Ikkunaprinsessa

di Heaven_Tonight
(/viewuser.php?uid=177847)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue and Characters ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno - "Nella Terra dei Mille Laghi" ***
Capitolo 3: *** Capitolo due: “Principi e pirati” ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre: "Come miele e neve" ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro - "Jade Kuume" ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque: "Moonlight" ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei - “In a place that's warm and dark...” ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette: “Your arms around me...” ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto - “Fuga da Helsinki” ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove: "I'm waiting for your touch..." ***
Capitolo 11: *** Capitolo dieci: “Do you really want me?” ***
Capitolo 12: *** Capitolo Undici - "Creeping Inside" ***
Capitolo 13: *** Capitolo Dodici - "Around you..." ***
Capitolo 14: *** Capitolo tredici “Green and gold” ***
Capitolo 15: *** Capitolo quattordici: “I'm mine” ***
Capitolo 16: *** Capitolo quindici: "Fade into you" ***
Capitolo 17: *** Capitolo sedici: "My Lord, my love..." (Take care of the ones you say you love...) ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciassette : “Under a layer of glass” ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciotto: “Luna verde e marmellata di ciliegie” ***
Capitolo 20: *** Capitolo diciannove : “Starry night” ***
Capitolo 21: *** Capitolo venti - “Look at me ... trust me.” ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventuno : "So sweet that it's hurts..." ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventidue: "Take my hand" ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventitre - "Child of the sun" ***
Capitolo 25: *** Capitolo ventiquattro: "You are my sister" ***
Capitolo 26: *** Capitolo venticinque - "Il Sentiero delle Fate" ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisei - "La stessa Luna" ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventisette: " I feel you, outside at the edge of my life" ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventotto: " La cosa giusta" ***
Capitolo 30: *** Capitolo ventinove - "Quello che non abbiamo" ***
Capitolo 31: *** Capitolo trenta: “Teardrops on the fire” ***
Capitolo 32: *** Capitolo trentuno: "Beyond Redemption" ***
Capitolo 33: *** Capitolo trentadue: "Northern Light, you call me home" ***
Capitolo 34: *** Capitolo trentatrè: "Leggera come la neve" ***



Capitolo 1
*** Prologue and Characters ***




Image and video hosting by TinyPic

Prologo


Era ancora nel mondo dei sogni, ne era certa. O era sveglia?

Qualcuno canticchiava in lontananza. Strizzando forte gli occhi, si girò a pancia in giù, tirandosi il cuscino sulla testa, cercando di riprendere a dormire. 
La t-shirt informe che usava come pigiama però le si era attorcigliata al collo e ora la stava strozzando. Si sollevò su quel tanto che bastava per rimetterla a posto in modo fulmineo e si distese di nuovo, sbuffando.
Tornò sotto il cuscino, premendoselo forte sulle orecchie.
Niente da fare.
Aprì un occhio gemendo piano.
La luce grigia filtrava dalla finestra che aveva dimenticato aperta la sera precedente, anzi quella stessa mattina, prima di crollare sfinita alle cinque e trenta passate.
Cercando di non prestare troppa attenzione a quella voce così irritante, guardò il display del suo cellulare: le nove e 45.
Non era ancora pieno giorno, la luce debole: stava appena albeggiando ma gli effetti su di lei erano sempre gli stessi.
Moriva di sonno.


No. Non stava sognando. Qualcuno cantava a voce alta nella stanza accanto.
Si mise lentamente a sedere sul letto, scuotendo i capelli ricciuti che le si gonfiarono dietro la schiena in una folta criniera leonina.
 
Decise che avrebbe fatto fuori quel “qualcuno”, alzandosi e trascinandosi stancamente fuori dalla sua piccolissima stanza.
 
Il suo “piccolo scrigno”, come lei lo chiamava.
 
Le pareti erano dipinte di lilla chiaro e verde acqua, alternandosi sui quattro lati; la scrivania era stata ricavata da un tavolo malandato che avevano trovato da un rigattiere fuori città, con i piedi arcuati e traballanti, affettuosamente chiamato “il monco”.
Era stato coccolato, rimesso a nuovo con amore e pazienza nei mesi estivi quando il clima all'esterno era piacevole, rispetto alle abituali temperature che di norma c'erano in quel paese, il “Paese dei Mille Laghi”;
Il suo scassatissimo portatile: suo fidato compagno, amico di notti insonni, l’“Highlander” perché a dispetto degli acciacchi, della ventola che annaspava affannosamente e l’anta dello schermo instabile, andava ancora alla grande, un guerriero inamovibile anche se a volte rifiutava di accendersi, così, per capriccio, senza un motivo valido, probabilmente solo per il gusto di farla impazzire.
Era sempre più convinta che i suoi elettrodomestici, capitanati dall' “infame traditore”, fossero dotati di vita propria e congiurassero contro di lei, inventandosene una nuova ogni giorno.
Infatti, non v’era giornata che non iniziasse senza che qualcosa, il phon o il forno a microonde, decidesse di non accendersi o funzionare correttamente!

 
I poster e le stampe alle pareti, “La fata ignorante” di Magritte, ricordo tangibile di una mostra dell'artista che anni prima aveva visto a Roma, così come gli altri che si erano susseguiti: il “Blue Nude” di Matisse, “Danae” di Klimt, “Dream City” di Klee, “Bild mit rotem Fleck” di Kandinsky, “Number 33” di Pollock; “The Radiant Child” di Basquiat, “Sirène et poisson” di Marc Chagall “Campo di grano con corvi” di Van Gogh, il suo preferito.
 
La colonnina porta cd che col tempo si era riempita  di nuovi, innumerevoli compact disc; il piccolo ma decoroso stereo; il tappeto rotondo fatto a mano, enorme, che occupava gran parte della piccola stanza, viola scuro e morbidissimo.
 
L'armadio, anch'esso raccolto in giro ma talmente malconcio che era stato dipinto di blu notte con spirali viola e bianco, chiamato “Il puffo” per le ridotte dimensioni.
La lampada da terra, frutto di un bottino fortunato in Germania, di legno intrecciato alla base e alla sommità un materiale ignoto ricoperto con carta di riso color crema.
 
Le era piaciuta subito la luce che dava: calda, accogliente e rassicurante.
E poi ovviamente c’era la sua libreria.
Un’anonima, semplice e lineare struttura laccata di bianco, presa all’Ikea.
Ricolma di libri di ogni genere, dai romanzi rosa ai saggi, ma in prevalenza vi erano libri d’arte e fotografia.
 
E poi ovunque ninnoli, vecchie foto, ricordi, carte di caramelle spianate con cura e incorniciate in plexiglas.
All’età di quattordici anni aveva avuto la sua prima cotta devastante e ricordava ancora il batticuore, il respiro mancante.
Il ragazzo per il quale aveva perso la testa le aveva offerto un chewing gum e lei ne aveva conservato gelosamente, e stupidamente, l’involucro.
Non aveva più smesso da allora: ogni volta che voleva ricordare un momento, una persona, portava con sé qualcosa che questa aveva toccato.
Continuava a farlo: una sorta di memoria visiva nella quale, spesso e volentieri, sprofondava.
Numerosi biglietti del cinema erano infilati nella cornice dello specchio e una gruccia per vestiti usata come originale e avveniristica porta collane e bracciali, penzolava da un gancio fissato al muro;
un puff di colore nero, di pelo sintetico-non identificato, che chiamava amorevolmente “il gatto morto”.
Amava i momenti preziosi che passava leggendo appoggiata con le spalle al termosifone, una tazza di the in mano e un libro nell'altra, seduta sul quel puff davanti alla porta-finestra che dava su un minuscolo balconcino.
 
Il suo mondo... un mondo sbriciolato, rattoppato, malconcio e dolorante, ma suo.
Passandoci davanti notò che il cielo era bianco e carico: neve!
Ormai Marzo era quasi al termine ma avrebbe nevicato di nuovo, lo sentiva nell'aria.
Amava la neve, le ricordava casa.
 
Casa...

ab


Characters



Lou Zarda:
Lucia “Lou” Zarda, 29 anni; nata e cresciuta in Italia, in una piccola cittadina di montagna,
da qui la “familiarità” con il clima rigido e il suo amore per la neve che è tipico dei paesaggi finladesi.
Si trasferisce in Helsinki seguendo il suo ex-fidanzato, Andrea, conosciuto ai tempi del liceo,
con cui ha avuto una lunga e tormentata relazione per nove anni;dopo la fine della loro storia,
rimane in Finlandia lavorando come braccio destro e “tuttofare” in una galleria d'arte,
cercando di rifarsi una vita e costruirsi un futuro.
Ferita e delusa, si allontana dall'amore e da tutto ciò che i rapporti interpersonali comportano,
si ritira nel suo mondo fatto di colori e tele, chiusa nel bozzolo della sua camera e della sua casa.

Ville Valo. Non vi aspettate davvero che metta la descrizione?! xD
Katty: idem come sopra... dovreste solo sapere che è la micia più faiga dell'universo!

Nur Knight, 30 anni; amica e coinquilina esuberante di Lou, bellissima ragazza inglese di origini arabe, lavora come hostess,
facendo la spola tra Helsinki e altre città europee;
una vita piena di impegni e storie d'amore clandestine e fulminee, all'apparenza una donna volubile e superficiale,
ma profondamente legata a Lou, della quale si sente un po' l'angelo custode,
proteggendola dalle delusioni che l'amore ha portato nella sua vita,
sostenendola e dandole quella fiducia in se stessa che ha inesorabilmente perso.

Andrea Marini
: 31 anni, ex fidanzato di Lou.

A lungo presente nella vita di Lou, anche dopo la fine della loro relazione.
Egoista e prepotente, torna ciclicamente nella vita di lei per impedirle di dimenticarlo e rifarsi così una vita.
Simone Lambro: 30 anni, il migliore amico di Lou dai tempi dell' Accademia.
Vive tra Roma e Milano, stilista, artista pazzoide, vulcano di idee e coscienza di Lou.
Fa le sue apparizioni, portando sempre scompiglio e una ventata di solarità nella vita di Lou.
Julian Ramos: 32 anni, spagnolo, artista.
Conosce Lou durante la sua prima esposizione in Finlandia e ne rimane colpito immediatamente;
pur sapendo di non poter accedere al suo cuore le resta vicino come un buon amico.



Personaggi secondari:
Mara Leto: 31 anni, amica ed ex coinquilina di Lou e Simone ai tempi dell' Accademia;
scenografa e pittrice, abbandona la carriera per sposare Karl,
un ragazzo tedesco e vivere in campagna, facendo la moglie e la mamma.

Il sig. Korhonen: vicino di casa di Lou e Nur.
Matleena Heikkinen: 50 anni, curatrice del Museo in cui lavora Lou.
Lilly: Una piccola peste che entrarà a far parte della vita di Lou.




PS: Tutte le immagini dei personaggi, potete trovarle nel mio gruppo su Facebook dedicato alla storia cliccando su questo Link! :)




Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo uno - "Nella Terra dei Mille Laghi" ***







10906162-10205045157702818-7976112863552748391-n

Capitolo uno

"Nella Terra dei Mille Laghi"


Uscendo dalla stanza la prima cosa che i suoi occhi misero a fuoco furono un paio di natiche femminili, tonde e sode, perfette e ambrate che le passarono davanti nella loro gloriosa nudità.

«Ah, eccoti! Buongiorno bella addormentata! Sei sveglia? Ti ho preparato il caffè, my Darling!» - disse la proprietaria delle natiche con voce trillante, gironzolando seminuda con indosso solo un microscopico asciugamano fucsia acceso.

Piccole gocce d'acqua ancora brillavano sulla schiena, segno che era appena uscita dalla doccia e da lì provenivano i gorgheggi che l'avevano svegliata poco prima.
«Umpfh.» - mugugnò dirigendosi rigidamente alla macchinetta del caffè.
«Prego!»- rispose ridendo Nur.

Nur era abituata al suo umore funereo mattiniero; la divertiva un mondo il fatto che lei invece non carburasse prima di mezz'ora dal momento in cui si alzava dal letto.
Nur che era sempre piena di energie e di vita, che faceva mille cose in una sola giornata, che aveva l'agenda piena di impegni, che non stava mai ferma.

Si stancava solo a guardarla: Nur era una hostess, quasi sempre in viaggio.
Quando trovasse il tempo per vedere gli amici che si era fatta in pochissime settimane al contrario di lei che invece, viveva lì da tre anni e le persone con cui comunicava si contavano sulle dita di una mano, era ancora da capire.
Di solito quando tornava a casa restava due giorni e poi ripartiva.
Quarantotto ore durante le quali Nur riusciva a fare quello che per lei era impensabile anche in una settimana intera.

Negli ultimi sei mesi le sue visite erano state sempre più rade: oltre che vitale era anche corteggiatissima e gli uomini le morivano dietro.
Tutti.
Indistintamente.
E come poteva essere altrimenti?
Era una donna stupenda: trent'anni ma ne dimostrava a stento ventitré.
Alta, con gambe chilometriche e affusolate, vita sottile e seni alti tondi e perfetti: se non fosse che l'adorava senza remore l'avrebbe presa volentieri a calci sui denti.

Di origini arabe, era stata adottata da una facoltosa coppia inglese, borghesi e ricchi; non avrebbe avuto bisogno certo di lavorare ma, come le aveva spiegato con semplicità quella volta in cui le aveva chiesto perché facesse la hostess, un lavoro sì affascinante ma decisamente stressante, le aveva risposto:
«Sono stata solo fortunata: nel mio Paese d'origine ci sono costantemente guerre, le donne sono costrette ad una vita che io non potrei neanche concepire, sono una “miracolata”! E sono grata ai miei genitori adottivi per tutto ciò che mi hanno dato, ma non farò la mantenuta solo perché posso permettermelo, e poi non riesco a rimanere ferma nello stesso posto per molto tempo.
Voglio la mia libertà. Voglio viaggiare, conoscere posti nuovi, gente nuova, voglio assaggiare le pietanze del posto.
Voglio nuotare in tutti i mari del mondo e vedere mille tramonti diversi. Voglio amare mille uomini e farmi amare da loro, voglio tutto dalla vita! È sbagliato?».

No, non lo era.
Ammirava la sua forza, la sua tenacia e il suo costante buon'umore, che non era affatto finto.
Era chiaro che scaturiva da una positività che aveva dentro, un sole che aveva e riusciva a scaldare chi la circondava.
Anche lei.


«Oh,non-essere-noiosa! Tu-e-il-tuo-fortissimo-e-imbevibile-caffè-ristretto-italiano-fatto-con-la-moka-perché-il-vero-caffè-è-solo-quello-fatto-con-la-caffettiera-napoletana-e-con-rigoroso-caffè-macinato-ovviamente-caffè-italiano

«Hai finito?» - borbottò Lou, alzando un sopracciglio.

Con aria di sfida prese dallo scaffale la SUA moka caricandola con il SUO caffè macinato che i familiari le mandavano dall'Italia e la mise sul fuoco, appoggiandosi al bancone per guardare la sua coinquilina che volteggiava per la stanza, prendendo da questa o quella borsa un paio di calze, un jeans, un reggiseno e lanciandoli disordinatamente sul divano verde.

«Quello che tu chiami caffè non è che brodaglia... e non chiamarmi Lucia.» - aggiunse minacciosa.

«È il tuo nome! È bello e ha lo stesso significato del mio: LUCE. Quindi è bello! - decretò girandosi a guardarla divertita – Ok, Lou! Va meglio? - si piazzò davanti alla finestra guardando fuori, con aria contrariata - Ma no, che disdetta! Sta iniziando a nevicare! Non è possibile!» – strepitò ad alta voce, dimenandosi.

I suoi conoscenti e amici lì in Finlandia all’inizio storpiavano il suo nome in “Lùcciiaa”, allungando le vocali o mettendo l’accento su quelle sbagliate, per cui avevano iniziato a chiamarla Lou, e lei si era abituata ad essere Lou, tornando ad essere Lucia, o Lù, solo quando era in Italia.

«La pianti di agitarti davanti a quella finestra? Finirai per perdere quello straccetto che usi per telo da doccia e rimarrai con le poppe al vento... farai venire un coccolone ai vicini, così. E chiameranno la buoncostume che arresterà me, perché tu nel frattempo, sarai già volata via! E inoltre vorrei farti notare che siamo in Finlandia, non in California. Ovvio che nevichi a marzo.»


«Uff, sono tutti dei vecchi bacucchi noiosi e mosci... tranne “Il Principe della Torre» - disse sognante. Spiaccicò il viso sul vetro per sbirciare in direzione del soggetto del suo ciarlare. - Davvero non l'hai mai visto di persona? Ma abita a 200 metri in linea d'aria da qui, com'è possibile? Voglio dire, io non ci sono quasi mai ed è normale che non riesca a vederlo, ma tu che sei sempre qui, non esci mai o quasi, se non per andare al lavoro o per fare la spesa, non l'hai mai incrociato? È inaudito!»- continuò d'un fiato.

Il Principe della Torre” altri non era che il famoso cantante degli H.I.M., Ville Valo, che abitava nello stesso quartiere, nella famosa torre gotica che attirava in ogni periodo dell'anno, orde di fan esagitate e pronte a fare pazzie pur di vederlo.
Normale che lui non si facesse vedere: a quanto pare non era un tipo molto socievole e lo dimostrava il fatto che davanti alla sua abitazione, sul cancello e nei dintorni, c'erano cartelli che invitavano a non avvicinarsi.
Lei in tre anni, da quando viveva nello stesso calmo e bellissimo quartiere, non lo aveva mai visto; ok che non era stata molto “presente” anche lei, era stata distratta da altro, pensò ingoiando a vuoto il solito groppo in gola. E come diceva Nur, non era una donna mondana e non usciva se non strettamente necessario.

«Ti ho già detto tante volte che non l'ho mai visto, neanche da lontano. So che esiste perché di sera le finestre sono illuminate, per il resto potrebbe essere benissimo una leggenda.» - rispose distratta, prese una tazzina dal mobile inspirando voluttuosamente l'aroma del caffè che iniziava a salire su per la caffettiera.

«Oh, è un tipo così affascinante, misterioso e mi piacerebbe conoscerlo!» - disse piano Nur, guardando sempre verso la soffitta, forse con la speranza che ne potesse intravedere l'abitante.
«Puoi provare ad andare a suonare alla sua porta così come sei adesso: sono quasi sicura che ti aprirebbe, sai?» - ribatté Lou, spegnendo la fiamma sotto la macchinetta, versando l’espresso nella tazzina che prese tra le mani cercando di scaldarsele con il poco liquido bollente che vi era dentro.

Si avvicinò alla sua amica, guardando il cielo carico di neve sorridendo tra sé.

«Uhm... sì, sono sicura anche io che mi aprirebbe! - rise compiaciuta – Oh, fatti dare un abbraccio: mi sembra un secolo che non ci vediamo!» - proruppe poi buttandole le braccia al collo con enfasi, rischiando di ustionare entrambe con la bevanda ancora bollente e le stampò un bacio sulla guancia.

«Ehi! Attenta...» - si lamentò fiaccamente Lou, sorridendo dolce, prendendosi l'abbraccio e il bacio.
Nur era vulcanica in tutto; anche nel dimostrare il suo affetto agli altri.
Era un donna fisica: toccava costantemente chi le era di fronte e se questi erano maschi la cosa quasi mai generava fastidio; prendeva le mani dell'interlocutore tra le sue, sfiorandone il braccio, o dando pacche sulle spalle.
Nur era così.
E Lou amava anche questo calore che sapeva dare, al contrario di quanto facesse lei.
Nur si fermò, fissandola intensamente, analizzandole le occhiaie, la faccia stanca e dal colorito spento, le labbra tirate, gli occhi bordati di rosso.

«Brutto sogno, eh?» - mormorò carezzandole la guancia con delicatezza.
Si scostò impercettibilmente chinando la testa, deglutendo a vuoto.
«Come sempre. Sto bene. Ho solo dormito poco e lavorato fino a tardi... - mormorò indicando con un cenno il quadro che era appoggiato al cavalletto – Dovrei consegnarlo per questo fine settimana ma sono indietro... non so se ce la faccio.»
«L'ho visto appena sono entrata, è bellissimo... come tutti i tuoi lavori! Riposati e vedrai che ce la farai a finirlo, Lou... - esitò un momento, restando in silenzio per qualche istante, poi continuò, vedendo che l'altra si era girata a guardarla per indurla a proseguire - Non è tornato alla carica, vero? Perché se così fosse gli spacco la faccia stavolta! Giuro!»- disse alzando la voce.

«No, non è tornato. - mormorò Lou – Ti dispiace se non ne parliamo? Non oggi, almeno...»
«Ok, come vuoi tesoro, ma se quel gran figlio di... di… torna, devi dirmelo! Lo strozzo con le mie mani!» - concluse tornando ad abbracciarla e carezzarle la schiena con vigore.
«Ok! - ridacchiò Lou, tornando a rilassarsi - Sarai avvisata, ma dubito fortemente che avrà il coraggio di farsi vedere di nuovo dopo lo spavento che gli hai fatto prendere l'ultima volta!» - replicò a bassa voce.
Il ricordo della sceneggiata che Nur aveva fatto al suo ormai definitivamente ex, era stata memorabile.
Era stata sul punto di temere davvero per lui e la sua incolumità: non era raro che Nur andasse in escandescenze, ma non l’aveva vista così arrabbiata e aggressiva, con nessuno, mai.



******






Si era trasferita in Finlandia con il suo fidanzato tre anni prima, durante l'estate.
Non aveva amato subito quel paese: tutt'altro.
Faticava ad ingranare con un modo di fare completamente diverso da quello cui era abituata in Italia.

Gli italiani casinisti, disordinati, allegri, vocianti.
E lei li amava per questo, anche se non seguiva propriamente le “tradizioni”.
Era sempre stata timida e di solito tendeva a rimanere in ombra rispetto alle sue amiche e così era stato anche con il suo brillante fidanzato.

Aveva conosciuto Andrea durante il primo anno di Università: lei frequentava l'Accademia di Belle Arti a Roma e lui, con scarso profitto la facoltà di giurisprudenza.
Era un bellissimo ragazzo: oltre il metro e ottanta, muscoloso e scattante, occhi neri e profondi, con lunghe ciglia, labbra ferme e virili, sorriso da malandrino sotto una schiera di perfetti denti bianchi.
Pericoloso, si era detta la prima volta che lo aveva visto, restando palesemente a bocca aperta e sconvolta dalla sua abbagliante perfezione.

Come quella di Nur, anche la famiglia di Andrea era ricca, per cui invece che studiare cercando di laurearsi il prima possibile, non faceva che passare da una festa all'altra.
Da una donna all'altra.
E proprio ad una di quelle famose feste lei lo aveva conosciuto.
A quei tempi era così diversa dalla persona che era diventata.
Curiosa del mondo e della nuova condizione di libertà che aveva, ora che conviveva con altri ragazzi, rispetto a quando invece abitava ancora con la sua famiglia - che consisteva nel padre, la madre e i due fratelli più piccoli di lei: la classica famiglia italiana da pubblicità - era stata trascinata nel vortice delle feste che organizzavano di continuo le varie facoltà.

Con i suoi coinquilini Simone e Mara, come lei in Accademia, era un correre sempre di qua e di là.

Aveva incontrato Simone ad una lezione di orientamento i primi giorni; lui l'aveva individuata subito nell'aula affollata e surriscaldata.
Le si era avvicinato sorridendo e con un sospiro si era lasciato cadere sulla sedia accanto alla sua, sbottando ed esordendo con voce alta : «Santo cielo, perché non aprono un po' quelle finestre? Qui dentro si muore di caldo e per il cattivo odore che aleggia...» - poi aveva allungato una mano elegante e liscia, prendendo quella di Lou senza attendere che lei gliela tendesse, stringendogliela con vigore.
«Ciao, io sono Simone. Sai che hai i capelli più fantastici che io abbia mai visto?
Sono stupefacenti... è il tuo colore naturale vero? Posso? - aveva continuato prendendole un lungo ricciolo tra le dita – Sono davvero belli... sembri una di quelle fatine dei libri illustrati che leggevo da piccolo!»

Lou era rimasta senza parole e lievemente sbalordita dalla sua parlantina, come se la conoscesse da una vita. Le si rivolgeva in maniera semplice e naturale; doveva essere abituato a fare amicizia con facilità al contrario di lei.
Affascinata dalla sua bellezza elegante ed eterea era arrossita e aveva mormorato un “sì” imbarazzato prima di ricambiare la stretta di mano con un sorriso, sbirciando timida i perfetti capelli biondo scuro, gli occhi grigi e il fisico asciutto e scattante del ragazzo che le sorrideva divertito.

«Oh... anche le fossette! Sei vera?!» - aveva esclamato lui ridendo, avvicinandosi al suo viso per esaminarla meglio, facendola arrossire fino alla orecchie.

“Ci sta provando per caso?!”.

No, non ci stava provando e lo avrebbe capito esattamente due minuti dopo quando entrò un ragazzo e Simone commentò con un’espressione colorita il suo didietro.
Probabilmente aveva intuito che era affascinata da lui e aveva voluto subito mettere in chiaro come stavano le cose, senza essere maleducato e prima che potessero fraintendersi.
Questo gli fece guadagnare stima eterna agli occhi di Lou che rispose ridendo al suo commento altrettanto coloritamente, improvvisamente rilassata.
Era iniziata così la loro amicizia.
Era venuto spontaneo cercare casa insieme. Non c’era stato bisogno di parlarne tra di loro: semplicemente avevano iniziato a sfogliare i giornali di annunci ed elencare cosa ognuno volesse nell'appartamento dei lori sogni.
Lou si era appoggiata alla sua voglia di vivere e alla sicurezza con cui si muoveva in ogni ambiente.
Sembrava che cadesse sempre in piedi, che avesse sempre successo in tutti i progetti in cui si lanciava, fosse anche il più strampalato.
Avevano trovato il loro appartamento un po' fuori dal centro; avrebbero dovuto fare un lungo percorso in metropolitana per arrivare ogni mattina in accademia ma se n'erano innamorati subito, convinti anche dal prezzo che il locatore aveva proposto loro. La casa poteva ospitare anche una terza persona, così avevano affisso un foglio con i loro numeri di telefono e i requisiti del probabile futuro coinquilino nella bacheca degli annunci messa a disposizione dell'accademia.

Aveva riso fino alle lacrime quando aveva visto il foglio preparato da Simone.

Cercasi coinquilino/a (meglio se maschio, preferibilmente alto, moro, palestrato e ricco. Molto ricco.) dotato di senso di humour, amante del rosso e delle paillettes (sappiate che le metterò ovunque: anche nel frigo, quindi siete avvisati!).
Non siamo interessati a gente che ha mazze infilate su per il … ( a meno che non sia la mia...).
Per informazioni chiamate ore pasti e non prima delle 9.00 del mattino, perché potrei anche mandarvi a quel paese!”

«Magari la storia della mazza è meglio evitarla!» – rantolò Lou tra le risate.
«Uhm... - aveva risposto Simone con aria seria – Naaa: meglio che sappiano subito in che guaio si vanno a cacciare!»

Due giorni dopo il telefono di Simone squillò esattamente alle 9.02 e una voce pacata e seria di donna - con sommo dolore di lui - diceva di essere interessata alla convivenza e presero appuntamento per conoscersi quel pomeriggio, in un bar del centro.

Mara li aspettava in piedi, tesa e seria, davanti al bar che avevano scelto.

I capelli neri, liscissimi e tagliati corti sotto le orecchie, con una corta frangia sul viso ovale e due occhi nerissimi, la bocca carnosa leggermente larga per il suo viso minuto, magra e alta, quasi allampanata; era vestita di verde scuro, con un basco sulla testa e un cappotto un po' fuori stagione, dal momento che faceva ancora abbastanza caldo, una gonna corta sopra calze scure, coprenti e basse ballerine nere.
Nel complesso sembrava un'istitutrice francese a metà fra gli anni ‘20 e ‘60 in libera uscita nel giorno di paga.

Simone guardò Lou con gli occhi che luccicavano.
«La teniamo?! - chiese a bassa voce mentre si avvicinavano – Dai adottiamola! Ti prego, ti prego, ti prego!»
Lou ridacchiò sotto i baffi.
Nelle successive due ore ebbero modo di costatare che Mara, non solo era dotata di humour, che variava spesso in humour nero, ma che aveva anche un “Senso Spiccato Per i Glitter e le Paillettes”.
Simone quasi si era gettato ai suoi piedi in estasi quando disse che era una fan di Cher e Madonna.
Faceva la commessa part time in un negozio di articoli di belle arti e questo la fece immediatamente salire in cima nella loro classifica dei possibili candidati.
Senza pensarci su oltre decisero con una breve occhiata complice tra loro, che non avrebbero visto altri e che Mara sarebbe stata con loro.

«È destino... e io ci credo al destino! Non appena vi ho visto – disse Simone con una faccia da bambino monello – ho capito che eravate le uniche donne con cui voglio dividere il mio bagno, il mio letto e la mia crema idratante!»

Così era iniziata.
Al mattino era una lotta continua a chi dovesse usare per primo il bagno, uno, piccolo e con lo scaldabagno elettrico, per cui soltanto colui o colei che si svegliava all’alba godeva di una doccia calda dall'inizio alla fine.
I primi diciotto mesi erano stati scanditi da una sola cosa: affetto, risate, notti insonni passate a preparare tavole, disegni, sommersi tra fogli, colori, tazze di tè e caffè, briciole di biscotti ovunque.
Dopo qualche mese era arrivato un nuovo coinquilino: Natale, un soffice, panciuto gatto rosso.
Lo avevano trovato la notte della vigilia di Natale ovviamente: da qui il nome innocuo, scelto a furor di popolo dopo una lotta all'ultimo sangue con quello che invece aveva suggerito Simone, un tantino eretico perfino per Mara, Messia.

Se chiudeva gli occhi poteva ancora sentire l'odore di quella vecchia casa, con gli interni rivestiti di carta da parati degli anni '50, scura, marrone e orrenda; le vecchie lampade che un tempo dovevano esser state a olio o roba del genere, sostituite poi da lampadine; il bagno con la vasca e il lavandino che si otturava ogni settimana; la cucina stretta e lunga, con gli elettrodomestici disposti lungo una sola parete, addossati l'uno all'altro.
Il “frigorifero dei puffi” come lo chiamava Simone, così piccolo che erano costretti a dividerne i tre spazi e il congelatore, litigando fino allo sfinimento anche per i millimetri che uno aveva in più o in meno rispetto all'altro.
Il tinello con l'eterna perdita che di notte sembrava un rintocco di campana nel silenzio assoluto.
La sala da pranzo, l'unico spazio grande rispetto al resto, dove avevano deciso di spostare tutti i mobili lungo il muro per poter lavorare meglio; le due camere da letto. Lou divideva la sua con Simone, mentre Mara aveva preteso la singola con il matrimoniale per ospitare il suo ragazzo ogni volta che lui avesse potuto raggiungerla, cosa che si ripeteva più o meno un volta al mese.

Quel letto matrimoniale che puntualmente, per il resto dei giorni e delle notti del mese diventava anche il loro e fungeva da tavolo al mattino per la colazione o la sera mentre guardavano la tv con enormi ciotole di pop corn, col risultato che il mattino dopo sembrava essere stato vittima del passaggio degli Unni.
Era stato bello.
Spensierato.

Si ritrovava spesso a desiderare di poter tornare indietro per rivivere anche solo una di quelle giornate con loro.
Poi era arrivato Andrea.
Era apparso a fine serata in una noiosissima festa, con una bionda mozzafiato appesa al braccio, imbronciata, truccatissima, con addosso un vestito che poco lasciava all'immaginazione, rosso e tempestato di lustrini ovunque.
«OH-MIO-DIO!» - aveva urlato Simone non appena i due erano apparsi.
«Ragazze, abbiamo trovato il copri lampada che cercavamo!» - disse facendo con un segno con la testa verso la ragazza bionda.

Lou e Mara si erano girate per vedere cosa diavolo andasse blaterando ed erano scoppiate a ridere; conoscevano bene la fissa di Simone per le paillettes e i colori sgargianti.
Da stilista quale aspirava a diventare ed artista pazzoide quale invece era, esasperava tutto ciò che faceva o diceva; come quel pomeriggio in cui si era messo in testa di togliere i vecchi copri lampada della casa e sostituirli con “qualcosa di rosso, brillante appariscente e totalmente, assolutamente kitsch!”.

«Ho trovato la mia Musa!- continuava a ripetere fissando platealmente la coppia - devo assolutamente chiederle di darmi l'indirizzo del negozio dove ha comprato quella roba!».
«La vuoi finire di indicarli e guardare come un maniaco verso di loro?! – sibilò Mara, cercando di reprimere la risata – non vedi che lui ci sta guardando? Non vorrai mica finire per picchiarti con uno del genere? Ti ridurrebbe ad una cotoletta!».
«Voi non capite! Io DEVO AVERE quel vestito a tutti i costi, dovessi anche strapparlo, - Orrore! Dio non voglia!- di dosso a quella!» - replicò con aria teatrale agitando le mani e portandosele al cuore con aria sognante.
Lou lo adorava.
Anche lei tornò a guardare verso la coppia e il sorriso le si spense sulle labbra quando si accorse che lui, non solo li aveva notati ma si stava dirigendo velocemente verso loro tre con un' espressione per niente rassicurante.

«Ehm... ragazzi, lui sta venendo qui!» - annaspò concitata, cercando invano di dissimulare con un’aria innocente di aver allertato gli altri due, che invece, si voltarono simultaneamente come un sol uomo per vedere l'avanzata, non si poteva chiamarla altrimenti, del ragazzo.

«Porca di quella vacca! Simone, stavolta ti prendi un bel pugno sul naso e dopo ti meno anche io: ci fai sempre finire nei guai con questo tuo modo di fare!» - aveva bisbigliato stridula Mara diventando rossa di rabbia fino alla radice dei capelli.
Simone al contrario, era rimasto calmo e sorridente.
«Beh ragazze non so voi, ma io di conoscere questo dio dell'Olimpo non sono per niente dispiaciuto!» – con l’aria di un gatto che si leccava i baffi davanti ad una ciotola di panna, si sistemò il ciuffo biondo.
Quando si fermò davanti a loro con le mani incrociate sul petto, con la camicia che gli si tendeva sui muscoli, tutti e tre si erano avvicinati compatti come per cercare conforto e forza nel gruppo: lui superava tutti loro di una buona testa e come stazza avrebbe potuto benissimo prenderli insieme e farne un unico fagotto informe con un solo braccio!

«C'è qualche problema? - aveva chiesto con voce profonda e fintamente calma – Ho notato che abbiamo attirato la vostra attenzione...» - lasciò volutamente la frase in sospeso per creare forse più tensione, aspettando che qualcuno di noi proferisse parola.

Ma tutti e tre erano ammutoliti: ognuno di loro forse per motivi diversi.
Mara era sinceramente atterrita; le persone aggressive la mettevano a disagio.
Lei che era sempre morigerata e pacata, controllata e seria, aborriva chi le si rivolgeva con toni accesi reagendo con un silenzio mortificato.
Simone probabilmente stava pensando freneticamente a una balla credibile per non venire alle mani con “Conan”.
Lou era pietrificata.

Non appena lui si era avvicinato aveva iniziato a sentire caldo e non per la paura.
Quando le era arrivato davanti con lo sguardo minaccioso e le labbra contratte le si era bloccato il respiro.
Era il ragazzo più bello su cui avesse posato gli occhi: praticamente perfetto, una statua viva, ma fremente e nervosa.
Gli aveva fissato il viso tramortita dalla sua vicinanza e dal suo lieve profumo di muschio che lei, nonostante tutto, aveva sentito ancor prima che lui si avvicinasse.

Si era rivolto a Simone con aria arrogante mentre faceva scorrere lo sguardo sulle ragazze, alzando un sopracciglio mentre guardava Lou con aria distaccata e superiore, per poi tornare a guardare Simone, che rispose serafico e in maniera volutamente affettata ed esagerata.

«Scusaci tanto “caro”, non ho potuto rimanere totalmeeeente, assoluuutamente affascinato dalla tua compagna e dal suo fantaaaastico abito! Vedi io sono uno stilista... o perlomeno aspiro a diventarlo e stavo dicendo alle mie amiche qui presenti, Mara e Lucia – continuò indicandole – come dovrebbe essere una vera donna, per attirare gli sguardi dei maschi. Volevo complimentarmi con lei e chiederle alcuni consigli: sono certo che ha un gusto incontestabile!» - concluse con il sorriso da paravento che sfoggiava quando voleva prendere in giro, facendo passare un insulto per complimento.

Conan” si rilassò impercettibilmente continuando ad avere un'aria niente affatto amichevole.
«Capisco... - non dava l’idea di capire e il fatto che fissasse Simone ad occhi socchiusi non faceva che dar loro conferma – beh, se vuoi andare a chiederle informazioni hai il mio permesso... - continuò con arroganza – Io intanto faccio amicizia con le tue amiche.» - rivolgendo un sorriso accecante verso le due ragazze che ora erano meno spaventate, ma decisamente a disagio.

«Io sono Andrea.» - disse porgendo a Mara una mano vigorosa con le vene a vista sul dorso, che lei prese titubante.
«Mara.» - rispose freddamente, con la schiena rigida.
Non le piaceva: era chiaro come la luce del sole.
«E tu? - spostando la sua attenzione su di lei, fissandola con i suoi occhi nerissimi - Chi sei?»
«Lu... - rispose con uno squittio, per poi schiarirsi la voce e sorridergli, continuando tremante - Sono Lucia, piacere di conoscerti!»

Magari chiudi anche la bocca prima che la bava ti coli sul vestito... ” - si disse mentalmente, maledicendosi per aver bevuto due bicchierini di vodka che ora la rendevano molle e languida.

Quel mix, insieme agli occhi di lui che non lasciavano scampo, stava decisamente avendo un effetto che era inaspettato.
Mara la guardava con occhi quasi sgranati per la sorpresa: non era da lei, infatti, essere così svampita. Con un cenno della testa, le stava facendo segno di tagliare corto e lasciare che si allontanasse.
Lou l'aveva ignorata continuando a fissare Andrea, senza riuscire a staccarne gli occhi dal viso, persa nell’ebbrezza che le sue attenzioni la facevano sentire bella per la prima volta in vista sua.



*****



Si riscosse dai pensieri tornando a guardare Nur rassicurandola con un sorriso.

L'amica la fissava ansiosa con gli occhi nocciola ed enormi nel viso splendido.
Si era ripromessa di farle un ritratto fin dalla prima volta che l'aveva vista: il volto sembrava porcellana color miele, fine e delicato, occhi grandi a mandorla con ciglia che parevano finte, tanto erano lunghe e folte; zigomi alti e un naso piccolo e perfetto sopra una bocca piena e carnosa.
Sospirò davanti a tanta perfezione e ancora di più davanti all'evidente preoccupazione di lei.

«Sto bene, credimi... sono solo stanca. E tu mi hai svegliata con i tuoi gorgheggi; avevo intenzione di dormire fino a tardi, ma sei la solita egoista!»
«Oh, cara, perdonami ma avevo così tanta voglia di parlarti che non ho resistito: perdonami, perdonami... mi perdoni?!» - finse di battere le ciglia come un cerbiatto in attesa della sua risata, sentendosi molto soddisfatta quando questa puntualmente arrivò.
«Piantala di fare la buffona, - ridacchiò Lou dandole una gomitata nel fianco – ti perdono sempre io.»
«Bene! - disse Nur allegramente – che facciamo oggi? Ti va di fare shopping nel pomeriggio? E stasera c'è una festa, ci andiamo?!» - sparò a raffica senza fermarsi.
«Dai, dai, dai, ti prego non dire di no, voglio uscire e divertirmi con te, non stiamo mai insieme e tu sei sempre dentro la tua stanza a fare chissà cosa, dai, dai, dai!»

«Oddio, fermati un attimo! Mi sento già stanca... per lo shopping si può fare ma scordati la festa. Non se ne parla. - confermò il tutto fissandola negli occhi senza sorridere con aria seria – E non c'è occhio languido che tenga a farmi cambiare idea.» - aggiunse, prima che l’ amica iniziasse con i suoi trucchetti.

«Ok, che barba che sei! Devi pur uscire ogni tanto, vedere gente, socializzare! La conosci questa parola?» - iniziò a borbottare sbuffando e lanciando sul divano il microscopico telo, rimanendo nuda, e bellissima, rovistando in cerca di qualcosa nel trolley che aveva portato con sé.
«Ho una cosa per te, direttamente da Pariiiiiiiis! Aprilo!»

Tutta felice le porse il pacco elegante, piatto e sottile, con un fiocco viola sulla confezione, sedendosi come se nulla fosse sul divano così, nuda com'era.
La fissò per due secondi pensando che non si sarebbe mai abituata alla sua naturale e così disarmante sfacciataggine.

«Nur, mi imbarazzano i regali... Io non ti regalo mai niente e tu sei sempre così generosa con me – mormorò pensando al suo armadio pieno di vestiti e pensierini che Nur le aveva portato dai suoi viaggi, molte delle quali costose e griffate – perché ti dis...»

«Oh, aprilo e non parlare! - la interruppe Nur mozzando la sua frase a metà – Su, su, su!»
Contagiata dal suo entusiasmo, scartò il pacco facendo attenzione a non rovinare lo splendido nastro di seta viola che chiudeva la confezione.
All'interno di una scatola bianca c'era una sottoveste color lilla, il suo colore preferito insieme al verde, lucida e sottile, leggera come un velo; questa era coordinata con un cardigan di lana sottilissima che lei temette fosse cachemire, di un colore melanzana, con una sottile cintura fatta dello stesso morbido e prezioso materiale, entrambi erano lunghi fin sotto il ginocchio.
Erano stupendi.
Si voltò verso Nur con occhi che volevano essere severi, ma si rimangiò tutto quello che voleva dirle quando vide l'espressione gioiosa di lei, con gli occhi che le brillavano come una bimba.
Sembrava che il regalo l'avesse ricevuto lei e non il contrario.

«È bellissimo, Nur! Ma ti sarà costa...»- iniziò non riuscendo a trattenersi dal dire, subito interrotta dall'abbraccio di Nur, che felice di aver colto nel segno, disse: - «Ah-Ah-Ah-! Niente sensi di colpa: appena l'ho visto, lì nella vetrina della Chanel ho pensato che ti sarebbe stato d'incanto, con i colori della tua pelle e i capelli chiari che hai! Dai, provalo! Vediamo come ti sta!»

"Chanel?"
Era impazzita!
Ma non disse niente perché non sarebbe stato utile... accarezzò con la mano la stoffa sensuale e liscia.

«Grazie Nur, davvero, è stupendo... Ma vorrei fare prima una doccia, ok?» - disse sbadigliando.
«Tesoro, io penso che dovresti tornare a letto per riposarti ancora un po', mentre io vado a sbrigare delle faccende: spero di tornare per ora di pranzo. Giapponese? Cinese? Pizza? - chiese guardandola da sopra la spalla – O mi cucinerai quella tua favolosa pasta al pomodoro?!» - aggiunse speranzosa.

Lou rise di gusto.
«Ti farò la pasta... niente di tutto ciò oggi! Magari stasera... Ti meriti una ricompensa per questa meraviglia!»
«Oh, dormi sempre con quella orribile maglietta enorme e sformata e ho pensato che ogni tanto volessi coccolarti con qualcosa di morbido e caldo... - disse Nur con noncuranza – anche se io spererei che dormissi con niente addosso e che a scaldarti ci fosse un uomo...» - lasciò cadere lì la frase in sospeso.

«Magari fra dieci anni, ok? E che hai contro la mia maglietta?» - ribatté divertita Lou, infilando un dito in uno dei tanti buchi della t-shirt grigio smorto che indossava.
«Davvero, ho bisogno di riposare ancora un po' o nel pomeriggio non reggerò assolutamente il tuo ritmo e non ce la farò a correrti dietro per negozi... a più tardi, Nur!» – continuò dirigendosi con uno sbadiglio verso la camera da letto e salutandola con la mano.

«Riposati, eh? Perché ho voglia di spese folli oggi! Yeah!»

Nur guardò con affetto la sua principessa dai chiari capelli leonini avviarsi stanca verso la stanza; avrebbe voluto poter restare più tempo con lei, starle accanto e non lasciarla sola in quella casa, in quel posto triste, ma che stranamente Lou amava tanto.

La malinconica aria della Finlandia le si addiceva e lei la rassicurava di essere felice lì, ma gli ultimi due anni non erano stati tranquilli e felici per Lou. Pensò con rabbia ad Andrea e chiuse stizzita con furia la lampo del trolley fucsia.
Quell'uomo odioso e crudele che aveva fatto a pezzi la vita di Lou, i suoi sogni e la fiducia in se stessa.
Aveva giurato che non gli avrebbe permesso di farle del male, ma Lou era ancora succube di lui, anche se lo negava e ne era ancora innamorata forse. In vita sua aveva conosciuto tanti uomini, ma mai le era capitato di incontrare qualcuno di così bello eppure così crudele allo stesso tempo come Andrea.
Non aveva avuto nessuno scrupolo a provarci anche con lei nei primi tempi in cui vivevano insieme e puntualmente, lui si presentava sempre a casa loro quando Lou era al lavoro.

Se solo fosse stata più ingenua o avesse voluto meno bene a Lou e non avesse visto in che stato l'aveva ridotta, ci sarebbe cascata con tutte le scarpe. Al contrario di quanto la maggior parte della gente pensasse, nonostante la sua aria sempre spensierata e svampita, era una persona molto attenta e raramente si faceva fregare.
Specialmente da un uomo.

Si avvicinò alla cucina versandosi in una tazzina pulita il resto del caffè rimasto nella moka e sorrise trovandolo ancora caldo, pensando che non ci fosse nulla come l'amicizia a scaldarti il cuore.
E quella con Lou era calda quanto quel caffè forte e scuro e aromatico.



*****




«Non verrò più con te a fare shopping per il resto dell'anno!» - sbottò Lou posando le buste che aveva in mano per terra accanto all'ingresso e lanciandosi sfinita sul divano a braccia aperte.

«Sei una palla, Lou! Hai comprato quel bellissimo paio di jeans che volevi da mesi, o no? E quel maglione nero ti sta d'incanto, così come quel vestitino delizioso al 75% che ti fa sembrare...» - iniziò la sua solfa bruscamente interrotta da Lou.

«Nur! Hai passato quarantacinque minuti nel camerino di quel negozio e non hai comprato nulla! Avevo i piedi come due zampogne per aspettarti, con tutto il resto della roba addosso: ho sudato come un maiale lì dentro, per non parlare delle occhiate omicide che i commessi lanciavano a me! Se avessero potuto sbatterci a calci fuori quando hai detto che quello che avevi provato non era di tuo gusto, lo avrebbero fatto! E anch’io se fossi stata al loro posto! Sei odiosa quando provi qualcosa, lo sai? Voglio dire: hai un fisico perfetto... eppure ti trovi mille difetti! Giuro che ti odio!» - si lamentò Lou d'un fiato, sfilandosi gli stivali dai piedi doloranti.

«Io cerco la perfezione, mia cara! Quella roba non mi valorizzava e mi rendeva sciatta.» - ribatté l'altra con tono accondiscendente come sempre faceva quando parlavano di moda, cosa che faceva infuriare Lou. Aveva smesso di bisticciare da tempo con la sua amica sulla moda: non avrebbero mai trovato un punto in comune in quello.

Così come Lou era anonima, normale, quasi banale nel suo modo di vestire, di regola sempre di nero o blu o viola, tanto Nur era appariscente.
E la sua amica poteva permetterselo: qualsiasi cosa indossasse la rendeva perfetta e bellissima, così come il corto, per non dire microscopico vestito bianco che aveva comprato e che avrebbe indossato quella sera alla festa.
Festa alla quale aveva invano, cercato di convincerla a partecipare per tutto il pomeriggio.
Non sarebbe andata, soprattutto dopo il tour de force cui l'aveva appena sottoposta la sua amica.

«Sei ridicola! Tu sei perfetta anche con una semplice t-shirt e dei jeans.» - la riprese Lou e lo pensava sul serio.
«Preferirei che restassi a casa a fare quattro chiacchiere con me... sei appena tornata e già sei piena di impegni fuori casa... - si lamentò – Non ti sei neanche riposata da quando sei arrivata: come pensi di restare viva?»

Nur si bloccò per un istante con il vestito a mezz'aria e la guardò, attenta.
«Devo andare anche per ragioni di lavoro, Lou: vorrei cambiare compagnia e trovarne una locale, così da poter avere più tempo da passare a casa e l'invito mi è stato fatto proprio da quelle persone che mi presenteranno a chi poi dovrà assumermi. Non guardarmi con quella faccia! - s'inalberò vedendo l'aria scettica di Lou – Ho inviato regolare domanda, ma se mi presento di persona e in maniere casuale e informale, magari gli resto impressa! Smettila di guardarmi così, mi fai sentire come se stessi giocando sporco!»

«Non ho detto nulla... - mormorò piano l'altra – Stavo solo pensando che forse hai ragione, ma sul fatto che gli rimarrai impressa non ho dubbi! Specie se ti presenti con quell'abito.» - continuò acida.

«Magari è una donna e il mio piano andrà in fumo, ma almeno sarò stata ad una festa! - concluse Nur divertita all'idea di sedurre una donna. - Mi trucchi tu, vero?» - chiese senza aspettare risposta, sicura che sarebbe stato un sì, prima di scomparire nella sua stanza da letto.

«Ok... ma starai zitta senza intrometterti come sempre! Gli artisti vanno lasciati liberi di creare!» - le urlò dietro Lou.
«I miei sono consigli!» - urlò a sua volta, l'altra.
«Per quanto riguarda l'altra cosa... anche a me manchi e mi mancano le nostre serate insieme a guardare i film e a parlare... - disse Nur tornando in salotto con una maglia lunga color carta da zucchero, simile a quella viola che le aveva regalato quella mattina – Che ne dici di questa se la metto sopra il vestito? Solo nel caso fosse donna!» - continuò ridendo, strizzandole l'occhio.

«Dico che è un'ottima idea, dal momento che sta nevicando da questa mattina, c’è un freddo cane e vuoi evitare di prenderti un accidenti»

Passarono il resto delle due ore successive a cenare sedute sul pavimento, con una pizza comprata per strada, appoggiate allo schienale del divano, a ridere delle disavventure di Nur al lavoro, dello stuart che le faceva una corte serrata, del pilota sposato con cui aveva una storia infuocata e segretissima, dei posti nuovi che aveva visitato.

A Lou sembrava di essere con lei a vivere quegli aneddoti, paga in qualche modo di viaggiare con la sua amica, anche se di fatto, non si spostava da casa da molto, troppo tempo.

Quando Nur fu pronta per uscire, Lou soddisfatta del suo capolavoro la rimirò ancora una volta prima di augurarle buon divertimento; l'altra le lanciò un bacio con la punta delle dita chiudendosi dietro la porta lasciando una nuvola di profumo costoso nell'aria.




*****



Come ogni sera Lou si concesse un lungo bagno caldo.

Ringraziava il cielo ogni giorno da quando avevano trovato quell'appartamento che nonostante fosse sprovvisto del bidet (ricordava ancora il suo sconcerto quando, entrando in bagno quella prima volta, non lo aveva trovato) avesse sia la doccia che la vasca.
Le serate passate a fare chiacchiere con Nur dentro la vasca piena di oli profumati e schiuma che debordava erano uno dei momenti che preferiva.


Si rilassò contro il bordo chiudendo gli occhi, inspirando il profumo di gardenia che si sprigionava in molecole minuscole a contatto con il caldo dell'acqua e del vapore. Era sfinita ma non avrebbe preso sonno, lo sapeva già.
Cercò di rilassare i muscoli con scarso successo; la schiena era un unico fascio di nervi tesi e doloranti.
Improvviso come un flash le tornò alla mente quando a farla rilassare con un massaggio erano le mani di Andrea.

Respirò con il fiato mozzo, furiosa con se stessa perché dopo tanto tempo il ricordo di lui le facesse sempre male, come una ferita sanguinante che stentava a rimarginare.
Ferita che lui aiutava a non lasciar chiudere, dal momento che tornava ciclicamente alla carica, nonostante non stessero più insieme da più di due anni, ormai.

Quando dopo la festa in cui si erano conosciuti avevano iniziato a frequentarsi assiduamente (con sommo sgomento di tutti gli amici), era iniziato uno dei momenti più belli e intensi della sua vita.
Andrea era sempre pieno di idee e iniziative, un vulcano attivo dall'inizio della giornata fino a quando chiudeva gli occhi la sera. Totalmente travolta dalla sua personalità, aveva perso la testa per lui immediatamente; era completamente cotta.

Per la prima volta aveva conosciuto la passione travolgente verso qualcuno e ne era stata risucchiata fino a diventarne succube.
E lui consapevole del potere che aveva su di lei, ne aveva fatto quello che voleva.
Per dieci anni.
Tanto era durata la loro relazione, lui era entrato ed uscito dalla sua esistenza come e quando voleva. Lasciandosi dietro sempre macerie dopo il suo passaggio.
Lou aveva dolorosamente preso atto che lui non era l'uomo adatto a lei, eppure non era mai stata capace di respingerlo ogni qual volta lui tornava: sapeva sempre come prenderla, come ammaliarla, come ferirla.

Per anni era stata come cera molle nelle sue mani.
Per anni aveva tollerato i mille tradimenti e bugie che era costretto a raccontare ogni volta che venivano a galla; ogni volta si era illusa di poterlo cambiare e soddisfare con il suo amore totalizzante; ogni volta era stata lei ad uscirne con il cuore a brandelli e l'anima pesta.

Con un sospiro uscì dalla vasca, dedicandosi qualche minuto di coccole cospargendosi con la crema corpo profumata che Nur aveva lasciato in bagno.
Poi asciugò la massa di capelli ricci che le ricaddero fino alla vita in una cascata voluminosa e lucente. L'unica cosa che le piacesse in lei; per il resto si trovava alquanto banale.

Studiandosi allo specchio, con i suoi occhi castano chiaro lievemente obliqui, la pelle chiara, il naso dritto ma con una piccolissima gobbetta, (ricordo di una parata spettacolare di quando aveva dieci anni e si divertiva a giocare a calcio non capendoci granché, con i suoi due fratelli e con i ragazzi del suo vicinato; parata che le aveva procurato un immediato successo tra tutti quanti e della quale andava orgogliosa quasi quanto una cicatrice di guerra.), la bocca piccola e ben disegnata, il viso a forma di cuore.

Indossò la sottana lilla e la maglia che la accompagnava, lasciandole scivolare sul corpo come una carezza, stupita che tenesse caldo nonostante fosse così sottile e lieve.

Si preparò una tazza di tisana rilassante alla melissa, spense tutte le luci della casa ad eccezione della lampada da terra e da rito si raggomitolò sul gatto morto come ogni sera.
Con la schiena premuta contro il calorifero, con il libro che stava leggendo e la lampadina da libro che ne illuminava solo le pagine, si immerse nella lettura.
Il libro era umoristico, di una famosa attrice comica italiana.

Rise di gusto alle descrizioni sugli uomini che l’autrice faceva, delle varie situazioni tragicomiche che segnano il rapporto uomo-donna.
Prendere la vita con ironia anche quando tutto va storto, non è facile e non è cosa da tutti: troppo spesso ci si lascia andare al melodramma, piangendosi addosso... aveva promesso a se stessa che non si sarebbe mai più concessa il lusso di lasciarvisi andare.
Non avrebbe permesso che chi la amava, i suoi amici più cari raccogliessero ancora i cocci.

Un movimento impercettibile alla sua destra attirò la sua attenzione e si girò, guardando verso l'esterno.
«Uh!» - esclamò sorpresa quando vide un'ombra muoversi all'interno delle finestre dell'ultimo piano della famosa torre.
«Allora esiste davvero!»

Incuriosita fissò intenta per qualche istante sperando di vederne l’abitante misterioso, ma la luce si spense e lei tornò a leggere.


******


Allora... da dove inizio!?
Uno si chiederà se c'era bisogno dell'ennesima storia con protagonista Ville Valo... ovviamente no!
Ma chi mi conosce sa che ormai, quest'omino è la mia ossessione e gli HIM parte del mio quotidiano... ergo, dovevo sfogare in qualche modo la mia follia.
Innanzitutto devo ringraziare di cuore le mie due Beta: Pulci Sara e Cicci-Vivi che con ansia ( e minacce anche poco velate) attendono sempre i nuovi capitoli e sospirano con me.
Poi le mie sorelle del cuore: tesò Nicoletta (della quale già temo le recensioni folli AIUTO!!) e sistwer Valentina, che mi hanno spronata a scrivere.

E non posso dimenticare certo Connie, Elvira, Mariangela e la mia adorata Oriana detta "Fenghera", che mi hanno incoraggiata a continuare,

incuriosite dallo stralcio di storia che avevano letto!

Spero vi piaccia e non vi annoi... io ci ho provato! Buona lettura! H_T ;)




Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo due: “Principi e pirati” ***




10906162-10205045157702818-7976112863552748391-n

Capitolo due

"Principi e Pirati"



Nel dormiveglia, quando sei ancora addormentato ma con un piede nella realtà, è come se varcassi una porta invisibile, tra un mondo e l'altro. Per Lou quel confine era molto netto e ogni volta tornare alla triste realtà dopo aver vissuto avventure nel mondo onirico, era sempre un trauma.

Il mattino successivo, prima ancora di svegliarsi del tutto, Lou ebbe la sensazione di qualcuno che la osservasse, per cui aprì gli occhi rapidamente e udì la voce di Nur, che stesa accanto a lei, tratteneva una risatina divertita.

«Finalmente...»

«Nur, quando fai così sei inquietante lo sai? - disse Lou con voce impastata – che ore sono? - continuò lamentosa, guardando verso l'orologio. Le undici. - A che ora sei tornata? Non ti ho sentito rientrare... »

«Le quattro e tu dormivi alla grande. Sei andata a letto presto ieri?»

«Non ricordo, penso di essere crollata verso le due, dopo l'alzataccia e la giornata di ieri con te... Beh, allora? Com'è andata la festa? Era donna o uomo? Dimmi che quel vestito almeno è servito a qualcosa.»

«Era uomo e sì, è servito: penso che la mia richiesta verrà accettata dopotutto... ma devo dirti una cosa! Non indovinerai mai chi ho incontrato...» - sorrideva come chi avesse un segreto che non vedeva l'ora di raccontare.

«Chi? Brad Pitt che si è innamorato pazzamente di te e ha mollato la Jolie?» - chiese Lou sbadigliando.

«No. Ho incontrato il nostro vicino di casa.» - disse con occhi brillanti.

«Il signor Korhonen era alla festa della tua Compagnia Aerea?» - chiese con finto stupore, pensando al loro vicino, un simpatico vecchietto che abitava al di là della strada e con cui ogni tanto Lou scambiava qualche parola, le poche che conosceva in finlandese.

Più che altro erano sorrisi e gesti quelli che si scambiavano.

Si incontravano spesso nel supermercato in cui entrambi facevano la spesa e Lou si offriva di aiutarlo a portare sempre qualcosa. Era così che avevano stretto amicizia: lui un giorno l'aveva riconosciuta facendole capire a gesti e frasi semplici che abitava nella casa di fronte.

Lei gli aveva portato il sacchetto della spesa. Era il loro rituale.

Anche se ormai il Sig. Korhonen si era attrezzato di un carrellino da spesa con le fiammanti rotelle, facevano sempre la strada di ritorno insieme.

Le piaceva quel vecchio signore dai brillanti e vispi occhi azzurri.

Lei pensava non ci fosse nessuna signora Korhonen o perlomeno non aveva mai visto nessuno con lui, un’ipotetica moglie o altri che potessero essere figli.

Sentiva una tenerezza infinita verso il suo “amico anziano”, come lo chiamava Nur; andava pazzo per la sua pizza. Ogni volta che Lou si cimentava nel farla in casa, così come le aveva insegnato la madre, c'era sempre un'abbondante porzione che attraversava la strada per arrivare nelle fauci dentierate del Sig. Korhonen, che come per magia appariva sulla porta prima ancora che lei suonasse al cancello.

Ridendo si toccava il naso, facendole capire che aveva sentito il profumo arrivare dalla loro casa.

«Piantala di dire scemenze! Ho incontrato LUI!» - sapeva bene a chi si riferisse ma la divertiva stuzzicarla fino all'esasperazione.

«Uhm?! Lui chi?» - chiese ancora, le labbra strette per non ridere in faccia alla sua amica.

«Ti odio! Lui! Il “Principe della Torre! Ville Valo!» - sbottò esasperata!

Lou continuava a guardarla come se le avesse detto di aver incontrato il fornaio.

«E che ci faceva il tuo Principe alla festa? Era a caccia di modelle?» - domandò Lou con tono supponente, dando per scontato che nonostante la sua fama di uomo ritirato a vita privata, non fosse diverso da tutti gli altri.

«No, non era alla festa! – È successo dopo, quando un gruppo ristretto di noi ha deciso di continuare in un pub... e lui era lì!”- continuò concitata e infastidita, Nur.

«Quindi?! Voglio dire... com'è? - chiese Lou – È vivo? Respira?»

Nur sbuffò girandosi a pancia in su, portando le mani dietro la testa.

«È figo. Cioè se non fosse una star e non lo conoscessero anche le pietre, penso che passerebbe facilmente inosservato. Mi sono avvicinata per parlargli, ma non è stato molto... disponibile...» - continuò in tono pacato, ricordando con fastidio che il cantante era stato gentile ma distaccato quando gli si era avvicinata. Nur odiava non avere gli uomini ai suoi piedi a ogni suo battito di ciglia e lui non aveva mostrato segni di particolare interesse di fronte alla sua avvenenza, pur continuando a essere gentile. Allora lei gli aveva detto che era sua vicina.

Raccontò alla sua amica le battute che si erano rivolti.

«Davvero? - aveva chiesto lui con la sua famosa voce, bassa e roca – È strano, non mi sono mai reso conto di avere vicine di casa così carine: dove di preciso?»

Lei gli aveva spiegato che non viveva sempre lì e che era quello il motivo per cui forse non si erano mai incontrati, spiegandogli quale fosse la casa.

«Ah! Sì, ho capito di quale casa stiamo parlando... Ma pensavo fosse infestata dai fantasmi...» - aveva detto con un sorriso.

«Fantasmi?! - aveva mormorato basita Nur – No! Santo cielo no! Vivo con la mia amica Lou e lei c'è sempre a casa.»

Il principe aveva stretto gli occhi verdi.

«Uhm... quindi la donna con i lunghi capelli chiari e mossi non è un fantasma? Che peccato, pensavo apparisse solo per me...» - aveva sospirato.

Nur, vagamente imbarazzata, non era sicura se la stesse prendendo in giro o parlasse sul serio, quindi aveva deciso di uscirsene con una risatina.

«Lou un fantasma! No, è vera... ma è lei che infesta la nostra casa, questo è vero!» - aveva riso Nur.

«Fammi capire bene: "QUELLO" ha creduto che io fossi un fantasma!?» - sbottò Lou incredula.

«Sìììììì – rispose la sua amica ridendo – credo che stesse scherzando comunque! Ma non ne sono così sicura, sai? E' un uomo misterioso, strano...»

«Bah! - proruppe Lou – a parte questa sua simpatica uscita, che altro vi siete detti?»

«Oh, niente di che... mi ha chiesto che lavoro facessi, da quanto vivevo qui... le solite cose; mi ha chiesto se poteva offrirmi da bere, abbiamo chiacchierato ancora un po' e poi si è offerto di darmi un passaggio a casa... a piedi.» - lasciò cadere lei in modo misterioso.

«E?» - chiese acida Lou.

«E mi ha accompagnato fino a casa, mi ha salutato e mi ha chiesto di porgere i suoi omaggi al “fantasma”...»

«Ma.... - annaspò Lou senza parole – tutto qui!?! Niente notte di sesso sfrenato con il “principe della Torre”?»

«No... non penso sia scattata la scintilla. - disse mesta Nur – in compenso però ha salutato dicendo che potevamo vederci qualche volta, come dettano le regole del buon vicinato...»

«Ah, certo! Come no!»- rispose ridendo Lou.

Nur si mise sul fianco con un gomito puntellato e la fissò con gli occhi che brillavano.

«Infatti l'ho invitato stasera, per una cenetta... qui.» - sussurrò.

«CHE COSA?! STAI SCHERZANDO?! - Lou saltò sul letto - E CHI CUCINEREBBE?!»

«Tu OVVIAMENTE: sei una cuoca fantastica e fattelo dire, quell'uomo ha bisogno davvero di cibo!»- le disse l’amica con l'aria più angelica del mondo.

«NUR... IO... IO... IO TI STROZZO! - urlò l'altra schizzando fuori dal letto e guardandola con gli occhi che lanciavano fiamme – Come ti è venuto in mente di invitare uno che manco conosciamo, qui in casa nostra e sbolognare a ME la cena?!Ti sei bevuta il cervello?!Almeno potevi chiedermelo prima di invitarlo! Tu sei pazza!»

Nur guardava calma e rilassata la sua amica mentre blaterava senza sosta, sbattendo roba a casaccio per la camera.

«Cioè questa mi invita un Ville Valo a casa e manco me lo dice e pretende che io cucini! Eh, certo! Ne parla come se fosse uno normale!» - sparò velocemente la tiritera in italiano, come le accadeva sempre quando era agitata.

«Ehm... Lou, se parli in italiano non capisco cosa dici... - le disse Nur cercando di reprimere una risata – Avanti... che sarà mai? È solo un uomo come un altro...»

«Eh?! Guarda che non è solo perché è un Ville Valo... avrei reagito allo stesso modo con chiunque! Sai che non mi piacciono le sorprese! E poi non ho voglia di conoscerlo, ok?» - sfuriò Lou puntandole la spazzola contro.

«Non è affatto vero: ogni volta che ti ho chiesto di cucinare per qualche mio amico, non hai mai fatto storie! Non vedo perché ora ne fai una tragedia! E come sarebbe a dire che non hai voglia di conoscerlo!? Santo cielo, Lou! È Ville Valo, non uno qualunque!»

«Hai appena detto che è un uomo come un altro.” - sibilò Lou minacciosa stringendo gli occhi a fessura.

«Sei impossibile amica mia! È ora che tu la finisca di evitare gli uomini! L'unico che frequenti con tranquillità è il Sig. Korhonen! Devi ricominciare a vivere: non puoi lasciare che un'unica storia andata male ti segni per il resto dei tuoi giorni! Sei giovane e bella e hai tantissime altre qualità che non sto qui ad elencarti! Perché ti castighi in questo modo!? Vivi la tua vita!» - Nur si alzò dal letto per andarle vicino e scuoterla.

«Che c'entra questo col fatto che non voglio cucinare per Valo e che non mi interessa conoscerlo!? Perché tiri sempre in ballo il mio passato quando non ce n'è motivo, Nur!?» - sbottò astiosa Lou.

«Perché che sia Valo o un altro tu scappi alla velocità della luce non appena un uomo sotto gli 80, ti si avvicina! Non è normale!»

«Non mi interessa conoscere uomini al momento, ok? Neanche per una semplice cena, neanche se venisse Brad Pitt in persona, ok? Perché stiamo discutendo!? - chiese all'improvviso fermandosi sfinita – Non ho voglia di discutere con te, ma non continuare con questa storia degli uomini, per cortesia!»

«Io mi preoccupo per te: sei qui da sola, non esci mai, sei sempre solitaria... vorrei vederti felice, vorrei che t’innamorassi di nuovo e vorrei che tu facessi sesso, perdinci! Hai così tanto amore da dare...»

«Nur... non sono pronta. Non insistere: non è con la filosofia del chiodo scaccia chiodo che mi sentirò pronta... ho bisogno di tempo per stare con me stessa e concentrarmi su di me, come non ho mai fatto in dieci anni. Lo capisci?»

«Lo capisco, anche se non lo condivido e lo sai... ma per favore, non chiuderti: non vuoi una storia? Ok! Ma almeno fatti nuovi amici...»

Lou la fissò in silenzio per qualche istante.

«E chi sarebbe quest’ amico? Il Valo?! Sai che figata...»

«Beh, lui figo lo è!» - disse Nur sdrammatizzando.

«Bah, non l'ho mai visto e non credo sia il mio tipo...»

«Antipatica! Allora cucinerai la tua pasta!? O Meglio la pizza: so che lui la adora...» - riprese con noncuranza tornando a stendersi sul letto.

«Ok, ti preparo la pizza ma non sarò presente alla tua cena: ho un impegno stasera!» - disse uscendo a testa alta dalla stanza.

Nur balzò dal letto e le tenne dietro.

«Come sarebbe a dire che hai un impegno!? TU!?! Dove devi andare e con chi?!» - volle sapere senza fiato.

«Devo lavorare: mi ha chiamato Matleena e dobbiamo allestire una mostra.»

«Di SABATO?» - sbraitò urlando Nur troncando le parole dell'amica.

«Sì, di sabato. – rispose calma l'altra, mettendo su la sua amata moka sul gas – Deve essere tutto pronto per lunedì ed io ho dato la mia disponibilità. Inoltre voglio conoscere l'artista di persona: mi piacciono le sue istallazioni.»

«Questa è una scusa che stai usando per non essere qui a cena con me! - la accusò Nur puntandole un dito contro – Sei infima...» - sussurrò quasi con rispetto.

«Non è una scusa: Matleena mi ha chiamata ieri sera sul tardi, disperata, perché non trovava nessuno disponibile e mi ha pregata di andare; Nur è il mio lavoro e mi piace, non prenderla come un affronto personale! Avrai la tua cena e la tua pizza.»

«Me ne frego della pizza! Volevo ci fossi anche tu! - si lamentò Nur – Almeno cerca di sbrigarti velocemente, così magari quando torni lo trovi ancora...»

Ma anche no.” - pensò ghignando nella sua mente Lou, ma non lo disse.

«Farò del mio meglio.» - rispose evasiva sorseggiando voluttuosamente il caffè.

«Ti odio.» - decise Nur.

«No, mi ami. Soprattutto quando cucino per te, quindi fai la brava e metti un po' d'ordine in questo porcile... - continuò velocemente accortasi che l'altra già apriva la bocca per protestare - ...mentre io vado a fare la spesa per la TUA cena. Come avrai notato in frigo c'è ben poco e anche nella dispensa, quindi tu farai quello che ti dico...

Se vuoi fare bella figura con il tuo principe. Oppure ordina al ristorante in fondo alla strada.»

«Ti detesto. Sai che odio fare le pulizie di casa!- strillò Nur – Mi si rovinano le mani!»

Alzando gli occhi al cielo Lou la scansò senza tante cerimonie e si diresse in bagno senza risponderle.

Prima di chiudere la porta dietro di sé, lanciò un sorriso a trentadue denti alla sua amica accigliata che la osservava con odio.

«Ricordi dov'è tutto l'occorrente per la perfetta casalinga, vero?! Se vuoi ti do le coordinate...» - chiese ridendo, chiudendo di scatto la porta prima che una costosa ciabatta firmata vi si schiantasse contro.


******


Come ogni sabato Lou si recò al supermercato più vicino, dove incontrò come sempre il Sig. Korhonen che girellava per le corsie con il suo carrellino.

«Buongiorno Sig. Korhonen!» - gli disse nel suo stentato finlandese, avvicinandosi trafelata, togliendosi il capello di lana bianca e la sciarpa in tinta.

«Buongiorno mia cara! Come stai oggi?» - le rispose lui con gli occhi azzurri ridenti e luminosi.

«Sto bene, grazie; e lei?»

«Bene cara, bene!»

«Sono qui se le serve aiuto, va bene?»

«D'accordo, d'accordo!» - le disse con un gesto veloce della mano, mentre si allontanava verso il bancone del pane.

Sorridendo si girò per fare la sua spesa; prese dei pomodorini rigirandoli tra le dita con occhio scettico, che le sembravano simili ai pachino ma dei quali non voleva sapere la provenienza.


Preferiva rimanere nell'oblio dell'ignoranza.

Mozzarella. Come sopra. Verdure varie.

Olive, quelle almeno erano in barattolo...

«Ah, quanto mi manca l'Italia in questi momenti...» - pensò sospirando.

Si affrettò quando vide che il Sig. Korhonen la attendeva già all'uscita, per cui prese al volo la confezione di bagnoschiuma e shampoo che stava scegliendo e si avviò alle casse.

«Eccomi, Sig. Korhonen, sono pronta!- gli disse ridendo arrivandogli vicino - Posso aiutarla?» - si offrì, indicando il sacchetto con il pane che aveva nella mano libera.

«Faccio da solo, cara: dammi solo il braccio. Sai, con questo ghiaccio...» - sospirò.

«Certo! Ah, stasera c'è la pizza!» - gli disse con un sorrisino complice.

«Davvero? Bene, mia cara ragazza! Ti aspetto allora!» - rispose lui ridendo felice come un bimbo.

Nessuno dei due si accorse dell'uomo, con un largo cappello di lana calato sui capelli castani e mossi, che fermo vicino alle casse, li osservava incuriosito con i suoi occhi verde chiaro.


******


«Sto morendo di fame e non so se riesco a resistere fino a stasera!» - esclamò Nur gironzolando intorno a Lou che si affaccendava in cucina, beccandosi un colpo di cucchiaio sulle nocche quando allungò una mano per rubare un pezzo di pizza appena sfornata.

«Ferma lì! - la riprese Lou - Non ti azzardare a toccare la mia pizza prima del tempo!»

«Despota.»

«Bimba monella... a che ora dovrebbe venire il tuo amico? Sai, voglio farmi una doccia prima di andare in galleria e non voglio ritrovarmi uno sconosciuto ciondolare per casa mentre esco dal bagno.» - chiese Lou leccandosi le dita dal pomodoro che aveva appena tagliato a dadini.

«Gli ho detto di venire quando voleva.» - rispose Nur riuscendo a rubare un pezzo di mozzarella prima che l'altra la colpisse di nuovo sulle dita, facendole la linguaccia.

«Ah bene, anche con comodo...» - rise Lou.

«Quindi è meglio che mi affretti se voglio evita... arrivare in galleria prima che il tuo ospite arrivi...»

«Odiosa di un'acida frigida.»

Lou scoppiò in una risata allegra e dopo due secondi Nur si unì a lei.

Contemplando la mole di pizza che aveva preparato, pensò che probabilmente avrebbe sfamato il principe per il resto del mese. Ne aveva di scelta: pomodoro e basilico, mozzarella, patate e verdure varie dal momento che Nur le aveva detto che il “tizio” non mangiava carne, così si era fatta prendere la mano nello sperimentare nuove combinazioni con ogni sorta di ortaggi e verdure.

«Bene, ripetimi cosa devi fare.» – disse a Nur che la guardava attenta come una scolaretta.

«Sì, ok allora: metto la pizza nel forno, aspetto che sotto sia dorata poi aggiungo la mozzarella e aspetto che si sciolga.» - ripeté diligente la scolara.

«Perfetto. Vedi di non incendiare casa.»

«Sarà fatto, capo!» - scattò sull'attenti Nur, sbattendo i piedi e portandosi la mano alla fronte.

«Tsk! Ora vado a preparami, voglio fare una buona impressione sul gallerista e non puzzare di pizza.»

«Mettiti un vestito sexy!» - le urlò dietro Nur, quando era già in bagno.

«Devo allestire una mostra, non fare una sfilata, stupidina!» - le urlò di rimando l'altra, mentre cercava di sciogliere i muscoli delle spalle sotto il getto d'acqua calda.

«Puoi essere sexy uguale anche con un vestito comodo!» - continuò Nur.

Non sarebbe riuscita ad essere sexy neanche se avesse messo i tacchi alti quindici centimetri e uno spacco fino alla gola... pensò sospirando.

Uscì velocemente dalla doccia sette minuti dopo, si asciugò e strizzò i capelli in un asciugamano mentre cercava di essere presentabile con un po' di trucco.

Indossò una maglia nera a collo alto e un pantalone anch'esso nero, stivali e fu pronta.

Ma i capelli erano un disastro: se voleva evitare di fare tardi e di beccare il finnico in casa sua, doveva darsi una mossa, per cui optò di legarli in una crocchia stretta faticando non poco a trattenerli mentre i riccioli cercavano di sgusciare da tutte le parti.

Quando uscì, Nur fischiò con apprezzamento.

«Wow! Mi hai presa in parola! Vedi che sei sexy anche senza scollacciarti? Sembri Eva Kant! Stai per andare a svaligiare una banca con Diabolik?»

«Mi hai beccata...»

Prese al volo cappotto e sciarpa, si infilò delicatamente il capello evitando di fare altri danni alla sua già indomabile chioma, mise a tracolla la sua borsa, prese le porzioni che aveva preparato per il Sig. Korhonen e filò dritta alla porta salutando Nur che la guardava sbalordita.

«Ehi, che fretta hai?! Sono solo le 19 e trenta!» - le chiese Nur con ansia.

«Devo prendere il tram e di sabato a quest'ora c'è traffico, non voglio rimanere imbottigliata e fare tardi!»- si giustificò Lou.

Era una balla. Non sapeva per quale motivo, ma non voleva correre il rischio di incontrare Valo.

Non aveva nessun motivo valido, non lo aveva mai visto se non di sfuggita in qualche programma tv, né ascoltato una sua canzone o mai visto un suo video.

Eppure era così e non si spiegava il perché.

Consegnò il suo dono al Sig. Korhonen che come sempre l'attendeva trepidante sulla porta, lo salutò augurandogli buon appetito e una buona serata e a passo veloce si diresse verso la fermata del tram.

Alle otto in punto entrò nella galleria, dove ad attenderla c'era Matleena che parlava con un uomo alto e moro che le dava la schiena.

Matleena come al solito si agitava dando ordini sulle disposizioni e quando la vide le fece un segno brusco con la testa a mo’ di saluto.

“Brutta serata...” - pensò Lou sospirando, togliendosi cappotto e cappello.

Matleena, una donna energica di cinquanta anni era una despota, come si suol dire.

Una che non si accontentava mai, che esigeva sempre la perfezione e tutto doveva essere così come lei aveva deciso.

Alta e slanciata, capelli neri lisci e portati sciolti sulle spalle, opera di qualche air stylist che doveva aver rinchiuso in qualche stanza della sua enorme villa, dal momento che erano sempre perfetti, un viso fresco e pulito, nonostante l'età; sempre elegante e raffinata, vestiti semplici ed essenziali che lei faceva risaltare con accessori spettacolari.

Quella sera indossava un completo blu scuro con pantaloni stretti, che le donavano in particolar modo, una camicia di seta bianca e la collana che Lou in assoluto preferiva tra tutte quelle che le vedeva sfoggiare da due anni, da quando Matleena l'aveva scelta tra altre ragazze e ragazzi come sua assistente e responsabile ai contatti con i clienti.

La prima volta che si erano viste le aveva fatto una cattiva impressione: ne era rimasta affascinata e terrorizzata. Per tutto la durata del colloquio non aveva sorriso una volta, né dato segni di interesse per il suo scarno curriculum, tanto meno per quello che lei le diceva.

Alla domanda secca e fredda, «Perché pensa che dovrei assumerla?», Lou era rimasta pietrificata e per qualche secondo aveva sbattuto gli occhi nel panico più totale.

Allora lei aveva risposto con sincerità e schiettezza: «Perché sono una che impara presto e non ha vincoli di orari, né fidanzati, mariti o prole a carico. Mi piace quello che faccio e un giorno voglio avere un mio spazio espositivo e magari una galleria.»

“O la va o la spacca” - si era detta convinta, stanca di quella pressione.

Matleena l'aveva guardata per la prima volta con interesse e con un mezzo sorriso gelido le aveva detto: «Perfetto. Inizia lunedì prossimo. Ora mi lasci lavorare.»- congedandola senza rivolgerle un altro sguardo.

Lou aveva sbarrato gli occhi non credendo alle sue orecchie, aveva mormorato un “grazie” e con gambe malferme era uscita dallo studio.

Col tempo aveva imparato non solo a gestire il carattere di Matleena, ma anche ad apprezzarla per le sue qualità umane.

Una volta superato l'iniziale gelo tra loro si era instaurato pian piano un rapporto di stima reciproca, poi di fiducia e infine di complicità. Non potevano dirsi amiche, ma Lou contava su Matleena e Matleena contava su Lou.

Insieme formavano una squadra efficiente e la loro macchina era oliata sempre alla perfezione.

Riuscivano a capirsi al volo: Lou indovinava sempre cosa voleva Matleena e come voleva che fosse fatto. Matleena le piaceva e nessuno dei suoi colleghi riusciva a capire perché loro due andassero così d'accordo.

Si avvicinò con discrezione ai due che stavano parlando, in attesa che Matleena la presentasse al loro artista.

«Julian, lei è Lou, il mio braccio destro, si occuperà di tutto quello che concerne l'organizzazione. Lou, ti presento Julian, il nostro artista.»- disse Matleena, concisa come sempre.

L'artista in questione si girò con un sorriso.

Porca vacca!” - pensò Lou arrossendo.

«Encantado, signorina...» - disse con voce suadente una bocca carnosa, occhi neri e profondi. Julian, le porse la mano e quando lei gli tese la sua, con suo enorme imbarazzo, si piegò in un elegante baciamano.

«Ehm... piacere mio.» - rispose Lou con voce bassa.

Intanto Matleena se la rideva sotto i baffi di fronte al suo imbarazzo.

Dopo le presentazioni e i convenevoli di rito, Matleena la mise subito al lavoro e lei accolse con gioia di allontanarsi dall'artista che ogni tanto le lanciava occhiate di fuoco, facendola avvampare ogni volta.

Eh, ma allora è una congiura?! Oh, piantala di arrossire come una scolaretta Lou! Sei una donna, non una bimba: che diamine!” - si ripeteva fra sé furiosa.

Cercando di concentrarsi sul suo lavoro, pena una lavata di testa di Matleena, Lou passò le successive tre ore e mezzo ad allestire secondo le direttive, le opere che Julian esponeva per la prima volta fuori dalla Spagna, suo paese d'origine.

Ammirò con stupore le opere di carta che Julian creava, maneggiandole con cura. I suoi lavori così minuziosi e geniali, che con carta, colla e creatività creava oggetti e concetti originali e dall’effetto scenico impressionante. L'opera che più la colpì fu un pugnale con la lama che altri non era che un leggera e candida piuma bianca.

Incantata da tanta fantasia e leggerezza, non si accorse che Julian le si era avvicinato alle spalle e le chiese con un sussurro cosa ne pensasse delle sue opere.

«Sono spettacolari davvero! - rispose di slancio – il “Castello delle fiabe” di carta: è stupendo!»

«Sono contento che ti piacciano... nel castello manca solo una principessa. Magari posso istallarti all'interno, saresti perfetta...» - disse con gli occhi neri ridenti.

Lou cincischiò una risposta schernendosi non riuscendo a mettere in fila un pensiero coerente.

Accidenti a me! Reagisci!” - si urlò nell'intimo.

«Possiamo provarci!» - disse lei con finta disinvoltura.

«Non mi tentare, potrei chiedere alla tua draghessa il permesso di usarti...» - disse facendo scivolare con lentezza lo sguardo di fuoco sul corpo di Lou, prima di ritornare sul viso.

“Stava parlando dell'istallazione, spero...” - pensò annaspando

«Come l'hai chiamata!?» - chiese subito dopo ridendo.

«Draghessa: colei che difende il castello della principessa di solito, da brutti ceffi poco affidabili, ma affascinanti... I principi sono sempre noiosi nelle favole, non trovi? Sempre così impeccabili e bellissimi. Sempre con gli occhi azzurri e i capelli biondi e una condotta irreprensibile.

Ogni favola finisce sempre con “E vissero felici e contenti” ma nessuno ci ha mai detto cosa succede dopo un anno.

Secondo me la principessa in questione tenta il suicidio dalla noia! Vuoi mettere se fosse scappata invece con il pirata? Di certo non si sarebbe annoiata.»

Il discorso non faceva una piega e lei rise di gusto alla breve ma decisa arringa.

Scommetto che lui si identifica con il pirata...”- pensò improvvisamente rilassata Lou.

«Sei per caso il portavoce della Congrega dei Pirati?!» - chiese continuando a ridere.

«Ovviamente. Con questi colori o facevo il pirata o mi mettevano a vogare con le frustate a ritmo di tamburo.»

Lou scoppiò di nuovo in una risata. Non era solo bello e talentuoso ma anche simpatico e arguto.

Quell'esperienza le sarebbe piaciuta, ne era certa.

Lui la fissava con occhi maliziosi e un ghigno che si sforzò di far sembrare piratesco. Santo cielo! Era piegata in due dalle risate.

“Bene, vedo che avete fatto amicizia.» - disse piccata Matleena arrivando di soppiatto alle loro spalle.

Subito Lou si riprese e si girò con aria seria, temendo una lavata di testa, ma la sua draghessa aveva un sorriso rilassato sul viso, segno che il lavoro era di suo gradimento.

«Ottimo lavoro, cara. Ora vai pure a casa o non farai in tempo per l'ultimo tram. Io non posso accompagnarti stasera, devo controllare le ultime cose. Ti spiace?» - chiese distratta, già con la mente al prossimo impegno.

«Ma no figurati, non c'è problema. Ci vediamo lunedì allora, capo!» - disse Lou sorridendo.

«Se non ti spiace e se la mia presenza qui non è più indispensabile mi farebbe piacere accompagnare a casa Lou, Matleena. Non posso lasciare che una ragazza giri per strada a quest'ora di notte. Non si sa mai chi potrebbe incontrare... girano brutti ceffi oggi.» - si intromise Julian rivolgendosi a Matleena come per chiederle il permesso e di sfuggita fece un occhiolino a Lou.

Lou soffocò una risata.

«Ma certo, te lo avrei chiesto io... dritti a casa! E... Julian? Tu mi servi domani pomeriggio invece, ci sono ancora alcuni dettagli di cui vorrei discutere con te.»

«Ci sarò, a domani Matleena e grazie ancora!» - disse Julian allegro mentre aiutava Lou ad indossare il cappotto.

Anche galante... non sarà troppo perfetto? Vuoi vedere che è gay?!” - pensò Lou divertita come non mai.

Uscirono nella notte fredda e pungente, tirandosi addosso le sciarpe.

«Bene, mia Eva Kant, dove andiamo a fare baldoria ora?» - chiese con aria complice Julian, prendendole il braccio e infilandolo sotto il suo.

«Anche la mia coinquilina mi ha chiamata così prima!»- rispose ridendo con le guance rosse Lou.

«Beh, somigli a Eva con quella tenuta da ladra... vado bene come Diabolik anche se non ho gli occhi azzurri?!»

«Vai benissimo!»

Le piaceva il suo accento spagnolo sotto l'inglese quasi perfetto. La faceva sentire come a casa la sua voce calda e gli occhi neri e maliziosi. Gli spagnoli erano molto simili agli italiani: pronti al riso, al divertimento, alla musica... decise che Julian le piaceva e strano a dirsi non era più a disagio con lui, anche se continuava a guardarla con interesse.

«Dove vuoi che ti porti? Pub, ristorante? Hai fame? - chiese improvvisamente Lou – io sto morendo.»

«Anch’io, muoio di fame... presumo che qui non ci sia un ristorante italiano, tanto meno uno spagnolo giusto?»

«Sì, ce ne sono, ma non te li consiglio, credimi, meglio optare per la cucina locale.»- rispose sospirando e in quel sospiro era concentrata la sua idea sul cibo finlandese.

«Bene allora sono nelle tue manine, bionda... mi fido di te.»- disse spingendola gentilmente verso un'auto nera e scattante come lui, aprendole la portiera.

Lou scelse un ristorantino piccolo ma carino.

Lou gli consigliò di assaggiare il delizioso “Karjalanpiirakka” , una specie di focaccia fatta con riso e patate, che lei adorava; Julian ordinò poi del classico salmone, bevvero i deliziosi liquori tipici fatti con i frutti di bosco e infine optarono per il dolce, il “mammi,” un dessert fatto di segale e malto.

Julian le faceva domande a raffica, parlava di continuo, accompagnando le sue parole con grandi gesti delle mani; Lou era rilassata e a suo agio, con le guance soffuse di rosso e gli occhi brillanti seguiva i discorsi del suo nuovo amico; una mente acuta e un fascino latino potevano fare danni, ma stranamente non era agitata e il resto della serata passò velocemente, che quasi dimenticò Nur e la sua cena con Ville Valo.

Quando Julian la riaccompagnò a casa, Lou si chiese se l'ospite era ancora in casa o fosse già tornato a rintanarsi nella sua torre; Julian fermò l'auto proprio di fronte al vialetto che portava a casa.

Gettando uno sguardo dal finestrino verso la torre, Lou vide che le luci erano spente, per cui ne dedusse che Valo aleggiasse ancora in casa loro.

“Merda!” - pensò infastidita.

Per fortuna Julian, spento il motore sembrasse non avere fretta di lasciarla andare: si era sistemato contro i sedili di pelle, girato verso di lei e la guardava in silenzio.

«E ora che succede? Perché non parli?» - chiese Lou con un senso di agitazione crescente.

«Stavo ascoltando le parole di questa canzone.» – rispose lui.

«Non la conosco.»

Rimase qualche istante in silenzio, prestando attenzione alle parole della musica in sottofondo.

* “Love is insane and baby

We are too

It's our hearts little grave

And the salt in our wounds...”

Il cantante aveva una voce calda e sensuale, avvolgente e le parole erano bellissime: tante volte lei si era sentita come se l'amore continuasse a spargere sulle sue ferite il sale, non lasciandole mai chiudere.

«Come sarebbe a dire che non la conosci?! Dì un po’, non sarai l'unica in Finlandia a non conoscere gli HIM?» - rise Julian.

«Gli HIM? Questa è una loro canzone ?» - chiese piano Lou.

«Sì, ovviamente... fa parte di uno dei loro primi dischi... ma, stai parlando sul serio? Non li conoscevi?» - chiese sinceramente stupito Julian.

Lou fece segno di no con la testa, ancora concentrata sulle parole, sulla voce e... ora finalmente sapeva che voce aveva Ville Valo.

«Sono un loro fan da sempre sai? Ho avuto anch’io come tutti, il mio periodo Metal...» - disse con un po' di timidezza.

«Non ho mai ascoltato questo tipo di musica – disse Lou – non è il mio genere, anche se questo testo non mi dispiace...»

«I testi di Valo sono tutti profondi, dovresti ascoltarli sai? Secondo me ti piacerebbero molto...»

Era un loro fan. Che avrebbe detto Julian se avesse saputo che Ville ora era in casa sua?

«Non ne sono sicura, ma ascolterò il tuo consiglio... Credo di poter fare questo sforzo!» - rispose piano guardando Julian con un sorriso di scuse.

«Dovresti...» - sussurrò Julian avvicinandosi ad accarezzarle una guancia col dorso della mano.

Un attimo e lei si era tirata indietro repentinamente.

Julian accorgendosi di aver fatto un passo falso, le chiese scusa guardando distrattamente fuori dal parabrezza, tornando ad appoggiarsi al sedile.

«Scusa, non volevo essere precipitoso, ma vedi... tu mi sei piaciuta subito ed è nella mia natura istintiva lasciarmi andare alle emozioni; non volevo sembrarti uno che ci prova alla prima sera con la prima donna che ha sottomano.»

Lou rimase in silenzio schiacciata contro la portiera dove si era rintanata, con lo sguardo basso e le guance in fiamme.

«Lo so... cioè non lo so come sei, come ti comporti di solito con le donne, Julian... - disse d'un fiato - anche tu mi piaci, ma non è il momento adatto per me. Non prenderla come un rifiuto a te. Davvero sono stata benissimo stasera, a mio agio come non mi accadeva da tempo. Non... non voglio che si rovini... quello che... Insomma, non voglio rovinare questa serata splendida...» - continuò ansando.


«Lou è colpa del mio sangue 'caliente' di pirata spagnolo! – disse Julian di slancio prendendole una mano, cercando di farla ridere - Scusami ancora... vuoi?»

«Ok.» - gli sorrise.

Non voleva aumentare ulteriormente l' imbarazzo dal momento che sarebbero dovuti stare a stretto contatto per parecchie settimane. Non era successo niente del resto e non era il caso di ingigantire solo perché lei se la faceva addosso ogni volta che un uomo le dimostrava di trovarla bella e desiderabile. Con la coda dell'occhio vide un uomo uscire dalla porta di casa sua e attraversare il vialetto: un uomo alto e slanciato, anzi decisamente magro, in vestiti che sembravano fin troppo larghi per lui. Camminava con le mani ficcate in tasca, lentamente, con la testa nascosta da un cappello che gli copriva gran parte del viso. Passò davanti all' auto, gettando uno sguardo distratto all'interno: Lou si schiacciò ancora di più contro la portiera girando di scattò il viso, nascondendoglielo.

Un viso pallido, di cui non vide i lineamenti. Ville Valo.

Ma perché mi nascondo?!” - si chiese furiosa Lou.

Tornò a girarsi osservando la camminata elegante e allo stesso tempo dinoccolata dell'uomo, che qualche istante dopo girò l'angolo e sparì dietro il muro di mattoni rossi.

Julian osservò tutta la scena con curiosità ma non disse nulla; per essere un fan degli HIM era alquanto distratto.

«Tutto ok? - chiese Julian dopo qualche secondo – Conosci quell'uomo?»

«No. - rispose secca Lou. E tu?» - gli chiese con gli occhi maliziosi lei.

«Io? Dovrei?!» - Julian la guardava con aria interrogativa.

«Sì, dovresti. Hai detto che sei un fan degli HIM, giusto? - domandò con un sorriso furbo, al suo cenno d'assenso continuò con tono basso, per creare la suspense – Bene... quello che è appena uscito da casa mia e che ci è passato davanti, era Ville Valo.»

«Certo! - scoppiò a ridere Julian – Come no!»

Lei indicò la torre a destra godendosi lo stupore di lui che sbarrò gli occhi.

«Porca vacca! Non mi ero reso conto... cioè cazzo! Tu abiti di fronte a Valo e non lo conosci?! Ma... aspetta un momento! Hai detto che è uscito da casa tua?!» - Julian la fissava come se lo stesse prendendo in giro o fosse pazza.

Gli spiegò velocemente i fatti accaduti negli ultimi giorni; la festa della sua amica, l'incontro con Valo al pub, l'invito a cena, la pizza.

«E tu hai preferito venire ad allestire la mia mostra che stare a cena con Ville Valo? Sei matta?» - le chiese ridendo Julian ma sotto sotto lusingato. Lei fece spallucce.

«Amo il mio lavoro.» - disse lei concisa alla maniera di Matleena.

Julian rideva di gusto, facendo ondeggiare la macchina.

«Sei un fenomeno... sono pazzo di te, giuro!»

«Smettila di ridermi in faccia! - gli diede un pugno leggero sul braccio ghignando – Ora però è meglio andare. Domani la mia draghessa ti metterà sotto e sarà meglio per te arrivarci in forma.»

«Adoro quando le donne mi mettono sotto...» - sospirò lui.”

«Non ne dubito!» - rise Lou.

Julian aprì la portiera, precipitandosi a girare intorno alla macchina per farla uscire.

«Ma che galante... - disse lei passandogli accanto, precedendolo verso la porta - Grazie Julian. Davvero. Mi sono divertita tanto e sono contenta di averti conosciuto...»

«Piacere mio, donzella... - rispose prendendole la mano gelida e baciandola di nuovo – Spero di vederti presto. Ce la farò ad aspettare Lunedì?» - chiese ridendo.

«Spero di sì!»

«Sogni d'oro, Eva...»

«'Notte, Diabolik... e grazie ancora!»

Julian aspettò che lei si chiudesse la porta alle spalle prima di avviarsi alla macchina e tornare nel suo albergo.

Lou una volta dentro casa si appoggiò alla porta con gli occhi chiusi.

«Chi diavolo era quello!? - sbraitò Nur con gli occhi che mandavano lampi - Sono le due passate! Dove diavolo sei stata?»

«Buona sera anche a te! - disse ridendo Lou togliendosi il cappotto. Com'è andata la tua cena “principesca”?»

«Non cambiare discorso! Chi era quello?»

«L'artista che ospitiamo in galleria...» - era di cattivissimo umore. La guardò camminare dritta verso la cucina e prendere una bottiglia di acqua dal frigo e bere meccanicamente.

«Com'era la pizza?» - cambiò domanda nella speranza che si calmasse.

«La pizza era buona.» - rispose piccata Nur.

«Ma...?! Che è successo, perché sei di cattivo umore? L'ho visto uscire poco fa, quindi ho presupposto fosse andata bene...»

«È andata bene, tutto sommato. Tranne il fatto che mi ha elegantemente respinto! Abbiamo passato l'intera serata a flirtare e lui alla fine quando mi sono fatta avanti, dopo due ore che lanciava sguardi assassini, ha sorriso e ha detto solo “mi spiace... non credo sia il caso...»


Se Nur non fosse stata così furiosa, avrebbe riso come una matta tanto era indispettita: era uscita prima che l'altra si preparasse quindi vedeva solo ora quanto impegno avesse messo nell' “Agguato”.

Quella sera aveva scelto un abito nero, corto ovviamente in modo da mettere in mostra le perfette gambe affusolate, leggermente scollato, i lunghi capelli lasciati sciolti in onde voluminose, il trucco perfetto e sensuale e ai piedi un paio di tacchi alla cui vista lei provò senso di vertigini tanto erano alti. Era favolosa, ma forse un po' troppo ricercato per una pizza con un vicino di casa. Era probabile che Valo si fosse sentito vagamente braccato?

Ne dubitava: ogni uomo che conosceva avrebbe fatto carte false per trovarsi una donna del genere ogni sera della loro vita.

«È impazzito? Cioè se non fossi certa dei miei gusti sessuali, ti salterei addosso anch’io: sei favolosa! Gioca a fare il bello e impossibile?» - chiese indignandosi in nome della solidarietà femminile.

«Non lo so, è probabile che volesse veramente solo una pizza tra vicini ed io ho forzato la mano; ma lui è un tipo affascinante, mi era parso di capire ieri sera che non mi trovasse affatto repellente... forse ho capito male io...» - disse esitante lei sedendosi e scalciando via le scarpe nervosa.

Lou sgranò gli occhi incredula: in quasi due anni che la conosceva, era la prima volta che vedeva la sua amica insicura e depressa per un uomo! Che diavolo aveva combinato Valo per fiaccare la fiducia della sua indistruttibile mangia uomini?!

«Sono proprio curiosa di sapere che diamine gli è passato per la testa!»

«Uhm... mi spiace tesoro, probabilmente vuole solo tirarsela per farti capitolare... - buttò lì Lou cercando di consolarla e darle fiducia in se stessa – Vuoi rivederlo?»

«Non ne ho idea... odio quando un uomo mi respinge! Come osa?! - inveì riprendendo un po' di fiducia in se stessa. - Adesso non ha fatto altro che scatenare la mia voglia di rivalsa!»

«Probabile che era proprio questo il suo scopo: che volesse essere corteggiato! Uomini!» - sbuffò Lou, scalciando anche lei gli stivali rannicchiandosi sul divano accanto all'amica.

«A proposito di uomini: com'è andata la tua serata? Ti vedo particolarmente accalorata e hai una luce negli occhietti che non me la conta giusta! Spara tutto, Lou! Ora!»

«Beh, è andata bene: lui è un artista interessante ed anche un simpatico ragazzo. Siamo andati a mangiare qualcosa insieme da soli, quando abbiamo finito e sono stata bene...»

«Ma?»- chiese Nur, intuendo che c'era altro.

«Ma niente: lui ci ha provato e io l'ho respinto. Normale amministrazione. Almeno per me. Ma voglio conoscerlo, mi piace stare con lui. Mi è solo sembrato eccessivo che si facesse avanti la prima sera, dopo poche ore che ci eravamo conosciuti...» - disse pensando improvvisamente al fatto che quella sera, entrambe, avevano vissuto più o meno la stessa situazione, solo nel modo inverso.

«Bah... - sbottò la sua amica nervosa – non capisco neanche te: lui ti piace, sei stata bene, non capisco perché non ti sei lasciata andare! Sei come Valo!?»

«Nur, non so come sia Valo, ma so come sono io e lo sai anche tu. Per stare con qualcuno ho bisogno di qualcosa in più che un rimescolamento di ormoni. Voglio conoscere una persona un pochino meglio prima di andarci a letto! Mi trovi esagerata? Per me è così. Non riesco a lasciarmi andare con qualcuno che ho appena conosciuto: è già difficile farlo con qualcuno che conosci, figuriamoci con uno sconosciuto!»

«Sì, lo so come sei, tesoro... - sospirò e subito dopo rise divertita - forse saresti stata meglio con Valo stasera ed io con il tuo artista! Sicuramente ognuno di noi sarebbe stato contento, senza nessun imbarazzo!»

«Non ne sono mica sicura che sarei stata meglio con Valo! Neanche mi piace!»

«Ma se neanche lo conosci!- ribatté l'altra – credimi, non sarà un super muscoloso abbronzato Adone, ma è molto molto sexy... me ne intendo!»

«Se lo dici tu...- sospirò Lou alzandosi con uno sbadiglio, andando verso la cucina – Ti va una tisana prima di andare a letto?»

«Certo... calmante, per favore: ho gli ormoni che saltellano per casa!» - rispose acida, strappandole una risata.

«Tu, mia cara, hai sempre gli ormoni che ti saltellano intorno! Sei una bomba ad orologeria ambulante... hai spaventato il piccolo Valo...» - l'accusò.

«Umpfh...»

«Quando riparti hai detto?»

«Lunedì pomeriggio... spero di tornare Domenica però, poi starò a casa per un’intera settimana: non so se tornare dai miei per qualche giorno. Non li vedo davvero da troppo tempo, quasi mi sono dimenticata di casa mia!»

«Mi sembra giusto... dovresti andare.» - Lou pensò che anche lei era tanto che non tornava a casa, infatti aveva già prenotato un biglietto per quella estate e finalmente avrebbe rivisto i suoi cari.

Tornò con le due tazze fumanti verso il divano e ne porse una a Nur che la prese ringraziandola.

«Uhm... mi ci voleva proprio qualcosa che mi scaldasse.»

«Uhm... chissà perché non credo che fosse questo il tipo di riscaldamento che avevi in mente per stasera...»

«Uhm... no! Vedremo... ho intenzione di non dare tregua al Principe Sfuggente!»

Povero Valo! Non sapeva in che guaio si era cacciato!


******


Il mattino seguente si svegliarono molto tardi, pranzarono facendo la colazione e decisero di fare una passeggiata; anche se c'era ancora la neve dei giorni precedenti era spuntato il sole ed entrambe aveva voglia di fare quattro passi e prendere una boccata d'aria prima che sparisse di nuovo dietro le nuvole.

Infilarono cappotti, guanti e sciarpe e si lanciarono ridendo in strada mano per mano.

Passeggiarono senza una meta precisa nei dintorni, chiacchierando allegramente; si fermarono a bere una cioccolata calda in uno dei tanti pub che incontrarono per strada.

Tornarono a casa a pomeriggio inoltrato, fradice per aver improvvisato una lotta di palle di neve sotto casa. Entrarono inciampando e rotolando per rincorrersi; Lou aveva ancora in mano un ultimo proiettile che voleva a tutti costi lanciare. Girò intorno al tavolo della sala mentre Nur girava in senso contrario.

«Prima o poi dovrai uscire allo scoperto e ti sparo questa palla di neve su quella faccia truccata alla perfezione!»

«Prova a prendermi ranocchia! Se sporchi casa pulirai tu, ti avviso! Stiamo già facendo un macello con gli stivali.»

«Tranquilla ho una mira eccellente...» - disse Lou calcolando una finta, scartando a destra si girò velocemente per scattare in avanti quando Nur colta di sorpresa inciampò nei suoi stessi piedi, (e nei suoi stivali costosi) cadendo col sedere per terra con un “anf!” di disappunto.

La palla colpì il centro esatto della fronte e colò lentamente sul viso di Nur, finendo con un “plop” sul jeans.

Lou esultava per casa dandosi arie e menando per il naso la sua amica ancora seduta a terra offesa.

«Me la paghi Ranocchia!»- disse alzandosi e a testa alta, con un ciuffo di capelli fradici che le pendeva davanti al viso, le passava davanti impettita e fintamente offesa. Lou si stava letteralmente rotolando dalle risate, allontanandosi dall'amica temendo ripercussioni fisiche, raccolse la neve che era caduta per terra.

«Non provarci! Sei proprio scorretta!» - urlò filando via alla velocità della luce Nur, chiudendosi in bagno.

Ridendo a crepapelle Lou aprì la porta finestra per buttare fuori la neve ridotta in poltiglia.

Un movimento impercettibile attirò la sua attenzione verso l'alto. Alzò il viso.

Ville Valo.

Immobile alla finestra che guardava in giù verso casa loro. Lou si chiese se avesse assistito a tutta la scena della lotta nella neve con Nur. Sembrava sogghignasse. Probabilmente sì, aveva visto. Con un gesto lento, lui si portò la mano al viso a mo’ di saluto militare, con un leggero sorriso, o almeno tale sembrava dal punto in cui lei si trovava, dal momento che non riusciva a distinguerne i lineamenti.

«Oh!»

Presa alla sprovvista lasciò cadere la neve dalla mano, in un istante di smarrimento.

Poi con un gesto altrettanto lento ed elegante, un gesto per cui il suo amico Simone sarebbe andato letteralmente in estasi, sprofondò in una lenta e aggraziata riverenza, chinando il capo.

Quando si rialzò buttando un occhio in su, vide che lui era appoggiato con un braccio al lato della finestra, con una mano al cuore, con aria colpita e teatrale.

Ville Valo 0 – Lou 1.” - pensò esultante.

Lou girò sui tacchi e tornò dentro casa con un ghigno soddisfatto sul viso.


******

Angolo di quella che pensa di essere autrice:
Bene... eccoci al secondo capitolo.
Io e la sistwer
Valentina - Arwen85 abbiamo iniziato a scrivere insieme, pubblicato e ora ci ritroviamo ad avere il classico blocco dello scrittore in simbiosi.. ( a proposito andate a leggere anche lei!!)
Pensando che i vostri commenti possano aiutarci e spronarci a scrivere, e non volendo lasciarvi a bocca asciutta fino a giovedì, abbiamo pensato di pubblicare ugualmente... ed eccoci qui! ^^
Come sempre i dovuti ringraziamenti alle mie due Beta- Reader:
Mia Mugliera Cicci-Vivi (Deilantha) (anche lei andate a leggerla!!) e Pulci Saretta detta Pupù che con amore, costanza e minacce mi sopportano con le mie paranoie infinite ("avrò spiegato bene quello che intendevo? Si capisce che lei pensa questo e invece dice quest'altro!? Ma secondo voi... sono troppo pesante?!?!" ecc ecc...); ringrazio inoltre SeleValo.

E poi... Ta-nah ta-nah...(musica dello squalo in sottofondo con ansia crescente...) la mia amata, adorata, stralovvata Tesò, stalker di professione e terza testa di un unico cerbero...
senza le sue recensioni che sarebbe questo sito?!?!
Lei aspira a diventare Senior, per cui impazza come una folle, recensendo a casaccio con sommo terrore di tutti gli autori che la vedono arrivare! (grazie Tesò ti voglio bene *le dice infilandole un dito nel naso*);
un bacino sul nasino a tutte le altre che mi leggono: Laura, Silvia (Love!!), Connie, Margherita, Mariangela, Fenghera, e Marianna!
E anche magari chi legge e non recensisce
(PS: ma se volete farlo io non mi offendo, eh!? Sparate pure a zero su di me: sono pronta ad immolarmi per Valo!!)... siccome mi sono dilungata parecchio... Cià! ^O^

*La song citata è Salt in Our Wounds - HIM


Alla prossima,
*H_T*

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo tre: "Come miele e neve" ***


10906162-10205045157702818-7976112863552748391-n

Capitolo tre

"Come miele e neve"


Uno starnuto. Due. Tre. Quattro.

“Doh! - pensò Lou... - ti prego l'influenza no!”.

Rabbrividì violentemente e si rannicchiò al tepore delle coperte, ma non riusciva a respirare: aveva male alla gola, le ossa le dolevano come se un tir le fosse passato sopra e la testa le pesava come un macigno.

Così imparo a giocare nella neve come una bambina!”.

Un altro sonoro starnuto.

Le lacrimavano anche gli occhi e aveva il naso tappato e colante.

Gemette piano cercando di mettere a fuoco tra le lacrime il suo cellulare per vedere che ore erano: le dieci di lunedì mattina.

Nel pomeriggio Nur sarebbe ripartita: si chiese se anche la sua amica fosse nelle sue condizioni. Si trascinò stancamente fuori da letto, buttandosi una coperta addosso ci si avvolse completamente e arrancò fuori dalla stanza, per trovare una Nur affaccendata a preparare la colazione, raggiante, ancora in pigiama, ma a quanto poteva vedere in ottima salute.

«Che hai? - chiese Nur sbocconcellando una fetta biscottata coperta di miele – Stai male?»

Come se non fosse evidente!

«Segondo de? - chiese l'altra accompagnando l'ultima sillaba con uno starnuto – Sdo bale... benzo di avede la vebbre... Guesda don ci boleba brobrio! Gome vaggio ad addare id gadderia oggi?!» - chiese crollando sul divano.

«Sei una pappamolla, Ranocchia... hai il sistema immunitario di una vecchia!»

Lou borbottò parole incomprensibili continuando a rabbrividire alternando gli starnuti, alle tirate su col naso.

«C'è poco da fare: chiama Matleena e dille che stai male. - si avvicinò alla sua amica mettendole una mano sulla fronte trovandola bollente. - Scotti! Hai la febbre... Ti sostituirà con qualcun altro, vedrai. Sa che se stai male è perché effettivamente è così: sei sempre stata disponibile ed efficiente, anche quando eri moribonda e saresti dovuta rimanere a casa. Ecco, ora copriti. Ti prendo il termometro: vediamo quanto è alta questa febbraccia cattiva.»

Tornò poco dopo con il termometro digitale e glielo strinse fra le labbra.

Un minuto di attesa ed ecco il bip del segnale.

«38 e mezzo. Devi rimanere decisamente a casa. Ti prendo qualcosa per far scendere la febbre...» - disse preoccupata rovistando nella scatola che aveva portato con sé dal bagno, in cerca di qualcosa di utile.

Le fece ingoiare degli antipiretici con dell'acqua. La guardava con aria afflitta.

«Mi spiace che ti sei ammalata... forse hai preso freddo ieri pomeriggio giocando a fare l'idiota nella neve con me. E mi spiace di lasciarti qui a casa da sola in queste condizioni...» - disse prendendole le mani fredde tra le sue, cercando di scaldargliele.

«Don breoccubardi! È sodo invluenza... etccciuùùù!»

«Senti facciamo così: chiamo io Matleena... sembri Mami di “Via Col Vento”! Non si capisce un accidenti di quello che dici. Parlo io con lei e le spiego la situazione, omettendo la parte ludica di ieri pomeriggio, ovviamente.»

Preso il cellulare di Lou, scorse velocemente la rubrica trovando il numero di Matleena e attese che rispondesse, battendo impaziente con le unghie lunghe e laccate di rosso sul ripiano del tavolo basso. Qualche secondo e dall'altra parte qualcuno rispose.

«Matleena? Ciao, sono Nur: come stai? Oh, io bene bene, grazie! Sì, sono passata velocemente per il week end e riparto fra qualche ora... sì, è qui. Ecco. È per questo che ti chiamo... no, non sta bene. Penso si sia presa una brutta influenza, non riesce neanche a parlare e tenere la testa su. È uno straccio... lo so, me lo ha detto... sì certo... - facendo delle boccacce all'indirizzo di Matleena roteò gli occhi all'insù – ha la febbre alta. Ci chiedevamo se puoi sostituirla finché non starà meglio... ma certo, ci penso io, sta' tranquilla, chiamerò il dottore...»

Il dottore? Non sono mica moribonda?”- pensò Lou con un'occhiataccia a Nur che le strizzò l'occhio complice.

«Ha una pessima cera. Penso che stia anche per vomitare... sì, ti chiamerà non appena starà meglio, la conosci bene, no? Sai che se non stesse male sul serio, verrebbe anche strisciando sui gomiti...» - una risata.


La stavano per caso prendendo in giro?!”

«Ma certo mi assicurerò personalmente che stia a letto. Certo certo... ok, grazie Matleena! A presto! Ciao! Ecco fatto - disse posando il cellulare sul tavolino con aria soddisfatta e professionale – missione compiuta: ora potrai riposarti finalmente!»

«Grazzie!- gracchiò Lou – botevi varla anghe medo draggiga!»

«Non capisco che dici, torna a letto: ti porto del latte con il miele. Avanti!» - le disse aiutandola ad alzarsi per metterla a letto.

Si accasciò senza forze come se avesse scalato una montagna e dopo due minuti era di nuovo addormentata.

Quando si svegliò di nuovo, erano le due del pomeriggio passate e le sembrava di stare un po' meglio... per lo meno il mal di testa era passato.

Nur fece capolino dalla stanza in penombra e vedendo che si era svegliata si sedette sul letto; era già vestita e stava per andarsene.

Con la faccia da cucciolo abbandonato, Lou tirò su col naso.

«Dai non fare quella faccia che già mi sento in colpa! - tastò con la mano la fronte e fu soddisfatta di trovarla meno calda – La febbre almeno è scesa. Vado via fra un'ora... prendo l'aereo successivo, non mi andava di lasciarti senza averti salutato... - le sorrise dolcemente - Ti va ora del latte?»

Lou fece segno di sì con la testa.

L'altra uscì per tornare subito dopo con una tazza fumante che sprigionava un delizioso profumo di miele e cannella. Si aggrappò alla tazza bevendo piano e soffiando, guardando Nur da sopra l'orlo.

«Grazie...- ora che il naso era libero, parlava meglio –Ci hai messo la cannella come piace a me...»

«Beh, dai... era per coccolarti un po'...- si stese al suo fianco appoggiandosi ai cuscini – Uhm... non ho voglia di andare via sai? Mi piacerebbe rimanere ancora qualche giorno.»

«Per Ville?»

«Anche... soprattutto per te però, non mi piace lasciarti qui sola, specie in queste condizioni.»

«Ma passerà in pochi giorni, vedrai... starò meglio domani, ne sono sicura!»

«Lo spero... magari puoi chiedere al tuo spagnolo di venire a farti da infermiere! - disse ridendo maliziosa – io lo farei!»

«Ah, non ho dubbi che tu lo faresti, ma penso proprio che me ne starò qui chiusa a leggere sotto le coperte e al calduccio!»

Parlarono ancora per un po' e poi con un'occhiata all'orologio da polso pieno di cristalli lucenti, Nur si alzò di malavoglia e si chinò per baciarla sulla fronte come si fa con i moribondi, abbracciandola stretta.

«Mi raccomando, cerca di stare davvero a letto! Ti chiamo appena arrivo a Londra ok? Fai la brava...»

«Ok, parola di scout: starò a letto!»

“Ok... allora vado.»

Con un ultimo bacio sui capelli, si avviò decisa alla porta e andò via. Si sentì improvvisamente sola e abbandonata: represse il magone con un singulto sonoro, finì il suo latte caldo e si alzò immediatamente.

Ciabattò fino in cucina per posare la tazza vuota e prendere un'altra cucchiaiata di miele. Decise di fare una doccia calda nella speranza che la potesse riscaldare.

Con un sospiro di sollievo accolse l'acqua sui muscoli doloranti e rimase per oltre dieci minuti sotto il getto, lasciandola scivolare sul corpo e sui capelli.

Dopo essersi asciugata alla perfezione anche la massa di capelli ribelli, si avvolse di nuovo nella coperta. Non aveva voglia di tornare a letto; aveva già dormito fin troppo per il suo standard e temeva avrebbe passato una notte insonne.

Così decise di accendere Highlander e controllare le mail che sicuramente si erano accumulate in quei giorni.

Pubblicità e spam che cestinò senza neanche darci un’occhiata e in più news letter che al momento non le interessavano.

Una mail da Simone. L'avrebbe letta per ultima: come lui, le sue mail erano impegnative e stressanti oltre che divertenti da morire, quindi decise di godersela solo alla fine.

Una mail da un indirizzo che non conosceva.

Di mezz'ora prima. Lesse l'oggetto dell'intestazione: “Il pirata sta cercando la sua principessa...”.

Julian! Come aveva fatto a trovare la sua mail?

Con tutta probabilità era stata Matleena e lui doveva essere stato molto convincente, dal momento che la sua Draghessa difendeva la privacy dei suoi collaboratori quasi quanto la sua.

L'aprì elettrizzata.

Ciao,

Sì, sì, lo so che ti sei chiesta che cosa voglio e soprattutto come ho fatto ad avere la tua mail. Ebbene, ho corrotto la

Draghessa con il mio charme latino. (Sapevi che le donne apparentemente fredde sono quelle che più cedono al fascino dei pirati come me?); non è stato così difficile come credevo.

Mi ha squadrato con quei suoi occhi freddi ed io imperterrito ho sostenuto il suo sguardo, cercando di convincerla che avevo DAVVERO bisogno di scriverti...

Ed è così.

Cos' è questa storia dell'influenza? Hai preso freddo sabato sera? Spero di no...

Speravo di vederti oggi pomeriggio... anzi, devo dirti la verità... fremevo dalla voglia di rivederti... mi chiedevo se hai bisogno di qualcuno che ti prepari una tazza di brodo caldo e ti tenga costretta a letto (oh dì di si dì di sì...).

Correrò subito da te, a salvarti dalla noia! ;)

Ti lascio il mio numero di cellulare... chiamami.

Mi chiamerai vero? :)

J.”

Oh, signore! Lou avvampò solo a leggere le parole: di certo non ci andava leggero!

Menomale che aveva detto che non avrebbe forzato di nuovo la mano!

Nonostante tutto le fece piacere che lui si fosse preoccupato per lei, lusingata dal fatto che avesse corrotto la sua Draghessa per arrivare a lei; fissò il numero di cellulare che aveva scritto in fondo alla mail.

Anche il fatto che avesse scelto la posta elettronica per corrompere Matleena e non aveva chiesto il suo numero, era un chiaro segno di rispetto e di discrezione in un certo senso: ora lasciava a lei la scelta di chiamarlo.

Si morse nervosamente le unghie: Julian non faceva mistero di cosa volesse da lei.

La domanda era: cosa voleva lei? Julian le piaceva e molto.

Non la metteva in imbarazzo nonostante la sua passionalità. La divertiva.

Ma... lei non voleva storie.

Le sarebbe piaciuto frequentarlo ma senza coinvolgere la sfera sentimentale.

Le era tornato il mal di testa...

«Uff...» - sbottò depressa.

Avrebbe riflettuto sulla cosa, decise. Passò alla mail di Simone.

Grace,

vacchetta che non sei altro!

Sono settimane che aspetto che ti fai viva e niente!

Cerca di avere una buona scusa per questa mancanza e come minimo la scusa deve avere almeno 23 cm di buoni motivi!!!

Che mi combini in quella terra fredda e desolata che ti sei scelta come casa?!

Nessun vichingo che ti colpisce con una clava? (non è affatto un lapsus: per clava intendo proprio quello che tu pensi!)

Che ti stordisca a furia di randellate?! (Come sopra : vedi clava).

Hai intenzione di rimanere lì anche questa estate? No, perché nel caso ti vengo a prendere e ti rapisco.

No, sul serio. Sto pensando di venire a trovarti per qualche giorno.

Posso? (Tanto vengo lo stesso) :)

Pensavo di passare tra due settimane: per te va bene?

Ho un sacco di cose da raccontarti... e vorrei farlo di persona!

Mi manchi da morire. E non ti sto prendendo per il culo! ;)


A presto, tuo Will”.

Rise di gusto: avevano iniziato a chiamarsi “Will&Grace”, quando aveva scoperto la sit-com e si erano ritrovati nel rapporto speciale che c'era fra i due protagonisti della serie tv.

Oh, cielo! Simone che andava lì da lei! Erano anni che cercava di convincerlo a passare un fine settimana con lei, ma era sempre preso da mille impegni e mille flirt amorosi e rimandava sempre.

Che bello! Aveva una nostalgia tremenda anche lei del suo amico.

Chissà che aveva di così importante da dirle per farlo smuovere da Roma per raggiungerla!

Gli rispose al volo:

Will!

Sogno o son desta?! Vieni davvero qui da me? Davvero davvero?!

Dì la verità: chi hai ucciso?

Ti serve una che ti copra, eh?

Sarò la tua complice sempre e comunque lo sai!

Non vedo l'ora di riabbracciarti... mi manchi anche tu e anche Mara...

Anzi, è da un bel po' che non la sento: le scrivo subito una mail...

Ti aspetto, ti aspetto, ti aspetto... queste settimane saranno lunghissime!

Ps: Nessun vichingo all'orizzonte, ergo nessuna clava o randello! :P

Per sempre,

tua Grace.”

Subito dopo mandò una mail alla sua amica Mara, che si era sposata da circa due anni.

Dopo un lungo fidanzamento con Enzo, suo fidanzato storico per più di sette anni, Mara aveva incontrato il suo attuale marito Karl, un pittore tedesco, durante uno stage in Germania cinque anni prima.

Era stato amore a prima vista.

Mara aveva mollato il noioso Enzo, commercialista in un altrettanto noiosissimo studio contabile, ed era scappata in Germania, subito dopo il suo ritorno; il tempo di mettere al corrente Enzo che, com'era nel suo stile aveva accolto la notizia con aria pacata, seria e indifferente, fare una valigia striminzita, dar loro un bacio ed era tornata tra le braccia del suo biondo teutonico.

Lei e Simone avevano accolto la notizia meno stoicamente di Enzo: per tutto il tempo (un paio d'ore appena) che Mara era rimasta in casa, le erano stati dietro come due avvoltoi, passando dalle minacce, alle lagne, ai ricatti morali, ai musi lunghi.

Mara li rassicurava che era solo una situazione momentanea ma era stata via per mesi e pur continuando a pagare la sua quota d'affitto in ogni caso, loro due si erano sentiti abbandonati.

Mara era tornata in Italia con il suo Karl e poco dopo erano andati a vivere insieme mettendo fine così alla loro allegra convivenza, ma non aveva smesso di frequentare assiduamente la loro casa.

Nonostante tutto, erano stati felici di vedere la loro amica felice e innamorata come non mai. Attualmente era una moglie e madre in attesa del primo figlio: per qualche tempo aveva lavorato come scenografa per la tv italiana, ma aveva abbandonato tutto non appena aveva scoperto di essere rimasta incinta. Ed era più felice che mai.

Finita la mail per Mara, decise di rimettersi a letto: la stanchezza e il malessere stavano tornando di nuovo. E non dipendeva solo dall'influenza.

Decise anche di non rispondere alla mail di Julian.

Codarda! -pensò – La regola del chiodo scaccia chiodo con lui può essere anche piacevole.”

Tornò a infilarsi sotto il piumone, sentendo il solito groppo in gola che l'attanagliava ogni volta che pensava al suo passato... e ai suoi sogni spezzati.


******


Erano da un anno in Finlandia lei e Andrea e tutto sembrava andare alla perfezione o almeno era quello che lei voleva vedere, innamorata persa e dipendente da lui in tutto e per tutto.

Avevano trovato quella casa piccola ma decorosa, pensando che quando entrambi avessero trovato un lavoro, e una maggiore stabilità economica, (ovviamente senza l'aiuto del portafoglio del papà di Andrea) avrebbero cambiato casa per prenderne una più grande.

Andrea, che nonostante la sua stentata laurea in Legge, poteva cercare un lavoro in qualche studio legale della città, (soprattutto con le infinite risorse della famiglia e con le loro conoscenze), aveva invece intrapreso la carriera di modello, con disappunto della sua famiglia e della stessa Lou.

Ricordava con dolore i mesi passati a macerarsi sul pensiero di chi passava il tempo con il fidanzato e di quello che faceva; aveva accumulato tanta di quella tensione che bastava un sms sul cellulare di lui a scatenare la sua gelosia ed erano scenate, con pianti e urla.

Andrea la rassicurava come poteva, ma anche lui stava iniziando a non reggere più la tensione: tornare a casa per lui era diventato sempre più difficile, se ne rendeva conto ora... ma allora era come accecata dalla gelosia divorante e dall'insicurezza.

Col passare dei mesi Andrea era diventato sempre più sfuggente e tornava a casa ogni sera più tardi: Lou era ridotta ad uno straccio, lo ricordava bene... non riusciva a mangiare, non riusciva a dormire, non riusciva a pensare ad altro che a lui circondato da bellissime modelle.

Di notte faceva sogni di lui abbracciato a donne stupende, con fisici mozzafiato, dai quali si svegliava piangendo.

Se solo fosse stata meno oppressiva, meno gelosa, meno insicura, probabilmente non sarebbe andata così... questo però lo pensava ora, con il senno di poi. Lei era sola, i suoi amici, la sua famiglia erano lontani, e il suo mondo girava intorno ad Andrea.

Il suo mondo era Andrea.

Con lui aveva davvero pensato che fosse amore per sempre... finché non era entrata in scena Sophie.

La bellissima, perfetta Sophie: modella tedesca, bionda, altissima, dalle forme perfette, dal viso di porcellana...

Quando aveva scoperto che Andrea la frequentava era andata fuori di testa, costringendolo a confessare che si frequentavano già dopo pochi mesi dal loro trasferimento in Finlandia.

Proprio nel momento in cui lei pensava che finalmente avrebbero costruito qualcosa d’importante e duraturo, Andrea era andato via di casa per vivere con Sophie.

Qualche settimana dopo, lei aveva scoperto di aspettare un bambino.

Per giorni e giorni aveva pianto da sola nella loro stanza, nel letto matrimoniale che ora apparteneva a Nur, cercando una soluzione. Se avesse detto ad Andrea del bambino lui avrebbe pensato che era una trappola per tenerlo legato a lei e non poteva neanche pensare di disfarsene come se fosse un intralcio alla sua vita.

Non aveva pensato all'aborto neanche per un istante.

Aveva deciso che sarebbe tornata a casa, in Italia e crescere il loro bambino da sola, con la sua famiglia e i suoi amici intorno.

Non aveva parlato con Andrea, nonostante Mara e Simone con mail e telefonate e conseguenti bollette telefoniche astronomiche, le avevano detto fino allo sfinimento che lui aveva il diritto di sapere e che era una sua responsabilità occuparsi del bambino.

Lei era stata irremovibile: non gli avrebbe detto nulla.

Non avrebbe implorato il suo aiuto, la sua attenzione, il suo amore per qualcosa che aveva ucciso con le bugie e la leggerezza.

Aveva già prenotato il biglietto di sola andata per l'Italia.

Da qualche giorno sentiva fitte all'addome che divennero via via più forti con il passare delle ore. La sera precedente al suo rientro, era quasi svenuta per i dolori e aveva chiamato Matleena, l'unico punto di riferimento che avesse all'epoca.

Mat, aveva fatto i dieci chilometri che la separavano da casa sua in meno di 5 minuti e aveva chiamato in pronto soccorso, un suo caro amico, avvisandolo che la stava portando in ospedale.

L'aveva caricata in macchina ed era ripartita alla velocità della luce.

Nelle ore successive i suoi ricordi erano diventati solo brevi flash... ma il suo incubo non era ancora finito. Quando si era svegliata, in una lussuosa stanza d'ospedale, Matleena aveva allontanato le infermiere che le giravano intorno, chiedendo di rimanere sola con lei.

Con dolcezza le aveva preso le mani fra le sue e guardandola dritto negli occhi aveva spiegato con voce ferma e dolce, cosa fosse successo.

Il feto non ce l'aveva fatta: aveva avuto un aborto spontaneo, forse dovuto al troppo stress o forse erano solo cause naturali. Forse solo il destino.

Lou aveva accolto la notizia non versando neanche una lacrima.

Ogni legame con Andrea ora era spezzato. Ogni speranza di riaverlo un giorno, svanita.

Come il suo bambino. Il loro bambino.

Nei suoi incubi lo sentiva piangere, sapeva che la stava cercando e che aveva bisogno di lei; nel sogno correva lungo dei corridoi senza fine, con ai lati centinaia di porte e non riusciva mai a raggiungerlo.

Solo in quei momenti, quando si risvegliava ansando e sudata, si rendeva conto che aveva il volto inondato di lacrime e la gola le faceva male per le urla represse.


******


Ancora quel sogno.

Lo sentiva piangere disperato. Sembrava quasi che fosse lì nella stanza tanto forte era il pianto.

Aprì gli occhi atterrita e come sempre aveva il groppo in gola dolorante.

Le lacrime al solito traboccarono, aspettava che il suo cuore rallentasse e tornasse ad un ritmo normale.

Ma il pianto non cessava.

Si guardò intorno nella stanza buia, immobile e spaventata a morte: ma il lamento non era lì nella stanza, sembrava provenisse dall'esterno.

Schizzò fuori dal letto per guardare dalla sua portafinestra verso l'esterno.

Aveva ripreso a nevicare forte, era tutto bianco e non si vedeva bene. Aprì uno spiraglio per accertarsi che le sue orecchie non le avessero giocato uno scherzo e iniziasse a pensare che stesse impazzendo sul serio. No, il pianto, il lamento sembrava quello di un bambino ma molto probabilmente era un gatto, ora se ne rendeva conto. Appoggiò la fronte al vetro gelido, respirando con brevi e affannose secche boccate d'aria. Il lamento continuava disperato. Prese il plaid avvolgendovisi e uscì sul balcone per riuscire a capire da dove venisse: strizzò gli occhi mentre la nuvola di fiocchi le vorticava intorno e dentro gli occhi. Niente. Non vedeva nulla.

Avrebbe avuto una ricaduta se rimaneva ancora lì nel gelo, pensava rabbrividendo, quando colse un movimento impercettibile con la coda dell'occhio e vide una minuscola macchia nera muoversi in mezzo alla distesa immacolata della coltre di neve che ricopriva il vialetto.

Oh signore... se rimane lì morirà!” - pensò preoccupata.

Rientrò veloce e si infilò un maglione, il pantalone della tuta alla velocità della luce e volò verso la porta afferrando nel passaggio il giaccone imbottito. Era lanciata in piena corsa quando arrivò sul vialetto e vide una figura scura, un po' più grande di quella che le era sembrata dal balcone, accucciata dove prima c'era quello che lei pensava fosse un gatto.

Troppo tardi si accorse che era un essere umano e che nel momento in cui lei sgommava sulla neve, lui alzò il viso pallido e spigoloso verso di lei.

Un battito di cuore. Due. Cuore che rotola nel petto.

“È quasi morto di freddo! - disse lui con una bassa, roca voce concitata e preoccupata. - Dobbiamo portarlo in casa.»

Raccolse la palla di pelo, si alzò e la fissò come se si aspettasse qualcosa da lei.

Lou immobile, ancora stravolta dal sogno di poco prima e con le lacrime che segnavano ancora dei solchi salati sul viso, si riscosse d'un tratto all'urgenza nella sua voce.

«Oh. Certo. Sì!»

Un pensiero coerente in questo momento sarebbe gradito, Lou”.

«Portalo dentro!»

Gli fece cenno di seguirla all'interno, precedendolo, tenendogli la porta aperta mentre lui le passava veloce davanti e la richiudeva piano mentre Ville Valo si girava verso di lei con una minuscola palla di pelo nera tra le mani grandi, bianche ed eleganti.


******


«Ha bisogno di stare al caldo... hai qualcosa per avvolgerlo? - le chiese impaziente - Qualsiasi cosa anche per asciugarlo...»

«Arrivo subito.»

Lou gli fece cenno di andare nel salotto mentre si precipitava in camera da letto in cerca di un vecchio maglione che non metteva più e un asciugamano che prese dal bagno, poi tornò dove lui l'aspettava in piedi al centro del salotto, con gli occhi abbassati sulle mani a coppa.

«Ecco! Dallo a me... non sarà già...?»- chiese Lou esitante mentre lui le passava il gattino che tutto sembrava tranne che vivo, aiutandola ad asciugarlo.

«No, gli ho sentito il battito del cuore... è ancora vivo, per poco ma è ancora vivo.»

Lo avvolse nel maglione. Quel gatto aveva una gran brutta cera.

Ma aveva ragione lui: toccando il micetto aveva sentito anche lei che il battito c'era ancora.

«Non ho idea di cosa fare con un gatto. - disse lui ancora immobile al centro del salotto, le scarpe bagnate e le punte dei capelli mossi umide dalla neve che vi si era sciolta sopra - Non riuscivo a dormire né a scrivere con il suo lamento.»

Oh. Povero artista.” - pensò lei irritata, dandogli le spalle, portando il fagotto verso il termosifone ancora tiepido, già pentita del pensiero che aveva avuto su di lui pochi istanti prima, sul fatto che non si sarebbe mai aspettata da lui un gesto tanto carino e delicato.

«Vieni qui, – gli ordinò secca – tienilo al caldo mentre io preparo qualcosa per farlo riprendere.»
Lo fissò negli occhi.

Brutta mossa, pessima mossa, Lou...”.

Voleva davvero essere gelida ma quei chiari laghi di giada che aveva al posto degli occhi la stavano sondando tra il divertito e l'irritato e la bocca che lei in un primo momento aveva giudicato sottile, era piegata in un sorriso stretto e trattenuto.

Tolse la giacchetta di pelle che aveva addosso, (ma non gelava con quella roba soltanto?) posandola sul divano, così anche il berretto di lana che gli copriva gran parte del viso e i capelli castani gli sfiorarono il viso magro e spigoloso.

Non disse una sola parola: prese il fagotto dalle sue mani, continuando a fissarla divertito.

Che diamine ha da guardare!?” - agitata e nervosa, neanche lei sapeva bene il perché, tolse il giaccone e poco le fregava che avesse addosso un maglione sformato e pieno di pallini, il pantalone della tuta troppo largo per lei, bucherellato e consumato; i capelli in una massa informe e ribelle.

Non osava immaginare che faccia avesse, con le occhiaie e tutto il resto.

Preparò del latte e ruppe un uovo del quale usò solo il tuorlo rosso, bucandone la membrana e separandolo dalle pellicine, mescolò il tutto.

Avrebbe dovuto mischiare anche della panna ma non ne aveva in casa.

In bagno prese una siringa vuota e sterilizzata, scartando l'ago che gettò nel secchio dell'immondizia. Con orrore si guardò allo specchio sgranando gli occhi: era peggio di quanto pensasse. Sciacquò la faccia con acqua gelata per togliere le tracce delle lacrime e tornò in cucina; aspirò un po' del preparato tiepido e si girò armata di siringa, per uscire nel salotto che era attiguo alla cucina, divisi solo da un basso muretto.

«Ecco... ora il difficile sarà fargli bere questa roba, ma è l'unica cosa che somigli al latte materno per i gatti... avremmo bisogno anche di una lampada termica che lo tenga caldo quasi come il calore della mamma, ma non penso di esserne dotata...» - disse d'un fiato avvicinandosi al gatto e a colui che lo teneva stretto contro il petto.

Non spiccicava una parola ma ancora la guardava con quell'espressione divertita.

Cercò di non badare a quanto apparisse carina l'immagine.

«Vedo che sei esperta nel campo... hai avuto altri gatti prima?» - chiese con un sorriso “quasi” dolce.

«Non è la prima volta che trovo un gatto in mezzo alla neve – rispose passandogli la siringa con uno sguardo di sufficienza, ricordando la notte che avevano trovato Natale in Italia – l'altro ce l'ha fatta e ora ha ancora sette vite. Era più grande di questo esserino qui però... non so se ce la fa...»

«Ce la fa.»- rispose afferrando la siringa dalle mani di lei con un tono di sfida.

Girò il musetto del gatto appoggiando la punta sulla minuscola boccuccia. La linguetta guizzò piano e lui provò a infilargli delicatamente la punta della siringa tra le fauci, premendo con lentezza lo stantuffo.

«Anche tu non sembri un principiante.»

«Ho visto molti documentari.»

“Non guardarlo non guardarlo...”

Si ripeteva mentalmente mentre lo sbirciava di sfuggita solo per accorgersi che anche lui la stava sbirciando.

Distolse lo sguardo in fretta e si rifugiò dietro la cucina.

Codarda.”.

«Vuoi qualcosa da bere? Scusa se non te l'ho chiesto prima. Un tè? Tisana? Caffè?» - chiese senza alzare gli occhi.

«Non voglio disturbarti. Va bene una tisana... grazie.»

Che voce carezzevole... come miele ruvido sulle sue labbra.

Aspettò impaziente, battendo il piede ritmicamente sul pavimento, che l'acqua nel bollitore si decidesse a riscaldarsi.

Valo se la rideva sotto i baffi. Odio. Non faceva che farla agitare maggiormente con la sua calma serafica.

Preparò meccanicamente la tisana, una volta pronta, rigida come un pezzo di legno si avvicinò con le due tazze in mano.

«Dallo a me... tu bevi la tisana.»

«Non riuscirei a berla così calda...» - le sorrise, tramortendola con il verde chiaro degli occhi.

Un colpo al cuore. Due. Respiro.

«Sta mangiando? - si sporse per dare un’occhiata al fagotto inerme tra le mani di lui. - sembra di sì...»

«Qualche goccia... il resto è finito sulla mia mano.»

Quella voce le faceva venire i brividi, tanto era bassa, carezzevole, morbida, ruvida, penetrante... tutto insieme.

«Dovrebbe mangiare ogni due ore, sai?» - gli disse con aria scettica.

«Ci terrà svegli per tutta la notte, allora.» - le rispose serio.

«Ci penso io, tranquillo...»

«Non se ne parla neanche... l'ho trovato io. Mi sento responsabile.»


Figuriamoci! Come se una star potesse perdere tempo con un misero gatto trovato per strada...”.


«Allora lo porti a casa tua?»

E che pensasse pure che fosse una cafona maleducata!

«Ci butteresti fuori con questo tempaccio?»- la stava prendendo in giro.

«Abiti a due passi da qui.» - disse laconica e gelida lei.

«Meglio non rischiare... - rispose lui con calma. - Non ti daremo fastidio. Potrebbe non farcela... non vorrai essere sola se accade.»

Non aveva detto che ce l'avrebbe fatta?!

Digrignò i denti per l'irritazione.

«Vuoi stare tutta la notte a sorvegliarlo e dargli da mangiare? - gli chiese con evidente scetticismo con un tono secco e gelido - Guarda che l'ho già fatto una volta e sono in grado di rimanere sola con un gatto moribondo!»

Ville alzò gli occhi su di lei.

«Rilassati...»- le disse con voce grave e dolce.

Smontò come un palloncino tutta la sua rabbia immotivata e la tensione con una sola parola... si lasciò cadere sul divano, molto lontano da lui.

Le era tornato il mal di testa... si sentiva male ma non voleva dirgli di andarsene.

Temeva che le fosse tornata la febbre... sentiva caldo.

Ma probabilmente la colpa poteva essere attribuita alla sua agitazione “da Valo”.

«Bevi la tisana, ora... sarà meno calda.»

Le passò il fagotto con cautela e stando ben attenta a non toccargli le mani, prese il gattino che era inesistente e minuscolo nella maglia.

«Penso che per ora basti insistere nel dargli da mangiare, riproviamo più tardi.»

Era quel “noi” sottinteso ad agitarla.

Con un movimento elegante degno di un lord inglese prese la tazza che era sul tavolo e iniziò a bere lentamente la tisana. Con una mano stretta intorno al gattino, prese anche lei la sua e iniziò a sorseggiarla.

Silenzio. Un imbarazzante silenzio che si poteva tagliare a fette.

Lou lo fissava ad occhi socchiusi al di sopra l'orlo della tazza.

Ville faceva lo stesso.

«Possiamo presentarci ora? - chiese all'improvviso lui. - È la seconda volta che vengo qui a casa tua e ancora non ci presentiamo... Ciao, sono Ville Hermanni Valo...» - tese la mano.

Si presentava sempre con nome cognome e secondo nome?”.

«Ciao, sono Lou. Lucia Zadra.»

«Ciao Lou... - il suo nome sulle sue labbra diventava una colata di zucchero... - Finalmente ci conosciamo.»

Tutto ciò è surreale.” - pensò Lou.

Lei in casa sua con un gatto mezzo morto a bere tisana in condizioni pietose, sul divano.

Con Ville Valo.

Prese la sua mano. Se la aspettava fredda e morbida. La stretta invece era forte e le mani dure e caldissime.

Passò un tempo indefinito mentre si tenevano la mano.

Ville la guardava dritta negli occhi.

Lui aveva gli occhi più chiari, più limpidi e trasparenti che avesse mai visto. Giada tersa, cristallina. Occhi del genere non potevano appartenere a qualcuno che aveva vissuto la sua vita. Erano troppo puri, innocenti eppure... quei chiari laghi di giada, nascondevano paradiso e inferno in fondo a quelle pupille brillanti e profonde.

Un miagolio li riscosse entrambi. Lou lasciò andare la sua mano di scatto. Il gatto si muoveva nella maglia: segno che stava riscaldandosi. Ma aveva gli occhi chiusi dal muco e non riusciva ad aprirli ancora.

«Non capisco come sia arrivato sotto casa mia... - disse Lou per spezzare l'elettricità che sentiva scorrere ancora tra di loro - non ho mai visto gatti nei paraggi.»

«Neanche io... forse hanno paura di essere impagliati per poi essere esposti in casa mia...» - disse ridendo sommessamente.

«Come, prego?» - sbatté gli occhi con aria interrogativa.

«Oh, no niente... - rispose lui ancora con un sorriso ironico sulle labbra. - Bene, Lou. Ora che abbiamo fatto conoscenza... come intendi impiegare queste ore fino a domattina, quando sapremo che fine farà il nostro amico?»

La domanda sussurrata la lasciò senza parole. Si divertiva a crearle imbarazzo per caso? Poteva essere una domanda come un'altra, del tutto innocente, ma non lo erano gli occhi e il sorriso che l'accompagnava!

«Oh...»


Maledizione! Dì qualcosa!”.


«...non ne ho idea...»


Complimenti geniaccia!”.

Le girò la testa e non solo per i suoi occhi e le sue uscite simpatiche: le stava tornando la febbre, aveva mal di gola e aveva la nausea.

«Scusa... devo andare un attimo in bagno... ti spiace?» - balbettò.

«Stai bene?»

«Veramente non proprio... credo che la febbre non voglia abbandonarmi... prendo qualcosa, scusa un attimo.»

“Ma certo... ti aspetto qui» - disse lui con tono basso.

Accidenti a lui.”.

Volò verso il bagno e con mani tremanti prese altre due compresse, le stesse che le aveva dato Nur, dall'armadietto dei medicinali e le ingoiò con fatica con un sorso d'acqua.

Stava sudando. Stava male.

Passò in camera da letto e si cambiò, tolse quella orrenda maglia e la tuta ed infilò un top con sopra la maglia melanzana che le aveva regalato Nur, dei pantaloni morbidi e comodi e avvolse il collo in una sciarpina.

Si guardò di nuovo allo specchio per distogliere subito dopo gli occhi: orribile.

Lasciò i capelli sciolti sperando che avrebbero coperto in gran parte il pallore del viso e le occhiaie nere.

Quando tornò in salotto, con passo felpato, sentì Valo che cantava a bocca chiusa qualcosa... al gatto!

Ebbe voglia di ridere improvvisamente, se non fosse che la scena era fin troppo dolce.

«Ma che carino...»- disse prima di mordersi la lingua.

Valo alzò gli occhi dal gatto senza scomporsi, abbassando ancora di più la voce fino a un mormorio di gola.

«Shht... ora si è addormentato.»

Il tono era serio ma gli occhi e la bocca ridevano.

«Stavi cantando la ninna nanna al gatto, per caso?»- chiede Lou reprimendo una risata.

«Ovviamente.»

Eh sì, diceva sul serio.

Ma se la rideva sotto i baffi guardandola con la testa leggermente inclinata di lato. Quell'uomo era tutto e il contrario di tutto. Non poteva dar torto alla sua amica se volesse a tutti i costi sedurlo.

Come un fulmine a ciel sereno pensò a Nur e si sentì stranamente in colpa per essere lì con l'uomo che lei aveva deciso di conquistare.

Aveva dimenticato la pizza, aveva dimenticato quando solo pochi giorni prima si erano visti dalle rispettive finestre, perfino della sua riverenza ironica del giorno precedente... improvvisamente le tornò tutto in mente.

La sua presenza lì aveva cancellato l'idea che aveva avuto finora di lui?

«La pizza. Era buona. La tua amica mi ha detto che era opera tua, era deliziosa... davvero...»

«Grazie... sono contenta che sia stata di tuo gusto. Nur mi ha detto che ti piace particolarmente, e allora...»

«Sì, mi piace, ma quella che mangio io la prendo al supermercato e la scongelo: è un po' diversa dalla tua...» - disse ridendo.

«Lo so.»- si diede arie, soffocando uno sbadiglio.


Che figura!

«Scusa, penso siano le medicine a farmi sbadigliare, non tu...»

Ma che diamine dico?!

«Tranquilla, non è la prima volta che una donna sbadiglia in mia presenza!»

Lo guardò scettica. Certo. Come no.

«È vero...» -aggiunse serio, lui.

Lou sollevò le sopracciglia con aria perplessa.

Un miagolio.

«La tua ninna nanna non ha funzionato, credo...»

O forse gli piace la tua voce e vuole che continui a cantare...” - pensò ma non lo disse ad alta voce.

«Proviamo a farlo mangiare di nuovo... - propose lui. - Vuoi farlo tu?»

«Sì. Dallo a me, se vuoi andare, non preoccuparti, davvero... non ci so...»

«Ho detto che preferisco rimanere... sempre che tu non voglia mandarmi via.»

La guardava in attesa di una risposta.

«Ok.»- rispose impettita.

«Ok vuoi che rimanga o che vada via?» - insistette.

«Ok fai come vuoi, non ti sto cacciando. Pensavo solo che, magari, avessi altro da fare che stare qui stanotte a fare da baby-sitter ad un gatto con un piede nella fossa...»

«Anche tu non mi sembri in gran forma, - disse lui serafico – magari devo soccorrervi entrambi stanotte!»

Eh?!”- l'urlo le salì in gola e per poco non lo esternò.

«Sto bene... cioè so badare a me stessa.» - rispose punta sul vivo.

«Ne sono certo, ma a nessuno fa piacere stare da soli, specie quando si sta male... vero?»

«Ci sono abituata e poi è solo influenza...»- rispose e in quel preciso istante il cellulare iniziò a squillare.

Controllò il display. Era Nur.

“Merda”.

«Nur? - rispose a disagio – Sei arrivata a Londra?»

«Ehi, come stai? Speravo di trovarti sveglia! Ti senti meglio? È scesa la febbre? Ti sento poco e male... c'è un temporale tremendo qui e sono bagnata fino al midollo, volevo solo assicurarmi che stessi un pochino meglio...»

La voce di Nur a tratti non arrivava.

«Sto meglio, tranquilla... è tutto ok! Non preoccuparti.» - si sentiva tremendamente in colpa.

«Ok, tesoro, allora ti richiamo domani, scusa per l'ora... ma sapevo che eri sveglia! Mi raccomando, fai la brava!» - disse alzando il tono di voce e chiuse la comunicazione.

«Era Nur.»- precisò lei senza che ce ne fosse bisogno.

«Ho sentito. Non sapevo fosse ripartita...»

Lou rispose con un’alzata di spalle.

«Sì, è partita oggi pomeriggio... però sarà di ritorno questo fine settimana.»- aggiunse.

«Secondo me hai la febbre, hai gli occhi rossi e anche il viso...» - lui sorvolò elegantemente sul discorso che lei voleva portare su Nur.

Prima che potesse muoversi, le toccò la fronte con il dorso della mano.

Si trattenne a stento dal tirarsi indietro ma al suo tocco lo stomaco le aveva fatto una giravolta.

«Mi salverò?» - chiese ironica.

«Uhm, se fai la brava sì, penso che te la caverai... Rilassati Lou...»

Ancora quel tono...

Sono rilassataaaaaaaaaaaaaaaaaa!” - urlò la vocina dentro di lei.

«Ville, sono rilassata.»

Era la prima volta che lo chiamava per nome.

Se ne accorse lui e se ne rese conto lei. Forse non avrebbe dovuto dargli del tu, dopotutto lui era una star mondiale e lei una semplice donna qualunque.

Ma era venuto naturale come dargli ordini su come trattare il micio moribondo.

In quel momento, lì nel suo salotto, una mano verso il fagotto, col dito che accarezzava il muso della microscopica creatura, sembrava solo un uomo come tanti.

Vestito in maniera normale. Con l'aria più normale e rilassata del mondo.

«È bello come viene fuori il mio nome detto da te.» - disse con voce bassissima e roca, sbirciandola con i suoi occhi da gatto sornione.

Altro battito di cuore... prigioniero che cercava di scappare dal suo petto.

Non era quello che diceva: era il modo in cui parlava che le faceva girare la testa.

Diede la colpa ai medicinali.

Valo doveva sparire al più presto dalla sua casa e dal suo spazio vitale.

Senza riuscire a impedirselo sbadigliò ancora una volta, con tanto di lacrima finale.

Al suo secondo sbadiglio in dieci minuti, lui scoppiò in una risata.

La risata più strana che avesse mai sentito in vita sua.

Rauca, a scatti, come colpi di tosse di un cane, o una lambretta scassata.

“Sono fregata.” - pensò Lou amando all'istante quella risata.

«Faccio sempre così colpo sulle donne... Evidentemente con le italiane non funziona.» - rise ancora.

«Come sai che sono italiana?» - chiese sorridendo ancora per la sua, di risata, scartando con eleganza la sua battuta.

«Ho chiesto in giro...»- rispose, con fare misterioso.

«Cosa?... hai chiesto in giro di me?!»

«Lou, me lo ha detto la tua amica...»

Capitan Ovvio, brava! Ti eri già esaltata e lusingata che avesse indagato su di te, illusa?!”.

Stava per crollare sul gatto. Non riusciva neanche a mettere insieme due parole una dietro l'altra figuriamoci con lui che la prendeva in giro e la guardava con quei pezzi di giada... appoggiò la testa sul divano, sfinita.

«Scusa...»

Di cosa si stava scusando?!

«Ti perdono...» - disse lui sempre ridendo.

"Oh, se la sta spassando un mondo a vedermi morta di sonno e in balia degli effetti soporiferi da antipiretici!”

«Grazie... gentilissimo...» - bofonchiò lei, chiudendo per un attimo gli occhi.

Solo un momento...

******


Era su una spiaggia. Sentiva il calore del sole sulla pelle. Una spiaggia italiana... ne era certa, da qualche parte nelle vicinanze sapeva che c'era Simone steso al sole. Ad occhi chiusi giocava con i piedi nella sabbia bollente, sentiva scorrere i granelli di sabbia sulle dita. Una mano calda le sfiorò il collo e lei si girò di lato andando incontro a quella mano, baciandone il palmo, sempre tendendo gli occhi chiusi. Le dita di lui le sfioravano le labbra e lei con un sospiro le schiuse.

Attirò quella mano sul suo viso, posandosela contro la guancia, strofinandovisi contro, lasciando che giocasse con i suoi lobi, per poi spostarsi sulla pelle sensibile dietro le orecchie, sul collo, tornando su le disegnò il contorno dell'ovale, per spostarsi sulle palpebre ancora chiuse.

Come una falena attratta dalla luce, si avvicinò al corpo di lui steso a pochi centimetri dal suo. Gli posò una mano sul petto bollente, all'altezza del cuore; la mano libera di lui le accarezzava la schiena nuda, lentamente.

Alzò il viso cercando il volto dell'uomo che era steso contro di lei; trovò il mento ispido per la barba che stava ricrescendo. Con le labbra socchiuse lo sfiorò, lenta verso il collo, strofinò il viso lambendo con la lingua la pelle morbida e liscia, che sapeva di sale e sole... un gemito roco le segnalò che era cosa gradita e lei continuò lenta mordendo piano la carne sensibile... la mano si spostò dal petto alla schiena, per scendere lungo la colonna vertebrale fino ai glutei tondi e maschili, infilando la mano impertinente all'interno del costume.

Un altro gemito roco e subito la mano di lui posata alla base della schiena, la spinse verso il suo bacino, lasciando che lei non avesse dubbio alcuno sulla situazione.

Le gambe erano intrecciate in un unico groviglio di arti, con i piedi che giocavano ad accarezzarsi così come facevano le mani... labbra leggere le sfiorarono la fronte, il naso, scesero a toccare le labbra, la punta della lingua le toccò brevemente, queste si schiusero in attesa del resto...

Un sospiro contro quella bocca invitante, il gemito roco di lui , una voce bassa che le sussurrava all'orecchio.

«Lou... sei sveglia?»

«»


Quella voce...

Lentamente, come le accadeva sempre, tornò alla realtà con fatica.

Strano... stava facendo un sogno bellissimo, pensava di essersi svegliata ma stava continuando a sognare. Era ancora stesa contro il suo corpo caldo, una mano infilata nel costume, quella di lui alla base del suo bacino, il viso sprofondato nel suo collo, sentiva il battito del suo cuore accelerato contro le sue labbra.

Aprì gli occhi. Era buio e non era certamente su una spiaggia assolata, tanto meno in Italia. Era sul divano di casa sua, accaldata e languida, schiacciata contro lo schienale, abbrancata a Ville Valo, steso quasi su di lei... con una mano dentro i pantaloni che gli teneva arpionato una chiappa e la chiarissima consapevolezza che oltre a lei anche “altro” era ben sveglio, qualcosa che pulsava contro il suo ventre!

Era pietrificata dall'imbarazzo.

Voleva morire. Lì. Ora.

«Oddio... Mio Dio, scusa!» - mormorò con ancora il volto affondato nel suo collo. Un respiro secco di lui.

Lou ritrasse le mani dai posti in cui le aveva infilate, le loro gambe ancora intrecciate, i bacini che si toccavano. Lei non poteva muoversi, era schiacciata dal suo corpo, che all'apparenza era molto magro, ma ora la copriva e la faceva sentire così piccola.

«Non scusarti... - disse lui con una voce ancora più roca e sensuale che nel sogno - mi sono reso conto che dormivi solo... dopo...»

Sfilò lentamente le gambe intrecciate alle sue e si mise seduto sul divano, con i gomiti appoggiati alle ginocchia.

Lou si rannicchiò vergognandosi come non mai nella sua vita. Che pensava di lei? Dopo aver fatto la snob per tutto il tempo… che era successo? Come si era ritrovata con le mani che vagavano ovunque... deglutì forte al pensiero.

«Ehm...?»

«Sì?»

«...non capisco, scusa... com'è che ci siamo ritrovati... in quelle condizioni?»

«Stavi dormendo, ti ho messa solo più comoda. Sei crollata come una pera... mi ero solo steso accanto a te, ad un certo punto sono crollato anche io. Non è colpa tua... Lou, non sentirti in imbarazzo, ok? Ehi...» - disse girandosi, guardandola con disappunto vedendola con il viso tra le mani.

«Smettila, dai non è successo niente... davvero. Vieni qui...» - si sforzava di non riderle in faccia, lo vedeva.


La tirò gentilmente verso di sé passandole un braccio intorno alle spalle, stringendola piano.

Lei era rigida tanto da spezzarsi, con il viso nascosto tra le mani.

«Non è niente.» - sussurrò lui contro i suoi capelli.

Lou si sciolse dall'abbraccio e si alzò esitante e malferma sulle gambe.

«Portami a letto...» - disse a voce bassa.

«Co... come scusa?» - gracchiò Ville.

«Sto male... portami a letto, per favore.»- vacillò mentre lui la afferrava al volo e la portava in camera.

«Chiamo qualcuno, non ti reggi in piedi!»- disse nervoso.

«No! Sto male, devo solo mettermi a letto e stare al caldo. Non mangio da ieri e sono solo debole. Non chiamare nessuno...»- gli disse mentre lui la depositava sotto le coperte e gliele tirava fino al collo.

Era sicuramente fuori posto in una situazione del genere.

Se non fosse stata tanto male, la cosa l'avrebbe fatta ridere fino alle lacrime.

Lui rimaneva accanto al letto, con le mani infilate nelle tasche dei jeans.

«Ville?»

«Dimmi.»

«Ti posso chiedere una cosa?»

Ormai biascicava cose senza senso, la febbre alta.

«Certo.»

«Rimani qui con me stanotte? Fino a che non mi addormento? Prometto di non toccarti più il sedere...»

Lo fissava senza vederlo realmente, con occhi vitrei e intontiti.

La risata sommessa. Lui che entrava sotto le coperte. E le posava il mento sulla testa.

Continuando a ghignare con la sua risata strana.

La sua ninna nanna.

******

Angolo di quella che pensa di essere autrice:

Ok sono pronta ad immolarmi...
Ecco a voi Valo... finalmente è spuntato fuori... come nei migliori film fa un'entrata ad effetto!
Lo so bene che le fan del Valo diranno: "Ma Ville è allergico ai gatti!!!".... si lo so, ma questa è la mia Fan Fiction e Valo fa quello che io gli dico di fare!! :)
Come sempre voglio ringraziare le mie due Beta: Cicci-Vivi e Pulci-Sara, che mi sono con il fiato sul collo perchè non riesco a finire il nono capitolo...Pazientate ragazze: è un capitolo importante... e mi serve ispirazione...
non dimentico le mie sorelle di sclero: Concy, Tesò Nicky e Vale, Sele! Vi adovooooo assai sorelle, sallatelo.
Che sarebbero le serate senza i nostri neuroni incasinati?

Un grazie anche alle altre importanti amiche che seguono la mia Fan Fic: Oriana, Marianna, Silvia, Margherita, Ilaria, Mariangela e Laura!
Grazie per i vostri commenti e il sostegno! <3
Grazie anche a chi legge, magari, e non commenta: sarebbe bello sapere che ne pensate di questa storia!
Non siate timidi e lasciatemi un commento o un messaggio privato!
Ordunque... come sempre mi dilungo in blatere senza senso... ma sono davvero contenta di aver pubblicato e soprattutto di aver creato i miei personaggi: spero possiate amarli come li amo io!
A presto, H_T

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo quattro - "Jade Kuume" ***



10906162-10205045157702818-7976112863552748391-n

Capitolo quattro

"Jade Kuume"


Tepore. Benessere. Beatitudine.

Non svegliatemi...”

Braccia che la stringevano.

“Uhm... sì, voglio continuare a dormire... uffa...”

Aprì un occhio, circospetta, temendo chissà cosa. Era giorno, sì.

E due occhi verdi a qualche centimetro da lei la stavano osservando curiosi. Sbatté gli occhi cercando di mettere a fuoco. Occhi alquanto allarmati.

Per un lungo istante si fissarono a vicenda con disappunto. Poi un musetto peloso e nero che si muoveva come per catturare il suo odore.

«A quanto pare anche “Lei” ha nove vite come l'altro gatto...» - disse una voce maschile dietro di lei.

Oh, porco...”.

Saltò su per lo spavento. Maledetto lui e la sua voce.

Si girò con la grazia di una camionista e il solito umore, gioioso come quello di un becchino.

Valo era appoggiato allo stipite della porta, le mani in tasca e la guardava sereno.

«Buongiorno... ti senti meglio?» - le chiese avvicinandosi con passo elegante.

C'è qualcosa che non fa con eleganza e charme, questo?!”

«Sì, grazie, sto meglio, che ci fa lui qui?» - chiese senza pause, indicando il felino che si stava stiracchiando sul suo letto.

Il discorso più lungo che avesse mai fatto in vita sua a soli pochi attimi dal suo risveglio.

«Lei, - puntualizzò con voce bassa - non poteva rimanere sola stanotte su quel divano, quindi l'ho portata qui.» - sedendosi sul letto in modo naturale, come fosse una cosa che faceva tutti i giorni.

«Tu sei rimasto a dormire sul divano?» - chiese secca Lou.

«Sei di ottimo umore la mattina vedo... no, ovviamente mi sono infilato accanto a te, come tu mi hai chiesto, ti ho coccolata tutta la notte, mi hai fatto le fusa come la gattina che hai di fianco e quando hai cercato di toccarmi il sedere, di nuovo, ho dovuto tenerti le mani lontane da me... una faticaccia.» - disse guardando distrattamente il soffitto.

Lou annaspò boccheggiando indignata.

«Che cosa?!» - la voce le uscì gracchiante: sembrò quella di un corvo che stesse strozzando.

«Quale cosa vuoi sapere per prima? Della gatta, del perché ho dormito qui, o... ?» - chiese malizioso lasciando la frase in sospeso, guardandola con occhi brillanti.

«Che cosa avrei fatto io, scusa?!»

«Intendi la prima o la seconda volta?»

«INTENDO TUTTO!»

«Ah... sì, beh... dai... mi hai solo toccato il sedere, a dire la verità me lo hai strapazzato per bene, mi hai baciato, ti sei avvinghiata a me... e se non ti avessi svegliata, chissà che avresti fatto...»

Tirandosi le coperte addosso, gli sgranò gli occhi in faccia, incredula.

«Mi stai prendendo in giro, vero!? - chiese con un filo di voce - Non ho fatto nulla io...»

Tutta la rabbia e il fastidio di trovarlo ancora in giro per casa sua defluirono come acqua, al ricordo della notte e di quello che era successo.

Ricordava bene ora.

OH- MIO- DIO! Ho toccato il culo a Ville Valo!” - urlò nella sua testa.

Lui alzò le spalle con noncuranza.

«Non è mica la prima volta che lo fanno.»

«Umpfh!»

«Hai detto che ti ho baciato.»

«Sì.»

«Non è vero.»

«Sì, che lo hai fatto.»

«No.»

«Sul collo... ma mi hai baciato. E stavi quasi per infilarmi la lingua in bocca...» - disse cercando di non ridere.

«Piantala! Me lo ricorderei se ti avessi baciato!»- strillò Lou rossa fino alle orecchie.

«Davvero?»- si girò puntandole quei laghi di giada sul viso.

“Ok... qui si gioca sporco...” - pensò Lou senza fiato, affogando inesorabile.

«Umpfh... - sbuffò lei, scostando le coperte cercando di scendere dal letto. - ti dispiace farmi uscire?!»

Il piumino era bloccato dalle sue gambe lunghe e magre: lui non si scompose e rimase steso sul letto tornando a guardare il soffitto.

«Ville, sto morendo di fame... togliti!»

Con quanta facilità le veniva di pronunciare il suo nome ora?

Ville si alzò si scatto tendendole la mano.

«Vieni “Prinsessa”... non vorrei che tu ricadessi indietro come stanotte.»

Lei fissò la sua mano come un oggetto pericoloso ma si affidò, prendendogliela con aria diffidente.

Come mi ha chiamata?!”.

«Prometto di non mangiarti... per ora.» - disse lui con un ghigno e la voce cavernosa, guidandola in cucina-salotto.

«Grazie, è confortante saperlo... oh!»

Lou non riusciva a credere ai suoi occhi! Sul basso tavolino c'era un vero e proprio banchetto, ricolmo di dolci: croissant, biscotti e perfino una tazza con un delizioso profumo di... cappuccino!

Si girò verso il suo infermiere.

«Non dirmi che hai preparato tu?!»

«Ovviamente no. Ho ordinato tutto nel più vicino bar- caffè.»

Commossa ed eccitata come una bimba, si avvicinò alle cibarie e prese subito la tazza di cappuccino tra le mani come una reliquia... che delizia!

La gola le bruciava e riusciva a deglutire a fatica, ma si gustò quel sorso come un carcerato fa con una d'aria boccata.

Quanto le mancava l'Italia!

«Grazie... sei davvero gentile.»- gli sorrise per la prima volta sinceramente grata.

Che pensiero carino...

«Lieta di servirla, “Prinsessa”...» - rispose con un inchino che faceva eco alla sua riverenza.

Quando rialzò il viso, aveva un'espressione che le fermò il latte in gola... quegli occhi erano capaci di farle perdere del tutto il controllo sui suoi neuroni.

«Ora devo andare... è probabile che qualcuno abbia già chiamato la polizia non sentendomi e non trovandomi in casa... ho lasciato il mio telefonino a - esitò per un istante - … casa, ieri notte. La gattina, per ora lasciamola tranquilla ma se a te non spiace; vorrei portarla da un veterinario e assicurarmi che stia bene... tornerò nel pomeriggio.»

«Ma no... tranquillo, appena starò bene ci penserò io a lei. Tu avrai altro di più importante da fare che occuparti di una gatta...»

«Lou?»- il punto di domanda nella sua voce .

Oh signore com'era bello sentirgli pronunciare il suo nome!”.

«Sì?» - squittì lei.

«Lascia che sia io a decidere cosa è o no importante per me... ok?»

Il tono era gentile ma lei capì che era uno cui non si poteva dare ordini, a meno che lui stesso non lo volesse.

«Ok...» - rispose lei, mesta.

«Fai la brava... - le disse avvicinandosi - mettiti a letto e copriti bene...»

Le prese un lungo ricciolo oro rosso tra le dita accarezzandolo per tutta la lunghezza, lo sollevò alle labbra baciandone la punta, a occhi bassi.

La lasciò ricadere dolcemente e si allontanò verso l'uscita, senza dire nient'altro.

Lou rimase con il cuore in gola, la tazza di cappuccino in una mano e un croissant morso nell'altra, le gambe tremanti e lo stomaco pieno di falene impazzite.

Valo 1 – Lou 1”.

Ancora con le gambe molli tornò in camera da letto e guardò la creatura che nel frattempo si era appisolata di nuovo.

«E ora che ci faccio con te?!”

Stendendosi di nuovo sotto le coperte si mise a rimuginare come faceva sempre nei momenti di crisi.

“Allora: qui la situazione non mi piace affatto. Lou, pensiamo!".

Punto 1: che è sta confidenza che si prende? Viene a casa mia come se niente fosse, mi piazza un gatto e poi se ne va;
Punto 2: si appropria del mio divano e dice che gli sono saltata addosso;
Punto 3: dorme nel mio letto e mi ribadisce che l'ho molestato.
Punto 4: mi ordina una colazione che farebbe sciogliere i cuori più duri e poi mi lascia sola con la gatta ma promette di tornare.”

“Come osa?”

Lou era irritata, affascinata, spaventata, elettrizzata, lusingata... tutta colpa di quell'uomo. Aveva passato in sua compagnia meno di dodici ore e l'aveva gettata nella confusione più totale!

Si sentiva in colpa con Nur: come avrebbe detto alla sua amica di quello che era successo? Ok, non era stato niente di che.

“Ne sei sicura?” - le disse la sua vocina interna.

Si sentiva ancora avvampare al ricordo. Scosse la testa per scacciare le immagini che le tornavano in mente.

La sensazione dei loro corpi vicini le era stata fin troppo familiare...

Si erano incuneati come due pezzi di un puzzle, con il viso sprofondato nel suo collo si era sentita beata, ascoltando il ritmo del suo cuore che batteva oltre gli strati di pelle, vasi sanguigni e muscoli, contro le sue labbra...

E il braccio di lui che la stringeva...

Le veniva da piangere.

Tutto quello che lui aveva fatto e detto in quelle poche ore non le era sembrato per niente scontato, studiato... da come aveva reagito alle cure del gatto, a lei che gli si era avvinghiata in preda ai deliri da medicine e dei suoi sogni erotici, al fatto di essere rimasto quando glielo aveva chiesto, alla colazione, la promessa che si sarebbe occupato della creaturina mentre lei stava male... come può un uomo essere così diverso da tutti , speciale eppur così semplice?

Era grave che lei stesse lì nel suo letto a pensare a lui, dopo solo qualche ora passata insieme, a ricordare le inflessioni, le sfumature della sua voce e gli sguardi che le aveva lanciato per tutto il tempo.

E la cosa più grave ed irritante di tutto era che lei non vedeva l'ora di rivedere i suoi occhi di giada.


******


Qualche ora dopo il suo cellulare squillò insistente per lunghi minuti, ma lei ancora persa nelle sue elucubrazioni non aveva nessuna voglia di rispondere.

Alla terza volta che provavano a chiamarla lei guardò il cellulare, irritata: era Mat!

Aveva completamente dimenticato di chiamarla!

Ora l'avrebbe strigliata a dovere! Rispose dando alla sua voce un'aria sofferente per evitare la sfuriata della sua Draghessa.

«Matleena...»

«Lou. Stai bene?! Eravamo preoccupati: non ti sei fatta sentire. Come stai?»

“Eravamo?!”

«Sto meglio, Mat, ma ho ancora la febbre... se hai bisogno di me arrivo subito.»

«Non provarci neanche: non mi serve uno zombie febbricitante in giro per la galleria. Ho chi ti sostituisce e anche se non svolge il lavoro come faresti tu, ce la stiamo cavando.»

«Com'è andata l'inaugurazione?»

«Bene, molto bene, anche se Julian ha tenuto il muso perché mancavi tu... - disse abbassando la voce con tono cospiratorio – mi ha chiesto la tua mail: ho sbagliato a dargliela? Anzi mi aveva chiesto il tuo numero di cellulare ma non ho accettato, non sapendo come avresti reagito. Penso si sia preso una bella cotta per te.»

«Hai fatto bene a non dargli il numero Mat, non ho voglia di contatti di nessun tipo che non siano professionali...»

“Dimentichi la mano sul sedere del Valo?!”

«... e poi non ero in grado di avere nessuna conversazione decente e razionale ieri... stavo troppo male.»

«Sono spiacente tesoro, ora devo lasciarti. Ti ho chiamata per dirti che devi tornare solo quando starai meglio: hai sempre fatto tutto il possibile per me, so che se sei lì è perché stai male sul serio, non sentirti in colpa ok?»

«Grazie Mat, sei sempre così dolce con me...» - disse commossa.

«Shhht, non dirlo in giro o dovrò liberarmi di te!» - disse l'altra a bassa voce, in tono scherzoso.

Se solo i suoi colleghi avessero visto Mat in quel momento, avrebbero stentato a credere ai loro occhi.

«Va bene: sarà il nostro segreto!»

«Ehi, ora devo andare... rimettiti presto, ok? Ah: qui c'è Julian... mi ha chiesto se poteva passare da te, per salutarti e vuole accertarsi di persona che tu stia bene. Che cosa devo dirgli?»

“Oh cacchio!”

«Ehm... digli che sto bene e che non è necessaria una visita a domicilio, che presto tornerò al lavoro - disse esitante – Non voglio offenderlo, è stato così carino con me. Digli che risponderò alla sua mail non appena la leggo...»

Che bugiarda impenitente...”

«Ok, riferirò... a presto, Lou.» - attaccò senza aspettare risposta.

«A presto...»

In quella confusione ci mancava solo Julian e la sua solarità spiazzante!

La gattina di nuovo sveglia si stava lamentando e Lou ad un tratto si ricordò che forse era giunta l'ora di darle da mangiare. La prese con sé portandola in cucina e con una vaschetta dei surgelati vuota ne improvvisò una vaschetta per i bisognini e la riempì di riso: l'unica cosa che aveva in casa a fare da sabbia.

Fece mangiare la trovatella, che era molto più viva del giorno precedente: decisamente viva e vegeta, quando lei non avrebbe scommesso mezzo euro che se la sarebbe potuta cavare.

Subito dopo la sistemò su un cuscino nei pressi del calorifero, dove tornò ad acciambellarsi e a dormire.

Decise di fare una doccia e dare una pulita in giro, nel caso Valo fosse tornato.

Lo stomaco le si contrasse al pensiero dei suoi occhi, delle labbra che si stendevano lentamente in su per un sorriso.

Oh, al diavolo!”.

Si diresse in bagno a passo di marcia.

Fece una doccia calda, lavò i capelli che asciugò con cura e mentre si guardava allo specchio era quasi sul punto di darsi del trucco, ma reagì stizzita con se stessa.

Doveva rimanere a casa, no? Che senso aveva truccarsi? Solo perché Valo le aveva detto che sarebbe tornato e lei voleva apparire ai suoi occhi più carina? Decisamente la cosa le stava dando fastidio.

Decise di mettere solo della crema colorata, per coprire il colorito giallastro del viso e le occhiaie viola sotto gli occhi.

Imbrogliona...”.

Cambiò le lenzuola del letto: prima di toglierle fissò il punto del cuscino dove LUI aveva posato la testa e si diede della stupida idiota quando stava per prendere il guanciale e provare a sentire se c'era ancora il suo odore sopra.

Lou. Stai notevolmente esagerando: datti una calmata!”.

Tolse con uno scatto deciso la federa e la gettò stizzita sul pavimento.

Passò in cucina e mentre puliva alla meglio, sbocconcellava i biscotti e altre delizie che lui le aveva procurato.

“Valo... sei un mistero... e sei deliziosamente letale.”.

Si lasciò andare sul divano ma anche quello portava ricordi.

Cercò di arginare i sentimenti e le emozioni che arrivavano ogni volta che vi si lasciava andare. Con un sospiro pensò di distrarsi leggendo qualcosa ma il cervello si rifiutava di collaborare e vagava già dopo le prime righe...

Provò ad accendere la tv sintonizzandola su un programma musicale.

Andava decisamente meglio così, guardando distrattamente.

Chiuse gli occhi lasciandosi cullare dalla musica dolce dei Coldplay e di “Fix you” una canzone che le piaceva molto.

Un altro brano. Molto meno dolce, visti i suoni duri e rock.

E poi una voce che cantava. Spalancò gli occhi saettando con lo sguardo sullo schermo e... rimase a bocca aperta.

Il suo vicino di casa, salvatore di micette e infermiere improvvisato di donne stupide che giocavano nella neve come bimbe, cantava una cover di “Wicked game” di Chris Isaak.

Un Ville giovane, al centro di uno scenario gotico, con i capelli lunghi sulle spalle, degli orribili orecchini tondi a entrambe le orecchie... sempre magro e longilineo ma il viso più pieno di ora, come le labbra, carnose e sensuali.

La fessura tra i denti, e l'aria di bello e maledetto in mezzo a fiocchi di neve e dark lady con aria seria e vagamente tenebrosa.

Un tatuaggio sul basso ventre messo in mostra lasciando sapientemente scostata l'attillata maglietta nera... Abbracciato a donne vestite di lunghi abiti bianchi svolazzanti nella tempesta che infuriava intorno a loro... Ville bagnato sotto la pioggia...

"Che gioco cattivo da fare
Per farmi sentire così
Che cosa cattiva da fare
Per permettermi di sognarti
Che cosa cattiva da dire
Non ti sei mai sentito così
Che cosa cattiva da fare
Per farmi sognare te... ”

Per diversi minuti rimase ferma e immobile, anche quando sullo schermo iniziò un nuovo brano, lei continuava a sentire la voce di Valo e le parole del brano che sembravano una condanna e una predizione. Nascose il viso sotto il braccio e si distese.

Accidenti a lui: era ovunque intorno a lei!

Una smania improvvisa di conoscere le sue canzoni, la sua carriera, la sua vita e tutto quello che lo riguardava la travolse e si trattenne dal volare al pc per iniziare le sue ricerche.

Ogni volta che qualcosa la incuriosiva, si gettava anima e corpo in ricerche e per giorni o settimane intere non faceva che cercare nuove notizie, ogni cosa del passato e del presente, spulciando nella rete come un segugio.

Doveva rilassarsi.

“Rilassati Lou...”.

La sua voce dalla mente non voleva proprio andarsene.

Si alzò stancamente per prepararsi il pranzo; non aveva granché fame, vista la colazione più che abbondante, ma cucinare la distraeva e rilassava sempre.

In piena ondata nostalgica per la sua Italia preparò il sugo di pomodoro come le aveva insegnato la mamma e mise l'acqua per la pasta a fuoco molto basso così da impiegare tempo per arrivare a bollire e lasciarla vagare ancora nei meandri della sua testa già intasata.

Un suonare insistente al citofono la fece saltare dallo spavento.

Ville! - pensò con il cuore che andava a mille - Ok calma: respira Lou, respira...”

Fece un respiro che somigliava più a un singulto e andò ad aprire il cancello, per vedere che non era Valo ma Julian che le andava incontro con un sorriso a trentadue denti e in mano un enorme mazzo di rose bianche.


******


«Mia Eva... - le disse parandosi davanti con gli occhi scuri che vagavano sul suo viso - Hai ignorato la mia mail, per caso?»

«Julian, che ci fai qui? Non era necessario che tu venissi...- rispose tesa fissando le rose che le tendeva con gesto galante – Ti avrei risposto appena potevo!»

«Uhm... sbaglio o non sei felice di vedermi? Scusa, forse avrei dovuto evitare di seguire come sempre il mio istinto... ma avevo così tanta voglia di vederti e sapere come stavi. Perché stai meglio vero?»

«Sì grazie, sto meglio... accomodati Julian, non rimanere sulla porta.» - disse Lou, cercando di dissimulare il fastidio: non le piacevano le sorprese. Mentre stava per chiudere la porta, vide il Sig. Korhonen affacciato alla finestra che la salutava con la manina e lei, un po' perplessa gli rispose con un sorriso.

«Grazie per le rose... sono bellissime» – disse Lou piano, mentre le prendeva dalle mani di un Julian silenzioso e a disagio e le sistemava nell'unico vaso presente in casa.

“Accidenti a lei e al suo caratteraccio che non nascondeva niente a chi la osservava!”.

«Scusa.» - disse lui improvvisamente.

Colta in fallo e sentendosi in colpa Lou iniziò come al solito a cincischiare con parole senza senso.

«No, non volevo darti l'impressione di non essere gradito, ma non dovevi... hai tante cose da fare, non puoi perdere tempo.»

«Lou, cosa ti fa pensare che per me sia una perdita di tempo? E poi so che non “dovevo” ma “volevo”... c'è una bella differenza.» - rispose aggrottando le sopracciglia.

Ecco: sei sempre la solita genia.”

Come faceva a dire sempre la cosa sbagliata nel momento sbagliato, ancora doveva capirlo... avvicinandosi ai fornelli diede un giro di cucchiaio al sugo, che rischiava di bruciare, guardandolo di soppiatto.

«Allora grazie per essere passato...e per esserti preoccupato per me. Sei come sempre carino e gentile.» - disse con un tono che cercò di rendere il più possibile naturale e gioioso.

«Prego... sei sicura di stare bene? Sei tesa come una corda di violino, più del solito... - disse lanciando uno sguardo al pranzo che stava preparando – non vorrei aver sbagliato anche i tempi. Aspettavi qualcuno?»

«No! - rispose lei incespicando nella fretta di negare – No, non aspetto nessuno... sto solo preparandomi qualcosa da mangiare, visto che non lo faccio da due giorni... tu hai già pranzato?»

Forse fu per sentirsi meno in colpa e per farsi perdonare che lo invitò a restare a pranzare con lei, o forse era solo un modo per non sentirsi sola ed evitare di pensare a cose e “persone” che era meglio tenere lontano dalla sua testa.

Come si aspettava, Julian rispose al suo invito con gioia e si offrì di aiutarla in cucina, tornando immediatamente di buonumore e ciarliero.

Le raccontò emozionato dell'inaugurazione della mostra, dei fotografi e della bella giornalista che lo aveva intervistato, gongolando non poco del fatto che lei oltre tutto gli aveva fatto chiaramente intendere che era interessata ad approfondire l' “intervista” anche in forma privata e che avrebbe mandato il servizio quella sera sul canale nazionale.

Lou si rilassò pian piano, pensando che alla fine era un bene per lei che lui fosse lì; la stava come sempre corteggiando con allegria, ma nessun malessere e soprattutto nessuna farfalla impazzita nello stomaco.

Lei gli raccontò della gattina, evitando però di dire che non era sola quando l'aveva trovata e soprattutto omettendo che Valo aveva passato l'intera notte precedente con lei a farle da baby-sitter e infermiere... Julian coccolò distrattamente la gattina, che gli piantava le unghiette sulle mani appena lui si avvicinava per accarezzarla.

«Accidenti se è aggressiva...»- disse fingendosi offeso, per l'ennesima unghiata.

«Lasciala in pace, Julian: – disse ridendo Lou – ha avuto una nottataccia! Se vuoi fartela amica devi almeno provare a darle da mangiare!» - disse passandogli la siringa che conteneva il preparato.

«Anche tu non mi sembri in gran forma... sei stupenda ugualmente! – aggiunse subito notando l'aria scettica di Lou – Ma hai una faccia stanca come di chi ha dormito male... o fatto sesso tutta la notte!» - aggiunse ridendo malizioso, mentre schivava lesto le unghiate della selvatica gatta cercando di farla mangiare.


«Ah beh, mi hai scoperta, accidenti!» - rispose lei arrossendo, pensando al sedere del Valo.

«Non darmi questo dolore, ti prego! Lasciami credere che tu sia una principessa indifesa e che stai aspettando il pirata che ti porterà via con se per i mari del mondo!»

«Assolutamente sì, mio Diabolik!»- rispose pentendosi subito per le false speranze che forse gli stava dando, ma lui la guardava in maniera semplice, come se non avesse colto l'implicazione.

Il vino rosso che avevano aperto non la aiutava a rimanere seria, e questo unito ai farmaci e alla compagnia spensierata e solare di Julian le faceva girava la testa, ma si stava divertendo come sempre.

Dopo una notte movimentata e il risveglio “a sorpresa”, era a suo agio e non pensava a nulla se non alle baggianate che Julian le stava raccontando a raffica, sui suoi amori passati e su pirati affascinanti che erano alla ricerca di principesse dai capelli oro rosso e ricci da salvare.

Non si rese conto del tempo che passava e quando qualcuno suonò al citofono, guardò Julian con l'espressione di “E adesso chi è?” che lui ricambiò con quella “A me lo chiedi!?”.

Si avviò barcollando e ghignando ad aprire, pensando con un angolo della sua mente annebbiata che forse era Valo che veniva a prendere la gattina...

E, in effetti, un Valo ancora più affascinante di quella mattina, vestito di nero dalla testa ai piedi come un corvo, le veniva incontro sul viale coperto di neve, camminando con passo felino ed elegante.

Accidenti! - pensò Lou guardandolo a bocca aperta - Mi sono mancati i tuoi occhi... ”

«Ti avevo promesso che sarei passato, ma ho fatto più tardi di quanto volessi... ti senti meglio?» - le chiese con la sua voce da brividi, con un sorriso lieve sulle labbra.

«Ciao! Oh! Sì!Scto meglio!» – biascicò Lou.

Lui sollevò un sopracciglio, palesemente perplesso, guardandola in attesa che lo invitasse ad entrare.

«Oh. Sì, entra pure, vieni.» - gli disse facendosi da parte, improvvisamente lucida e sobria.

E ancora una volta mentre stava per richiudere l'uscio, c'era il Sig. Korhonen appostato dietro la finestra che la salutava.

È solo un caso o ogni volta che qualcuno viene a casa mia, lui è lì?!”

«Come sta la nostra amica?» - le chiese a voce bassa Ville mentre entrava disinvolto in salotto per trovare un Julian, che con un bicchiere di vino tra le dita scure e affusolate e la siringa nell'altra mano, dava da mangiare alla “loro amica”, spaparanzato sul divano.

Valo si fermò immediatamente.

Lou lo superò parandosi davanti agitata e con voce stridula fece le presentazioni.

Ville sembrava poco interessato all'ospite ma i suoi occhi mandarono lampi verdi nel vedere che stava toccando la “sua gatta”.

Julian dal canto suo, non appena mise a fuoco chi era appena entrato saltò su, versandosi metà bicchiere di vino sulla camicia bianca.

Risultato: una macchia viola all'altezza del cuore.


«Oh mio dio! Ma... ma lui...» - lo indicò a Lou tutto agitato, come se non le fosse abbastanza chiaro di fosse.

«Ville, lui è Julian Ramos, un bravissimo artista spagnolo che ospitiamo nella nostra galleria; esporrà qui per due mesi... Julian, tu sai bene chi è, è inutile che te lo presenti.» - disse Lou cercando gli occhi di Ville che continuava a tenere gli occhi fissi sulla micia, come se nessuno di loro due avesse parlato.

Silenzio.

Julian posò il bicchiere sul tavolino basso, posò la siringa e tese la mano, sorridendo a Valo, che ignorò la sua mano tesa per qualche istante di troppo.

Poi ritrovò a un tratto tutto il suo charme e gli sorrise, dandogli una stretta di mano.

«Piacere di conoscerti Julian e benvenuto in Finlandia.» - disse, lievemente ironico.

«Ma il piacere è mio, cavolo! Io sono un vostro fan! Davvero! Da sempre! Non ci posso credere!»

L'incontenibile entusiasmo non scalfiva affatto la calma del Valo che con eleganza glissò il fiume di parole e complimenti di Julian e si spostò verso il divano, piegandosi a controllare il fagotto.

Fagotto che iniziò a fare le fusa e amoreggiare con lui, non appena la toccò.

Lou e Julian lo guardavano in silenzio mentre con un sorriso quasi invisibile infilava le dita nelle fauci della micia che gli si strofinava contro la mano.

Accortosi forse del loro silenzio prolungato e imbarazzato, alzò la testa guardando in direzione di Lou, ma fissando un punto imprecisato dietro la sua testa.

«Hai detto la “nostra galleria”? Non sapevo che avessi una tua galleria...»

«Non è mia... - rispose Lou stordita per la sua freddezza - ci lavoro soltnto. E Julian è uno degli artisti che sono in esposizione al momento... è molto bravo sai? Dovresti visitarla...»

Ma che sto dicendo!?”

«Quale galleria?» - chiese ancora.

«Il Museum of Contemporary Art Kiasma- rispose Lou.

«Capisco. Verrò senz’altro a vedere le tue opere, Julian: è il minimo che possa fare per un fan così affezionato del resto...»

«Dice sul serio, Sig. Valo?! - chiese Julian, eccitato come un ragazzino sgranandogli gli occhi neri in faccia. Ma è stupendo! La ringrazio!»

«Non ringraziarmi e... chiamami Ville, per favore.» - disse, gentile.

«Ma certo! Ville... oh cavolo... – ridacchiò Julian, passandosi una mano tra i capelli neri – Ville! Lou! - si girò verso di lei che invece guardava le spalle di Ville - Lo accompagnerai tu non è vero, non appena starai meglio?»

Ville tornò ad abbassare gli occhi sul gatto, evitando di guardarla, mentre lei cercava una risposta sensata.

«Certo se al Sig. Valo va bene, lo guiderò con piacere alle tue opere, Julian...» - disse Lou mordendosi le labbra nervosamente.

«Perfetto! Allora è tutto a posto! Wow... ancora non riesco a crederci di averti conosciuto, cavolo!»

Julian continuava a blaterare senza sosta. Ville si alzò con il fagotto della maglia con gatto e si avviò alla porta, salutando Julian con un cenno della testa.

«Ci vediamo presto, Julian... buona... continuazione.» - aggiunse.

«A presto, Ville!» - ricambiò il saluto Julian scandendo il suo nome trionfante.

Lou gli andò dietro.

«Dove la porti? Voglio sperare che poi la riporti qui... vuoi che venga con te?»- gli disse mentre lui continuava senza fermarsi né voltarsi indietro.

«Ville?! - lo chiamò allarmata Lou – Mi hai sentita?»

Valo si fermò al centro del vialetto, voltando appena la testa nella sua direzione.

«Ho sentito Lou... la porto indietro, tranquilla... vorrei solo assicurarmi che stia bene.» - uscì dal cancello senza una parola in più.

Ma che cavolo... che ti prende Valo?!” - pensò Lou sbattendo gli occhi perplessa.

Richiuse piano la porta dietro di sé... tornando da un Julian ancora eccitato ed esultante per aver conosciuto il suo cantante preferito.

Lei sorrise del suo entusiasmo fino a che lui con un'occhiata all'orologio, mezz'ora dopo, le disse che Matleena lo stava aspettando in galleria e che l'avrebbe chiamata quella sera stessa (dopo averle strappato il numero di cellulare), per darle la buonanotte.

La salutò con un baciamano e andò via con una camicia rovinata ma l'umore alle stelle.

Uno strano mal di pancia le prese all'improvviso la bocca dello stomaco. Non riuscì a capire per molto tempo che cosa non le era piaciuto da quando Ville era entrato fino a che era andato via: poi alla fine le venne in mente che per tutto il tempo lui non l'aveva più guardata in faccia, negandole gli occhi.

E la giada.

******

Angolo di quella che pensa di essere autrice:

Bene eccoci qui... state ancora ridendo per Lou alle prese con le terga Villiche?! :D
La nostra eroina ha a che fare con Valo sempre quando non è in sè, a quanto pare!
Non che quando è sobria risolve meglio... e poi "Occhi di Giada" fa sempre questo effetto su noi povere donnine indifese... U,u
Julian non piace proprio a nessuna eh?! E se li facessi mettere insieme?!?! (sente l'urlo delle Sisko dietro la schiena e schiva lance e pugnali);
*me è sadica sisisi*
Doverosi i ringraziamenti come sempre per le mie due Beta: Cicci-Vivi e Pulci-Sara; come farei senza di voi?!

Grazie anche a SeleValo e alla grande Echelena "Sciamana degli Ormoni" e Arwen 85, aka Sistwer!!
Anche per te una menzione speciale Lady Angel 2002: grazie per i complimenti e per la fiducia, anche se non sei fan del Valo o degli Him! ;)
E invece tu si che sei fan: bacissimi e grazie anche a te Villina 92!
Un grazie enorme anche alle mie patatine: Tesò Nicky, aka Apina Curiosa, aka stalker, aka terza testa del "Cerbero", (le sue recensioni meriterebbero una fan fic a parte!!XD) ;

Ilaria, Margherita, Silvia-Love, Marianna e Fenghera (che oggi ha ribattezzato Julian = per gli amici Enzo...) O.O.... ancora rotoliamo dalle risate! XD

Grazie per i vostri commenti e il sostegno! <3
Grazie anche a chi legge, magari, e non commenta: sarebbe bello sapere che ne pensate di questa storia!


Non siate timidi e lasciatemi un commento o un messaggio privato!

*H_T*
*Per chi non conoscesse il video che fulmina Lou eccolo qui: Wicked Game - Him

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo cinque: "Moonlight" ***



10906162-10205045157702818-7976112863552748391-n

Capitolo cinque

"Moonlight"


Lou aspettò per tutto il resto del pomeriggio che Valo portasse a casa la micia e le facesse sapere com'era andata la visita, ma inutilmente.

Passeggiò nervosa a tratti: si sedeva sul divano a guardare la tv o a leggere una rivista, andava alla porta finestra, tornava indietro e ricominciava.

Alle otto di sera iniziò a maledire Valo.

Era preoccupata da morire; sbirciò la torre ma questa sembrava vuota e nessuna luce veniva dall'ultimo piano.

Stupido borioso di un finnico!” - pensò furiosa.

Furiosa con se stessa perché voleva vederlo.

Ti stai andando a cacciare in guai seri, Lucia... lascia stare: questa roba non fa per te!”

In compenso l'influenza sembrava passata del tutto, improvvisamente... l'indomani sarebbe tornata al lavoro e alla normalità: stare troppo tempo a casa a ciondolare in preda ad ansie e pensieri sul suo vicino di casa non le giovavano affatto!

Per ingannare il tempo senza torturarsi le unghie e consumare il percorso dal divano alla finestra, si struccò e si preparò per la notte, rendendosi conto di essere più stanca di quanto pensasse.

Cenò con la colazione che LUI le aveva lasciato quella mattina, deglutendo a fatica i bocconi.

La camomilla non fece nessun effetto sui suoi nervi, continuava a camminare su e giù per casa.

Alle nove e trenta si arrese al fatto che Valo quel giorno non si sarebbe sicuramente fatto vivo: demoralizzata, frustrata e con un groppo in gola s’infilò a letto alle nove e 47.

Non era mai successo in tutta la sua vita.

Quando si svegliò, il mattino successivo un pallido sole si affacciava dalle nuvole bianche e vaporose; Lou dopo una doccia veloce e un'opera di restauro non indifferente, uscì da casa per passare in galleria, dove Matleena e Julian la accolsero con un sorriso d’autentica gioia, in special modo Julian…

«Che ci fai tu qui? – le disse Mat andandole incontro e stringendola in un abbraccio. I suoi colleghi alla visione si bloccarono immobili per qualche istante sul posto, allibiti, ma scattarono immediatamente tornando al lavoro non appena Mat, come se avesse avuto gli occhi anche dietro la testa, si voltò fulminea. – ti avevo detto di tornare solo quando saresti stata meglio! Non puoi essere guarita in un solo giorno! Ma sono felice di vederti e... sono sicura di non essere la sola!»

«Sto bene... - rispose Lou ridendo sotto i baffi – Mi annoiavo a casa ed eccomi qui!»

«Lou...- sospirò Julian avvicinandosi con un sorriso brillante – sono contento che stai meglio! Matleena, sapevi che la nostra Lou è intima di Ville Valo, il cantante degli HIM?»

«Non sono intima. – precisò Lou, arrossendo – È solo il mio vicino di casa.»

Mat la guardò per un attimo, interdetta.

«Conosci quell’avanzo di galera?»– disse scoppiando in una risata.

«Come scusa? – balbettò Lou fissando Mat con disappunto – Come avanzo di galera?»

Matleena scoppiò a ridere.

«È stato mio alunno, quando insegnavo arte; per un breve periodo a dire la verità. Subito dopo ha smesso di venire a scuola. Un ragazzo che già allora aveva delle potenzialità, che si è perso per strada ma alla fine si è ritrovato spero... sono anni che non lo vedo. Prima passava a salutarmi di tanto in tanto.»

«Eri la sua insegnante?!» – esclamarono in coro Lou e Julian.

«Sì... non capisco il perché di quelle facce.»

In effetti non avrebbero dovuto stupirsi più di tanto: erano loro che comunque vedevano Valo come una star irraggiungibile o comunque non alla portata dei comuni mortali.

«È solo che non sapevo lo conoscessi, Mat... tutto qui!» – rispose piano Lou.

Era scappata via da casa proprio per non pensare a lui e tutti intorno a lei non facevano che ricordarglielo.

«E non solo: – aggiunse Julian gongolante – ha anche promesso che sarebbe venuto a visitare la mostra, accompagnato da Lou ovviamente!»

«Davvero? – chiese Mat guardando attentamente Lou e la sua espressione – Beh, se mai avvenisse, non voglio perdermi questo evento! E ora... al lavoro. Tutti e due.» – ordinò Mat, tornando Draghessa in mezzo secondo.

Finita la ricreazione.

Per Lou fu un sollievo: tornare al lavoro, un lavoro che lei amava molto, la distraeva sempre dai pensieri cupi e dalle ansie.

Arrivò sera prima di rendersene conto.

Julian come sempre si offrì di accompagnarla a casa ma lei rifiutò con gentilezza e tatto, dicendogli che preferiva andare con il tram e che doveva passare al super per fare la spesa.

Lui non insistette, ma la delusione era evidente sul viso.

Ovviamente non c'era nessuna spesa da fare; come sempre ricorrere alle balle anche se innocue non la faceva sentire a suo agio, ma questo faceva parte del gioco. Se voleva che il suo spazio vitale fosse vivibile, quello era l’unico compromesso con se stessa.

Scese una fermata prima. Aveva voglia di camminare e le piaceva farlo quando c’era la neve.

Fin da piccola, era come se fosse il suo habitat naturale: cresciuta in una cittadina di montagna, era abituata al freddo pungente, anche se lì era molto più accentuato rispetto al posto in cui era nata.

Arrivata davanti al cancello, ritirò la posta che trovò nella cassetta, sfogliandola mentre percorreva il vialetto.

Bollette, pubblicità, riviste di Nur che puntualmente non leggeva, opuscoli, una cartolina di Simone con un’opera d’arte sopra, con su scritto il messaggio a caratteri cubitali “Sto arrivandooo!!!” ed infine un foglio color crema senza busta, ripiegato a metà.

Lo aprì curiosa.

La gatta sta bene. Stanotte dorme da me. V.”

Ville.

Allora era passato e non l’aveva trovata...

Fissò quel pezzo di carta che le tremava tra le mani.

Accidenti a lui: bastava che qualcuno lo nominasse, o che sentisse il suo nome per mandarla nel pallone. Sfiorò con la punta del dito la sua inziale, con un sospiro.

Che mi hai fatto Valo?” – pensò entrando lentamente dentro casa.

Con uno sforzo enorme resistette alla voglia di guardare verso la torre.


******


La notte fuori casa della gatta diventarono due, poi tre.

Erano passati dieci giorni e Valo non si era fatto vedere, né aveva dato segni di vita. La torre restava spenta, tanto che Lou credeva che lui non fosse in casa, partito per chissà quali lidi insieme alla “loro” gatta.

Ma il suo sesto senso le diceva che invece lui c’era; semplicemente la stava ignorando o non pensava a lei e al fatto che magari avrebbe voluto almeno sapere che fine avesse fatto lui o la trovatella.

Stizzita ed irritata, era stata molte volte sul punto di attraversare i cinquecento metri che li separavano e bussare come un’ossessa alla sua porta.

Non era nel suo stile presentarsi a casa di qualcuno senza invito: specie qualcuno che lei voleva evitare, ma allo stesso tempo moriva dalla voglia di rivedere.

Nur non tornò come aveva promesso: le telefonò annunciandole che aveva avuto problemi con la compagnia e che le toccava fare la brava se voleva il trasferimento in tempi brevi, quindi accettare i voli e gli straordinari che ogni giorno le propinavano, con sadica determinazione.

Sbroccò non poco e Lou sopportò la sua filippica per venti minuti prima che qualcuno la richiamasse al dovere.

Passò quel fine settimana a concludere con fatica, il quadro che doveva spedire in Italia… la sua ispirazione era andata a farsi friggere e passò ore ed ore con il pennello in mano a fissare la tela incompleta.

Per fortuna in galleria andava tutto a meraviglia, tranne il fatto che ogni giorno Julian le chiedeva quando Valo sarebbe andato a vedere le sue opere. Opere che stavano riscuotendo un successo enorme, con soddisfazione sua e di Mat che non avevano dubitato per un attimo del suo talento.

Lou quella sera stava preparandosi all’arrivo di Simone che sarebbe arrivato nei prossimi giorni.

Non vedeva l’ora di rivedere il suo migliore amico; era passato un anno e mezzo dall’ultima volta che erano stati insieme, ossia dall’ultima sua visita in Italia.

Gli aveva riservato la stanza che di solito occupava Nur, pur sapendo con certezza matematica che avrebbe dormito nel suo letto insieme con lei, come sempre.

Il suono del citofono la spaventò come sempre.

Corse per vedere chi fosse, sperando non si trattasse di Julian: quella sera non aveva proprio voglia di glissare le sue avance. Era già stressante sopportarle durante tutta la giornata.

«Sì?» – rispose con voce allarmata.

Era raro che qualcuno suonasse al suo citofono e le facesse visita, a parte il postino.

«Sono io. Posso vederti?»


Capriole e farfalle morte nella pancia.


«Io chi?» – chiese gelida.

Ovviamente avrebbe riconosciuto quella voce anche in punto di morte.

Ma il suo caratteraccio veniva a galla; e lui pareva avere una corsia preferenziale nel farla alterare in un millesimo di secondo.

Una risata bassa e sensuale al di là dei circuiti e fili e il suo stomaco si contrasse.


Maledetto.”

«Sono il Sig. Valo…» – rispose in tono canzonatorio lui.

Che vuoi?! – avrebbe voluto urlargli, invece si sforzò di dare alla sua voce il tono più gelido possibile-

«Ti apro.»

«Grazie.» Ancora una bassa risata.

Se lo immaginava quasi, con quel suo viso spigoloso e gli occhi che mandavano divertiti bagliori verdi.

Gettò uno sguardo allo specchio accanto alla porta, (specchio che Nur aveva posizionato in maniera strategica per “un’ultima occhiata prima di uscire di casa”) per controllare in che condizioni fosse e sorrise soddisfatta.

Quella sera non si era ancora struccata e stava decisamente bene con gli occhi contornati di marrone scuro che brillavano con l’uso sapiente di matita e ombretti luminosi.

Respira. Respira. Cerca di non saltargli al collo con la voglia di strozzarlo alla prima cosa che dice. E soprattutto, vedi di non toccargli il sedere. Resisti.”

Si ripeteva il mantra mentre gli apriva la porta.

Ed eccolo lì davanti a lei con la testa della gatta che spuntava dalla sua giacca e che la fissava con aria di superiorità.

Andiamo bene. Dieci soli giorni e ha preso il piglio del Valo e l’aria da diva.”

«Accomodatevi.»- disse acida, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi.

Stavolta era lei che si stava negando la giada.

Valo entrò nel salotto e posò la gatta per terra. Questa iniziò ad ispezionare senza mai allontanarsi molto dalle sue gambe e lo seguiva passo passo.

«Posso offrirti qualcosa?» – gli chiese, fissando un punto imprecisato al centro del suo petto.

«Cos’hai di buono per me?»

Stramaledetto”.

Decise di non farsi fregare stavolta e stette al gioco con freddezza.

«Cosa preferiresti?»

Silenzio.

Non guardarlo, non guardarlo…”

«Stupiscimi.»

«Caffè? Tisana? Tè? Latte caldo? Non ho alcolici in casa.»

Bromuro?!” – aggiunse mentalmente.

«Non bevo alcolici.»

Il tono della sua voce e la nota che vi sentì le fece alzare gli occhi e, finalmente, guardarlo negli occhi.

Ville la guardava tra il divertito e l’irritato come sempre.

E come sempre lei iniziava a deconcentrarsi alla vista dei suoi occhi e di quello che vi leggeva.

«La sopporti la caffeina?» - gli chiese lei piatta, deglutendo a vuoto.

«Sì, la reggo.»

Risatina.


«Allora ti faccio il mio caffè italiano.»

«Perfetto.»

Trafficò con macchinetta e caffè macinato e, quando si girò, se lo trovò a poca distanza che seguiva attento, appoggiato al muretto basso della cucina, tutti i suoi movimenti.

«Interessante procedimento: quando sono stato in Italia durante i concerti, l’ho bevuto. E’ molto forte, mi piace… ma era quello dell’hotel. Penso non sia lo stesso.»

«È ottimo ugualmente: la differenza sta solo nella macchinetta.»- rispose lei allarmata dal trovarselo così vicino.

Era peggio di un gatto: si muoveva di soppiatto in totale silenzio.

Continuava ad evitare di guardarlo: non voleva che capisse quanto la turbasse.

Le tremavano le mani. Maledicendosi per il suo scarso autocontrollo portò la conversazione su un terreno che credeva fosse meno pericoloso.

«Pensavo tornassi nel pomeriggio, come avevi detto quando hai portato via la micia. Ero preoccupata.»

«Pensavo di farti un favore, lasciandoti libera dall’occuparti di lei tutta la notte, così avresti potuto concentrarti sul tuo amico artista.»

Si bloccò con la tazzina in mano, indecisa se lanciargliela in faccia o no.

La stava per caso insultando?! Lo fissò con occhi spalancati.

«Come dici, scusa?»

«Ho detto che pensavo…» - ripeté lui con gli occhi stretti, raddrizzandosi all’istante.

«Ho capito che hai detto!- ribatté Lou ad alta voce – E ho capito anche l’insulto che c’è sotto! Per chi mi hai preso?»

«Perché ti stai arrabbiando, Lou? Non c’è nessun insulto…»– chiese lui con aria rilassata ma gli occhi vigili che fissavano la sua mano stretta sulla tazzina.

Si potrei lanciartela su quella faccia elegante che hai, stupido!”

«Ti ho solo detto che in quel modo potevi stare col tuo ragazzo, senza preoccuparti del gatto.»

«Julian non è il mio ragazzo!»

«Lui lo sa? – rise Ville – Perché da come ti guardava e dalla tua aria rilassata e ridente, mi era parso che eravate in piena sintonia e molto impegnati.»

«Beh, pensi male! È solo un amico, un artista che sto seguendo e una persona piacevole!» - calcò la voce sull' ultima parola, per sottolineare quanto lui non lo fosse.

«Capisco… bene, quindi se ora ti baciassi, non ci sarebbe nulla di male.» – disse serio con gli occhi puntati sulla sua bocca.

La tazzina rischiò di volarle via dalla mano.

«Eh?!» – con un filo di voce lo guardò senza riuscire a dire nient’altro.

Con movimento felino aggirò il muretto per arrivarle vicino intrappolandola contro il lavello.

Le tolse la tazzina dalle mani e la posò lentamente e con calma sul ripiano.

«Hai capito bene quello che ho detto, ma forse devo mostrartelo…»

«Piantala di fare il play boy!» – disse secca, senza fiato.

Lui scoppiò in una risata roca e la prese tra le braccia, affondando il viso fra i capelli, inspirando forte.

Lou rimase rigida, incapace di muoversi o di respirare.

Ville si scostò per guardarla in viso, tenendole una mano sul collo, delicatamente.

«Mia “Prinsessa”… sei adorabile quando ti arrabbi.» – mormorò piano.

La teneva incatenata con gli occhi, ora così vicini. Lou sentiva il suo respiro sul viso e la voce la faceva fremere.

Mille brividi le correvano lungo la schiena.

Istanti lunghi un'eternità sembrarono passare, lui continuava a guardarla senza fare nulla, Lou annientata con le braccia lungo il corpo... e in quell'istante il gorgoglìo del caffè che veniva su fu l'unico rumore in casa. E la sua salvezza.

«Salvata dalla caffeina...» - mormorò sorridendo, lasciandola libera.

Lou impiegò qualche secondo per riprendere fiato, si girò per spegnere il gas impiegando più tempo del dovuto, vista un'azione così semplice.

Un respiro. Poi un altro. Ecco brava... ”

Sentiva ancora che le stava troppo vicino, quasi avvertiva il calore del corpo di lui attraverso gli abiti.

Uno strusciarsi sui piedi nudi di Lou. La micia le stava leccando il pollice del piede e lo zampettava a colpi leggeri.

Abbassò lo sguardo sul gatto che miagolava piano e Ville si allontanò da lei quel tanto che bastava per farla muovere.

«Ecco... ho messo un cucchiaino solo di zucchero: - gli disse con voce che voleva essere neutrale ma risultò acuta anche alle sue orecchie - dimmi se così va bene.»

Ville le prese la tazzina dalle mani e inspirò l'aroma, sorridendole da sopra il bordo.

«È perfetto così, le cose troppo dolci non mi piacciono...»

«Ci avrei scommesso.»

Ancora un sorriso assassino.

Se continuava con quella tensione, si sarebbe spezzata da un momento all'altro.

«Tu non lo bevi?» - le chiese lui.

«Non stasera... non riesco a dormire se prendo caffè di sera.»

Sono già un fascio di nervi, mi manca solo il caffè.”

Lou si chinò per giocare con la gattina che le piantò le unghie aguzze in una mano quando la prese in braccio; per tutta risposta si beccò un colpetto di rimprovero sul muso.

«È già viziata. Ha avuto l'imprinting con te, ha preso la tua aria da...» - si fermò prima di dire altro.

«La mia aria da?»

«Da divo.»

«Ho l’aria da divo?»

«Lo sei.»

«Uhm...»

Lou e una gatta che cercava di sfuggirle dalle mani tenuta fermamente, si accomodarono sul divano, dove lui le seguì poco dopo.

Lou si allontanò impercettibilmente e lui le sorrise letale.

Piantala di farmi agitare Valo...”

«Il veterinario dice che sta bene, comunque; - disse lui all'improvviso – e scusa se non sono venuto prima, ma ero distratto... stavo scrivendo.»

Per dieci giorni consecutivi!? Bugiardo.”

«Capisco.»

Bugiarda.

«Beh, grazie per essertene preso cura... ora ci penserò io a lei.» - gli disse Lou.

«E quando si è deciso che lei deve rimanere qui con te?»

Lou lo guardò con ovvietà.

«L'ho trovata io.»

«Non è tecnicamente giusto: sono arrivato prima io.»

«Era nel mio vialetto. E ora che ci penso, il cancello era chiuso: come hai fatto ad entrare?»

«L'ho scavalcato.» – rispose Ville alzando le spalle.

«È violazione di proprietà privata.» - disse lei stringendo gli occhi.

«Vuoi denunciarmi?»

Era divertito, oh lo vedeva. La stizza di Lou non faceva che far allargare il suo sorriso da malandrino ogni minuto che passava.

«Stavolta no.»

«Oh oh...» - la canzonò lui con gli occhi che ridevano.

Stramaledetto gatto gigante.”

«Lei la tengo io. Hai mai avuto un gatto tu? Sai come occupartene?»

«L'ho tenuta per dieci giorni e sta benissimo, come puoi vedere tu stessa. Lei rimane con me e tu potrai vederla quando vuoi.»

«Come sarebbe a dire che posso vederla quando voglio?! Semmai sei tu che puoi venire quando vuoi a vederla, visto che ormai qui sei di casa! Lei rimane con me, non c'è niente da discutere ancora!»

Anche se questo voleva dire che lo avrebbe visto più di quanto volesse.

Ville strinse gli occhi minaccioso.

Non mi spaventi Valo, anche se, con quei laser verdi, potresti incenerirmi all'istante.”

Ricambiò lo sguardo minaccioso.

«Questo è un bel problema: perché vedi, anch' io voglio tenerla. Hai una soluzione che possa andare bene ad entrambi?» - chiese lui conciliante.

«No.»

«Io sì: la teniamo una settimana ciascuno. E quando uno di noi due non potrà occuparsene, l'altro lo sostituirà.»

«In questo modo la confonderemo e non riconoscerà qual è la sua vera casa.»

«Vale la pena provare, no? Non vorrai che mi presenti qui ogni giorno interrompendo i tuoi appuntamenti quando è meno opportuno, vero?» - chiese malizioso.

«Io non ho appuntamenti!»- ribadì lei.

«Allora che proponi?»

Di andartene al diavolo!”

«Proviamo una settimana ciascuno, ma se lei non starà bene allora, rimarrà con quello che se ne occupa meglio.»- acconsentì Lou a denti stretti.

«Affare fatto.» - le tese la mano, che lei guardò con un sopracciglio alzato.

«Non c'è bisogno della stretta di mano.» - rispose serrando le dita intorno al gatto che si lamentò.

«Come vuoi...»- rispose ridendo lui, rilassandosi contro lo schienale del divano.

Ora che avevano concluso l'accordo poteva anche andarsene, ma da come si era spaparanzato non pareva ne avesse intenzione.

Lou posò il gatto per terra che subito andò a rifugiarsi dietro le gambe lunghe e magre di Ville.

Traditrice!”

«Bisogna trovarle un nome... - disse lei – Hai già pensato anche a questo?»

«Non ancora. E tu?»

«No. Al momento non mi viene nessun nome.»

A parte 'infame di una gatta'...”

Ville si chinò a raccoglierla prendendole il musetto tra le mani, fissandola negli occhi.

«Come ti chiamiamo, bellezza?»- mormorava lui, tirando su col naso.

Era raffreddato anche lui? L'uomo delle nevi?”

La “bellezza” lo guardava adorante e gli faceva fusa rumorose come un trattore.

Umpfh!”

«Se preferite vi lascio soli a tubare.» - disse Lou in tono più acido di quanto volesse.

«Non essere gelosa...» - disse lui con uno sguardo obliquo e parecchio compiaciuto.

«Io non sono...» - iniziò Lou scandendo le parole, ma si rese conto che lui ghignava e lasciò perdere.

Le mani stavano iniziando a pruderle per la voglia di schiaffeggiare Valo.

«Come si dice gatto in finlandese?» - cambiò argomento, dopo aver contato fino a venti.

Ville alzò gli occhi e la guardò sorridendo.

Anf...”

«*Katty.»

«Che ne pensi? Mi sembra carino.»

«È banale e generico: per lei ci vuole qualcosa di speciale...»

Lou incrociò le braccia, offesa.

«Ne troveremo uno adatto a lei, vedrai... - Ville ghignava sotto i baffi – Vieni qui Lou.»

«Perché?»

«Per guardarla meglio da vicino. La gatta intendo. - inclinò la testa di lato – Sei tesa per caso?»

Adesso lo ammazzo.”

«Non sono tesa.»

«Allora avvicinati, non ti mangiamo.»

«Sto bene qui. Vi vedo bene entrambi.»

Anche troppo.”

Con un sospiro Ville diminuì la distanza tra loro avvicinandosi.

Lou sarebbe schizzata via se non avesse voluto dargli la soddisfazione di allargare il ghigno ancora di più.

«Sai, così non te la farai amica... È molto gelosa di me.»

E in effetti “la diva” la fissava a occhi socchiusi, controllando ogni sua possibile mossa.

Cazzate...”

«Tienila...» – le disse passandogliela con delicatezza.

Le mani calde di lui sfiorarono quelle fredde di Lou, ma al contrario di quanto si sarebbe aspettata, lui continuava a stringere la gatta che già si agitava.

Tenne entrambe le mani sopra le sue, fino a che la selvatica sembrò calma; poi ne tolse una e con l'altra continuò a grattarle il muso.

Lou con le mani bloccate tra il gatto morbido e le sue mani calde, non osava neanche respirare.

Come una cosa tanto dolce poteva essere altrettanto sensuale e intima?

Semplice: era lui.

Era lui che ogni volta che la guardava il suo stomaco si contraeva, lasciandola con la salivazione a zero.

E non era perché era Ville Valo, il cantante.

Ma perché era... lui.

Lou non era affatto affascinata dalla sua fama, non gliene poteva fregare di meno.

Aveva vissuto tre anni come sua vicina di casa e non solo non lo aveva mai incontrato, ma non era neanche mai stata interessata a farlo.

Nel momento in cui si erano visti la prima volta, lei aveva intuito che quell'uomo le avrebbe portato una marea di pensieri e con essi guai.

O erano i guai che andavano a cercarla?

«Hai le mani fredde...»- le stava dicendo lui.

«Sì, scusa... sono quasi sempre fredde.»

La mano di lui si strinse la sua e una vampata di calore le salì fino alle orecchie.

«Non sei abituata al nostro clima rigido.»

«No, in realtà nel posto in cui sono nata, il clima è molto simile al vostro... sono cresciuta in una cittadina di montagna: sono abituata alla neve e al freddo. Le mie mani sono sempre fredde, a volte anche in estate...»

«Forse il tuo sangue non scorre abbastanza velocemente.»

Oh no, ti assicuro che sta andando come un razzo...”

Pensieri impuri le scorrevano davanti agli occhi e Lou arrossì fino alla punta dei capelli.

E il fatto che lui le stesse accarezzando il polso non aiutava...

Se non la smette immediatamente, gli salto addosso!”

Ville sembrò leggerle nel pensiero perché fece un sorriso da Stregatto, soddisfatto e sornione.

«Ti manca l'Italia?»

Perché quell'uomo non faceva mai qualcosa di scontato?

Passava da un argomento all'altro come se niente fosse.

«Sì, mi manca molto a volte... mi manca parlare l' italiano, la mia famiglia, i miei amici.»

«Perché sei qui in Finlandia?» - chiese continuando a tenerle la mano.

«Ero venuta a vivere qui con il mio fidanzato.» - tagliò corto lei.

«E lui dov'è ora?»

Pareva non gliene fregasse granché dell'occhiataccia che lei gli lanciò cercando di fargli capire che non era il caso di approfondire l'argomento.

«Con tutta probabilità all'inferno... - rispose lei sibilando – O con la sua nuova compagna.»

«E tu invece di tornare a casa tua, nel posto che dici ti manca, quando è finita la vostra storia sei rimasta qui: perché?»

Valo, un etto di fatti tuoi?!”

«Perché nel frattempo qui avevo trovato qualcosa che probabilmente in Italia ci avrei messo anni a trovare: un lavoro, una casa tutta mia, l'indipendenza economica e personale. E poi mi piace stare qui. A parte la lingua... non mi riesce proprio di impararla bene.»

«Vuoi che ti insegni?» - le chiese in un soffio.

Brivido.

«No, grazie, non sono molto brava con le lingue.» - rispose pentendosi immediatamente per avergli servito un assist da autogol.

«Non so perché ma credo che tu invece sia molto brava... con le lingue.»

Ecco. Così impari, Lucia.”

Sarebbe morta in autocombustione in una bella fiammata, se non la finiva di guardarla con gli occhi socchiusi e in tralice.

E di toccarla in quel modo.

«Ville... ti vibra qualcosa nei pantaloni.» - gli disse lei.

«Come?!» - pensando ad una battuta lui rise piano.

Invece era proprio il suo cellulare che vibrava, ma lui preso a fare il dongiovanni non lo aveva sentito.

«Oh!» - tirò fuori il cellulare fissandolo come un oggetto misterioso che per caso gli era capitato fra le mani.

«Non rispondi?»

«Non voglio essere distratto.»

«Distratto da cosa?»

«Da qualsiasi cosa a parte te, ovviamente.»

«Smettila di fare il cascamorto, Ville.»

«Non so cosa vuoi dire...» - ribatté avvicinandosi ancora.

«Stai giocando e non mi piace. - ansimò Lou – Smettila.»

«Non gioco mai Lou, se qualcuno attira la mia attenzione non è per giocare. Sono abbastanza palloso per le donne.» - le disse spostandole le ciocche di capelli indietro sulle spalle lasciandole scoperti la gola e il collo.

Attirato la sua attenzione? Che gioco era? Non si stava divertendo. LEI.”

Lou sentiva che le orecchie stavano per fumare. Un altro centimetro e si sarebbe fusa con il divano.

La gatta si lamentò per la stretta incontrollata delle mani di Lou e Ville la prese per posarla dall'altra parte del divano.

Miagolio di protesta.

«Hai paura di me, Lou?» - le chiese lui tornando con la mano sul collo passandovi lento il dito dall'orecchio al contorno delle labbra.

«No... solo non mi piace essere braccata... - si divincolò dal tocco della sua mano, allontanandosi ulteriormente da lui - E non te la prendere: ma non ho voglia di storie di nessun tipo con nessuno.»


Anche se sono belli come lo sei tu... ”

«Uhm... capisco. Quindi dovrei credere che non ti piaccio e che vuoi avere con me solo un rapporto amichevole?»

Stupido borioso di un finnico!”

«Di quello che tu pensi, Ville, non m’importa... però sì, mi piacerebbe esserti amica, dal momento che siamo costretti all' ”affidamento congiunto” di un felino!»

«Puoi sempre rinunciare a lei, se ti pesa.»

ARGHHHH!! ADESSO GLI TIRO UN PUGNO!”

«Sai che sei irritante, Valo?»

«Sì, lo so!» - rispose lui trionfante.

«Ti spiacerebbe allora piantarla di fare il play boy con me? Hai schiere di donne pronte a tutto per te, che potrebbero esaudire ogni tuo desiderio... non perdere tempo con me.»

«Mi piacciono le sfide.»

«Nessuna sfida. Non mi interessi.»

Sì certo, come no...”.

Lou era infastidita dal suo modo di fare. Finora non aveva fatto una cosa normale.

Le ricordava troppo Andrea e il suo affascinante placcaggio...

Aveva cambiato atteggiamento ogni 24 ore: qual'era il vero Ville?

Lui rise piano: era ovvio che non credeva ad una sola parola di quello che lei gli diceva.

«A questo credo poco, vista la confidenza che hai avuto con il mio didietro... - le indirizzò un sorriso smagliante - e SO che non ti sono indifferente. Ora la domanda è: per quanto tempo credi di andare avanti con questa storia?»

«Ma chi ti credi di essere, Ville? Senti, non voglio discutere di queste cose... Non mi conosci affatto, non sai nulla di me, non osare dire di sapere cosa provo o cosa penso!»

«Ti sbagli... so molte cose di te e sono tutte cose che tu non mi diresti mai.»

«Sarebbe a dire?» - sbottò Lou incrociando le braccia.

«Tu non dormi bene. Fatichi a prendere sonno la sera, ti piace leggere davanti alla finestra. T’immedesimi così tanto in ciò che leggi che riesco a capire quasi cosa provi dall' espressione che vedo sul tuo viso; ti piace raggomitolarti e sentire il calore dietro di te, ma sei quasi sempre a piedi nudi e ogni tanto te li massaggi cercando di scaldarli, senza smettere di leggere. Ti avvolgi sempre una ciocca di capelli dalla parte sinistra del viso, perché con la destra sfogli le pagine.

Quando usi il computer spesso ridi a crepapelle per quello che stai leggendo e il tuo viso è sempre sereno in quei momenti... forse qualcuno che ami e che ti ama, ti rende felice... in quei momenti scrivi velocemente sui tasti e ridi spesso.

Ti piace la pioggia e passeggiare anche quando diluvia, anche se ti rende più malinconica; quando c'è il sole ti piace uscire al tramonto o al mattino presto, senza essere andata a dormire. Tieni al tuo spazio: a volte anche quando c'è Nur hai bisogno di stare sola per conto tuo e ti chiudi in camera a dipingere o ascoltare musica.

Spesso al mattino ti svegli piangendo e fatichi a nasconderlo. Sei generosa e discreta. Ti piace renderti utile senza invadere lo spazio altrui, come fai con il sig. Korhonen.

Devo continuare?»

Lou rimase a bocca aperta, indecisa se offendersi o esserne lusingata.

«Fammi capire una cosa: – disse sibilando – è così che passi il tuo tempo? Spiando i vicini di casa?!»

«Solo quelli che mi interessano.» - rispose lui senza scomporsi.

Ignorò la sua frase e lo guardò male sperando fosse chiaro che non lo trovava affatto un complimento.

«Non hai niente di meglio da fare che stare a spiare me? Questo si chiama impicciarsi se non addirittura fare lo stalker!» - rincarò la dose lei.

Lui continuò a guardarla senza batter ciglio.

«Non sei più una bambina, Lou. Smettila di fare l'offesa...»

Lei annaspò alla ricerca di parole adatte per mandarlo a quel paese e mettere a posto quello stupido saccente che pensava di conoscerla!

«La verità è che tu hai paura. Hai paura di tutto quello che provi e che non sai gestire. Hai paura se qualcuno ti trova bella e desiderabile. Hai paura di lasciar vedere i tuoi veri pensieri. E in questo momento hai paura di me...

E non perché sono io; potrei anche incassare un no, non è la prima volta che succede, credimi. - la interruppe lui - Sopravvivrò lo stesso, nonostante il mio immenso orgoglio ferito.

Ma vedo come mi guardi, perché è lo stesso modo in cui io guardo te. Mi piaci, non te lo nascondo. Anzi, voglio che tu sappia che mi piaci. E tanto anche. E sarebbe maturo da parte tua smettere di scappare e lasciarti andare. Sei una donna adulta, ma ti comporti come una ragazza alle prime armi. Ed io so bene, intuisco che non sei così. Non so cosa sia successo nella tua vita, per farti scappare via dai sentimenti: ma vedi, ognuno di noi ha avuto la sue batoste e delusioni. Questo però non deve impedirti di amare di nuovo, di vivere la tua vita in maniera naturale, senza negarti nulla. Tu sei triste Lou. La tristezza è un sentimento che resta nel cuore delle persone, come il dolore... come l'amore.

Ed io conosco bene tutti questi sentimenti.»

Per un lungo minuto Lou non seppe far altro che fissarlo.

Ogni parola di Ville era come un pugno allo stomaco, anche se lo aveva detto in modo dolce, era stato diretto. Come aveva fatto Nur in tante occasioni, le aveva spiattellato in faccia tutto quello che lei cercava con immensa fatica di nascondere. Le aveva parlato con calma, guardandola dritto negli occhi, senza nessun tono di scherno o superiorità: e con parole semplici che le erano arrivate dritte al cuore, scandagliandola con quei chiari laghi di giada.

Il nodo in gola si formò e crebbe a dismisura.

Se un estraneo era capace di vedere quello in lei, allora non era affatto brava a nascondersi;

se dopo tutta la fatica per tornare a vivere una vita normale e serena, c'era qualcuno che era in grado di capire che moriva dalla paura di legarsi, allora aveva fallito e tutti potevano vedere quanto fragile ancora fosse.

Le lacrime trattenute volevano scorrere e trovare finalmente una via di fuga da dove lei, costantemente le ricacciava indietro. Si alzò di scatto cercando rifugio vicino alla finestra, respirando a lunghe boccate.

Si sentiva scoperta e vulnerabile e tutto ciò non le piaceva affatto.

E non voleva piangere, non davanti a lui.

Ville aveva ragione e lei lo sapeva. Stava fuggendo da lui non perché non le interessava.

Al contrario: lui le piaceva così tanto che se la faceva sotto da morire.

E lui lo aveva capito.

E le stava dicendo che lei gli piaceva... lei, Lou la sfigata donna italiana e banale, piaceva a Ville Valo.

Non trovava niente da rispondergli, niente di intelligente da dirgli.

E stava cercando con tutta se stessa di non buttarsi a terra piangendo e urlando.

Ville le si avvicinò con calma, lei lo vide dal riflesso del vetro.

Era proprio dietro di lei, ma non la stava toccando. Cercò i suoi occhi in quel riflesso.

Non disse nulla neanche lui: aveva già detto troppo forse. Aveva già detto tutto.

Lo sapeva lei e lo sapeva lui.

Ora forse attendeva una risposta.

In alto nel cielo c'era una luna quasi piena.

Lou la fissò per un istante.

Si girò piano e gli appoggiò la testa sul petto, passandogli le braccia intorno alla vita sottile e magra, stringendosi a lui.

Ville ricambiò la stretta posandole il mento sui capelli, avvolgendola nelle sue braccia.

Lou non seppe dire quanto tempo fossero rimasti così, immobili, stretti l'uno all'altro, davanti alla finestra...

Ma quando si separarono, la luna nel cielo aveva cambiato posizione.


******


Angolo di quella che pensa di essere autrice:

Bene eccoci qui... questo capitolo penso farà fare indigestione di zucchero a tutte...
Allora che ne pensate?!?! È abbastanza Valo?!?!
Doverosi i ringraziamenti come sempre per le mie due Beta: Cicci-Vivi e Pulci-Sara; come farei senza di voi?!
Grazie anche a SeleValo e ad Echelena "Grande Sciamana degli Ormoni" e Arwen 85, aka Sistwer!!
Anche per te una menzione speciale Lady Angel 2002: grazie per i complimenti e per la fiducia, anche se non sei fan del Valo o degli Him! ;)
E invece tu si che sei fan: bacissimi e grazie anche a te Villina 92!
Un grazie enorme anche alle mie patatine: Tesò Nicky, aka Apina Curiosa, aka stalker, aka terza testa del "Cerbero", (le sue recensioni meriterebbero una fan fic a parte!!XD) ;

Ilaria, Margherita, Silvia-Love, Marianna e Fenghera (che ha ribattezzato Julian: ormai per gli amici è Enzo...); XD

Grazie per i vostri commenti e il sostegno! <3
Grazie anche a chi legge, magari, e non commenta: sarebbe bello sapere che ne pensate di questa storia!
Non immaginate quanto sia importante per gli autori sapere che i propri sforzi sono apprezzati!

* Ps: mi sembra superfluo dire che sappiamo tutti che gatto in finlandese è "Kissa"... ma ai fini dela storia mi piaceva di più Katty e foneticamente è più bello, quindi pace. ;)


Non siate timidi e lasciatemi un commento o un messaggio privato! *H_T*

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo sei - “In a place that's warm and dark...” ***


10906162-10205045157702818-7976112863552748391-n

Capitolo sei

"In a place that's warm and dark"


«Graaaaaaaaaceeeeeeeeeeeeeeeee!»

La voce di Simone sovrastò per un secondo anche il frastuono del terminal dell’aeroporto. Lou si fece largo tra la folla per correre incontro al suo amico.

Simone non appena fu abbastanza vicino mollò la borsa che aveva a tracolla e aprì le braccia per accoglierla.

Lou si lanciò addosso all’amico avvinghiandosi e coprendogli il viso di baci.

Ad un occhio esterno sarebbero potuti passare per una coppia di fidanzatini. Invece erano molto di più.

«Will, Will, Will…» - ripeteva Lou con una gran voglia di piangere.

«Ehi, mi stai soffocando!» – disse Simone cercando di respirare nonostante la stretta delle braccia di Lou che gli cingevano il collo. La prese per le braccia allontanandola da lui e posandola a terra.

Si squadrarono in mezzo alla marea di gente intorno a loro, immobili rispetto a tutti.

«Non starai per piangere, vero? – la prese in giro lui, con la sua voce dolce e musicale - fatti guardare. Non hai un bell’aspetto Grace. Sei troppo pallida e…- indicò le sopracciglia – cosa vuoi fare? Somigliare alla Kalo anche come look? Le tue sopracciglia hanno bisogno di una sfoltita...»

Lou sorrise. Il suo adorato amico che non la mandava a dire.

«Mi sei mancato, Will…» - disse Lou stringendosi a lui.

«Anche tu… - la fissò negli occhi dopo averla stretta ancora a sé, ma non disse nulla. Non gli era sfuggito il fatto che gli si era aggrappata come fa una che sta per affogare ad un salvagente - Vieni usciamo da qui, prima che la gente speri in una copulazione pubblica…»

«Porca vacca se fa freddo qui! Come fai a resistere e non aver voglia di scappare via?»- disse non appena uscirono all’esterno e si avviarono alla fermata del taxi, stando attenti a non cadere sul ghiaccio. La neve era quasi sciolta ma si era formato uno spesso strato di ghiaccio che rendeva la stabilità del suo amico alquanto improbabile.

Lou si strinse al braccio di Simone ridendo.

«Amo la neve lo sai, è un bel posto… se ci si abitua.»

«Grace, tu non sei normale. Questo lo sappiamo. Cazzo che freddo!»

«Non urlare! – scoppiò a ridere Lou, notando che Simone era l’unico essere vivente che parlava ad alta voce. Faceva più rumore lui che tutti gli altri presenti alla fermata messi insieme. – ci stanno guardando tutti!»

«Ci guardano perché io sono stupendo, tesoro…» – rispose lui.

E in effetti, Simone era più bello che mai.

I suoi capelli biondi erano più lunghi rispetto ad un anno e mezzo prima; si era fatto crescere la barbetta che ovviamente lui portava curata.

Era sempre magro e alto, ma più muscoloso rispetto ai tempi dell’Accademia.

«È vero: sei un gran figo… hai fatto palestra, per caso?»

«Piscina mia cara… lunghe vasche; ore ed ore con il pisello a mollo…»

«Uhm… fammi indovinare: c’è un istruttore bono!»

«Ovviamente! Per quale altro motivo mi sottoporrei a torture fisiche se non per rimorchiare?»

«Non cambi mai…» - disse Lou scuotendo la testa.

Salirono sul taxi e lei diede l’indirizzo al conducente, dopo che questi aveva messo nel bagagliaio le valigie di Simone.

«Com’è andato il viaggio?» – chiese Lou, prendendo la mano di lui, intrecciando le dita alle sue.

«Un vero inferno! Sono capitato nel sedile centrale tra un grassone che sudava e un moccioso che per tutto il viaggio non ha fatto altro che mangiare schifezze, spargendole ovunque! Lo avrei strozzato con le mie mani!»

Lou si beava della visione dello splendido viso del suo migliore amico: le veniva da piangere al sentir parlare la sua lingua e si rese conto di quanto le mancasse tutto.

Non smetteva di guardarlo adorante, seguendo ogni parola che diceva, d’ogni suo tono o inflessione.

Simone le passò un braccio intorno alle spalle mentre lei gli indicava passando questo o quel palazzo. Gli fece vedere il posto in cui lei lavorava e lui chiese di portarlo al più presto a visitare la galleria.

Era arrivata per un pelo, appena poco prima che Simone uscisse nell’atrio degli arrivals.

Si era svegliata tardi e non aveva sentito la sveglia suonare…

Da quando Ville era stato a casa sua cinque giorni prima, non aveva più dormito bene... non che prima lo facesse, ma non era più riuscita a concentrarsi neanche al lavoro; pensava e ripensava alle sue parole.

Quando si era calmata e aveva ripreso il controllo di sé, tra le braccia di Ville che non aveva smesso di tenerla stretta a sé, lì davanti alla porta finestra, aveva alzato il viso per guardarlo negli occhi.

Lui le aveva sorriso nel modo più dolce che avesse mai visto sul viso di un uomo.

Le aveva preso le mani, baciandole i polsi, non smettendo di guardarla fisso negli occhi.

Si era sentita morire. Le labbra morbide e sensuali di lui le avevano lasciato una scia di baci lievi su tutto il polso e l’interno del braccio.

Le aveva baciato i palmi delle mani, per poi posarle sul suo viso, chiudendo gli occhi.

Lou gli aveva sfiorato quel viso spigoloso e magro, toccandogli le palpebre, la linea del naso e la curva delle labbra.

Poi aveva fatto lo stesso gesto: aveva preso le sue mani e gli aveva baciato la punta delle dita, il palmo e se le era avvicinate al viso, che lui aveva preso delicatamente come per osservare un fiore.

Sembrava non avere nessuna fretta, era lento nei movimenti, attento, quasi avesse paura che lei svanisse da un momento all’altro.

Lou era senza fiato.

Nessuno era mai stato così dolce con lei…

Non sapeva cosa lui si aspettasse… le aveva detto ciò che provava e lei stentava a credere che uno come lui potesse essere attratto da una ragazza come lei.

Non aveva niente di speciale, era timida e insicura. E con un pessimo carattere.

Quasi avesse sentito i suoi pensieri, le disse sussurrando:

«Non ho nessuna fretta Lou… Potrei stare ore a guardarti e a toccarti in questo modo…»

Lei si era stretta di nuovo a lui.

Se solo fosse stata capace di fargli capire in che modo lui la sconvolgeva... non era solo perché era così bello... no.

Lui aveva un modo di parlarle e di stanarla che la mandava su tutte le furie; sembrava leggerle nella mente e sapere esattamente cosa le passasse per la testa.

Non si curava della sua freddezza e ignorava con ironia i suoi metodi, che avevano davvero uno scarso risultato, per prendere le distanze da lui.

La prendeva in giro con dolcezza, come se sapesse benissimo che sotto tutto quel ghiaccio c'era un fuoco che chiedeva solo di essere riportato in vita.

Nonostante tutto lei non aveva paura di lui, si fidava stranamente di quello che le diceva: i suoi occhi erano sinceri. Se è vero che gli occhi sono lo specchio dell' anima, quella di Ville oltre che bellissima doveva essere limpida come i suoi occhi.

Solo chi ha conosciuto l'inferno ed era tornato indietro poteva avere quella serenità e fermezza... solo chi sapeva cosa c'era in gioco e capiva il valore vero delle cose, non si curava più del superfluo.

Lei aveva l'impressione che lui fosse uno che viveva la sua interiorità con tutto se stesso, uno alla continua ricerca... di qualcosa di meglio.

O forse era quella l'idea che voleva avere di lui... ora stava a lei scoprirlo.

Lui non si era nascosto e le aveva detto quello che pensava, senza ulteriori giochi.

Era spaventata a morte... si strinse a lui, volendo quasi fondersi con quel corpo magro eppure forte.

Le dava stranamente conforto... era familiare...

A cosa serviva fare la difficile ora? Lui l'aveva messa a nudo anche ai suoi occhi...

Non aveva alcun senso ora metterlo alla porta del suo cuore: in qualche modo aveva aggirato i sistemi di sicurezza con poche mosse e parole ben ponderate.

Sperava solo di non sbagliarsi: non dopo tutta la fatica impiegata a ritrovare un minimo di equilibrio e stima in se stessa.

Sciogliendosi dal suo abbraccio lo aveva guidato fino in camera da letto.

Non aveva lasciato la sua mano mentre si sedeva sul letto e lui le si era seduto accanto.

«Ville… non sono in grado di parlare ora, perdonami. So che ti aspetti che dica qualcosa, ma ho paura che possa esplodere in modo incontrollato tutto quello che c’è dentro. Mi darai tempo anche per questo?»

«Ti darò tutto il tempo che vuoi, non ho fretta… te l’ho detto.»

Lei gli aveva accarezzato i capelli: aveva desiderato farlo da quando lo aveva visto la prima volta.

«Se continui a lisciarmi così, sarà difficile rimanere di parola però…» - le aveva detto lui con voce roca e un sorriso malizioso.

«Scusa…» - aveva detto lei, ritirando la mano che lui aveva subito bloccato per rimetterla dov’era prima.

«Ma poiché mi piace soffrire e struggermi, puoi continuare a mettere a dura prova i miei sensi, 'Prinsessa'»

«Non voglio farti star male…» - aveva ribattuto lei seria.

Lui ridacchiò con un sorriso da satiro.

«Se lo chiami soffrire. Non smettere… mi piace sentire le tue mani sul viso…»

Come mandarla a fuoco con due parole.

Non era di carta neanche lei e non era consigliabile stare lì a fargli i grattini, con lui che le faceva le fusa con quella voce da brivido.

Era la cosa più eccitante che le fosse mai successa.

Persino più bella del sesso… beh, quasi. Non che avesse grande esperienza nel campo.

Oltre ad Andrea era stata solo con un altro ragazzo e l’evento era stato alquanto disastroso.

Stava morendo tra i brividi che le davano la sua voce e le dita lunghe di lui che le accarezzavano il braccio libero.

«Hai freddo? – le chiese aprendo gli occhi - Stai tremando…»

«Non ho freddo, non è per quello che tremo…»

«Hai paura di me?» – ripeté di nuovo lui.

«No, non ho paura di te, Ville… - disse lei con una risatina nervosa – vuoi sapere perché tremo?»

Lui le baciò la mano che si era spostata ancora sulle labbra.

«Dimmelo…»

“Mi piace stare qui con te, così… mi piace come mi baci senza aver provato a baciarmi sul serio, mi piace che sembri non aver nessuna intenzione di farlo, mi piace tutto quello che sto provando in questo momento…»

Per la serie, ’ero una che non voleva scoprirsi e aveva poco da dire'…” – pensò tra sé.

Stavolta era lui che era rimasto senza parole…

«Non è propriamente così in realtà… – rispose lui dopo un po’, guardandola come se volesse saltarle addosso da un momento all’altro – a dirla tutta, sto morendo dalla voglia di baciarti le labbra dalla notte in cui abbiamo trovato la gattina…»

«Oh…»

Santo cielo… sarebbe morta per mancanza di respiro da effetto Valo.”

«Già.»

«»

«Ma, come ti ho già detto poco fa, mi piace struggermi… qualcuno ha affermato che l' attesa del piacere è meglio del piacere stesso… ma non credo d’avere tutta questa forza di volontà, sai? Soprattutto se rimango qui con te, su un letto che ho già avuto modo di provare e so che è molto comodo e accogliente, in una stanza buia illuminata solo dal chiarore della luna…» – le disse guardandole le labbra.

«Vuoi andare via?» – chiese in un soffio Lou.

«Tu vuoi che me ne vada?»

Gli fece cenno di no con la testa.

«Rimani… ma non voglio fare… non posso…» – provò a dire imbarazzata.

«Lo so, stai tranquilla…»

Gli sorrise toccandogli il viso ancora una volta, massaggiandogli la nuca.

Bravo il mio micione…”

«Mi aspetti qui mentre mi lavo il viso? Devo togliere le lenti a contatto…» – disse lei vagamente a disagio: stavano iniziando a lacrimarle gli occhi dopo una giornata che le indossava.

«Sono qui, Lou… vai pure e io nel frattempo mi metto comodo...»

«Ok…» – deglutì a vuoto Lou, lasciandogli le mani che lui tratteneva.

Si mette comodo?! Che vorrà dire? Mi sento male…” – pensò mentre spariva in bagno.

Guardandosi allo specchio vide che aveva gli occhi che mandavano lampi, il viso accaldato, le labbra gonfie…

Tolse le lenti a contatto, lavò veloce il viso dal trucco e vi passò del latte detergente prima di tornare in camera.

L’idea di comodo per Ville era… togliersi le scarpe.

Era seduto a gambe incrociate sul suo letto che coccolava la gatta.

Lou si fermò a guardare la scena dalla porta: Valo illuminato solo dalla luce della luna quasi piena, al centro del suo letto che accarezzava la loro gattina nera… sembrava irreale.

«Bellissimo… - le disse lei d’un fiato – Siete bellissimi entrambi.»

«Vieni qui… - rispose lui, tendendole la mano – sei già stata via troppo tempo.»

Lou si aggrappò alle sue dita, strisciando sul letto per mettersi accanto a lui.

La gatta aprì un occhio verde per tenerla sotto il tiro delle sue unghie nel caso si fosse avvicinata troppo a Ville.

«Credo proprio di non piacerle, sai? – disse Lou sorridendo, osservando la mano bianca di lui contro il pelo nero e lucido della felina – mi tiene d’occhio come una tigre possessiva!»

«È gelosa di me, te l’ho detto…»- disse compiaciuto Ville.

«Uhm… sei sicuro che non sia tua figlia?»

Ville rise piano con la sua risata adorabile.

«Come sarebbe a dire mia figlia?»

«Avete lo stesso colore d’occhi…» – disse Lou, guardandolo.

«Davvero? Beh, che io sappia sono stato attento con tutte, umane e non…» – scherzò lui.

Lou strofinò il viso sulla spalla magra di Ville, mentre guardava sorridendo la gatta che le soffiava contro.

«Credo di dovervi lasciare sole per qualche giorno, di modo che facciate amicizia… - disse ridendo Ville, osservando la micia furente – sempre che quando torno non ti abbia sbranata.»

«Tornare da dove? Vai via?» – chiese Lou, improvvisamente in allarme.

Che diamine… sei già dipendente da lui?”

«Solo per pochi giorni, Lou… - disse lui girando il viso nella sua direzione. Gli occhi vicini e anche le labbra… erano ad un soffio – devo assentarmi e non posso delegare nessuno al mio posto.»

«Va bene… torna presto o la tua tigre mi farà fuori.»

«Amerà anche te, vedrai… deve solo abituarsi alla tua acidità.» – disse Ville prendendola in giro.

«Io non sono acida. Sono diversamente dolce…» – ribatté offesa Lou.

«o so…» – disse lui, fissandola.

Bacialo.” – si diceva Lou, con un’improvvisa ansia.

“Bacialo ora.”

Senza fiato. Sarebbe potuta rimanere parte della vita a guardarlo negli occhi.

E ti salvi Lucia, perché non lo vedi bene grazie alla stanza buia…”.

Ville aspettava che lei facesse qualcosa.

Lui non avrebbe forzato oltre la mano, quella notte; non seppe dire come facesse a saperlo, ma sentiva che lui le lasciava le scelte future. Ciò la spaventava a morte e la faceva sentire, per la prima volta nella sua vita, importante e preziosa…

Con il cuore in gola, posò le labbra sulla spalla sperando che attraverso la stoffa della maglietta che lui aveva addosso, potesse sentirla.

Ville le strofinò il viso sui capelli, come un gatto.

Ah, che bel micione…” – pensò con dolcezza Lou.

«Lou…» – borbottò roco lui.

«Uhm?»

«Se non la pianti, ti scateno contro la tigre…»

Lou ridacchiò.

«Allora se deve incazzarsi, le do un buon motivo per farlo…» – disse lei, spostandosi fino a trovarsi di fronte a lui.

Lui attendeva curioso.

Aveva ragione Nur. Lui aveva ragione.

Per troppo tempo, era stata spaventata solo da se stessa.

Era pronta ad amare di nuovo?

Aveva pensato che Andrea le avesse tolto anche quello: la capacità di amare qualcun altro dopo di lui; le aveva tolto la voglia di darsi a qualcuno, di lasciarsi amare…

Chiuse gli occhi tremante, e avvicinandosi lentamente, gli prese il viso tra le mani, gli baciò la punta del naso a portata di labbra, le palpebre, custodie della giada che lei amava, una… e poi l’altra… lui stava trattenendo il respiro?

Sì... Bene.

Non era l’unica ad avere problemi respiratori, allora…

Lou non sapeva dire chi tremava di più su quel letto; lei che stava lanciandosi in folle verso l’ignoto, con un uomo che non conosceva, un uomo famoso, con la fama di oscuro e misterioso front man; lui che sembrava del tutto a suo agio eppure tratteneva il respiro come un ragazzo che sta per baciare per la prima volta, o… la gatta furiosa che sembrava volesse cavarle gli occhi, soffiandole contro ogni secondo di più.

L’aveva distratta…

Ville ridacchiò e lei lo seguì poco dopo, nel sentire il baccano che faceva la tigrotta nera.

«Ecco… – disse Ville con un sussurro – per la rabbia, ha piantato le unghie sulla mia mano!»

Naso contro naso, occhi negli occhi… respiri che si fondono.

Un leggero movimento in avanti del mento di Lou e le labbra che si toccano, troncando le ultime sillabe sulla sua bocca...


******


«Lou?»

La voce di Simone la riscosse dai sogni ad occhi aperti.

«Stai bene? Sei rossa in viso… - disse lui sospettoso ad occhi stretti – Tu, vacca, mi nascondi qualcosa e parlerai non appena arriviamo a casa.»

Lou avvampò ancora di più.

Accidenti! Ora l’avrebbe torchiata fino a che non avesse parlato, compresi i dettagli.

«Taci… non ti nascondo nulla.»

«Certo come no… e io non ti conosco per nulla e sono etero. Parlerai.»

«Siamo arrivati, comunque – disse lei sbellicandosi, indicando la casa a sinistra – porta quel deretano depilato e palestrato dentro, avanti!»

Mentre i bagagli venivano scaricati e Simone pagava la corsa, lei buttò un occhio alla torre mentre il cuore le rispondeva con un battito scomposto.

«Accidenti Grace: è carino qui… troppo bianco e freddo per i miei gusti, ma davvero bello!»

«Ah, bene, sono contenta che sia di suo gusto… vuole accomodarsi nella mia umile dimora?» – disse Lou facendosi da parte, inchinandosi leggermente mentre Simone, preso il bagaglio le passava avanti naso in aria, testa alta e atteggiandosi a diva.

Con una risata Lou chiuse la porta dietro di sé, pronta a lanciarsi nei dieci giorni più stancanti e divertenti degli ultimi mesi.


******


«Perché mi fissa il tuo animale?» – chiese Simone il giorno dopo, entrando in camera con una tazza di latte e caffè in una mano e dei biscotti in bilico su un piatto nell’altra.

«Umpfh… Will… non urlare… - Lou si portò la mano alla testa. La sera prima ci avevano dato dentro a bere e dare fondo alla bottiglia di vino rosso che Nur teneva a portata di mano nel caso una sua cena svolgeva ad incontro hot… quella che aveva preso per la serata con Ville non era stata toccata… - guarda così anche me, tranquillo.»

Sedendosi sul letto le diede la tazza di latte, mentre addentava un biscotto.

«Ti sei rammollita Grace: non reggi più l’alcool… hai detto di averla trovata da poco e non ancora le dai un nome, giusto? Bene bene… questa roba fa al caso mio allora… vediamo…»

Lou posò la tazza sul comodino mettendosi seduta contro la spalliera.

«Sì, abbiamo deciso di aspettare di trovarle un nome adatto alla sua personalità…» - disse Lou con una scrollata di spalle.

“Abbiamo? Tu e chi?» – chiese Simone stendendosi accanto a lei, guardandola curioso.

La sera prima aveva provato a farla ubriacare per estorcerle informazioni piccanti, ma lei non aveva ceduto.

«Ehm… - cincischiò in difficoltà, prendendo tempo – io e me stessa, plurale maiestatis…»

«Grace. Tu e chi avete deciso di aspettare? – insistette Simone afferrandole un piede attraverso il piumone e torcendolo – Se non parli ti faccio il solletico.»

Era l’unica cosa che non sopportava e che la faceva sempre capitolare: il solletico sotto i piedi. E Simone era ricorso spesso a quella tortura quando erano a Roma.

«Io e Nur!»

Disse subito, in fretta, infilandosi ancora di più sotto le coperte, tirando il piede, cercando di sfilarglielo dalle mani.

«Sei arrossita: e se tanto mi da tanto, a meno che tu non abbia cambiato gusti sessuali nel frattempo e ti scopi la tua coinquilina, c’è di mezzo qualche bel tenebroso, come quelli che piacciono tanto a te… ora parla.» – disse lui con finta noncuranza.

«No.»

«Parla o ti faccio morire… oddio! Non avrei mai pensato di dire questa cosa ad una donna!»

«Non è nessuno… - disse lei a bassa voce, avvampando solo al pensiero di Ville – È il mio vicino di casa.»

«Uhm… il tuo vicino di casa… - strisciò sul letto fino a trovarsi sopra di lei – Capisco…»

«Simone… togliti immediatamente di dosso o potrei approfittare di te e ti violento.»

Di solito quella minaccia funzionava.

Ma Simone non pareva intimorito e la guardava minaccioso: il fatto che lei lo chiamasse per nome indicava che stava mentendo spudoratamente.

«Dimmi chi è questo vicino di casa e perché stai per prendere fuoco al solo nominarlo.»

«Simone… ti prego, togliti… mi sto eccitando!» – disse lei mordendosi le labbra con fare che voleva essere sensuale.

«Non funziona, bionda… parla ora o t’infilzo come un pollo allo spiedo!»

«Ummhhh… sì, ti prego…» – ansimò lei.

Un miagolio indignato nelle vicinanze e loro si voltarono verso la porta.

La gatta li fissava con disappunto e palese disapprovazione.

Lou scoppiò a ridere.

«Santo cielo, quel gatto è inquietante!» - disse Simone.

Lou approfittò del diversivo per sfilarsi con agilità da sotto il corpo che la schiacciava, per scendere dal letto e andare verso la micia per rassicurarla.

«Che fai, mi tieni d’occhio come un cane da guardia ora?» – le disse Lou prendendola in braccio.

Qualche protesta, ma la diva non fece ulteriori obiezioni.

Si sedette sul letto, tenendola ferma e accarezzandola come faceva Ville.

Al pensiero di lui, il viso di Lou si addolcì e a Simone non sfuggì.

«Ok, adesso basta misteri Grace: chi è? Non ti ho mai visto in queste condizioni se non con… l' innominato'.»

«Te l’ho detto, Will… è il mio vicino di casa. Qualche notte fa abbiamo sentito piangere il gatto entrambi e ci siamo ritrovati a soccorrerla. Era nella neve e rischiava di morire congelata.

L’abbiamo portata qui e tenuta al caldo tutta la notte, cercando di curarla e nutrirla come potevamo… veramente è stato più lui che se n’è occupato.

Io ero fuori combattimento per la febbre e si è dovuto occupare anche di me, alla fine…»

«Uhm… un cavaliere dall’armatura scintillante o un vichingo biondo e muscoloso?»

«Né l’uno né l’altro, Will… direi più un principe solitario che vive in una torre gotica…»

Simone la fissò per qualche istante, capendo al volo. Anche se Lou non gli aveva mai detto di averlo visto o conosciuto, sapeva che lei viveva vicino al famoso cantante degli HIM e tante volte le aveva chiesto notizie e scoop.

«QUEL principe?!»

«Quel principe.» - confermò lei.

«Fermi tutti! Ti sei portata a letto Ville Valo e non mi dici nulla?!» – urlò Simone.

«Non me lo sono portato a letto, maiale!» – s’indignò Lou.

Beh, non tecnicamente…” – pensò con un tuffo al cuore al pensiero della notte precedente.

«E allora che cos’è quell’aria da sposina il giorno dopo la prima notte di nozze?!»

«Will, non è successo niente… beh… insomma… oh, cavolo! Ok, l’ho baciato.»

Simone sbiancò.

«…Tu… lo hai… baciato?»

Lou fece segno di sì con la testa con un sorrisetto.

«Non vedevo l’ora di farlo… - disse ridendo – e lui aveva già fatto troppo per una sera soltanto.»

«Ok, che ne hai fatto della mia amica?» – chiese Simone con gli occhi sgranati.

«È diventata un po’ più adulta spero…» – disse lei piano, con gli occhi sulla micia che si era acciambellata e sonnecchiava – Will… ho paura…”.

«Racconta. Ora. Tutto.» – le ordinò Simone.

E Lou iniziò a raccontargli ogni cosa, senza omettere nessun particolare.


******


Un bacio lungo.

Ville teneva gli occhi aperti mentre lei lo baciava.

Con una mano infilata tra i suoi capelli, la teneva delicatamente ferma, muovendo piano le labbra sulle sue.

Lou sperava che non finisse mai.

Immaginava che la bocca di Ville fosse morbida e sensuale, ma non aveva calcolato l’effetto che avrebbe avuto su di lei.

A momenti si sarebbe disciolta in una pozza di massa informe.

Sentiva il cuore battere contro la gabbia toracica con tonfi forti e dolorosi e le orecchie che fischiavano.

Gli passò le braccia intorno alla vita, stringendolo a sé e lui posò la micia ai piedi del letto, tornando subito ad abbracciarla, tirandola giù rotolando sulla schiena.

Lei si accorse del cambio posizione solo quando si ritrovò stesa sopra Ville e sentì le mani di lui stringerla.

Stavano correndo troppo in fretta ma Lou non riusciva a fermarsi… infilò le mani sotto la maglia per toccargli la pelle calda e liscia.

Staccò le labbra dalla sua bocca per baciargli la gola e il collo.

Le piaceva strofinarsi sulla sua pelle, le piaceva il suo odore. Ville sapeva di legni orientali e spezie, d’ambra e patchouli…

Calma Lou… non correre.” - si disse.

Con una mano sul cuore di Ville lei alzò il viso per guardarlo, mentre lui cercava di riprendere il bacio interrotto.

Lei lo baciò rapida. Borbottio di protesta.

«Ville?»sussurrò.

«Uhm?»

Che voce divina…”.

Anche quando mormorava e faceva versi era sexy.

«Niente… volevo solo dire il tuo nome…»

Lui aprì gli occhi. Anche al buio era bellissimi… e le labbra… erano un invito delizioso.

Le accarezzò il viso, con un sospiro.

«'Prinsessa'… credo proprio che ti sei fatta una nemica stavolta.» – disse ridendo piano.

Guardarono insieme verso la gatta, guancia a guancia, ma questa li fissava ad occhi socchiusi appoggiata sulle zampe anteriori. Con uno sbadiglio annoiato, girò la testa e chiuse gli occhi.

«Dicevi?» – chiese Ville tornando a guardare Lou.

«Dicevo che mi piace dire il tuo nome…» - sussurrò lei sulle sue labbra.

«Uhm… bene. Molto bene, perché credo che lo dirai spesso da stanotte in poi…»

Lou annaspò, quando sentì la mano calda di lui infilarsi sotto il golf per accarezzarle il fianco.

«Potresti stancarti di sentirlo…» – disse esitante.

E in quella frase c’era tutta la sua insicurezza.

«E tu potresti stancarti di pronunciarlo…»

Lou gli sorrise. Pari.

«Ville?»

«Uhm…»

«Baciami finché non ti imploro di smetterla…»

Un sorriso lento che le fece drizzare ogni pelo del corpo.

«Ai tuoi ordini, 'Prinsessa'… solo SE mi implorerai di farlo.»


******


«Fammi capire… - disse Simone alzando un dito e chiudendo gli occhi per concentrarsi – vi siete baciati e strofinati tutta la notte, senza fare altro?»

«Sì.» – sospirò Lou.

«Ok… la situazione mi è del tutto nuova. È romantico e fa molto mister Darcy… ma se alla prossima non ti salta addosso strappandoti i vestiti, ti devi preoccupare!»

«Oh, non fare il guastafeste!! Sono certa che lui volesse farlo, ma per qualche strana ragione ha deciso di immolarsi alla “causa Lou” e darmi il tempo necessario per… per qualunque cosa capiti.»

«Uhm… beh, diamogli il beneficio del dubbio. Ti ha detto tutte quelle cose carine che a voi donne piacciono e da come ne parli non sembra uno in cerca di avventure. Voglio dire, potrebbe averne quante ne vuole; a meno che non gli piacciano le sfide e vuole solo portare a letto una difficile… non fare quella faccia ora! – disse vedendo l’espressione afflitta di Lou – devi metterlo in conto! Lou! – continuò prendendole le mani – Ora non iniziare con le paranoie, ok? Continua a vederlo!

Porca vacca, hai idea da quanto tempo non ti senti così? Vuoi negarti tutto questo per paura di cosa? Sai bene che non è nostro potere prevedere come andranno le cose, quindi per favore, fallo per te… non farti prendere dal panico e dall’insicurezza! Lui è a posto, ti piace, gli piaci! Vivila…»

«Ma non abbiamo niente in comune Will… e poi non ti ho detto un’altra cosa: Nur lo ha conosciuto prima di me, sono stati a cena qui e lei si è messa in testa di conquistarlo.

Mi sento in colpa; come faccio a dirle quello che è successo senza che pensi che lo abbia fatto apposta?»

«Senti Grace, la “Regina di Saba” ha mille uomini tra i quali scegliere: la sua voglia di rivalsa su Valo non ti deve riguardare. A lei non importa un cavolo di lui, a te sì.

Se è una vera amica capirà e se non lo capirà allora saranno affari suoi: qui c’è in ballo qualcosa più grande dell’orgoglio ferito di una vamp che non accetta un no da un uomo.»

«Sarebbe?»

«Qui ci sono in ballo due cuori: il tuo e quello di lui. A cosa dai la precedenza? Ad uno stupido gioco di una ragazza annoiata o ai sentimenti?»

«E se lei fosse presa veramente da lui?»

«Ma figuriamoci… a questo punto affrontala subito non appena torna e smettila di farti prendere da sensi di colpa inesistenti. Cavolo, Grace: non c’è stato nulla tra loro, lui non era interessato e Nur ha fatto tutto da sola, con l’unica voglia di vendicarsi dopo essere stata rifiutata!»

Lou nascose la testa tra le braccia, stringendosi le ginocchia al petto.

«Sto facendo una cavolata…» – disse gemendo.

«Ah no, eh! Non iniziamo il festival del melodramma, lo sai che non lo sopporto, Grace! – sbottò Simone – Piantala immediatamente! Guardami.»

Lou lo sbirciò con un occhio.

«Basta così! Ora ti alzi, ti fai una doccia, ti trucchi e ti vesti e poi usciamo. Smettila di piangerti addosso. E quando Valo torna da te, tu, mia cara, ti godi la sua compagnia e tutto quello che lui vuole darti… e quando dico tutto, intendo proprio tutto!»

Lou continuava a guardarlo con un occhio umido, pericolosamente sul punto di tracimare.

«Avanti! – le disse imperioso Simone alzandosi e tirandola fuori dal letto – Vai a farti bella e poi portami in giro ad ammirare la fauna locale!»

Lou si fece spingere in bagno da un Simone energico che le esponeva i programmi della giornata.

Lei si servì della sua energia per tirarsi fuori dal momento di incertezza che l’attanagliava ogni qual volta si trovava ad analizzare le sue emozioni.

Ripensò a Ville e a quanto era stato bello svegliarsi stretta a lui.

Non avevano fatto l’amore ma non ricordava di essersi sentita così intimamente vicina a qualcuno prima. L’aveva svegliata con baci lievi sul viso e un sorriso abbagliante…

Era andato via molto presto: quando l’aveva accompagnato alla porta, lui le aveva baciato la punta del naso dolcemente dicendole solo, con voce vellutata:

«Torno presto, 'Prinsessa'»

Cercò di calmarsi sotto una bella doccia calda e fece come le aveva ordinato Simone: si fece bella per il suo amico e per sé, si preparò e insieme uscirono in giro per la città; non prima di aver coccolato e sistemato la micia, in modo che non combinasse guai o sentisse la loro mancanza mentre erano via.


******


«Sei una fogna, – gli disse Lou guardandolo mangiare a quattro palmenti – non so come fai ad essere così in forma, mangiando come fai tu…»

Per tutta risposta Simone addentò un involtino primavera, mentre aveva ancora la bocca piena di riso alla cantonese.

«Io consumo, bionda… in una maniera molto divertente tra l’altro. Quello che ti consiglio di provare alla prima occasione con il tuo frontman… sai che ancora non ci credo che la mia timida e insicura Lucia, è la ragazza che fa battere il cuore a Ville Valo?»

«Prima di tutto, non è “il mio frontman” e non è detto che gli faccia battere il cuore…»

«Qualcosa sicuramente gli batte, stanne sicura…»

«Sei disgustoso.» – gli disse ma rideva sotto i baffi.

Dopo una giornata a passeggiare per la città, a fare foto nei posti più significativi e belli di Helsinki, dopo aver saccheggiato negozi d’abbigliamento e aver litigato a sangue sul fatto che lui volesse andare a tutti i costi nel sexy shop del padre di Ville (notizia che lui non vedeva l’ora di condividere) e lei aveva urlato un no stridulo, erano tornati a casa gelati fino alle ossa e stanchissimi.

Solo al pensiero di entrare a forza nella vita di Ville la mandava in paranoia.

«Ma che barba che sei! - l’aveva rimproverata Simone – come se lui ti conoscesse!»

«Lo so io e tanto basta! Non iniziare come al solito ad essere ossessivo!»

«Hai fatto ricerche su di lui?»

«No! – rispose indignata Lou – E non ho alcuna intenzione di farlo! Voglio conoscerlo per quello che è quando sta con me, non per come lo conosce il resto del mondo!»

«Stronzate: internet è stato inventato anche per sbirciare nella vita degli altri, senza che questi se ne rendano conto!»

«Io non voglio sbirciare nella sua vita, Will!» – si alterò Lou.

«Voglio solo esserti d’aiuto, Grace… non sei curiosa di sapere chi era prima di trovare quel gatto?!»

«No. Me lo dirà lui se lo riterrà opportuno.» – disse ostinata Lou.

Simone la guardò a braccia conserte.

«Di cosa hai paura? Di scoprire cose scomode e la tua idea del principe romantico svanisca, è proprio il caso di dirlo qui, come neve al sole? Ci sono cose che lui non ti dirà mai, perché darà per scontato che tu le conosca.»

«Non m’importa, Will! Non voglio spiare nella sua vita: mi farebbe sentire scorretta!»

«Grace! Non spii! È di dominio pubblico quello che c’è in rete e potrai sempre parlarne con lui, se mai ci fosse qualcosa che non ti è chiara!»

«Ma perché insisti tanto, Will?!»

«Perché sei mia amica e mi preoccupo di te: e andiamo, cielo! La stai facendo più grave di quello che è!»

«Sei un bugiardo! Sei curioso come una scimmia e basta!»

Simone si alzò dal tavolo e corse verso la stanza da letto di Lou, accendendo il computer.

«Ho intenzione di scoprire ogni cosa su di lui. È per il tuo bene, stupida!»

«Will! Non farlo! - urlò Lou correndogli dietro – Sei odioso!»

«No, sto facendo solo quello che tu non hai avuto il coraggio di fare: ti conosco fin troppo bene e so benissimo che la prima cosa a cui hai pensato è stata quella di fare una ricerca accurata su di lui, non negarlo!»

Lou incrociò le braccia al petto rimanendo in silenzio.

«Lo sapevo… a me non la fai… avanti, una sbirciatina.» – le strizzò l’occhio con fare malizioso.

«No, Will… tu sbircia pure. Io non voglio.»

«Non sei curiosa di ascoltare neanche la sua musica? – le chiese alzando un sopracciglio – Almeno quello sforzo potresti farlo, che ne pensi?»

Lou ci pensò un attimo.

Quello era un altro discorso: lei amava la sua voce e conoscere il suo mondo in quel modo era tutt’altra cosa…

«Bene… vedo che stia iniziando a ragionare. Resta qui. – disse tornando in salotto e rientrando con un sacchetto blu che penzolava dal suo indice – Ecco: questi sono per te.»

«Che roba è? – chiese Lou, prendendo il sacchetto svuotandolo sul letto – Oh…»

Una manciata di cd musicali… ed era inutile chiedere: erano tutti cd degli HIM.

«Quando li hai presi? – gli chiese Lou – Hai il dono dell’ubiquità?»

«Li ho comprati quando tu sei andata al reparto cosmetici… ora ringraziami!»

Lou prese un cd tra le dita con sopra il viso a metà di Ville: un Ville così giovane e diverso da quello che aveva passato la notte a baciarla con lentezza struggente…

Un tuffo al cuore come sempre, ogni volta che vedeva i suoi occhi…

«Avanti mettilo su: muori dalla voglia di sentirlo…»

«Voglio ascoltarlo da sola… mentre fai l’investigatore privato, io torno di là e… ascolto…»

Raccolti i cd in una pila ordinata, Lou uscì e qualche minuto dopo la voce di Ville Valo, riscaldava la piccola casa.

Stesa ad occhi chiusi sul divano, con la gatta che la osservava curiosa accoccolata sulla sua pancia, Lou ascoltava la voce di Ville uscire dalle casse dello stereo.

Era così strano.

Lei conosceva quella voce, che ormai le era entrata in ogni singola cellula del corpo, presente in ogni suo pensiero; la conosceva mentre le sussurrava di non smettere di toccarlo o di baciarlo... ma così era diverso.

Sentiva la grinta di Ville, il tormento... la forza delle sue parole la investiva come un'ondata.

Ascoltava ogni canzone con attenzione, cercando di capire cosa potesse provare lui mentre cantava... prese il cd tra le mani togliendo la copertina del cd che stava ascoltando: voleva leggere i testi, ma vide che questo, altro non era che un poster quadrato.

Su un lato c'era Ville... i capelli lunghi e scuri, le labbra schiuse, gli occhi stranamente blu e non verdi (eresia: gli avevano cambiato il suo colore, l'unica cosa che la disturbò); braccia incrociate dietro la schiena, petto nudo sotto la giacca di pelle, una pelle bianca e liscia, senza peluria...

Un favoloso tatuaggio molto sotto l'ombelico...

Arrossì improvvisamente scacciando pensieri niente affatto angelici, come quelli che doveva ispirare la foto... Forse.

Ville aveva solo l'aspetto di un angelo... ma l'effetto che aveva su chi guardava la foto era tutt' altro che innocente!

Con fatica staccò gli occhi da quell’immagine per girare il poster: Ville seduto in primo piano a gambe aperte sul pavimento. Un altro tatuaggio sul braccio sinistro spuntava dalla manica della sua camicia nera... E un sorriso che lei conosceva bene... malizioso, tenero, misterioso...

Dietro di lui il resto della sua band. Lou guardò con attenzione i visi dei suoi compagni. Chi di loro era più vicino a Ville? Con chi andava meno d'accordo? Chi lo faceva ridere quando era triste?

Chi gli voleva più bene tra loro? Tutte domande che probabilmente potevano avere risposta accedendo ad uno dei tanti fan site della band... ma lei voleva che fosse lui a parlargliene.

Un giorno gliel' avrebbe chiesto... in basso c'erano solo i titoli dei testi; lesse sotto ogni titolo: “Lyrics and music by Valo”.

Lui scriveva sia i testi che la musica... e lei si sentì così inutile e banale al suo confronto.

Tornò a guardare la foto precedente. Era così strano guardarlo su un pezzo di carta... e si rese conto che lui non era affatto uno come tanti, come si ripeteva da quando avevano incrociato le loro strade. Lui era una star, amato e desiderato da milioni di donne in ogni angolo del pianeta; uno che aveva girato il mondo e vissuto cose che lei neanche immaginava e mai avrebbe potuto fare...

Un uomo che poteva avere tutto quello che voleva... e lei si chiese cosa mai avessero in comune oltre ad una gatta dal pessimo carattere.

Una crisi di panico la investì in pieno.

«Che è quella faccia? – chiese Simone che era accanto a lei, ora – Che succede, non ti piace la sua musica?»

«Will, ma che sto facendo? Come posso competere con il suo mondo? Come posso pensare di piacergli sul serio? Guardalo... cosa abbiamo in comune io e lui?» - disse concitata, sventolandogli il poster sotto il naso.

«Ti dai una calmata? Che ti prende ora? Non avevamo detto che dovevi prendere le cose così come venivano?»

«No Will, non hai capito! Io non posso pensare di frequentarlo! Lui è famoso, è bello, è ricco! Io chi sono!? Nessuno! Che se ne fa di me?!»

Iniziò a camminare su e giù per la stanza, torcendosi le mani.

Simone la guardava seduto sul bracciolo del divano, con aria annoiata.

«Quando hai finito la sceneggiata, fammelo sapere...»

Silenzio, mentre lei respirava a fatica...

«Scusa tanto, Grace... ma hai realizzato solo ora chi è? Cioè questo pensiero non ti ha sfiorato mentre gli arpionavi una chiappa!? A proposito, non mi hai detto com'è: ha un bel culo?»

Lou gli lanciò dietro un cuscino che prese al volo dal divano.

«Will! È una cosa seria! Non scherzare!»

«Anche il culo del Valo è una cosa seria - ribatté compunto.

Lou si sedette di nuovo sul divano per tre secondi, posò gli occhi sulla pila di cd accanto a lei e si alzò di nuovo schizzando via, lontano, come se allontanandosi dai cd prendesse le distanze anche dalla voce incisa sopra...

«Grace... piantala. Ti devo ricordare che nonostante tutte le donne che lui potrebbe avere, vuole te, per ora? E non mi spiego il perché visto che sei una totale rottura di balle! Se inizi a vivere la cosa in questo modo e con quest'ansia, dove speri di arrivare? Hai intenzione di avere queste crisi isteriche ogni volta che lo vedrai in tv o sentirai una sua canzone?»

Lou lo guardò spaurita.

«Ti calmi per cortesia? - disse pacato – Hai voglia di sentire quello che ho scoperto su di lui?»

«No! Nel modo più assoluto, ora non potrei leggere o vedere nulla che lo riguardi! Già realizzare chi è mi ha buttata nel panico... non ho bisogno di altre novità oggi.»

«Tu sei un caso clinico... non capisco questo tuo terrore! A meno che... Grace... ti sei già innamorata di lui?» - le chiese incredulo.

«No! No. No... ” - lo guardò con gli occhi sgranati – Non lo sono, non ancora...»

«Vorrei ben vedere! Santo cielo tu mi ammazzerai uno di questi giorni! E menomale che siamo lontani: non sopporterei le tue ansie ogni volta che qualcosa ti turba...»

«Ok, devo calmarmi... - Lou gesticolava con le mani, si riavviava i capelli che le svolazzavano intorno al viso mentre continuava a camminare su e giù, con la gatta e Simone che dal divano la guardavano con rassegnazione – sono calma. È stato solo un momento. Ok... - respirò a fondo – la prossima volta che sclero così, dammi una sberla, ok?»

«Basta chiedere.»

«Will, lui mi piace molto... troppo.»

«Lo so, lo avevo capito. Quindi siccome ti piace e hai paura di non essere all'altezza della situazione, te la stai facendo addosso? Se non ricordo male, anche con quel pezzo di merda di Andrea avevi lo stesso problema... e voglio dire... stiamo parlando di un enorme pezzo di cacca!

Per quanto Valo possa essere famoso o divo o viziato o egocentrico, dubito che possa eguagliare l'ego e la crudeltà del tuo ex... e tu devi finirla di avere paura.»

«Non avrò paura... mi fiderò di lui, lo prometto Will... e soprattutto devo fidarmi di quello che sto provando io...»

«Menomale... bene dopo questa performance memorabile che si fa? Facciamo sesso? Ah, no... scusa... dimenticavo, non mangio patate...»

Lou lo guardò con sufficienza.

«Guarda che io sesso con te lo farei, eh... sei un gran pezzo di figo. Fatti toccare il culo... - disse improvvisamente Lou, atterrandogli sopra con un balzo – Dai, fattelo toccare!»
«Graceeeeeeeee, smettilaaaaa – urlò lui dibattendosi come un'anguilla – No, ti prego! No, il pistolino nooooo, lasciamelooooo mi serveeeeeeeeeee!»

«Non te lo sto toccandooooooo! - urlò Lou ridendo, mentre lui scappava via stridendo come una gallina e lei prendeva la rincorsa per seguirlo – Vieni qui! Fammi vedere com'è il tuo di culo!»

La micia che sonnecchiava placida sul divano si svegliò di soprassalto alle loro urla, guardandoli con espressione palesemente allibita, mentre correvano verso la camera da letto dalla quale continuarono a provenire urla e risate stridule.


******


Beneeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee... eccoci qui!!
Avete visto chi vi ho portato?!?! SIMONE...( facciamo una fan page per lui... :P )
Avete portato l'acqua per il miele, visto il capitolo allapposo?!
Eh mi è partita la vena romantica ragazze... non ho saputo trattenermi...
(spero vi sia stato gradito... :)


Che ne pensate di Lou e Ville a letto senza fare nulla?!?! (Gà sento le urla delle ninfomani delle sister che gridano all'eresia!! XD);
Come sempre un grazie alle mie Beta fantasmine...
Mia Mugliera Cicci-Vivi (Deilantha) e Sara Pulci (almeno una mi commenta, l'altra è morta proprio: nuova regola. Se non mi commenta non le mando i capitoli! Tiè! U,u
Grazie a:
arwen85 Echelena Lady Angel 2002 dile91 selevalo apinacuriosaEchelon (ta-nha ta-nha ta-nha) Villina92 Ila_76 poisongirl76 marfa fnghera e angelica78vf

Grazie grazie grazie inifnite a tutte! alla prossima!
*H_T*


PS: Il titolo l'ho preso da una canzone che mi ha ispirato, una song che amo molto...
Tracy Chapman - "The Promise"

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo sette: “Your arms around me...” ***



Capitolo sette
"Your arms around me"





Lou affettò il prezzemolo velocissimamente, poi passò ai pomodori che tagliò a cubetti, buttandoli nel recipiente dell'insalata.
Julian le passò accanto cantando a bassa voce, mentre assaggiava la paella che stava preparando.
Chiuse gli occhi inspirando forte e gettò un’occhiata al di là del muretto basso della cucina, verso il salotto, dove Ville e Nur seduti sul divano chiacchieravano a bassa voce.
Tutto questo è un incubo…” – pensò Lou.

Quella giornata era iniziata come tante altre e dopo otto ore, eccoli lì, tutti nel suo salotto ad aspettare una cena…

Otto ore prima…

Lou e Simone erano in bagno. Si preparavano insieme, si lavavano i denti insieme, mentre uno faceva la doccia e l’altra era in vasca chiacchieravano, come facevano a Roma; anche lì avevano ripreso in poche ore, i ritmi di quando convivevano.

Lei era immersa nella vasca piena di schiuma profumata mentre Simone faceva la doccia cantando a squarciagola e stonando non poco.

«Will, sembri il gabbiano della “Sirenetta”...» – disse Lou ridendo.

«Grace, tu non apprezzi il mio canto libero…» - rispose lui, con un acuto, mentre cantava “Di sole e d’azzurro” di Giorgia "versione Will".

Dopo qualche istante anche lei si unì al suo amico, con il risultato che ora sembravano un gabbiano moribondo e una cornacchia in preda ai crampi.

La micetta che Lou aveva iniziato a chiamare Katty in attesa che il "Sig. Valo" le trovasse un nome adatto e che li seguiva ovunque come un’ombra, si alzò piano uscendo dal bagno, rifugiandosi in salotto lontano dai loro gorgheggi.

Lou rise fino a soffocarsi.

«Che c’è? Perché ridi?» – chiese Simone uscendo dalla doccia come una statua scolpita nell’oro, ricoperta di goccioline d’acqua.

Lou sbirciò il corpo nudo, magro e scattante del suo migliore amico, con ammirazione.

Era proprio bello… accidenti!

Tante volte aveva pensato che se Simone non fosse stato gay, lei si sarebbe innamorata senza nessun problema ed istantaneamente di lui. Era perfetto e non solo fisicamente… sotto la patina di ragazzo alla moda e superficiale, Simone era una persona dolce e rassicurante, attento e sensibile… probabilmente tutte quelle qualità, se fosse stato etero non le avrebbe avute però, aggiunse mentalmente.

«Katty è fuggita via quando ci ha sentiti cantare!» – rantolò lei ridendo.

«Umpfh… viziata! Solo perché l’ha salvata Valo ora fa la snob…» – sbuffò lui.

Avvolgendosi un telo attorno ai fianchi, Simone si sedette sul bordo della vasca.

«Grace, devi farti la ceretta… non vorrai che Valo trovi Cita al posto di una fatina, vero?»

«Pensavo di portarti in un centro estetico oggi, mio caro: dove io mi farò scorticare come una gallina e tu ti godrai la famosa sauna finlandese… che ne dici? Ti piace come idea?»

«È una fantastica idea… - si bloccò a metà frase quando dal salotto sentirono un urlo di donna stridulo e subito dopo la gatta sfrecciò dentro il bagno come un proiettile – Che diavolo?…»

«Louuuuuu dove sei?! C’è un gatto nero in casa!» – la voce di Nur era alterata e spaventata.
«Nur! Sono in bagno!» – urlò lei gettando uno sguardo alla micina spaventata che si era rintanata dietro il cesto della biancheria sporca.

«Oh, oh, la “Regina di Saba” è qui…» – disse a bassa voce Simone, drizzandosi spingendo in fuori il petto.
«Che diavolo ci fa un gatto in casa nos… oh! Oddio scusatemi! Non volevo disturbare!»

Nur entrò in bagno con indosso ancora il piumino bianco e la borsa appesa al braccio, bloccandosi di colpo quando vide un uomo, un bellissimo uomo seminudo, seduto sul bordo della vasca.
Imbarazzata Nur fece per uscire, quando Simone si alzò tendendole la mano e presentandosi, in inglese.

«Ciao Nur, io sono Simone.»

«Simone! Ma certo! Oh cavolo, avrei dovuto riconoscerti subito... Cavolo se sei figo… oh scusa! – disse ridendo Nur, prendendo la mano di Simone – Non riesco a tenere la bocca chiusa quando vedo un bell’uomo davanti a me!»

«Eh, come ti capisco sorella… ho lo stesso identico problema! - disse lui ridendo divertito – Grazie per il figo: anche tu non sei malaccio!»

Lou osservò i due amici fare amicizia con un sorriso.

«Beh, benvenuto in Finlandia, Simone!» – disse Nur, sedendosi sul water dopo aver abbassato la tavoletta, togliendosi il piumino che ripiegò sulle ginocchia, posando la borsa sulla cesta dei panni sporchi, dove la micia acquattata la guardava sospettosa.

«Lou, tesoro vedo che stai meglio… ho avuto un’allucinazione o c’è un gatto nero in casa?»

«Hai visto bene! Spero non ti spiaccia… da oggi avremo un’inquilina in più!»

«Oh, no… figurati… ma da dove spunta fuori?» – chiese chinandosi per guardare la gatta che già le soffiava contro, con gli occhi verdi stretti a fessura.

«Era mezza morta nella neve… ed eccola qui…» – tagliò corto Lou, beccandosi un’occhiata divertita da Simone.

Al diavolo… avrebbe trovato un modo per dirle di Ville… prima o poi…”

«Bel caratterino! Bene… le sono già simpatica!»

«Ah, fa così con tutti! – disse Simone – Sono in pochi ad esserle simpatici…»

Infame…”.

«Non sapevo che saresti tornata! Perché non mi hai chiamato?» – chiese Lou, sviando il discorso da dove lo stava portando Simone.

«Volevo farti una sorpresa!»

«Ci sei riuscita, credo…» – disse Simone con una faccia da schiaffi.

Lou fulminò con gli occhi il suo amico chiacchierone che invece la guardava con un sorriso smagliante.

«Avete programmi per oggi, ragazzi miei? – chiese Nur già proiettata in altri progetti, entusiasta - Dai facciamo qualcosa insieme!»

«Volevamo andare in un centro estetico, per me e i miei peli superflui – aggiunse dopo un’occhiata del suo amico alle sue gambe immerse nell’acqua - e far provare la vera sauna finlandese a Simone: che ne dici? Vieni con noi?»

«Assolutamente sì! Ho proprio voglia di un bel massaggio…»

«Bene… allora andiamo! Mi faccio una doccia veloce e sono tutta vostra!»

«Allora io vado a vestirmi!» – disse Lou uscendo dalla vasca, avvolgendosi nel telo che Nur le tendeva.

«Lou il tuo cellulare... - le urlò Simone che era uscito prima di lei e che ora era in camera - sta vibrando da un po’… Matleena.»

Lou corse in camera cercando di non rimanere nuda, afferrò il cellulare dalle mani di Simone e rispose.

«Mat! Che succede?»

«Lou! Scusa se ti chiamo di mattina, ma ho bisogno di te per un consulto veloce oggi: potresti passare tra un’oretta? Prometto che ti darò una giornata libera quando ne avrai bisogno, ma mi servi tu. Non mi fido di nessun altro.»

«Ma certo Mat, vengo io, tranquilla. Ci vediamo più tardi!»

«Grazie cara, a dopo.»

Come sempre Mat non attese risposta e chiuse la comunicazione.

Simone e Nur la guardavano in silenzio in attesa.

«Devo passare in galleria ragazzi, ma voi andate pure senza di me.»

«Non fare la guastafeste… posso accompagnarti? – chiese Simone – Volevo vederla in ogni caso e mentre tu fai quello che devi, io visito la galleria e poi insieme andremo come deciso a farci belli.

Che ne dici Nur, ci accompagni anche tu?»

«Ma certo… ci sarà anche il tuo bell’artista spagnolo?» – chiese con aria maliziosa Nur.

«Artista spagnolo? Questa non la sapevo… - Simone incrociò le braccia al petto – Beh? Chi è ?»

«È l’artista che è in esposizione in questo periodo, Will… sono sicura che ti piaceranno le sue opere. - disse Lou infastidita dalle continue allusioni di quei due: era come trovarsi sotto un tiro incrociato – Vado a vestirmi…»

Lou buttò il cellulare sul letto, mentre Nur e Simone uscivano, per permetterle di vestirsi.

Doveva dire a Nur di Ville… si avvicinò alla finestra, sbirciando verso la torre.
Le mancava. Non lo vedeva da una settimana. Stranamente nessuno dei due aveva pensato di chiedere il numero di cellulare all’altro… magari Ville l’avrebbe chiamata in quei giorni, se solo lei gli avesse lasciato il numero.

Sospirò pensando che Nur probabilmente si sarebbe arrabbiata sapendo che durante la sua breve assenza, la sua sciatta coinquilina, aveva baciato l’uomo che lei aveva deciso di conquistare.

Alla prima occasione le avrebbe detto tutto, pensò mentre decideva cosa mettersi.

Due ore dopo…

«Eva, sei la salvezza della Draghessa lo sai?» – le sussurrò Julian mentre Matleena sottobraccio a Simone, passeggiava per la sala esposizioni.

Nur, guardava le opere di Julian con disappunto: l’idea d’arte della sua coinquilina era la pittura e basta. Si ripromise di farle una breve panoramica sul variegato mondo dell’arte in un prossimo futuro.

Lou sorrise a Julian, che come sempre la osservava intensamente.

«È solo metodica: è abituata al fatto che io so esattamente cosa vuole, senza che debba arrabbiarsi…»

«Oh dai, non fare la modesta: sei la migliore qua dentro! È per questo che Matleena vuole solo te.»

Lou scrollò le spalle come a dargliene atto, lusingata che lui pensasse quelle cose di lei.

«Hai programmi per la giornata, Eva? – chiese Julian cambiando discorso – Mi chiedevo se ti andava di portarmi un po’ in giro per la città…»

La guardò speranzoso.

«Ho promesso ai miei due angeli custodi di passare un pomeriggio in totale relax all’insegna della bellezza e della cura del corpo, in un centro estetico…» - gli sorrise Lou, scusandosi.

«E tu potresti unirti a noi, Julian. – aggiunse Nur, che aveva sentito le ultime parole – ho come l’impressione che anche a te serva un pomeriggio di relax! Ti va?»

«Con piacere… - disse Julian sbirciando la faccia di Lou che cercava di mantenere un’espressione neutra, quando invece avrebbe voluto staccare la testolina della sua amica – Sempre se a Lou non dispiace…»

«Ma certo che mi fa piacere, Julian…» – rispose lei, con una punta di fastidio nella voce.

«Ah, che bello! Allora aspettiamo che anche tu finisca qui e andremo tutti insieme!»

Nur la guardava soddisfatta come se le avesse fatto un gran piacere e non appena Julian si distrasse le strizzò anche l’occhio in maniera complice.

Di male in peggio! Devo dirle subito di Ville o non la finirà di cercare di buttarmi tra le braccia di Julian!”.



Finito che ebbero di soddisfare le richieste di Matleena, uscirono tutti e quattro, con Julian che parlava come sempre con entusiasmo della sua esperienza finlandese, mentre guidava la sua auto sportiva.
Lou guardava fuori dal finestrino, distratta: era passata un’altra ora e non era riuscita a parlare da sola con Nur.

Quest'ultima era sempre stata attaccata al cellulare o lei era stata impegnata con Matleena.
Si massaggiò le tempie: aveva un principio di mal di testa che prevedeva non sarebbe migliorato.

Cercò di rilassarsi e godersi il massaggio dopo l’esperienza sempre traumatica della ceretta inguinale.


Mentre i ragazzi erano in sauna lei si era sottoposta alla tortura ed ora, dopo un trattamento viso, che doveva servire a rendere la pelle luminosa, come le aveva assicurato Nur esperta di centri estetici, cercava di trovare le parole giuste per dirle di Ville.

Ma la sua amica era in fase silenziosa.

Aveva provato a portare l’argomento dove le era comodo, ma Nur o era troppo stanca per risponderle o stava pensando.

Quindi rimase in silenzio anche lei, mentre le mani esperte della massaggiatrice scioglievano i suoi muscoli rattrappiti.

Si concesse di pensare a Ville… si chiedeva quando lo avrebbe rivisto.

Dopo la crisi di panico del giorno precedente, aveva cercato di prendere la cosa con filosofia e di godersi, come le consigliava Simone, la compagnia di Ville e di tutto quello che ne sarebbe conseguito.

«Grace, hai la malsana idea che un rapporto debba per forza sfociare in qualcosa di scontato e romantico: non tutte le coppie si sposano, non tutte vanno a vivere insieme, non tutte le storie nascono nello stesso modo. Può benissimo accadere che una storia di sesso diventi la storia più bella della tua vita, o come può accedere che quella nata con tutti i parametri giusti, vada a finire nel disastro più totale… devi imparare ad apprezzare le sorprese e le incognite che la vita ti mette sul cammino. Smetti di pensare che non sei "abbastanza" per le persone: sono il tuo migliore amico e ti voglio bene. Conosco i tuoi difetti meglio di chiunque altro, ma conosco anche quella che sei al di sotto di quella corazza che hai. So che quando ami qualcuno, lo fai con tutta te stessa, donandoti senza remore… se ami un uomo una minima parte di quanto so che ami me, che sono solo tuo amico, allora credimi… è già abbastanza. E so che hai amato molto… e spero davvero tanto, con tutto me stesso che tu possa innamorarti ancora… e che qualcuno possa essere amatoda te… e che tu possa essere ricambiata come meriti…»

Quando la sera prima, a letto Simone le aveva detto quelle cose, le era stato difficile non mettersi a piangere. Tutti non facevano che dirle di sciogliersi, di lasciarsi andare… di vivere.

E lei voleva farlo. Con Ville.

Erano immersi beati nella vasca idromassaggio quando Simone sganciò la bomba.
«Ragazze, che ne dite di cenare insieme stasera? Una cenetta casalinga: Julian ha appena detto che la sua paella è al migliore che mai mangeremo nella nostra vita… io gli ho detto che se vuole competere con la pasta al pomodoro di Lou, deve darcene la prova!»

Nur accolse la proposta con entusiasmo, anche se questo le avrebbe impedito di buttarsi in una delle sue notti folli in giro per discoteche e pub della città.

Lou ne fu felice per lo stesso motivo: le avrebbe dato l'ottima scusa di non farsi trascinare in giro per la città.

Poco importava se doveva spadellare per tutta la serata mentre con tutta probabilità, sia Simone che Nur avrebbero trovato mille scuse per eclissarsi dalla cucina.

«Vedrete, non ve ne pentirete! Assaggerete la migliore paella del mondo!» – rise allegro Julian, mettendo in mostra i denti bianchissimi e perfetti.

«In ogni caso, io la famosa pasta di Lou, l’ho già mangiata… ricordi? – disse improvvisamente rivolgendosi a Lou che alzò di scatto la testa - è stato quel giorno che ho conosciuto Ville a casa tua!»


Ecco! Grazie Julian!” – pensò acida Lou.


Nur la guardò con curiosità, Simone con l’espressione “Ora-sei-fregata-“ e Julian attendeva la conferma.

«È vero… lo avevo dimenticato...» - disse piano Lou.

«Ville? – chiese Nur con una strana nota nella voce – Come mai Ville era a casa nostra?»

Prima che Lou potesse risponderle, Julian continuò: «Era venuto a vedere come stesse la gattina e poi l’ha portata via con sé!»

«La gatta? Che c’entra la gatta con Ville?»

«L’abbiamo trovata insieme e sentendola piangere, siamo accorsi entrambi, Nur.» – disse cauta Lou, guardando la sua amica negli occhi.

«Davvero? Che cosa carina…» - sembrava di nuovo rilassata.

Simone la guardava ad occhi socchiusi. Lou lo ignorò.

«Sì, molto carina… - disse Lou con un’occhiataccia a Simone e poi rivolgendosi a Julian gli disse: - Dovremmo fare la spesa però, a casa non abbiamo molto, men che meno ingredienti per la paella!»

«Andremo a farla insieme, se vuoi!»

«Bene, e mentre voi fate la spesa, io e Nur prepareremo una tavola magnifica, vero cara?» – chiese Simone raggiante a Nur che era di nuovo distratta e silenziosa.

«Assolutamente sì.»

Tre ore dopo…

Lou camminava tra le corsie del supermercato vicino casa, in cerca di verdure fresche.
Julian poco più lontano si aggirava veloce nel reparto surgelati.

Spingeva il carrello già pieno a metà di vino, pane e altra roba che Simone le aveva detto di volere.

Il mal di testa era aumentato invece che svanire.

La reazione di Nur era stata strana: si era aspettata che chiedesse ulteriori spiegazioni, come faceva sempre, invece aveva lasciato cadere l’argomento, ma era rimasta in silenzio per il resto del tempo.

Lou era preoccupata più per quella reazione che se non si fosse infuriata.

Sperava di trovare il tempo durante la cena di dirle tutto… non ce la faceva più a sopportare oltre quella tensione.

Aveva bisogno di liberarsi la coscienza, anche se come aveva detto Simone non aveva motivi di sentirsi in colpa verso la sua amica.

Totalmente sovrappensiero girò l’angolo, investendo in pieno la persona che in quel momento era proprio accanto allo scaffale nascosto.

«Oh, mi scusi… - disse in italiano imbarazzata, poi in inglese – non l’avevo vist…»

E si ritrovò ad annegare negli occhi verdi e sorpresi di Ville.

Un lento sorriso sfiorò le labbra di Ville e gli occhi da sorpresi, s’illuminarono maliziosi.

«'Prinsessa' ”… devi sempre colpirmi in qualche modo…” – disse piano.

Lou si aggrappò al carrello, per non cadere a terra.

Le era mancato da morire… oh, era possibile che il suo sorriso fosse ancora più bello e dolce di quanto ricordasse?

E gli occhi… erano sempre stati così verdi?

Oh, mio dio… mi sei mancato… mi sono mancati i tuoi occhi…” - pensò Lou, rimanendo in silenzio, con il cuore che le galoppava nel petto.

Ville la guardava scuotendo la testa.

«Ciao Ville, sono felice di vederti! … dai prova, ce la puoi fare…»

La prese in giro andandole vicino, affiancandola appoggiandosi con il bacino al carrello che lei stringeva tanto da far sbiancare le nocche delle maniLe sussurrò all’orecchio chinandosi su di lei, sfiorandole una mano, che si sentì ancora più piccola con lui che la sovrastava.

«Dici che se ti bacio qui, è sconveniente?»

Lou avvampò, guardandogli le labbra che erano stirate in un sorriso da satiro.


Lou! Fatti tornare la parola e digli qualcosa, che diamine!”.

«Ville…»

«Sì, sono io… e tu sei sempre "Lou-che-sogna-alla-finestra"? O sei la sorella cattiva della mia 'Prinsessa'…?»

La sua voce così vicino… la accarezzava come stavano facendo gli occhi.

«Quando sei tornato?… mi sei… ci sei mancato…» – disse Lou senza fiato.

«Vi sono mancato o ti sono mancato?» – le chiese sfiorandole la tempia con le labbra.

«Ci sei mancato… a me e Katty…»

«Katty?»– rise piano con gli occhi che le fissavano la bocca.

Lou pensò che avrebbe iniziato a perdere ogni controllo se continuava a guardarla in quel modo e a sussurrarle, sfiorandola con il fiato ogni volta.

«Sì, non potevo chiamarla “Gatta” ogni volta che mi rivolgevo a lei… è temporaneo!» – disse agitata.

«Sempre tesa, la mia 'Prinsessa'- le sussurrò appoggiandosi con il corpo snello a quello di Lou, passandole un braccio intorno alla vita, premendo le dita attraverso gli strati del suo giaccone – Hai un buon profumo... sai di vaniglia...» - le disse annusandole i capelli, strofinandole le labbra sui ricci.

Lou posò una mano sulla sua e lui girò il palmo intrecciando le dita a quelle di lei... aveva sempre delle mani così calde.

Si aggrappò a quella mano, mentre lui ne accarezzava lentamente con il pollice il dorso.

«Penso che sia meglio andare via: spesso i fan mi seguono quando vado in giro... non vorrei ritrovarmi su qualche blog mentre amoreggio con una bionda in un supermercato... - le strizzò l'occhio – E poi, sto davvero facendo uno sforzo enorme per non prenderti e baciarti fino a toglierti il respiro.»

Lou sentì lo stomaco contrarsi a quelle parole, un delizioso languore al basso ventre.

«Ville!» - la voce di Julian, dietro di loro, li fece sobbalzare mentre continuavano a fissarsi in silenzio.

Julian era stupito di vedere Ville, appoggiato in modo del tutto rilassato al carrello di Lou e vide che erano molto vicini.

«Julian... giusto?» - chiese Ville senza muoversi di un millimetro, alzando lo sguardo altrettanto stupito di vederlo lì.

Poi notò che l'altro aveva tra le braccia qualcosa che andò a depositare nel carrello di Lou, per affrettarsi a salutarlo, stringendogli la mano; contemporaneamente Lou sciolse le mani e si staccò leggermente da Ville.

Lui si raddrizzò lentamente, non senza aver prima buttato un’occhiata in tralice a Lou.

«Accidenti, anche Ville Valo fa la spesa come tutti i comuni mortali allora!» - disse ridendo Julian additando la sacca che pendeva dalle mani di Ville.

«Eh già, anche Ville Valo pare mangi ogni tanto. - rispose lui secco – Cenetta romantica?» - chiese poi, con aria indifferente e tono piatto, indicando il carrello dietro di sè, con gli occhi che fissi al pavimento.

«Ville...» - sussurrò Lou, cercandogli gli occhi.

«Oh, no no, assolutamente no... purtroppo!» - disse ridendo Julian.

Grazie Julian...”

«È una cena tra amici in realtà, organizzata all'ultimo momento, mentre eravamo a mollo nella vasca idromassaggio, oggi pomeriggio! Ma perché non ti unisci a noi?! Sempre se a Lou va bene, ovvio!»

Ville rimaneva in silenzio.

Lou chiuse gli occhi per un istante.

«Mi farebbe piacere se tu venissi, Ville...» - disse fissandolo dritto in viso.

Ti prego guardami...”.

Lui si girò piano, guardandola con uno sguardo totalmente diverso da quello di pochi minuti prima.

Come se non la conoscesse neanche.

Lou si sentì investita da una ventata gelida.

Si sforzò di sorridergli calma, ma le tremavano gli angoli della bocca.

«Ok.»

«Grandioso! - esclamò Julian, che non si era minimamente reso conto degli sguardi e dell'improvviso cambio d'umore di entrambi – A più tardi allora; Lou io devo prendere altre cose, arrivo subito... Ciao Ville, a dopo!»

Ville alzò la mano in segno di saluto, sorridendo.

«Non eri obbligata ad invitarmi se non volevi.»

«Ma che stai dicendo? Certo che voglio che tu venga... non fare l'antipatico! Non mi aspettavo di vederti...» - ribatté acida Lou.

«Sei sicura che non preferiresti stare con il tuo Banderas, invece che con un palloso e pallido finlandese?» - chiese a bassa voce, guardandola in tralice.

«Non vorrei essere con nessun altro che con te, stasera.» - rispose lei seria, guardandolo dritto negli occhi.

E al diavolo le reticenze.”.

Ed ecco di nuovo quelle fiamme verdi che la bruciavano.

Ville buttò uno sguardo al di là degli scaffali, corrugando la fronte; lei seguì i suoi occhi e vide, girandosi, che c'erano tre ragazze che si sgomitavano agitate, indicandolo.

«Ti hanno beccato. - disse lei, mentre le tre ragazze avanzavano verso di loro – O scappi o ti arrendi e fai il carino.»

«Oggi sono di buon umore: farò il carino. Grazie a te.»

«A me? Pensavo fossi irritato...» - sbatté le palpebre lei.

«Oh, no... non mi hai ancora mai visto davvero irritato, credimi...»

«Bene, avvertimi quando lo sei, perché non voglio essere presente... ora vado, ti lascio alle tue fan.»

«Fifona...» - le sussurrò lui, raddrizzando le spalle mentre la prima delle ragazze si avvicinava tremante con una macchinetta fotografica, chiedendogli in un inglese stentato se potesse farsi una foto con lui.

Lou prese il suo carrello e si allontanò da lui, che ora era attorniato da donne adoranti e rosse in viso.

«Ehi, biondina!» - la richiamò mentre firmava autografi.


Biondina?!”


Lei si girò rigida, con un sopracciglio alzato.

«Tu non lo vuoi l'autografo?» - le chiese con un sorriso da un orecchio all'altro.

Le tre ragazze si voltarono come un sol uomo a fissarla con gli occhi stretti.

«La prossima volta, Valo!» - rispose lei, dandogli le spalle.

Lui sghignazzò e le tre ragazze aprirono la bocca in un “O” indignato.

Era tentata di dirgli qualcosa, tipo “ci vediamo a cena, Valo”, ma era meglio non sfidare la sorte.

Si avvicinò a Julian che aveva le braccia piene di viveri, aiutandolo a liberarsi mettendole nel carrello.

Una volta alla cassa Lou si girò per dare un'occhiata a Ville che ancora s’intratteneva con le ragazze estasiate; sorrideva gentile rispondendo alle domande, facendosi fotografare.

Quasi l' avesse sentita lui alzò gli occhi, incrociando i suoi e le strizzò l'occhio con un ghigno.

Lei uscì a mento alto dal super, affiancata da un Julian ciarliero... una volta usciti pensò che aveva dimenticato di dire a Ville che Nur era tornata.

E che non sapeva nulla degli ultimi sviluppi.

******

Quando erano tornati a casa, Lou ammirò con piacere il lavoro che Simone, con l'aiuto di Nur, aveva realizzato: come sempre un miracolo, ogni volta che lui toccava qualcosa, questo diventava unico e speciale.

Non sapeva come aveva fatto, ma aveva reso il salottino più bello di quanto fosse mai stato prima: candele e foulard che probabilmente aveva rubato a Nur, coprivano ogni angolo libero.

Anche sulla lampada anonima del salotto c'era un foulard a colori caldi che rendeva l'atmosfera molto intima.

La musica che usciva dallo stereo era soft e sensuale.

«Ragazzi, non immaginerete mai chi abbiamo incontrato mentre facevamo la spesa!» - Julian non vedeva l'ora di svuotare il sacco.

«Fammi indovinare – disse Simone adocchiando il viso tetro di Lou – Ville Valo, per caso?»

«Esatto! Viene a cena qui! Ancora non posso crederci... anni fa avrei dato un braccio per conoscerlo e stasera sono a cena con lui!»

Nur che era in bagno fece capolino con il mascara in mano.

«Davvero? Forse ha saputo che ero tornata...» - disse sorridendo.

«Certo... - borbottò Simone, in italiano – Proprio così...»

Nur indossava un normale jeans attillato e un maglione rosso a collo alto, ma alla notizia che Ville sarebbe stato a cena, corse a cambiarsi per tornare con un abito anch'esso rosso, scollato e stretto in vita, per poi ricadere morbido fino al ginocchio.

Ovviamente accompagnato con un paio di scarpe dal tacco altissimo.

Simone le disse in tono accondiscendente e mellifluo che era strepitosa,Julian sbatté più volte gli occhi imbambolato.

Lou dal canto suo sospirò in preda ad un attacco di panico misto a gelosia.

«Tu rimani così? - le chiese Simone, indicando il suo abbigliamento, jeans chiaro e maglioncino bianco, con occhio schifato - perché non metti quel vestito verde che ho visto nel tuo armadio?»

«Perché devo spignattare e non ho voglia di rovinarmi un vestito: e poi rimaniamo in casa, voglio stare comoda.» - tagliò corto lei mentre tirava fuori la spesa dai sacchetti.

Simone incrociò le braccia sibilando in italiano: «Mettiti quel maledetto vestito verde o ti strozzo stasera!»

«Will, piantala.»

«A costo di spogliarti e infilarti quel vestito io stesso, stasera metterai quello...»

«Che cosa t’importa? Non ho voglia di agghindarmi, ok? Non mi sento a mio agio con quella roba addosso e ho già tensione in abbondanza. Non insistere!»

«Eccoli che parlano in italiano... avete segreti ragazzi?» - chiese Nur, avvolgendoli in una nuvola di profumo mentre passava accanto.Lou fulminò con gli occhi Simone.

«No Nur, nessun segreto: Simone si rifiuta di collaborare in cucina e lo stavo insultando in italiano...»

«Grace.»
«Will.»
«...»
«...!»
Nessuno dei due cedeva.

«Ti odio.»

«Me ne frego, non sono una delle tue modelle che le vesti e le giri come ti pare.»

«Come vuoi. La Regina di Saba allora avrà tutta l'attenzione del tuo principe.» - le disse sperando di smuoverla.

Lou alzò le spalle, per fargli capire che per lei era lo stesso.

«Ora sparisci di qui: ho da lavorare.» - disse chiudendo il discorso.

Se Simone sperava di farle cambiare idea sul suo abbigliamento e di metterla in ghingheri solo per competere con Nur, si sbagliava di grosso.

Non avrebbe cambiato il suo modo di fare e di essere, solo per mettersi in mostra.

La differenza tra lei e Nur era abissale.

Ville ce l'aveva sotto gli occhi anche senza che lei si mettesse a fargli le sfilate sotto il naso.

Se c'era una cosa che aveva imparato da quando non stava più con Andrea, era che per quanto potesse cercare di cambiare e rendersi più attraente agli occhi del suo ex, non raggiungeva il suo scopo.

Per cui aveva deciso di essere se stessa, sempre: se qualcuno la trovava sciatta e banale, pazienza.

Ora mentre osservava Ville e Nur che parlavano fitto sul divano, era quasi dispiaciuta di non aver seguito il consiglio di Simone.

Nur aveva accolto Ville con un sorriso da ammaliatrice.

Non aveva visto il viso di Ville cambiare espressione, ma era sicura che neanche a lui era passato inosservato quanto fosse bella la sua amica.

Katty, ormai Lou la chiamava così per comodità, era schizzata via dal suo rifugio sotto il letto di Lou per fiondarsi tra le braccia di Ville.

Non si era staccata un secondo da lui, e ogni tanto gli leccava le dita tra un sonnellino e l'altro.

Lui la teneva sulle gambe e la accarezzava di tanto in tanto, mentre parlava con Nur o Simone, che era totalmente affascinato da lui.

Il suo amico che di solito era disinvolto con tutti, davanti a Ville aveva avuto una reazione all'inizio timida.

Lou pensava che lo stesse valutando, ma era evidente che Ville piaceva anche a lui.

"E come poteva essere altrimenti?" - pensò sbirciando il finnico.

Quella sera le sembrava fosse più bello che mai.

Indossava dei jeans scuri, con sopra una maglia verde scuro a maniche lunghe e sopra un semplice pullover di lana, aperto con la zip, anch'esso nero.

Lou l'aveva guardato con gli occhi a cuore, come le aveva sussurrato Simone in italiano, passandole accanto.

«Attenta Grace: spari cuori e ormoni ovunque!»

Ville aveva legato i capelli in un cipollotto scomposto dietro la testa, che gli metteva ancora più in risalto gli zigomi alti.

Si era tolto il cappello e lei era rimasta a bocca aperta... diventava più bello di ora in ora per caso?!

«Ciao Lou...» - aveva sussurrato lui rivolgendosi a lei che era intenta ad affettare cipolle.

Lei aveva tirato su col naso, con gli occhi pieni di lacrime, abbagliata dal suo sorriso.

«Ville... ciao...»

Non doveva essere un bello spettacolo con i lunghi capelli ricci, raccolti in cima alla testa e la faccia accaldata dai fornelli.

Lui si era appoggiato al muretto osservandola divertito, fino a che Nur non aveva reclamato la sua attenzione, pilotandolo sul divano con la scusa di offrirgli qualcosa.

Lui aveva risposto di non volere nulla e ogni tanto la sbirciava, sorridendole.

Rinfrancata dal fatto che lui non la perdesse d'occhio, si rilassò.

Cercò anche di non guardare la sua amica fare la gatta morta, accavallando le gambe più volte del dovuto e lisciarsi i capelli, mentre gli parlava.

Con un colpo secco di coltello tagliò in due una zucchina.

«Ehi, Eva attenta... - disse ridendo Julian, rosso in viso a causa dei fornelli anche lui – per un attimo mi sono immedesimato in quella zucchina e... ahia!»

Lou rise suo malgrado.

«Non farmi mai arrabbiare, Pirata!» - lo minacciò lei con il coltello alzato.

«Mai!» - lui alzò le mani in segno di resa.

Julian si appoggiò al bancone mentre lei controllava che il sugo istantaneo di pomodoro con prendesse fuoco.

«Sei molto carina stasera... - le disse sorridendole malizioso – Cioè lo sei sempre, ma stasera hai una luce diversa negli occhi...» - con una mano le riavviò il ricciolo che le pendeva, sistemandolo dietro l'orecchio.

Gli occhi di Lou saettarono al divano.

Il finnico non si era perso un passaggio della scena e la guardava senza sorridere… che fosse geloso?


"Naaaa...”

Le venne voglia di metterlo alla prova, ma non voleva creare casini ulteriori quella sera... se lui si fosse incavolato era capace di prendersi Katty e andare via, come aveva fattola prima volta che l'aveva trovata con Julian.

«È solo la cipolla, Julian…»

«Uhm… no, non credo. Sono contento che tu mi abbia chiesto di esser qui stasera, avevo voglia di stare un po’ con te. Era da un po’ che non avevo modo di parlarti, al di fuori della galleria…»
Lou stava per ricordargli che era stata Nur ad invitarlo, ma preferì lasciar correre.

Non riusciva a concentrarsi: faceva fatica a non guardare cosa succedeva sul divano.

Ammise con se stessa di essere un po’ gelosa della sua amica che stava monopolizzando il Valo.

«Sono contenta che tu sia qui, con tutte le persone che amo di più.» - disse lei.

«Tutte? Compreso il Valo? Pensavo ti fosse antipatico…»

«Non è male se lo conosci meglio…» - disse arrossendo, guardando ancora verso Ville.

Che la stava guardando a sua volta.

Dio… com’è bello!”.

Ville si alzò di scatto dal divano, depositò Katty sul cuscino, scusandosi con Nur troncandole le parole sulla bocca, tanto che lei lo guardò sbigottita... Anche la micia lo guardò con disappunto.
Lou si raddrizzò ansiosa, vedendolo avanzare verso il muretto.

Non staccò gli occhi da lei un solo istante: fremeva.

Che gli prende ora?”.

«Vieni un attimo con me, Lou? – le parlò seccamente, porgendole la mano – ho bisogno di un tuo consiglio. Julian, non ti spiace se la prendo un attimo, vero?» – chiese rivolto a Julian, senza smettere di tenerla inchiodata con gli occhi. E senza aspettare risposta.

Julian, Simone, Nur e Katty assistevano alla scena, immobili.

Lei prese la mano e si lasciò guidare fuori dal salotto, verso il corridoio buio.

Che bello stringergli la mano…”.

Non appena si allontanarono, Katty saltò dal divano per seguirli.

«Ville, che succede – chiese lei curiosa – cosa devi dir…»

Lui non le lasciò finire la frase.

La afferrò e tirandola a sé, una mano dietro la testa, le prese le labbra in un bacio famelico.

Muoio…” – pensò lei con le ginocchia che le cedevano.

La bocca di Ville, la lingua prendeva e prendeva da lei, come se non ne avesse mai abbastanza.

La mano libera le premeva sulla schiena, schiacciandola contro di lui.

Lou gli si aggrappò alle spalle istintivamente, le braccia passarono sotto quelle di lui per stringerlo ancora di più.

Una mano curiosa s’insinuò sotto il maglione di Lou, accarezzandole la pelle sopra il bordo dei jeans.

Se non ci fermiamo immediatamente, lo stendo a terra e non rispondo di me…” – pensò Lou, con il sangue che correva veloce e il cuore galoppante.

Ville però non sembrava dello stesso parere.

Ogni volta che lei cercava di staccare le labbra dalle sue, lui rafforzava la stretta.

Dimenticò tutto: la cena che poteva bruciare, i suoi amici al di là del corridoio che potevano coglierli sul fatto da un momento all’altro…

Se Nur fosse comparsa all’improvviso…

Dimenticò ogni cosa.

Sentiva solo lui.

Lui che ora le mordicchiava il labbro inferiore, per passarci poi la lingua…

«Ville… - ansimò, trovando lo spazio per prendere respiro – Non riesco a respirare…»

Lui posò la fronte sulla sua, con gli occhi chiusi, senza lasciarla andare, anzi le sue braccia la strinsero ancora di più.

«Ora va molto meglio... – sussurrò lui con la voce bassa e sexy – Non resistevo più, scusa se ti ho rapita così…»

Non era per nulla dispiaciuto… ghignava.

Riusciva a vederlo anche al buio, con la sola debole luce che proveniva dal salotto.

Katty si strusciava ai loro piedi, passando da una all’altro, facendo le fusa.

«Mi farai morire uno di questi giorni, Valo…» - mormorò ansando come se avesse corso.

Le stava andando a fuoco il viso.

«Lo spero vivamente. Banderas ti stava troppo vicino per i miei gusti… sono corso a salvarti.»

Lei ridacchiò piano.

«Sei tutto matto, Valo… si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto…»

«Lou, pensi che m’importi qualcosa? Se fosse per me, ti prenderei in questo preciso istante e ti porterei dritta a letto… così la tua idea di morte sarebbe diversa… ti darei una dolce morte…»

La voce, il tono basso e roco, le parole e la sua mano che dalla schiena ora era passata davanti, sostando appena sotto il bordo del reggiseno, le scoppiarono nella testa come un tuono.
Trattenne il respiro.

Per un instante era stata sul punto di trascinarlo lei stessa in camera.
«Qualcuno deve fare la persona ragionevole, Sig. Valo… e credo tocchi a me.» - disse con voce tremante.

Lui aprì gli occhi guardandola divertito.

«Non credo mi piaccia questa storia dell’essere ragionevoli. Molla tutto e tutti e andiamo via.» - la tentò.

«Fai il bravo… - rispose lei, massaggiandogli la nuca libera dai capelli mossi. – sei carino con il cipollotto, Sig. Valo…»

«Il Sig. Valo pensa di essere al limite della lascivia stasera e se continui a toccarmi così, mia cara, non c’è niente che ti possa salvare…»

Oh…”.

«Ehi, voi due! Lou! – urlò Simone dall’altra stanza – Qui c’è qualcosa che va a fuoco!»

«Anche qui…»- mormorò Ville.

Lou si allontanò a malincuore da lui, dandogli una leggera spinta.

Lui per tutta riposta la tirò di nuovo verso di sè, rubandole un altro bacio.

«Signorina Zarda, lei si salva sempre per un pelo.» - le sussurrò rimettendole a posto il maglione, guardandola con occhi di fuoco.

Ridacchiò nervosa con un brivido di eccitazione.

Non aveva nessuna voglia di tornare dagli altri. Le sarebbe piaciuto rimanere in quel corridoio buio, ad amoreggiare con Ville, che continuava a guardarla intensamente.

Con un sospiro si avviò verso il salotto lasciando la mano di Ville, cercando di dare al suo viso un’espressione neutra e indifferente.

Ovviamente tre paia d’occhi si voltarono all’unisono quando rientrarono.

Simone, le lanciò un’occhiata di chi la sapeva lunga. Nur e Julian intenti a cucinare.

Con un sorriso Lou osservò la sua amica che aveva occupato il suo posto ai fornelli.

«Tutto ok? – le chiese neutra Nur – Sei ancora rossa in viso…»

«Tutto ok, lascia faccio io… è quasi pronto. Potete mettervi a tavola…»

Tavola che consisteva nel basso tavolino e come sedie Simone aveva disposto dei cuscini intorno.
Si sedettero parlando allegramente. Julian li deliziò come sempre con i suoi racconti divertenti.
Simone, che era un vero e proprio pagliaccio, raccontò i tempi in cui lui e Lou frequentavano l’Accademia facendoli ridere con aneddoti che lei aveva rimosso.

«Ragazzi Lou era un vero spasso… diversa dalla donna pallosa che vedete qui ora» – le fece una linguaccia.

Ville rideva rilassato.

Era bello vederlo a suo agio e soprattutto, vedere i suoi amici a suo agio con lui.

Simone in particolare, notò Lou, era del tutto a suo agio e spesso si ritrovavano a parlottare tra loro con aria complice.

Nur continuava ad essere distratta e pensierosa e Lou pensò che probabilmente era a causa di Ville, che le parlava in tono gentile, ma senza mostrare nessun tipo d’interesse in più.

«Grace… - le sussurrò Simone in italiano, mentre Ville raccontava ad un Julian estasiato aneddoti sul suo gruppo – il finnico è un gran figo. Ed è pazzo di te: non ti ha perso di vista un secondo. E cavolo se si è accigliato quando Julian si è avvicinato troppo! Mia cara, penso proprio che sia cotto a puntino… ti ha agguantata quando ti ha portata di là, eh? Si vedeva chiaramente che vi eravate baciati… tu avevi una faccia sconvolta e lui… beh, riusciva a camminare a stento!»

«Will! Smettila! Sei un porco! – sibilò Lou di rimando arrossendo – Dici che era palese quello che era successo?»- chiese Lou sbirciando verso Nur.

«Palese?! Solo un cieco non avrebbe capito… penso che Julian soltanto non abbia capito una fava…»

Lou iniziò a rilassarsi… stretta tra Simone e Julian, con Ville di fronte che spesso la cercava con gli occhi, si godeva la cena che lei aveva temuto diventasse un inferno.

Il cibo buono e il vino fecero il resto.

Julian, Nur e Simone vuotarono quasi due bottiglie da soli, mentre lei ancora reduce della sbronza con Simone qualche sera prima e ancora disgustata, ne bevve davvero poco.

Ville non lo accettò quando lei gli chiese se ne voleva un po’.

Notò anche un momento di silenzio imbarazzato degli altri tre, ma Ville le sorrise scuotendo la testa.

Quando si alzò per prendere il gelato, Simone la seguì.

«Grace, quando ti ho detto che dovevi leggere e informarti sul tuo finnico era per evitarti di fare figuracce come quella del vino.»

Lou cadde dal pero.

«Che vuoi dire? Che figuraccia avrei fatto?» – chiese allarmata.

«Grace… lo sanno tutti che Ville non beve più…» - la guardò seriamente.

Lou continuava a non capire.

«Ok, te lo dirò in maniera cruda: Ville aveva problemi con l’alcool. E ora non beve più. Tu non potevi saperlo e lui ha capito.»

Lou avvampò d’imbarazzo, poi impallidì deglutendo a vuoto, non osando guardare verso Ville.

Simone sapeva anche cosa le stava passando per la testa: Lou aveva già avuto a che fare in passato con tipi che bevevano.

Come il suo ex.

Che non mancava di strapazzarla quando questo accadeva. Vale a dire spesso e volentieri, negli ultimi tempi del loro fidanzamento.

«Non lo sapevo… - mormorò lei – non avrei mai fatto una gaffe del genere se avessi dato ascolto a te, vero?»

«Lo so, lo so… e penso che anche Ville abbia capito che tu non sapevi. Grace, a fine serata ti dirò cosa penso di lui, ora però godiamoci la cena… e per favore, fa finta che io non ti abbia detto nulla. Levati quella faccia da cane bastonato.» – le disse sorridendole e abbracciandola affettuosamente.

Lou se lo strinse contro baciandogli la guancia.

«Grazie Will…»

Quando tornarono con le mani impegnate dalle coppe di gelato, queste furono accolte con entusiasmo.

Le dita di Ville trattennero per un istante di troppo le sue, mentre lei gli dava la sua.

Simone continuò imperterrito a prenderla in giro per le monellate che Lou combinava in Accademia.

«Non è vero – si difese ridendo Lou – stai dicendo un mare di baggianate buffone! Vogliamo parlare dei tuoi travestimenti?!»

«IO ERO una star, cara!»

Tutti risero.

«A tal proposito: ho un regalo per te, Grace… Mara ha realizzato un DVD con tutte le nostre vecchie videocassette. Se mi dai il permesso e ai nostri amici non dispiace lo metto su, così possono vedere con i loro occhi che quello che dico è la verità e che io, ovviamente, ero davvero una star!»

«Ma assolutamente no!» – esclamò lei.

«Ma assolutamente sì!» – dissero nello stesso istante in coro Nur e Julian, scoppiando a ridere.

«Ville? La maggioranza ha già vinto, ma te lo chiedo per correttezza.» – disse Simone alzando il viso con aria di finta superiorità.

«Per me va bene… Vediamo cosa combinava la Signorina Zarda quando era giovane…»

«Ehi! – lo apostrofò ridendo – Io sono ancora giovane!»

Ville le strizzò l’occhio mentre leccava il cucchiaio di gelato.


Oh mamma… Lou, smettila di fare pensieri sconci con lui e il gelato!”.


Lui le sorrise sornione come un gatto… accidenti se le leggeva nella mente!

Saprei io dove spalmarti quel gelato...”- pensò Lou con la pancia che le tremava e gli ormoni impazziti.

Visioni di Ville steso sul suo letto con il gelato che gli si si scioglieva addosso le attraversarono la mente... e allora anche lei gli sorrise maliziosa.

Simone che si era allontanato per prendere il famoso DVD, dopo averlo infilato nel lettore, si risedette accanto a Lou, dicendole: «Grace, lo stai spogliando con gli occhi... datti un contegno!” - le sibilò Simone in italiano, ghignando.

«E menomale che non ho bevuto nulla... altrimenti era fregato!»

«Ah, se è per questo io credo che lui non veda l'ora di farsi fregare, sorella!»

«Ecco a voi, il “Simone&Lucia Show”!» - annunciò Simone ridendo.

Mara era una bravissima videomaker: lavorando in tv aveva imparato a montare video, più o meno in maniera professionale.

Sullo schermo si succedevano immagini e spezzoni di video di loro tre nei vari anni.

Le prime sfilate disegnate da Simone, la prima mostra da solista di Lou... quella fotografica di Mara.

Loro tre, intenti a disegnare le tavole nel loro vecchio salotto... Simone vestito da Drag Queen per la Festa di Carnevale; Lou con i capelli corti e lisci e il viso da ragazzina, che rideva a crepapelle per qualcosa che aveva detto Simone, tanto da cadere dal divano.

Ville le lanciò uno sguardo dolce che le fermò il respiro... Lou e Mara, vestite a festa per la sfilata di Simone, imbronciate e con una pettinatura ad alveare.

Nur rotolava dalle risate.

Loro tre al mare, nella casa di proprietà dei genitori di Simone: Lou arrossì fino alla cima dei capelli a rivedere se stessa stesa al sole, con il minuscolo bikini bianco che il suo amico-stilista-pazzo le aveva imposto di comprare.

Con la coda dell'occhio vide Ville sorridere da un orecchio all'altro.

Mara che all'improvviso le buttava una secchiata d'acqua lasciandola senza fiato, impiastricciata di sabbia e crema solare.

Lou che prendeva la rincorsa per darle una lezione.

Simone che zummava sul suo sedere.

«Will!»- strillò Lou, nascondendo il viso nelle mani quando gli altri scoppiarono a ridere.

Che figura di merda!”.

Le scene ridicole e dolci si succedevano e Lou tornò indietro a quei tempi felici e spensierati.
Ogni tanto scambiava un sorriso con Simone, per cose che solo loro potevano capire.

La laurea e la seguente festa dove Lou si era buttata in mare vestita.

Mentre Simone raccontava la performance con tanto di spogliarello finale, sullo schermo apparve una scena che nessuno si aspettava, soprattutto Lou e Simone.

Un' altra festa, gente che ballava e luci soffuse... e sullo sfondo Lou e Andrea che si tenevano stretti, le braccia allacciate, occhi negli occhi.

Lou si immobilizzò impietrita: aveva dimenticato quella festa, aveva dimenticato anche che Simone aveva la telecamera, aveva rimosso quasi ogni cosa che lo riguardava..

Guardò se stessa abbronzata e ridente, il volto illuminato alzato verso lui, con il corto vestito estivo verde mela, a bretelle sottili e i capelli che le ondeggiavano sulla schiena ogni volta che lui si piegava su di lei per baciarla.

Andrea. Stupendo, scuro, alto nella maglietta attillata che metteva in mostra il fisico perfetto, che le parlava mormorando qualcosa sulle labbra.

A Lou mancò un battito del cuore a vederlo... soprattutto a vedere come si guardavano.

La videocamera si avvicinò alla coppia una voce fuori campo, Simone, che diceva in italiano: «Ehi smettetela voi, fate venire il diabete solo a guardarvi!” e la mano scura di Andrea che ridendo, copriva l'otturatore. Lei che si girava con un sorriso luminoso e gli occhi che brillavano, per poi appoggiare la testa al petto di lui.

All'improvviso lei ricordò chiaramente quella sera: avevano cercato una scusa per lasciare la festa in modo da starsene soli e si erano allontanati verso la spiaggia, dove avevano fatto l'amore. Ricordò anche la canzone che sentiva in sottofondo, perché Andrea gliela stava cantando e nel frattempo gliela traduceva in italiano...“The Promise” di Tracy Chapman.

Di nuovo assieme
mi sentirei cosi bene
nelle tue braccia
dove tutti I miei viaggi finiscono
se puoi fare una promessa
se è una promessa che puoi mantenere
ti prometto che tornerò da te
se tu mi aspetterai...”


Ora ricordando le parole della canzone, un sorriso amaro le si disegnò sul viso.
Non c'era nessuna promessa mantenuta. Di ritorni ce n'erano stati tanti ma nessuno era stato bello... non c'era più niente da custodire, niente e nessuno da attendere...

Simone si agitò sul telecomando, Nur la guardò preoccupata, Ville strinse gli occhi fissando lo schermo, Julian... abbassò gli occhi al tavolo basso.

«Non fa niente, Will. Sta' calmo... posso sopportare di vederlo sullo schermo... - mormorò Lou in italiano, poi aggiunse in inglese a beneficio degli altri – È tutto ok!»
Simone tolse il DVD, ormai l'atmosfera serena rovinata.
«Ehi! Va tutto bene... non fate quelle facce!» - disse con tono leggero soprattutto a Nur e Simone che conoscevano i risvolti della storia.

Ville le fissava il volto scandagliando ogni sua emozione, che lei mantenne neutra e ben nascosta.
«Qualcuno vuole dell'altro gelato?» - propose allegra Lou, cercando una scusa per allontanarsi e riprendere respiro.
«Io, grazie!»- disse gentile, Julian – capendo al volo la sua esigenza di allontanarsi.
Nascosta con il viso nel freezer, Lou cercò un modo per tornare a respirare normalmente prima che la morsa che sentiva nello stomaco la sopraffacesse.

Respira Lou, respira... ce la fai... respira...” - diceva a se stessa con un groppo in gola.

Quando rialzò la testa, gli occhi erano asciutti e si ritrovò Ville appoggiato al muretto che la guardava concentrato.
«Ehi...»
«Stai bene?» - chiese piano, gli occhi di giada che parevano bucarle la pelle.
«Sto bene.» - posò la mano sulla sua sorridendogli, desiderando sentirlo vicino.

Lui le prese le dita stringendole piano, abbassando lo sguardo sulle loro mani.
Ringraziò il cielo che lui fosse lì quella sera: la sua presenza aveva reso tutto più bello.
Voleva rifugiarsi tra le sue scarne braccia, in cerca del calore di cui lei aveva bisogno.

«Aiutami a portare il dolce di là, vuoi?» - gli chiese dando un tono sereno alla sua voce.

L'ultima cosa che voleva era rovinare agli altri la serata, per uno come Andrea.
«Certo... che roba è? - chiese Ville curioso, guardando scettico il dolce che Lou gli appioppava tra le mani - Non ho mai visto niente del genere...»
«Ehi, finnico: questo è una “Torta di Rose”... ti piacerà vedrai!»

Ville tornò a guardare il dolce tondo con tanti rotoli di pasta frolla arrotolati e ricoperti di zucchero, che davano davvero l'aspetto di tante rose impiattate.
Lou prese la coppa di gelato promessa a Julian e spinse il finnico perplesso verso il salotto, con una leggera pacca sul sedere.

Lui si voltò a fulminarla con gli occhi.
Lei ridacchiò a bassa voce e lui le sibilò roco all'orecchio:
«La pianti di palpeggiarmi il culo, ogni volta che sono distratto e ho le mani impegnate? Te ne approfitti perché pensi di essere al sicuro da me...»

«Penso? Io sono al sicuro da te, almeno per stasera...»
«Non ci giurerei se fossi in te, biondina...»
«Ville, se mi chiami ancora una volta biondina, te ne farò pentire.» - minacciò lei.
«Uhm... e dimmi, che tipo di punizione mi darai?»

Accidenti a lui... passava dall'essere dolce e delicato, nel suo essere premuroso a farla andare a fuoco solo con uno sguardo e una sola parola...

«Uhm... un giorno lo vedrai...»
«Perché non subito?»
«Fai il bravo, Valo.»
«Io lo sono sempre!» - le sorrise con aria diabolica lui.
Nel frattempo che Lou e Ville si era beccati amoreggiando, Simone aveva imbracciato la chitarra che Nur teneva per arredamento in camera sua e con la lingua di fuori, cercava di suonare.

«Per carità! Toglietegli di mano quell'affare se volete uscire di qui con i timpani sani e salvi! Quando canta sembra un cornacchia in agonia! - disse Lou ridendo – Katty è scappata via stamattina quando lo ha sentito gracchiare!»

«È scappata via solo quando ti sei unita a me!» - rispose stizzito lui, riprendendo a violentare le corde della chitarra.
Lou scoppiò a ridere divertita.

«Hai ragione!»
«Beh, ragazzi... - intervenne Julian – con tutto il rispetto per Simone e il suo innegabile impegno, ma qui abbiamo uno dei più bravi cantanti del mondo, a mio parere... se qualcuno deve cantare stasera, quello è Ville!»

Quattro paia di occhi di girarono speranzosi verso Ville.

«Oh cavolo, volete farmi lavorare anche stasera?» - rise lui, facendo segno a Simone di passargli la chitarra.
Simone la tenne stretta con il broncio, poi a malincuore gliela consegnò, buttandosi sul divano incrociando le braccia.
Lou tornò a ridere e gli fece una carezza sulla testa, prendendolo in giro.
«Povero Will, nessuno apprezza le tue qualità canore...»
«Umpfh!»

Ville sedette sul divano, imbracciando la chitarra.
«È un disastro... nessuno ha mai accordato come si deve questa ragazza.» - disse con un cipiglio severo.
Lou si acciambellò poco distante da lui, stringendosi la gambe al petto.
Era emozionata: lei adorava la sua voce e ora lui avrebbe cantato solo per loro.
Non capitava tutti i giorni avere un unplugged di Ville Valo nel salotto di casa!
Nur si giustificò dicendo che quando suo padre gliel'aveva regalata si era aspettato che imparasse sul serio a suonarla, ma era stato uno dei suoi tanti progetti mai portati a termine, per cui la chitarra dopo i primi mesi in cui era stata maltrattata dalle dita nervose di Nur che non riusciva ad imparare nessuna posizione, era diventata oggetto di arredamento.

Che aria professionale che hai Valo... e quanto sei bello...”.

«Avete richieste?» - chiese Ville, alzando gli occhi, guardando ognuno di loro per poi posarsi su di lei.
«Ehm... - disse imbarazzata Lou. Non conosceva ancora tutte le sue canzoni e stava per fare un'altra figuraccia!- Non saprei...»
Julian le venne in soccorso.

«Ville, mi piacerebbe che cantassi “Close to the Flame”: credo sia una delle tue canzoni più belle.»
Ville fece un cenno d'assenso con la testa, sorridendo.

«Bella scelta.» - sussurrò.
Le dita lunghe di Ville si mossero leggere sulle corde, accarezzandole come se toccasse il corpo di una donna.
I primi accordi e le note a danzare tra loro. Quando la voce di Ville iniziò a vibrare nella sua gola, Lou si sentì mancare. La voce calda e roca di Ville riempiva lo spazio.

The kiss sweetest
And touch so warm
The smile kindest
In this world so cold and strong...


Ad occhi chiusi, totalmente concentrato e intenso: sembrava dimentico di ogni altra cosa gli fosse intorno.

So close to the flame
Burning brightly
It won't fade away
And leave us lonely...

Lou sentì gli occhi riempirsi di lacrime... era una canzone dolcissima, anche se un po' triste e lui la stava dipingendo con la voce. Lou chiuse per un solo istante gli occhi: non voleva perdersi un solo secondo della visione del viso di Ville che cantava.

Lui aprì gli occhi, le pupille dilatate.

Cercò gli occhi di Lou fissandola con intensità, come se quelle parole fossero per lei.

Il cuore le tamburellava veloce nel petto, senza respiro...

The arms safest
And words, so good
The faith deepest
In this world so cold and cruel...”


Quando le ultime note risuonarono, per poi spegnarsi piano piano, un silenzio quasi religioso aleggiava tra loro.
Lou non riusciva a muoversi: stringeva convulsamente le braccia intorno alle gambe.
Non si era mossa di un millimetro.
Con il cuore in tumulto, non seppe far altro che fissare Ville con gli occhi sgranati... sicuramente lui le stava leggendo sul viso, ogni sua emozione.

«Fantastico... - sussurrò Julian, emozionato anche lui – Ville, grazie...»
Simone e Nur, guardavano Ville con gli occhi lucidi: dopo un momento di silenzio, Nur battè la mani.
«È stupenda! Che romantico che sei!»- commentò anche lei.
«Mio dio...» - disse Simone, che però fissava ttento il viso di Lou.

Ville le sorrise... e Lou pensò che sarebbe morta.

Lou era l'unica che non aveva detto nulla...e non ce n'era bisogno: quello che provava era scritto a chiare lettere sul suo viso.
Si sarebbe sciolta da un momento all'altro...
Poi fece una cosa che probabilmente nessuno dei presenti, specie Ville, si aspettava: si alzò lentamente e abbracciò Ville.
Lui rimase un attimo interdetto, poi ricambiò l'abbraccio in silenzio.

«Grazie...» - gli disse piano Lou, con il volto affondato nel petto di lui.
«Di nulla, Lou... ci stanno guardando tutti – le sussurrò divertito all'orecchio – Dimmi che non stai per toccarmi il sedere.»

Lei rise, ricacciando indietro le lacrime che rischiavano di tracimare.
«Promesso... per ora!»- gli sussurrò alzando solo un istante il viso per saziarsi di giada.

«Ehm... - si schiarì la voce Simone divertito – scusate, voi due? Ville, si può sapere che le hai fatto? Farla piangere è quasi impresa impossibile... ed ora eccola qui, come gelatina molle tra le tue braccia! Ridammi la mia arpia!»
Ville si schernì scrollando le spalle.
«È la mia tattica preferita per farle cadere ai miei piedi...»
Tutti risero. Anche Lou, che apprezzò il suo modo di sdrammatizzare la situazione alquanto strana agli occhi di chi, ovviamente, non si aspettava che Lou gli si avventasse addosso strizzandolo in un abbraccio.

Con uno movimento veloce Lou si alzò, girandosi poi verso il resto della compagnia, con le mani dietro la schiena come una bimba monella. Alzò le spalle e indicò Ville, annuendo:
«È colpa sua...»
Nur, Julian e Simone la guardavano tra il divertito e il perplesso.

«E ora mangiamo il dolce!» - propose Lou, forse con troppo entusiasmo.
Simone mise di nuovo la musica soft, in sottofondo, dopo aver chiesto inutilmente a Ville di suonare ancora.
Lei gli aveva detto di lasciarlo stare.

«Non è venuto qui per suonare per noi: lasciamolo in pace... o dovrete prendere dei secchi per le mie lacrime...»

E per le bave...” - aggiunse mentalmente.

Ville che cantava era una delle cose più belle e sexy che le fosse capitato di vedere e sentire in vita sua.

Una canzone era bastata a mandarla nel pallone... non avrebbe retto ad un'altra.
Non senza cadergli ai piedi sul serio.

Doveva pur mantenere un briciolo di dignità!
Nur e Julian seduti vicini parlottavano tra loro e lei aveva la faccia da “combattimento”...
«Oh no, ti prego! - pensò Lou – anche con Julian!»
Simone aveva deciso di dare il tormento a Katty, tirandole la coda.

Lei gli tirava zampate degne di una tigre.

«E se io avessi voglia di tutt'altro tipo di dolce?»

La voce di Ville vicinissima la fece sobbalzare.
«Questo è buonissimo! - disse lei masticando decisa, facendo finta di non aver capito – dovresti provarlo...»
«Lou... - le disse lui ghignando – stai scherzando pericolosamente stasera...»
«Uhm...»
La marmellata alle ciliege che era all'interno stava colando dai bordi e lei la raccolse con le dita come poteva: con un movimento veloce Ville, le afferrò la mano chiudendo la bocca sulle dita, ripulendole dalla marmellata, leccando piano.

... anf...”.

Con un sorriso soddisfatto, Valo si leccava le labbra davanti alla sua espressione inebetita.
Lou chiuse gli occhi.
«Hai ragione: è ottimo!»

Maledetto!”.

Maledizione a lui!

La stava provocando da quando lo aveva incontrata quella mattina.
Le toglieva il respiro per ogni cosa che faceva... la sua sensualità sfacciata la stordiva.

E quello che era peggio era che lei ne godeva ogni istante...
Ville le dava sempre brividi di aspettativa... si chiese, arrossendo, come sarebbe stato fare l'amore con lui.
Beh, se avessero continuato quel gioco pericoloso dello stuzzicarsi, non ci avrebbero messo ancora molto prima che uno dei due trascinasse l'altro verso il primo letto a portata di mano!

******

Beneeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee... eccoci qui!!
Angolo di quella che pensa di essere autrice:

Eccoci di nuovo qui con un nuovo capitolo... sarà l'ultimo dopo aver pubblicato a raffica.
D'ora in poi penso che le pubblicazioni saranno a scadenza un pò più lunga. L'ispirazione mi sta snobbando e ormai non scrivo da un bel pò, quindi abbiate pazienza e godetevi questo...
orbene, che ne pensate della cenetta?
Io avrei accoppato il finnico in corridoio, non so voi ma io gli avrei fatto passare un brutto quarto d'ora! :D
Mentre scrivevo la scena col gelato avevo serie difficoltà a concentrarmi mie care... il connubio finnico con lingua e occhio verde non mi faceva bene, no no... :D
Basta chiacchiere ora... come sempre devo ringraziare tutte a partire dalle mie due Beta: Mia Mugliera Cicci-Vivi (Deilantha) e Sara Pulci;
le mie sister fedeli e pronte a recensire alla velocità della luce: selevalo arwen85 Echelena Lady Angel 2002 Ila_76 apinacuriosaEchelon (ta-nha ta-nha ta-nha) Villina92 poi quelle un pò più latitanti o tirchie di commenti:(ragazze dite anche la vostra...ci tengo a sapere che ne pensate oltre al fatto che leggete la storia, eh!) poisongirl76 marfa dile91 fnghera
e grazie anche ad angelica78vf e K Ciel, le nuove recensore!
Grazie grazie grazie infinite a tutte e a presto! ;)
*H_T*

PS: la canzone che ho usato per immaginare Ville che canta nel salotto di Lou... :) Ville Valo - Close to the Flame (Acoustic)

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo otto - “Fuga da Helsinki” ***







testo.  

Image and video hosting by TinyPic




Capitolo otto

"Fuga da Helsinki"







«Mi piace.» – decretò Simone infilandosi tra le lenzuola.

Lou si stava struccando allo specchio, infagottata in un pigiama lungo rosa.

La sottoveste lilla che Nur le aveva regalato era troppo preziosa per usarla ogni notte, quindi era tornata ad indossare le sue mise improbabili.

«Davvero? – chiese Lou dolcemente – Lo hai visto solo per qualche ora, come fai a dire che ti piace?»

«Tu quanto tempo ci hai messo per decidere che ti piaceva?» – le chiese ironico.

Lou gli sorrise attraverso lo specchio.

«Mezzo secondo. E’ bastato che lo guardassi negli occhi… non è neanche il mio tipo ideale…» – disse a bassa voce.

«Non esiste il tipo ideale, Grace. Esiste l’alchimia tra due persone: dopotutto siamo animali anche noi. A volte scatta la scintilla con chi meno ti aspetti…»

«È tutta chimica, vero?» – Lou sapeva cosa pensasse il suo amico riguardo all’amore e ai colpi di fulmine.

Secondo Simone due esseri umani erano attratti tra loro per una combinazione di fattori e non tutti ammirevoli come la purezza e l’amore romantico.

«Esatto… chimica e anche altro. Nel vostro caso è un bisogno di essere amati per quello che si è dentro e non per come si appare.»

Lou si girò a guardarlo curiosa.

«E tu hai capito questo, passando con lui solo qualche ora? Come fai a dirlo?»

«Pensi che a lui faccia piacere essere amato e desiderato solo per il nome che porta? Oh sì, in passato deve essergli andato più che bene: lui, una star con centinaia di donne che gli morivano dietro. Non doveva far altro che scegliere, anche se a quanto sembra, non sia mai stato molto fortunato in amore… penso che per lui sia arrivato il momento in cui abbia bisogno di altro.

Negli ultimi anni ha cambiato molto della sua vita, Lou… ha fatto tante cavolate, credimi; ha sofferto, è stato sul punto di autodistruggersi ma ne è uscito. E forse si è reso conto di quello che è davvero importante in questa vita.

È sempre stato un romantico, crede nell’amore: non come ci credi tu. Tu sei solare e sogni la favola. Lui è un principe dark e vive l’amore intensamente, con tormento, anche come sofferenza.

Vi completate: siete come il sole e la luna.»


Lou si morse le labbra, pensierosa.

«Sai la favola del Sole e della Luna, Will? Beh, dice che non si incontrano mai: si amano da lontano senza mai potersi toccare veramente… Non credo sia un paragone che mi piaccia…» - disse depressa.


«Quella è solo una favola. Intendevo dire che ognuno di voi può portare nella vita dell’altro qualcosa che manca. Grace, io vedo come lo guardi. E vedo come ti guarda lui: in questo caso specifico, penso che il detto “gli occhi sono lo specchio dell’anima” sia più che giusto.

Diamine – disse impacciato e con una punta di stizza – sai come la penso su determinate cose. Non credo nell’amore da film, ma… me ne pentirò di questa cosa, ne sono certo: la sensazione che ho avuto è che a parlare per voi non siano i corpi. Che detto tra noi schizzano ormoni come vulcani, eh! Santo cielo stasera tra voi c’era una corrente invisibile a legarvi: se non c’eravamo noi presenti, sai benissimo come sarebbe finita… brutta maiala, non fare quel sorriso ebete! – Simone le lanciò un cuscino, ridendo, vedendo Lou sorridere estatica – Stavo dicendo, che sembra che siano le vostre anime ad essersi riconosciute…»


Lou gli sorrise con gli occhi illuminati.

Sentir dire una cosa del genere da Simone era qualcosa che non si sarebbe mai aspettata.

«Lo pensi davvero?» – chiese lei senza fiato. Non avrebbe mai ammesso neanche a se stessa che quella era anche la sua sensazione: aveva troppa paura di sperare.

«Sì, non so come spiegarlo senza cadere nel ridicolo e in parole scontate! Ma è questa la mia sensazione: siete uniti da qualcosa che non riesco a capire… e vorrei dire che potrebbe essere solo attrazione fisica, ma vedo anche altro. Potreste stare in una stanza affollata, circondati da mille persone e voi continuereste a guardarvi come se non ci fosse nessun altro al mondo… Disgustosamente romantico!» – sbuffò.

Lou si infilò nel letto accanto a lui, ridendo del cinismo del suo amico.

«Spero con tutto il cuore che sia così… per me lo è. Sono una stupida, lo so: mi contraddico da sola.

Ho paura, ho mille dubbi e poi credo a qualcosa tipo “la mia anima ha riconosciuto la sua”… patetico. Ma lui… lui tocca qualcosa dentro di me, che non sapevo nemmeno di avere.

Con Andrea era diverso – disse accigliandosi – non so dire ancora in che modo differente, ma lo è. Ville mi emoziona. Mi intenerisce e mi fa infuriare. Riesce a farmi toccare il cielo con un dito anche solo con uno sguardo…»

«Grace… sei innamorata: dillo. Non è mica una bestemmia!»

«Pensi che io sia innamorata di lui? – chiese lei massacrandosi le unghie, laccate di fresco – Ma lo conosco appena!»

Simone le allontanò le mani dalla bocca, con un colpetto secco, continuando a parlare.

«Hai appena detto come ti senti quando sei con lui: ti dà emozioni. Già il solo fatto che qualcuno riesca a farti effetto è importante, Grace. Da quanto tempo non ti sentivi così?»

«Non mi sono mai sentita così…» - rispose Lou con un filo di voce.

«Ti sei appena risposta da sola, allora! E che cosa vuoi che ti dica? Non ci sono regole in amore… per quello che ho potuto vedere stasera, dico che ci sono tutti i presupposti per qualcosa che non dimenticherai mai.»

«Dai per scontato che possa finire, allora?»

«Non farti venire le paranoie come al solito e non pesare ogni parola che ti dico, santo cielo! Voglio solo dire che, se anche non fosse per sempre come ti piace pensare, una storia come questa vale la pena di viverla, perché non potrebbe che darti tante emozioni forti e avresti tanti ricordi piacevoli.»


******


Di emozioni Ville gliene dava ogni volta che posava gli occhi su di lei.

Lou pensò al modo in cui l’aveva salutata solo mezz’ora prima.

Abbracciati davanti alla porta di casa dove lei lo aveva accompagnato prima che andasse via per tornare alla sua magica torre.

«Prinsessa”… - le sussurrava all’orecchio, causandole brividi infiniti – posso rapirti e portarti via con me, nel mio mondo oscuro e tenebroso?»

Sorrideva dolce.

«Perché oscuro? – aveva chiesto, accarezzandogli la guancia – non sei per niente oscuro, Ville. Forse un tantinello tenebroso e poco socievole, ma non oscuro. Non per me…»

«E come mi vedi? – le aveva chiesto alzando gli occhi, baciandole il naso – non ti faccio per niente paura?»

«Paura? No, paura no. A volte mi irriti a morte… per lo meno i primi giorni in cui ci siamo conosciuti, avrei volentieri tirato un bel ceffone su questa faccia elegante e pallida… - disse sorridendo dolcemente, passandogli le dita sui lineamenti perfetti e cesellati – come ti vedo? Misterioso, interessante, dolce… sensuale… - disse col fiato mozzo mentre lui le intrappolava le dita tra le labbra – un uomo mai scontato e noioso, al contrario di quello che pensi tu. E bellissimo.» – concluse lei, senza nessuna vergogna o paura.

Non aveva senso nascondergli i suoi pensieri.

Non voleva lei stessa tenergli nascosto quello che poteva benissimo leggerle sul viso ogni volta che lo guardava.

«Bello? Non sono bello quanto il tuo ex.» - disse pensieroso.

Perché tirava in ballo Andrea ora?

«Ville, la bellezza è soggettiva. È vero, il mio ex è un bel ragazzo… una bella scatola vuota.

E mi fa male dirlo: ho passato con lui dieci anni della mia vita. – non voleva parlare di lui e rovinarsi quel momento perfetto con Ville – Tu sei bello. Andiamo… lo sai bene! Sei uno degli uomini più belli che io abbia mai visto, ma non è questo che io intendo per bellezza…

Sei bello per come mi fai sentire.
Sei bello per quello che fai e che dici, per come lo dici e lo fai…

Hai una voce indescrivibile, un talento unico…

Tante “piccole cose” - se piccole possiamo chiamarle.»


"Mi spaventa solo pronunciare il tuo nome e collegarlo all’uomo che sto guardando negli occhi, a te che ora sei qui, con me… e mi baci…"


«Cose che potrebbero passare inosservate, ma che unite tra loro ti rendono ai miei occhi… perfetto. Oh, so che non lo sei… - disse notando il suo ghigno – ma quello che vedo mi piace. E ti trovo bello.»

Ville non rispose subito… si limitava a cullarla tra le braccia, dondolando piano sui piedi.


«Non so che dire… non voglio contraddirti. Ma devo avvisarti che tutto sono tranne che bello e perfetto. Sono davvero un rompipalle, forse sono anche un geloso e insicuro cronico. Spesso sono esigente con tutti, anche per cose banali. Sono ossessivo e con tendenze autodistruttive…»


Lou gli prese il viso tra le mani, baciandogli le labbra.

Come poteva fargli capire che tutti quei difetti che lui le stava elencando, ai suoi occhi apparivano affascinanti? Come fargli capire che per lei era diventato caro e prezioso, in così poco tempo, toccandole il cuore? Che oltre che bello e misterioso lo trovava tenero e dolcissimo?

Non aveva parole abbastanza belle e chiare per spiegarglielo.

Nessuna bella come la canzone che aveva cantato quella sera e che lui aveva scritto… non poteva competere con quello che racchiudeva quella mente e quel cuore che batteva lento e regolare contro il suo.

Poteva dimostrarglielo nell’unico modo che al momento le veniva in mente, spinta dal bisogno di sentirsi unita a lui, di fargli capire quello che provava.

Lo baciò impetuosamente, aggrappata al suo collo, in punta di piedi per arrivare alla sua bocca.

Lui le rispose pronto, con entusiasmo crescente.

Sentimi… mi senti? Ti prego entra nel mio cuore e non farmi male…” - pensò ansiosa mentre il bacio diventava sempre più profondo.

Chiuse gli occhi concentrandosi sulla sensazione che le dava averlo così vicino, con le labbra fuse alle sue, le braccia, le mani che varcavano confini…

Il cuore di Lou correva veloce, il respiro affannoso… emozioni come desiderio, dolcezza, commozione si riversavano dentro di lei, ogni volta che Ville la guardava, la toccava… le veniva da piangere e non per la tristezza.

Era la prima volta che provava qualcosa del genere e un singhiozzo trattenuto le sbocciò dalla gola.

Ville la strinse ancora più forte, quasi a voler fondere i corpi in uno solo, schiacciandola tra lui e il muro. Le mordicchiava piano le labbra, ne tracciava i contorni con la lingua per poi tornare ad accarezzarle piano, senza fretta con studiata lentezza...

Il bacio si prolungò, lasciandoli senza fiato... crescendo d'intensità, fino a farle temere che sarebbe implosa... la braccia scesero a circondarli il bacino spingendosi contro il suo istintivamente.

Sentì le mani impazienti di lui che le aprivano la giacca per infilarsi sotto il maglione in cerca della pelle.

Lou trattenne il respiro quando sentì la mano sfiorarle il ventre piatto per risalire e posarsi a coppa su un seno.

«Lou... - sussurrò roco, staccando per un attimo la bocca – guardami...»

Lei obbedì alzando il viso, distratta dalle sue labbra arrossate e gonfie per i baci; poi incontrò i suoi occhi....e dimenticò anche come si chiamava.

Annegò in quei pezzi di giada che la divoravano come una fiamma.

Non voleva che si fermasse.

«Sì?»-  rispose in un soffio, fissandolo con occhi socchiusi.

«Lou... ripeté ancora – ti desidero, ti voglio...» - lo disse come una constatazione di fatto, accigliandosi, accarezzandole le labbra con il pollice.

«Sì... - rispose, confusa da tutto quello che lui le faceva, la mano calda sul seno che si muoveva piano sopra la stoffa sottile del reggiseno, il corpo magro che premeva contro il suo, gli occhi... l'altra mano che le teneva il viso... - Ville... anche io...»

Lui rise piano.

«Allora credo che abbiamo un problema...»

Lou aveva le balle di fieno che rotolavano nella testa: era completamente rimbecillita dalla sua vicinanza e ci mise un po' per raccogliere qualche pensiero coerente, non invaso da ormoni.

«Che vuoi dire?» – chiese ansimando.


Concentrati Lou...”


«Che se continuiamo così, ci prenderemo un bel raffreddore... perché temo che non possa controllarmi oltre.»

«Oh.»

Ville rise, baciandola ancora.

«A meno che tu non voglia venire a casa mia...» - buttò lì lui a voce bassa, guardandola di sottecchi.

Lou non rispose.

«Immagino sia un no...» - sospirò baciandola ancora.

Tolse lentamente e con riluttanza la mano da sotto il maglione, prendendola per la vita, abbracciandola ancora e posandole la fronte sulla sua.

Veramente non mi hai dato il tempo...” - pensò Lou mordendosi le labbra.

Era stata sul punto di urlargli sì, ma lui aveva interpretato il suo silenzio per un no.

Forse era meglio così in fin dei conti.

Non se la sentiva di andare da lui: quella era la casa del cantante, mentre a casa sua lui era solo Ville... si rese conto che faceva discorsi contorti nella sua mente ma non se la sentiva di entrare nel “suo mondo”... mentre lui già era parte di quello di lei.

Si appoggiò tremante a lui e stringendolo forte, affondò il viso nel collo respirando il profumo della sua pelle.

Le piaceva da morire il suo odore... “alchimia” la chiamava Simone.

Forse aveva ragione lui. Sarebbe rimasta così anche tutta la notte, solo per non farlo andare via.

Lou cercò di riportare il respiro ad un ritmo meno frenetico.

«Se continui così Valo, mi ammazzi sul serio... allora sì che farò il tuo fantasma...»

Ville rise divertito.

«Te lo ha detto Nur?! Sai mi piaceva l'idea che tu fossi lì solo per me... non ti ho mai vista come qualcosa di reale...c'eri ma non c'eri... apparivi e basta.»

«Io invece non ti ho mai visto prima di quella notte... strano vero? - disse lei alzando il viso per guardarlo. Era così bello quando rideva... - per me eri veramente un fantasma.»

«Non mi hai mai visto e scommetto che non volevi neanche vedermi... ammettilo: ti stavo sulle palle!- sospirò lui – Ora ti sto ancora antipatico?»

«Un po' – rispose vaga Lou, baciandogli il mento – ma non sei malaccio, dopotutto...»

Altra bassa risata.

«Menomale... sto facendo progressi per entrare nel tuo cuore, allora?»


Non sai quanto sei già radicato dentro...”

«Te la stai cavando bene... per ora...» - scherzò lei.


«Ne sono lieto.» - rispose lui, con gli occhi chiusi mentre cercava di cogliere al volo le labbra di Lou che gli baciavano ancora il mento.

«Ville? - bisbigliò – Verrai ancora qui, di tanto in tanto?»

Improvvisamente aveva paura che lui facesse brevi sporadiche apparizioni. 

Non voleva chiedergli quando lo avrebbe rivisto... era ancora pudica in quel senso e non voleva dargli l'impressione di stargli addosso.

Non voleva allontanarlo da lei, per nessun motivo al mondo.

Lui aprì gli occhi guardandola serio.

«Certo che verrò ancora da te... che domande sono? Verrò ogni volta che avrò voglia di vederti o tu avrai voglia di vedere me.»


Se fosse per me ti legherei a letto e non ti farei andare più via...”.


Si morse le labbra.

«E... quando avrai voglia di vedermi di nuovo?»

«Mi stai chiedendo per caso se voglio vederti subito, già da domani? Sai che la risposta è positiva vero?»

Il suo stomaco fece un sobbalzo di piacere. Gli si strinse contro, restando in silenzio.


«Vorrei passare con te ogni momento libero, Lou... devo avvertirti però che non me ne concedo mai molto: sono molto preso dalla musica. Sempre. Stiamo registrando e provando dei brani per il nuovo album, quindi sparisco spesso...»

«Il nuovo album? - chiese Lou alzando gli occhi a guardarlo in viso, notando la nota diversa del suo tono – Non sapevo che steste preparando un nuovo album.»

Del resto lei non conosceva gli HIM... come poteva saperlo, se non era una loro fan e non li aveva mai seguiti?

«Sì, proviamo da un po'... ma ci sono stati diversi intoppi e cosa più importante, non abbiamo una casa discografica ancora! Questo ci ha rallentato e porta tensione al gruppo... ma non voglio parlare di questo con te, non ora...”- le disse tornando a guardarla.


Lou non fece altre domande: aveva capito che per lui, la musica era tutto e non voleva invadere quel suo spazio intimo se non voleva... avrebbe atteso fino a che non fosse stato lui a parlagliene spontaneamente.

Posò la testa sul suo petto all'altezza del cuore, stringendogli la braccia intorno ai fianchi snelli.

Si rese conto che non voleva lasciarlo andare via... se solo casa sua non fosse invasa dagli amici, gli avrebbe chiesto di rimanere a dormire con lei.

Ma c'era Simone che dormiva in camera e Nur con Julian ancora sul divano che parlavano e bevevano allegramente e aveva la netta impressione che presto si sarebbero trasferiti in camera da letto... non sapeva se a quel punto aveva ancora senso dirle di lei e Ville, se ancora non ci fosse arrivata da sola.

«Uhm... a cosa pensi?»- le chiese Ville posandole le labbra sulla fronte.

«Non voglio che tu vada via...» - rispose semplicemente lei a voce bassa, la bocca soffocata contro il suo petto.

Lei sentì la sua risata gorgogliare.

«E rimaniamo qui tutta la notte? Ok... mi sta bene, sei tu che sei infreddolita, cara la mia ragazza italiana...»


«Se ci sei tu a tenermi stretta, non ho freddo.»

Ville non rispose ma lei sentì che tratteneva il respiro e la stringeva ancora più forte.

«Dolce... sei così dolce, 'Prinsessa'...» - disse poco dopo con voce roca.

Lou chiuse gli occhi al suono della sua voce: ne era incantata.

Le entrava direttamente nel cuore ogni volta che lui apriva bocca... e quando le sussurrava chiamandola “Prinsessa”, lei non resisteva.

Sempre ad occhi chiusi alzò il viso chiedendogli silenziosamente di baciarla ancora.

Ville non la fece attendere molto... le sue labbra erano così vellutate che lei sentì le ginocchia piegarsi.

Come ogni volta, non riuscivano più a fermarsi... i respiri affannosi e le mani che cercavano scorciatoie attraverso i vestiti.

Ora le mani di Ville sembravano essere ovunque su di lei, lasciandola stordita.

La spingeva contro il muro e lei sentiva chiaramente il suo desiderio premere contro i jeans.

Non aveva smesso di baciarla per tutto il tempo, ma ad un certo punto si staccò improvvisamente, facendola vacillare in avanti.

«'Prinsessa'... - disse secco con voce arrochita, passandosi una mano sul viso – diamine! Mi stai mandando fuori di testa...»

«Scusa.» - disse lei piano facendosi piccola piccola, temendo di aver tirato troppo la corda.

«Ma no... non chiedere scusa. È che... beh, ho voglia di te, ma se rimaniamo qui daremo spettacolo. In effetti non ricordo di aver mai fatto l'amore in strada...»

Lou sentì una fitta di gelosia al pensiero di lui con altre donne, ma tenne la sua espressione neutra.

«Hai ragione... allora è meglio che rientri.» - disse con la gola secca.

Ville le guardava le labbra poi le tese una mano tirandola verso di lui.

«Sogni d'oro, 'Prinsessa'...» - le baciò lieve la fronte.

«Dormi bene, Ville...»- rispose lei delusa dall'improvvisa distanza che aveva messo tra loro.

Sapeva il perché l'aveva fatto ma avvertiva già la mancanza del contatto fisico con lui.

Ville le sorrise allontanandosi lungo il vialetto e prima di scomparire dietro il muretto di mattoni rossi si voltò ancora una volta per salutarla con la mano.

Lou rispose, rabbrividendo prima di rientrare in casa sospirando e ancora infiammata dai suoi baci.



******



«Lì fuori abbiamo rischiato di farlo contro la parete... - disse Lou distrattamente – Santo cielo... mi

fa impazzire...»

«Lo vedo, eh! Eri sconvolta quando sei rientrata! Ma perché non sei andata da lui, non capisco?»

«Me lo ha chiesto ma non mi ha dato tempo di rispondere... e poi credo sia meglio così per stasera: non potevo lasciare voi qui, non sta bene!»

«Grace, sinceramente a me avrebbe fatto più piacere saperti nel letto con Valo... e credo che a Nur importi poco ormai.» - disse acido e ironico, facendo segno verso la camera attigua da dove venivano suoni soffocati di tanto in tanto. Come avevano previsto, Nur si era portata a letto Julian: entrambi alticci si erano defilati mentre lei e Ville erano intenti a pomiciare in strada.

«In fondo è meglio così: mi sento meno in colpa ora. Le dirò comunque di Ville ma con meno ansia!»

«Io se fossi in te me ne fregherei altamente: come ti ho già detto, la Regina di Saba non aveva nessun interesse per Ville, se non quella di avere un altro trofeo.»

«Non dire così, non mi piace che parli di lei in questo modo: non è come sembra!» - rispose stizzita Lou, difendendo la sua amica.

«Ah no? Secondo te quanto gliene importa a lei di essersi portata a letto uno che fino a due ore fa faceva il cascamorto con te?»

Lou lo fissò senza rispondere, poi disse: «Evidentemente anche a Julian andava, da come la guardava stasera.»

«Solo perché tu non gli hai dato corda, Grace... ripetiamo la stessa cosa. Lui piace a lei, lui non la ricambia ma gli piace l'amica, l'amica invece piace al terzo amico ma si accontenta della prima...»

«Uhm... le cose non sono sempre semplici, vero?»

«Quasi mai, ma almeno due in questa storia sono soddisfatti: tu e Ville. E direi che è la cosa più importante, o no?»

«Sì, è la cosa importante in questo momento.» - sospirò pensando a Ville, desiderando essere con lui.

Poi riportò l'attenzione al suo amico, ricordando all'improvviso che nella mail lui le diceva di avere cose importanti da dirle.

«Cos'era che dovevi dirmi di importante? Mi avevi accennato nella mail che c'erano novità... non abbiamo avuto un attimo di tregua in questi giorni, dimmi di che si tratta?»- gli chiese voltandosi verso di lui, curiosa.

«Ah sì... beh, - sorrise imbarazzato – forse mi daranno una mia linea di abiti.» - buttò lui con indifferenza.

«Cosa?! E me lo dici così? Come? Quando? Oddio, sono strafelice! Racconta!»- saltò sul letto contentissima per il suo amico.

«Niente di che, Grace: è solo una linea minore... ma è solo mia!» - disse lui entusiasta con gli occhi che gli brillavano.

Lou lo abbracciò stritolandolo.

«Oh, mi farai vedere i bozzetti quando li disegni?! Ti prego, ti prego, ti prego! Voglio essere la prima!»

Simone rise compiaciuto del suo entusiasmo.

«Non posso e lo sai... ma ti manderò un invito speciale per la mia prima sfilata: non potrai mancare, dovrebbe essere questa estate. Avevi detto che saresti venuta per le vacanze, ricordi? O stai già cambiando idea, ora che c'è Valo?” - le chiese dubbioso.

«Assolutamente no, verrò!» - rispose Lou, anche se in un primo momento, aveva pensato alla possibilità di rimandare le vacanze per stare ad Helsinki.

Con Ville.


Era meglio che rimanesse con i piedi per terra: fare progetti a lungo termine o cambiare i suoi programmi in base alla storia, se così poteva chiamarla, con Ville, era sbagliato.

Il piacere di frequentarlo e averlo nella sua vita non doveva interferire con quello che aveva sempre fatto, si disse convinta.

Non avrebbe più vissuto in funzione di qualcuno, anche se era speciale come Ville.

Simone alzò gli occhi al cielo sentendo i rumori e i gemiti soffocati che venivano dalla stanza di Nur.

«Almeno potevano andarsene a casa di Julian...»

«Beh è anche casa sua questa, Will... può fare come vuole...» - rispose Lou perplessa.

Ma anche lei era un po' stupita dal comportamento strano di Nur.

Sperava di trovare un attimo di calma il giorno seguente per poterle parlare e chiederle cosa non andava.

Quando però lei e Simone si svegliarono, molto tardi dal momento che avevano parlato fino all'alba, Nur e Julian erano già usciti.

Come tutti i sabato Lou andò nel vicino supermercato per la spesa settimanale e l'appuntamento con il Sig. Korhonen, che come sempre l'aspettava pacifico davanti al cancello di casa.

Lui squadrò attentamente Simone quando lei lo presentò come il suo più caro amico italiano limitandosi ad uno dei suoi sorrisi gentili e luminosi.

Passando davanti casa di Ville lei sbirciò in alto chiedendosi se fosse già sveglio.

I pensieri di Lou però erano per Nur: era preoccupata e sentiva la sua amica lontana e aveva una strana sensazione. Sperava di sbagliarsi.

Dopo aver aiutato il Sig. Korhonen a portare la sua spesa fin davanti la porta, lei e Simone erano indecisi sul da farsi: aspettare Nur per pranzo oppure uscire per conto loro.

Mentre si avviavano verso il cancello Lou girandosi vide che qualcuno era vicino al cancello di casa di Ville.

Una donna.

Una donna mora, molto alta e bella per la precisione. Che attendeva di entrare, battendo il piede impaziente. Lou si immobilizzò improvvisamente gelata.

Si girò verso Simone che perplesso seguì il suo sguardo. La donna pochi secondi dopo sparì all'interno. Nausea e malessere subito le furono addosso.

Simone la spinse verso casa in silenzio. Una volta all'interno le tolse le buste della spesa dalle mani.

«Grace! Ora non viaggiare con la fantasia! Può essere una collaboratrice, qualcuno della casa discografica... non farti venire subito strane idee!» - sbottò spazientito davanti all'espressione pallida di Lou che ancora non proferiva parola.

«Una collaboratrice? Quella?! Sembrava una modella.... quale collaboratrice? Ma l'hai vista?» - disse senza fiato Lou.

«L'ho vista! Cavolo, Helsinki è pieno di donne simili, di che ti stupisci?! Guardami!» - le ordinò piazzandosi davanti a lei, che si era accasciata sul divano, inerme.


Lou alzò gli occhi su di lui e ciò che Simone vi lesse non gli piacque affatto.

Sembrava tornata la Lou ai tempi di Andrea, il che lo fece andare su tutte le furie, ma si trattenne cercando di mantenere un tono calmo e accondiscendente.

«Frena qualunque cosa quella tua testolina malata stia macinando, perché non ti servirà a niente! Grace: dagli fiducia. Non puoi saltare a conclusioni sbagliate non appena vedi l'ombra di qualcosa che è fuori dal tuo mondo! E' solo una donna!»

«Solo una donna... anche Sophie era solo una donna.»

«Ecco che paragoni Ville ad Andrea! Sei impossibile: sono come la notte e il giorno! Ville tiene a te... sei cieca? Vedrai che ci sarà una spiegazione e te la darà lui... e se non lo farà, non prendere le distanze come tuo solito!» - sbottò Simone che la conosceva fin troppo bene e sapeva che Lou ora stava fantasticando senza sosta con pensieri assurdi.

Lou si sentiva fiacca e svuotata: ogni sua paura, ogni suo timore e insicurezza la stavano sopraffacendo senza che lei potesse far nulla per fermarle.

«Will, ma che ne so io com'è lui?! Non lo conosco che da poco tempo. Potrebbe essere un bravo attore, per quel che ne capisco di uomini! - sbottò Lou - Sono la solita stupida che si fa abbindolare...»

«Oh santo cielo! GRACE!- urlò Simone stridulo, facendo schizzare via Katty dal divano che corse a rifugiarsi in camera da letto – Ma non può essere un'amica?! O solo tu puoi averne e meritare fiducia?! Sei insopportabile, davvero!»


Come faceva a dirgli che era terrorizzata? Come faceva a dirgli che Ville era già diventato troppo importante per lei? Come faceva a dirgli che non si sentiva all'altezza di nessun uomo, figuriamoci di uno come Ville? Cercò di rilassarsi respirando a fondo, chiudendo gli occhi.

Erano solo sue paure, lo sapeva bene: aveva ben a fuoco l'idea e la possibilità che tutto potesse finire da un momento all'altro, come in un sogno.

Lei si sarebbe svegliata e avrebbe preso coscienza che con Ville era stata solo una favola.

Aveva deciso che avrebbe vissuto quella storia, così come veniva, senza aspettarsi nulla di più... eppure... 

Eppure non riusciva ad arrestare il panico.

Non riusciva a pensare ad altro che alla donna splendida che aspettava di entrare impaziente e imbronciata in casa di Ville... immaginava loro due insieme, le mani e le labbra di Ville che si posavano dove, solo la sera prima, avevano vagato su di lei. Un sudore freddo la investì in pieno.

Si alzò di scatto avvicinandosi alla porta finestra guardando in direzione della Torre.

Simone la guardava accigliato e silenzioso, irritato.

«Beh? Che c'è? Che stai pensando ora? - chiese acido – Grace, mi fai saltare i nervi quando sei così insicura di te stessa!»

«Will... - replicò lei a bassa voce – saltano i nervi anche a me, per come agisco, ma non riesco a farci nulla.»

«Beh, cerca di reagire! Provaci.»


Lou pensava alle parole di Ville della sera prima e si chiese se lo avrebbe visto quel giorno stesso, come lui le aveva quasi promesso. In quel preciso istante il cellulare di Lou iniziò a squillare vibrando in borsa: lei ci mise un'eternità a ritrovarlo. Assurdamente pensava potesse essere lui, ma non poteva: non si erano mai scambiati i numeri.

Era Nur, ma appena lo ritrovò nel caos della sua enorme borsa, il cellulare smise di squillare.

Stava per richiamarla quando il bip degli SMS le annunciò un nuovo messaggio.


Non aspettatemi a pranzo e neanche a cena, sono impegnata.”.


Secco, sintetico e molto freddo. Ecco. Anche Nur ci si metteva ora, con il suo atteggiamento freddo e distaccato!

Lanciò a Simone il telefonino per fargli leggere il messaggio e lui alzò un sopracciglio.

«Meglio così, non era il caso che ci si mettesse anche la Regina di Saba offesa in tutto questo melodramma!»

Improvvisamente Lou sentì che sarebbe scoppiata se rimaneva in casa ancora un minuto di più.

«Fai una borsa e mettici dentro il necessario per due giorni: andiamo in un posto dove saremo solo io e te, lontani da tutto e tutti.»

«Stai scappando?»

«No, sono stanca di aspettare i comodi di tutti: sei qui e voglio fare qualcosa solo con te.» - rispose decisa, dirigendosi in camera per preparare la sua borsa.

«Ehm... - disse Simone, schiarendosi la voce – Non vorrei dire nulla, lungi da me frenare questo entusiasmo, ma non dimentichi qualcosa?»

«Cosa?»

«La gatta? Come fai con lei?» - chiese Simone andandole dietro.

«Chiederò a Nur di occuparsene.»

Non intendeva farsi prendere dai sensi di colpa verso la felina. Le avrebbe mandato un messaggio dicendole che lei e Simone, avrebbero fatto escursioni nelle città vicine: del resto stava per finire la vacanza e lui non aveva visto che la sua casa, la galleria e il supermercato!

«Nur? Occuparsi di un micetto piccolo? Se vuoi ritrovarlo vivo al tuo ritorno ti consiglio di trovare un' altra soluzione!» - disse ironico Simone, sedendosi sul letto.

«E tu che consigli, genio?» - chiese seccamente Lou mentre apriva cassetti per buttare slip e canotte sul letto.

«Portala a Valo.»

Lou si fermò con uno slip a mezz'aria fulminandolo con gli occhi.

«Non sei divertente.»

«Non intendevo esserlo.»

«Allora evita di dire stronzate.»

«Grace, sto parlando sul serio: sai che Nur non è affidabile. E probabilmente Valo non sarà contento se la lasci a lei e te ne vai senza dirgli nulla...»

«Me ne frego di quello che può dare o no fastidio a Valo!»

«Addirittura? Lo hai già condannato?! - replicò ironico Simone – Senza neanche dargli il beneficio del dubbio: migliori di minuto in minuto!»

«Piantala! Ho voglia di andare via da qui! Portiamo la gatta con noi: muoviti!»

«Con noi? E come pensi di fare?»

«Andremo a comprare una cuccetta da viaggio.» - rispose sintetica Lou, tornando all' “Operazione fuga da Helsinki”.

«Ooooook... - disse rassegnato Simone alzandosi per preparare la sua roba. Quando Lou faceva la decisa, c'era poco da discutere - Posso almeno chiedere dove andiamo?»

«Porvoo: è qui vicino ed è un posto tranquillo. Prenderemo una casetta sul fiume e staremo lì per qualche giorno. Ti piacerà.»


******


Camminando in riva al fiume, mano nella mano come due innamorati, Simone cercò più di una volta di riprendere il discorso Valo ma Lou lo bloccò seccamente.

Non aveva voglia di parlarne. Voleva godersi semplicemente la calma del posto e il suo amico.

Visitarono la famosa Cattedrale in legno, mangiarono in posticini minuscoli ma deliziosi.

La loro casetta sul fiume era anch'essa piccola: la signora che gliel'aveva affittata per tre giorni li guardò ammiccando con gli occhi, dicendo in inglese stentato che era molto romantico... Simone per non deluderla, le passò un braccio intorno alle spalle schioccandole un sonoro bacio sulle labbra.

Lou stette al gioco ridendo.

«Lou, fra 4 giorni riparto e tu mi porti lontano da casa tua... prima o poi dovrai affrontarli entrambi: il Principe e la Regina. Sono contento comunque di averti tutta per me.»

Katty che aveva pianto per tutto il viaggio in treno non uscì da dentro la sua cuccetta per il resto della giornata, assumendo un'aria offesa e non degnandoli di uno sguardo.

«È tutta il suo padrone.» - sbottò Lou acida, dopo l'ennesimo tentativo fallito di farla uscire fuori con moine e paroline dolci.

«A me ricorda più la padrona veramente...» - provò a dire Simone ridendo.

«Che vuoi dire?»

«Oh, niente... - continuò ridendo sotto i baffi lui – Sai, mi chiedevo come era andata la notte d'amore dei due nostri amici... cioè, più o meno abbiamo intuito com'è andata, dal momento che abbiamo sentito quasi tutto...»

«Spero per loro che si siano divertiti.» - rispose seccamente Lou. Non aveva voglia di parlare neanche di loro due.

«Le hai detto che andavamo via, almeno?»

«Sì, le ho lasciato un biglietto.»

«Uhm...»

«Che c'è?» - scattò Lou.

«Niente! Calmati Grace... cielo, sei isterica.»

«Will vuoi litigare? No, perché non è aria!»

«Non voglio litigare, ma stavo pensando che avresti dovuto lasciare un biglietto anche a Ville, come minimo...»

«E perché, lui mi informa di tutti i suoi movimenti e delle sue ospiti?»

«Se non erro ti ha avvisata quando è andato via, poco prima che io venissi...»

Lou lo ignorò.

«Non è la stessa cosa! Non avevamo deciso che avrei dovuto viverla come viene? Senza aspettarmi nulla? Bene! Lo sto facendo e anche lui non deve aspettarsi nulla da me!»

«Un conto è viverla come viene, un altro è tagliare la corda. E tu hai tagliato la corda per evitare di incontrarlo e di sparare a zero. Il che può essere positivo visto il tuo caratteraccio!»


Seduti in veranda su due poltroncine di vimini, guardavano il tramonto che illuminava l'acqua del fiume con mille riflessi dorati.

«Allora forse è meglio chiuderla prima che inizi: non è per me. Non reggo alla tensione, non reggo ai confronti con altre donne e non ho voglia di stare male.»

«I confronti li fai solo tu. Scommetto che a lui non passa neanche per l'anticamera paragonarti alle altre.»

Silenzio.

«Grace... smettila di fare la bimba. Si stancherà prima ancora di conoscerti: non tutti hanno la mia pazienza.»

«Tu non sei il mio ragazzo.»

«Appunto... è già difficile avere a che fare con te come amica, penso che come tuo ragazzo ti staccherei la testa a morsi.»


Lou sospirò, buttando la testa all'indietro chiudendo gli occhi.

Non posso farci nulla, io sono così...»

«No ti sbagli, tu non sei solo questo... permettigli di conoscere la vera Lou. Fidati di lui. Fidati di te stessa. E fidati di quello che c'è tra voi.» - disse dolcemente Simone.

«E cosa c'è tra di noi? - chiese più a se stessa che a lui – Se analizzo la cosa dal di fuori non vedo altro che una sfigata che si sta illudendo di stare con uno degli uomini più desiderati al mondo. Patetico.» 

«E il fatto che quell'uomo desideri stare con te non ti dice nulla?»

Lou si trincerò dietro il suo silenzio.


«A cosa pensi?»- le chiese dopo minuti interminabili.

«A lui. Con quella.»

«E... ?»

«E mi sento morire.»

******


Angolo di quella che pensa di essere autrice:

Eccoci di nuovo qui: so che vi avevo detto che per un pò non avrei aggiornato...
La verità è che dopo la visione di Titanic, siamo devastate, anneghiamo in una valle di lacrime e dal momento che i capitoli fino al decimo li ho, ho pensato di risollevare gli animi... (oddio: visto il capitolo, non so quanto vi abbia alleviato....XD);

La Musa mi sta snobbando ancora alla grande e brancolo nel buio totale..

Ehm... ok sono pronta a sentire le vostre urla e scleri... ho fatto scappare Lou...
ma voi che avreste fatto al suo posto? Avreste affrontato Valo, rischiando di fare una figuraccia e una sceneggiata o sareste fuggite anche voi, piene di dubbi e paure?
Chissà che le passa per la testa..(oddio io lo so... sono la mamma!! XD )...
chissà come la prende il Valo...
intanto Katty ha già ampiamente dimostrato il suo dissenso alla cosa!XD Adorabile di una micia... <3


Basta chiacchiere ora... come sempre devo ringraziare tutte a partire dalle mie due Beta: Mia Mugliera Cicci-Vivi (Deilantha) e Sara Pulci;
le mie sister fedeli e pronte a recensire alla velocità della luce: selevalo, arwen85, Echelena, Lady Angel 2002, Ila_76, apinacuriosaEchelon (ta-nha ta-nha ta-nha: a proposito tesò... vedi di riprenderti, perchè mi mancano le tue recensioni folli!!U.u) Villina92 poi quelle un pò più latitanti o tirchie di commenti... poisongirl76, marfa, dile91, fnghera;
e grazie anche ad angelica78vf, K Ciel e VioValo ,LonelyJuliet ,le nuove "recensore"! Spero di riacciuffare la mia musa per le orecchie e spremermi come ai primi tempi!Grazie, grazie infinite a tutte e a presto!! ^O^


Con ammooore,

*H_T*


Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo nove: "I'm waiting for your touch..." ***


Image and video hosting by TinyPic

Capitolo nove

"I'm waiting for your touch..."





Lou si guardò intorno circospetta mentre attraversava il vialetto che da casa dei vicini intersecava con il suo; camminava rasente il muro evitando le pozze di luce che gettavano i lampioni.
Se avesse visto se stessa dall'esterno con ogni probabilità sarebbe scoppiata a ridere prendendosi in giro... ma quella era sopravvivenza! Al diavolo!

Da circa due settimane, ovvero dalla partenza di Simone, evitava di usare la solita entrata ufficiale, quella che dava sulla strada... quella in cui avrebbe potuto “casualmente” incontrare lui.

E a nulla erano valse le promesse fatte a Simone di cercarlo non appena lui fosse ripartito.

«Hai bisogno di chiarire, hai bisogno di vederlo, non raccontarti fandonie! Cercalo e piantala di fare la codarda! Me lo prometti?»

«Te lo prometto...» – aveva risposto a denti stretti.

Ovviamente non lo aveva fatto. Non solo: stava letteralmente nascondendosi da lui.
Non che lui l'avesse cercata del resto... questo la rendeva ancor più titubante su tutta la storia.
Perchè non la cercava? L'aveva già rimpiazzata con la tipa mora tutta gambe ... ecco perchè!
Ritirava la posta in orari impensabili, uscendo di mattina presto, sgattaiolando sul vialetto come una ladra. Faceva il giro dell'isolato per correre a prendere il tram per andare al lavoro, lo stesso per andare a fare la spesa... usciva prestissimo e rientrava quando era già buio; evitava di accendere le luci di casa, aveva tirato giù le tapparelle per non far filtrare luce dall' interno, dando l'impressione che non fosse in casa, evitando così anche di guardare verso quella maledetta torre.
Aveva sviluppato un piano di fuga e di occultamento perfetto.

Era quasi arrivata. Un'altra giornata era finita; ora si sarebbe potuta rilassare con un bel bagno caldo profumato, le coccole di Katty e un buon libro.

Cercò le chiavi di casa nel caos della borsa mentre girava l'angolo e... ecco Ville che la guardava.
Appoggiato al muro appena fuori dalla porta, rivolto verso l'angolo dal quale era sbucata, come sapesse esattamente da dove sarebbe arrivata.

Le mani affondate nelle tasche dei jeans, un piede appoggiato al muro e negli occhi un'espressione che non prometteva nulla di buono.
No no, per niente.

Si bloccò pietrificata e gli occhi sgranati, con la mano ancora dentro la borsa.

«Buh.»- La sua voce era bassa e rauca e molto, molto seria, al contrario dell'espressione usata.
Lou rimaneva sul posto immobile, si guardò un attimo alle spalle pensando: “Se magari corro veloce...”

«Non pensarci neanche: - disse piatto, leggendole come sempre nella mente – ti riacciuffo in mezzo secondo.»
Staccò il piede dal muro riaddrizzandosi. Lou fece un passo indietro.

Lui assunse un'aria irritata e strinse le labbra accigliandosi.

“Dì qualcosa! Dì qualcosa maledizione, stupida!”

«Che vuoi?» - sbottò acida.

Lui alzò un sopracciglio, fissandola ironico.
«Te?! Prima che tu possa gelarmi con un'altra risposta, posso almeno sapere a cosa debbo tutto questo?» - chiese sferzante.

La gola secca per la sua risposta diretta e sincera.

“ME?! E la spilungona mora?!”

«Non so a che cosa ti riferisci.» - rispose lei alzando il mento con aria di sfida.

“Lou, sei una kamikaze...”.
Ville strinse gli occhi verdi con un lampo assassino.

“Diamine... ma così non vale però..."
Lou annaspò in cerca d'aria.

«Lascia che ti illumini allora: mi stai evitando, sei sparita senza dirmi nulla, hai portato via con te la mia gatta e ora ti comporti in un modo che mi irrita a morte e mi fa venire voglia di...»- sbottò lui sbuffando.

“La SUA gatta?!”
«Voglia di...?» - chiese lei prima di potersi mordere la lingua per averlo solo pensato.

«Voglia di prenderti e baciarti fino a toglierti quell'espressione distaccata e circospetta che hai.»- le rispose calmo, fissandola con i pezzi di giada.

“...”

«Ville.» - mormorò con la gola secca.
«Sì, Ville. Ti ricordi di me?»
“...”

«Restiamo qui tutta la notte? -chiese lui con un sospiro - Voglio vedere la mia gattina... se me lo permetti, ovviamente...» - aggiunse con un sorriso malizioso.
Lou avvampò per il pensiero perverso vedendo un doppio senso nelle sue parole.

Affondò la mano nella borsa trovando quelle maledette chiavi, finalmente.
«Ma certo... - mormorò lei piano – e per inciso: non è la tua gatta.» - aggiunse lei, muovendosi verso la porta evitando di passargli vicino.
Ville le fissava il profilo, l'espressione tra l'irritato e il divertito.
Lei cincischiò per lunghi istanti non riuscendo ad inserire la chiave nella toppa per l'agitazione.


“Mi ha fregata! Non ci posso credere...”


Finalmente aprì la porta fiondandosi dentro per sfuggire a quegli occhi che le stavano bucando la nuca, lasciandogliela aperta con una mano.

«...e comunque come sei entrato?»
Lui fece un sorriso da vampiro.
«Ho scavalcato il cancello... ovviamente.» - ghignò.
Lou cercava di trovare parole per l'interrogatorio che sarebbe presto arrivato: se lo sentiva che lui non aveva nessuna intenzione di lasciar cadere il discorso e Katty era solo una scusa.

La gatta sentendo aprire la porta apparve in fondo al corridoio e si lanciò in una corsa per darle il benvenuto: lei si chinò per accoglierla commossa da tanto affetto, ma la malefica felina la superò come un fulmine per gettarsi addosso a Ville.

“Maledetta stronza traditrice!”


Lou si alzò stizzita girandosi con gli occhi sgranati e offesi verso quei due che tubavano rumorosamente alle sue spalle.
Katty faceva letteralmente l'amore con lui, strofinandosi e leccandogli le mani.
Anche lui sembrava commosso: aveva gli occhi rossi e gonfi.

“Questo è troppo!"
- pensò lei buttando borsa e giacca sulla sedia in corridoio e lasciandoli alle loro moine, se ne andò in salotto.


Una volta un cucina si preparò del latte caldo, per calmarsi e placare i morsi della fame.
Ville apparve con Katty tra le braccia, cercandola con gli occhi e ridendo sotto i baffi.

Quei due erano due gocce d'acqua... entrambi la guardavano beffandosi di lei, gli occhi verdi e l'espressione furba e divertita.

Lou meditò di buttarli entrambi fuori di casa a calci nel sedere.

«Non hai risposto.» - disse avvicinandosi al muretto divisorio tra salotto e cucina, guardandola fisso negli occhi.

«Non ho capito la tua domanda.» - rispose Lou freddamente.

Ville sibilò tra le labbra.
«Perchè mi eviti?»

«Non ti evito: ho avuto da fare.»
«Balle. Ti ho cercata il giorno dopo e la tua amica, alquanto freddamente, mi ha detto che eri andata via con Simone per qualche giorno, non sapeva dove, senza dir nulla anche a lei.»

“Bene! Anche Nur, ora...”.

Non aveva chiarito neanche con lei: quando erano tornati a casa tre giorni dopo, aveva trovato un biglietto dove la avvisava che sarebbe andata via prima del previsto, causa chiamata urgente dal lavoro- chiaramente una scusa- ma aveva casualmente evitato di dirle che Ville l'aveva cercata! Maledizione. Ora lui aveva tutte le carte in mano per darle contro.

«Nur non mi ha detto che mi avevi cercato: è andata via prima che tornassimo.»

«E non potevi cercarmi tu... giustamente. Sapevi che sarei venuto qui il giorno dopo, te lo avevo promesso. Me lo avevi chiesto tu... guardami Lou.» - sbottò irritato mentre lei evitava di guardarlo trafficando inutilmente in cucina, tra tazze e latte e biscotti.

Lei alzò gli occhi, tremando.

“Stramaledetto gatto gigante che mi lascia sempre senza fiato.”.

Si fissarono in silenzio per diversi, interminabili minuti.

«Perchè mi stai evitando? Pensavo... insomma, pensavo che dopo la cena tu fossi... che provassi quello che provo io. Mi sono sbagliato?» - le chiese, diretto come sempre.

«No, non ti sei sbagliato.»- rispose in un soffio.

«E allora cos'è successo? Spiegamelo per favore...»
«Non è importante...»
«Lo è per me. Dimmelo.»- ordinò lui.

«Ville, non ho voglia di parlarne ora.»
«E quando? - posò la gatta per terra, che si lamentò offesa, aggirando il muretto per avvicinarsi impetuoso a lei, prendendole il mento fra le dita – Guardami!»

Lei alzò di nuovo gli occhi su di lui, perdendosi in quei laghi verdi e chiari: le gambe inziarono a cedere.
Troppo vicino. Troppo.
Sentiva l'odore della pelle, e il leggero profumo del dopobarba o sapone che aveva usato per lavarsi... patchouli e spezie come sempre... le labbra piene e sensuali. Perfette.
No, decisamente non andava bene.
Doveva metterlo alla porta. Ora. O non ne sarebbe uscita viva.
Cercò di svicolarsi, ma lui l'afferrò per le braccia costringendola a guardarlo, spingendola contro il piano, imprigionandola con i fianchi.

«Non scappare...» - le sussurrò con quella voce bassa e roca che le metteva i brividi.
«Mi sei... mancata, 'Prinsessa'...»


“Già. Certo. E la stangona mora?”.


Non mi piace starti lontano se non è necessario e tu hai messo le distanze tra noi: vorrei sapere perchè...»- le sussurrava sulle labbra vicinissimo, senza toccarle.
Lei battè le palpebre rapidamente, stordita dal sentirlo premerle contro con il corpo snello.

«Lou...?» - la domanda nella sua voce.
«Non è importante ora.» - rispose lei fissandogli le labbra rapita, col fiato mozzo.

Le braccia si alzarono a cercargli il viso, sfiorandoli gli zigomi con dita leggere.
Una mano dietro la nuca ad accarezzargli i capelli mossi e scuri... lui chiuse gli occhi sospirando.
Quella di Ville si spostò verso il collo, piegandole la testa all'indietro.
La tenne inchiodata con gli occhi, sfiorandole il viso con il naso, le labbra, senza mai toccarla sul serio.
Lou era sul punto di svenire se non l'avesse baciata immediatamente.
Sarebbe morta in apnea, in attesa di un bacio da Valo, pensò ridendo dentro di sè.

«Sì, che lo è... dimmelo...» - le sfiorò le labbra con la punta della lingua.

Accidenti a lui: se voleva estorcerle parole aveva capito esattamente come fare!

«Io... io... - balbettò lei senza voce – ho... visto quella stangona mora al tuo cancello e mi sono girate le balle, ero gelosa e... ho pensato che mi stessi... solo prendendo in giro e che io mi stavo illudendo come una stupida... e che tu non potessi interessarti davvero ad una come me... e non ho voluto passare la giornata ad aspettarti perchè se tu non fossi venuto, come avevi detto, io... sarei stata male. E non voglio stare male. Neanche per te.”- disse tutte d'un fiato vuotando il sacco, guardandolo in tralice.
Lui si bloccò interdetto.

«Quale stangona? Di che stai parlando? - chiese aggrottando le sopracciglia – Non ti seguo...»

«La tipa che era al tuo cancello: quella che impaziente attendeva di entrare in casa tua il mattino dopo la cena, dopo che ti eri strusciato per ore con me!» - proruppe lei con voce acida.

Lui si scostò indeciso se ridere o arrabbiarsi.

«Amy? Sei gelosa di Amy? Lou...» - scoppiò a ridere lui capendo improvvisamente, stringendola, posandole la testa sulla sua.

“Chi diavolo è Amy!?”- pensò lei desiderando la morte immediata della stangona mora.
O perlomeno una bella diarrea fulminante.
Lo fissò rigida.

«Lou... Lou... mia irascibile, insicura, gelosa Prinsessa... Amy è una vocalist. Abbiamo provato una canzone... e mi serviva una voce femminile.» - ridacchiò lui, come se la spiegazione dovesse esserle chiara.
Rimase rigida tra le sue braccia.

«Provare una canzone. A casa tua. Di mattina.» - disse lei piatta, sentendosi una perfetta scema a fargli una scenata di gelosia.
Che diritto aveva? Non stavano mica insieme ed era molto stupido da parte sua.
Lui strinse gli occhi, continuando a ghignare.


“Ora gli tiro una sberla.”

«Sì, a casa mia... dove ho uno studio. Con tutte le attrezzaure... sai, quella roba con cui si fa musica...? - disse passandole una mano dietro la schiena accarezzandola piano, avvicinandola al petto scarno – 'Prinsessa'... tu sei scappata via per questo? Perchè pensavi cosa? Che io e Amy...?»

«Sì. Non è così? Senti, non mi devi spiegazioni e io mi sento stupida a dirti questo! Non mi devi nulla, non sono affari miei. Sei libero di fare quello che ti pare, non stiamo insieme: quindi fa finta di nulla. Sono italiana. - disse velocemente, cercando di darsi un tono leggero – sai, noi italiani siamo così: passionali, ci inalberiamo velocemente e siamo possessivi. Lo sono con tutti. Non farci caso...”.

«Non stiamo insieme?» - chiese, guardandole le labbra mentre parlava.

«Eh?»- lo guardò inebetita.

«Hai detto che non stiamo insieme e che non sono affari tuoi, di fare finta di nulla... 'Prinsessa', ascolta. Io non so tu cosa intendi per stare insieme... sono libero di fare quello che voglio, questo lo so e lo faccio, ma non quello che pensi tu. Non sono il tipo che riesce a gestire più relazioni nello stesso momento: il tempo che posso dedicare ad una sola persona è già troppo poco e, credimi, non ho tempo per avere cose losche in ballo... e non sono il tipo. Il sesso senza amore è triste. Quindi qualsiasi cosa tu abbia potuto pensare con quella deliziosa testolina piena di ricci, è sbagliata: Amy è solo una vocalist, una voce. Per una canzone che ho scritto, pensando a te.» - disse serio.

«Una canzone... per me?» - chiese lei con un filo di voce, sentendosi ancora più sciocca e in colpa.

«Per ora è solo un' idea... ma sì, avevo questa melodia che mi girava in testa ogni volta che ero con te... volevo provarla.» - le rispose alzando le spalle, come se nulla fosse.

“Ok, calma. Ville Valo ha solo detto che sta scrivendo una canzone. E che gliel'hai ispirata tu. Calma. Non è niente... che vuoi che sia? … ora svengo..."

Lou lo guardò come se fosse pazzo.
Lui ridacchiò baciandole la punta del naso.
«Non andare mai più via senza dirmi nulla, 'Prinsessa'. Soprattutto per ragioni stupide come altre donne: ci sei tu ora.
Non ho bisogno di altro.»

«Ville...» - disse Lou senza aggiungere altro.

«Mi ringrazierai quando la sentirai, ok? - disse ridendo a bassa voce - Magari ti fa schifo...»

«No, io volevo chiederti scusa... mi sento sciocca e infantile. Faccio pagare a te le mie insicurezze e non è giusto... scusa se sono andata via senza dirti niente, ma ero... non lo so neanche io come mi sentivo. Avevo bisogno di andar via. Ma non è servito mettere le distanze tra noi per non pensarti più: ti ho pensato ogni momento di ogni giorno...»
“Ha detto che non contano le altre donne?" Le si piegarono le ginocchia.

Ville la strinse ancora di più a sè, baciandole i capelli, strofinandovi il viso sopra, aspirandone il profumo.
«Ti prometto che non tradirò la tua fiducia, Lou... fidati di me...»

Lei annuì tornando a respirare normalmente abbracciandolo, facendo passare le braccia intorno alla vita snella e sottile di lui.

«Scusa...» - gli borbottò contrò il petto, sulla camicia azzurra che aveva sotto la giacca che profumava di lui.
«Dovrai fare ben altro che chieder scusa, per farti perdonare...» - sussurrò lui con voce sexy, scendendo con le mani dalla schiena fino sopra il bordo dei jeans a vita bassa.
Le fischiarono le orecchie e avvampò fino alla radice dei capelli.

Alzò il viso per chiedergli cosa intendesse ma la bocca di lui scese sulla sua senza darle tempo di parlare o blaterare ancora.
La baciò con lentezza strofinando prima le labbra sulle sue, poi affondò la lingua accarezzando quella di lei in una danza lenta e sensuale.
Lou si aggrappò alle sue spalle per non scivolare in una pozza informe ai suoi piedi.
La baciava... eccome se la baciava e anche bene!

“Perchè mi sono negata tutto questo paradiso?”
Pensò con una parte del cervello non ancora fusa, mentre si strofinava contro di lui mugolando.

Le prese la bocca in un bacio famelico, leccandole le labbra, mordicchiandole fino a farle girare la testa, lasciandola senza fiato nei polmoni.
Intanto le mani affusolate di Ville si erano insinuate sotto la maglietta, senza perdere tempo le scostò il pizzo del reggiseno, una mano a coppa sul seno, stuzzicandole un capezzolo con il pollice, facendolo ruotare fino a farlo indurire come un diamante, senza smettere di baciarla.
Vacillò leggermente nel sentire finalmente, la sua mano sulla pelle sensibile del seno... aveva dimenticato la sensazione di essere toccata in quel modo.
Ville si fermò per un secondo solo, guardandola intensamente negli occhi, bruciandola.

«Ti voglio...» - le sussurrò appena, aspettando la sua risposta.

Lou sentì il suo neurone, l'unico rimasto sano esalare l'ultimo respiro.
Esitò solo un'istante.

«Anch'io...»
La prese per mano portandola velocemente in camera da letto.
Con il cuore che voleva scoppiarle dentro il petto lo seguì senza fare storie, lasciandosi baciare non appena toccarono il letto.
Ville la baciò ancora a lungo, senza fretta.

Lou slacciò i bottoni della camicia azzurra vedendo animarsi sotto le dita il respiro di lui, sotto strati di ossa e carne. Fissò sbigottita gli innumerevoli tatuaggi su tutta la superficie del petto, trovandolo ancora più sexy se mai fosse possibile... posò le mani sul petto e poi più su, fin sulle spalle, facendo scivolare le maniche lungo le braccia seguendo i suoi movimenti.
Lui si sbarazzò della camicia lanciandola via.

Posò le labbra bollenti sulla pelle strappandogli un sospiro, la mano pronta a sostenerle la testa massaggiandole la nuca in modo sensuale... lambì i contorni dei piccoli capezzoli maschili con la punta della lingua.
La sua pelle aveva un sapore che la faceva impazzire... gli fece scivolare le dita fino all'ombellico e si ricordò improvvisamente del tatuaggio proprio al di sotto di esso. Lo sfiorò con le dita, ripromettendosi che ci sarebbe arrivata più tardi.
Ville le baciava il collo.

“Un bacio, un altro, un altro ancora... una collana d'estasi che mi cinge il collo... un'incantesimo sulle tue labbra, intrappolato fra di noi...”

…alternando baci e morsetti, leccandole la pelle dolcemente le sfilò una bretella seguendola con le labbra lungo il braccio, poi si dedicò all'altro... stesso percorso che le procurò brividi di piacere, facendole tremare qualcosa dentro la pancia.
Le labbra poi si spostarono sulla gola scendendo più giù, lentamente, lasciando una scia di piccoli baci fino alla cupoletta del seno tondo di Lou.
Strofinò il viso e le labbra sulla stoffa leggera del reggiseno, scostandola con i denti.
Lei annaspò nel sentire le labbra e la lingua che la lambivano e accarezzavano dolcemente... gli inifilò una mano fra i capelli attirandolo su di sè, con un sospiro.

«Sei dolce, “Prinsessa”... Mi piace il profumo della tua pelle... e il tuo sapore... sai di vaniglia... e di sole... » - bisbigliò lui.
La mani scivolarono sulla vita sfiorandole i fianchi, facendole accapponare la pelle... le mani di lei sulle sue spalle, sulla schiena a scoprire sentieri e avvallamenti sulla sua pelle... lui sospirò, sommesso, rapido, le mani si strinsero sui fianchi di Lou. La fece rotolare su di sé, liberandola dall'impiccio del reggiseno e con un rantolo soddisfatto prese un capezzolo roseo tra le labbra.

Lou gli prese il volto tra le mani baciandolo con passione, per poi scendere lungo il collo, il mento, strofinandosi su di lui, inalando con un gemito il suo odore.

«Anche tu hai un buon profumo... e mi piace il sapore che hai...» - gli sussurrò in un orecchio, sentendolo trattenere il respiro.
Le labbra scesero giù sul petto, una lunga scia di baci, le mani che andarono in avanscoperta.
Si ritrovò a baciare facce di sconosciuti disegnati sulla pelle bollente di lui, dei quali avrebbe chiesto successivamente... le labbra tracciarono i contorni sui muscoli e le linee della gabbia toracica, che si espandeva al ritmo del suo respiro irregolare... giù, più giù, a baciare, a mordicchiare la carne dell'addome di lui, sfiorando il tatuaggio appena visibile dal bordo dei jeans a vita bassisima.
Lo baciò con emozione, leccando piano la pelle, sul cuore disegnato al centro del tatuaggio... sapeva cos'era, era il “suo simbolo”. Ville lo aveva disegnato quando giovanissimo, aveva iniziato a pensare ad una band sul serio... il significato di tutta la musica degli HIM... amore e morte, gioia e dolore, in un connubio perfetto, non esiste l'uno senza l'altro... Il pentacolo simbolo della morte, il cuore dell'amore e il cerchio che rappresenta la convivenza.

L'heartagram.

Lo sentì inspirare rapidamente mentre le sfiorava i capelli con una mano.

Tornò su lentamente, facendo il percorso al contrario... una scia di baci e colpi di lingua... posò la testa sul cuore, sentendolo battere frenetico al di sotto degli strati di pelle e muscoli.

«Vieni qui...» - la attrasse a sè facendola stendere su di lui, pelle contro pelle, le sue mani che correvano veloci sulla schiena, ad afferrare la forma tonda dei glutei di lei, sopra i jeans stretti.
Le piaceva il contatto della pelle di Ville sulla sua, calda e setosa... il profumo che sprigionava era un afrodisiaco sui suoi sensi assopiti.
Ville non aveva nessuna urgenza... la baciava e sfiorava senza forzare mai la mano.
Per Lou era un modo di fare l'amore che le era sconosciuto: con Andrea si era sempre sentita “consumata in fretta”... era sempre stato precipitoso e l'aveva schiacciata in tutti I sensi.
Anche nel sesso con lui si era sempre sentita un personaggio marginale, a lato della storia... mai protagonista, mai importante.
Venivano prima sempre i desideri di Andrea e poi i suoi.

Ville stava facendo l'amore con lei nel modo più dolce, più sensuale, più travolgente.
La scopriva pian piano, lasciandola sciogliersi tra le sue braccia secondo i suoi tempi e per tutto il tempo la guardava negli occhi... cercando di capire cosa stesse provando... sorridendole, sussurrandole parole sulla pelle...

I jeans di entrambi volarono sul pavimento... lei trattenne il fiato quando lui rimase nudo.
Non portava intimo!
Ville ridacchiò divertito davanti al suo rossore, baciandola sulle labbra lentamente e accarezzando languidamente la schiena nuda di Lou.
Si stese sopra di lei, lasciandola senza fiato con una raffica di baci dalle labbra al ventre piatto, sfiorando con le labbra il bordo degli slip bianchi e semplici.
Una parte del suo cervello si maledisse per non aver mai dato ascolto a Nur di arricchire il suo guardaroba di completini sexy... ora Valo si ritrovava a fare l'amore per la prima volta con lei, con indosso uno slip che faceva tristezza solo a vederlo!

Un dito lentamente tirava giù lo slip, mentre lui tornava su per intrappolarle le labbra in un bacio travolgente... a momenti si sarebbe liquefatta, ne era certa... quando anche gli slip tristi e bianchi raggiunsero il resto dei vestiti, Ville si stese di lato, accanto a lei tenendola stretta con un braccio e con l'altro la sfiorava con dita leggere dal viso, giù... giù... fino ai polpacci.

Lei lo guardava negli occhi, con il respiro che a tratti le mancava.
«Voglio toccarti anche io...» - gli sussurrò con un brivido.

Lui fece un sorriso da Stregatto e si stese a pancia in su in attesa.
Lou deglutì a vuoto, guardandolo per tutta la sua lunghezza. Era alto e lungo: snello e non scheletrico come pensava.
Ogni parte del suo corpo era perfetta anche se non scolpito e mascolino in modo canonico.
La mano di Lou scoprì i punti in cui gli piaceva essere toccato guidata dai suoi sospiri, dal modo in cui tratteneva il fiato... vide il desiderio di lui crescere sotto i suo occhi, il sesso che svettava orgoglioso.

Avvampò sentendosi mancare, sentendosi eccitata come non ricordava di essere mai stata.
Sentendo di vivere un sogno che non le era concesso di desiderare.
Quando, dopo molto tempo, tanti sospiri e brividi dopo.. si stese su di lei,chiuse gli occhi abbandonandosi alla passione...
«Guardami Lou... - bisbigliò sorridendole, baciandole le labbra fino a consumarle, come se conoscesse un segreto su di lei – voglio che mi guardi...»

E la portò con sè nel suo paradiso privato...


******

“Il mio cuore nei suoi polsi... il suo nei miei... il mio corpo una mappa per i suoi baci, una carta geografica sotto le sue dita pazienti...”.


Lou era seduta con la schiena appoggiata al calorifero, lo sguardo fuori, avvolta nel plaid seduta sopra il gatto morto come tante innumerevoli volte prima... ma ora in quella stanza oltre al suo respiro c'era anche quello dell'uomo addormentato nel suo letto.
Si guardò le cosce e sorrise avvampando: le aveva lasciato i segni dei baci, segni rossi dovuti alla barba che stava ricrescendo.
Lo aveva guardato dormire per molto tempo e quando lui aveva allentato la braccia intorno a lei si era alzata in preda ad emozioni contrastanti.
Era felice, appagata... e lui era meraviglioso... e lei, spaventata a morte.

Era innamorata di lui. Non si sarebbe lasciata andare in quel modo, se non lo fosse stata.
Lui le aveva rubato il cuore con un solo sguardo.
Un movimento alla sua sinistra e due occhi verdi nella penombra della stanza che la osservavano.
Katty era sull'uscio a fissarla: avanzò nella stanza guardando prima verso di lei poi verso il letto, indecisa sul da farsi. Lei allungò un braccio per chiamarla a sè, per farlo dormire ancora un pò prima che sorgesse il sole e lui andasse via...
La gatta la osservò e con un salto si arrampicò su per le coperte per arrivare a fatica fino ai piedi nudi di Ville. Per fortuna si accoccolò senza salirgli addosso, accontentandosi di stargli vicino.
Lei guardò la sua schiena, ritrovandosi a fissare gli occhi tatuati di Poe... sorrise... le sarebbe piaciuto ascoltare la sua spiegazione personale di tutti quei tatuaggi su quel corpo che amava.
Tornò a guardare il cielo che stava rischiarando nell'alba imminente.
Era stranamente calma e serena... e la cosa era in contrasto con la paura che era nel suo cuore.
La paura di fare un passo falso, di farsi male... ma voleva viverla fino in fondo.
Un fruscìo di lenzuola.
Si voltò piano e ora gli occhi verdi che la fissavano erano quattro.
Le sorrise. Un lento, sensuale sorriso che le fece stringere le pareti dello stomaco.

«Che fai lì?» - bisbigliò con la voce più sexy che lei avesse mai sentito.

«Sto aspettando che sorga il sole...» - rispose lei piano, affondando in quei laghi di giada.

«Vieni qui...» - le fece segno lui sorridendo, battendo con un dito sul letto.

Lei sorrise e fece segno di no, maliziosa.
Ville sospirò piano, alzandosi dal letto e andando verso di lei nudo.
Lei fissò quel corpo slanciato e perfetto nel suo essere unico, non perdendosi nulla, nessun particolare, mentre lui avanzava elegante come un gatto.
Si accoccolò davanti a lei, incrociando le lunghe gambe magre.

«Allora aspetterò con te...» – disse piano sorridendole.

«Se rimani lì non lo vedrai... sorge solo da questa parte, sai?»


Lui scosse la testa lentamente, continuando a sorriderle dolce.

«Non importa... lo vedrò sorgere nei tuoi occhi...»


******



Angolo di quella che pensa di essere autrice:

Oooooookkkkkkk ora non voglio sentire storie!!
Avete avuto quello che aspettavate da nove capitoli!! :D
Ammetto che scrivere questo capitolo ha provato anche me... ero lì col batticuore per tutto il tempo... manco ci fossi io con Valo...ç.ç... spero di non aver deluso le vostre aspettative... rileggendolo ho ancora il cuore che mi batte forte... stupida donna romantica...U,u
Ora aspetto i vostri commentini, mie amate!


Come sempre devo ringraziare tutte a partire dalle mie due Beta: Mia Mugliera Cicci-Vivi (Deilantha) e Sara Pulci;
le mie sister fedeli e pronte a recensire alla velocità della luce: selevalo, arwen85, Echelena, Lady Angel 2002, Ila_76, apinacuriosaEchelon, Villina92 poi quelle un pò più latitanti o tirchie di commenti... poisongirl76, marfa, dile91, fnghera;
e grazie anche a angelica78vf, K Ciel e VioValo ,LonelyJuliet ,le nuove "recensore"!

Spero che prima o poi commentino anche le "fantasmine" che leggono e non lasciano nessun segno del loro passaggio... accontentate questa povera donna...
Ora basta blaterare, che faccio concorrenza a Lou nei suoi momenti peggiori!!
A presto,
*H_T*

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo dieci: “Do you really want me?” ***





testo.

Image and video hosting by TinyPic




Capitolo dieci

"Do you really want me?"







Pro:

1: È bellissimo...

2: Bacia da dio... e fa l'amore allo stesso modo.

3: Ha una risata adorabile.

4: È dolce e sexy: fuoco e ghiaccio allo stesso momento; stimola la tua fantasia, ti lascia senza parole, ha sempre una domanda e una risposta pronte.

5: Ti guarda sempre negli occhi.

6: È terribilmente romantico.

Image and video hosting by TinyPic

Passò rapidamente ai contro.

Image and video hosting by TinyPic

Contro:

1: È bellissimo. Troppo per una normale come te.

2: È famoso, ricco e corteggiato dalle donne di mezzo mondo.

3: È imperioso e imprevedibile.

4: Sviscera ogni argomento fino allo sfinimento.

5: Ti legge nella mente... fastidiosissima cosa.

6: È... Ville Valo.

Image and video hosting by TinyPic

Ok... parità... Vediamo... cos'altro?”

Image and video hosting by TinyPic

Lou era sotto la doccia, cercando di trovare pro e contro come faceva sempre quando qualcosa la turbava. Ville era ancora in casa sua... lo sentiva canticchiare e parlare con Katty, mentre si rotolavano sul letto.

La gatta sembrava fuori di dalla gioia: arzilla e felice come non l'aveva mai vista.

Ridacchiò.

Chiamala scema!”

Dopo aver aspettato paziente che lei vedesse il sorgere del sole lui l'aveva presa e riportata a letto, lanciando via la coperta che lei si teneva stretta attorno al corpo.

«Lasciati guardare...» -  aveva sussurrato inchiodandola con gli occhi.

Le si era seccata la bocca arrossendo fino alla cima dei capelli mentre con calma lui la osservava e le sfiorava il corpo, illuminato dai raggi del sole rosati che filtravano attraverso la portafinestra.

«Hai fame? Vuoi fare colazione?» - gli aveva sussurrato lei con la voce soffocata.

Lui le aveva sorriso stendendo la bocca morbida da un orecchio all'altro.

«È proprio quello che sto per fare...» - aveva bisbigliato baciandole le labbra.

Lou chiuse gli occhi annaspando ancora al pensiero, aggiungendo ai Pro anche il 7: insaziabile.


Oh, mamma...”

Il sole era sorto da un bel pò prima che lui la facesse alzare.

Le aveva concesso una doccia solo a patto che subito dopo tornasse a letto.

«Ma non hai da fare? - gli aveva chiesto ridacchiando, alzandosi dal giaciglio sfatto, instabile sulle gambe – che ne so? Accogliere una stangona in casa per fare le prove, stendere il bucato... andare a fare la pipì? Sei umano?»

Lui l'aveva afferrata per la vita tirandola di nuovo sul letto, con un balzo felino.

«Non fare la gelosa... non ho nulla da fare oggi. E anche se avessi avuto da fare avrei rimandato qualsiasi impegno: voglio stare con te... - l'aveva fissata interrogativo – a te va di passare del tempo con me?»


Certo, il fatto che lui le stesse steso nudo sopra, mentre le baciava il collo, non aiutava la sua concentrazione nel trovare una risposta arguta e spiazzante, come avrebbe voluto...

«Sì...» - aveva squittito a mezza voce Lou.

«Perfetto, ora puoi andare... - aveva detto ridendo sornione - Ma non metterci troppo.»

«Oh, grazie per la concessione, Sua Maestà...» - aveva risposto infilandosi la sua camicia azzurra. Lo aveva guardato pensando che potesse dargli fastidio che si prendesse tante libertà ma l'occhiata che lui le aveva riservato, dolce e sexy, l'aveva rassicurata.

«Sta meglio a te che a me quella camicia... specie se sotto non indossi altro.»

Aveva fatto il percorso dal letto al bagno con la schiena rigida, sentendosi gli occhi verdi puntati alle spalle come chiodi.

Una volta chiusa in bagno si era accasciata contro la porta e portandosi una mano alla bocca, cercava di soffocare una risata isterica.

Aveva voglia di saltellare, ma di sicuro non sarebbe sfuggito all'orecchio bionico di lui.

Si guardò allo specchio.

Guance rosee e occhi che brillavano, labbra gonfie. Scarmigliata. Luminosa. Felice.

Quello che vedeva allo specchio la stupiva e spaventava.

Se lui aveva fatto quel miracolo in una sola notte... cosa ne sarebbe stato di lei a fine giornata?

Le tornò alla mente la voce di Simone.


Goditelo, vivila... lasciati amare. Lasciati scoprire...”.

Tolse la camicia portandola al naso, aspirando l'odore di Ville intrappolato dentro la stoffa.

La lisciò con la mano sorridendo, prima di posarla sulla sedia ed entrare nel box doccia.

Era concentrata a elucubrare I pro e I contro del Valo con la testa piena di schiuma, quando la porta a vetro scorrevole del box si aprì improvvisamente facendola sobbalzare.

«Ci hai messo troppo... mi spiace; ora paghi penitenza.» - disse lui con la sua voce bassa e roca, entrando in doccia, addossandola alla parete scivolosa.

Image and video hosting by TinyPic

8: Decisamente insaziabile.



******


«Lou?... Mi stai seguendo?» - la voce di Julian la riscosse dai suoi sogni ad occhi aperti.

Soffocò uno sbadiglio, girandosi verso di lui con un sorriso di scuse.

«Perdonami, ero sovrappensiero, Julian... che dicevi?»

Julian la fissò con gli occhi socchiusi, la testa inclinata e un mezzo sorriso.

«Già... vedo che sei distratta... e dal succhiotto che hai sul collo e la tua aria di principessa fra le nuvole, posso anche immaginarne il motivo.» - disse a voce bassa e contrita.

Lei si portò immediatamente una mano al collo, alzando il risvolto del maglione.

Lo sbirciò: nei giorni successivi alla cena in casa loro lei e Julian si erano evitati, interagendo lo stretto necessario.

Solo una settimana dopo circa lui era sbottato avvicinandosi, chiedendole di parlare.

«Lou, mi spiace per quello che è successo dopo la cena a casa vostra: ero brillo e... insomma!

Tu flirtavi chiaramente con Ville... e Nur... insomma era lì, voleva quello che volevo anche io. Mi sono comportato in modo scorretto, lo so.»

Lei lo aveva guardato imbarazzata non sapendo da dove iniziare.

«Julian aspetta, non ti devi giustificare con me! Insomma... non so come dirlo. Avrai capito che io e Ville ci... sì, insomma, ci vediamo da un pò... e non devi giustificarti per quello che fai con Nur o con altre...» - disse lei d'un fiato.

«Non mi sto giustificando: cercavo di dirti... che nonostante il fatto tu frequenta Ville e chiaramente sei pazza di lui, nonostante io sia andato a letto con la tua coinquilina... a me piaci. Non è cambiato nulla - disse lui a voce bassa – mi spiace ma è così, sono ancora attratto da te e non solo fisicamente. Mi piaci.»


«Julian... - lei lo guardava mordendosi le labbra agitata – io...»

«Lo so! Non vuoi storie. Con me. Questo l'ho capito. Lo accetto. Mi scoccia, ma lo accetto. Non posso competere con Ville Valo, è ovvio!»

«Non si tratta di questo... Julian, ti prego...» - annaspava lei in imbarazzo.

«Ascolta Eva, so mettermi da parte. Semmai però dovessi renderti conto che ti sei sbagliata... beh, io ci sono. Volevo che sapessi questo. Tutto qui, ok?»

«Ok... - mormorò lei – mi spiace...»

«Spiace molto più a me, credo... però ora non voglio rinunciare anche alla tua compagnia, quindi cercherò di essere solo un amico, se tu vuoi...» - la guardò sereno e sorridente.

«Ma certo che ti voglio come amico, Julian!» - sbottò lei.

«Perfetto, andiamo a pranzo insieme ora? Sono affamato!» - disse rilassato e con un sorriso sincero.

Lou si rilassò di colpo anche lei, sorridendogli.

«Andiamo Diabolik... sto morendo di fame anche io: non ricordo quand'è che ho mangiato l'ultima volta!»

«Ah beh, certo! Immagino che Valo ti abbia distratta anche dal cibo!» - disse con lo sguardo tra il malizioso e l'irritato.

«Piantala...» - gli diede un cazzotto sui fianchi.


Ora le restava solo di chiarire con Nur... non sapeva quando l'avrebbe rivista e il cellulare taceva.

Di solito le mandava sempre dei messaggini di buongiorno o della buonanotte, ma dalla sera della cena non si erano più parlate o sentite.

La cosa la faceva stare male e allo stesso tempo era infastidita: era la prima volta che aveva attriti con Nur.

Non le piaceva quella sensazione di gelo e lontananza tra loro, eppure non riusciva a trovare il coraggio di superare l'ostacolo del primo passo. Non per orgoglio: non sapeva come iniziare il discorso, tanto si erano ingarbugliate le cose e preferiva guardarla negli occhi quando le avrebbe parlato.

Ma non poteva neanche aspettare il suo ritorno, quindi decise di mandarle un sms.

Pensò a lungo a come esordire... poi ripensò improvvisamente al loro *“anime” preferito e scrisse d'impeto una delle frasi che più le aveva colpite:

*“Non importa che uomo io ami, il mio eroe rimarrai solo tu; perché non penso che troverò mai una persona fantastica quanto te. Così e stato e così sarà per sempre. Il mio eroe rimarrai solo tu...”

Torna presto... ti voglio bene. L.

Fissò per lunghi minuti il messaggio prima di spedirlo, mangiandosi nervosamente le unghie. Poi premette il tasto invio e chiuse il cellulare con uno scatto, sorridendo fiduciosa, avviandosi a pranzare con Julian.






******



Tornò a casa trafelata e con il cuore in gola.

Quando Ville era andato via da casa sua, ben 36 ore dopo, aveva detto che non sapeva quando si sarebbero visti; voleva provare la “sua” canzone.

«Con Amy?» - chiese acida prima di poterselo impedire.

Ville era scoppiato a ridere con la “lambretta” e lei non aveva potuto fare a meno di sorridere di rimando.

«'Prinsessa' la pianti di fare l'acida gelosona? - le aveva detto allacciandole le braccia intorno alla vita, baciandole il naso – se mi vuoi torno da te appena finisco...»

«Uhm... non so... - aveva scherzato lei, facendo la vaga – Forse ho da fare... vediamo...»


Lui aveva sorriso spostando le labbra dal naso sulle sue, baciandola fino a lasciarla senza fiato.

«Hai le idee più chiare ora?»

«...»

Chi sono? Dove sono? Aria...”.

«Non molto... non ho capito l'ultima cosa...» - provò a dire ma lui già tornava a “spiegarle” meglio.

Aveva un campo di falene morte nella pancia, ormai...

«Credo che dopotutto... posso liberarmi...»

«Che onore... - le aveva bisbigliato all'orecchio con la voce rauca, facendola rabbrividire – allora aspettami.»

Ed era andato via, sorridendole.

Perché il mio cuore batte così forte? Perché mi sento così sola quando te ne vai?”

Però la sera precedente non si era fatto vivo. Lei e Katty passeggiavano inquiete per la casa; lei mangiandosi le unghie cercando di distrarsi con un libro, Katty piantonava il corridoio, tornava alla porta finestra e poi di nuovo in corridoio.

«Mi sa che ci ha dato buca...» - disse rivolta alla gatta che la guardava come se fosse colpa sua il fatto che lui non ci fosse. Si erano consolate a vicenda sul divano: Katty si era lasciata coccolare in un eccesso di depressione da mancanza di Valo e lei fissava gli occhi della micia trovando le differenze con quelli di Ville.

«Ah beh, siamo messe male amica mia se dopo un solo giorno siamo a questo punto...» - ridacchiò lei grattando la testa della gattina.

E si erano addormentate sul divano fino a quando era stata svegliata dal ronzare del cellulare.

"*A quell'epoca cercavo disperata un legame inscindibile che mi unisse profondamente, inestricabilmente a un'altra persona. Ma i legami tra gli esseri umani non si possono stringere come nastri. Si può solo camminare mano nella mano. Non farti serrare in un nodo soffocante."

Torno presto... ti voglio bene anche io. N.

Bene! Ce ne aveva messo di tempo per risponderle... 5 giorni. Ma lo aveva fatto. Sorrise e con la gatta addormentata fra le braccia si infilò a letto, cercando l'odore di Ville tra le lenzuola.

Altro ronzìo. Aprì un occhio sbirciando il cellulare ma questi era spento. Le due di notte.

Era il citofono.

Cancello.

Ville.

I pensieri si accavallavano confusi nella sua testa.

La gatta schizzò verso il corridoio miagolando forsennatamente.

Lei la seguì inciampando nei suoi stessi piedi, ancora intontita dal sonnellino.

Adocchiò il proprio riflesso allo specchio togliendo il mascara che le era colato da sotto gli occhi alla velocità della luce, prima di pigiare il tasto dell'apertura cancello e aprire la porta.

Ed eccolo che veniva verso di loro con un sorriso delizioso sul viso e gli occhi ridenti.

«Stavi dormendo?» - chiese ridacchiando baciandole lentamente la fronte, gli occhi, la guancia e poi le labbra.

E a lei venne in mente “Ameliè”.

Lei era troppo timida per baciarlo... così lui con piccole mosse, realizzò il suo piccolo desiderio.”

«No! - mentì spudoratamente alzando il viso verso di lui in cerca di coccole, quasi quanto la gattina che richiamava l'attenzione di Ville con miagolìì alti e fusa rumorose, mentre si strusciava sulle gambe lunghe e magre – Stavo leggendo...»

«Sì certo, come no... - la prese in giro, sfiorandole il viso con le dita – Hai ancora il segno del cuscino sulla guancia, imbrogliona!»


Strinse le braccia intorno alla vita magra di lui.


«Ci siamo appisolate mentre ti aspettavamo...»

«Non volevo svegliarvi... . disse anche lui usando il plurale – Volevo... avevo voglia di vederti. Scusa se mi presento a quest'ora...» - disse fissandole le labbra concentrato.

Le domande premevano sulle lingua di Lou: voleva chiedergli che aveva fatto la sera prima, con chi era stato, com'erano andate le prove della “sua” canzone e così via... ma fu solo capace di fissarlo ad occhi sgranati e tenerlo stretto a sè.

«Sono contenta che tu sia qui... siamo contente – aggiunse facendo un segno con la testa verso la gatta che rumoreggiava inerpicandosi sui jeans di Ville – Prendila o non la finirà più di frignare e ti rovinerà I jeans...»
Rise divertito chinandosi a prendere Katty con un mano e con l'altra cingeva la vita sottile di Lou.

«Andiamo dentro.»

Varcarono la porta tutti e tre insieme, stretti l'uno all'altro.

******



«Qual'è il tuo colore preferito?» - chiese passando un dito sul naso di Ville.

«Un tempo il nero e il rosa... ora... sai che non ne ho idea?» - rispose, la mano sulla coscia di lei adagiata sulla sua.

«A quanti anni hai dato il primo bacio?» - continuò Lou.

«Ti stupirò: diciamo che non ero popolare e richiesto dalla ragazze... preferivano gli sportivi ed io non avevo propriamente il fisico di uno sportivo... molto tardi comunque... oddio non ricordo! E tu?» - le chiese di rimando fissandola con gli occhi verdi ridenti.

« 15 anni: è stato terribile. Quello che all'epoca è stato il mio primo ragazzo mi baciò a tradimento senza che io volessi... per giorni e giorni mi sono sentita come se mi avessero portato via una parte importante di me, senza il mio permesso...» - disse piano passandogli il dito sulle labbra.

Ville la ascoltava con l'espressione dolce e attenta, sfiorandole piano il fianco nudo.

«Come se qualcuno avesse spazzato via la tua infanzia in modo violento...» - aggiunse lui.

Lei annuì.

«Avevo sempre immaginato il mio primo bacio diverso... dolce e delicato. Invece mi sono ritrovata mezzo metro di lingua in bocca senza essere preparata... forse lui pensava che io fossi già esperta, non lo so, ma questo ha influito sulla storia...» - rispose piano lei continuando la lenta discesa con il dito sul collo.

«Avrei voluto essere il tuo primo bacio...» - disse lui serio.

Lou gli sorrise sporgendosi a baciarlo lieve sulle labbra.

«Sei stato l'ultimo ed è importante uguale.»


Un lampo negli occhi verdi.


«Quante volte sei stata innamorata?» 

Ville anticipò la domanda successiva che lei gli voleva fare.

Lou pensò alla domanda a lungo guardandolo.

«Una sola volta, credo... in realtà non ho avuto molte esperienze da poter dire se lo sono stata e quanto. Ho avuto una sola storia importante, lunga dieci anni... penso di esserlo stata perchè non potevo fare altrimenti, perchè ero piccola ed inesperta, perchè ero curiosa...»


Il dito sfiorava la clavicola, tracciando il tatuaggio di Maya Deren.


«E tu? - sussurrò lei – Quante volte sei stato innamorato?»

Lui ricambiò lo sguardo stringendo gli occhi, concentrandosi.

«Non ne ho idea... forse mai, forse ogni volta. Mi innamoro sempre: di un'idea, di un sorriso, di un gesto... e poi come è venuto passa. Ma ciò che resta di quell'emozione cerco di metterla in musica, per non dimenticarla... per poterla rivivere in seguito.»

Lou gli sorrise con il cuore che batteva forte, la mano prese il posto del dito posandosi sul capezzolo di lui, all'altezza del cuore.

Lou ripensò improvvisamente alla domanda che una volta aveva fatto ai suoi amici, in preda ad una delle sue rare sbronze sfociata in interrogativi esistenziali.

Erano sulla spiaggia, di notte sotto la luna e lei si era spogliata rimanendo in slip e reggiseno, stendendosi sul bagnasciuga a braccia aperte guardando l'astro sopra di loro.

Mara, Simone e altri di cui aveva dimenticato le facce e i nomi ridacchiavano schizzandosi l'acqua, rincorrendosi, cantando a squarciagola canzoni stonate.

«Grace, sei sbronza.» - le aveva annunciato Simone sedendosi accanto a lei, completamente vestito guardandola con gli occhi sfuocati, come se non fosse chiaro che lo fosse.

«Will... secondo te, perchè il nostro cuore batte?» - gli aveva chiesto lei con la voce impastata, fissando in alto.

«Oh, merda, Grace che cazzo di domande fai?!» - aveva sbottato lui ridacchiando isterico.

Lei si era girata con gli occhi lucidi a fissarlo seria.

«Dico sul serio... rispondimi. Non ci hai mai pensato?»

Lui l'aveva fissata ironico scuotendo la test, rassegnato, poi si era chinato improvvisamente a baciarle le labbra, lasciandola di stucco. Un lieve bacio a stampo, fugace e dolce.

«No, Grace... non ci ho mai pensato... - aveva risposto a bassa voce crollando su di lei, posando la testa sul suo stomaco, fissando anche lui il cielo con occhi vacui – Fammi pensare... nessuno sa perchè batte. Beh, però se non battesse non potremmo essere vivi. È meccanica. Semplice meccanica, Grace. Muscoli, sangue, arterie... una perfetta macchina che da forza a tutto.»

«Sì... ma perchè? Cosa da la forza al cuore di battere e mandare avanti tutto?» - aveva insistito lei mentre accarezzava i capelli bagnati di Simone.

Simone gemette forte.

«Grace quando ti ubriachi te ne esci sempre con queste robe complesse! Non puoi semplicemente vomitare come fanno tutti?»

Lei era tornata a fissare il cielo sorridendo.

Qualche tempo dopo aveva fatto la stessa domanda ad Andrea.

«Che domanda stupida!» - le aveva risposto freddandola con la sua risata ironica.

«A cosa pensi? - chiese Ville interrompendo I suoi ricordi, scrutandola con la giada – Hai un'aria assorta...»

«A niente... una cosa stupida che mi è tornata in mente...» - gli rispose,  il battito accellerato.

«Dimmelo: adoro le cose stupide!» - disse ridacchiando.

Lou fece un respiro profondo, guardandolo di sottecchi.

«Mi sono sempre chiesta perchè batte il cuore...»

Lui la fissò per lunghi minuti, il sorriso svanì lentamente dal viso.

Ahia... mi sa che ho zavorrato la serata...”.

«Non è affatto una cosa stupida Lou, anzi... - sussurrò con gli occhi che brillavano – per niente stupida... e hai trovato una risposta nel frattempo?»

Lou sorrise muovendo piano la mano sul petto di lui.

«Forse.»

«Lo dici anche a me?» - le chiese Ville premendo una mano sulla sua, bloccandone il vagabondare.

«Un giorno... magari un giorno te lo dirò.»

«Nientemeno! - rise – Ok, attenderò con ansia... Posso pensarci anche io nel frattempo?»

«Ovviamente... - ridacchiò lei – Però poi devi dirmelo!»

«Forse.» - rispose lui, ghignando.

«Gne gne gne...»

«Ora, 'Prinsessa'... - mormorò lui muovendole la mano sul proprio petto e poi spingendola sempre più giù – avremmo un'altra anomalia strana... Pensi di potermi aiutare a risolverla?»

Lou avvertì il solito crampo piacevole al ventre.

Avvampando guardò la propria mano guidata dal suo scorrere sul corpo di lui, fino a raggiungere “l'anomalia”...

«Vedremo come posso esserti d'aiuto...» – gli sussurrò prima di piegarsi sulle sue labbra tese in un sorriso malizioso.


******


Lou aprì un occhio lentamente mettendo a fuoco il profilo addormentato di Ville; aveva cercato inutilmente di dormire.

Con lui che però le respirava sul collo, un braccio stretto intorno alla vita, le era risultato molto più difficile di quanto pensasse.

Non riusciva a rilassarsi neanche quando lui non le puntava addosso quei laser verdi; ora dormiva supino, un braccio sotto la testa e una mano posata sul petto.

Era quasi l'alba.

Con movimenti lenti si sfilò dal suo fianco strisciando fino al bordo del letto per non svegliarlo.

Aveva appena posato un piede a terra quando una mano scattò a toccarle la schiena nuda.

«Dove vai?» - le chiese con la voce rauca.

«Accidenti, Ville! Mi è preso un'infarto! Stavo andando... in bagno...» - si girò di scattò, fissandolo.

Lui se ne stava ancora nella stessa posizione ad occhi chiusi e un sorriso sulle labbra morbide e rosse.

«Eri sveglio?»

«Sì... è divertente starti ad ascoltare mentre cerchi di non fare rumore, o mentre cerchi di non muoverti...»

«Umpfh! Smettila di ridacchiare sotto I baffi!»

Aprì gli occhi girandosi a guardarla divertito.


Oh, santo cielo... mi abituerò mai a questi occhi, a questo viso?” - pensò guardandolo rapita.


«Non hai chiuso occhio tutta la notte, 'Prinsessa'... sono io che ti rendo ansiosa?»

«No... beh sì, un pò...» - ammise, alzandosi dal letto infilando al volo una maglietta sul corpo nudo.

«Ti metto ansia e ti vergogni di farti vedere nuda da me...» - le disse ancora con un tono serio.

Lou si girò a guardarlo mordendosi le labbra agitata.

Ville si puntellò con un gomito sul letto, gli occhi che la scrutavano attenti.

«Perchè?»

«Perchè... perchè... Ville, insomma è da poco che ci vediamo, che ci conosciamo. Penso sia normale avere ancora un pò di timidezza...» - lei muoveva un piede avanti e dietro sul pavimento, arrotolando un dito nel ricciolo, guardandolo di tanto in tanto.

«Sei bellissima... - bisbigliò lui – Vorrei che tu potessi vedere come sei ora, come ti vedo io... la luce rosa dell'alba che ti illumina la pelle e I capelli, le labbra gonfie di baci... E gli occhi che sembrano caramello fuso. Non nasconderti a me, ti prego...»

«Io...» - la gola improvvisamente secca lo guardò battendo le palpebre rapidamente. Ogni cosa che le diceva le andava dritta al cuore: il modo di parlarle sempre diritto e sincero, dolce e leggero e allo stesso tempo profondo... le faceva rimescolare tutto anche con un solo sguardo intenso.

**“Arcangelo o Sirena, da Satana o da Dio, che importa, se tu, o fata dagli occhi di velluto, luce, profumo, musica, unico bene mio, rendi più dolce il mondo, meno triste il minuto?”.

La voce di Ville era come una carezza che la avviluppava a distanza, scaldandola.

Se ne stette a fissarlo lì dal lato del letto senza riuscire a dire una cosa, una sola cosa intelligente.

«Torni subito, vero?» - aggiunse lui qualche istante o qualche minuto dopo, non avrebbe saputo dirlo.

Lou fece segno di sì scappando in bagno con il cuore in tumulto.

Si guardò allo specchio non trovando nulla di nuovo in lei, tranne per la luce che le brillava negli occhi.

Lui la vedeva bella.

Si portò le mani alle guance rosse, rimirandosi a lungo.

Si riscosse sciacquandosi il viso con acqua fredda e tornò in camera da letto.

Ville era adagiato alla spalliera del letto e fissava con un sorriso mesto, sereno, al di là della finestra; si girò sentendola entrare nella stanza.

Si fermò a metà strada poi fece un profondo respiro e tolse la maglietta che la copriva andando nuda verso di lui, che la accarezzava con gli occhi.




******



Angolo di quella che pensa di essere autrice:

Bene donnine è passato quasi un mese dal mio ultimo aggiornamento e ringrazio tutte per la pazienza... ma come sapete... la Musa mi ignora e volevo tenermi questo capitolo come Jolly! Dire che amo il Valo è poco... così tenero, sexy, romantico, oscuro... ahhhhh *sospiro*...
Penso che passerà ancora un pò di tempo prima che pubblichi l'11, ma voi mi aspetterete vero?! :)


Come sempre devo ringraziare tutte a partire dalle mie due Beta: Mia Mugliera Cicci-Vivi (Deilantha) e Sara Pulci;
le mie sister fedeli e pronte a recensire alla velocità della luce:
, arwen85, Echelena, DarkYuna, Lady Angel 2002, Ila_76, apinacuriosaEchelon, Villina92, VioValo_Villina, poi quelle un pò più latitanti... poisongirl76, marfa, dile91, fnghera;
e grazie anche ad angelica78vf, infinity86dark2, K Ciel e VioValo ,LonelyJuliet,BlackMidnights, Blackie_
le nuove "recensore"!
Grazie ragazze: non sapete quanto mi faccia piacere sapere che la mia storia vi stia piacendo e amate i miei personaggi quanto me.

Spero, come sempre, che prima o poi commentino anche le "fantasmine" che leggono e non lasciano nessun segno del loro passaggio... accontentate questa povera donna...

A presto, con ammooore... *H_T*

NB: il titolo è un doveroso omaggio alle mie Echelon con una frase che loro conoscono bene... (vedi video Hurricane - Thirty Seconds To Mars )

*Cit: dall'anime "Nana".
**Cit: tratta da "Inno alla bellezza" - Charles Baudelaire

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo Undici - "Creeping Inside" ***




testo.

Image and video hosting by TinyPic



Capitolo undici

"Creeping Inside"








«No! Katty! Scendi immediatamente di lì! Katty!» - urlò Lou correndo verso la cucina.
La gattina era saltata per sbirciare nella busta della spesa che aveva posato due minuti prima, mentre si toglieva la giacca.

Era sudata: iniziava a fare caldo anche lì ad Helsinki e portare due buste di provviste piene di roba, a piedi per diversi isolati dopo l'ennesima notte insonne l'aveva sfiancata.

La micia la guardò impassibile, sbadigliando e non facendo una piega mentre lei sbraitava.

Lou rise.
«Sei proprio uguale a lui...» - mormorò grattandole la testa.

Katty socchiuse gli occhi facendo delle fusa blande: quelle rumorose erano riservate solo a Ville...

Se chiudeva gli occhi riusciva a sentire ancora l'odore del finnico: le si era impresso nella memoria olfattiva.
Pensava che avrebbe potuto riconoscere l'odore della sua pelle anche in una stanza affollata ad occhi bendati.

«Ah, Valo... mi manchi...» - sussurrò grattando la testolina di Katty.

Ville faceva apparizioni quando meno se lo aspettavano: a notte fonda o nel primo pomeriggio, lo trovava ad aspettarla quando rientrava dal lavoro alla galleria, appoggiato al muro davanti all'ingresso; oppure la sorprendeva alle spalle al super dove andavano entrambi a fare la spesa... era imprevedibile, affascinante e lei era pazza di lui.

Era drogata: quando non era con lui si sentiva nervosa e sola... all'inizio tutto ciò l'aveva spaventata, poi si era stizzita.
Non sopportava di essere dipendente da qualcuno figuriamoci da un uomo, seppur irresistibile quanto poteva essere il Valo!
Alla fine si era rassegnata.

Ville, al contrario del suo ex non sembrava approfittare del fatto che gli si aggrappasse, nonostante lei cercasse di nasconderlo più che poteva... anzi: era sempre più dolce e attento, passionale, divertente... adorava quando la prendeva in giro con dolcezza, con gli occhi verdi che ridevano.

La cosa che amava era che lui rideva con lei, non di lei...

La travolgeva e la lasciava senza fiato ogni volta che facevano l'amore.
Ogni volta le sembrava più bella ed intensa della precedente... si diceva “Non può essere più bello di questa volta...” e ogni volta si sbagliava: la successiva era sempre meglio e lei pensava che non avrebbe potuto essere più perfetto.

Con suo sommo piacere.
Era allegra, rilassata, serena come non era mai stata prima.
Tutto ciò era evidente sul suo volto: Matleena la guardava di sottecchi con gli occhi stretti e molto probabilmente si chiedeva cosa le stesse succedendo... ma la sua adorata Draghessa non le aveva mai chiesto nulla... finora.

Al contrario di Julian, che nonostante cercasse di fare l'amico era spesso acido e sferzante sul suo aspetto “soddisfatto”... “ma tant'è!”, si era detta Lou con un alzata di spalle.
Non poteva farci granché e al momento era talmente presa dal suo di benessere da non aver il tempo né la voglia di pensare a quello altrui, che non fosse quello di Ville.
E di Katty ovviamente.

Dopo aver posato a terra la gatta contrariata che la guardò male sistemò la spesa nei vari scompartimenti, pensando come sempre a lui.
Dormiva sempre più spesso a casa sua ultimamente e oltre lei, anche Katty sembrava gradire particolarmente la nuova situazione: Ville arrivava, faceva due coccole alla gattina che voleva assolutamente essere la prima ad arrivare tra le braccia magre del finnico sexy e poi prendeva Lou letteralmente di peso per portarla a letto.

O sul divano... dipendeva dal “grado di eccitazione” in cui si trovava.

Non mi sazierò mai di te, mia 'Prinsessa'...” - sussurrava con la voce roca baciandole il collo, stringendola tra le braccia, mentre lei cercava di tornare a respirare in maniera normale dopo l'assalto del portatore sano di giada e ormoni.

E per tutto il tempo lui la guardava negli occhi non perdendosi un solo istante di ciò che passava sul suo viso.

Sei bellissima quando fai l'amore con me... lo sei sempre a dir la verità, ma quando il piacere sta per travolgerti I tuoi lineamenti cambiano e sembri esplodere, sei luminosa...” - le bisbigliava sulle labbra facendole le fusa come un gatto.

Lei per tutta risposta lo guardava estasiata senza riuscire a rispondere nulla, rintanandosi nel suo silenzio; in compenso se ne stava guardarlo a sazietà mentre lui dormiva, libera di lasciar passare i suoi sentimenti sul viso senza sentirsi scoperta... a volte non resisteva e accarezzava con la punta delle dita i lineamenti perfetti di Ville, le labbra morbide e dischiuse, la punta del nasino diritto e piccolo... sulle palpebre che nascondevano le pietre preziose degli occhi.
Posava piano una mano sul petto scarno e liscio per ascoltare il battito lento e regolare del suo cuorechiudendo gli occhi, cullata dal suo ritmo.

Lou ripose metodicamente negli scompartimenti la spesa appena fatta: quel mattino il Sig. Korhonen non era come al solito ad aspettarla per fare la spesa e tornare a casa insieme. Era preoccupata e avrebbe voluto accertarsi che stesse bene passando da casa sua, ma non voleva essere invadente e aveva desistito con un sospiro.

Se solo fosse stata più intraprendente durante tutta la sua vita, si sarebbe risparmiata diverse fregature... ma era fatta così: aveva sempre paura di non essere gradita nella vita degli altri, di pesare con la sua presenza.. e quella che lei chiamava discrezione, spesso e volentieri, veniva fraintesa come freddezza e distacco.

Con un succo d'ananas fresco e la gatta che passava tra le sue gambe rischiando di farla cadere ogni volta passò in salotto, con la voglia di sentire musica: fissò per vari secondi i cd regalatigli da Simone, la discografia completa degli HIM.
Con un sorriso di rassegnazione mise nello stereo “Love Metal” e mentre la voce del suo Valo riempiva la piccola stanza lei si stese sul divanetto chiudendo gli occhi, sorridendo lievemente... con Katty accoccolata sulla sua pancia che le piantava le unghiette nella mano di tanto in tanto.




******




La consueta familiare sensazione di qualcuno che la guardava mentre dormiva.
Prima ancora di aprire gli occhi e accertarsi che non fosse sola un lieve profumo di ambra e vaniglia le solleticò il naso... Nur.

Sorrise.

«Potrei benissimo essere un ladro e la tua gatta invece che difenderti, se ne sta lì a squadrarmi con aria altera e superiore...» - sussurrò con la voce divertita Nur.
Lou aprì un occhio posando lo sguardo sulla sua amica accoccolata sul divano poco distante da lei, che la osservava con occhi divertiti e la testa inclinata di lato; Katty ancora seduta comodamente sulla sua pancia, fintamente indifferente teneva d'occhio Nur.

«Non è mica un cane da guardia che deve abbaiare e avvisarmi di possibili ladri e malintenzionati, pronti ad approfittare delle mie grazie...- rise Lou - Ciao...» - continuò in un soffio, sorridendo un po' emozionata alla sua amica.

Era passato decisamente troppo tempo da quando si erano allontanate.

«Ciao...» - rispose Nur, le labbra carnose stese in un sorriso.

«Non sapevo che saresti tornata così presto.» - disse Lou per spezzare il silenzio imbarazzato.
«Volevo farti una sorpresa... so che le odi... E comunque non ho mai visto un gatto così altezzoso e snob...» - disse strizzandole l'occhio.
«Già...»
«Io ho fame: che mi prepari di buono?» - disse improvvisamente Nur alzandosi e sfilandosi i tacchi alti, camminando a piedi nudi fino alla cucina.

Lou sorrise grata: come sempre lei non era capace di alleggerire l'atmosfera pesante; menomale che Nur al contrario, era capace di sdrammatizzare... voleva parlarle, voleva dirle tutto di lei e Ville... avrebbero avuto tempo per chiarirsi, per capirsi e ritrovare la loro complicità.

Ne era certa.

«Ti vanno degli spaghetti al pomodoro?» - propose Lou ridendo, seguendola in cucina con Katty in braccio, mentre Nur mangiucchiava una mela appoggiata al muretto.

«Non osavo sperare tanto! Mi sono mancati i tuoi spaghetti... mi sei mancata tu.» - disse Nur come al solito schietta e sincera.

«Anche tu mi sei mancata Nur... - rispose esitante Lou alzando gli occhi sulla sua amica. - Pensavo fossi arrabbiata con me per... per Ville.»

«Non ero arrabbiata con te ma con me stessa... - spiegò Nur con un mezzo sorriso – Ho peccato di vanità come al mio solito credendo, anzi volendo credere che Valo fosse interessato a me, quando sotto sotto avevo capito subito che lui aveva accettato la mia presenza quella sera al pub solo dopo aver saputo dove vivevo... e con chi.
Era chiaro che fosse interessato a te fin da prima che ci incontrassimo e ha colto la palla al balzo.
È la prima volta che un uomo mi snobba elegantemente e non ho saputo accusare il colpo, tutto qui... ti chiedo scusa per averti messa in imbarazzo.
So quanto ti sarà costato, quanto ti sei sentita colpevole... - ridacchiò – Simone me l'ha fatto notare anche fin troppo...
»

«Simone? - la interruppe Lou con aria scettica – In che modo?»

«Beh, mi ha mandato un sms acido dove mi diceva che non avevo il diritto di fare l'offesa per una questione e per un uomo di cui alla fine non mi interessava nulla... - disse divertita Nur – e aveva ragione: Valo non mi interessava. Volevo solo mettere alla prova il mio ego conquistando un famoso cantante...»

Lou non sapeva se indignarsi per l'intromissione del suo amico in questioni private o riderne: avrebbe dovuto immaginare che Simone nel tentativo di farle chiarire quanto prima e non fidandosi di lei, prendesse in mano la situazione.
Sorrise commossa, pensando che anche da lontano il suo amico le faceva da angelo custode.

«Quando ho visto come ti guardava Valo mi sono sentita stupida quella sera a cena con quel mio vestito, il mio trucco, i miei tacchi vertiginosi e soprattutto per aver cercato di attirare la sua attenzione per tutta la sera fallendo miseramente.
Lui non aveva occhi che per te... tu nel tuo golfino accollato, accaldata, i tuoi semplici jeans e i capelli in una coda sfatta mentre cucinavi per noi.
Valo non ha fatto altro che mangiarti per tutto il tempo con occhi... beh, sai che intendo, vero?
» - ridacchiò Nur guardandola la sua amica negli occhi, divertita dal rossore che iniziava ad apparire sul viso dell'altra.

«Vagamente...» - annaspò Lou con l'immagine e la sensazione reale e improvvisa di Ville steso addosso, che la scrutava con quel suo mezzo sorriso...
Con i suoi occhi di giada, mentre faceva l'amore con lei.


«E ho continuato a dare il peggio di me, portandomi a letto Julian... così chiaramente invaghito di te anche lui, per... non lo so neanche io, il perché... - proseguì Nur imbarazzata – Insomma è stato stupido anche quello: eravamo brilli ed entrambi presi a farci notare dalla persona sbagliata. Ti chiedo scusa anche per Julian.»

«Nur non devi... voglio dire: non devi chiedermi scusa per Julian! Non devi chiedermi scusa e basta... - disse Lou d'un fiato gesticolando – sia tu che Julian non dovete darmi spiegazioni...»
«Neanche tu dovevi darmene con Ville.» - aggiunse Nur.

«Oh, invece sì... lo hai conosciuto prima di me e pensavo, ero convinta che ti piacesse, mentre tu sapevi benissimo che Julian non mi interessava se non come amico...»
«Lou sei incredibile! - sbottò Nur ridendo – anche davanti all'evidenza tu ti senti in colpa! È assurdo! Tutti si sono resi conto della situazione tranne te!»

Lou sbatté le palpebre perplessa.

«Sia Valo che Julian erano qui solo per te. Io ero praticamente un arredamento... e Julian è venuto a letto con me solo perché si è sentito rifiutato e credo abbia capito improvvisamente la situazione tra te e Valo solo quando tu sei rimasta fuori con lui per più di mezz'ora... sai, gli ho dovuto far notare che forse non eravate lì a solo a parlare... Credo si sia sentito stupido anche lui ad un certo punto, dicendo che non poteva certo competere con uno come Valo.» - spiegò Nur alzando le spalle con aria rassegnata.

«Mi dispiace... - sussurrò Lou – mi dispiace di non essere chiara e diretta come voi nel far capire i miei sentimenti. Se solo fossi più sicura di me magari avrei risparmiato un sacco di fraintendimenti tra noi, tra me e te, tra me e Julian, tra me e Ville...»

«Hai avuto problemi anche con Ville? - chiese Nur preoccupata – Che hai combinato?»

«Non ho combinato... niente, ho visto una stangona davanti al suo cancello il mattino dopo la nostra cena e pensando che fosse una sua “amante”, me la sono data a gambe.»
«Ah! Ecco perché siete improvvisamente andati via tu e Simone il giorno seguente senza neanche invitarmi... - disse sorridendo Nur ma con un sottile tono di rimprovero – Sei sempre la solita... e scommetto che la stangona non era la sua amante.»

«Scusa se non ti ho invitato a venire con noi... volevo stare da sola con Simone... - si giustificò Lou con un sorriso - e poi pensavo fossi incavolata con me per via di Ville... No, la stangona è una vocalist.»

«Io pensavo la stessa cosa, credendo ti fossi offesa per essermi portata a letto uno dei tuoi spasimanti... - aggiunse Nur trattenendo una risata – Certo che non parlando se ne combinano di guai, eh? Hai chiarito con Valo almeno?»

«Ehm... sì, dopo una decina di giorni... dopo essermi nascosta per non incontrarlo.»

Nur scoppiò a ridere, scuotendo la testa.
«Chissà come gli saranno girate al Valo... - insinuò divertita Nur – E poi?»
«E poi mi ha teso una trappola una sera facendosi trovare davanti la porta di casa, dopo aver scavalcato il cancello...» - arrossì Lou al ricordo di quella loro prima, fantastica volta insieme.

«Bene bene... - disse Nur divertita – credo proprio che la nostra Lou abbia finalmente iniziato a vivere le gioie del sesso...»
«Ah! Smettila!» - si schernì Lou, ridendo.
«È così?! Hai già fatto sesso con lui?! Piccola sfacciata...» - rise Nur prendendola in giro.
«Non abbiamo fatto sesso: abbiamo fatto l'amore...» - la corresse Lou con gli occhi brillanti.
«Ahia... non dirmelo ti prego: sei innamorata di lui?! - chiese con un urlo Nur – Ma... ne sei sicura?»
«Ehm... credo di sì... è un male?!»
«No... non lo è, anche perché da quanto ho visto lui ricambia... almeno credo, sperando non abbia perso ogni mio potere insieme a quello di sedurre ogni uomo sulla faccia della terra...» - scherzò Nur, strizzandole l'occhio.

«Lo credi davvero? Credi che anche lui sia innamorato di me, Nur?»
«Cielo! Penso proprio di sì... dovresti saperlo meglio di me, visto che sei tu a frequentarlo... tu cosa pensi?» - le chiese mettendo le mani a coppa sotto il mento e fissandola curiosa.

«Non lo so... - rispose esitante Lou, mordendosi nervosamente le labbra – credo di piacergli molto questo sì, me ne rendo conto perfino io che sono un'eterna stordita... ma innamorato, oddio non saprei... sarebbe troppo bello e anche troppo spaventoso.»

«Te la fai sotto eh? - le chiese Nur, sorridendo dolcemente – Credimi, è più che un “gli piaci”... fidati.»
«Sì, ho una fifa pazzesca: che si stanchi di me, che si accorga che non sono bella quanto uno come lui potrebbe pretendere, che non sono niente di speciale... e ho paura che passata l'iniziale passione lui si stanchi e un giorno mi dica che è finita... e io non posso vivere pensando di non poter più guardare i suoi occhi...» - continuò sfiatata Lou.

«Lou... - mormorò Nur posando una mano sulla sua, tenendola stretta – non sarà così vedrai. Non avere paura... e se mai dovesse accadere, ricordati che io ci sono... e anche Simone: non ti lasceremo da sola a raccogliere i cocci del tuo cuore. Te lo prometto. E smettila di dire che non sei speciale e che lui potrebbe volere di meglio: non vedo nulla di meglio di te che per un uomo.»

Lou ricambiò la stretta sorridendole fiduciosa: non voleva pensare ad un futuro senza Ville, senza la sua presenza, senza i suoi occhi che la sfioravano o la sua voce che la cullava cantando nell'oscurità della stanza, dopo averla amata... ma la sicurezza, la certezza che non sarebbe mai stata da sola d'ora in poi, la costante presenza dei suoi amici le dava la forza per affrontare ogni cosa con maggiore leggerezza e con un pizzico di follia.

«E ora... me li fai questi spaghetti o devo mangiarli crudi?» - chiese seria Nur mettendo un finto broncio.
Lou sorrise di colpo alleggerita... Aveva temuto stupidamente di aver perso la sua unica amica e invece...

Perché a volte pensiamo che tutto sia tremendamente difficile? Che non ci sia soluzione, quando invece è tutto facile? Basta aprire il cuore all'altro senza recriminazioni, senza bugie, semplicemente dando fiducia e ascoltando l'altro come si ascolta se stessi...”

«Arrivano! - rispose pronta Lou iniziando a tirare fuori pentole e padelle per dare il giusto e meritato benvenuto alla sua amica – e visto che voglio viziarti... ti preparo anche il sugo della mamma.»
«Fico! Dobbiamo discutere più spesso se questo è il modo per poi rinsaldare la nostra amicizia! - scherzò Nur ridendo guardandola mentre Lou si dava da fare – Lou?»
«Uhm?»
«Ti voglio bene.»
«Ti voglio bene anch'io, Nur.»





******




«Beh? Allora com'è Valo a letto?» - chiese di punto in bianco Nur dopo aver mandato giù un'enorme forchettata di spaghetti.
Lou che stava bevendo rischiò a momenti di strozzarsi.
«Nur! - tossì ridendo – Sei sempre la solita!»
«Che ho detto? Allora ce l'ha grosso?»
«NUR!»
«Ah! Brutta finta santa che non sei altro! Allora ci date dentro come due ricci, eh?! Ce l'ha grosso o no? Con quella mani enormi che ha dubito sia poco dotato... - insinuò Nur ghignando – allora me lo dici com'è?»

«È... bravo.» - tagliò corto Lou.
«BRAVO?! Amica, sei diventata bordeaux... temo sia più che bravo! Allora, lo è?»
«È fantastico... - sorrise Lou ghignando a sua volta – Nur, per la prima volta in vita mia ho capito cosa sia la passione... quella vera.»
«Oh, cacchio... sono quasi invidiosa! Ma sono così contenta per te, tesoro...»
«Lo sono anche io Nur, lo sono così tanto che ho paura anche a parlarne per paura che possa svanire come un sogno...»

«Lou smettila di farti come sempre mille problemi inutili! Non sarà così! Lui non è Andrea e tu non sei la stessa di prima... e se ti fa del male posso sempre gonfiarlo di botte.»

Lou scoppiò a ridere immaginando la scena della sua statuaria amica che picchiava lo scheletrico Valo.

«Così lo ammazzi... è talmente magro...»
«Peggio per lui: finnico avvisato...»- le puntò la forchetta contro impugnandola come una spada.
Nur la guardava attentamente osservando il susseguirsi delle espressioni sul viso dell'amica.

«Sei davvero innamorata?»
«Credo di sì... oddio, non lo so, Nur... io sto bene con lui, mi sento amata, mi sento viva...»
«E questa è la cosa che importa: che tu stia bene e che sia felice... se tu lo sei, lo sono anche io.»
«Sei stata sincera dicendo che Ville non ti interessava? Devo saperlo sai...»
«Lou... anche se mi interessava e non sto dicendo questo, sarebbe stato del tutto inutile: lui era interessato a te ancora prima di incontrarti di persona. Eri il suo fantasma personale, ricordi? Sta' tranquilla... e smettila di farti venire ancora sensi di colpa.»
«Il suo fantasma personale...- ridacchiò Lou – Sai mi sembra così strano che lui possa interessarsi a me.»

«Ancora questa storia?! Quando ti metterai in quella testolina che tutto sei tranne che poco interessante? Lou, ascolta: te lo ripeto ancora una volta: sei una donna bellissima, sei dolce e sensuale nel tuo modo innocente di essere, sei generosa e schietta... hai talento e mille altri pregi.
È normale che un uomo si innamori di te e non solo del tuo adorabile visino e corpicino!
Non voglio più sentirti dire niente del genere! Giuro che ti prendo a sberle se lo dici ancora una volta!
»

«Ok, ok, ok! La smetto! Prometto che non dirò ancora la parola “e se?”... per tutto il tempo che rimarrai qui! - sorrise Lou – a proposito stavolta quanto ti fermi? Ti hanno poi accettato la richiesta che hai fatto tempo fa?»
«Bene, lo voglio sperare... bah, non saprei: ho rivisto il nostro capo settore e ho cercato di carpirgli notizie riguardo alla mia richiesta, ma non si è lasciato abbindolare dai miei occhioni... sai, inizio a temere di aver perso il mio fascino... oddio, sarebbe terribile! Dovrei fare il doppio della fatica per ottenere ciò che voglio: una noia mortaleeee!»- urlò Nur sgranando i suddetti occhioni color miele.

«Ma no che dici? Non hai perso un grammo del tuo fascino sexy, fidati... forse era gay.» - concluse ammiccando.
«Sicuramente.» - sibilò Nur stringendo gli occhi a fessura - In ogni caso riparto come sempre lunedì... È un problema per te? Voglio dire: tu e Valo lo fate su ogni superficie scopabile e io vi sono d'intralcio?» - chiese con espressione angelica.

«Nur!»
«Lo sapevo... lo avete fatto anche su questo tavolo?! - chiese fingendosi scandalizzata indicando il tavolo minuscolo che tiravano fuori quando pranzavano in cucina – Ti prego, dimmi che non sto mangiando su qualcosa dove si sono posate le terga finniche del Valo!»

«NUR! la smetti?! - scoppiò a ridere istericamente Lou – E comunque: no! Non l'abbiamo mai fatto su questo tavolo... non ancora per lo meno.»
«Dove hai nascosto la mia amica? Esci da quel corpo!»
«Bella domanda: penso che mi abbia fritto il cervello con quei suoi occhi e il sorriso sexy...» - disse Lou sognante.

«... e non dimenticare anche l'altro arnese...» - aggiunse Nur serafica, pulendo con un pezzo di pane il sugo rimasto nel piatto.
«E non dimentichiamolo...» - rise Lou complice.

Nur volle sapere ogni dettaglio possibile e immaginabile della sua storia con Valo; da come si erano incontrati a come era riuscito a “convincerla” alle gioie del sesso.

«Non che ci abbia messo a convincermi, eh... - ghignò Lou – anzi, ero così impaziente di sentirlo più vicino a me che l'ho baciato io per prima...»
«Ti stimo sorella – sussurrò Nur portandosi una mano al cuore – hai la mia stima eterna! E lui?»
«Lui non si è lamentato. Ma la gatta sì: voleva cavarmi gli occhi!» - rise guardando la micetta che faceva le pulizie personali al centro della cucina minuscola.

Sentendosi osservata Katty alzò il musetto osservando entrambe le umane con aria di sufficienza per poi tornare a farsi la toilette in tutta calma.

«È inquietante quanto somigli a lui. - disse Nur seria – Sei sicura che non sia una specie di demone sotto sembianze di gatto che il finnico ti ha messo in casa per sorvegliarti?»
«Con Valo tutto è possibile... - rise Lou – ma non penso abbia questi poteri satanici: in fondo è solo la prima persona che ha avuto contatto con lei, è normale che abbia un debole per lui.»

«Già... è davvero un modo romantico per incontrarsi... sotto la neve, salvando un gattino...»
«È vero...» - sussurrò Lou ripensando emozionata la loro primo incontro, alla loro “prima notte” insieme. Le raccontò l'aneddoto e Nur rischiò di soffocare quando sentì del primo approccio e il sogno con successivo “agguanto della chiappa”.

«E lo stregò agguantandogli una chiappa! Lou sei fantastica: lo credo bene che lui sia pazzo di te... sei uno spasso anche mentre dormi!»
«Beh, quando lui si ferma qui io non dormo quasi mai... sono in agitazione tutto il tempo o forse non voglio perdere tempo a dormire e preferisco guardarlo mentre riposa.»
«Oh, signore... adesso vomito! Vuoi dire che te ne stai a letto a guardarlo mentre lui ronfa?! Io non ci riuscirei mai... sarà che a me viene sonno anche mentre faccio sesso a volte!»
«Nur tu sei un caso disperato! Se non fossi sicura che sei donna, sentendoti parlare penserei che sei un uomo fatto e finito! Certe volte hai la sensibilità di un camionista... con tutto il rispetto per i camionisti!»

Nur fece una linguaccia all'indirizzo dell'amica.
«Non è mica colpa mia se la maggior parte dei miei amanti sono di una noia mortale!»
«Anche Julian?»
L'altra pensò un bel po' prima di rispondere.

«Beh, sai a dire la verità non ricordo molto di quella notte: eravamo entrambi su di giri e da quello che riesco a ripescare in uno dei pochissimi sprazzi di lucidità direi, o almeno credo di ricordare, che non se la cavi male...»

«Pensi che ci possa essere un seguito a quella notte e che tra voi possa nascere qualcosa?»
«Cielo, no! Hai già iniziato a fare sogni romantici su di noi? Scordatelo! Ho già troppi uomini nella mia vita che spesso confondo anche i loro nomi nei momenti meno opportuni! E poi non dimenticare che lui è cotto di te! Non voglio essere la ruota di scorta di nessuno!»- replicò indignata Nur.

«Uhm... scusa... pensavo che lui almeno un po' ti piacesse. È un bravo ragazzo: lui ti renderebbe felice, credo.» - sussurrò Lou.
«Beh, peccato che invece lui voglia rendere felice te!»
«Scusa...» - disse ancora Lou.

Nur rimase in silenzio fissandola irritata poi le sorrise improvvisamente.

«Ma che gli fai agli uomini tu? - le chiese dolcemente – Sono tutti pazzi di te.... sarà quella tua aria indifesa da principessa sul pisello.»
«Sai che questa frase può avere anche un doppio senso vero?»
«Assolutamente sì.»
«Umpfh.»




******



Dopo avere dato una pulita alla casa che dava segni di abbandono le due amiche si concessero un lungo bagno ristoratore, a turno.

Lou era immersa nella vasca con oli e sali profumati alla vaniglia e zenzero quando sentì il citofono ronzare: con un sussulto cercò di schizzare fuori dalla vasca, quando sentì la voce di Nur che urlava dalla sua camera da letto.
«Vado io, calmati!»
Si rituffò nell'acqua caldissima che le arrossava il viso e le arricciava ancora di più i capelli già selvaggiamente ribelli; aguzzando le orecchie sentì le voci provenienti dall'ingresso, cercando di capire chi fosse il nuovo arrivato e sperando, ovviamente che fosse il suo finnico del cuore.

«Chi è, Nur?» - urlò qualche minuto dopo di silenzio, impaziente e allarmata.
«Mi hai sfondato un timpano, 'Prinsessa'...» - sussurrò Ville appoggiato mollemente a braccia conserte sulla porta del bagno.

Lou si girò di scatto al suono della sua voce calda e arrochita.

Jeans scuri e una maglietta nera con la scritta “Black Sabbath” sotto una giacca classica che sembrava di seta, foulard grigio al collo e Converse nere ai piedi... solo lui poteva essere così splendido e perfetto con un'accozzaglia di stili addosso.

Lou se lo mangiò con gli occhi.
Come gli era venuto in mente di entrare in bagno!?

«Che... diavolo! - annaspò Lou coprendosi con la schiuma le parti del corpo scoperte – Ville, che cavolo ci fai qui?»
«Non c'è nulla che non abbia già visto, per cui non affannarti a coprirti...» - rise mordendosi un angolo delle labbra, avvicinandosi alla vasca e affondando gli occhi nell'acqua, facendola avvampare con una sola occhiata.

«Appari sempre quando meno ti aspetto, Valo...» - borbottò mentre lui continuava a osservare interessato sotto la schiuma che la copriva a stento, sedendosi sul bordo.
«Fa parte del mio fascino, 'Prinsessa'... se io ti dessi un orario staresti tutto il tempo in ansia, così non troverei altro che un fascio di nervi ad attendermi invece che la mia 'Prinsessa' acida e bisbetica...»

«Io non sono acida! - sbottò lei stringendo gli occhi a fessura – e smettila di fissarmi le tette!v
Ville alzò gli occhi ad incrociare quelli di Lou, ghignando.
«Sì che lo sei... - disse ridendo anche con gli occhi – Ed io ti adoro anche per questo, cara la mia bisbetica,  acida e dolcissima 'Prinsessa'...»

«Umpfh...»

«E poi come faccio a smettere di fissarti, scusa? Sei troppo invitante e io non resisto a non guardare le cose belle...» - ribatté serafico lui, inclinando la testa da un lato sbirciando sotto l'acqua e la schiuma bianca e profumata.
«La mamma non ti ha insegnato a bussare prima di entrare in una stanza? - chiese Lou con le guance in fiamme – Sai che non è educato?»
Ville allargò il ghigno.
«Non ho mai detto di essere un ragazzo educato.»

Come al solito il finnico ribatteva ad ogni suo appunto. Lou lo adorava anche per questo: era così intelligente, così arguto.

Si alzò improvvisamente togliendosi la giacca rimanendo in maglietta a maniche corte.
Con movimenti lenti ed eleganti appoggiò la giacca sulla sedia accanto alla porta, tornando a sedersi sul bordo, languidamente.

Lou lo osservava affascinata: sembrava un attore sul palco.
Calamitava ogni sguardo con i suoi movimenti lenti e misurati.
Affondò una mano nell'acqua accarezzandole una gamba, risalendo fino al ginocchio.
Lou iniziò ad agitarsi.

Ville ghignò ancora di più stirando le labbra in un sorriso da Stregatto.

Maledetto... era perfettamente a suo agio e consapevole di farle quell'effetto ogni volta che la toccava.

«Che intenzioni hai, Valo?»

Tirò fuori la mano dall'acqua e prese una spugna sul bordo della vasca.

«Che fai?» - chiese Lou allarmata.
«Ti lavo... girati.- rispose serio guardandola – Avanti girati, 'Prinsessa', ti lavo la schiena.»
«No. Non sono mica un cane che devi lavarmi!» - sbottò imbarazzata.

In realtà la sua mente aveva elaborato altre immagini di lui, che non contemplavano il “lavaggio” e se ne vergognava.
Giusto un po'.

Ville sollevò un sopracciglio. Con uno lampo negli occhi verdi tornò ad alzarsi e iniziò a slacciarsi le scarpe.

«Valo! Che stai facendo?»
«Ho voglia di farmi un bagno.»

Lou sbatté le palpebre. Non faceva sul serio.
No, sicuramente stava prendendola in giro! Di là c'era Nur e lui non avrebbe avuto davvero la faccia tosta di infilarsi nella vasca con lei!
Slacciò la sciarpa leggera e tolse la maglietta lanciandole sulla sedia.
Lou non sapeva se ridere o rimbrottarlo.

Il ghigno non lasciò un attimo il viso di Ville che la sfidava con gli occhi.
Si slacciò lentamente i jeans scuri dosando ogni movimento come un attore consumato, lasciandoli cadere lungo le gambe magre e scavalcandoli quando furono a terra.

«La biancheria intima ti fa proprio schifo, eh?» - ansimò Lou.

Ville scrollò le spalle con noncuranza.
«Mi dà fastidio.»
«Ti rendi conto che non siamo soli a casa, vero? - disse Lou dandosi un tono severo, lo sguardo fisso sul corpo magro e tatuato di lui – c'è Nur di là...»

Ville si avviò alla porta nudo, aprendo la porta quel tanto che bastava per infilarci il viso.
«Nur? Non ti spiace se ti rubo la coinquilina per qualche ora, vero?» - gridò rivolgendosi a Nur, svanita da qualche parte della casa.

Qualche istante di silenzio e poi la voce soffocata di Nur, che, ne era certa, tratteneva le risate.
«Ehm... no, certo che no... basta che non fate casino o sarò costretta a mettermi le cuffiette!»

«Cercherò di fare meno rumore possibile!» - rispose serio Ville, chiudendo la porta a chiave e girandosi a guardarla.
«Grazieeeeee!»- ribatté urlando Nur ridendo.

Lou aveva una faccia sconvolta: possibile che non avesse una sola persona con il senso della decenza attorno?!
Ville tornò verso di lei svettando in tutta la sua lunghezza, guardandola dall'alto le mani sui fianchi, trattenendo a stento le risa alla vista dell'espressione di Lou.

«Sei facile da scandalizzare, 'Prinsessa'...»- mormorò entrando nella vasca posizionandosi di fronte a lei, adattando le lunghe gambe ai lati del corpo di Lou.
«Mmmmh... sì, mi ci voleva proprio un bel bagno caldo rilassante...»- continuò chiudendo gli occhi e reclinando la testa all'indietro.

Lou ripresasi dallo smarrimento lo guardò attentamente: aveva occhiaie ancora più marcate del solito, il viso pallido.
«Sei stanco, Ville?v - chiese posandogli le mani sulle ginocchia ossute.
«Sì, non ho chiuso occhio, ho scritto e suonato per gran parte del tempo... Sono stanco, ma avevo voglia di stare con te.» - disse a voce bassa tenendo sempre gli occhi chiusi.
«Sono contenta che tu sia qui, nonostante sia distrutto...» - gli disse facendo scivolare le gambe ai lati del corpo di lui, trovandosi in quel modo incastrati perfettamente, come una specie di Yin e Yang umano.

«Dove altro potrei essere, se non con te?»

Lou ingoiò il groppo in gola; ogni volta che lui le diceva qualcosa la colpiva e affondava con la dolcezza e la semplicità delle sue parole e nel modo in cui le pronunciava...
Lui aprì un occhio non sentendola parlare.
«Vieni qui... - disse Lou – appoggiati con la schiena a me.»
Ville si girò velocemente stendendosi supino su di lei che lo abbracciò avviluppandolo con le gambe e le braccia, posandogli il viso nell'incavo del collo, inspirando il suo odore.

«Mi sei mancato...»- gli disse scostandogli i capelli dalla nuca e dal viso, intrecciando le dita a quelle di lui posate sul petto.
Ville allungò il viso all'indietro, guardandole le labbra.

«Baciami, 'Prinsessa'...» - bisbigliò ad occhi socchiusi.

Un rotolare di cuore, battiti furiosi nel petto... viscere che si contraggono dal piacere...

Lievi baci gli coprirono il volto, dalla fronte, sul naso... passando per le guance scavate, fino a posarsi sulle labbra morbide e dischiuse.
Il mondo esterno svanì improvvisamente chiudendoli all'interno nella loro bolla privata, cullandoli dolcemente come l'acqua calda in cui erano immersi.




******



Angolo di quella che pensa di essere autrice:

*si prostra ai piedi delle lettrici*
Chiedo venia mie adorate, ma sapete bene quanto mi sia contro la Musa Bastarda e di quanto mi faccia penare!
Metteteci il caldo e distrazioni varie, problemi personali e lavorativi e avrete un'idea del mio stato attuale... :(
Questo capitolo me lo tenevo in serbo come Jolly da sganciare in casi estremi e direi che dopo più di un mese d'attesa la situazione è estrema!!
Non volevo che dimenticaste i miei bimbi adorati e molte di voi mi hanno chiesto quando avrei aggiornato.. nn era il caso di prolungare l'attesa e quindi ho deciso di non lasciarvi a bocca asciutta prima dell'estate!
Come vedete finalmente Nur e Lou si sono chiarite... c'è anche l'ennesimo streap del Valo con ammollo e...
Capitolo di passaggio ma decisamente dolcioso....

Come sempre devo ringraziare tutte a partire dalle mie due Beta: Mia Mugliera Cicci-Vivi (Deilantha) e Sara Pulci; (devo assolutamente rendervi partecipi dei vari commenti che mi lasciano a fine capitolo:
Sara: "Santo cielo che splendore!!! Mi sono sciolta nell'acqua calda........... *______* Complimenti pulci!!!!!!!! stupendo!!! Villlllllllllllle TIIIIII AMOOOOOOOOOOOO"
Cicci: "aaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhh!!!! Sospirone a cuore grande quanto una casa <3" ;
arwen85, Echelena, DarkYuna (che mi ha suggerito il titolo per il capitolo: grazie <3) , Lady Angel 2002, Ila_76, apinacuriosaEchelon, Villina92, VioValo_Villina,poisongirl76, marfa, dile91, fnghera, angelica78vf, infinity86dark2, K Ciel e VioValo ,LonelyJuliet,BlackMidnights, Blackie_ !
Spero, come sempre, che prima o poi commentino anche le "fantasmine" che leggono e non lasciano nessun segno del loro passaggio... accontentate questa povera donna...
A presto,
*H_T*


Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo Dodici - "Around you..." ***




testo.

Image and video hosting by TinyPic

Capitolo dodici

"Around you..."



Image and video hosting by TinyPic

«Che ci fai qui?» - chiese Nur a bassa voce, intenta a guardare un film horror in televisione, vedendo Lou sedersi accanto a lei sul divano,
«È crollato... volevo farlo dormire un po' e con me vicino che mi agito sempre non avrebbe riposato per nulla.» - sorrise pensando a Ville che si era addormentato fra le sue braccia dentro la vasca; aveva cullato il finnico fino a quando l'acqua non aveva iniziato a raffreddarsi. Dopodiché aveva svegliato il bell' addormentato che aveva bofonchiato come un bambino capriccioso, facendolo uscire dalla vasca con gli occhi assonnati, asciugandolo per poi trascinarlo in camera da letto dove era crollato tirandosela dietro, posandole il mento sulla testa e stringendola con forza prima di darle un bacio sulle labbra e crollare di nuovo, borbottando frasi sconnesse.
Aveva lasciato lui e Katty accoccolata docilmente ai suoi piedi, rimanendo in silenzio a guardare entrambi per qualche minuto, con nel cuore una stretta piacevole,una sensazione di calore che partiva dal centro esatto del petto.

“Il mio piccolo mondo perfetto è tutto su questo letto...”

«Uhm... fai anche la babysitter ora?» - ridendo Nur le passò la ciotola ricolma di pop-corn.
«Non mi dispiace farlo con lui, per nulla proprio...» - ridacchiò Lou riempiendosi la bocca di chicchi scoppiati e croccanti deliziosamente insaporiti alla paprika.
«Pensavo che ti avrei sentita ululare e invece si è addormentato?» - la prese in giro Nur ghignando.
«Piantala.... - Lou le tirò dietro una manciata di pop corn - era veramente stanco: non era mai successo prima... di solito non mi fa arrivare al divano che già parte il “Walzer dell'Ormone”; ha delle occhiaie tremende e il visto tirato... temo che il suo lavoro non gli stia dando tregua e nelle ultime settimane non ha dormito affatto. Tra me e la musica, ho paura non si sia riposato per nulla.»
«Uhm...»
«La smetti di mugugnare? Sono così contenta che lui sia qui con me, anche se avrebbe potuto benissimo starsene a casa sua, viene qui, sempre e comunque... vuole stare con me! Mi sembra così strano che qualcuno cerchi la mia compagnia. Con Andrea ho sempre dovuto elemosinare per attirare la sua attenzione, un abbraccio o un bacio... era vicino a me solo quando “ne aveva voglia” e anche lì era frettoloso e prepotente. Ville è così diverso, così dolce e divertente...»

Nur la fissò masticando rumorosamente.

«Che c'è?! - chiese Lou sentendosi osservata – Perché quella faccia?»
«Mi stavo chiedendo come hai fatto a sopportare per così tanti anni quella specie di scimmia ottusa di Andrea... che ci trovavi in lui non l'ho mai capito... è così diverso da te, come il giorno dalla notte.»
Lou sospirò.
«Già, me lo chiedo anche io... ero piccola, inesperta e stupida e lui era il ragazzo più bello che avessi mai visto fino ad allora... o forse l'unico che mi aveva notato e fatta sentire carina.»
«Umpfh... l'ho sempre detestato. Pallone gonfiato.»
«Sì, lo so, me ne hai già reso partecipe... - sussurrò Lou – Che ne pensi di Ville? Sul serio.»

«Ancora?! Lo sai che mi piace per te... siete compatibili e in qualche modo penso vi completiate; non lo conosco abbastanza da poter dare un giudizio preciso... ma da quel poco che vedo, è a posto. E ti rende felice e serena, per quanto serena tu possa mai essere, il che non può che fargli ottenere dei punti a suo favore.»
Lou ebbe improvvisamente voglia di tornare in camera per stargli vicino, ma decise di aspettare ancora prima di disturbarlo con la sua irrequietezza.
«Rilassati, Lou...» - le disse Nur tornando a guardare la tv.


Lei sorrise.
«È quello che mi dice sempre anche lui...»
«Lo vedi? Lo dicevo io che è un tipo intelligente...»

Lou lanciò un'altra manciata di mais scoppiato in direzione della sua amica, ridacchiando.






******






La scena clou del film prevedeva la tanto attesa apparizione del fantasma che aveva ossessionato la protagonista per quasi l'intera pellicola: Lou e Nur erano concentratissime, ad occhi sgranati al buio, fissavano lo schermo rannicchiate sul divano, trattenendo il fiato in attesa del finale.
«Buh...» - una voce cavernosa alle loro spalle, sussurrata e profonda le fece saltare su urlando.

«VILLE!» - urlarono all'unisono le due ragazze, che erano impallidite al suono della voce.
Ville se la rideva appoggiato tranquillo allo schienale del divano dietro di loro.
Nur aprì la bocca per rimbrottarlo con qualche sua battuta sferzante ma le parole le rimasero in gola e la sua amica temette che le sarebbe caduta la mascella: Ville era a petto nudo, i capelli scarmigliati e selvaggi.

I boccoli castani danzavano attorno al viso affilato, le labbra erano gonfie e morbide come sempre appena ci si sveglia, gli occhi languidi di chi è appena riemerso dal mondo sei sogni.
«Chiudi la bocca, Nur... - le sussurrò sghignazzando Lou – Valo, sei sempre il solito...»
Ora la sua simpatica coinquilina vedeva con i suoi occhi quello che vedeva lei ogni volta che Valo passava la notte da lei.
Ville le guardò entrambe ridacchiando.

«Vi ho rovinato il finale...» - disse con la sua voce roca e sexy.


"Se apparirai sempre così, potrai rovinarmi qualsiasi cosa ogni volta che vuoi..."


«Valo, se fossimo state al cinema ti avrei chiesto un rimborso!» - disse Nur appena si fu ripresa dalla visione del Valo mezzo nudo nella loro cucina.
«Scusate ancora... - ghignò lui – Sei andata via...» - disse guardando Lou e aggrottando le sopracciglia, causando uno sfarfallio nella pancia di lei.
«Ehm... volevo che dormissi e io mi agito, lo sai... ti avrei tenuto sveglio.» - rispose Lou cercando di tenere un tono neutro, tentando invano di concentrarsi su qualcosa che non gli facesse venire l'impulso di trascinarlo a letto in quello stesso istante.

«Uhm-uh...»- mormorò lui fissandole le labbra con un sorrisino furbo.
Nur guardò prima l'uno poi l'altra e si alzò dal divano ridendo.

«Ooooook ho capito, va... meglio chiudermi in camera con le cuffie, perché Valo ha una faccia che non promette affatto bene per te mia cara... - disse rivolgendosi a Lou che era arrossita fino alle orecchie – Vi auguro una buona notte... o meglio: una buona continuazione.»
«Sogni d'oro Nur...» - disse Valo con un sorriso che aumentava di minuto in minuto.
«Vedi di sfottere poco, Valo... a domani.» - ridacchiò lei, sparendo in camera da letto, chiudendola piano dietro di sé.

Ville tornò a guardarla con la testa piegata di lato e gli occhi verdi ridenti.

«Dicevamo?» - sussurrò posando il viso su una mano, sempre rimanendo nascosto dietro il divano.
«Me la pagherai per avermi rovinato il finale del film.» Lou strinse gli occhi in una stretta fessura.
«Davvero? In che modo?»
«Lo vedrai.» - disse alzandosi per girare intorno al divano, avvicinandosi fino a sentire il calore del corpo di lui; infilò un dito nella cintura dei jeans tirandolo verso di sé.
«Che paura...» - bisbigliò, accarezzando con un dito in lenti cerchi, la mano che lo teneva legato alla cintura.

Lou sollevò il viso, alzandosi in punta di piedi per baciargli il mento.
Subito le braccia magre la catturarono stringendola a sé, sfregando le labbra sulla guancia.
Il contatto con la sua pelle calda, liscia e l'odore che emanava ebbero l'effetto devastante che avevano di solito sui suoi sensi: il dito si spostò lungo il bordo dei jeans, raggiungendo il retro e lasciò il posto alla mano che come aveva già fatto in occasione del loro primo “incontro”, si insinuò all' interno per afferrare con decisione un gluteo tondo.

«Zarda, stai scherzando col fuoco.» – le disse Ville, abbassando ulteriormente il tono di voce fino ad un basso mormorio, profondo come un tuono, mordicchiandole le labbra ad occhi socchiusi.
«Uhm... Valo... - sussurrò passando piano la punta della lingua sulle labbra – ti devo pur punire in qualche modo...”.
«Se proprio devi punirmi, - soffiò sulle labbra in un sussurro bollente, prendendole la mano libera e la fece scivolare lentamente dal petto fino al davanti dei jeans, fissandola negli occhi e sulle labbra un ghigno sexy che la fece rabbrividire dalla testa ai piedi – fallo bene...»





******





«Uhm... - Lou non voleva svegliarsi: stava facendo un sogno dove lei era cullata dal movimento dell'acqua e stava bene, si sentiva rilassata e in pace... qualcosa le stava solleticando la punta del naso dolcemente ma con insistenza. - Katty, smettila...» - mormorò infastidita rifiutandosi di aprire gli occhi.

Sentì sulle labbra la punta umida di una lingua calda e subito dopo un mento ispido maschile.
Sollevò una palpebra trovandosi a fissare un paio di occhi verde giada, felini e caldi.
«'Prinsessa' devo svegliarti come la bella addormentata a furia di baci?» - ridacchiò a bassa voce Ville sfiorandole la fronte con le labbra piene e morbide.
Lou si lamentò eccessivamente avvicinandosi e nascondendogli il viso nel collo e intrecciando le gambe a quelle di Ville, scese con una mano sul sedere a reclamarlo come sua proprietà.

«Devo dedurre che la notte scorsa la lezione non ti sia servita...»
La mano calda, enorme e affusolata di Ville si spostò lentamente dalla nuca, lungo tutta la linea della sua schiena fino a fermarsi appena sopra i glutei, sfiorando le fossette.
«Sono stanca...» - mormorò Lou contro la pelle sottile e liscia del suo collo, sorridendo sotto i baffi sentendogli trattenere il fiato.

«Ogni volta che fai così ripenso alla notte in cui ci siamo conosciuti...» - bisbigliò Ville premendole la mano sulla schiena, avvicinandola a sé proprio come aveva fatto la prima volta.
Lou sollevò il viso a sbirciarlo da sotto le ciglia trattenendo il fiato sotto il suo sguardo intenso.
Si guardarono in silenzio per lunghissimi instanti, entrambi trattenendo il respiro per paura di spezzare quel momento.

«Sei così bella, 'Prinsessa'... e non voglio perderti.»
«Perché dovresti, Ville? Io non voglio lasciarti.»
«Quando sono così felice e sereno ho sempre paura che prima o poi accada qualcosa che possa ribaltare in un istante la situazione, che possa finire...»
«Sei felice davvero?»

Lou lo chiese a bassa voce, con timore, quasi avendo paura di sentire la risposta o temendo di essersi sbagliata, di aver sentito male.
«Certo che lo sono, Lou... sono felice e sono sereno, perché sono innamorato di te.»

La sua risposta. Semplice e sincera.

Gli occhi limpidi e avvolgenti, come le braccia che la stringevano; occhi che le sondavano l'anima e il cuore come nessuno prima.
Aveva immaginato tante volte il momento in cui lui le diceva cosa provasse per lei, lo aveva sognato e niente... niente era paragonabile a quello che stava provando lei in quel momento, niente paragonabile alla realtà.
Stretta tra le sue braccia, il corpo intrecciato al suo, gli odori di entrambi che si mischiavano, la luce rosa che filtrava dalla finestra socchiusa, il cantare lontano di uccellini, in ronfare lento e regolare di Katty ai piedi del letto.

Un groppo in gola non le permetteva di spiccicare parola, continuava a sbattere gli occhi temendo di iniziare a piangere inondandogli la spalla ossuta; voleva dirgli quello che sentiva, che lo amava e che non poteva più immaginare la sua vita senza di lui, ormai...
Voleva dirgli quanto stava bene con lui, quanto si sentisse amata e desiderata, quanto la sua presenza fosse fondamentale, di come i suoi occhi e il sorriso fossero in grado di riempirle la giornata, di come amasse sentire le sue labbra sfiorarle i capelli, del fatto che avrebbe potuto riconoscere il suo odore in una stanza affollata, di come la sua voce la toccasse nel profondo, dell'effetto che le faceva sentirlo cantare, di quanto fosse speciale Ville Valo il cantante degli HIM che era capace di scrivere testi romantici e strazianti, di quanto invece fosse unico Ville... Ville e basta.

Ville che aveva raccolto un gatto mezzo morto in una notte nevosa, Ville che mangiava con i suoi amici nel salottino scialbo di casa sua, che faceva colazione a letto con una gatta rompipalle in grembo, Ville che le sussurrava all'orecchio frasi da poesie in finlandese di cui lei capiva meno della metà, mentre faceva l'amore con lei.

Incapace di staccare gli occhi dai suoi continuava a guardarlo, vagando sul viso imprimendone ogni particolare nella sua memoria, deglutendo ad intervalli regolari.
Le sorrise comprensivo quasi capisse perfettamente cosa stesse succedendo dentro di lei.

Sì, era certa che poteva sentire distintamente il battere furioso del suo cuore impazzito, che era consapevole della stretta compulsiva delle mani sul suo corpo magro.
Lou prese respiro ma divenne una specie di singhiozzo mal trattenuto.

«Ville...»
«Lo so.»





******






Quando fu certa che lui fosse già fuori casa, in strada e persino negli studi ormai aveva aperto gli occhi e subito dopo aveva starnutito.

«Eh, brava stattene nuda con le tette al vento per ore, solo perché lui ti ha detto di farlo...» - borbottò tra sé acida, ma con dentro lo stomaco un rimescolamento impetuoso che faceva fatica ad assimilare e arginare.
Si alzò inquieta per buttarsi sotto una doccia bollente anche se l'ultima cosa che avrebbe voluto era togliersi l'odore di Ville di dosso.

Nur era in camera sua intenta a smaltarsi le unghie di rosso fuoco quando lei entrò silenziosa.
«Ehi , buongiorno... - le disse sorridendole furba – dormito bene?!»
«Umpfh... non ho chiuso occhio.»
«Oh, che peccato... quando mi dispiaceeee... e infatti sentivo che ti lamentavi anche tu stanotte. Due volte, per essere precise. Ti lamentavi così tanto che mi sono dovuta mettere le cuffie per prendere sonno...»
«Piantala... - ridacchiò Lou – non mi lamento, io.»
«Ma non era stanco? Santo cielo dove le prende le energie quel rachitico? - borbottò Nur soffiando piano sulle unghie – Che poi tu miagolavi e lui quasi non si sente, tranne quando... beh, quella specie di ringhio roco che emette quando... hai capito no?»
«Sì, ho capito... c'ero anche io.»- rispose ridendo Lou sedendosi sul letto.

«Va bene, nel frattempo che facciamo? Io ho fame... facciamo colazione? O stiamo qui a parlare delle tue acrobazie notturne, mentre vaghi per casa come Penelope o usciamo e dedichi un po' di tempo alla tua coinquilina che non vedi da tanto?»
«Ci sarebbe la spesa da fare...» - iniziò Lou pragmatica ma venne interrotta subito da Nur.
«Ah no! Non cominciare con le tue fisse da casalinga disperata! Io voglio uscire e divertirmi, non fare la colf!»
«Nur, vuoi gli spaghetti al ritorno dal tuo “divertimento”?»
«Beh sì... ma...»
«Allora niente ma: taci e si va a fare la spesa e dopo forse, dico forse, facciamo altro...»
«SEI UNA PALLA, LUCIA ZARDA!» - Nur esasperata batté i piedi a vuoto sul letto, incrociando le braccia sul petto.
«Sì, lo so... – rispose Lou ghignando - E comunque non miagolo.»






******




«Non andare via...»
«Torno presto, 'Prinsessa'... te lo prometto. La notte appena trascorsa merita di essere messa nero su bianco.»  - le aveva detto baciandole le labbra ripetutamente.
«Vuoi scrivere di... noi?» - gli aveva chiesto lei curiosa e vagamente lusingata.
«Di te... di quello che provo per te... di come mi fai sentire, di come mi sento quando sono qui con te, tra le mie braccia...»

“Diglielo! Diglielo ora!Digli che lo ami, maledetta fifona!” .

Si era urlata nella testa dandosi schiaffi mentalmente.

Ma ancora una volta era rimasta senza parole al sentire quelle di lui, incapace di dire qualcosa di sensato e di dannatamente romantico come faceva lui, in maniera così naturale.
Così si era rivestito, tornando di tanto in tanto a baciarla, a sfiorarla mentre gli passava accanto nuda, per mettersi anche lei qualcosa addosso.

«Non vestirti, ti prego... rimani nuda fino a che non vado via... - le aveva sorriso languido - il pensiero di te nuda in questa stanza voglio che mi tenga compagnia tutto il giorno, fino a che non torno qui per spogliarti di nuovo...»

Si era fermata davanti a lui con le braccia lungo il corpo, lasciando che gli occhi di Ville la percorressero in lungo e in largo, come unico movimento a tradire il suo imbarazzo il piede che si contraeva nervoso sul pavimento.

«Stenditi sul letto...» - le aveva bisbigliato con la voce roca, dopo aver soffocato un sorrisino tenero vedendola ancora agitata quando gli era nuda davanti.

Gli aveva obbedito, continuando a guardarlo negli occhi.
Aveva aperto le mani sulle lenzuola e voltato il viso, inspirando ad occhi chiusi l'odore di Ville impresso nelle trame del cotone.
Lo aveva sentito muoversi piano, un fruscio di vestiti e poi il letto sotto di lei sprofondare ai lati del suo viso.
Un bacio lieve come la carezza del vento.
Le sfiorò appena le palpebre con le labbra, posandole subito dopo la fronte sulla sua.


«Tu mi ridai l'azzurro dei grandi firmamenti...»


E subito dopo era uscito silenziosamente dalla sua stanza.
Lasciandola a trattenere il fiato per lunghi istanti, tanto che aveva temuto di andare in apnea.





******






«Fermi tutti: cosa ti ha detto di preciso?»- Nur alzò le mani chiudendo gli occhi in attesa.
«Ehm... ha detto che è felice e sereno perché è innamorato di me.»
«Ok. Bene. E tu che gli hai risposto?»
«Ehm... niente... stavo per morire in realtà, non sapevo se sarei riuscita a fare il respiro successivo, con lui che mi guardava in quel modo e mi teneva stretta e... ok, picchiami.»

Lou stese le braccia poggiando la fronte sulla superficie del tavolo dove stavano facendo colazione.

«Ma sei stordita o cosa?! Ma santo cielo, tu muori per lui e quando FINALMENTE ti dice che ti ama tu non rispondi urlando che anche per te è così?!»
Nur la strattonò per i capelli su e giù, sbattendole piano la testa sul tavolo.
«Ahia! - si lamentò debolmente Lou - Uffa...»
«E lui, poverino che ha detto? Come ha reagito alla tua scena muta?»
«Ora sei la sua migliore amica? - chiese acida Lou, alzando la testa – Niente... mi ha sorriso e ha detto solamente 'Lo so...'.»
«Lo sa?! Sì, sa sicuramente che sei stordita e imbecille! Ma, dico io: non aspettavi altro e al momento opportuno sei stata zitta?»

«Uffa...» - ripeté Lou, tornando con la fronte sul tavolo.
«Senti, deve essere davvero cotto per non aver battuto ciglio davanti al tuo silenzio...»

«Ma non c'era bisogno di parole, lui lo ha capito... io stavo per crollare e iniziare a piangere dall'emozione... lui ha sentito quello che provavo perché mi ha stretto ancora più forte e mi ha baciata...»
«Ti odio.»
«Perché?»- Lou sollevò di nuovo il viso, fissando ad occhi sgranati la sua coinquilina.
«Ti rendi conto di quanto sia cotto? Di quanto ti veneri? Ti invidio molto. Mi hanno amata molti uomini, ma nessuno in questo modo...»
«Io non sono mai stata amata... Ville è l'unico che mi faccia sentire completa e “giusta”...»
«Ok, e quando è andato via come ti è parso?»
Lou alzò le spalle.
«Normale... come sempre… felice... a posto...»
«Uhm...»
Mormorò Nur, stringendo gli occhi e posando il mento sulla mano.
«Che c'è?! Stava bene, non era arrabbiato o deluso: me se sarei accorta!»

Effettivamente Ville quando era tornato a casa sua per riprendere il lavoro interrotto la sera precedente, le era sembrato sereno e tranquillo... l'aveva tenuta stretta ancora per molto tempo, sussurrandole parole rassicuranti mentre lei si calmava lentamente, stringendolo con forza a sé, temendo quasi che gli svanisse tra le braccia... e poi le aveva sussurrato quelle parole dolcissime, mentre lei se ne stava nuda, stesa sul letto con lui che la guardava....
Nur restò in silenzio guardandola con la coda dell'occhio.

«Glielo dirò quando torna. Promesso. Non ce la faccio più neanche io a trattenermi e scoppierò sicuramente a piangere; mi fa questo effetto lui... non riesco mai a dirgli cosa sento perché lui mi precede sempre e riesce a spiegarlo così bene, così facilmente... che io...»
«Sorella, è il suo lavoro esprimere sentimenti con le parole giuste, non dimenticarlo.»
«Lo so...»





******





«Sbrigati Lou! Ma tu non eri quella che usciva sempre acqua e sapone?» - Nur già sull'uscio vestita, truccata e stranamente pronta per uscire molto prima di lei e la aspettava impaziente vociando senza tregua, mettendole fretta.
Lou si guardò impotente allo specchio del bagno: c'era poco da fare per le occhiaie e il correttore non le aveva minimizzate che impercettibilmente, i capelli ricci erano un groviglio indomabile e arruffato... in compenso aveva gli occhi luminosi, così come la pelle chiara risplendeva.
Per non parlare della bocca piccola che era più carnosa e gonfia del solito.
Valo era un ottimo “rimpolpante”: gliele mordeva continuamente...
Titubanza di esprimere i suoi sentimenti a parte, era più felice che mai: aveva sempre timore che lui fosse solo un sogno e che prima o poi sarebbe svanito al risveglio... ma nel frattempo, si godeva con tutta se stessa ogni attimo che Ville passava con lei.

«Arrivo, non urlare: ti sentiranno anche a Turku...»
Si legò i capelli in una coda disordinata e aggiunse un velo di gloss color carne e uscì di volata fiondandosi verso la porta, afferrando al volo il cellulare dimenticato da giorni sul ripiano dell'ingresso.

Nur la guardò sollevando un sopracciglio.
«Tutto qui? Ci hai messo un'eternità! E sei uguale a prima...»
«Oh, piantala che palle!! Reggimi la borsa piuttosto! - sbraitò scherzosa Lou infilandosi la giacca di pelle nera – Sei diventata pesante, lo sai?»
«Uff: non ne posso più di stare chiusa qui dentro! Voglio uscire, muoviti!»

Lou ridacchiò chiudendosi la porta alle spalle, buttando un occhiata distratta al display del suo telefonino.
5 chiamate perse. E due messaggi.
Subito il suo pensiero andò ai suoi in Italia, poi pensò che l'avrebbero chiamata sicuramente sul telefono di casa nell'ipotesi che fosse successo qualcosa.
Le venne in mente che poteva essere la sua draghessa, come sempre.
Scorse le chiamate perse e si bloccò improvvisamente nel leggere il nome e il relativo numero che ora campeggiavano sul display.

Allora?! Ma insomma... - Nur si girò non vedendola dietro di lei, ma ancora ferma sul prima gradino che fissava bianca in volto, il suo decrepito telefonino. - Che c'è?»

“Devo parlarti. Ho bisogno di vederti, Lu. Mi manchi piccola. Passo più tardi.”.

E subito dopo un altro sms.
“Quei giuramenti, quei profumi, quei baci infiniti, rinasceranno... non rivestirti. V.”.

Ville... Ville.

«Lou! Che succede? Che cos'è quella faccia?»- chiese allarmata Nur tornandole vicino.

“Non ora. Perché ora? Perché? No.”

Lou sollevò gli occhi deglutendo a vuoto con un senso di nausea, non vedendola realmente.

«Andrea.»



******




Angolo dell'autrice:

"MIIIII come odio Andrea! Ancora deve fare la sua comparsa ufficiale, e già lo schifo col cuore! >:("

Salve gente! Bentrovati!
Dopo quasi 4 mesi rieccoci qui... il commento iniziale è della mia Beta Deilantha ... (correte a leggere le sue bellissime FF, mi raccomando!)
Per la serie non siamo per niente di parte xD!!!
Non ero sicura di pubblicare questo capitolo: mi sembra troppo vago e generico, non so... sarà l' apatia della Musa Errante ma non mi soddisfa!
Ho messo l'elemento di disturbo che farà l'apparizione nel prossimo capitolo, ovvero l'odiato ormai da tutte Andrea!
Ne vedrete delle belle: Valo ha iniziato già a soffiiare come un gatto gigante! xD
Ditemi cosa ne pensate anche voi! Sapete che tengo molto ai vostri commenti e considerazioni!
Bene... ringrazio tutti quelli che leggono e commentano così come quelli che non lo fanno: siete tantissimi e so che ci siete.. "IO VI VEDO..." >:)
Alla prossima, che spero sia moooooooooolto presto! Byeeeeee....
*H_T*

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo tredici “Green and gold” ***




testo.

Image and video hosting by TinyPic


Capitolo tredici
"Green and Gold"


«Possiamo prendere anche qualcosa di dolce? Ti prego, ti prego, ti preeeegoooo! A casa non abbiamo più schifezze da un po', non ti riconosco...»
La voce di Nur le arrivava come da un altro pianeta. La guardava con occhio distratto aggirarsi con passo sexy tra gli scaffali del loro supermercato di fiducia, mentre lei le teneva dietro con la testa che si arrovellava sull'sms inaspettato di Andrea.

Cosa voleva? Perché arrivava sempre nei momenti meno opportuni e tornava a scombussolare i suoi equilibri?

«Ti lamenti sempre che ti faccio sgarrare con il tuo regime dietetico.» - si lamentò debolmente Lou.
«Certo! Ma il fatto che non dovrei mangiarli non significa che non possa farmi tentare!» - ribatté Nur afferrando un enorme confezione di snack al cioccolato e buttandoli con soddisfazione nella cesta che aveva appesa al braccio.

A Lou sfuggiva il nesso e la logica del suo discorso ma era troppo distratta e nervosa per altro; mettersi a ribattere con la sua amica che l'aveva tranquillizzata immediatamente quando aveva letto il messaggio, era l'ultimo dei suoi desideri al momento.

«Stai tranquilla, lo gonfio io se si presenta di nuovo alla nostra porta! Se è sopravvissuto la volta precedente ora è un pallone gonfiato morto!» - le aveva assicurato battagliera Nur, pilotandola verso il supermercato con l'intento vano di distrarla.

Lou era combattuta: voleva rispondere al messaggio di Andrea per dissuaderlo a non andare.
E la sua era solo paura... ma contrariamente a quanto aveva immaginato, aveva solo paura che Ville lo trovasse in casa sua.
Conosceva bene Andrea e come si incaponiva su ciò che riteneva suo.
E secondo il suo modo di vedere, lei gli apparteneva.
Poco importava che l'avesse mollata per un'altra donna, che l'avesse tradita ripetutamente sotto ogni punto di vista; lei era sua, come gli aveva detto e ribadito molte volte, non dubitando per un istante che lei lo avrebbe amato per tutta la vita, struggendosi nel ricordo del loro amore.

A lei premeva solo che non la vedesse con Ville, che non scoprisse della loro storia, perché era certa che si sarebbe intromesso, come aveva fatto ogni volta che qualcosa o qualcuno aveva distolto da lui l'attenzione di Lou.
E l'ultima cosa che voleva era che Ville dubitasse di lei e del suo amore.
Nonostante non glielo avesse ancora confessato.
Una morsa allo stomaco la costrinse a fermarsi e aggrapparsi alla mensola dei biscotti, con un senso di nausea sempre maggiore; il solo pensiero di perdere Ville, di vederlo allontanarsi da lei, di lui che metteva distanza tra loro la faceva stare male fisicamente.

Non sarebbe potuta sopravvivere a quello.
No. Quello non poteva superarlo.
La presenza di Ville nella sua vita era diventata come l'aria nei polmoni, si sentiva persa senza: non poteva sperare di tornare a vivere una vita dove lui non fosse presente.

Lui, con il suo sorriso, quello che riservava solo a lei, con gli occhi di giada che si scurivano quando facevano l'amore; con il suo modo dolce e unico di parlarle, di toccarla come se fosse una cosa preziosa.
Le mani che stringevano il viso quando la baciava, il modo in cui giocherellava con i capelli quando la passione era placata, attorcigliando le dita intorno ai boccoli... dita lunghe ed eleganti che le sfioravano la schiena mentre canticchiava a bassa voce ad occhi chiusi, con lei che gli si accoccolava sulla spalla...

Il modo in cui la amava, dandole piacere come se potesse morire l'attimo seguente, come se fosse l'ultima volta, avvolgendola nella sua passione e trasportandola in alto, fino alle stelle, fino a farle fischiare le orecchie, fino a farle dimenticare anche il proprio nome.
Come si curvava dietro di lei prima di addormentarsi col mento sulla sua testa, gambe e braccia intrecciate, come temendo che lei potesse scappare.

Respirò piano, cercando di calmare il tremore alle gambe, inalando aria.
Doveva calmarsi o non sarebbe arrivata a fine giornata.
Andrea le aveva sempre reso la vita difficile ma questa volta non poteva permetterglielo; ciò che era in ballo, tutto quello che stringeva tra le braccia ogni notte, tutto ciò che ritrovava al suo risveglio aprendo gli occhi, immergendosi nel verde degli occhi di Ville, tutto quello che da sogno era diventato realtà non poteva perderlo.
Non voleva perderlo!




*******




«Lou per l'amor di Dio, calmati! Sei un fascio di nervi!» - disse esasperata Nur vedendola muoversi a scatti una volta tornate a casa, mentre riponeva la spesa con gesti bruschi.

Aveva ragione Nur ovviamente: non riusciva a rilassarsi.
Con tutta probabilità Andrea non sarebbe neanche andato da lei; gli piaceva da morire buttare l'amo e poi lasciare la preda a dimenarsi nel vano tentativo di liberarsi.
Lo faceva spesso il gioco di mandarle sms per vari giorni di seguito, tenendola sul filo e avvisare che sarebbe passato da lei, per poi non farsi vedere.

Gli piaceva il gioco di potere che esercitava sulla sua debolezza e lei sperava che quella fosse una di quelle volte.
Quello che lui non sapeva e non poteva neanche immaginarlo, era che per la prima volta se non si fosse fatto vedere, ne sarebbe stata più che felice!

«Che paura hai? Ci sono io qui con te!» - stava continuando Nur, aiutandola per una volta nel sistemare negli armadietti le loro provviste.
«Non voglio che sappia di Ville.» - mormorò a bassa voce.
«Perché mai?” - Nur si fermò con la confezione di latte a mezz'aria.
«Perché non voglio che rovini tutto.»
«E tu non permetterglielo! Mandalo a quel paese! Prendilo a calci nei denti non appena bussa a quella dannata porta! E se non lo farai tu, ci penserò io! Piantala di avere timore di quello stronzo!” sbottò, gettando nervosamente il latte nel frigo, chiudendo lo sportello con un calcio.
«Non spaccare tutto o rimarremo senza elettrodomestici... - tentò di scherzare fiaccamente, osservando la sua coinquilina diventare paonazza in viso – bene, ora sei tu ad essere nervosa...»

«Ascoltami bene! - la minacciò Nur agitando un dito sottile e ben curato sotto il naso di una Lou che cercava di reprimere la risata isterica che le saliva in gola - Non so tu, ma io intendo dar sfogo a tutta la mia rabbia una volta per tutte con quel cazzone avariato! E se tu non lo prenderai a calci stavolta io prenderò a calci te! Questa storia deve finire e di corsa!»

Ancora un volta aveva ragione: se fino a quel momento Andrea si era preso tutte quelle libertà era solo per colpa sua e del suo poco nerbo. Non amava gli scontri, non le piaceva vivere in un clima ostile e avere conti in sospeso... le mettevano ansia.
Cercava di avere con tutti un rapporto tranquillo, che le permettesse di sentirsi a suo agio. Non era questo il caso: doveva mettere Andrea al suo posto in un modo o nell'altro, o il suo rapporto con Ville ne avrebbe avuto conseguenze.
E col passare delle ore era sempre più consapevole che era Ville la cosa più importante per lei ora.
E la sua paura di perderlo cresceva.

«Sì, hai ragione: non voglio più che Andrea si senta padrone di poter fare o dire quello che gli pare; non sono più cosa sua. Ho smesso di esserlo nel momento in cui mi ha tradito, non sono più cosa sua da molto tempo...»

«Vedi Lou, nessuno è di qualcun altro! Ognuno di noi appartiene solo a se stesso! Siamo esseri umani, non oggetti! Gli oggetti si possiedono, gli oggetti si buttano e si sostituiscono quando non ci piacciono più, ce ne disfiamo senza pensarci più di tanto, non le persone!
Lui ti ha sempre considerato un soprammobile da muovere a suo piacimento! Non ti ha mai rispettata, non si è mai reso conto di chi sei veramente, di cosa potevi dargli e di cosa si è perso!

Ha sempre contato sul fatto che fossi tu a cercarlo, a tentare di mettere il vostro rapporto in sicurezza: TU lo hai seguito qui per un suo capriccio, TU pensavi a tutto quello che riguardava pagare bollette, fare la spesa e ogni altra cosa che riguardasse la gestione della casa e della vostra vita insieme; LUI il suo stipendio lo buttava via in abiti e scarpe, che comprava solo per se stesso!
Quante sono le volte che ti ha fatto un regalo? Quante volte si è presentato con una rosa per il tuo compleanno? Quando ha avuto un solo gesto carino e sincero per te?! MAI!

E io ho visto solo quello che ti ha combinato dopo che ti aveva lasciata: non oso immaginare come si sia comportato per gli otto anni precedenti... Tu meriti qualcuno che ti dia tenerezza, amore, passione e rispetto. Sei troppo per lui.
È un cazzone avariato, un imbecille che non merita niente e tu, perdinci dacci un taglio o ti strozzo!
» - sbottò senza fiato e incrociò le braccia al petto.

Lou, intenerita e anche divertita dalla reazione della sua amica la rassicurò abbracciandola di slancio, posandole la testa sulla spalla e accarezzandole la schiena per calmarla.
Ancora una volta ebbe conferma di quanto le volesse bene e tenesse al suo benessere.
Ancora una volta le parole secche e lapidarie di Nur le aprirono gli occhi sul rapporto sbilanciato che aveva avuto con Andrea... pensò a tutti gli anni persi a nutrire qualcosa in cui credeva soltanto lei.
Avrebbe potuto rimanere a casa sua, in Italia, con i suoi amici, con la sua famiglia.


Chissà come sarebbe stata la sua vita, se Andrea non ne avesse fatto parte e stravolto ogni progetto sognato in precedenza.
Sarebbe dovuta andare a vivere con Simone, trovare una casa in periferia e prendere un cane, come avevano deciso lei e il suo Will; Mara e Karl sarebbero andati a trovarli spesso con il gatto Natale; le loro carriere sarebbero decollate e l'uno avrebbe sostenuto l'altra, avrebbero fuso i loro talenti per creare qualcosa che fosse solo loro.

Per cosa aveva fatto sacrifici? Per cosa aveva rinunciato ai suoi sogni?
Solo per seguire quelli instabili di Andrea?

Andrea che non sapeva che un tempo c'era stata una piccola vita a pulsare dentro di lei.
Andrea che era certa se lo avesse saputo, l'avrebbe fatta sentire peggio di quanto non avesse mai fatto: inadeguata, una palla al piede che impediva a lui di spiccare il volo.
Andrea che non l'aveva mai vista per quella che era.
Andrea che non l'aveva mai trattata come una vera donna, negandole amore, sensualità e non aveva permesso alla vera Lou, la donna, di venire fuori.

Lui l'aveva sempre vista come la ragazzina diciottenne che aveva rimorchiato ad una festa.
Non ritenendola mai alla sua altezza, preferendole sempre un altro tipo di donna.
Era sempre troppo semplice, troppo sciatta, troppo bambina per lui.
Eppure ogni volta che tentava un cambiamento, pensando di renderlo fiero di lei lui la derideva.
Si era spesso chiesta se l'avesse mai amata o se lui si nutriva dell'amore che lei aveva per lui.
Di una cosa era però grata ad Andrea: senza di lui non sarebbe mai potuta essere lì dov'era ora, in quel preciso istante.

Senza di lui non avrebbe conosciuto Ville.

Forse era proprio quello il suo destino: soffrire e sopportare le angherie di Andrea per poter arrivare un giorno ad incontrare il suo personale angelo dagli occhi di giada...
«Sta' tranquilla Nur, lo butterò fuori a calci, te lo prometto... e se siamo fortunate, potrebbe non venire affatto.»
«Lo spero vivamente per lui!»

Katty fece la sua comparsa saltando agilmente sul ripiano della cucina, guardando fissa ad occhi socchiusi Nur: il loro rapporto era ancora conflittuale.
Ogni mattina Nur trovava qualcosa rovinato dal passaggio delle unghiette affilate della micia dispettosa: il suo target preferito erano le ciabatte fucsia a tacco alto, con il pon-pon di struzzo che svolazzava al vento. Katty impazziva ogni volta, appostandosi e lanciandosi all'agguato ogni volta che Nur abbassava la guardia o si ritrovava la gatta sui piedi mentre camminava per casa, rischiando di ammazzarsi.
Ogni volta si ripeteva la stessa storia: Nur che usciva urlando dalla sua stanza agitando l'oggetto malcapitato in una mano, minacciando Katty di tagliarle le unghie e la coda; la micia che schizzava via alla velocità della luce nascondendosi dietro le gambe di Lou o infilandosi sotto il divano.
Nur che si accucciava sbattendo il palmo della mano per terra, intimando alla gatta di uscire.
Katty che non si scomponeva e ritornava all'attacco subito dopo.
Erano uno spasso insieme!

«Un giorno di questi ti infilo in forno con le patate e poi vediamo!»
Nur ricambiò lo sguardo della gatta minacciandola con un sedano. Katty dal canto suo, fissò prima Lou, poi il gambo di sedano, infine sbadigliò non degnando minimamente Nur di attenzioni e poggiando il musetto sopra le zampine, chiuse gli occhi placidamente.


«Questa gatta è tutta il padrone! Ha la stessa faccia tosta di quel secco antipatico!» - esclamò esasperata Nur.
«La mia gatta è stupenda... e solo per il fatto che somiglia a lui, lo è ancora di più.» - disse Lou grattando le orecchie della micia che le leccò distrattamente la mano.
«Se, se... certo. Sono una gran bella coppia quei due: tutti e due pronti a saltarti addosso senza preavviso, con quegli occhi che ti sondano e ti mettono in soggezione, scrutandoti e soppesando! Sono uguali.»

Lou guardò l'amica da sopra la spalla ridacchiando.
«Pensavo fosse diventato il tuo migliore amico.»
«Tsk! Mai! Solo perché mi sta meno antipatico di prima non significa che ora è mio amico! Dovrà prima passare sul mio cadavere e se solo osa farti soffrire, gli stacco quel nasino perfetto che si ritrova con un morso!»

«Il nasino perfetto, eh? - scherzò Lou piantandole un gomito nel fianco – Ehi, stai parlando del nasino più bello della Finlandia... ed è solo a mia disposizione e me lo bacio io, ogni notte!» - continuò Lou, tronfia e con le gote rosse.

«Uhm, già... e immagino che oltre al nasino perfetto ha anche qualche altro “arnese” che trovi di tuo gusto baciare, giusto?»
«Nur! Come sei volgare...» - ridacchiò Lou.
«Se, certo... io! Ti ricordo che siete VOI che fate casino, rifilandomi la tigre ribelle – additò Katty – mentre IO cerco di dormire e voi vi rotolate allegramente tra le lenzuola e chissà dove altro! VERGOGNATI!»- gridò ridendo.

«No, che non mi vergogno... dovevo venire fino in Finlandia per scoprire che mi piace fare sesso e che sono passionale, pensa te... Con... - stava per dire il nome di Andrea, ma captò l'occhiataccia di Nur e sorvolò – insomma prima ero convinta di essere una di quelle donne insensibili e frigide.
Non pensavo potesse essere così... così totale, così intenso, così commovente... ogni volta che sto con lui mi sembra di essere sul punto di implodere su me stessa, che mi ritroverò cenere l'istante dopo... - sussurrò Lou, con la faccia sempre più rossa – e invece quando apro gli occhi e torno sulla terra, fra i comuni mortali, lui è lì e mi stringe a sé, mi parla sussurrando, guardandomi dritto negli occhi e dentro l'anima ed io mi sento... intera. Mi sento parte di qualcosa di unico, qualcosa di prezioso. Mi sento a casa.
»

«Wow... - sussurrò Nur sorridendole dolce – questo lo fa salire di tre gradini nella mia classifica di gradimento: l'espressione che hai quando parli di lui dice tutto... e sono così felice per te, davvero, piccola... te lo meriti.» - le prese le mani pallide e fredde stringendole fra le sue scure, calde e morbide.

Lou ricambiò il sorriso; per il momento Andrea e tutto quello che lui portava con sé era accantonato e oscurato dalla luce di Ville e dei sentimenti di Lou per lui.

«Ho una fame da lupi!» - proruppe allegra Nur spostando senza tanti complimenti Katty dal ripiano e posandola a terra. La micia le soffiò contro indignata e si allontanò con la coda alta a stendersi sul cuscino preferito, quello accanto al calorifero.
Ridendo e chiacchierando allegramente sulle grazie che Ville metteva con piacere nelle grinfie di Lou prepararono un pranzo leggero e colorato: insalata con ogni ben di Dio dentro, noci, pinoli, mandorle, carote, peperoni, mais... pensarono di aver esagerato nelle porzioni, come sempre, invece parlando senza sosta, diedero fondo all'intera scodella.

«Adesso esplodo!»
Nur si appoggiò pesantemente sul divano, tenendosi una mano sulla pancia si sbottonò i jeans attillati; Katty sollevò la testa, scostandosi per non farsi toccare.
«Antipatica!
» - le ringhiò contro Nur.

«Ma insomma, lasciala stare povera patata! E' normale che non ti sopporti: le stai sempre addosso! Quello è il suo posto!»
«Cosa?! Fino a prova contraria questa è ANCHE casa mia, e la “cosa pelosa e puzzolente” è solo un ospite, per altro neanche tanto gradita! Questo è sempre stato il MIO posto! Non lo lascio di certo a lei!»

Lou smise di lavare i piatti per guardare la sua amica, ridendo.
«Nur, tesoro... ti rendi conto che stai litigando per il posto sul divano... con un gatto!?»- chiese seria Lou.
«Umpfh... lei non mi sopporta! Trama contro di me! Guardala come mi fissa: chissà cosa starà escogitando!»- si lagnò guardando la micia, che la teneva d'occhio a sua volta con aria perplessa.

Lou scoppiò a ridere, guardando le due che sul divano, ai lati opposti si sfidavano a colpi di occhiatacce.

«Oh, mio dio... - rantolò Lou senza fiato – voi due siete comiche! - Katty la guardò dapprima speranzosa poi rassegnata, come chiedendole silenziosamente con lo sguardo il motivo per cui le era capitata una sciagura simile – Oddio, mi sento male, mi sta tornando tutto su!»

«Non sarai mica incinta tu? Non me ne stupirei affatto, visti gli straordinari che fai con il secco...» - disse distrattamente Nur, poi si alzò di scatto a sedere girandosi a guardarla contrita.
«Oddio scusami... – non volevo dirlo, mi è scappato... scusami Lou...
»


Alzandosi velocemente le si avvicinò.
Lou, con ancora un sorriso sulle labbra che si era appena incrinato, raggelandosi.
Sapeva che non era stata sua intenzione dirlo, eppure una fitta dolorosa e ancora sanguinante le pulsava dentro.
«Va tutto bene, Nur... sto bene, so che non volevi.” - la rassicurò sorridendole, cercando di trasmettere, che tutto andava veramente bene.


Lo squillo del cellulare di Lou spezzò quella tensione e i brutti ricordi si ritirarono nel buio, quando lesse il nome sul display.
Era Ville.
«Pronto? Sì, Ville...» - la voce le risuonò un pochino stridula. Sperò che lui non se ne accorgesse. Possibile che si emozionava ogni volta che lui le mandava un sms o la chiamava?


Non mi abituerò mai...”.
«'Prinsessa'... - sussurrò lui con voce sexy – Non volevo disturbarti, sei impegnata?»

E un calore le si diffuse in tutto il corpo, allungando dita in ogni angolo, stringendola in un abbraccio morbido e caldo come la sua voce.

Come se Ville Valo al telefono potesse disturbare! Sono certa che anche sul tavolo operatorio, una donna sarebbe più che felice di ricevere una tua telefonata!!”

«Ma no, tu non mi disturbi mai Ville, - oh, amava dire il suo nome! - non sono impegnata e anche se lo fossi lascerei tutto per parlare con te...» - rispose con l'affanno, allontanandosi da Nur che faceva finta di essere presa dal colore del suo smalto ma che in realtà non si perdeva una sillaba della telefonata.

Le fece un cenno chiudendosi in camera da letto.

Mi manchi...”.
Pensò ma non lo disse.

Ville se ne uscì con una risatina deliziata.
Fremette come sempre al suono della sua voce: chiuse gli occhi, desiderando averlo vicino in quell'istante.

«Stai bene, 'Prinsessa'? Sei troppo dolce... che fine ha fatto la mia bisbetica?» - la stava prendendo in giro dolcemente.
Le sembrava quasi di sentire le sue dita lunghe attorcigliarsi intorno ai suoi capelli, sfiorarle il collo...

«Ehi!... Io sono sempre dolce!» - finse di risentirsi, ridacchiando sotto i baffi.

«Oh sì, lo sei... molto dolce... - la voce gli si arrochì – Questa conversazione sta diventando velocemente una telefonata erotica, sai? Dimmi un po', 'Prinsessa'... ti sei per caso rivestita?»


Oh, cacchio! Anche a distanza mi fa contrarre lo stomaco e venire le ginocchia molli, come gelatina!”


«Ehm, sì... avevo freddo! Non pretenderai per caso che vada in giro nuda tutto il giorno?! E poi sono uscita con Nur per fare spesa...» - si distese a pancia in su sul letto, giocherellando con la coda di Katty che ovviamente l'aveva seguita trotterellando.

«Freddo? Italiana rammollita... ma se è quasi caldo! - ridacchiò lui dall'altra parte – Beh, potevi metterti un impermeabile sopra il tuo delizioso corpicino nudo e andare a fare la spesa... pensa se un'improvvisa folata di vento avesse sollevato tutto... e quanti avrebbero gradito. A pensarci bene no, hai fatto bene a rivestirti, voglio che le tue grazie siano solo per me.»

Caldo, eh? Lou lanciò un occhiata perplessa al cielo plumbeo che minacciava pioggia.
Un momento: per caso le stava facendo intendere che era geloso?
Wow.

«Certo, caldissimo... beh, che vuoi, Valo? Hai chiamato solo per prendermi in giro?»

«Ah-ha! Eccola la bisbetica che adoro! Sapevo che era lì da qualche parte mascherata dalla brava bimba che fingi di essere... - rise con la sua adorabile risata singhiozzante – no, in realtà ti stavo chiamando per dirti che questa sera farò molto tardi... e che nel frattempo potevi rivestirti: non vorrei che ti ammalassi.»
Stava continuando a prenderla in giro, anche annunciandole una tragedia come quella della possibilità che non lo vedesse?!

Era pazza di lui, sì.
Ma era geloso o no?

«Quindi non ci vedremo stasera?» - tentò invano di mascherare la delusione.

Altra risatina.
«Ti mancherò?»
Ville fece la voce esageratamente suadente e bassa, roca e sexy.



Maledetto diavolo tentatore! Lou, respira. Non fare pensieri sconci, non fare pensieri sconci...”


Ma associò instantaneamente quella voce ad altri momenti piccanti... lo voleva.
Ora. Immediatamente. Desiderò che si materializzasse su quel letto.

«No, mia 'Prinsessa', ho solo detto che farò molto tardi: c'è una stramaledetta intervista per un magazine e devo esserci... ti assicuro che per come stanno andando le cose, vorrei essere con te il prima possibile.» - aggiunse con voce improvvisamente stanca.

«Ci sono problemi?» - Lou lo chiese timidamente per non essere troppo invadente, chiedendosi se anche “Amy-la-Stangona-Mora” fosse presente.

E soprattutto ci sono donne?!”.

Si morse le labbra prima che la domanda sfuggisse via.

«Diciamo che le cose non stanno andando esattamente come vorrei. - tagliò corto lui chiudendo l' l'argomento – pensi che possa passare da te, anche se farò molto tardi? Probabilmente sarai già a letto e non voglio svegliarti... anzi sì, voglio svegliarti. - disse ridendo – scusa se ti sembro egoista ma non voglio starti lontano più del dovuto.»

Lo stomaco e il cuore e altri organi che non sapeva di avere, fecero un doppio salto mortale carpiato.

«Ti aspetto.» - soffiò lei cercando di essere sexy quanto lui.

Risatina dall'altra parte. Esperimento fallito.
Sbuffò silenziosamente, per evitare un'altra risatina.

«Forse, dopotutto, metterò l'impermeabile... e vado a farmi un giro, mentre ti aspetto. Così mi alleno.» - si sentiva terribilmente stupida a tentare certi giochini nello sforzo di fargli dire ancora di volerla tutta per sé.

Nessuno era mai stato geloso di lei prima d'ora, nessuno glielo aveva mai dimostrato: Andrea non lo era mai stato, anche se la considerava roba sua non era mai stato geloso di lei.
Era fin troppo sicuro di sé per immaginare che qualcuno potesse trovarla interessante o temere che lei potesse trovare qualcun altro interessante, che non fosse lui.

«Se vuoi che DOPO ti leghi a letto fai pure.» - rispose lui calmo.
L'ego di Lou alzò la cresta.

Ssiiiiiiiiiiiiii! Legami!”.

«Seguo solo i tuoi consigli...- disse Lou seria – anzi i tuoi ordini.»
«'Prinsessa', non osare.» - ridacchiò Ville.

È geloso!”.

«Uhm...non so... ci devo pensare.»
«Lou, stai giocando con il fuoco...» - la minacciò facendo la voce bassa e profonda da orco.

Stava flirtando spudoratamente con... il “suo ragazzo” al telefono... e la cosa le piaceva da morire, le dava dei brividi da adolescente.

«Non essere il solito prepotente...» - sospirò lei.
Si stava divertendo un mondo e da come ridacchiava lui, le sembrava che fosse lo stesso per lui.

«Tu non provocarmi.»
«Non sarai mica geloso, Valo?» - si ammirò per la finta indifferenza con cui gli fece la domanda che le premeva sulla punta della lingua.

Non rispose. Lou temette di essersi giocata tutto e le si gelarono le mani dall'ansia.

«Ora che mi ci fai pensare, credo proprio di sì.»
La voce era terribilmente seria.

Oh, oh...”.

Dall'altro capo del telefono, qualcuno che parlava a Ville e lui a bassa voce, che imprecava.
«'Prinsessa', devo andare... mi aspetti vero?»

Anche tutta la vita...”.

«Certo, con o senza impermeabile?»
La sua risata. Oh sì, lo amava.

«A spogliarti ci penso io. A dopo 'Prinsessa'...»
La sua voce era come una carezza.

«Ok, a dopo... Ville?»
«Uhm, sì? Dimmi. Lou...»


Amo il mio nome sulle sue labbra...”-


«Davvero sei geloso di me?»
Risatina.
«Te lo dico dopo...»

Click!
Ma che cavolo... e almeno rispondi, maleducato!”.


Guardò Katty, che la stava osservando curiosa, grattandole la testolina:
«Anche stanotte ci tocca aspettarlo, sorella... siamo delle eterne Penelope.»
Katty le rispose con un “maoaou” solidale.

Tornò in salotto dove Nur faceva finta di leggere una rivista: avrebbe scommesso che non si era persa una sola parola e avesse aguzzato le orecchie come un lemure.

«Tutto bene?» - chiese infatti con finto interesse, continuando a far finta di leggere.
«Uhm, sì...» - le rispose evasiva ghignando, certa che la curiosità di Nur non veniva arginata da niente e nessuno al mondo.

Contò mentalmente fino a 4 e poi Nur proruppe: “Oh, uffa allora? Che ti ha detto?! Ti ha detto ancora che ti ama e che appena torna ti ribalta come un calzino, così come ha fatto la notte precedente? Dai dai daiiiiii dimmelo!
»

«Ribalta? Lui non ribalta... - ridacchiò lei – lui “sommerge di passione”, semmai...»

«Senti “Sommerge-Di-Passione”, insomma?! Ma perché non mi racconti mai nulla di quello che fate?! Io voglio sapere tuttoooo... uffa...»

«Neanche morta. Quello che “facciamo” rimane solo tra me e lui, sono cose private... non mi va di dirlo; è come se svanisse tutta la magia se lo raccontassi a qualcuno!»

«Ma io sono la tua migliore amica! Non sono “qualcuno” e basta! Cattiva!»

«Dai su, non fare la bimba capricciosa...» - le grattò la testa come faceva con Katty che le osservava entrambe attentamente: sicuramente quello che pensava di loro non era un mistero!
«Uffa!- ripeté Nur incrociando le braccia al petto – almeno posso sapere se anche stanotte devo mettermi i tappi alle orecchie e portarmi “la belva” in camera?»

«Ha detto che farà molto tardi...- fissò Nur con la testa inclinata di lato – ti dà fastidio che siamo di là a... beh sì, insomma che stiamo da soli e si sente un po'?»
«Umpfh, no... è che sono un po' invidiosa! Insomma qui i ruoli si sono ribaltati: tu adesso hai un'intensa e soddisfacente vita sessuale e io non batto chiodo da settimane! Tutto ciò è ingiusto!»

Lou scoppiò a ridere.
«Potresti sempre chiamare Julian... mi pare che non sia stato così malaccio... o sì?»

Nur soppesò il suggerimento: 
«Ma sai che l'idea non è affatto male? Tutto questo amore fra te e il secco mi mette tristezza: mi ci vuole una dose di sano e carnale sesso! Lo chiamo!»

Lou sbatté gli occhi allibita.
«Stavo scherzando, Nur! Non... non lo chiamerai sul serio?!» - allarmata la osservò mentre afferrava il sul palmare e scorreva la rubrica con un dito laccato di rosso fuoco.
La sua amica sorrideva felina mentre partiva la chiamata.

«Non ci posso credere! Metti giù quel telefono! Smettila, Nur: sei senza pudore! Povero Julian!»
Lou tentava di prendere dalle mani il palmare e mettere fine a quell'ennesima follia dell'Hostess Ninfomane, sussurrando a voce strozzata.

«Sta' zitta, Suor Lucia... - Nur le fermava entrambe le mani con una sola, piantandole un piede nudo sulla pancia per tenerla lontana – Juuuuuuuuliaaan! - urlò affettata – Ciao caro, come stai? … - ...Come sarebbe a dire chi è che parla?!»

Offesa a morte Nur aggrottò le sopracciglia curate e perfette, facendo un gestaccio con il dito medio all'indirizzo del suo interlocutore dall'altra parte.
Lou si era rilassata e ridacchiava.
Julian era sempre uno spasso: era certa che stava giocando con la sua amica, che spesso e volentieri non coglieva l'evidente ironia in molte cose.

«Coooooooomunque... sono Nur. Sì, quella Nur. La coinquilina di suor... ehm, di Lou. - fece una linguaccia a Lou, schivando il cuscino che questa le aveva tirato. - Sai, mi chiedevo se una di queste sere ti va di vederci e andare a bere qualcosa insieme: è da tanto che non ci vediamo.» - buttò lì Nur.

Silenzio. Espressione allibita.

«Sì, è qui... sta bene. Sì.» - le lanciò un'occhiata assassina.
Nur le passò il palmare.
«Vuole salutarti.» - disse gelida.

Lou prese il cellulare con un sospiro cercando di non ridere: Julian la metteva sempre in situazioni imbarazzanti.

«Diabolik! Ciao... sto bene, grazie... - guardò Nur, che aveva incrociato le braccia al petto e la guardava storto. Le strizzò l'occhio, tentando di farla sorridere.- Anche tu “ci” manchi molto...»– disse calcando sul plurale.

Perchè Julian non la smetteva di fare la corte a donne già impegnate?

Oltretutto era stata Nur a chiamarlo e lui voleva parlare con lei... uomini! Mai che facessero la cosa giusta al momento giusto.... a parte Ville, ovviamente.
Lui faceva tutto nel modo giusto: era sempre in completa armonia con il momento.
Ma lui era unico.

Ecco: si era distratta mentre un fantastico uomo spagnolo le faceva la corte al cellulare della sua amica, che era stata snobbata senza tanti complimenti; questo era un chiaro segno di quanto fosse ormai persa per il suo finnico.

«Julian, è stata Nur a chiamarti... - gli ricordò con tono di rimprovero tagliando il fiume di chiacchiere dello spagnolo – ma certo, ci vediamo presto. Ti passo lei.»

Si scusò con un'alzata di spalle con la sua amica, passandole di nuovo il palmare con un sorriso.

«Sì. Eccomi. - la voce di Nur era più fredda di un iceberg: poteva far concorrenza al suo principe oscuro. Quasi. - Sì, ti avevo chiamato per invitarti, mi avrebbe fatto piacere rivederti ma ho la netta impressione che preferiresti inviti da “qualcun altro”

Oh, merda!”.

Nur continuava ad avere la faccia assassina.
«Ok, per me stasera va bene. Ma se hai di meglio da fare rimandiamo... NO! LOU è IMPEGNATA CON VILLE.» - le orecchie della sua amica divennero rosso fuoco dal nervosismo.

Julian ci è o ci fa?!”.

Tonto di uno spagnolo. Se continuava con quella storia, la sua amica lo avrebbe demolito.

«Perfetto... allora ti aspetto qui. – Nur ritrovò il suo charme a fatica – Ok, a dopo Julian.»

Guardò il palmare sbigottita.

«Questo è tutto scemo! Ma come osa?! Io lo invito fuori e lui chiede di te!»
L'indignazione era ai massimi livelli... e non le poteva dar torto.

Se Ville avesse chiesto di qualcun altro mentre parlava con lei, sarebbe andata subito su tutte le furie. E poi in paranoia.

«Dai, scherzava... - minimizzò Lou, tentando di riportare il buonumore sul viso della sua amica – non te la prendere: sappiamo che è un tontolone...»
«No, no è tutto scemo e ancora cotto di te! Ma stasera gliela faccio passare io la voglia di snobbarmi!» - si alzò dal divano dirigendosi a passo di marcia nella sua stanza.

Signor Ramos, sei nei guai...”.


******

Angolo Dell'Autrice (parolooone):

Alloraaaaaaa, salve a tutti! Chiedo venia per il ritardo con cui mi rifaccio viva, ma non me ne sono stata con le mani in mano eh!
Innanzitutto, voglio ringraziare tutte quelle anime che nonostante non abbia aggiornato più con regolarità, hanno continuato a leggere questa storia e mi hanno dimostrato affetto e stima.
Dopo mesi di stallo, in cui la Musa non solo mi ha snobbata ma mi ha anche sputato in faccia, finalmente ho rivisto la "Luce" (ogni riferimento a fatti e persone non è casuale: mi riferisco proprio a Lui!) ;
nell'ultimo periodo ho ritrovato la calma e la serenità che da tempo non avevo e questo mi ha ispirata e ha fatto sì che la Musa fosse perplessa e in un momento di distrazione, sua, l'ho riacciuffata...
(non fate caso ai miei deliri: ho dormito poco. Con la mia Beta
Deilantha abbiamo fatto le sei di mattina per discutere sugli accenti di "stà, perché e sì"... perché giustamente, io e lei le nostre migliori genialate, le si fa a quelll'ora...xD);
ho ricevuto tante recensioni nell'ultimo mese e questo, insieme al resto, mi ha dato la forza e lo stimolo necessari per riprendere in mano questa storia cui, non dubitatene, tengo tantissimo e voglio portar avanti, fino alla fine!
tengo a dire un grazie gigantesco a quelle splendide donnine che con la loro presenza costante, mi hanno sempre tenuto su il morale, costringendomi quasi a pubblicare e scrivere:
apinacuriosaEchelon, arwen85, Lady Angel2002, IlaOnMars6277(che nonostante non sia HIMmica ha avuto un attacco di Valite durante la lettura della storia xD),Ila_76, Echelena;
una menzione speciale va alla mia Crabs Valentina aka
_TheDarkLadyV_, la cui recensione mi ha scosso,emozionato e lusingato, facendomi uscire dal torpore letterario.
Inoltre ho scoperto una bravissima autrice in lei, delicata, profonda e mai scontata: andate a leggere le sue storie (Cicci_Crabs_Pr in azione) Grazie Gemellina mia! <3
Così come le mie due carissime Love: Soniettavioletstarlet, poisongirl76: la prima, pur se indietro nella storia, mi sostiene e mi riempie di complimenti e carinerie; la seconda... beh è la mia Love e come tale dice tutto...
un grazie anche a chi ha commentato assiduamente ogni capitolo, come kip_89 che ha letto tutto a tempo di record e lasciato sempre un suo parere: grazie ancora!
Baci e abbracci anche alla mia compianta Beta robpattzlovers, di cui ho perso le tracce ma leggenda metropolitana racconta che sia ancora viva e in salute... :P
Tornaaaa, sta' casa aspetta a te, Pulci!
Non voglio lasciare fuori nessuno, perdonatemi se mi sfugge, (l'età sapete...) quindi vado a ritroso nelle recensioni dell'ultimo capitolo pubblicato: katvil, Christine_L, mikygone, in venere veritas, infinity86dark2, Raphus Cucullatus, GiusyValo; grazie infinite anche voi!
Poi ringrazio quei discoli che non commentano ma mi chiedono su fb quando pubblico e mi riferisco a voi, sì sì voi: AngeloHimRusso (mahuahbchvgvavabc ihahsbf hree!! o abab?), e Valentina, che a breve pubblicherà anche lei una storia originale, della quale ho l'onore di leggere le anteprime! ;*

Come avete potuto notare, mi sono anche dilettata a dare ai miei bimbi i volti (li potete vedere cliccando qui: Characters.
Tiè: viva l'abbondanza!
Passiamo al capitolo: ho pensato di spezzarlo perchè era lunghissimo.
So che vi ho lasciato a metà ma quello che succede subito dopo non potevo combinarlo in maniera diversa e 30 pagine per un capitolo, sono tante! :D
In effetti, questo è un capitolo di transito vero e proprio: non succede nulla di che, tranne le perpetue pippe mentali di Lou e qualche aneddoto divertente sul rapporto Nur/Katty!
Quindi tutto sto papiro è per rassicurarvi che il 14 Cap. c'è già, perfino il titolo (roba che io decido prima di mandare invio in EPF, di solito) mi manca solo un piccolo particolare che amo chiamare "Lo smantellamento del Valo".
Arrivateci da soli!xD (Perchè, come dice la mia Beta, il Valo va smantellato di tanto in tanto e visto che la Lou è male intenzionata, lo attende una bella nottata... :P).

E mentre sto scrivendo questo testamento, ascolto "L' essenziale", una canzone che mi gira in testa da giorni (oltre a quelle HIMmiche che non mi lasciano mai, of course...): e sto pensando che si adatta benissimo al prossimo capitolo, ma anche a questo... Lou prende coscienza sempre più di quello che sente per Ville... beh basta, che se no vi racconto tutto il capitolo 14!! xD
Cià cià cià, vi voglio bene a tutti!
*Pollyanna mode-on*. Sci sono piena d'ammoooore. Me felice.
:) *H_T*


Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo quattordici: “I'm mine” ***




testo.

Image and video hosting by TinyPic



Capitolo quattordici

"I'm Mine"






Seguì lentamente l'hostess inferocita sedendosi sul bordo del letto mentre questa tirava fuori dall'armadio metà degli abiti, buttandoli furiosa accanto a Lou, sfiorandole la testa.

«Quindi stasera uscite? - chiese Lou schiarendosi prima la voce – E a che ora?»

«Passa a prendermi alle undici – ringhiò a denti stretti – e se solo osa guardare un'altra donna, non vedrà l'alba!»

Lou scoppiò a ridere per tornare subito seria quando Nur la incenerì con gli occhi, girandosi come un' arpia.

«Ehm... non pensi di esagerare? Sono sicura che stava scherzando, Nur.

Julian è una persona schietta e semplice, un burlone allegro: se avesse voluto offenderti non ti avrebbe invitato.»

«Veramente, sono stata IO ad invitare lui! - precisò lei alzando all'altezza degli occhi un microabito rosso di pizzo – Questo va bene.»


Lou osservò titubante la scelta ma preferì rimanere in silenzio onde evitare inutili spargimenti di sangue: scherzare in quel momento con Nur e il suo ego ferito non era per niente raccomandabile.

«Che ne pensi? - le agitò sotto il naso la pezza che lei chiamava abito – Può andare bene?»

Lou ponderò con calma le parole contando fino a dieci prima di risponderle con un tono di voce basso e dolce.

«Perché non metti quella maglia blu scuro e i jeans che hai comprato l'ultima volta? - provò sfoderando un sorriso a trentadue denti – mi piace come ti sta quel colore: il blu mette in risalto i tuoi colori e poi i jeans ti fanno un sedere da paura.»

«No. - fu la risposta secca – Mi ci vuole un abito sconvolgente, che metta tutta la mercanzia in mostra. Voglio che non appena mi vede gli rotoli fuori la lingua e la trascini per terra tutto il tempo.»

«Nur, non hai bisogno di scoprirti per sconvolgere un uomo.»

Come far capire alla sua amica che era bellissima anche con una semplice t-shirt?
Improvvisamente pensò che Nur fosse più insicura di se stessa di quanto volesse far intendere.

Perché aveva sempre timore di non mostrarsi se non era impeccabile e bellissima?

La sua sicurezza stava nel rendere insicuri gli uomini?
Apparendo super sexy forse voleva intimidirli e apparire inaccessibile.

«E invece sì. Loro non guardano quello che ho dentro, sta' sicura: a loro non interessa neanche che io parli, basta che sia perfetta e che possano mettermi in mostra, vantandosi con gli amici.» - disse con tono amaro, gettandole uno sguardo duro.

«Ma non è vero! Tu non sei una bambolina! Che ti prende? Che sono questi discorsi?»

Lou era allibita. Che storia era mai quella? Da dove usciva fuori che lei non era che una cosa da mettere in mostra? E i discorsi che le aveva fatto solo poche ore prima sul non essere l'oggetto di nessuno?
Valeva solo per gli altri?

«Nur, ma che diavolo dici?»

«Lascia stare... - la sua amica prese un secondo abito ma appariva meno combattiva ora, come svuotata – Non so cosa mettermi!»

«Ma se hai un'intera boutique: prova quella camicia di seta bianca trasparente. È sexy e casta allo stesso tempo, ci metti un bel reggiseno prezioso dei tuoi sotto e sarai perfetta!»

«Non mi convince... con cosa la abbino poi? - osservava sconfitta il suo enorme armadio che straripava di abiti di ogni tipo, colore e stile – Non sono come te che sto bene con la roba semplice e tutti si innamorano lo stesso...»

«...»

Questo era troppo! La Dea dell'Amore e del Sesso che aveva crisi di autostima non si era mai vista!
Si chiese cosa potesse aver scatenato l'insicurezza incrollabile e inossidabile di Nur.


«Nur, ascoltami... guardami. – la girò verso di sé, prendendola per le braccia sottili e scuotendola – Qualsiasi cosa tu metta, QUALSIASI, ti sta d'incanto! Ma smettila di combinarti come se dovessi partecipare sempre ad un Red Carpet! Non ti serve quella roba da pornodiva stasera! È una serata tra amici che vanno a bere qualcosa!

Vuoi stare comoda e divertirti vero? Allora quei jeans nuovi e la camicia bianca, con le tue scarpe preferite andranno più che bene... e se i tuoi propositi iniziali di questa serata andranno a buon fine, penso che qualsiasi cosa tu scelga te lo terrai addosso ben poco tempo!» - le strizzò l'occhio ridacchiando.

«Va bene... - rispose l'altra poco convinta – Non so neanche perché ti do retta.»

«Perché sono tua amica e sai che ho ragione! Avanti! - le diede una spinta verso il bagno – Ora fatti una bella doccia rinvigorente e poi pensiamo a tutto il resto, ok?»


Nur si diresse silenziosa in bagno, mentre Lou rimetteva in ordine tutti gli abiti che la sua irruenta coinquilina con crisi di autostima, aveva buttato alla rinfusa; lisciò le innumerevoli stoffe colorate e setose.

Nur aveva davvero un'infinità di abiti tutti colorati e vistosi e costosi, che le stavano sempre a pennello... tirò fuori un abito blu notte con il corpetto a cuore, senza maniche o bretelle.

Non lo aveva mai visto indosso alla sua amica: il bustino tempestato di minuscoli cristalli trasparenti e irregolari lo facevano somigliare ad un cielo stellato.

Stretto in vita, cadeva morbido e liscio fino a metà coscia: decisamente troppo corto per lei!

La stoffa era sottile e leggera, vaporosa.


«Che bello!»

Si chiese come sarebbe stata lei con un vestito del genere addosso e immaginò la faccia del suo finnico. 

«Che stupida! Non fa per me questa roba!» - si riscosse rimettendo a posto l'abito non prima di avergli dato un'altra occhiata.

«Mettilo. - Nur rientrò proprio mentre lei faceva gli occhi dolci al vestitino – provalo: vedi come ti sta: a me va corto, ma a te che sei più bassina di me potrebbe andare meglio.»

«Ma no, non è roba per me...» - tentò di dire Lou, prima che Nur le rimettesse l'abito tra le braccia, staccandolo dalla sua gruccia.

«Non iniziare: io l'ho messo solo una volta, non mi piace come mi sta. Avanti, provalo!» - le disse sorridendo.

«Ok... - Lou tolse velocemente la maglietta e i jeans neri, rimanendo con le Converse e i calzettini a strisce colorate e fece scivolare sul corpo l'abito – Aiutami a chiuderlo dietro.»

Nur le spostò la lunga chioma chiara buttandole i ricci su una spalla, tirando su la zip e girandola verso lo specchio che occupava tutta un'anta dell'armadio.


«Wow... come sei bella Lou! È perfetto per te!» - Nur la guardava estasiata.

Fissò la propria immagine riflessa e quello che vedeva le piacque e questo  la stupiva: ecco la prova di come un semplice abito potesse farti sembrare un'altra persona.

Il corpetto le si adattava perfettamente al busto sottile, spingendole all'insù il seno e facendolo sembrare più pieno di quanto fosse in realtà; la pelle chiaracosì come i capelli risaltavano contro il blu scuro, quasi nero, e i cristalli illuminavano il tutto, dandole un'aria da sogno... le scivolava leggero lungo i fianchi per finire a qualche centimetro sopra il ginocchio, gonfiandosi ad ogni movimento.

«È trasparente...» - disse Lou, ad occhi sgranati. Guardando in controluce riusciva benissimo ad intravedere i contorni del corpo. Le stava bene.

Era bella.

Si vedeva bella e desiderò che Ville la potesse vedere con quel vestito bellissimo addosso.


«Beh, solo se ti metti controluce... potresti sempre metterci una sottoveste così eviti di far vedere le tue grazie, suor Lucia! - rise Nur ritrovando il buonumore- ti sta bene, davvero: puoi tenerlo... sta molto meglio a te che a me.»

«Non posso... è troppo bello e non saprei quando metterlo, tra l'altro.»

Lou accarezzava la stoffa sui fianchi girandosi a guardarsi in tutte le direzioni e sorridendo.

«Fesserie: per esempio stasera sarebbe adatto. Tu non esci e ti fai trovare con quel vestito addosso, così quando arriva il secco ci rimette le penne... - ridacchiò guardandola attraverso lo specchio – Andiamo! Si vede che muori dalla voglia di metterlo e vedere la faccia di Ville quando ti vedrà.»

«Davvero posso tenerlo? - Lou ricambiò lo sguardo della sua amica, chiedendole conferma – È così fuori dal mio solito... non sembro neanche io.»

«È già tuo. E proprio perché è così diverso dal tuo stile ti dico che sembra fatto apposta per te: dovresti osare ogni tanto sai? - la squadrò da capo a piedi con occhio critico – hai delle belle gambe, sottili ma non troppo, un bel seno “non invadente”, un bel culetto e la schiena elegante... puoi permetterti questo ed altro. Non capisco perché ti imbacucchi a volte.»

«Che bella coppia che siamo io e te: tu ti vesti da pornodiva, io da suora... dovremmo trovare una via di mezzo che accontenti entrambe!» - rise Lou.

«Affare fatto: io mi vestirò meno vistosamente d'ora in poi, se tu ti valorizzerai di più, di tanto in tanto.»

«Ok, 'Cavalla Golosa', ora però ti vesti: voglio vedere come stai con quello che ti ho scelto io!»


Con una punta di invidia benevola guardò la sua Nur rimanere nuda, dopo aver fatto scivolare a terra l'accappatoio: la sua pelle era perfetta, ambrata e luminosa, merito di tutte quelle creme costose di cui si spalmava?

Tonica e scattante, la pancia piatta merito sicuramente di tutte le ore in palestra con i suoi personal trainer fighi.

Una volta indossato un completino intimo super sexy e sicuramente molto costoso, indossati i jeans e la splendida camicia Nur si girò per farsi ammirare.


«Che ti dicevo che eri bellissima uguale?» -  disse soddisfatta Lou.

La sua amica, in camicia bianca trasparente e reggiseno impreziosito di pizzi e strass, era sexy e semplice allo stesso modo; i jeans blu scuro rendevano il tutto meno serio.

«Lascia i capelli sciolti e morbidi, Nur... ecco sì, sei perfetta!»

«Mi sento banale.» - tentò di dire Nur, guardandosi allo specchio perplessa.

«Shhht! Stai benissimo così, fidati... ora basta un po' di colore sulle labbra e sei a posto!»

Mentre Nur passava un rossetto rosso sulle labbra piene le chiese se avrebbe messo il vestito blu.
«
Non so... - Lou gettò ancora uno sguardo allo specchio – non ha molto senso se rimango qui a casa.»

«Ha senso se il tuo secco te lo toglierà alla velocità della luce? - rise l'altra – Dai fagli questa sorpresa... gioca un po' a sedurlo, vedi come reagisce: sarete da soli in casa, potete darvi alla pazza gioia... Non che di solito non lo fate, anche se ci sono io!»

«Ma che dici? Non è vero...» - arrossì Lou.

Davvero erano così sfacciati lei e Ville?

«Gli verrà solo da ridere se tento di sedurlo, fidati... non ne sono capace.»

«Cazzate. Lui è già andato, sorella... per far credere ad un uomo che sei una femme fatale, devi per prima crederci tu. Se tu ti vedi irresistibile, anche chi ti sta intorno lo crederà... fidati: è una tecnica sperimentata.»

«Dici?»


Mica ne era convinta...

«Fidati. Sei sicura che sto bene così?»

Era bella la sua Nur, senza orpelli e pizzi e scollature e gambe di fuori... sembrava ancora più giovane di prima.

«Sei bellissima.»

«Ok, mi fido... e tu perché non fai un bel bagno caldo, ti rilassi, fai uno scrub totale e dopo esserti messa la mia crema corpo afrodisiaca, ti infili di nuovo in quell'abito? Avanti... vedrai che me ne sarai riconoscente dopo. E anche il secco.» - le strizzò l'occhio appena truccato.


Lou guardò l'ora: erano solo le otto e trenta e Nur era già pronta.

«Più tardi forse... non so a che ora arriva e ho le mail da leggere, Katty non ha ancora la sua cenetta.»


E aveva completamente dimenticato l'sms di Andrea. Non disse nulla per evitare di far preoccupare la sua amica; anche Nur lo aveva dimenticato.

Non sarebbe più uscita con Julian se fosse stato il contrario.

Lou si diede della stupida: era sola per la maggior parte della settimana a casa.

Non poteva rifugiarsi dietro le gonne di Nur per affrontare un'ipotetica incursione di Andrea.

Era ora che se la sbrigasse da sola.


«Darò da mangiare io alla belva... tu vai a rilassarti, davvero vai! Alle mail puoi pensarci mentre aspetti il tuo principe.»

«Ok vado, capo!» - sorrise Lou.

Aveva proprio bisogno di rilassarsi con un bel bagno caldo e profumato.

Quando si immerse esalò un lungo sospiro lussurioso: niente di più bello per coccolarla... beh, quasi niente, si corresse pensando al suo principe dagli occhi verdi e le lunghe ed eleganti mani.

Ripensò ad una delle ultime volte che si era concessa un bagno... Ville era lì con lei.

Ormai non vedeva più quella vasca nello stesso modo di prima, non dopo il passaggio del finnico.

Le coccole e i baci che si erano scambiati... 

La dolcezza, la tenerezza nel cullarlo mentre l'acqua cullava loro... tutti i momenti passati con Ville erano stati unici.


Non posso vivere più senza di te...”.


La consapevolezza dei suoi sentimenti per lui arrivò all'improvviso, schiacciandola.

Voleva lui. Sempre.

Le mancava un pezzo di se stessa quando lui era lontano.

Il loro mondo era in quella casa: Lou non era mai andata a casa sua, nella famosa Torre gotica... non erano mai usciti insieme, neanche una passeggiata.

E non ci aveva mai pensato, fino a quel momento.


Cosa importa?”.

La vocina nella sua testa la rimproverò. Non era il momento di lasciarsi prendere da inutili dilemmi.

Entrambi erano schivi e preferivano vivere le cose in privato.

E poi, si frequentavano solo da due mesi...

Due mesi!

Le sembrava molto di più... le sembrava di conoscerlo da un vita.


Guardò Katty accoccolata sulla sedia gialla, che le faceva la guardia silenziosamente.

«Piccolina, sei con noi già da due mesi, lo sai?»

Katty era cresciuta un po', ma rimaneva pur sempre una gattina piccolina.

Gli occhi verdi così simili a quelli di Ville sembravano due gemme sullo sfondo del pelo lucido e nerissimo.

«Maoaou...»

«Eh già... sei felice qui con noi?»

Parlava con un gatto? Bene.

«Maouu.»

E il gatto in questione le rispondeva? Di bene in meglio.

Ridacchiò. Ville sarebbe morto di risate se l'avesse vista conversare con Katty... ma a pensarci bene anche lui le parlava, mentre lei gli faceva le fusa più rumorose che avesse mai sentito.

L'amore di Katty per il suo Ville... mai vista una roba del genere.

Con lui era più come un cagnolino più che un felino.

Che le aveva fatto in quei dieci giorni in cui era stata sola con lui nella Torre?

Erano tutte cadute sotto il sortilegio di due occhi verdi... beh, per lei valeva il doppio.

Quelli di Katty e quelli di Ville. La sua famiglia.

Forse l'unica famiglia che avrebbe mai avuto, si disse.


Si perse a sognare... un ipotetico futuro con loro tre e magari un altro gatto, un compagno per la loro amica, nella Torre... accanto al camino a farsi le coccole, lei acciambellata a terra, in adorazione mentre Ville suonava la chitarra e fuori la neve che copriva tutto e loro, chiusi nel loro mondo perfetto...


Smettila immediatamente, Lou!”.


La vocina acida la riscosse dai sogni ad occhi aperti, schiaffeggiandola con vigore.

Non pensare mai, MAI al futuro se non a quello a breve termine.” - pensò Lou, dando ragione alla vocina.

Aveva creduto che dopo Andrea non avrebbe più amato, che nessuno avrebbe più amato lei e invece era arrivato Ville... e aveva capito cosa significasse essere donna.

Ma da questo a pensare o sperare di avere un posto nella vita futura di Ville era un salto senza elastico nel vuoto.

E lei non voleva spiaccicarsi.

Di nuovo.


Avrebbe vissuto quello che il futuro le avrebbe riservato, senza pensare al domani... ogni attimo con lui, ogni istante che il destino volesse concederle, lo avrebbe tenuto stretto e vissuto con ogni parte di se stessa.


Ville, io ti amo.”.


Ecco, era semplice... tre parole, che cosa ci vuole a dirle? Poteva farcela.

Giocherellò distrattamente, afferrando con una contorsione degna di un'atleta il flacone dello shampoo con entrambi i piedi.

La sua paura di esprimere sentimenti condizionava tutto.

Anche se si trattava di Ville e lui meritava ogni sua parola d'amore, ogni suo pensiero, la sua ritrosia era sempre in agguato.

Maledizione ad Andrea.

Un trambusto e la voce di Nur alterata la riscosse dai suoi pensieri.

Katty si mise immediatamente all'erta soffiando in direzione della porta che si aprì subito dopo con un tonfo sbattendo contro la parete.


Potrò mai fare un bagno in santa pace senza che questo diventi un porto di mare?!”.

«Che entrata trionfale.»

La voce di Lou fredda e l'occhiata indifferente colsero impreparato il visitatore.

«Ciao Andrea.»


Sette mesi? Sì, erano passati sette mesi da quando lo aveva visto l'ultima volta.

Guardò dritto in faccia il suo ex ragazzo.

Era bellissimo come sempre: inutile negarlo.

I capelli appena un po' più corti di mesi prima, un velo di barba scura perfettamente curata; una nuvola del suo profumo preferito e che lei conosceva bene, la investì in pieno viso.

Camicia bianca che aderiva perfetta al corpo muscoloso, jeans chiari, giacca di pelle marrone, scarpe all'ultima moda... impeccabile come sempre.


«Ciao, piccola mia...»

La voce bassa e gli occhi che erano subito tornati quelli di sempre dopo un attimo di smarrimento: sicura, ironica e sensuale.

Ora tutto nel suo modo di fare le sembrava studiato e poco spontaneo, dal modo di camminare e muoversi alle inflessione della voce, lo sguardo... tutto studiato per braccare la preda di turno.

In confronto a Ville era un dilettante, pensò divertita.

Il magnetismo, la sensualità oscura e misteriosa che in Ville era innata, Andrea se la poteva solo sognare... le sembrò ridicolo e scontato, come un libro già letto e sopravvalutato.

«Non sono piccola e di certo non sono tua. Ti spiace uscire dal mio bagno?»


Nur era arrivata di corsa dietro di lui sbraitando parolacce all'indirizzo di Andrea che divertito e prepotente, non l'aveva degnata di uno sguardo e senza tanti complimenti l'aveva scostata per entrare in bagno.

«Conosco ogni centimetro del tuo corpo, puoi benissimo fare come se non ci fossi.»

Quella frase, con lo stesso senso di quella detta da Ville qualche giorno prima aveva tutto un altro sapore. Storse la bocca disgustata.


«
Esci da questo maledetto bagno, stronzo! Anzi esci da questa casa o ti butto fuori a calci!» - urlò Nur con il viso e gli occhi in fiamme.

«Perché non esci TU di qui e ci lasci soli invece? - Andrea infastidito dalla voce di Nur, girò appena il viso senza scomporsi – voglio rimanere solo con Lou.»

Nur ringhiò, facendo concorrenza a Katty che aveva il pelo rizzato per essere stata disturbata e forse perché il sesto senso felino, le diceva che era un ospite pericoloso.

«Nur... tesoro, vai pure – la voce calma di Lou stupì entrambi. La sua amica la fissò interdetta, confusa e tremante – stà tranquilla. Me la cavo io.»

Si riadagiò contro il bordo della vasca, fingendo un relax che in realtà non provava affatto.

Andrea era immensamente divertito: era certa che stava gongolando per aver ottenuto l'attenzione di tutti.

Nur girò impetuosamente sui tacchi imprecando coloritamente.

Andrea continuava a sorridere con un sorriso da predatore.

Fino a qualche settimana prima, quel sorriso le avrebbe fatto un effetto diverso.

Si avvicinò alla vasca, con un passo da indossatore.

Infastidita oltre ogni limite, Lou gli intimò di non avvicinarsi oltre.

Katty soffiava come un mantice.


«E questa da dove sbuca fuori? - le stava parlando in italiano – Da quando hai un gatto in casa? Per di più nero... piccola mia, raccogli sempre tutti i randagi del vicinato...»

«Andrea, che vuoi? - chiese stancamente rispondendogli anche lei in italiano – Non capisco perché ti presenti ancora qui, dopo due anni che non stiamo più insieme; non sei il benvenuto. E smettila di chiamarmi piccola tua! Cazzo!»

«Wow... come sei diventata aggressiva, Lulù...»


Odiava quando la chiamava piccola, ma non tanto quando la chiamava Lulù!

Le sembrava di essere tornata bambina, quando tutte le sue amichette la chiamavano così prendendola in giro perché piangeva con facilità ai dispetti degli altri bambini!

O peggio ancora: sua madre la chiamava così quando voleva metterla a fare qualche lavoretto casalingo che lei detestava!

Non poteva uscire dalla vasca. Di certo Andrea non aspettava altro.

Piuttosto che farsi vedere nuda da lui, preferiva congelare come una trota dentro la vasca.


«Che vuoi? Ho da fare e Nur non ti vuole qui quindi dimmi che vuoi e vattene, per favore.»

«Uhm, che voglio... che voglio... - mormorava guardandola accigliato, battendosi l'indice sulle labbra con un'espressione interrogativa – Non ci arrivi?»

«No. E non mi interessa neanche saperlo. - lo guardava coprendosi il seno con la schiuma – Come sta Sophie?»

Alludere alla donna che si era messa tra loro le facilitò le cose: la bile salì e la soffocò.


«Voglio te.»


Lo disse come se fosse la cosa più normale del mondo: senza peso, senza pensare a cosa lei potesse sentire per lui, senza pensare all'impatto che avevano le sue parole.

Ancora una volta dava per scontato che lei stesse in attesa ad aspettare lui per l'eternità?

Illuso.

Le venne una voglia matta di buttargli in faccia che era parte del passato ormai.

Che amava Ville.

Che Ville la amava e la desiderava così com'era.

Che era felice e che per nulla al mondo avrebbe rinunciato a quello che aveva in quel periodo.

Strinse gli occhi, guardandolo freddamente.

«E cosa ti fa pensare che la cosa mi interessi?»


Brava Lou, continua così!”

Andrea era impacciato o lo stava immaginando?

Di sicuro non si aspettava un atteggiamento aggressivo e indifferente da parte sua.

«È così? Non ti interessa più? Non provi più niente per me?» - cercava di continuare a sorridere rilassato, ma ora la sua baldanza le appariva meno impetuosa.

«E cosa ti aspetti, scusa? Come ti viene in mente di presentarti qui a cadenza semestrale, come un cane che continua a pisciare sull'aiuola e segnare il tuo territorio dopo tutte le vaccate che mi hai fatto?»

Si agitò, facendo trasbordare l'acqua che schizzò sulle sue preziose scarpe nuove.

Andrea si passò una mano nervosamente tra i capelli nerissimi e corti.

«Io... Lou, mi spiace. So di essere stato uno stronzo, un bastardo e di aver fatto cazzate su cazzate con te... ti prego, però. Dammi la possibilità. Di parlarti e spiegarti meglio quello che voglio dire.»


«Andrea, ascolta: che tu abbia preso coscienza di essere un coglione non può che farmi piacere. Credimi: esultiamo tutti per la tua scoperta... il fatto è, che qualsiasi cosa tu possa dire, non cambierà nulla.

Io sto bene. Sto benissimo ora.

Mi hai ferito, mi hai usata come ti pareva senza... - si fermò di punto in bianco – guarda... di parlare non mi va. Specie se sei nel mio bagno e cercavo di godermi un momento il pace. Se Nur non ha chiamato la polizia è solo perché non le do il permesso.

Non mi importa più. La storia è finita. Non serve che tu ora sia qui, a chiedere scusa.

È finita e ora dobbiamo andare avanti, entrambi.»


Peccato che tu l'abbia fatto molto prima...” - pensò acida, evitando di dirlo per non iniziare una discussione sterile che non li avrebbe portati da nessuna parte.


«C'è un altro, vero? - la rabbia fino a quel momento trattenuta apparve sul viso di Andrea – Altrimenti perché mi cacceresti via?»

«Non ti riguarda. Scusa, ma che ti frega? E comunque sia, questo non c'entra nulla: sei stato tu a farla finire, ricordatelo. Sei tu che te ne sei andato di casa, sei tu che avevi un'altra storia mentre ancora stavi con me. Non io. Io sono sempre stata leale, fin troppo, con te.»


«Lo sapevo che ti sbattevi un altro!» - alzò la voce avvicinandosi minaccioso. Aveva bevuto. Ora riusciva a sentirlo chiaramente. Perfetto!

«Lou?! Tutto bene?! - Nur bussò alla porta che Andrea aveva chiuso non appena la sua amica era uscita – Chiamo aiuto?»

«Fatti i cazzi tuoi, tu! - urlò Andrea tornando a guardare Lou con occhi torvi – Esci di lì!»

Ordinò a Lou nervoso.

Katty gli sibilò contro. Andrea fece per prenderla per la collottola e buttarla fuori.

«Toccala e ti assicuro che è l'ultima volta che usi le mani - lo avvisò.

«Nur, va tutto bene.»

Alzò appena la voce per farsi sentire dalla sua amica.


Non serviva a nulla urlare o cercare di spaventarla. Non le faceva più nessun effetto.

La guardava per la prima volta come un uomo guarda una donna: era stupito.

«E sei pregato di non alzare la voce con la mia amica. Sei a casa mia, ricordatelo.

«Voglio solo parlare con te.»

Bene, la baldanza stava lentamente andando verso l'autocommiserazione... Lou sbuffò.


«Passami quell'asciugamano e poi esci. Parleremo fuori di qui.»

Le tese l'asciugamano avvicinandosi, lei lo prese, guardandolo con un sopracciglio alzato, cercando di dare al suo viso un'espressione fredda e distaccata come faceva Ville, per metterlo al suo posto e in attesa che andasse via.

Ville.

Tentennò solo un istante.

Tutto quello che faceva era per lui. Per difendere quello che c'era tra loro.

Per potergli dire “ti amo” quella sera stessa, quando sarebbe entrato in casa sua; per poterglielo dire senza più paure.

Per potergli dare ogni cosa, come meritava.

Per poterlo amare come lui le chiedeva, come in cuor suo sapeva che lui volesse essere amato. Senza mai imporglielo.

Il suo Ville.


Andrea non accennava ad uscire. La fissava teso a braccia conserte, con le gambe leggermente aperte e ben piantate a terra.

Allora Lou fece qualcosa che pensava non avrebbe mai avuto il coraggio di fare: si alzò uscendo dall'acqua ancora calda, lasciandogli la fuggevole visione del suo corpo.

Come aveva detto? Che lo conosceva bene?

Perfetto, allora che se lo ricordasse perché era l'ultima volta che lo vedeva e con esso anche la sua faccia!

Lo sentì trattenere il fiato.

Da dove usciva fuori tutta quella sicurezza, ora? Lo vedeva quasi il cervello del suo ex, arrovellarsi su quella domanda.

Non si aspettava però che lui la prendesse improvvisamente tra le braccia muscolose, stringendola e sollevandola contro di sé.


«Sei bellissima, Lou...» - la guardava negli occhi e la voce carezzevole, come aveva fatto innumerevoli volte, le mani le accarezzarono languide la schiena.

Un tempo lei ci cascava sempre... sempre.

Finivano a letto insieme, lui la illudeva ancora una volta... e poi la lasciava di nuovo, senza una parola, sparendo nella notte... lasciandola con l'anima lacerata e piena di vergogna verso se stessa.

Chinò la testa per baciarla e una ginocchiata all'inguine gli fece uscire l'aria dai polmoni in un rantolo.

«Non provarci, non toccarmi o mi metto ad urlare!»

Con le mani ancora a tenersi le parti doloranti la guardò con un ghigno ironico.

«Adesso ti scopo qui sul pavimento!» - la minacciò.

«Andrea, vattene.»- si strinse intorno al corpo ancora bagnato l'asciugamano, guardandolo dritto negli occhi senza nessuna paura.

O almeno voleva che così apparisse agli occhi del suo ex.

Per niente al mondo gli avrebbe mostrato paura. Proprio no.

«Sei una...» - sibilò Andrea con un lamento, tornando a fatica in piedi.

«Quello che vuoi, ma ora vattene.»

«Se pensi di liberarti di me, ti sbagli. Sei mia. Ricordatelo.»


Aprì la porta con uno strattone, spaventando Nur che era appostata appena dietro e imprecando pesantemente in italiano, con poche falcate raggiunse la porta di casa, quasi scardinandola via e la richiuse sbattendola forte dietro di sé.

Nur si precipitò dentro vedendola sbiancare.

«Stai bene, tesoro? Non mi sverrai, vero? Cazzo, se l'hai messo a posto!» - le strinse le mani scrutandola bene.

«Come diavolo... perché l'hai fatto entrare?!» - sbottò Lou, sedendosi sul bordo della vasca, con le mani, le gambe e la voce che tremavano.

«Ha le chiavi quel bastardo!Me lo sono ritrovato davanti all'improvviso! Ho cercato di prendergliele di mano ma mi stava facendo cadere a terra! Era brillo, quello stronzo! Si sentiva la puzza d'alcool da mezzo metro!»- Nur era ancora agitata.

«Ho ancora la schiuma addosso... ha le chiavi?! Le chiavi di casa?! Oh, merda!»

«Domani è domenica, non possiamo far cambiare la serratura...- Nur la guardò con sospetto - non sapevi che aveva ancora le chiavi?»

«Sì, sapevo che le avesse ancora ma non immaginavo che fosse così fuori di testa da usarle per entrarci in casa!»

«Ho chiamato Julian mentre quella merda era qui con te: sta arrivando. Troveremo una soluzione.»

«Non dovevi farlo preoccupare, Nur... se n'è andato... non penso torni per stanotte!»

«Io di quello non mi fido! Meglio rimanere qui, fino a che non arriva Valo... se c'era lui succedeva un casino stasera... non è tipo che se ne sta buono in un angolo.»

«Non dirlo neanche...»

Lou sbiancò di nuovo al solo pensiero di un confronto tra i due.


Era proprio quello che voleva evitare.

Quello che sperava era che Andrea se ne facesse una ragione e sparisse dalla sua vita una volta per sempre.

Se n'era resa conto non appena lo aveva visto trovandoselo di fronte dopo tanto tempo.

E non aveva provato assolutamente niente.

Lo aveva guardato dritto negli occhi e nessun batticuore, nessun intoppo... lo aveva guardato e lo aveva visto come un estraneo.

Finalmente si era liberata di lui. Finalmente era tornata se stessa.

«Mi lavo via questa schiuma, mi sento appiccicosa...» - si alzò, per infilarsi sotto la doccia, lasciando che l'acqua lavasse via la schiuma attaccata al corpo e con essa la presenza di Andrea in quella casa.

Voleva farsi bella per Ville.

Voleva passare la notte a fare l'amore con lui, a baciarlo e guardarlo dormire fino al mattino.

Voleva affogare nei suoi occhi e lasciarsi trasportare nel mondo magico che lui creava intorno a loro non appena la toccava.

Voleva respirare a pieni polmoni il suo odore, passargli le mani tra i capelli mossi e castani.

Voleva seguire le linee dei suoi innumerevoli tatuaggi con le dita.

Voleva sentirlo dentro di lei... e trattenerlo lì per sempre.


******



Angolo dll'autrice:
Oooooooooooooookkkkkkkk... sono pronta a tutti gli insulti che avete pronti per Andrea, fin dall'inizio della storia!

Avanti: sfogatevi! xD E' tutto vostro!! La mia Beta Deilantha lo odia fin dal profondo: "L'ho detto che schifo Andrea? >:(";

ero indecisa sul suo ingresso a dirla tutta.

Non sapevo se riscriverlo o tenerlo così come era nato, cioè con l'ingresso in scena tempestoso e melodrammatico, (un pò da telenovela brasiliana anni '80 per capirci!) oppure renderlo meno irruento e più sobrio...XD

Poi ho pensato che probabilmente sarebbe stato nelle corde un'apparizione simile e che tutti un pò aspettavate il botto... quindi, alla fine, l'ho pubblicato così com'è nato... telenovela brasilera sia! :D

Capitolo lunghissimo che mi viene difficile spezzare in maniera diversa... abbiate pazienza.

Per il confronto all'ultimo sangue tra Valo e Andrea (so che qualcuno ci spera! xD), dovrete attendere ancora un pò... e non è detto che ci sia, alla fine! U,u

Voglio dire un grazie enorme a tutte le gentili donzelle che mi seguono e mi lasciano sempre un commento: grazie infinite perchè non immaginate quanto tutto questo mi faccia piacere e mi dia un pò di gratificazione!

Siete tutte HIMportanti, sallatelo!

Grazie a voi quindi, che avete commentato e lasciato un segno del vostro prezioso passaggio, nell'ultimo capitolo:

apinacuriosaEchelon, arwen85, Lady Angel2002, Enigmasenzarisposta, katvil, FloHermanniValo (detta Speedy xD),
IlaOnMars6277, TheDarkLadyV, AngeloHimRusso (maschietto!!! aah u ua ufhugfba bv gfvg!!! <3),Villina92.

Quindi, nel frattempo vi lascio ai vostri insulti e vi saluto, con sadica soddisfazione...

Per chi se la fosse persa e vorrebbe dar un occhio, ho scritto anche una Missing Moment dove questa volta a parlare sono i pensieri e i sentimenti di Ville!

A presto, vostra *H_T*!
PS: Song ispiratrice per questo capitolo e i pensieri di Lou su Ville: "Heaven" - Depeche Mode


Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo quindici: "Fade into you" ***




testo.
testo.

Image and video hosting by TinyPic




Capitolo quindici

"Fade into you"





Rimase per molto tempo sotto il getto caldo, nonostante fosse più che pulita.
Le tremavano le mani e aveva mal di testa: come accadeva sempre quando Andrea era nei paraggi.

Sapeva benissimo che non si sarebbe arreso facilmente: tanto più che era stato rifiutato e ferito nell'orgoglio di uomo, quale pensava di essere.
Mandandolo via non aveva fatto altro che stimolare ancora di più la sua voglia di rivalsa.
Avrebbe dovuto fingere di essere ancora innamorata e persa di lui; per contrapposizione sarebbe sparito per chissà quanti altri mesi, lasciandola in pace... era una stupida!

Lo conosceva così bene: come poteva aver fatto un errore del genere lasciando che la rabbia parlasse e agisse per lei?
Voci concitate provenivano dal salotto, segno che Julian aveva fatto la sua comparsa... con un sospiro rassegnato chiuse l'acqua e uscì, rabbrividendo all'aria fredda del bagno non riscaldato.

Meglio vestirmi, non voglio far scoppiare un putiferio presentandomi in accappatoio.”.

Si vestì stancamente, guardando poi il suo riflesso allo specchio.
Non andava bene.

Il viso raggiante di poche ore prima era sparito, così come la luce vibrante negli occhi... e Andrea non era che apparso per soli pochi minuti.

Raccolse i capelli che ormai le superavano la vita, legandoli sopra la testa: li teneva sciolti il meno possibile da quando Katty aveva scoperto che vi si poteva arrampicare sopra usandole a mo' di liane.
Le aveva staccato ciocche e ciocche con una soddisfazione a dir poco inquietante... la sua micia oscura. Un sorriso le spuntò sul viso, simultaneo e leggero, pensando alla sua adorata felina... ringraziandola mentalmente ogni giorno per essersi smarrita proprio nel suo giardino.

Tanti piccoli segni dal destino.


Uscì dal bagno e subito Julian le fu vicino agguantandola e stringendola in un abbraccio che la stritolò, quasi sollevandola da terra.

«Eva! Che è successo? Dimmi come stai? Ti ha fatto del male?» - la voce preoccupata era esageratamente fuori luogo: sempre melodrammatico il suo pirata.

Alzò il viso per guardarlo e sorridergli cercando di rassicurarlo e al contempo fargli prendere le distanze.
Le stava decisamente troppo vicino e in quel momento lei non voleva essere toccata.

I capelli di Julian erano un po' cresciuti dall'ultima volta che si erano visti e ora gli si arricciavano alle punte, la barbetta incolta dava un' aria meno sbarazzina al suo viso già bello e sembrava più uomo.

«Sto bene Julian, però mollami: mi fai male!» - rise lei.

La mise giù senza lasciarle però le braccia.
Buttò uno sguardo alla sua amica, temendo di vederla contrariata per aver ancora una volta invaso il suo territorio rubandole la scena... ma Nur era ancora agitata e la sua espressione tradiva solo preoccupazione.
La guardava attentamente, scrutandole il viso cercando tracce di pianto o di chissà cos'altro.
Sorrise ad entrambi, nella maniera più serena che riuscì a simulare.

«Sto bene, smettetela di trattarmi come se fossi di cristallo!»
La voce purtroppo tradì il suo stato di agitazione interiore.

«Ho visto come ha conciato la porta: – continuò Julian ignorando il rimprovero di Lou – ha rotto la serratura, non si chiude più bene.»
Anche quello ora!
Si diressero tutti e tre verso l'uscita guardando con aria sconsolata l'opera di Andrea: la maniglia già malandata dall'usura e dal tempo inclemente, pendeva senza più essere fissata alle viti che le tenevano su.

«Quel maledetto! Meriterebbe di essere denunciato! - sbraitò Nur, che batteva nervosamente il piede a terra – Che grandissimo pezzo di merda!»

Lou le prese la mano stringendogliela, tentando di calmarla: era più agitata di quanto pensasse... Le mani della sua amica tremavano ancora, al contrario di lei che pian piano si stava calmando e pensava fervidamente ad una soluzione per poter porre rimedio al danno, ad una scusa da raccontare a Ville nel caso si fosse accorto che c'era qualcosa che non andava e un piano per potersi liberare di entrambi i suoi angeli custodi, di modo da poter stare da sola con il suo principe.

Julian inginocchiato davanti alla porta trafficava con la maniglia pendente, borbottando tra sé in spagnolo.
«Va cambiata, non posso fare niente per la maniglia, mi spiace... - disse sconsolato girandosi a guardale - Forse... forse però posso fare qualcosa almeno per la serratura; se hai un po' di colla e farina, possiamo chiudere la fessura dove va messa la chiave, sigillarla in modo che... se il bastardo vuole entrare di nuovo, non ci riuscirà.»

Lou scrollò le spalle e guardò Nur in attesa della sua risposta.

«Per me va bene, purché quel coglione non provi di nuovo ad entrare in casa nostra! Non ci tengo proprio a ritrovarmelo ancora una volta davanti! Stavolta non risponderei di me!” - rispose questa sempre più agitata e tremante.
«Vado a prendere quello che ti serve, Julian...»- tagliò corto Lou, girando sui tacchi correndo quasi in cucina.

Insofferente. Ecco come si sentiva.
Voleva restare sola, chiudersi in camera e rilassarsi con la sua gatta accoccolata contro, la luce soffusa e un morbido cuscino sotto la testa... le stava scoppiando un'emicrania con i fiocchi!
Prese una tazza di farina e dal suo mobiletto in camera prelevò la colla, portandola velocemente a Julian che parlottava sottovoce con Nur.

Che stavano tramando quei due alle sue spalle?

«Ecco, Julian.» - gli tese ciò che aveva nelle mani e sbirciò Nur che a braccia conserte e un cipiglio minaccioso osservava lo spagnolo che allegramente si metteva al lavoro mescolando la farina con la colla, creando una pappetta appiccicaticcia che spalmò come meglio poteva, usando solo le dita, nella fessura della toppa.

«Ci vorrà un po' perchè si asciughi e diventi dura... - annunciò alzandosi sorridendo – quindi penso che resteremo qui fino a che non saremo sicuri che sia tutto ok!» - gettò uno sguardo in tralice verso Nur, a chiedere conferma.
«Perfetto! - concluse Nur soddisfatta – Aspetteremo qui!»

È una congiura?!
Voglio stare sola... possibile che nessuno ci arrivi?”.

«Ma non è necessario che voi rimaniate qui – iniziò Lou con voce calma – uscite come avevate programmato, vi prego: Ville arriverà fra non molto... e non c'è pericolo che Andrea torni d...»

«Rimarremo qui!»- sbottò Nur in un tono che non ammetteva repliche, freddandola con un'occhiataccia.
«Già! - le fece eco Julian, con un sorriso soddisfatto – Ho fame: ordiniamo qualcosa?»
«Non ho fame... - mormorò Lou tornando in salotto – Voi ordinate pure.»
«Tu mangi.» - decretò Nur, seguendola decisa.

Stava per rimbrottare la sua amica, quando Julian si intromise leggero nell'alterco che stava per nascere.
«Ragazze so che dovete mantenere la linea, anche se siete già stupende così... - le abbagliò con un sorriso da pirata – Ma io ho una fame da lupi e devo nutrirmi, quindi – afferrò il suo cellulare tirandolo fuori dalla tasca dei jeans, scorse rapidamente la rubrica con un dito affusolato e scuro – Io ordino cibo.»

«Io mi stendo un po'... mi è venuto mal di testa.»
Lou non aspettò la risposta della sua combattiva acidissima amica e velocemente si rifugiò nella sua stanza, seguita da Katty che fino a quel momento si era tenuta nascosta sotto il divano.

Povera tesorina! Chissà come si era spaventata.

Si chiuse la porta alle spalle e senza neanche accendere la luce si tolse tutto di dosso e si infilò dentro la sua magliettona larga, sformata e che lei adorava perchè la faceva sentire al sicuro e si stese sul letto.
La testa le pulsava dolorosamente e le faceva male il collo a causa dei muscoli troppo contratti dalla tensione.

Katty si sistemò sotto il suo braccio ripiegato dandole leccatine affettuose di tanto in tanto.
Lou la strinse a sé, affondando il viso nel setoso manto nero, confortata dal suo calore e il rumore lieve delle fusa.
Impedì con tutta se stessa alle lacrime di trovare la via attraverso le palpebre, tracimando.
Andrea non meritava tanto disturbo.
Rabbrividendo si tirò sul corpo il piumone e tornò a raggomitolarsi.

Voleva Ville. Solo Ville.




******




«Lasciala stare... - sussurrò Julian alle spalle di Nur che fissava con aria contrariata la sua amica che si nascondeva in camera, chiudendosi la porta dietro – È solo un po' scossa dall'accaduto, anche se cerca di rassicurarci che sta bene.»

«Lo so perfettamente! Non sono mica stupida: ricordati che è mia amica e ci vivo insieme da tre anni!»
Julian sorrise dolcemente sentendo il tono di voce alterato di Nur: era quasi più spaventata e scossa di Lou.
Le accarezzò le spalle, massaggiandole piano la braccia.
Nur era tesa come una asse da stiro e rimase rigida tra le braccia dello spagnolo.

«Va tutto bene ora, rilassati...» - la voce calma e serena di Julian insieme al suo abbraccio caldo la sciolsero improvvisamente.
Con sua grande rabbia, Nur scoppiò a piangere.
Per tutta risposta lui la girò verso di sé continuando a tenerla stretta, accarezzandole i lunghi capelli scuri e sussurrandole di stare calma.

«Ho avuto paura che le potesse far del male ed io ero chiusa fuori dalla porta, senza che potessi far nulla...»- singultò Nur, tra un singhiozzo e l'altro.
«Ma non è successo nulla di tutto questo, quindi ora calmati...» - rispose Julian alzandole il viso con un dito sorridendole intenerito.

Nur tirò su col naso seccamente, il trucco che colava dagli occhi, sbirciò lui che le sorrideva; non sapeva cosa pensare, se la stesse prendendo in giro o meno.
A corto di parole sensate, tornò a nascondersi tra le sue braccia.
Era confortante essere toccate da qualcuno senza che questi provasse ad andare oltre... da quanto tempo non veniva abbracciata e tenuta stretta in quel modo dolce?
Nur non lo ricordava... Lasciò che quel momento durasse ancora un po'.
In cuor suo desiderò che non finisse mai...




******





Il sogno era sempre lo stesso.
Lei che camminava in un lungo corridoio che si stendeva all'infinito davanti a lei, con innumerevoli porte chiuse.
Sentiva il suo bambino piangere.
Sapeva che era lui così come era certa del proprio nome, sapeva che il pianto che sentiva era del suo bimbo mai nato... lo cercava disperata aprendo tutte le porte.
Il sogno che di solito si interrompeva con lei che si svegliava urlando, questa volta continuò a torturarla.
Inconsciamente una parte di lei sapeva che si trattava di un sogno e voleva svegliarsi.
Una figura alta e sottile era in penombra molto più avanti, quasi alla fine del corridoio, di cui ora riusciva a vedere la fine.

Ville!” - urlò chiamandolo, ma dalla sua gola non uscì alcun suono.

Cercò di correre incontro a quella figura amata, ma anche i suoi piedi non riuscivano a muoversi rimanendo incollati al pavimento.
Lacrime di frustrazione le scorrevano sulle guance.

Aspetta, ti prego!” - urlò ancora disperata, vedendo la figura girarle le spalle e camminare in senso contrario al suo e allontanarsi da lei.
Con un ultimo sforzo riuscì a muoversi, correndo in direzione di Ville che diventava sempre più piccolo...
Sentiva dentro di sé un bisogno assoluto e devastante di trovarsi tra le sue braccia, stretta al petto magro di lui, riempirsi le narici del familiare, amato, inebriante odore della sua pelle...

Dio! Ti prego, lasciami andare da lui” - singhiozzò ancora, arrancando faticosamente lungo il corridoio infinito, faticoso come una salita.

Andrea apparve all'improvviso davanti a lei, piazzandosi al centro del corridoio per impedirle di passare.
No! Vai via, per favore...”.
Ma già le sue braccia muscolose la stringevano, impedendole di muoversi.
Sei mia. Non puoi amare nessun altro che me. Sei mia!” - la voce di lui era crudele quasi come la stretta che la soffocava.

Non riusciva più a muoversi, a respirare; un senso di impotenza e di abbandono la stavano sopraffacendo.
La sua voce ormai era solo un sussurro e Ville diventava sempre più piccolo, finché svanì nelle ombre.
Sprofondò sempre di più nel buio più totale, lasciandola sola.

Qualcuno le sussurrava all'orecchio di calmarsi... Andrea!
Si divincolò furiosamente dalle braccia che la stringevano, ansimando; ma tornarono a serrarsi intorno a lei.
Odiava quella voce, la stretta e il calore di quel corpo che si stringeva al suo.

«'Prinsessa' è un sogno, svegliati... *pikku kulta... minun rakas, Prinsessa...» - la voce era carezzevole e roca.
Piccoli baci piovevano sul lobo dell'orecchio.


Non era Andrea e le braccia che la stringevano non erano le sue... Ville!
Era di nuovo con lei... Ville.

«Su... svegliati, mia 'Prinsessa'...» - la voce la accarezzava, la cullava, la coccolava.

Tornò nel mondo reale, con il cuore che ancora batteva velocissimo.
Odiava quel sogno, odiava come si sentiva persa, debole e inerme.
Le braccia però erano ancora lì, intorno a lei e la voce di Ville le accarezzava i sensi, così come le sue labbra le sfioravano i capelli e la pelle sensibile intorno al suo orecchio.

Non stava sognando: lui era davvero lì con lei.
Quando era arrivato? Perchè nessuno l'aveva svegliata?
«Ville... - mormorò con la voce incrinata – sei qui...»

Si rintanò ancora di più nel suo abbraccio, curvando il corpo di modo che quello di lui racchiudesse il suo, come due piccoli cucchiaini.

«Devo sempre svegliarti a furia di coccole e baci?” - le bisbigliò all'orecchio con voce sensuale.
Il solo movimento della sua bocca così vicino al lobo le diede brividi lungo la schiena, facendole arricciare le dita dei piedi e venire la pelle d'oca.

Le mani di lui avevano catturato le sue, intrecciando le dita e tenendola imprigionata, con le stesse che di tanto in tanto le accarezzavano il dorso in modo languido.

«Sì... - si lagnò lei liberando le mani da quelle di Ville per abbracciarlo, girandosi per trovarselo a pochi centimetri dal viso - ciao...»

La bocca gli si piegò lenta in un sorriso e gli occhi... dio, gli occhi!
Anche nel buio della stanza erano due calamite che la attiravano, tenendola incatenata.

«Ciao...» - le rispose soffiandole sul naso.
Passò febbrile la mano libera sulla sua schiena perfettamente modellata, mentre l'altra bloccata tra i loro due corpi si mosse appena, per posarglisi sulla pancia piatta.

«Sei vestita... - la rimproverò ridacchiando – piccola peste... non esaudisci mai i miei desideri...»
La mano scendeva lenta fermandosi sul bordo dei jeans... gli sollevò la maglia per toccargli la pelle bollente.
Ville aveva la pelle più calda, liscia e voluttuosa che avesse mai toccato...
Risalì lungo la schiena, sfiorando con la punta delle dita la pelle sensibile.

«Non sono vestita...» - gli rispose a bassa voce sussurrando le parole sul mento ispido di barba in ricrescita.
«In ogni caso, hai troppa roba addosso, per i miei gusti...» - borbottò cercandole le labbra.

La mano posata sulla pancia di Ville si mosse cercando uno spazio nei pantaloni, spazio abbondante vista la sua magrezza, sondando curiosa... disegnando ghirigori striminziti.
Lou tirò indietro la testa negandogli le labbra e premendo allo stesso tempo i propri fianchi contro quelli di lui.

Lui ridacchiò divertito dal gioco.

«Mi stai provocando, 'Prinsessa'? - borbottò, muovendole ancora di più i fianchi contro - Perché in tal caso, questo gioco - la mano che prima era posata innocuamente sulla vita sottile di Lou si mosse veloce prendendole un gluteo tondo nella mano enorme, facendola aderire completamente a lui – ... è bello se giocato... e goduto, da ambedue le parti...»

Bastava il tono della sua voce, unito al suo sguardo a farla accendere, facendole scorrere come lava incandescente il sangue nelle vene... se la toccava poi perdeva del tutto la lucidità e l'unica cosa che voleva era perdersi in lui... con lui.

La mano di Lou scese giù lenta sulla schiena graffiandogli leggermente la pelle delicata con le piccole unghie corte, fermandosi più volte per tornare su, facendolo spazientire, trattenere il respiro, contorcere e infine si infilò lì dove sembrava fosse di casa.

«Allora il tuo è un vizio... - la voce gli si arrochiva di minuto in minuto – pessima idea, 'Prinsessa'... non ho fatto altro che immaginarti nuda da quando sono uscito da questo letto stamattina...
È stata una tortura crudele, sentire il tuo odore incollato alla mia pelle e non poterti toccare... baciare...» - il braccio su cui lei aveva posato la testa la avvicinò al viso di Ville, che le sfiorava leggero il viso con le labbra morbide e lisce, gli occhi... il naso, la linea della mandibola, il mento.

Lou sentiva che le orecchie le sarebbero andate a fuoco da un momento all'altro.

Altro che scena di seduzione!
Con lui era tutto vano: bastava che la sfiorasse ed era già come cera molle fra le sue mani, pronta a fare tutto quello che lui le avesse chiesto.

Tratteneva il fiato, persa nel sortilegio della sua voce meravigliosa, sensuale.

Con un ultimo barlume di lucidità tornò a negargli il viso, esultando quando lo sentì grugnire contrariato.
Si allontanò dal suo pericoloso corpo, che seppur magro era capace di ispirarle un'eccitazione smisurata, sensualità oscura, irresistibile.

«Dove credi di andare?” - sibilò Ville cercando di riprenderla tra le sue braccia.
«Stai fermo... - gli rispose sorridendogli – Non muoverti...»

Gli occhi gli mandarono bagliori verdi; divertito e curioso si riadagiò contro i cuscini con le braccia infilate dietro la testa, lo sguardo fisso al viso accaldato di Lou.
Gli salì a cavalcioni stando attenta a non toccarlo con nessuna parte del corpo.

«Mi sei mancato... - gli sussurrò guardandolo negli occhi, il bellissimo viso illuminato dalla sola luce bianca della luna che filtrava attraverso la finestra – ti ho pensato anch' io tutto il giorno, non ho smesso un secondo di volerti accanto a me... - toccò con la punta delle dita la pelle scoperta dell'addome, sorridendo sentendolo sospirare – di sentire la tua pelle contro la mia...» – posò entrambe le mani premendo percorrendo tutto il lungo busto di lui, sfiorandogli i capezzoli.
Ville sollevò i fianchi automaticamente gemendo piano.

« 'Prinsessa'... - sospirò rauco indeciso se tenere gli occhi chiusi o aperti – mi stai torturando...»
«Mi è mancato il tuo odore...» - continuò Lou ignorandolo chinandosi a sfioragli la pelle con la punta del naso.

Baciò l'ombellico seguendo i contorni del suo Heartagram con le labbra, le mani che continuavano ad accarezzargli il petto e il collo; gli sfiorò le labbra con le dita che lui prontamente prese tra i denti, mordicchiandole piano.
Seguendo il suo esempio morse la carne sul fianco ricevendo un grugnito a gratificarla.

«Ti prego... - sussurrò alzandosi improvvisamente a sedere prendendole il viso tra le mani, baciandola impetuosamente, tirandosela addosso – Lou... posso... baciarti... per favore...?»

Sentire la bocca di Ville sotto la propria, la lingua che accarezzava languida la sua, fece andare a monte tutti i suoi piani di Lou-Che-Gioca-a-Fare-la-Femme-Fatale.
«Lasciami fare, Ville... - gli mormorò contro la bocca tra un assalto e l'altro – Per favore, lascia che io ti ami...»
Lui lasciò a fatica che si allontanasse, fissandole rapace le labbra.

«Va bene... – gracchiò a voce strozzata – Vuoi farmi lentamente morire stanotte? Mia piccola, crudele, incantatrice...»

Tornando in sé quel tanto che bastava per non buttarglisi addosso senza ritegno, Lou si sollevò sistemandosi di nuovo a cavalcioni su di lui.
Sorrise al movimento impercettibile dei suoi fianchi che si muovevano sotto di lei.
Era adorabile e impaziente, il suo bellissimo e oscuro principe.

Gli sfilò lentamente la maglia seguendo il risalire della stoffa con le labbra.
Si fermò a baciare, mordicchiare, succhiare ogni centimetro del suo addome tatuato, esaltata dal potere che sentiva di avere su di lui, gioendo della risposta di Ville ad ogni suo cambiamento, ad ogni omaggio che faceva al suo corpo.

Quando toccò il bordo dei jeans sbottonando il primo bottone lui la aiutò quasi strappandoli via dalla fretta di rimanere nudo, togliendoglieli dalle mani e lanciandoli fuori dal letto.
«Come mai sei “vestito”?» - ridacchiò Lou tirandogli l'elastico dei boxer neri che aderivano perfettamente intorno ai suoi fianchi magri.

«Non potevo andarmene in giro tutto il giorno a fare interviste con il pisello ciondolante, 'Prinsessa'... - le rispose afferrandole le mani per spingergliele sul sesso, chiaramente e visibilmente eretto – data la mia prepotente eccitazione che è durata tutto il giorno, non sarebbe stato bello da vedere...»

Lou rise, allontanandogli le mani, sfiorandogli le cosce.
«Non sono così sicura che sarebbe stato un brutto spettacolo, anzi...»

«Toccami...» - la implorò sfidandola con gli occhi.
Le labbra schiuse e gonfie.

Adesso gli faccio male se non la smette di guardarmi così... e al diavolo le buone maniere!
E anche i preliminari!”.

«Hai fretta, Valo? - si sedette sulle cosce prendendosela comoda. Tolse con gesti lenti e studiati la sua maglietta sbrindellata e vecchia, lanciandogliela sulla faccia.
«Me la paghi...» - minacciò Ville stringendo gli occhi verdi in due fessure, senza staccare gli occhi dai seni nudi di Lou.

Quasi quasi continuo ancora per un po'...mi piace questo gioco...”

Si sciolse i capelli che le stavano facendo male tenuti troppo stretti dentro l'elastico e li scosse facendoli piovere intorno a sé, talmente lunghi che finivano quasi sulle ginocchia di Ville.
«Mi piacciono i tuoi capelli – sussurrava Ville – mi piace sentirli addosso... vorrei che fossi sempre vestita solo dei tuoi capelli...»
Allungò una mano prendendole una ciocca lisciandola per l'intera lunghezza.

Si piegò di nuovo baciandogli ancora una volta il torace, lentamente e senza alcuna fretta... sentendolo trattenere il fiato, borbottare quando lei si fermava.
Gli fermò le mani che dai fianchi salivano su a cercarle il seno.
«Sta' buono, Valo...»

Gliele strinse, intrecciando le dita a quelle di lui... amava le sue mani.
Calde, eleganti, enormi... il modo in cui le muoveva quando la toccava...
Rabbrividì.
Prese a baciarle: dapprima sul dorso, poi ognuna delle lunghe dita, infine il palmo...
La mano si chiuse sul suo viso, per poi scendere sulla gola.

Premette il pollice ai lati del collo sorridendo sentendo il battito accellerato del cuore di Lou.

«**Pikku noita...» - bisbigliò ad occhi chiusi.

Gli sorrise estatica.
La voce di Ville era già magica, erotica e sexy normalmente: quando parlava nella sua lingua lo diventava ancora di più, se questo fosse mai possibile.

La mano si spostò dietro la nuca bloccandola, infilò le dita tra i capelli attorcigliandole intorno ai ricci, tirandola inesorabile, senza via di scampo verso le sue labbra.
L'altro braccio la strinse alla vita tenendola ferma.

«Presa...» - alitò sulle labbra dischiuse di Lou.

Maledetto, lui e la sua voce!

«Non vale...» - disse Lou baciandogli le labbra tese in un sorriso da satiro.

«Mi hai provocato tu... non scherzare col fuoco, 'Prinsessa'...»
«Che paura... che vuoi far...» - iniziò a prenderlo in giro prima di ritrovarsi sulla schiena, con lui a cavalcioni sopra.

Lesto come un giaguaro... altrettanto pericoloso, pensò con un brivido di eccitazione.

«Adesso farai tutto quello che ti dico.» - con gli occhi mandavano lampi divertiti le prese le mani posandosele sul petto.
«Non ci penso neanche, Valo! Mi hai rovinato la scena di seduzione...» - si lagnò Lou pizzicandogli il piccolo capezzolo maschile.

Ridacchiò mordendosi le labbra.

«Non hai bisogno di sedurmi, 'Prinsessa', né di stupirmi con gli effetti speciali per portarmi a letto... - le si strofinò addosso lentamente - O farmi eccitare...» - con un unico movimento fluido le passò la lingua calda dall'ombellico fino al collo, dove iniziò a mordicchiarla esattamente lì, nel punto che aveva scoperto. E che non mancava di stimolare senza pietà ogni volta che voleva piegarla al suo volere...
Quando lui la baciava, o semplicemente la sfiorava lei iniziava a tremare perdendo il controllo, lasciandosi andare.

«Sei sleale...» - mugolò Lou reclinando il collo all'indietro lasciando che lui facesse esattamente ciò che più desiderava.
«Sì... e scommetto che a te piace, piccola strega...»

Ci puoi giurare... ciao cervello. Ciao.”

Si contorse impaziente sotto il corpo di Ville, agguantandogli il sedere ancora costretto dentro i boxer.

«Fai la brava, Zarda...» - la prese in giro smettendo di baciarla per strofinarle le labbra sull'orecchio, torturandole il lobo, succhiandolo voluttuosamente.

Che dolce vendetta...”
Stava per andare a fuoco.

«Non muoverti...»
Fermò le braccia di Lou sopra la testa tenendogliele con una sola mano mentre le baciava il collo, scendeva giù in mezzo ai seni. La mano libera le tirava giù l'elastico dello slip bianco con una lentezza snervante... Prima una gamba e poi l'altra, fermandosi a baciarle i fianchi.

«Ville... per favore...»
«Cosa? - le chiese con un ghigno la voce roca e bassa, gli occhi socchiusi, passandole le dita lungo le gambe – cosa vuoi, 'Prinsessa'?»

Lou allungò una mano tentando di tirarlo versò di sé.
Lo desiderava da impazzire, sarebbe morta in quell'istante se lui non si fosse deciso ad andare avanti.

«Volevi giocare, mia piccola incantatrice... - le si stese addosso catturandole le mani che lo toccavano, tenendogliele allargate sulle lenzuola. - ora giochiamo, ma decido io come...»

Tutto ciò che vuoi...»

«Stai ferma,  'Prinsessa'...» - le bisbigliò prima che il mondo iniziasse a vorticarle intorno.



Lento... così lento...
Struggente... dolcemente doloroso...
Arcobaleni in fiamme, cadiamo insieme, camminiamo nel fuoco senza bruciarci...
Non siamo più corpi, siamo dissolti, vorticanti anime in fiamme...
Non fermarti... non farlo...
Continua a toccarmi, continua a consumarmi, continua finché non ti svanisco fra le dita, continua... continua...



I respiri ancora affannosi, la fronte di Ville sulla sua, tremanti e senza più forze, il piacere che ancora scuoteva i loro corpi.
Le braccia e gambe di Lou lo stringevano con forza, tenendolo schiacciato sopra.
Voleva essere una cosa sola con lui... baciò la spalla ossuta che gli aveva morso poco prima, gli baciò i capelli sudati scostandoglieli dal viso.

«'Prinsessa'...» - il tono di voce tremante.
Ville si mosse per liberarsi dal groviglio di braccia e gambe.

«No! - lo strinse ancora di più – ti prego, non toglierti... voglio sentirti ancora... rimani dentro di me, Ville...»
«Non voglio pesarti addosso...»- le bisbigliò sul collo.
«Non mi fai male... non muoverti ti prego... rimani... voglio tenerti dentro di me...»

Per sempre”.

Ma non glielo disse.



******


*Piccolo tesoro, mia preziosa Prinsessa
** Piccola strega




ADA: Saaaaaaaaaaaaaaaaaalveeeeeee!!^-^
Sì, sono viva. e sì, sto benissimo!
Ultimamente siamo state (plurale Majestatis: segno di delirio di onnipotenza? Naaa... è che la superficie da gestire è vasta...Ps: Sì sto delirando. Di nuovo. )
Da dove inizio? Beh, la primavera è alle porte... sono arrivate le rondini perfino nella mia fredda landa deserta!
Si risvegliano i sensi (non che i miei si fossero mai assopiti... xD).. ci sono i fioooori, le farfaaaalle, la gente si denuda e scopre le beltààà... e io non potevo non farmi trascinare da questa frenesia generale nella smania da sindorme da riproduzione, vi pare? Quindi, eccovi Ville, eccovi il miele, eccovi la copulation! Evviva l'ammoooore!
Qualcuno mi aveva rimproverato di non vedere Ville da ben due capitoli e ora vi faccio venire il diabete! Spero che siate pronte per i prossimi capitoli, perchè la mia vena romantica è venuta fuori in ogni sua sfaccettatura!
Quindi portatevi barili di acqua e anche un secchio... non si sa mai!xD
Mi preme ringraziare come sempre la mia preziosa Beta Deilantha, senza la cui vista acuta questa storia sarebbe piena di strafalcioni! xD
E tutte quelle dolci donzelle che hanno commentato il capitolo precedente: katvil (Fava-Pisella n°2), IlaOnMars6277, arwen85, apinacuriosaEchelon, Villina92, Lady Angel 2002, _TheDarkLadyV_, FloHermanniValo (Fava-Pisella n°1), Izmargad, x_LucyW,
Inoltre un enorme grazie anche a Sara aka LaReginaAkasha, che le sue recensioni me le fa in privato, alle mie due socie: cla_mika Claudia e *Venus_Doom* Giulia, che hanno da poco inziato a leggerla, e a Madda del nostro gruppo finferlesco "Tears for HIM": Grazie mie finferlesse! <3
Grazie infinite per l'affetto costante!
Spero che la Musa sia sempre così generosa come in questo periodo felice! E che questo capitolo vi sia piaciuto.. vaneggi dell'autrice a parte! XD
Il titolo di questo capitolo, è ovviamente stato ispirato da quella splendida canzone che il nostro Ville ama tanto: "Fade Into You"- Mazzy Star.

Sono in fissa con innumerevoli canzoni di questo duo, tanto che vanno in loop fisso sul mio Spotify...( per la gioia dei miei seguaci!!) Conoscevo questo gruppo solo per un'altra loro song, legata anch'essa ad un periodo altrettanto bello della mia vita: ("Into Dust": cercatela da voi sul tubo!). Fatto sta che trovo che questo testo, oltre che essere stupendo si sposi benissimo con quello che Lou prova per Ville e che piano piano (promesso, al prossimo vedrete...) lei sta accettando e vivendo come merita...


Un bacio a tutte!
*H_T*


Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo sedici: "My Lord, my love..." (Take care of the ones you say you love...) ***



testo.

Image and video hosting by TinyPic




Capitolo sedici

"My lord, my love..."
(Take care of the ones you say you love...)










Aprì gli occhi di scatto.
Allungando una mano accanto a sé sperò di trovare il corpo caldo di Ville ma il posto era vuoto e freddo.
Aveva sognato tutto?
No.
Non era possibile: quando si era buttata sul letto ore prima, in cerca di silenzio e buio lasciando fuori i suoi amici che giocavano a fare le guardie del corpo, aveva indosso solo la sua maglia preferita.
Invece ora era nuda.
E a meno che non avesse iniziato a svestirsi e girare per casa come una sonnambula, voleva dire che Ville era stato davvero lì.
Si mise a sedere ancora intontita dal brusco risveglio e nel buio della stanza, lo vide.

Era in piedi davanti alla sua porta- finestra, nudo.
Fissava all'esterno.
Non riusciva a vedere la sua espressione, ma sembrava meditabondo...
Sarebbe rimasta a guardarlo per il resto della notte se fosse stato per lei.
La luce che proveniva dall'esterno illuminava a stento il suo corpo magro, sottile e scattante, liscio e senza muscoli...
Il suo Elfo...

«Ehi...» - sussurrò per non spezzare l'atmosfera.
Lui girò appena il viso dalla sua parte, tornando subito a guardare fuori, come se non l'avesse udita.

Lou sentì un brivido freddo correrle su per la schiena.
Era cambiato qualcosa.
Lo stomaco le si contrasse.
Si impose di restare calma, senza iniziare a farsi ogni possibile idea sbagliata come suo solito.
Si alzò lentamente dal letto per avvicinarglisi.

«Non hai freddo qui?»
Lo abbracciò da dietro quando lo raggiunse, posando il viso sulla sua schiena baciò più volte la scapola, passandogli le braccia intorno alla vita sottile.


Inalò l'odore della sua pelle che sapeva anche un po' di lei.
Rimaneva rigido tra le sue braccia, senza ricambiare il suo abbraccio o rispondere alla sua domanda.

Una paura fottuta.
Ecco.
Ora aveva una paura fottuta.
Temette di aver detto o fatto qualcosa senza volerlo, di averlo offeso e magari non se n'era neanche resa conto.
Cercò il motivo di quell'atteggiamento così diverso da poche ore prima, arrovellandosi.

«Ville? - lo chiamò tentando di mantenere la voce calma e serena – Va tutto bene?»

Le braccia di lui rimanevano lungo il corpo senza prendere le sue mani, come avrebbe fatto normalmente o intrecciarle alle proprie.

Silenzio.

Calma. Resta calma e non farti prendere dal panico.”.

Le sembrò che passasse un'infinità di tempo.
Ma rimase in attesa posando la fronte sulla sua schiena liscia.

«Sei ancora innamorata di lui?»

La domanda fatta a bruciapelo diretta e secca come era suo solito, la bloccò.
E il tono era freddo e metallico, come se non gli importasse affatto della risposta che lei gli avrebbe dato.

«Co-cosa?» - balbettò come un'idiota.
«Hai capito bene.»

Trattenne il fiato.

Ti prego, non parlarmi così...”.

Inutile girarci intorno.
Certo che aveva capito: non era una stupida e soprattutto non lo era lui.

Si chiese se i suoi amici gli avessero raccontato tutto quello che era accaduto qualche ora prima.
Avevano fatto l'amore? Se sì, allora non aveva mostrato nulla in quel momento... anzi, l'aveva svegliata nel modo più dolce del mondo.

«No, Ville. Non sono innamorata di lui.»
Posò la fronte al centro della sua schiena rigida sfregandola lentamente contro la sua pelle liscia.


Silenzio.


«Ville... - gli bisbigliò sulla pelle – Non è lui che amo.»
Ecco. E 'fanculo alla dichiarazione romantica!”

Nessuna reazione visibile.
Si avvicinò maggiormente al suo corpo premendovi il proprio aderendo con la pancia ai suoi glutei, con il seno alla schiena... strofinandosi.

Niente.
Che uomo di ferro.”.

«Continui a sognarlo. Continui a chiamare il suo nome mentre sogni.»

Imbecille.Idiota.Cieco.Di.Un.Finnico.Testardo.”.

«Non sono sogni, Ville... sono incubi.»
Le mani di Lou salirono lungo il suo petto, accarezzandolo poi stringendolo forte.

«Non mi piace sentirti sospirare in sogno, piangere o qualsiasi altra cosa tu faccia se lui è presente.» - sbottò.

Le venne da ridere per il sollievo.
Si trattenne e continuò a vagare con le mani e le labbra sulla sua pelle.

«Uhm... è solo per questo che te ne stai qui, imbronciato e con le beltà al vento?»

Giù per le costole, contandole una ad una...

Ville bloccò le sue mani appena sotto l'ombelico.

Guastafeste”.

«Nur era isterica e Zorro non vede l'ora di salvarti dal losco individuo, tu invece non sembri per niente preoccupata! Cazzo, 'Prinsessa', non prenderla alla leggera!» - sibilò, prendendola bruscamente per le braccia mettendola di fronte a lui per vederla meglio e non farsi distrarre dalle sue mani, probabilmente.

«E tu? - gli chiese Lou guardandolo fisso, osservando bene la sua espressione alterata. Possibile che fosse così dannatamente bello e perfetto anche quando era arrabbiato? - Tu invece cosa pensi?»

Adesso mi mena...”.

«Io gli strappo il cuore a morsi se solo osa toccarti ancora.»

W.O.W.”.

«Ville, la state prendendo tutti troppo sul tragico: lo conosco e ricordati che è stato il mio fidanzato per nove anni... a volte si fa prendere dalla rabbia, ma non mi farebbe mai del male.» - liberò una mano per accarezzargli il viso e per tranquillizzarlo.

Perché non sopportava di averlo così vicino e non essere in contatto con lui...
E perché moriva dalla voglia di sentire la sua pelle contro il palmo delle mani.
E perché lo amava...

«Ne sei sicura? Nur non è dello stesso parere.»
Gli occhi verde giada mandavano lampi.

Lou! Smettila immediatamente di volergli saltare addosso! Sta cercando di parlare di cose serie...”.

I suoi ormoni ignoravano allegramente la sua coscienza e fissava incantata il viso di Ville alla luce debole dei lampioni che filtrava attraverso la finestra.

«Lou? …» - lui alzò un sopracciglio richiamandola, perplesso dalla sua faccia evidentemente inebetita.
«Eh? Ah sì... - si schiarì la voce e distolse a fatica lo sguardo dal viso che la deconcentrava – Sì... ne sono sicura... Certo...»

Si chiedeva se nel frattempo avesse anche sbavato.
Senza attirare la sua attenzione controllò che tutto fosse a posto.
Sì, non aveva sbavato.
Per poco.

Lui continuava a guardarla come un falco.
In attesa.

«Smettila di preoccuparti, Ville.»
E baciami.”

«Ti vedo distratta, 'Prinsessa'.» - disse serio ma gli occhi avevano decisamente luccicato, divertiti.

Ah, maledetto gattone...”.

«Mi sto congelando... e questa discussione non ha senso. Vieni a letto.»

Ecco. Brava! Così, breve e concisa. Decisa.”.

Lui ridacchiò ma era certa che avrebbe voluto scuoterla.
Sembrava a metà tra l' irritato e divertito.
Sfruttò l'ipotesi della seconda opzione e si avvicinò buttandogli le braccia intorno al collo.

Il ghigno di Ville si allargò.

Maledetto.”.

«È la primavera che ti fa questo effetto, mia 'Prinsessa'?» - la prese in giro, passandole le mani sui fianchi.
«Quale primavera? Siamo sotto zero, voi e questo clima impossibile... - schiacciò il seno sul petto scarno e tatuato – no sei tu che mi fai questo effetto, Valo... solo tu.»

Pollice in su da parte dei suoi ormoni e cenno d'assenso di una coscienza ormai alla deriva e senza vergogna.

«Sei parecchio scorretta, 'Prinsessa'... - le labbra ormai erano vicine alla meta e lei attendeva con ansia che arrivassero dritte al sodo – molto, molto scorretta a distrarmi con le tue grazie, per evitare discorsi scomodi...»

Gli prese la testa tra le mani avvicinandolo a sé, stringendogli i capelli sulla nuca e tirandoli indietro dolcemente per baciargli il mento.

«Cavolo Valo, quanto parli...»
Gli disse prima di prendere l'iniziativa e zittirlo.

Qualche minuto dopo il chiacchierone con le labbra rosse dai baci alternati ai morsetti e sveglio in ogni senso e con ogni parte del corpo, si staccò col fiato corto.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma Lou lo bloccò con un dito.

«E ora portami a letto.»






******






Il mattino dopo quando aprì nuovamente gli occhi, era ancora una volta sola nel letto.

Valo proprio non ci resisti, eh?...”

Voci tranquille alternate a risatine provenivano dal salotto.
Sbadigliò tanto da slocarsi la mascella: stava morendo di sonno.
Guardò l'orologio sul display: le undici!

Cacchio!”.

Si trascinò fuori dal letto con un altro sbadiglio e posando un piede a terra inciampò nella maglietta di Ville.

Ah, menomale era ancora in casa... a meno che non fosse fuggito via in mutande, pensò acida.
Infilò la biancheria e l'enorme maglia che aveva tolto durante il suo patetico tentativo di sedurre il finnico.

Strinse gli occhi ancora rimbambita dal risveglio e dalla luce forte e bianca che la accecò non appena apparve in salotto.

Non seppe dire se fosse improvvisamente saltata in buco temporale e si ritrovava in una spiaggia di Malibù.
Fissò i tre, quattro compresa la felina, che tranquilli e beati ridacchiavano allegri facendo colazione. Mezzi nudi.

«Buongiorno, 'Prinsessa'...» - Ville le sorrise malizioso al di sopra della tazza di caffè che stava bevendo.

IL SUO CAFFE'.
Come osavano bere il suo caffè? E che ci facevano tutti mezzi nudi nella sua cucina? E perché LUI non era a letto coperto fino alle orecchie invece di andarsene in giro per casa a mostrare quello che doveva mostrare solo a lei?

Dacci un taglio.”.

Ville per lo meno aveva addosso i suoi jeans scuri; agli altri due mancava solo una palma e un paio di occhiali da sole per completare il perfetto quadretto dei “tipi da spiaggia”.

Nur aveva solo un top bianco corto e striminzito che più che coprire metteva in mostra tutta la mercanzia, indossato sopra degli short altrettanto bianchi, corti e stretti.

Lo spagnolo invece, dai riccioli scompigliati e selvatici, era a petto nudo e con solo i boxer azzurro elettrico a coprire il suo fisico, che lei finse non senza sforzo, di non aver notato.

«Ehi, Eva ti abbiamo svegliato?» - le chiese sorridendo Julian con la bocca piena, non senza prima averle guardato bene le gambe generosamente scoperte.

«Ehm, ciao..» - borbottò imbarazzata Lou correndo dietro il divano per evitare lo sguardo impudente di Julian.

«Oh, non fateci caso: lei è sempre di ottimo umore al mattino, vero cara?» - Nur imburrava la sua fetta di pane tostato ridacchiando.

Sta' zitta tu, spogliarellista sfacciata!”.

«Esci da lì dietro, 'Prinsessa': non ti mangiamo, promesso... non ancora.»
Il ghigno di Ville stava toccando le orecchie e la guardava con la testa piegata di lato, sbirciando anche lui le sue gambe nude.

Lo strozzo.”.

Alzò il mento e si avvicinò impettita all'isoletta in cucina, fiondandosi sul caffè che ancora fumante le solleticava le narici col suo familiare aroma.

Si pentì di non aver messo i pantaloni della sua tuta; si sentiva nuda con la sola t-shirt a coprirle il sedere.

Il finnico la teneva sotto stretto controllo con i suoi laser verdi non smettendo di ghignare un secondo, sorseggiando voluttuosamente il suo caffè.

Maledetto.”.

I ricordi della notte appena trascorsa le balzarono tutti insieme alla memoria facendola avvampare.
Si nascose dietro la tazza, cercando inutilmente di non fargli vedere che era arrossita come un'adolescente.

Ville allargò il sorriso da Stregatto come leggendole nel pensiero.
Le tese la mano chiedendo tacitamente di andargli vicino.

Lei strinse gli occhi fulminandolo ma come una falena attratta dalla fiamma non poté evitare di andargli incontro, accontentandolo.
Sarebbe stato lo stesso se le avesse chiesto di saltare nuda attraverso un cerchio di fuoco: avrebbe storto il nasino e borbottato ma lo avrebbe fatto.

La tirò a sé tenendole stretta la mano, poi le passò un braccio intorno alla vita, posandole un bacio leggero sul naso ridacchiando sotto i baffi.
Anche solo averlo vicino le faceva cedere le ginocchia.

«Hai dormito bene, 'Prinsessa'?» - le chiese con voce angelica.
«Benissimo, grazie.» - rispose piatta lei.

Gli altri due che fingevano di essere impegnati con la loro colazione mentre in realtà non si erano persi una virgola della scenetta, scoppiarono a ridere.
Lou divenne rossa come un pomodoro.

«Certo, come no...» - rise Nur mordendosi le labbra piene.

Le dita lunghe e magre di Ville le solleticavano il fianco e i suoi occhi di certo non facilitavano le cose, mentre la sua coinquilina e il suo aiutante pazzo se la ridevano di gusto.

«Oh, finitela di ridere!» - sbottò Lou col viso in fiamme.
«I muri sono così sottili...» - sospirò teatrale Nur.
«E poi siamo contenti per te: abbiamo fatto il tifo per Valo per tuuuuuttto il tempo!» - rincarò la dose Julian.

Lou boccheggiò.
«Siete... siete... disgustosi! Tutti e due!»

«Ville? Caro, potresti dire a suor Lucia che stanotte non ci sembrava così contrariata?»
«Dai smettetela di prenderla in giro... lei tenta di resistermi ma proprio non ce la fa...» - continuò lo Stregatto, dando man forte ai due simpatici umoristi del mattino.

Ville sollevò il viso per guardarla meglio abbagliandola con un sorriso letale.
«Vi odio.»- sentenziò lapidaria Lou sedendosi sulle ginocchia di Ville che era appollaiato su uno degli sgabelli alti.

Per qualche istante dimenticò chi era e chi ci fosse nella stanza con lei, persa com'era nel verde meraviglioso dei suoi occhi.
Alla luce del sole erano ancora più chiari e ora vi notava pagliuzze marrone chiaro e oro; allungati e leggermente in su con le lunghe ciglia scure a fare da cornice...
Gli occhi di un gatto sornione che la stavano amabilmente prendendo in giro e che fissavano le sue labbra.


Bene, almeno non era la sola ad avere pensieri sconci di primo mattino.

Ciao Valo... sei perfetto e io ti adoro.”.

Avrebbe tanto desiderato baciarlo: si limitò invece a posargli un bacio sui capelli legati dietro la nuca col suo amato cipollotto scomposto.

«Oh no, adesso ricominciano a tubare... Julian, magari è meglio andare via prima che inizino a fornicare sul tavolo...» - Nur rise scuotendo la testa.

«Piantala!» - disse Lou troncando la risposta pronta dello spagnolo, non staccando gli occhi da quelli di Ville.

L'idea non era malaccio, in effetti...
Sorrise ai suoi pensieri ormai senza freno, cogliendo un guizzo negli occhi di lui... bene... stessi pensieri.

«Non sul tavolo, magari...» - disse Ville ridacchiando rilassato.
Era così bello vederlo lì nella sua cucina mal ridotta, assolata come di rado capita in Finlandia, con due delle persone a cui lei voleva più bene.

Aveva una leggerezza nuova nel petto che la faceva sentire viva, che le acuiva tutti i sensi.
Aveva paura a dirlo, aveva paura perfino a pensarlo, ma era felice.

Nonostante tutto.
Lei era felice.
Lui era lì, con lei.
La teneva sulle gambe, una mano posata sul fianco a stringerla a sé; ogni tanto quella mano si spostava verso l'incavo dei reni e saliva a sfiorarle la schiena, il braccio...
Tracciando sentieri che lui conosceva bene e che aveva percorso più volte con le labbra, la notte prima.

Si rese conto che se lui era lì con lei niente e nessuno aveva importanza.
Niente le faceva paura.
Sentiva dentro di sé la forza di mille Lou.

Era pronta a superare qualsiasi ostacolo le si ponesse davanti; che fosse il suo ex imbecille o una stangona sexy e dalle gambe lunghe che cantava con il suo principe oscuro entrando a piacimento nella sua Torre, quando lei non ci aveva ancora mai messo piede... non le importava di niente.

Assolutamente niente.
Lei aveva Ville.
Come non lo aveva nessun altro.
Lei aveva Ville e lui... aveva lei.
Completamente, indissolubilmente, senza alcuna via di fuga.
Lui aveva Lou... e Lou ne era felice.






*******






Domenica mattina.
Ma non una domenica mattina qualunque.
Gli occupanti della casa se ne stavano stravaccati in diverse zone del salotto, chi leggendo, chi limandosi le unghie, chi a piedi nudi infilato dentro un paio di jeans scuri, con l'aria più rilassata del mondo elargiva coccole ad una felina in estasi.

Lou osservava tutti con occhio critico mentre rimetteva ordine nel caos lasciato da Nur in cucina.
Non gliela davano per niente a bere... le stavano piantonando casa per paura che Andrea potesse tornare.

«Non avete impegni oggi?» - chiese Lou asciugando le tazze che avevano usato per la colazione.
«Io no – rispose lesto Julian piegando la testa all'indietro per guardarla – sono liberissimo oggi: non ti diamo mica fastidio vero?»
«No, certo che no...»

Se magari la finite di fare le guardie del corpo...”

«Tu Nur? Non hai nessun party, shopping, nulla di nulla?»
«No, oggi voglio rimanere a rilassarmi a casa...» - le rispose la sua amica continuando a limarsi le unghie con aria annoiata.

Guardò Ville interrogando anche lui con lo sguardo.
Lui ricambiò lo sguardo con gli occhi che ridevano.

«Ah, io avevo intenzione di passare tutta la giornata a letto con te.» - disse a voce bassa e roca.

Lou vide mentalmente la sua mascella cadere a terra.
Bene! Un vero e proprio piano a difesa del fortino di Lou!

Sbuffò sonoramente sbirciando Ville che non la mollava con gli occhi neanche per un secondo.

«Non sei d'accordo 'Prinsessa'?»
Le dita lunghe ed eleganti del finnico lisciavano lente il pelo lucido di Katty ed entrambi la guardavano curiosi.
Due paia di occhi felini.

Si schiarì la voce rendendosi conto che tutti ora la guardavano in attesa.

Oh, andiamo! Tutto ciò è ridicolo!”.

«Certo che sì!» - commentò cercando inutilmente di darsi un contegno.

Risatine.
Lou aveva voglia di urlare e prendere tutti a calci e buttarli fuori da casa sua.
Beh, quasi tutti.

«Vado a farmi una doccia.» - disse evitando in tal modo la strage che stava prendendo forma nella sua testolina.
«Da sola?»- chiesero in coro Nur e Julian poi scoppiando a ridere guardandosi.

Oh, che bello... il festival dell'umorismo non accenna a svaporare!”.
Non li degnò di una risposta.

Ville si alzò con mosse sinuose lasciando Katty contrariata sul divano.
«Ovviamente no...» - sussurrò accentuando la sensualità della voce con un ghigno.

«Non posso deludere la mia platea!»- si giustificò allargando le braccia fintamente sconsolato, trattenendo a stento l’impulso di ridere in faccia a Lou che aveva chiazze rosse su collo e aveva le orecchie di un colore rubino.

«Siete impossibili!» - urlò Lou sbattendo la porta del bagno chiudendo fuori tutti.

Che se la ridevano alle sue spalle.
«Dio, dammi la pazienza...» - sbottò prima di infilarsi sotto l'acqua.
Pochi istanti dopo ridacchiava anche lei.






*******






«Che ne dite di andare a fare un giro? Non siete stanchi di stare qui al chiuso?»
La proposta di Julian arrivò qualche ora più tardi.

Il bivacco nel salotto continuava.

Per lo meno avevano deciso di coprirsi e chiudere lì il gioco “Ken e Jasmine al mare”.
Aveva portato a Ville la sua maglietta verde scuro sventolandogliela sotto il suo nasino perfetto, con un sopracciglio alzato come faceva lui.
Non pensava di aver avuto successo ma bene o male lui si rivestì ridendo sommessamente.

«Non ci penso nemmeno...» – rispose Ville allungandosi in tutta la sua altezza sul divano, stiracchiandosi e sbadigliando come Katty.
Sortendo effetti diversi.

Nur era palesemente indecisa: rimanere a casa per più di 12 ore consecutive la mandava fuori di testa e stava già dando i primi segni di insofferenza, alzandosi ogni dieci minuti, girando per casa spostando oggetti a casaccio.

«No. - disse poi scuotendo la testa – Ho detto che oggi stiamo qui e lo faremo!»
Lou alzò gli occhi al cielo lanciando un'occhiata al suo finnico che con le braccia sotto la testa, se la rideva divertito sotto i baffi.

Ridi, ridi Valo... continua a lanciarmi occhiate di fuoco e vediamo se non ti ribalto sul divano...”.

«È inutile che rimanete qui a fare la ronda! Dateci un taglio e sparite!» - sbottò Lou incrociando le braccia sul petto fissandoli con lo sguardo duro.

Ville ridacchiò divertito dalla sua acidità, Julian abbassò la testa ferito e Nur invece la fissò piantandosi davanti a lei a braccia conserte nella stessa posizione.
«Ehi piccoletta, calmati.»

PICCOLETTA A CHI?!

«Zorro, fermale prima che vengano alle mani...» - disse Ville trattenendo a stento una risata, rivolgendosi a Julian che aveva ancora l'espressione di un cucciolo bastonato.

«Valo, fai poco lo spiritoso!» - dissero in coro Lou e Nur girandosi come jene verso di lui.

Scoppiò a ridere con la sua risata a singhiozzi facendo ridere anche Julian.

«Valo, ora ti accoppo!» - urlò Lou in italiano prima di lanciarsi su Ville, planandogli addosso.
Ovviamente lui non si fece cogliere impreparato: la afferrò al volo prima che lei si schiantasse contro i preziosi gioielli di famiglia.

«Oh no, ora ricominciano... - mormorò Nur – Julian! Usciamo a fare quattro passi: mi sta venendo da vomitare!»

«Ecco, bravi andate...» - rise Lou, facendo “ciao ciao” con la mano, troppo concentrata a strofinarsi su Ville per girarsi verso Nur e Julian.
I due scossero la testa ridendo consapevoli che la loro amica li avesse liquidati e anche senza nascondere il sollievo di vederli andare via.

«Sì, ma non cantate vittoria troppo presto: torniamo! Vedete di fare una cosa veloce e sfogarvi, così magari stanotte dormo!»- urlò prima di chiudersi la porta alle spalle, trascinandosi dietro uno spagnolo perplesso.

«Finalmente soli.» - soffiò il finnico sul collo di Lou.
«Mi sembrava che fossi stanco e annoiato... hai persino sbadigliato!»
«Annoiato... non mi annoio mai con te. - il tono era serio – Lou, guardami.»

Non facendoselo ripetere una seconda volta, Lou si scostò quel tanto da consentirgli di guardarla in viso.
Quando la chiamava per nome e non 'Prinsessa' non aveva voglia di scherzare... ormai lo aveva imparato.

Bello... bello da togliere il fiato con la sua espressione seria.

«Non pensare mai, mai che con te io mi annoi o qualsiasi altra cosa ti baleni in quella testolina adorabile ma dal funzionamento strambo... Quando sono qui con te io mi sento a casa, sto bene, riesco a rilassarmi e lasciare indietro tutto quello che non va nella mia vita.
Quando sono con te io dimentico chi sono.
E non pensare che la mia vita sia così favolosa o che sia pieno di amici e di donne.
Non serve che ti dica che molti mi avvicinano solo per il nome che porto e non perché sono interessati a me.
Soprattutto le donne.
Ma spariscono alla velocità della luce quando capiscono che non otterranno mai quello che vogliono o quello che si aspettavano da me... sono scorbutico, antipatico ed esigente.
Con me stesso e con chi mi sta intorno.
Non sono facile, non sono per niente affabile.
Con te...
Quando sono con te tu non mi chiedi nulla.

Tu non ti aspetti nulla da me e questo... questo fa abbassare tutte le mie difese.
Tu vuoi solo avermi vicino, lo vedo nei tuoi occhi quando arrivo da te... non ti importa chi io sia o cosa faccio, non pretendi niente se non stare tra le mie braccia... - abbassò il tono di voce accarezzandole il profilo del viso con le dita – Vorrei che tu potessi sentire che effetto mi fai, vorrei che tu capissi... quanto sei preziosa per me.»

Lou sentiva il cuore battere così veloce che temette di vederselo uscire a momenti dal petto.
La sbirciò da sotto le ciglia scure incatenandola con la giada.

«Ville... io invece vorrei che capissi l'effetto che tu fai a me... - mormorò con l'affanno baciandogli la punta della dita – È vero... a me basta stare con te, tra le tue braccia per essere felice. Non mi aspetto niente... perché averti conosciuto, averti nella mia vita mi sembra già un regalo del destino... il solo fatto che tu mi consideri interessante, carina, mi fa sentire come non dovrei sentirmi, come ho paura di sentirmi.»

«Non ti piace come ti faccio sentire? Hai paura di me? Hai paura che possa farti del male? - le sfiorava il labbro superiore con il pollice – parlami 'Prinsessa'... conosco il tuo corpo ma mi tieni nascosta la parte che vorrei toccare più di ogni altra.»

Lo fissò negli occhi con una domanda muta stampata sul viso.

«Il cuore, 'Prinsessa'... è la parte di te che tieni lontano. E lo capisco, credimi. So bene come ci si sente quando qualcuno te lo prende a calci...»

«Il mio cuore...» - sospirò Lou, scuotendo la testa.

Possibile che non capisse che ormai era in mano sua?

«Pensi che io ti tenga nascosto ciò che provo? Non lo hai ancora capito? - ora il cuore le si era fermato direttamente in gola e la strozzava – Ville, davvero non hai ancora capito che sono pazza di te?»

Il sorriso di Ville le spezzò il respiro.
Dolce, tenero, sensuale, carico di promesse... di parole non dette, di emozioni travolgenti, di profonda intesa... condensate in un semplice sguardo.

Magnifico uomo, magnifico cuore che mi ama, che mi accoglie, magnifica anima che mi accarezza...”

Ville spostò la mano dalle labbra alla nuca avvicinandole il viso al proprio, posandole delicatamente la fronte sulla sua.

«Aspetterò che tu sia pronta. Non importa. Sento quello che senti tu, quando fai l'amore con me riesco a sentirti... e questo mi basta. Nel frattempo... “*Minä jumaloin sinua , Prinsessa'...»




*Ti adoro



******





Eccoci di nuovo qui...

Comunicato per tutte le "donzelle - con passione - da - fabbro" che si erano preoccupate per la maledetta porta e non di Lou e Valo che lo facevano anche appesi al lampadario: mi preme aggiornarvi che la porta è stata sostituita con successo, il Valo era stato precedentemente avvisato dai due guardiani, Lou non gli ha dato modo di parlare perchè gli è saltata addosso in preda a tempesta ormonale.
Pensavo fosse stato abbastanza chiaro ma visto che vi siete tutte preoccupate del fattaccio... xD
Ma secondo voi al Valo sfugge davvero qualcosa?
Dai dai... vi metto la nota, eh!?
Spero di aver dato sufficiente prova di acidità, come si conviene al mio personaggio!
Scherzi a parte, sono sempre più contenta di conoscere nuovi fan grazie a questa storia.
Sono contenta che vi piaccia e che riusciate ad HIMmedesimarvi!

Come sempre un grazie alla mia Beta
Deilantha che appoggia sempre ogni mia follia: grazie mia mugliera! <3
E grazie infinite a tutte quelle dolci donzelle che hanno commentato il capitolo precedente:
katvil, IlaOnMars6277, arwen85, apinacuriosaEchelon, Lady Angel 2002, _TheDarkLadyV_, FloHermanniValo, Izmargad, x_LucyW, FrancyValo , LaReginaAkasha, cla_mika, Emp_MJ.


Song usata per il titolo del capitolo Anthony and The Johnsons. che adorrrrrrrrrrrrrrrrrrrrooo!!!

*scena isterica di un'ora fa con la Beta*

Io:"Non ho un titolo!!!!
Dei: "Doh!".
*segue ricerca spasmodica di un titolo attinente al capitolo.
L'autrice da fondo alle playlist di Spotify; la moglie ride.
Dopo mezz'ora e un orecchio fumante (sì, uno solo) trova il titolo, folgorata dal testo un pò triste, ma con una frase che calza a pennello per il capitolo.
"That's rrrrrright..." [ Cit. a caso, indovinate di chi?]
Un bacio a tutte!
*H_T*


Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo diciassette : “Under a layer of glass” ***



testo.

Image and video hosting by TinyPic



Capitolo diciassette

"Under a layer of glass"





Il tempo passa troppo velocemente quando si è felici.
Giugno si profilava all'orizzonte e Lou viveva uno stato di beatitudine permanente.

Le pareva di avere una paresi facciale, ogni volta che si ritrovava a fissarsi in qualche riflesso: sorriso ebete, come lo chiamava lei, occhi e pelle luminosi (
“Merito del sesso!” - le diceva Nur).
Lei invece pensava che il merito fosse solo di Ville, a prescindere dal sesso meraviglioso che potevano fare.

Era tutto così perfetto che spesso guardandolo, aveva paura che bastasse un solo respiro a farlo svanire.
E invece lui era lì, proprio con lei.
A volte ancora se ne stupiva. È strano come invece ci si abitui presto ai cambiamenti della vita.
Ancora di più alla felicità.

La sua routine quotidiana era cambiata radicalmente eppure era rimasta la stessa.
L'unica nota di colore, il centro focale di ogni sua giornata era quando Ville buttava sul suo divano verde, la giacca e le onnipresenti sciarpine e la prendeva tra le braccia.
Si sentiva in perenne stato di attesa, di ansia, con mille dubbi su quello che stavano vivendo e tutto questo svaniva non appena lo guardava negli occhi.

Tutto il resto del mondo svaniva quando lui appariva.
Tutto il suo mondo erano due occhi verde giada.



*******

Lou guardò con occhio critico il cielo che quella mattina di sabato era di un azzurro intenso.
«Uhm... non mi fido... - disse a Katty che la guardava attenta accucciata sul divano - Che dici, mi porto l'ombrello?»
«Maooo...»
«Sì, forse hai ragione... non può mica piovere con un cielo del genere… o sì?»

Katty la guardava con aria di sufficienza già annoiata dal suo blaterare.
«Ok, rischio.»
Lou prese al volo la borsa e con un sorrisino soddisfatto si attorcigliò al collo la sciarpina viola che Ville aveva dimenticato qualche sera prima.
Era impregnata del suo odore e immancabilmente la sua mente visualizzò immagini ben precise.
E molto, molto sexy.

"Ah Valo, Valo...”.

Chiuse dietro di sé la porta con la serratura nuova e fiammante a prova di ex isterici e ubriachi e si avviò lungo il vialetto diretta come sempre verso casa del Sig. Korhonen.
Non era davanti all'ingresso come di consueto e lei aspettò per qualche minuto ancora, alzando il viso ai raggi del sole godendo del calore piacevole.

«Eccomi cara... - la voce del Sig. Korhonen la sorprese e lei si girò ad accoglierlo con un sorriso – Scusa se ti ho fatto attendere.»

«Buongiorno! - lo squadrò attentamente notando un pallore ed una stanchezza insolite in lui, che era sempre in formissima – Come sta stamattina?»
«Sono un po' stanco, cara... - le sorrise con gli occhi azzurrissimi – Ora ti toccherà darmi il braccio; il mio ginocchio malandato stamattina non vuole saperne di svegliarsi!»

Gli tese il braccio e senza attendere il permesso gli prese dalle mani il carrellino rosso.

Lui le sorrise riconoscente.
«Bella sciarpa! - commentò con gli occhi maliziosi – Ti sta bene quel colore...»
«Ehm, grazie...» - Lou arrossì.
«Si sposa bene con i tuoi capelli.»
«Grazie...» - ripeté ancora, imbarazzata.

Si era sempre chiesta se ci fosse mai stata una signora Korhonen da qualche parte; era curiosa di sapere qualcosa di più della vita del suo amico, ma entrambi erano piuttosto restii a parlare del loro privato. Lou non faceva domande, lui era sempre schivo.

«Prego. È la verità: i tuoi capelli sono così belli da meritare un ritratto.»
«Sig. Korhonen! È il complimento più carino che mi abbiano fatto da molto tempo a questa parte!»
«Chissà, magari un giorno di questi...» - disse pensieroso, a testa bassa.
«Un giorno di questi?» - lo incalzò lei, curiosa.
«Forse ti farò un ritratto...» - sorrise con le mille rughette intorno agli occhi che al contrario dimostravano 50 anni in meno.

Lou lo guardò stupita.
«Lei dipinge Sig. Korhonen?»
«Uhm... sì...- rispose lui ridendo - “Imbratto tele”...»
«Davvero? Non lo sapevo! Perché non mi ha mai detto che dipingeva? Posso vedere qualche suo quadro? - chiese Lou senza prendere respiro – Mi piacerebbe molto!»

Lui scoppiò a ridere.
«Vedremo...»- commentò misterioso.

"Ma come, “vedremo”?!”.
«Ok...- mormorò Lou mordendosi il labbro temendo di esser stata troppo impertinente – Sarebbe bello...»

«Siamo arrivati – tagliò corto lui con un sorriso calmo, indicando con la testa il loro supermarket di fiducia – Oggi c'è molta gente; odio la fila.»
«Oh! - Lou seguì il suo sguardo notando effettivamente un movimento insolito – Ci saranno le offerte!»
«Lo spero!» - commentò acido il suo accompagnatore.
Facendosi largo tra orde di ragazzine vestite in stile gotico e con indosso maglie con il simbolo dell'Heartagram, Lou capì il motivo della ressa.
Alzò gli occhi al cielo: Valo sempre causa di isterismi di massa.

Come le capisco!”- pensò ridendo sotto i baffi.

Lasciò il Sig. Korhonen alla sua spesa e si concentrò sulla propria.

Le ragazzine intanto piantonavano l'ingresso creando non pochi disagi alla clientela.
Speravano forse di avvistare il “suo” finnico?
Le venne da ridere.
Prese il cellulare componendo il numero di Ville, non senza il solito batticuore e senso di disagio.
Aveva sempre il timore di disturbarlo.
Rispose al terzo squillo.

«'Prinsessa', tutto ok?» - le chiese con la sua voce meravigliosa.
«Ciao... non volevo disturbarti...»
Lui sbuffò. Anche i suoi sospiri erano sexy.
«Ti ho già detto che tu non mi disturbi mai.»
«Ok... ehm... pensavi di fare la spesa oggi?» - gli chiese soffocando una risatina.
Vedeva quasi la faccia perplessa di Ville.
«No... perché questa domanda?»
«Ehm... ecco... è bene che tu sappia che c'è un'orda di ragazzine e non solo – disse adocchiandone qualcuna che superava di tanto la ventina – che sono assiepate davanti al nostro supermarket...»
«E quindi?» - chiese acido e infastidito.
«Penso stiano aspettando te...»

Pessima idea chiamarlo per dirgli una cosa tanto stupida.

«Come fai a dirlo?»
«Perchè sono tutte vestite di nero e hanno maglie con l'Heartagram forse?»
«Merda! È iniziata la stagione dei pellegrinaggi.» - commentò sempre più acido.
Lo capiva... non era raro vedere gente davanti il suo cancello in attesa di vederlo uscire dalla sua amata Torre.
Era capitato a volte che lui evitasse di uscire dalla loro casa e tornare nella sua dimora, per evitare di affrontare i fan che non mollavano la loro postazione.
«Mi spiace...» - mormorò lei, desiderando per lui una vita più rilassata, più “normale”.
Lui tornò a sospirare e lei a trovare sexy anche i suoi respiri.

«Mai come in questi casi mi pesa essere ciò che sono e quello che ho deciso di fare... - mormorò Ville a bassa voce – credo che dovrai darmi asilo politico, mia 'Prinsessa'... pensi di potermi sopportare anche per questa notte?»

Come se non sapesse già la risposta...

“Uhm... vedremo... solo se mi ripagherai a dovere: dovrai essere molto convincente però...
»
Dall'altra parte una risatina.

«Finora non ti sei mai lamentata della “mia moneta”...» - disse allusivo la voce bassa e roca modulata ad arte. Oh, se ci sapeva fare!
Poteva fare quello che voleva di lei: bastava che le parlasse.

«Valo... non gongolare. Posso resisterti, cosa credi?»
La risata dall'altra parte del filo divenne scrosciante.

“Maledetto!”.

«'Prinsessa', - sospirò – tu puoi anche resistermi, ma io no. E non ci provo neanche a resisterti.»

Ecco. Gli bastavano due parole e lei era sciolta come in una pozza di miele.

Con la coda dell'occhio vide il Sig. Korhonen che le faceva segno di aver concluso i suoi acquisti.
«Devo andare, Valo... il mio cavaliere ha finito la sua spesa e mi attende impaziente.»
«Allora non bisogna far aspettare il tuo cavaliere... del resto è l'unico uomo di cui non sono geloso. - disse ridacchiando aggiungendo subito dopo – Forse.»

Ti adoro.”.

«Non hai niente da temere, Valo... da nessun essere umano.»
«A dopo, 'Prinsessa'...»
Una promessa di paradiso nella sua voce.


*****

Il ritorno fu più lento ancora dal momento che il Sig. Korhonen faceva più fatica a camminare; questo consentì ad entrambi di godersi la giornata mite.
Lou era preoccupata dal suo respiro affannoso e la smorfia di dolore che accompagnava ogni passo.
Arrivati alla porta si offrì di portare all'interno la spesa del suo amico che la guardò dubbioso indeciso sul da farsi.
Al contrario di quanto avrebbe fatto di solito, Lou insistette e lui acconsentì con una scrollata di spalle rassegnata.

Appena varcata la soglia Lou riconobbe il familiare odore di colori ad olio e trementina.
Si guardò intorno piena di curiosità per la novità di aver scoperto che il suo vecchio vicino avesse in comune con lei: la passione per la pittura.
Non c'era però traccia di alcuna tela o altro che potesse far pensare ad un quadro o qualsiasi altra opera in corso; era curiosa come una scimmia.

Lui indicò con la mano la cucina dove avrebbe potuto sistemare il contenuto del carrellino rosso.
Seguì le direttive dell'anziano notando l'ordine metodico e sistematico con cui erano disposti gli alimenti, i barattoli e ogni altra cosa che le capitava sott'occhio.

Il Sig. K. è più ordinato di noi!” - pensò divertita Lou.

«Ha una bella casa, Sig. Korhonen!» - disse Lou per spezzare il silenzio, guardando i mobili antichi di sicuro originali e non riproduzioni.
L'odore corposo del legno curato con c'era d'api per anni impregnava l'aria.
Mobili scuri, lampade ovunque, foto in bianco e nero e libri, tantissimi libri come altrettanti quadri di diverse dimensioni alle pareti riempivano l'ambiente dando un'aria vissuta e piena.

Il Sig. Korhonen. tolse il cappellino basco a quadretti e la sua giacca, piegandola con cura e posandola su una sedia dalle gambe ricurve.

«Ti ringrazio mia cara... è vecchia quasi quanto me. Posso offrirti qualcosa? Scusa la mia sbadataggine e poca educazione, non sono più abituato a ricevere ospiti.» - si sedette stancamente su una poltrona a dondolo.

«Se mi dice dove trovare il necessario ci penso io.» - rispose Lou con un sorriso.
Le piaceva stare in compagnia del suo vicino di casa: era un'anima affine di un'altra epoca, con chissà quale passato avventuroso alle spalle.
Non aveva mai conosciuto i suoi nonni, morti troppo presto; per cui aveva adottato il Sig. Korhonen.
Provava uno slancio di tenerezza infinito per quell'anziano signore sempre sorridente e gentile, dagli occhi limpidi e intelligenti.

E ora che lo vedeva stanco e pallido era preoccupata: si chiese se fosse davvero solo al mondo come sembrava.
Voleva chiederglielo ma non voleva essere impicciona.

Rispettava la privacy delle persone, aspettando che queste si aprissero con lei secondo i loro tempi e modi.
Forse era perché anche lei in fondo era una persona chiusa, diffidente per natura e molto discreta.
Preparò un tè verde come le aveva suggerito il suo amico, ammirando le tazze di porcellana decorate con minuscoli fiorellini azzurri.

Sistemò tutto, compreso un piatto con biscottini al burro su un vassoio di pesante argento.
Probabilmente il Sig. Korhonen era ricco, considerando ogni oggetto che la circondava.
Anche se molto semplice le fu chiaro che quasi tutto in quella casa aveva un certo valore.

Lou prese una delle tazze porgendola al suo amico, che nel frattempo aveva ripreso un po' del suo colore e di verve.
Lei intanto sbirciava intorno.
«Non vedo i suoi quadri ma sento l'odore dei colori, Sig. Korhonen... dove li tiene nascosti?» - scherzò lei sorseggiando il suo tè.

Le sorrise al di sopra della tazza e si piegò a prendere un biscotto, che sbocconcellò con calma: non sembrava intenzionato a risponderle.
In quel momento le parve così somigliante al suo Ville... da giovane doveva essere stato un bellissimo uomo.
Lou attese paziente.
«Non dipingo più spesso... le mie mani tremano e il pennello ormai non lo gestisco bene... - rispose con un sospiro – ho una stanza dove vado quando mi sento abbastanza... bene da dipingere.»

Le sembrò triste e abbattuto, stanco e perso in qualche angolo della memoria.

«Sono certa che lei è bravissimo, Sig. Korhonen...» - mormorò Lou tanto per dire qualcosa.
Lui rise divertito.
«Sì... non sono male – ridacchiò bevendo il suo tè – o per lo meno, lo ero un tempo...»
«Mi farà vedere qualche suo quadro prima o poi?» - chiese Lou impaziente, sperando che le dicesse che poteva farlo subito.
«Un giorno forse, mia cara... un giorno...”.

Cercò di dissimulare la sua delusione e gli sorrise.
«Ci conto... è una promessa, Sig. Korhonen!»

Lui per tutta risposta si alzò dalla sua poltrona e le disse di aspettare, allontanandosi lentamente sparendo in una delle stanze che davano sul corridoio.
Forse era quella la famosa stanza dei quadri.
Lou ne approfittò per guardarsi intorno con sfacciataggine.
Si alzò per poter vedere meglio le innumerevoli foto appese alle pareti.
Sfiorò con le dita le cornici d'argento che racchiudevano i pezzi di vita del suo misterioso amico.

C'era una donna dai lunghi capelli scuri e forse ricci, a giudicare da qualche ciocca ribelle che sfuggiva dalla sua acconciatura raccolta, che era presente in moltissime foto: una bellissima donna sottile e slanciata, dal sorriso contagioso e gli occhi che dovevano essere stati chiari, non sapeva dirlo dal momento che quasi tutte le foto erano in bianco e nero.

Una attirò particolarmente la sua attenzione: una coppia, entrambi vestiti di bianco.
In un giardino, forse di notte, illuminato da mille luci e lanterne.
Lei indossava un meraviglioso abito da sera, pieno di cristalli... dalle spalline sottilissime; un vestito che accarezzava il suo corpo snello come una seconda pelle.

Era abbracciata ad un uomo dai capelli chiari e folti, dal sorriso affascinante e denti bianchissimi.
La cosa che la colpì maggiormente fu la posa insolita della foto: non erano rivolti verso l'obiettivo ma si guardavano negli occhi, totalmente estranei a tutto ciò che era intorno a loro.
Lei col viso alzato verso quello di lui, con sorriso dolce e sensuale allo stesso tempo, una mano sottile ed elegante appoggiata al petto dell'uomo, la testa reclinata all'indietro, come se fosse in attesa di un bacio... il braccio di lui la teneva stretta a sé, l'intero corpo di lui era come piegato verso quello della donna, anche se la sua posa era eretta.
C'era una tale passione, una totale intimità in quella foto che lei si sentì quasi una spiona che sbirciava attraverso una porta.

Era il Sig. Korhonen l'uomo della foto, ne era certa.
Il sorriso era lo stesso anche se negli anni aveva perso il candore della gioventù e il brio.
Chi era quella donna bellissima che era con lui?

Continuò ad ammirare le foto alle pareti, tornando di tanto in tanto a guardare la foto della coppia.

«Oh, merda! - esclamò in italiano - Non posso crederci!»

Ad occhi sgranati fissava la foto che ritraeva quello che ormai era chiaro fosse il Sig. Korhonen, seduto in posa da dandy consumato insieme ad un altro uomo che lei conosceva bene, visto che era uno dei suoi pittori preferiti, Marc Chagall!

Si avvicinò ancora di più per vedere meglio, certa che si stesse sbagliando.
Probabilmente erano in uno studio, davanti ad una spaziosa finestra: attorno a loro c'era uno spazio vuoto, ma si intravedevano tele e cavalletti, barattoli di colore, pennelli sparsi a terra, stracci sporchi...
No, era proprio lui e a conferma c'era la scritta in basso a lato della foto, vergata a mano in elegante corsivo : “Aappo and Moishe – Paris 1949”.

Mio Dio...” - si aggrappò al mobile.

Si era appena ripresa dallo shock quando i suoi occhi si posarono su una tela minuscola, non più di 20 x 15 cm, in una cornice dorata.
La voce si spense del tutto.
Avrebbe riconosciuto quelle pennellate anche da orba, con un occhio solo e l'altro bendato.

Non poteva essere vero!
Lì davanti ai suoi occhi increduli e spalancati c'era un autentico Chagall.
Non aveva mai visto prima quell'opera, era assolutamente sconosciuta, anche se ripeteva il tema degli amanti volanti. Stavolta il cielo era violaceo e soltanto sulla sommità estrema del quadro diventava di un blu cobalto, tipico dell'artista.
Al centro, sotto una luna verde c'erano gli sposi, o quelli che dovevano essere tali: visibili erano solo i due volti dell'uomo e della donna, i capelli lunghi e scuri di lei, le mani intrecciate: il resto era una nuvola bianca e vaporosa, fluttuante, che lasciava dietro di sé un scia di miriadi di stelle.
Era stupendo. Si sentiva addosso l'emozione di sempre, di ogni volta che si trovava davanti ad un quadro.
Le veniva da piangere per quello che il quadro, così piccolo e modesto le ispirava: un amore magico, perfetto.
Un amore capace di farti volare.

«Bello, non è vero?»

L'anziano le era accanto e lei persa com'era ad ammirare il quadro, non se n'era resa conto.
«Sig. Kohronen... ma... questo è... questo... ”- Lou neanche riusciva a pronunciarlo.

Lui rise dolcemente.
«Sì, è uno Chagall. Ma mi piace pensare che sia prima di ogni cosa, il regalo di un mio caro amico, il suo modo per augurarmi una vita felice con la donna che amavo. - disse guardando anche lui il quadro – Che amo...»- si corresse con un sorriso triste.

La domanda sul chi fosse la donna le premeva sulla lingua.

«È stupendo... non ho parole per descrivere quest'opera...»

«È come dovrebbe essere il vero amore: totale liberazione dei sensi, un volo nella fantasia, l'amore come unico sollievo dei mali della vita, libertà, elevazione di spirito... l'amore come cura, come balsamo per l'anima, come fonte di gioia... quello che fa fare cose impossibili, quello che va oltre, che lega due persone per sempre... per l'eternità.»

Le parole del Sig. Korhonen le perforarono le orecchie arrivando come bombe al centro del suo petto.
Era esattamente quello che pensava lei, non solo davanti a quell'opera.
Ogni volta che posava gli occhi su un quadro di Chagall lei si emozionava, si commuoveva.
Faticando a non piangere come una stupida deglutì più volte prima di riuscire ad emettere un suono.

«Chi è la donna del quadro, Sig. Korhonen?»
«Quella donna è la custode della mia anima...» - rispose il suo amico prendendo la foto che lei si era soffermata ad ammirare.
«Maili...» - disse in un soffio lui con la voce spezzata.
«Dov'è adesso?»
Il Sig. Korhonen si girò a guardarla sereno.
«Mi sta aspettando in quello stesso cielo dalla luna verde.»


******




Ancora scombussolata dalla scoperta e dalle emozioni vissute in quella casa che visitava per la prima volta, un amico che fino a quel mattino lei non aveva mai immaginato potesse avere quel passato, quei segreti e quell'amore assoluto per l'unica donna che lui aveva detto di aver amato, Lou rientrò in casa.

Con la sensazione di avere avuto per tre anni dall'altra parte del marciapiede un mondo meraviglioso che il Sig. Korhonen nella sua solitudine si portava dentro.

Aveva lasciato il suo vecchio amico quando si era resa conto che lui aveva bisogno di riprendersi il suo spazio, di voler restare solo e tenere quella foto di un tempo lontano tra le mani.
Quelle mani che ora non gli permettevano più di dipingere come un tempo.
Quelle mani nodose che lei si chiedeva ardentemente cosa avessero creato nel corso degli anni.
Quelle mani che chissà quante volte avevano accarezzato i lunghi capelli scuri di Maili, il suo volto, il suo corpo con passione, amore e devozione.
Quella stessa devozione che ora lui condensava in una carezza ad un viso cristallizzato nel tempo, racchiuso in una cornice, sotto uno strato di vetro.


******




"Orbeneeeeeeeeeeeeeeeeeeeee ciaooooooooo!
So che vi ho fatto attendere e ho rischiato la vita con qualcuna di voi, ma capitemi... c'ho da fà! XD
Mese HIMpegnativo per noi HIMmiche e quindi tra una cosa e l'altra non ho avuto tempo di dedicarmi molto ai nostri beniamini EPFiani...
ma ci sono eh?
Tranquilli che la storia va avanti, anche se a rilento...
Grazie infinite a tutte per il vostro sostegno e affetto costante, sono HIMmensamente felice di avervi conosciuto!
E ora... torno al mio lavoro!
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo: vi avevo anticipato che il Sig. K. avrebbe avuto maggior spazio nei prossimi capitoli e così sarà... spero sia di vostro gradimento.
(Per chi mi minaccia che ci sia poco Valo: abbiate fede e non temete che le vostre fantasie verranno sempre esaudite... lol); la storia sta prendendo un'altra forma e quasi si scrive da sola... a presto!

Come sempre un grazie alla mia Beta Deilantha che appoggia sempre ogni mia follia: grazie mia mugliera! <3
E grazie, mille volte grazie a tutte quelle dolci donzelle che hanno commentato il capitolo precedente:
katvil, arwen85, apinacuriosaEchelon, Lady Angel 2002, _TheDarkLadyV_, Izmargad, x_LucyW, FrancyValo , LaReginaAkasha, cla_mika.


*H_T*

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo diciotto: “Luna verde e marmellata di ciliegie” ***



testo.

Image and video hosting by TinyPic



Capitolo diciotto

"Luna verde e marmellata di ciliegie"





"Mi sta aspettando in quello stesso cielo dalla luna verde.".


Le parole del Sig. K. le erano rimaste impresse per la loro pacata forza e rassegnazione, lasciandole addosso una profonda tristezza.
Avrebbe voluto chiedere qualcosa in più, consolare il suo amico in qualche modo.


Lei era morta? Come? Cos'era successo?
Tutte quelle domande e un'infinita pena albergavano nella sua testa mentre faceva le pulizie in casa.
Ridacchiò nel vedere Katty particolarmente agitata quando passava l'aspirapolvere dove lei era accoccolata e saltare continuamente sui mobili allontanandosi dall'aggeggio infernale.
In più stava iniziando un temporale con i fiocchi e la sua felina, non amava affatto i lampi e i tuoni: si rifugiava sempre tra le sue braccia, evento rarissimo vista la sua allergia agli umani che non fossero Ville.


Pensava di continuo a quell'opera stupenda sforzandosi di vederla solo come un regalo da parte di un amico, ma le riusciva difficile: per lei era qualcosa d’inestimabile valore ancor più perché non lo aveva mai visto prima e pensava proprio che fosse sconosciuta ai galleristi di tutto il mondo.
Il Sig. K. la teneva nascosta e il suo lato professionale anelava a prendere in mano quel quadro per poterlo studiare... mentre la parte romantica di lei voleva conoscere la storia dietro quel regalo, sapere chi era Maili e cosa le fosse successo.


Dopo aver lustrato ogni superficie era ancora piena di adrenalina addosso: non riusciva a stare ferma.
Il ronzio del suo cellulare la distrasse dai pensieri.
Un sms.


RISPONDI IMMEDIATAMENTE A QUELLE DANNATE MAIL, BRUTTA VACCA!”.


Scoppiò a ridere.
Simone!

Aveva ragione: erano settimane che non apriva il suo computer.
Tra lavoro, Katty e Ville lei non pensava ad altro.


Con una risatina accese il suo malandato computer: Simone doveva essere furibondo.
Aveva la bellezza di 59 mail, la maggior parte spam e una decina da parte di Simone.
Aprì l'ultima che risaliva alla sera prima, preparandosi mentalmente al delirio del suo migliore amico.


Adesso mi hai rotto le palle, eh?!
Ma insomma porca zozza che non sei altro, ho capito che ti trombi il finnico in tutte le posizioni del Kamasutra e su ogni superficie scopabile, ma ricordati anche di me, eh? Cazzo!


E ricordati che fra due mesi devi essere qui alla mia sfilata o giuro che vengo a prenderti per i capelli.
Porca! :P
Sono pieno di lavoro fino alla cima dei miei splendidi capelli biondi.
Non ho neanche il tempo per una ceretta! Dio!
Non parliamo poi di fare qualsiasi “attività fisica”: appena le mie terga marmoree e stupenderrime toccano il letto, l'unica cosa cui penso è russare e cadere nell'oblio fino al mattino successivo!
Sono stanco!
Tutto sta procedendo come stabilito, ma mi conosci: sono un perfezionista...
(lo so che stai storcendo quel nasino a patata e stai pensando “No, sei pesante!”. Baldracca, ti vedo!)


Ho delle novità anche io... ho conosciuto uno. u.u
Si chiama Beppe.
Dico io: non potevo conoscere un Alistair, un Edward, uno Charles?
No. Beppe.
Fanculo. Non si abbina al mio fascino.


A parte gli scherzi... non so ancora cosa fare.
È molto carino e serio.
Troppo per me.
Ma riesce stranamente a rilassarmi e darmi la tranquillità che non troverò mai...
Lo conosco da un paio di settimane e già mi ha chiesto di andare a vivere insieme.
L'ansia!!!
Mi ci vedi?
Io che vivo come una normale coppietta.
Io che fuggo nell'oscurità dopo incontri promiscui e non porto mai nessuno a casa mia, dividere lo spazio vitale con qualcun altro che non sia tu o Mara.
Devo pensarci... sono confuso.
Vieni presto. Ti voglio bene.
Tuo Will...”.


Lou sbatté gli occhi incredula: la mail che era iniziata con minacce ed insulti si era rapidamente trasformata nella “Posta del cuore di Will”, con tanto di sviolinata finale.
L'amore rende davvero tutti cretini?


Era contenta per lui: il suo amico non si innamorava seriamente di qualcuno dai tempi dell' Accademia.
Aveva avuto una prima relazione disastrosa che lo aveva profondamente ferito.
Dopodiché era iniziata la fase promiscua che a quanto pare si era interrotta solo con questo famigerato Beppe.
Se il suo amico non faceva il solito stronzo e si lasciava andare, magari lei avrebbe fatto in tempo a conoscere Beppe.


Rispose subito, cercando le parole adatte.


Will... sono così contenta per te!
Scusa se non ti ho risposto: sono talmente presa da tutto quello che sto vivendo che non ho pensato al fatto che tu mi avessi scritto...
(Ti rendo partecipe che ormai ogni superficie è stata usata e testata: grazie per il tuo interessamento! :P )


Oh, Will... io sono felice, davvero...
Ville mi rende felice e spero che valga lo stesso per lui.
E sono immensamente contenta che tu abbia conosciuto quest'uomo che ti fa da calmante... ne hai bisogno! :D
Non vedo l'ora di rivederti, di conoscere questo Beppe ( non è malaccio il nome, dai... xD);
e ovviamente sarò alla tua sfilata, sai che non me la perderei per nulla al mondo!!


Ti giro il consiglio che mi hai dato tu qualche mese fa: lasciati amare, viviti tutto quello che viene, senza pensare, senza negarti nulla... l'amore non si rifiuta, tesoro.


Me lo hai detto tu.
Quindi ora fa' lo stesso anche tu: lasciati andare e non avere paura dei legami...
Sarò presto da voi...
Ti amo tesoro!
Tua Grace...”.


Voleva che il suo Will potesse trovare l'amore che meritava una persona speciale come lui.


Dietro la superficialità ostentata di Simone c'era un mondo fatto di sentimenti ed emozioni profonde e pure: e lei lo sapeva meglio di chiunque altro.
Doveva solo permettere agli altri di avvicinarsi.
Un po' come lei.
Scorse le altre mail trovando quelle di Simone che decise di leggere in seguito, poi una di Mara che aprì con felicità.
Era così raro che la sua indaffarata amica trovasse il tempo di scrivere.


Ciao, mia piccola patatina adorata al freddo!
Come stai? Cosa mi racconti?
Ho sentito quello scriteriato di Simone, sempre di sfuggita e delirante; mi ha raccontato sommariamente il suo soggiorno lì da te, ma è stato sibillino sul fronte “amore”.
Vuota il sacco... che mi sono persa?
Lui ha tenuto la bocca cucita: strano a dirsi, eh?
Mi ha suggerito di chiedere a te, facendo quel suo sorriso da satiro bastardo di chi la sa lunga...
lo detesto quando lancia anagrammi senza poi parlare!!! >.<
Che mi nascondete?
C'è qualcosa che DEVI dirmi? :)
Su, avanti dillo a zia Maruccia tua...


Stamattina sono stata dalla mia dottoressa che mi ha fatto l'ecografia.
Tesoro, non sai che emozione vedere sullo schermo il cuore della mia piccolina che batteva!!
Sì, perché è una femmina!!!
Karl è impazzito di gioia alla notizia: in casa sua sono tre fratelli e non vedono l'ora di viziare schifosamente la bimba!
Stiamo litigando sul nome da dare alla piccola: dopo una lotta all'ultimo sangue, siamo giunti ad una tregua e siamo indecisi tra Evangeline e Karola.
Ovviamente vincerò io e la chiameremo Evangeline... :D
Le nausee mi stanno ammazzando e il caldo non mi aiuta: qui è scoppiata l'estate torrida in un colpo solo!
Ho i piedi che sembrano due fagotti e sono perennemente stanca... ma sono felice.


Non vedo l'ora di rivederti, mi manchi un sacco... ti voglio bene, patata.
Nel frattempo che tu raccolga le idee e trovi una balla da rifilarmi per la storia dell' “uomo misterioso” di cui non mi hai parlato, ti mando una cosina che ho qui tra le mani da stamattina...
tua, Mara.”


Lou sorrise contagiata dall'entusiasmo della sua amica che traspariva anche dalla mail.
Aprì l'allegato immagine che era nell'e-mail e il suo sorriso si allargò: Mara le aveva fatto una scansione dell' ecografia.
Un piccolo fagiolino al centro di una massa che non sembrava ancora avere forma precisa...


Perché batte il cuore?”


Soffocò la punta d’amarezza e invidia.
Pensò di stampare la foto inviatale da Mara; quando questa scivolò fuori dalla stampante la rigirò fra le mani a lungo, pensando al suo bambino e al fatto che non c'era neanche stato tempo di capire se fosse maschio o femmina.


Niente rimpianti Lou...”


Infilò la stampa nella cornice con tutte le foto più importanti, dove prese il posto di uno scatto di un tramonto di cui non ricordava assolutamente nulla: quello meritava di stare sicuramente tra le cose più care.
Sfiorò con un dito il profilo del naso minuscolo fatto di pixel della bimba di Mara.


Ti invidio amica mia, sorella, mia anima affine e sono così felice per te... ti auguro ogni felicità di questo mondo...”.


Tornò al computer scorrendo velocemente il resto delle mail.
Quelle di Simone avevano tutte più o meno il tono minaccioso delle altre e lei passò qualche minuto a leggere i deliri del suo amico, ridacchiando.


Trovò anche una mail di suo fratello minore, Livio: evento raro.
Lui non si degnava mai di rispondere alle sue.


Ciao sgorbietto!
Che combini di bello?
La mamma ci ha costretti a mettere ordine nelle nostre stanze e guarda un po' cosa ho trovato?
Poi non lamentarti se ti chiamavano “rospetto”!!


In allegato c'era una foto di almeno 25 anni prima che la ritraeva all'età di quattro o cinque anni, con una salopette a quadri di indefinibile colore dal momento che la foto era seppiata e anche vagamente sfocata.
Suo padre le aveva scattato quella foto rincorrendola per tutto il giardino.
Anche da piccola lei odiava stare ferma e mettersi in posa come un bambolina.
Preferiva correre e giocare con i suoi amichetti.
Sua madre insisteva nel vestirla di pizzi e fiocchi, facendole codine e trecce, col risultato che lei tornava sistematicamente sporca e con i vestiti strappati.
Così suo padre le aveva comprato una serie di salopette colorate e simpatiche che lei aveva accolto con gioia: in quel modo poteva correre e saltare, arrampicarsi sugli alberi e giocare a palla senza paura di rovinare niente!
Suo padre era riuscita a tenerla ferma il tempo necessario di uno scatto.
La piccola Lou in mezzo al cortile assolato aveva un pallone tra le mani e due treccine sbilenche e sfatte, che lasciavano sfuggire i rossi ricci ribelli da ogni parte.
Uno sbaffo di marmellata di ciliegie, la sua preferita da sempre, all'angolo della boccuccia che era piegata in una smorfietta verso l'obiettivo; suo padre adorava farla arrabbiare.
Lou rise nel vedersi così piccola e provò tenerezza verso quella bimba ancora ignara del futuro.
Quella bimba che aveva come unico problema quello di giocare il più possibile con i suoi amici...


Continuò a leggere la mail di suo fratello:
Eri proprio carina però... ti sei rovinata nel tempo! :P
Ne ho trovate anche altre ma ora devo andare, te le mando la prossima volta!
Ciao sgorbio, ti voglio bene!
Liv.”.


Sempre sintetico e di corsa sua fratello... le mancava la sua famiglia.
Era davvero troppo tempo che non li vedeva e non aspettava altro che poterli riabbracciare.
Stampò anche la foto della piccola Lou e la infilò nella cornice dello specchio.
Ecco: così non avrebbe mai dimenticato la bambina che era stata, quella bambina alla quale spesso dimenticava di dare ascolto...
Rispose alla mail di Livio chiedendo notizie degli altri componenti della sua strampalata famiglia.


Poi passò a quella di Mara: da dove iniziare?


Ciao, mio amore!
Sono così felice per te!
Immagino già Karl fare il papà... sarà gelosissimo della sua piccola principessa, ma sono certa che sarà un padre eccezionale come tu sarai una madre unica e speciale!
Non vedo l'ora di potervi vedere...
Sono d'accordo con te: Evangeline è decisamente meglio!
E sono sicura che riuscirai a piegare il gigante teutonico al tuo volere, come sempre!
Mi mancate...


Io sto bene... pretenderò la testa di quella checca isterica su un piatto d'argento!
Volevo raccontarti io tutto e speravo di farlo dal vivo, senza un pc tra di noi... ma passerebbe troppo tempo.
Non posso essere lì prima di due mesi...
Da dove inizio?
È difficile da raccontare...


Sono innamorata e sono felice.


Non lo cercavo, non me lo aspettavo, non lo volevo... ma è arrivato.
Quando pensavo che non sarei più stata in grado di amare qualcun altro, che non mi sarei mai fidata di un altro uomo, che non mi sarei più fatta avvicinare e toccare da nessuno... è arrivato lui.
Oh, è così bello, Mara... è bellissimo e dolcissimo...
È divertente, sexy... mi fa ridere, mi rende serena... mi fa sentire amata...
È speciale... a volte ho paura di non meritarlo, di non essere abbastanza per lui.
Ma mi basta vedere come mi guarda per sentirmi meglio, per sentirmi a posto col mondo intero...
L'ho avuto per tre anni a portata di mano e non mi ero mai accorta di lui, del prezioso tesoro che era così vicino...
A volte le cose belle non riusciamo a vederle, neanche quando sono sotto il nostro naso...


Ringrazio ogni giorno la micetta che si è persa nel mio vialetto.
È grazie a lei che ci siamo incontrati... tu che credi nel destino, cosa vedi in questo avvenimento?
Vorrei stare qui a parlarti per ore di lui e di come mi fa sentire... di quello che provo ogni volta che lo vedo, di come mi tremano le gambe ogni volta che lui mi sfiora, di come tocco il cielo ogni volta che incrocio i suoi bellissimi occhi verdi... vivo costantemente nell'ansia di vederlo apparire sulla mia porta.


Anche ora, in questo momento che sto scrivendo a te che sei una parte della mia vita, la mia amica più cara, al solo pensiero di lui mi emoziono... mi batte il cuore...
Lo amo... vorrei che tu lo vedessi, che ci vedessi insieme.
Vorrei che tu lo conoscessi e vedessi che persona è...


Mi fido solo del tuo giudizio.
Non hai sbagliato una sola volta... avrei dovuto darti ascolto quando mi consigliavi di lasciar perdere Andrea...


Mara... ho soggezione anche a dire il suo nome... per cui ti mando una sua foto.
E poi aspetto che tu mi risponda.


Ti voglio bene.
Sii felice per me, come io lo sono per te...
Ti voglio bene, vi voglio bene... a tutti e tre.
Lou”.


Allegò una foto recente di Ville che aveva rubato quasi ad occhi chiusi da internet per paura di leggere cose che non avrebbe gradito e inviò la mail.


Mara sarebbe impazzita.
Conosceva bene la sua amica dall'animo gotico: avrebbe iniziato ad elencare aggettivi alquanto piccanti su Ville che rientrava pienamente nei suoi canoni di bellezza.
Aveva sempre preferito al contrario di lei, ragazzi meno appariscenti, poco muscolosi e dall'aria intellettuale e romantica.


Ville le sarebbe piaciuto. Ne era certa.
Avrebbe voluto così tanto averla vicina in quel momento.


Mara le aveva sempre dato forza e allo stesso tempo la spronava a non tenersi dentro quello che provava: era un sostegno nei casi disperati.
Sapeva sempre trovare la parola giusta al momento giusto, nel suo modo dolce e pacato di essere.
Una presenza sicura e costante che l'aveva sostenuta per un terzo della sua vita.
Mara era con lei ogni volta che Andrea la faceva stare male, ripetendole di lasciarlo, di liberarsi di lui... disapprovava senza nasconderglielo e lo palesava anche a lui.
Quando lui l'aveva lasciata, Mara le aveva detto che era la cosa migliore che potesse capitarle.
Era stata felice.
Lou si era risentita della felicità della sua amica davanti alla sua tragedia, anche se sapeva che era soltanto per il suo bene che Mara si comportava così.
Nonostante fossero in due paesi diversi e lontane migliaia di chilometri, non l'aveva mai fatta sentire abbandonata a se stessa.
Aveva così bisogno di parlare con lei in quel momento.
La sua sincerità su ogni cosa, dalla più piccola a quella più importante erano un tratto distintivo del suo carattere.
A volte l'aveva spiazzata con il suo giudizio lapidario, ma mai una volta questi si era rivelato avventato.
Dopo la storia con Andrea aveva giurato a se stessa che da quel momento in poi, avrebbe ascoltato sempre il parere di Mara.


Lasciò acceso il pc, nella speranza che Mara le rispondesse subito, rassicurandola come ogni volta, mentre decideva cosa mettere quella sera; non che servisse a molto, pensò ridendo tra sé e sé... non aveva intenzione di rimanere vestita per molto dal momento in cui Ville avrebbe varcato la soglia di casa.


Rimase a guardare il suo armadio aperto con occhio critico, sbirciando il vestito blu che le aveva regalato Nur.
«No! - si disse – non è proprio il caso, Lucia! Che ti sei messa in testa? Di fare la modella? Valo non ha bisogno di questo... O sì?»

Katty la guardava curiosa dalla sua postazione al centro del letto.

«Che ne dici? - si rivolse alla sua amica felina che continuava a guardarla con aria vagamente contrita: la stava per caso compatendo? - Beh...»


Non era neanche sicura che Ville sarebbe andato da lei quella sera...
Nella sua mente stava prendendo forma la prospettiva di una serata romantica a lume di candela.


Non fare stupidaggini!”.
«Oh, al diavolo! - sbottò infastidita – Adesso basta con dubbi e atteggiamenti da bambina!»


Avrebbe organizzato una serata romantica per l'uomo che amava, si sarebbe fatta carina e vestita per lui!
E cosa c'era di meglio per il suo finnico, se non una pizza?
Questa volta l'avrebbe preparata solo per lui...


Dio, come mi sento stupida...”.


Si mise al lavoro: non sarebbe stata una cenetta chic ma sperava che lui avrebbe gradito.
Mentre la pasta lievitava cambiò le lenzuola del letto e dando uno strappo alle sue regole, rubò dalla camera di Nur le sue lenzuola avorio di seta.
Era certa che non avrebbe avuto nulla da ridere.
Anche perché era lei a lavarle, sempre.


Le servivano delle candele profumate.
Rovistò in casa, trovando ancora quelle che avevano usato per la cena con Simone e Julian, quella prima volta, ormai mesi prima.
Le disseminò per la stanza ma non aveva nessuna candela profumata... pazienza!
Ricordò che Simone a Roma, spruzzava sempre il suo profumo personale sulla lampadina accesa, così che il profumo evaporando, avrebbe riempito la stanza della stessa fragranza che portava addosso.
Lei fece lo stesso con il suo e optò per spruzzarne qualche goccia sulle lenzuola; non voleva stordire il suo finnico con olezzi troppo forti.
Sistemò come le aveva insegnato Simone un foulard sulla lampada, pregando dentro di sé che non prendesse fuoco... pareva facesse atmosfera.


Quando le sembrò che la sua stanza avesse un'aria più intima e sofisticata, tornò ad occuparsi della pizza.
Era diventata così veloce nel prepararla che ormai le veniva naturale e finì prima che se ne rendesse conto.
Pensò di strafare preparando anche una mousse che avrebbe accompagnato con la sua amata confettura di ciliege.


Ridacchiò ricordando la scena hot cui la sera della prima cena insieme, Valo l'aveva soggiogata.
Non che avesse bisogno d’aiuto per farlo... gli bastava respirare.
Il ricordo di Ville che leccava via la marmellata di ciliegie dalle sue dita le faceva ancora un effetto devastante... sentì la familiare contrazione.


Torna in te, maledizione!”.
Era la prima volta che cucinava per Ville, per loro due soli e non per una cena con amici.


Questo la faceva sentire vagamente a disagio.
Lo vedeva come un tacito impegno, una cosa assurda dal momento che era Ville in primis a darle modo di pensare che tra loro ci fosse un legame... ma cucinare per l'uomo che ami.
Lou cercò di non lasciarsi andare a giri pindarici e farsi prendere dall'ansia.
Era solo una cena. Punto.
Dovevano pur mangiare, no?


Bugiarda.”.


Katty curiosava annusando in giro.


«Scendi, Katty! Non sta bene gironzolare dove sto lavorando! - spinse delicatamente da parte la micetta, che miagolò offesa - Su fa la brava, piccola...”.
Ma la pelosetta era decisa a darle fastidio infilandosi tra i piedi, rischiando di farla cadere.
Quando tutto fu pronto decise di farsi una doccia veloce per togliere ogni traccia di odore dalla pelle: prese Katty e la portò con sé al bagno.
Avrebbe evitato che la dispettosa facesse danni in sua assenza!


Non voleva perdere tempo facendo un bagno, per cui si infilò sotto il getto della doccia lavando velocemente i capelli e sciacquando via dal corpo la schiuma profumata del bagnoschiuma, quasi sicuramente molto costoso, di Nur.
Qualche minuto bastò a rinvigorirla e poco dopo si avvolse nel morbido accappatoio verde e usufruì ancora delle creme corpo che Nur comprava e abbandonava quasi nuove, dimenticandosene.
Quella che stava usando ora aveva un delicato profumo misto di muschio e rosa, le piacque molto perché non era eccessivamente profumata e sperava non avrebbe infastidito Ville.

Mi piace l'odore della tua pelle... sai di miele e sole...”.

Rabbrividì al ricordo della voce di Ville, quella prima volta.

In camera era indecisa su cosa mettere.
Guardò ancora una volta il vestito blu coperto di cristalli.
Perché no? Avanti Lucia, sputtanati del tutto: tanto ormai non puoi più barare...”.


Tirò fuori con un gesto deciso il vestito e lo spianò con cura sul letto, mordendosi le labbra pensierosa.
Non era certa di avere un paio di scarpe adatte al vestito e anche volendo prenderne in prestito uno di Nur, non avrebbe risolto granché: la sua coinquilina aveva i piedi di due numeri più grandi dei suoi...
Pensò di rinunciare all'idea sciocca di vestirsi a festa.
Era solo ridicola quando cercava di essere sexy e carina...


Si figurò mentalmente la sua amica che scuoteva la testa, incrociando le braccia e guardarla con aria di rimprovero.
Perché mai si faceva così tanti problemi?
Cosa aveva da perdere mostrandosi carina agli occhi dell' uomo che amava?
Di cosa aveva paura? Di dimostrare quanto ci tenesse a lui?
Di quanto volesse che lui la trovasse bellissima e guardasse come se volesse mangiarla?


Un bip che proveniva dal pc acceso la riscosse dalle sue elucubrazioni vestiarie e non; sperava fosse la risposta di Mara e in effetti era proprio una mail della sua amica che lampeggiava con “CHE COSAAAAAAAAA!??” come oggetto a caratteri cubitali.
Sorrise e aprì la mail:


CHE SIGNIFICA QUELLA FOTO?!?! Dio santo, non mi stai prendendo per il culo, vero?!
VILLE VALO?! Oh signore, mi sento male!
Ho le caldane!
Luly, ti prego dimmi che non è uno scherzo… nelle mie condizioni non posso agitarmi in questo modo….
Dio, che figo assurdo!!!
Cioè ti frequenti con VILLE VALOOOOO?!
Cosa aspettavi a dirmelo?!
Devo calmarmi: sembro una fan esagitata e isterica…
Dove? Come? Quando??
Voglio sapere ogni cosa, ogni dettaglio e quando dico OGNI DETTAGLIO, intendo TUTTO!
Ok, ok… sono calma… (Col cacchio!! VILLE VALOOOOOOO!)
È tutto a posto…- respiro-… giuro che non riesco a crederci...
(Natale mi guarda preoccupato).
Luly! VILLE VALO!
(sì, continuerò ad urlarlo per tutta la mail, sappilo!).


Ok, torno in me.
Allora, cerco di recuperare un pò di buonsenso e lascio da parte la fangirl che si agita isterica in me.
Per quanto io possa essere esaltata dal fatto che ti frequenti con uno degli uomini più fighi e sexy del mondo, è pur sempre un uomo e sai come la penso.
Quindi inizio con il tirarti le orecchie.


Non dimenticare la tua precedente relazione e non ripetere lo stesso errore di vivere per lui, aspettando ansiosa come Penelope, nonostante sia VILLE VALOOOO!!!.
Non annullarti per lui, per quanto figo e bello e sexy e speciale possa essere.
Non sentirti mai, e dico MAI inadatta, non sufficiente, poco attraente o qualsiasi altra cosa ti passi per la testa!
Non dimenticare chi sei, i tuoi sogni, i tuoi desideri e te stessa!
Ci sei già passata.
Non è il caso che tu ripercorra ancora una volta lo stesso percorso, vero?
Amalo, fatti amare ma rimani in contatto con Lucia.
Sempre e comunque.
Devi lasciarti andare ma non nel modo in cui sei abituata a farlo tu: o rimani sulle tue e non permetti a nessuno di avvicinarsi, oppure perdi completamente la testa e il controllo.
Ma... a parte queste raccomandazioni, non sai quanto sia contenta di saperti innamorata!
Non sai quanto voglio che tu sia felice e soddisfatta di te stessa.
Vorrei davvero poter essere lì con te adesso (e non sbaverei sul tuo ragazzo, giuro... beh, forse un pò... solo un pochino! XD).
VILLE VALOOO! :D


Sul serio, tesoro... smettila di essere la solita Lou, impaurita e timorosa; ti conosco e so cosa stai pensando.
Quindi smettila subito!
Goditi questo momento senza mai dimenticarti tutto il resto del mondo... e soprattutto Lou.


Ora vado a preparare la cena a mio marito e a digerire la notizia.
Ammetto di rosicare come una matta.
Tu. La mia piccola Luly. Con VILLE VALO!
Perdindirindina!


Ti adoro.... e non dimenticare: OGNI DETTAGLIO!
Tua Mara.”


Ps: VILLE VALOOOOOOOOOOO!”.



Lou scoppiò a ridere.


Mara...
Sapeva che avrebbe dato di matto alla notizia di Ville... rilesse ancora una volta la mail e immaginò la sua amica che cercava di rimanere lucida e dispensare consigli come sua abitudine.
Mara aveva ragione, come sempre del resto.
Tutti le dicevano la stessa cosa.
Eppure lei non aveva ancora imparato a contare su se stessa, a credere in lei e nelle parole di chi le diceva di amarla... anche se Ville non le aveva mai detto di amarla... insomma... non ancora.


E se non me lo dicesse mai?”.
"E se glielo dicessi tu?" - le rispose la vocina, incrociando le braccia in tono di sfida.


Lanciò un cuscino virtuale alla sua vocina fastidiosa.
Sbuffò.
Si stava comportando come una bambinetta e ciò era molto snervante.


Ville la rendeva nervosa e titubante peggio di ogni altro uomo al mondo.
Ville la rendeva felice come nessuno.
Ville le faceva battere il cuore.
Ville le faceva paura...
E di quella paura, di quell'ansia di vita, lei si ubriacava.



******





"Angolo dell'autrice:

Eccoci di nuovo qui! Questo capitolo probabilmente a qualcuno risulterà noioso, si lamenterà perchè non c'è Valo, nessuna faniculla che si rotola con il sexy finnico su ogni superficie, nessun ex rompiscatole che scardina porte, ecc ecc...
Ebbene sì!
Essere capitolo di passaggio: siamo giunti al bivio di questa storia.

Dal momento che non mi piacciono le storie tarallucci e vino con "vissero sempre felici e contenti..." come finale, centro e inizio della storia, va movimentata.
E preferisco anche dare spazio ad altre sfumature, altri personaggi e situazioni, non solo alla storia d'amore in sè (che detto tra noi, a volte tutto stò pucci pucci fa venire il diabete... u,u).
Ergo, per qualche capitolo di discostiamo un pò dal Valo, la sua presenza costante e le sue acrobazie amorose e spaziamo negli argomenti e negli approfondimenti con altri pg.
So che mi oadiate... :3
Ma non temete: Valo e tutto il suo charme torneranno come sempre. Del resto è sempre il co-protagonista!
Un grazie a tutte quelle fanciulline preziose che leggono la storia pur non recensendo: so che ci siete, vi vedo! xD

Ovviamente il grazie più grande va alla mia Beta-moglie Deilantha preziosa spalla per ogni mia pignoleria e fissazione! Grazie moglie, ti lovvolo.

E grazie, mille volte grazie a tutte quelle dolci donzelle che hanno commentato il capitolo precedente: katvil, arwen85, apinacuriosaEchelon, Lady Angel 2002, _TheDarkLadyV, Izmargad,x_LucyW, Emp_MJ, LaReginaAkasha, cla_mika.
E poi grazie anche a Daelorin per essersi pippata tutta la storia in due sere!XD Grazie cara!

Menzione speciale per una fan inaspettata, che mi maledice ogni giorno per averla trascinata nel vortice di questa storia: un'amica preziosa e costante, una persona cui tengo molto e che c'è da 4 anni a questa parte, grazie ad una saga ho avuto modo di conoscere persone speciali e uniche e lei è sicuramente una di queste.

Per cui grazie, grazie mia Befs Reny! Il tuo sostegno e apprezzamento in questo caso, sono ancora più preziosi! <3


*H_T*



Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo diciannove : “Starry night” ***




testo.

Image and video hosting by TinyPic



Capitolo diciannove

"Starry Night"






Un lampo accecante seguito da un tuono fragoroso, la fece sobbalzare.
Katty scattò subito in allerta miagolando impaurita.

«Tranquilla piccolina, è solo un temporale...
»

Lou la prese in braccio accarezzandole la testolina e si diresse alla porta-finestra: il cielo si era chiuso ed era completamente nero.
Il vento soffiava forte e la pioggia che cadeva copiosa sferzava quasi orizzontalmente.

Dopo avere letto la mail delirante con consigli annessi di Mara, aveva spento il pc ripromettendosi di risponderle quanto prima; temeva che un fulmine potesse porre fine alla vita già in bilico del suo Highlander.
Si era asciugata i capelli che ora le ricadevano gonfi e lucidi dietro la schiena.
Alla fine aveva deciso di infilarsi dentro l'abito di Nur e con un sorriso che avrebbe fatto commuovere d'orgoglio Simone e Nur per la malizia mal celata, aveva infilato una culotte di pizzo bianca, senza reggiseno.
Per due motivi: non ne aveva uno a fascia da mettere sotto il vestito senza maniche, e l'altro... beh, era una sensazione nuova ed eccitante mettere alla prova la sua femminilità e le sue alquanto discutibili arti seduttive.
Come una sciocca adolescente vedeva già gli occhi verdi di Ville accendersi maliziosi mentre le sfilava via il vestito.

“Oh, la miseria! Sei in piena tempesta ormonale, Lucia! Datti un fottuto contegno!”.


Un altro lampo seguito da un fragoroso tuono fece tremare i vetri della sua porta-finestra e un miagolio nervoso di Katty fece subito eco.


«Vuoi vedere che mi salta anche la corrente ora?»
Aveva appena finito di dirlo ad alta voce che l'abat-jour accesa sul comodino, quella che aveva così elegantemente vestita di un foulard arancio, si spense.

«Perfetto! Ora l'atmosfera deve esserci volente o meno...»

Accese una serie di candeline per evitare di rimanere al buio completo.
La pioggia le piaceva: spesso e volentieri si raggomitolava dentro una coperta e leggeva, accompagnata dal suono della pioggia scrosciante.
La cullava quando faceva fatica a prendere sonno.
Le rendeva facile concentrarsi quando dipingeva.
E da quando Ville era ospite del suo letto e del cuore, le piaceva fare l'amore con quel sottofondo romantico.

I tuoni e il battere furioso e poi di nuovo lento accompagnava i loro movimenti, regolando i ritmi come in una musica, la più perfetta delle sinfonie.

Buttò uno sguardo alla casa del Sig. K. notando che era al buio quasi come tutte le case del quartiere.
Pensò di portargli come sempre un po' della sua adorata pizza e controllare che stesse bene: quel mattino aveva notato una stanchezza sul viso che non la convinceva per niente.

Mise in un contenitore ermetico la pizza per il Sig. K. indossò una giacca impermeabile, infilò gli stivali da pioggia neri, che sotto il vestito blu con cristalli non facevano una gran bella figura, cercò una torcia nel caos che regnava nel mobile in corridoio per evitare di spalmarsi sull'asfalto durante il breve tragitto senza illuminazione fino a casa Korhonen e tiratosi il cappuccio sopra i capelli raccolti uscì sotto la pioggia scrosciante.
Percorse i pochi metri di corsa, saltando sopra le pozzanghere come una bimba monella.
Suonò al campanello sbirciando attraverso il vetro di una finestra.
Passò appena qualche secondo e la porta si aprì per rivelarle il suo amico con una candela in mano.
Subito il suo volto si tese in un sorriso vedendola incappucciata e grondande di pioggia, davanti alla sua porta.

«Bambina mia, cosa ti porta qui con questo tempaccio? Ti prenderai un raffreddore...»

Lou ridacchiò mostrandogli il contenitore.
«Non potevo mancare anche stavolta!»
«Tu mi stai viziando con queste continue bontà, ragazza mia! Entra su, non restare lì!»

Lou si fiondò dentro al calduccio, togliendosi il cappuccio e scuotendo i capelli.
Il Sig. Korhonen tenendo la candela tesa davanti a loro in modo da illuminare la strada, la guidò verso la cucina.
Lou posò il suo contenitore sul ripiano, spense la torcia infilandola nella tasca dell'impermeabile che aveva aperto e si girò sorridendo verso il suo amico.

«Ha solo quella candela? Se le servono, io ne ho qualcuna in più...»
Riusciva a vedere solo una parte del viso rugoso e malizioso del suo amico : lui se ne uscì con una risatina divertita.
«Ho candelabri sparsi in tutta la casa... non mi serve molta luce per quello che stavo facendo, figliola...»
«E cosa faceva di bello?»
«Leggevo, mia cara: con questo tempo mi rilasso sempre leggendo un libro...»
«Sa, anche a me piace leggere quando piove... mi piace anche uscire sotto la pioggia... in realtà mi piace fare tutto accompagnata dal suono della pioggia e dei temporali.» - disse tutto d'un fiato.

Arrossì involontariamente alla visione improvvisa e fugace di cosa le piacesse fare, soprattutto con Ville, quando pioveva.
Il viso seminascosto del Sig. Korhonen Si piegò in una smorfia maliziosa.
«Sì, lo so.»

“In che senso!?... Oh, cavolo vuoi vedere che vede dalla finestra quello che facciamo io e il secco?!”.

Come se le avesse letto nel pensiero, aggiunse: 
«So che ti piace leggere quando piove, ti vedo quando ti siedi davanti alla porta-finestra...»
«Ah!»

“Menomale...”.

Buttò uno sguardo in direzione della foto in cornice che ritraeva il suo amico con Maili ma era troppo buio; non riusciva a distinguere che le ombre di ciò che li circondava.

«Hai un appuntamento galante?»
La sua voce tradiva una risata divertita.
«Ehm, no...»- rispose in maniera vaga tornando ad arrossire.
«Sei tutta agghindata.» - indicò con un cenno della testa il vestito che spuntava dall'impermeabile.

Perché aveva la netta sensazione che lui invece. sapesse benissimo con chi si vedeva e la stesse amabilmente prendendo in giro?
«Non è un appuntamento galante... - rispose lei sorridendo. Tanto valeva non fare la misteriosa. - È solo una cena...»
«Tra amici?» - la interruppe lui.

“Cacchio! Spero di no...”.

«Non proprio...» - disse in un soffio.
«Oh bene, allora se non siete “solo amici” direi che quel vestito va più che bene.»

“Perché, che ha questo vestito di poco amichevole?!”.

Ecco che il Sig. Korhonen le faceva tornare i dubbi che aveva così a fatica soppresso poche ore prima!
«Stai benissimo... è solo che è molto bello e tu sei più carina del solito con quel vestito, non vorrei che chi ti vede si facesse un'idea strana.» - rispose ridendo il suo amico.

“EH?!”.
«Aspetta qui: ho una cosa che puoi accompagnare con il vestito.»

E prima che lei potesse proferire parola si allontanò ciabattando verso un punto ignoto della casa, lasciandola al buio più completo.
Con un sospirò tirò fuori la sua torcia, fortuna che l'aveva portata!, e fece un po' di luce intorno a sé sedendosi sulla poltrona più vicina.
Diresse la luce sulla cornice, ammirando ancora una volta la foto di Maili e il Sig. Korhonen poi spostò il raggio sul quadro di Chagall, tornando a sospirare.

«Ecco qui... - riapparve all'improvviso facendola sobbalzare – questo... questo è chiuso dentro una scatola da troppo tempo. Avrei dovuto regalarlo, o donarlo... o venderlo... ma sai come siamo noi vecchi romantici: difficilmente ci liberiamo da qualcosa a cui siamo, nel bene o nel male, legati...»

Le porse una scatola nera piatta di velluto, un po' consunta agli angoli.
Lei prese la scatola fra le mani, sorridendo silenziosa al suo amico e aprì il coperchio.
«Oh! È bellissimo Sig. Korhonen!»

All'interno della scatola, adagiato su del raso bianco c'era un ciondolo di forma ovale con una pietra blu sfaccettata anch'essa di forma ovale; tutto intorno, su una montatura di quello che le sembrava argento, altre pietre più piccole simili a cristalli a formare due file concentriche.
Alla sommità c'erano altre cinque pietre a goccia a formare una specie di corona e dalla parte opposta una singola pietra, sempre a goccia.
Il tutto era trattenuto da una semplice catena sottile di colore chiaro.

«Indossalo.»
Lou lo guardò chiedendosi se stesse parlando sul serio.
«Non posso Sig. Korhonen! È troppo bello! Ho paura di rovinarlo!»
«Sciocchezze! Il posto di un gioiello simile è addosso ad una donna, non dentro una scatola... e poi è un prestito – le strizzò l’occhio complice – Lo metti questa sera, per il tuo appuntamento. Starà benissimo con il tuo vestito.»


“Certo! Peccato che io non abbia un paio di scarpe decenti da indossare sotto quest’abito...”
– pensò Lou interdetta.



«Io... Non so cosa dire...»
«Dì solo che lo metterai. – le rispose semplicemente l’altro sorridendo – Ragazza mia, te l’hanno mai detto che ti fai troppi problemi?»
Lou scoppiò a ridere.
«Un’infinità di volte!»
«Ecco... dovresti fartene di meno, sai? Quando avrai la mia età ti pentirai di tutte le volte che hai perso tempo prezioso a pensare invece che agire...»
“Posso chiederle a chi apparteneva questo ciondolo, Sig. Korhonen?
»

Un lampo improvviso illuminò la stanza quasi a giorno, facendoli sbarrare gli occhi dalla sorpresa.
Proprio come in un film horror, quando la protagonista faceva la domanda fatidica o l’assassino stesse per essere svelato.
Qualche secondo dopo, un rombo che fece tremare l’intera casa coprì il rumore scrosciante della pioggia che stava venendo giù a secchiate.
Lou pensò a Katty e la immaginò tremante sotto il suo letto.

«Apparteneva a Maili, ovviamente. Non ho buttato quasi nulla di ciò che le apparteneva.»
«Sig. Korhonen... non so se posso indossarlo... è un oggetto a cui lei è particolarmente legato...»- iniziò a dire imbarazzata Lou.

Lui la interruppe alzando un dito in modo autoritario.

«Alt! Avevamo già stabilito di farti meno problemi, giusto?»
«Giusto...»
«Bene, allora dal momento che siamo d’accordo, è inutile parlarne. Mi fa piacere che sia tu ad indossarlo e sono certo che anche Maili sarebbe dello stesso parere.»
«Va bene. Grazie, Sig. Korhonen... è davvero carino da parte sua.»
«È ben poca cosa rispetto a quello che fai tu per me, mia cara. Vai e goditi la cena con la persona che ha la fortuna di essere così importante per te... siete giovani, - sospirò malinconico il suo amico – godetevi ogni attimo, il tempo che abbiamo a disposizione ci sembra sempre infinito e invece non sappiamo mai quanto questo duri...»

Lou non seppe cosa rispondere per cui tornò a fissare il ciondolo, pensierosa.

«Scusa mia cara, non volevo intristirti... a volte parlo troppo. Perdona il mio scarso tatto.»
«Ma no, non si scusi... ha perfettamente ragione: la penso anche io come lei... a volte dovrei smettere di pensare a cose che alla fine non hanno nessuna importanza e godermi il momento...»
«Brava! – sorrise soddisfatto – Grazie per la pizza e per la tua gentilezza.»

Il Sig. Korhonen la stava gentilmente congedando?

«Ero preoccupata per lei: questa mattina mi ha dato l’impressione che fosse stanco...»
«Sono solo vecchio, cara la mia bambina... mi basta rilassarmi sulla mia poltrona per qualche ora con un bel libro, per tornare in forma!»
«Va bene... ma mi deve promettere che mi chiamerà se non si sentisse bene; anche di notte, non importa, se ha bisogno di me mi chiami... me lo promette?»
«Te lo prometto – assicurò lui con un cenno deciso del capo ridacchiando – ora però vai. Non vorrei che il tuo principe azzurro arrivasse e tu sei qui, a perdere tempo con un vecchio brontolone!»

Lou ridacchiò di rimando.
Più che azzurro il suo principe era nero... e lei non lo avrebbe voluto diverso per nulla al mondo.

Si alzò dalla poltrona, dopo aver chiuso la scatola e infilata nella tasca interna dell'impermeabile e si diresse alla porta, seguita dal suo amico.
«Buona serata, divertitevi...» - le raccomandò lui, sulla soglia.
«Grazie... grazie per il ciondolo: glielo riporterò domattina!»
«Non ho tutta questa fretta, cara! – rise lui – grazie a te, per tutto. A domani!»
«A domani!» – rispose Lou, salutandolo con la mano prima di correre lungo i 200 metri che separavano il vialetto del Sig. Korhonen dal suo.

Giunta davanti alla sua porta si girò per vedere che il suo vecchio amicoera ancora sulla soglia con la candela in mano.
Le fece un cenno con la mano libera e rientrò in casa.
Lou osservò la luce fioca della candela che si spostava da un posto all'altro dietro i vetri delle finestre, fino ad arrivare e fermarsi a quello che era il salotto.
Rientrò dentro casa, rabbrividendo.
Tirò fuori dalla tasca la scatola di velluto nero e la appoggiò con cura sul ripiano del mobile, prima di togliersi stivali e impermeabile.

Katty trotterellò subito da lei, arrampicandosi sulle gambe in cerca di coccole.
«Maaaoooo!»
«Sì, hai ragione ti ho lasciata sola... scusami piccolina.»
La prese in braccio prima che la felina le sfregiasse le gambe a furia di unghiate e la portò con sé in cucina, dove le preparò la ciotola con i croccantini.

Controllò il cellulare non trovando nessuna chiamata o messaggio.
Era tutto pronto: mancava solo il suo principe oscuro.
Pensò di mandargli un sms.
Era quasi sul punto di premere il tasto invia quando si fermò, rileggendolo e le sembrò un appello di una donna disperata e insicura, nonché assillante.
E l’ultima cosa che voleva era dare a Ville l’impressione che gli stesse addosso.
Cancellò il messaggio e si buttò sul divano, stando attenta a non sgualcire il vestito.
La luce delle candele soffusa le stava facendo venire sonno, in più il rumore della pioggia non l’aiutava affatto a rimanere sveglia.
Katty le saltò sulla pancia cercando di affilarsi le unghie sull'abito.
«Eh no, piccola vandala!»
Prese di peso la micia e la posò accanto a lei, sentendola mugugnare.
Katty la fissava astiosa negli occhi.
«È inutile che mi fai le occhiatacce! Sei una gattina dispettosa a rovinare questo bel vestito solo per il gusto di farlo...»
Katty strinse gli occhi minacciosa.
«Oh, non mi spaventi sai? Prepotente!»
Lou la fissò a sua volta con le sopracciglia aggrottate fino a che la gatta voltò la testa indignata, iniziando a leccarsi le zampette pulendosi il muso.


Le allungò una carezza ridacchiando.
La felina era così simile al suo finnico: prepotente, imperiosa e orgogliosa.
Non era facile trattare con qualcuno con quel caratterino.
Ma pareva se la stesse cavando abbastanza bene con entrambi, senza difficoltà e senza alcuna fatica.... anzi.
Era un piacere stare in loro compagnia, pur essendo così impegnativi.
Il temporale stava scemando d'intensità e ora che i tuoni e i lampi si stavano allontanando, restava ancora la pioggia scrosciante.

Katty finita la toilette cercava di afferrarle una ciocca di capelli tirandola verso di sé, così Lou li ritirò in una crocchia che infilò sotto la testa.
Non restando altro da fare che sonnecchiare annoiata, la micia con un sospiro, sì era proprio un sospiro rassegnato quello che uscì sibilando dalle piccole fauci, chiuse gli occhi appoggiando il musetto sulle zampine.
Lou pensò a sua volta di chiudere gli occhi soltanto per qualche secondo.
Era tutto troppo rilassante: il divano soffice e che emanava un leggero tepore, il ronfo di Katty accanto a lei e la pioggia al di là della finestra... solo un attimo...
Ville sarebbe arrivato tra qualche minuto...




******




Una carezza sul viso lieve e piacevolmente calda, che si spostava da una tempia all'altra, giù lungo la guancia e il mento e poi girava sull'altro lato del viso, fino a chiudersi a coppa sulle gote...
Lou aprì gli occhi battendo rapidamente le palpebre per mettere a fuoco nel buio, la figura accucciata accanto a sé, ai lati del divano.

“Ville...” - sussurrò sorridendo e strusciandosi come avrebbe fatto Katty contro la mano grande, elegante e calda.
“'Prinsessa'...”.

Ecco.
Una semplice parola.
Un nomignolo.
E ogni cosa prendeva un colore diverso nella sua vita.
Ogni cosa tornava a posto.

“Ti stavo aspettando, amore...” - sussurrò Lou, continuando a baciare e sfregarsi contro il palmo della sua mano.
“Lo so... ora sono qui.”.

La voce era come dolce come il miele: calda, languida, avvolgente.

Avrebbe seguito quella voce anche in capo al mondo...
Ora era in piedi, di fronte a lui.
E lui la stava guardando alla luce soffusa della candele accese in tutto il salotto.
Era a piedi nudi.
Con il vestito blu e il ciondolo che il Sig. K. le aveva prestato, al collo.
Ville la guardava senza dire una parola, senza più toccarla, facendo scivolare gli occhi verdi su di lei, con un sorriso che diventava di secondo in secondo sempre più sensuale, un sorriso che le stava facendo stringere le pareti dello stomaco.

“Se avessi saputo che mi avresti accolto così mi sarei precipitato subito a casa.”.
“Volevo farti una sorpresa...” - avanzò di un passo verso di lui, anelando a sentirlo più vicino.
“Starry night...” - sussurrò a voce quasi impercettibile, allungando una mano a sfiorarle il braccio nudo all'altezza del polso.
“Cosa?” - chiese Lou rabbrividendo al contatto lieve delle dita sulla sua pelle.

“Starry, starry night
Flaming flowers that brightly blaze
swirling clouds in violet haze
reflect in Vincent's eyes of China blue"

Bisbigliò Ville inclinando la testa, tornando a guardarla negli occhi, prendendole la mano per qualche breve istante.

“Somigli ad un quadro di Van Gogh... - le lasciò la mano passando le dita sulla stoffa impalpabile che si posava sui fianchi – c'è il blu del cielo… - salì al corpetto pieno di cristalli – e le stelle più piccole e chiare..."
Le dita le sfiorarono una spalla, il collo e si chiusero intorno ad una ciocca di capelli.
"E poi... poi ecco l'esplosione di colori delle stelle più grandi... - attorcigliò un dito intorno ad un ricciolo setoso – Ed infine... la luna, bianca e perfetta, pura...” - la mano tornò a chiudersi intorno al viso.


Ville non staccava gli occhi da quelli di Lou.
Con il pollice le accarezzava piano il labbro inferiore.
Probabilmente sarebbe svenuta da un momento all'altro.
Oppure sarebbe potuta scoppiata a piangere per l'emozione che la stava sopraffacendo, tanto le batteva forte il cuore.
Emozione che le chiudeva anche la gola. Come sempre.
Deglutì rumorosamente, alla ricerca della voce perduta.

Come faceva a dirle delle cose tanto dolci?
Come faceva ad avere dei pensieri così su di lei?
Come?

Anche lei non staccava gli occhi da quelli di Ville, occhi che brillavano più del solito, che sembravano enormi e più chiari che mai, sul viso pallido e dai tratti perfetti.

“Dì qualcosa...”- il sussurro di Ville le rimbombò nelle orecchie.
Lou fece un breve respiro.

“Ti amo...Ville. ”.

Lo disse senza staccare gli occhi dai suoi.
Lo disse con la consapevolezza che era la verità più pura.
Lo disse non solo con la voce.
Lo disse con ogni parte del corpo, con ogni fibra di se stessa.
Le sembrò che quelle due parole assumessero un significato diverso, ora che le aveva dette alla persona giusta.
Pensò che mai come prima erano vere.

“Dillo ancora...” .

Ville la tirò improvvisamente a sé, una mano dietro la nuca.
La mano era l'unica cosa con cui la stava toccando: erano vicini, sentiva i suoi jeans sfiorarle le ginocchia, percepiva il calore che emanava il corpo magro e l'energia contenuta.
Senza scarpe era ancora più bassa: lui la sovrastava di venti centimetri buoni e lei si sentiva piccola, femminile.
Reclinò indietro la testa per poterlo vedere meglio.
Sembrava che le pupille nere avessero occupato gran parte delle iridi verde chiaro di Ville.

“Ti amo.”.

Questa volta lo disse senza prendere prima respiro.
Senza esitazioni.
Come una liberazione.

“ 'Prinsessa'...”.
La voce roca e bassa.
Anche lui aveva sospirato prima di sussurrarle quella parola sulla fronte.

“Ti amo...ti amo...” - ripeté Lou.

Ormai che gli argini si erano rotti riusciva a stento a trattenere le emozioni che arrivavano tutte insieme.
Si aggrappò alla sua mano, alzandosi sulle punte dei piedi per baciargli il naso.

Sentiva ogni cosa che la circondava con i sensi in allerta.
Il rumore della pioggia.
Katty che ronfava sul divano.
Il parquet freddo sotto le piante dei piedi.
Il profumo smorzato del dopobarba di Ville.
Il suo respiro sul viso.
Una ciocca dei suoi capelli castani che le solleticava una guancia.

E questo fu l'ultimo pensiero coerente prima che la prendesse in braccio, sedendosi con lei sulle ginocchia.
Stringendosela addosso come se temesse di vedersela sfuggire via da un momento all'altro.
Lou gli si rannicchiò contro, affondando il viso nell'incavo del collo scoperto, ritrovando l'odore familiare della sua pellee inalandolo a pieni polmoni.
Ville rimaneva in silenzio limitandosi a stringerla a sé, cullandola, baciandole i capelli.

Erano i loro cuori che rullavano allo stesso ritmo?




******




Lou aprì gli occhi di scatto.
Era l'alba e una luce rosata stava iniziando a illuminare la casa.
Aveva smesso di piovere.
Katty sbadigliava sul suo cuscino preferito.
Le candele erano tutte spente e ormai consumate.

La mancanza di Ville al suo fianco era tangibile.
Era sola, era sul divano e si rese conto di essere intirizzita.
Ville non era venuto da lei.
Era stato solo un sogno...

La leggerezza che aveva provato in sogno dicendogli finalmente che lo amava, svanì.
Ne sentì di nuovo il peso, stavolta duplicato.
Si alzò a sedere, allungando una mano a prendere il suo cellulare.

Nessuna chiamata. Nessun messaggio.
Ville non era andato.

Pensò alla collana chiusa nella scatola.
Pensò al vestito blu, che ora era spiegazzato dopo una notte passata a dormirci sopra.
Pensò alla sua cena andata persa.

Sentiva una spirale fredda allungare i tentacoli dentro di lei.
Una parte del suo inconscio la stava prendendo in giro per il modo in cui stava reagendo alla cosa, dandole della sciocca.

“Andiamo! Sapevi che forse non poteva essere con te... non è il caso di farla tanto lunga e tragica!”.

L'altra parte di lei, la voce che cercava in ogni modo di arginare, le faceva sentire tutt'altro.
Con il passare dei minuti crebbe e s'ingigantì fino a soffocarla.
Si portò una mano tremante alla gola.

Era successo qualcosa.
Qualcosa che avrebbe cambiato le cose.
Non sapeva dirlo con certezza, ma qualcosa era cambiato.
E niente sarebbe stato più come prima.







******



"Angolo dell'autrice:

Oh bellli! Non volevo lasciarvi senza capitolo nella prossima settimana, a causa di impegni finferleschi con le mie favette che mi terranno lontana e non potendo assicurare la mia presenza al pc, ho anticipato di qualche giorno... (ma so che più di tanto non vi spiace...xD).

Mi sto togliendo dalla traettoria degli insulti che so arriveranno!
Eccomi, mi immolo: sono tutta vostra!XD
So che aspettavate questa famosa cena, tutte trepidanti e sognanti... dai, non sono stata tanto cattiva...u.u
In qualche modo Lou e voi l'avete vissuta lo stesso! *tenta di arrampicarsi sugli specchi* :)
E' che proprio non riesco a mettere una cosa dolce senza lasciarvi con l'amaro... sono sadica... *mauahuahuahauahuha*.
Comunque sia, spero non mi facciate troppo male.
Alloraaaaaaaaaaaaaaaaa... che ne pensate?!?
:D
Io vi dico solo che dopo aver scritto questa scena, mi sono dovuta riprendere... commuoversi da sola, per quello che si scrive è proprio da me...
Per straziarmi ancora meglio ho ascoltato a ripetizione la song che da' il titolo al capitolo, "Starry Night", mentre scrivevo: qualcuna di voi sa quanto io ami Van Gogh e in particolare questa mi ricorda una persona a me molto cara... bando alle ciance e ai romanticismi!
Questo ovviamente è il quadro citato nella song e da Ville (mi piace pensare che sia anche uno dei suoi artisti preferiti u.u); pochi artisti mi emozionano e commuovono quanto lui: per cui era doveroso una specie di omaggio al mio quadro e artista del cuore.:)

Come sempre un grazie va alla mia Beta Deilantha che con i suoi commenti al capitolo durante il betaggio, mi fa sempre scompisciare! :D
Grazie Moglie, senza di te la lotta all'Html malefico non sarebbe la stessa! XD


Ovviamente non potevano mancare il vestito e il ciondolo del Sig. K.:
Mi ci sono voluti tre modelli di vestiti di diversi colori per riuscire a farlo come lo avevo immaginato e in ogni caso non è preciso così come credevo, ma rende l'idea. (se volete vederli, vi basta entrare nel gruppo facebook dedicato alla storia).


Grazie anche a Izmargad che mi ha trovato uno dei tre abiti! <3
Ovviamente non potevano mancare il vestito e il
ciondolo del Sig. K.:

Mi ci sono voluti tre modelli di vestiti di diversi colori per riuscire a farlo come lo avevo immaginato e in ogni caso non è preciso così come credevo, ma rende l'idea.


Ringrazio tutte le affezionate lettrici che hanno lasciato un segno del loro passaggio nel capitolo precedente:
apinacuriosaEchelon, katvil, _TheDarkLadyV_, cla_mika, arwen85, Daelorin, Lady Angel 2002, LaReginaAkasha, Enigmasenzarisposta, IlaOnMars6277.

Un grazie alle nuove (e non) amiche che hanno iniziato a seguire questa storia:
lucillaby, Gone with the sin, renyoldcrazy, LilyValo, _Venus_Doom_ ,WatananbeAyumu.



Grazie per le splendide cose che mi scrivete anche in privato! :*
Alla prossima!

*H_T*








Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo venti - “Look at me ... trust me.” ***





testo.

Image and video hosting by TinyPic



Capitolo venti

"Look at me... trust me"




Aveva un mal di testa feroce. Si massaggiò le tempie cercando di trovare sollievo.
Dopo la notte sul divano, il risveglio all’alba dopo un sogno che era a dir poco meraviglioso e lo shock di scoprire che era stato, appunto soltanto un sogno, non era riuscita più a prendere sonno.

Aveva tolto il vestito blu e lo aveva rimesso sulla sua gruccia.
Aveva conservato in freezer la cena che aveva preparato.
Aveva rimesso a posto le lenzuola di seta di Nur e le candele, ammucchiandole in una scatola di scarpe.
Il tutto senza batter ciglio.

La sensazione di qualcosa di strano, di un qualcosa che neanche lei riusciva a capire da dove venisse fuori non l’aveva abbandonata, per cui si era rifugiata come al solito nella sua efficienza fredda e metodica.
Aveva fatto colazione con la mousse alla vaniglia e ciliegia, bevuto un fortissimo caffè nero e si era guardata intorno.

Non aveva nulla da fare: la casa era in perfetto ordine ed era domenica.
Aveva voglia di urlare.
Ciabattò in corridoio e si ricordò del ciondolo del Sig. K.
Aprì la scatola di velluto consunto con un nodo alla gola.

Lou... smettila di fare le tragedie greche!”.

Sì, poteva anche ripeterselo fino allo sfinimento: quando sembrava che quella sensazione di un qualcosa di sbagliato stesse svanendo, quando si era convinta da sola che era tutto ok, che erano solo sue paranoie ecco che tornavano senza preavviso tutti i dubbi. Fissò lo sguardo all’interno della scatola.

Quanto le sarebbe piaciuto indossarla.
Per Ville.
Ma soprattutto per lei.

******



«Lou? Sei con noi?» 

La voce fredda di Matleena la riscosse dai pensieri.
La sua draghessa la guardava con un sopracciglio alzato.
I colleghi girarono come un sol uomo la testa nella sua direzione: molti di loro aspettavano un passo falso da parte sua, un qualcosa che la facesse uscire dalle grazie di Matleena.
Questa appunto la richiamò immediatamente all’ordine, senza però averle lanciato uno sguardo interrogativo, prima di tornare a parlare.
Aveva indetto una specie di riunione quel lunedì mattina, per assegnare i compiti delle successive esposizioni, mostre ed eventi della prossima stagione estiva e autunnale.

Lou tentava con tutta se stessa di prestare attenzione ma la sua mente era altrove.
Finalmente dopo un tempo che le parve interminabile, la draghessa li congedò tutti con un secco cenno della testa.
Stava per filarsela nel suo angolino quando Mat la bloccò.


«
Lou, rimani. Devo parlarti.»

Ahia. Ora le avrebbe dato una lavata di testa: se lo sentiva.
Certo negli ultimi tempi era stata spesso distratta, con la testa fra le nuvole più del solito... ma Mat non si era mai lamentata del suo operato.

Finora.
Attese che tutti i colleghi spioni fossero lontani prima di parlare.

«Va tutto bene?»- chiese Mat in fretta, diretta.
«
C-certo Matleena. Ho fatto qualcosa di sbagliato? Scusa, ho dormito poco e male in questo weekend...»

Si stava giustificando come una demente.
«
Sì, l’ho notato. Sei stanca, si vede. Da quanto non ti concedi una vacanza? E per vacanza intendo un lungo periodo, non il sabato e la domenica.»
Matleena batteva la penna ritmicamente sul tavolo: di solito lei non perdeva tempo a chiedere ai suoi dipendenti o collaboratori, notizie sulla salute o altro.
Lou sapeva di essere una privilegiata: Mat era sinceramente preoccupata per lei.

«Non ricordo: forse un anno o poco più...» – la voce le uscì strozzata.
Aveva improvvisamente voglia di piangere.

«Beh, allora è tempo che tu te ne prenda una. E non sto scherzando – la interruppe quando Lou cercò di protestare debolmente – sei un aiuto prezioso, ma mi servi nel pieno delle tue forze e facoltà e se continui così temo che diverrai un peso per tutti.»

Come sempre Mat era lapidaria e diretta.
Lei sapeva che era per il suo bene se le parlava in maniera così rude.

«Ho prenotato il viaggio per gli inizi d’agosto: torno a casa per un mese... pensi possa bastarmi come vacanza?» – chiese cercando inutilmente di sembrare spiritosa.
«
Bene: allora manca poco. Non so cosa stai combinando, – inarcò entrambe le sopracciglia perfettamente curate e disegnate – ma sei di umore ballerino. Un giorno sembri camminare sopra le nuvole, quello successivo ti trascini dietro il peso del mondo.»

Sostenne lo sguardo di Mat senza batter ciglio.
Stava migliorando nel nascondere i suoi sentimenti? Ne dubitava.

«Matleena... conosci un certo Aappo Korhonen?»- chiese Lou chiudendo lei per una volta il discorso.
Mat sbatté le palpebre rapidamente confusa dal cambio improvviso da un argomento all'altro.

«
Certo che sì: è stato famoso per un certo periodo, aveva amici importanti... Una volta, da ragazza, sono stata ad una sua mostra. Perché mi fai questa domanda?»
«
È il mio vicino di casa.» – rispose Lou con un mezzo sorriso.
«
Abiti in una zona affollata di artisti a quanto pare.»- ribatté Mat con un mezzo sorriso.
«
Sì... così pare.» – si morse l’interno della guancia e deglutì a vuoto.

Non osare metterti a piangere ora, brutta stupida!”.

«Sai, è sparito dall’ambiente molti anni fa... correva voce che fosse a causa di una delusione d’amore... o roba simile.»
Roba simile...”.- pensò Lou con una stretta al cuore.


*******



«Maili era la donna più bella e interessante con cui avessi mai parlato prima di allora. Era una di quelle donne piene di idee strambe, schietta e che prendeva la vita come se fosse ogni giorno l’ultimo.

Io al contrario ero un tranquillo topo di biblioteca: l’unica nota di colore della mia vita erano i miei quadri.
Era anche la donna più difficile con cui avessi lavorato prima.
Durante il primo giorno di lavoro in cui lei doveva semplicemente starsene al suo posto e farmi da modella, abbiamo discusso e litigato svariate volte.
Lasciava il suo posto sullo sgabello e veniva a controllare che le dessi le giuste proporzioni... – il Sig. Korhonen ridacchiò – mi deconcentrava non poco come puoi immaginare, poiché stava posando per un nudo. E lei aveva un corpo splendido.

E sapeva perfettamente che effetto mi facesse.
Ero innamorato di lei già a metà mattinata, ma ero orgoglioso e anche stupido all’epoca... lei era fidanzata con una specie d’attoruncolo di teatro e si divertiva a civettare un po'
con tutti.
Mi era stata presentata da un’amica in comune e ci siamo detestati immediatamente, a pelle.

La trovavo irritante, arrogante e troppo, troppo bella per i miei gusti.
La verità è che sapevo che mi avrebbe portato solo guai... – tornò a ridacchiare – sapevo che la mia vita non sarebbe stata più tranquilla come lo era stata fino a quel momento. Io volevo solo dedicarmi alla mia pittura, a viaggiare e conoscere le città europee.
Quando ero giovane, Helsinki non era quella che è ora: soltanto negli ultimi anni ci siamo liberati dall’influenza sovietica.

Quindi appena ho potuto permettermi di pagare il biglietto per il viaggio, sono andato a Parigi, per studiare e affinarmi “sul campo”.
Non immaginavo certo di trovare in Francia una donna finlandese.
Era l’ultima cosa che mi aspettavo.
»


Lou sorrise divertita al suo amico, che bevve un sorso del tè alla menta, fermandosi per un istante dal racconto.
Sedevano nel salotto di casa Korhonen, la domenica pomeriggio.
Lou aveva riportato al suo vicino di casa il ciondolo.

Lui lo aveva ripreso senza dire nulla o chiedere come fosse andata la cena della sera precedente.
Probabilmente per un innato sesto senso evitò di farle domande, limitandosi a sbirciarla di tanto in tanto curioso.
Ville non si era fatto vivo.

Aveva preso in mano il cellulare innumerevoli volte per chiamarlo.
Cosa diavolo gli era successo?
Possibile che non avesse trovato il tempo di mandarle un messaggio, di chiamarla?
Perché poi si preoccupava tanto neanche lei lo capiva: era già capitato che lui sparisse per intere giornate e a volte, anche più di una.

Lo sapeva.
Era stata avvertita.
Per Ville c’era sempre la sua musica al primo posto, e lei non voleva che fosse diverso da com’era.
Ma poi Ville tornava sempre da lei... sempre.


«Era una rompipalle senza eguali. Quando decideva una cosa non c'era verso di farle cambiare idea... s'incaponiva come una bambina capricciosa!
Ma era fantastica il più delle volte... non mi sono mai annoiato con lei.
»

Lou era felice che il suo vecchio amico stesse raccontandole la sua storia con Maili: la distraeva dal pensiero costante di Ville.
Stranamente quel giorno non aveva voglia di stare in casa da sola.
Pioveva ancora, fuori c'era una nebbia fitta tanto da poterla tagliare con un coltello.
Di solito le piaceva passeggiare con il cattivo tempo; poteva in quel modo starsene con i suoi pensieri, ma era proprio quello che voleva evitare quel giorno: che i pensieri prendessero il sopravvento.


«Dopo quel primo giorno disastroso non l'ho più rivista per mesi.
Lei era fatta così: entrava ed usciva dalla vita delle persone quando e come le pareva.
Io non approvavo questo modo di fare: ero... sono – precisò - uno metodico, noioso forse.
Ricomparve come se nulla fosse nel cuore della notte, bussando alla porta della soffitta dove vivevo.

Non avevo soldi, ovviamente come tutti gli artisti: mi arrangiavo come potevo ma ero felice perché facevo esattamente quello che avevo sempre sognato.
La mia accoglienza non fu affatto calorosa: sono pur sempre finlandese, per di più ero stupidamente orgoglioso, come solo i giovani sanno esserlo – le lanciò uno sguardo sibillino – ed ero assurdamente arrabbiato con lei per essere sparita.

Come se dovesse darmene conto! Non era neanche la mia donna... e forse era questo che mi rendeva assolutamente rabbioso nei suoi confronti.
La cacciai via rimandandola dal suo attoruncolo da strapazzo.
Non volevo avere rogne a causa sua.
Lei mi mandò a quel paese, entrò nella stanza senza tante cerimonie sbattendo la porta dietro di sé e mi baciò. - gli occhi azzurri del Sig. Korhonen lampeggiarono – non sono più riuscito a liberarmi di lei, da quel giorno in poi.
»

Lou scoppiò a ridere. «Accidenti! Una donna che sapeva quel che voleva, sicuramente...»

«Puoi dirlo forte... - il vecchio rise con lei – ma al di là di questo suo modo di fare così diverso dal mio e da chiunque avessi mai conosciuto prima, era una donna dolcissima.
Sapeva creare intorno a sé un'atmosfera piacevole: chiunque entrasse in questa bolla ne rimaneva coinvolto, sentendosi amato. Sapeva accogliere le persone, accettarle così com'erano, nei loro difetti così come nei pregi. Era unica. Gli anni con lei sono stati magici.
»

Il Sig. Korhonen tornò a sorseggiare il suo tè e lei attese che continuasse il racconto.

«Abbiamo viaggiato tanto, visitato posti meravigliosi: dopo Parigi, abbiamo vissuto per qualche tempo a Roma, sai? Si era messa in testa di fare il bagno nella Fontana di Trevi come la Ekberg, ma nuda... se non fosse stato per il mio buonsenso l'avrebbero arrestata in diverse occasioni!
Era piena di vita, completamente pazza...
» - sospirò.


«
Quanto tempo siete stati insieme? Vi siete sposati?» - Lou si trattenne dal chiedere altro, mordendosi la lingua.

«Siamo stati insieme quindici anni e nessuno dei due credeva nel matrimonio classico e religioso... se scambiarsi un anello nel posto che più amavamo al mondo, da soli, può essere considerato come un impegno per la vita, allora sì... lo eravamo.»

Il suo amico la fissò negli occhi scandagliandola a fondo.
«
Tu pensi che il vero legame fra due persone possa essere sancito solo davanti ad un altare? Non pensi che amare qualcuno e legarsi a lui sia qualcosa che vada al di là della fede in una religione? Non credi che non ci sia bisogno che qualcuno ti dichiari che appartieni a quella persona per renderlo ufficiale? Quando scegli qualcuno, lo fai con il cuore e con l'anima... da solo.

Da solo con lei. Siete solo voi due. Voi due e il resto del mondo è fuori.»


******


«Maledizione!» – strattonò la zip della borsa incastrata.

Aveva fatto gli ultimi 500 metri fino a casa sua di corsa, perché aveva iniziato a piovere forte e ovviamente lei non aveva nessun ombrello con sé.
Si stava inzuppando.
Finalmente riuscì a trovare le chiavi e aprì in fretta precipitandosi in casa, all’asciutto.

Katty le venne subito in contro miagolando festosa, strusciandosi contro le sue gambe.
«
Ciao bella... sei di buon’umore oggi? Beata te...»

Scalciò le scarpe da ginnastica nel corridoio, togliendo i vestiti bagnati con Katty che le trotterellava dietro.
S’infilò la sua vecchia tuta sbrindellata ma calda e si occupò di Katty dandole i suoi croccantini al pesce.
Scaldò un pezzo di pizza, che fissò truce prima di addentarla: doveva essere la cena per lei e il suo finnico scomparso.
Una fitta le ricordò che doveva prendere qualcosa per far passare quel mal di testa che si portava dietro dal giorno prima.
Si versò un bicchiere di latte freddo e ingoiò una compressa, prese Katty con sé e s’infilò a letto, coprendosi anche la testa con il copriletto.
Finse per tutto il tempo che andava tutto bene e non stava pensando a Ville.


Image and video hosting by TinyPic

******

Image and video hosting by TinyPic


«Maili è morta in uno stupido incidente.
Stava tornando a casa in bicicletta ed è stata sbalzata via, tamponata da una macchina.
Non si è accorta di nulla. Non ha sofferto. Ma io sì.
» – il Sig. Korhonen sospirò rigirandosi tra le mani nodose la foto nella cornice d’argento.

«Sai, mia cara... era uscita per farmi una sorpresa: era il nostro quindicesimo anniversario e stava preparando qualcosa di speciale. Non ho mai saputo cosa stesse combinando in gran segreto: lei era fatta così. Dopo di lei non ho avuto mai un’altra compagna.
Oh, sì certo: non mi mancava la compagnia femminile. Ma tutto si riduceva a bisogno fisico e basta. Il mio cuore è stato sbalzato via, insieme a quello di Maili.
»


******



Un bussare insistente alla porta la svegliò.

Aveva sognato l’ultima parte del racconto del Sig. K.: solo che nel suo sogno Maili non era morta e lei e il suo amore, vivevano ancora insieme nella casetta di fronte alla sua.
Bussarono ancora, battendo con maggior forza.
Non aveva nessuna intenzione di andare ad aprire, chiunque fosse.
Si tirò decisa il piumone sulla testa.

Non voleva vedere nessuno.
Forse.

Katty miagolò dal corridoio richiamandola e lei seppe chi era al di là della porta.
Si alzò con un sospiro, marciando a passo di carica verso l’ingresso: Valo le doveva delle spiegazioni.
Aprì di scatto la porta trovandosi un paio di occhi verdi che la fissavano allarmati, per passare poi ad un’espressione decisamente truce.


«Hai intenzione di farmi prendere un colpo? Perché diavolo non rispondi al cellulare? Ti ho chiamata un centinaio di volte: dov’eri?! Per non parlare del fatto che mi sono attaccato al citofono per un tempo infinito! Ora tutti quanti nel quartiere sanno di noi.»

Lou ricambiò lo sguardo truce, incrociando le braccia sul petto.
Fermi tutti! Ora LUI le stava facendo una piazzata perché LEI non gli aveva risposto al cellulare?!” .

Ebbe improvvisamente voglia di prenderlo a calci.
Se solo non fosse stato così bello e sexy, mentre la bocca morbida si piegava in un sorriso ironico.
Se solo non l'avesse amato da morire.

«Ho come l’impressione che tu non abbia nessuna voglia di farmi entrare.» – disse infilando le mani nelle tasche dei jeans.
Guardandolo, le sembrò passata un’infinità di tempo dall’ultima volta che si erano visti.

Lou rimase chiusa nel suo mutismo, non muovendo neanche un muscolo.


«
Sì, sei decisamente arrabbiata. Cos’ho fatto stavolta?»
Non provare a fare il furbo facendomi quella faccia, Valo! Non osare ridacchiare!”.
Ville abbassò gli occhi a terra, ma non per imbarazzo: stava reprimendo l’impulso di riderle in faccia.
Lou sentì le orecchie fumare.

«'Prinsessa', non vuoi farmi entrare?» – le chiese tornando a guardarla dritto negli occhi, causandole un momentaneo black out alle sinapsi.
Si spostò di lato rimanendo in silenzio; lui le passò vicino sfiorandola appena tornando a ridacchiare sotto i baffi.

Lo avrebbe strozzato, decise.
Avrebbe usato quella maledetta sciarpina nera che faceva risaltare ancora di più gli occhi verde chiaro.
Katty fece le feste al ‘
figliol prodigo’ e non si curarono più di lei e del suo broncio.
Lou sentiva le orecchie sempre più calde.

Prego, fai come se fossi a casa tua!” – pensò acida Lou vedendolo mettersi comodo togliendo le scarpe, allineandole vicine e precise accanto al divano verde; lo vide togliersi la sciarpina e la giacca di pelle leggera e metterle ordinate sulla sedia.

L’occhio destro di Lou tremò leggermente all’angolo.
Maledetto traditore: faceva così ogni volta che le saliva la pressione improvvisamente.

«La nostra 'Prinsessa' è di cattivo umore?» 
Ville tubava e parlava con Katty come se lei non fosse presente e la felina gli rispondeva con un
“maooo” diverso da quello che usava con lei.


Bagascia di una gatta!”.

Lou rimase rigida sulla soglia del salotto, sentendosi un’intrusa.
In casa sua!
Ville alzò gli occhi per un momento e la guardò a lungo.
Lei non muoveva un muscolo e avrebbe fatto un’ottima figura di impassibilità e freddezza... se il suo maledetto occhio destro non avesse iniziato a battere furioso!

Lui alzò l’elegante, affusolata, enorme mano bianca e le fece cenno di avvicinarsi.

Manco morta!”.

Lou ignorò lui e la sua mano tentatrice e si diresse verso l’isola cucina: lo sentì sospirare e sussurrare qualcosa a Katty.
Aprì il frigorifero in cerca di qualcosa che avrebbe raffreddato i suoi bollenti spiriti, le orecchie fumanti e l’occhio magari avrebbe smesso di agitarsi.

Prese il cartone del succo d’ananas e lo sbatté violentemente sul ripiano, mentre cercava un bicchiere pulito, lo trovava, sbatteva anche quello (rischiando di mandarlo in pezzi) e vi versava il succo.
La sua rabbia e la preoccupazione, nonché la delusione della sera prima, di tutti i preparativi andati a monte, il vestito, la cena, il ciondolo, le candele... ora le sembravano futili.

Ora che lui era lì, che si alzava felino dal divano per raggiungerla nello spazio ristretto tra il lavello e il frigo.
Le si piazzò di fronte sovrastandola.

«Guardami.» – le ordinò a bassa voce.
Fottiti.” - pensò fissando il bicchiere.

«Lou? – ripeté inclinando la testa di lato, sbirciandola – che succede? Avanti so che sei arrabbiata, ma non ne so il motivo: parliamone. Ti va?»
Perché deve essere così calmo, così dolce, così... così Ville?”.

E perché lei era sull’orlo del pianto dirotto?
Maledizione a lui.
Ville la abbracciò improvvisamente, con un sospiro.

«Ecco, ora va meglio....uhmmm, mi sei mancata.»

Il suo occhio destro avrebbe fatto un triplo salto mortale se avesse potuto.
«
Posa quel bicchiere, 'Prinsessa'... o hai deciso di romperlo sulla mia testa? E... pensi di parlarmi prima o poi?
Le mani calde le accarezzavano piano la schiena rigida.
E lei rinsaldò la presa intorno al bicchiere, valutando per un istante l’idea di tirarglielo dietro sul serio.

«Sai, ricordo una situazione simile, in questo stesso posto... con te arrabbiata e una tazzina in mano... sono sotto il costante tiro nemico, a quanto pare...» – ridacchiò lui baciandole piano i capelli.

«Piantala di baciarmi!» 
La voce le uscì un po' più dura di quanto avrebbe voluto, tanto che lui si bloccò per qualche secondo.

«
Ok, dimmi che cosa c’è che non va.» – le alzò il mento con un dito, obbligandola a guardarlo.


La scrutava serio ora, quasi preoccupato.
E lei si sentì ancora più stupida per essersela presa per una cosa che non era così importante.
Faceva sempre lo stesso errore.

Stavolta però non poteva dirgli che aveva pensato a cose assurde come era già successo la volta precedente con Amy.
Lui le aveva chiesto di fidarsi e lei lo aveva promesso.
Le aveva detto che ci sarebbero stati giorni difficili, in cui non avrebbe potuto essere con lei.
Lo sapeva.


«
Sono stanca. Ho avuto una pessima giornata al lavoro.» – mentì con voce piatta, svincolandosi dal suo abbraccio.
«
Ok, lo capisco... posso fare qualcosa per farti stare meglio?»

Maledizione!”.

Fece spallucce girandogli le spalle, trafficando con il cartone del succo d’ananas.
Sentì le braccia magre di Ville abbracciarla da dietro, la fronte che poggiava sui suoi capelli.
Sentì il suo corpo premerle contro, caldo e rassicurante.

«Ti fidi di me, Lou?» – sussurrò piano vicino al suo orecchio.
Lei rimase senza fiato.
La sua perspicacia la lasciava senza parole.

«
Vorrei provare a farlo... ho solo paura di non... di non riuscire ad essere quello che tu vuoi, quello che ti aspetti da me.»

Gli fu grata che continuasse a tenerla stretta a sé, senza provare a girarla per guardarla in viso.
«
Cosa pensi che mi aspetti da te?»
«
Non lo so... penso di non esserlo e basta. Qualunque cosa tu voglia, io non lo sono.»
«
Di non esserlo e basta? Di cosa stiamo parlando?»
La cullava, sì la cullava tra le braccia, mentre avrebbe voluto scuoterla probabilmente.

«Di non essere abbastanza per te.»
Ecco.
Si maledisse per la propria linguaccia, per la propria debolezza, per la sua stupidità e capacità di complicare anche le cose più semplici.

«Lou...»
Non 'Prinsessa'”.

«Lo so, Ville... so quello che stai per dirmi.»
«
Cosa sto per dirti?»
«
Che mi sbaglio: che non sono io a sapere cosa tu voglia.»
«
Hai ragione: ti sbagli. E ancora di più sbagli a dire che non sei abbastanza per me. Sei anche troppo... Lou, tu mi dai qualcosa che non speravo di avere più.
Ho amato tante donne nella mia vita, sono stato a letto con molte più donne di quante avrei mai pensato di poter avere; con qualcuna di loro ne è valsa la pena, con qualcun’altra no; poi ci sono state quelle per le quali ho scritto canzoni.
E poi ci sei tu. Che non sei uguale a nessun’altra. Che non potevo immaginare.
Che mi fai entrare nella tua normalità, che mi tratti come uno qualunque, che mi fai tornare ragazzo e avere voglia di qualcosa che non sapevo di volere.
»

Lou trattenne il respiro per un tempo indefinito.
SE muoio è per colpa tua.”.

Lui strinse le braccia ancora di più attorno a lei, sfiorandole l’orecchio con la punta del naso.
«
E cosa vuoi?» – impiegò molto più tempo del dovuto per articolare quelle tre parole.
«
Questo... io e te... così, come ora... per tutto il tempo che mi vorrai.»


******


Le mani scorrevano lungo le braccia, fermandosi sulle spalle nude e tornavano indietro lentamente fino ai polsi di Lou.
«
Mi avresti tirato il bicchiere?» – le chiese ridacchiando.
Lou era incuneata fra le gambe di Ville, che la stringevano alla vita e lei lo guardava seria, con il viso appoggiato sulla pancia di lui.

«No. Avevo in mente di strozzarti con la sciarpina.»
«
Ahia. Preferisco una morte rapida e violenta che una lenta agonia.»
«
Non è quello che canti.»
«
A voi donne piace immaginarmi così...» – sospirò teatrale alzando gli occhi al cielo.
«
Umpfh.»

Ridacchiò nuovamente, prendendole i capelli in entrambe le mani.

«Amo i tuoi capelli che danzano intorno a noi, amo sentirli sfiorarmi quando sono dentro di te, creando una cortina magica, dorata tra noi...»
«
Già, già Valo, ma non attacca: non mi freghi sempre con questi versi poetici, come fai con tutte le tue prede.»
«
Vero. Tu non hai bisogno di chiacchiere. Tu vuoi i fatti. Sei una donna materialista...» – spinse provocatorio il bacino contro di lei.
«
Fottiti, Valo.»
«
Siamo diventati sboccati, eh?»
«
Già: sai, frequento cattive compagnie.»
«
Vero anche questo...»
La guardò negli occhi continuando a giocare con i suoi capelli, intrecciandoli alle mani.

«Sei seria. Più del solito, intendo.»
«
Non sono mai stata l’anima della festa se è per questo.»
«
E siamo anche acidi, vedo... la mia cura non ha avuto esiti positivi.»
«
Forse la tua cura fa cilecca.»
«
Cilecca, eh?»

Lou alzò un sopracciglio come faceva lui.
Ville rise con la sua risata a singhiozzi.
La sua
“Lambretta”: ricordava la prima volta che l’aveva sentita, la notte che avevano trovato Katty.
La notte che era cambiata la sua vita.

«Che cosa hai fatto di bello in mia assenza?»
Lou strinse gli occhi soffocando la rabbia per la cena mancata e la sorpresa.

«Sono stata qui, poi ho fatto visita al Sig. Korhonen; non mi sembrava in forma il giorno precedente e volevo assicurarmi che stesse bene.»
«
E ora sta bene?»
«
Sì, sta bene.»
«
Non hai molta voglia di fare conversazione, eh?»
«
Tu parli troppo, Valo... te lo dico sempre.»

Lou si alzò a sedere sul letto sfuggendo alla presa di Ville.
«
Ehi, dove vai?»
«
In cucina, ho sete.»

E prima che potesse aggiungere altro, lei scivolò via lesta.

Aveva stranamente bisogno di qualche minuto da sola.
La presenza dell'uomo alterava sempre il suo modo di vedere e approcciarsi alle cose.

Doveva impegnarsi a non dar troppo peso alle parole, a godersi il momento e non lasciarsi andare eccessivamente.
Mara aveva ragione. Con lei o era tutto o niente.

Doveva imparare a gestire le cose con maggior consapevolezza, senza negarsi la gioia di avere Ville nella sua vita.
Bevve un bicchiere d’acqua, sperando che facesse chiarezza anche dentro la sua testa e rinfrescasse i pensieri confusi, dopo le parole dolci di Ville.
Prese al volo la bottiglia portandola in camera, pensando che anche lui potesse aver sete.

Ville non era più sul letto disfatto, ma curiosava guardando la cornice in plexiglas che raccoglieva tutte le sue foto dei ricordi.
Una bella visione anche per lei, dato che era con le sue beltà al vento.

Si girò sorridendole, nel sentirla tornare in camera.
«
Raccontami di queste foto.»
«
Cosa vuoi sapere? Sono solo foto di ricordi...»
«
So cosa sono, voglio che mi dici cosa significano per te. Avanti, non fare la scontrosa... vieni qui.» – la tirò via dal letto, piazzandola davanti a sé e tenendola stretta.

«Questa – indicò una foto di lei e Mara in bianco e nero - Qui dove sei? Con chi eri e cosa stavi facendo?»
«
Lei è Mara, la mia più cara amica. Siamo a Roma, durante il primo anno di Accademia; non ricordo cosa stessimo facendo di preciso... la foto l’ha scattata Simone. È un ottimo fotografo se decide di stare dietro la macchina e non davanti...»

«Sei molto carina con i capelli corti.»
«
Erano corti perché Simone, voleva giocare all’Allegro Hair-Stylist Gay e sbagliò la tinta, su di me. Ovviamente. I capelli diventarono di un colore giallognolo tendente la verde. Così fui costretta a tagliarli.»

Le strinse le braccia intorno alla vita, distraendola.
«
E qui? Chi sono loro?»
«
I miei genitori e mio fratello Livio, manca l'altro mio fratello in questa... e questa è casa mia...»
Indicò la sua famiglia, immortalata nel piccolissimo giardino dietro casa. La foto era piena di sole e ridevano tutti. Suo fratello faceva come al solito il buffone e aveva detto una delle sue baggianate. Lou non ricordava cosa disse in quell’occasione.

«Tu non ci sei.»
«
Ero io a scattare: è una foto di qualche anno fa... ora mio fratello è cresciuto, ma è ugualmente idiota...»
«
Ti somiglia in qualche modo. Ha i tuoi stessi occhi, ma tu somigli a tuo padre.»
«
Sì, come da manuale le donne somigliano di più al papà e i maschietti alla mamma, di solito; tu a chi somigli?»
«
A mia madre, per i tratti del viso... per il resto, a mio padre.»

Si chiese come dovesse essere bella la madre di Ville se il figlio aveva preso da lei.
Il pollice di Ville disegnava ghirigori sulla pancia di Lou.

«
Questo è Simone e lui chi è?»
Ville indicò una foto dell'ultima volta che era stata in Italia.

«
Karl, il marito di Mara... affascinante, non trovi?»
«
Ummmm, se ti piacciono gli spilungoni biondi ti presento qualche mio amico.»
«
No, preferisco i mori.»
«
Buongustaia.»

«E questa?» - indicò l'ecografia di Mara con tono interrogativo e preoccupato.
«
Tranquillo, non è mia. Mara me l'ha mandata ieri.»
«
Io sono tranquillo, tu molto meno... - aprì la mano sulla pancia – Non vuoi avere bambini?»
Lou si gelò immobile e si staccò da lui bruscamente.

«Non è la mia priorità, ora.» - disse seccamente infilandosi la t- shirt.
«
Com'eri da bambina?» - Ville cambiò rapidamente discorso, buttandosi sul letto.
«
Piccola.»

Acidissima. Limone. Pompelmi a vagonate.”.

Ville ridacchiava dal letto.
«
Lou? Sputi bile da ogni poro stasera... vieni qui.»
«
Non ci penso neanche. Sono stata a letto tutto il giorno, voglio sgranchirmi le gambe.»
«
Ci sono molti modi per sgranchirsi le gambe...» - sussurrò allusivo.
Lei si girò con un sopracciglio alzato.

Ormai aveva affinato la tecnica: le veniva benissimo.
«
Di nuovo? Non farà male alla tua età strafare?»

Niente da fare. L'allieva non poteva superare il maestro.
Le sopracciglia di Ville fecero quasi il giro mortale all'indietro.

Entrambe.
Contemporaneamente e con eleganza.

«Male? A me?!»
Condensò tutto il suo sdegno in due parole e tre sillabe.
Aveva dimenticato il :
“Come osi, tu... plebea!?”.


Lou si appoggiò mollemente alla scrivania guardandolo con aria sufficiente.
Le veniva da ridere e sotto sotto anche a lui.
Prese la foto che Livio le aveva inviato e la mostrò a Ville, sedendosi lontana quanto basta da lui.
Meglio non sfidare troppo la sorte.

«
Ecco, ero così.»

Ville la prese e le sorrise con gli occhi, sbirciandola al di sopra della foto.
«
Sei uguale: stessa espressione incavolata, stessa smorfia, stessi capelli... marmellata a parte, non sei cambiata molto...»
Sarebbe bello, Ville... ma non sono più quella bambina.”
«
Posso tenerla?»

Lou annuì, lusingata che lui volesse la sua foto da bambina... era così... dolce. E intimo.

«E comunque... - continuò avvicinandosi a lei inchiodandola sul posto con la giada – ti vedo bene con un bambino. Saresti un'ottima madre.»
Lei tornò ad irrigidirsi.

«
E come fai a dirlo?»
«
Perché vedo come sei premurosa con il Sig. Korhonen: sei premurosa con tutti e lo saresti ancora di più con un bambino.»

Lou mordeva nervosa l'interno della guancia, massacrandosi la carne.
«
E tu? Tu ti vedi come padre?» - si pentì immediatamente di quella domanda.
Non voleva saperlo. Non voleva una risposta.
Qualunque cosa avesse detto lui, non avrebbe cambiato la realtà dei fatti.

Doveva dirglielo? Cosa avrebbe cambiato? Nulla.
Ville ponderò bene la risposta non staccando gli occhi da lei.

«
Potrei vedermi bene, sì. Penso che sia la conseguenza normale se trovi la persona giusta, no?»
«
Giusto.»
«
Uhmmm...»
«
Che mugugni?»
«
Devo assolutamente trovare un modo per farti tornare di buonumore. Adesso.»

La bloccò con le lunghe gambe magre sotto di sé.

«Valo...» - iniziò a borbottare.
«
Zarda, te l'hanno mai detto che a volte parli troppo?»



*******



"Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti! Sono salva! Dopo aver rischiato di brutto per la fregatura dello scorso capitolo eccoci qui con un altra dose di Pippe's Lou! ^^
Valo è tornato e come sempre la nostra amica non ha saputo resistere al fascino del secco... u,u
Gli basta davvero poco per farla capitolare, ma è innamorata: bisogna capirla, poraaaa stella!!
E nnnniente... spero che anche questo capitolo vi tenga compagnia per un pò e vi piaccia... e spero anche che tutti i fantasmini ( e sono tanti) che leggono, prima o poi, lascino un loro commentino.
Tranquilli: non mordo! (forse) xD

Come sempre un grazie speciale alla mia Beta che si è persa momentaneamente tra i trulli della Puglia:
Deilantha.
Spalla e roccia della mia vita insieme all'apinacuriosaEchelon. <3

Ringrazio tutte le affezionate lettrici che hanno lasciato un segno del loro passaggio nel capitolo precedente:
katvil, _TheDarkLadyV_, cla_mika, arwen85, Daelorin, Lady Angel 2002, LaReginaAkasha, Enigmasenzarisposta, IlaOnMars6277, Gone with the sin, renyoldcrazy, LilyValo, _Venus_Doom_ , FrancyValo, Izmargad, Emp_MJ.
Inolte un grazie ad Ary per la lettura a tempi di record che sta facendo!
E un grazie anche ad Alessandra S., sorella dello "zoccolo duro"da lunghissimo tempo che ha scoperto da poco Ville e gli HIM (per la disperazione di Reny!XD).


:*
Alla prossima!

*H_T*





Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo ventuno : "So sweet that it's hurts..." ***






Image and video hosting by TinyPic


Capitolo ventuno

"So sweet that it's hurts..."






Lou guardava Katty dormire beata sulla pancia di Ville.
La micia aveva atteso pazientemente che fosse il suo turno di coccole e non appena Lou si era distratta allontanandosi dal letto per un minuto e due, aveva preso possesso del suo finnico.
La mano di lui era posata sul capino della micia che gli faceva le fusa perfino mentre dormiva.

«Sono allergico ai gatti. Agli animali in genere, a dire il vero... sai?»
Ridacchiò tirando su con il naso.
Ecco spiegato perché aveva sempre gli occhi rossi e lacrimosi: e lei che pensava si commuovesse!

«Sei strano Valo... rischi di soffocare eppure te la tieni addosso...» - gli sorrise dolce.
«Non è mica detto che solo perché qualcosa o qualcuno non fa bene alla salute, io ne debba fare a meno...» - le lanciò uno sguardo obliquo.
«Ehi, vorresti insinuare che io ti faccio male alla salute?»
«Diciamo che non sei una facile...»
«Senti chi parla! Sua Maestà Affabile!»

Ville se la rideva sotto i baffi.

«Non ho neanche detto che non mi piacciono le sfide... non sarei qui.»
«Magari sei qui perché non hai niente di meglio da fare e sei troppo pigro per cercarti una donna lontano da casa tua.»

L'espressione di Ville cambiò immediatamente.
«Spero per te che tu stia scherzando.» - disse gelido e risentito.
Lou non rispose evitando di guardarlo negli occhi.
Vedeva troppe cose quando la sondava con quei laser verdi.

«È successo qualcosa che non so? Non capisco perché hai quest’atteggiamento... e la cosa mi rende nervoso. Pensavo che fossi stato abbastanza chiaro su quello che provo per te. Ma vedo che continui a dubitare, a mettermi alla prova sfidando la mia pazienza... cosa vuoi che faccia?» - chiese con un tono di voce alterato.

A Lou tremarono le pareti dello stomaco.
Probabilmente stava esagerando con la sua acidità, ma come una macchina lanciata in folle con i freni rotti lei andò avanti da vera kamikaze.
«Perché, pensi che sia impossibile che tu stia qui solo per il motivo che sono quella a portata di mano?»

Ville la guardava in silenzio, il corpo che fino a qualche minuto prima era rilassato, ora era teso, le narici dilatate e le labbra strette a formare una linea dura.
«Stai parlando sul serio?»

Fermati. Sta' zitta, cretina di un’idiota!”.

«Saresti così gentile da rispondere? O devo prendere questo silenzio per assenso?»

Katty si svegliò sentendo il suo finnico agitarsi sotto di lei.
Miagolò contrariata, guardando prima l'uno poi l'altra allarmata.
Strinse gli occhi verdi così simili a quelli di Ville, fissandola con aria accusatoria.

Oh, anche lei ora!”.

La gatta aveva già deciso di chi fosse la colpa dell'alterco che l'aveva svegliata dal suo placido sonnellino.

«È quello che penserebbe la maggior parte delle persone.»
«Non me ne frega un cazzo di quello che pensa la maggior parte delle persone: lo sto chiedendo a te. È con te che sto parlando.»
Era sempre più arrabbiato.
Il suo amico Simone avrebbe sicuramente detto: “Me sa che ho fatto‘na cazzata...”.
E iniziava a pensarlo anche lei.
Come sempre quando era nel panico iniziava a dire e fare cose senza senso: Ville però era tutt'altro che una persona che se la faceva sfuggire sotto il naso.
La fissava arcigno come un istitutore in procinto di infliggere una punizione esemplare all'alunna tonta.
Lou represse l'istinto di scappare via a gambe levate.
Ville sexy e dolce era una cosa: Ville arrabbiato... beh, era tutt'altra storia.
Gli occhi verdi caldi e ardenti si trasformavano in lame affilate, gelide.

Vedeva la fatica che faceva a contenere il fastidio.
«Lou?»
«Ville... mi spiace. È che... se guardo te, mi chiedo sempre per quale motivo dovresti volere me.»

«Ti è così difficile credere che invece è proprio te, questa casa, questo letto, Katty, la cucina con le sedie tutte spaiate e il bagno con la doccia che perde che voglio?
Ti vorrei in ogni caso. Sono egoista?
È difficile capire che voglio TE? Sono io che mi chiedo perché dovresti TU volere me.
Non ci sono mai e quando sono con te, parliamo poco.
Ti do soltanto i ritagli del mio tempo e meriteresti sicuramente molto di più.
Non posso darti quello che una normale coppia dovrebbe avere, sarà sempre più difficile stare al mio fianco e sarai sempre bersaglio di commenti e paragoni con quelle che ti hanno preceduta.
Vorrei risparmiarti tutto questo ed essere un semplice uomo e basta.
Ma non lo sono.
Questo deve condizionare ogni nostro momento insieme?
Perché se devo rinunciare a te, voglio avere un'ottima motivazione e al momento non la vedo!
Dimmelo!
Dimmelo ora!
Dimmi se vuoi ancora stare... – si interruppe bruscamente - Dimmelo se vuoi continuare. - disse a bassa voce – E guardami, per favore.»

«Se ti guardo non sarò più in grado di mettere due parole in fila, perché non riesco a negarti niente quando mi guardi.»

Seduta sul letto con le braccia che stringevano le gambe e la fronte che poggiava sulle ginocchia, Lou cercava le parole adatte ma prima che potesse impedirselo ecco che la sua bocca era andata di nuovo per conto suo.

Sentì sospirare, il materasso muoversi e due braccia magre tirarla giù, togliendola dalla sua posizione fetale e piegarla come sempre, al suo volere.

Con le labbra che si muovevano leggere sulla sua fronte lo sentì farfugliare:
«'Prinsessa'... so che qualcosa in passato ti ha tolto quel po' di fiducia che voi donne avete in noi... e avete ragione, la maggior parte delle volte...
Non posso prometterti niente.
Non posso mentirti, non voglio mentirti.
Vorrei che tu scegliessi di rimanere con me, perché da quel bastardo egoista che sono, amo stare con te, amo come mi sento quando sono con te...
Ma quest'ansia perenne che ti porti addosso... lo so come ti senti.
Ti chiedo solo di darmi tempo, di darci tempo.
Ci saranno periodi in cui non riuscirai a liberarti di me e starò con te ogni momento.
Io non sono come gli altri uomini: sono molto peggio.
E tu devi saperlo: sono un rompicoglioni senza eguali... ma voglio te.
E so che tu vuoi me.
Pensi di riuscire a sopportare il mio caratteraccio, le mie mancanze, come io sopporterò le tue ansie, le tue paure e gli improvvisi cambi d'umore, che tu non ti sognerai ovviamente, di spiegarmi?»

Come faceva a dirgli di no? La metteva su un piano così semplice.
E lo era. Per una persona normale, per una donna normale che credeva in se stessa.
Ma lei non era come tutte le altre.
Ville parlava di qualcosa che lei non riusciva ancora ad accettare, si aspettava qualcosa, un futuro che lei non poteva dargli.
E nel panico più assoluto, non sapeva come dirglielo.




******




Quella volta in ospedale, la notte che aveva perso il suo bambino, Matleena le aveva preso le mani fredde e sudate fra le sue e spiegato con una dolcezza che non credeva di poter trovare nella sua draghessa, che il feto non ce l'aveva fatta.
E che non ce ne sarebbe mai stato uno.
L'intervento subito non lasciava dubbi: lei non avrebbe mai portato a termine una gravidanza.
Niente bambini per lei.
Aveva guardato Mat con espressione neutra, come se quello che le stava dicendo con gli occhi lucidi non la riguardasse affatto.
Aveva appreso la notizia senza battere ciglio, spaventando ancora di più la sua draghessa che probabilmente si aspettava scene isteriche o quasi.
Non aveva pronunciato una parola, n'è versato una lacrima.
Stava succedendo a qualcun'altra. Non a lei.
Solo quando era tornata a casa due giorni dopo, con Mat e Nur che le stavano dietro come segugi, scrutandola come se temessero che potesse farsi del male, aveva capito che per lei non ci sarebbe più stato in tutta la sua vita, qualcuno che le potesse appartenere completamente.
Qualcuno che avrebbe confidato in lei, che si sarebbe fidato, che lei poteva amare senza paura di vederlo scappare via, che la ferisse o la illudesse.
Qualcuno completamente, totalmente suo.
Si era guardata allo specchio scoprendo la pancia piatta.
Non c'era neanche stato il tempo di vederla crescere, di sentirlo muoversi dentro di lei.
Non c'era stato tempo di capire se sarebbe stato un maschio o una femmina...
Eppure lei si era sentita legata a lui o lei, più che a qualunque altro essere umano.
Da quella notte in poi, dal suo ritorno a casa, vuota dentro più che mai aveva iniziato a sognare quel bambino mai nato.
A volte lo sognava come neonato, altre invece correvano insieme rincorrendosi e rotolandosi sulla sabbia...
A volte le sembrava addirittura di sentire il profumo della sua pelle e la setosità dei suoi capelli contro la guancia.
In quei primi mesi, dormiva più che poteva per poter cullare tra le braccia quella parte di lei che non avrebbe conosciuto mai.





******




Ville aspettava come sempre una risposta che lei tardava a dargli.
Continuava a baciarle pensieroso i capelli e la fronte sfiorandola con le labbra.
Al suo posto si sarebbe spazientita della sua eterna indecisione, dei suoi innumerevoli cambi d'umore e dubbi.
Ma Ville, dopo un primo momento in cui sembrava stesse per perdere le staffe era tornato quello di prima.

«So che trattare con me e capirmi non è facile, Ville.
A volte la mia paura mi fa commettere sbagli di cui poi pago le conseguenze... sono consapevole di alcuni tratti di me che sono insopportabili... - sospirò, stringendoglisi addosso - voglio fidarmi di te.
Voglio fidarmi di quello che sento.
Voglio te.»

Le braccia calde intorno a lei aumentarono la stretta.
Restarono in silenzio per un po', limitandosi ad ascoltare l'una i respiri dell'altro, Katty tornò ad incunearsi tra loro due soddisfatta della tregua e contenta di poter tornare a fare il suo amato sonnellino vicino a Ville.

«Ville?»
«Ummhhh...?»
Lou avvicinò il viso a quello di lui, sfiorandogli il collo con la punta del naso.
«Ti amo.»




******





«Sono a casa!» - la voce squillante di Nur annunciò il suo arrivo, come se non fosse stato sufficiente il baccano che faceva, imprecazioni varie per tirare dentro il trolley e il lancio delle chiavi di casa sul mobile in corridoio.

Ville aprì un occhio borbottando una sequela di coloriti insulti in finlandese.
Avevano parlato per tutta la notte, alternando coccole a confessioni, ricordi d'infanzia e aneddoti, momenti di passione ed erotismo alle stelle a risate e giochi con Katty esaltata che correva e saltava sul letto, infilandosi tra loro e sotto le lenzuola.

La micetta si stiracchiò sbadigliando e si puntellò con le zampette sfoderando le unghie affilate contro il fianco nudo di Lou.
Il sole entrava a tratti dalle persiane socchiuse, disegnando strisce di ombra e luce nella stanza.
Lou si sporse oltre la gatta che la sbirciava ad occhi socchiusi e sfiorò le labbra di Ville con le sue.
«Dormi, io vado a sopprimerla e torno da te.»
«Umpfh... ok...» - bofonchiò con la voce ancora più rauca e bassa del solito.
Infilatosi sul corpo nudo la prima cosa che le capitò a tiro, uscì per dare il benvenuto alla sua coinquilina rumorosa.

Nur in cucina si stava versando un bicchiere di succo d'ananas e le strizzò l'occhio quando la vide apparire scarmigliata e mezza nuda.

«Ma il secco una casa non ce l'ha?» - chiese a mò di benvenuto.
«Shhhttt.. lo hai svegliato.»
«Oh, povera stella! Quanto mi spiace.»
Lou fulminò con un'occhiata la sua amica senza che questa si scomponesse minimamente.
«Antipatica. Ho bisogno di caffeina. Ora.» - si accinse al suo rito mattutino sbirciando Nur che la sbirciava a sua volta.
«Beh? Che c'è?» - chiese acida.
«Niente. Hai per caso un morso sulla coscia? Siamo passati al sesso estremo?» - ridacchiò divertita Nur.
“Eh? Davvero ho un morso? - Lou sbottò a ridere guardando a sua volta il segno semicircolare lasciato dai dentini di Ville – Non ho idea di quando mi abbia addentata...»
«Sempre peggio: non gli passa mai la voglia?»
«Dio non volesse!» - rispose Lou alzando gli occhi al cielo.
«Ninfomane.»
«Rompipalle.»
Lou guardava la sua amica ridacchiando: come sempre era abbagliata dalla sua bellezza esotica e sensuale.
Nur riusciva ad essere bella e perfetta anche dopo dieci ore passate su un aereo a fare avanti e indietro per il corridoio.
Quella mattina aveva i lunghi capelli neri raccolti in una coda alta che metteva in risalto i suoi lineamenti.
Aveva indossato stranamente una felpa leggera bianca su un jeans chiaro e solo un po' di mascara.
Ed era stupenda.
Lou non osava pensare in che stato fosse lei invece... morsi sulle cosce a parte!
Continuavano a studiarsi silenziose, felici di essersi ritrovate.
Confortate l’una dalla presenza dell' altra.

«È tutto ok? - chiese Nur sorridendole – Il secco ti tratta male?»
«Sì, è tutto ok... perché me lo chiedi?»
Nur alzò le spalle.
«Chiedevo.»- rispose vaga.
«Nur. Sputa il rospo, tu non chiedi mai.»
«Niente, sul serio...» - le sorrise rassicurante la sua coinquilina.

Chissà perché invece, quando Nur sorrideva così, a lei venivano i brividi: era a metà tra un sorriso da serial killer e un pazzo.
«Nur!»
«Ranocchia: piantala! Era solo una domanda... e io ho bisogno di una doccia.- tolse la felpa rimanendo in reggiseno di pizzo viola – Pensi di poter tenere il secco a letto ancora per qualche minuto? Non vorrei ritrovarmelo improvvisamente tra i piedi.» - le strizzò l'occhio dirigendosi verso il bagno, lasciandola a bere da sola il suo caffè ormai tiepido.
Lou non si era bevuta la sua scusa con relativa fuga strategica: avrebbe torchiato a dovere l’hostess svampita.
Lei e il suo sesto senso da quattro soldi.
Avrebbe dovuto infischiarsene e dar retta ai suoi amici, invece annusava sempre come un segugio ogni sfumatura nella voce e negli occhi di chi aveva davanti.
E spesso questo non faceva che procurarle dei guai.

Katty sbucò all’improvviso saltando sul ripiano del mobile.
Miagolò debolmente nella sua direzione in cerca di cibo.
Era solo per quello che lasciava il fianco di Ville: niente l’avrebbe schiodava da lui altrimenti.
La tenne d’occhio con aria altera, in attesa mentre lei apriva una scatoletta di cibo e gliela serviva sul piattino a forma di pesce che aveva comprato qualche settimana prima.
«Ecco a lei, principessina!»- le disse Lou guardandola chinare la testa e iniziare il suo pasto.
L’eleganza innata dei gatti in qualsiasi cosa facessero.
Come Ville.
Tornò in camera dopo aver dato una carezza a Katty che la ignorò completamente.

Ville dormiva alla grossa: il suo respiro di solito leggero e quasi impercettibile, era pesante e cadenzato.
Si avvicinò piano, in punta di piedi.
Le labbra dischiuse e una mano sulla pancia, l’altro braccio steso al suo fianco, dalla parte dove fino a poco prima c’era lei.
I capelli castani sparsi intorno alla sua testa, arruffati.
Un segno di un suo bacio un pò troppo violento faceva capolino dal suo collo.

Era bello. Perfetto. Etereo.
Con la sua pelle chiara e liscia, senza peluria... I tatuaggi che avrebbero dovuto contrastare con il suo aspetto così delicato e quasi androgino, lo rendevano ancora più sexy e affascinante.





******





Ti amo.”.

Poche ore prima, in modo del tutto spontaneo e improvviso, stupendo anche se stessa gli aveva detto che lo amava.
Non era stato come nel sogno.
Ville non aveva recitato nessuna poesia o canzone.
Era rimasto immobile per qualche istante, stupito anche lui.

Le aveva invece alzato il viso e guardata negli occhi, fissandola a lungo, e anche nella semioscurità della stanza, lei riusciva a vedere le pagliuzze oro nei suoi occhi verdi.
Le aveva sorriso piegando la bocca in modo sensuale e l’aveva baciata a lungo, un bacio infinito e profondo.

La bocca di Ville.

La lingua che ora danzava lenta e morbida, e subito dopo combatteva contro la sua, prepotente e dura, i denti che le mordicchiavano le labbra e la lingua stessa facendole quasimale...
Le teneva la testa imprigionata tra le mani grandi e bollenti impedendole di muoversi, di sfuggirgli.


Come se in quel bacio volesse mettere ogni cosa.

Come se a parole non potesse o non volesse dirle quello che provava.
Le mancava il respiro, le ronzavano le orecchie e non riusciva a formulare un pensiero lucido.
Sentiva solo la bocca di Ville.
Il mondo intero era sparito.
C’era solo lui e quel bacio che non finiva mai...
Quel bacio che la annientava, che prendeva ogni briciola della sua volontà, della sua forza.
Voleva di più. Sentirlo di più.

Gli aveva afferrato a sua volta il viso, tirandolo impetuosamente verso il proprio.

Il bacio era diventato quasi violento, nel desiderio di sentirsi di più, di essere una cosa sola, di scambiarsi reciprocamente quello che l’altro aveva dentro, che le parole non sapevano e non potevano spiegare...

Quando lui era entrato dentro di lei, gli si era aggrappata con tutte le sue forze stringendogli i fianchi tra le gambe.

I gemiti rauchi di Ville si perdevano nella sua bocca.

Ti dono ogni cosa... Ti dono me stessa...”- pensava lei, muovendosi all’unisono con lui.

Ti amo... Ti amo... Ti amo...”.

Non ricordava quante volte glielo aveva sussurrato mentre lui si muoveva dentro di lei, sopra di lei.


Non riusciva a dirgli altro che lo amava e ripetere il suo nome all’infinito.





******




Si accoccolò a terra, ai lati del letto per guardarlo senza disturbarlo con la sua presenza, posando il mento sul materasso.
Quello che provava per lui andava di ogni ragionevole pensiero, al di là di ogni cosa, di ogni controllo...
Ormai non poteva più barare, nascondersi o pensare che per lui fosse un gioco.
Non poteva darsi questa scusante, non dopo quello che Ville le aveva detto e soprattutto quello che non le aveva detto la notte appena trascorsa.
Non aveva risposto al suo “ti amo” ma non ce n’era stato bisogno.
Lei riusciva a sentire ogni cosa, ogni emozione che lui provava: bastava che la guardasse ed era come se tra loro ci fosse una connessione profonda, che non aveva bisogno di voce, di parole.
Fare l’amore con lui era un’esperienza che andava ben oltre il semplice contatto fisico: era qualcosa che la toccava nel profondo, che la coinvolgeva anima, corpo e cuore.

Si era spesso chiesta in quelle ore se era innamorata davvero per la prima volta in vita sua.
Con Andrea era stato tutto diverso e prima che Ville entrasse nella sua vita, lei aveva pensato che non sarebbe mai riuscita ad amare qualcun’altro allo stesso modo e con la stessa intensità.

Si era sbagliata.

Con Andrea non aveva mai toccato quelle vette di piacere o emozioni.
Non aveva mai pianto mentre faceva l’amore con lui; non era mai stata sopraffatta dalle sensazioni dell’altro, come invece le succedeva con Ville.
Non aveva mai desiderato fondersi completamente con nessun’altro come con Ville.

Il suo desiderio di sentirsi amata da Andrea, le aveva fatto credere che nessun amore sarebbe mai stato grande quanto quello che provava in quel periodo per il suo ex.
Ma Andrea, al contrario di Ville non aveva mai condiviso con lei altro che il suo corpo.
Non lo aveva mai sentito vicino, suo...

Sorrise vedendolo accigliarsi mentre dormiva.
Chissà cosa stava sognando il suo bel principe.

Aveva creduto che confessargli il suo amore sarebbe stato difficile, che questo l’avrebbe fatta sentire vulnerabile e fragile nei suoi confronti.
Aveva temuto che lui potesse servirsene come aveva fatto Andrea, per ferirla, farle fare ciò che lui voleva, quando voleva.

Ma dimenticava che Ville non era Andrea.
Nessuno era come lui.
Nessuno la faceva star bene come Ville.

Non aveva più paura.

Ville si mosse appena e aprì gli occhi, spaesato per solo un istante.
La fissò serio e accennò il suo amato sorriso.
Lou ricambiò il suo sguardo altrettanto seriamente.

«Ho sognato che mi dicevi che mi amavi...» – sussurrò lui con la sua voce sexy, roca, che le metteva i brividi e le faceva stringere le pareti dello stomaco.
«Non era un sogno.»

Piegando un braccio sotto la testa, Ville avvicinò il viso a quello di Lou.
Era faticoso cercare di mantenere la giusta concentrazione con la visione delle labbra morbide e ancora gonfie dei baci della notte precedente.
Lou era fiera di se stessa per essere padrona della sua libido.
Forse.

«E io che ti ho detto al riguardo?» – le chiese a voce bassa.
Con un dito elegante le stava accarezzando il dorso della mano.
«Non ricordo bene... ma se la memoria non mi inganna, non hai proferito parola...»

Lou sentiva il suo occhio destro iniziare ad emozionarsi.
Non ora, maledetto!”.

«Uhmm... che spregevole distrazione da parte mia.»
«Eri impegnato a fare altro: non pretendo mica che tu faccia due cose contemporaneamente. Sono una donna materialista, ma ragionevole.»

Bloccò il dito vagante e lo portò alle labbra baciandone la punta.

Un lampo divertito si afffacciò negli occhi verdi, affascinato dalla bocca di Lou che baciava e mordicchiava dolcemente il dito.

«Forse possiamo riprendere il discorso.»
«Sei abbastanza lucido ora?»
Lui ridacchiò.
«Non se continui a fare quello che stai facendo, 'Prinsessa'...»
«Perché, cosa sto facendo?»
«Mi distrai
«Da cosa?»
«Da quello che voglio dirti.»

L’occhio destro sfarfallò debolmente e Lou inghiottì a vuoto.
Allontanò le labbra dalle mani di Ville e lo guardò in attesa.

«Beh... alla luce dei fatti, posso affermare che quello che mi hai detto mi ha lasciato senza parole, come avrai notato... Non pensavo che avresti mai tirato fuori improvvisamente tutto in una sera. Ecco... mi hai colto di sorpresa e...»

«Valo? Vai al dunque e non tergiversare.»- lo interruppe lei e sorrise vedendolo annaspare agitato.
Lui sbottò, ridendo.
«Dio, sei impossibile Zarda! Ok, ok... vado al dunque.»

Lou ghignò divertita, ma l’occhio traditore batteva ritmicamente ora.
Forte quasi quanto il suo cuore.

Avvicinò ancora di più il viso a quello di Lou, sfiorandole il naso con le labbra tentatrici, piantando dentro ai suoi i meravigliosi occhi di giada.

«Ti amo. Ti amo anch’io acida, scontrosa, complicata e difficile donna.
Amo ogni cosa di te, anche se sei diffidente e tenti di tirarmi dietro ogni suppellettile della tua cucina quando hai la luna storta.
Ti amo perchè sei fragile e forte allo stesso tempo, ti amo perchè nonostante tutti i tuoi sforzi non puoi fare a meno di essere te stessa e amare completamente.
Ti amo perchè hai un cuore puro come quello di una bambina.

Hai detto di essere diversa dalla foto che mi hai regalato, ma non è così.
Sei ancora quella bimba: curiosa del mondo, scontrosa, timida, imbronciata e bisognosa di essere abbracciata e rassicurata.
Sei fiduciosa nonostante ti abbiano ferita.
Ti amo perchè mi hai preso con te nello stesso modo in cui hai accolto Katty...
Quella notte hai raccolto due randagi tra la neve... e ci hai aperto le porte del tuo cuore.

Sei così dolce da far male...

Ti amo, mia 'Prinsessa'... Minäkin rakastan sinua..
Image and video hosting by TinyPic

******






"Angolo dell'autrice:

Aaaaalloraaa, arieccoci! Lo so, sono un tormento... oh, questo passa il convento! Tenevelo!

Posto oggi perchè non posso nei prossimi giorni, (come dice qualcuno di nostra conoscenza: "C'ho da fa, c'ho da spiccià, devo pure andare dal parrucchiere..." ;> ).
E siccome questo capitolo ormai ha fatto la muffa sul pc, sono mesi che è pronto, non potevo tenermelo ancora, vi pare?
Come chi ha letto la OS,
"Love me Tender" avrà notato, in questo capitolo ci sono gli stessi momenti ma visti dall'altra parte, ovviamente.
Mi piaceva sincronizzare le stesse scene in due cose differenti, ma legate tra loro!

Questa ragazza ci ha fatto penare 20 capitoli prima di dirgli quelle magiche paroline, eh?
Ormai abbiamo imparato a conoscere Lou e le sue paure, che sono quelle di tutte noi, vero?
Finalmente!!!

Umh.. che altro aggiungere? Niente va.
È sufficiente così!

Spero vi piaccia e ringrazio chi continua a commentare e seguire questa storia, nonostante sia lunga come le ere geologiche!

Sempre mille grazie alla mia adorata Beta
Deilantha, che con questo capitolo mi ha scuoricinato l'intero betaggio!XD
Inoltre non posso non dire grazie anche alle mie amate, che hanno commentato l' ultimo capitolo:
LilyValo, renyoldcrazy, apinacuriosaEchelon, _TheDarkLadyV_, Lady Angel 2002, katvil, eleassar, Izmargad, __Ary___, Gone with the sin, cla_mika, Emp_MJ, arwen85, Soniettavioletstarlet.

Grazie bellezze mie: presto ci vedremo! *^*
Ok, ora basta, see you soon.

:*

Alla prossima!, baci baci,

*H_T*









Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo ventidue: "Take my hand" ***





Image and video hosting by TinyPic



Capitolo ventidue

"Take my hand"


«Hai più risentito Julian dopo... dopo?» – chiese Lou.

«Dopo cosa? Guarda che abbiamo solo fatto sesso, eh? Non ci siamo dichiarati amore eterno.»

Era pomeriggio inoltrato e passeggiavano distrattamente tra i banchi del mercatino del porto.
Avevano deciso di uscire: l’aria era tiepida e il sole stava lentamente facendo uscire i finlandesi dal lungo inverno.

Ovunque c’era gente che passeggiava o andava in bicicletta, i bambini che giocavano rincorrendosi, coppie di anziani sedute su panchine a godersi i raggi del sole accecante, adolescenti intenti a baciarsi sui prati.
L’aria salmastra riempiva le narici di Lou.
Viveva ad Helsinki da tre anni e spesso dimenticava che fosse una città costiera.

«Boh... mi era sembrato che ci fosse qualcosa di più che solo sesso.»
«
Oh, andiamo Lou! Sei sempre la solita romanticona... ci siamo solo divertiti un po'. A lui non interessa avere una storia con me e lo stesso vale per me.»
«
Ok...» – rispose Lou, un po' risentita per il tono della sua amica.

Dopo la notte magica passata con Ville infarcita di miele e coccole l’impatto con la sua amica inacidita era stato drastico.

Ville aveva ricevuto una telefonata e a malincuore era scappato via prima di pranzo.
«
Mi spiace, 'Prinsessa'... – le aveva detto sfiorandole lentamente il collo con le labbra, tenendola stretta a sé, le mani che accarezzavano lente la schiena e di tanto in tanto scendevano malandrine sul sedere, accompagnate dal ghigno che lei tanto amava– non era previsto che mi cercassero oggi. Volevo stare con te...»

Gli aveva sorriso rassicurante.
«
Ho un’intera settimana di riposo, Valo... staremo insieme quando potremo.»

«Grazie... – aveva sussurrato baciandole i polsi facendola rabbrividire, fissandola intensamente negli occhi – grazie per essere così paziente...»
«
Sparisci prima che ti riporti a letto e ti ci incateni!» – aveva borbottato lei.
Prima che sparisse oltre la porta, la sua risata divertita, a scatti e così unica, la sua risata che lei aveva amato fin dalla prima volta in cui l'aveva sentita, l’aveva accompagnata per gran parte della giornata.

Nur sembrava distratta, nervosa ed evitava di guardarla negli occhi.
Cercò di intuire il motivo del suo atteggiamento, ma non le veniva in mente nulla.

Era deprimente non poter condividere con l’amica la sua felicità, ma questa non sembrava dell’umore adatto e ogni volta che lei nominava Ville lei storceva infastidita la bocca carnosa.
Aveva creduto che avesse ormai superato da tempo l’antipatia iniziale verso il finnico, dopo averli trovati seduti allegramente a far colazione solo qualche giorno prima... evidentemente era stata solo una fase breve.

«Nur, va tutto bene? – le chiese per l’ennesima volta – ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio?»
Questa si girò di scatto nella sua direzione, l’espressione stupita.

«
Cosa? No... ma che cosa vai a pensare? Perché dovrei essere arrabbiata con te?»- rispose acida.
«
Non saprei... sei strana.»
«
Sto bene. Sono stanca.» – tagliò corto Nur.
«
Va bene... ma se ci fosse qualcosa me lo diresti vero?»
Nur rimase in silenzio mordendosi le labbra, accigliata.

«Ma certo.» – rispose laconica, fissandola severa.
«
Ok... che facciamo ora? Torniamo a casa o restiamo a cena fuori? Ho una fame da lupi!»
«
Ma sì, restiamo fuori... si sta bene e non ho voglia di rinchiudermi di nuovo fra quattro mura. Sempre se non sei già impegnata con il tuo “ragazzo”.» – aggiunse acida, calcando la voce sull'ultima parola.
Lou si trattenne a stento dal risponderle a tono e contò fino a dieci.

«No, sono libera. Ville è impegnato stasera...»
«
Sì, certo. Immagino.» - borbottò a denti stretti Nur.
Tornò a contare, questa volta fino a trenta.

«Scegli tu dove: per me è uguale.» – le disse sorridendo Lou.

La sua coinquilina borbottò il nome del loro ristorante preferito e lentamente s’incamminarono di nuovo verso il centro della città.
Era strabiliante come Helsinki si trasformasse nel giro di qualche settimana: da grigia e triste, durante l’estate si riempiva di colori, fiori e sorrisi smaglianti.

Il cellulare prese a vibrare e lei si precipitò a cercarlo nel caos che regnava all’interno della sua borsa.
Sperava di sentire la voce calda di Ville. Le mancava già.
Era solo un sms che lei aprì sperando che fosse di qualcuno a lei gradito.

Ciao! Come stai? Va tutto bene? Hai qualche novità? Io sto lavorando a ritmi serrati e sono stanco... beh, fammi uno squillo quando leggi questo messaggio. XXX”.


L’sms di Simone la lasciò interdetta: niente “Grace” o “vacchetta” come faceva di solito.
Ma che avevano? Quel giorno erano tutti strani: tutti a chiederle se stava bene!

Buttò nuovamente all’interno della borsa il suo telefonino e l’occhio le cadde sui giornali in bella mostra che spuntavano, colorati e patinati, dal banchetto dell’edicola davanti alla quale si era fermata casualmente.

Una morsa dolorosa improvvisa allo stomaco le fece piegare le ginocchia.
Lì, davanti a lei in bella mostra, su di una copertina di giornale, sotto una scritta a caratteri cubitali rossi e bianchi che sembrava lampeggiare fuori dalla carta stessa:
“La nuova ragazza di Ville Valo?” c’era una foto del “suo” Ville, sorridente e abbracciato ad una donna dai capelli scuri.

La riconobbe immediatamente.
Amy.
La vocalist.
Quella con cui Ville diceva di star lavorando ad una canzone.
Una canzone che lui sosteneva di aver scritto pensando a lei, Lou.
Fece un passo indietro scontrandosi con Nur.

«Ehi! Stai attenta, Ranocchietta...» – borbottò Nur afferrandola per le spalle.
Lou continuava a tenere gli occhi piantati sul sorriso di Ville che spuntava dalla copertina.
Nur seguì fulminea il suo sguardo vitreo e sbottò in una parolaccia colorita.

«
Ero certa che avrebbe fatto qualche cazzata! Lo sapevo!» - sbraitò afferrando il giornale suscitando uno sguardo perplesso dell'edicolante, intento a leggere un libro.

Sfogliò rabbiosa il giornale fino a che trovò l'articolo incriminato.

«Non voglio vederlo. Non voglio leggerlo. Rimettilo giù, Nur...» - disse Lou con un filo di voce.
«
Guarda! Guarda che cosa fa il tuo bel principe! - Nur le sventolava il giornale sotto il naso, rossa in viso – È come tutti gli altri! Quando mi hanno detto che erano uscite queste foto non ho voluto crederci!»

Lou la guardò in viso, stordita.

«Tu lo sapevi? Era per questo motivo che ti comportavi in modo strano? Sapevi di queste foto?»
«
Certo che lo sapevo! La mia collega è una gossippara del cazzo! Figurati se non sa tutto di tutti... giuro che appena il secco ha la faccia tosta di comparire... lo strozzo con le mie mani!»
«
Smettila di urlare, Nur... e posa quel giornale: ci sta guardano male.»
«
Col cavolo che lo mollo! Questo lo prendo e lo sbatto in faccia a quel rachitico di un puttaniere!» - sbraitò sventolando il giornale come una bandiera per poi sbattere i soldi sul ripiano di vetro che faceva da bancone all'edicola.


L'edicolante, sempre più interdetto, non proferì parola continuando ad osservarla incuriosito come uno studioso antropologo che scopre una nuova forma di vita.
Lou sospirò, incerta se ridere o piangere per la situazione leggermente grottesca.
Vedere Ville con un’altra donna era stato come ricevere un pugno in pieno stomaco, come sbattere con la faccia a terra senza protezione.
Il colpo le aveva tolto il respiro per qualche istante di troppo.
Ma dopo un primo momento di stordimento si era ripresa: Ville non le aveva mai mentito, non c'era motivo di dubitare di lui.

Era un cantante famoso ed era più che normale che fosse sotto i riflettori, attirando l'attenzione dei tabloid scandalistici finlandesi.
Come le aveva detto soltanto la sera prima, sarebbe stata costretta a subire diverse cose poco piacevoli a causa della sua notorietà, ma non per questo lui voleva rinunciare a lei.
Il fatto che Ville pensasse a future e possibili difficoltà aveva fatto capire a Lou che non aveva nessuna intenzione di smettere di vederla, che non era un passatempo per lui.

Le era stato chiaro quando aveva reagito stizzito alle sue insinuazioni.
Lou non aveva dubitato per un solo istante di quello che lui le aveva detto.

Ville poteva avere un carattere difficile a volte, il più delle volte a dire la verità... ma diceva sempre ciò che gli passava per quella sua brillante testolina... a costo di sfinirla con la sua testardaggine e tenerla sveglia per tutta la notte cercando di piegarla al suo modo di vedere le cose.

Lou lo amava da matti anche per quello: perché non mollava mai la presa, perché fiaccava la sua resistenza a furia di parole forbite, di occhi verdi e languidi, di mani affusolate e tentatrici, di labbra che sapevano piegarsi in un sorriso da satiro bastardo così come in quello più dolce che lei avesse mai visto.

Labbra che sapevano baciarla con così tanta perizia e fantasia.

Perché ascoltava attentamente con la fronte leggermente aggrottata tutto quello che lei diceva, qualsiasi cosa fosse.
Da quella più stupida alla più seria.
Le aveva espresso il “ti amo” in mille modi la notte prima... e al mattino gli aveva dato voce.
Con la più ansiosa e stramba delle dichiarazioni.
Di una dolcezza che le aveva stretto il cuore.

E lei iniziava a fidarsi sempre di più di quello che le sussurrava il suo cuore.
E cosa ancora più importante, lei si fidava di lui.
Finora.

«Nur, dacci un taglio: è solo una foto con la sua collega, non ci sta mica scopando.»
Lou la prese sottobraccio bruscamente, trascinandola lontano dall'edicolante studioso di strane specie umane.

«Non osare giustificarlo! Sei sempre pronta a difenderlo! E se ti sbagliassi? Se invece fosse come il tuo ex?»
«
In tal caso, e solo allora, ti darò ragione. Sei contenta? - sbottò Lou fermandosi al centro della strada piazzandosi davanti alla sua amica – Io mi fido di lui. Voglio fidarmi, lo capisci? Smettila di puntargli il dito contro e condannarlo a priori! Non lo faccio io, perché dovresti farlo tu?»
«
Perché io mi preoccupo per te, cretina! Sono io che ti ho raccolto con il cucchiaino dopo che il tuo stronzo di ex ti ha mollata, ricordatelo! Ti ho vista! E non voglio che succeda di nuovo, chiaro?»

«Lo so e ti ringrazio per tutto quello che hai fatto, ma ne sono uscita e sono molto più forte di quanto io stessa credessi di poter essere.
E tutto questo l'ho capito solo grazie a Ville.
È solo grazie al fatto che lui sia entrato nella mia vita che io ho scoperto cose di me e sono cresciuta.
Io lo amo, Nur.
Ma non come amavo Andrea: è una cosa diversa.
Sono consapevole fin dall'inizio che se con Ville dovesse andare male... io ne uscirei dilaniata.
Lo so.
Ma preferisco averlo, anche se per poco... che non averlo affatto.
»

«Lui è come tutti gli altri. Non è diverso anche se tu credi che sia speciale.»
«
No, ti sbagli Nur... nessuno al mondo è come Ville.»

L’altra lasciò cadere le braccia lungo il corpo, improvvisamente esausta.
Lou prese dalle mani il giornale di Nur e lo gettò nel cestino più vicino.

Aveva fatto una scelta.
Quella di credere in lui, qualunque cosa succedesse.
Qualunque cosa le dicessero.
Lei avrebbe creduto in Ville.
Avrebbe creduto in lui, in loro.
E alle parole che si erano detti la notte precedente.

Era qualcosa che andava anche contro la sua stessa natura, che richiedeva da parte sua uno sforzo che molti non capivano.
Quell'impegno con se stessa era molto più importante del “ti amo” così a lungo taciuto.



******



Per tutta la durata del pranzo Nur tenne il broncio, di pessimo umore e bellicosa.

«Nur... so che t'importa di me. E sono felice di sapere che ci tieni così tanto da incazzarti... ma davvero, a me non importa di quelle foto.
Per me non hanno significato: sono soltanto delle stupide foto e sappiamo bene come vanno queste cose.
Lui è famoso, corteggiato ecc... è normale che sia seguito.
Ma... vedi – Lou prese le mani rigide della sua amica – lui ha detto che mi ama. E io gli credo.
Ville non mente mai. Che motivo avrebbe di perdere tempo con me quando potrebbe avere qualsiasi modella, qualsiasi donna al mondo?
»

Nur le lasciò andare le mani bruscamente.
«
Perché tu non sei una perdita di tempo, ecco perché! Per lui sei solo un'altra donna da raggirare e ferire.»

Lou scosse la testa.
«
No, Nur... ho imparato a conoscere Ville e penso di poter assicurare che lo conosco meglio di te. E non solo per quello a cui stai pensando tu. Non so come spiegartelo... è qualcosa... non so spiegarlo a parole, non bastano.
Non ti è mai capitato di sentirti così vicina a qualcuno da riuscire a sentire le sue emozioni solo guardandolo negli occhi?
Quasi come se potessi sentire anche i suoi pensieri? È quello che sento quando sono con Ville...
»

«È quello che senti tu, ma lui? Che mi dici di lui? Merita davvero tutta questa devozione? È solo un uomo come tanti e forse peggio degli altri.»

«Smettila Nur. Davvero. Non ho voglia di parlare ancora di questo. Se mi sbaglio su Ville e tu avrai ragione, allora vorrà dire che non capisco niente delle persone e che non riesco ancora a distinguere quando qualcuno mi mente o mi dice la verità, cosa vuoi che ti dica?»

«Che starai attenta... e non permetterai a nessuno, neanche al tuo Ville di ferirti. Promettimelo.»
«
Non ce n'è bisogno: lui non lo farà.»
Nur la guardò con un’espressione scettica e triste: 
«Lo spero, tesoro... lo spero...»


*******


«DVD o cinema?» - Nur la guardava ansiosa grondante di goccioline di vapore.
«
Pensavo volessi uscire e fare baldoria!»
La sauna della Spa di fiducia era quasi vuota e oltre loro due c’era solo un’altra ragazza giovanissima con le cuffie ben infilate nelle orecchie, che non sembrava far caso al cicaleccio della sua amica, persa com'era nel suo mondo.

«Uhm... ci sarebbe quel nuovo locale stratosferico di cui ho sentito parlare: pare servano un'ottima birra e che sia frequentato da modelli...» – mormorò Nur sorridendo, già certa della risposta negativa dell’altra.
«
Modelli?»
Lou condensò il suo scetticismo in un’unica parola.


«Come non detto... – ridacchiò Nur – Allora sei sicura di voler rimanere in casa?»
«
No... domani non lavoro e possiamo anche far tardi: ma niente discoteca e modelli. Passeggiata tranquilla?»
«
Noiosa. Pensavo ti fosse bastata quella di oggi...»
«
Non proprio... mi piace l’aria che si respira in questo periodo.»
«
Sei innamorata di questo paese quasi quanto di Ville.»

Lou si ritrovò a fissare la sua amica, rendendosi conto per la prima volta di quanto fosse vero, di quanto si sentisse a casa in quel posto.
Quasi come fosse davvero casa sua.

«È vero. Non chiedermi perché, non lo so neanche io ma è così.»
L’altra alzò le spalle rassegnata.

«Se potessi scegliere adesso e avendo una sola scelta, dove vivresti, qui o torneresti in Italia?»
«
È una domanda cui non so rispondere. In Italia c’è la mia famiglia, i miei amici... le mie radici. Qui... esitò – qui è dove immagino il mio futuro.»
«
Con Ville?»
Sorrise.
Nur non mollava l’osso.

«Sì, anche. Se ci fosse anche Ville sarebbe meglio!»
«
Cosa faresti se con Ville dovesse finire?»
«
Cazzo se porti sfiga, Nur!»
«
Era solo una domanda!»
«
Penso che non farei niente... cosa ti aspetteresti che facessi, scusa?»
«
Non so... - Nur si guardava distrattamente i piedi nudi – io lo prenderei per la gola. Per esempio.»
«
E per quale motivo?»- chiese Lou sorridendole.
«
Come sarebbe a dire per quale motivo? Perché sì!»
«
Quindi tu strozzeresti a prescindere chiunque, se una storia per qualsiasi motivo dovesse finire?»

Nur la fulminò con gli occhi.
«
Tu no? Vuoi dire che te ne staresti buona nell'angolo a soffrire, senza dire niente? Subendola?»

Lou ricambiò lo sguardo minaccioso, ma ironicamente.

«Beh, sì... nel senso che se una storia finisce magari non c'era modo di portarla avanti. Magari era finito l'amore, oppure uno dei due non ama più l'altro... possono esserci tanti motivi.»
«
E tu vorresti farmi credere che se Ville domani viene da te e ti dice di non amarti più, la prenderesti così tranquillamente?»
Lou pensò con una stretta allo stomaco che mai nella sua vita avrebbe voluto sentire Ville dirle niente di simile.

«Ovvio che non la prendo “tranquillamente”, Nur. Ma la storia con Andrea mi ha insegnato che è inutile implorare qualcuno di rimanere con te, se non vuole farlo. Non fai che aumentare la sua voglia di fuga.
E credo di capirlo solo ora...
L'amore è una scelta.
Ci si sceglie ogni giorno e io vorrei farlo con Ville. Se lui vuole.
E finora credo che lui lo voglia quanto me.
Quindi, vedi di non portare sfiga.
» - ridacchiò ostentando una tranquillità che non sentiva affatto.

Nur socchiuse ancora di più gli occhi già grondanti del vapore.
«
Prima o poi dovrai dirmi cosa ti ha fatto quel secco per farti cambiare idea e modo di fare in così poco tempo...» - borbottò a denti stretti.

«Semplice. Mi ha tenuta stretta a sé quando ero in preda ai deliri della febbre, non ha approfittato della mia svampitaggine cronica quando sarebbe bastato che muovesse un dito per portarmi a letto.
Ha una pazienza infinita.

Sono perennemente dubbiosa e lunatica e lui non fa una piega, anzi smonta sistematicamente il mio malumore e non so neanche come ci riesca.
È divertente, dolce, impossibilmente presuntuoso, ironico, geniale, sexy, e tante altre cose che non riesco ad esprimere a parole... ma la cosa più importante di tutte, forse, è che mi vuole nella sua vita.
Non importa come. Mi vuole.
E questo a me basta.
»

*******

Vieni fuori.”.
L'sms lampeggiava imperioso sul display del suo cellulare.

Lou si era appisolata davanti ad un film romantico mentre la sua coinquilina dopo la lunga giornata passata a girovagare per la città, non paga, si era infilata in un abito sexy e tuffata di nuovo nella mondanità con i suoi amici.

La leggera vibrazione l'aveva svegliata.
Sembrava quasi che il suo sistema nervoso l'avvertisse quando il suo finnico avesse urgenza più del solito.
Che diavolo si era inventato adesso?
Eccitata e curiosa come una scimmia si precipitò ad aprire la porta.
Ma non c'era nessuno.
Un'altra vibrazione dal cellulare.

Avanti 'Prinsessa'... metti il tuo delizioso nasino fuori dalla porta.”.
Corse fino al cancello e spinse fuori la testa come una tartaruga dal carapace.

«Buh!»

Appoggiato al muro di mattoni rossi, una mano sul cellulare che già stava infilando in una tasca dei suoi jeans stretti e nero stinto, come se non sopportasse di averlo tra le mani più di quel tanto che bastava alle sue esigenze e il sorriso da malfattore, Ville la guardava divertito.

«E se fossi già stata a letto e non avessi sentito il tuo messaggio?»
«
Penso che avrei scavalcato come sempre il tuo cancello e mi sarei arrampicato fino alla tua finestra.» ridacchiò.
«
Addirittura? Chi sei, l'Edward Scandinavo?» - rise divertita riempiendosi gli occhi della visione del viso perfetto di Ville che spuntava da sotto il cappellino nero.
I capelli castani si arricciavano sulle spalle, e al collo aveva l'immancabile sciarpina.
Era completamente vestito di nero e l'unica cosa colorata, vivida e splendente, erano gli occhi.

Gli occhi verdissimi e dal taglio felino all'insù si spalancarono indignati.
«
Io non ho i glitter però.»
«
Possiamo rimediare. Staresti benissimo.»
«
Vieni qui.» - le ordinò.

La stava guardando serio ora.
Non appena gli fu a portata di braccia la tirò impetuoso verso di sé infilandole una mano tra i capelli sulla nuca, intrecciando le dita ai suoi ricci.
Lo stomaco di Lou fece una giravolta.
Di solito Ville era pacato, un vero lord... ma a volte prendeva il sopravvento la parte di lui quasi selvaggia, scalpitante e carnale.
Questa era una di quelle volte.
L'altra mano le premeva forte alla base della schiena, tenendola schiacciata bacino contro bacino.
Le sfiorava il viso con il naso senza baciarla, finché non iniziò a mordicchiarle il mento.

«Cosa diranno i tuoi vicini di casa se ti vedono amoreggiare con una donna in strada?» - tentò di chiedere lei tra un morso e l'altro, sopraffatta dal piacevole assalto sensuale.

«Probabilmente sarebbero invidiosi.» - tagliò corto Ville mordicchiandole il collo.
«
Stai prendendo sul serio la storia di Edward, vedo...” - scherzò fiaccamente lei rabbrividendo.
Lo sentì ridere contro il suo collo e per tutta risposta aprì la bocca iniziando a succhiarle la pelle.

«Non mi fanno un succhiotto da circa quindici anni... - annaspò Lou stringendo le mani sulle sue spalle magre ma larghe – Non credo vadano più di moda...»

Stuprarlo in mezzo alla strada attaccandolo al muro, sarebbe reato?”.

«Ville?... ehm... potrebbe passare qualcuno... Sai, avrei un letto e un divano liberi e molto comodi in casa...» - squittì debolmente gli occhi chiusi e la testa reclinata di lato.

Lui staccò le labbra dal suo collo, facendo scivolare lentamente la lingua dalla base del collo fino al mento.
Lou aprì gli occhi fissandolo, ne era certa, con espressione da triglia lessa.
Lui alzò un paio di occhi fiammanti su di lei stringendosela con forza contro.
E non aveva sicuramente lo sguardo da totano bollito.

«Hai rovinato i miei piani, 'Prinsessa'...» - sussurrò divertito, guardando rapito le sue labbra.
«
Io? - deglutì a vuoto – Che ho fatto?»
«
Eh sì... volevo proporti una passeggiata romantica al chiaro di luna, ma mi sei apparsa così sexy e...» - lasciò in sospeso volutamente la frase, stirando le labbra in un sorriso furbo.

Lei sexy?”

Probabilmente con un paio di patate sulla testa come contorno il quadretto da triglia sarebbe stato perfetto.
Lou continuava a fissarlo incantata.

Lui rise intenerito e affondò il viso nei suoi ricci, respirando il suo odore, abbracciandola stretta.
Si staccò da lei prendendole la mano.

«
Andiamo... ho voglia di passeggiare.» - le disse piano.

Ma certo. Perché no? Ho solo fatto chilometri e chilometri oggi!” - pensò divertita Lou.

«Lascia che almeno chiuda la porta...» - lasciò per un istante la sua mano per correre indietro e chiudere la porta.
Katty sedeva composta sulla soglia guardando verso Ville con occhi adoranti.

«Avanti piccolina, torna dentro.»
La spinse all'interno con un gesto della mano.
Ma la felina non si decideva a spostarsi di un millimetro tenendo d'occhio il finnico.
Lou sospirò e la prese in braccio chiudendo la porta dietro di sé.

«Abbiamo un ospite...»
Katty si divincolava dalle sue braccia miagolando all'indirizzo di Ville, che ridacchiava divertito.
Saltò agilmente sulle braccia di lui che rassegnato, la tenne stretta con una mano.

«Pfhhh, venduta.» - sbottò Lou.
«
Non litigate ragazze... io amo entrambe.» - sussurrò lui con voce sexy prendendole la mano con quella libera, intrecciando le dita alle sue.

Passeggiare mano nella mano. Con Ville Valo.
Ma certo.
Una cosa normale, no?
Di tanto in tanto lui si girava a guardarla in tralice, rimanendo in silenzio.

Lou non sentiva il bisogno di conversare del resto.
Le piaceva guardare dritta davanti a sé, lo sguardo fisso a terra come suo solito e sentire la stretta della mano grande e calda di Ville nella sua.

Era una sensazione nuova.
Aveva percorso innumerevoli volte quella strada, in quei tre anni... sempre da sola, immersa nei suoi pensieri.
E ora non lo era più.

Serrò le dita intorno a quelle di lui che si girò nuovamente a guardarla.
L'espressione stupita quasi quanto la sua.

Ma sorrideva: con quel suo sorriso stupendo, a metà fra l'ironico e il tenero.
Solo lui aveva quel sorriso...

Lou alzò gli occhi al cielo.
«
Forse ci beccheremo un po' d'acqua.... credo stia per piovere.»

Ville alzò gli occhi a sua volta scrutando il blu scuro del cielo finlandese per poi riportarli su di lei.
Lo sguardo intenso di lui le bloccò il respiro.

*«Perfetto. Vedo tutto più chiaro attraverso la pioggia.»
«
Stai bene?» - tornò a chiederle.

Come non lo sono mai stata da tanto tempo a questa parte...”.

Lou gli sorrise accarezzando il dorso della sua mano con il pollice.
«
Sto bene.»

Finalmente.”.



*******



"Angolo dell'autrice:

Uff... ehm.. salve. :)
Eccomi di nuovo qui, dopo quasi due mesi di assenza!
Abbiamo lasciato Lou come sempre immersa in mille dubbi e invece ora sfodera una sicurezza nel suo rapporto con Ville, invidiabile.
Sicura d sè e di ciò che sente, difende a spada tratta il suo uomo...che dite, farà bene a fidarsi del nostro secco?
Merita il nostro Guglielmo tutta questa fiducia e amore incrollabile?
O alla nostra Lou aspetta di nuovo una delusione? Che cosa leggono tra le righe le mie affezionate lettrici? :D
So che siete perspicaci come linci... aspetto vostre ipotesi! :D

Mi permetto una "piccola" divagazione dal solito angolo dell'autrice ammorbante.
In questi due mesi non ho contato le crepe nel muro... diciamo che ho tanta "carne" al fuoco e sto cercando di districarmi tra le mille cose e cerco anche di scrivere la storia, nei tempi morti...
Due mesi intensissimi di emozioni vissute fino in fondo. :)
Sembra impossibile che soltanto un mese fa eravamo sotto il palco dell'Alcatraz e finalmente sentivamo la nostra band del cuore.
Per me quel giorno è indescrivibile: ho conosciuto e abbracciato persone che sentivo solo su facebook, gli ho dato un corpo e un sorriso.
E vivere il concerto con tutti loro... una delle cose più belle.

E poi... e poi c'è l'INCONTRO.
Quello con gli HIM, nel backstage... una parte del mio cuore è ancora in quel corridoio. :)
Non penso di avere sufficienti parole per descrivere l'ondata emotiva che tutti abbiamo provato, chi più chi meno.
Quando sono apparsi venendoci incontro con un sorriso e le mani tese, sussurravamo tra noi, soltanto: "Eccoli... oddio, sono loro!".

Ritrovarsi la band che si ama davanti, vederli dal vivo e non attraverso uno schermo è sconvolgente.
Normale, come ritrovare dei vecchi amici; strano, perchè pensi di non vivere la realtà...

Per i primi due minuti non sono stata capace di spiccicare una parola in italiano, figuriamoci formulare una frase di senso compiuto in inglese!
Ma poi mi sono scossa da sola, con uno schiaffo mentale.

Mi sono detta: "Cavolo, smettila di fare la bella statuina e agisci!".
E allora ho iniziato ad andare ad abbracciare e salutare tutti i componenti.
Stringendo mani e facendo foto con loro, mostrando i nostri regali e "bisticciando" con Gas per la pizza italiana che lui non ama particolarmente... xD
La tenerezza che mi faceva vedere Burton "nascondersi" dietro i suoi amici, e Linde che sorrideva e guardava tutti zigzagando con gli occhietti da furbetto...
Il "PRRRRREGOOOO" urlato da Migé ad ogni nostro grazie!XD

Stranamente l'unico a cui non ho avuto coraggio di stringere la mano è stato proprio Ville.

Ma capitemi... vederlo lì davanti a me e pensare con una parte del cervello funzionante: "Ok, lui è Ville Valo. Quello che scrive tutti i testi e le musiche, colui che con la sua voce ti accompagna da molto tempo...".

Davanti a lui ho provato una sorta di timore reverenziale.
Soltanto la sua presenza incute sentimenti contrastanti.
Se poi ti parla e ti guarda, hai chiuso.
Mentre gli mostravamo il poster alla mia amica Claudia tremavano le mani tanto che ho temuto che non riuscisse a leggere ciò che c'era scritto sopra...xD

E invece Ville se lo studiava con interesse e ridacchiava divertito e poi il suo "Italian Quality.... eheheeheh -* risata Villica a singhiozzi - neurone che si suicida- * verrrrrry nice, oh yes...".
E infine, quando gli ho chiesto se potevo abbracciarlo anch'io, - temendo una pizza in faccia, lo ammetto -, lui che con un sorriso tenero e dolce si tuffa per primo, stritolandomi.
Ecco.
Penso che in quel momento, potendo, avrei potuto dirgli miliardi di cose. Se solo avessi respirato.
Invece ho strascicato soltanto un "Grazie..." e lui, tanto per ammazzarmi meglio: "Grazie a te!".

Vederli così sereni, sinceramente contenti e stupiti di tutto quell'affetto, quegli abbracci e sorrisi... è una delle cose che mi porterò sempre dentro.
E che me li fa amare, se possibile, ancora di più.
Cantare a squarciagola con loro, che ci sorridevano dal palco, unico.
Asciugare le lacrime delle altre, abbracciarle e "consolarle", vivendo le stesse emozioni...
non posso che ringraziare questi 5 ragazzi per tutto.

Con difficoltà torniamo alla realtà, ma con qualcosa in più dentro.
Tutto sto papiro era solo per condividere un pò di quello che ho vissuto e che ora mi mette in difficoltà nel cnotinuare a scrivere questa storia con lo stesso spirito di prima.
Ma non perchè ho perso l'entusiasmo; anzi!
E' difficile immaginare con la mente quello che alla fine ho visto e anche se per tre secondi, ho toccato: non è più un sogno lontano, ma una persona, in questo caso Ville, vera e reale.
Ma ce la sto mettendo tutta!

E perdonatemi se posterò con meno frequenza: fra poco più di un mese volerò FINALMENTE ad Helsinki.
Aspetto questo viaggio da due anni, quasi.
Sarò anche io al Tavastia per l'Helldone che tanto sognavo di vedere... e respirerò quell'aria che finora immagino soltanto.
Eeeeeeeeeeqqquindiii che altro dirvi? Niente: che ho già scassato abbastanza! XD

Grazie alla mia inaffondabile Beta che supporta ogni mio sclero e dubbio:
Deilantha,
Grazie come sempre a tutte le persone che mi seguono con affetto, le vecchie amiche come la befana Christine_L e le nuove arrivate come Cyanidesun, e le fantastiche donne che hanno commentato l'ultimo capitolo: _TheDarkLadyV_, Soniettavioletstarlet, Izmargad,__Ary___,Enigmasenzarisposta, katvil, apinacuriosaEchelon, LilyValo, cla_mika, Lady Angel 2002, eleassar.

*Citazione presa da "
Mansfield Park"
A presto!


*H_T*





Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo ventitre - "Child of the sun" ***



testo.

testo.

Image and video hosting by TinyPic




Capitolo ventitre

"Child of the sun"





“Vedo tutto più chiaro attraverso la pioggia...”.

L'acquazzone li aveva colti impreparati mentre erano sulla via del ritorno.
I vestiti di Lou s’inzupparono velocemente attaccandosi al corpo, facendola rabbrividire e tremare dal freddo.
Risero correndo alla cieca, con l’acqua che li accecava e trovarono riparo sotto il primo albero nelle vicinanze.

«Ecco come morire fulminati!» - rise Lou, cercando di staccare la camicetta bianca bagnata dal busto.
«Esagerata... sono solo due gocce.» - ribatté Ville e subito dopo un lampo squarciò il cielo, seguito da un tuono.
«Valo?! Potresti chiudere il becco, grazie? Porti jella!» - urlò Lou schizzando via lontana dal tronco, tornando sotto la pioggia scrosciante.

Katty sgranò gli occhi e si nascose all'interno della giacca di pelle di Ville, scomparendo del tutto.

“Ecco: così impari, gatta dispettosa!”.

«Zarda, vieni qua o t’inzupperai.» - ridacchiò Ville togliendosi il cappellino, passando una mano tra i capelli bagnati che divennero ancora più ricci.
Non osava immaginare in che stato fossero i suoi.

«Tu e le tue idee geniali... sono già inzuppata!» - borbottò lei, strizzandosi una ciocca dei suoi lunghissimi capelli.
«Questo ha i suoi lati positivi... - ammiccò il finnico, lo sguardo verde puntato sul seno di Lou completamente visibile attraverso la stoffa bianca e sottile – la mia è stata un'ottima idea, invece!»
«Oh piantala, Valo... - bofonchiò Lou arrossendo come al solito, allontanando la camicia che continuava ad appiccicarsi inesorabile alla sua pelle – sei sempre il solito...»

Ville continuava a ghignare malefico, la testa piegata di lato, godendosi il suo imbarazzo.
«'Prinsessa',  - sospirò Ville, rauconon dovresti coprirti... lasciati guardare...»

Lou starnutì e lo fulminò con lo sguardo, stringendosi le braccia intorno al corpo.
Lui annullò con un passo la distanza che Lou aveva messo tra lei, Ville e il tronco, e la prese tra le braccia.
Le ridacchiava divertito fra i capelli umidi, tenendola stretta.

«Se muoio fulminata, ti tormenterò per l'eternità.» - borbottava Lou con la faccia affondata nel suo collo.
Gli passò le braccia intorno alla vita, infilandole all'interno della giacca.
Katty, che aveva trovato riparo proprio al suo interno, iniziò a mordicchiarle le dita, dandole colpetti con la zampina, vedendo invaso il suo spazio.

Quell'uomo era una fornace vivente.
Sentì subito più caldo non appena lui richiuse le braccia intorno a lei.
«Averti con me per l'eternità non sarebbe un tormento…» - mormorò piano Ville, strofinando le labbra sulla sua fronte.

Ecco che bastava una semplice frase per farla sciogliere...

«Certo, preferirei averti in carne e ossa piuttosto che sotto forma di spirito…» – continuò con un ghigno, scendendo verso il sedere con le mani.

…e un’altra a farla ridere sotto i baffi…

Lou strinse più forte le braccia sulla sua schiena.
«Aspetta a dirlo...» - ribatté lei.
«Uhm... cos'altro devo scoprire che già non so? Allora, vediamo... che sei di pessimo umore il mattino appena sveglia, che devo starti lontano quando sei arrabbiata e manovri tazze, bicchieri e roba affilata, idem... per il resto direi che stare in tua compagnia, anche quando hai la luna storta per me è un piacere...»

“Così non vale però...”.

«Anche tu non sei male...» - buttò lì, ghignando tra sé e sé.
«Ah beh, grazie! Mi fa piacere saperlo!»
«…il più delle volte…» – aggiunse, continuando il suo gioco.

Le canticchiava nell’orecchio, alternando i baci ai sospiri, mentre le mordeva il lobo delicatamente.





“I ‘m in love with you
You are my heaven tonight
Trying to find the heart you hide... ”




Ogni pelo del suo corpo si rizzò al suono della sua voce così vicina, profonda e calda… e quelle parole…
Così semplici eppure capaci di andare dritte al cuore.
Così vere.

Un altro lampo squarciò il cielo e lei gemette contro il collo di Ville.
«Pensavo ti piacessero la pioggia e i tuoni, ‘Prinsessa’.» – mormorò lui, baciandole di nuovo l’orecchio.

«Sì, certo. Quando non sono sotto un albero. E quindi potenzialmente a rischio di diventare un mucchietto di cenere. E in casa: al sicuro!»
La voce aumentò di qualche tono mentre parlava e rivelava tutta la sua ansia.

«Ci sono io qui… il fulmine non oserà avvicinarsi a te, tranquilla…»
«Anche perché sono già bell’ è che fulminata di mio. Grazie a te, Valo.»
«Nel senso che sei follemente innamorata di me? Non pensavo fosse stato un colpo di fulmine, per te…» - la prese in giro lui, sfilandole la camicia dai jeans, le mani salirono a chiudersi intorno alla schiena, riscaldandogliela immediatamente.

Finalmente sulla sua pelle nuda.

«Non vedevo l’ora di toccare la tua pelle…» - sussurrò, ben consapevole dell’effetto che le facevano la sua voce e le sue mani.

«Non gongolare… - borbottò Lou tetra, e il pensiero corse fulmineo alle foto con Amy – non essere così condiscendente con me, Valo.”.
«Non lo sono… è solo che… spero sempre che tu mi dica che mi ami, ogni giorno. Mi piace quando mi dici che mi ami, mi piace la tua voce quando lo dici, il tuo sguardo quando lo fai.»

Lou sollevò il viso e trovò i suoi occhi.

C’era qualcosa al mondo di più bello degli occhi di Ville in quel momento?

Occhi che ogni volta le toglievano il fiato, la forza di volontà.
Sotto quello sguardo si sentiva sempre vulnerabile, esposta… eppure…
Eppure non dubitava minimamente di quello che vi leggeva.
Colse una scintilla nuova, un breve, velocissimo istante d’insicurezza, in quello sguardo verde giada.
Forse se l’era solo immaginato, perché era già scomparso…
Possibile che Ville fosse insicuro a sua volta?
Di lei, del suo modo di “non dimostrare” amore, trincerata dietro le proprie paure?

Se c’era una cosa di cui era sicura in quel momento era l’amore per lui.

Ville continuava a scrutarla serio.

«Lo sai che ti amo.» –  disse fissandolo a sua volta negli occhi.
Lui sollevò gli angoli della bocca perfettamente disegnata.
«Sì, ma voglio sentirmelo dire… dimostrare…» – le sfiorò le labbra con le proprie, continuando a guardarla. E a toccarle la schiena con le lunghe dita, provocandole brividi che non erano sicuramente dovuti al freddo.

«Sei un vanesio presuntuoso, Valo…»
Inutile cercare di mantenere un minimo di controllo quando lui le faceva le fusa in quel modo.

“Stramaledetto gatto gigante”.

Ville ridacchiò, mordicchiandole le labbra.

Chissà perché in quel momento la paura di morire folgorata sotto un albero in Finlandia, divenne l’ultimo dei suoi pensieri.

«Ahi!»
Lui si fermò di scatto, guardandola con apprensione.
«Che c’è? Ti ho fatto male?»
«No, questa stronza di gatta mi sta mordendo le braccia come una tigre! Katty! Ahi! Smettila!»

La stronzetta in questione trafficava diligentemente ben nascosta all’interno della giacca di Ville. Non sopportando intrusione tra lei e “il suo” finnico, le aveva iniziato a mordicchiare e graffiare quando aveva abbracciato anche lei Ville, che era il “Suo Ragazzo!”.
E non appena Ville aveva iniziato a baciarla, Katty aveva intensificato la sua attività.

Ville scoppiò a ridere.
Oh… la sua risata!
Non potevi che sorridere di conseguenza, sentendola.

La lasciò andare e lei improvvisamente sentì freddo senza le sue braccia a tenerla stretta.

Ville si contorse cercando di riacciuffare la micetta che si attaccava caparbia alla sua t-shirt.
«Dovremmo insegnare le buone maniere alla signorina…» – disse Ville fissando la “signorina” negli occhi.
Che lo guardava a sua volta con adorante soddisfazione, finalmente attirata l’attenzione su di sé.

“Che bagascia!”.

Ville la posò a terra, ammonendola con un dito lungo ed elegante.
«Sta' buona, micetta… ora ho da fare…»
«Ville… non penso sia il caso di lasciarla… potrebbe scappare…» – provò a dire Lou prima che lui la prendesse di nuovo tra le braccia, tappandole la bocca con la sua.

“Non mi stancherò mai di lui, di essere baciata così, in questo modo… di sentirmi fuori dalla realtà…”.

«Non scapperà via, tranquilla… - le diceva lui tra un bacio e l’altro, le mani calde sotto la camicia sottile – non distrarti ‘Prinsessa’… Baciami…»

E Lou non se lo fece ripetere due volte.

Gli si strinse contro, beandosi del tepore del corpo di Ville, le braccia strette intorno al collo, sollevandosi sulle punte dei piedi per baciargli le labbra, il mento, la punta del nasino perfetto, le palpebre, la fronte… e poi tornò di nuovo giù lungo la mascella, l’orecchio e il collo, dove una vena pulsava sotto le sue labbra.
Lo sentì sospirare soddisfatto.
Voleva sentire la sua pelle contro la sua, aumentando il bisogno di sentirlo suo.
Era sempre così tra loro: il desiderio scoppiava improvviso e furioso come il temporale sopra le loro teste.
Infilò le mani sotto la sua maglietta, toccando finalmente la sua pelle liscia e compatta.
Bollente.
Il suo finnico dal sangue caldo.

Stavano pomiciando come due adolescenti con gli ormoni in subbuglio, senza pensare a nient’altro che a quel momento.
«Ti rendi conto che qualcuno potrebbe vederci, vero?» – chiese Lou senza smettere di baciargli il collo.
Ville le rispose con un grugnito infastidito.
«Sei zelante e fastidiosa quanto una vecchietta acida, Zarda.»
La fece ruotare su se stessa spingendola con la schiena al tronco.

“Ti prego… ti prego… vediamo di non farmi morire fulminata proprio ora…” - pensava la parte razionale, fatalista e meno preda degli ormoni.
E quella ancora responsabile gettò un occhiata verso il basso per controllare che la loro Katty fosse ancora lì.

Ed eccola, piccola macchia nera sul verde scuro dell’erba: fedelmente accucciata ai piedi di Ville che guardava in su, con gli enormi occhietti spalancati, speranzosa di essere notata da lui.

«E tu sei uno sconsiderato, sfacciato ammaliatore…»- le sue mani si posarono sulla pancia piatta di Ville, salirono su lungo le costole.
Chiuse gli occhi immaginandone il percorso con la mente: ogni singolo tatuaggio, avvallamento, muscolo del suo busto magro… ma così sexy.

I suoi pollici sfiorarono i piccoli capezzoli maschili e lei lo sentì trattenere il fiato.
Allargò le dita della sua mano destra, premendola contro la carne.

Riusciva a sentirgli il battito del cuore, quasi…
Con l’altra mano afferrò quella di Ville posata sul seno e se la premette forte contro il suo cuore.
«Lo senti?»
Gli sussurrò baciandolo piano, e aprendo gli occhi trovò ancora una volta, quei chiari laghi di giada fissi su di lei.
Socchiusi, sornioni e languidi.

«Lo senti quanto ti amo?»

La mano di Ville era così calda.
Quel calore, insieme a quello che leggeva nei suoi occhi le penetrava dalla pelle, attraverso i tessuti, le ossa e arrivava dritto al centro del suo cuore, infiammandolo, marchiandolo per sempre.

Le loro mani, l’una sul cuore dell’altro.
Ville posò la fronte su quella di Lou.



“And you ‘re my haven in life
And you ‘re my haven in death, ‘Prinsessa’…”



Cantò a voce così bassa che lei sentì a stento le sue parole.
«Lo sento… ti amo, Lou.»- bisbigliò roco.





******





“Lasciati assaggiare… voglio tenerti sulla punta della lingua ancora un po’…”.

Lou si stiracchiò languidamente lasciandosi sfuggire un sospiro estatico un po’ troppo “sentito”.
Katty smise di fare la sua toilette per alzare uno sguardo di sufficienza e fissarla, dal bordo del letto, dove ormai stazionava perennemente.

Non riusciva a dormire ma non voleva svegliare i suoi due “felini”, così si alzò dal letto sfatto dove Ville dormiva a braccia spalancate con un’aria soddisfatta, e si diresse completamente nuda e stranamente a suo agio, fuori dalla stanza.

Seguì la scia di abiti che iniziava dal corridoio e che avevano seminato lungo il percorso fino in camera da letto.
Li raccolse uno a uno, dagli slip bianchi e trasparenti che Nur le aveva regalato, al reggiseno coordinato che Ville le aveva slacciato con una mano sola, da consumato sciupafemmine e buttato via non appena erano entrati in casa, alla giacca di pelle nera e il cappellino che aveva tolto ancora prima, mentre erano ancora per strada.

Probabilmente aveva stampato in faccia un sorriso da ebete ma non poté proprio impedirsi di annusare la t-shirt di Ville: chiuse gli occhi aspirando a fondo quell’odore che conosceva bene e che sentiva a tratti anche sulla sua pelle.

Stava per appoggiare il malloppo degli abiti sul divano verde quando il telefonino di Ville cadde dalla tasca dei suoi jeans sul pavimento in legno, con un tonfo sordo.
Lo raccolse temendo di averlo distrutto.

«Accidenti!» – sbottò preoccupata.
Premette un tasto a caso solo per assicurarsi che non aveva fatto danni e questo si illuminò.
Il display le mostrò uno sfondo nero, semplicemente.

Sorrise. Il suo finnico poco tecnologico…
Il suo occhio però colse anche qualcos’altro.
Sullo sfondo nero lampeggiavano anche diverse chiamate perse e un messaggio.

“Non pensarci neanche.” – la vocina della sua coscienza, quella buona, tuonò nella sua testa.
Lou continuava a fissare quella letterina che col passare dei secondi diventava sempre più minacciosa, ai suoi occhi.

“E se fosse un sms della spilungona?”.

Il solo pensiero che quella specie di gazzella dagli occhi chiari e le gambe chilometriche mandasse sms al ‘suo ragazzo’, le fece salire il sangue alla testa.
Anche se la parte razionale del suo cervello le stava dicendo che era una cosa più che normale che lei gli scrivesse messaggi o lo chiamasse, poiché erano colleghi di lavoro, la gelosia la colpì in piena faccia all’improvviso.
Gelosia e insicurezza non le facevano bene: niente andava bene quando quei due sentimenti facevano capolino nei suoi rapporti.

Il suo dito sospeso sul pulsante di avvio esitava.
“Ville non se lo merita”.

Poteva esserci scritto qualsiasi cosa in quel sms.
“Ville non le mentiva”.

Sapere la verità è sempre la cosa migliore, le diceva sempre Nur.
“Hai promesso di fidarti di lui”.

L’indice si avvicinò sempre più al display del cellulare.
“Non fare cose di cui ti pentirai…”

«Maaaaooo!»– il miagolio di Katty la fece sobbalzare.
La micia la fissava con i suoi occhi verdi, così simili a quelli di Ville…
Così simili…

La guardava come chi viene sorpreso a fare qualcosa che non dovrebbe assolutamente fare.
Come se sapesse.
Saltò sulla spalliera del divano verde continuando a tenerla d’occhio.

«Che fai, mi sorvegli?» – le disse Lou con un borbottio infastidito.
Sembrava che anche Katty facesse combutta con la sua coscienza.

Un miscuglio di sentimenti contrastanti la stavano soffocando.
Voleva sapere ma voleva fidarsi di Ville e non violare la sua privacy.
Voleva evitare di sentirsi in colpa per quella mancanza di rispetto ma allo stesso tempo l’insicurezza di non sapere cosa Amy gli avesse scritto la stava mangiando viva.

Se solo non avesse visto quelle foto.
Se solo lei non fosse stata così banale e Amy così perfetta…

Continuava a tenere stretto il piccolo cellulare nero di Ville.
Che pesava sempre di più fra le sue mani.

Sentiva i tonfi del cuore rimbombarle nelle orecchie e il respiro affrettarsi.
Premette il tasto che le permise di aprire il messaggio.

Le lettere lampeggiavano nere, nette sullo sfondo bianco.
Trattenne il respiro per quello che sembrò un’eternità.

“Ti avevo avvisata…” – disse la vocina della sua coscienza, rassegnata.

“Non mi sento affatto meglio.
Nur avevi torto.
A volte sapere non è la cosa migliore.”.


Si sedette stancamente sul divano, fissandosi le mani in cui teneva ancora il cellulare di Ville.
Senza guardare il messaggio. Non serviva, del resto.
Ogni parola le si era già impressa nella testa, ingigantendosi a dismisura.
Come poteva aver di nuovo commesso lo stesso sbaglio?
Anche con Andrea era andata così. Lei non si era fidata e aveva scoperto di Sophie.
Come ora per Amy.

“Ville…”.

Non ricordava come o dove avesse sentito o forse letto una frase che ora le balzò addosso come un animale feroce, pronto a strapparle il cuore: “*Perché a volte la verità non basta. A volte la gente merita di più. A volte la gente ha bisogno che la propria fiducia venga ricompensata.”
Se non faceva caso al battere furioso del suo cuore, se non faceva caso a quello che provava, riusciva a sentire il respiro regolare e cadenzato di Ville che dormiva nella stanza accanto.
Ville che dormiva nel suo letto. Ignaro. E fiducioso.
Rise di se stessa. Era solo se stessa che doveva compatire, non lui!
Era lui che aveva mentito, non lei.
Era lui che aveva tradito la sua fiducia.

“Non dovevo leggere. Non dovevo.”.


“Non mi è bastato il bacio dell’altra sera. Ne voglio di più. Non faccio che sognare te…”.


Katty le si strusciò contro il braccio nudo, guardandola con occhi tristi.
Lou le accarezzò il musetto, sorridendo.
Ricacciò indietro le lacrime che bruciavano da qualche parte dietro i suoi occhi.

«Sì, hai ragione… sono una stupida.» – bisbigliò alla felina.
Katty le posò una zampina sulla mano, come a volerla consolare.
Rabbrividì e si rese conto di essere nuda.

Si sentì ancora più stupida; quel suo ostentare una sicurezza in se stessa, quella nuova consapevolezza nella donna che era sempre stata solo una bambina agli occhi di tutti… non ingannava nessuno.
Si trovava ridicola.
Come se Ville non avesse sotto gli occhi tutti i giorni bellezze che oscuravano di mille volte lei, la stupida e goffa ragazza italiana, per non notare la differenza abissale.

Come aveva potuto pensare di essere “speciale”?

Si alzò di scatto e tornò in camera da letto per indossare qualsiasi cosa la potesse coprire.
Si bloccò sulla porta vedendo Ville.
Dormiva ancora.
Lou chiuse gli occhi, deglutendo con forza.
Non riusciva a volergliene, non riusciva ad odiarlo.
Si avvicinò al letto, scivolando silenziosa al suo fianco, trovando subito il calore che desiderava.
Anche nel sonno lui sorrise girandosi verso di lei, allungando un braccio a stringerla a sé, mormorando qualcosa con voce bassa e roca.

Lou lo guardava quasi senza battere gli occhi, non volendo perdere neanche per un millesimo di secondo ciò che vedeva.
Voleva imprimere nella mente ogni lineamento, ogni centimetro di pelle, ogni rughetta, ogni avvallamento del suo corpo, ogni piega.
Posò le labbra sulla sua spalla ossuta, leccò il suo sapore, ispirò l’odore della sua pelle.
La mano andò al petto, posandosi per qualche istante all’altezza del cuore e lei chiuse gli occhi.
Se solo ci fosse stato un modo per stringere quel cuore tra le mani.
Toccarlo e accarezzarlo…

Lentamente scivolò verso il basso, fino a chiudersi sul sesso di Ville.
Lui si mosse appena sotto le sue dita, spingendo in su il bacino, mormorando qualcosa che lei non capì.
Continuò ad accarezzarlo fino a quando il corpo di Ville non rispose ai suoi stimoli.

Lou lo fissava in viso: Ville aprì la bocca, sospirò di nuovo leccandosi le labbra, assumendo un’espressione corrucciata e dannatamente sensuale che le fece contorcere le pareti dello stomaco.

Il pensiero della bocca di Ville su quella di Amy le era insopportabile.

Mugolò di nuovo con un tono basso e gutturale,
«Prinsessa…» - ansimò senza aprire gli occhi.

Era sveglio o dormiva ancora?

Chissà se percepiva la disperazione, l’urgenza con cui lo stava toccando; chissà se lei sarebbe stata in grado di nasconderglielo.
Scivolò su di lui, schiacciandoglisi addosso.

Voleva entrargli nella pelle, fondersi del tutto con lui e scacciare via il pensiero di Amy, delle sue foto, dei suoi sms… voleva scacciarla via dalla mente di Ville.

«Lou…» – bisbigliò in un soffio caldo sulle sue labbra.

Il suo nome.
Non quello di Amy, o chiunque altra prima di lei.

Il suo nome.

Sussurrato con passione, desiderio, mentre le mani di Ville, possessive e impazienti, le strinsero i fianchi con forza.
Si mosse sotto di lei, la spinse contro di sé, cercandola.

Lou si chinò sulla bocca di Ville, muovendo la lingua sulle labbra dischiuse, succhiandogli il labbro inferiore.

Lui aprì improvvisamente gli occhi, fissandola solo per un istante, smarrito.
Il verde dei suoi occhi l’abbagliò.
E quello che vi lesse dentro le fece dimenticare tutto il resto.

«Questo è meglio di qualsiasi sogno erotico mai fatto prima…» – mormorò prendendole la bocca in un bacio avido.
Lou non disse nulla, continuava a fissarlo senza chiudere mai gli occhi, imprimendo nella sua mente ogni emozione che passava sul viso di Ville.

Dentro di sé sapeva che quella era l’ultima volta che faceva l’amore con lui.
Che lo baciava, sentiva il suo sapore, che la riempiva di sé.

Lo guardò fisso mentre si sollevava sui fianchi scendendo poi lentamente su di lui, accogliendolo dentro di sé.

Vide lo sguardo di lui appannarsi per la sorpresa.
Un rantolo soffocato gli uscì dal petto.
«Se sto dormendo non svegliarmi…» – le disse muovendosi sotto di lei, dentro di lei.

“Se sono sveglia lascia che io continui a viverti…”.






*******





Lou sollevò la testa dal suo album da disegno per osservare la bimba che giocava e saltellava sulla spiaggia a pochi metri da lei.

Sorrise vedendo i suoi capelli scuri e mossi svolazzarle intorno; le gambette abbronzate spuntavano fuori da un vestitino corto, a fiori bianchi e rossi.
Raccoglieva diligentemente le conchiglie secondo una strana logica tutta sua: teneva per sé solo quelle completamente bianche, anche se erano sbeccate e rovinate.
Di tanto in tanto tornava correndo entusiasta verso di lei e pretendeva che mostrasse il medesimo entusiasmo nei confronti del suo bottino.
Lou la accontentava elogiando la sua bravura e la bambina rideva felice, gli occhi di un verde scurissimo che sprizzavano bagliori dorati ogni volta che arricciava il naso.
Depositato il tutto sul telo accanto a lei, tornava di corsa sulla riva, piena di energie, strillando di gioia rincorrendo le onde.

Lou si stiracchiò pigramente, allungò le gambe nude al sole nascente.
Amavano arrivare in spiaggia prima che il sole sorgesse.


“C’era una volta una bambina che era innamorata del Sole.
Piangeva ogni volta che l’astro dorato tramontava, timorosa che il giorno seguente questi non sarebbe tornato…

«Sono io la bambina? Eh? Sono io!» – strillava ogni volta la piccola Lilly, interrompendola nel suo racconto, una delle tante favole e storie che inventava per la piccola.
«Certo che sei tu, tesoro… mettiti giù ora e non scoprirti.» – la rimbeccava Lou.
«Oooook…» - sbottava la piccola, roteando gli occhi nella speranza di farla ridere. Incrociava le braccine paffute sul petto, tamburellando le dita, impaziente.
“Chissà da chi avrà preso…”- pensava Lou, con tenerezza.

“Il Sole voleva bene alla bambina, e non sopportava di vederla piangere ogni volta che lui andava a riposare. Così le regalò un carro splendente, con le ruote fatte di mille raggi solari dorati. Il carro era magico: la bambina poteva usarlo per raggiungerlo dall’altra parte del mondo e assistere ogni volta che voleva alla sua nascita.”

«Mi porterai un giorno dove il Sole non muore mai? – le chiedeva sempre la piccola, sgranandole gli occhioni in faccia. – Mi porterai "nella Fillandia”?
Voglio vedere Babbo Natale e le sue Renne, e i Folletti! Ci andiamo, eh? Voglio assaggiare la neve! Secondo me sa di gelato alla vaniglia!»

Lou le sorrideva riavviandole i capelli dietro le minuscole orecchie.
Lilly la guardava speranzosa, sorridendole di rimando arricciando il nasino.
Quella piccola peste sapeva benissimo che non resisteva alle sue smorfiette.

«Un giorno ti porterò in “Finlandia”… Dillo bene.»
«Finnnnnlandia! – scandì la piccola – Porteremo anche **Mr. Jingle?»
«Ovviamente porteremo anche Mr. Jingle: non possiamo dormire senza lui, vero?»
La piccola fece segno di no energica, afferrando il peluche a forma di topo viola, abbracciandolo stretto.

Mr. Jingle era un regalo dello Zio Simone: la piccola Lilly non se ne separava mai e non c’era verso di farla dormire senza di lui.
Era apparso nella culla di Lilly quando lei aveva solo poche settimane e a dimostrazione di questo, era “provato” dall’usura e sbiadito, consumato in alcuni punti.
Ma la piccola, nonostante avesse ormai quasi 4 anni e si riteneva grande per la maggior parte delle cose del quotidiano, non voleva saperne di abbandonare il peluche viola.



«Verrà anche il papà con noi? – aggiungeva Lilly imperterrita – E Lo zio Simone e anche lo Zio Pepe? E Calzetta?»
Lou scoppiava a ridere.
«Tesoro, servirebbe un carro enorme per portare tutti, non credi?»

Lilly sbuffava al quel punto.

«Ma che dici? Andremo con l’ ‘aero’, lo sai che non possiamo andare con il carro magico!» –  diceva con aria furba.
«Aereo, non aero… e il carro? Lo lasciamo qui?» – le chiedeva Lou, prendendola in giro.
«Aeeeeereo! Nooooo… quello è solo per me e te… quando nessuno ci vede!» – rispondeva seria Lilly.


Reclinò indietro la testa, godendosi i raggi del sole appena nato che si facevano di minuto in minuto più caldi, ad occhi chiusi.
Più tardi sarebbe stato troppo caldo per loro due: il sole di luglio era insopportabile in quei giorni.
Era un’estate afosa quella: pareva quasi che tutta l’Italia fosse stretta in una morsa infernale.
In quei momenti le mancavano le estati miti e fresche finlandesi.

Soffocò in fondo all’anima i ricordi della sua vita ormai lontana, in Finlandia.
Le sembrava fosse passata una vita… un tempo lunghissimo.

E invece erano solo quattro anni.
Quattro anni, un mese e diciassette giorni, per l’esattezza.

L’ultima volta che aveva visto gli occhi di Ville.




******


"Angolo dell'autrice:

Oh perdindirindina! Sono passati altri due mesi e chiedo venia! Tolta la polvere dalle scarpe dei nostri 5 fantastici, stupendi, emozionanti, sognanti echipppiùnehapiùnemetta, giorni in <3 Helsinki <3, superata l'iniziale nostalgia (Seee credeteci...-.-'), si torna alla normalità. Forse. :)
Passiamo alla storia. Lo so lo so: volete cavarmi gli occhi, farmi flambè e ogni altro genere di tortura. *schiva i forconi*
Ma ormai mi conoscete e sapete che sono una stron..... sadica e perfida! :v InZomma la storia ha avuto un'HIMpennata HIMprovvisa: emòòòbastaconstotiamoetilovvoeseituttalamiavitaperme!!!
Soffriamo! One, two three: all together!

E quindi niente... voi mi odiate ma io "vi lowwo"!
Aspetto insulti e domande (e ritorsioni) qui, lì, ovunque vi aggrada!
Chiamate ore pasti. Anzi no. Il mio lato Hobbit non lo regge. *fate finta che io stia bene :>

E come da rito, ringrazio la mia Beta Deilantha, che si è sorbita il resoconto dei miei 5 giorni minuto per minuto senza battere ciglio! E senza ammazzarmi.
Moglie: rinnoviamo i nostri voti nuziali! <3
E poi un grazie particolare - concedetemelo- alla mia compagna di viaggio preferita Gone with the sin: Ugo del mio cuor, nella mia testa stiamo ancora passeggiando per Hel, davanti a "La Famigghiaaaaa" e il Kamppi; ti si stanno ancora congelando le gengive e io sto facendo ancora la cosa in cui ho scoperto di avere talento solo lì. L'idraulica. :V
Sette mesi passano in fretta! E andremo di nuovo a caccia di "Troll"! <3

Grazie alle mie fedelissime: Lady Angel 2002, eleassar, katvil, Izmargad, LilyValo, __Ary___,arwen85, Soniettavioletstarlet, Daelorin, LaReginaAkasha.

Cosia, cla_mika, per te ho tanti cuoricini e abbracci e spero che non mi ammazzerai di botte con questo cambio repentino! *sorride come Gatto con gli Stivali*

E per ultima- menzione speciale, sennò mi attacca i pipponi che non le dolo spazio esclusivo e si offende - alla mia supermegafavolosastupenderrimafighissima tesò, che mi ha suggerito il nome del peluche per la piccola Lilly: apinacuriosaEchelon!!!!!!

Baci baci!

*H_T*



* Da Heaven Tonight
**Cit.da “Il cavaliere oscuro”.
*** Mr. Jingle è anche il nome del topolino di campagna addestrato nel film “Il Miglio verde”.




Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo ventiquattro: "You are my sister" ***






testo.

Image and video hosting by TinyPic



Capitolo ventiquattro

"You are my sister"





testo.

Che fine fanno tutte le parole d’amore?
Dove va a finire tutto quell’amore, quella passione?
Le ho perse nel vento, tra i flutti del Mare del Nord… svanito, sciolto tra i cristalli di neve candida.
Dove sono io?
Dov’è il mio cuore?
Una foglia nel vento senza peso, senza corpo, morente…
Il mio cuore sogna cose piccole.

Un divano verde con i braccioli consunti, una finestra che lascia passare spifferi di aria gelida nelle notti d’inverno, le fusa dolci di un gatto, fruscio di lenzuola che sfregano contro il mio corpo nudo, dita lunghe e affusolate tra i miei riccioli, i suoi fianchi tra i miei, gambe che si incastrano trovando la più perfetta delle combinazioni, il giusto posto l’uno nell’altra, danza lenta che crea la nostra personale melodia, bocca dentro bocca, giada verde in cui affondare e perdersi, anima sconfinata nella quale trovare ristoro e pace… Ville.
Ville…
Ville.
Solo cinque lettere.



Il singhiozzo nacque e si spense, lieve, confondendosi nel rumore delle onde, i suoi occhi oasi silenziose.
«Lù? Lilly? Dove siete finite?» – una voce maschile profonda richiamò immediatamente l’attenzione della bambina che si era distratta a disegnare ghirigori sulla risacca.
«Papy!» – urlò Lilly buttando via il bastoncino di legno, girandosi con un sorriso enorme, spiccando la corsa che le sue gambette corte le permettevano, verso l’uomo alto e dai capelli chiari che stava scendendo i 4 scalini che dalla casa portavano direttamente sulla spiaggia.
«Non correre così…» - provò a dire Lou, ma la bimba aveva già raggiunto l’uomo.
Lui aprì le braccia sollevandola e lanciandola in alto.
Lilly lanciava urla stridule ridendo a crepapelle.
L’uomo se la mise a cavalcioni sulle spalle, avviandosi verso Lou con un sorriso.
«Ehi… buongiorno! – la salutò lui chinandosi a darle velocemente un bacio sui capelli – Vi siete svegliate presto anche oggi? Grazie per la colazione…»
«Prego!- Lou rispose al suo sorriso – Stai andando via?»
«Uhm… già. Tornerò prima, però: quindi non fate le solite furbe e aspettatemi prima di mettervi a spignattare in cucina senza di me.» – disse lui, solleticando il pancino della figlia, che se la rideva di gusto.
«Papy, ma tu non sei bravo in cucina, non ci devi stare! Sei maschio! – ridacchiò Lilly – Noi siamo femmine e ci dobbiamo stare perché siamo più brave!»
L’uomo scoppiò a ridere, scambiando con Lou un’occhiata perplessa.
«Da chi avrà preso queste idee?» – chiese lui strizzandole l’occhio.
«Lo dice sempre zio Simone!» – sentenziò la piccola.
«Lo zio è un gran furbastro: lo dice perché non gli piace cucinare quando viene qui da noi e non vuole sporcarsi le mani.»- puntualizzò Lou.
«Ma lui è troppo sci…scic… - balbettò Lilly in difficoltà con una parola che lo zio Simone le ripeteva in continuazione – Papy, come si dice?»
«Chic, tesoro. E non dare ascolto a zio: anche i maschi cucinano e sono bravi a volte, lo sai?»
«Va bene. Però lo zio Simone è chic? Perché lui dice che da grande sarò chic come lui, non come voi due.»
Lou scoppiò a ridere.
«Oh beh, se lo dice zio Simone allora sarai chic anche tu, tesoro.»
Lilly rise felice.
«Papy, ho raccolto tante conchiglie bellissime! Le hanno portate per me le sirene, quelle come Ariel! Lo sai, papy? Papy, da grande posso essere una sirena chic?» – chiese a raffica la piccola, strattonando la folta chioma biondo chiaro del padre.
«Tesoro da grande potrai essere tutto quello che vorrai – le disse il padre afferrandola sotto le braccia, facendola roteare in aria, per poi posarla a terra – la settimana scorsa non volevi essere un pirata?»
«Sì, ma le sirene stanno sempre in acqua e hanno le conchiglie sulle “titte” e capelli lunghi lunghi e la coda che brilla ed io voglio essere una sirena.» – continuò senza fiato la bimba, guardando in su.
«Chi te l’ha insegnata quella parola?» – chiese Lou, alzando gli occhi al cielo.

Lilly ridacchiò e indicò il padre con un ditino.
«Piccola traditrice! – ridacchiò il padre con lo stesso ghigno della piccola, strizzò l’occhio a Lou che sbottò a ridere di conseguenza – Dovremo insegnarle come si tengono i segreti.»
«Io lo so cos’è un segreto! – borbottò Lilly guardando di sottecchi Lou – Noi due ne abbiamo uno che tu non sai!»
«Che segreto mi tenete nascosto, streghette?»
«Papy è un segreto solo nostro, tu sei maschio e questo è un segreto da femmine!»
Lui scoppiò a ridere, scompigliando i riccioli castani della figlia.
«Ok, va bene ho capito! Dai un bacio al tuo Papy, ora?» – chiese chinandosi all’altezza della figlia che gli gettò subito le braccine abbronzate al collo, schioccandogli un bacio sulle labbra.
«Papy pungi!» – rise Lilly, facendo una delle sue smorfiette.
«Quando il tuo papy stasera torna a casa diventerà liscio liscio, così non pungerò più la mia piccola streghetta!»
«Sono una sirena!» – puntualizzò la bimba orgogliosa.
«Giusto! La mia piccola sirenetta!»
Si rivolse a Lou, guardandola intensamente, scrutandola a fondo con i chiari occhi azzurri.
«Sei stanca?»
«Solo un po’…»- rispose Lou, sorridendogli.
«Dovresti riposarti e non svegliarti presto; sei sempre l’ultima ad andare a letto la sera…»
«Non sei in ritardo? – lo interruppe lei sorridendogli con affetto – Sto bene. Ci riposeremo nel pomeriggio, vero Sirenetta?»
“Nooooo, mi annoio a riposare! Voglio tornare in spiaggia e andare a comprare il gelato!» – borbottò la piccola incrociando caparbia le braccine al petto.
«Vedremo.» - minacciò Lou guardando la bimba in tralice.
«Non dargliela vinta – le sussurrò lui, passandole un braccio vigoroso intorno alle spalle, posandole un altro bacio sulla fronte – È una vera peste.»
«Lo so bene.» – rispose Lou, accarezzandogli il braccio velocemente.
«Ok, io vado ragazze: fate le brave mentre sono via, va bene?»
«Vaaaaaaa beeeeeneeee!» - sbuffò Lilly smaniando perché voleva tornare a raccogliere conchiglie sulla riva.
«A dopo!» - rise Lou, alzando una mano a salutare l’uomo che si allontanava ridacchiando.
Lou si girò con le mani piantate sui fianchi e lo sguardo truce.
«Bene. Piccola peste… che cosa vuoi fare ora?»
Lilly la abbagliò con un sorriso luminoso, arricciò il nasino coperto di lentiggini e alzò a coppa le manine piene di conchiglie candide.
«Portiamo queste alla mamma?»


******


Lilly canticchiava tra sé e sé, sistemando le conchiglie sull’erba folta.
Lou guardò negli occhi di Mara, sospirando.
«Tua figlia è una forza della natura… non sta mai ferma un secondo, ha l’energia di dieci persone dentro. Ieri ha imparato una nuova parolaccia e ha tosato a zero i capelli della sua bambola, per poi piangere per due ore di fila perché voleva che tornassero di nuovi lunghi…
Sta imparando a scrivere le sue prime parole. È così intelligente…
Mi ricorda te, quando non riuscivi in una cosa e t’impegnavi fino a che non diventavi bravissima, migliore di tutti gli altri.
Ha la tua stessa forza di volontà…
È sempre allegra e sorride sempre… sempre!
E ha il tuo stesso sorriso.
È brava a disegnare, sai? Ha uno spiccato senso per le proporzioni e i colori.
Lei ama le cose colorate: in questo non somiglia a nessuno di noi!
Simone dice che ha talento e le riempie la testa di sciocchezze…
Ha un pessimo effetto su di lei!
Qualcuno dovrebbe insegnare a quel ragazzo il senso della modestia… - ridacchiò Lou, spostando una ciocca di capelli dietro l’orecchio – del resto, non che da ragazzo fosse meglio.»
È sempre stato uno stronzetto pieno di sé. E noi lo abbiamo sempre adorato, vero?» – chiese Lou, abbassando gli occhi a terra.
Tornò a fissare negli occhi neri di Mara, sperando in una risposta.
«Mara… stanotte… l’ho sognato. Era da tanto che non sognavo di lui...» – sussurrò a bassa voce e deglutì a vuoto passandosi una mano tra i capelli tagliati corti sotto le orecchie, che le ricadevano in onde morbide e lucide.
«Sentivo la sua voce, le sue mani sul mio… - si bloccò improvvisamente, gettando un occhio a Lilly che giocava impilando le conchiglie una sull’altra, poco lontano da lei – Sentivo la sua bocca su di me…» – tornò a dire abbassando la voce a un bisbiglio.
«Era… sembrava così vero: sentivo il suo odore, la sua pelle calda… e diceva che gli manco, che non ho mai smesso di mancargli, che mi desidera ancora, che mi ama ancora…» – la voce si spense.
Lou chiuse gli occhi cercando di ricacciare indietro quelle lacrime che teneva dentro da troppo tempo.
«I suoi occhi… - disse Lou stringendo forte i suoi – Mi mancano così tanto i suoi occhi.» – ansimò portandosi una mano al petto, sul cuore, premendovela forte nella speranza che si attenuasse il dolore sordo che si stava allargando, propagando come le onde create da un sasso lanciato nelle acque statiche di un lago.
Alzò il viso aprendo lentamente gli occhi, fissando lo sguardo sul viso della sua amica, sperando che avesse una parola per lei, un consiglio che la facesse sentire meno sola, meno in colpa… che la consolasse.
Mara continuava a sorriderle serena, senza cambiare la sua espressione.

Alzò una mano per togliere un granello di polvere sulla foto di Mara.
Che la fissava sorridente e bellissima, per sempre giovane e con gli occhi luminosi.
Sfiorò con un dito il suo profilo, incastonato sotto la placca ovale posta al centro della semplice lapide di pietra bianca.
«Mi manchi così tanto… a volte penso che sia tutto un incubo, che tu sia ancora qui con noi.
Non è giusto…»
Ingoiò il groppo in gola e prese un profondo respiro.
«Karl, sai... lui ce la sta mettendo tutta. È forte, più forte di quello che credevi. Per la piccola Evangeline, perché lo ha promesso a te…»
Si asciugò una lacrima che era sfuggita dall’angolo dell’occhio, prima che la piccola Lilly potesse vederla.
Una volta l’aveva sorpresa a piangere di nascosto, in bagno: Lilly l’aveva guardata spaventata con gli occhioni verde scuro sgranati.
All’epoca Lilly aveva due anni e mezzo e Mara era mancata da sei mesi.
Si era stretta a Mr. Jingle, con un dito in bocca.
Lo faceva sempre quando era spaventata o triste; lei e Karl tentavano in ogni modo di toglierle quella cattiva abitudine, ma non sempre l’avevano vinta su di lei.
Testarda e caparbia fin da piccolissima.
Aveva promesso a se stessa di non farsi cogliere mai più triste dalla piccina.
Si era ripromessa di creare intorno a lei una bolla felice e serena, lo aveva promesso a Mara.
E lei voleva mantenere a tutti i costi quella promessa.


******


«Non è la TUA FAMIGLIA!! NON È TUA FIGLIA!»- sbraitò Simone quella volta di un anno e mezzo prima.
«Non urlare.» – rispose Lou laconica, mentre ripiegava i panni appena stirati e si accingeva a rimetterli nei cassetti.
«Dio santo, smettila di fare la casalinga disperata e fermati un cazzo di minuto!» – le urlò esasperato il suo amico, seguendola nella stanzetta di Evangeline.
«Ho da fare, se hai qualcosa da dire – e a quanto pare è così – fallo pure, ma ti accontenterai di seguirmi nel mio essere una casalinga disperata. Se non ti sta bene, la porta è quella.» - gli indicò l’uscita senza guardarlo, con voce secca e continuando le sue faccende come se non le importasse minimamente di quello che pensava lui.

Simone sbottò in una colorita imprecazione che non si addiceva per niente al suo essere chic e di classe.
«Cosa diavolo credi di fare? Di sostituirti a madre e moglie? Fatti una vita! La tua la stai buttando via per qualcosa di cui non dovresti preoccuparti! Karl è capacissimo di accudire a sua figlia quanto te, senza di te! Hai fatto quello che potevi, sei stata presente quando ce n’era bisogno ma ora torna alla tua.»
«Questa è la mia vita.»
«No, questa non è la tua fottuta vita e tu non sei tenuta a stare qui a fare la sostituta!»
«Come se io potessi sostituirmi a Mara. Sei ridicolo. Perché non torni alle tue feste esclusive, ai tuoi vestiti, alle tue notti folli e a tutte quelle cose che ti rendono una persona migliore di tutti gli altri?»- sbottò crudelmente Lou con una smorfia disgustata.
Simone trattenne il respiro, colpito in pieno.
«Stai insinuando che io non sono una persona sensibile e generosa quanto te? Stai insinuando che a me non importa di Lilly o di Karl, perché sono troppo preso dalla mia vita?»
«Lo hai detto tu, non io.» - ribatté Lou senza guardarlo, ripiegando con cura il pigiamino rosa con i coniglietti di Lilly prima di chiuderlo in un cassetto.
«Le volevo bene anche io. Era anche amica mia. Voglio bene a Karl come se fosse mio fratello e amo Lilly più di quanto potessi credere. Ma non ho nessuna intenzione a insinuarmi a forza nelle loro vite, pensando di fargli un favore!» – la voce di Simone tradiva risentimento.
«Io ci sono sempre e comunque. Per qualsiasi cosa e in qualunque momento. Non li abbandonerò mai e loro lo sanno, Mara la sapeva. L’unica che fa finta di non saperlo sei tu, che credi di fare la cosa giusta stando qui, vivendo qui come se facessi parte della loro famiglia, confondendo la piccola Lilly! Confondendo tutti! Tua madre pensa che stai insieme a Karl!»
«Loro sono la mia famiglia! – urlò Lou all’improvviso, rossa in viso – Sono anche la tua famiglia! Te ne sei dimenticato, forse? Era questo che Mara voleva! Che ci ha chiesto prima di… prima… - ansimò senza fiato – e glielo abbiamo promesso! Entrambi! Se questo per te è troppo faticoso e ti distoglie dai mille impegni, torna a casa tua! Torna a Roma e levati di mezzo! Non lascerò anche loro!»

Si rese conto troppo tardi di aver detto troppo, più di quanto volesse.
Simone aprì la bocca per controbattere, poi sembrò ripensarci improvvisamente.
Attese qualche istante, guardandola ansimare e fulminarlo con gli occhi che lanciavano fiamme.
«Senti Lou: è probabile che io e te siamo agli opposti, ora più che mai. So che non vuoi parlare di lui e di quello che ti sei lasciata alle spalle. Ne abbiamo parlato fino allo sfinimento, del resto. E sai come la penso. Hai fatto la tua scelta, una stupida, egoistica scelta secondo il mio modesto parere… ma ormai è passato del tempo e speravo che avessi superato… che non ci pensassi più. Ma qui stiamo parlando di due cose diverse.
Devi lasciare che Karl e sua figlia abbiano la loro vita; Mara non voleva che Karl facesse il vedovo inconsolabile. Lei sperava che lui trovasse qualcun altro con cui dividere la sua vita, e che questa persona crescesse Lilly come se fosse sua figlia. Tu con la tua presenza blocchi ogni processo di ripresa! Lo capisci questo?»
«Io non blocco proprio nulla! Karl è libero di trovarsi un’altra donna!»
«E come può farlo se tu continui a girargli per casa? Come fa a riprendere una vita normale da scapolo con figlia a carico, se tu gli fai trovare le camicie stirate, il pranzo pronto, perfino il tavolo della colazione preparato fin dalla sera prima! Andiamo!» – sbottò acido.

Lou si chiuse in un silenzio contrito.
Sapeva che lui aveva ragione, ma non era pronta a separarsi da Lilly.
Non ancora.
Era come se fosse figlia sua.
Era lei che se n’era occupata fin dai primi giorni, insieme a Karl: Mara era troppo debole per poterlo fare come avrebbe voluto.
Era stata lei a restare sveglia la notte per accudirla; lei a darle la prima pappina.
C’era lei quando aveva gattonato per la prima volta, o le era spuntato il primo dentino.
Era a lei che aveva fatto il primo sorriso… non era sua figlia, ma era come se lo fosse.
«A meno che tu non voglia sostituire Mara anche a letto.» – continuò Simone, stringendo gli occhi grigi.
«Non essere disgustoso! Come fai solo a pensarla una cosa del genere? Karl è un fratello per me, come per te!»
«Ah davvero? Beh, da quello che ho visto ieri sera a cena, non credo che lui ti veda più come una sorella!»
Lou sbiancò in viso, boccheggiando.
«Di cosa diavolo parli? – si era bloccata a metà nel suo ordinare la biancheria – Tu vedi cose losche anche dove non ce ne sono!»
«Stammi bene a sentire, bella: posso non essere un bravo cuoco, o un perfetto padrone di casa o essere una totale pippa nel cambiare i pannolini, ma so riconoscere benissimo lo sguardo di un uomo. E ieri sera, vuoi il vino rosso, vuoi il fatto che per la prima volta ti sei fatta carina e dopo tanto tempo sei tornata a sorridere come una volta, Karl ti guardava come non ti ha mai guardato. Quindi se vuoi diventare la nuova compagna di Karl e fare la mamma di Lilly a tutti gli effetti, hai la mia benedizione. Ma entrambi sappiamo bene che non farai entrare nessuno nelle tue mutande, tantomeno il buon Karl...e questo perché… sei ancora innamorata, Grace.
E che malgrado tu ci metta tutto l’impegno di questo mondo, devo dartene atto, non riesci a ingannare me. Lo ami. Lo ami ancora. Forse più di prima.»
«Smettila.»
«No. Non la smetto. Sono stanco di preoccuparmi per te. Sono stanco di raccontare a tua madre che stai bene. Sono stanco di vederti rifiutare uomini interessanti. Stanco di saperti qui, in una cazzo di casa sperduta in mezzo al nulla, lontana da tutti, ad espiare colpe che non hai!
Ok, te ne sei andata. Ok, hai mollato.
Lui è andato avanti, di merda, ma è andato avanti anche senza di te.»
Sentire Simone parlare di lui anche se nessuno dei due aveva ancora pronunciato il suo nome, le faceva sempre lo stesso effetto: una morsa allo stomaco.

«Sono andata avanti anch’io…»
«No! Tu non hai affrontato te stessa, visto che due minuti fa hai urlato che non avresti abbandonato “Anche loro”. Come hai fatto con Ville?»
Ecco. Il suo nome.
Scagliato attraverso la stanza come una freccia.
Era soltanto un nome.
Lo era, dopottutto?

«Smettila…» – tornò a ripetere Lou, sussurrando.
«Sai cosa mi ha detto Mara, la sera prima di morire? – infierì lui senza pietà – Mi ha raccomandato di farti rinsavire. Di farti tornare a ragionare. Di prenderti di peso se fosse stato necessario e con un calcio in culo spedirti davanti a quella cazzo di Torre. Lei voleva che tu ritrovassi il tuo cuore, non che facessi la colf/babysitter a tempo pieno per la sua famiglia!»
Era la stessa cosa che Mara aveva detto a lei, qualche giorno prima di andarsene per sempre.
Solo con parole più dolci.
«Luly… vieni qua…»
Le aveva teso le mani scheletriche, facendole segno di avvicinarsi.
Mara aveva affrontato la malattia come una leonessa: combattendo e tirando fuori una grinta che nessuno di loro si sarebbe mai aspettato.
Fino all’ultimo aveva sperato e creduto di poter guarire: la sua voglia di vedere crescere l’adorata figlia le aveva dato la forza di resistere al mostro che la stava mangiando viva.
Ma gli ultimi giorni aveva preso coscienza che era stata sconfitta e allora aveva iniziato a raccomandare tutti loro di prendersi cura di Lilly, di badare a Karl.
Era evidente che aveva raccomandato ad altri di prendersi cura anche di lei.
Lou era corsa da lei, prendendole le mani fredde, stringendogliele forte.
«Devi farmi una promessa.» – disse sorridendo con il viso stanco e di un pallore grigiastro.
«Dimmi, tesoro… ti ascolto.»
«Devi promettere che penserai sempre a te, prima di ogni altra persona o cosa. Devi promettermi che non perderai tempo a chiederti il perché e il percome su tutto… non si possono avere tutte le risposte.
Devi promettermi che aprirai di nuovo il tuo cuore. Ti conosco troppo bene, meglio di quanto pensi.
Non è troppo tardi, Luly… non lo è per te.
Quindi non perdere altro tempo. Corri da lui.
Lo ami così tanto… - le accarezzò il viso con mano tremante – non parli più di lui, ma è presente in ogni tuo gesto, in ogni cosa che fai... non ho avuto la fortuna di conoscerlo, eppure il mio istinto mi dice che anche lui ti ama allo stesso modo.
Quindi sorellina mia, corri da lui. Sono certa che ti sta aspettando.»

Lou lasciò che le lacrime traboccassero, ma non voleva staccare le mani da quelle di Mara.
La sorella che non aveva mai avuto.
Sua sorella nell’anima e nel cuore.
«No, Mara… il passato è passato. Le mie scelte di due anni fa mi hanno portato a questo e non posso tornare indietro. Non posso. Non è giusto.»
«Tesoro, cosa ti fa pensare che la vita sia giusta? – disse Mara con un sorriso amaro, indicando se stessa – Quindi perdinci, riprendiamocelo! Prendiamoci quello che la vita non vuole ridarci indietro! Non tutto è perduto! Torna da lui, e se non ti vorrà allora volterai finalmente pagina.
Ma tenta! Provaci, tesoro! Corri incontro al tuo futuro e all’uomo che ami!
Sai… - riprese dopo una brava pausa - quella volta, in quel bar a Roma.
Quando tu e Simone mi avete preso in casa con voi… quella volta io non ho trovato solo un posto in cui vivere e studiare.
Quel giorno io ho trovato la mia famiglia.
La sorella e il fratello che non ho mai avuto.
Le altre due metà che mi completavano e mi facevano sentire accettata e amata, come mai prima di allora.
E come sorella ti chiedo… ti prego... mia figlia. Stalle accanto, dalle i consigli che le darei io.
Insegnale che seguire i sogni è la cosa più importante, che senza sogni siamo niente.
Insegnale ad ascoltare sempre il cuore prima che la testa.
Ed è quello che devi fare anche tu, sorellina… va da lui Luly, promettimelo. Vai a riprenderti il tuo cuore.»


******



Lilly arrivò vicino a lei, le si inginocchiò accanto porgendole le conchiglie bianche.
«Ho scelto quelle più belle, Luly! Mi aiuti a fare il cuore?»- le chiese la piccola Evangeline con il sorriso di Mara che faceva capolino.
«Certo tesoro… ti aiuto a fare il cuore.»
Lilly la osservò attentamente disporre le conchiglie fino a formare un cuore bianco sull’erba verde acceso.
Se avesse aggiunto qualche altra conchiglia ai lati, il cuore si sarebbe trasformato in altro.
Un simbolo che conosceva bene.
Che le ricordava una vita lontana.
Legato a una persona che era nascosta in un angolo segreto della sua anima.
«Luly?»
«Sì, tesoro?»
«Stasera mi racconti la favola del Principe che viveva nella Torre? È la mia favola preferita.»

“Corri e vai a riprenderti il tuo cuore, sorellina…”.

«Sì, tesoro… stasera ti racconterò la favola del principe che viveva nella sua Torre…»
"… e della sua Principessa Perduta."



******



Angolo dell'Autrice:
Sono stata brava stavolta! ^-^
Non vi ho fatto aspettare due mesi quindi: amatemi.
Questo capitolo è stato più duro da mettere su word di ogni altro scritto finora: non mi piace affrontare la malattia o la morte con leggerezza, forse perchè mi ci trovo di fronte un pò troppo spesso.
Per cui volevo avvisare che non troverete ulteriori spiegazioni dettagliate sulla "questione" Mara; la incontreremo di nuovo nei prossimi capitoli, ma in un viaggio a ritroso di 4 anni, appena dopo il ritorno di Lou in Italia.
Insomma andate di intuito o di fantasia, ma è una scelta che ho fatto fin dall'inizio. ;)
So che questi salti temporali possono confondere un pò, ma come ben sapete, Sadica è il mio secondo nome...:).
In ogni caso per qualunque dubbio, potete contattarmi anche in privato se vi va! ^.^
Ora arriva il momento "Maria De Filippi" (xD Rosita: apri la Busta!): questo capitolo è anche una dedica.
Per tutte quelle persone che hanno perso qualcuno senza avere la possibilità di dir loro quanto le si amava e quanto erano importanti per noi.
E per le mie sister "storiche", con me da 5 anni. Deilantha: moglie, Beta Reader, nonchè corresponsabile di ogni delirio-demenza notturne!
Eleassar, divenuta la seconda Beta con mio grande orgoglio, per tutti i consigli e il continuo sostegno.
Soniettavioletstarlet, apinacuriosaEchelon, renyoldcrazy, arwen85, Lady Angel 2002, E befane sparse che si perdono per la strada.
E anche per quelle che ho conosciuto da poco, ma non meno care al mio cuore, grazie a questa storia e agli HIM: _TheDarkLadyV_ Gone with the sin, cla_mika, katvil, Izmargad, LilyValo, __Ary___, LaReginaAkasha, FloHermanniValo. E tutte le altre del gruppo che seguono la storia! :*
Ci si conosce per caso su un social network e si passano notti a parlare, condividere sogni e speranze, consolandosi, ridendo fino alle lacrime e si pensa che sia solo un periodo, una meteora.
Invece sono presenze costanti e ferme, immutate come le stelle (*sviolina come se non ci fosse un domani*xD)
Eeeenniente... questo. Chi mi conosce bene sa. :)
Grazie infinite anche a Cyanidesun e Enigmasenzarisposta per aver commentato il capitolo precedente! ^-^ Grazie ragazze!
A presto, un bacio! *H_T*
*Titolo da: Antony And The Johnsons - You Are My Sister (Kat, ora smettiamola di piangere però! xD)

testo.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo venticinque - "Il Sentiero delle Fate" ***







Image and video hosting by TinyPic



Capitolo venticinque

"Il Sentiero delle Fate"




Lucia. Lou.
Il suo nome.
Era Lou per le persone che aveva lasciato in Finlandia.
Era Grace per il suo migliore amico.
Lucia per i suoi genitori e Sgorbietto per i suoi fratelli, Livio e Leonardo.
Era Luly per Mara e la piccola Evangeline.
Eva per Julian.
Era stata Lulù per le sue amichette d’infanzia.
Mia cara bambina” l’aveva sempre chiamata il tenero sig. Korhonen, che non l’aveva mai chiamata per nome.

“Prinsessa…”

Spesso nella sua memoria riaffioravano i timbri delle voci di ognuno di loro, la cadenza, la dolcezza e l’affetto con cui avevano pronunciato il suo nome.
Arrivavano come lampi in un cielo sereno.
Erano ricordi belli. Ricordi cari. Ricordi…


Quando era sola si aggrappava a quei ricordi, cullata da loro.

“Prinsessa…”

C’era una sola voce che teneva chiusa in fondo alla memoria, in fondo a quella enorme scatola di ricordi.
Una voce che l’aveva tormentata durante i suoi sogni.

Soltanto per una persona lei era stata “Prinsessa ”.
E quella voce, quelle labbra che avevano pronunciato quel nomignolo con amore, con struggente tenerezza, passione, dolcezza… quella voce vibrava come un diapason dentro di lei.


Anche ora.
Anche in quel momento, dopo così tanto tempo.

“Prinsessa…”


*******


Quando la loro passione si era placata e i respiri tornati normali, Ville l’aveva guardata intensamente e a lungo.
Apriva la bocca, gonfia e arrossata dopo i suoi baci e la richiudeva subito dopo.
Sembrava che fosse a corto di parole.
Lei lo guardava in silenzio, in attesa, appoggiata sulla sua pancia piatta.

«A cosa pensi?» – la voce di Ville le suonò strana.
La domanda sembrava non convincesse neanche lui perché si morse le labbra, dubbioso.
Lou scosse le spalle.
«
A nulla.»
«
Lou…»
«
Dico sul serio.»

Com’era diventata brava a mentire…
Lui sollevò le sopracciglia.


«Mi metti a disagio quando fai così… e non è da me sentirmi a disagio. Non con te.» - parlò a bassa voce, guardandola fisso negli occhi.
«
Non è mia intenzione farlo… ti sto solo guardando. Sei bello.»
Ville storse la bocca sensuale in una smorfia.
«
Adesso sei tu che sei condiscendente… e non guardarmi così…» – gemette lui.
«
Come ti sto guardando?»
«
Così… come se… mi volessi di nuovo.»
«
È così.» – sussurrò Lou.

“E ti vorrò sempre.”

«Ma dubito che lui, – disse indicando in basso – sarebbe d’accordo ora.»
«‘Lui’ non ha l’autorità di prendere decisioni.» – ribatté Ville con tono serio.

Nonostante tutto Lou sbottò a ridere.
«
Hai una certa età, Valo… non esagerare.»
«Non sfidarmi, bionda.»
«Non chiamarmi bionda.»
«Come vuoi che ti chiami?» – sussurrò con la sua voce sexy, ben modulata, profonda.

“Come ti pare, basta che continui a parlare.”.
Lou alzò di nuovo le spalle con noncuranza.

Era bella quella schermaglia di battute.
Con loro due che si fissavano negli occhi, senza muovere un muscolo.

Bisbigliando.

Un lampo squarciò il cielo, illuminando la stanza.
Ville alzò gli angoli della bocca, lentamente.
«Ogni volta che ci sarà un temporale penserò a questa notte… a come hai fatto l’amore con me. A come mi stai guardando ora.»

Il cuore di Lou mancò qualche battito, ma era risoluta a mantenere un’espressione neutra e non fargli capire che tutte le sicurezze erano quasi svanite.
«Solo a questa?»
«Ho un ricordo preciso e vivido di ogni singola volta che ho fatto l’amore con te.»

Non si muoveva, non la toccava con le mani: eppure lei si sentiva avvolta da lui.
Le braccia rimanevano incrociate sotto la testa, apparentemente rilassate.
Erano i suoi occhi che la incendiavano. Riscaldandola.
Che la riempivano.

E quando la guardava così lei credeva veramente che nessun’altra contasse per lui.
Che lui fosse realmente innamorato di lei.
Di lei, Lou.
Che non era bella, non era alta, non aveva gli occhi azzurri o lunghi capelli di seta neri.
Quando lui la guardava così, in quel modo, lei pensava che niente e nessuno si sarebbe intromesso in quella bolla magica dove esistevano soltanto loro due.

Lou guardandolo si rese conto nuovamente di quanto in così poco tempo lui fosse diventato il centro, il perno sul quale ruotava il suo cuore.
La cosa come al solito la spaventava.
Sembrava che lui ci fosse da sempre e invece erano insieme solo da pochi mesi.
Quanto tempo sarebbe durata la passione di Ville per lei?
Guardandolo ora sembrava che non ne avesse mai abbastanza di lei, che la passione si arricchisse di giorno in giorno di mille altre sfumature, che la desiderasse inspiegabilmente sempre di più…

Quanto tempo ci sarebbe voluto prima che si stancasse di lei, per tornare alle donne cui era abituato?
«Quella ruga al centro della tua fronte non mi piace.» – mormorò di nuovo lui.
«Stavo pensando al da farsi.»
«Riguardo a cosa?» 

Ville sollevò un sopracciglio.
Il perfetto damerino con la puzza sotto il naso.

«Mi chiedevo… - mormorò Lou stiracchiandosi pigra su di lui - se ora sei abbastanza riposato per riprendere il discorso. Vorrei che la tua lista dei ricordi delle volte in cui hai fatto l’amore con me si arricchisse.»
Lui ghignò e un lampo verde giada la tramortì.
«Non hai idea di quanta memoria io riesca a immagazzinare.»

Nascose sotto quella smania di avere tutto per sé l’uomo che amava, di possederlo anima e corpo, il tarlo del sospetto.
Non voleva fare come con Andrea e rischiare di perdere Ville.
Per lei sarebbe stato come togliere l’aria dai suoi polmoni.
Avrebbe agito diversamente.
Con pacatezza, impedendo alla gelosia di avere la meglio su di lei.
Cercò di ricordarselo prima che le braccia magre di Ville la tirassero su, facendola scivolare lentamente sopra di lui e verso la sua bocca.
I capelli fluivano come seta sul corpo di Ville.

«Ti guardavo… - bisbigliava lui infilando le mani tra i suoi capelli, facendovi scorrere le dita lunghe ed eleganti – E vedevo solo il bagliore dei tuoi capelli. Era come se ogni volta che tu apparivi da quella finestra il sole spuntasse improvvisamente… anche se era un giorno di pioggia o c’era la nebbia o neve e ghiaccio ovunque. Non sapevo il tuo nome e non conoscevo neanche il tuo viso… eppure ogni volta che guardavo fuori, speravo di vederti.»

Lou afferrò una delle sue mani e portandola al viso si strofinò lentamente su di essa ad occhi chiusi.
«Tu mi riscaldavi ancor prima di entrare nella mia vita.»



******



«Lilly, torniamo a casa ora.» – Lou chiuse gli occhi facendo un profondo respiro.
Il risultato fu alquanto scadente: sembrava più un singulto.
Si alzò pulendosi le mani sui jeans chiari e sdruciti che le stavano decisamente troppo larghi.
«
Va beneeeee! – Lilly la imitò nelle mosse, pulendosi le manine sporche di erba sul vestitino estivo, poi appoggiò la sua guancia a quella di Mara nella foto – Ciao Mamy, io adesso torno a casa con Luly. Ma tu aspettami che io torno presto presto e ti porto altre conchiglie.»
Lilly le porse la manina, guardando in su e strizzando gli occhioni verde scuro.
«
Però ora il gelato me lo compri?»
Lou scoppiò a ridere suo malgrado.
«
Sei una peste. Adesso invece facciamo una cosa: compriamo il gelato e poi lo mangiamo insieme al papà, che ne dici?»
«Però i gusti li scelgo io.»
«Cioccolato e fragola?» 
Lou storse la bocca.

«
Sì, io sono chic!»- asserì convinta, come se essere chic fosse il passpartout per ogni situazione, saltellandole di fianco mentre si avviavano lungo il sentiero che dal piccolo cimitero dov’era sepolta Mara immetteva sulla strada che costeggiava il mare.

Avrebbe scotennato Simone per tutte le cavolate che le raccontava.

Respirò a pieni polmoni l’aria densa di profumo salmastro portato dalla brezza leggera che veniva dal mare, gli alberi imponenti che formavano quasi una cupola chiusa sopra la testa e cespugli di more selvatiche ovunque.

Lou amava quel posto per la sua bellezza selvaggia e semplice. Dopo la morte di Mara ci veniva spesso da sola, in qualunque ora del giorno e a volte anche di sera tardi, quando non riusciva a dormire. Sorrise al pensiero di lei che vagabondava tra le lapidi anche di notte.
I cimiteri le avevano sempre messo paura e ansia, un timore reverenziale e non ci andava mai, se poteva evitarlo.
Questo prima che Mara morisse.

Dopo, era l’unico posto in cui trovava il coraggio di lasciarsi andare al dolore senza che qualcuno provasse a consolarla o le dicesse di calmarsi; era l’unico posto in cui c’era il vero silenzio e la vera pace. L’unico in cui sapeva che qualcosa di Mara ancora aleggiava intorno a lei.

Aveva chiamato quel posto “Il sentiero delle fate”.

Quando stava per arrivare l’estate quel posto di sera era illuminato soltanto dalle minuscole luci intermittenti delle lucciole. La prima volta che si era ritrovata circondata da quelle creature così brutte e anonime se le si vedeva da vicino ma che nell’immaginario della Lou bambina era piccole fate, angeli custodi dei bambini di tutto il mondo, era stata anche la prima volta che aveva pianto per Mara.

E per Ville. E per la sua vita che aveva preso una direzione completamente sbagliata.

Improvvisamente davanti a quello spettacolo magico e silenzioso, interrotto solo dal sonnolento frinire delle cicale e il respiro del mare, era crollata.
Piangendo per ore, senza respiro.

«Luly?»

«Dimmi.»

«Ora torni a vivere a casa nostra? Non te ne vai un’altra volta, vero? Avevi detto che tornavi presto e invece è passato tanto tantissimo tempo.»

Lou si fermò inginocchiandosi all’altezza della bimba.

«Te l’ho spiegato il perché non sono tornata presto, vero? O te ne sei dimenticata?»

Lilly scosse la testa facendo oscillare i boccoli scuri.

«Me lo ricordo, però mi annoio quando sto da sola.»

«Ma non sei da sola, c’è il papà con te. E Mister Jingle e Calzetta…» - le disse Lou sorridendo.

«Sì ma anche papy è triste quando tu non ci sei e Mister Jingle non parla e neanche Calzetta! Io voglio parlare con te! Sei la mia amica preferita.»

«Tesoro… - Lou la prese tra le braccia affondando il viso nei capelli soffici e profumati di fragola, dandole piccoli baci sul collo come quando era piccolissima – Non era Valentina la tua amica preferita?»- le chiese ridacchiando.

«No. Abbiamo litigato. – borbottò scura in viso - Ha detto che io non posso andare alla festa del suo compleanno perché non ho la mamma che mi accompagna. Lei però non ha il papà, ma al mio compleanno ci è venuta!»

Quanto potevano essere crudeli i bambini nella loro innocenza?

«Non dovresti litigare con la tua migliore amica, sai? È una cosa brutta…» - il pensiero corse subito a Nur, provocandole il solito magone in gola.

Lilly abbassò lo sguardo a terra muovendo avanti e indietro il piede, a metà fra l’ arrabbiato e il pianto.

«Lo so, ma io non ho la mamma.»

Lou rimase senza fiato, non sapendo che dire.

«Tu ce l’hai la mamma… solo che non la puoi vedere come fanno tutti gli altri bambini.» – disse accarezzandole il nasino.

«Lo so questo ma alla festa non posso andarci lo stesso!» – spiegò caparbia incrociando le braccia sul petto come suo solito.

«Senti e se alla festa ci porti tua zia Lou? Pensi che vada bene lo stesso? Lo vuoi chiedere a Valentina, eh? Ti va?»

Lilly la guardò socchiudendo gli occhi dubbiosa.

«Va bene. Ci andiamo ora?»

«Certo! Andiamo!»

«Andiamo! Muovi le chiappe!» – urlò Lilly ridendo.

«Lilly! Dove l’hai sentita questa?»

«Non te lo dico!» – scoppiò a ridere Lilly tirandola per le dita e facendole un male cane.

Avrebbe preso a calci Simone nelle sue chiappe marmoree quanto prima.



******



«Lou! Che bello rivederti! Quando sei arrivata? Karl non mi ha detto nulla!» – le sorrise stupita Katia aprendole la porta con le mani sporche di farina.
La mamma di Valentina, della stessa età di Lilly, e Martina che di anni ne aveva quattordici, abitava a poche centinaia di metri da Karl e Lilly, in una casa gialla a due piani.
Lou abbracciò la donna di slancio, sinceramente contenta di ritrovarla.

«Valeeee, vieni qui subito: c’è Lilly! Martinaaaaa, abbassa quella musica!» – urlò in direzione del giardino sul retro, cercando di sovrastare la musica che proveniva da qualche angolo della casa.

«Hanno bisticciato, lo sai? – le chiese Katia sottovoce con aria dispiaciuta – Non so come le sia venuta quell’idea, mi dispiace. Ne ho parlato anche con Karl…» - arrossì improvvisamente Katia schiarendosi la voce.

«Lo so, Karl me lo diceva ieri sera… - spiegò Lou sedendosi sullo sgabello che le stava indicando Katia – Sono bambini dai… non si rendono conto. Che stai cucinando? C’è un profumino delizioso…»

«Torta di rose, salata e dolce, muffin, crostate… e una marea di altre cose che ho dimenticato perfino di aver impastato!» – disse ridendo Katia scostandosi con il braccio una ciocca di capelli biondi dal viso, indicando il caos che regnava in cucina.
Oltre al piano cucina ingombro di dolci, ovunque c’erano coroncine di carta, bacchette magiche ricoperte di glitter, gonnellini di tulle dai colori tenui.
Lou le sorrise.

Katia le era sempre piaciuta: era una mamma single da qualche anno e cercava di cavarsela da sola senza chiedere l’aiuto dell’ex marito, che come nelle più classiche e scontate delle storie si era invaghito di una giovane donna tradendo sua moglie e mollandola su due piedi per andare a vivere con l’altra.

Aveva sempre sospettato che avesse una cotta segreta per Karl, così gentile e sempre disponibile ad aiutare lei e le due bambine per qualsiasi cosa avessero bisogno.
Quando Simone quasi due anni prima, le aveva fatto notare che Karl iniziava a comportarsi diversamente nei suoi confronti, lei si era allontanata.
Non voleva assolutamente che la situazione precipitasse e si complicasse ancora di più e con la morte nel cuore, era andata via.
Lasciare Lilly era stata una delle cose più dure da affrontare, ma per quanto odiasse ammetterlo, Simone aveva ragione.

Non era sua madre e Karl non era suo marito.
Quella era la casa della sua migliore amica, era la sua famiglia e lei era diventata di fatto una sostituta di Mara, tranne che per la parte “dovere coniugale”.
Era l’unica famiglia che avrebbe mai avuto.
L’unica figlia che avrebbe mai potuto avere.

Aveva sperato che la sua assenza avrebbe accelerato le cose tra Katia e il suo amico, ma entrambi erano timidi e di poche parole… un po’ come lei del resto.

Valentina fece capolino dalla porta, tutta imbronciata.

Lou sorrise alla bimba bionda dagli occhi castani come la mamma.

«Saluta Lou, te la ricordi vero?»

«Sì – borbottò questa, sbirciando Lilly che si era nascosta dietro le gambe di Lou – Ciao!»

«Ciao Valentina, come sei cresciuta… e che bei capelli lunghi che hai…» - disse Lou sorridendo sotto i baffi nel vedere la bimba illuminarsi per il complimento.

Katia le strizzò l’occhio, ridacchiando.

«Perché tu e Lilly non andate a giocare in giardino? – chiese Katia mettendo nelle mani della figlioletta due muffin, spingendola senza tanti complimenti verso Lilly – e dì a tua sorella di abbassare la musica o le stacco la connessione internet!» – urlò in direzione del giardino, dove presumibilmente si trovava la figlia maggiore.

Lou osservò le due bimbe che lentamente si avvicinavano.

Valentina porse il muffin a Lilly che lo prese dopo qualche secondo.

«Vieni, ti faccio vedere il nido con gli uccellini piccini piccini!»– disse Valentina sorridendo alla sua amichetta ritrovata.

Se solo anche tra gli adulti le cose potessero risolversi con un muffin e un nido con delle uova appena schiuse.

Lilly si girò verso Lou facendole un occhiolino sbilenco, storcendo tutto il faccino nello sforzo.

«State attente.» – rimbeccò Katia, tornando ad impastare con foga.

«È stata l’intera giornata di ieri a piangere – disse Katia sorridendo – Se non foste venute voi, l’avrei accompagnata io fra qualche ora… MARTINAAAAA!»

Katia sfoderò un acuto degno di un soprano, facendola scoppiare a ridere.

«Giuro che prima o poi le butto via quei cd: non fa altro che ascoltare quella musica del diavolo tutto il santo giorno! Ma anche noi eravamo così insopportabili alla loro età?»

«Non ne ho idea, non mi sembra neanche di aver avuto l’età di Martina a dire la verità.» - sospirò Lou, interrotta dall’ingresso di una ragazza imbronciata in short di jeans microscopici, maglietta nera tagliuzzata ovunque, innumerevoli braccialetti colorati alle braccia e Converse rosse slacciate ai piedi.

Lou sbattè le palpebre non riconoscendo quasi la piccola Marty di qualche mese prima.

Aveva lasciato una ragazzina con i riccioli biondi e il viso pulito e ora si ritrovava davanti una nuova Martina, con i capelli lisci e ciocche colorate qui e là, gli occhi truccati pesantemente di nero e l’aria annoiata.

«Ciao Lou.» – borbottò questa, lanciando un’occhiataccia alla madre.

«Signorinella, è inutile che mi guardi storto: ti ho detto di abbassare il volume e non fiatare!»– aggiunse quando la figlia aprì la bocca per controbattere.
«Mamma non è la musica del diavolo, quanto sei antica!» – disse aprendo il frigorifero e prendendo una lattina di Coca-Cola.
«Sarò anche antica ma se ti dico di abbassare il volume, tu ABBASSI il volume.» – disse Katia sbattendo l’impasto sul tavolo con vigore.

Martina si girò verso di lei roteando gli occhi.
«
Lou, puoi dire a mia madre che dovrebbe aggiornarsi un po’ sulla musica e smetterla di vedere tutti satanisti?»
Lou aprì la bocca per rispondere, ma Katia la interruppe.
«Lou, dovresti vedere o meglio sentire che genere di musica ascolta questa figlia degenerata – sospirò Katia – non so davvero da chi ha preso!»

«Di certo non da te.» – sputò Martina sedendosi scomposta sul secondo sgabello di fianco a Lou.
Martina prese a sorseggiare rumorosamente la sua bibita, osservandola con curiosità.
«
Tu vivevi in Finlandia, vero?» – le chiese di punto in bianco Martina.
La domanda colse Lou impreparata.


«Ehm sì, vivevo lì qualche anno fa…»
«Com’è? Io voglio andarci appena avrò diciotto anni.»
«Perché lì vive l’uomo dei suoi sogni…» – sospirò teatrale Katia.
Martina fulminò la madre con gli occhi per poi tornare a guardare Lou.

«Hai mai incontrato qualche personaggio famoso?» - tornò a chiederle la ragazzina.

Chissà perché la piega che stava prendendo quel discorso le metteva un po’ di ansia.

«Non ci sono molti personaggi famosi lì…» - spiegò Lou, asciugandosi le mani sudate sui jeans.
«
Beh, ci sono molti musicisti famosi.»


Ahia.

«Non ne conosco molti.»
«Tu vivevi ad Helsinki, vero?» – insistette Marty, attorcigliando una ciocca bionda e fucsia sulle dita.

«Sì… - Lou guardò verso Katia, in cerca di una qualche forma di aiuto ma questa era impegnata a stendere la pasta frolla nella teglia – Vivevo ad Helsinki…»

«Conosci un quartiere chiamato Munkkiniemi?»
Sapeva già dove voleva andare a parare Martina.

"Perché tu, stupida ragazzina, tra tanti gruppi dovevi essere proprio una loro fan?"


«Sì, lo conosco.»
«Marty, lascia stare Lou.»
«Ci sei mai stata? Hai visto per caso una Torre?»


Lou desiderò che una crepa si aprisse sotto i suoi piedi e la inghiottisse.
O che inghiottisse Martina quantomeno, salvandola da quell’interrogatorio.

«Sei fan degli HIM?» – chiese Lou prima che riuscisse ad impedirselo.
Martina saltò sullo sgabello.
«Li conosci? Mamma, li conosce! Davvero li conosci?»– chiese la ragazzina abbandonando la sua aria annoiata, illuminandosi.

«Sì, ne ho sentito parlare.»

“Chiudi quella cazzo di bocca ed esci da questa casa. ORA!”

«Non trovi che Ville Valo sia l’uomo più bello, più sexy, più tutto del mondo?!» – disse Katia facendo il verso a sua figlia, imitandone il tono isterico, sbattendo le ciglia e il viso sognante.

Martina ignorò sua madre.

«Lo hai mai visto? Lo conosci, sai chi è? Ti prego dimmi di sì, dimmi che esiste davvero e che è così come lo si vede nei video e nelle foto!  È stupendo, è bravissimo, ha degli occhi meravigliosi e la sua voce…» – Martina continuava il suo monologo con occhi sognanti e lucidi, esattamente come Katia che continuava a prendere in giro sua figlia, scuotendo poi la testa.


Lou guardava il pavimento maledicendo quella crepa che non appariva.

“Sai Marty, io lo conosco l’uomo dei tuoi sogni… in realtà lo conosco molto bene.
So che esatta sfumatura di colore hanno i suoi occhi quando è appena sveglio e so che timbro ha la sua voce.
So riconoscere quando è arrabbiato o sta ridendo sotto i baffi, prendendoti in giro amabilmente, anche se rimane con la stessa espressione seria e impassibile.
All’uomo dei tuoi sogni piace restare sveglio a comporre musica di notte perché si concentra meglio al buio, e se dorme lo fa a pancia in giù ma soltanto quando è da solo… perché se accanto a lui c’è la donna che ama niente gli impedisce di tenerla stretta a sé tutta la notte.
Ama essere toccato dietro la nuca, ma solo quando lo decide lui.
E ogni volta che fa l’amore è come se fosse la prima volta o l’ultima…
Ha le mani calde e forti… e la sua pelle sa di buono… e di sapone…
E la sua risata… nessuno al mondo ride come lui.
Ed è prepotente… presuntuoso, vanitoso e a volte pieno di spocchia, sa essere crudele e dolce… ed è più bello e meraviglioso di quanto le interviste o un video o una foto possano far trapelare.
È quello e molto di più, è molto altro… e io… io lo amo ancora.”.

«Mi dispiace Martina, non l’ho mai visto.»





******








"Angolo dell'autrice:

Salve a tutti! Eccomi di nuovo... stavo vedendo solo ora che proprio l'8 marzo di due anni fa ho iniziato a postare eu EFP e mi sembra stranissimo.
Da un lato sembra passato pochissimo tempo, mentre dall'altro in questi due anni sono successe tante cose che sembrano molti di più!
Ma bando alle ciance. Ho poco da raccontare stavolta se non che la Musa fa le sue brevi apparizioni quando meno sarebbe opportuno, ma tant'è: la cogliamo al volo per quanto sia possibile! ^.^
Ergo attendo le vostre impressioni e commenti, sapete che ci tengo!
Ringrazio come sempre le mie due Beta:
Deilantha e eleassar . Grazie infinite, donne che sopportate ogni mia pignoleria! :D

Poi come sempre le mie affezionate lettrici che hanno commentato l'ultimo capitolo:

__Ary___, LaReginaAkasha, Soniettavioletstarlet, Cyanidesun, LilyValo, Enigmasenzarisposta, Lady Angel 2002, FloHermanniValo, cla_mika, Izmargad, renyoldcrazy, katvil, arwen85, apinacuriosaEchelon.

E un grazie anche alle nuove lettrici: Infernal_Offering, Soheila, Layla_Morrigan_Aspasia, The_Gamer_Girl 92, DrawingLady, ValonEnkeli.

PS: Grazie anche a Katvil per avermi prestato il suo nome e quello della piccola HIMster Marty! XD
E pure alla mia Crabs
_TheDarkLadyV_ per aver usato il suo senza chiederlo!! XD :V

Alla prossima!
Baci baci,


*H_T*







testo.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo ventisei - "La stessa Luna" ***







Image and video hosting by TinyPic



Capitolo ventisei

"La stessa Luna"






«Ancora!» – Lilly aprì un occhio prendendole di nuovo la mano.
Piccola peste! Credeva che sarebbe crollata dopo una giornata stancante passata a giocare nel giardino di Katia e invece eccola lì, che ancora resisteva chiedendole un’altra favola.

«Mettiti vicino a me, Luly!» – sbottò infastidita la piccola.
«Non fare i capricci, Evangeline.» 

Mormorò Lou usando il nome per intero come quando non voleva scherzare e fare sul serio, tornando poi a stendersi accanto alla bimba che s’infilò sotto il suo braccio.
«Non andare via.»
Lou rimase in silenzio e la strinse a sé tornando ad aprire il libro di favole preferito di Lilly.

«Sono qui, non vado via.»
«Me lo devi promettere.»
«Piccola, lo sai che devo tornare a casa mia, vero? Sai che ci sono lo zio Simone e lo zio Pepè che mi aspettano? E poi devo andare a lavorare, come fa il tuo papy.»
«Sì, ma perché non vai a lavorare insieme al mio papy, così tu stai qui con me e non con gli zii? Loro ci sanno stare senza di te, noi no.»
«Tesoro…»

«Perché non vuoi essere la mia mamma? - Lilly si girò a guardarla imbronciata con le sopracciglia scure aggrottate – Non puoi essere quella mamma che si vede e non è in cielo e stare qui con me?»
«Ma io non sono la tua mamma, Lilly. Questo te l’ho già detto, ricordi? – chiese Lou ingoiando il groppo enorme che le si era formato in gola – La tua mamma era la mia migliore amica, come per te è Valentina. Ed io le ho promesso di tenerti d’occhio perché la tua mamma sapeva già che eri una piccola peste. Ma io ci sono sempre e vengo spesso qui da te.»
«Sì, ma perché non possiamo venire noi da te, a casa tua, allora?» – insistette la piccola infilandole i capelli dietro l’orecchio esattamente come faceva Lou quando le parlava.
«E lasceresti qui Calzetta e Valentina e il carro? E il mare con le sirene?» – le sorrise sforzandosi di non piangere.
Il piccolo cagnetto rossiccio dal pelo quasi completamente fulvo eccezion fatta per il musetto bianco e le zampette - particolare che aveva dato origine al suo nome poiché sembrava portasse quattro piccole calzette - alzò le orecchie sentendo il suo nome e prese a scodinzolare dal fondo del letto di Lilly dove dormiva di solito.
Karl lo aveva quasi investito con la sua auto una sera di tre anni prima tornando a casa dal lavoro e dopo averlo salvato, Mara aveva insistito perché rimanesse in casa con loro.

“Ai bambini fa bene crescere con degli animali: imparano il rispetto tra esseri viventi. E a prendersi cura l’uno dell’altro”.

La sua splendida Mara. Così generosa con tutti.
«Calzetta però potrebbe venire…» – mormorò Lilly sbadigliando.
«Ti prometto che staremo insieme più tempo quando torno la prossima volta, ok?»
«Lo dici sempre ma poi invece non vieni mai…» – Lilly tentava di perorare la sua causa resistendo al sonno che stava sopraggiungendo, chiudendo a riaprendo gli occhietti per puntarglieli addosso, accusatori.

Lou sorrise intenerita dalla testardaggine della sua piccola peste.
Le accarezzò il centro della fronte con un dito sapendo quanto le piacesse e che sarebbe crollata di lì a poco.


«Mi dovevi raccontare la favola del Principe della Torre…»
«Te la racconterò domani…»
Rimase a cullarla per molto tempo, ascoltando il suo respiro di bambina.
Le baciava i capelli accarezzandole la testa piena di riccioli ingarbugliati dalle fatiche dei giochi e dal gelato che aveva mangiato quella sera, spiaccicato un po’ ovunque per tutta la casa.

La piccola lampada azzurra continuava a girare proiettando forme di stelle e lune sul soffitto e le pareti.
Fin da quando era piccola Lilly, odiava le bambole: ne aveva paura e gli unici giocattoli con cui si divertiva erano i peluche e in seguito quando era cresciuta abbastanza da tenere in mano una matita, la sua passione erano diventati i colori e gli album da colorare.
Lou si guardò intorno, rendendosi conto che la stanza di Lilly era pressoché rimasta immutata da quando lei non viveva più con loro.
Andare via lontana da Lilly e dalla vita semplice di quel posto le era costato molto più di quanto avesse mai pensato.

Quasi quanto andare via da Helsinki. E da Ville.
Pensare a lui dopo tutto quel tempo… con la stessa forza e la stessa passione immutata.
Non le faceva più così male pensare a lui.
Quasi.

Ville era sempre nei suoi pensieri, sullo sfondo della sua quotidianità, nella routine caotica di una grande città come Roma; al margine di ogni giornata quando lei si chiudeva la porta alle spalle e non trovava che il silenzio di un appartamento vuoto ad aspettarla.
Neanche un piccolo gatto nero altezzoso ed elegante a farle le fusa o rifiutare sdegnosamente le sue coccole, come faceva la sua bellissima Katty…
Credeva di averla superata, che il tempo avesse cancellato il ricordo di lui o perlomeno affievolito i suoi sentimenti.
E a volte ci credeva così tanto che riusciva perfino a ridere e guardare un altro uomo e trovarlo attraente.

E poi… quando pensava che il tempo stesse facendo il suo decorso naturale, lui tornava nei suoi sogni.

******


“Apri gli occhi, ‘Prinsessa’… guardami…”.
Respirava a stento.
Sapeva che era un sogno, eppure apriva gli occhi e lo guardava.
E lui era lì, davanti a lei.
E sentiva l’odore della sua pelle.
Riusciva persino a individuare le piccole macchie giallo oro nei suoi occhi verdi che la fissavano così freddamente.
“Non una parola. Neanche una parola avevi da dirmi?” – le chiedeva a voce bassa inclinando la testa di lato, stringendo gli occhi.

La bocca si piegò in una smorfia che voleva essere ironica e invece risultava piena di risentimento.
“Ville…”.
All’improvviso lui le era così vicino da sentire il suo respiro sul viso.

“Io ti voglio ancora”.


Non lo diceva come aveva fatto tante volte in passato: sussurrandolo con la sua voce suadente, seducente.
Lo diceva come amara constatazione.
Come se gli costasse ammetterlo e lo stesse buttando fuori a fatica.

“E tu… pensi mai a me? Mi desideri ancora, come io voglio te?
Ti senti mai come se ti mancasse qualcosa e non riesci a capire cosa sia?
Ti svegli mai la notte con la sensazione che accanto a te dovresti trovare il corpo caldo di qualcuno?
Ti svegli mai così tesa dal desiderio di perderti dentro quel qualcuno e invece soffochi dentro te stessa quando prendi coscienza che sei sola e che il tuo desiderio non sarà mai alleviato?
Che non troverai mai, mai sollievo?
Dimmelo ‘Prinsessa’ ".

La mano di Ville si chiudeva intorno al suo collo, il pollice che scorreva lento lungo la vena che pulsava furiosa svelando il battito frenetico del suo cuore.
Lei non riusciva a parlare.
Guardava fisso le sue labbra che si muovevano, poi gli occhi… le ginocchia erano così deboli che temeva potessero cederle da un momento all’altro.
Intorno a loro c’era il vuoto.
Lei non vedeva altro che Ville in mezzo a quella nebbia che fluttuava intorno a loro.

Poi lo scenario cambiava e lei sentiva la pioggia sul suo viso e altrettanto all’improvviso si rendeva conto di essere nuda.
Provava a sollevare le mani a coprirsi il seno, ma sembrava che non avesse più il controllo sul suo corpo.Ora Ville si spostava facendo un passo indietro per osservarla meglio, gli occhi che scivolavano lungo il suo corpo nudo, soffermandosi sul seno, sulla pancia e ancora più giù... la mano restava ancora chiusa delicatamente intorno al suo collo, col pollice che continuava ad accarezzare lento su e giù.

“Alla fine è solo questo che ho avuto da te. Non mi hai mai dato altro.” - diceva con una punta crudele nella voce.
“Non è vero.” – sussurrò lei.
“Non è vero!– la canzonò lui imitandone il tono, saettando con gli occhi verdi fino ai suoi – Oh, sì che è vero. Ti sei ben guardata dal darmi altro.”.

Lei scuoteva la testa incapace di emettere suono.
”Non era solo questo. Era molto di più… e non ho mai dimenticato. Non ho mai smesso di pensare a te, Ville. Ti sbagli.”.
Lui la tirò bruscamente verso di sé stringendo la mano sul collo incurante se le facesse male o meno, guardandola dall’alto in basso.
“Sei così brava a mentire. Brava quasi quanto me.”.
Facendo uno sforzo che sembrò quasi sovrumano, sollevò una mano per posargliela sul braccio che le stringeva il collo.

“Non ti ho mai mentito.”.
Ville sorrise tirando la bocca in un ghigno così diverso da quello che lei conosceva bene.

“Eri come tutte le altre, né più né meno.”.
Ville non le aveva mai parlato così.

Del resto non lo aveva mai visto così arrabbiato con lei, così deluso e ferito.
Lei fece scorrere le dita lungo il suo braccio, lungo le vene che sporgevano, sfiorando i tatuaggi che ricoprivano la sua pelle.

“No Ville… le altre donne forse hanno combattuto per te.
Avranno fatto follie per te, pur non amandoti come forse ti amavo io.
Io, che non potevo essere quella che tu volevi.

Non ero una donna completa e quello che sognavi con me non ci sarebbe mai stato.
Ed io non avevo abbastanza fiducia in me, in noi, in ciò che mi dicevi, per rischiare fino alla fine.

Io.
Che sono semplicemente stata troppo egoista per rinunciare a qualcosa che fin dall’inizio sapevo non sarebbe mai stato mio.
Ho scelto tra te e Lilly.
Ho scelto lei nel momento stesso in cui l’ho presa tra le braccia la prima volta e guardavo la mia migliore amica spegnersi di giorno in giorno.
Ho scelto di restare e continuare a stringere quella bambina a me, l’unica figlia che avrei mai avuto.
Ho scelto di illudermi di poter avere qualcosa che non mi spettava.
Ho scelto lei perché non credevo abbastanza nel tuo amore.
Ho sempre pensato che tu avevi qualcosa cui aggrapparti, qualcosa che ti faceva andare avanti, nonostante tutto. Tu avresti avuto sempre la musica, il vero amore della tua vita… mentre io non avevo che te.
E avevo paura.
Non sono scappata via da te. Ho scelto. E ho sbagliato. E ho perso entrambi.
A volte non è proprio possibile rimanere, anche a costo di spezzarci il cuore da soli.”
Era consapevole che fosse solo un sogno.
E nei sogni lei riusciva sempre a dirgli tutto, a dirgli ciò che sentiva, ciò che era solo nel suo cuore, anche se lui la guardava con quello sguardo che la trafiggeva. Alla fine lei gli parlava e lui era pronto ad ascoltarla, anche se era furioso e deluso…
Ville le guardava la bocca.
E lei ricordava bene quello sguardo, come se non fossero passati quattro anni, ma quattro minuti dall’ultima volta che quella bocca si era posata sulla sua.
Quello sguardo che la marchiava come sua, senza possederla.
Che la sondava senza toccarla.
La mano sul collo allentò la stretta e scese pian piano sulla gola, in mezzo ai seni, sullo stomaco che si contrasse al contatto con le dita, il pollice disegnò cerchi intorno all’ombelico, il palmo della sua mano così calda sulla sua pelle fredda, la fece rabbrividire ancora di più.
Ville spostò gli occhi dalla bocca fissandoli nei suoi, incatenandola.

E la mano che si insinuava al contempo fra le cosce, le dita affondate dentro di lei, la facevano boccheggiare. “Fa l’amore con me, ‘Prinsessa’.”.
“Ville…”.
“Ripetilo. Dì il mio nome.”.
Ora il viso era vicinissimo al suo e lei poteva sentire il suo respiro sulle labbra.
Ma non la baciava ancora.
“Baciami!” – urlò dentro la sua testa.
“Ville.” - ansimò.

Lui ghignò vittorioso e la sua bocca scese lenta sulla gola, in mezzo ai seni, ripetendo il percorso della mano qualche istante prima.
La lingua giocherellò intorno all’ombelico, guizzando lentamente.
Lei gli afferrò la testa infilando le dita tra i boccoli, tirandogli i capelli con entrambe le mani quando la bocca scese ulteriormente prendendo il posto delle dita.

“Dì il mio nome…”.
“Ville… Ville…”.


Lou si svegliò di scatto ansimando.
Rimase qualche istante con il fiato sospeso, il corpo coperto di un leggero velo di sudore e il battito del cuore impazzito.
La terribile sensazione della realtà che prendeva il posto del sogno arrivò immediatamente, il languore cedette il posto alla fredda consapevolezza che era sola.

Tremava ancora e chiuse le gambe gemendo impotente.
Si portò le braccia sul viso, coprendolo.
L’eccitazione fisica scemava lentamente lasciandole l’ormai familiare compagnia di un desiderio non appagato.

Era ancora notte fonda e lei aveva perso completamente il sonno che invece desiderava così ardentemente.


Era l’unico posto in cui vedeva Ville. E a volte anche Mara.

*"Quando sogno vedo solo te..."

Non faceva che sognarlo di continuo in quei giorni.
Si girò su un fianco cercando un po’ di fresco che non arrivò.
Nonostante tutte le finestre fossero aperte, quella stanza sembrava un forno.
Aprì di nuovo gli occhi fissando il soffitto, notando un ragnetto minuscolo che intesseva solerte la sua tela.

“Domani ti ammazzerò, ma stanotte sei salvo.”.
Si alzò sbuffando e uscì dalla stanza, dirigendosi silenziosamente in veranda.
La casa era immersa nel silenzio.
Finalmente un po’ di refrigerio!

L’aria pungente che veniva dal mare davanti a lei le sembrò un paradiso.
Guardò la spuma chiara che si formava docile sulla riva e le piccole onde nere.
Il dolce rumore le infuse immediatamente calma, quando si sedette sulla sdraio preferita di Mara.
Ricordava con tristezza i pomeriggi passati su quella veranda con Mara a chiacchierare per ore di lei, di Ville e della sua vita in Finlandia; le raccontava del sig. Korhonen e di Nur, di Katty e di Julian… le descriveva con minuziosi dettagli il posto in cui viveva.

La strada che separava la casa dove viveva con la sua Nur da quella dove invece c’erano il dolce sig. K. e poco più in là, Ville… e la sua splendida Torre.
Che non aveva mai visto.

La strada che la portava alla piccola spiaggetta con il molo di legno, dove non era più andata dai primi tempi in cui viveva a Helsinki. Ci era tornata solo l’ultimo giorno.
Aveva salutato in quel modo quella terra che aveva imparato ad amare come se fosse la sua.

Le aveva descritto il bosco appena dietro la torre; le descriveva i colori che gli alberi e la terra assumevano di stagione in stagione, dei piccoli scoiattoli che giravano liberi e indisturbati tra le case.
Le raccontava di come fosse calmo e silenzioso quel posto.
E di quanto amasse l’intera città, con la sua semplice bellezza pulita.
Le raccontava quanto le piacesse stare seduta davanti alla “Dama Bianca”, come aveva ribattezzato la Cattedrale che dominava la piazza rettangolare di
Senaatintori e tutta Helsinki, uno dei simboli di quella città; dei simpatici venditori di souvenir del porto, dell’aria gelida del mare del Nord che ti faceva lacrimare gli occhi.
Sospirò alzando gli occhi al cielo, dove una luna spettacolare brillava in tutta la sua bellezza.
Quel sogno con Ville la turbava, come ogni volta che sognava di lui.

Evitava di chiederselo, evitava di cedere alla tentazione di sapere cosa stesse facendo.

Martina quel pomeriggio le aveva detto con entusiasmo incontenibile che il nuovo tour della band avrebbe toccato anche l’Italia di lì a qualche mese.
L’idea di sapere Ville così vicino le aveva mozzato il respiro, tanto che era sbiancata in viso, facendo preoccupare Katia.
Il solo pensiero di saperlo raggiungibile in poche ore la faceva sentire male.
Si chiese se effettivamente Ville si ricordasse di lei dopo quattro anni.
Dopotutto non era stata che una meteora nella sua vita. Non pretendeva che lui pensasse a lei.


“Chissà se davvero pensi mai a me, Ville… se hai dimenticato il colore dei miei occhi, o l’odore della mia pelle. Chissà se ricordi che c’è stata una stupida ragazza italiana che un tempo chiamavi “Prinsessa”… Chissà se mi hai perdonata per essere sparita mettendoti davanti alla mia scelta.
Per non averti detto “Ti amo” tante volte quante invece avrei voluto fare.
Per non aver avuto il coraggio di tornare da te quando ancora c’era la possibilità di farlo…
Per non averti amato abbastanza da mettere da parte Lou per una volta, l’unica volta forse in cui ne valeva davvero la pena e darti il mio cuore, me stessa…”.
Fissò la luna con gli occhi appannati.
E non era il vento gelido del mare finlandese stavolta a riempirlo di lacrime.
Da qualche parte Ville era sotto la stessa luna.


“Prego per te, Ville.
Prego perché tu sia felice ogni giorno.
Perché tu possa avere tutto ciò che vuoi, perché la tua splendida anima possa riscaldare tutti quelli che hanno la fortuna di essere parte della tua vita, come hai fatto con me.

Prego per te ogni giorno, da quattro anni, perché qualcuno si prenda cura di te e della mia Katty.
Che vi ami quanto vi amo io.
Il solo fatto di sapere che tu sei parte di questo mondo, rende sopportabile tutto.
Il solo fatto di averne fatto parte, anche se per poco, me lo farò bastare per il resto della mia vita.
I will pray for you, Ville…”.
Image and video hosting by TinyPic
I sentimenti che provava, tutto ciò che si agitava in fondo al suo cuore, erano come una miriade di sassolini.
Ogni ondata li scompigliava, li rimescolava, li faceva cozzare l’uno contro l’altro, provocando dolore.
Ma rimanevano lì, nel fondo.

Pesando sulla sua anima.




******








"Angolo dell'autrice:

Ciao a tutti!
Spero l'attesa non sia stata troppo lunga, ma come qualcuno ben sa la Musa fa come sempre la bastarda, per cui passano settimane senza che riesca a buttare giù una qualche frase, mentre poi ci sono giorni che scrivo di getto dieci pagine di fila, come è successo nelle ultime ore.

Mettiamoci che da un mese annaspo tra virus e influenze e avete un quadro completo del mio stato mentale e fisico! :)

Comunque sia, eccoci di nuovo qui, con le mille paranoie di Zarda e i suoi ricordi dolorosi su Ville.
Qualcuno sta fremendo per farla tornare tra le braccia rinsecchite del Valo... diciamo che ci sono velate minacce di far finire le cose bene... ma dovreste sapere che la sadica non vi darà soddisfazione. U_U



Ringrazio come sempre le mie due Beta:
Deilantha e eleassar . Vi amo donne, sapevatelo.


Poi come sempre le mie affezionate lettrici che hanno commentato l'ultimo capitolo:

LaReginaAkasha, Soniettavioletstarlet, Cyanidesun, Lady Angel 2002, cla_mika, Izmargad, renyoldcrazy, katvil, arwen85, apinacuriosaEchelon.

Grazie e benvenute/o anche a DarkViolet92, cimetempestose, e Aven90, nuovi lettori.

Ultimamente sono parecchio in fissa con gli Anathema, gruppo che ha accompagnato gli HIM nell'ultimo tour e come sempre, le fisse io le condivido sempre con altre paz.. ehm, amiche... so che più di una apprezzerà la cosa; per questo capitolo e il prossimo ho ascoltato a manetta Anathema - Weather Systems e in particolar modo Untouchable, Part 1 + *Part 2 - Anathema che amo alla follia e dalla quale ho citato una frase e nel prossimo userò una parte della song per il titolo. (spoiler) ;)

Penso che descrivano al meglio lo stato d'animo di Lou in questo momento della sua vita.

Non aggiungo altro... aspetto con ansia i vostri pareri!


Alla prossima!
Baci baci,


*H_T*







testo.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo ventisette: " I feel you, outside at the edge of my life" ***







Image and video hosting by TinyPic



Capitolo ventisette

" I feel you, outside at the edge of my life"




“Questa tortura non finirà mai.”.

Come diavolo le era venuto in mente di tornare in quella casa? Con quella fan in continua estasi per gli HIM e l’uomo che lei tentava di scacciare, fallendo miseramente, dalla sua testa?
Lou stava aiutando Katia per la festa del quarto compleanno di Valentina, ed ora si ritrovava a pochi metri dal continuo ciarlare di Martina e due sue amiche, fatte in serie evidentemente, perché tutte e tre vestivano praticamente allo stesso modo, sui concerti che la band finlandese avrebbe tenuto di lì a pochi mesi in diverse città italiane.

«Ma ti rendi conto?! Tre concerti! TRE! Oddio, spero che mia madre mi mandi almeno ad uno, non posso perderlo, morirò se non li vedo!»
Blaterava Martina agitandosi davanti al computer aperto sui video e foto della band, con le due amiche, una ad ogni lato, che facevano da eco al suo delirio.

«Ma è vero che Ville si sposa? – chiese una delle due: non riusciva a distinguerle, nonostante Katia le avesse ripetuto due volte i nomi di ognuna – Ti prego, non ditemi che è vero! Come può sposarsi con quella racchia?»

Le tre ragazze spaparanzate sul divano di Katia si girarono simultaneamente quando il rumore che fece il bicchiere che le volò via dalle mani, si frantumò a terra in mille pezzi.

«Ops… merda!» – sbottò Lou, fissando i cocci sparsi sul pavimento.

Martina le sorrise distrattamente per poi tornare al suo pc aperto.


Era stato già uno shock entrare in quella stanza per prendere altri bicchieri puliti e sentire la voce bassa, roca e inconfondibile di Ville sparata dalle casse del computer.
Il suo stomaco si era contratto al sentirla di nuovo dopo quattro anni.
Aveva cercato di chiudere le orecchie, se fosse mai possibile fare una cosa simile, ma non poteva.
Si sentì come se qualcuno le avesse buttato del fuoco liquido direttamente nella pancia.
Chiuse gli occhi deglutendo rumorosamente quando sentì la risata di Ville attraversare le casse del pc, arrivare dritta al centro del suo cuore e riscaldarlo immediatamente.
Lasciò che quella voce che amava la toccasse come un tempo.
La sentì di nuovo, dolce e lieve sulla sua pelle come quando lui le sussurrava poesie in finlandese.
Mille immagini di Ville le inondarono la testa.
Immagini e ricordi che fino a quale momento aveva tenuto sotto controllo, nascoste in quell’angolo ai margini della sua vita, di ogni suo singolo giorno.
Era così sconvolta da non capire nulla di quel che lui stava dicendo nell’intervista.
Riaprì gli occhi che corsero alle tre ragazze sul divano che ad ogni parola, risatina o sorriso di Ville, emettevano suoni fastidiosi, in estasi totale.

“Calmati. Respira. Raccogli i vetri ed esci da questa stanza. Esci da questa casa. E tornatene a Roma. Nel tuo appartamento minuscolo, dove ci saranno 50 gradi e solo silenzio.”.

«Non lo so, non ci credo che si sposa, lui non ha mai detto nulla di questa che si spaccia per sua fidanzata! Hanno cantato solo una canzone insieme e questa scema crede di essere la donna di Ville! La odio!” – sputò fuori Martina in tono acido.
Stavano parlando di Amy?
Chi altri poteva aver cantato con Ville? Certo che era Amy…

La donna che aveva accelerato il suo rientro in Italia.

La stessa che aveva minato le già deboli sicurezze in se stessa.



******



«Prinsessa… - le disse Ville sbadigliando – Parto fra qualche giorno. Non lo sapevo fino a stamattina, ma c’è questo Festival al quale vogliamo partecipare… Sono solo tre giorni: non starò via molto.»
“Ok.
» – rispose laconica Lou, stringendosi a lui.
«Ok? Che razza di risposta è? – ridacchiò lui, sbadigliando di nuovo – Sei felice che me ne vada per un po’, così puoi respirare di nuovo?»
Lou borbottò una risposta incomprensibile contro il collo liscio di Ville.
«Vuoi che ti dica che preferisco legarti al mio letto e non farti neanche prendere respiro?»
«Già… sarebbe una risposta sensata, visto il tuo appetito in quest’ultimo periodo.» – le sussurrò con tono volutamente sexy e provocatorio.
«Non mi pare tu ti sia lamentato del mio appetito fino a qualche minuto fa.»
«E infatti non mi sto lamentando… acida che non sei altro. – le alzò il mento con un dito, baciandole la punta del naso – La smettiamo di borbottare?»
«Non borbotto io…»
La strinse avvicinandola ancora di più a sé, intrecciando le gambe magre a quelle di Lou.
Lou si arrovellava mordendosi la lingua dove le premeva una sola e unica domanda: 
«Verrà anche Amy con voi, in questo merdoso festival?»

“Non pensarci. Non pensare a lei. Lui ama te. Vuole te. Smettila.”.

«Sì che borbotti… e ti amo anche per questo… - mormorava Ville, ormai sul dormiveglia – Non saresti la mia Prinsessa acida, altrimenti…»
Lou giocherellava con i suoi capelli che si attorcigliavano in riccioli sul collo, quando era sudato.
Quel 'ti amo ' buttato in mezzo alla frase.
E come sempre ogni volta che lui glielo diceva a lei venivano le gambe deboli.

«Mi ami perché sono acida?»
«Ti amo perché sei Lou.»



*****



Ville quella mattina era uscito da appena qualche minuto e lei coccolava Katty, sorseggiando la seconda tazza di caffè della giornata.
Tornò a sbadigliare: non sarebbe riuscita a dormire in ogni caso. Era del tutto inutile rimettersi a letto.

Le mancava già.

“Patetica”.

La notte appena trascorsa e le sensazioni ad essa legate, le sentiva ancora sulla pelle.
Anche le sensazioni negative che facevano capolino di tanto in tanto in mezzo alla certezza dell’amore di Ville per lei, ai suoi ti amo, alle sue mani che le accarezzavano la schiena prima di addormentarsi, agli occhi che cercavano costantemente i suoi.
Ma quelle le teneva a bada o almeno ci provava.

“Tre giorni passano in fretta, del resto – cercava di autoconvincersi – metterò a posto questa casa, uscirò a fare spesa, andrò a salutare Mat, preparerò un dolce per il Sig. K…. Passeranno.”.

Katty le puntava malefica i ricci lunghi sferzandoli con le unghiette.
Ogni volta che Ville andava via, si sfogava in qualche modo su di lei, come se fosse colpa sua il fatto che lui si allontanasse da quella casa.
Qualcuno che bussava alla sua porta la salvò dal secondo attacco della felina dispettosa.
Doveva essere Valo: aveva sicuramente dimenticato qualcosa e ora tornava per prenderla o, come spesso faceva apposta, ritornava indietro per baciarla ancora…
Corse alla porta ridacchiando, incurante della sola t shirt corta e bucherellata che aveva addosso: nella migliore delle ipotesi l’avrebbe tenuta addosso il tempo di richiudere la porta dietro le spalle ossute del Valo.

Spalancò la porta ridendo:
«Valo, hai finto ancora di dimentic…»

Gli occhi che la fissavano freddi e ironici non erano verdi e sicuramente non c’era traccia di amore in essi.
Amy.
La prima cosa che le passò in mente fu: “Che cazzo vuole questa?”.
La donna di fronte a lei la fissava a braccia conserte studiandola e, evidentemente trovando carente ciò che vedeva, con una smorfia sul viso perfetto.
Nessuna delle due parlava, studiando l’altra in silenzio: quello di Lou imbarazzato anche dal fatto che si trovava sulla porta con solo una t-shirt a coprirla, mentre l’altra era vestita e truccata in maniera impeccabile.

«Posso aiutarla?» – chiese Lou a voce bassa.
«Sai… pensavo che avesse più buon gusto. Per un momento ho pensato che fosse la mora che ho visto uscire qualche giorno fa… e invece…» - ridacchiò malefica.
Non era sicuramente una che girava intorno alla questione.
Lou rimaneva in silenzio, imbarazzata e con una crescente rabbia.
Come osava presentarsi alla sua porta, offendendola?
“Chi cazzo crede di essere questa?”.
«Vado subito al punto: tu non sei che un passatempo. Volevo avvisarti ed evitarti illusioni.» – le disse sorridendole fredda.
«E ti sei presa il disturbo di venirmelo a dire di persona? Per essere una che mostra tanta sicurezza...»

L’altra la fissò a bocca aperta, colta alla sprovvista dalla sua risposta sferzante.

“Fottiti, bagascia spilungona!”.
Immaginò Simone guardarla orgoglioso con le lacrime agli occhi.
«Ho poco tempo da perdere con te: hai idea di quanti anni ho passato a stargli dietro? A vederlo con altre donne ed essergli comunque vicina ogni volta che lui aveva bisogno di me? Non rinuncio a lui per… te.»- sputò con una smorfia disgustata della bocca, indicandola.
«Beh, allora non farlo. Non rinunciare a lui.»

Il suo tono fintamente distaccato doveva averla irritata ancora di più: macchie rosse stavano facendo la loro comparsa sul collo bianco e perfetto di Amy.

Sicuramente non si aspettava un’accoglienza simile: a dire il vero era stupita anche lei di se stessa.

«
Credo che tu stia sottovalutando i desideri di Ville. Se vuole te, allora me ne farò una ragione. E dovresti fare lo stesso anche tu. Credo che al momento a lui piaccia questa casa. E chi la abita.»
«Ti stai illudendo. Fa così con tutte all’ inizio… ma alla fine torna da me.»
«Allora non devi far altro che aspettare.»
Da dove venisse fuori quella spavalderia se lo stava ancora chiedendo.
«Cosa ci troverà mai in te? Sei… insulsa.» – sputò fuori Amy al culmine della rabbia.
Lou alzò le spalle.
«Forse ha il gusto dell’orrido.»
L’altra la fulminò con i gelidi occhi azzurri: doveva essere snervante per lei non sortire l’effetto che desiderava.
«Beh, fossi in te mi chiederei dov’è che passa le notti quando non è con te.»- insinuò con un ghigno.
«Scommetto che stai per dirmelo.»
Amy sibilò tra le labbra perfette e disegnate con cura.
Aveva abbandonato la posa altezzosa e ora stringeva i pugni lungo i fianchi snelli e fasciati in un jeans bianco.
Lou cercò di non badare al fatto che lei, in confronto, sembrava una barbona.
“Una barbona, sì… ma pur sempre una barbona che ha appena finito di fare l’amore con Ville.”.
Le bastò questo pensiero per farla sorridere dolcemente all’indirizzo di Amy.
«Sei una stupida se pensi che Ville voglia davvero te.»
«Senti… ne hai ancora per molto? Ti ringrazio per avermi avvisata, te ne sono davvero grata ma mi sto gelando le chiappe. Se permetti, vorrei correre sotto la doccia, anche se togliermi di dosso l’odore della pelle di Ville non mi piace ed è l’ultimo dei miei desideri.»
Vide con gli occhi della mente Nur, Simone e Mara alzarsi in una standing ovation.
«Riderò quando Ville ti mollerà e tornerà da me. Io ci sono sempre per lui.»
«Ok… - Lou si grattò il naso, con aria annoiata – Allora siamo a posto? Io mi illudo, Ville mi lascia e tu ridi. Ok, è chiaro.»

Ora le macchie rosse erano anche sul viso di porcellana di Amy.

«Piccola stronza. Te ne pentirai!» – tornò a sibilare, paonazza in viso.
Poi, dopo averle lanciato uno sguardo di disprezzo, odio e rabbia, girò sui tacchi e percorse il vialetto a passi veloci.
“E fanculo anche a te, spilungona!”.
Lou richiuse piano la porta frenando l’impulso di sbatterla teatralmente e poi si accasciò contro di essa, scivolando lentamente a terra.
Si guardò le mani che tremavano.
Iniziò a ridere istericamente a bassa voce, con Katty che la guardava perplessa da lontano.
Aveva affrontato Amy con un’impassibilità invidiabile, sì… peccato che ora stava subendo i postumi dell’agitazione e tremava di rabbia mista a… non sapeva neanche lei cosa fosse.
Restava il fatto che ora si sentiva a metà strada tra un atleta che vinceva la sua corsa e il suo paio di scarpe distrutte.
Era stata così brava che aveva convinto quasi anche se stessa.
Quasi.

“Ti amo perché sei Lou”.
E Lou per una volta in vita sua aveva vinto una piccola personale battaglia.



*****



«Secondo voi canterà la canzone che non ha mai pubblicato?» – chiese una delle ragazzine.
«Quella che si dice abbia scritto per la donna che amava e nessuno ha mai visto, ‘Song for a ghost’ »? – Martina si mangiava le unghie con gli occhi sempre fissi allo schermo – Non lo so…»
«Io comunque non credo neanche all’esistenza di questa donna… cioè, nessuno l’ha mai vista, non ci sono foto di loro due insieme. Secondo me non esiste.» – disse la terza ragazzina, masticando rumorosamente un chewing gum.

“Song for a ghost”…
La sua canzone? Quella che Ville aveva scritto pensando a lei…
Il malessere aumentò e i bicchieri rischiarono di nuovo di volare via dalle sue mani.
Perché mai Katia non usava dei bicchieri di carta?
Quelle tre ragazzine stavano facendo più danni di quanto avrebbero mai potuto immaginare.

“Ville…”.

«Dai, metti qualche altra canzone!» – disse di nuovo una delle due.
Lou afferrò i bicchieri e volò fuori dalla stanza.
No, sentirlo cantare, risentire di nuovo la sua voce era troppo.
Troppo per quel giorno.

Per quel mese.
Per quell’anno.
Per l’intera vita.


******



«Stai bene? – le chiese preoccupato Karl quella sera stessa, dopo aver messo con fatica a letto una Lilly particolarmente agitata e capricciosa – Mi sembri… non so… lontana.»
Lou prese il bicchiere di vino rosso che Karl le stava porgendo.
«Sto bene…» – mormorò poco convinta.
Karl si sedette accanto a lei, allungando le gambe infinitamente lunghe sulla balaustra di legno.
«Luly… - sospirò lui, guardandola di traverso mentre sorseggiava il suo vino – ti conosco abbastanza bene per non notare quando sei serena e quando invece non lo sei.»
«È solo che… niente Karl… Martina e le sue amiche oggi parlavano e sognavano, com’è giusto che facciano le ragazzine di quella età, sulla loro band preferita.»
«Gli HIM. - disse Karl con un cenno della testa – Lo so. La sento parlare continuamente di quello, da mesi.»
«Avresti dovuto dirmelo.»
«Lou, non puoi evitare la gente solo per paura che ti si nomini Ville.»
Lei rimase in silenzio, sorseggiando distrattamente il vino.

«Come ti sei sentita? Cosa hai provato?»
«Erano quattro anni che non sentivo la sua voce… era solo nei mie ricordi. E oggi, sentirlo di nuovo… mi ha fatto male. Mi ha ricordato che cosa mi sono lasciata alle spalle, mi ha ricordato ogni scelta sbagliata, ogni errore, ogni paura non affrontata. Mi ha ricordato la ragazza che ero, quella con i capelli lunghi ricci e del colore dell’alba, come li descriveva lui…» – disse Lou con voce pacata, toccandosi i capelli corti e tinti di scuro che aveva ora.
Ricordava ancora le urla di Simone quando, tornando a casa una sera, qualche mese dopo il suo rientro in Italia, l’aveva trovata con ancora le forbici in mano e si era spaventato a morte.
In quel periodo non era assolutamente in sé: l’addio a Ville, alla terra che aveva imparato ad amare come fosse sua, a tutta la vita che si era faticosamente costruita dopo Andrea, Nur… e Katty… e la scoperta della malattia che le avrebbe portato via la sua migliore amica… era diventato troppo anche per lei.

E un giorno in quella casa che divideva di nuovo con Simone e Beppe, in una casa dove lei era la terza incomoda, si era sentita scoppiare, sgretolare.

Si era guardata allo specchio che, implacabile, le aveva rimandato l’immagine di una donna pallida, con profonde occhiaie giallastre, la bocca tirata e gli occhi spenti.
I capelli le cadevano intorno al viso e lei immaginava le mani di Ville scorrere tra i suoi ricci.
Ricordava i sospiri di piacere quando i suoi capelli gli scivolavano addosso e a quanto gli piacesse sentirli su di sé, come vi attorcigliava le dita tenendole ferma la testa mentre la baciava.
Aveva preso un paio di forbici e tagliato via una ciocca, mozzandola senza pietà proprio sotto l’orecchio.
Si era sentita subito meglio, ma era stata una soddisfazione ingannevole, durata solo qualche secondo.
Così aveva tagliato via un’altra ciocca e ancora e ancora, finché aveva sentito la testa più leggera e aveva guardato la massa rosso oro ai suoi piedi.
Si dice che quando una donna fa un taglio netto alle sue chiome, significa che un cambiamento importante è stato appena fatto nella sua vita e che un capitolo nuovo si stia per aprire.
Aveva capito che non bastava tagliare via dei capelli per liberarsi del ricordo di Ville e delle sue mani sul suo corpo, dei suoi occhi che la scandagliavano a fondo, di come ogni cosa che lo riguardasse la facesse sentire viva e fremere di passione e amore, vibrante.
Aveva capito che quell’uomo aveva scavato profondamente un solco indelebile dentro di lei, che non sapeva come colmare.
Aveva capito che la luce che l’aveva toccata si sarebbe spenta.
Quella luce che l’aveva accecata e che Ville portava sempre con sé.


******


«Lou… se lui ti fa sentire così dopo quattro anni, non l’hai ancora metabolizzata questa cosa. Andrai a vederlo?»
«Sei impazzito? No! Come ti viene in mente?» – sbraitò Lou agitata, versandosi sul vestito corto che le lasciava scoperte le gambe qualche goccia di vino.
«Perché, che ci sarebbe di male? Lui non può mica vederti in mezzo alla folla… e tu potresti metterti alla prova e capirci qualcosa in più.»
«Dopo quattro anni ho ben poco da capire, Karl… tranne che ancora una volta ho toppato su tutta la linea.»
«Lou… non farti sempre una colpa per le scelte del passato: avere paura non è un qualcosa per cui devi sentirti in colpa a vita! Certo, lui avrebbe meritato di essere liquidato di persona e non con una telefonata, come hai fatto tu…»

«Karl. Non rivangare, ti prego. So bene quanti e quali sono i miei sbagli… ma anche lui ha contribuito con i suoi. Io mi sono illusa di poter avere qualcosa che non era nel mio diritto pretendere, che non mi spettava... E l’ho preferito a lui. Perché non credevo in quello che diceva, non credevo che uno come lui potesse amare davvero una come me. E lui aveva sempre la musica. Lui ha sempre la musica. Anche ora.»
«Ma voleva anche te.»
«Già. Così sembrava.»
«Lou… - il tono di Karl divenne più dolce – Anche noi uomini abbiamo l’orgoglio, sai? Da quanto ho potuto intuire lui non ha un caratterino facile, come te del resto: vi accendete troppo facilmente…»

Lou lo interruppe bruscamente.


«Non parlare al presente.»
«Ok, ok… hai capito cosa intendo. Io se fossi in te andrei a vederlo.»
«Tu non puoi capire, Karl…»
«Ti sbagli Lou, io posso capirti meglio di chiunque altro al mondo. So come ci si sente a perdere un pezzo della propria anima, un pezzo di cuore. So come ci si trascina ogni giorno, quando anche aprire gli occhi costa fatica e dolore, quando l’unica cosa in cui vuoi rifugiarti è il buio e l’oblio di un sonno, lo so bene… se io avessi una sola, una sola flebile possibilità di parlare di nuovo con la mia Mara, anche rivederla per un solo istante… non esisterei. Salterei perfino nel fuoco, farei qualsiasi cosa per poterla di nuovo guardare negli occhi, vederla sorridere. Tu hai questa possibilità, Lou… non sprecarla.
L’autore preferito di Mara scrive: “*
Alcune persone le si ricorda, altre le si sogna.".

Tu fai in modo che questo sogno non diventi solo un ricordo, Lou.
»




******



L’ultima rampa di scale le sembrò infinita e temette seriamente di stramazzare al suolo con tutto ciò che si portava dietro, ossia due buste della spesa e bottiglie di acqua che diventavano sempre più pesanti di secondo in secondo.

Lou si fermò a riprendere fiato.
Il caldo asfissiante dell’estate romana la stava uccidendo.
Il perché si era fatta convincere da Simone a prendere il bilocale proprio di fronte a quello che divideva con Beppe, le era ancora sconosciuto.
Odiava ammettere che quel ragazzo aveva su di lei un ascendente altrettanto pericoloso quanto sulla piccola Lilly.  Bene o male, non gli si resisteva.
Peccato che il suo fosse un bilocale sottotetto, che durante l’estate diventava un forno, situato all’ultimo piano di un palazzo vecchio senza ascensore.
Sentì una goccia di sudore scivolare fastidiosamente dal centro della schiena fino al coccige.
Riprese la salita sbuffando e rantolando, desiderosa solo di infilarsi il più presto possibile sotto la doccia gelata.

“Forza, mancano solo dodici stramaledetti scalini!” – si spronò da sola.

La prossima volta che Simone osava dirle che doveva andare in palestra, lo avrebbe lanciato di sotto.

Alzò gli occhi e rimase di sasso.
La prima cosa che il suo campo visivo aveva captato erano due piedi abbronzati in sandali di cuoio; poi due gambe muscolose in bermuda chiari e salendo, una t shirt bianca che non faceva altro che mettere ancor più in risalto la splendida abbronzatura del ragazzo di fronte a lei, seduto tranquillamente in cima alle scale.
Il ragazzo le sorrise raggiante, sfoggiando dei denti bianchissimi da far invidia ad una pubblicità di un dentifricio.
I capelli scuri e mossi si arricciavano selvaggi intorno alla testa, schiariti qui e là dal sole.
«Era ora! Ti aspetto da un’eternità!» – rise togliendosi gli occhiali scuri, sorridendo anche con gli occhi.
Lou arrossì, ma avrebbe fatto ben poca differenza, poiché era già paonazza per lo sforzo.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che si erano visti? Non lo ricordava…
Lou tendeva a rimuovere dalla memoria le situazioni imbarazzanti.

«Che ci fai tu qui?» – chiese tra un rantolo e l’altro.

Lui allargò il sorriso, e si alzò per scendere gli scalini, raggiungerla e toglierle di mano le buste e la confezione di acqua.
Aveva un profumo fresco, come di erba appena tagliata quando le si avvicinò, sfiorandole le mani con le proprie.
Lei avvampò di nuovo. Era passato tanto tempo, troppo da quando un uomo non la toccava.
Escludendo Simone, il fidanzato di lui, e Karl, non aveva contatti fisici con nessuno, men che meno con uomini.
E ricordare che erano state proprio quelle mani abbronzate e forti, così diverse da quelle dell’uomo dagli occhi di giada che amava ancora a toccarla, la faceva sentire sempre a disagio, colpevole.


**“A volte il passato non solo ti rincorre, ti perseguita”.



Di sbagli ne aveva commessi tanti, innumerevoli.

Uno di quelli le stava di fronte.
E le sorrideva come se lei fosse ancora la ragazza che lui aveva conosciuto ad Helsinki.
Le sorrideva come quella notte, l’unica, che avevano passato insieme.

«Ero di passaggio… mi mancavi. – disse lui, schietto e sincero come sempre – E io non ti sono mancato neanche un po’, mia piccola Eva?»
Lou alzò il mento guardandolo per la prima volta negli occhi, leggendovi troppe cose.
Cose che non voleva vedere.
Speranze che non voleva più alimentare, sentimenti che non poteva gestire.
Gli sorrise di rimando, suo malgrado.

«Sei sempre il solito, Diabolik…»
Julian sfoggiò il suo famoso sorriso da pirata e le si avvicinò di più, sfiorandole i capelli sudati con le labbra.
«Come sempre, al suo servizio…
»



*Tratto da “l’ombra del vento” di Carlos Ruiz Zafòn
** Tratto dalla serie tv “Moonlight”.





******






"Angolo dell'autrice:

Ciao a tutti! Eh sì, lo so: è passato tanto tempo, ma la vita mi chiama altrove, capitemi. (!?)
Non abbandono i nostri personaggi, però: ho ancora qualche capitolo scritto subito dopo il ritorno dalla terra finnica, in cassaforte. Ancora piena delle emozioni che ho vissuto lì, la mia Musa ha dato frutti e ora invece se ne va bellamente in giro a fare bisbocce.
Siamo coperti ancora per qualche mese, dopo non so che ne sarà di me. :D
Bene, tornando a noi e agli eventi che troviamo in questo capitolo, spero si sia capito quello che è solo accennato.
Lo so che ho lanciato un'altra bomba. *gongola*
Non so per quante il ritorno del bandolero sia gradito... un paio di personcine però credo che faranno le capriole!
Insomma, questi quattro anni hanno cambiato il mondo della piccola Lou, Regina delle Paranoie: e piano piano scopriremo il perchè e il come tutto questo sia successo, dopo la sua "fuga".
Ricordatevi che tutto è il contrario di come sembra (oh, quanto mi piace lanciare questi enigmi...) e che se mi aggrada stravolgerò di nuovo tutto quanto... *ghigna*
Eeeegniente: ancora una volta devo ringraziare tutte voi che seguite questi deliri, dalla commentatrice folle a quella timida che mi scrive in privato.
Grazie ad ognuna di voi e per ogni singola parola, minuto prezioso che dedicate a leggere questa storia e alla sua autrice fuori di testa. :) Non siate timide o non pensate che qui si debbano fare recensioni tecniche; date libero sfogo alle vostre sensazioni, e non sbagliate mai. <3

Ringrazio come sempre le mie due Beta: Deilantha e eleassar e le leggiardi fanciulle che hanno commentato l'ultimo capitolo: LaReginaAkasha, Soniettavioletstarlet, Cyanidesun, Lady Angel 2002, cla_mika, FrancyValo, Izmargad, renyoldcrazy, katvil, arwen85, DarkViolet92, apinacuriosaEchelon, Gone with the sin, LilyValo e tutte le altre disperse che leggono, lo so e apprezzano in silenzio o perse nei loro impegni. (Cettina, Madda, Crabs, Flo, Vania, Giusy, Sara T. e Sara Gattola, Ana, Barbara, Silvia, Ary, Lorena, ecc.. siete tante e scusate se ne dimentico qualcuna!) <3

Inoltre mi preme ringraziare Infernal_Offering, perchè le rompo sempre le uova con domande sulla vita ad Helsinki, ecc ecc. (e lei mi riempie di foto e notizie succulente: ti lovvo donna!); ("Drown in This Love" è la prima storia HIMmica in assoluto che lessi e ancora piango, sob... ç___ç...) e "precursora" (si può dire precursora!?) dei titoli con testi tratti da song.
É stata la mia ispiratrice in molti casi, quando ero con l'acqua alla gola. :)
Parlare con lei è come essere lì e amo le nostre chiacchierate infinite. E siccome la lovvo, le perdono di leggere random i capitoli, senza una logica! xD
Spero di rivederla presto su questo sito e invoco la sua Musa ogni giorno e se mai non si decidesse, sono disposta anche ad andarla a prendere a calci in loco! (Ogni scusa è buona... xD).

Come anticipato nel capitolo precedente, per il titolo ho usato parte di una strofa della song: Anathema - Untouchable Part 2 ;

Bene... credo di aver rotto abbastanza, cià.
PS: Come molte autrici che seguo mi è venuta voglia di aprire un gruppo Gruppo Facebook dedicato alle discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa sulle storie o le OS finora scritte,
dove potremo parlare liberamente, confrontarci come se fossimo in una piccola sala da thè, riservata... da brave signorine composte. ;)
Siete le benvenute.
Alla prossima!
Baci baci,

*H_T*




testo.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo ventotto: " La cosa giusta" ***



Image and video hosting by TinyPic

Capitolo ventotto

" La cosa giusta"



Lei si tirò indietro.
Non voleva dargli l’impressione che apprezzasse ma neanche che non fosse felice di rivederlo.
Perché lei era felice di rivederlo.
Julian era una delle poche persone capaci di farla sentire a suo agio, sempre e comunque.
Che non la trattava in maniera diversa da prima, che la faceva ridere e non se la prendeva se lei non richiamava mai dopo una sua telefonata, se non rispondeva mai alle mail, se aveva momenti in cui non voleva vedere nessuno.
«Sono tutta sudata, meglio non avvicinarsi troppo.»
E non badava ai suoi modi, più bruschi che mai.
«Hai un ottimo profumo, Eva.»
“La tua pelle sa di sole… e miele…”.
La voce di Ville risuonò nei suoi ricordi.
Nell’ultimo mese i sogni su di lui si erano susseguiti sistematicamente, ogni notte.
All’inizio aveva affrontato il momento di andare a dormire sempre con ansia, pur sapendo che al risveglio ogni cosa svaniva.
Ora ci aveva fatto l’abitudine e semplicemente, come ogni cosa che le succedeva, la accettava.
Perché Julian non cambiava mai, e arrivava sempre a sorpresa?
Sospirò, spostandolo senza tante cerimonie, e passandogli oltre, si accinse ad aprire la porta del suo miniappartamento.
L’aria bollente la investì in pieno soffocandola, e si precipitò ad aprire ogni finestra, anche se l’afa opprimente che proveniva dall’esterno non migliorò affatto la situazione.
Si sventolò con le mani cercando di farsi aria sul viso, ringraziando il cielo che avesse i capelli corti; non osava immaginare come sarebbe stato se avesse avuto ancora quella massa di ricci.
«Senti caldo?» – Julian la guardava divertito.
«Perché, tu no?» – chiese acida, allontanandosi dalla finestra e tornando vicina a lui prese a sistemare la spesa.
«Sono spagnolo, ‘chica’…» – disse con voce suadente, calcando l’accento iberico.
«Umpfh.»
«Non sei felice di vedermi? – le afferrò le mani all’improvviso, intrecciando le dita alle sue - Ti da’ fastidio quando arrivo senza avvisare? Mi piace farti sorprese… »
«Julian… - resistette all’impulso di divincolarsi – lo sai che odio le sorprese. E sai anche che sono felice di vederti. Smettila.»
«Di fare cosa?»
«Di fare qualunque cosa tu stia facendo alle mie mani.»
«Le sto solo tenendo.»
Lei sollevò il sopracciglio.
Le stava accarezzando il dorso e l’interno dei polsi con lenti cerchi, in modo sensuale.
Non era possibile che ancora sperasse che fra loro potesse ripetersi quello che per lei era stato solo uno sbaglio.
Non dopo tutto quel tempo, diamine!
Era stata chiara in merito e sembrava che lui si fosse rassegnato alla cosa; ma ogni volta che si rivedevano, lui tornava alla carica, ogni volta.
E ogni volta lei doveva usare la sua acidità corrosiva per rimetterlo al suo posto.
Vedeva come la guardava, come la fissava e percepiva chiaramente il suo desiderio.
La cosa che la faceva infuriare era che anche lei provava attrazione per Julian, per lo meno fisica.
Ma lui voleva di più, non credeva che si sarebbe accontentato solo di portarsela a letto.
E lei non voleva commettere sempre gli stessi sbagli.
Non che non avesse preso in considerazione l’idea di farsi consolare da lui.
Ci aveva pensato e lui non aveva mai nascosto che si sarebbe accontentato anche di quello, per lo meno all’inizio.
Era diventata tutto quello che aveva sempre odiato e giudicato negli altri.
Non aveva perdonato Andrea per le sue debolezze.
Non aveva perdonato Ville per essere stato con Amy.
E ora non perdonava se stessa per aver ceduto anche lei alle proprie debolezze.
Quante volte Mara le aveva detto che sbagliare è umano, che è normale, che aiutava a far chiarezza dentro di sé…
Ma lei cosa aveva capito?
Aveva lasciato Ville perché aveva paura e non era tornata da lui quando glielo aveva chiesto.
Aveva usato la malattia di Mara come scusa per non affrontare la vita che aveva lasciato in sospeso con Ville.
Voleva illudersi di poter soddisfare il suo istinto materno e invece sapeva bene quanto fosse sbagliato.
Aveva usato Julian per lenire una ferita che non sapeva come rimarginare.
Era peggiore di tutti gli altri.
Aveva deluso Nur, Mara e Simone.
E Ville…
Soprattutto aveva deluso se stessa.
E quella era la cosa che più di tutte non riusciva a dimenticare e perdonare.



******



Erano ore che camminava sulla spiaggia.
Non aveva nessuna voglia di rientrare, nonostante il vento forte e freddo che le sferzava il viso.
Non aveva voglia di tornare in casa ed essere di nuovo sola, anche se era una solitudine che aveva cercato, scappando dalla casa dei suoi genitori, con sua madre che la seguiva con gli occhi da quando era tornata da Helsinki, un mese prima.
La guardava attraverso gli occhiali da vista in bilico sul naso, mentre faceva il suo uncinetto rilassante, come lo chiamava lei.
Sbuffava e borbottava in continuazione quando la vedeva smangiucchiare svogliatamente i pranzetti che le preparava con tanto amore, quando rispondeva a monosillabe alle loro domande, o quando si rinchiudeva in camera al buio, parlando per ore con Ville al telefono, per poi fissare il soffitto immobile.
Suo padre al contrario, non la sorvegliava come un cane da punta: erano così simili loro due.
Le faceva una carezza sui capelli ogni volta che le passava vicino, non dicendole nulla, non chiedendole nulla: semplicemente confortandola con la sua presenza e il silenzio.
Portandole le more che lei adorava, appena colte e ancora calde di sole.
Ma un mese in quel modo, senza poter essere se stessa, senza che potesse lasciarsi andare a qualsiasi cosa lei sentisse in quel momento, disperazione, insicurezza, voglia di prendere il primo volo e tornare fra le braccia di Ville… la stavano facendo impazzire.
E Beppe, il buon Beppe, la sua àncora di salvezza trovata nella persona più insperata, le aveva offerto un nascondiglio; il giorno in cui lei era sfuggita agli occhi di sua madre per mettersi sotto quelli altrettanto vigili e implacabili, del suo migliore amico.
«É il posto in cui mi rifugio quando litigo con Simone e non voglio farmi trovare – le aveva detto con un sorriso, strizzando gli occhi neri – impazzisce ogni volta: cerca di estorcermi in ogni modo dove vado, ma non glielo dirò mai. Deve imparare che non può sempre averla vinta e controllare la vita di tutti e ottenere ciò che vuole puntando i piedi. Per cui confido che manterrai il mio segreto!»
Le aveva dato le chiavi della sua piccola casa che affacciava sulla costa opposta della penisola e disegnato una cartina su come arrivarci.
«In ogni caso hai il navigatore sul cellulare, no? Se ti perdi è facile ritrovare la strada.»
Fosse stato possibile anche per il suo cuore, ritrovare la strada di casa…
Così aveva riempito la borsa ed era scappata di nuovo.
Per evitare che sua madre andasse fuori di testa del tutto, le aveva detto dove andava e messo a tacere ogni sua lamentela, promettendole di chiamarla almeno ogni sera e facendosi promettere a sua volta di non rivelare a nessuno, specie a Simone dov’era.
Suo padre invece le aveva sorriso come sempre, abbracciandola senza aggiungere raccomandazioni che sapeva fossero del tutto superflue.
A Lou venne da piangere e desiderò tornare bambina, quando lui la faceva salire sui propri piedi insegnandole a ballare.
La piccola Lou rideva, innamorata pazza del proprio papà, stringendosi alle sue ginocchia.
E lei lo guardava e le sembrava così alto, così forte, così invincibile.
E mai più in tutta la sua vita si era sentita così al sicuro, così amata come in quei momenti.
Come se lui le avesse letto nella mente, prese a dondolarsi piano, canticchiando una musica senza capo né coda.
Aveva pianto per tutto il viaggio durato tre ore, mettendo a disagio il suo vicino di posto che si era nascosto dietro un quotidiano.
Stare da sola non era mai stato un problema per lei.
Sapere che Ville era da solo, a chilometri di distanza invece lo era.
Lo era da quando lei lo aveva chiamato durante il Festival e a rispondere era stata una voce di donna, impastata e assonnata.
Lo era da quando lui non aveva richiamato subito.
Così lei aveva dato di matto, come si suol dire. E aveva deciso di anticipare il suo rientro in Italia, usufruendo finalmente di quei giorni di ferie obbligatorie cui Matleena da mesi la spingeva.
Nur l’aveva guardata perplessa non proferendo parola, ma si vedeva lontano un miglio che non approvava la sua decisione.
Si era concessa un’ultima passeggiata per ‘Munkka’, arrivando fino alla spiaggetta e aveva guardato il sole sparire lentamente nel mare, seduta sulla sua panchina di legno preferita.
E il mattino dopo era partita, arrivando a casa e sorprendendo tutti.
Ville l’aveva richiamata soltanto tre giorni dopo, furioso sotto la voce ben controllata, per non averla trovata ad aspettarlo da brava bambina.
«Perché diavolo sparisci sempre? Perché fai così? Ok, i giorni sono stati un paio in più ma perché sei andata via senza dirmelo? Era tutto già organizzato o come sempre hai deciso all’improvviso, fregandotene di me?»
Razionalmente Lou sapeva che lui aveva ragione.
Il suo cuore, però, la pensava diversamente, così come il suo orgoglio ferito.
«Ho pensato che avessi di meglio da fare.»
Vile aveva sibilato con una colorita imprecazione.
«Di meglio da fare? Ero su quel maledetto palco e l’unica cosa cui pensavo era che avrei voluto vederti tra la folla, guardarti negli occhi e sapere che eri vicina a me, piuttosto che da sola a Helsinki! E cosa scopro? Che tu sei addirittura in Italia! Sei impazzita per caso? Dammi una stracazzo di spiegazione. ORA!»
Come osava avere quel tono con lei?
«Chiedilo alla tua amica.»
Dio, che patetica!
“Quale amica?» – aveva tuonato Ville attraverso la cornetta, forandole il timpano.
Non c’era alcun dubbio sulla potenza dei suoi polmoni.
E così lei aveva vuotato il sacco, dicendo della donna che aveva risposto al suo cellulare.
«‘Perkele’, Lou! Mi fai venire voglia di prendere il primo volo e venirti a prendere a sberle per poi scoparti senza pietà!» – continuò ad urlarle nelle orecchie.
Stava perdendo le staffe e lei era contenta di essergli lontana. La stava spaventando a morte, facendole tremare le gambe, anche solo parlandole al telefono.
Senza contare che anche in quel momento, sentirgli dire cosa voleva farle, si sentì fremere e non per la paura.
Era senza speranza.
Lui non le avrebbe mai fatto del male, su questo ci avrebbe giurato… ma la sua rabbia le faceva in ogni caso paura.
E ancora di più la spaventava il fatto che lei trovasse il tutto in qualche maniera eccitante.
Doveva smetterla e subito, o sarebbe ricaduta in un rapporto di dipendenza simile a quello con Andrea e l’ultima cosa che lei voleva era odiare Ville.
Le aveva detto che aveva perso il suo cellulare, che non riusciva più a trovarlo e che non sapeva in che modo contattarla. Non ricordava mai i numeri a memoria, non aveva un secondo cellulare e questo era il motivo per il quale lui non l’aveva contattata.
«E ora il mio numero ce l’hai?» – aveva chiesto lei insinuante.
«Me l’ha dato Nur.» – la sua risposta fu secca e fredda.
“Che stupida…”.
Si stava di nuovo comportando da bambina, ma era più forte di lei.
«Quando torni?» - le aveva chiesto seccamente.
«Non lo so.»
«Hai intenzione di tornare?»
«Non lo so.»
«Ti amo.»
«Lo so…»


******


«Come va il tuo lavoro?» – la voce di Julian sembrò arrivare da lontanissimo, riportandola alla realtà.
«Bene, grazie.» – rispose laconica.
«Quando esce il libro?» – Julian aveva la costanza di un martire.
Non batteva ciglio alle sue rispose lapidarie che avrebbero fatto desistere anche il più paziente degli uomini.
Simone a quell’ora avrebbe iniziato a sferzarla con battute pungenti per poi sbraitare nel suo modo tutt’altro che chic.
«A settembre, se le cose non si intoppano.»
«Ti va di farmi vedere in anteprima le tavole?»- le chiese con un sorriso disarmante.
«Non ci penso neanche.»
«Andiamo, Eva! Sei spinosa come un riccio con il ciclo…»
Lou lo fulminò con lo sguardo.
E Julian allargò il suo sorriso ancora di più.
«Solo una… piccina piccina… dai…»- le stava facendo gli occhioni dolci.
«Ti prego, ora non metterti a fare il broncio tremulo o ti prendo a sberle con l’insalata!» – sbottò lei ridendo.
«Mi piaci quando fai la violenta.»
«Umpfh!»
Lou gli posò davanti un bicchiere di succo d’arancia con numerosi cubetti di ghiaccio.
«Bevi e sta' zitto…»
«Avanti Eva… fammi vedere le tue nuove creature… chi c’è ora oltre al topo Osiris, la micetta Andromeda, il cane con i baffi, Dalì, la papera chic Baguette e gli altri?»
Lou ridacchiò sotto i baffi a sentirlo sciorinare i nomi a memoria dei suoi personaggi.
Se qualcuno, un anno e mezzo prima, le avesse detto che i disegni che aveva fatto soltanto per divertire la piccola Lilly sarebbero potuti diventare i protagonisti di un libro per bambini, non ci avrebbe creduto.
E invece era stato tutto un susseguirsi di strani eventi e coincidenze che l’avevano portata a quel momento, in attesa di vedere su carta stampata le sue piccole creature.
Era quello il motivo per il quale si trovava a Roma ora, a vivere praticamente con Simone e Beppe che non la perdevano di vista un minuto, in quella città, che anche se bellissima, la stressava come niente al mondo.
Era quello e anche il voler cercare a tutti i costi il suo posto nel mondo.
O forse cercare di dimenticare l’unico posto in cui si era sentita veramente “a casa”.
«C’è il criceto Igor e il pappagallo Couscous… e forse, ma non sono ancora sicura del suo ingresso a “Rocciafiorita”, della mucca Primula; ma dipende da tanti fattori e non ho ancora idea di come farli muovere all’interno della storia. Ormai loro hanno il clan già ben affiatato e si comporterebbero male all’ingresso di un’altra femminuccia: la micetta smorfiosa farebbe come sempre la stronzetta… - si bloccò a metà, sorridendo – Scusa, è che divento noiosa quando parlo di “Rocciafiorita” e non me ne rendo conto…»
Julian le strizzò l’occhio, sorseggiando il succo.
«Mi piace sentirti parlare dei tuoi progetti e del tuo lavoro, lo sai… sono orgoglioso di te. Immagina la faccia della Draghessa se potesse vederti oggi…»
«Immagino che non sarebbe felice… o forse sì.»
«Sarebbe orgogliosa di te, come tutti noi… -le disse Julian sorridendole raggiante – hai creato un mondo per la piccola Lily e per tanti altri bambini.»
«Non era quello che avevo immaginato.»
Julian rimase in silenzio, scrutandola.
«Ho sentito Nur qualche settimana fa… - proruppe schiarendosi la gola – non vive più a Helsinki, lo sapevi?»
«No. Non lo sapevo… Dov’è che vive ora?»
«È tornata a vivere a Londra. Sta per avere un bambino…»
Lou alzò gli occhi a fissarlo incredula.
«Oh… sono contenta… per lei.»
Cercò con tutta se stessa di reprimere la profonda amarezza e invidia che iniziavano a farsi strada dentro di lei.
«Eva, quando la finirete con il vostro silenzio? Ormai dovreste averla superata.»
«Ci ho provato a riallacciare i rapporti con lei! Cosa credi che me ne sia allegramente sbattuta?» – sbottò furiosa e ferita.
«Lo so che ci hai provato… e ancora non ho capito perché se la sia legata al dito… non era… insomma…» – balbettò Julian arrossendo.
«Non erano affari suoi, già!»
Lou ripensò all’ultima volta che aveva parlato con la sua amica e alle parole che questa, piena di risentimento le aveva vomitato addosso.
Nur non aveva mai digerito il suo tagliare la corda da Helsinki, lasciandola sola con un gatto altezzoso e con l’affitto da pagare, ma soprattutto non aveva digerito che lei non rispondesse alle sue mail, alle sue innumerevoli telefonate e sms.
Per i primi tempi era stata paziente e comprensiva, per quanto Nur potesse essere paziente e comprensiva: quando però lei le aveva scritto di spedirle la sua roba, era sbottata.
Insultandola per farla tornare in sé, per farle cambiare idea, dicendole che era una codarda e immatura.
Lei per tutta risposta le aveva detto di farsi gli affari suoi e di spedirle come ultimo favore, le sue cose.
«Col cazzo, principessina dei mie stivali! Te le vieni a prendere tu, e muovi quel culo flaccido e pallido che ti ritrovi!»– le aveva urlato attraverso il cellulare, chiudendo bruscamente la conversazione.
Sapeva che Nur era ferita e delusa dalla sua decisione, ma si era aspettata da lei meno ripicche stupide e più solidarietà femminile. Alla fine Nur, qualche settimana dopo, le aveva pazientemente spedito le sue cose senza fiatare, continuando però a fare l’offesa.
Lou le era grata: l’idea di tornare a mettere a posto le cose lasciate in sospeso a Helsinki… non ce l’avrebbe mai fatta.
Odiava la parte codarda di lei.
Odiava la mancanza di palle, odiava affrontare i suoi problemi, odiava affrontare le persone.
Non voleva rivedere Ville perché sapeva che nel momento esatto in cui avesse incrociato i suoi occhi, lei avrebbe cambiato idea.
Sapeva che sarebbe bastato che lui la sfiorasse per farla capitolare di nuovo e volare tra le sue braccia.
Sapeva che qualsiasi cosa avesse detto, qualsiasi scusa le avesse rifilato come giustificazione, lei se la sarebbe bevuta.
Perché in fondo lei voleva crederci.
Voleva credere al Ville innamorato che pensava a lei durante i suoi concerti, invece che all’uomo che faceva rispondere al suo cellulare altre donne…
Era già stremata dalle lunghe mail con Matleena: il suo capo non aveva preso bene le sue dimissioni e lei riusciva a percepire la delusione della donna per la quale provava una stima profonda.
Matleena aveva accettato con stile e aggiunto che in qualsiasi momento sarebbe stata di nuovo ben accetta.
Non pensava che Valo avrebbe reagito con altrettanta calma, nonostante il suo indiscusso stile finnico pacato e distaccato.
Erano passati tre mesi dalla sua “fuga” e Ville aveva smesso di scriverle o telefonarle.
L’ultima cosa che le aveva scritto, era un sms arrivato nel cuore della notte, qualche settimana prima.
Non ho la lucidità per dire le cose in maniera diversa.
Non ho la capacità di farti tornare indietro.
Non voglio forzarti a fare qualcosa che non vuoi.
Non riesco a trovare le parole adatte…
‘Prinsessa’… Lou…”
Aveva fissato quelle frasi per ore.
Aggrappata al suo decrepito telefonino come se stringesse le dita di Ville.
E avrebbe tanto voluto piangere.
Due giorni dopo era arrivato il primo pacco dalla Finlandia.
Con un sospiro aveva iniziato a tirare fuori vestiti invernali, sciarpe e maglioni, cappellini.
Si era fermata di botto.
Non sapeva dire se Nur lo avesse fatto di proposito o meno; con tutta probabilità era uno dei suoi tentativi infimi per dissuaderla fino alla fine.
O forse no, non poteva sapere.
Lou aveva fissato la sciarpina di seta viola come qualcosa pronto a balzarle addosso da un momento all’altro.
Poi lentamente l’aveva sfiorata con un dito, ricordando esattamente il momento in cui ne era venuta in possesso: come lui gliel’avesse attorcigliata al collo sfiorandole la pelle con le dita, come sempre malizioso al vederla trattenere il respiro, sorridendole con gli occhi…



******



“Con questa sciarpa ti lego a me per l’eternità…” – aveva sussurrato teatrale.
“Piantala di fare il buffone, Valo…”.
Lui aveva ridacchiato sotto i baffi, trafficando con la sciarpina e i suoi capelli.
“Accidenti, con te non posso più barare, Zarda…”.
È che non ti serve una sciarpa di seta per legarmi a te.”.
Gli occhi di Ville avevano mandato un lampo di giada.
Aveva stretto le dita intorno alla sciarpina tirandola gentilmente verso di lui.
“… e sai che niente potrà recidere questo legame?”- aveva aggiunto lei.
Lui non le aveva risposto.
Non con le parole.


******



Lou aveva preso quella sciarpina impregnata di ricordi, portandosela al naso.
Non c’era più traccia dell’odore di Ville su di essa.
Sentiva invece l’odore della loro casa, dei sacchetti alla lavanda che usavano per profumare i cassetti della biancheria.
Crollò di schianto sul letto, sprofondando il viso nelle trame viola.
Stava facendo la cosa sbagliata? No.
“Sto sbagliando tutto…”.
A partire dalla sua decisione di lasciare Ville senza dargli una spiegazione valida se non quella che la Finlandia non era la sua vera casa, che aveva bisogno di tempo, che la sua vita non poteva che essere in Italia.
Tutte scuse che Ville all’inizio aveva faticato ad accettare.
Lo sentiva la di là del telefono, con migliaia di chilometri a dividerli, a scavare un abisso di incomprensioni fra loro; rabbioso, triste, mentre cercava di mantenere una calma che era certa non c’era dentro lui.
Settimana dopo settimana, ad aspettare che lei prendesse una decisione, che tornasse “a casa” come diceva lui; avevano parlato per ore al telefono senza mai giungere a nulla, senza che lei gli dicesse che aveva paura di lui, che aveva paura di non potersi fidare, di non essere quella giusta, come le aveva fatto presente la gelida Amy.
Senza dirgli che la decisione era stata già presa fin da quando l’aereo che la riportava in Italia era decollato dall’aeroporto di Vantaa, staccandosi dal suolo finlandese recidendo, in quelle che volevano essere le sue intenzioni, ogni legame con essa e chi la abitava.
Nur, il sig. K. e Katty… che aveva dolorosamente deciso di lasciare a Ville come un contentino che invece non faceva altro che ricordargli quello che non avevano più.
Nur che aveva accettato ancor meno di Ville la sua decisione improvvisa di andarsene così su due piedi, ma certa che fino alla fine, un giorno lei sarebbe tornata.
Che le aveva spedito con pazienza tutto quello che aveva lasciato in quella casa.
“È la cosa giusta.”.
E allora perché stava crollando?
“Non piangerò.”.
E non aveva pianto. Mai più da allora.

******





"Angolo dell'autrice

Eccomi di nuovo qui dopo mesi e lo so che mi odiate!
Ormai conoscete bene la mia pignoleria e sapete che ci ho messo settimane per trovare i titoli degli ultimi due capitoli e a questo... mi dovete tenere così come sono, vi tocca!
Si aggiungono tasselli sui quattro anni che separano la nostra Signora delle Pippe dal Principe della Torre.
Quante di voi mi hanno minacciato seriamente e scritto deluse perchè Lou si era concessa a Julian!

So che per chi è romantico fino al midollo, certe cose, certi scivoloni non dovrebbero esserci: ma io sono realista e sono convinta, per esperienza personale-non per sentito dire-che ci sono cose che non riusciamo ad evitare.

Vuoi per crescita, vuoi per debolezza o come semplice e normale percorso della vita. Non sempre una caduta di stile, un tradimento significano mancanza d'amore.
Nel caso di Lou, che si sente sleale nei confronti di Ville - ormai avrete capito che Ville invece non ha tradito Lou con Amy, come lei credeva no? - è stato ancora più traumatico, perchè lei per prima lo ha subito in precedenza. E non fa che aumentare il fardello di rimorsi e dubbi che si porta dietro.
Diciamo anche che è difficile resistere al fascino del Pirata Julian - per gli amici, Enzo! XD - ma un pirata non può competere con un Principe, giusto?

E quindi niente: continuate ad odiarmi, perchè questo capitolo non è che un doveroso passaggio atto a chiarire i punti oscuri qui e là.
Devo ringraziare tutte quelle persone che continuano a seguirla dopo più di due anni, quelle che si aggiungono strada facendo e che se ne innamorano, scrivendomi cose bellissime.
Siete davvero carine e mi date continuamente sprint per continuarla!

Grazie alle mie due preziose Beta: ultimamente non le faccio lavorare tanto, segno che sarò migliorata in due anni? ;)
Deilantha (che mi salva sempre nei momenti critici e mi ha aiutato a trovare un nome per il libro di favole, "Rocciafiorita" che Lou ha disegnato) e eleassar .

E alle mie "Prinsesse": Soniettavioletstarlet, Lilith_s, angelica78vf, Cyanidesun, Lady Angel 2002, cla_mika, Izmargad, renyoldcrazy, katvil, arwen85, DarkViolet92, apinacuriosaEchelon, LilyValo, che hanno commentato il capitolo precedente e che lo fanno sempre con entusiasmo!

Grazie anche a Infernal_Offering, fonte inesauribile di foto estemporanee di Helsinki, che non fanno altro che farmi rosicare ma che quando sono depressa per il post vacanza finnica, mi tirano su;
lulida, FediPan, Soheila, Bijouttina, ShinigamiLove,
e la nuova arrivata sleepingwithghosts!

Perdonatemi se dimentico qualcuna, siete davvero tante e vi ringrazio tutte, una per una! <3



Vi aspetto nel Gruppo Facebook dedicato alle discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa, inclusi insulti e minacce varie, intervallati a momenti d'ammmore per Lou e Ville!

Siete le benvenute.

Alla prossima!
Baci baci,

*H_T*





testo.

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo ventinove - "Quello che non abbiamo" ***




Image and video hosting by TinyPic

Capitolo ventinove

" Quello che non abbiamo"



«Dov’è che dorme il bandolero? – le chiese Simone ridacchiando sotto i baffi – Gli aprirai le porte della tua alcova… e non solo quelle?»
«Dacci un taglio o ti picchio seriamente! – sibilò Lou fulminandolo con gli occhi – Sei disgustoso.»
«Oh, quanto la fai lunga… prima o poi dovrai togliere le ragnatele alla “Bella Addormentata”; tanto vale farlo con chi già è passato da quella porta, no?» – rincarò lui sbattendo le ciglia e sgranando gli occhioni.
«Dico sul serio. Finiscila.»
«Ti serve fare sesso: sei acida come un limone scaduto... Ops! Ma tu lo sei sempre stata.»
«Simone. Esci da questa stanza, per cortesia?»

Per tutta risposta lui si sedette sul bordo della vasca da bagno, accavallando le gambe e incrociandoci sopra le mani in maniera composta, con lentezza esagerata.
Lou alzò gli occhi al cielo esasperata e tornò a guardarsi allo specchio tentando invano di sistemarsi i capelli, ora corti e castano scuro.
Simone la guardava attentamente attraverso lo specchio, stringendo gli occhi grigi.

«Che c’è?» – sbottò lei dopo qualche minuto di silenzio pesante.
Simone che ciarlava e la rimbrottava era snervante, ma il Simone silenzioso che la fissava era inquietante.
«Tu abbassi la media di questo palazzo.»
Lou si girò fissandolo, perplessa.
Il più delle volte non capiva i discorsi complicati del suo migliore amico e dove volesse andare a parare.
«Sai che non ho la più pallida idea di cosa tu stia parlando, vero?»
«Sto dicendo che sei l’unica in questo palazzo che non fa sesso regolarmente da… quanto? Due anni? Insomma, è imbarazzante. E anche deprimente.»
«Sono tre anni e mezzo e me ne strafrego della tua media.»
«Tre anni e mezzo?! Oh, porca merda! – Simone si portò una mano al cuore – È ancora più grave!»
«Non tutti abbiamo la tua soddisfacente vita sessuale e il tuo appetito.»
«Sì, certo. Quattro anni fa non eri di questo avviso.»- disse noncurante fissandosi le unghie.
«Quattro anni fa ero diversa.»
«No, quattro anni fa eri normale.»
«Senti, la vuoi finire? - Lou sbattè violentemente il mascara sul ripiano facendo crollare la pila di creme e tubetti ben allineati – Mi hai stancata. La mia vita sessuale non ti riguarda. Anzi: la mia intera vita non è affar tuo! Smettila di impicciarti e farmi le ramanzine per ogni cosa che faccio o non faccio!»

Simone non batté ciglio e continuò a fissarsi intensamente le unghie perfette.
«La tua vita mi interessa. Se non ci penso io a te, se non mi preoccupo io di cosa ti rende più o meno felice, chi lo fa?»
vIo sto bene. Non devi preoccuparti per me.»- rispose Lou più dolcemente.
«Ti piace crederlo. Ti piace che noi ci crediamo. Entrambi sappiamo bene che non è così… Grace, fa qualcosa per favore. Qualsiasi cosa! Da quanto tempo non facciamo una follia? Da quanto non la fai tu?»
«L’ultima volta che ho fatto una follia ho combinato solo casini. No, grazie. Mi spiace essere una delusione per te, ma dovrai rassegnarti…»

«Andare a letto con uno che ti piace tu la chiami follia? Rilassarti per un paio d’ore con i tuoi amici, è stata follia? Lasciarti andare come un normale essere umano la chiami follia? Dio, sei patetica! Non sei morta, non sei in lutto, non sei una monaca, eppure ti comporti come tale!»
«Ho litigato con Nur per questa mia follia.»
«Capirai! La stronza piena di sé che ogni volta che un uomo preferisce te a lei, si inalbera! Bell’amica e bella stronza! Lo sapevano anche i muri che il bandolero avrebbe camminato sui carboni ardenti pur di averti.
Stavano insieme? Non mi pare!
Julian è sempre stato cotto di te e lei è una stupida egoista e immatura. Lui ti ha seguita qui, per la miseria! Lo sappiamo tutti che era una scusa la mostra che ci teneva tanto a vedere, andiamo!»
«Non è così e lo sai. Non è per Julian o perché sono stata a letto con lui: è perché ho… perché non ho combattuto per quello che volevo davvero, per aver combinato un casino dopo l’altro… Perché ho mollato la mia vita lì.»
«Cazzate. E ad ogni modo anche se non era contenta delle tue scelte, così come non lo è stato nessuno di noi, tranne il beneficiario, ossia il bandolero tonto, non aveva motivi per troncare i rapporti con te. Non giustificarla, perché non è classificabile! E a fare la martire ci pensi già da sola e sei anche piuttosto brava, senza il bisogno che lei calcasse la mano!»

Aveva cercato spiegazioni sul comportamento di Nur in quegli anni, dopo i vani tentativi di dialogo da parte sua, ma Simone aveva ragione.
Niente poteva spiegare il modo di fare di Nur.
E come ogni cosa che non riusciva a gestire o capire, alla fine lei si era arresa e aveva smesso di cercare di parlare con la sua amica.
«Dov’era la tua Nur quando tu eri disperata per Ville, per Mara e quello che stava succedendo qui? Quello che succedeva a te? Dov’era quando avevi bisogno di una vera amica che non fosse con te solo per fare shopping e parlare di uomini? Ho sempre pensato che fosse una donna estremamente egoista e presuntuosa, ma per il tuo bene me la facevo piacere. Alla fine si è dimostrata per quella che è davvero, quindi smettila di avere quella faccia piena di rimpianto: si è comportata di merda. Punto.»
«Santo cielo! Smettila di polemizzare su tutto oggi! Ma non hai niente di meglio da fare?» – esplose esasperata.
Simone increspò le labbra e rimase in silenzio, con le braccia incrociate sul petto.

«
Allora… farai sesso o no, con lo spagnolo?»
«’Fanculo.»



******




«Ricordi la prima volta siamo venuti qui?»
«Certo che lo ricordo, Julian…»

La luce del tramonto infiammava il cielo di Roma.
Era uno di quei rari momenti in cui amava quella città troppo calda, troppo caotica e rumorosa per lei.
Era il momento in cui sembrava che la città si fermasse per tirare un sospiro prima di rituffarsi nel caos della notte, con le sue luci dorate e gialle e in continuo movimento.
Stavano passeggiando uno accanto all’altra sul Ponte Fabricio e Julian guardava con un sorriso verso l’isola Tiberina.
Certo che lo ricordava bene.
Ricordava che quella sera era più triste del solito, che ogni minuto che passava lontana da Ville le mozzava il respiro.
Ricordava gli sforzi di Simone e Beppe di tenerla occupata, ricordava il senso d’impotenza verso la malattia di Mara.
Si chiedeva cosa stesse sbagliando perché ogni cosa nel suo mondo si fosse ribaltato e avesse preso una piega così dolorosa.
Si chiedeva perché il mondo intorno a lei e gli eventi turbinassero così velocemente da non riuscire a trovare un appiglio cui tenersi per non cadere giù.
Ricordava che Julian era arrivato a Roma proprio nel bel mezzo di tutto quel casino e che in qualche modo lei gli si era aggrappata. La sua innata allegria, il suo modo di farla sentire protetta, il solo fatto di esserci e non starle addosso con continue domande sulle scelte che aveva fatto, avevano fatto sì che fosse l’unico con cui si sentisse a suo agio e non giudicata. Quella famosa sera erano usciti tutti insieme, lei e Julian con Beppe e Simone e altri amici della coppia: per la prima volta dopo mesi lei sentiva quel peso sul cuore meno opprimente e si era lasciata trascinare dall’entusiasmo contagioso di Julian e dei pazzi amici di Simone. Julian le camminava di fianco, sorridendole in continuazione, ogni scusa buona per tenerle la mano o passarle un braccio intorno alle spalle.
E per qualche ora anche lei era stata bene: sentire il calore di un corpo maschile accanto a sé, il senso di protezione, quella sorta di complicità che si crea tra due persone che hanno condiviso qualcosa di bello, in un altro tempo e in un altro luogo e ritrovarlo lì, in un paese diverso.
Lou si sentiva più leggera e aveva dimenticato tutto ciò che si stava sgretolando dentro di lei.
Così con il passare dei minuti non si era più sentita in colpa nei confronti di Ville e il braccio di Julian intorno alle sue spalle non le era più sembrato fuori luogo.
E ridere non le faceva più dolere i muscoli del viso come quando si sforzava di mostrare agli altri che stava bene; quella sera le era venuto naturale, grazie anche ai numerosi shottini che Julian continuava a metterle sotto il naso.
Beppe, che era diventato il suo angelo custode la teneva d’occhio preoccupato, al contrario di Simone che gongolava perché per una volta, dopo mesi lei rideva e si divertiva.
Non le aveva mai chiesto nulla di Ville, ma sembrava intuire meglio di chiunque altro ciò che lei non diceva. E lei dal canto suo, percepiva una sintonia diversa da quella che aveva con chiunque altro.
In un certo senso erano simili e complementari più di quanto lo fosse con Simone.
La osservava con la fronte aggrottata, spiando il suo viso e gli shottini che continuava a buttare giù uno dopo l’altro, ma si era guardato bene dal fermarla o intervenire.
Anche quando tutti insieme si erano stesi sui ciottoli ancora caldi del sole appena tramontato sulla punta settentrionale dell’Isola Tiberina ad ascoltare musica dal vivo e godersi la vista del Tevere in fiamme e lei si era ritrovata con Julian seduto dietro di lei, incastrata tra le sue lunghe gambe mentre la stringeva a sé, con le mani intrecciate alle sue e il viso contro il suo collo, Beppe le aveva lanciato un lungo sguardo prima di tornare a prestare la sua attenzione a Simone che la esigeva per sé. La brezza, l’euforia da alcool e la voglia di sentirsi per un istante di nuovo viva e desiderata avevano avuto la meglio sul senso di colpa per i baci che Julian le stava dando alla base del collo.
Lou aveva chiuso gli occhi, alzando lo sguardo verso il cielo: troppo coperto dalla foschia e nascoste dalle luci della città non si vedeva una stella.

Ville è lontano anni luce da me, non ci sono soltanto 2.879 chilometri tra noi, c’è un abisso: non ho mai fatto parte del suo mondo fino in fondo, non come Amy…
E per quanto io possa sforzarmi di capire la sua vita, di stargli accanto, di condividere con lui qualcos’altro oltre ad una gatta viziata, non sarò mai parte del suo mondo, non lo capirò mai appieno e verrò sempre dopo la sua musica…”.

Ville che non sapeva di Mara, non sapeva che lei ogni giorno stringeva a sé la piccola Lily, fingendo che fosse sua, non sapeva che nonostante lui le avesse spiegato cosa fosse successo, il messaggio di Amy e la stessa che rispondeva al cellulare di Ville come se fosse normale, lei aveva il tarlo del dubbio che cresceva di giorno in giorno.

Un tarlo che scavava dentro e a fondo, lentamente ma inesorabile.
Ville non poteva starle accanto in quel momento: aveva la sua vita, la sua band, la sua musica e lei non era parte di quel mondo. E non era solo la presenza di Amy nella vita quotidiana di Ville a riempirla di dubbi: era il fatto che lì a Roma, lontana da tutto, lontana da lui, avesse preso coscienza che non sarebbe mai stata brava a stare accanto a Ville, come forse lui si aspettava.
Che l’illusione di un futuro con lui era svanito con il passare dei giorni.

Lì con la sua famiglia e i suoi amici, nella frenetica vita quotidiana di persone comuni, il pensiero di Ville si faceva sempre più flebile e lui sempre più lontano.
Non era fatta per dividere la persona amata con milioni di altre donne.
Sapeva di non poter reggere la pressione di essere sotto una lente d’ingrandimento.
Lei che schivava la vita mondana persino lì tra i suoi amici, che famosi non erano, figuriamoci con Ville.
E poi, quando si proiettava mentalmente nel mondo di Ville, un mondo che la terrorizzava, fatto di fan pazze di lui, che lo idolatravano quasi come un dio sceso in terra e si vedeva al suo fianco… sarebbe stato come abbinare un paio di scarpe di tela sotto un elegante abito di seta.
Poteva sembrare interessante e inusuale, ma non sarebbero mai stati fatti l’uno per l’altra, sarebbero sempre stati stonati visti insieme, da occhi esterni.
Ed era quello che pensava di loro due insieme: due mondi diversi che al di fuori di una casa minuscola in un quartiere di Helsinki, non avevano niente da condividere.
Niente.
Ville che si era sempre accompagnato a ragazze stupende, famose e a loro agio in qualsiasi contesto.
Ragazze come Nur.

Non lei… che si sentiva a disagio anche su un autobus.
Che cosa mai avrebbe potuto pretendere da lui?
Che corresse a tenerla stretta mentre lei vedeva Mara spegnersi di giorno in giorno?
Una parte di lei lo aveva sperato: lo immaginava scendere i tre scalini che portavano alla spiaggia e raggiungerla.
Oppure di trovarselo davanti nei luoghi e momenti più inaspettati, così come succedeva spesso quando era a Helsinki. Si dava della stupida da sola.
Ville non era un uomo del genere: era stata poco, così poco, tempo insieme a lui ma sapeva bene quali fossero i suoi limiti.
Era uno che non correva dietro a nessuno.
Figuriamoci a una banale ragazza neanche tanto speciale, qual era lei.

O pensava di vederlo giocare a fare da padre alla piccola Lilly, come lei faceva finta di esserne la madre?
Da quel poco che Ville aveva fatto intendere, non escludeva un giorno di avere figli.
E lei non avrebbe mai potuto dargliene.
Si era illusa di poter dire addio a Ville facendosi consolare da Julian, illudendosi di poter riprendere la sua vita dal punto in cui si era interrotta con lui.
Ci aveva provato, ma il giorno dopo svegliandosi con un mal di testa e una nausea post sbronza tremendi accanto a Julian ancora addormentato, si era sentita per la prima volta nella sua vita sporca e sleale.
Era schizzata fuori dal letto sfatto e si era fiondata sotto l’acqua cercando invano di lavare via i ricordi della notte passata.
Ancora intontita dalla sbornia, si era accasciata sul pavimento scivoloso della doccia nascondendo la testa fra le ginocchia.
Non erano soltanto i postumi dell’alcool a farle girare vorticosamente la testa e quel groppo che andava su e giù non era dovuto agli innumerevoli bicchieri che aveva ingurgitato la sera precedente.
La regola del chiodo schiaccia chiodo valeva solo per quelli come Nur e Simone.
Non per lei.
Lei era brava a recitare la parte del chiodo schiacciato, quello sì.
Le veniva benissimo.
Ed era proprio in quel modo che si sentiva: schiacciata, contorta e intrappolata nel muro di illusioni che si era costruita da sola.
L’acqua batteva violentemente sulla sua schiena e sulla testa, aumentando ancora di più il senso di nausea.

“Lavami via ogni cosa… via… via…”.
Per quanto sarebbe potuta rimanere sotto il getto dell’acqua, niente avrebbe lavato via i ricordi e ciò che aveva fatto in un momento di debolezza.
Avrebbe dovuto pagarne il prezzo per il futuro a venire.




******




«Non la dimenticherò mai…» – la voce di Julian tremò per un solo istante prima che si schiarisse la gola.
«Già, lo immagino.»
Lui la fissò ghignando.
«E non per quello cui stai pensando tu. Cioè anche per quello. Ma perché per qualche ora ho finto, mi sono illuso è meglio dire, che tu fossi mia. Ho visto come sarebbe potuto essere se ci fossimo conosciuti prima… prima di Ville.»
Lou si detestò con tutte le forze per aver trasalito al sentire il suo nome.
Anche Julian lo notò.
«Vedi? Anche ora, dopo quattro anni tu annaspi solo se qualcuno lo nomina.»
«Julian, ti prego…»
«No, devi farmi parlare adesso. Non l’ho mai fatto, non ti ho mai chiesto nulla perché non volevo sapere, perché egoisticamente l’unica cosa a cui pensavo quando Nur mi ha detto che tra te e lui era finita e che eri tornata qui in Italia, era raggiungerti e provare a giocare le mie carte.»
Sorrise amaramente, abbassando gli occhi sulla punta dei piedi.
«Era troppo presto. Ho sbagliato, mi sono approfittato della tua debolezza e ti chiedo scusa. Rimango pirata, mia Eva… non sono un principe. Non ho saputo essere corretto e ho provato a prendermi ciò che desideravo.
Ho peccato di presunzione sperando che tu smettessi di amare Ville improvvisamente, innamorandoti di me.»
«Non è stata colpa tua.»
«Cosa?» – Julian alzò di nuovo gli occhi scuri, piantandoglieli addosso.
Lou vide che era sinceramente rammaricato.
«Non ti sei approfittato di me. È stato il contrario, a dire la verità. Sono stata io ad usare te, quella sera. Volevo dimenticare tutto…. Dimenticare… lui. Ma non è servito.»
«Lo so. Non sei quel tipo di donna, per quanto io lo abbia desiderato. Ed è anche per questo che mi piaci così tanto.»
A quel punto fu Lou ad abbassare gli occhi, imbarazzata.
Non che Julian le dicesse qualcosa di nuovo, del resto. Glielo leggeva in faccia, eppure sentirglielo ribadire ancora una volta la fece sentire di nuovo sleale.
«Julian…» - iniziò a dire, quando lui la interruppe.
«Lo so, lo so… non è il momento. – sputò fuori ironicamente – Sei poco egoista o forse lo sei troppo per dirmi che non sarà mai il momento giusto. Per dirmi che non ci vuoi neanche provare a stare con me. Non ci sarà mai occasione migliore di questa, di questo momento, ora e adesso, per noi due, Lou!»
Lou continuava a scuotere la testa, tenendo gli occhi bassi.
«No cosa? – le chiese Julian, prendendole la mano – Guardami, per favore…»
“Non ora, non adesso.”.
«Non è questo… - Lou alzò gli occhi a guardarlo e quello che vide non le piaceva. Non voleva essere lei la causa di quella delusione mista a speranza. – Non è… che non sia il momento. Non sei tu…»
«Non sei tu, sono io! – la prese in giro lui – Andiamo Eva, non rifilarmi queste scuse, per carità. Non da te, non le accetto. Sarei più soddisfatto se mi dicessi che mi trovi repellente.»
«Finiscila, idiota… - Lou arrossì leggermente, guardandogli le labbra – vicine, troppo vicine! – Sei tutto fuorché repellente!»
“Accidenti a lui! E accidenti anche a me: è passato troppo tempo da quando un uomo mi faceva sentire in questo modo, stupida e con le gambe molli!”.
Più che vederlo, sentì il sorriso da pirata di Julian.
«Ma non basta. Credo di essere giunta alla resa dei conti: non sono brava nei rapporti a due.
Non riesco a dire o fare la cosa giusta al momento giusto, le scelte adatte, non riesco a gestire i miei sentimenti… combino sempre dei gran casini. Come con te.» - aggiunse d’un fiato.
«*Maldito cabezota!» – sbottò Julian.
«Come?»
«Significa che stai dicendo un sacco di cazzate, Eva… sei una delle poche persone di mia conoscenza ad essere capace di grandi sentimenti, anche se non sempre li dimostri. – sorrise di nuovo abbagliandola con il bianco dei denti perfetti, stringendo la presa sulle dita – E anche se combini casini o non fai le scelte giuste, sei adorabile.»
«Già.»
Cadde un silenzio imbarazzato per Lou, mentre Julian sembrava riflettere.
Intorno a loro la notte romana portava con sé l’aria densa d’umidità senza dare refrigerio.
Julian teneva ancora lo sguardo puntato sull’Isola Tiberina di fronte a loro, in apparenza rilassato, una delle mani nella tasca, mentre l’altra stringeva ancora quella di Lou, dondolando sui piedi.
«Sai… - riprese lui dopo un po’, tornando a guardarla – Ho sempre invidiato Ville non solo perché stava con te, perché ti stringeva ogni notte o perché si svegliava con te accanto il mattino successivo… non solo per questo, intendo.
L’ho sempre invidiato per come tu lo guardavi.
Per come cambiavi espressione ogni volta che lui era nella stessa stanza con te, come lo seguivi con lo sguardo o arrossivi se lui ti guardava in un certo modo.
Per la profonda complicità che aveva con te, come se ti conoscesse da sempre o sapesse esattamente cosa ti passasse per la testa…»

Lou premette forte la mano libera sulla superficie irregolare del muretto del ponte sotto di loro, fino a farsi male con le punte delle pietre aguzze.

Nessuno, a parte Simone, le aveva mai detto in che modo vedevano lei e Ville insieme.
E quella Lou di cui parlava Julian adesso non c’era più.
Non c’era più nessuno che la facesse sentire come Ville.
Si sentì all’improvviso come quel mattino dopo la sbronza di tre anni prima con Julian ancora nel mondo dei sogni accanto a lei.
La nausea le chiuse la bocca dello stomaco e la testa iniziò a pesarle, girando vorticosamente.
Non voleva pensare a quello che aveva perso, non voleva che qualcuno le ricordasse chi era, cosa aveva e lasciato scorrere via.
Il fatto che Julian nonostante tutto la considerasse “adorabile” era la ciliegina sulla torta dell’ipocrisia.
Lei non era adorabile. Affatto. Il malessere aumentò, togliendole il respiro.
Come se fosse ubriaca, ma non lo era.
Era lucidissima e quei quattro anni le pesavano sull’anima come un macigno.
Pensò a Ville, come non ci pensava da tanto, tanto tempo…
Come i primi giorni, alla prima volta che l’aveva baciata, a loro due abbracciati davanti a quella finestra, alle mani di Ville sulla sua nuca.
Le sembrò quasi di sentirle tra i capelli corti.
Non sentiva più i rumori della città intorno a loro, non sentiva più la voce di Julian accanto a lei.
Una nostalgia struggente per Ville, ma soprattutto per quella donna che Julian ricordava così innamorata, la sopraffece.


“Quante volte nella nostra vita possiamo amare con tutto il cuore?

Una? Due? Dieci?
Conta la quantità o la qualità?
Quanti anni dovranno passare perché io torni sobria di te, Ville?
Tu sei come una sbronza che non vuole mai passare.”.

******





"Angolo dell'autrice:
Perdonate i miei tempi di aggiornamento pari alle ere geologiche.
Sto cercando di portare avanti troppe cose insieme probabilmente, ma come ho detto a molte di voi che mi hanno scritto in privato, non ho intenzione di abbandonare questa storia, che è quasi giunta alla fine.
Questo capitolo era pronto da tempo immemore ma com'è nel mio stile l'ho modificato innumerevoli volte... :D
Sembra che più il tempo passi, più io diventi pignola all'inverosimile!
Prendetemi così come viene, insomma...
Ringrazio come sempre le mie due beta reader
Deilantha e eleassar e tutte le ragazze che continuano a seguirmi, nonostante tutto!

Lilith_s, angelica78vf, Cyanidesun, Lady Angel 2002, cla_mika, Izmargad, katvil, arwen85, DarkViolet92, apinacuriosaEchelon, LilyValo, AlexisRose, AngiK, angelinaPoe, saraligiorio1993, sleepingwithghost, youaremyheaventonight85 .

Vi abbraccio tutte una per una.

Buon anno! :)
*Heaven in versione ermetica e stringata*



Vi aspetto nel Gruppo Facebook dedicato alle discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa, inclusi insulti e minacce varie, intervallati a momenti d'ammmore per Lou e Ville!

Siete le benvenute.

Alla prossima!
Baci baci,

*H_T*




testo.

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Capitolo trenta: “Teardrops on the fire” ***




Image and video hosting by TinyPic

Capitolo trenta

" Teadrops on the fire"

 

 

Simone entrò baldanzoso in casa preceduto da un leggero profumo muschiato, vestito di tutto punto e senza un capello fuori posto.
Erano solo le sette del mattino. Praticamente ancora notte fonda per Lou. Lo guardò con gli occhi appannati dal sonno, alzando quel tanto che bastava la testa dalla sua tazza di caffelatte rigorosamente tiepido, senza proferire parola.
«Oh, non pensavo di trovarti già viva e vigile!» – disse ironico e ad alta voce.
Lou bofonchiò qualcosa a denti stretti, sentendo montare dentro un’irresistibile voglia di uccidere all’istante il suo amico. Simone piroettò per casa canticchiando, avviandosi in cucina e tornando qualche minuto dopo con una fumante tazzina di caffè e l’ultima fetta di ciambella allo yogurt.
Si sedette rumorosamente di fronte a lei continuando a fissarla strafottente.
«Il tuo umore solare al mattino è sempre stato un mistero per me: che avrai mai da essere così felice?» – le disse prendendola in giro, sbocconcellando la ciambella con aria di sfida, sbattendo gli occhioni in faccia alla sua amica che lo guardava a sua volta, torva e con aria omicida.
«Che vuoi?» – sputò fuori, Lou.
«Passavo di qui.»
Lou meditò di ficcargli in gola caffè, ciambella e tazzina in un colpo solo.
«E soprattutto come hai avuto le chiavi di casa? Le ho date a Beppe, non a te.»
Lui alzò le spalle con aria indifferente.
«Ciò che è suo è anche mio.»
Lou sibilò una parolaccia.
«Sboccata. Da quando sei diventata così maleducata?» – le chiese amabile Simone, lisciandosi un sopracciglio più curato del suo.
«Vediamo un po’: da quando ti conosco? Ecco, diciamo che sei una fonte inesauribile di istinti bassi e primordiali di violenza.»
Simone ghignò malefico.
 
«Ho un regalo per te, anche se non lo meriti visto il modo in cui mi tratti!»
Si alzò di scatto posando la tazzina di caffè e facendone strabordare il contenuto sul tavolo bianco immacolato.
Lou soffocò l’impulso di mettersi ad urlare come una pazza.
Lo sentì rovistare nella sua borsa enorme.
Tornò sempre danzando al tavolo e le fece scorrere davanti un volantino color crema, quadrato e vergato elegantemente a mano.
«Che roba è?» – chiese sospettosa.
«L’invito alla mia sfilata.»
«Sarei venuta lo stesso: da quando fate gli inviti scritti a mano?»
Simone,
infastidito, agitò in aria un dito affusolato.
«Non è un semplice invito: tu fai parte dello spettacolo. Questo è per portare un amico o un parente.»
«Come prego?» Lou alzò un sopracciglio, gelida.
«Ho detto che puoi portare un amico o un parente alla sfilata.»
«Quella parte l’ho capita: mi sfugge il ‘fai parte dello spettacolo’
«Tu indosserai il vestito di punta: quello da sposa. Beh, insomma: per come vedo io una sposa, s’intende.» – spiegò Simone tornando a sedersi come se nulla fosse.
 
Lou rimase senza fiato, ma non avrebbe dato in escandescenze come Simone sicuramente si aspettava lei facesse. Non gli avrebbe dato soddisfazione, proprio no.
Tipico di lui prendere decisioni anche per gli altri.
Un vestito da sposa!  A lei! La voglia di ammazzarlo si faceva sempre più pressante.
Contò fino a dieci, bevendo con calma il suo caffelatte in silenzio.
 
«E quando sarebbe questa sfilata?» – chiese poi con calma.
Simone la guardò ad occhi stretti, colto di sorpresa.
«Fra un mese esatto.»
«Uhm… avresti dovuto dirmelo prima: ho già un impegno per quella settimana, mi spiace.»
«Beh, liberati dall’impegno. Mi servi tu: nessuno può indossarlo a parte te.» – disse incrociando le braccia sul petto.
«Mi spiace, non posso: devo vedere Sara per le illustrazioni del libro, sai… non posso assolutamente mancare!»
Le era venuta benissimo quella balla.
«Io non posso cambiare la modella! – strepitò Simone  - Devi essere tu!»
«Non insistere: non posso e il mio lavoro ha la precedenza sul tuo. Puoi trovare una modella facilmente, io non posso mancare a questo impegno: ho le bollette da pagare, mi spiace!» – stirò le labbra nel suo sorriso più convincente.
Simone tamburellò con le dita sulle braccia incrociate, fissandola torvo.
«Ho disegnato quel vestito per te. Dove la trovo una modella così bassa, io? Per una volta che ti chiedo un favore, tu me lo neghi?»
«Una volta?! – Lou ridacchiò al di sopra del bordo della tazza, ignorando l’insulto sulla sua altezza - Non puoi chiedermi di sfilare, non posso esserci. Chiedimi qualsiasi altra cosa, ma non questa!»
Simone inarcò un sopracciglio e ghignò allargando il suo sorriso ogni secondo di più.
«Qualsiasi cosa?» – chiese con un lampo folle negli occhi.
Lou prese tempo.
«Qualsiasi cosa non sia contro la legge.»
 
Lui tornò ancora una volta a rovistare nella sua borsa e tirò fuori due biglietti gialli, rettangolari.
«Beh?» – chiese Lou disinteressata.
Lui glieli spinse fin sotto il naso.
«Hai detto che avresti fatto qualsiasi altra cosa. Beh, falla.»
Lou li sbirciò con un’occhiata veloce e subito dopo cercò di non sputare il latte che le era andato di traverso. Inghiottì rumorosamente.
Simone la guardava con l’espressione più innocente che potesse rifilarle.
Lei invece aveva gli occhi fuori dalle orbite.
Se gli sguardi avessero potuto uccidere…
«Scordatelo.»
«Hai promesso.»
«Non ho promesso un bel niente! Sei impazzito: non c’è altra spiegazione.»
«Sono assolutamente serio. Non sfilerai per me? Bene, allora mi accompagni ad un concerto.»
«Non a questo concerto.»
«Perché no? È un concerto come un altro. Lo hai dimenticato, no? Ti è indifferente, giusto? E poi scusa, pensi che tra la folla lui noti proprio te?»
«La mia risposta è no.»
Lou si alzò, improvvisamente sazia. Da quando Simone aveva scoperto che gli HIM avrebbero suonato in Italia le aveva dato il tormento per settimane.
Dopo aver cercato di buttarla fra le braccia di Julian per i pochi giorni in cui lo spagnolo era rimasto in Italia, fallendo miseramente e senza alcun risultato, era stata un’escalation di richieste e discussioni inutili e assurde.
Sciacquò la tazza, la asciugò con cura riponendola poi nello scaffale, allineando il manico nella direzione di tutte le altre. L’ordine maniacale che la circondava avrebbe reso orgogliosa qualsiasi madre. Quell’ordine però nascondeva ben altro nel suo caso, lei che era incasinata e trovava il suo disordine confortante.
Da qualche mese a quella parte invece, vigeva l’ordine e la pulizia asettica e assoluta, segno inequivocabile che in lei qualcosa non andava. Cercando di mettere ordine in ciò che la circondava, sperava di metterlo anche dentro di lei.
Le stava riuscendo male, però.
 
«Non verrò al concerto. E non so neanche come hai potuto soltanto pensare che io possa prendere in considerazione la cosa. Mi conosci bene, eppure mi deludi sempre come se fossi un estraneo.»
«Hai paura? E di cosa? Che lui ti veda tra migliaia di persone? O sei tu ad aver paura di trovartelo in carne ed ossa così vicino?»
 
Lou non rispose e contò fino a dieci.
Non capiva perché tutti si aspettassero che lei andasse a quel maledetto concerto.
Non capiva perché tutti si ostinassero a pensare a lei e Ville come un tempo.
Non capiva perché fosse difficile accettare, come aveva fatto lei del resto e sicuramente Ville, che il passato è passato e che la vita era andata in maniera diversa per ognuno di loro.
Non erano rimasti in contatto, non c’era stato nessun addio e non ci sarebbe stato sicuramente nessun ritorno. Mai.
 
Certo che aveva paura.
Aveva paura della propria reazione nel vederlo.
Aveva paura per la sua sanità mentale così già messa a dura prova in quegli anni.
Non escludeva che si sarebbe potuta comportare in maniera inappropriata, cercando di farsi notare da lui.
E non avrebbe sicuramente reagito bene alla sua indifferenza.
Non era pronta.
Non lo sarebbe mai stata.
Quello che i suoi amici non immaginavano era il fatto che lei non aveva smesso di pensare a Ville neanche per un istante da quando si era sparsa la notizia dei concerti.
Che non aveva smesso di immaginare mille modi per vederlo e passare inosservata allo stesso tempo.
O di sognare di poter incrociare per un’ultima volta il suo sguardo.
 
Ma in mezzo a tutti quei sogni ad occhi aperti, la Lou concreta e con i piedi che faticosamente aveva cercato di mantenere ben piantati a terra, aveva la meglio.
La Lou di un tempo avrebbe seguito il suo cuore.
La Lou del presente seguiva la strada triste e piatta ma sicura dell’autocontrollo.
Afferrò lo straccio umido e si girò a guardare dritto negli occhi del suo amico di vecchia data.
 
«Quello che dici non ha alcun senso. Quello che tenti di fare, non ha senso. Non ho voglia di venire con te a vedere Ville.» – sputò fuori il suo nome senza esitazione.
«È ridicolo anche solo parlarne di questa cosa. Ridicolo che tu, proprio tu tra tanti, chiedi a me di venire ad un concerto di cui sono certa non ti importa un fico secco.
Non so perché tu lo faccia e ancor di più perché ti aspetti che io dica di sì.
Non lo farò. Non verrò al concerto. Non parlarmi mai più di Ville se non sono io a farlo per prima.
Non trattarmi mai più come stai facendo ora.
Smettila di starmi addosso o metterò in discussione tutto quello che abbiamo costruito in quindici anni.»
 
Gli passò davanti e con un movimento secco e preciso pulì la macchia di caffè che c’era sul tavolo bianco.
Si sentì subito meglio, anche se durò poco.
Simone era chiuso in un silenzio stupefatto.
Lo vide arrossire.
«Okay… cercavo solo… di…» - balbettò a disagio. 
Lentamente riprese il biglietto del concerto e lo infilò di nuovo nella borsa.
Lou non si fece intenerire e incrociò le braccia al petto.
«Cerca di pensare ai fatti tuoi d’ora in poi.»
«Come vuoi. Non ti dirò più nulla.»
«Perfetto.»
«Ora devo andare al lavoro… ci vediamo.»
«Buona giornata.»
Il suo tono era glaciale.
Lo osservò a braccia conserte raccogliere le sue cose e avviarsi mestamente alla porta, per poi girarsi con un cipiglio severo sul volto.
«Ci sono molte persone che stranamente continuano a volerti bene e a preoccuparsi per te: vedi di non perderle tutte per strada come hai fatto con Ville.»
Ecco che Simone sfoderava l’arma di indurre al senso di colpa: stavolta non avrebbe funzionato.
Era troppo tesa, incavolata con lui per il suo modo subdolo di controllare la sua vita, non rispettando mai le sue scelte, i suoi desideri e gli spazi che lei metteva tra sé e il resto del mondo.
Aprì la bocca per rispondergli a tono ma lui, impettito e offeso, si era già richiuso la porta alle spalle.
Che andasse al diavolo!
Era stanca di tutto e tutti e la sua giornata era appena iniziata.
Iniziò a strofinare ogni superficie con foga quando lo squillo del cellulare la distolse dai suoi pensieri cupi.
 
Chi diavolo chiamava a quell’ora?
“Ti prego, fa’ che non sia mia madre e i suoi rimproveri: oggi non reggerei!”
Sbirciò il suo cellulare con timore: l’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento erano le bacchettate della sua inflessibile genitrice.
 
Era Karl. Tirò un sospiro di sollievo e rispose con il cuore leggero.
«Karl! Come mai mi chiami a quest’ora?»
«Luly!»
La vocina squillante della piccola Evangeline le perforò le orecchie.
«Peste!»
La giornata stava decisamente migliorando.
«Evangeline Emma Winkler: non dovresti essere all’asilo?»
«Ho la febbre. E ho anche il mal di gola. E mi fa male il nasino, Luly!»
Sorrise divertita alla scenetta della piccola che tossiva e piagnucolava al di là della linea.
«Che hai combinato? Ti sei di nuovo tolta il pigiamino durante la notte?»
Lilly aveva l’abitudine di scoprirsi durante il sonno: ricordava quando era piccola e la trovavano sistematicamente fuori dal piumino e le gambette penzoloni al di fuori delle sbarre del lettino.
«No. Sono stata brava… aspetta Papy, non ho finito. No, io parlo con lei! Cattivo!»
 
Ridacchiò nel sentire un trambusto, la voce bassa e solitamente calma e pacata di Karl che cercava di imbonire la pestifera bimba, la vocina di lei che urlava e l’abbaiare eccitato di Calzetta.
«Lou, mi senti?»
«Che diavolo combinate voi due? Sono solo le… - sbirciò l’orologio rosso appeso alla parete della piccola cucina -  sette e trenta del mattino.»
«Lo so, e scusa se ti abbiamo svegliata. È da ieri sera che vuole chiamarti: si è svegliata alle sei saltandomi sullo sterno, con il cellulare in mano, intimandomi di chiamarti.»
«Voglio parlare io con Luly! Passamela!»
Karl sibilò una sfilza di colorite parolacce in tedesco.
«Non dire parolacce, Papy! La nonna Ilse mi ha detto come si dicono!»
Lou scoppiò a ridere.
 
«Ti rendi conto? Mia madre che insegna parolacce a mia figlia.»
«Tranquillo, ero già sveglia e per fortuna non capisco molto il tedesco. Che succede?»
«Si è beccata l’influenza all’asilo: Valentina ha il morbillo, mi ha appena chiamata Katia. E io devo partire per due giorni. L’ho saputo solo ieri e non ti chiederei di aiutarmi se Katia non avesse i suoi problemi con le sue figlie: si era offerta di tenere Evangeline…»
«Mi chiamo Lilly! Lillyyyyy!» – urlò la piccola a poca distanza dal ricevitore.
Calzetta confermò con un ululato.
«Come dicevo, – tuonò Karl ormai a corto di pazienza – Evangeline ha solo un’influenza per ora. Potrebbe aver preso anche lei il morbillo e…»
«Karl, Karl: fermati e respira. Vengo io.»
«Sei sicura? Non hai i tuoi impegni, vero? Scusami… ma sei la mia ultima speranza. Non posso mancare a questa conferenza.»
«Stai tranquillo ho detto: è da tanto che voglio vedervi. Mi dai il tempo di mettere in borsa qualcosa e sono da voi, diciamo fra… un paio d’ore? Ce la fai a non strozzare la streghetta indemoniata?»
«Oh dio, ti ringrazio! Come faremmo senza di te?» – il sollievo nella voce di Karl era palese.
«Ehi, aspetta: ma hai avuto il morbillo da piccola? Non vorrei che ti ammalassi anche tu!»
«Tranne la peste bubbonica e il colera, ho avuto ogni malattia possibile: sono immune da tutto.»
 
“Quasi”.
 
«Voglio venire anche io alla ‘confidenza’!» – urlò Lilly.
«Ti prego. Fai in fretta.» – sussurrò disperato Karl, allo stremo delle forze.
Lou tornò a ridere.
«Fate i bravi finché non arrivo, okay?»
   
 
*****
 
 
Lilly la guardava sospettosa con le braccine paffute piantate sui fianchi.
«Non mi fai la puntura come fa sempre il Dottor Medina, vero?»
«No, che non te la faccio: io non sono un dottore, Lilly. Non vieni a darmi un bacino?» – chiese Lou ancora ferma sulla soglia della porta, posando la borsa preparata alla bell’e meglio in pochi minuti e grattando il musetto di Calzetta che si era fiondato a farle le feste.
«Papy, posso darglielo o poi si ammala anche lei?» – chiese la piccola al padre, con un broncio in grado di sciogliere anche i ghiacciai.
Karl ricambiò lo sguardo divertito di Lou che lo tranquillizzava con un cenno della testa.
«Puoi dare un bacio a Lou, ma non starnutirle in faccia come fai sempre con me: non è carino.»
«Okay!» – ridacchiò la bambina, abbracciando le gambe di Lou, scansando con un gesto possessivo il cagnolino.
 
Eccola lì, l’unica persona al mondo in grado di farla correre con un solo cenno.
L’unica persona che sentiva sua nonostante non avesse un solo cromosoma in comune con lei.
Nessuna somiglianza fisica.
Nessun grado di parentela.
Ma più sua di chiunque altro.
L’unica persona capace di colmare il vuoto che aveva dentro.
Si chinò per poterla abbracciare e la bimba le strinse le braccine intorno al collo, arrampicandosi addosso, avvinghiata come una scimmietta.
Lou si rendeva conto di quanto le mancasse per il resto del tempo solo quando la stringeva a sé.
«Che cos’ha la mia peste? Ti fa male anche il pancino?»
Lilly nascose il volto nel collo di Lou, frignando a comando.
«Sì… e mi fa male il nasino. Papy me lo soffia forte, non è bravo come te.»
Karl ridacchiò, infilandosi la giacca grigia che tirava fuori nelle occasioni formali.
«Il tuo Papy ha le mani grandi come tutti i papà, lo sai? È per quello che ti fa male, ma non lo fa apposta.»
Lou strizzò l’occhio all’uomo che era pronto per uscire.
Si tirò su, con la bimba sempre aggrappata a lei.
«Stai tranquillo. È tutto sotto controllo.»
«Lo so, non mi preoccupo per lei ma per te.» rise lui.
«Io e la peste ce la caveremo, vero Lilly? Non saluti il tuo papà?»
«Sì, ciao Papy.» – bofonchiò questa non muovendosi di un millimetro, rimanendo con il volto affondato nel collo di Lou.
«Dammi un bacio, streghetta!» – le intimò il padre ridendo.
«No. Sei cattivo, vattene!» – strillò Lilly aumentando la stretta intorno al collo di Lou e dimenandosi.
«Avanti Evangeline: non fare i capricci o Lou va via.»
«Non te ne vai, vero? – la piccola alzò il faccino, sgranandole gli occhioni verde scuro lucidi di febbre in faccia - Rimani qui con me, vero Luly?»
«Solo se fai la brava bimba, saluti il tuo papà e non mi farai arrabbiare.» - ribatté Lou seria, rovinando la severità con un bacio sul nasino arrossato della piccola.
«Va bene.»
Lilly protese il volto aspettando il bacio del padre che non se lo face ripetere due volte.
Karl era pazzo della figlia, anche se probabilmente due giorni di riposo gli sarebbero stati di giovamento e allo stesso tempo ne avrebbe sofferto.
«Mi mancherai, piccola… torno presto, va bene?»
«Sì, okay, ciao. Ora vai.» – disse sbrigativa la bambina, tornando a posare la testa nell’incavo del collo di Lou.
Karl scosse la testa sconsolato.
«È il prezzo che pago per non portarla con me, temo.»
«Le passerà…» – lo rincuorò Lou.
Lui le sorrise, abbracciandola.
«Grazie per esserci sempre.»
Ricambiò il sorriso dell’uomo. Quei due non sapevano quanto invece loro facessero bene a lei.
«Perderai il treno se continui a ciarlare e ringraziarmi. Va’. Ci sentiamo stasera.»
«Agli ordini. Allora vado. A stasera e divertitevi…»
«Come sempre.»
Lou richiuse la porta, salutando Karl attraverso il vetro. Lui si girò ancora un volta, alzando una mano prima di sparire dalla sua visuale. Recuperò la borsa avviandosi in camera da letto, quella che usava da sempre quando era ospite in quella casa.
Per tutto il tempo Lilly rimase aggrappata a lei, in silenzio.
«Piccola, sei arrabbiata con il tuo papà?»
«Sì.» - borbottò.
«Sai che a volte Papy deve andare a lavorare lontano. Ma sai anche che torna, non devi fare così o lui poi è triste.»
La bambina borbottò di nuovo parole incomprensibili.
Lou lanciò sul letto la borsa, con la voglia di seguirla e mettersi a dormire.
Calzetta saltò immediatamente sul letto, annusando e zampettando sulla sua borsa.
Si sedette sul bordo tenendo stretta la bambina che rimaneva aggrappata a lei; le fece solletico sotto le braccine per indurla a mollare la presa.
Lilly ridacchiò debolmente. Se fosse stata bene avrebbe scalciato come una pazza e lanciato urla stridule.
Allentò però la presa sul suo collo e si sistemò meglio sulle sue gambe per osservarla.
Gli occhioni verdi della piccola la valutarono velocemente.
Lou ricambiò lo sguardo serio, notando che i capelli le erano cresciuti un pochino e i boccoli castani ormai le arrivavano alla schiena. E che l’estate le aveva lasciato sul nasino impercettibili lentiggini. Aveva un graffio sulla fronte, sicuramente i suoi dispetti al gatto di casa non erano piaciuti e quello era il risultato.
«Che hai fatto a Natale?» – le chiese Lou sfiorando con un dito il graffio quasi guarito.
«Niente! Volevo mettergli il fiocco come il micio che sta sul libro di favole, ma lui non voleva e allora gli ho messo la molletta dei panni sulla coda!» – rispose orgogliosa di sé.
«Lo sai che non si fa! Evangeline!» – la rimproverò, reprimendo una risatina.
Quel povero micio anziano ne passava di tutti i colori con Lilly: peggio di quanto Simone avesse mai fatto!
Si guardò intorno alla ricerca dell’enorme gatto rossiccio, ma non c’era traccia. Probabilmente si teneva lontano dalla sua padroncina sadica fino a quando non era ora della pappa.
Allora lo si vedeva arrancare placido e miagolare con forza per richiamare l’attenzione.
La piccola fece una smorfietta.
«Voglio un gatto femmina! Così posso metterci i fiocchi e il profumo! Qui sono tutti maschi!»
Lou pensò alla sua Katty: dubitava che si sarebbe fatta infiocchettare da chicchessia…
Beh, forse soltanto da una persona.
“Perché diamine devo sempre pensare a lui, a loro?” – pensò infastidita.
«Hai ragione: qui ci sono troppi maschi.» – rise Lou, tornando a prestare l’attenzione alla piccola.
«Forse possiamo chiedere a Papy di prendere un pappagallino femmina.»
«No! Non mi piacciono i pappagalli! Fanno sempre la cacca puzzolente! Valentina ne ha uno e la sua mamma vuole ucciderlo: dice sempre che lo mette nel forno con le patate! Ma non si può, vero Luly? Non può mica cucinare Nerone? Vero?»
«Ma certo che la mamma di Vale non cucinerà il povero Nerone: è solo una cosa che i grandi dicono ma poi non fanno.»
«Allora è come quando Papy dice che andiamo a vivere dove abita Nonna Ilse?»
Lou si paralizzò.
«Quando l’ha detta questa cosa, Papy?» – chiese giocherellando con i riccioli della piccola.
«Lo dice sempre: dice che fra poco andiamo a vivere in… in… non mi ricordo dove abita la nonna!»
«In Germania. Non te lo stai inventando, vero piccola peste?»
Lilly scosse energicamente la testa.
«No. Anche la nonna quando mi telefona mi dice che è felice che andiamo lì a vivere. Ma io non ci voglio andare!» – frignò la piccola, pericolosamente vicina al pianto.
«Io voglio rimanere qui, con Valentina e voglio la mia casa! E poi tu non potrai venire sempre perché è lontano lontano! E anche zio Simone e zio Pepe non vengono e io non voglio!»
 
Che storia era quella? Karl non aveva mai accennato alla cosa! Sperò che la piccola si stesse inventando tutto: non avrebbe sopportato una distanza simile tra lei e Lilly.
Ebbe improvvisamente voglia di mettersi a frignare come stava facendo la bimba.
«Non lo so, piccola… il tuo Papy non mi ha detto niente. Facciamo così: quando torna ci parlo io, okay? E poi non è così lontano lontano – cercò di rassicurarla – c’è sempre il nostro carro magico. O l’aereo!»
Le strizzò l’occhio ma Lilly continuava a piangere.
«Ma la nostra casa è questa, non in quella “Gerbania”! Qui c’è la mamma… se vado via chi le porta i fiori e le conchiglie bianche?»
Le asciugò le lacrime che strabordarono. Le si strinse il cuore nel vedere quel faccino adorato così triste.
Che cavolo passava per la testa bionda di Karl?
Lou abbracciò la piccola baciandole i capelli.
 
«Non ci pensiamo ora, va bene? Hai fame? Vuoi qualcosa di buono?»
Lilly tirò su col nasino e scosse la testa.
«No, ho sonno ora. Mi canti la ninna nanna?»
«Tesoro, lo sai che non sono brava a cantare. Che ne dici se ti leggo una favola?»
«Va bene. – sbadigliò la bimba, tornando a raggomitolarsi contro di lei – La mia preferita.»
Ma certo. La sua preferita. Quella del “Principe della Torre”.
Perché mai le avesse inventato quella favola non lo sapeva spiegare. Si era spesso chiesta se stesse raccontandola alla piccola Evangeline o a se stessa.
Lilly voleva che il Principe trovasse la Principessa Perduta: quando lei provava a raccontare il finale in modo diverso, così come lo aveva raccontato la prima volta, pretendeva che lo cambiasse.
Anche Mara avrebbe voluto lo stesso finale.
 
Era un vero peccato che la Principessa Perduta della favola fosse una codarda e che si limitava a guardare il Principe quando lui dormiva. Che continuasse a trasformarsi in fantasma di notte, per poter vegliare sul sonno del suo Principe.
«Questo finale fa schifo e non mi piace. Devi dire che lui si sveglia, la vede e si baciano. Sono queste le favole belle, Luly!» - le diceva la bambina, incrociando contrariata le braccine sul petto.
Come darle torto?
E allora lei inventava per Lilly un vestito fatto con il blu della notte, con mille stelle che luccicavano sopra e la Principessa Perduta, aiutata dal Vecchio Mago dei Sogni e del suo Pendaglio Incantato, poteva tornare ad essere visibile per il Principe della Torre. Lui si svegliava e la baciava, chiedendole di rimanere per sempre con lei.
Quel finale le faceva schifo e voleva mettersi a frignare anche lei, ora.
 
«E va bene: ti piace così tanto la favola del Principe della Torre? Ce ne sono di più belle…» - le disse Lou, portandola nella sua stanza.
«Sì, mi piace perché la Principessa Perduta somiglia a te nella foto che aveva la mamma.” – bofonchiò la bambina tra uno sbadiglio e l’altro.
«Quale foto, tesoro?» – chiese Lou rimboccandole le coperte dopo averle tolto le pantofole con le orecchie di coniglio.
«Quella che sta nella macchina “foffogafica” nel comodino di Mamy. Ci sei tu e zio Simone e una signora che non conosco. Solo che tu hai i capelli arancioni, come in quella che sta sul camino, non marroni come ora. E sono lunghi lunghi, come quelli delle sirene. C’è anche la Torre del Principe, quindi mi piace.»
 
Di che cavolo parlava Evangeline?
«Va bene… allora sei pronta? Posso iniziare?» – le accarezzò i capelli.
«Sì, mi dai la mano?» – chiese la bambina afferrandole le dita, chiudendo gli occhi.
“Luly, rimani qui mentre dormo?»
 
“Rimani qui con me stanotte? Fino a che non mi addormento? Prometto di non toccarti più il sedere...”
Anche lei lo aveva chiesto una volta, in preda a deliri febbrili.
E lui aveva risposto di sì.
E con la voce più bella che lei avesse mai sentito, le aveva cantato una ninna nanna.
 
«Non vado via, Lilly. Sono qui.»
La piccola sorrise e pochi istanti dopo era già addormentata.
Lou continuò ad accarezzarle i capelli finché anche lei si rasserenò, ritrovando quella calma di cui aveva bisogno. In quella stanza c’era l’odore della bambina. I suoi giochi, le sue foto insieme al papà, a lei e Simone e Beppe, con Valentina.
Sul comodino c’era la foto di una Lilly minuscola tra le braccia di Mara raggiante di felicità.
La piccola aveva attaccato un cuore di carta rossa su un angolo della cornice verde acido e conchiglie bianche sui tre lati rimanenti.
C’erano le sue poche bambole, i suoi pastelli, i suoi vestitini.
L’unica cosa che cambiava giorno dopo giorno era la piccola, che cresceva e acquisiva la propria personalità e presto sarebbe diventata troppo grande per tutte quelle cose sulle quali ora contava su di lei.
E se era vero che Karl aveva deciso di trasferirsi, si sarebbe persa molto altro.
Continuò a tenere strette le dita di Lilly per un tempo infinito, accarezzandole di tanto in tanto i capelli, finché la piccola si girò su un fianco, staccando la manina dalla sua.
Solo allora Lou si alzò stiracchiando la schiena e uscì in punta di piedi dalla piccola stanza.
Disfò la sua borsa con le poche cose che aveva portato con sé sistemandole nel piccolo armadio della stanza che Karl e Mara le avevano riservato tanto tempo prima, lasciando all’interno solo il portatile.
Lì c’erano molti dei suoi vestiti che pian piano Nur le aveva rispedito da Helsinki.
Non li aveva mai portati con sé a Roma: le piaceva sapere che erano in un posto che lei sentiva di poter chiamare “casa”. Rovistò tra i cassetti sfiorando le sciarpe e i capelli di lana che nella capitale non le servivano ed usava soltanto lì.
I maglioni e i jeans che ora le stavano troppo larghi.
Sul fondo del terzo cassetto, sotto una pila di t-shirt, sapeva che c’era la sciarpina viola di Ville.
L’unica cosa tangibile del loro legame.
Era così stupido avere ricordi legati ad oggetti. Avrebbe dovuto buttar via quella sciarpina o meglio ancora, avrebbe dovuto rimandarla al proprietario.
Invece l’aveva conservata. E a volte tenuta fra le mani facendosi mille domande che erano rimaste senza risposta, lasciando che i ricordi fluissero liberamente.
Richiuse decisa il cassetto, ignorando volutamente il terzo.
Tornò a vagare per la casa che Karl teneva in perfetto ordine, fermandosi a guardare le foto sparse ovunque. C’erano frammenti di vita in quelle istantanee: momenti felici e alcuni che lo erano stati meno.
 
Si fermò davanti alla foto sul camino che ritraeva lei, Mara con il pancione e Simone: erano sulla spiaggia proprio davanti casa e ridevano. Erano caduti l’uno sopra l’altro, in un groviglio di gambe e braccia e i capelli lunghi e rossi di Lou erano per metà sui volti dei suoi amici.
Adorava quella foto e ricordava perfettamente il giorno in cui era stata scattata.
Mara aveva deciso che dovevano stare in quella casa tutti insieme per l’intera estate e preparare la stanza della bambina. Aveva costretto Simone a lasciare la sua amata e caotica Roma per una casa sperduta nel nulla: era l’unica che riusciva a piegare il suo amico isterico a fare quello che non voleva. 
E insieme avevano dipinto immagini fiabesche nella stanza che sarebbe stata di Evangeline, tornando per un po’ ad essere quei tre giovani ragazzi ventenni che erano stati durante l’Accademia di Belle Arti.
Si erano divertiti un mondo in quelle settimane, ritrovando il feeling che li aveva uniti.
Le foto erano diminuite nei mesi successivi alla scomparsa di Mara, per tornare pian piano con foto della piccola Lilly durante gli anni.
La prima volta che si era alzata in piedi o quella in cui le era spuntato il primo dentino.
Quella in cui aveva imparato a stare sul vasino o a lavarsi i dentini da sola.
Il primo giorno di asilo e tanti altri momenti. E lei era quasi sempre presente.
Continuò il suo peregrinare in casa, sentendosi calma per la prima volta dopo settimane.
Forse avrebbe potuto fermarsi qualche giorno in più anche dopo il ritorno di Karl: giusto un po’, per non tornare subito a Roma sotto le grinfie di Simone.
 
Si ritrovò davanti alla porta chiusa della camera da letto di Karl e Mara ed entrò senza timore: il letto era disfatto. Nonostante l’ordine che vigeva in quella casa, Karl non aveva avuto il tempo di rifarlo.
Senza farsi alcun problema lei iniziò a mettere a posto le cose che lui aveva lasciato in giro.
Si sentiva a suo agio lì e sentiva di non violare alcuna privacy.
Spalancò le finestre lasciando che il sole inondasse la stanza insieme all’odore del mare.
Le venne improvvisamente voglia di canticchiare e di ballare per tutta la casa, nonostante sapesse di essere stonata come una campana e avere ben poca grazia nelle movenze.
Quel posto le ritemprava il cuore e la mente.
Non poteva dar torto a Simone quando le diceva che aveva la Sindrome della Colf nel DNA, pensò ridacchiando: tenere occupate le mani la aiutava sempre a pensare di meno.
 
Stava per uscire quando si ricordò di quello che poco prima le aveva detto Lilly e titubò soltanto qualche istante prima di aprire l’unico cassetto del comodino che una volta era di Mara.
Dentro c’erano alcune forcine e mollette per capelli; l’orologio da polso bianco che lei portava sempre; un libro con un segnalibro infilato nel mezzo, un pacco di fazzolettini, caramelle al limone.
Uno specchietto da borsetta e il contenitore delle lenti a contatto.
Sfiorò ogni cosa con il solito groppo in gola.
Quasi nascosta in fondo, c’era la sua macchina fotografica digitale, sopra una busta da lettere rosa.
Stupita si chiese come mai ce l’avesse Mara: credeva di averla lasciata a Helsinki o che Nur avesse dimenticato di rimandargliela.
Si rigirò quell’aggeggio fra le mani, pensando al tempo che era passato dall’ultima volta che l’aveva vista.
Provò ad accenderla ma non succedeva nulla: le batterie dovevano essersi esaurite nel frattempo.
Karl doveva pur avere delle batterie nuove da qualche parte; uscì dalla stanza dimenticandosi di chiudere il cassetto del comodino.
Cercò ovunque senza risultato, indispettita: era curiosa di sapere che ci fosse in quella scheda.
Se non ricordava male l’avevano usata quando Simone era stato da lei a Helsinki, tanto tempo prima.
Con un lampo di genio pensò di visionare le foto con il computer: il suo vecchio e fidato “Highlander” aveva tirato le cuoia da un pezzo ormai. Tornò in camera e tirò fuori dalla sua borsa il portatile, aspettando seduta sul letto che tutta la sessione iniziale facesse il suo corso. Le sembrò che ci impiegasse un’eternità, più del solito. Quando finalmente fu pronto, estrasse la scheda e la infilò nell’apposita porta.
Aprì le varie cartelle: da pignola qual’era aveva nominato ognuna con nomi e date. Molte foto erano paesaggi di Helsinki di quasi 7 anni prima. C’era un’intera cartella dedicata alle mostre degli artisti che aveva curato per Matleena, al ‘Kiasma’; ritrovò anche quella in cui ad esporre era Julian.
C’erano autoscatti di loro due intenti a fare i buffoni. Lou fissò la sua immagine, riconoscendo a stento in quella giovane donna ridente con gli occhi brillanti, la donna che era ora. Non che adesso non ridesse: solo che aveva perso quel brio.
 
Come aveva fatto la piccola Lilly a trovare quelle foto? E ad accendere la digitale? Era una bambina precoce, ma dubitava fortemente che arrivasse a tanto.
Persa in quei quesiti continuava a scorrere le cartelle.
Non ricordava di averne fatte così tante…
Aprì la cartella “Varie”, incuriosita.
C’erano foto di lei e Nur nella loro casa; al Kauppatori, il porto di Helsinki, un posto che lei adorava.
Varie angolature della Cattedrale, la sua “Dama Bianca”.
Il dito con cui premeva “invio” tremava leggermente: quanto le mancava la sua Helsinki… era uno dei pochi posti al mondo nel quale si era sempre sentita a suo agio.
E poi diverse foto con Simone e Nur, davanti alla loro casa. Riusciva a vedere persino un pezzo della porta del caro Sig. Korhonen.
 
Ed eccola lì sullo sfondo, la Torre di Ville: quasi nascosta dalla testa di Simone e i capelli di Nur e il proprio viso. Un autoscatto che li aveva colti entrambi impreparati e lei che se la rideva, l’unica che guardava dritta nell’obiettivo. Il cielo nella foto era di un azzurro così abbagliante e vivido: se ne stupì come se non l’avesse mai visto prima.
Continuava a studiare ogni particolare, evitando di guardare quel punto in mezzo alle loro facce.
Ci sarebbe tornata in un secondo momento.
Non appena il cuore avesse ripreso a battere normalmente, si disse.
 
Cliccò sulla freccia per la foto successiva e c’era la piccola Katty.
Minuscola palla di pelo nero arruffato che dormiva sul cuscino davanti alla finestra.
Katty che zampettava feroce il piumino della pantofola di Nur.
Katty che fissava l’obiettivo con aria perplessa e altera allo stesso tempo.
La sua micina…
Non si era mai preoccupata più di tanto della sua sorte: sapeva con sicurezza che lui se n’era preso cura, portandola con sé nella sua torre.
Ne era più che certa. Ville non l’avrebbe mai lasciata a Nur o chiunque altro.
Katty era in moltissime foto; gli occhi della felina erano così verdi… come quelli di…
“Smettila immediatamente, Lucia”
Odiava la sua parte melodrammatica: quando meno se lo aspettava prendeva il sopravvento su di lei, buttando all’aria mesi e anni di autocontrollo.
Cliccò automaticamente sulle foto dove a regnare sovrana era sempre Katty, finché arrivò ad una foto che non aveva scattato lei.
 
Se ne sarebbe ricordata.
E non avrebbe potuto in ogni caso scattarla visto che in quell’istantanea lei dormiva.
E non era stato neanche Ville.
Perché anche lui era addormentato, con una mano posata sulla piccola Katty accoccolata come sempre sulla sua pancia.
«Ecco. Ora puoi darti al melodramma.» - si disse senza fiato.
L’altra mano di Ville era fra i suoi capelli, la teneva posata sulla nuca e le lunghe dita forti sbucavano fra i suoi ricci rossi.
Il proprio viso era visibile del tutto, così beato e sereno anche nel sonno, affondato nell’incavo tra il collo e la spalla dell’uomo.
Mentre di Ville c’era solo il collo, lasciato scoperto dalla camicia nera, il mento coperto da un velo di barba e la bocca.
La bocca di Ville.
Sentiva i tonfi del battito del proprio cuore nelle orecchie.
“Probabilmente sto per avere un infarto.” – pensò tetra.
Chiuse gli occhi per un lungo tempo, sperando che la foto fosse solo frutto della sua fervida immaginazione e che nel riaprirli sarebbe sparita.
Sentì la bocca inaridirsi completamente.
E il suo stupido cuore non rallentava.
Si alzò di scatto senza guardare lo schermo e si precipitò in cucina dove bevve direttamente dal rubinetto fino ad avere la nausea.
“È solo una foto, stupida donna.”
Non riusciva a pensare lucidamente.
Era del tutto impreparata a quelle emozioni.
Da dove sbucava fuori quella foto?
Chi l’aveva scattata? Nur? Simone? Julian?
Il periodo coincideva con quello in cui i due ragazzi erano sempre presenti in casa loro.
 
“Arrovellarsi su chi ha scattato la foto è un diversivo debole e lo sai bene.”
Ville.
 
Tornò in camera e sulla soglia si fermò con gli occhi fissi allo schermo.
Quella foto faceva più male di quanto immaginasse.
Per il solo fatto che esistesse.
Perché le metteva davanti agli occhi che era stato reale, che Ville non era solo il proprietario della sciarpa viola chiusa nel terzo cassetto della sua camera.
Perché quello che erano stati l’uno per l’altro in quei pochi mesi vissuti insieme, balzavano fuori dalla foto.
“Sono state soltanto poche settimane, smettila di pensarci.”
Settimane in cui aveva scoperto una nuova se stessa. Qualcuno che le era piaciuto essere.
Con passi lenti si avvicinò nuovamente al letto e al computer aperto su quella finestra del suo passato.
Ora il battito era tornato quasi nella norma e col passare dei secondi la foto faceva meno male.
Erano belli insieme.
Osservando quella foto era chiaro il sentimento di fiducia da parte sua nell’affidarsi, completamente vulnerabile, all’uomo della foto. E lui…
Lui, a modo suo, le offriva riparo.
Come se le stesse dicendo in silenzio: “Vieni più vicino, non avere paura. Smettila di pensare, Prinsessa… e chiudi gli occhi.”.
Ed era quello che le aveva sempre detto, in fondo.
Che aveva sempre cercato di dirle.
“Smettila di blaterare e vieni qui da me…”
Blaterare e arrovellarsi e dare di matto era il suo forte e in quella situazione lei aveva dato il peggio di se stessa, mandando all’aria tutto.
L’unica cosa per cui valeva la pena rischiare.
«Luly…»
La vocina della bambina la riscosse dal suo sogno ad occhi aperti.
Lanciò un ultimo sguardo alla foto prima di precipitarsi nella stanza della piccola.
Evangeline era seduta nel suo lettino e si stropicciava gli occhi infastidita.
«Sei già sveglia, peste?»
«Avevi detto che rimanevi qui vicino a me!» – la rimproverò subito.
«Hai ragione: ero andata a fare pipì!» – le rispose ridacchiando, strappando anche a lei un ghigno.
«Ho fame. Voglio la nutella.»
«Papy te la fa mangiare ora?»
La prese in braccio baciandole la fronte: era calda.
La febbre era di nuovo salita.
«Sì.»
Lou le fece una smorfia.
«Sei una piccola streghetta: lo so bene che non è così!»
«Solo quando sono malata!»
«Uhm… - borbottò Lou, dirigendosi in cucina – Allora forse possiamo fare una piccola eccezione, questa volta!»
«Voglio essere malata sempre.» - sospirò Lilly.
Lou scoppiò a ridere.
«Beh, per la cioccolata ne vale sempre la pena!»
Fece sedere la piccola sul tavolo, lasciando che la aiutasse a prepararle il meritato spuntino.
«Mettiamone tanta, però.»
Lou cambiò idea e lasciò perdere il pane: le passò il barattolo e intinse un dito nella crema alla nocciole per poi portarselo alla bocca.
Evangeline sgranò gli occhi eccitata.
«Senza pane è molto meglio: tocca a te ora, peste!»
La bambina non se lo fece ripetere una seconda volta e ridendo la imitò.
Un potente miagolio richiamò la loro attenzione: Natale le aveva scovate e le guardava speranzoso.
«I gatti la mangiano la cioccolata?» – chiese Lilly con la boccuccia impastata.
«Non credo ai gatti piaccia la nutella, piccola.»
«Natale mangia tutto. Ma poi fa la cacca in giro.»
Scoppiò a ridere e Lou la seguì a ruota.
«Allora è meglio di no: il mal di pancia lo avremo già noi due.»
Karl avrebbe tirato le orecchie a entrambe se fosse stato presente e Simone invece, avrebbe commentato che ogni grammo del nettare divino le sarebbe finito irrimediabilmente sul sedere.
«Questo è un segreto da femmine, Lilly.» – le sussurrò Lou con tono cospiratorio.
La bambina annuì energica e tornò ad affondare le piccole dita nel barattolo.
«Mi piacciono i segreti da femmine che ho con te.» – rispose sussurrando a sua volta.
«Anche a me, tesorino… anche a me.»
 
 
*****
 
 
Davanti al camino e un bicchiere di vino rosso, Lou fissava le fiamme che si contorcevano in mille volute.
Lilly, dopo una giornata di pura anarchia le dormiva soddisfatta accanto, raggomitolata con il suo pupazzo viola decrepito.
La febbre non diminuiva ma la piccola sembrava non risentirne più di tanto.
Quando Karl aveva telefonato quella sera, la figlia lo aveva liquidato con un ciao frettoloso ed era tornata a guardare i cartoni animati.
«Come sta? È ancora arrabbiata con me? Ha la febbre? Ha fatto i capricci? Ti ha dato noia?» – le aveva chiesto apprensivo.
«È stata più buona del solito, non preoccuparti: stiamo bene e ho tutto sotto controllo… Tu come stai?»
«Stanco. Annoiato. Mi manca la mia streghetta e vorrei essere lì con voi.»
«Non fare i capricci, Papy!» – lo aveva preso in giro lei.
Lou aveva sulla punta della lingua tante domande ma non era il caso di parlarne attraverso un telefono.
«Sto pestando silenziosamente i piedi a terra!» - aveva riso lui.
«Ora vai a dormire, Papy: ci sentiamo domani.»
Karl aveva finto di frignare e le aveva augurato la buona notte.
Era stata una giornata piena. Il tuffo inaspettato nel passato aveva stravolto i suoi pensieri per tutto il giorno.
«Luly, questa sei tu!»
Maledizione a lei e alla sua svampitaggine!
Aveva dimenticato il portatile aperto sulla foto e la bambina la guardava curiosa.
Le si era avvicinata giocherellando con i suoi boccoli arruffati.
«Sì, sono io.»
«Che bel micetto! Come si chiama? E chi è questo signore che sta vicino a te?»
Lou tirò un profondo respiro.
«Il micio è una femminuccia, si chiama Katty ed era la mia gattina quando vivevo in Finlandia.»
«Qui hai i capelli lunghi lunghi, Luly,  e arancioni come nella foto con Mamy e zio Simone!»
«Sì, tesoro.»
«Sono più belli.»
«Non ti piacciono come li ho adesso?»
Lilly si girò a guardarla attentamente e scosse la testa.
«No, mi piacciono i capelli da sirena. Sei più bella.»
«Ok, allora me li farò ricrescere, sei contenta?»
«Sì. Luly, chi è questo signore?»
Lou sorrise: aveva tergiversato sperando di distrarre la piccola ma non avrebbe smesso di chiederglielo finché lei non avesse risposto.
«Questo signore è il ‘Principe della Torre’.» – disse senza pensarci.
La bambina tornò a guardarla stupita con la boccuccia aperta.
«Davvero? E adesso dove sta?»
«È rimasto in Finlandia, con la mia micetta.»
 
“Ma cosa diavolo sto dicendo? Perché le sto raccontando queste cose?”
 
«E ti stanno aspettando? Non ti manca la tua micetta?»
Lou tornò ad avere un tuffo al cuore.
«Sì, mi manca molto Katty… anche se era dispettosa.»
«Come me?»
«Sì, un po’ come te!» – rise Lou, baciandole il naso.
«Mi piace la tua gattina. E anche questo signore mi piace. Perché non gli dici di venire qui da noi e di portare la micetta, così fa amicizia con Natale e poi si sposano e io poi ho più gattini di Valentina?»
“Già… perché non lo hai fatto, stupida?”
Come faceva a spiegare a quella bambina cose che non sapeva neanche spiegare a se stessa?
«Perché la casa di Katty è in Finlandia e qui non le piacerebbe. È una gattina viziata: le piace stare nella neve, sai?»
Lilly storse il naso contrariata.
«Possiamo darle il gelato, così non fa i capricci!»
Nella sua logica di bambina, il discorso non faceva una piega.
«Come si chiama il signore?»
Lou sospirò.
«Ville.»
La sua voce accarezzò quel nome con dita invisibili.
«Ville? – lo ripeté ridacchiando – Che nome buffo, però mi piace.»
«Anche a me piace.»
«Però non si vede tutta la faccia. Mi fai vedere una foto dove si vede, Luly?»
«Non ne ho, tesoro.»
«Uhm… - borbottò delusa la bambina- Allora digli di mandartela perché la voglio vedere io.»
«Va bene.» – le disse in fretta per accontentarla.
«È il tuo fidanzato?»
«No, Lilly non è il mio fidanzato ma gli voglio bene anche se è passato tanto tempo.»
«Non fa niente: anche io voglio bene alla mamma anche se è passato tantissimo tempo.»
“Non piangere. Non piangere. Non davanti a lei.”- si diceva deglutendo a ritmi regolari.
«Hai ragione, è così.»
Aveva poi cercato di sviare l’attenzione della bambina leggendole delle favole nuove, o disegnandole nuovi personaggi, fino a farle dimenticare quella foto.
Fino a poco prima quando nel dormiveglia Lilly le aveva chiesto: «Luly, ma se il signore della foto è il Principe della Torre, tu sei la Principessa Perduta?»
«Forse, tesoro.»            
«Okay… domani io telefono e gli dico che ti ho ritrovata, così mi fa vedere la Torre…»
E si era addormentata con un sorriso e il progetto di far sì che la sua fiaba preferita avesse il finale che pretendeva.
Si alzò sospirando di nuovo, avvicinandosi alla foto che la ritraeva con Mara e Simone.
Avrebbe tanto voluto che la fiaba di Lilly fosse stata realtà.
Detestava piangere: non lo faceva mai e il risultato era quella enorme palla dolorosa che aveva al centro del petto.
“Concediti un pianto e inizia a dimenticare sul serio.”- si disse duramente.
 
Lasciò che solo per questa volta le lacrime scivolassero lente fino a caderle mollemente lungo il viso, sulle mani, sulla mensola del camino e nel calore delle fiamme fino ad evaporare.
 

 

******





"Angolo dell'autrice:

Eccoci di nuovo. Sì, lo so... è passato del tempo.
È che ormai lo sapete, quindi è inutile che mi ripeta!
Stavolta vi lascio ben 16 pagine di PippeMentali: farete scorta per un pò, anche se non aspetterete tanto per il prossimo.
Siamo in dirittura di arrivo e manca poco davvero alla fine. Beh, non mi resta che lasciarvi per i soliti ringraziamenti!

Voglio ringraziare le gentili donzelle che hanno recensito l'ultimo capitolo:
m a y h e m, Dadda_HIM, Soniettavioletstarlet, Lady Angel 2002, cla_mika, katvil, arwen85, DarkViolet92, apinacuriosaEchelon, LilyValo, AlexisRose,  angelinaPoe, saraligorio1993.
Abbraccio forte a tutte!

*Per il titolo al capitolo mi sono ispirata a Massive Attack - Teardrop *

Vi aspetto nel Gruppo Facebook dedicato alle discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa, inclusi insulti e minacce varie, intervallati a momenti d'ammmore per Lou e Ville!

Siete le benvenute.
Alla prossima!
Baci baci,

*H_T*




testo.

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Capitolo trentuno: "Beyond Redemption" ***





Image and video hosting by TinyPic

Capitolo trentuno
"Beyond Redemption"
Image and video hosting by TinyPic

«È temporaneo Lou, si tratta solo di nove mesi, un anno al massimo: avrei voluto parlartene prima ma c’era sempre qualcosa a farmi rimandare. E poi aspettavo che Evangeline assimilasse l’idea… Non vuole saperne di lasciare questa casa e tutto quanto. E la capisco. Questo posto è diventata ormai anche la mia casa.»
Karl la guardò con aria contrita.
«Tranquillo, non devi darmi spiegazioni: voglio dire, è giusto che tu segua la tua carriera universitaria. Pensavo solo che sarà strano e brutto non vedervi per così tanto tempo. Non sarà facile abituarsi all’idea di dover aspettare un anno prima di rivedervi.»
Cercò di rendere la situazione meno pesante, sorridendogli rassicurante. Fino all’ultimo aveva sperato che Lilly si fosse inventata tutto:  a quanto pareva Karl aveva ricevuto un incarico che non solo sarebbe stato remunerato il triplo di quanto guadagnasse ora, ma anche il suo curriculum ne avrebbe giovato.
«Puoi raggiungerci appena potrai, e anche io non appena avrò qualche giorno libero, prendo la bambina e corro qui.»
«Ovviamente, verrò con piacere. Come ti organizzerai con Lilly e l’asilo?», chiese riluttante. L’idea di allontanarsi dalla piccola le risultava di minuto in minuto sempre più intollerabile.
«Non ne ho idea; lei parla bene il tedesco quanto l’italiano, quindi la lingua non sarà un problema. Mi preoccupa di più l’ambiente, il sistema educativo è molto diverso e temo che mia figlia non si abituerà facilmente. C’è mia madre ad aiutarmi, naturalmente, e le mie cognate che hanno dei bambini piccoli e spero che questo possa rendere meno duro il distacco a Lilly, da tutto questo.»
«È un bene allora che tu abbia una famiglia numerosa: alla peste farà bene vivere con i suoi cuginetti.»
«Sì… io e Mara abbiamo sempre desiderato qualcosa di simile. Avremmo voluto dare presto dei fratellini  a Evangeline ma…»
Lou gli accarezzò la schiena larga.
«Lo so.»
Karl tornò a lavare con cura le stoviglie sporche mentre lei rimetteva a posto, asciugandole man mano che l’uomo gliele passava.
Il rientro di Karl quel pomeriggio non aveva avuto l’accoglienza che sperava: la piccola era ancora irritata con lui e lo aveva ignorato per gran parte del tempo.
«Come ve la siete cavata voi due?», chiese dopo qualche minuto di silenzio.
«Bene, come sempre: è stata stranamente buonissima e calma. La febbre non fa che salire e scendere di continuo, ma mai troppo alta.»
«Tu stai bene? – la guardò attentamente – Mi sembri stanca e hai gli occhi lucidi: non avrai la febbre?»
«Sì, ma non è nulla: è che ho lasciato dormire Lilly con me. Lo so che non approvi, ma si svegliava di continuo la prima notte e non era il caso di fare avanti e dietro dalla mia camera alla sua.»
«Le lasci fare sempre quello che vuole. Come me, del resto.», rise Karl divertito.
«Non posso farci nulla: sa perfettamente come fregarmi.»
«Già: Mara ne sarebbe stata orgogliosa. Lei adorava le personalità forti e testarde. E Lilly le somiglia molto, per certi versi: ha la stessa caparbietà e quando vuole qualcosa, niente e nessuno può dissuaderla.»
«È proprio vero, sono identiche. Avrà preso qualcosa anche da te, che dici?»
«Lo spero proprio!», sbottò lui.
«Karl, devo dirti una cosa e ti chiedo scusa fin da ora. Lilly parlava di una foto con Simone e una signora che non conosceva; diceva di averla vista nella macchina fotografica nel comodino della mamma… non le ho dato peso, ma sai che sono curiosa. Non volevo invadere il vostro spazio. Ma ho trovato effettivamente la macchinetta e ho scoperto che era la mia. E non so come ci sia finita lì: non ricordo di averla avuta con me quando sono tornata da Helsinki…», lasciò la frase in sospeso vedendo Karl accigliarsi pensieroso.
«Non ricordavo neanche io, fino a qualche giorno fa. Ho beccato la bambina a rovistare nei cassetti e mi ha chiesto di vedere cosa c’era nella macchinetta. Avevo dimenticato che fosse tua e il resto lo sai. Sai che non apro mai quei cassetti… non li ho svuotati ma non voglio neanche guardarli continuamente, così ignoro. Non devi scusarti: questa è anche casa tua, ricordalo sempre.»
Lou ingoiò il groppo in gola: aveva pianto abbastanza per quel mese.
«Non sai come mai ce l’avesse Mara?»
«Se non ricordo male l’aveva ricevuta dalla tua coinquilina insieme ad una lettera. Mara e Simone quando videro alcune foto erano discordanti sul da farsi: lui avrebbe preferito eliminarle e strappare la lettera. Mara invece pensava che un giorno ti avrebbe ridato tutto. Non voleva cancellare la tua foto con Ville.
Sai, la trovava così bella… diceva sempre che non ti aveva mai vista così.
Diceva che anche da quella semplice foto capiva tante cose di voi due: la sua spavalderia e allo stesso tempo paura di quello che eri per lui; la tua arrendevolezza ma col timore che tutto finisse.
“Guarda come lui la tocca: la sfiora e la stringe contemporaneamente. E lei… Non le ho mai visto questa serenità sul viso quando era con Andrea. Dovrebbero essere insieme.”
Lo diceva sempre e guardava quella foto per ore.»
Perché Mara non le aveva mai detto nulla? Da Simone ormai si aspettava di tutto, ma Mara… non le aveva mai nascosto niente.
«Cosa diceva la lettera di Nur?», chiese con un filo di voce.
«Poco e nulla in realtà. Era ancora delusa e ferita, forse non pensava davvero quello che scriveva ma era chiaro che teneva a te. E voleva che tu tornassi a Helsinki, da lui. Voleva che qualcuno di noi ti convincesse a farlo. E ti ha mandato quella foto di proposito: per ricordarti cosa avevi.»
«Sì, lo immagino. Dov’è la lettera?»
«Credo nello stesso posto dove hai trovato la macchina fotografica. Vuoi leggerla?»
Lou ci pensò a lungo.
«No. È una lettera che Nur ha scritto a Mara e non ho voglia di tornare indietro di nuovo: mi sono bastate le foto. È ora che giri pagina.»
Karl la guardò con un sorriso.
«Lou, non ci credi neanche tu quando dici queste cose: sai bene che non dimenticherai Ville tanto facilmente. E a mio parere non devi. È stato bello con lui, ti ha resa felice anche se è durato poco. Ricordalo, ma non rimpiangerlo. Vai avanti così come stai facendo ora e porta con te quei momenti.»
«Ci provo.»
«Lo so…»
«Vorrei anche poterti dire che troverai un altro e lo amerai allo stesso modo, ma sappiamo entrambi che è una bugia. Posso solo sperare e augurare a te di amare ancora, anche se non come hai fatto con lui.»
 
 
*****
 

«Lou! Lou! Lou!»
La voce di Simone intervallata a tre colpi di seguito la svegliò dal sonno.
«Va via, *Sheldon dei poveri! Non è aria!», rispose stizzita, starnutendo.
«Apri daaaaai! Beppe mi ha detto che stai male da giorni! Vuoi una zuppa calda, un panno bagnato sulla fronte, due coccole?»
«Ti ho detto di andare via! Non sto bene!»
«Sono qui per questo! Apri questa dannata porta o la butto giù!»
Lou imprecò coloritamente, si alzò dal divano e aprì la porta, furiosa.
«Oh merda!»
«Mi auguro vivamente che tu abbia avuto il morbillo da piccolo, perché sto per starnutirti in faccia.»
Simone tentò di reprimere la risata nel vedere il viso minuto della sua amica cosparso di bollicine rosse.
«Stai lontana da me, Pimpa! – disse arretrando e ridendo allo stesso tempo – Hai un aspetto terribile! E la voce da travestito!»
«Tanto meglio: così non verrò alla tua sfilata.»
«Antipatica. Ti ci trascinerò per i capelli, stanne certa! – disse continuando ad arretrare – Okay, ti mando Beppe. Io mi sono ricordato di avere una cosa da fare.»
«Questa cosa ha i suoi lati positivi,  – sibilò Lou – se  ha il potere di tenerti lontano!»
«Non ti libererai così facilmente di me, donna!», le urlò chiudendosi la porta del suo appartamento dietro.
Lou sbattè la sua, tornando ad imprecare.
Si sentiva uno straccio.
Tre giorni prima si era svegliata e specchiandosi aveva notato macchie rosse su tutto il viso.
«Non ci credo! Non può essere vero!»
Aveva chiamato sua madre in preda al panico.
«Ma’, non avevi detto che da piccola io e Livio abbiamo preso il morbillo a scuola?»
«Come al solito non ascolti mai quando parlo: no, era la varicella. Perché me lo chiedi?», aveva chiesto la genitrice che non mancava mai di infilare un rimprovero anche nella frase più semplice.
«Niente. Chiedevo.»
Sua madre aveva indagato e fatto domande fino a che lei, esasperata aveva risposto che forse la piccola Lilly l’aveva contagiata. Allora le aveva intimato di correre dal dottore immediatamente: aveva sentito di tragedie accadute a chi contrae il virus in età adulta. Lei aveva sbuffato: tipico di sua madre annunciare cataclismi, lo faceva anche per un semplice raffreddore. Ma una volta chiusa la conversazione aveva controllato su internet ed effettivamente era rischioso. Presa dalla fifa, era andata dal medico curante che l’aveva riempita di antipiretici, sedativi per la tosse e ogni altro medicinale possibile. Così da due giorni arrancava per casa, dolorante e debole e con la voglia di scorticarsi viva, tra un aerosol e il water.
Il dottore l’aveva rassicurata che sarebbe passata da sola, ma che doveva nella maniera più assoluta stare a riposo. La piccola invece Lilly aveva già superato la fase acuta del morbillo ed era tornata all’asilo.
«Ti “fastidiano” le bollicine, Luly? A me sì, mi sono grattata le crosticine, tu però sei grande non devi farlo!», aveva detto la piccola la sera prima al telefono.
«Sì, mi danno fastidio. – aveva ghignato lei tra un colpo di tosse e l’altro – Come stai, peste? Ti senti meglio ora?»
«Sì, Valentina mi ha portato un orsacchiotto di nome Teddy, Luly: dice che ci posso anche dormire!»
La bambina aveva continuato a raccontarle le sue giornate, concludendo che le mancava e tornare presto da lei.
Tra meno di due settimane Karl e Lilly si sarebbero trasferiti e lei sperava di riuscire a star meglio per poterli salutare. Doveva trovare un modo per impegnarsi tanto da non pensare alla bambina così lontana da lei e impedirsi allo stesso momento di uccidere Simone nel sonno o buttarlo giù dalle scale.
Un altro bussare alla porta, questa volta discreto e pacato: doveva essere Beppe.
«Lou? Sei presentabile? Posso entrare?», chiese lui a voce bassa.
«Entra, non hai le chiavi?», sbottò infastidita, aprendogli.
Beppe entrò infilando la testa a metà, sorridendole.
Lei si sentì subito più serena e ricambiò il suo sorriso.
«Certo che le ho – sussurrò, sbirciando dietro di sé – Ma il pazzo furioso se sa che me le hai ridate dopo avergliele sequestrate, le pretenderebbe. Sarebbe capace di rubarmele per farsene fare una copia.»
Entrò, richiudendo veloce la porta e la sbirciò attento.
«Ti ho portato qualcosa di buono.»
Avrebbe voluto abbracciarlo e farsi coccolare: Beppe era l’unico in grado di calmarla all’istante.
«Cosa mi hai portato? La tua crostata di mele? Ti adoro: sposami, ti prego!  Lascia quel rompiballe e scegli me.»
Lui scoppiò a ridere lisciandosi il pizzetto, imbarazzato.
«Sai che lo farei subito se… beh, se mai dovessi improvvisamente cambiare rotta, sarai la prima a cui penserò!»
Lou sbuffò, seguendolo mentre lui si dirigeva in cucina per tagliarle un pezzo di crostata; mise a scaldare del latte con miele e il tutto senza smettere di sorriderle placido e chiacchierare.
«Come sta Karl? Gli serve una mano per impacchettare tutto?»
Beppe, sempre pronto a mettersi a disposizione di tutti. Nei mesi passati con Mara e Karl nella loro casa aveva imparato a volergli bene, ad affidarsi a lui ciecamente.
«Non ne ha parlato: ho dimenticato di chiederglielo in realtà…»
«Domani lo chiamo: magari possiamo andare tutti insieme e stare lì con loro per un po’, che ne dici?»
«Ci avevo già pensato, in effetti: l’idea di Lilly lontana non mi va ancora giù. Penso che dovrò farmene una ragione prima o poi…»
«Si tratta di pochi mesi, Lou. E potrai sempre prendere un aereo e andare da loro, quando ti mancheranno.»
«Lo so.»
«E allora piantala di pensare in negativo, tesoro.», disse con dolcezza, tirando su gli occhiali scesi sul naso.
«Ora pretendi un po’ troppo.», disse tetra.
«Eh, effettivamente. C’è qualcosa che non va? Oltre la partenza, intendo.»
«Ho trovato la mia vecchia macchinetta digitale e il suo contenuto: tu ne eri al corrente?»
«Sì. E non ero d’accordo nel tenerti nascosta una cosa così: a mio parere non hanno fatto che prolungare la tua ripresa. Ma non mi andava di discutere con Simone in un momento simile: Mara era preoccupata per te e non volevo infierire. Anche Karl disse che era ingiusto tenertelo nascosto: disse che non eri una bambina sprovveduta e che te la saresti cavata. Era solo una foto, bellissima tra l’altro…»
«Mi hanno sempre trattata da bimbetta dopo la faccenda di Andrea. E non lo sopporto. È anche colpa mia: ho la brutta abitudine di crollare improvvisamente dopo mesi in cui faccio finta di essere forte.»
«E lo sei, forte. Ma sei umana, come tutti noi. Anche tu hai bisogno di una spalla sulla quale piangere, ma loro due hanno esagerato. – le fece segno di precederlo sul divano, mettendole una tazza fumante tra le mani - Nell’intento di volerti evitare una sofferenza hanno sbagliato ugualmente. Ho sempre pensato che se tu avessi visto quella foto, saresti tornata da lui. Mi sbaglio?»
Lou si sedette stanca come se avesse scalato una montagna e lasciò che Beppe la coprisse premuroso col plaid.
«Probabilmente hai ragione: se avessi visto quella foto prima sarei tornata di corsa da lui, con la coda fra le gambe, pregandolo di perdonarmi. Ed è per questo che loro due hanno evitato: mi conoscono troppo bene. Sapevano che mi sarei umiliata per lui. E hanno deciso che era meglio per me che Ville non esistesse più.»
«Non ne avevano il diritto.»
«No, ma io ero decisa a rimanere qui, e non sentivo ragioni. È stata colpa mia, soltanto mia, per come sono andate le cose: loro hanno cercato di proteggermi, anche se non è servito, lo hanno fatto in buona fede…»
Beppe sospirò, rilassandosi sul divano.
«Siamo tutti così complicati. Ci rendiamo la vita impossibile a volte anche quando non ce n’è bisogno.»
«Il tuo fidanzato in questo è uno specialista.», borbottò lei lugubre, soffiando sul latte bollente.
«Sai che ti darà il tormento per il concerto, vero?»
«Lo ammazzerò prima. Così tu sarai costretto a sposare me.»
«Tesoro, sono completamente, e senza via d’uscita, perso per lui.»
«Che culo.»
Beppe scoppiò a ridere nuovamente, abbracciandola.
«Lo sai meglio di me che è così solo con chi ama davvero: dovresti preoccuparti se iniziasse ad ignorarti. È lì che capisci che non gli importa nulla di te. Ti vuole bene, Lou.»
«Ripeto: che culo. Mi sta bene che tenga a me, ma mi sembra di avere mia madre nei momenti peggiori a rimbrottarmi e controllarmi continuamente.»
Lou si accoccolò sulla sua spalla, soddisfatta di poter avere la sua razione quotidiana di dolcezza. «Sono andata via da casa dei miei dopo due mesi che ero in Italia! Pensa a questo! E vengo qui per trovarmi una suocera bisbetica sul pianerottolo. Non ho la tua pazienza, tesoro…»
«So anche questo: è una fortuna che ci sia io a fare da cuscinetto fra voi. Vi sareste ammazzati tempo fa, altrimenti.»
«L’offerta di mollarlo e stare con me è sempre valida.»
«Se continui a proporti inizierò a pensare che tu parli sul serio, Lou.»
Lou rise sotto i baffi.
«Ci guadagneremmo entrambi: io sarei un’ottima colf, tu un ottimo cuoco. Il sesso possiamo far finta che non esista.»
«Bevi il tuo latte e dormi: stai iniziando a delirare.»
 
 
*****
 
 
«Questo è l’ultimo pacco!», disse Beppe ansando.
«Quanta roba: neanche il discendente di Mariantonietta di Francia qui presente, – disse Lou indicando Simone – porterebbe con sé tanta roba!»
Karl si schernì, ridacchiando.
«Lo so: ma Evangeline ha portato quasi tutto quello che aveva in camera: perfino la lampada con le stelle.»
«La mia piccola principessa ha preso tutto da me!», disse Simone orgoglioso prendendo in braccio la piccola peste che se la rideva.
«Non c’è mica da vantarsene.», borbottò Lou di pessimo umore.
L’imminente partenza di quella che considerava la sua famiglia, la rendeva più astiosa del solito.
E fingere non era più il suo forte. Erano tutti lì ormai da due giorni, per aiutare Karl a sistemare le ultime cose nel suo fuoristrada, la sera prima della partenza. E per tutto il tempo Lou aveva avuto l’umore altalenante tra crisi di pianto, istinto omicida verso Simone e iperattività da ansia.
Quel pomeriggio mentre preparava la pizza per la cena, Lilly si era avvicinata zampettando eccitata con le braccia nascoste dietro la schiena.
«Ho una cosa per te, Lulina: chiudi gli occhi!», le aveva detto saltellando sul posto.
«Okay, non mi disegnare i baffi però!»
«No, io sono brava!»
Si era inginocchiata e aveva chiuso gli occhi.
Lilly le infilò qualcosa al collo, tirandole via mezzo scalpo.
«Ora puoi aprirli!», aveva strillato, continuando a saltellare.
Lou aveva guardato il ciondolo che la bambina le aveva messo: una piccola e perfetta conchiglia bianca, lucida e tonda pendeva da un nastro viola.
«Girala, girala!»
Contagiata dall’entusiasmo della piccola era scoppiata a ridere, per bloccarsi immediatamente dopo. Sul retro madreperlaceo della conchiglia Lilly aveva disegnato un cuore con due lettere “L” all’interno.
«Mi ha aiutato zio Simone a farla! Guarda: ci sono i nostri nomi vicini vicini! Luly e Lilly! I nostri nomi si somigliano di più così, vero? Così anche se siamo lontane, tu stringi la collana e fai finta che io ti sto dando un bacino! Ne ho una uguale anche io!», aveva tirato fuori dalla t-shirt un ciondolo simile in tutto e per tutto al suo.
«Tesoro… - aveva bisbigliato con gli occhi lucidi –  È bellissima. Sei stata proprio brava a disegnare il cuore… grazie. Lo terrò sempre con me, va bene? Sai che sei la cosa più importante della mia vita? E che mi mancherai tanto?»
«Anche tu mi manchirai, - aveva detto la bambina con aria seria – ma torno presto, ha detto Papy. E se ti chiamo perché mi manchi tanto, verrai da me?»
«Ma certo che verrò, tesoro.»
«Okay. Ti voglio tanto bene, Luly!»
«Anche io, piccola.»
L’aveva stretta forte, prima che la bambina potesse vederla piangere come una stupida.
Detestava il solo pensiero di non poterla più vedere. Detestava che quella fosse l’ultima giornata che passassero tutti insieme prima di potersi rivedere.
Karl le batté sulla spalla, confortante.
«Vuoi venire con noi?», ghignò.
«Potrei prendere la tua proposta seriamente: fosse solo per il fatto di allontanarmi per un po’ dallo stilista pazzo.»
«Guarda che ti ho sentita.», sibilò gelido, Simone.
«Era questo l’intento.»
«La smettere
di punzecchiarvi voi due ? Evangeline, puoi dire allo zio Simone e Luly di non litigare in nostra assenza?»
«Zio, Luly: ha detto papy che non dovete litigare.», disse compita la bambina, suscitando l’ilarità generale.
«Andiamo dentro: ho una fame cosmica. – disse Simone, dando una pacca sul sedere del suo fidanzato – La colf che ci ha preparato di buono?»
«La pissaaaaa! – urlò la piccola – Io l’ho aiutata a fare tutto! Vero, Luly?»
«Ma certo, peste. Sei stata bravissima.»
«Tesoro, sarai un’ottima cuoca da grande: non come zio Simone!», rincarò Beppe.
«Sì, però zio è chic.»
Simone fece un ghigno.
«La bocca della verità ha parlato.»
Lou si accinse a tornare all’interno della casa e la piccola chiese di scendere dalle braccia di Simone per affiancarla, dandole le mano.
«Forza, muovete le chiappe, maschi!», disse la bambina ridendo.
«Evangeline!», esclamarono in coro Karl, Lou e Beppe.
Simone seguì in fila indiana la sua stramba famiglia, ridendo con gusto.
 
 
*****
 
 
«Lou, è tutto perfetto. Sei come sempre un amore. Anche se l’uscita del libro è stata posticipata tu sei stata l’unica tra tutte le illustratrici a consegnare in anticipo tutte le tavole! Ti adoro!»
Sara, la ragazza che si stava occupando dell’editing e della grafica del libro le parlava al di là del cellulare, mentre lei si affannava correndo e scansando persone per non perdere la metropolitana intasata dell’ora di punta.
«Sara, sono felice! Ti sento male, sto per salire in metro: se cado, ti richiamo io, ok?»
«Tranquilla, volevo solo salutarti: in ogni caso ti ho spedito una mail con tutti i dettagli. Appena puoi, rispondimi. Ci sentiamo, devo andare: la “capa” mi sta facendo segno di andare da lei!»
«Okay, a dopo Sara! E grazie!»
Lou saltò al volo all’interno del vagone un istante prima che le porte si chiudessero.
“Odio questa città. Odio i mezzi pubblici. Odio la gente!”, pensò in uno slancio di insofferenza.
Un ragazzo gentile le offrì il suo posto e lei lo guardò esterrefatta: nessuno ormai aveva più gesti di gentilezza simili.
«Prego signora, si sieda pure!»
“SIGNORA?!”
Lou avrebbe voluto prendere la sua testa ben pettinata e sbatterla ripetutamente sul vetro. Ringraziò con un sorriso tirato il ragazzo che come unica colpa aveva quella di essere gentile ed educato con una strega acida e irritabile come lei.
Si sedette chiudendo gli occhi: non vedeva l’ora di arrivare a casa.
Il suo lavoro part-time presso una piccola libreria non le rendeva di certo la vita meno amara; era fortunata ad aver trovato quel piccolo lavoro, seppure mal pagato.
Poteva mugugnare e parlare solo se necessario e a bassa voce, non doveva essere per forza tirata a lucido o essere alla moda. Come le diceva sempre Simone, era la perfetta bibliotecaria attempata e zitella: acida e scontrosa.
Ripensò al suo lavoro a Helsinki: le sembrava lontano anni luce.
Sospirò a voce alta, attirando l’attenzione della signora seduta accanto a lei.
Le sorrise automaticamente e questa la fulminò con gli occhi.
“Dammi la pazienza.” – pensò Lou sempre più irritata.
«Lù? Sei proprio tu?»
Lei seguì con gli occhi la voce che la chiamava, con una sensazione di freddo improvviso nonostante il caldo soffocante all’interno della carrozza.
“No, aspetta non darmi la pazienza: dammi un cappio e facciamola finita!”.
Il suo ex ragazzo Andrea, seduto di fronte a lei la guardava con gli occhi quasi fuori dalle orbite.
Due milioni di abitanti e lei beccava il suo ex, sulla stessa tratta di metropolitana, in mezzo a mille altre persone.
«Andrea…»
La metro si fermò bruscamente e gran parte delle persone si accalcarono per scendere, mettendosi fra loro.
Continuava a guardarla costernato.
Si chiese che avesse mai di strano perché lui la guardasse in quel modo.
«Se non avessi sospirato, non ti avrei riconosciuta…», disse alzandosi improvvisamente e sedendosi accanto a lei, nel posto lasciato vuoto dalla signora simpatica quanto una colica di poco prima. Lou lo guardò più attentamente notando che non aveva più l’aspetto patinato e perfetto di quattro anni prima. I suoi capelli erano più radi sulla fronte e aveva rughette intorno agli occhi, e intravedeva anche qualche filo grigio qui e là. Non che questo lo rendesse meno attraente. Tutt’altro.
«Cosa ci fai qui a Roma?», chiese sorridendole.
«Ci vivo.»
«E da quando? Ti ho lasciata a Helsinki…»
«Mi stai seguendo per caso?», scherzò ironica.
«Sono qui da qualche settimana… mia madre non sta bene e sono venuto qui per assisterla.»
«Mi spiace…», biascicò, pentendosi subito di essere stata brusca.
«Sei diversa.», disse guardandola attentamente.
«Anche tu… stiamo invecchiando, vero?»
«Intendevo che sei diversa anche da come parli, qualcosa nella tua voce… come guardi.»
«Mi hai vista due minuti fa e già noti tutte queste cose?»
«Ti conosco da quindici anni, Lù… so come eri.»
«Sì, una stupida.»
Lui abbassò gli occhi, non rispondendo nulla.
«Mi dispiace.»
«Per cosa?»  - chiese buttando un occhio alla fermata: mancavano ancora due per la sua.
«Per tutto quanto… per averti delusa, trattata male, per averti tradita.»
«È un po’ tardi per quello, non credi?»
«Sì, lo è, ti chiedo scusa anche per questo…»
«Andrea, è passato tanto tempo… ho rimosso quasi tutto del nostro passato.»
«Anche il fatto che eravamo innamorati?»
«Io lo ero.»
Lui la guardò amareggiato. Quel nuovo Andrea la stava depistando: cos’era tutta quella consapevolezza? Era diventato improvvisamente grande?
«Lo ero anche io. Ti amavo tanto.»
«Non me ne sono mai resa conto.»
«Lulù, ti prego…»
«Non sopporto quando mi chiamano così.»
«Lo so, scusa…»
Andrea che chiedeva scusa era fantascienza.
«Questa è la mia fermata… devo scendere. È stato… interessante rivederti…», disse alzandosi.
«Aspetta, posso accompagnarti fino a casa?», chiese alzandosi a sua volta.
«Okay… come vuoi.»
Scesi nel caos della metropolitana, tra centinaia di persone che scorrevano fra loro come un fiume umano, lui continuava a guardarla tenendole il gomito per evitarle di sbattere contro i passanti. Quel nuovo Andrea attento e premuroso le faceva paura. E le faceva paura quello che vedeva nei suoi occhi. Le camminava silenzioso al fianco, sbirciandola di tanto in tanto.
Si schiarì la voce, continuando a camminarle sempre più vicino e guardarla con la coda dell'occhio.
«Perché hai lasciato Helsinki? Avevo l’impressione che avessi finalmente trovato il tuo posto nel mondo, l’ultima volta che ci siamo visti.»
«Sono successe cose che mi hanno riportata qui.», rispose seccamente tagliando corto.
«Lo so, ho saputo di Mara… mi dispiace tanto. So quanto le volevi bene…»
Lei non rispose, limitandosi ad annuire.
«Ora che fai? Stai lavorando? Sei… fidanzata? Sposata?»
Lui sorrise ironica. Ecco che il vecchio Andrea sbucava e faceva le sue indagini neanche tanto velate.
«Ho alcuni progetti di illustrazioni e roba simile, lavoro part time in una libreria e… no: non sono fidanzata o sposata. E tu?»
Tanto valeva fingere di fare un’amabile conversazione: era quasi arrivata e presto si sarebbe concessa una lunga doccia e poi un bel film.
«Sì, sono… sposato. E divorziato.»
“Ah, ecco.”
«Sophie?»
«Sì, lei. Abbiamo una bambina. Che non mi fa vedere quanto vorrei.»
«Mi dispiace.»
«Anche a me… Ti va di vederci qualche volta? Come amici, ovviamente! Ci sono tante cose che vorrei dirti.»
Lei sorrise, serena e sicura di sé una volta tanto.
«Non credo sia una buona idea: quello che dovevo dirti, quello che abbiamo avuto è passato e ognuno di noi ha la sua vita, ora.»
«Lù, non voglio riallacciare i rapporti con te, fidati di me. So bene di non essere degno della tua fiducia e che la mia parola per te vale meno di niente. Ho capito i miei sbagli: non avrei mai dovuto lasciarti per Sophie. Per nessuna al mondo avrei dovuto farlo. Ma l’ho fatto e me ne pento. Ogni giorno da allora. Vorrei solo avere la possibilità di chiederti scusa.»
«Lo hai fatto, lo stai facendo. Credo sia abbastanza così. – disse Lou guardandolo seria – Ma credo anche che vedersi “come amici” non ha alcun senso. Non siamo mai stati amici noi due.»
«Potremmo esserlo, se vuoi.»
Gli lanciò un’ironica occhiata esaustiva e chiara.
«Già… avrei dovuto immaginarlo. Me lo merito, del resto. È la stessa faccia che ha fatto Nur quando sono tornato a cercarti.»
«E quando è successo questo?»
«Qualche mese dopo essere stato da te: Sophie mi aveva appena detto di essere incinta e io mi ero fatto prendere dal panico. Avevo bisogno di vederti. Non ero pronto ad essere genitore, ero spaventato…»
«…e hai pensato bene di correre dalla stupida Lou, sperando che ti offrisse una via d’uscita dalle tue responsabilità.», concluse lei al suo posto.
«Sì, speravo questo. – ammise lui – Ma speravo anche che tu mi rivolessi indietro, che mi volessi come mi volevi un tempo.»
«Perché? Tu non mi volevi. Io non ero abbastanza bella, figa, cool e chissà cos’altro, per te.»
«Tu eri sempre stato il mio porto sicuro. Me ne sono reso conto soltanto quando hai smesso di amarmi. Solo quando ti ho sentita lontana mi sono reso conto di quanto mi mancassi e di quanto fossi importante per me. Ma non ho mai saputo dimostrarlo.»
«Beh, le chiamano occasioni perdute proprio per questo: se sapessimo riconoscere il loro valore reale al momento giusto, non ci comporteremmo da perfetti idioti. È normale.»
La bocca di Andrea si piegò in una smorfia.
«Nur me ne ha dette di tutti i colori e aveva ragione. Non mi ha picchiata solo perché quel cantante da strapazzo era lì e le ha impedito di saltarmi al collo.»
«Cosa? – chiese Lou con la bocca improvvisamente secca – Di cosa parli?»
«Quel damerino freddo e rachitico che abitava di fronte: l’ho sempre detestato. Così altezzoso e pieno di sé, con quel suo sguardo gelido.»
«Ville non è freddo e pieno di sé, e di certo non è gelido! Non sai nulla di lui, quindi sta’ zitto!» – sbottò lei, indispettita.
Lui la guardò, curioso.  «E tu invece lo conoscevi?»
Lou aprì la bocca per freddarlo, ma la richiuse di scatto.
«Senti, ora devo andare. Sono stanca.»
«Eri tu… - disse lui ignorando che avesse parlato, come folgorato da un’improvvisa rivelazione – Eri tu allora, la sua ragazza. Non Nur. Certo che non era Nur: non è il tipo di uomo che potrebbe piacerle…»
«Non so di cosa tu stia parlando ma ti sbagli.»
«No che non mi sbaglio. Eri tu. Ora tutto torna: Nur preoccupata che mi inveisce contro, lui afflitto sul divano, la canzone…»
«Ma che cosa stai blaterando? – chiese infastidita – Non riesco a seguirti!»
«L’ho sentito cantare in una o due occasioni: sai in quei concerti per pochi intimi. A Sophie è sempre piaciuta la musica metal, anche se ho sempre avuto il sospetto che a piacerle fossero di più i metallari e di musica non capisse niente. L’ho sentito cantare una canzone, sentivo Sophie e le sue amiche commentare che fosse per una ragazza italiana… Ma non avrei mai pensato a te. È così? Eri tu? Era lui quello che vedevi?»
“Sarebbe stato meglio perderla la metro oggi.”
«Sì.», ammise a denti stretti.
«Capisco… e lo amavi?»
«Sì.»
«Se lui ti chiedesse di rivedervi, diresti di sì?»
«Ma che domande fai, Andrea?»
«Rispondi: accetteresti?»
«Sì. Accetterei.»
Lui annuì.
«Quindi è così. C’era lui e c’è ancora.»
Lou lo fissò esasperata.
«Andrea! Davvero non so dove vuoi andare a parare… stiamo parlando di cose accadute anni fa. Che non ho voglia di rivangare. E non dovresti farlo neanche tu.»
«Hai ragione, come sempre… - sospirò rassegnato – Beh, per quanto possa valere credo che se ancora provi qualcosa per lui, dovresti dirglielo. Anche se a lui non importa più di te. Fa bene in ogni caso togliersi un peso dal cuore.»
Lou continuava a guardarlo e pensare che fosse impazzito e nello stesso tempo che stesse dicendo una delle cose più sensate mai uscite dalla sua bella bocca virile.
«Ed è così che ti senti ora? Ti senti più leggero ora che mi hai chiesto scusa?», chiese sbrigativa e più duramente di quanto volesse.
«Sì, mi sento meglio.»
“Bene: almeno uno dei due è felice oggi.”
«Sono contenta per te. Ora vado. È stato… mi ha fatto piacere rivederti. Spero per te che le cose vadano meglio d’ora in poi.»
Le si avvicinò, abbracciandola improvvisamente e stringendola a lungo.
Aveva dimenticato com’era stare tra le braccia dell’uomo che un tempo aveva amato disperatamente, aveva dimenticato l’odore della sua pelle e per un attimo fu come tornare a casa, ma fu incapace di ricambiarlo. Lasciò cadere le braccia lungo i propri fianchi, rimanendo immobile.
«Se potessi tornare indietro… - sussurrò lui – Se potessi rimediare a tutto e tornare ad essere quelli che eravamo una volta. Darei qualsiasi cosa ora, perché tu mi guardassi ancora come facevi prima…»
Lei rimase senza parole, non sapeva cosa dirgli, cosa rispondere ad un Andrea così diverso da come lei lo conosceva. Sarebbe stato più facile avere a che fare con il ragazzo presuntuoso e immaturo di un tempo, che imprecava e pretendeva che tutto fosse come lui voleva. Le sarebbe piaciuto rispondere in qualsiasi modo e non rimanere in silenzio. Ma rimanere muta fu esattamente quello che fece.
Andrea si staccò da lei e la guardò di nuovo.
«Stammi bene, Lù!», sussurrò infine non aspettando una risposta, voltandosi e camminando velocemente.
«Anche tu, Andrea…»
Fissò la sua schiena diventare sempre più piccola e poi sparire all’incrocio.
Non era cambiato nulla nel suo mondo, eppure si sentì un po’diversa: come se qualche tassello mancante si fosse assestato. Forse Andrea aveva ragione: parlare e togliersi dal cuore un peso portato per anni aiuta a sentirsi meglio. Fino all’ultimo aveva pensato di dirgli del loro bambino mai nato. Aveva preferito non farlo. Non avrebbe fatto altro che fargli rimpiangere tutto ciò che aveva perso e per quanto la gente dicesse che la vendetta è un piatto che va servito freddo, lei preferiva di gran lunga dimenticare.
Sospirò di nuovo con un senso di amarezza per gli anni passati ad amare Andrea e che ora per lei non avevano alcun significato. Sarebbe stato così anche con Ville? Ci sarebbe stato un tempo in cui lo avrebbe solo ricordato con rimpianto senza sentire più nulla nel cuore pensando a lui? Una parte di lei voleva credere che per quanto tempo potesse passare, Ville sarebbe sempre stato presente e vivido nei suoi ricordi come nel cuore.
 
 
*****
 
 
Simone saettava per la stanza imprecando a destra e manca contro chiunque gli capitasse a tiro.
Beppe scambiò un’occhiata rassegnata con Lou che alzava di tanto in tanto lo sguardo dallo schermo del  computer per osservare il suo amico, accigliata.
«Ti dai una calmata? Andrà tutto bene.», disse Lou piccata.
“Sta’ zitta, traditrice! Mi hai mollata all’ultimo minuto e ho dovuto allungare di dieci centimetri il vestito da sposa che avevo creato per te! Me la paghi!»
Lou sbuffò, logorata. La sfilata di Simone che si sarebbe tenuta giorno successivo era pronta nei minimi dettagli, tutto era perfetto e lui continuava ad agitarsi e correre a caso per l’appartamento.
«Tesoro, ti va un bagno caldo?», provò a dire Beppe prima di essere interrotto bruscamente.
«Per cortesia, non ti ci mettere anche tu, okay? Ho già abbastanza agitazione addosso, ci mancate soltanto voi con la vostra calma!»
«Oh per la miseria, ora stai esagerando!  - sbottò Beppe esasperato, alzandosi repentino – Lou, usciamo e andiamo a fare un giro. Non ne posso più di star qui a subire il suo ingiustificato malumore!»
«Ecco, sparite. È meglio!», replicò l’altro, velenoso.
Lou seguì con piacere Beppe afferrando al volo la tracolla.
Scesero in silenzio i sette piani di scale. Beppe era davvero arrabbiato questa volta. Lou sospirò di nuovo: egoisticamente ne era felice perché il suo amico, preso com’era dalla sua sfilata, aveva dimenticato il concerto degli HIM e smesso di tormentarla.
«È impossibile stargli vicino quando è così… così…», esclamò Beppe camminando infuriato, non appena misero piede all’esterno del palazzo.
«Così Simone? Già, lo so.», disse Lou, faticando a tenergli dietro.
«Non lo sopporto quando è così esagerato. Rende la vita invivibile a tutti!»
«Ora calmati e rallenta: le mie gambe non sono lunghe quanto le tue!»
«Oh, scusa… - rispose adeguando il passo a quello di Lou – Non so come comportarmi con lui.»
Lou alzò le spalle e infilò un braccio sotto quello di Beppe.
«Mandalo al diavolo e fuggi via con me.»
«E dove vuoi andare?», chiese lui, stando al gioco.
«Ovunque ci porterà il vento… l’importante è che sia lontano dallo stilista isterico.»
«O il cuore…»
«Quello è  meglio non seguirlo. Porta solo guai.»
Lou respirò a pieni polmoni. L’aria autunnale le piaceva: amava l’odore della pioggia sui ciottoli ancora tiepidi.
«Sei sempre sicura di non volere andare al concerto? Puoi cambiare idea quando vuoi: i biglietti ci sono.»
Lei gli batté sulla mano.
«Sono sicura. Non chiederlo più…»
«Beh, sai  - disse allusivo – il vento potrebbe anche portarti nello stesso posto del cuore.»
«Non ci provare…»
«Ci proverò sempre. – ribatté lui – Vorrei vederti felice.»
«Ma io lo sono: ho te, ho un amico isterico che vorrei uccidere a mani nude un giorno sì e l’altro pure, una specie di lavoro che mi permette di mantenermi… Ho Evangeline e Karl: cosa potrei desiderare di più?»
Beppe la guardò in tralice.
«Ti manca l’unica cosa che vuoi veramente.»
«Già, ma è il prezzo che pago. E no, –  lo anticipò notando che lui apriva la bocca per parlare e ribattere - non torno indietro. Quindi non dire più nulla.»
Lui alzò entrambe le mani in segno di resa e le passò un braccio intorno alle spalle.
Camminarono per un po’ in silenzio godendosi finalmente l’aria frizzante e il silenzio della sera.
«Hai sentito Karl? Come se la passano?», chiese Beppe per cambiare discorso.
«Sì, oggi… a dire la verità mi è sembrato strano. Mi ha dato l’impressione di essere molto preoccupato per la piccola: non vuole andare all’asilo, non vuole giocare con gli amichetti e i cugini.»
«C’era da aspettarselo: le manca casa.»
«Già. Sono in pena. Non so, vorrei andare per qualche giorno e…»
«E controllare che la bimba stia bene.  – le sorrise comprensivo - È da te. Non ce la fai proprio a starle lontano.»
«Perché tu sì? – gli rifilò un pugno sul braccio – Sei solo più bravo a nasconderlo.»
«Beccato. È normale che le manchi casa e che le manchiamo noi: lasciale il tempo per abituarsi.»
«Umpfh. Mi sento inutile qui.»
«Smettila. Mi servi per attutire i malumori del mio ragazzo che altrimenti sfogherebbe sempre su di me. Non puoi lasciarmi.»
Lou rise, buttando indietro la testa e lo guardò con un sopracciglio alzato.
«Ah beh, grazie eh! Bell’amico!»
«Lo so, faccio del mio meglio.»
Lo squillo del cellulare interruppe le loro risate.
«Deve essere lui che mi ordina di tornare a casa: – proruppe Beppe – scommettiamo?»
Lou ridacchiò sotto i baffi: Simone sbraitava a inveiva e rompeva le scatole a tutti come nessun’altro al mondo, ma non sapeva vivere senza il suo Beppe.
«Sì? Stiamo passeggiando. No, per ora non abbiamo intenzione di tornare. – rispose Beppe con voce imperturbabile alla raffica di domande – Perché ci stiamo godendo la nostra passeggiata. Come vuoi, se preferisci andrò a dormire da Lou stanotte, così non ti disturberò. Perfetto. Buonanotte.», disse chiudendo la conversazione.
«Addirittura? È così isterico da cacciarti dal suo letto?»
«Beh, se la facesse passare. Una cosa è certa: io almeno dormirò sereno stanotte!», disse aspro con un ghigno.
«Mi dai asilo politico?»
«Seratina gelato e film strappalacrime?», propose Lou.
«Andata. E nel frattempo cercherò di convincerti con la mia sottile arte della persuasione ad andare al concerto.»
Lou tornò a ridere suo malgrado.
«La tua costanza mi lusinga, ma perdi tempo.»
«Sarò la tua goccia cinese, donna: lenta ma inesorabile.», ridacchiò lui.
«Meglio una goccia che il bulldozer emotivo che è il tuo ragazzo.»
«Dai torniamo a casa, infiliamoci nei nostri pigiamini rosa e tuffiamoci sul divano a vedere film romantici e mangiare gelato fino a scoppiare!»
Lou si strinse al suo braccio, posando la testa contro la sua spalla.
«Lo dico sempre che sei la mia anima gemella!»
 
 
*****
 
 
Lou schivava lesta, con un cocktail in una mano e una birra per Beppe nell’altra, la marea di gente che stazionava nel locale minuscolo che avevano scelto per festeggiare il successo di Simone con pochi amici intimi.
Odiava ogni singolo momento di quel post-serata.
La sfilata di Simone era stata grandiosa: a due minuti dall’inizio si era completamente rilassato e reso a tutti le due ore successive, assistenti, modelle, parrucchieri e make up artist, una vera pacchia. Era stata una sfilata bellissima e lei era orgogliosa del suo amico. Tutto si poteva dire di lui, ma non che non avesse talento. Si era pentita di non aver accettato di indossare l’abito che Simone aveva disegnato per lei, quando lo aveva finalmente visto apparire.
Simone aveva dato al tema della sfilata quella del sogno e il vestito era così bello, etereo e delicato, quasi impalpabile, da dare sul serio l’idea che ci si trovasse in un sogno. La modella sembrava fluttuare sulla passerella: di certo indosso a lei non avrebbe sortito lo stesso effetto, ma lo aveva amato fin dalla prima occhiata anche se l’idea di indossare un abito da sposa seppur per finta, le faceva venire l’orticaria.
La notte precedente, in preda alla sua consueta insonnia, aveva maturato l’idea di andare finalmente da Evangeline e Karl. Inutile rimandare una decisione che aveva preso nell’esatto momento in cui guardava il fuoristrada allontanarsi dalla casa al mare. Aveva prenotato online il primo volo disponibile e preparato la valigia: tanto valeva sfruttare l’insonnia in modo produttivo.
Così si era preparata una tisana rilassante e vagato in rete senza una meta precisa. Non usava spesso i social network anche se era l’unico modo per rimanere in contatto con i suoi conoscenti in Finlandia e spulciando la home page capì anche il perché: pullulava di video e foto di Helsinki e lei sentiva ancora di più la nostalgia. Tra i suoi contatti non mancavano fan di ogni genere di band finlandese e gli HIM non erano da meno. C’erano diversi video e foto del primo dei tre concerti che si sarebbero tenuti in Italia.
Ci aveva provato davvero a non guardare e ignorare. Ce l’aveva messa tutta.
Ma aveva aperto la foto e fissato inebetita Ville.
Aveva dimenticato quanto fosse bello e quella foto non faceva che esaltarne ogni dettaglio.
I capelli castani spuntavano dal consueto beanie nero, arricciandosi in riccioli e onde fino a sfiorare le spalle. La sciarpetta immancabilmente nera, sopra la t-shirt anch’essa nera.
E il verde. Il verde vivido e intenso dei suoi occhi.
Era in pace come sempre quando cantava, Ville.
Non c’era traccia di malinconia o altro in quegli occhi e lei ne era felice.
Aveva guardato quella foto e si era chiesta come aveva fatto ad andare via e vivere senza di lui per tutto quel tempo.
 
“Come ho fatto a continuare la mia vita senza quegli occhi?”
Qualcuno diceva che si può morire per amore, ma lei l’aveva sempre ritenuta una grande stronzata.
Si può benissimo continuare a vivere anche se ti mancherà per sempre un pezzo di anima.
 
“Perché batte il cuore?”
Il suo continuava a battere ma sapeva anche perché non batteva più come prima.
Per il momento aveva solo una risposta a quella domanda, ed era negli occhi verdi di Ville fatti di pixel ad alta risoluzione, che nulla avevano però della loro bellezza reale.
 

******





"Angolo dell'autrice:
Sorpresaaaa! So che non ve lo aspettavate così presto, ma dal momento che il capitolo è pronto da un bel pò mi sembrava inutile rimandare! So che molte di voi hanno fatto i salti di gioia nel ritrovare il defunto Andrea (la maiuscola ora se la merita per avere ammesso di essere un emerito cazzone).
Allora? Che ne pensate? Sono riuscita a farvelo diventare un pochino simpatico? Personalmente ho sempre amato i personaggi controversi e con qualcosa di malvagio e non ammirevole: non so se Andrea sono riuscita a dipingerlo a dovere, o è sembrato un patetico sfigato, egoista.

Siamo alle battute finali e mi preme ringraziare prima di tutto mia mugliera,
Deilantha per avermi fatto da Beta Reader fin da quando ho iniziato a postare su questo sito, per avermi supportato e sopportato, per tutte le volte che mi ha risollevato il morale e spronata. E in secondo luogo robpattzlovers prima e eleassar per essersi aggiunta successivamente: rinunciare a loro mi è costato un pò: avevo paura di lanciarmi da sola, senza supporto o consigli ma era un qualcosa che sentivo di dover fare per poter camminare da sola d'ora in poi e acquistare quella sicurezza che spesso ho cercato in loro.
Grazie infinite donne, per tutto quanto e voi lo sapete che penso, quindi... tanto love a voi. <3

Voglio ringraziare le gentili donzelle che hanno recensito l'ultimo capitolo:

Dadda_HIM, eleassar Lady Angel 2002, cla_mika, katvil, DarkViolet92, apinacuriosaEchelon, LilyValo,  angelinaPoe, saraligorio1993, Izmargad.
 
*Molte di voi sapranno del mio amore viscerale, spassionato e incondizionato per
Sheldon Cooper di "The Big Bang Theory" e non potevo non citarlo almeno una volta in questa fic.
**Per il titolo al capitolo mi sono ispirata a HIM - Beyond Redemption (Love Metal).

E niente...ci si rivedere per gli ultimi due, spero, capitoli!
Abbraccio forte a tutte!

Vi aspetto nel Gruppo Facebook dedicato alle discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa, inclusi insulti e minacce varie, intervallati a momenti d'ammmore per Lou e Ville!

Siete le benvenute.
Alla prossima!
Baci baci,

*H_T*




testo.

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Capitolo trentadue: "Northern Light, you call me home" ***






Image and video hosting by TinyPic

Capitolo trentadue
"Northern Light, you call me home"
Image and video hosting by TinyPic

«Guarda Luly, ci sono i cerbiattoli!», disse eccitata la bimba.
«Sono scoiattoli, Evangeline. Sono carini, vero?»
«Sì, come quello dell’Era Glaciale!»
«Vero, come Scrat…», rispose Lou, baciando i capelli della piccola.
Sei giorni prima al suo arrivo a Colonia, aveva trovato una bambina diversa da quella che aveva lasciato l’Italia solo qualche settimana prima. Karl aveva ragione di essere ansioso, perché la bimba che conoscevano come vitale e combattiva era diventata di colpo timida e svogliata. Si era illuminata nel vedere
Lou e per un giorno intero non era voluta scendere dalle sue braccia.
Karl aveva permesso alla figlioletta di dormire con lei a patto che non diventasse un’abitudine.
Aveva fatto bene a correre da loro: il suo sesto senso le diceva sempre la cosa giusta.
Beh, quasi sempre.
La nonna della piccola al contrario non era stata molto contenta del suo arrivo: l’aveva squadrata con la sua aria gelida e altezzosa, facendola sentire a disagio. E lei dopo un primo istante di smarrimento aveva alzato le spalle e pensato che poteva andare a farsi fottere lei e la sua superbia. Aveva visto quella donna soltanto una volta dalla nascita di Lilly, al funerale di Mara e anche allora andava di fretta. Era ripartita il giorno seguente, senza tanti problemi. E ora pretendeva che si facesse da parte? Se lo poteva anche scordare.
Aveva fatto una promessa a Mara: quella di esserci sempre per la bambina e di fare quello che anche lei avrebbe fatto.
«Ora che ci sei anche tu, potresti aiutarmi a trovare un piccolo appartamentino per me e la bambina?» – le aveva chiesto Karl ancor prima che lei salisse sulla sua auto, in aeroporto.
«Perché, non avevi deciso di vivere con tua madre?»
«Beh, sì: all’inizio, per aiutare Lilly ad ambientarsi avevo pensato che fosse la soluzione migliore… ma adesso…» Aveva titubato lui.
«Adesso cosa?»
«Avevo dimenticato quanto fosse stressante vivere con lei.», le aveva sorriso con un’alzata di spalle.
«Oh, capisco… va bene. Ti aiuto volentieri, anche se non capisco a cosa ti servo io. Sei bravissimo in queste cose.»
«Ecco… », si era schiarito la voce, imbarazzato. «Pensavo di chiederti di venire a vivere qui.»
Lou lo aveva fissato come se fosse improvvisamente impazzito.
«Cosa?»
«Aspetta: non saltare subito a conclusioni. Ho solo pensato che la tua presenza qui potrebbe evitare che Evangeline si chiudesse ancora di più e iniziasse ad avere problemi seri. E ho pensato che dal momento che hai concluso il tuo impegno con le illustrazioni del libro potevi liberarti, e in ogni caso potresti lavorare ai prossimi anche da qui… e anche per il part time in libreria…»
«Karl, non so che dire: sai che per Lilly farei qualsiasi cosa, ma davvero... Questa cosa mi coglie impreparata.»
«Lo so e hai tutto il tempo che vuoi per pensarci. Capirei anche se tu rifiutassi, anche se mi auguro che accetti.»
Lou continuava a guardare fuori dal finestrino, in silenzio.
«Non credo sarà facile trovare un lavoro qui.»
«Lou, andiamo: è più probabile che tu trova qualcosa qui che sia di tua competenza, che in Italia. E poi anche se non trovassi niente, non ci sarebbero problemi!»
«Non dire assurdità: non voglio mica fare la mantenuta!»
«Guadagno abbastanza per poter mantenere altre tre persone e sai che i soldi non sono mai stati un problema per me: ci accontentiamo di poco.»
«Non lo so… dammi il tempo di pensarci su, va bene?»
Karl aveva sorriso, alleggerito.
«Hai tutto il tempo che vuoi per decidere.»
 
E così ora si trovava sulle rive del Reno mentre passeggiavano in lungo e largo per il Parco omonimo con la piccola Lilly, aspettando che Karl le raggiungesse, godendosi la prima giornata di sole da quando era arrivata.
Eccola lì a prendere una decisione che avrebbe dato nuovamente una svolta alla sua vita.
Col passare delle ore quella proposta le sembrava la decisione giusta: Roma le provocava stress e anche il suo dirimpettaio, si sentiva inutile e con la perenne sensazione di perdere del tempo prezioso.
«Tesoro, ti piacerebbe se rimanessi qui con voi, fin quando non torniamo a casa?», chiese alla piccola che le saltellava contenta accanto indicando ora un gruppo di bambini intenti a tirarsi la palla, ora una barca  che passava lungo il fiume. Lilly strinse la manina nella sua e guardò in su strizzandole gli occhi verdi.
«Sì! Tanto tanto: così è come quando siamo in Italia a vieni da noi a casa nostra?»
«Certo: ma sarà per tanto tempo. Che dici, vuoi che rimanga qui?» La piccola annuì energica.
«Bene… ci divertiremo un sacco noi due, qui!», disse solleticando la mano della bambina che rise deliziata.
«Però la collana ce la teniamo lo stesso anche se siamo vicine!»
«Ovviamente!»
«Non mi piace nonna Ilse: mi sgrida sempre quando parlo in italiano.», continuò la bambina.
«È perché lei non lo capisce, tesoro.», disse Lou difendendo la donna che trovava lei stessa odiosa. «Quando sei con lei parla solo in tedesco, va bene?»
«Okay. Ma non mi piace lo stesso.»
Lou sorrise sotto i baffi: la piccola era schietta e diretta quanto lo era stata Mara.
«Fra un po’ avrai una casa nuova e vedrai la nonna solo ogni tanto.»
«Menomale.», disse la bimba. «Luly, possiamo chiedere a zio Pepè e zio Simone di venire anche loro qui? E di portare Calzetta e Natale? Mi mancano tanto e anche io manco a loro!»
I due animali domestici erano stati affidati temporaneamente a Katia che aveva una casa con giardino dove poteva permettersi di ospitarli; inoltre erano familiari al felino e alla cagnetta, che stravedeva per la piccola Valentina.
«Vedremo, tesoro. So che ti mancano tanto. Ma non devi preoccuparti per loro: c’è Vale che fa loro tante coccole anche per te, lo sai?»
«Sì, lo so. Ma sono i miei amici e mi mancano. E anche Valentina mi manca.»
«Piccola mia…», Lou le strinse la mano. «Vedrai che torneremo a casa molto presto.»
La notte precedente aveva scritto una lunga mail a Simone e Beppe e anticipato che era possibile che rimanesse a Colonia più a lungo di quanto avesse programmato.
Attendeva a breve una risposta piccata e colorita da parte di Simone e un “lo immaginavo!” da Beppe.
Sentiva il bisogno di allontanarsi da tutto e ricominciare da capo, ma non sapeva ancora se quella era la strada giusta. Qualcuno avrebbe detto che stava di nuovo fuggendo e forse era così. È difficile trovare una nuova casa per la propria anima quando la si è persa già una volta.
«Sono stanca, Luly: ci sediamo?»
«Vuoi tornare a casa? Oppure troviamo una panchina comoda e stiamo ancora un po’: oggi è una bella giornata e c’è il sole.»
«No, voglio stare qui a guardare le barche.»
Poco più in là vide una panchina ancora libera e si affrettò prima che qualcuno la occupasse prima di loro.
Si sistemò la bambina sulle ginocchia e insieme guardarono verso il fiume di fronte a loro. Le piaceva quella città: in qualche modo le ricordava Helsinki, anche se erano completamente diverse.
Forse era per l’atmosfera o il clima: fatto stava che per la prima volta da anni si riempiva i polmoni di aria frizzante.
Il giorno precedente lei e Karl si erano messi in moto per vedere qualche appartamento: ne avevano trovato uno disponibile quasi in centro, molto vicino al posto di lavoro dell’uomo.
Lei stava aspettando Karl, guardando distrattamente le vetrine in compagnia della piccola Lily che non aveva voluto saperne di rimanere a casa con la nonna.
I negozi eleganti e costosi erano sulla via principale mentre lei preferiva di gran lunga le piccole botteghe artigiane o i minuscoli e polverosi negozi di dischi che vendevano ancora vinili.
Era proprio in uno di questi che aveva visto il poster del concerto degli HIM.
Il giorno successivo avrebbero suonato in quella città.
 
“Valo, mi perseguiti. È impossibile che tu lasci la mia mente, anche quando non ti penso, sei tu a cercarmi.” – pensò quasi divertita, con la stranissima sensazione di sentirne quasi la presenza lì vicino, con lei.
Sembrava che il destino si stesse divertendo parecchio in quel periodo.
“E chi sono io per deludere il destino?”, pensò.
Sorrise a Karl che stava arrivando con un sorriso raggiante sul viso, si avvicinava e con in braccio la bambina le cingeva le spalle, dandole un bacio sulla fronte.
Avrebbe fatto bene a farci l’abitudine, non sarebbe sicuramente stata l’ultima volta che si trovava di fronte ad una foto di Ville.
Col tempo anche quello non l’avrebbe più scalfita.
Col tempo avrebbe ripensato al periodo con lui come un qualcosa di bello e magico da raccontare un giorno alla piccola Evangeline.
 
 
 
*****
 
 
 
«Forse dovresti uscire a prendere una boccata d’aria, piuttosto che stare qui a rompere le palle a tutti con il tuo muso e le tue rispostacce acide e cattive!»
La voce dura ed esasperata del suo migliore amico nonché bassista della sua band, gli sferzò lo stomaco come un pugno. Lui era la sua roccia sul palco e fuori da esso, quello che lo riprendeva sempre per la collottola quando ne combinava una delle sue e che bene o male sopportava le sue bizze, e ora gli stava dando una strigliata più che meritata.
Il tour era agli sgoccioli e le date in Germania sarebbero state le ultime: dopodiché sarebbero tornati tutti a casa per un lungo periodo di riposo.
Si rendeva conto di aver reso la vita della sua band e dello staff un vero inferno. Prima e dopo le date in Italia era stato quasi impossibile rivolgergli la parola senza che lui scattasse come una molla, nervoso.
Si passò una mano sul viso stanco e annuì all’indirizzo del suo amico. Aveva ragione: doveva uscire e darsi una calmata. L’idea di casa lo rincuorò: non vedeva l’ora di tornarvi e trovare un po’ di calma interiore. Inoltre le mancava la sua gatta: lasciarla nelle mani della sua famiglia era stata una buona idea.
Amy si era offerta di tenerla per lui dopo la delusione della notizia che non sarebbe andata con lui in tour.
«Non ho bisogno della badante e non voglio nessuno intorno quando scendo dal palco: l’unica cosa di cui ho bisogno è una birra e un letto. E tanto silenzio.» Le aveva detto rudemente.
Afferrò la giacca e occhiali da sole tanto grandi da coprigli mezza faccia e uscì.
Il loro hotel era vicino al teatro in cui avrebbero suonato.
La luce lo accecò per qualche istante quando mise fuori il naso per la prima volta da mesi: non ricordava l’ultima volta in cui aveva passeggiato al sole. Prese a camminare senza una meta, osservando la gente intorno a lui, affaccendata ognuna nella propria vita e quotidianità.
Sperava che nessuno lo riconoscesse e si calcò ulteriormente il cappello sul viso.
L’ultima cosa che voleva era sorridere ed essere gentile forzatamente e fare autografi ai fan esagitati. Non sopportava di vedere l’eccitazione ed emozione di trovarsi di fronte al loro idolo trasformarsi lentamente in delusione, come spesso accadeva quando si rendevano conto che era scostante e per niente affabile.
Si infilò in una strada parallela meno affollata dove non vi erano che poche persone a camminare lungo la strada, continuando il suo stanco vagabondare.
Si annoiava già e il sole picchiava duro nonostante l’aria fredda: forse era il caso di rientrare in hotel e mettersi a dormire, piuttosto che arrivare alla sera successiva con un mal di testa da insolazione.
Girò sui tacchi e si immobilizzò improvvisamente.
Qualcosa aveva attirato la sua attenzione ma non capiva esattamente cosa fosse.
Poi tornò a guardare la donna intenta ad guardare una vetrina al di là del marciapiede in cui era lui.
Aveva i capelli corti e scuri, tagliati appena sotto le orecchie, leggermente mossi.
Un cappotto bianco, jeans e stivali neri.
Non aveva niente di appariscente da motivare la sua attenzione.
Ma qualcosa nel modo in cui la donna si muoveva, la linea della schiena… le ricordava qualcuno, le era stranamente familiare.
Teneva per mano una bambina che parlava e scalpitava e saltellava continuamente sul posto, facendo voltare la testa della donna nella sua direzione di tanto in tanto.
Poi lei si scostò i capelli, infilandoli dietro l’orecchio.
Quel semplice gesto lo colpì in pieno petto.
«Lou…»
Lei lo faceva allo stesso modo, indugiando un po’ sui capelli rossi e lisciandoli.
La donna aveva i capelli corti e scuri: non poteva essere lei.
Si girò, mostrandogli il profilo e lui tornò a sussultare.
Avrebbe riconosciuto quel profilo ovunque.
La donna sorrise alla bambina e una fossetta fece capolino sulla sua guancia.
Si spostò in modo da poterla vedere meglio.
Il vento gli portò la voce acuta della bambina che chiedeva qualcosa in italiano alla donna.
Lei continuava a sorridere e annuire alla piccola.
Quante possibilità c’erano che fosse lei?
Non era possibile, era soltanto la sua stanchezza e la voglia di rivederla che gli facevano avere visioni.
Era già capitato in passato che una ragazza con una vaga somiglianza con Lou attirasse la sua attenzione, ma era svanita fulmineamente così come era arrivata.
Osservò la linea del viso, il collo, le piccole orecchie.
«Non può essere lei…», disse rivolto a se stesso.
Quante possibilità c’erano che lei fosse lì, in un posto sconosciuto e improbabile, a pochi metri da lui?
C’era qualche decina di metri tra loro, non di più.
Qualche metro e una strada poco affollata.
La donna rise e l’unica certezza ancora flebile che aveva, svanì.
Lou.
Era lei.
Non aveva dimenticato la sua voce dolce e sottile così come non aveva dimenticato la sua risata, quasi timida.
Mosse un passo e fece per scendere dal marciapiede.
Ogni briciolo di rancore per lei si era sciolto come neve al sole.
Voleva parlarle, vederla ancora una volta.
Mosse un altro passo.
La bambina si staccò da lei e corse incontro ad un uomo alto e biondo che andava verso di loro con un sorriso. Prese la bambina in braccio e avvicinandosi alla donna le passò un braccio intorno alle spalle sottili posandole un bacio sulla fronte.
Lei gli sorrise, e si strinse a lui abbracciandolo in vita.
Pochi istanti e si stavano allontanando. Un perfetto quadretto di famiglia felice.
La donna si voltò improvvisamente dalla sua parte e lui girò sui tacchi, dandole la schiena.
In quella frazione di secondo non ebbe più alcun dubbio.
Era Lou. Diversa, eppure la stessa.
Rimase fermo davanti alla vetrina, immobile per un tempo lunghissimo, finché il proprietario dall’interno, non si avvicinò alla porta per lanciargli uno sguardo di rimprovero.
I suoi piedi si mossero da soli.
Lentamente tornò indietro verso l’hotel.
Quante possibilità c’erano che lei fosse stata lì, a pochi passi da lui e allo stesso tempo più lontana che mai?
Si rese conto che per quattro anni aveva vissuto nella speranza che lei tornasse prima o poi, o che pensasse a lui di tanto in tanto. Aveva fatto di meglio: aveva una famiglia.
Al contrario di lui che viveva in una casa dove la sua presenza impregnava ogni cosa e il suo ritratto occupava un posto di primo piano. Era così stupido indugiare nei sogni e nei rimpianti.
Nel tragitto fino all’hotel, in quei pochi minuti, promise a se stesso che avrebbe voltato pagina.
Una volta a casa si sarebbe disfatto di quel quadro e di ogni ricordo o speranza nutrita finora.
Era giunto il momento che aprisse le porte al futuro, qualsiasi cosa gli volesse portare.
Meritava anche lui qualcosa che potesse lontanamente somigliare alla felicità serena che aveva visto sul viso di Lou.
 


*****
 
 
«Le tende mi piacciono bianche, così quel poco di sole che ci sarà sembrerà più forte.»
«A me piacciono quelle gialle con Peppa Pig!»
«Scegliere tra quelle bianche e quelle col maiale, sarà dura…»
Karl scoppiò a ridere trascinandosi dietro anche la bambina.
Lou sospirò scuotendo la testa. Arredare il nuovo appartamento si stava dimostrando un compito più arduo del previsto: la piccola Lilly aveva una personalità forte e imperiosa.
Si era imposta su quasi tutto quello che sarebbe andato nell’arredo della sua stanzetta temporanea e ora pretendeva di decidere anche sul resto della casa. Era spaventosamente somigliante a Simone e la cosa li terrorizzava. Come se non ne bastasse uno!
Simone non aveva degnato di una risposta la sua mail.
Si era aspettata una lunga sequela di insulti e recriminazioni, ma lui semplicemente aveva deciso di non rispondere.
Al posto suo l’aveva fatto Beppe, invece.
E non si aspettava di certo la sua improvvisa aggressività: l’aveva chiamata a telefono ed era andato subito al dunque senza tergiversare o prendere le cose alla lontana, com’era suo solito.
«Sei impazzita? E lasceresti la tua vita qui, di nuovo?», le aveva chiesto rude.
«E quale sarebbe la mia vita lì, scusa?»
«Stai scherzando, vero? Hai un lavoro, una casa tua e se tutto va bene un futuro. E tu prendi e vai via solo perché la piccola non si è ambientata, in quanto… neanche un mese? Santo cielo! Datele tempo, è solo una bambina e si sa che sono molto più resistenti di quanto noi immaginiamo! Tu e Karl a volte siete esagerati!»
Lei era rimasta in silenzio, lasciando sbollire la stizza del ragazzo.
«Lou, stammi a sentire: devi lasciarli andare. Da soli. E tu iniziare una vita nuova. Non è tua figlia, Lou. Lui non è tuo marito. So che hai già avuto una discussione molto simile con Simone e all’epoca non ero d’accordo con lui. La bambina era così piccola e Karl fragile… e anche tu stavi meglio quando ti occupavi di loro. Ma ora le cose devono cambiare. Per il bene di tutti. Ti rendi conto di essere sempre punto e accapo e che non vai avanti in alcun modo? Devi pensare a te stessa!»
«Non capisco cosa cambia se io lavoro da qui a tutte le cose che potrei fare anche lì.», aveva ribattuto lei ostinata.
«Perché devono imparare a cavarsela da soli, anche senza di te. È troppo facile per Karl chiamare te quando le cose non vanno bene! E non è giusto! Per te, per la piccola Evangeline! È ora che se la cavi da solo con sua figlia!»
«Lo fa.»
«Oh, andiamo! La bimba ha il broncio e lui ti chiama: ha la febbre, chiama te e ti precipiti immediatamente. Potevo passarci sopra quando erano qui, a poche ore da noi. Ma volare in Germania solo perché lui si sente solo è da egoisti! Tranquilla: dirò le stesse cose anche a lui. È ora che qualcuno gli dica di cavarsela anche quando pensa di non farcela.»
«E da parte nostra non è egoistico lasciarli da soli?», aveva chiesto Lou, freddamente.
«Quando mai li abbiamo lasciati soli? Dimmi solo un’occasione in cui non siamo stati con loro! Ma è ingiusto chiederti di mollare tutto “perché tanto Lou lo farà per Lilly”.»
Beppe aveva ragione e lo sapeva.
Ammettere a se stessa che anche se era una cosa che desiderava non era la cosa giusta da fare, per tante ragioni. In due settimane si era resa conto che per quanto amasse la piccola Lilly e fosse a suo agio con Karl, dal di fuori tutti li vedevano come una famiglia. Cosa che non erano.
E lei sentiva un senso di colpa nei confronti di Mara.
Aveva promesso alla sua amica di esserci sempre per sua figlia, ma non prendendone di nuovo il posto com’era già successo.
«Non posso lasciarli su due piedi…»
«Non li stai lasciando, per la miseria! Se la caveranno da soli!»
«Ci penserò…»
«Lou. Stavolta non ci passerò sopra, ti voglio bene e non mi va di impormi, ma tengo a te. Teniamo a te.», aveva precisato più duramente. «E forse non sempre lo dimostriamo nel modo giusto. Vogliamo soltanto che tu ti senta libera dalle catene che ti sei costruita da sola. Lo capisci, vero?»
«Sì, so che cosa intendi.»
«E allora dacci un taglio, o vengo a prenderti io stavolta.»
Lou aveva sorriso debolmente: era riuscita a far inalberare perfino il pacifico Beppe.
«Non ti alterare: ne avevo già parlato con lui ieri. E anche con Lilly. Con lei è stato più dura, ma dopo un po’ di capricci ha capito.»
Beppe tirò un sospiro.
«E mi hai fatto parlare e sbraitare per mezz’ora ugualmente? Sei proprio stronza a volte!», aveva sbottato lui, ridacchiando.
«Era divertente sentire la tua voce alzarsi man mano di tono e diventare ad ultrasuoni.»
«Bastarda. Quando torni?», aveva chiesto sempre ridendo.
«Appena posso. Almeno questo concedimelo. Mi serviva una vacanza…»
«Okay, ma non ti mollo. È bene che tu lo sappia.»
«Santo cielo: non ne bastava uno di cane da guardia?»
«Poche chiacchiere, bella. Riporta qui il tuo culo il più in fretta possibile, chiaro?»
«Va bene… Stai iniziando a somigliare alla tua metà. E non è un complimento.»
Beppe era tornato a ridere di gusto chiudendo la conversazione, visibilmente soddisfatto di se stesso.
Tornò a prestare attenzione alle tende allineate davanti a lei.
«Che ne dite di queste verdi con le righe bianche?», chiese ai due che guardarono le tende, scettici.
«Oh, fate un po’ come vi pare!»,  rise lei.
Qualche minuto dopo uscirono dal negozio con due paia di tende: uno bianco, l’altro tempestato di maiali rosa.
 
 
*****
 
 
«Luly, questa dove lo metto?»
La piccola la stava aiutando a fare la valigia, tutta contenta di poter essere d’aiuto.
Si era aspettata pianti e lacrime ma inaspettatamente stava reagendo bene alla sua partenza.
Stava crescendo e anche se la cosa la faceva sentire triste, in un certo senso la liberava dai sensi di colpa nel lasciarla.
«Dove vuoi, tesoro. C’è tanto spazio, mettila dove ti piace!»
«Okay!»
Sarebbe tornata a Roma prima che Beppe andasse di persona a prenderla come aveva minacciato più volte.
Ormai era passato un mese dal suo arrivo e la bambina si era ambientata più che bene, lei poteva tornare in Italia senza sentirsi in colpa. Mancavano solo due settimane al Natale: Karl ed Evangeline avrebbero passato le vacanze con loro, come ogni anno.
Controllò nuovamente la prenotazione del volo per l’indomani mattina: non si sentiva rilassata fino a che non si sedeva sulla poltroncina. Era sempre così: temeva che qualcosa all’ultimo minuto andasse storto.
Una volta assicurata che era tutto sistemato, scorse velocemente le altre mail.
Cestinò gli spam e pubblicità e notò una mail che le era sfuggita datata quasi due settimane prima.
Con sorpresa vide che era una mail di Matleena.
«Oh!»
«Che c’è?», chiese Karl entrando in camera proprio un quel momento.
«Una mail dal mio ex capo, quand’ero a Helsinki…»
«E cosa vuole?»
«Non ne ho idea: la sto aprendo ora e vedo cosa…», si bloccò, senza fiato.
«Lou… che succede? Tutto okay?», chiese l’uomo vedendola sbiancare, con gli occhi lucidi.
Si avvicinò apprensivo e lei gli mostrò il contenuto della mail.
Lui lesse attentamente e alla fine le posò le mani sulle spalle, stringendogliele forte.
«Questa volta non puoi ignorare: devi andare. Lo sai anche tu.»
«Non… posso…»
«Devi. Devi tornare a Helsinki, Lou.»
 
 
*****
 
 
Le luci dell’aeroporto di Vantaa si avvicinavano sempre di più e lei sentiva il cuore rullare come stava facendo il motore del velivolo. Per quasi quattro ore era rimasta immobile sul sedile, stordita a chiedersi continuamente che cosa stava facendo.
Karl l’aveva messa sul primo volo per Helsinki senza tante chiacchiere e lei si era lasciata guidare.
L’aereo si fermò e i passeggeri si apprestarono a prepararsi a scendere.
Lei li seguì intontita. Le faceva uno strano effetto essere lì. 
Scese l’ultimo gradino della scala passeggeri e respirò a fondo.
“Ecco, sono di nuovo sul suolo finlandese.”
Nonostante tutto, sotto una montagna di dubbi e paure era felice di essere tornata, emozionata e sulla soglia delle lacrime.
“Stupida donna emotiva!”
Alzò gli occhi al cielo carico di neve e sorrise.
Era buio pesto ed erano solo le tre del pomeriggio. E lei si sentiva a casa come non mai.
Ad ogni passo che faceva verso l’uscita si sentiva meglio.
Dopo pochi minuti che era sulla navetta che portava a Helsinki aveva già la smaniosa voglia di trovarsi in città, rivedere i posti che amava, respirare di nuovo l’aria di quel posto che amava tanto.
L’ora passò lentamente per lei: si sentiva stupida ma osservava le strade, le insegne, i quartieri che erano quasi tutti gli stessi. C’erano pochi cambiamenti e lei li notò tutti.
Non riuscì a rilassarsi, continuando a girarsi a destra e manca come una bambina nel paese delle meraviglie. I passeggeri dovevano pensare che era fuori di testa, sicuramente.
Aveva tempo per andare a fare una doccia nell’albergo prenotato in centro, posare il bagaglio a mano e correre da Matleena.
Ricordò all’improvviso il motivo per cui era di nuovo lì e le venne da piangere.
Ingoiò il groppo che le si stava formando in gola e cercò di pensare ad altro, inutilmente.
Scese dalla navetta e si incamminò automaticamente verso l’hotel.
Aveva dimenticato quanto fosse facile e tutto facilmente raggiungibile a piedi in quella città.
L’hotel era quasi attaccato alla stazione e a 500 metri c’era il Kiasma.
Amava ogni singola pietra di Helsinki.
Il freddo le arrivò in faccia all’improvviso schiaffeggiandola e sorrise come un’ebete, nonostante il vento le facesse lacrimare gli occhi.
Questa volta non si sarebbe preoccupata che natura avessero le sue lacrime.
Ogni sentimento che provava, nostalgia, ritrovarsi, perdita, amore… erano tutte concentrate in quelle lacrime che non si preoccupava di nascondere o asciugare.
 
 
*****
 
 
La struttura del Kiasma in vetro e acciaio la sovrastava, così imponente e allo stesso modo fluida e morbida con le sue pareti curvate.  Aveva passato in quel posto tantissimo tempo e ora ne ritrovava gli odori, la familiarità.
Le pareti bianche e irregolari, le scalinate che si intersecavano tra loro.
Passeggiò con calma tra le mura, ritrovando nella sua memoria i ricordi e il tempo in cui era felice e soddisfatta della sua vita. Una hostess bionda e dalle gambe chilometriche le infilò tra le mani una brochure degli espositori in mostra, parlandole in finlandese. Lou le sorrise e la gratificò con una simulazione di sorriso mormorando un “Kiitos” a bassa voce.
Sfogliò il volantino con interesse.
“Viaggio tra sogno e realtà: ‘Una finestra aperta sul cuore’ – Retrospettiva di Aappo Korhonen”
Davanti alla sala che ospitava le opere del Sig. Korhonen si fermò a prendere respiro.
Poi entrò.
C’erano tantissimi quadri, ovunque guardasse intorno a lei c’era un’esplosione di colori.
Su tutti predominava il blu, declamato in ogni sua sfumatura: dalla più tenue e chiara al blu più cupo.
Lou camminava fra la gente, tantissima, stringendo nervosamente la brochure fra le mani.
Non aveva mai visto i quadri del suo vicino di casa prima di allora.
Ammirò le figure umane fluttuanti, spigolose e allungate che erano in quasi tutti i dipinti. In un primo momento poteva sembrare che l’artista si fosse ispirato al suo vecchio amico Chagall. Invece le figure del Sig. Korhonen erano molto meno romantiche e morbide rispetto a quelle del più famoso artista.
C’era un che di gotico e dark nelle opere del suo vecchio amico e vicino di casa, un lato che non si sarebbe mai aspettata. Il tenero Sig. Korhonen, l’uomo col sorriso contagioso e gli occhi ridenti celava in sé un’anima tormentata e oscura.
E nonostante tutto, quei quadri trasudavano amore, erotismo, magia.
Passeggiava lentamente, in silenzio, godendosi ogni pennellata.
Col cuore in tumulto ricordò l’ultima volta che aveva visto il suo vicino, il giorno prima che lei andasse via da Helsinki.
 
 
*****
 
 
«Di cosa hai paura?», le aveva chiesto il suo amico andando dritto al punto.
Erano seduti nel salotto di casa Korhonen, intenti a sorseggiare un tè aromatico. Lei aveva abbassato gli occhi sulla sua tazza e non aveva risposto.
«Hai paura di lui? Che ti possa deludere? Che possa tradirti?»
La voce dolce del suo amico la incalzava.
«Un po’ di tutto questo.»  Aveva risposto a mezza voce, alzando le spalle.
«Non hai mai pensato che potresti anche essere tu a tradirlo per prima? Scappando via, non affrontandolo, è come se lo tradissi. E lo stai deludendo.»
Lei aveva alzato gli occhi e guardato l’uomo che le stava di fronte.
«Lo so. Ma non riesco ad impedirmelo. Non sto andando via per sempre… solo che… Ho bisogno di pensare, di tempo. Non voglio lasciarlo. Non posso e non voglio deluderlo.», aveva spiegato lei.
«Allora aspetta che lui torni, parlatene insieme. Non sempre le cose sono come appaiono, mia cara. Lui non è un uomo come tanti: essere famosi, in certo senso rende molto più vulnerabili di quanto uno ci si aspetti.
Io vedo nei tuoi occhi che lo ami. E anche lui, anche se non ho mai avuto modo di parlarci, sono certo che ti ami. L’amore è la cosa più importante. Più importante della paura, del dubbio, dei sentimenti contrastanti, degli intoppi quotidiani, delle intromissioni.», le aveva detto infervorato.
«Non sto scappando…», aveva mormorato nuovamente lei.
«Bene. Se così fosse, deluderesti anche me.», aveva aggiunto lui in tono severo.
Lei aveva tenuto gli occhi bassi, sentendosi in colpa.
«Abbi il coraggio di vivere la tua realtà, mia cara bambina. A volte, è molto meglio della favola che abbiamo sempre sognato.»
 
 
*****
 
 
Si rese conto di aver quasi distrutto la brochure a furia di stritolarla tra le mani sudaticce.
Aveva deluso tante persone in quei quasi 5 anni, ma il suo vecchio amico  e vicino di casa, il suo tenero Sig. Korhonen era quello che le pesava di più sulla coscienza.
Che la faceva vergognare per la sua codardia, il suo poco coraggio, la sua eterna paura di non essere quello che tutti si aspettano da lei. Lo aveva salutato credendo che si sarebbero rivisti a breve, che Ville in qualche modo potesse fare il miracolo di infonderle la sicurezza e trasmetterle l’amore di cui lei aveva bisogno.
E invece non si erano rivisti e ora lui non c’era più.
C’erano solo i suoi quadri a raccontare la vita di un uomo, dell’artista e dell’amore per la sua Maili.
Si trovò davanti al ritratto del donna che lui aveva amato.
“Keeper of my soul”: Custode della mia anima.
Era così che l’aveva chiamata una volta, parlandone con lei. Ed era il titolo del quadro che raffigurava Maili.
La figura sottile dalla pelle viola su uno sfondo blu: toni cupi che invece contrastavano con l’espressione dolcissima della donna, le mani strette al petto a stringere un cuore umano, di un rosso vivo e vibrante.
Il cuore del Sig. Korhonen.
 
“Perché batte il cuore?”
 
Rimase per un tempo indefinito davanti al tributo di un amore che aveva superato il tempo e lo spazio.
“Mi dispiace… mi dispiace non essere stata la persona che pensava, Sig. Korhonen… Mi dispiace…”, si ripeteva mentalmente, ingoiando il nodo in gola che non voleva saperne di scendere e smettere di soffocarla.
Si mosse a fatica, tornando a guardare le opere che cambiavano forme e colori diventando sempre meno spigolose e cupi.
Arrivò davanti a quello che le tolse il respiro.
“Ikkunaprinsessa”. La Principessa alla Finestra.
C’era lei, Lou, in quel ritratto. C’era lei in ogni suo respiro, in ogni cellula o pensiero.
La sua anima, il suo cuore, le sue speranze mai esposte, il suo amore e la sua fiducia in esso in ogni piccola e accurata pennellata di colore vivido.
C’era lei come il suo caro Sig. Korhonen la vedeva.
Al di là della maschera inutile che si era costruita negli anni.
I capelli rossi e lunghi che diventavano un tutt’uno con il cielo stellato.
L’espressione del suo viso, mentre guardava la neve cadere attraverso la finestra, sognante, sorridente.
Lei fiduciosa e serena. Col vestito blu di Nur e la collana con il ciondolo che un tempo era stata di Maili.
Lui aveva mantenuto la sua promessa: le aveva fatto un ritratto, attingendo a ricordi lontani.
L’aveva ritratta anche senza di lei presente in carne e ossa. Meglio di quanto potesse immaginare. Cogliendo la sua vera essenza.
Sentì il viso infiammarsi. Avrebbe voluto contenersi ed essere controllata come le riusciva così bene in quegli ultimi anni. Invece le lacrime tracimarono e incurante di chi, guardandola imbarazzato, si allontanava impercettibilmente da lei in una strana sorta di rispetto, tirava su col naso guardando se stessa come avrebbe dovuto essere.
Con quel quadro il Sig. Korhonen era come se le stesse di nuovo sorridendo, rimproverandola di pensare troppo, di smetterla di parlare e lasciarsi andare ai propri sogni che, come aveva detto, a volte potevano rivelarsi migliori di ogni favola mai immaginata.
Su una targhetta posta in basso c’era scritto “Private Collection”.
«Sapevo che ti avrei trovata qui davanti, prima o poi.»
Sobbalzò al suono della voce vicinissima al suo orecchio.
Si girò lentamente.
«Ciao Matleena…»
«Ehi, che hai combinato ai capelli?»
La sua ex direttrice la guardava sorridendo.
«Ci ho dato un taglio.», rispose lei asciugandosi gli occhi.
«Allora: che ne pensi?», chiese facendo un gesto ad abbracciare la stanza.
Matleena non fece nulla per stringerla in un abbraccio o sperticarsi in inutili convenevoli, parlandole come se si fossero viste soltanto il giorno precedente e non fossero passati più di quattro anni.
«È bellissima… Non immaginavo… Non so che dire.»
«È il suo ultimo lavoro, sai?», disse ancora indicando il quadro davanti a loro.
Lou annuì, tornando a deglutire.
«Mi spiace non aver letto la mail prima…», mormorò debolmente.
«Non avrebbe fatto molta differenza: non era cosciente da mesi ormai.»
«Sono terribilmente desolata…»
Matleena in uno slancio affettuoso le batté la mano su una spalla.
«Lo so.»
La prese sottobraccio guidandola per il resto della mostra, senza dire una parola.
Stranamente le dava conforto passeggiare appoggiata a qualcuno che sembrava capirla senza bisogno di molte spiegazioni, come se le leggesse dentro le emozioni che si affollavano l’uno sull’altra, confusionarie e travolgenti, dandole il tempo di abituarsi.
«Quanto resti?», le chiese diretta come sempre, dopo un bel po’.
«Pochi giorni. Ho un aereo giovedì.»
«Capisco. Tre giorni per rivedere i vecchi amici, visitare di nuovo la città mi sembrano pochi.»
«Non contavo di rimanere più di tanto…», disse Lou a disagio.
Matleena si girò a guardarla in tralice.
«Lo sospettavo. Beh, nel caso tu cambiassi idea per qualsiasi motivo e decidessi di tornare fra noi e rimanere, qui hai sempre un posto che ti aspetta.», disse la donna.
Era più di quanto ci si potesse aspettare da lei: il massimo della dimostrazione di affetto.
«Lo so, Matleena. Grazie.»
La sua voce dovette risultare più fredda di quanto volesse perché la donna non nascose un pizzico di delusione.
Di nuovo. Sembrava non facesse altro che deludere le persone a lei care, ultimamente.
Si fermarono davanti a una foto in bianco e nero.
C’era il suo caro Sig. Korhonen intento a dipingere il suo ritratto ancora abbozzato.
Chi lo aveva fotografato lo aveva colto quasi di sorpresa o tale era l’intento. Come qualcuno che in silenzio osservava l’artista al lavoro e avesse voluto coglierne un istante.
Lou guardò le mani nodose dell’anziano che stringevano caparbie il pennello e l’espressione del viso concentrata. Chiunque avesse scattato quell’istantanea aveva la sua invidia: lei avrebbe tanto voluto essere al suo posto.
“Photo by V.V.”
Solo due lettere. Le sue iniziali.
Inspirò a fondo.
«Sì, è stato lui a scattare la foto. Era spesso con Aappo negli ultimi tempi. Passavano molto tempo insieme.», disse Matleena tornando a leggerle nella mente.
«Sono contenta che alla fine si siano conosciuti.», disse con voce strozzata.
«Erano molto più simili di quanto loro stessi non credessero.», disse Matleena guardando intensamente la foto.
«L’ho sempre pensato anche io: era per quello che mi trovavo a mio agio con entrambi.»
Matleena le strinse nuovamente il braccio a mo’ di conforto.
«Finisci di guardare la mostra. Fai con calma, prenditi tutto il tempo che vuoi. Ma prima di andare via passa nel mio ufficio. Non osare sparire senza prima salutarmi.», aggiunse seccamente.
«Te lo prometto.»
La guardò sollevando un sopracciglio.
«Le mie promesse fanno acqua da tutte le parti, lo so bene: ma tu mi metti una paura fottuta e non voglio farti mica incazzare!», disse lei ironica.
La donna rise brevemente.
«Sarà meglio per te, ragazzina.», disse girando sui tacchi tornando al suo lavoro.
Lou sorrise a sua volta. Tutto cambia e nulla cambia.
Guardò la foto.
Lentamente fece amicizia col pensiero di Ville e il suo tenero Sig. Korhonen insieme.
Li immaginava senza sforzo a parlare di arte e musica, a bere tranquillamente il tè nei pomeriggi bui nel salottino elegante, tra quadri e foto e ricordi.
Si chiese come Ville avesse visto e vissuto tutta la faccenda del quadro.
Se il suo amico artista l’aveva dipinta, allora in qualche modo Ville si ricordava ancora di lei.
Non l’aveva dimenticata subito come Amy le aveva detto al telefono.
Trovò un posto libero su uno dei tanti posti a sedere, rettangoli bianchi di plastica e acciaio che fungevano da sedie.
Spianò la brochure rovinata, lisciandone gli angoli e iniziò a leggere la biografia dedicata al suo amico, alzando di tanto in tanto gli occhi sull’opera citata, per poi tornare sempre alla foto in bianco e nero.
Era confortante sapere che quei due uomini che avevano significato così tanto per lei, erano stati vicini.
Sapere che Ville era stato accanto al Sig. Korhonen fino alla fine le riempiva il cuore.
Era una cosa bella. Non era da solo.
Per qualche istante dimenticò anche i suoi sensi di colpa verso entrambi.
Ora che l’emozione di essere lì ed essere parte integrante dell’opera ultima del suo amico stava diventandole familiare, si prese il tempo di godere della mostra con la sua parte professionale.
Le ore passarono in fretta mentre lei studiava i quadri.
Si rese conto che era ora di chiudere quando una delle hostess le passò accanto, schiarendosi la voce, guardandola in attesa che lei si levasse di torno.
Si alzò in fretta, notando anche di essere l’unica visitatrice rimasta, e avviandosi all’ufficio di Matleena diede un ultimo sguardo alla foto.
Bussò con discrezione alla porta e la voce della donna la invitò ad entrare.
La trovò a piedi nudi, con le lunghe gambe magre appoggiate sulla scrivania.
«Anni e anni di tacchi alti e io non mi abituo ancora alla loro scomodità.», le disse.
«Mai fatto amicizia con loro.», rispose lei, sedendosi di fronte alla donna.
Matleena la studiò brevemente, passando in rassegna ogni dettaglio del viso di Lou.
«Allora. Che cosa combini in Italia? L’ultima tua mail risale a più di un anno fa.», la rimproverò gelida.
«Niente di esaltante.», rispose Lou. Non era in vena di conversazioni sulla propria vita.
La donna annuì, rassegnata: sapeva che non era il caso di insistere con Lou.
«Ho una cosa per te.», disse alzandosi all’improvviso e si diresse verso il quadro che nascondeva la cassetta di sicurezza dove conservava i documenti più importanti.
«È per questo che ho preteso che tu fossi qui: ho promesso ad Aappo che ti avrei consegnato questa cosa soltanto di persona.»
Tornò alla scrivania e le porse un pacco piatto, incartato con carta vellutata rosso scuro.
Lou lo prese, perplessa. Era piuttosto pesante.
«È per me? Sai cosa c’è dentro?», chiese a Matleena.
«Ovviamente no. Non ho chiesto. Ho soltanto promesso che te lo avrei dato personalmente.»
«Allora grazie…», disse Lou non sapendo cos’altro aggiungere.
«Non lo apri?»
«Vorrei farlo quando sono da sola, spero non ti spiaccia.»
Matleena alzò le sopracciglia ben curate.
«È una tua scelta, anche se sono molto curiosa.», ammise ridacchiando.
Lou rispose al sorriso ma con la mente già altrove: non vedeva l’ora di essere sola nella sua stanza d’albergo per poter aprire il pacco.
Lo infilò nella sua borsa nera: era una fortuna che amasse le borse enormi e capienti.
«È una retrospettiva bellissima, Matleena.», disse per spezzare il silenzio.
«Sì, abbiamo fatto un bel lavoro di squadra. Tu avresti fatto di meglio, ma non posso lamentarmi.»
«Sei esagerata, non hai bisogno di me per tutto questo!», fece un gesto ampio.
«Uhm. Sono abitudinaria e non mi piacciono i cambiamenti, lo sai.», le sorrise.
«Mi piacerebbe prendere un caffè con te domani, o quando sarai libera. Mi racconterai le novità e i tuoi progetti che oggi non hai voluto condividere con me.», aggiunse severa.
«Ma certo.», ridacchiò Lou sotto i baffi. Matleena la stava gentilmente congedando, così si alzò di nuovo.
«Allora a domani. E di nuovo complimenti per tutto… posso tornare di nuovo a vederla, prima di ripartire, vero?»
«Ma che domande: ovvio che sì!», sbottò la donna, alzandosi a sua volta, avvicinandosi a lei.
Lou la strinse in un abbraccio: Matleena rimase rigida per un secondo, poi ricambiò la stretta.
«Mi era mancato il tipico calore italiano!», ridacchiò.
«E a me il freddo distacco finlandese!», ribatté Lou, ridendo.

 


******





"Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti! Il tempo passa e infine siamo giunti quasi alla fine. Non mi sembra vero: ho iniziato questa storia per gioco, non ci credevo neanche io e soprattutto non credevo che sarebbe mai potuta interessare a qualcuno.
Nel frattempo sono successe innumerevoli cose e tutte grazie agli HIM.
So che molte pensavano che Lou sarebbe andata al concerto... ma che autrice sadica sarei se avessi fatto ciò che tutte si aspettavano? :D
Devo mantenere alta la nomea di bastarda sadica!
Spero che in ogni caso il finale, (che è nel prossimo capitolo eh!), non deluda nessuno!
Nel caso vi lascio il mio indirizzo di casa: potete venire a picchiarmi! :D

Voglio ringraziare le gentili donzelle che come sempre hanno recensito l'ultimo capitolo:
Dadda_HIM, Lady Angel 2002, cla_mika, katvil, DarkViolet92, apinacuriosaEchelon, LilyValo, saraligorio1993, Izmargad, renyoldcrazy.


*Per il titolo al capitolo mi sono ispirata  a Stratovarius - Winter Skies

E niente...ci si rivedere perl'ultimo! Abbraccio forte a tutte!

Vi aspetto nel Gruppo Facebook dedicato alle discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa, inclusi insulti e minacce varie, intervallati a momenti d'ammmore per Lou e Ville!

Siete le benvenute.
Alla prossima!
Baci baci,

*H_T*




testo.

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Capitolo trentatrè: "Leggera come la neve" ***







Image and video hosting by TinyPic

Capitolo trentatrè
Leggera come la neve
Image and video hosting by TinyPic

 

 

Lou alzò lo sguardo al cielo non appena mise fuori il naso dal Museo. Tornò a sorridere: la neve preannunciata quel pomeriggio ora cadeva in maniera così perfetta e armoniosa, come una danza lenta.
Lasciò che le si posasse sul viso.
Non aveva nessuna voglia di tornare al chiuso tra quattro mura, così prese a camminare senza una meta precisa.
La sensazione di felicità serena che provava dopo tanto tempo nel ritrovarsi a camminare per la città che amava e che aveva sempre portato nel cuore, la riscaldava e attutiva il freddo pungente che le si infilava sotto gli strati dei vestiti. Camminò per le strade che conosceva bene, ascoltando il rumore del traffico moderato, le voci basse e contenute dei passanti. Le sembrò così strano risentire quella lingua quasi aliena che non somigliava a nessun’altra al mondo.
Nessuno si curava di lei e del suo sorriso ebete stampato sul viso dal momento in cui aveva rimesso piede in terra finlandese: altra cosa che amava.
Infilò le mani nelle capienti tasche del suo piumino e rallentò ancora di più il passo.
Avrebbe voluto fermare il tempo.
Aveva il quadro del sig. Korhonen davanti agli occhi. Quella versione di se stessa che era un tempo e che l’uomo aveva colto, la Lou che non era più e i desideri che l’artista aveva saputo mettere su tela, le gravavano addosso: ne era schiacciata e oppressa. Eppure, ad ogni passo che faceva nella neve soffice e fresca, quel peso andava via via alleggerendosi. Come se tutti gli anni passati a tormentarsi stessero depositandosi ai suoi piedi insieme alla neve.
Si sentiva leggera come la neve.
Era curiosa e allo stesso tempo spaventata dal contenuto del pacchetto lasciatole dal sig. Korhonen: stava rimandando il momento in cui avrebbe dovuto aprirlo e scoprire cosa il suo amico aveva voluto dirle come ultima cosa.
Si fermò di colpo davanti ad una struttura in legno chiaro che lei ricordava ancora incompleta quando era andata via. Spuntava quasi dal nulla a lato della piazza Kamppi, quasi nascosta e dimessa: strideva con i centri commerciali, le insegne luminose dei negozi dell’ampio spazio commerciale.
Sembrava una gigantesca arca: Lou sorrise e si avviò all’entrata, come se i piedi prendessero decisioni per conto proprio. Il tepore improvviso all’interno la stordì, così come l’immediato silenzio che l’accolse.
La Cappella del Silenzio. Un nome più che appropriato.
Si slacciò la sciarpa e tolse il cappello prima di iniziare a sudare e si sedette su una panca.
Oltre lei, c’era soltanto una vecchietta dai capelli candidi che sorrideva ad occhi chiusi e un ragazzo inginocchiato, intento a pregare.
Il rumore dell’esterno era totalmente annullato tanto che lei aveva quasi paura di respirare, temendo di disturbare. C’era odore di legno e cera: aveva trovato un angolo di pace in mezzo al rumore della città.
Cercò di svuotare la testa da ogni pensiero godendosi quel momento, ma una vocina le ricordava incessantemente il pacco dentro la sua borsa. Resistette ancora per un minuto o due, poi lo tirò fuori rassegnata. Lisciò la carta morbida e vellutata e slacciò il nastro che la teneva ferma.
Ancora due forme piatte e rettangolari: una la riconobbe immediatamente.
Era la scatola di velluto blu scuro con gli angoli consunti che conteneva la collana di Maili. Ne sollevò il coperchio con mani tremanti ed eccola lì: bellissima e luminosa come l’ultima volta che l’aveva vista.
Perché il Sig. Korhonen l’aveva lasciata a lei? Non la meritava affatto dopo aver deluso le aspettative che il suo amico riponeva in lei, dopo aver tradito la sua fiducia. Sfiorò con un dito la pietra blu sfaccettata e con la mente tornò al giorno in cui l’aveva indossata, nell’attesa di Ville, in quella notte tempestosa che aveva sancito l’inizio dei mille dubbi sul loro rapporto. O meglio, soltanto sulle proprie sicurezze. Sospirò rumorosamente e la signora dai capelli bianchi seduta tre panche davanti a lei, si girò.
Contrariamente a quanto si aspettava– ricordò la donna italiana in metropolitana di qualche mese prima- quella davanti a lei le rivolse uno sguardo comprensivo e dolce. Il ragazzo invece non aveva dato segno di aver notato nulla.
Affondò di nuovo gli occhi all’interno della scatola pensando con una stretta al cuore che non poteva ringraziare il Sig. Korhonen: le aveva regalato qualcosa di prezioso per lui, qualcosa che aveva un valore sentimentale anche per lei.
Quel ciondolo era un dono che non sentiva di meritare eppure in un angolo del suo cuore, sapeva anche che in qualche modo le apparteneva. Era come se il Sig. Korhonen l’avesse tenuta da parte per così tanti anni in attesa che qualcuno potesse indossarlo con lo stesso sentimento della sua amata Maili.
Richiuse con cura la scatola e passò all’altro involucro. Era molto più voluminoso ma più leggero rispetto a quello precedente. Era un sacchetto di velluto che conteneva a sua volta altro velluto intorno all’oggetto. Lo svolse con maggior curiosità. Il gemito stupefatto che le scappò quando si trovò davanti il quadro di Chagall che era stato un dono per celebrare l’amore di un caro amico, questa volta disturbò anche il ragazzo. Entrambi la guardarono preoccupati.
Lei sollevò lo sguardo chiedendo scusa silenziosamente, per poi tornare a guardare senza fiato la piccola tela. Sfiorò con un dito tremante le due figure volteggianti, il cielo, la luna.
Deglutì rumorosamente. Non riusciva ancora a credere ai suoi occhi: quel regalo era quanto di più prezioso qualcuno le avesse mai regalato in vista sua.
Probabilmente nessuno avrebbe mai potuto eguagliarlo.
Un misto di felicità per quel dono inaspettato che si alternava al rimpianto di aver deluso il suo vecchio e caro Sig. Korhonen, la stavano sopraffacendo. Sentiva il cuore rullare impazzito.
Sollevò il quadro per osservarlo meglio e così facendo le scivolò sulle gambe una piccola busta color crema, sigillata con della ceralacca rossa.
La prese immediatamente e la aprì con attenzione.

 
“Mia cara bambina, l’amore non ha tempo, non ha luogo, non ha scuse. L’amore è l’unica cosa che continuerà a muovere il mondo intero, a farci battere il cuore anche quando penseremo che non sarà più possibile. A farci fare le cose più folli e meravigliose. A farci rischiare di perdere tutto o al contrario, trovare tutto.
Presto sarò di nuovo con la mia Maili e vorrei che fossi tu la custode del nostro amore: so che è in buone mani.
E quando sarai pronta, riporta il tuo cuore “a casa”. È sempre stato lì ad aspettarti. Non avere paura.
Con affetto, Aappo.”
 
 
*****
 
 
Con la borsa stretta contro il petto, quasi aggrappata ad essa come se fosse una zattera di salvataggio, Lou camminava svelta da ore nella neve.
Non sentiva più il freddo riscaldata com’era dalle parole del suo Sig. Korhonen. Aveva gli stivali zuppi e il naso così ghiacciato che non lo sentiva più, ma la sua anima era in fiamme. Era uscita dalla Cappella del Silenzio in fretta, mossa da una smania che non sentiva da anni. Le mani intirizzite indovinavano i contorni del minuscolo quadro di Chagall attraverso la stoffa; ne accarezzava i bordi cercando conforto nella poesia e amore e magia così sapientemente condensate in pennellate di colore di anni e anni prima.
Aveva preso a camminare senza meta girando in tondo, presa nei pensieri e nei dubbi; nei sentimenti a lungo trattenuti e che ora risalivano in superficie tutti insieme. Si era ritrovata all’improvviso davanti alla Cattedrale Bianca ancora più bella e maestosa di quanto ricordasse, offuscata appena dai fiocchi di neve sempre più fitti.
La sovrastava eppure era come un candido abbraccio che le dava di nuovo il benvenuto. Salì rapidamente gli scalini di pietra senza prendere respiro arrivando in cima senza fiato e si girò a guardare la piazza e parte della città che si srotolava davanti ai suoi occhi.
Respirò a bocca aperta l’aria gelida, sentendosi viva dopo un tempo che le sembrava infinito.
Ogni parola scritta a mano dal suo vecchio amico apriva una nuova breccia nel suo cuore. Le sembrava che si stesse sciogliendo di minuto in minuto. Se avesse potuto esprimere a parole o a gesti la tempesta emotiva che le si stava scatenando dentro, qualcuno avrebbe potuto prenderla per pazza.
Non che la sua faccia stravolta facesse meno effetto, del resto. Non le importava. Non le importava di quello che la gente poteva pensare e credere di lei.
A quel punto non le importava più di nulla tranne che i tonfi del suo cuore impazzito.
Con un ultimo sguardo alla città scese con decisione gli scalini, incurante della neve mista a ghiaccio che li ricoprivano.
“Lou, vedi di non romperti l’osso del collo proprio ora!”, si disse in un impeto d’ironia.
I suoi piedi avevano deciso di seguire il suggerimento del cuore questa volta.
Cinque chilometri a piedi, quasi un’ora. 
Avrebbe avuto tutto il tempo per trovare le parole giuste da dire, prepararsi a qualsiasi cosa avesse trovato.
Un rifiuto, indifferenza, il vuoto. Era pronta a tutto ormai.
Lo doveva al Sig. Korhonen che aveva avuto una fiducia incrollabile in lei, lo doveva alla giovane donna dipinta del suo quadro.
Lo doveva a Mara che le aveva detto fino alla fine di correre a riprendersi il proprio cuore.
Lo doveva a se stessa.
Lo doveva alla Lou di quasi cinque anni prima.
Alla bambina di tre anni con la bocca sporca di marmellata alle ciliegie, imbronciata e con la palla in mano, che sognava l’amore vero ballando con i piccoli piedini sopra quelli del papà.
Era pronta a tutto. Non aveva più senso avere paura.
 
 
 
*****
 
 
 
Tutto era come lo ricordava.
Immutato nel tempo. Ogni pietra, vicolo, albero.
Era come se non se ne fosse mai andata, ed era tutto ciò che aveva sempre sognato. Per quasi cinque anni, non aveva fatto altro che desiderare di tornarvi.
Sentiva caldo ora, dopo poco meno di un’ora di cammino a passo spedito. Era sudata e non le importava.
Girò l’angolo ed ecco la casa del Sig. Korhonen.
Non c’era nessuna luce accesa. La tristezza dell’assenza tangibile dell’uomo la colpì in pieno.
Strinse a sé la borsa col quadro.
Sentiva dietro di sé la presenza incombente della Torre, ma non era ancora pronta ad affrontarla.
Lentamente volse lo sguardo alla casa che un tempo divideva con Nur. Le luci erano tutte accese e nel silenzio della sera riusciva a sentire chiaramente le inconfondibili risa acute di un bambino piccolo.
Tutto cambia e nulla cambia.
Si girò senza esitazioni e alzò gli occhi sulla Torre.
Aveva quasi avuto timore di trovarla disabitata e ostile.
L’ultimo piano era illuminato da una luce calda.
Ville c’era e forse non era solo. Non le importava neanche se Amy era presente: se solo osava guardarla storto l’avrebbe scaraventata giù per le scale, in mezzo alla neve.
Si avviò lungo il vialetto, salì le scale e scavalcò con un ghigno il basso cancello che fungeva da ostacolo.
A circa cinque metri c’era la porta di legno d’entrata alla Torre.
Mosse un passo e si fermò subito. La sicurezza iniziale si alternava alla paura.
“Calmati. Respira. Puoi farcela. Ville è oltre quella porta.”
Fece ancora un passo.
Un tonfo attutito e subito dopo un leggero scampanellio attirò la sua attenzione.
Una macchia nera si profilò all’improvviso a pochi passi di distanza, davanti a lei, spiccando nettamente sulla coltre immacolata.
Il gatto la fissava immobile. Gli occhi verde chiaro si strinsero.
Katty.
Non poteva che essere la sua Katty quella elegante felina dal manto nero e lucido, con un nastro rosso scarlatto intorno al collo.
«Katty…», sussurrò a mezza voce per paura di spaventare l’animale facendola scappare via.
La gatta si mosse all’indietro senza staccare gli occhi da lei.
Lou si accovacciò cauta e allungò la mano.
«Vieni qui, piccolina… sono io…», bisbigliò con un groppo in gola.
La felina era ancora cauta ma si avvicinò lentamente continuando a girarsi all’indietro, forse nella speranza di veder apparire un aiuto.
Il campanellino che era attaccato al collarino rosso tintinnava ad ogni passo.
Lei continuò a tenere tese le dita verso Katty che girava in tondo, facendo l’indifferente senza perderla di vista.
Le sembrò che passasse un’eternità prima che la gatta le arrivasse vicina a sfiorarle la mano col muso morbido. Lasciò che le odorasse la mano con calma, prima allontanandosi con un salto all’indietro poi tornando a sfiorarla, fino a che Katty prese a zampettarle le dita con le unghiette affilate.
«Piccola stronzetta, non sei cambiata per nulla!», disse divertita Lou lasciandosi mordicchiare e graffiare.
Katty alla fine si strofinò con la testolina sotto il suo palmo, accettandola definitivamente.
Lou rimase calma, grattandole lentamente il muso, senza fretta. La felina alzò gli occhi a guardarla fissa, con un’espressione altera e quasi di rimprovero.
«Hai ragione ad essere severa: sono stata cattiva con te.», sussurrò a bassa voce.
«Maooooaoo!», miagolò indispettita la gatta a confermare le sue parole.
«Sei proprio bella, lo sai? Sei diventata proprio una pantera in miniatura…», le parlò dolcemente coccolandola, lisciandole il pelo lucidissimo color della pece.
Katty le faceva le fusa socchiudendo gli occhi.
La neve cadeva sottilissima e così lenta che le sembrava di essere all’interno di in una di quelle sfere di vetro che tanto amava da bambina.
La porta di legno si aprì inaspettatamente facendola sobbalzare.
La figura inconfondibile di Ville si profilò nel fascio di luce proveniente dall’interno della casa.
Non aveva il coraggio di alzare gli occhi a guardarlo: non ancora.
L’uomo fece un passo in avanti per poi bloccarsi immediatamente, rigido.
Lou gli fissò la punta degli anfibi neri, risalendo pian piano lungo le gambe snelle. Teneva una mano infilata nella tasca dei jeans neri stinti e l’altra lungo il corpo.
Vide le sue lunghe dita stringere la sigaretta che stava fumando qualche istante prima.
Tenne lo sguardo fermo al centro del petto di Ville il tempo necessario per prendere respiro.
Le venne da sorridere notando che addosso aveva solo una t-shirt a maniche corte.
Non riusciva ancora a vederlo in viso ma la sua postura faceva intuire chiaramente di essere sorpreso.
Immaginò la sua pelle calda sotto le proprie mani.
Le punte dei capelli mossi. Li aveva tagliati e gli davano un’aria da ragazzino.
Ecco il collo liscio, il mento con un accenno di barba.
Le labbra strette fra loro.
Il naso piccolo e dritto.
Lou prese ancora un lungo respiro prima di incrociare il suo sguardo dopo un tempo troppo lungo, un tempo infinito. Cinque anni.
Cinque anni in cui si era negata ogni possibilità di essere felice o almeno provare ad esserlo.
Il verde chiaro degli occhi dell’uomo la trafisse da parte a parte.
Tra loro c’erano poco più di una decina di passi.
E la neve.
Che continuava a cadere pigra, silenziosa.
“Tutto cambia e nulla cambia.”, pensò Lou.
Era così che si erano incontrati la prima volta.
Il bianco dei fiocchi di neve, un gatto nero davanti alla porta e due persone intente a fissarsi in silenzio.
Si rimise in piedi lentamente dopo aver dato un’ulteriore carezza a Katty.
Durante le ultime ore si era chiesta se lui l’avrebbe mai riconosciuta.
Era chiaro che Ville sapeva benissimo chi aveva di fronte.
Lo sguardo sorpreso e disarmato dei primi istanti aveva preso il posto di un’espressione dura.
Lo capiva bene: aveva tutte le ragioni per guardarla in quel modo. Se lo meritava.
E col passare degli istanti si disse che avrebbe fatto qualsiasi cosa per farsi perdonare.
Nel frattempo doveva tornare a respirare in modo normale, però.
L’uomo si riscosse d’un tratto: portò alle labbra la sigaretta quasi consumata e diede un tiro.
La scena sarebbe stata perfetta se la sua mano non avesse tremato leggermente.
Lou provò un impeto di amore incondizionato per quell’uomo.
Un uomo dal quale era stata lontana per un tempo dieci, cento volte maggiore di quello che avevano passato insieme.
Eppure non era cambiato nulla: lo amava con la stessa intensità del giorno in cui era partita.
Aveva voglia di fare quei dieci passi e stringerlo forte.
Aveva voglia di sentire se la sua pelle aveva ancora lo stesso odore.
Ville non aveva abbassato gli occhi neanche per un istante: la sua espressione era sempre dura, distaccata.
Ma la sua mano aveva tremato. Non gli era indifferente. L’aveva riconosciuta.
E tutte queste cose insieme le davano un briciolo di sicurezza in più.
Cosa poteva dirgli?
Come si fa a chiedere perdono a qualcuno che forse non ha voglia di accettarti di nuovo?
Aveva la bocca arida e le mani sudate.
Le tremavano le gambe come quando da piccola ne aveva combinato una grossa e aspettava che sua madre la punisse.
Infilò le mani nelle tasche del giaccone bianco, tanto per fare qualcosa e muoversi.
Ville la guardava senza proferire parola. E non sembrava per nulla intenzionato a farlo.
Rimaneva rigido e immobile, fumando la sua sigaretta con finto disinteresse.
E più gli istanti passavano, più Lou non sapeva cosa dirgli e come iniziare.
Probabilmente lui si stava chiedendo cosa diavolo volesse dopo tutto quel tempo, cosa ci facesse nel suo giardino.
Forse avrebbe potuto iniziare con un “ciao”… sarebbe stato già qualcosa.
Ma per uno come Ville ogni parola sembrava superflua e stupida.
Si rilassò e anche lei prese ad studiarlo con calma, cercando di non trattenere il respiro e rischiare di stramazzare al suolo svenuta. Le sembrava assurdo di essere lì, davanti a lui.
Era ancora più bello di quanto ricordasse. Più bello di quanto immaginasse.
Il tempo per Ville sembrava andare al contrario.
Era solo un po’ più magro di cinque anni prima e aveva profonde occhiaie da stanchezza che su chiunque altro al mondo avrebbero stonato, ma su di lui risultavano affascinanti.
Lou mosse un passo in avanti, accennando un mezzo sorriso.
L’uomo strinse gli occhi, diffidente come poco prima lo era stata la gatta.
Se non fosse stato così orgoglioso, probabilmente avrebbe anche  fatto un balzo all’indietro come Katty.
Le venne da ridere istericamente.
“Ville mi butterà giù in strada a calci fra un po’.”
Prese un respiro e fece un passo in avanti. Poi un altro respiro. Un altro passo verso Ville.
 
Otto passi più vicino.
Non riusciva a decifrarne l’espressione: ora che la distanza tra loro diminuiva, notava una luce diversa negli occhi verdi dell’uomo.
Vedeva la fragilità attraverso la scorza dura dell’indifferenza.
I capelli di Ville si ricoprivano di neve sottilissima e lei si preoccupò improvvisamente del fatto che potesse beccarsi un raffreddore coi fiocchi se rimaneva ancora lì fuori, al freddo.
Lui sembrava insensibile anche al gelo esterno.
E continuava a tenerle gli occhi puntati addosso.
Si avvicinava lentamente, cauta; quasi timorosa di vederlo fare dietrofront e tornare dentro la sua Torre, chiudendola fuori anche dalla sua vita.
 
Sei passi.
Cinque anni le avevano insegnato qualcosa? A capire quello che a volte le parole non possono spiegare? O era solo il suo desiderio di tornare a “casa” fra le braccia di Ville, a farle vedere, a farle credere di vedere negli occhi dell’uomo immobile di fronte a lei, quella luce che vedeva un tempo?
La voglia di stringersi a lui era diventata un bisogno struggente.
 
Quattro passi.
Eccola ancora quella scintilla nella giada. Nonostante la rabbia e il rancore a stento trattenuti, c’era la luce di un tempo.
L’eco del sentimento che c’era stato tra loro.
Avrebbe preso freddo, pensò di nuovo Lou.
Si fermò davanti a lui, alzando la testa a fissarlo.
Ora riusciva a vedere le pagliuzze dorate negli occhi.
E anche l’odore della sua pelle, misto a legno e fumo di sigaretta.
Soltanto la sua mascella che si serrava a ritmi regolari poteva farle intuire che Ville non era così impassibile come voleva far credere.
 
“Non avere paura.”
La lettera del Sig. Korhonen che aveva imparato a memoria le risuonava nella testa, accompagnandola per tutto il tempo, nel tragitto mentre tornava a casa.  
A casa.

Tra le braccia di Ville.


******





"Angolo dell'autrice:

Ciao a tutti! Siamo arrivati alla fine di questo viaggio. E direte voi: "Menomale!"
E avete ragione...
Che cosa posso dirvi se non un enorme, immenso, infinito GRAZIE?
Grazie a questa storia ho conosciuto tantissima gente, amiche ora.
E insieme a me, Lou e Ville, Andrea, così come Nur e Simone, Mara, Karl e la piccola Lily... e il nostro amato sig. K., sono diventati vostri.
Li avete amati e odiati insieme a me.
Questa avventura per me è stata bellissima e spero possa rimanere nei ricordi di qualcuno di voi.
Prima che diventi tutto un piagnisteo, la finisco qui. E vi dico arrivederci... forse torneranno con qualche OS.
Chissà?
Io vi ringrazio tutte, non mi metterò a fare nomi: ne dimenticherei più di uno e non voglio far torto a nessuna di voi.
Grazie a chi non ha mai mancato una recensione, chi mi ha detto in privato quel che ne pensava, chi non si è mai palesato ma ha seguito, un grazie a tutti voi. Nessuno escluso!

Per cui, beccatevi un grazie e un abbraccio virtuale.
Siete belli! :D
E poi se proprio vorreste ritrovare Lou e i nostri, vi segnalo che... ehm... avrei pubblicato su Amazon la trasposizione di Ikkunaprinsessa, col il titolo: Come miele e neve, con un finale aggiuntivo che qui non ci sarà. :D

Ci ho messo tanto per decidermi a fare questo passo. Molte di voi mi hanno spronato, per non dire obbligato a farlo!
Qualcuna anche in via abbastanza minatoria... :D
E quindi niente.
Sappiate che c'è questa cosa.

Non c'è Ville... ma qualcuno di cui non ricordo il nome, un inglese mi pare... un tale
Shakespeare scriveva:
"Che cosa c'è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo."
Per cui anche se ha un altro nome, noi in cuor nostro sappiamo che sarà sempre lui. :D


Vi aspetto nel Gruppo Facebook dedicato alle discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa, inclusi insulti e minacce varie, intervallati a momenti d'ammmore per Lou e Ville!

Siete le benvenute.
Alla prossima avventura.
Baci baci,

*H_T*




testo.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=982435