Friday I’m in Love

di SuperTeleGattone
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Boys Don’t Cry ***
Capitolo 2: *** From Me to You ***
Capitolo 3: *** I Want to Hold Your Hand ***



Capitolo 1
*** Boys Don’t Cry ***


• Angolo dell’autrice •

__Brevissima nota introduttiva, gentile e magnifico utente capitato qua: l’affare sotto nasce e muore come one-shot; molto semplice e lineare ma, attenzione, non stringato. La cosa è infatti una e pure trina (amen); divisa per scongiurare l’esplosione del lobo frontale a te, povero lettore, e la morte per anatemi a me, povera demente. Una dritta sui tempi: ci troviamo grosso modo fra la distruzione di Konoha (con annessa reunion del team sette) e la partenza del primo attore per l’isola-barra-tartaruga gigante della Nuvola (e annesso millantesimo allenamento). Questa parte, poi, è parecchio rognosa perché… beh, c’è solo Naruto e associato ambaradan interiore. Una botta di simpatia, esatto. Bene, a chiunque sia rimasto: grazie già da ora d’esser passato, o anche solo di averci provato.

Grazie, e ora fuggite, sciocchi!

• • •











È molto meno indecente
andare a letto insieme
che guardarsi negli occhi.




[Friday]
Im in Love

[Boys Don’t Cry]






__I would say: «I’m sorry»
__If I thought that it would change your mind
__But I know that this time I have said too much
__Been too unkind

__I try to laugh about it
__Cover it all up with lies
__I try and laugh about it
__Hiding the tears in my eyes
__Because boys don’t cry
__Boys don’t cry

__“Boys Don’t Cry”, The Cure





__Venerdì di merda.
__Giornata di merda.

__Pensa, e calcia un sasso.
__Forse, meglio non si metta proprio a pensare.
__Quando mai ha pensato in vita sua, poi, lui? Una volta, due, tre? Massimo cinque, sicuro. Con tutto, che non c’è nemmeno abituato: non si è mai allenato per… insomma, a quello. E comunque, come diavolo ci si allena a pensare? Dovrebbe chiederlo a Shikamaru, sì, e quasi certamente lui lo guarderebbe storto, per il povero idiota che è; garantirebbe non è il caso, fidati; solo una gran rottura e nulla che faccia all’occorrenza sua. A dirla tutta, non son cose sue queste: via, alla larga dai corti circuiti mentali! Segua piuttosto il suo istinto, risparmiando grane simili ai comuni esseri umani, sprovvisti di alvei di chakra inestinguibile o demoni di fuoco acquattati tra le viscere come sciacalli.
__Meglio non pensare allora, davvero. Se la vedano loro con certi urobori gassosi da cervelloni e strateghi: a loro, e con piacere, i castelli in aria! Campanili malmessi e malfermi, pronti a franar giù alla prima cazzata. Di cazzate, poi, lui ne fa una decina in un secondo scarso; riconoscendone la paternità di neanche la metà e disconoscendo il resto come devotissima sfiga. E lui non ha merito, eh, croce sul cuore!
__Meglio non pensi, comunque. Tanto, cosa mai potrà avere da pensare? Chi, lui? Uno che se ne va in giro con quell’aria sbadata e rilassata; quasi voglia, le tenti tutte per irridere la malasorte che cronicamente lo becchetta.
__Eh già, cosa diamine può avere da lagnarsi? Lui, l’eroe dei miei stivali che, senza volerlo davvero, ha ruggito sulle mortali Volontà del Fuoco col latrato del cane tenuto alla catena da troppo, troppo tempo. Lui, che in barba alla iella, ma iella più nera, calpesta questa terra con la compiacenza vomitevole del redentore, del martire; lieto di farsi lapidare da Pilato col miglior sorriso cucito in faccia.
__È un sorriso largo e fragoroso come lo schianto di un tuono; sproporzionato alla realtà che dovrebbe giustificarlo, ma che, desolati, non lo giustifica. Nella sua inutile vita non c’è mai stato nulla da ridere, proprio nulla, mai: né a sei anni, appallottolato come un fagotto di spazzatura in un rettangolo nero e brutto che si ostina a chiamar casa; né a dodici, quasi tredici, sfatto fra miriadi di bende come un bambolotto rotto e gettato via, con quel suo demente attaccamento a una fascia cui nessuno più badava.
__Che diavolo ha da brontolare, quindi? Quali atroci pensieri possono infestare quella spensierata boccia bionda? Turpi visioni? Striscianti ossessioni? Cosa può destabilizzare il voltaggio della sua luminosità da supernova?

__Cazzo hai ancora, Uzumaki?!

__Ah, niente, niente, e chi ha niente? Lui fracassa ossa e crani, vomita Rasengan e si accartoccia le dita in Rasenshuriken: solo quello fa. Moltiplicarsi all’infinito, sino a disfare ciascun brandello di carne e disintegrare l’ultimo atomo: la scissione nucleare, quello è il limite; distruggersi, quello è il fine. Così da non pensare a un rettangolo di pece e fango, fatto di mura e legno, o sentire il fiele dell’emarginazione giù in strada. Così da non svegliarsi mani allo stomaco e raccontarsi che è tutto a posto, che non è niente, ma niente, sicuro; solo la digestione, lo stress, una vita intera ad avere paura; ma tranquillo, eh, va tutto bene e andrà tutto bene, perché deve, deve andar bene… Quando invece non va bene, lo sa, e non va bene per niente. Così da non violentare la bocca in un sorriso, un nuovo ci penso io, mentre Sakura-chan appassisce come i fiori. Così da non maledire ogni istante della giornata, per essere e voler comunque essere, dannazione, al mondo: vivo, ancora vivo, al costo loro.
__Continua a fare, correre e picchiare, dunque. Gli riesce di non pensare, così. Non ci scappa nemmeno il tempo, così: solo fare, correre e picchiare; darle e riceverle; e darle ancora; e riprenderle indietro. Via a massacrarsi, a massacrarsi, a massacrarsi… a uccidersi. Quello ha sempre fatto, e quello gli han sempre lasciato fare.
__Non deve badare alle lacrime che bruciano per uscire, mangiare un po’ di ossigeno e latrare a tutti il loro dolore. Meglio inghiottire il vomito e annegarlo giù, in fondo allo stomaco; strozzarsi con le code della Volpe, eventualmente, e smetterla, smetterla una volta per tutte di consumarsi nella paura. I mostri dentro l’armadio, sapete, sono difficili da ignorare. Se poi quelli son dentro, sì, ma non all’armadio… Sogni d’oro, allora, mio bel bambino.
__Forse, meglio serrare gli occhi fingendo di sorridere. Provarci, se non altro: stirare la bocca nella cartapesta di un ghigno e andare avanti, avanti nonostante le catene e i cadaveri intorno ai piedi. Su col mento, quindi: schiena dritta e occhi alti, fiero della propria malora e del proprio inferno. Ridere, come il derubato in faccia al ladro, a scherno suo, tuo e del mondo. Ridere, porca miseria, quando non ti rimane altro; quando non hai mai avuto altro; roba da creparci, ecco, dalle risate.
__Ride così: sedici ottobri, ormai, e non fa altro.
__Ride, col mondo a strillargli addosso di smetterla: basta, adesso basta! Non c’è proprio niente da ridere, sai? Ma lui non smette e seguita a ridersela come un matto. È una cosa che fanno i matti, no? Ridere senza giusta causa, tappare orecchie e occhi per poterlo fare: è da matti, vero? Sia pure, però… Lui non lo vuole vedere, più vedere né sentire quello che sta fuori. Ce n’è tanta di crudeltà, là fuori: un piede oltre l’uscio, e quella è già lì, pronta a sbranare.
__Ma, ehi, se proprio proprio è sancito debba soffrire, almeno sia lui a scegliere come, dove e quanto. Sia lui il boia, piuttosto di un branco d’infami che lo odiano senza nemmeno spiegargli perché: cosa ha fatto? Cosa mai avrà fatto di tanto sudicio e orribile a soli dieci anni di vita?! Escludendo ricordar loro il già accaduto, e la potenza di quanto sarebbe potuto accadere, ancora.
__Innalzino pure titaniche cinte di mura e solido pregiudizio, tirino su Jericho stessa, se riesce loro: non servirà. Non lo si chiude fuori, il male. Soggiorna proprio lì, invece, novanta centimetri più in basso del loro naso e del loro sdegno: biondo, arrabbiato e arruffato come un gatto. Ha mani troppo piccole perché siano strette in pugni concretamente minacciosi, e occhi troppo azzurri per risultare infuocati da altro che non sia il rogo sordo del pianto.
__È uno scricciolo minuscolo, eppure basta a gettar braci vive sotto la Foglia tutta. Come può, però, un cosino simile reggere odio fatto d’aria e sale? Respirare ossigeno che ossigeno non è, ma anidride, ammoniaca e fumo?
__Lo vedono, lo sa bene che lo vedono, ma lo scansano: lo vedono e, vedendolo, lo scansano. Come le carcasse sull’asfalto.
__È foschia che brucia e sbrana, quella, snudando un cuore ancora troppo gracile perché riemerga sotto un sole cannibale che mangia la pelle; è cianuro in bocca a un bimbo egocentrico e solo come lui. Gli è dentro, ormai, e non se ne vuole andare: non ci stiamo qua, tutti e due. Non può conviverci: non c’è aria, non c’è spazio, non c’è né per me né te. Qualcuno deve lasciar la presa, se vuole sopravvivere: o io o te. A costo di cavarselo fuori dalle budella, per riuscire; roba da creparci, ecco.
__Lo avrebbe fatto lui; lo avrebbero spinto loro; o lui o loro.
__In un modo o in un altro, ci sarebbe scappato il morto.
__Piuttosto che ammazzarsi, proviamoci un poco a vivere, no? Diamine, sì! Forse è meglio vivere, anziché disfarsi nella bramosia di quanto non si ha, non si ha mai avuto e, comunque, non si sarebbe mai riusciti ad avere. Quello che vuole con tutto con ogni singola, maledetta lacrima dei suoi magri sei anni, e che è arrivato persino a odiare: l’ora di cena al parco; gli scivoli vuoti; voci che sciamano via; la sacralità del gregge familiare. Gli scava voragini nello stomaco da una vita, e lui lo chiama fame: non è adorabile? Crede pure di zittirlo con po’ tagliolini e brodo; ma è tenace il nemico e, cattivo, canticchia: nessuno ti vuole, Naruto Uzumaki, nessuno.
__Per questo, per questo, meglio vivere e godersi ciò che si ha, benché misero e patetico. Come una buona dormita. O una bella giornata di sole. O una scodella fumante di ramen offerta dal signor Teuchi. O il non essere poi tanto debole, per pestare tre bambini capaci di fargli da custodia.
__Ché non è così invisibile, forse, se il maestro Iruka strilla come un’aquila per l’ennesima, fiammante parete sbaffata dalla sua esuberante delinquenza. Ché non è messo così male, forse, se riesce a far girare tutta Konoha allo squillo argentino della sua voce e con quel vorticare da petardo di Capodanno.
__Ce l’avrebbe fatta, sempre, d’ora in avanti. Ce l’avrebbe fatta, alla faccia di tutto e tutti. È una promessa e una rotta: una via.

__Parola di Naruto Uzumaki, prossimo Hokage della Foglia!

__E così è stato: se l’è o non se l’è sempre cavata, lui? Ah, certo: è tutta una vita che se la cava, lui. In qualche modo. Più o meno ortodosso, fortuito o geniale esso possa essere – integralmente idiota, Oiroke no Jutsu, spesso e volentieri.
__Deve ammetterlo: non è esattamente da tutti superare indenne scenari più vicini a un mattatoio che a un’innocua missione classe D. Incrociare i kunai con titani strappati al mito, e uscirne tutto sommato vivi – non quasi morti, come sua maestà splendente Sasuke Uchiha. Classificarsi tra i primi dieci nella graduatoria per la selezione dei chūnin, dopo tre, ben tre bocciature consecutive. Fronteggiare il proprio termine di paragone, il rivale di tutta una vita, la nemesi che si è sempre inseguita, e proprio nella Valle dell’Epilogo: urna in acqua e pietra di una discendenza divina. Divina e, non a caso, fratricida.
__Lui, in buona sostanza, contro tutte le probabilità, i calcoli matematici e preventivi empirici; con tutti gli astri a sfavore e l’universo intero in opposizione; tutto il team a terra, un solo uomo in gioco, zero elementi di recupero in serbatoio e il super-mega-stronzissimo-boss di fine livello davanti; in pieno orgasmo della tirannide di Murphy, lui-! Uh, lui? Lui è erba cattiva, duro a morire.
__Sempre a cavarsela, il giovanotto. Beh, sempre… Va bene, va bene. Magari non sempre e comunque uscendone come un fresco bocciolo di maggio. Può darsi, qualche volta, con una quantità non proprio irrisoria d’ossa rotte, un polmone spappolato a mo’ di pomodoro maturo, e un arto tagliato via. Senza incisione. Strappato.
__Sas’ke, sapete, lui non lo aveva fermato.
__In genere, però, la scampa sempre: di che si lamenta? Per qualche bernoccolo? Ma se ai suoi strappi pensa e ha sempre pensato la lava rossa dell’Enneacoda! A quelli, quantomeno, giacché per il cervello, quel cumulo di rifiuti e traumi infantili… Per quello, ah, giusto un poco d’incenso e due strisce di sūtra! Una galleria del vento, in simpatia al chakra; o il vuoto pneumatico, sfotterebbe Uchiha.
__Peccato tal Uchiha non sia lì, al momento, ma impegnato a pianificare nuovi e industriosi modi per trucidare il suo intero villaggio natale. Fosse almeno capitato nei paraggi in occasione di un recentissimo giudizio universale; avrebbe riconsiderato i piani più imminenti, probabilmente – perché, pensa te, tanta imprevista cortesia! Chissà, magari avrebbe commentato con un ah però, grazie; chissà, magari avrebbe commentato con un era ora, stronzi.
__Ma tal Uchiha, chiaramente, non è lì.

__Suvvia, ancora quella faccia da vedova inconsolabile, ragazzo?

__Ha schivato un bel proiettile, no? Altroché, una grandinata di piombo! È maturato in una grossa e grassa gatta da pelare, l’orfanello degli Uchiha. Lode ad Akatsuki e ai ninja traditori per averlo liberato da uno fra gli esseri più rognosi del creato! La prognosi era facilmente odorabile finanche da un sempliciotto della sua risma, poi: altro che steli commemorative o targhe, al camposanto l’avrebbe condotto, la piaga con lo Sharingan.
__Se lo sarebbe mangiato vivo, Uchiha.
__Alla luce delle ultime analisi e secondo il parere medico, avrebbe seriamente dovuto mandare un cesto di frutta al compianto Orochimaru. Una corona di fiori, perlomeno.
__Lo è sempre stato lui, fortunato, molto e malgrado tutto. Fortuna che, di quando in quando, torna a fargli visita, grattando le unghie sulla porta come un gatto girovago. Un gatto un po’ stronzo, in effetti: astuto profittatore che, se digiuno o in carestia di sorci, riappare prontamente; miagolando per farsi riaccogliere e, quindi, assolvere: ché non voleva, eh, sul serio! Robusto nella calma che l’allocco lo perdoni; perché si sa, è fatto così lui: abbaia, fa lo scocciato, ma cede sempre dal bonaccione che è.
__Perciò, laddove se la sia cavata, non è certo stato per abilità intrinseca, fine raziocinio o pianificata strategia. Affatto. La radice è semplice, banale, sfacciatissima fortuna. Culo, genuino culo.

__Chiaro, baka?

__Dio, quanto odia dargli ragione: tanto in passato, da ragazzino, con quell’ombra di sussiego sotto l’ala nera dei capelli, quanto al presente, quattro anni e una quantità meglio ignota di spazio aereo di distanza.
__Mai che abbia capito niente di Sasuke, d’altro canto: da dove arrivava, in effetti, il nero saldo e contratto dei suoi occhi da rapace? Il Falco, senza dubbio; e incubavano un potere remoto e mortifero, sì, ma sempre, tragicamente umano. Cosa innescava, poi, il baluginio metallico che di rado, ma significativamente, lì lampeggiava? Era il voltaggio elettrico della mischia, sicuro, ma non solo. E il portamento altero e stizzito? Un po’ gobbo, il Sas’ke dodicenne: le spalle curve e le mai fuggite nei pantaloni – ce lo aveva cucito addosso, il tessuto di una casata di eletti. Scrutava di sottecchi, anche, sotterrandosi nel collo altissimo della maglia; il miglior genin di Konoha pareva spiare il mondo con l’apatia stomacata riservata agli insetti.
__Lo ricorda, lo ricorda bene: un anno fianco a fianco, a sputare terra e dormire sugli alberi. Insieme, sempre insieme, ad affidare la vita dell’uno nelle mani dell’altro senza reale ammissione, o la convinzione di poterne cavare qualcosa di buono. C’era una squadra là, compagni, stima e invidia: legami. Eppure, dopo tutti i Rasengan e i Mille Falchi, dopo il mostro e il sopravvissuto, dopo l’eroe e il traditore, dopo tutto… non ha ancora capito niente.
__Ed è stupido. Lui? Lui, certo, lo è sempre stato, ma lo è anche l’affare, tutto quest’affare in generale: è stupido, perché ha sempre pensato fossero simili loro due. Simili, affini, come vi pare! Speculari nella contrarietà di colori e caratteri e, quindi, paralleli. Due strade sì diverse ma adiacenti, correnti lungo identica direzione e sporcate dalla stessa orribile sozzura: la solitudine.
__Lo pensava, n’era certo: non la mano, il suo stesso coprifonte sul fuoco, a suo dire!
__Era tutto così semplice, allora: soli al mondo per la stessa causalità; o se non già la stessa, comunque una simile, fraterna catena di sfortune. Orfani entrambi, al più o al meno. Tuttavia… benché sapesse del massacro degli Uchiha – pure solo teoricamente e per lontana astrazione –, non aveva mai ben afferrato cosa quello volesse significare. Quanto quello potesse significare, e significare veramente, per Sasuke.
__Avrebbe dovuto capirlo prima: quello voleva e doveva significare qualcosa, per lui. Quello significava, era.
__Era tutto, per lui, tutto.
__L’inizio e la fine, l’alfa e l’omega del suo inverno umorale; una lebbra intangibile, camuffata da genio sopra l’armatura da bimbo prodigio. C’era sempre, non la potevi toccare – guai a te! –, ma la vedevi e la vedevi bene: la vampa scura a ruggire feroce nei suoi globi muti; la ruga verticale tra l’arco delle sopracciglia e sopra le falangi lussate in un sigillo; la ritrosia da corvo pronto a volare via, e non senza averti defecato sulla zucca prima di sparire lontano.
__Sapeva cosa era successo, tutti lo sapevano: l’ultimo a foce di una violenza intestina e consanguinea, leucemica – sangue che attacca sangue. Sapeva, ma capiva? Si era mai sforzato di comprendere cosa questo volesse significare, e significare rispetto a lui e rapportato all’altro?
__Naruto e Sasuke erano sì soli, ugualmente soli, eppure le loro solitudini non potevano dirsi altrettanto uguali. Per quanto crudele da esternare, Naruto era sempre stato solo: mai avuto nessuno e, pertanto, mai neanche perso nessuno. Nessuno di cui serbasse memoria, almeno. Sasuke, viceversa, non era sempre stato solo. Non era nato solo. Aveva avuto due genitori, un fratello, una famiglia, un intero clan, e li aveva avuti da sempre. Aveva avuto tante cose, lui, cose che non si è mai pronti a lasciar andare. Eppure… Come ti separi da un braccio? Come, senza sanguinare?
__Discriminazione, sedizione, ragion di Stato: prima ancora di saper reggere un carico del genere, tutte, tutte quelle cose… via. Strappate via, in un unico fendente di tuono. Così si era estinto il Ventaglio: presso una luna gravida, sopra un rione mietuto prima dell’alba. E a lui restava un corpo senza radici e senza rami, solo.
__Questo, Naruto lo sapeva. Quanto invece ignorava, nei suoi dodici anni scarsi, era come perdere qualcosa – qualcuno – non fosse precisamente identico a non averla avuta mai. Non si trattava di misure, d’inferiore o maggiore, di più o meno brutto o doloroso. Era sottilmente discorde e maledettamente indefinibile, indicibile forse – muto e senza nome nel silenzio tributato al lutto.
__Era la meccanica a distanziarli – a separarli –, per sempre e dall’inizio – nella sostanza. Li poneva uno di fronte all’altro, specchio e riflesso del proprio opposto: il reietto che mai aveva avuto niente, da una parte; il superstite che tanto aveva avuto e che troppo aveva perso, dall’altra. Il dolore dell’assenza, e quello della perdita.
__Aridità. E falciatura.
__Due deformità per la medesima catastrofe.
__Orfani entrambi, sì. E no. No, perché Naruto, solo, lo era sempre stato; no, perché Sasuke, solo, lo era diventato. In questo, Uzumaki aveva un grande e crudele, drammatico vantaggio: il tempo. L’abitudine e la pratica alla solitudine. Uchiha, invece, aveva dovuto arrangiarsi come meglio aveva potuto: quando ormai era troppo grande e troppo tardi per dimenticare, ma non abbastanza per sopportare e resistere. Non aveva armi per fronteggiare il carcinoma senza sfociare nella degenerazione cellulare; senza mutare, gradualmente, con quel male. In quel male.
__Sasuke lo sapeva, lo sentiva scorrergli viscido e lento nelle vene; nel sangue rosso, cupo, marchiato da una lugubre triade di tomoe. Uchiha. Era più di una maledizione a Konoha. Eppure era quel sangue, quel suo sangue, la via, la sola via: avrebbe ricondotto il mostro al suo creatore e lui, al suo dio. Itachi. Lo Sharingan era la via per Itachi. E Itachi, Itachi era, era… l’approdo. Chiudere il cerchio e liberarsi, liberarsi finalmente; esorcizzare i fantasmi della notte: spettri di ragnatela e suono, voci, che lo seguivano anche di giorno; là, nelle ombre allungate dal taglio del sole.
__Aveva sempre pensato lui e Sasuke fossero soli, tristi e perennemente incazzati con tutto e tutti per la medesima ragione, analoghe vicende e, in un certo senso, vicino stampo caratteriale. Non aveva mai inteso quanto fosse differente, lontano ed estraneo il loro dolore. Non maggiore o minore, solo diverso e, quindi, sconosciuto. Come una cultura autoctona di cui non padroneggiava caratteri e costumi e, pertanto, aliena e incomprensibile: non la capiva. E non poteva.
__Non esiste confronto tra il mio e il tuo dolore. Esiste solo il dolore, diverso – personale – e identico – reale – per ognuno. E lui, questo, non lo aveva capito. Come uno stupido, non vi ha badato; senza la spinta a volersi avvicinare e, così, afferrare.
__Probabile fosse già abbastanza il suo, di dolore, da non poterlo o volerlo ingigantire con un altro. Due valanghe d’acqua e fango in collisione: rischiava realmente di annegare. Egoismo, ottusità, paura anche; restava però il non averlo afferrato.

__Non aveva mai capito Sas’ke.

__Né a sei, né a dodici, né a sedici anni.
__E questo lo faceva sentire di merda.
__Lo fa sentire di merda.
__Una vera merda.
__Come pensava: giornata di merda.
__Ah, meglio non pensare! A che pro, poi? Pensare e ripensare, perdersi nel riflusso delle seghe mentali, non dà in mano granché. Se ne vien fuori più incazzati di prima, in genere, con un mal di testa micidiale, le palle agghindate a mo’ di gozzo e il bisogno fisico di prendere a craniate il muro. Aprirla in due, quella testa di cazzo lassù, e vedere cosa possa esserci dentro per far ammattire così, dalla sera alla mattina: ci alloggeranno davvero delle scimmie urlatrici – come sospetta più di qualcuno, eroe o non eroe che sia? O riesumeranno invece il cadavere di un qualche neurone – ultimo, desolato fanalino di coda del Quarto?
__Poche storie, comunque! Non pensare! Detto, fatto. Smettere subito, stop, fine. Ciao, ciao. Tante e care cose, eh! Che ci vuole? Non. Pensare. A nulla. Di nulla. A niente. Di niente. A-niente-di-niente-di-nient-, ma porc-! Oh, e dai! Pure l’emicrania, adesso? Ma vaffan-… Merda.
__Giornata di merda.
__Periodo di merda.
__Si massaggia le tempie per un grappolo di secondi, poi caccia le mani nelle tasche. Dentro la zucca, gli occhi fanno male; a terra, anche gli scheletri della Foglia fanno male. A dispetto loro, però, non c’è troppo campo d’azione: fare, non fare, cambia qualcosa? Che pensi o non pensi; che si alleni o non si alleni; che vendichi il maestro o si levi oltre il vile regolamento di conti; che si adoperi per farsi accettare o quasi si faccia ammazzare; che lo talloni sin dentro il Ferro, quello là, o con la neve che cade, aliti di cieli autunnali lei… Che accidenti di differenza fa?
__Ansa corrucciato.
__Devono prenderlo davvero per cretino, un autentico idiota, se questi sono i mezzi di persuasione: lo raggirano come un cane, quando ondeggi l’osso per assestargli poi, in stoccata, il guinzaglio. Ai loro occhi, un povero, povero coglione; il delinquentello con la latta di vernice; una bestia bizzosa con cui è impossibile ragionare… Quattro anni e il contentino di eroe, ma è ciò che vedono ancora.
__I molari stridono, mentre le tasche ringhiano.
__Eh già, cosa vuoi che ne capisca lui? Non si ferma certo a chiedersi: riportare indietro Sasuke e riabilitare il suo nome? Un’impresa più ardua ogni giorno, ciclo lunare e lembo di calendario che cade. Fargli intendere la portata del casino in cui si stia – li stia – cacciando – tutti? Forse troppo, persino per lui. Rimpatriare ai vecchi capitoli del team sette, delle giornate bruciate a recuperare felini isterici alla marcia di Sakura-chan, Kakashi-sensei e testa quadra? Solo un maledetto miraggio.
__Ma sì, son cose che non lo sfiorano. Ha un ottimismo inguaribile lui – neanche fosse una malattia. Spensierato, esuberante e fracassone, basta quello a far da cuscinetto ai calci in culo della vita. Guardatelo un po’: è solo Naruto Uzumaki! Il somaro della classe! Sfottete, sfottete pure. E ricordate di andare ’affanculo, dopo, grazie.
__Gorgoglia e vibra, fermenta forse: il maremoto ha focolaio nello stomaco ed estuario nei polpacci.
__Bah, di quest’andazzo, fulminerà in un’unica vampata le ultime sinapsi rimastegli dopo una vita di stronzate, e col cavolo morrà insieme a Sas’ke: schiatterà oggi! Proprio lì, in mezzo ai rottami della passata Konoha, e con una ridicola espressione costipata a grattargli il grugno.
__Porta una mano al collo e, distratto, alza lo sguardo.
__Chissà, forse converrebbe salvaguardare la testa e guardare le nuvole, come Shikamaru. Ci investe il novanta per cento buono della sua capacità intellettuale e del suo tempo materiale, Duecento-punti-di-QI-kun: non potrà essere certo male…
__Peccato quel venerdì non vi sia nemmeno uno sfilacciato brandello di nuvola, lassù. Solo una campata immensa, impataccata di giallo e arancio dal tramonto. Tanto spazio sopra la testa, così tanto da pesare addosso, e neanche il cumulo nomade di una massa aerea.
__Pare proprio un soffitto dipinto, il cielo: tutto grosse strisce orizzontali, granulose come i kanji di Iruka-sensei sulla lavagna.
__In effetti, è così da un po’. Almeno, così a Konoha. Bah, Konoha, poi… Ha proprio un bel dire: occorre un enorme sforzo d’immaginazione per volercela ancora trovare, Konoha, là in mezzo! Un buco polveroso, raspato nel polmone verde del Fuoco come lo scavo di un cane: questo c’è. Eppure, la fossa sembra sguarnita di cadavere: no no, abbiate pazienza, c’è stato un errore! Vi paio morto io? Si deve credere ancora vivo, il povero diavolo. Sai cosa, però, compare? Quando il resto del mondo ti dice una cosa, e la voce è forte e una sola, chiediti questo: sono loro? Ve lo giuro, non lo sapevo! Oppure sono io? Quello che accedeva fuori, io non lo sapevo! Ignorante e vigliacco, tu guarda! E ti sorprende avere i piedi in una fossa?
__Tremano le gambe, ora.
__Merda, che pensieri va a fare? Non portano a nulla di buono, lo sa bene; non portano da nessuna parte, solo terra sulle scarpe.
__Non che lo faccia certo di proposito, comunque: non vorrebbe, non vorrebbe proprio ingarbugliarsi in tante idee storte, immagini di buche, cadaveri, morti che non sono morti e giuliva combriccola. Che diamine, non si chiama certo Sasuke, principe di Danimarca, Uchiha! E mai stato un tipo depresso o meditabondo, nemmeno quando la vita l’ha preso a sprangate sui denti; quindi cosa cavolo gli prende?
__È solo che non c’è neanche lo straccio di una maledetta nuvola, in quello schifo di cielo aranciastro. Che poi, a lui l’arancione in genere piace, eh. Eccome se piace: l’ha indossato consecutivamente per sedici anni, scardinando ogni decenza cromatica e principio di mimetismo ninja. Tuttavia, l’arancio di quel giorno, quella crosta ridanciana di ocra, sabbia e ruggine, lo sta pigramente infastidendo.
__Ci fosse poi qualcosa da guardare, qualcosa, una qualunque cosa! Un battaglione di uccelli, lo scintillio di un astro, un’eruzione intergalattica: perfino il marchio di quella creatura sessualmente e umanamente ambigua di Orochimaru sarebbe ben accetto. Tutto, pur di distrarsi, di fare e fare in concreto, nell’immediato, non sulla lunga distanza: è così stanco, stufo marcio di sfasciarsi la schiena e farsi il culo… Per cosa? Intravedere il luccichio di una conquista dopo distanze siderali di lavoro? Questo?
__Perché, porco demonio porco, avesse avuto almeno un motivo per bighellonare naso all'insù, forse, schiantarsi come un rincoglionito contro il primo palo sarebbe parso un filo meno imbarazzante. E ridicolo. E dolorante. Ma giusto un filo meno.

__Merda…

__In rinculo all’impatto, le mani sbucano leste dalla tana dei calzoni, e lui s’irrigidisce come il bucato lavato, lasciato inaridire alla fornace del sole. La schiena è incurvata, gobba, attorno la testa scarmigliata dalla botta e dalla fusione neurale; i capelli biondi, corona di paglia del buffone che è, ritti come un qualche felino indemoniato: ohi ohi, quante code intendi tirar fuori, oggi?
__I polpastrelli vanno d’istinto al naso, fuoco della collisione; ma il tatto in lui è sempre stato poco, quindi impreca senza rimorsi perché, miseria, fa un male cane! C’è del rosso e dell’ira sulla faccia; c’è pure un bel bitorzolo, da poco, insieme a tanta, tanta stanchezza. Quella, però, è lì da molto prima.
__Giusto il setto nasale tumefatto mancava… E poi, che altro in quel fantastico pomeriggio di merda?! Una nuova incursione di Akatsuki, o quanto ne rimane? Sasuke che passa a terminare il lavoro di Pain? O che so: un’invasione di locuste? L’acqua che trasmuta in sangue? La ressurrezione di quel mattacchione di Orochimaru? Magari direttamente Madara, sì, a recuperare dal canile Uzumaki il suo animaletto da eccidio di massa! Di quale morte deve morire, si può sapere?!
__Peggio di così, maledizione, può forse andare? Sasuke decorato del titolo di nukenin e braccato come un randagio idrofobo. Nonna Tsunade che entra ed esce dal coma senza tante cerimonie o crisantemi. I suoi amici che, comprensibilmente, si organizzano per arginare il morbo Uchiha. Kakashi-sensei e Sakura-chan che, invece, si coalizzano per debellare lo stesso morbo di cui sopra. E ricordiamoci! Il medesimo, secondo sacrale liturgia ninja, a ricambiar loro la cortesia con un kunai puntato alla gola della ragazza che, a dodici anni, si è erosa nelle lacrime – per fermarlo – e nell’umiliazione – implorando il compagno di riportarlo indietro.
__Attenzione, però, il bello arriva poi: i duellanti che, dopo i dieci passi, si voltano e gagliardi sparano. La sparano. Grossa. Tu sei mio amico, che suona dolente e malinconico, mi dispiace, come una promessa e una minaccia, ma basta con le cazzate. Suona come una strada, il nindō, che non ha uscita.
__L’impegnativa? Delle più classiche: ammazzarsi. A vicenda.
__Onestamente, dunque: potrebbe andar peggio? Potrebbe esser rosso di chioma, in effetti, e avere due trecce…
__Corruga le sopracciglia e una ruga si scava sulla fronte: non si vedrà perché sopra vi va la banda, ma c’è; fregature da ninja, le conosce bene. Il colore, negli occhi, si mischia al riverbero lontano di un cielo terreo e itterico, malandato, che d’azzurro non ha più niente; e lui resta fermo, tra le zolle sotto i piedi, e il riso di Eolo sopra la testa. Fermo, tra il sereno disinteresse dell’etere, e l’egoismo di chi quaggiù deve sopravvivere, poco importa come.
__Errabondo fra due piani, non sa dove andare: ancora troppo umano per l’Olimpo degli eroi; non abbastanza per la mediocrità dei figli d’Adamo. Troppo e non abbastanza, insieme: si elidono a vicenda, insieme; lo bloccano, insieme. Fermo non può avanzare.
__Cosa rimane? Andare e venire, ancora e ancora, per trovare spazio?
__Nessuno ti vuole, Naruto Uzumaki, nessuno.
__La sua strada e la sua via, il suo…
__Tu non ce l’hai.

__Posto?

__Munge palpebre, muscoli e scorza; mugugna, mentre la carne sulla fronte si raggruma. Evidentemente non pago, preme sul volume gonfio del naso e lì insiste: si strapperebbe il cervello, potendo, con quelle stesse mani! Vorrebbe aver fra le mani la realtà là fuori; una realtà che, per quanto nuda, sventrata nella sua cruda evidenza, non rimane nei palmi. Rotola, rotola via come scampoli di terra secca; come la superficie crepata e rimossa sotto i sandali… Ogni tanto lo tradiscono ancora, quei sandali: lo fanno incespicare come il dodicenne che si affannava dietro cose non sue, divine, quali la marcia sull’acqua.
__La realtà, di recente e mai come ora, sembra ansiosa, vogliosa quasi, di schiaffeggiarlo per l’insolenza nel sindacare; per quella sciocca presunzione di poterla afferrare o addirittura capire. Gli lecca sfrontata la faccia, nel sole, ed espira lasciva all’orecchio che lui, Naruto Uzumaki, eroe del Fuoco e progenie del santo Quarto Hokage, non ha mai capito un emerito cazzo di niente, nella vita: dei suoi compagni, dell’esser ninja e di come gira il mondo. Niente quindi gli spetta, niente.
__Sbuffa, e una mano va ai capelli, sconvolti dal caldo e dalla giornata. Giornata di merda, per inciso.
__Giornata, periodo, vita.
__Venerdì di merda.






I would break down at your feet__
And beg forgiveness__
Plead with you__
But I know that it’s too late__
And now there’s nothing I can do__

Now I would do most anything__
To get you back by my side__
But I just keep on laughing__
Hiding the tears in my eyes__
Because boys don’t cry__
Boys don’t cry__

“Boys Don’t Cry”, The Cure__




[Boys Don’t Cry]











• • •

• Angolo dell’autrice •

__Ohi, eccoci! Ciao ancora, chiunque o qualunque cosa/persona/animale/vegetale/minerale/categoria-a-piacere-qua-non-si-fa-torto-a-nessuno-tranne-ai-cavalli-ché-i-cavalli-si-sa-sono-persone-orribili tu sia. Grazie mille per esserti trattenuto e aver proseguito, gentilerrimo davvero.
__Bene, passo ai doverosi riconoscimenti: titolo! È un omaggio all’omonimo brano dei Cure, che dà anche il nome all’intero trabiccolo. Potrebbe pure esserne l’ispirazione e colonna sonora, ben o male… ma sono cose trascurabili. Altro titolo! Del capitolo, questa volta! E altra canzone dei sopraccitati Cure; sempre loro la paternità degli estratti infilati ad apice e pendice. In tutta franchezza, padre, ho molto peccato ancora; perché ci sarebbe pure un riferimento a “Che cosa sono le nuvole?”, cantata da Modugno su testi del sommo Pier Paolo Pasolini. Vale a dire, quando si parla del derubato che, ridendo, ruba qualcosa al ladro; tuttavia quasi mi vergognavo a riportarlo, e non per irriconoscenza: per appropriazione indebita più che altro. In ogni caso mi scuso per l’uso improprio di tutte le citazioni impiegate.
__Che altro? Ah, che scema: la frase riportata ad apertura del capitolo appartiene a Boris Vian. Più o meno, è tutto. Grazie infinite per aver letto questa roba, piaciuta o non piaciuta, va bene in ogni caso. Grazie ancora e alla prossima, se vi va eh. Ci si spera ma, oh, se vi va. Insomma… Capito, me ne vò.

Grazie.

__Disclaimer: personaggi, fatti e luoghi citati appartengono a Masashi Kishimoto, cui vanno tutti i diritti circa il loro uso. Non c’è scopo di lucro.


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Capitolo 2
*** From Me to You ***


• Angolo dell’autrice •

__Ohi, tu, benvenuto! Sia capitato per caso, cliccando sul pop-up hai vinto un iPod! Credici! Giuro!, al termine di strani budelli spazio-temporali della Rinascente; comunque sia andata, oh, grazie. Si va col secondo e si va a stringere qua sopra (credici! Giuro!). Ci si può chiedere: tutta questa roba per cosa, esattamente? Eh boh, va’ a sapere, esattamente… Forse, giusto capire/giustificare/condonare/yare-yare quanto sta mandando ai matti il partito arancio post 450, ossia: perché lo scimunito non ha ancora risposto? Perché siamo in uno shōnen manga, il protagonista o presunto tale è Sas’kesessuale, e Kishy, un adorabile misogino. Grandi ambizioni, insomma. Olà, mille grazie per attenzione, visita, astensione da omicidio e lettura; genuflessioni e biscotti a voi tutti. Per la consueta e legale menata su riconoscimenti, citazioni e figure da maître chocolatier, ci si sente a fine capitolo. Pizzosissimo capitolo, dolente e immoralmente grata.

Grazie ancora e buona fortuna lettura.

• • •










È molto meno indecente
andare a letto insieme
che guardarsi negli occhi.




[Friday]
Im in Love

[From Me to You]






__I don’t care if Monday’s blue
__Tuesday’s grey and Wednesday too
__Thursday, I don’t care about you

__Saturday, wait
__And Sunday always comes too late
__But Friday never hesitate

__“Friday I’m in Love”, The Cure





__Venerdì.
__Giornata di merda.
__Alla grande, proprio.

__Fiacco, infila le mani nelle sacche dei pantaloni: le sente umide di frustrazione, non nota il serrare e stendersi delle falangi. Non fiuta l’essere a un passo, uno soltanto, da un’altra crisi isterica.
__Peccato l’isteria sia un male storicamente femminile, e così borghese da mal adattarsi a un pezzente bietolone come lui. Più in genere, le nevrosi, le paranoie e i sovraccarichi cerebrali gli cadono oltremodo male. Non sono domicilianti del suo universo di beata demenza, solo visitatori occasionali; vacanzieri molesti e sgraditi, che prima levano le tende, prima lo fanno tornare in quadro. Ma sì, sappiamo chi! L’allegro sbruffone dalla rissa facile, non lo shinobi in lacerazione: a quello loro sono abituati.
__Lo danno per scontato, ovvio addirittura, come l’azzurro nel cielo o il verde per terra. Noioso nella sua petulante certezza, ma così, così dev’essere. Non altrimenti, no davvero… E qualora quest’altro si manifestasse al di là della sola potenza, sarebbe certamente additato con orrore e offesa: come ha potuto?! Vestire simili fattezze, adultere a quanto sempre stato?! Nemmeno li ha avvisati, l’ingrato, sulle insidie di sembianze tanto ridicole ma, comunque, consolatorie! Non sa che al più non va proprio giù il meno? Li falcia, i fili d’erba che vanno oltre l’orizzonte della mietitura.
__È un rischio mostrarsi diverso: diverso dal peggior genin dell’accademia, dal ninja più stupido del villaggio, dall’allievo del prode Kakashi, dall’erede del Sennin dei Rospi… dal sangue salvifico del Quarto Hokage. Un gradino più in là ogni volta, con loro che non tengono il passo.
__Gli hanno accordato fiducia, quella della Foglia intera: la Volontà del Fuoco stessa gli è stata riconosciuta! E ora, non può dar sfoggio d’impudenza, mostrandosi tanto debole e incostante, tanto umano. Troppo, per una Forza Portante.
__Certo, l’hanno accettato come uno di loro; tacita, però, la clausola d’inadempienza qualora non continui a rivelarsi tanto parimenti, inumanamente forte e resistente. Può conservarsi umano nella bontà e nella compassione, sì; ciò che non può, invece, è mantenersi altrettanto umano nella bassezza e deformità che fanno dell’altro l’umano. Eppure lui vuole appartenervi, sinceramente, senza attestati o clausole a margine. Un’umanità che, desidera, lo riconosca come un padre riconosce il figlio, o un branco, il proprio simile. Per natura, perché è così, oltre il pietismo di una prova.
__Un luogo cui lui spetta, e che lo aspetta: questo vuole.

__Per cui male.

__Molto male, Naruto. Che fai? Dai retta ai criminali – Madara Uchiha? Ai morti – il Quarto Hokage? Ai mostri – il Novecode?
__Che fai, Naruto? Pensi ancora a Sasuke? Alla sua vendetta? O cosa?
Vendetta, giustizia, te lo chiedi: se c’è, dov’è la differenza?
__Che fai, Naruto? Pensi Konoha non abbia avuto nemmeno la spina di sporcarsi le mani, usando, vigliacca, il sangue stesso del Ventaglio come taglione al suo capostipite?
__Che fai, Naruto? Pensi il cratere in cui stai annegando – tu, in valanga a tutto il villaggio – altro non sia che il giusto compenso?
__Davvero è così? In fondo lo pensi del Fuoco, no?

__Ha quanto merita.


__Scuote la testa. Sguaina una mano dal suo nido di tela, e la affonda nel cespuglio di fieno, posto a ghirlanda della vicina emicrania.
__No che non è così. Lui non pensa quelle cose; né le ha mai pensate. Neanche da bambino, augurando a tutti di marcire per la terra bruciata che gli seminavano intorno. A che scopo, comunque? Fargli scontare una colpa che, in ogni caso, sua non era? Gli avevano addossato una croce terribile, che troppo pesava e solo toglieva: qui non ci puoi stare, qui non ti vogliamo, qui non è il tuo posto. Via la luce e le ore in accademia, una cosa soltanto gli lasciava: non ce l’avrai mai tu, un posto.
__Quello restava e quello era.
__Non l’Enneacoda, no.
__Quella era la fine, la sua.
__Probabile le belve non abbiano scelta: sanno, possono unicamente essere malvagie, nell’infinità della loro perversione. Diversamente, gli uomini hanno la scelta, l’arbitrio: la tanto celebrata conoscenza del bene e del male. Loro sì possono scegliere; e decidano, con la testa o con la pancia, non d’essere ma di fare del male… è un qualcosa che fa tremare. C’è rabbia e c’è nausea – e un gran bel dire anche, perché non può dirsene davvero estraneo. Forse mai sino all’ultimo sorso d’euforico abuso; lo ha provato, però, lo ha bramato talvolta: di fronte un ragazzino poco più piccolo di lui e, ai piedi, il fagotto tarlato del compagno di squadra; sul ponte Tenchi, davanti al contorsionismo flautato del ministro di Oto; nello scroscio verticale del mezzogiorno, dinanzi lo scheletro d’aracnide di Nagato, figlio e sintomo – monito – di un meccanismo impazzito.
__Talvolta. Una volta. Un’altra. E un’altra ancora.
__Episodi, momenti, attimi infernali di un tempo in cui ha, con ogni minuscola, maledetta striscia del suo essere, desiderato e invocato il massacro, lo smembramento gustosamente anatomico di qualcuno. Quella voglia cieca, brutale e così simile al fermento sessuale di affondare le articolazioni, fino al gomito o al ginocchio, in budella e fluidi vivi. Il desiderio di restituire il male a chi ti ha fatto male.
__Libero arbitrio, giusto? Lo hai in mano e ti parla chiaro: fallo. Fallo perché lo vuoi e, giacché lo vuoi, lo puoi. Il gusto di potere quanto vuoi, qualunque cosa, al di là del bene e del male. Perché è il mio arbitrio e perché mi piace – diavolo, se mi piace.
__È il bimbo della Volpe, non ci si può fidare!
__Forse non avevano poi tutti i torti, già.
__Per quanto i suoi maestri e compagni ne dicano e lo blandiscano, sviandolo dal dolo e dal tanfo sotto le unghie, la Volpe in quei casi c’entrava. Sicuro. Entro precisi confini.
__Sarebbe facile sbarazzarsi di tutto: delle colpe e della furia che gli marcia per le vene. Sarebbe molto facile, troppo, e comodo: perché plausibile. Accessibile presto e bene finanche da quei bigotti ignoranti della Foglia. Plausibile, sì, ma vero? Vero? No.
__Ha un demone dentro, ma questo solamente non fa di lui un santo. Né un martire. Solo un disgraziato.
__Può darsi, qui, il Novecode non abbia scelta: non può esser altro dallo spirito feroce che è. Viceversa, lui… lui può. Lui deve. E lo scegliere si sta facendo sempre più affannoso e meno ovvio: la linea tra giusto e sbagliato, tra questo si fa e questo proprio no, tra diritto e opportunismo – tra portante e portato – è un laccio fragile fragile, attorcigliato per troppo tempo, troppe volte, in troppi giri, affinché regga e stia. E lui ha paura: ha la tremenda paura di non reggere e andar giù; crollare in un’emorragia di fibre rosicchiate poiché guaste.

__E non è bene, sai, Naruto?

__Non è bene mostrarsi tanto timoroso, tanto confuso, dopo l’esercizio di quanto in tuo pugno – pardon,
vostro. Dimmi: non trovi curiosa la tempistica? Tutta questa riconoscenza, quest’affezione, la fulgida gloria, e proprio al riemergere del demonio a nove code; le coincidenze, pensa! Ah, devi aver fatto loro una gran bella impressione, ragazzino: devi averli spaventati a morte… Se la sono proprio voluta, comunque: anni su anni a cantilenare vai via, mostro, vai via, e poi, a furia di sentirselo ripetere, uno ci crede davvero. Un mostro, uno lo diventa per davvero. Ma forse, sarebbe più calzante asserire ti ci abbiano fatto diventare: ti ci ha fatto diventare, il caro paparino morto.

__Avvita la mano nell’antro delle tasche.

__Non sei felice di un omaggio tanto grande?

__Si grinza in avanti, giù, sotto il germogliare spietato del crepuscolo.

__Quale lieta maledizione da dispensare al suo unico figlio.

__Silenzio!, ordina. Silenzio, prega.

__Davvero un bel padre di merda.

__«Basta!»

__Vorrebbe essere un urlo possente, quello di Atlante contro Zeus, capace di rovesciarlo da uno trono di comete e fuoco; tuttavia resta solo il lamento di una bestia ferita, tra la polvere della terra e il bruciare dell’aria.
__Ha serrato gli occhi da un poco, e quando intravede la granulosità ai suoi piedi, realizza d’esser ancora fermo. Davanti a quel palo.
__Ci ha impattato contro, un tempo, una distanza che paiono fatti di ricordi lontani. Eppure lui non si è mosso, neanche di un millimetro: ha giusto rimestato coi sandali la limatura del terreno, nell’ombra lunga, spatolata dai fendenti del tramonto.
__Su di lui, quella ha il peso delle nuvole in cielo; strana cosa, perché riesce a lavarlo dal fuoco giallo di un sole che cade.
__È dopo aver liberato la fronte dall’occupazione della mano, che lui ringrazia, grazie, in silenzio, grazie davvero. Ringrazia quel palo che, senza nulla chiedere, lo ha difeso – e dire, neanche poco prima lo avrebbe volentieri divelto! È una testaccia quadra, non a caso.
__Socchiude gli occhi arrossati, forse contagiati dal mattone sul naso, e abbozza un sorriso.
__L’ombra scivola timida e invisibile, sfiorandogli la riva della mascella e i capelli d’agrume: inconsciamente Naruto l’avverte, poiché lo reidrata; razionalmente, però, non se ne accorge. Vede giusto il palo, non l’ombra; per questo ringrazia e guarda solo quello, facile nella sua frontalità, non l’ombra, che una materia sua non ce l’ha.
__Lei nemmeno la sa, eppure c’è: è lì, su di lui, addosso negli effetti, e lui neanche la vede. Non la vede; solo la sente. La carezza gentile alla guancia viene da quella stanga scura lì, si racconta, e confonde il palo con l’ombra. Non capisce, diamine, non capisce ancora…
__Poi, qualcosa lo infastidisce.
__C’è qualcosa, qualcosa che ha, sente di aver dimenticato; che gli orbita attorno attento a non farsi notare. O quello è molto capace, conclude, o è lui molto tardo! La seconda che hai detto, ragazzo, risponde una voce e suona come quella di Ero-sennin.
__Gli scappa da ridere, forse per non piangere.
__Sarebbe lui che non riesce, allora? Che non riesce e non vuole vedere. Vederla. Dopo tanto tempo, vedere, per davvero, sarebbe, farebbe… Ah, non sa neanche poi lui cosa! Ma ha comunque fifa, una maledetta fifa del diavolo, perché non ne conosce il muso. Quando mai l’ha vista, lui? Figurarsi provarla sulla pelle, poi!
__Ci sono stati i maestri, sì, vecchi e nuovi compagni; i genin della Foglia e tre della Sabbia; i mentori e i detrattori; i pasti offerti e quelli scroccati; le radure in cui sudare in solitaria e quelle in cui correre in branco; c’è stato tanto, eccome. Però. Sì, c’è stato anche un però, e là resta.
__Manca qualcosa, ed è l’odore dell’infanzia a ricordarglielo: un bimbo come un passerotto, su un ramo sgangherato di giostra; lo stesso, sopra sgabelli troppo alti a ingozzarsi di ramen, confondendo la fame con la solitudine; e ancora, lui e una porta puntualmente chiusa, aspettando qualcuno che purtroppo mai arriva.
__Quella cosa manca, e se prova appena a pensarla, pure nella privatissima intimità delle sue trasvolate, rosola bene sino al cocuzzolo delle orecchie. Gli pare null’altro che una fantasia infantile, un po’ stupida, e fuori tempo massimo per un ragazzone di sedici anni suonati. Non avrà problemi nel girar agghindato come un pagliaccio arancione forse, ma non si azzardino a far del suo cuore un circo! Così lo serba dentro e non lo pronuncia nemmeno: perché non è uno scherzo.
__La voglia d’esserlo anche lui, amato.
__Incaponirsi sul diventar forte, sull’essere finalmente valutato tanto solido da vestire la carica di Kage, sono virili scuse a difesa della dignità maschile; su cose che, santo Dio, non vanno proprio dette.
__Il desiderio è però uno e capitale, tanto soverchiante da porre radici in ciascun quartiere del suo organismo. Ha nome ossessione, in genere, ed è fatta di rituali, nenie ripetute e sempre uguali, cause camuffate da fini: di quanto vuoi e, sistematicamente, mai hai. Racimolare l’interesse della bella Haruno, non tradire la fiducia di Umino e accaparrarsi quella di Hatake, accostarsi all’effluvio d’alloro del genio Uchiha e, da ultimo, diventare il Sesto Hokage di Konoha: non erano e non sono che strade secondarie, sentieri più o meno tortuosi con unico fuoco prospettico.
__Qui, però, subentrano le redini di orgoglio e imbarazzo nel metter in piazza i panni sporchi: berciare Hokage, ’ttebayo, Hokage, lo rende irritante, una bertuccia urlatrice; ululare voglio essere amato, un giorno voi mi amerete e allora vedrete, fa di lui un mendicante, l’orfanello da compatire. E con pietà e insofferenza sulla pesa, cos’è in tutta onestà preferibile? Beh, per lui la seconda, sempre: meglio le pietre della condiscendenza gratuita, a costo di tirarsi la zappa sui piedi.
__Per cui è forse meno sconveniente, nonché infinitamente più ambizioso, strombazzare a destra e a manca di diventare il prossimo Kage, sicché tutti lo avrebbero rispettato; malgrado, per lui, il sottotesto si conservi trasparente.
__Perché l’Hokage è amato da tutto il villaggio, giusto?
__Il maestro Iruka, questo, quando lui era al primo anno d’accademia: sette anni, broncio d’ordinanza e naso levato al corteo. Doveva ricorrere l’anniversario per la fondazione del villaggio; c’erano le magnificenze militari della Foglia a marciare, e si offrivano come sogni di conquiste e vittorie discesi in uomini.
__Nella bufera di coriandoli e riverenze, lui si era accodato al nuovo sensei – un bonaccione deboluccio e un po’ gonzo, a suo dire. Con sufficienza mal celata, lo aveva interrogato circa il vecchio gobbo con quel ridicolo cappello: ovviamente l’Hokage, non lo sapeva? Ce-certo che lui lo sapeva! No-non era mica stupido, eh! Voleva solo assicurarsi anche lui ne fosse informato, così da dimostrarsi effettivamente degno di essergli maestro!
__Fumando di vergogna, aveva poi insistito e rischiato, puntando sul nero quell’aria da menefreghista cui non fregava proprio un bel niente di nessuno: aveva chiesto perché. Perché mai tutti s’inchinavano presso un simile cadavere?
__L’azzardo gli era costato quanto basta: una randellata sulla zucca gialla per la troppa impudenza. Tuttavia non poté dirsi totalmente improduttivo, anzi: avrebbe dato direzione a forze altrimenti perdigiorno.

__«Perché l’Hokage è amato e stimato da tutto il villaggio; perché è il più forte.»

__Il Naruto di sette anni e centonove centimetri gli aveva scagliato in risposta un’occhiata biliosa e parecchio scettica: il più forte, eh? Ah, proprio un gonzo, Iruka-sensei… Quando poi, eccolo: fra l’acciaio della bandana e il taglio sul naso, qualcosa. Qualcosa, beh, forse di un poco ebete, sì, ma anche, come dire, luminoso. C’era qualcosa là sopra, sulla faccia da pollo del maestro e su quella di tutti i grandi attorno; qualcosa che avrebbe pagato oro e forse anche tutto il ramen del Fuoco, pur di vedere rivolto a sé. Per sé. Solo per sé.
__È facile sia nata allora tutta la filastrocca sull’Hokage: voleva vederlo ancora, quel qualcosa un poco ebete ma luminoso, e conservarlo per sé, questa volta. Riuscire ad afferrarla, quella cosa che volava, volava, volava alto; sebbene carica di cose e bagagli. Cose come fiducia, stima, affetto e amore. Anche amore, in qualche modo.
__Chimere da bambini, in fin dei conti: da grande sarò a capo di tutti i jōnin! Io diventerò un Sannin! Uno dei Sette Spadaccini della Nebbia, io! Conservarle strette anche dopo, superati i sette anni e i centonove centimetri, quello è realisticamente difficile.
__Probabile avesse imboccato la strada più ripida, in vista del traguardo prefissato; tuttavia lui non era tipo da rimangiarsi la parola: perché dice le cose così come stanno e non cambia idea! Ciò nonostante, ora, a quanto ormai? Dieci anni e una sessantina di centimetri in più, da quel giorno? Ora, all’ombra di quel palo, si domanda se non abbia dimenticato qualcosa lungo il tragitto; se la via secondaria, il come, non abbia finito per valicare e insabbiare il cosa, quel rogo che lo divora e vivifica da che ha memoria. Si chiede se non abbia finito per digerire il sogno ufficioso in quello ufficiale, soppiantando il primo con il secondo e tradendolo.
__C’è qualcosa che non ha visto e che, forse, insiste a non vedere.
__Aggronda le sopracciglia e rumina in silenzio.
__Ha dimenticato qualcosa? È una domanda. Poi si corregge: ha dimenticato qualcosa, è una risposta. Tutto questo tempo, ha smesso di guardarsi alle spalle per badare solo alla strada; ma la strada procede davanti come dietro, è in divenire ed è andata: quella strada è lì per un motivo. Il fine è la strada? Sono solo dettagli. O è la causa, la meta? Sono solo fatali. Cause camuffate da fini, ragazzo!
__Inizia a studiarsi la mano con illogico interesse, senza addentarne il movente; coglie solo che, se lo fa e vuole farlo, una ragione ci dovrà pur essere. Ruota quindi la zampa dal palmo al dorso, sopra e sotto. Sente che è lì la cosa, quel qualcosa fatto d’acqua e vetro, trasparente come aria ma essenziale quanto ossigeno; sente che è lì e che potrebbe agguantarlo, se solo non fosse tanto ottuso, tanto cronicamente in ritardo, tanto lui, cazzo!
__Ciò nondimeno gli hanno sempre ripetuto come il suo istinto, sì spericolato, possa dirsi anche valido alleato in assenza di altre doti: meglio assecondarlo perciò, senza dar troppo credito a funi di pensieri buone solo a imbrigliarlo.
__Sicché continua a giocherellare con la mano.

__Giocherellare con la mano?

__Muove le dita e da qualche parte, nel vuoto della testa, un campanello rintocca. Suona piano, e lui piano vede. Stesa lungo la verticale immaginaria dell’indice e la venatura del dorso, la vede coprirgli come un lenzuolo parte della mano: l’ombra.
__Mentre quello si dava all’autoanalisi spicciola, lei non ha cessato di schermarlo dalla barbara scorreria del sole. Gli ha dato riparato, senza che lui neppure sapesse o comprendesse, ma solo fraintendesse. C’è sempre stata, e lui… dov’era? A dar caccia ad altro, sempre altro; ma chi insegue comete, spesso finisce nei pozzi.
__Contempla la cute, tinta ancora da quella compagna silenziosa, e s’inceppa. È sempre stato fermo, beninteso, ma ora, forse, ha davvero smesso di pensare – pietà, una cosa alla volta per Naruto Uzumaki!
__Vede, e questa economia gli basta; vede, e questa sciocchezza lo sovrasta. Allenta le labbra e richiude la mano. La inabissa completamente nella battigia di una luce deviata, come in risacca, che da bianca, gialla, rossa – scotta –, frulla le ali e sbatte – si rovina –, e malandata cade, con un piumaggio prossimo al prugna. Prugna, quasi blu, da sopra la ruggine del terriccio.

__Prugna, viola, blu.

__La mano è livida, pesa. Le gambe vogliono muoversi, eppure stanno; minacciano di cedere, ma lui non le ascolta.

__Blu, scuro, dopo il tramonto.

__Sfrega le labbra, e non capisce perché si senta quasi risucchiar via – su, su, in alto – dal vento che, ostile, gli abbaia nelle orecchie.

__Blu, scuro, prima della notte.

__Proprio non capisce perché la terra paia viceversa trascinarlo giù – giù, giù e giù, sotto –, in tutta la contrarietà che lo possiede.

__La notte, la luce, la terra, il rosso, nel vento.

__Trema, e fiuta lì accanto la concreta possibilità di decollare in verticale o franare come una torre di rottami, se non si dà una mossa. Il vento, suo fidato elemento, trasporta all’orecchio qualcosa che non gli piacerà né gli farà bene; una voce che ha in sé il di lui nome, più un altro mai udito prima. Come un canto dopo un boato: non distingue dove è confusione e dove, percezione. Non se lo aspettava lui, non lì e non al momento di certo; non era preparato. Lo ha sempre, sempre voluto sentire, eppure… Chi l’avrebbe mai detto: fa male.

__Rumore, tanto rumore, quindi parole.

__Ha preferito non ricordare. Ma sono solo parole: che cosa potranno mai fare?

__Parole, poi vuoto.

__Che cosa?

__E la voglia di bruciare il mondo.

__Troppo.

__Serra con forza la mano, adesso innaffiata da un poco di brina: è sudore, sudore dopo la colpa e, signori della giuria, abbiamo un colpevole. Oh, se lo abbiamo: uno laido e codardo colpevole, il più eccelso degli stronzi!
__Deglutisce a vuoto, cala il pugno e, in un turbine di fifa, trasloca via: via da quel palo, da quella cavolo di luce e dall’ombra. Ma sì, sedici anni appena che la ignora; potrebbe fare peggio?

__Merda.

__Cammina a ritmo spedito, tambur battente si direbbe, stentato come un fantoccio caricato a molla. Cammina e prega, prega la carica non si esaurisca proprio nel pieno della fuga, o il suo scheletro di patetici ingranaggi lo molli lì, in mezzo alla strada, a uno suolo bruciato che solleva troppi scheletri, e a quel merdosissimo venerdì.
__Allunga il passo. Vorrebbe correre, schizzar via possibilmente; ma si dice che sarebbe troppo, davvero troppo imbarazzante scappare, in coda a tutte le piroette già distribuite. Senza contare non sia nemmeno tanto sicuro di riuscirci a correre, ora, con le articolazioni di carta crespa e le giunture in cera fusa.
__Può darsi, tuttavia, provarci non sia un’idea poi tanto malvagia. Del resto, più sputtanato di così: col muso prossimo all’itterizia, il naso melanzana e il contegno di chi se l’è appena fatta nelle braghe!
__Senza avvedersene, e con l’andatura a metà tra un ergastolano in fuga e uno spiritato, raggiunge l’enorme spianata ospitante la tenda dell’Hokage e le rovine del Fuoco. Espira con trasporto il ragazzo, perché: sì, hallelujah, sì! È arrivato!
__Subito si rilassa, e che la plastilina delle sue gambe lo faccia pure capitolare rovinosamente a terra! Tanto, è certo, fra poco sarà tutto finito: avrà parlato con Tsunade-baa-chan, riscosso le ultime istruzioni da Kakashi-sensei e Yamato-taichō, e finalmente altro cui badare; non più ombre, pali, polvere e vento. Qualcosa con cui distrarre mani, testa e piedi, senza errare come un’anima in pena per le arterie eviscerate di Konoha, o i labirinti ancor più intricati della sua mente irrequieta. Un po’ di sana e virile rissa, per Dio, e tanti saluti sudore, tremori e svenimenti da signorina!

__Svenimenti?

__Risucchia le guance: s-sì, svenimenti. Presunti, po-potenziali, insomma, i sintomi ci son tutti. Rallenta, cominciando a sentirsi pericolosamente strano: o-ohi, no-non è niente, sì? E poi, c-che accidenti ha da balbettare?!

__Balbetta?

__Serra i pugni, e l’odiosa sensazione di quella brina sotto il palmo lo storna dal credersi in salvo. In ogni caso non sta balbettando, si sappia bene. Suvvia, non sta neppure parlando davvero! Avverte il labbro inferiore tremare, e la cosa lo indigna, disgusta e terrorizza insieme: ci vogliamo dare un regolata o no? Su, su, che non è niente. Ora torna l’idiota di sempre, e ci dà un bel taglio ai rossori!

__Dai, pure i rossori?

__Cosa? Ah, ma che ne sa! Non è mica sicuro di quello che sta dicendo. Non è nemmeno sicuro di quello che sta facendo. O di dove lo stia facendo. Neanche sa che ore sono – ah, no! Ecco, ecco: l’incontro alla tenda dell’Hokage! A posto! Capito! Due chiacchiere veloci veloci, le ultime nefaste novelle del giorno e poi, dritti al suo settore per una bella doccia fredda!

__Nientemeno? Però, che stallone!

__No, un secondo, gli è uscita male.

__No no, gli è uscita piuttosto bene. Di cuore, mi pare.

__Ohi, pausa.

__Forse siamo un pelino più a sud del cuore, d’accordo, e allora?

__Più a sud del cuore un accidente!

__Suvvia, siamo gente alla buona noialtri, in salute, se mi è concesso.

__Una legnata a nord del mento è concessa, e con gran piacere!

__Poche balle: chi è la fortunata?

__La scodella di ramen! Altro che balle: poche prese per il culo, cortesemente.

__Scherza? Il trionfo, la virtù eroica e, comunque, nessuna spasimante?

__Vuole una confessione scritta, per caso? Già, nessuna! Nessunissima nessuna! Ah no, aspetta… In effetti, una c’è anche stata; la sola cui lui abbia mai rivolto sguardi trasognati in quattro anni di patetica nullità sessuale, tra l’altro. La cosa più esilarante? L’essersi dichiarata nella disperata manovra di frenare l’allocco dalla matta corsa appresso l’altro ragazzo; quello che davvero lei ama.

__Uh, poveraccio… Nessun’altra, allora?

__Garantito! Nessuna! Zero tondo e spaccato!

__Che gran bugiardo sei…

__Prego?

__Vuoi contar frottole, Uzumaki? Sarà il caso d’imparare a bluffare meglio.

__Cos-? Oh! Oh alla grande! Deve tornare in carreggiata, e alla svelta, altrimenti diverrà psicotico più in fretta e con esiti peggiori di Sas’ke.

__Come illustreresti, dunque, l’esser una granata di nervi quando vaghi per Konoha?

__Ehi, grazie al cazzo! Col pericolo di rinvenire il cadavere di quello là appena fuori la cinta del villaggio?

__Parliamo allora di come ogni tanto, qui alla Foglia, con il sole alla perpendicolare, tu casualmente sgusci via, battendotela con una scusa risibile: non se la beve nessuno, vedi? Eppure tutti annuiscono, tanto fa male quella smorfia rotta sul viso. Non devi incontrare il maestro Iruka, Kakashi-sensei o chissà quale altro manichino di circostanza: è una fuga in piena regola. Le mani contro l’addome, e cazzo se scappi! Voli via da Konoha stramazzata nel mezzogiorno. Ti racconti che è solo il mal di stomaco, la tensione del periodo, il lunedì, il martedì, il mercoledì o il giovedì di merda. Solo quel giorno e poi passa; prima o poi deve, deve passare, perché così non si può: non tiri avanti così! L’incubo di tutto quel sole; una gola raspata dentro il ventre, e una, incubata tra vapori di terre lontane. E torna, torna sempre il fantasma di quel giorno: quando hai avuto e fottuto tutto nel medesimo, improvviso attimo.

__Dacci un taglio.

__Fifa a pronunciare il suo nome?

__Smettila, davvero.

__Cosa c’è? Credi che dopo… Uno? Due? Magari anche dieci anni, sì! Ecco: credi che quel tuo scansarla ancora e ancora possa ferirla di più?

__Non è divertente.

__Sepolto vivo nell’indifferenza o notato in punto di morte: tu cosa preferiresti? Meglio tardi che mai, tutto sommato.

__Dico sul serio.

__Lo stesso faccio io: sei stato tu, per tanto e in tanto. Te ne sei nobilmente infischiato, provami forse il contrario. Tanto fiato a sbandierare di adorare la diletta Sakura e considerare in parità giusto il caro Uchiha: sempre Sakura-chan e Sas’ke, Sakura-chan e Sas’ke, Sakura-chan e Sas’ke! Sporadicamente e con moderata intenzione, degnavi anche Kakashi-sensei, il maestro Iruka, Ero-sennin, nonna Tsunade o Shikamaru del tuo pregiato credito. Solo questi, comunque, andata e ritorno; e non ti sei mai accorto di non masticare altro in tutta la tua inutile vita – similmente a quel discutibile chiodo per il ramen. Sorgevi da un cardine e ti estinguevi nell’altro; il resto, solo sassolini e pulviscolo intorno al sole.

__Mi hai sentito: sta’ zitto.

__E lei, l’hai mai calcolata? Ti sei mai fermato un attimo, sia pure per errore, a guardare quel cosino lontano? Come dici? Non c’è voce nello spazio? Ti prego, raccontala a un altro. Non c’è voce, sì, ma c’è buio, e anche nella distanza scura delle leghe astrali, lui continuava a seguirti; forzava il suo giro per avvicinarsi anche di un nulla. Voleva scaldarsi, forse, e persino la grama commedia del fuoco tuo andava bene; persino la sola luce senza fiamma andava bene… Sai cosa, però? La luce, troppa e sguaiata, seduce e abbaglia. Acceca.

__Zitto! Hai capito? Zitto!

__Ho capito eccome io: la grana non è Uchiha che ti ha abbandonato, o Haruno che non ti ha mai amato. Non Hatake, ai cui occhi sei solo un ripiego, o Ero-sennin, del cui confronto non sai reggere il peso. No, loro non c’entrano, e non scomodare il padre e la famiglia che mai hai incontrato.

__Falla finita, cazzo!

__Il problema, Uzumaki, non sono gli altri.

__«Taci, taci, taci!»

__Il problema, Naruto, sei tu.

__Per favore, per favore.

__Una cosa volevi, una su tutte, e ci stavi seduto sopra.

__’Fanculo.

__Oh oh! Andiamo, ridici su! Se non è ironia questa…

__All’inferno, stronzo.

__Già stato, grazie. Piuttosto: vedi di non tirarla troppo per le lunghe.

__Tirarla per le che?

__Ah, vedi di, di… Vedi e basta!

__Cosa? Che sono un idiota?

__Vederla, pezzo di cretino! Ti è davanti e ti è dietro! La causa che è poi la strada! La dannata ragione del tuo essere qui in questo momento! Quella, chiaro?!

__Mica tan-

__Non t’azzardare.

__Yosh.

__Lento, muove le palpebre, e solo al nono battito realizza d’essersi arenato. Ancora. Miseria, devono averle tappezzate di colla le strade, all’ultima ristrutturazione, ironizza. Ma la platea è un po’ fiacca: qualche coriandolo di polvere e niente più, nel brulicare strascicato delle cinque.
__Il ragazzo ha capo chino e schiena conciata: è reduce dalla potente Arte del Cazziatone, dopotutto. La spina dorsale si curva dolorante, un ramo secco costretto in rotta a lui contraria, diversa. Non necessariamente peggiore, anzi, forse tanto migliore perché nuova.
__Ha sempre guardato in alto lui, fin da piccolo, imponendo quell’ambizione anche a tutto il suo scheletro di gomma. Sempre in alto, al cielo, al sole e alle stelle; nella sfacchinata verso il sogno e nell’ecchimosi di un laccio ormai perso.
__È la sua giurisdizione, quella. È il suo nindō. Non cambiare idea o direzione, limitandosi massimo a una veloce scorsa laterale, per sincerarsi Kakashi-sensei e Sakura-chan stiano bene e al suo fianco. Più di questo? Mai indietro; sempre dritto per la sua strada, invece, senza cambiare idea.

__Ma solo gli stupidi non cambiano, Naruto.

__Può darsi fosse quella, la ragione del testa quadra di Uchiha. Perché è normale, è legittimo, è umano: è una fortuna senza fine, cambiare.
__Per questo è stato stupido.
__E per questo lo rimane tuttora, stupido.
__Perché se si fosse voltato, anche appena di poco, di uno spicchio di meridiano, forse… avrebbe visto. Di lato, qualcosa pericolare tra panorama e resto del mondo; una lama detta attenzione, che non è katana ma gladio. Allora, sì, forse l’avrebbe anche vista. In penombra, dove luce e buio battono di fortuna; graziata dalla distrazione, mai da vera intenzione. Per caso, di striscio, di taglio. Ma il filo è doppio, ricorda? Così, zac, il sole le è attraverso. Caso curioso davvero, tanto da essere ridicolo: sa perché? Perché Hinata, tra le altre cose, è lì dove batte il sole.

__Ci sarebbe di che sbellicarsi, eh, Naruto?

__Fottiti.

__Ah, tranquillo! Certo tu non potevi saperlo: tu non sai mai niente, povero Naruto! Potenzialmente, sarebbe tanto meglio continuare a non sapere, dico bene? Quantomeno, rimarrebbe la speranza di non essere proprio, irrimediabilmente una merda. Oh sì, una vera merda.

__Come diceva: venerdì di merda.

__Alita pesantemente, senza curarsi di nasconderlo o sentirsene in dovere. Vorrebbe solo scappare in quel tugurio che, per quanto brutto e vecchio, è pur sempre arrivato a chiamare casa. Una vera disdetta il suo alloggio sia andato macinato col novantanove virgola nove per cento dell’intera Konoha, eccezion fatta per quei grossi testoni di roccia, tra cui – dovrebbe ricordarsi – c’è pure suo padre – benché la devozione filiale non lo invada poi molto, al momento.
__Le spalle si tirano, una fitta gli sega in due il lobo frontale, e lui prende atto non esserci luogo in cui fuggire o nascondersi: non c’è asilo, quaggiù, né ci sarebbe con quel buco di merda del suo appartamento ancora in piedi. È tempo di finirla, su, basta scappare: dalle cervella in ebollizione dietro la cotenna, e dalla voglia di prendersi a calci per il resto della vita. Dovrebbe solo far funzionare quei due globi tanto azzurri per troppo cielo, o troppo vuoto, nella testa, e usarli come si deve.
__Inghiotte una saliva latitante, lungo un esofago di rame e ruggine.
__Il sole di quel lunghissimo pomeriggio si sta dissanguando alle sue spalle, oltre i pinnacoli di roccia, incendiandoli entro una gigantesca aureola di fiamma, e in un’ultima, sgradevole risata torna a raschiargli la gobba con una mitragliata di luce. Manca l’ombra, ora, a ripararlo da ingiurie più che meritate.
__Scruta il terreno, la punta dei sandali e i granelli di cenere che, allegri e irrispettosi, danzano in cerchio alla sua triste disfatta. Le voci tutt’intorno lo sfiorano sbadate, anche se forse non vorrebbero o dovrebbero, essendo lui il campione di Konoha – e poi, chissà perché se ne sta così mesto là in mezzo? Come? Non sanno che un suo ex-compagno di squadra, quell’Uchiha, è stato dichiarato criminale e, pertanto, suscettibile della pena capitale? Oh cielo! E lui? Lui come l’ha presa? E come vogliono che l’abbia presa? Guardatelo, guardatelo lì: non vedete che dev’essere a pezzi! Ditemi voi: prima Jiraiya-sama, poi Akatsuki e infine questa! Dev’esser proprio un periodo tremendo per Uzumaki-kun…
__Periodo tremendo, eh? Di merda, alla meno peggio. Che poi, non è sicuro quanto sedici anni proiettati nel cesso possano effettivamente dirsi solo periodo. Comunque sia altroché, signori miei: veramente giornata di merda. Se non altro, però, sembra prossima alla fine: vede una luce in coda al tunnel! Non è detto si tratti dell’uscita, per carità, ma peggio di così… tanto vale tentare!
__Lo crede con forza il nostro Naruto, buon ottimista fin dalla nascita. Altrettanto iellato fin dalla nascita.
__Sospira ancora, cercando di scacciare un fagotto d’asfissia dentro il petto. Chiude gli occhi e, quando li riapre, ha già issato il capo, dritto. Beh, dritto… magari un pochino storto, e sia, ma comunque avanti; non perché dimentico della lezione appena impartitagli, piuttosto, sente di doverlo tener dritto, adesso.
__Ha sempre appoggiato il suo istinto nella vita, sbagliando o meno che fosse; chissà, probabilmente sbaglierà ancora: si spaccherà contro un palo, rimbalzerà indietro e poi, giù, daccapo nella polvere. Eppure lo fa anche a questo preventivo. Guarda avanti perché, similmente a prima, avverte il prurito, il fastidio evanescente di qualcosa. Qualcosa che tira e strattona come una fune la sua attenzione, che grida: guardami, guardami, miseria ladra, e senza sia io a cercarti per prima, ma trovami, vedimi tu!
__Strizza gli occhi come un miope, perché volano frustate di luce da ogni dove: cerca qualcosa, non sa nemmeno poi lui cosa; qualcosa, qualcuno, tra i pochi capannelli di anime a formicolare per la piana.
__Il sole agonizza comodamente e non pare favorevole a un armistizio: conta centomila ferri ardenti quello, tuttora in suo pugno e dal raggio di un titano, in grado di scavare crateri dalla pupilla sino al cervello.
__Leva una mano a gronda degli occhi per veder meglio; determinato, si rizza persino sulle punte – antica disciplina ninja –, così da ingrossare il suo raggio d’azione, ma poco da fare: non c’è granché da vedere. Arriccia labbra e naso, stanco, discretamente umiliato e con l’umore ai minimi storici dai funesti tempi della fuga di Uchiha.
__Tornato sulle piante, incrocia le braccia al petto, lucente indizio di un ultimatum: chiariamoci, vi va? Ora o mai più. Giura che al tre alza i tacchi, e ’affanculo tutto!

__Uno.

__Le persone lo notano e, certo, non lo avvicinano.

__Due.

__Ammaina le palpebre, inserisce la marcia e leva il freno a mano.

__E-

__«Ah! Mi pe-perdoni!»

__La sente.

__Spalanca occhi, orecchie e appendici, così, fulminato sul posto.
__Il nodo di braccia e nervi deflagra: l’ha sentita sul serio! È stato proprio un rumorino, un cigolio d’anta quasi, ma lui l’ha sentita – e l’ha fatto ancor prima di vederla, in una bizzarra riscossa del suono e di tutti i perdenti sulla luce. Vorrebbe avvicinarsi, addentrarsi nel carosello stonato della calca, solo non ricorda più il senso di provenienza del mi pe-perdoni! L’unica cosa certa è non gli fosse alle spalle, atterrandogli in opposto sul naso; di fronte, per una volta.
__Saltella da un piede all’altro, allunga il collo e caccia fuori la lingua in pegno di viva preoccupazione – sui carboni ardenti alla lettera. Cerca poi di minimizzare lo strano tremolio alle gambe, neanche fossero trasmutate in gelatina. Si puntella come un bambino troppo cresciuto, su quei centosettanta e rotti centimetri di longitudine spalmati d’inesperienza: perché forse basterebbe chiamarla, no? Pronunciare, gridare, cantare il suo nome per renderla reale. Tuttavia gli suona più virile cavarsela in autonomia e con le sue sole forze; tanti anni di attesa vanno ricambiati per bene, del resto, o con un poco d’impegno. La cavalleria, ragazzo, gli urlerebbe il vecchiaccio, non solo il nindō!
__Forse, ora, sta a lui cercarla.
__E trovarla.
__Accovacciata e all’ombra di uno jōnin ben stazzato.
__Poco più avanti a dove lui penava.
__E Naruto si frema.
__Smette di ondeggiare come un pazzo, e di bollire come l’anima inquieta che è.
__Smette di muoversi. E di pensare. Ammesso, non concesso, mai l’abbia fatto.
__Semplicemente, si arresta.
__E guarda.
__Quello soltanto.
__Guarda, e chissà da oggi non riesca a capirla un po’ di più, Hinata, e quel suo automatico nascondersi per non farsi mai vedere ma solo guardare. Solo per guardare… Lei lo fa parecchio, e Naruto sente che, forse, sta intuendone la sorgente: perché la guarda e non fa altro.
__Non c’è paralisi spazio-temporale, lui solo è fermo e lo sente: per una volta, Naruto Uzumaki sente d’esser fermo. Fermo, con tutto il mondo che si muove.
__E fermo rimane, a guardarla.
__Lei è ancora inginocchiata: raccoglie rotoli dal suolo per restituirli all’uomo che le sta vicino e che sarà alto quanto Ero-sennin. Hinata, invece, sembra minuscola, piccolissima da quella distanza. Ecco quindi che lei si rialza, spazzolandosi sommariamente ginocchia e stoffa morbida, per affrettarsi in un inchino: si scusa sempre troppo spesso, considera lui, ma tutte le volte con sincero trasporto. Di seguito, fa cadere il suo, di rotolo, e le mani spariscono nelle maniche della felpa, mortificate da tanta, costante goffaggine motoria. Si piega a recuperarlo ancora, ritorna in piedi e, in quell’istante, s’inchina. Con troppa foga, ohi ohi! Rischiando di assestare una bella zuccata all’energumeno di prima! Facendolo, però, ridere.
__Anche Naruto si trova a sorridere, mentre la guarda. Così continua, con il mondo che, francamente, se ne infischia.
__Eppure, non sta lì per un qualche debito. Non è nemmeno spudorata curiosità verso un mondo tanto buffo e fradicio di nevrosi. C’è della volontà, dietro.
__Frattanto, Hinata si accomiata dal suo simpatico avventore con altri trecento inchini; e Naruto si domanda se la radice risieda nell’imbarazzo o, piuttosto, nella seria convinzione di averla appena fatta franca, canaglia di una Hyūga! Ancora non la capisce, perciò insiste a guardarla: perché è profondamente ingiusto lei lo abbia sempre osservato, che lo conosca così tanto, mentre lui, all'opposto, non sa un accidente di Hinata. Sa che è strana, ecco, e gentile; che incespica in parole e piedi, a volte; più di tutto, che vanta la straordinaria facoltà di raggiungere creste di rosso degne del migliore Katon sulla piazza – quella lì è un’abilità innata, altro che Byakugan! E che la prima volta che l’ha vista, o meglio, la prima dopo il triennio peregrino con Ero-sennin, l’ha anche allora sentita prima di adocchiarla; scoprendola poi dietro lo spigolo di un angolo, nell’ordine: paonazza, terrorizzata a morte e catatonica.
__Ha pure congetturato di starle un poco antipatico, di, come dire, metterla a disagio – come no, lui! Celebre per aver quasi sorbito tè e frollini con quanti avevano appena dimezzato la popolazione effettiva della Foglia!
__Ha imputato quel ginepraio di stranezze a una certa singolarità di Hinata, a una sua spiccata ipersensibilità al più. Tuttavia… Beh, alla luce delle più recenti confessioni, tanta bizzarria, tanti episodi stravaganti ma emblematici, tutto un mondo invisibile e sommerso, ora, inizia a prendere forma.
__La sensazione è quella d’incasellare tutti gli atomi di un puzzle; il colpo, quello delle tessere di un domino.

__Che cadono.

__In un cerchio di terra disastrato e apertamente poco romantico, Naruto riesce dove per molto ha mancato. Non gli capita spesso di avere tempo e luogo dalla sua, in sincrono, ma oggi, chissà perché, funziona. Ha davanti una lanterna magica, e ci sono ritagli di quotidianità come coriandoli; melodie tenere, masticate dal girare della giostra; movimenti tartagliati e insicuri, imbarazzati e, forse per questo, tanto più autentici.
__Un poco capisce, Naruto, cose per cui gridare al miracolo queste.
__Può darsi riuscirci in completezza sia fuori discussione: chi sa o può sbrogliare un tale nido di spine, fili e nastri? Sono mondi interi stipati in aggeggi piccoli piccoli, e per vedervi dentro, non li si può mica disfare! Occorre polso da artificiere anche solo per tenerli fra le mani, come le lucciole, attenti a non far loro male.
__Questa è l’impressione che gli scorre fra le dita, mentre guarda Hinata, ferma ancora dove l’ha trovata.
__Lei si stropiccia una stringa di capelli, esamina i sandali, spolvera i pantaloni, e torna ancora alla stringa di poco prima. Si distrae, tuttavia, e rischia di far cascare nuovamente a terra il cilindro di pergamena. Lo riacciuffa in tempo, per fortuna, incassa la testolina dentro il cappuccio della felpa, e lesta si guarda attorno: voglia il cielo, il pubblico sia stato quantomeno contenuto! Rotea e rotea la testa: se la sviterà, è il pensiero di lui, le cadrà a terra, sicuro, e lei andrà ancora in panico perché: prima il rotolo, ora la testa! A un giro soltanto dal crack definitivo, però, si quieta, tornando a ispezionarsi i sandali.
__E Naruto ride. Ride, perché non si può, proprio non si può, buon Dio, essere tanto imbranati e spaventati assieme!
__Ridacchia svaporato lui, e non sente di stare iniziando a capirla, da quei dieci metri d’intervallo, e a desiderarla, forse. Tuttavia la completa assenza di una vita sessuale, in sodalizio ai suoi ormoni da sedicenne esagitato, hanno realmente gramo merito; c’è ben poco spazio per fantasie a La pomiciata – e qualcuno ai piani alti gli scaglierebbe volentieri uno zoccolo.
__È piacere, forse. A colpo d’occhio, di pancia, attrazione, simpatia: tutti, nessuno, vallo a sapere! Vallo a capire davvero, con Hinata che sta iniziando a piacergli.
__Per carità, non è certo passione o delirio dei sensi; però è piacevole, delicato e lieve. Cose simili, delicate e lievi, Naruto può contarle davvero sulle dita di un’unica mano.
__Perciò è bello e inaspettato stare lì, come un allocco, a fissare imbambolato Hinata. Naruto considera, poi, che se lei l’ha sempre fatto forse un incentivo ci sarà: perché Hinata non è stupida – contrariamente a lui. Sì, forse un po’ tonta e slegata dal suolo, in quel suo meridiano di spiriti e fate; ma non gli pare proprio scema, anzi. Può darsi sia la più sveglia in quel villaggio di omicida governativi e matti con scarso senso estetico. Probabilmente ha capito più cose Hinata di chiunque altro, prendendosi serenamente della stramba senza colpo ferire, perché sai, sto bene così.
__Già, Hinata non ha mai chiesto di più, né a lui né ad altri, che sappia. Appunto: cosa ne sa lui, di lei?
__La guarda ancora, rilassandosi, quasi non avesse fatto altro in tutta la vita. Alloggia le mani nelle tasche e non fa neanche più caso al sole, che non dà tregua, o alla gente, impensierita dal suo stato mentale dopo l’ennesimo trauma emotivo. Non bada più a molto, ormai, e solo medita sulla bizzarria della cosa: insomma, andiamo, è abbastanza ridicolo che questa volta, con lui a guardarla e a volerla guardare, sia invece lei a dargli le spalle nella più innocente delle scortesie! Tuttavia, questo è forse l’unico modo di farlo avvicinare a lei contenendo le perdite: come un animale selvatico, deve acclimatarsi piano piano all’ecosistema Hinata.
__Lei ha avuto tutta la vita per predisporsi, rapportarsi a lui, in modo o nell’altro. Lui, d’altro canto, non ne ha avuto proprio il tempo… E ora, beh, è mostruosamente impreparato, quasi debole e vigliacco a confronto suo; che con quei fuochi d’artificio nello stomaco e sulle guance ci ha convissuto tutta la vita, andandoci in giro e mostrandoli, volente o nolente, a stendardo dei propri sentimenti e di se stessa. Bandiere di rosso fuoco, e lui mai che abbia subodorato un fantastico niente. O quello è molto capace o è lui molto tardo, diceva prima, la seconda davvero, accidenti a lui.
__Niente, almeno, fino a esserlo lui stesso fuoco vivo.
__Per un secondo, tra i succhi gastrici e le code, il suo stomaco gorgoglia minaccioso. La scarica è muscolare, fuori dal suo controllo; eppure sente gelo, perché vuole alimentarla.
__Quel giorno, se lei non avesse parlato… lui non avrebbe mai capito.
__Nemmeno se lo sarebbe domandato, a voler esser crudeli. La follia suicida era più che eloquente; ciò nonostante, lui avrebbe avuto la decenza d’interrogarsi un minimo? Quale morbo avrebbe potuto istigare una persona, generalmente mansueta come Hinata, a gettarsi in un oceano di sabbia e morte? A gettarsi via, letteralmente? Quale diavolo d’insania ti muove? Cos’è, cos’è che è, perché? Perché, maledizione!
__Serra le mani in un crampo di dita e tela; la voglia di ruggire incuneata nelle viscere.

__Perché?

__Quello è il punto. Chiunque avrebbe saputo capirlo, chiunque.
__Il risvolto più strano, però, gli pare un altro ancora: quello che ha detto, più di quello che ha fatto, quello lo ha rovesciato. La parola, dietro il gesto; la parola causa del gesto; la parola dava nome alla causa. La parola. Era. Immane.
__Ne ha prese parecchie di cantonate in vita sua, ma questa, questa qui gli vale un posto sui libri di Storia.
__Si ammazzerebbe, cazzo, con le sue stesse mani! La ragione? Oh, ha l’imbarazzo della scelta! Una, però, al momento lo distrugge con metodo: lui non ci ha mai pensato a Hinata. Non in quei termini, almeno. Beh, in nessun termine onestamente.
__Sarebbe disonesto e derisorio dire come no, anche lui si è interessato a lei e con pari spontaneità! Pure prima di quel cruciale punto di non ritorno, sì sì, è così! Sicuro che potrebbe, potrebbe vomitarlo senza problemi; ma la puzza di bugia, no, non saprebbe mascherarla. Una bugia grande e grossa, poi, indegna di quello che è e prova Hinata, e questo, no. Il cuore, il suo, quello degli altri, è un luogo inviolabile: guai a scherzarci.
__Più globalmente, non ha mai considerato nessuna come possibile, papabile, ecco, così. Forse, solo Sakura-chan, benché…

__«Sei innamorato di Sakura?»

__Lui è innamorato di Sakura?

__«Ho letto che si sorride sempre alle persone di cui si è innamorati.»

__Bah, a lei è sempre piaciuto quello là.

__«Sas’ke-kun! Sas’ke-kun!»

__Lei lo adora.

__«Naruto, ti prego, ti scongiuro…»

__Lo adora veramente, non è così?

__«Riporta indietro Sas’ke-kun!»

__E lui, cosa prova lui?

__«Ti sei già dichiarato?»

__Cos-! E come potrebbe?

__«Vedrai che Sas’ke te lo riporterò io!»

__Non è nemmeno riuscito a mantenere la sua promessa.

__«Te lo prometto!»

__Questo a parte…

__«Grazie, Naruto.»

__Lui è innamorato di Sakura-chan?

__«Naruto, smettila, adesso basta! Lo salvo io Sas’ke-kun!»

__Lui ha mai amato Sakura?

__«Ho detto che sono innamorata di te!»

__Lui la ama?

__«Perché io…»

__Lo è mai stato?

__«Ti amo.»

__Innamorato?

__Corruga la fronte e disintegra l’iride in una pozza di pagliuzze smarrite, dentro l’azzurro crepato dal sole.
__Riflettendoci a dovere, forse neanche con lei. Forse neanche di lei.
__Per quanto ripeta, più a se stesso che ad altri, di adorarla e tutto il resto… ehi, non è che abbia mai provato a concretizzare niente; o azzardare altro dalla limpida e asessuata amicizia tra due ragazzini di dodici anni.
__È verosimile il suo avvicinarla, e con simili aspettative, sia frutto dell’esser stata la prima figura femminile di tutta una vita; la prima, in carne e voce, con cui avere a che fare. Da valente maschio alfa, aveva quindi ammesso dovesse piacergli, e piacergli per forza, a mani basse: perché lui era un ragazzo e lei, una ragazza. Per assioma quasi: io Tarzan, tu Jane, grosso modo. Senza nemmeno domandarsi quanto influisca e possa, riesca a influire la regola nel tamponamento amoroso. Non se lo è chiesto, se a lui Sakura-chan piacesse. Se gli piace. Ma piace davvero.
__È così che funziona, poi? Dirsi: mi piace, non mi piace? Se c’è, non lo si sente e basta? Più ci pensa, meno ne sa; a dodici anni, poi, che puoi saperne? Già, a dodici anni chi te lo fa fare di parlare d’amore?
__Sembra le femmine maturino prima dei maschi in questo come in tanti, altri campi. Ahi. Sakura-chan, come noto, è sempre stata tragicamente precoce. Ahi ahi. Da dodici a sedici, fan quattro: quattro anni. Non sono molti, eh? Ne contano sedici, però, loro. Quattro di sedici, un quarto pieno da che sono a spasso: sembra ancora poco? E dopo quattro anni, malgrado le crepe, la pioggia e i kunai alla gola, le cose paiono le stesse. Quattro anni, e quello, Sas’ke-kun, è e rimane ancora. Dodici anni, e Uchiha se ne va; sedici anni, e Sas’ke-kun rimane.
__Ma lui! Lui, in questo melodramma, che posto avrebbe? Che domande: il terzo incomodo, ovvio! Ma no, ma no, si scherza qua, suvvia; che tirava un’ariaccia, poco prima… In verità, non si è mai sentito geloso. Non li ha mai odiati. Al massimo invidiati, per quella cosa che loro sembravano avere – nel bene e nel male, e con buona pace di Misantropo-kun –, e che lui poteva solo guardare: guardare, ma non toccare, non provare! E chissà se già allora…
__Sradica le mani dalle braghe e si arruffa i capelli, di nuovo preda dell’isteria.
__Ah, no eh! No! Se insiste a raspar nella memoria, uscirà come minimo pazzo! Soltanto a pensarci, gli salgono i sacramenti: tutto il tempo sprecato, tutte le occasioni perdute, tutto quello che non ha capito e che, invece, avrebbe potuto avere, magari pure da sempre o anche da meno, ma comunque avere. Esserlo davvero, amato. E sentirlo, l’amore, viverlo, averlo, averla…
__Presto s’irrigidisce: cosa è stato? Più di tutto: chi è stato? Lui? O il vecchio pervertito?

__Che ne dice dell’autore della Tecnica dell’Harem?

__Sia lode alla coerenza, allora! Non ha forse appena confessato d’aver accelerato le cose, con Haruno?

__Coraggio, che va bene anche così, va come un treno: via una, sotto l’altra!

__In campana, Uzumaki! Lo ha giurato: dopo il Ferro, poche cretinate! Certo, non si discute. Gli piacerebbe solo capire come ci sia finito lì in mezzo il clima da sbornia all’Ichiraku; con tutto che sta guardando Hinata, poi.

__Allora vedi che ce l’hai anche tu, una fortunata, eroe?

__Cos’è, ieri a stento la calcolava, e adesso vaneggia di saltarle addosso? Che lo castrino seduta stante, nella gretta ipotesi possa approfittarne! Approfittarne, poi, quando nemmeno ha il fegato di avvicinarla. Non sarebbe troppo difficile finanche dal re degli imbranati, se si tien conto degli antefatti: santo Dio, che altro gli serve? I neon al grido di welcome, Naruto-kun?
__Sta rotolando in grande stile, coglione alla carta e alla mano, e sarebbe bene finirla alla svelta, altrimenti morrà su due piede e in un bel geyser di piastrine.
__Schiaffa le mani sulle gote, pareggiandole alla spugnatura vinaccia del centro muso; quindi si maledice, perché ha trascurato gli zigomi, che offesi dal metallo di prima ancora gli dolgono – e lui è solo un miserrimo represso, se non riesce nemmeno a contenersi guardando una ragazza.
__Frigna, e calcola come il balzo a un ludibrio potenzialmente imperituro possa subentrare giusto a foce di un calcio nei testicoli. Tant’è che, per un attimo, dimentica la sovranità imperante su tutta la sua infelice vita da Forza Portante e figlio mongoloide del Quarto Hokage, prontamente reattiva quando sta andando tutto in merda e ha il posteriore in caduta libera. Ma un attimo basta. Basta sempre, quando non urge.
__Distrattamente, prima ha evacuato il pensiero armonico e così poco Uzumaki, circa come vedere Hinata nuovamente parata di schiena, e per la prima volta dopo quell’indelebile occasione, fosse straordinariamente ironico. Ai limiti dello sberleffo, tutto sommato. Quelli, infatti, sembrerebbero essere i soli due casi in cui lei dà le spalle a lui, volontà a prescindere. E senza reale bile, se non per se stesso, trova abbastanza scortese l’esser costretto ad accogliere la sua personalissima, prima e probabilmente ultima dichiarazione d’amore, avendo a guardare giusto una schiena.
__Il pensiero lo esaspera, e quasi bestemmia contro la sorte, stronza e infame, a discriminarlo dal toccare per davvero l’amore. E scioccamente, in sedici anni di vita al limite della convergenza diabolica, Naruto Uzumaki pare non aver ancora compreso che non è saggio irritare la fortuna. Non la sua, di sicuro.
__Quindi si maledice l’eroe, più e più volte, per un numero imprecisato di vite e future reincarnazioni, quando, su richiamo al suo piagnisteo, Hinata si gira.
__Che il Rikudō Sennin lo protegga, ora.
__E lo vede.

__Merda.

__In maniera del tutto incidentale, sia chiaro. Certo non si aspettava di trovarlo lì e co-co-, così! Gambe a parentesi, mani alla bocca, guance sul mattone andante e occhi vitrei: la summa dell’umana disperazione dinanzi la cazzata definitiva.
__Starà bene? Si chiede lei. Perché io non credo di stare bene, si risponde dopo. A saperlo, solo a saperlo, chi si muoveva dalla propria divisione! Muoversi, poi? Ma iniziare a scavare la fossa, via via, senza troppi rammarichi!

__Merda, merda, merda.

__Ruotando appena, Hinata fa poi cadere a terra quello sfortunato rotolo, testimone di siffatte basse pantomime; mentre Naruto, dall’altro capo del diametro e a un passo dall’apoplessia, si solidifica come calce al sole.

__Merdosissima merda di tutte le merde!

__Hinata sguscia gli occhi, serrando le labbra nella muta supplica a sparire, sublimare, morire all’istante, miseriaccia ladra e schifa. Perché non è affatto pronta; perché è così vaccinata a non vederlo, a non averlo mai a più di un chilometro di adiacenza, non senza qualcuno attorno: dov’è Sakura-san, in effetti? O il maestro Kakashi e Sai-kun? Kiba-kun e Shino-kun, Akamaru, Tonton, i Sei Sentieri di Pain; qualunque, qualunque altra anima! Che poi, no, non può essere, ma… la sta fissando? No, non può, però, perché? Perché, maledetta lei e la sua idiozia, si è voltata? Sopra ogni altra cosa, però, perché accidenti non è ancora svenuta?

__Ma merda.

__Naruto si riassesta un secondo e tenta di darsi un contegno: scolla le mani dalla bocca e si raddrizza, rigido e lungo come un giavellotto – rastrello evocato sul posto! S’esibisce in una ridicola imitazione di disinvoltura; ma quanto esce è solo l’espressione tirata di qualcuno che non è certo e, forse, nemmeno spera di arrivarci, al giorno dopo. Hinata si esaurisce nel conservarsi immobile, speculare alla sua curiosa controparte arancione: se magari sta ferma, lui non la vede, prega, e ignora come Naruto abbia cominciato a badarle proprio lì e proprio ora.
__La vita, si sa, è tutta questione di tempismo. Può darsi non sia poi troppo tardi, dunque; neppure dopo dieci anni di fisime e sedici di balordaggine criminale.
__Così è: ai margini di un cerchio di terra, vessati da pulviscolo e sole, Naruto e Hinata non sanno davvero cosa fare. Ammesso ci sia, poi, qualcosa a loro conveniente fare.
__Restano ingloriosamente a guardarsi, i nostri, con simmetrica e paritaria incidenza per una volta. Non lei dietro di lui, né lui davanti a lei, no. Uno di fronte all’altra. Di fronte. E ora non si scappa, non si scappa più; mentre il bavero della felpa di Naruto mareggia indolente contro la mascella, e i capelli di Hinata si sollevano a tratti sul volto, servizievoli, nello sforzo di camuffarne il regolamentare rossore.
__Si guardano e, forse, è ora.
__Forse, ora, si vedono.
__Si spera.

Venerdì.__
Giornata di merda.__
Alla grande, eh.
__





Dressed up to the eyes__
It’s a wonderful surprise__
To see your shoes and your spirits rise__

It’s such a gorgeous sight__
To see you in the middle of the night__
You can never get enough__
Enough of this stuff__
It’s Friday I’m in love__

“Friday I’m in Love”, The Cure__




[From Me to You]











• • •

• Angolo dell’autrice •

__Ehi, gente. Come state? (Crepa, str@#za.) Ah, volesse il cielo, credetemi… Passiamo alle note, eh? Titolo! Dall’omonima, celeberrima “From Me to You” dei Beatles; i ritagli a inizio e fine pagina, invece, provengono ancora dal medesimo brano di un capitolo fa. Sta bene. Poi, il pezzo su Naruto e Iruka, ecco… l’ho inventato di sana pianta, ve lo dico. E forse ho pure fatto una grandissima gaffe, perché Kishy avrà sicuramente già illustrato come e quando nasce la fissa di Naruscemo. Vedetela come una maldestra licenza poetica, se potete (nonché abuso di potere e invenzioni altrui). Inoltre, per chi se lo chieda, tutta la parte simil-dialogica, come dire… Prendetela un po’ con le pinze: è Naruto con la Volpe? È Naruto con la sua coscienza? È l’episodio #26 di Evangelion? (Omedetō!) Sì. E no. Sno. Strano forte, eh (me sta a salì ’na botta, zio). Che altro c’è? Boh, finito.
__Mi scuso una volta di più per la mole e il tedio involontario. Sono sempre di una noooia, io (e ripetitiva). E ridondante (e ripetitiva). E voi ragionevolmente incacchiati, essendovi sparati legioni di bischerate giusto per vederli incontrare, ’sti due impediti. Sono una… oh sì. Lo sono. Galleggiante, per di più (e ripetitiva). Altresì, resto fermamente convinta siate gente di buon cuore voialtri, con nervi saldi e intestini Mondial Casa, se approdati integri a queste perniciose righe.
__Bene. Allora, mille grazie a tutti coloro che sono passati, hanno letto e sono arrivati fin qui. Grazie davvero; anche se non vi piace, non vi è piaciuto e continua a non piacervi.

Grazie grazie (e ripetitiva).

__Disclaimer: personaggi, fatti e luoghi citati appartengono a Masashi Kishimoto, cui vanno tutti i diritti circa il loro uso. Non c’è scopo di lucro.

• Le sviolinate dell’autrice •

__Secondo buona educazione, stimolo morale, debito umano e riconoscenza delle riconoscenze personali, passo a fare i ringraziamenti. Primo primissimo, a quella sant’anima che ha avuto la forza di leggere e recensire, adottando ’sto trovatello nelle liste. Le liste, buon Dio! (Le liste sono vita!)

__A thecinu: ehilà, ciao! Grazie mille per aver letto e non solo: per aver anche speso qualche meravigliosa parola dietro a ’sta cretinata! E a ’sta cretina, tra l’altro! Grazie sul serio! Che carina sei stata, davvero, ed io sono stra-felice la storia ti piaccia (ma poi, tu sei sicura? Ti senti bene? Dimmi, quante dita vedi?); la storia e pure come scrivo (ripeto: ti senti bene? Vuoi che chiami un’ambulanza, un oculista, uno sciamano?). Cacchio, va’ che è un complimentone mica da ridere il tuo, anzi: è una soddisfazione personale e autocelebrativa coi controco-, eh, di tutto rispetto. Grazie grazissime a te, perciò! Ma grazie davvero, serissimamente, e tralasciamo liste o non liste: per la fiducia accordatele (accordatami? Ci? Vi? VIVIN-C?) e l’incoraggiamento, soprattutto. Sei stata gentilerrima, sai? Spero solo di, uhm, di non farti cambiare opinione o tradire la tua bontà; spero di non far vaccate, in sostanza (ma le farò. Sì. Piangiamo insieme). Per questo bel regalo che ti svolta la giornata: mille, mille grazie! Di tutto e per tutto!

__E ci vuole, ci vuole davvero, un inchino e un ringraziamento epocale a quelle sante creature che l’hanno, tipo, scelta? Pertanto, grazie infinite e di cuore a: littlehinata, zombiecch, Gisella (sbaglio, o io ti conosco? Ciao, bella, è un piacerone! ^ ᴗ ^). Nella speranza di non fare stron-, ehm, di non farvene pentire (ma lo farò. Sì. Vi passo i contatti di mia madre, se vi va di discuterne).

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Capitolo 3
*** I Want to Hold Your Hand ***


• Rettangolo dell’autrice •

__Faccio subito la civetta e vi rifilo un unticcio grazie; che vogliate restare o far fagotto, va bene tutto, niente paura. Ultima tappa, gente, rallegriamoci. Giusto un paio di cosette: uno, le scuse preventive, giacché è ammissibile vi sentiate presi un po’ per il culatello (suda freddo e male); due, attenzione al glucosio (livello: urine Jell-O). Non che stia mettendo le mani avanti, eh, no no, figurarsi (suda Polaretti).
__Piccolo pertugio della vergogna, se vi va: curiosando tra i capitoli precedenti, ho beccato certi brutti sgorbi da voler sublimare via. Cose tipo: Ennacoda in luogo di Enneacoda, nunkenin al posto di nukenin, sincerante in vece di sinceramente (stessa, stessissima cosa). Ma su tutte, una bestemmia! Ecco, che Dio mi perdoni, ho accidentalmente scritto Itachi… con un’acca iniziale. Hitachi, quindi. Oh. Mio. Uchiha. (Frau Blücher!)
__Prima che ve la battiate voialtri, me la telo io e vi mollo il bagaglio. Ultimo grazie d’ordinanza e, se ve la sentirete (se sopravvivrete), ci si sente alla chiusura per consuete note, citazioni, debiti, salamelecchi, saluti, follia verbale e delirium tremens. Ah, che simpatia, oggi…

Grazie ancora e buona lettura.

__P.S. Microscopico invito all’ascolto: se non vi scoccia troppo, posso raccomandarvi la bellissima “Beautiful Girl” degli INXS come sottofondo? Io per prima non la conoscevo ai tempi della stesura e, invero, è frutto del bell’intuito di reds92: lui, alla faccia di chi le ha scritte queste scempiaggini, ha beccato l’accompagnamento ideale (sempiternamente grata, uomo).

• • •











È molto meno indecente
andare a letto insieme
che guardarsi negli occhi.




[Friday]
Im in Love
[I Want to Hold Your Hand]






__Oh yeah, I tell you something
__I think you’ll understand
__When I say that something
__I wanna hold your hand

__“I Want to Hold Your Hand”, The Beatles





__Venerdì.
__Giornata di merda.
__Alla grande.

__Morde con le unghie il palmo della mano: Naruto sente i suoi trenta e più denti stare inesorabilmente per sbriciolarsi, tutti e all’unisono, in grandiosa sincronia, come una banda di ginnaste. E malgrado quest’orribile consapevolezza, la mandibola non concede tregua alla mascella.
__Perché non si sono ancora mossi.
__Non si sono ancora mossi, porco diavolo!
__Né lui né lei, e saranno passati… Cinque? Dieci? Tre miliardi di anni? Quanto può essere passato da quel catastrofico momento? Dio, non lo sa, ma vorrebbe solo finisse… Perché accidenti se ne sta ancora lì con quell’aria da babbeo? Che poi lui sa d’esserlo, certo: lo sa lui, lo sa lei, lo sanno loro, lo sanno tutti! A quest’ora, probabilmente, anche quel quintetto di fossili abbarbicato sul massiccio alle sue spalle.
__Finirà, eh? Prima o poi, finirà quell’orrido venerdì? Lo lasceranno un po’ in pace, santa miseria, per rompere i coglioni a chi la vita se l’è perlomeno goduta? Perché, perché, sempre, cronicamente – ogni volta, nonostante sedici anni intinti nella più conclamata cialtroneria –, deve finire in certe situazioni di merda? In certe coincidenze da ridere, oh sì, ridere proprio: ah, ah, ah! E poi: bang! Un bel colpo in testa. In certi cataclismi sentimentali da mocciosi di undici anni e bigliettino piovuto sul banco, recitante la fattura: tu mi piaci, e io ti piaccio? Mai intravisto nemmeno l’ectoplasma, poi, di quei bigliettini lì; per cui è ulteriormente ridicolo, all’alba della sua rinnovata dignità morale come paladino di Konoha, scoprirsi tanto impreparato a-a…

__Una dichiarazione, sì, coraggio!

__U-una che? Oh, ma che ne sa! E che può saperne! Lui, dedito a far grandinare ingiurie verso un bastardissimo tengu con ventaglio; lui, che salmodiava come un merlo Sakura-chan, Sakura-chan, per gustare un boccone di misera considerazione, senza intendere il peso o l’importanza delle parole; lui, che come il più apocalittico dei coglioni ha spasimato con vago turbamento dietro i campi in fiore, senza nemmeno considerare di guardare attraverso, oltre il sole. Lui, il babbeo, precisamente.
__Cosa si aspettano, quindi? Oltretutto: proprio adesso? Con tutti i dannati concorsi astrofisici possibili – Akatsuki ad ansargli sul collo, quel bue del Raikage a randellarlo negli attributi, e Sas’ke a ultimare il lavoro imbastendo babeli internazionali –, ecco, proprio adesso, adesso deve capitare?
__Diamine, Hinata, anche tu!
__Lui sgrana gli occhi, iridescenti nel bollore della sclera arrossata.
__Proprio adesso dovevi dichiararti, cazzo?
__E si direbbe lei lo senta quasi, quel rimprovero stronzissimo e frustrato per la congiura planetaria nel non fargli recuperare uno straccio di ragazza: sia essa empatia, naturale sensibilità o congenito senso di colpa verso le formiche che involontariamente pesta, Hinata si allarma e tende le gambe, annunciando il prossimo capitombolo.
__Naruto lo nota, probabilmente, perché contrae le spalle – o forse ha solo il fondoschiena lercio e non una, ma ben nove code di paglia nei suoi riguardi. Nove code, lunghe e grandi sedici anni… una vita intera, cazzo. Sedici anni di debiti da saldare: debiti, sgarbi, indifferenza e accidentale tirchieria emotiva. Che poi, se c’è almeno una cosa che lui non è, è proprio avaro. Forse un po’ possessivo, sì, e morboso pure, verso il suo team e le altre tre cose cui può realmente vantare appartenenza. Però, ancora: lui non ci ha mai pensato, a Hinata.
__E lei, invece? Lei, a lui, ci avrà pensato. Di là dall’amore, dall’attrazione fisica e quant’altro, lei, a lui, ci deve, ci ha pensato. Sempre e chissà da quanto, poi – ma questo è meglio non lo sappia né venga mai a scoprirlo, altrimenti dovrebbe piantare ambo i piedi nella tazza e tiare lo sciacquone all’istante.
__Lei ci ha pensato.
__E lui no, lui no.
__La cosa lo irrita, lo fa sentire in difetto, sbagliato, brutto, cattivo e pure un po’ puzzolente. Ma non è dovuto al sudore – forse. Non è il pomeriggio o il venerdì, il non aver ancora recuperato quell’altro cretino o l’esserlo lui per primo, un cretino; non è il resto; è lui la merda.
__Otto, dieci, sedici anni, fossero anche tutte le Guerre Ninja, e mai che se ne sia accorto. Sorgerebbe spontaneo il come: come ha fatto? Come cavolo può aver fatto? Occorre mettersi d’impegno, industriarsi proprio – la raffinata arte del Baka no Jutsu, altro che Fūton: Rasenshuriken –, per nemmeno fiutare un affare simile. Perché è un affare grosso, l’amore. Non circola e non dovrebbe circolare o poter circolare inosservato; e riuscire a ignorarlo così, senza covare neanche una briciola di pallido sospetto, beh… Glielo si deve riconoscere: c’è di che esser bravi. Ma tanto. Un applauso, signori.
__Diavolo, tutto quel tempo, e cosa? Cosa e come? Come, dove, quando? Quando, accidenti! Non lo sa, cavolo, non lo sa! Non ricorda, non riesce a ricordare, eppure…
__Storce la bocca, corrode l’azzurro a due schegge opache e, sfidando il tracollo, raduna gli ultimi, audaci neuroni.

__Nei ricordi, è lì che sta il quando, Naruto?

__Parole maldestre e frammentate, come il tremore alla mano sul foglio ancora, scandalosamente bianco: troppa incompetenza e troppo imbarazzo, dicono altri; troppo se stessi, rispondono in silenzio loro.
__Una boccetta minuta, di vetro, tra le mani bruciate dalla seconda prova e dalla Foresta della Morte; dopo demoni mascherati da uomini e uomini bardati da demoni.
__Strilli, urla sputacchiate dall’alto di una ringhiera, senza – ammettiamolo – vera intenzione, oltre l’inciampo dell’impulso; secondo la corrente impetuosa del fiato.
__L’empatia furiosa e istantanea, quasi animale, di chi ha camminato anni, anni nel fango; per chi ci è stato cacciato a forza, nel fango: una mano premuta sul capo, affinché se ne rammenti bene il fetore, e le risate a imbottire le orecchie, perché non si scordi il suono dell’umiliazione.
__La rabbia incendiaria che divampa: da fuoco a vulcano in un secondo per quel pasticcio di stracci riverso a terra, che battezzar corpo già è cortesia, tra l’ovatta del cappuccio e il filato del sangue; che, stupido, non sia arrende, no, non si arrende al forfait della materia; che, idiota, continua, seguita, vuole ancora alzarsi. Si regge insieme giusto per la felpa troppo grande; un sacco sformato, colmo di cocci, parole e ideali – nindō – catturati al vento, e stonati a carne cresciuta come edera, su se stessa, in un buco senza mura.
__Il cervello che vede, ma non associa, non elabora: non capisce, eh? La follia di un pupazzo traballante sui propri frantumi, e quella di un condannato che si offre alla gogna. Un cane davanti a uno specchio: si vede e non si riconosce. Eppure sono così simili, ma così simili, in quell’ostinazione sorda e cieca al dolore da bagnare il masochismo; lo sono tanto da scambiare, confondere il riflesso per estraneo. L’ombra per il palo. Ed è strano, è davvero strano vedersi attraverso un altro, in qualche modo.
___Perciò, forse, da capace narcisista quale giusto il futuro Sesto Hokage può essere, tutto è iniziato solo perché a lui piacciono… le persone come lui. Come lei. Com’è lei.
__Sicché, fra un’esclamazione e l’altra, imbrogliato l’incidente alla causa, eppure, senza comunque un preciso e chiaro, razionale perché, scappa un giuramento da quella bocca avvezza a berciar tanto e tacere poco.
__Cinque dita e poi un pugno, vestito di rosso. Una promessa. Nel sangue. E lui le mantiene, sempre, le promesse.
__Così è lui e così il suo credo, ricorda?

__Ricordi, sta tutto lì, Naruto-kun.

__Chi lo sa, quindi. Sapere, appunto: chi lo ha? Puoi averne tanto poco e sbagliare, credendoti preparato; può andare anche così. Mirare a qualcosa, inseguirla, alienarti quanto ti è intorno nell’ovatta di camminare sulla strada giusta; e poi, fermarti. Hai sempre corso tanto, ma bastano alcune parole a fermarti. Sono ordinarie, affatto speciali ti pare, eppure squarciano il mondo e tu cadi sotto.
__Eri convinto, eri sicuro, eri. Ora, sei appena un manichino di sale, che per raccogliere tutti quei cocci non sa da dove iniziare.
__Come tuffarsi da un piolo troppo alto: smarrisci il fondo e il pelo dell’acqua; anneghi nella tua stessa labirintite, mentre una bufera di bollicine ti ride in faccia la tua idiozia. Perché non eri sicuro, ma solo un po' miope.
__Quattro parole, non speciali, corte in effetti: chi l’avrebbe mai detto gli anatemi più maledetti vantassero anche sobrietà! Quattro parole possono essere e possono fare. Quattro parole e sei tu a cambiare.
__Eccolo lì, dunque, l’eroe! Il rivoluzionario, a detta dei rospi! Abbattuto da quattro parole, un’ala di notte oltre la frangia e una felpa troppo grande in cui annegare.
__Dio, che merda, come si sente. Una vera merda, e come l’altra lo fa sentire. Teoricamente lei non sembra aver colpa, anzi, sarebbe più vero il contrario; nondimeno è proprio così che lo bastona: con uno sguardo fatto d’aria e luce, che pesa, pesa addosso.
__Diamine, e pensare poco prima stesse così bene a guardarla, pure solo a guardarla… Non coglie che quanto patito, la confettura vischiosa alle ginocchia e il disagio muscolare alle spalle, è consanguineo all’apnea verbale e alla disarticolazione nervosa di Hinata. Stilla disagio lui, e ignora già la stia capendo, Hinata.
__Se ne sta imbalsamato senza dire, fare o accennare niente, neanche lo zoccolo di una qualsiasi impresa; ipotecando tutta la sua materia nel sentirsi di merda. Nell’essere una merda. Perché ancora non le ha risposto.
__E sarà anche uno stupido, un ritardato e un neofito in diritto sentimentale, ma una questione così ovvia, così chiara, così giusta è manifesta persino a lui. Quindi, se non si muove, se si è incagliato, è solo perché sa, ha la drammatica premonizione… di non poter ancora rispondere.
__Non sa ancora rispondere e, anzitutto, cosa: non sa un cazzo di nulla, per questo non osa. Non può, non così presto e non adesso. Deve capire prima, deve, vuole capire: vuole una direzione, giusta o sbagliata che sia, ma cosciente. È quanto lei merita: non una frase, un monosillabo negativo, positivo o scomposto, scatarrato tanto per detergere la coscienza e tornare in binario; fingendo nulla sia accaduto, nulla sia cambiato. Quello non t’abbia cambiato.
__Perciò si sente una merda: perché la certezza d’infliggerle un’umiliazione costante e prolungata, altre secchiate di silenzio e omertà dopo pece e piume, è qualcosa che gli fa viaggiare il sangue nevrastenico e detonare il cervello. Perché gli fa male, perché sta male, ma… non sa cos’altro fare! Giusto incamerare ossigeno, tirare la schiena, maledire se stesso e la sua nascita, e agognare un meteorite lo centri in pieno, lì: nel mezzo di Konoha, della strada e del cammin di sua idiotissima vita!
__Anche oggi, anche adesso, anche ora, lo sa.

__Non le risponderà.

__Cazzo. Merda. ’Fanculo! Coglione, coglione, mille e mille volte coglione!
__Naruto ritrae lo sguardo, senza lambiccarsi su come lei lo interpreterà: rifiuto, oppure solo difficoltà, fastidio, confusione, vertigini, ametropia – la riprova finale del suo naufragio sentimentale condannato a risolversi in morte per affogamento. Lui questo non se lo chiede, mentre scantona con gli occhi.
__Non è pronto; è uno schifo; dissolvere tre anni nella ridicola speranza di avanzare, di fabbricarsi forte, sulle ossa, non nel cuore, lo fa odorare di babbuino. S’è gabbato di essere cresciuto dopo tutto quel tempo, dopo tanti allenamenti, dopo tanta aria a volargli sul viso, insieme a lacrime, sudore e sangue. Credeva. Eppure non è cambiato poi molto: gli anni sono pochi; le gambe sono due e lo reggono a malapena; le mani, due anche loro, sono peste per afferrare e trattenere; non ci vede bene con certi capelli da delinquente, e il vuoto, lui continua a chiamarlo fame. Ha sempre corso tanto, eppure sta aspettando, e qualcuno ancora non arriva. Ma in fondo lo avrà capito: non c’è, non ce l’hai e mai l’avrai.
__La testa sta bassa.
__Non riesce ad alzarla; non vuole più nulla che costi fatica. Tenetevi forte: di quando in quando, anche lui potrà ben essere stanco, potrà rinunciare, potrà disertare! Perfino agli eroi è concessa una caduta, cazzo; e lui, che di eroico esibisce giusto l’intestino, è satollo, saturo di dover sempre lottare, distruggersi per ogni briciola nel piatto.
__Vorrebbe il mondo lo graziasse di una tregua per un magro pomeriggio, uno soltanto; potersi riposare, senza la colpa a pungolargli le gambe o il rimprovero a tirargli le caviglie; cessare di combattere, senza che questo significhi arrendersi; smettere di correre per camminare, e di gridare, per respirare; finirla di sbagliare. Vorrebbe smettere di sognare, e limitarsi a vivere… Perché quello che ha, quello che già ha e ha sempre avuto, gli basta e gli è sempre bastato. E vorrebbe poter godere, gioire, essere felice, completamente, di questo. Vorrebbe che, per una dannata volta, la realtà superasse e detronizzasse il sogno.
__Vorrebbe, vorrebbe, vorrebbe così tanto e tanto intensamente da paralizzarlo; come un’orda di spaghi che si frenano e boicottano, aggredendo tutti la medesima cruna.
__Allora, vorrebbe solo restare lì, fermo su quel pianeta lontano fatto di polvere arancione e vento. Poter calmarsi e tirare, serbare il fiato sino a domani. Distendersi e rattopparsi, coagulare finalmente. Smettere di volere, e avere, essere.

__Essere e basta.

__Così accosta le palpebre, piano. Quando le allontana, avvista ancora quella terra di farina gialla e semi di papavero; vede ancora l’ombra vinaccia calpestata dai suoi piedi, tanti altri piedi andare e venire, e due stare. Sono chiari e scuri, pelle e sandali; oltre la caviglia, hanno del tessuto; sopra, una sfumatura scampanata e lilla, lavanda grigia intiepidita con rosa e giallo; poi, il labbro seppia di un coprifronte; infine, più in alto di tutto, un ovale di cotone e lino, sotto tanti, tantissimi nastri viola e blu notte. In longitudine: Hinata.
__Lui alza la testa.
__Lei non si è mossa, constata, solo ha atteso. Certo, non si è avvicinata, ma nemmeno si è allontana: è restata. Dopo galassie e piogge di meteoriti, è filtrata nella sua orbita: lo ha intercettato.
__Naruto raggrinza le palpebre per riuscire a scorgerla meglio: non si è spostata di un millimetro e pare altrettanto tentennante sul da farsi quanto lui – perché, dopotutto, non è l’unico impreparato, lì. L’ipotesi lo rinfresca, perciò inconsciamente sorride, e per un fiato dimentica quanto stesse male, che casino edipico siano la sua testa e il suo subconscio; scorda persino di essere una merda; solo guarda.
__Lei si sta strappando le mani di fragile carta, poi spiana le labbra e fa per muovere una mano: vorrà accennare qualcosa, un ciao, un decollo fra quei due gomitoli di problemi e parossismi caratteriali. Lui ingolla troppo ossigeno, perché spaurito ed eccitato insieme; perché non sa cosa voglia o stia per fare e, al presente, ha rimosso come si saluti nel mondo civilizzato.
__Poi, un cavallone di luce innesca il domino: pari al treno di libri che stramazza dallo scaffale, non lo vedi scattare e non lo puoi contrastare. Come si dice? Una farfalla batte le ali a Suna, il Daimyō del Fuoco starnutisce, un palo ti boccia addosso, inauguri la giornata con un piede, la gamba, tutta la faccia su una catasta di letame e… Vallo poi a pescare, il rovescio dell’equazione a fondo capitolo!
__Basta poco, poco ogni giorno, e si vincono le montagne: secoli, ere, la marcia inesorabile del tempo perché tutto crolli. E Hinata è l’acqua che bulina la roccia e prostra i ponti. Solo una goccia, si badi, un niente. Dopo tanto, basta poco.
__Via la prima tessera, si gioca.
__C’è un’esplosione sopra Konoha: la luce si rovescia in una bordata e assale Hinata, ustionandola in viso. La mano sospesa a mezz’aria, svelta, estingue il tragitto, fermandosi sullo zigomo destro. In pieno ordine della fisiologia più elementare, Hinata spreme gli occhi e cessa di vedere: nella luce, non vede.
__Volge la simmetria, allora, e si accende il contrappasso: è qui lo scambio.
__Naruto, spalle al sole e al tramonto, ha sì la schiena in fiamme, ma il viso in ombra: col dorso per una volta agli Hokage, ci vede, e bene.
__Mai come oggi, la luce pare una calamità sovrannaturale nel suo tagliare equamente ogni cosa: non ha misericordia quando valica Naruto, corre veloce e, nella polvere – –, ferisce – dove batte – Hinata – il sole. Calamità sovrannaturale per intero, oggi, compie il miracolo: dà forma all’aria.
__Magie da tulle dipinto e, voilà, Hinata appare. Imbarca concretezza nelle pennellate d’acqua scura della chioma, nelle trame di tessuto e pelle, in quell’armonia di lucciole e notte che sembra custodire. Pare avere consistenze e temperature di un acquarello, con quei colori mansueti eppure antitetici: inchiostro e bianco declinati in tinte sfocate e umide; rarefatte sotto la mano del cielo, ma luminose, se esposte al sole, e calde, quando corrotte col rogo del giorno a ponente.
__Non è molto, no, ma è presente, chiaro: lo è a Naruto.
__Lui si sente stato al buio per troppo tempo, senza mai aver visto il cielo; tanto che, per poco, ridiscende nella corteccia di quei sette anni e centonove centimetri immersi nella luce di Konoha… È un marmocchio, mentre osserva Hinata riparasi il volto.
__Ammissibile sia proprio per questo – perché è lei a non vederlo –, che improvviso sbotta l’impulso, la scarica elettrica: la voglia di avvicinarsi. Malgrado la paura; malgrado non sappia bene come fare; malgrado sia stupido e non possa risponderle; malgrado non veda la partenza, ma giusto la meta.
__Muove quindi un piede e, con tutta la grazia di chi è appena estratto dal registro ricordando a stento la materia in esame, si avvia. Procede a singhiozzi, è rigido e legnoso, non per questo meno rapido, meno deciso – che poi abbia momentaneamente disattivato il cervello e perso la connessione al server, è una consonanza del tutto marginale.
__Hinata, dal canto suo, è ancora impegnata a riaversi dallo shock ottico e non sa né sospetta nulla, dato che non indietreggia; contrariamente a quanto, in piena lucidità percettiva, di sicuro farebbe. Non arrossisce nemmeno, mentre lui si avvicina con passo marziale e la falcata di chi pare volerle sferrare un cazzotto. Del resto, Naruto non è mai stato discreto e non lo è neanche in questo: è impacciato e un po’ brusco in quell’imbarazzante tentativo di prossimità, ma ostinato a portarlo avanti perché non riesce né vuole fermarsi. Non adesso, poi, dopo aver stanato coraggio e faccia di merda atte a traboccare in qualcosa.
__Lei continua a non vedere nulla, mentre il tifone le va incontro. Solo quando acconcia l’iride di zucchero ai riflettori, quanto riemerge dal fuoco rosso che l’ha appena scottata è un fuoco di tutt’altra natura e infinitamente più terribile: è lo scoppio di una stella a una decina di centimetri dal suo naso.
__Hinata abbassa la mano raggomitolata in un pugno, e la scosta piano dalla fronte. Il volto è ora in ombra, eppure si chiazza comunque di rosso come neve forata dalle fragole. A infuocarle l’epidermide di latte, però, non è il tramonto: è la sagoma, per una volta, scura e in controluce di Naruto. Fissa. Di fronte a lei. A difenderla dalla furia splendente della principessa Amaterasu.
__Hinata trascina le mani al petto, si raggruma nelle spalle e, se fortuna l’assiste, tenta d’inabissarsi nel cappuccio della felpa. Annaspa nell’emergenza, povera anima, non sapendo esattamente cosa pensare o aspettarsi, dal momento che Naruto è sbucato vicino in un niente, lampeggiando nervoso come un fulmine. A gambe divaricate e braccia di katana, lui sfoggia un’espressione tra l’invasato e il costipato: chissà, magari la prenderà a schiaffi o le mollerà un diretto e, stranamente, entrambi gli indirizzi la impensieriscono smisuratamente meno di quella posa da l’hai fatta proprio grossa, signorina.
__Ah, sia agli atti che Uzumaki non veste certo meglio: si è avvicinato, ma conquistato com’era dalla genialità del progetto, non ha ragionato sulle immediate conseguenze, sul dopo. E il dopo, come dire, è arrivato; ha piantato i piedi e posto un quesito.

__Bel casino, compare, e adesso?

__Adesso, beh, merda.
__È lì dove voleva: un metro scarso di centimetri orizzontali tra i loro profili, e una ventina di verticali tra i loro cristallini. Straordinario, tutto sommato, come nella foga dell’istante nessuno dei due realizzi di guardare l’altra negli occhi.
__Hinata pressa le labbra, col transito sanguigno che vien meno nel convergere verso gli zigomi. Naruto addenta l’abitacolo della guancia, masticando solo saliva: mai stato tanto tempo senza fiatare in vita sua! Eppure non dice niente: non parla lui, non parla lei, e il silenzio è un tiro alla fune tra chi si abbottona nell’ascolto e chi si perde nella logorrea.
__Naruto è scuro in volto: ha inarcato le sopracciglia a livelli d’allerta, e la bocca s’infossa sghemba; le vene del collo saettano tra i paraventi della felpa slacciata, e l’azzurro degli occhi è torbido, del mare prima di un nubifragio. Sembra adirato, angosciato forse: miseria, la squadra come il cane poco prima di azzannare…
__Hinata è frastornata, dato che tremarella, espressione bovina, ustioni di quinto grado e attacco cardiaco imminente sono generalità cliniche ormai puntuali, quasi tassative al vicinato del ragazzo; e dopo un’adolescenza prosciugata nella più penosa delle infermità emotive, si consola, non può peggiorare poi molto. Solo, è piuttosto lui a preoccuparla.
__Naruto-kun non si è mai comportato così, almeno, non con lei; e la traslazione di una singola punta mette a rischio dottrine salde da anni: lui che saluta, sorride, si friziona la testa e, a braccia incrociate oltre la schiena, se ne va. Via.
__Ora, però, non è andato via. Non l’ha nemmeno salutata e neppure le ha sorriso, adesso che vi bada; eccezione, questa, che le appare strana. Suona, non male, un poco anomala, sì, diversa: inaspettata. La si accoglie come un arrangiamento alterato o una nota di basso più profonda. Ecco: respira più profondo, grave e quasi burrascoso l’azzurro dei suoi occhi, ora che è tanto vicino. Effettivamente, riflette, non ha mai osservato i suoi occhi da così vicino. Più in generale, non li ha mai fronteggiati alla pari, senza lo scorcio della prospettiva a manometterne la forza, o la falsatura di un palo o un muro a ripararla da un autentico gorgo di onde. Uzumaki, giustappunto.
__Non l’ho mai guardato negli occhi, io: è un bilancio che fa male e che fa paura; che fa fiammeggiare la testa per la verginità dell’avvenimento. Hinata arretra di un passo in cerca di maggiore equilibrio: urge un nuovo equilibrio, qui, uno tale da reggere il prodigio di Naruto Uzumaki, nientemeno, che la sta guardando!
__Storicamente, sa di dover abbassare gli occhi; che fra poco lo farà, prendendo a mangiarsi le falangi le une con le altre e niente più; eppure non dirotta lo sguardo. Si sta dissanguando nel rossore, inghiotte il fiato, maltratta gli occhi e non li devia. Li mantiene fermi, tremuli, ma fermi. Non scapperà, lo ha promesso. Hanno paura, certo, ma resistono. Non scapperà più.
__Naruto non ha cognizione del panico rovesciatole addosso, rombando sul posto col fragore del vento che sbatte le porte. Non ha la minima idea di quanto stia facendo, invero – benché, volgarmente parlando, non stia facendo un cazzo di niente.
__Scatta per issare una mano, arcua le dita; sotto la buccia e dentro, gli ingranaggi vibrano. Vorrebbe parlare, barrire, farfugliare qualcosa, qualunque, qualunque cosa! Ma non ci riesce, non lo sa… E nell’horror vacui dei suoi intenti, giunge appena ad allentare la bocca come un animale assetato. Mentre Hinata, ah, Hinata permane a guardarlo.
__La pressione per il rapido cambio d’atmosfere gradualmente si dissolve, permettendole di tornare a respirare quel poco da scongiurare l’embolia o il collasso dei bronchi. E forse è solo per spossatezza che snuda il petto, abbandonando le braccia e rimettendole alla signoria della gravità.
__Lei si sta assestando. Lui, invece, sta perdendo la testa. Altro che calmarsi o abituarsi: lui non sa cosa cazzo fare, ’orca vacca! Non sa come sfangarsela, cosa dire o pensare – non capisce, tanto per cambiare.
__Hinata è serena, e luccica come l’acqua di un lago. In attesa, non dice niente; non si aspetta niente. Non è consuetudine, sconforto o pessimismo cosmico, avallato da una vita di patetico anonimato; è sostanza ed è dalla nascita. In attesa, non si aspetta niente: dovrebbe mancare di senso. Non ne ha, infatti, né pretende di averne. Quello che ha è grazia; quello che dà è requie.
__Non si muovono, non fiatano, entrambi; congegni diversi, corsi diversi, sbocchi identici. Il gioco dello specchio: si guarda bene e poi si rifà tutto quanto! D’accordo, solo non ricordo più: sono io a seguire te, o sei tu a rincorrere me?
__Oltre il vetro, però, oltre il riverbero uguale e parallelo, c’è il rovescio di colori, temperature e inclinazioni: la confusione di fronte alla chiarezza; l’impreparazione di fronte alla consapevolezza; il vento di fronte all’aria. Se l’aria è trascinata dal vento, il vento è fatto d’aria.
__L’aria è quieta, leggerissima, non ha corpo; è vita negli altri, ed è niente sugli occhi. Neanche il vento ha un corpo suo, se per questo, eppure ha tanta forza da sradicare i tetti. Impaziente e scalmanato, non riesce a trattenersi troppo a lungo in uno solo luogo: deve turbinare e spazzare, navigare e volare, correre. È moto per sua stessa natura.
__Uzumaki, che è figlio dei mulinelli, abbassa lo sguardo, viaggia, lo trasloca da sinistra a destra e da destra a sinistra, sbuffa, fa sollevare qualche ciuffo di sterpi, incassa il mento e, quindi, torna a guardarla. Perché, per quanto fugga lontano, il vento torna, torna sempre.
__Ma è anche figlio del lampo lui, e nelle vene, la folgore è un messo potente e infido: spesso può rinvigorirlo e spesso può accecarlo. Solo talvolta riesce in ciò cui è consacrata: recare luce. Un giorno su cinquemila altri può dirsi una buona definizione di talvolta. Un giorno che, peraltro, è oggi. Oh dunque, sei o non sei fortunato, ragazzo?
__Mai stata sua virtù capitale, la vista: riflessi, resistenza, menar le mani, ma no, non la vista. Mai stato portatore di dōjutsu, del resto. Chi invece lo è gli sta davanti; e verrebbe da rimproverarle così, però, è barare, non fosse tanto piccina, lì, nella sua ombra. Lui è alto, tanto più alto di lei; per contro, lei sembra più piccola e bassa di quanto in realtà già non sia, con quel suo stare un po’ curva o a capo chino. Questo poi, si noti, è barare al quadrato.
__Di strambo in lei c’è tanto, e da sempre. Oggi, però, fa capolino uno strambo novello: non è svenuta, non si è defilata, diamine, non ha nemmeno sbandato la testa; è restata. Si è trattenuta ad accordargli il tempo, lo spazio, la vastità del creato, tutto quello di cui avesse bisogno o voglia per farlo acclimatare e permettergli di capire. Affinché, nell’ombra, la luce portasse la vista.
__Lei attende e non si aspetta niente. Meglio: è lui che lei attende, ed è a lui che non chiede niente. Adesso, lì, lui, tempo, luogo, cuore: c’è tutto e non serve più niente. C’è grazia e c’è requie; c’è un posto dove il sole batte solo per poter scaldare; e sì, va davvero tutto bene. È semplice, ma non è ordinario; è poco, ma prima non c’è mai stato; e Naruto si sente risucchiare via da un poco tanto grande, mentre Hinata gli sorride.
__Il volto di pezza è ancora chiazzato dai capillari feriti sulle guance, le mani si accartocciano intorno alla maglia e la frangia le sfiora le ciglia, eppure è solo quello: un sorriso. E Naruto n’è annientato. Vorrebbe urlare; vorrebbe ridere; vorrebbe piangere; vorrebbe fuggire miglia e miglia lontano; vorrebbe trascinarla a terra e farci l’amore; vorrebbe, vorrebbe, vorrebbe – diavolo, non sa neanche più lui cosa vorrebbe!
__Per tanto tempo sono state tante cose: conquistare il credito e la fiducia di tutto il villaggio; riallacciarsi alla falda di Sas’ke e far germogliare un sorriso in Sakura-chan; rammendare la squadra sette e rincasare a quando avevano tutti solo dodici anni; volgere l’invenzione di una famiglia nella memoria viva di due genitori. Per tanto è stato: farò, avrò, sarò, domani. È con la purezza dell’aria che erra nei polmoni, e del cuore che monta il sangue nelle vene, che lui raccoglie, decifra, vede.
__Indietro: già lo era. Davanti: lo è ancora. Sì, lo è ora.

__Sei amato.

__Lo vede lì: venti centimetri sotto il suo naso, un metro appena dal suo petto. Lo vede, negli occhi di Hinata, ci vede.
__Una cosa, una, la prima di quella colonna di fantasie senza fine, la causa, ce l’ha, l’ha avuta sempre; pur sommersa da metri di frangia scura e trascurata lungo la rotaia dei giorni… Beh, si tenti di capirlo: sono panorami che demoliscono.
__Non lo sapeva. Ce l’aveva e non aveva capito. Non l’aveva proprio vista.
__Non l’ho mai guardata negli occhi, Hinata.
__E pensa i suoi occhi siano incantevoli, con quel filo glicine a ricamo dell’iride. E poi: sì, forse gli Hyūga avranno anche tutti gli occhi bianchi, di ghiaccio e diamante, ma lei ha occhi di brina e rugiada sotto le ciglia folte. E ancora: che occhi davvero chiari, quasi bianchi, solo quasi, non tutti tutti bianchi; chiari e bianchi, e bianchi e chiari, chiari come il cielo a oriente, e bianchi come i cumuli e i soffioni.
__Naruto la guarda: è in scintillante iperidrosi; ha la gola in fiamme e la salivazione azzerata, le gambe molli e la schiena di legno, le braccia pesanti e i piedi bollenti; la testa gli gira; il naso martella; il cuore, bah, franato da qualche parte nel dislivello dello stomaco, e forse toccherà a lui perdere i sensi, oggi. Tuttavia la guarda, la guarda e quasi fa male. È come uscire al cielo dopo tanti anni.
__Vorrebbe fare, esprimersi in qualcosa, in altro, ma non riesce. Non rammenta alcuna pratica. Gli sembra di non ricordare più niente… Lei comunque si limita a guardarlo. È molto brava in questo, indecentemente brava; una virtuosa, qualora lo stalking figurasse fra le Arti. Del resto, lo fa solo da tutta una vita e in questo, se non in altro, è un capitolo avanti a lui.
__La peonia, che le tremolava sulle gote, si è affievolita; e la pelle mangiata dal petardo sta riassorbendo la luce del crepuscolo, pressoché sera, in un rosa che è colore e fiore. Lo smarrimento e l’eccezionalità di poco prima sono svanite nella polvere e salite al cielo, tra le venature porpora, liquefatte al lago di arancio e azzurro.
__Manca davvero poco affinché il disco lassù anneghi oltre la merlatura degli Hokage; e nel congedo sghignazza quello, saputo e bastardo, poiché il vento gli ha soffiato che Naruto è perfettamente paonazzo e, sicuro, lui non c’entra. È curiosamente rosso, in effetti: ha le orecchie in piena combustione spontanea, con tutto che sta pure iperventilando. Può darsi voglia fare qualcosa, eppure non fa nulla, di là dal guardarla. Guardarla, forse, basta e va bene.
__Sì, si sta bene col sole che tramonta e la sera che arriva.
__Il suo brivido è annunciato dal vento al galoppo, svergognato nell’intrufolarsi sotto i vestiti. Naruto quasi sussulta al tocco delle sue dita su collottola e caviglie. Accelera per azionare un braccio, intendendo forse riallacciare il collo della felpa, o darsi ai consueti gracidii, dattebayo! Chissà, poi, alla luce dell’inaspettato stato di grazia, non se n’esca pure con qualcosa di discretamente intelligente.
__Ma la fortuna di Naruto è licenziosa e incostante, una stronza, e così come viene, generalmente se ne va. Ecco risolto perché, mentre leva un braccio dietro la nuca, qualcosa gli atterra addosso. Meglio: lo atterra.
__La realtà torna a esercitare la sua detestabile tirannide quotidiana. Un peso considerevole, difatti, lo ha spiattellato al terreno con una rapidità spaventosa: qualunque cosa sia, un masso, un asteroide, il destro di Sakura-chan, il deretano grinzoso di Gamabunta, Naruto sente di odiarlo dal grembo del cuore. Oltretutto, puzza! Puzza, puzza di, cos’è, cane?

__«Akamaru!»

__Molteplici e formidabili le qualità dei ninken della Foglia; persino la favella, taluni. Fra i campioni Inuzuka, la stazza pare senz’altro la maggiore, e anche sulla schiena da eremita le zampe del buon Akamaru devono pesare quanto Kisame Hoshigaki, Samehada munito.
__C’è un pachiderma in cima all’eroe, che gli incrina le scapole e, forse, spappola un polmone. Quello buono, in aggiunta: il fortunato risparmiato quattro anni prima dalla disgrazia con lo Sharingan.
__Naruto solleva la testa, inferocito e, si direbbe, fresco di una seduta di elettroshock a colpi di Chidori – perfida maledizione Uchiha! Grugnisce qualcosa e si diletta in un delicato virtuosismo di finissime imprecazioni da bar; tirando indietro il collo in tempo utile a scansare una pedata sulle gengive da Hinata, precipitata ad arginare l’esuberanza assassina di Akamaru. Naruto non lo vede, ma lei sta tentando di smuovere il cucciolo di Garmr; riuscendovi, eventualmente, prima della diserzione di una o più vertebre del ragazzo.
__Dal fondo della sua immane sfiga, Naruto piega un braccio ad angolo, pestando il pugno contro il terreno e cercando di spezzarsi pure qualche osso, già che c’è. Ma se la fortuna è un po’ lucciola, la iella è una sposa adirata; e Uzumaki quasi impreca, quando il latrare ruvido di Kiba, mischiato ai bassi scuri del capitano Yamato, lo schiaffeggiano definitivamente, prendendolo in mezzo con lo schianto simmetrico di due piatti di batteria.
__Naruto maledice se stesso, la sua idiozia, la puntuale abitudine ad andarsele a cercare, a tirarsele sempre addosso, per cui scalognato sì, ma mulo anche; tirando giù nelle bestemmie Kiba e pulcioso compare, quel rompicoglioni del capitano Yamato e tutti gli Hokage appesi alla montagna, diavolo! Porcona come ogni infelice shinobi-ancora-genin-ancora-illibato-ancora-a-terra farebbe; non si accorge di Hinata che, sulle ginocchia, si sporge appena e offre la mano come sostegno.
__Lui la fissa sbigottito, quasi non ne avesse mai vista una e non sapesse cosa farci. Si desta poi per afferrarla, bloccandosi però a metà corsa, senza comunque retrocedere. Forza quindi l’altro braccio, lo angola a martello contro il petto e si spinge in alto. Solo quando è in ginocchio, sicuro di non gravarle addosso, allunga la mano per afferrare la sua. E immancabilmente, anche nel velluto della sera, Hinata arrossisce. Sente che non riuscirà mai a smettere; non vorrà mai smettere; non smetterà mai di arrossire, quando Naruto la sfiora. Sicché ha un pensiero sciocco, oltremodo, davanti un orizzonte in catastrofe: vorrebbe poter arrossire in eterno.
__Naruto si drizza in alto, e pare sia più lui a sostenere lei, che non il rovescio; quasi la traina nella risalita, con Akamaru ad annusare il suolo e i loro sandali. Sono entrambi in piedi, adesso, ancora venti centimetri tra grano e campanule, ma una decina appena tra i respiri. Lui studia le loro mani, flette il cipiglio e leva gli occhi ancora una volta: è ancora teso, è ancora rosso ed è ancora maldestro; è sporco di terra e peli di cane; odora anche di cane; non sa ancora cosa fare o cosa dire, come prima. Contrariamente a prima, però, una cosa la sa, la sente: sente che la mano di Hinata è freschissima. Fresca, non fredda. E non vorrebbe lasciarla andare.
__Hinata principia ad ammainare la mano perché è naturale, ovvio: perché lui si è rialzato, la giornata è rotolata via, hanno squillato il coprifuoco e siamo ormai fuori tempo massimo.
__Lei lo sa bene: ancora poco e lui si staccherà per stormire e battere altri campi, altri tessuti, altra vita; e lei… lei si ostinerà a stare. Dietro o, al limite, da parte al costato. Anche se distante, anche se di schiena, andrà bene, e andrà bene perché andrà avanti. Anche così, sola luce senza fiamma va bene, scalda.
__È con quest’eterna consapevolezza impigliata agli angoli della bocca, che incoraggia solo un piede indietro: per ingentilire il commiato; perché lui sta per congedarsi e spiegare le vele. Questo, Hinata lo sa. Quanto, invece, ignora è l’aver sbrigato i conti senza oste, maître e usciere: perché lui non le lascia la mano.
__Al presente lei non lo assorbe pienamente, in tutta la sua rovinosa offensiva. Sospetta sia una mera questione di tempo, di fermate e stazioni saltate per distrazione; di un errore, in buona fede e sostanza. Ipotizza l’abbia fatto senza volerlo e perché incidentalmente ospitale ed espansivo con tutti; perché buono con tutti; perché è Naruto-kun. Inoltre è possibile lo stia facendo tuttora senza riflettere, e giusto poiché ignaro della mano, del tramonto, della sua iperemia e di tutta l’orchestrina da romanzetto rosa lì attorno.
__Hinata pilota così la mano nubile al seno, richiamando in sincrono la gemella, sperduta in un luogo straniero: lei batte in ritirata; ci prova quantomeno, perché Naruto la trattiene, e Hinata annichilisce. Accenna a sollevare lo sguardo, avverte gambe, braccia, dita, ogni stelo del suo essere iniziare a singhiozzare nella tagliola dov’è finita: andrà a pezzi, cadrà, oh se cadrà, disegnerà proprio un bel buco e senza il suffragio del Pugno Gentile!
__Non può ammirarsi, certo, ma sa, sa che il volto arde di nuovo, come cenere assopita, riscossa dallo sbadiglio del vento.
__Desta poi il capo, ed è qui, qui e ora, che Hinata si sente morire: lui la sta guardando. Dritto negli occhi, ancora. Non ha difese, ora, con lui che riesce a vederla.
__La vede e non le lascia la mano. Le stringe la mano. Le brucia la mano. Ed è un monito, no, mi spiace, ed è un voto, non ti mollo.
__Sono anni, processioni di domani, di prima o poi – sistematicamente sempre poi e mai prima – che è in viaggio: come quel suonatore in cerca del flauto, ha vagato a lungo con quello che solo gli stava dietro, e non gli par vero… L’ha scovato finalmente! Come potrebbe lasciarlo andare? Quella cosa, quel qualcosa che manca, adesso ce l’ha, lui ce l’ha: Naruto Uzumaki ce l’ha!
__Per tanto è stato: farò, avrò, sarò, domani. È stato, ma oggi è, ora è. La realtà l’ha superato, il sogno, lo ha eclissato. Il sole non erode, e si leva un grazie.

__Grazie, mentre lui respira.

__Naruto le sfiora appena il palmo coi polpastrelli sensibilmente ruvidi, dopo una vita a dispensar pugni; aumentandone, però, goffamente la pressione, perché non è solo un incidente di percorso. È un aggancio, un ponte, un guado; e per qualche via lei lo coglie, lo ode, nella scudisciata di adrenalina che le disossa la schiena.
__Lui le serra solo la mano, eppure lei sente, è qui, nel soffio irregolare dei respiri che si sfiorano e arruffano, ingarbugliano e scambiano. Ereditano l’uno, l’aria dell’altro, facciamo metà e metà, come la merenda a scuola.
__È appena un crocicchio di epidermidi, non è stato allestito alcun sigillo o illusione – arte oculare sbagliata, signori –, eppure sotto i piedi, il suolo trasfigura: c’è erba e dei picchetti di legno, mentre poco distante sbuffa l’arena. Naruto veste ancora di blu e arancio, e fa tanto il duro solo perché gli pesano gli errori che commette. Hinata ha ancora quel taglio corto da bambina, e sa che nessuno è perfetto, lui tanto meno; malgrado ciò ha sempre forza giusta a ripartire e quella lì, per lei, è forza vera. È il primo giorno della giostra fra genin, loro hanno dodici anni soltanto e il coprifronte è un talismano, non una rovina.
__Hinata trema ancora e Naruto non rinuncia a guardarla; Akamaru scodinzola, ignaro, offrendo un bussare cadenzato e gentile sulle gambe; non si direbbe, forse, ma va davvero tutto bene.
__Uzumaki valuta come, tutto sommato, quella giornata partita col piede sbagliato e proseguita con tutti gli arti ad incasinarsi fra loro, non sia stata poi completamente inutile; e forse sarebbe pronto a replicare tutto daccapo, naso tumefatto compreso, solo per convergere mano nella mano a Hinata, alla stregua di marmocchi.
__Svapora in fesserie lui, e un prurito gli gratta la gola: ha voglia di ridere! Sghignazzerebbe, salterebbe e mulinerebbe in gorgo come un matto – fugando ogni chiacchiera a Konoha intera sul clima di testa e marchio. Perché magari lui non misurerà più appena centonove centimetri in grembo a una stalla buia, ma forse, ora, quella veglia tanto lunga è terminata. Sì, forse ora ce l’ha anche lui, un posto: sono a casa. È arrivato: bentornato.
__Naruto ghigna beffardo, considerando non gli sia andata davvero troppo male, e convenendo su come quel venerdì non si sia confermato poi così di merda, contrariamente a quanto invece preventivato. Non così di merda, già… Non fosse per quella cosa ruvida e spugnosa, che gli bagna la mano.

__Eh merda.

__Lui raglia una volgarità, sbrogliando in uno strappo la presa. Porta la mano al volto, e alla periferia del naso, allibisce per come possa già puzzare tanto, mentre Akamaru si spreca a leccare ancora quella di Hinata, rimasta a squadrarla come in trance.
__Naruto friziona la parte lesa sui calzoni, con malagrazia e il nobile desiderio di appallottolare un Rasengan, perché dico io: due, due volte in manco un’ora, non è possibile! Rumina sui modi più coloriti per mutilare qualcosa o qualcuno, cercando casomai di far condonare l’accaduto come sanguinaria manifestazione dell’Enneacoda; non capta il vociare di Kiba farsi più robusto, né si dà pena di scorgere la tetra presenza di Shino, mostro di mimetismo.
__Hinata si volta, come tirata per le orecchie dalla squadra che si approssima. Nel disordine emotivo si domanda sinceramente cosa possano mai farci lì Kiba-kun e Shino-kun; riavendosi dall’ipnosi quando inciampa nel rotolo caduto ere geologiche prima. La guarda con rimprovero, quello, e le rimbrotta l’appuntamento davanti alla tenda dell’Hokage, verso sera, al fine di ricevere un certo documento inerente l’incarico venturo: lo rammenta, eh? È talmente nel pallone più totale, povera figliola, da scordare per un lampo di tempo di soccorrere la pergamena a terra o salutare Kiba, che si sbraccia da una dozzina di minuti per attirare l’attenzione sua e del vicino quadrupede – Akamaru, non Naruto. E fortuna sua anche Yamato si affacci giusto in tempo, distraendo Uzumaki da una seconda singolar tenzone con il secondogenito Inuzuka.
__La meccanica quotidiana rimpatria a reclamare il proprio pugno sugli imprevisti, su quei grani impazziti che minacciano una rivolta – con tutto che la Foglia è destra per inibirle alla polla, le rivolte. L’avviso suona alto e potente, insindacabile: non si può ignorare.
__Naruto piroetta irritato, canini acuminati e segni sulle guance minacciosamente marcati, abortendo sul nascere il richiamo di chi, nella gerarchia militare, dovrebbe essergli un superiore; per quanto, nei fatti, quel pittoresco e vengo, cazzo! del subordinato non renda debita giustizia.
__Prontamente Hinata si gira, stritolando il testé bistrattato cilindro di carta e cristallizzandosi per lo sbotto del ragazzo. Lo stesso fa Naruto, a labbra imbronciate da inguaribile bambinone, ruotando prima il capo e infine gli occhi. E la risata esplode inevitabile in canna, all’urto della di lei espressione preoccupata: le sopracciglia in depressione, e quella perpetua nuvola di sbagliare a sgualcirne il volto.
__Lei sta realmente vagliando un transitorio dissesto del ragazzo, con tutta quell’alta e bassa marea di euforia, ansia, stizza e disagio fisico; e non è fiduciosa di saper reggere una simile ruota emotiva a vita. Che poi, a-a vi-vita?! Insomma, no-non è mica successo niente o niente di che, oggettivamente. In-insomma, non deve costruire manieri di aria e cannella solo perché lui, per una volta, non l’ha mollata come una scarpa in mezzo alla strada. Oh, insomma! Veda di non salpare per l’ennesima crociera rosa, ché non ha più dodici anni, ormai, e lui non ha annunciato di apprezzare citrulli simili a lei. Non è su-successo proprio ni-niente, m-ma ni-niente, e… Non c’è più vita o materia cerebrale nella sua stoffa, quando Hinata solleva lo sguardo e incoccia in quello estivo di Naruto. Che sorride.
__E dopo il consueto panico; dopo la canonica suggestione di bruciare viva oltre le falde del naso; dopo la decima onda di luce attraverso zigomi e occhi, spirito e cranio; dopo sentirsi morire per l’ultima volta, anche Hinata sorride.
__Sorride al rotolo nella sua mano, e ad Akamaru che alita felice. Sorride al capitano Yamato, che cede clemente, ma promette tempesta; e a Kiba e Shino che, affatto interessati a smancerie tra impediti, parlottano piano.
__Ah, perché si sappia: sorride anche a Naruto. D’altronde non l’ha sempre fatto? Un delitto, lui non se ne sia mai accorto. Le cose vanno e ritornano, tuttavia, come il vento. Gli anni sono quindi quattro, da quel campo d’addestramento; i centimetri, dieci, da quel rospetto agitato; e l’ombra, oh, mai più all’ombra! Ora come allora: lui la guarda e le sorride. In sequenza e in sincronia assieme.
__Le sorride perché finalmente l’ha vista. Non che lei si sia risolta a scoprirsi; lei c’è sempre stata, in fondo. Lui è il prodigio, emerso a vederla. Per questo continua a guardarla: perché ce ne ha messo di tempo, altroché, ma finalmente riesce a farlo.
__E anche Hinata sorride. Sorride, benché forse non lo sappia e, facile, si stia solo illudendo. Perché forse un senso l’ha avuto, tardare sedici anni, se quello è il termine; perché forse, sicuramente, è valsa la spina invitare la morte e annusare la terra, triste Euridice senza un suo Orfeo, per saperlo sorridere, sorridere ancora.
__Perciò sorride mentre lo guarda, e lui la guarda mentre sorride.
__Questo basta: l’adesso, il qui e ora; la polvere e il vento; il sapore vicino dell’erba e l’abbandono autunnale di Konoha alla sera; quello, quel sorriso basta.
__Tanto che, per un secondo, assistere – aiutare – Sasuke, ricoverare il villaggio – la casa –, smantellare tutto il fottuto istituto dei ninja svanisce… e scema d’importanza.
__Certo, dopo tornerà a crucciarsi di Madara Uchiha; di vecchi antagonismi entro cui, francamente, rifiuta di riconoscersi. Dopo tornerà la nausea: ributtanti massacri sbrogliati come polvere sotto un tappeto; regimi corrotti e buonismi bugiardi. Dopo torneranno le sillabe battenti di Sas’ke: Sas’ke, Sas’ke e ancora Sas’ke; come un mantra, un’eco rimbombante che ritorna e rintrona, nella testa e nello stomaco. Dopo tornerà il solito baka, nella fede d’udire poi quell’intonato usuratonkachi unirsi al familiare coro d’insulti. Dopo, quell’accozzaglia di priorità e allarmi che è divenuta la sua vita tornerà a premere su di lui e sulla sua zucca cava, come abitudine comanda.
__Dopo, dopo, dopo verrà tutto questo; verrà a riprenderselo, dal coprifronte scrostato alla suola sdrucita dei sandali.
__Ma adesso, per il buco di un sospiro, quest’immenso e smisurato, estenuante oceano di tutto – Madara, Sasuke, Itachi, Uchiha e Senju, Foglia, Sabbia e Nuvola, tutte le dannate Terre Ninja, Kyūbi, suo padre, Kakashi-sensei e Sakura-chan, Dio! Il mondo, il mondo intero! Tutto, tutto quanto, maledizione! – si ritira. Ripiega come la risacca della marea, e cessa di esercitare questa ferma, ragionevole precedenza.
__Dura solo un attimo, un misero e gracile attimo, ma dura, resta, e il resto si stacca. Il resto è solo quello: il resto. Il resto, il tutto; il dopo, l’adesso; importa, sicuro, e importerà ancora, sempre. Ora, però, importa anche quello. Come l’ossigeno e l’acqua; l’aria nelle vene e la luce oltre la pelle; una buona dormita e una ciotola di rāmen: quello che ha gli basta. Respirare basta.
__Un po’ poco, dite? Sì, no, forse; questione di punti di vista; di vista, appunto. Verrebbe quasi da ridere, ma giusto sorridono.
__Non occorre una risposta, forse: niente morale in tallone alla favola, grazie, va bene così.

__Sì, si sta bene così.

__Il tabarro scuro della sera, regale, è calato; il vento non ha smesso di danzare, solo ha rallentato il passo, dondolando in un valzer con la polvere. La Foglia ronza assonnata; Akamaru, con perspicacia tutta canina, ha sciolto un poco gli ormeggi, naufragando qua e là per il bassopiano in ventura a una brigata d’insetti; Kiba e Shino, relativamente prossimi, paiono comunque ancora titubanti. E in tutto ciò, Naruto e Hinata perdurano a guardarsi, un’ultima volta, per voltarsi e separarsi.
__Bisogna proprio andare, darsi le spalle, ancora, come da principio. Occorre finire per riavviare, dopotutto.
__Naruto è rientrato nei ranghi, degnandosi di concedere un poco di rispettosa attenzione al suo superiore. Hinata si è finalmente riunita ai suoi compagni, disfacendosi in una bufera d’inchini, scuse e singulti di sincero rammarico per la sua vergognosa disattenzione – sorte a lei propizia, gli shinobi non girino corredati di cilicio –; finendo per perdere drammaticamente ancora quel benedetto rotolo dalla presa gentile e impacciata delle mani.
__Naruto la pesca con la coda dell’occhio anche da sotto la pensilina della tenda e al guinzaglio del capitano Yamato; mentre Kiba elargisce loro occhiate tra il malizioso e l’idiota, indicandoli alternativamente in mezzo all’uggiolare armonizzato di Akamaru e Hinata.
__Naruto sorride, sbirciandola gesticolare furiosamente e quasi inoltrare un ceffone a Shino, nello sbatter da airone in volo delle mani: la guarda un’ultima volta, solo un’ultima volta, promesso. Sedici anni son tanti da bonificare, suvvia, lo si perdoni.
__Hinata, tuttavia, non si volta. Può darsi non creda sia il frangente favorevole o più opportuno e, viceversa, troppo imbarazzante, così, davanti a tutti: quattro spettatori, addirittura! Un ANBU, due chūnin e un ninken! Forse, però, è anche più semplice: è lei che a questo turno non sa.
__Naruto non se ne dispiace, comunque, né se ne risente. Beh, magari un pochino sì, egocentrico ed esibizionista com’è e, sciagura sua e del Paese del Fuoco, sempre sarà. Tuttavia, in un eccezionale attacco di coscienza, si racconta che potenzialmente conviene non tiare troppo la corda. Perché ora, forse, sta a lui.
__Lei lo fa da inizio partita, e adesso è il suo, di turno. Spetta a lui trattenere o far danzare i dadi, muoversi, avanzare o scappare: combattere o fuggire – e lui non fugge, non fugge mai. Perciò a lui andare, partire per tornare, raggiungere.
__È solo questione di qualche tiro o di evocare un numero doppio. Di viaggi e tappe, di manches, giri e mani. Di prenderle le mani.
__Al prossimo turno, però, lui saprà cosa fare e cosa dire.
__Al prossimo turno lui saprà quel che prova.
__Al prossimo turno lui l’avrà, la risposta.






• • •




Naruto non lo sapeva. Non poteva, del resto. Non lo si avvista mai, la prima volta. Eppure era stato proprio quello, quel tremendo, tremendo venerdì, il luogo del misfatto: brutto affare, l’amore. Ma, beh, Naruto non sapeva davvero un diluvio di cose, neh, baka?




• • •




«Naruto, questa sera, presentati alla tenda dell’Hokage. Tra le sei e le sette, circa.»__
«Che? Stasera? Non adesso?»__
«Adesso l’Hokage è occupata e può solo più tardi.»__
«Sì, ha sempre da fare, nonna Tsunade: tremila anni, appena tornata dall’oltretomba, ma sempre occupatissima!»__
«E ha giusto schivato un colpo di stato, anche. Cerca quindi di essere pratico: fatti un giro e torna dopo.»__
«Ma sto cercando di essere pratico, capitano Yamato! Ce la siamo cavata tutti per pochissimo! Come faccio a starmene con le mani in mano!»__
«Naruto.»__
«Se-sensei?»__
«Fatti un giro e torna più tardi.»__
«Farmi un giro?»__
«È la cosa migliore.»__
«Un giro? Adesso?»__
«È la cosa. Migliore.»__
«Sì, sì, migliore, migliore…»__
«Tra le sei e le sette, chiaro?»__
«Cristallino, ’ttebayo!»__
«Allora a dopo.»__
«Sicuro… E se avanza tempo, posso sempre piazzarmi una scopa nel cu-»__
«Naruto.»__
«Ramazzo anche il paese, così!»__
«Tra le sei.»__
«No, eh?»__
«E le sette.»__
«Sì, sì, sei e sette, agli ordini!»__
«Mi raccomando.»__
«Non mancherò!»__
«A dopo.»__
«Yosh.»__
Venerdì.__
Giornata di merda.
__





Yeah, you got that something__
I think you’ll understand__
When I feel that something__
I wanna hold your hand__

“I Want to Hold Your Hand”, The Beatles__




[I Want to Hold Your Hand]









• • •

• Rettangolo dell’autrice •

__Oh, bentornati. Se siete vivi e ragionevolmente lucidi, permettetemi di dire: gaudio e giubilo in tutto il regno, perché è fffinita! (Fiumi di champagne.)
__E cos’è successo, alla fine? Niente è successo, uh, l’impegno per ciurlare nel manico, guarda… Ci sta una scusa, però (forse): non sono Kishy (e meno male), e non ho voluto azzardar nulla; un po’ per fifa di sbandare dal seminato, e un po’ perché curiosa di vedere come se ne uscirà fuori lui, il brillante, dopo ’sto macello di legami, triangoli, quadrati e tensioni omoerotiche.
__Ora, i riconoscimenti (e i furti, furti a tutto spiano!). L’ultimo capitolo scippa ignobilmente il titolo a un’altra canzone degli immortali Beatles, ossia “I Want to Hold Your Hand”; a proposito, penso sia abbastanza evidente il richiamo al manga (coff, coff – capitolo 573 – coff, coff), no? No? No. Ah. Ottimo. Tra le tante sparate, poi, ci sarebbe pure un omaggio a Rabindranath Tagore, ovvero: il flauto va in cerca del suonatore che va in cerca del flauto. Per la cronaca, la battuta finale circa scope in luoghi inusitati (ma che, a onor del fandom, poi tanto inusitati non sono) non è mia, figuratevi: cito le sempiterne guide spirituali Elio e le Storie Tese in “Servi della gleba”.
__(Ohi, stringiamo, vuoi?) Fine della palla autocelebrativa e passiamo ai sacrosanti ringraziamenti. A chi è arrivato per caso e ha avuto bontà di rimanere; a chi s’è trattenuto, rimpiangendo nascita e libertà di espressione; in ogni caso, qualunque sia la dinamica, la casistica e la balistica: grazie. Sono lunga, pallosa, un martello pneumatico, quindi solo un’ultima volta.

Grazie.

__Disclaimer: personaggi, fatti e luoghi citati appartengono a Masashi Kishimoto, cui vanno tutti i diritti circa il loro uso. Non c’è scopo di lucro.


• Due chiacchiere e un rettangolo •

__Parlo tanto e pure da sola, per cui tendo a trasformare tutto in un lunghissimo pippone; ma questa volta la riconoscenza m’impone di frenarmi, mettermi una museruola e rallentare. Vorrei contraccambiare, insomma. Bene, si va:

__A thecinu: ma ciao, ragazza! Ehm, perdona la confidenza, ho spesso l’invadenza di un cucciolo di labrador. O di Slimer (sbava lo schermo). Prima d’ogni altra cosa, grazie mille per aver letto e scelto di seguire (nonché recensire) queste deliranti righe: sei stata davvero un tesoro! E grazie della fiducia, poi! Spero solo di non aver deluso con quest’ultimo capitolo: probabile ti aspettassi più interazione o un briciolo di dialogo, se non altro; avendone ben donde, comunque. Mi auguro solo questa piega non t’abbia fatto storcere troppo il naso (e gli occhi. Ehi, non è che ho reso qualcuno strabico? I camaleonti scuotono la testa), o rimpiangere l’esserti imbattuta nella sottoscritta (come no); e spero tu possa aver almeno gradito i vari siparietti di comicità idiota e da quattro soldi. Comunque sia, ho apprezzato infinitamente i tuoi commenti, oh sì: sei stata carinissima, ragazza, cioè, fatti abbracciare! (Effetto piovra.)

__A Mery Dream: ma evviva i nottambuli! Err, meglio partire con un minimo di galateo: ciao, ragazza, e piacere mio! Complimenti a te, prima di tutto, perché macinare una quantità di roba come questa in piena terza serata, è un’impresa mica da ridere: ci vogliono ammennicoli d’acciaio, sì signore, sono ammirata. Poi, oh, Naruto pensante ti è sembrato iccì? (Un fenomeno paranormale, direi, tipo Sas’ke ridanciano; non s’è mai visto. E farebbe pure un po’ impressione) La gente presa male o mezza depressa, credo sia una rogna bella difficile; è stato un mezzo casino, in verità: un casino da rendere e un casino divertente (le parolacce! Frittatona di cipolle e rutto libero!). Ma se in questo sfacelo di fesserie, la sua caratterizzazione è passata un poco plausibile, allora io non posso che volerti molto bene, molto molto. Accendo un cero, poi, dato che la dinamica da rincoglioniti continua, e ti do ragione su come il dobe non l’abbia sempre ignorata. Non sempre, ma spesso (che dici te, Kishy? Ehilà, Kishy? Kishy incunea un mignolo nel naso). Mi ha colto il latente desiderio di fargli la ramanzina, ecco; chiedo venia. Okay, ti ho asciugata pure troppo. Bene, ti ringrazio tantissimo per aver letto e voluto continuare a leggere. Grazie un sacco, e non scherziamo: avercene di commenti così simpatici, sai la pacchia? (O avercene di commenti, in generale, sigh.) Grazie davvero per avermi tollerato e, di nuovo, lunga vita all’insonnia, sempre sia lodata.

__A Gisella: oh, Gisella cara! Allora, immensamente felice per averti ritrovata: che sia destino, fato o, semplicemente, sfiga tua e fortuna mia? Credo l’ultima, mi spiace; spero comunque di non averti dato troppo fastidio, l’altra volta, salutandoti a fondo pagina (una fa tanto la splendida, e si dimentica la discrezione). Miracolo ti sia andata a genio, avendo una proprietà soporifera che manco Jigglypuff e Marzullo, e voler andar giù col cursore è cosa assai difficile. Occhio, poi, che peggiora pure la cosa, tra sdolcinerie e cretinerie varie (le si staccano i denti). Alla fine si è optato per un, ehm, per un boh in sostanza, piuttosto che per una soluzione decente; ma quelle… bah, quelle son magagne di Kishy. E niente, ancora grazie mille, gioia: sei stata una bellissima sorpresa. Grazie millemila.

__Grazie a quelle gloriose anime che hanno letto, perché c’è tanto, ma tanto di meglio, assolutamente. Ho sempre confidato nella gentilezza degli estranei (viene portata via in barella).

Grazie davvero.

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