Couldn't that be me? di Pwhore (/viewuser.php?uid=112194)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1. ***
- Certo che
proprio a te doveva succedere, eh Jack? -
Il ragazzo sospirò, sistemandosi alla bell'e meglio sulla
sedia spartana che aveva trovato nel corridoio di fuori.
- Insomma, voglio dire, c'ero anch'io là, sarebbe dovuto
succedere a me -.
Accennò una smorfia che sarebbe dovuta essere un sorriso
tranquillizzante e scosse la testa. Chiuse gli occhi e
respirò a
fondo, riaprendoli pochi secondi dopo. Aveva sperato così
tanto
che quello fosse solo un brutto sogno, ma aveva dovuto ricredersi ogni
volta che si era guardato attorno. Una grigia stanza d'ospedale
impregnata dal puzzo di malati, una macchina che emetteva continuamente
un bip bip preoccupante, mobili pieni di medicine e per ultimo, il
particolare più doloroso: Jack.
Si morse il labbro e giocò un po' con le mani, tenendo lo
sguardo basso. Guardare il suo migliore amico era ancora
così
dannatamente difficile, anche dopo tutto quel tempo. Ogni volta pensava
di potercela fare, di poter battere le lacrime, ma la verità
è che non avrebbe mai superato il trauma, come temevano i
suoi
compagni e il suo manager. Era andato a far visita a Jack
più o
meno tutti i giorni da quando aveva avuto l'incidente ed era finito in
coma, ma ancora faceva fatica a credere che l'amico non fosse
più accanto a lui.
''Andiamo Alex, non fare lo scemo. Abbiamo qualcosa d'importante da
fare oggi, non puoi semplicemente prendere e andartene
perché
è l'ora delle visite giù all'ospedale. Voglio
dire, non
è mica detto che si risvegli proprio questo pomeriggio!
Cerca di
capire, è importante per le vostre carriere, per il vostro
futuro, non per me. Non mandare tutto all'aria anche stavolta, porca
puttana!''
La voce del suo manager gli rimbombava ancora in testa. In poche parole
gli aveva chiesto di abbandonare il suo migliore amico per pensare ai
soldi, e Alex non riusciva a capire come si potesse essere
così
cinici. Si alzò dalla sedia senza fare rumore e si
avvicinò al letto, il cuore che batteva veloce come la prima
volta che l'aveva visto. Sembrava così angelico e dolce
rispetto
al solito Jack, sempre pronto a fare qualche stupida battuta sulla
madre del prossimo e a fare qualcosa di pericoloso. Scosse lievemente
la testa. Per una volta non era stato lui il coglione della situazione.
Strinse le labbra e inspirò amareggiato, sbuffando.
- Sai Jack, se avessi fatto il deficiente come al solito, forse ora
saresti qui al mio fianco. Buffo, no? Fai come ti pare e stai bene, poi
quando decidi di dar retta ai tuoi amici finisci male - storse le
labbra e spostò i capelli dalla fronte del ragazzo.
- Non posso fare a meno di pensare che sia tutta colpa mia - ammise,
accarezzandogli la guancia.
- Se ci fossi io al tuo posto sarebbe decisamente meglio -
sospirò. Tacque qualche istante e il rumore del respiratore
riempì la stanza, facendo sentire Alex molto più
sofferente e solo. - Mi manchi, Jack. -
Pronunciò l'ultima frase con estrema lentezza e
sofficità, respirando a fondo e stringendo la mano
dell'amico.
- Mi manchi come non mi è mai mancato nessuno prima d'ora.
Sai,
sono venuto qui praticamente tutti i giorni da quando sei stato
ricoverato e non me ne sono ancora pentito. Vederti stare male
è
una coltellata al cuore, ma non vederti è ancora peggio..
Manchi
a tutti, Jack. Vorremmo tanto rivedere un tuo sorriso o arrabbiarci
un'ultima volta con te. Così è troppo.. troppo
sbagliato.
Dobbiamo portare fino in fondo il nostro sogno, ricordi? Tutto quello
per cui abbiamo lottato fin'ora è finalmente a portata di
mano e
non dobbiamo lasciarlo scappare, lo so, ma senza di te è
così difficile.. Tutto quello che faccio sembra essere
sbagliato
e tutte le mie certezze sono crollate come castelli di carta sotto la
spinta del vento. Tu sei una delle poche persone che so che non mi
tradiranno mai, eppure sei così lontano ed io ho montagne di
cose da dirti. Davvero, potrei parlarti per ore e ore, molto
più
di quanto non faccia ultimamente. Mi manca terribilmente la tua voce e
il fatto che tu non sia realmente qui con me, ora. Vorrei poterti
stringere, baciare e dirti, 'brutto coglione, mi hai fatto
preoccupare', per poi scoppiare a piangere contro il tuo petto e
sentire la tua mano correre lungo la mia schiena. Vorrei poter tornare
alla vita che facevamo prima, ai tour, a tutte quelle cazzate che ci
facevano sentire così vivi. Vorrei che tu potessi annuire e
dire
'Sì, Alex, hai proprio ragione', o farmi capire che in
qualche
modo mi stai ascoltando, perché non so più in
cosa
credere.. -. Tacque qualche secondo, come a recuperare il fiato, e si
strinse le sopracciglia con due dita, ricacciando indietro le lacrime.
- Diamine, Jack, perché fa tutto così schifo? -
mormorò con voce rotta. - Perché deve sempre
esserci
qualcosa che va male? Merda. Avrei tanto bisogno di uno dei tuoi
scherzi, ora - aggiunse, accennando un sorriso e scuotendo la testa.
- Sono sempre i migliori che se ne vanno, Alexander -
commentò
l'infermiera. Alex sussultò, voltandosi di scatto. Non
l'aveva
sentita arrivare.
- Andiamo, Gaskarth, l'orario delle visite è finito - lo
avvertì la donna, indicandogli gentilmente la porta con il
capo.
Aveva una voce dolce e calda e cercava sempre di fare la cosa giusta,
ma con il ragazzo non sapeva che pesci pigliare. Perdere il proprio
migliore amico non è una cosa facile, specialmente se
l'amico in
questione è qualcuno di importante come Jack Barakat era per
Alex. Non aveva idea di come aiutare il chitarrista a emergere da
quella spirale autodistruttiva nella quale si era rintanato, ma
più volte gli aveva permesso d'intrufolarsi nella stanza
quand'era buio, in modo da passare più tempo con l'altro, e
quei
piccoli gesti le avevano dato l'impressione che il castano non sarebbe
mai stato in grado di staccargli la spina. Erano mesi che non lo vedeva
andare in vacanza o fare qualcosa che non riguardasse la band e
Barakat; più volte lo aveva sentito discutere col manager a
causa delle sue visite continue e ancor più spesso lo aveva
visto piangere. Bastava guardarlo in faccia per capire che stava
crollando, ma non sarebbe certo stata lei a fare la differenza nella
sua vita, quindi si era tenuta abbastanza alla larga da lui e lo aveva
sostenuto da lontano. Alex se n'era accorto, ma sapeva che per quella
donna non significava molto e che si muoveva per pietà,
così aveva deciso di evitare ogni contatto con lei, per
quanto
fosse possibile.
Alzò lentamente gli occhi dal suo migliore amico e la
squadrò, la vista offuscata dalle lacrime che aveva
soppresso
fino a quel momento.
- Solo altri cinque minuti - la pregò. - Cinque minuti e me
ne vado -
La donna sospirò, impietosita, e mosse la mano come per
approvare. Uscì silenziosamente dalla stanza e si mise ad
aspettare in corridoio, lanciandogli qualche occhiata attraverso la
porta a vetri. Alex storse la bocca.
- Hai visto, Jack? Sono già passate due ore -
commentò. -
Il tempo vola, qui con te - mormorò, abbassando lo sguardo.
Aspettò qualche secondo, poi si alzò e si
riavvicinò al letto, guardando attentamente il viso
dell'amico.
- Ti stai sciupando, sai? - scherzò con aria affranta,
giocherellando con i suoi capelli lunghi.
- Quando ti sveglierai ti porterò da un parrucchiere e
sistemeremo i tuoi amati spinaci, va bene? - Sorrise da solo,
tranquillizzandosi.
- Con il mio discorso di prima non volevo farti preoccupare Jack.
Ovunque tu sia, pensa solo a te stesso e a guarire, okay? Io me la
caverò, in qualche modo; ma ti prego, ti prego, torna in te
e
apri gli occhi - tacque nuovamente, rimuginando sul da farsi. Diede un
buffetto sulla guancia al chitarrista e sorrise impercettibilmente,
mentre le sue labbra scandivano un ''Buonanotte, Jack''.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2. ***
Alex rientrò a casa con un gusto amaro in bocca. Ogni volta
che
andava dal compagno si sentiva uno schifo, ma non poteva farne a meno.
Aveva bisogno di vedere il viso di Jack e sentire il battito del suo
cuore lottare dentro il suo petto; aveva bisogno di vedere il suo corpo
alzarsi dopo ogni respiro per poi riabbassarsi, lentamente. Aveva
bisogno di sapere che l'altro non si stava lasciando andare al mondo
parallelo nel quale viveva ma che stava cercando di tornare a casa da
lui.
Lanciò la giacca sul divano senza farci molto caso e si
diresse
verso il bagno. Si aggrappò con entrambe le mani al
lavandino e
si guardò allo specchio. Non aveva fatto la barba neanche
quel
giorno, constatò, così si passò un
dito sulle
guance. Avvertì un pizzicorio sulla pelle e ritrasse la
mano,
infastidito. Negli ultimi mesi si era lasciato un po' andare e si era
dedicato più a Jack che a se stesso, ma non se ne rendeva
veramente conto. Gli sembrava normale, l'unica cosa da fare, e quindi
continuava a farlo. Quando incontrava quelli della band era il
più taciturno, sempre perso nei suoi pensieri, e non
riusciva a
lavorare bene. Il manager si stava incazzando di brutto con
lui,
in quell'ultimo periodo, ma a Alex non poteva importar di meno e faceva
di tutto per sottolineare che l'unica cosa che aveva davvero importanza
per lui in quel momento era Jack. Non che l'uomo si sforzasse di
capirlo, comunque, per lui erano solo soldi.
Alex fece una smorfia e sputò nel lavabo, turbato.
Aprì
l'acqua e se ne schizzò un po' in faccia, cercando di
calmare
quel turbine di emozioni che aveva dentro. Rimase immobile qualche
secondo, a guardare le goccioline schiantarsi contro la mensola degli
spazzolini, poi si spinse all'indietro, agguantando un
asciugamano. Se lo passò sul volto e si
scompigliò i
capelli, sospirando. Posò il pezzo di stoffa sul bordo della
vasca e uscì dalla sala da bagno, andandosi a sdraiare sul
letto. Chiuse gli occhi e si addormentò in pochi istanti,
precipitando in sogni cupi e senza amore.
Il telefono lo svegliò qualche ora dopo, verso l'alba. Alex
imprecò e saltò giù dal letto,
correndo alla
ricerca del cellulare. Lo trovò all'entrata, sotto il
divano, se
lo portò all'orecchio e premette il pulsante verde.
- Pronto? - biascicò, la voce impastata dal sonno e gli
occhi che gli si chiudevano.
- Alex, Alex sono io! - esclamò eccitato Rian.
- Ehy Ry. Quante cazzo di volte devo dirtelo, di lasciarmi in pace la
mattina presto e di non chiamarmi quando sei ubriaco? -
mugolò.
- E parla piano, mi stai uccidendo un orecchio. - aggiunse, camminando
controvoglia in giro per la cucina.
- Scusa, c'è Zack che urla e sta facendo un casino della
madonna - fece l'altro. - Comunque hai sentito la notizia? -
Alex scosse la testa, troppo assonnato per anche solo pensare a
qualcosa che potrebbe essere una sorpresa per lui.
- Il dottore ha detto che possiamo andare a trovare Jack tutti insieme!
- gli urlò l'amico.
- Che cosa, cioè, davvero? - boccheggiò Gaskarth.
Da
quando una volta erano arrivati ubriachi e si erano intascati qualche
medicina, non era stato più permesso a Zack e Rian di
entrare in
camera del loro chitarrista. Il direttore dell'ospedale se l'era presa
molto anche se i due avevano restituito tutto, quindi solo il cantante
poteva andare a trovarlo. Ogni tanto gli portava dei regalini dei suoi
due amici, come dei fiori o delle candele profumate, visto che sarebbe
riuscito a sentire il loro odore e a esserne lieto. A Jack il silenzio
e le parole del singolo Alex non sembravano dispiacere, però.
- Come avete fatto a fargli cambiare idea? - domandò, in
preda all'adrenalina.
- Noi niente, Gas, dev'essere stata la tua aria da barbone col cuore
infranto a farlo riflettere - rise Zack.
- Zack, bada a come parli - lo rimproverò scherzosamente.
- Va bene, mamma. Allora, a che ora ci vediamo? -
Alex scosse la testa. Quel coglione aveva fin troppa energia,
nonostante fossero solo le sei del mattino.
- Sai, esistono delle cose chiamate orari di visita - lo
sfotté.
- Ah già. Vabbè dai, per noi faranno
un'eccezione! - gongolò Rian, riprendendo possesso del
telefono.
- Preparati, tra venti minuti passiamo a prenderti - lo
informò,
chiudendo lì la chiamata. Il cantante rimase immobile
qualche
secondo a rigirarsi cellulare tra le mani, incredulo. Era da tanto che
non facevano visita a Jack tutti e tre insieme. Era da tanto che non
erano più davvero al completo. Lanciò il telefono
sul
letto e ci si sdraiò sopra, sorridendo.
- Things are looking up, oh finally - si ritrovò a
canticchiare.
Diavolo, se ci stava, in quel momento. Saltò in piedi e si
fiondò sotto la doccia, portandosi dietro i vestiti che
aveva
preparato qualche sera prima e di cui si era completamente scordato.
Nel giro di un quarto d'ora era fresco e ripulito come non lo era da
tempo. Si era fatto la barba e aveva accordato la chitarra, prima
d'infilarla in una custodia e ficcarsela sulle spalle. Questa notizia
gli aveva dato la scarica di adrenalina che gli serviva per scuotersi
di dosso un po' di mestizia, e ringraziò mentalmente il
direttore dell'ospedale mentre apriva la porta di casa. Si
appoggiò con entrambe le mani al corrimano e
lanciò
un'occhiata verso il piano terra, da dove sentiva arrivare un vociare
allegro e eccitato. Chiuse la porta a chiave e corse lungo la tromba
delle scale, raggiungendo i suoi amici a metà strada.
- Ehy man, come va? - lo salutò Zack con una pacca sulla
spalla.
- Alla grande! - esclamò Alex, il volto illuminato da un
enorme sorriso. - Andiamo? -
Rian annuì con decisione e spinse il cantante in avanti,
gentilmente.
- Abbiamo lasciato la macchina fuori dal portone, muoviti o ce la
sequestrano - lo ammonì, superandolo. Zack rise e diede un
buffetto sulla guancia a Gaskhart, sfoggiando un sorriso a trentadue
denti e un'aria rilassata e felice.
- Andiamo, Gaskarth, we're living the dream again - mormorò,
sfrecciando poi giù per le scale. Il cantante si
lasciò
sfuggire un sospiro contento, si passò una mano sul volto e
respirò a fondo, poi raggiunse gli altri ed entrò
in
macchina.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3. ***
Il silenzio che aleggiava nell'ospedale si ruppe quando i tre varcarono
la soglia dell'edificio, con le braccia cariche di regali e fiori.
- Gioite gente, Zack e Rian sono tornati! - gridò Zack
lanciando
le braccia in aria e facendo cadere petali di rosa al suo passaggio.
- Smettila, deficiente, o ti cacceranno di nuovo - ridacchiò
Alex, assestandogli un piccolo buffetto sulla spalla. Zack
sospirò e regalò una viola a un'infermiera,
trotterellando dietro agli altri con fare felice.
- Credete che Zoe si ricordi ancora di me? - se ne uscì dopo
un attimo, scandagliando l'entrata con aria attenta.
- Figurati, sicuramente si è trovata qualche altro pollo -
gli
rispose Rian, scrollando le spalle e sfregandosi indice e pollice.
- Chessò, uno più ricco e vecchio -
precisò,
ridendo fra se e se. Zack lo guardò con aria affranta ma poi
scosse la testa, contrariato.
- Quella ragazza era un'arpia - commentò. - Non mi son perso
niente -
- Così ti voglio, amico - ribatté Alex, dandogli
un
pugno. Si guardò un attimo attorno e poi imboccò
il
corridoio sulla destra, camminando velocemente e senza far rumore,
anche se il casino che non faceva lui era prodotto dai suoi due
accompagnatori. Alzò gli occhi al cielo e finse un sospiro
stressato, poi si portò un dito davanti alle labbra e fece
cenno
di tacere agli altri. Appoggiò la mano sulla maniglia e li
guardò in faccia con aria seria e preoccupata, pronto ad
aprire
la porta.
- Brutti cazzoni, se uno di voi tocca qualcosa siamo morti; quindi
limitatevi a parlargli, ok? -
I due annuirono e trattennero il respiro in segno di rispetto, anche
perché era tanto che non vedevano Jack ed avevano paura di
sapere quali fossero realmente le sue condizioni. Rian
abbassò
gli occhi e Alex respirò a fondo, dopodiché
spinse la
porta in avanti, delicatamente. Entrò per primo e
diede
un'occhiata ai valori di Barakat, ma visto che non ci capiva niente
decise di lasciar perdere e far entrare gli altri. Zack
varcò la
soglia per secondo, seguito a ruota da Rian. Si lasciò
sfuggire
un gemito di malinconia e si avvicinò al letto del
chitarrista,
senza aver la forza di sfiorarlo.
- Cavolo, speravo stesse meglio.. - mormorò.
- Anch'io - ammise Alex. Gli accarezzò la guancia e si morse
il labbro, sospirando.
- Ehy Jack, sono io, Rian. Come va, campione? Scommetto che anche da
addormentato sei il preferito delle infermiere, non è
così? - sussurrò il batterista, chinandosi in
avanti
verso l'amico. Gli altri rimasero in silenzio a osservarlo.
- Beh, sappi che Zoe non la devi proprio far avvicinare, o Zack
s'ingelosisce - scherzò.
- Sai, credo che sotto sotto lei gli piaccia ancora, ma tu non glielo
dire, eh. Deve capirlo da solo - gli confidò.
Il bassista alzò gli occhi al cielo con un
''Perché a me?'' e finse un'aria stremata. Rian sorrise.
- Penso anche che ora farà di tutto per negare. Ma tu non
credergli, vuole solo mentire a se stesso - lo avvisò.
- Ma smettila, coglione - ribatté l'altro, tirato in causa.
- Jack, ignoralo, vuole solo prendermi in giro -
- Visto, che ti avevo detto? Ho o non ho ragione? - commentò
scrollando le spalle con aria soddisfatta.
Zack si passò una mano sul viso, senza sapere come
rispondere.
- Sì, okay, hai ragione. Mi piace ancora. Contento? -
Il volto di Rian si illuminò con un sorriso compiacente.
- Molto - annuì. L'altro rise fra se e se e si
appoggiò con la schiena alla credenza delle medicine.
- Sai Jack, si sente la tua mancanza in studio - disse.
- Già, quel coglione di Alex sta sempre zitto e il manager
s'incazza abbestia a ogni minima distrazione - spiegò il
batterista.
- Dovresti tornare e spiegargli che divertirsi è
più importante di far soldi - concluse il bassista.
- Anche tornare e basta andrebbe bene, in realtà -
mormorò Gaskarth, mettendo alla luce quello che tutti
pensavano.
Calò un silenzio teso e doloroso, e Alex mandò
indietro
le lacrime, mordendosi il labbro inferiore.
- Mi manchi tanto, Jack - sussurrò con voce spezzata.
Abbassò lo sguardo e Zack lo abbracciò stretto,
mentre
Rian si alzava e gli si avvicinava. Li circondò con le
braccia e
affondò il viso nelle loro schiene contratte, la tristezza
che
si diffondeva dentro tutti quanti tra un singhiozzo e l'altro del
cantante.
- Cos'è, un abbraccio di gruppo senza il membro
più importante? -
- Eh? - boccheggiò Gaskarth. Spinse via gli altri e si
lanciò verso il letto, per trovare Jack addormentato e
tranquillo come al solito.
- Ecco, perfetto, ho pure le allucinazioni - commentò
storcendo la bocca in una smorfia stanca.
- Alex, fratello, io-- - cominciò Rian, la bocca
semiaperta e la mano a mezz'aria, pronta a sfiorargli la spalla.
- No, lascia perdere. So cosa stai per dire e non mi serve una pausa -
lo zittì l'altro con un gesto scocciato della mano.
- E, anche volendo, non riuscirei a lasciare Jack qui da solo, quindi
toglitelo dalla testa -
- E allora andiamoci insieme in vacanza -
Stavolta Alex si voltò abbastanza in fretta da vedere
Barakat tirato su con un sorriso enorme dipinto in faccia.
- J-Jack? - balbettò, sgranando gli occhi. La
felicità
prese rapidamente possesso del suo viso, che si rilassò e si
illuminò come non mai. Il chitarrista sorrise e si sporse in
avanti per abbracciarlo, stringendolo a se il più forte
possibile.
- Oh Jack, mi sei mancato così tanto. Sei un coglione, un
coglione - singhiozzò il castano, aggrappandosi all'amico
con
tutta la forza che aveva in corpo e cominciando a tremare senza sosta.
- Lo so, Alex, lo so. Va tutto bene ora - mormorò l'altro,
baciandogli la fronte per tranquillizzarlo. Rian e Zack sorrisero e si
avvicinarono al lettino, sul volto un misto di stupore e tenerezza.
Rian si morse il labbro, addolcito.
- Da quanto sei sveglio, Jack? - domandò Gaskhart in un
sussurro
commosso, ricacciando indietro le lacrime. Allentò un po' la
presa per permettere all'amico di respirare e poi lo strinse
nuovamente, come se se l'avesse lasciato andare per un solo secondo
Jack sarebbe caduto di nuovo in un coma senza ritorno.
- Da stanotte, Alex - disse il chitarrista, baciando il capo
dell'altro. - Non so cosa sia successo, ma sentivo
tremendamente
la vostra mancanza e poi, puf, mi sono svegliato qui, e la prima cosa
che ho cercato sei stato tu - ammise con una smorfia imbarazzata.
- Poi un'infermiera se n'è accorta e il direttore ci ha
chiamati, così abbiamo pensato di farti una sorpresa -
spiegò Zack.
- Buon compleanno, Gaskarth - sussurrò Jack, cingendogli il
volto e inspirando il suo odore. Rian sorrise e si appoggiò
al
compagno, godendosi la scena. Alex riprese a tremare - dalla gioia
stavolta - e lasciò che le lacrime scendessero copiose lungo
le
sue guance.
- Oh Jack, Jack cazzo - balbettò, accarezzando i capelli
dell'altro e stringendo gli occhi il più possibile.
- Mi sei mancato così tanto - singhiozzò,
premendo il volto contro il petto magro di Barakat
- Anche tu, Alex, anche tu - lo tranquillizzò l'altro,
respirando lentamente ma col cuore a mille. - Cazzo, se mi sei mancato -
''I thought I'd never see the day on you smiled at me''
canticchiò il castano nella sua testa, baciando il petto
dell'amico.
- Cazzo, dobbiamo assolutamente festeggiare - esclamò poi,
liberando il compagno dalla stretta e asciugandosi velocemente il volto
con l'avambraccio. - Tutto il mondo deve sapere che quel coglione di
Jack Barakat è di nuovo in piedi -
Jack sorrise, contento. Scese dal letto, fece qualche passo incerto e
poi abbracciò tutti quanti, silenziosamente.
- Ora gli All Time Low sono di nuovo al completo - annunciò,
guardandoli negli occhi uno per uno..
- Mondo, preparati a essere preso a calci in culo - gridò,
stringendo le mani di Zack e Alex e portandole in alto con fare deciso.
Il gruppo lanciò un urlo convinto e si cinse in un ultimo
abbraccio, prima di tirare fuori la chitarra e rallegrare l'atmosfera
tesa che aleggiava nell'edificio. Rian si mise sulle spalle Alex e si
avvicinò alla porta, dando una pacca sul braccio a Zack. Il
cantante si voltò un'ultima volta verso Jack, che aveva
imbracciato la chitarra e si accingeva a strimpellare qualche accordo
insicuro, e sorrise.
- Grazie Jack - sussurrò, mentre le note di Walls riempivano
l'aria. L'altro intese il suo sguardo e ricambiò con un
cenno
del capo, dandogli l'attacco. E quando cominciò a cantare,
il
ragazzo si rese conto che era vero. Gli All Time Low erano tornati. E
nessuno avrebbe più potuto fermarli.
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