardato bene dal parlarne con lei, agendo così in modo saggio.

Callie, in mezzo agli applausi dei parenti e degli amici, si sporse ad abbracciare l’amica: “Sono così felice per voi! Congratulazioni, signora Price!”

Quest’ultima diede una pacca gentile sul braccio della ragazza castana: “Non osate, Callie! Io sono e sarò sempre Linda per voi, mi avete capito?”

L’interessata rise: “Qualsiasi cosa accada! Stavo solo scherzando, cara mia!”

Poi la sposa fu rapita dal resto delle damigelle e Callie si vide avvicinare da Cecil, che allungò una mano verso di lei. La ragazza gliela strinse volentieri e disse con dolcezza: “Abbiate cura di lei, signor Price.”

“Più della mia stessa vita, cara Callie. Potrete accertarvene voi stessa: le porte di casa nostra saranno sempre aperte a voi e alla vostra famiglia.”

“Accetto la vostra offerta con piacere, allora!”

L’uomo le concesse un sorriso gentile e pieno di gratitudine ma non ebbe modo di aggiungere altro, perché il parroco e la signora Clayton richiamarono i due sposi all’attenzione, invitandoli ad uscire dalla chiesa. Il ricevimento li stava aspettando.

Fu così che Callie si portò dietro a Margareth e cominciò ad incamminarsi con lei fuori dall’edificio. La luce di quel pomeriggio speciale la investì in pieno, intessendo fili d’oro sul suo abito bianco. Il prato riluceva di mille colori e le fronde degli alberi venivano mosse leggermente da un venticello fresco e gentile. Gli ospiti gettavano petali e riso sulla coppia felice davanti a lei.

Callie fece per portarsi la mano davanti agli occhi.

Fu in quel momento che lo vide: la figura elegante e alta si ergeva davanti a lei, in fondo al prato. Gli occhi neri puntati sulla scena in corso, un sorriso leggero che increspava le labbra sottili. I capelli erano cresciuti, sempre nerissimi, ma tenuti a bada da un codino basso.

Era vestito di blu.

Alexander.

Come se l’avesse chiamato, anche lui alzò lo sguardo su di lei. I suoi occhi sembrarono allargarsi un poco dalla sorpresa, come se non si aspettasse di trovarla lì al matrimonio del suo migliore amico. Eppure doveva aspettarselo. L’unica impreparata era Callie, che ora se ne stava in piedi all’ingresso della chiesa e non osava muoversi. Ghiacciata.

Era bastato incrociare i suoi occhi bui per capire che nulla era cambiato: lo amava, come sempre era stato.  Se si era rassegnata, non era preparata a rivederlo. Non ancora.

“Non vi siete mai chiesta come mai riesco sempre a trovarvi, senza sapere dove siete?”

 

 

 

 

 

“Callie.”

La ragazza continuò a fissare il vuoto assoluto davanti a sé. Sorda a quella voce che, dietro di lei, aveva cominciato a chiamare il suo nome. Forse, in fondo, era tutta un’illusione.

Ma quando i suoi occhi catturarono l’immagine di un uomo che sedeva al suo fianco, sul muretto di casa Clayton, ebbe modo di constatare che Alexander era ben reale e non un sogno. Continuò comunque a non voltarsi.

Non aveva più nulla da spartire con quel damerino. E voleva che se ne andasse al più presto…d’altronde che senso aveva avuto evitarlo per tutto il ricevimento, se ora lui l’aveva ritrovata e sembrava non volerla lasciare in pace?

“Ancora mi trovate senza che nessuno vi abbia detto dove sono?” chiese infine, con un tono di voce monocorde. Continuava a guardare la campagna, che sempre più si immergeva nell’oscurità della sera.

“Così sembra.”

Un silenzio tombale regnava fra i due. Solo il verso di qualche animale e il vociare gioioso proveniente da casa Clayton copriva i loro pensieri; a Callie quasi sembrava di essere tornata a quel famoso ballo, quando ancora si illudeva di nutrire solamente odio nei confronti di Alexander.

“Ballereste con me, signorina?”

“No!”

Fu lui a parlare: “Non hai nulla da chiedermi?”

“Dovrei?”

“Pensavo avessi molte domande da farmi.”

Callie cominciò a sentire la rabbia e il fastidio agitarsi in fondo alle sue viscere, ma cercò di mantenere comunque il controllo mentre diceva: “Te ne sei andato. Ora, cosa dovrei sapere? Vuoi che ti chieda se ti sei accasato?”

“No, non sono sposato con nessuna.”

La ragazza cercò di ignorare il tuffo al cuore che quella notizia le aveva involontariamente provocato. Dondolò lentamente le gambe sotto il vestito bianco e aggiunse, in tono sommesso: “Hai fatto come credi. Come d’abitudine, mi vien da dire.”

Anche lui continuava a guardare di fronte a sé. Le stelle brillavano lontane. “E tu? Mi sembra strano che non ti sia arrivata nessuna proposta di matrimonio.”

“Non ti ho aspettato, se è quello che stai pensando.”

Il silenzio della sera ripiombò fra di loro.

Ora, cosa dirà?

Se ne andrà… un’altra volta?

“Pensavo di fermarmi qui per un po’…in realtà, sto considerando l’idea di rimanere nell’Hampshire qualche mese.”

Callie finalmente si voltò verso di lui, sbalordita. Non poteva farle questo. Gli occhi neri di Alexander la scrutavano con la coda dell’occhio, mentre il viso delicato era ancora rivolto alle stelle e al cielo. Non sorrideva beffardo, anzi, pareva più serio che mai.

“Come?”

L’uomo voltò il viso verso di lei e, per la prima volta, la sua espressione sembrò ammorbidirsi un poco. “Non è difficile…pensavo di riaprire la casa della nonna e portare Gordon qui per…”

“Ho capito, ma io intendevo…perché?” lo interruppe lei, angosciata.

Alexander non poteva certo pretendere di sparire nel nulla e tornare dopo un anno, trasferendosi fra l’altro a pochi chilometri da casa sua!

Callie non sapeva se voleva o non voleva rivederlo nella sua vita. Non l’avrebbe mai ammesso direttamente ma, in realtà, desiderava sentire una minima spiegazione da parte dell’uomo, delle ragioni che l’avevano portato ad infrangere la promessa che le aveva fatto.

Io somiglio a Laura. Ma mi rifiuto di credere che lui non mia abbia mai amata.

Almeno un poco…in fondo…

“Avevo alcuni conti da chiudere in Portogallo. Con il passato. Avevo proprietà…di cui ho dovuto sbarazzarmi, ricordi…ma lasciamo perdere. Me ne sono andato perché sono, in realtà, un grande codardo.”

Callie si alzò di scatto e prese coraggio, portandosi di fronte a lui. Alexander la guardava, serio e rassegnato, dritto in viso. I capelli neri sfuggivano dal codino e, ribelli, si intrecciavano sul suo viso leggermente abbronzato.

“Avevi promesso.”

“Lo so…ma ho avuto paura, Callie. Di te, di noi, ma soprattutto di me…mi sono convinto davvero di averti sostituito e, allora, mi sono sentito ancora più miserabile di adesso.”

Callie lo guardò perplessa. Non sapeva dove volesse andare a parare con quel discorso, o meglio, non era sicura di volerlo sapere. Perché anche lei aveva paura: se lui le avesse detto che, per tutto quel tempo, l’aveva sempre amata.

Proprio come aveva fatto lei.

“Non lo sai, Callie?”

“Adesso?”

Alexander portò lentamente una mano sulla sua guancia e Callie non fece nulla per evitarlo. Voleva affrontarlo ma, ancora, il sapore della sconfitta cominciava a farsi sentire nella sua bocca. Avvampò e a malapena riusciva a guardare negli occhi quell’impossibile personaggio.

Avrebbe dovuto andarsene già da un pezzo, ma non riusciva a non fidarsi delle parole di quell’uomo. Erano come veleno e lei non era altro che una stupida ragazzina, intestardita nel voler seguire il suo istinto. Probabilmente Alexander l’avrebbe ferita un’altra volta, ma questo non bastava ad allontanarla.

“Ora che tu sei davanti a me e mi affronti con così tanto coraggio. Ho undici anni in più di te, ma sei stata sempre tu la vera vincitrice, fra noi due.”

Sei stata sempre tu la vera vincitrice.

Alexander ritirò la mano lentamente, con riluttanza.

Callie, senza sapere cosa l’avesse spinta a farlo, l’afferrò con dolcezza. La mano di lui era come l’aveva sempre ricordata, calda e rassicurante. La ragazza distolse lo sguardo dall’espressione stupita che andava dipingendosi sul volto di Alexander e chiese: “Hai detto di avere avuto alcuni conti da chiudere in Portogallo…”

Lui intrecciò le sue dita con quelle di Callie. “Sì, non mi sono mai sbarazzato della vecchia dimora e di tutti i ricordi che mi legavano a Laura. In fondo, non ero riuscito ad affrontare faccia a faccia il mio passato.”

“E cosa ne hai fatto?”

Alexander aveva un sorriso triste ma, contemporaneamente, i suoi occhi neri sembravano diversi. Come se finalmente qualcosa di soffocante e oscuro l’avesse abbandonato per sempre. Così rispose: “Ho venduto la casa e ho bruciato tutto il resto. Solo alcuni dipinti, quelli li ho riconsegnati ai genitori di lei.”

Callie aveva alzato il volto su di lui e osservava con attenzione l’uomo a cui ora stringeva la mano. Se dentro di lei il cuore pareva avere già preso una decisione definitiva, le rimaneva solo una domanda da fare. Perché la testa ancora non voleva arrendersi.

“Sei rimasto via un anno. Perché tornare ora?”

Alexander attirò la ragazza a sé, con dolcezza. Callie non fece resistenza, ma i suoi occhi nocciola esprimevano fermezza: voleva sapere. E lui, dal canto suo, non desiderava altro che spiegarle e tornare vicino a lei. Avere il suo perdono, a tutti i costi.

“I rapporti con mio padre non sono più così…idilliaci. In una certa misura, la mia partenza è dovuta anche a lui. Ma la verità è che sono stato un dannato codardo… ho fatto l’errore più grande della mia vita, abbandonandoti.”

Perché più ti sto lontano più non faccio che desiderarti, Callie.

Sei tu. Sei sempre stata tu.

E nessun’ altra.

La ragazza si rese conto troppo tardi di avere le labbra a pochi centimetri da quelle di Alexander e che le mani dell’uomo premevano con tenerezza sulle sue guance, intrecciandosi ai suoi capelli castani. Potevano essere passati dodici mesi, ma le cicatrici sembrarono aprirsi di colpo e ricominciare a bruciare.

Il suo istinto le diceva di fidarsi. Un’ultima volta.

Alexander appoggiò la fronte su quella della ragazza e sospirò: “Mi odi, Callie?”

“No, io non vi odio affatto.”

“Un po’…signor Alexander.” rispose lei, sorridendo con leggerezza.

E allora gli occhi bui di lui sembrarono illuminarsi nuovamente, mentre le restituiva indietro quel sorriso al contempo ironico e gentile.

Un rumore attirò l’attenzione dei due che si staccarono e, voltandosi verso il cortile di casa Clayton, videro Linda avanzare verso di loro con stampata in volto un’espressione pensosa. I suoi occhi chiari andavano da Callie ad Alexander, analizzando la situazione.

“Ero piuttosto preoccupata! State bene, Callie?” chiese infine, fermandosi a qualche metro da loro.

“Non vi preoccupate, amica mia!” aveva risposto la ragazza, per poi voltarsi verso Alexander e dire: “Mi hanno appena invitata a danzare.”

 

                                                                       

                                                                    Fine

 

 

 

 

 

Il giardino segreto.

Una ragazzina gracile e dai capelli scurissimi correva a perdifiato in un lungo labirinto, costruito da vegetali verdi e folti. I suoi occhi nocciola si guardavano intorno freneticamente ad ogni curva, come se cercasse qualcosa.

Aveva passato una faticosa ora nella sua estenuante ricerca, lasciando indietro la madre e la sorellina più piccola, probabilmente rimaste presso il cortile di casa.

All’ultima curva, finalmente, la piccola riuscì nel suo intento: un uomo vestito di nero sedeva su una panchina di pietra dandole le spalle. La bambina riprese fiato e corse incontro alla figura, saltandole al collo.

Sfoderò un sorrisetto soddisfatto, sentendo le spalle del padre sussultare, sorprese di quel contatto. Proprio con la silenziosità di un leopardo, aveva afferrato la sua preda.

“Grace!”

“Ti ho fatto paura, papà!”

L’uomo sorrise: aveva sui quarantacinque anni e, come da giovane, era ancora un gran bel gentiluomo. Grace, la figlia maggiore, aveva una vera e propria adorazione per lui.

“Sei la solita selvaggia eh? Cosa dirà tua madre vedendo questo bel vestitino tutto strappato e sporco?” chiese il padre  afferrando un lembo della gonna di Grace, tutta sporca di fango.

“La mamma ha detto che, finché non mi faccio male, posso giocare nel parco!” protestò la piccola puntando i piedi. “Piuttosto, papà, non cambiate discorso! Vi ho trovato! Sono cinque sterline!”

L’uomo guardò la mano tesa della figlia undicenne e sospirò: “Sei proprio come tua madre…”

“Spero sia un complimento questo, Alexander.”

La voce squillante che aveva appena pronunciato queste parole, apparteneva ad una bella signora minuta e castana che avanzava verso di loro. Di fianco a lei, procedeva una bambina di nove anni che si stringeva alla mano della madre con forza.

Questa, al contrario di Grace, era più timida e pallida; dai capelli castano chiaro.

L’uomo, preso in causa, sorrise beffardo alla moglie: “Tesoro, lo sai che i miei sono sempre complimenti.”

La signora Norris sospirò: “Come al solito le tue bugie su di me non funzionano, mio signore!”

Alexander prese la mano di Callie e disse, ridendo: “Ti amo proprio per questo!”

La donna fece solo in tempo a sorridere perché, prima di poter formulare una risposta, un pianto isterico attirò la loro attenzione. I due genitori guardarono preoccupati nella direzione dei lamenti: Grace era caduta a terra e ora si teneva il ginocchio ferito, piangendo disperatamente.

Callie fu subito su di lei: “Madonna santa, Grace! Ne combini di tutti i colori! Stai bene?”

“Mi fa male il ginocchio, mamma! Morirò?”

“No che non muori, piccola. Ora andiamo a casa e vedrai che Gordon metterà un po’di disinfettante.”

“Ma il disinfettante brucia!”

In mezzo a tutto quel caos, Alexander aveva intanto preso in braccio la figlia più piccola che, con gli occhioni spalancati, guardava la scena: “Papà, perché Grace combina sempre tutti questi disastri?”

“Oh! Laura, ti svelerò un segreto…” rispose Alexander, mentre la bambina giocherellava con i suoi capelli neri. Diceva sempre che le sarebbe piaciuto farne tante treccine e, ovviamente, il padre non era molto d’accordo.

“ ….anche tua madre era una perfetta imbranata da giovane, sai?”

“Quindi anche io e Grace diventeremo imbranate?”

“È probabile.”

La voce di Callie, severa, si levò alta nel giardino segreto: “Laura! Non dare ascolto a tuo padre, per favore! Lo sai che gli piace scherzare con voi due!”

Alexander fissò gli occhi nocciola della moglie che ora lo guardavano come se volesse rimproverarlo. Sorrise: “Tesoro, Grace ci muore davanti agli occhi se stai lì a guardarmi così un altro po’!”

Ovviamente la piccola ferita cominciò nuovamente a piangere spaventata, e Callie lasciò andare un gemito di disperazione.

“Sei insopportabile, Alexander!”

“E tu una adorabile testarda!”

 

 

 

 

 

 

*Note: Orgoglio e Pregiudizio, cap. LIV

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