Second Life

di Kanda_90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sogni ***
Capitolo 2: *** Innocence ***
Capitolo 3: *** Akuma ***
Capitolo 4: *** L'Ordine Oscuro ***
Capitolo 5: *** Nuovi Incontri ***
Capitolo 6: *** Nuova Vita ***
Capitolo 7: *** Aria del Vecchio della Terra e della Notte del Cielo ***
Capitolo 8: *** In Missione ***
Capitolo 9: *** Noi siamo distruttori, non salvatori ***



Capitolo 1
*** Sogni ***


Ho già più o meno detto tutto nell'introduzione.
Questa è la prima storia che scrivo riguarda a D.Gray-man, quindi spero che vi piaccia.
Scriverò in prima persona, un sistema che secondo me permette di entrare dentro la mente del personaggio e immedesimarsi il più possibile nei suoi sentimenti ed emozioni. Di volta in volta troverete scritto chi è, tra i due personaggi principali, quello che sta agendo.
Non aggiungo altro, se no vi addormentata ancora prima di cominciare.
Buona lettura!!!!!

Second Life

Hikari

1st Night: Sogni

Piccole bolle galleggiano verso l’alto, in lievi e tremule volute...si rompono al contatto con la superficie...
Ma di cosa?
Le guado, rapita, ma mi manca l’aria, non riesco a respirare, i polmoni bruciano...l’istinto mi porta verso l’alto...verso la luce...
Da dove viene?
Sono fuori...sento un vento gelido sferzarmi il corpo...tremo...
Tutto ciò che vedo è rosso...i miei occhi non possono catturare altro colore...riempie tutta la mia visuale...
Cos’è?
Muovo passi incerti, verso l’aria gelida, sperando...
In cosa?
Intorno a me muri....altissimi...
Dove mi trovo?
Continuo a camminare.
Seguendo il vento arrivo ad un uscita...una luce fortissima mi investe...tutto sopra di me è azzurro...

Spalancai gli occhi, svegliandomi di soprassalto.
Ancora quel sogno.
Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che mi aveva tormentato, che ormai pensavo di essermene liberata.
Evidentemente sbagliavo.
Dalla finestra filtravano i primi bagliori rosati dell’alba, tutto era immerso nel silenzio irreale che precede il risveglio della natura.
Tanto valeva che mi alzassi. In ogni caso mio padre sarebbe venuto a chiamarmi un’ora dopo. Decisi di approfittarne per fare un giro con Seishin.
Presi dalla sedia i vestiti che avevo preparato la sera prima mi vestii, prima di uscire dalla mia stanza. Con gli stivali in mano, cercai di far cigolare il meno possibile le vecchie assi del pavimento, sperando che mio padre avesse il sonno abbastanza pesante da non svegliarsi. Decisamente non avevo voglia di cominciare la giornata con uno straordinario lavorativo.
Presi una mela dal cesto della frutta sul tavolo della cucina e aprii la porta, richiudendola delicatamente dietro di me. Maledissi i cardini cigolanti e mi avviai sul retro della modesta abitazione.
Agilmente scavalcai i massiccio recinto del paddock, diretta verso la tettoia dall’altra parte. Incrociai subito quei meravigliosi occhi azzurri e sentii il suo caloroso saluto, prima che il suo affetto mi investisse letteralmente.
“Shhh! Così sveglierai il vecchio.”
Sbuffò. Sorridendo gli diedi la sua dose mattutina di carezze, prima di concentrarmi a districare i nodi che affliggevano la sua splendente criniera.
L’avevo trovato quando era ancora solo un puledro, smarrito o abbandonato dal branco. Da quel giorno non ci eravamo mai lasciati. Era l’essere che più di ogni altro era in grado di capirmi e ascoltarmi, una parte di me e della mia anima. Crescendo era diventato un meraviglioso stallone, nero come la pece, eccetto gli occhi, azzurri quanto il cielo delle mattinate più terse. Era unico.
Mi avviai verso la cancellata lignea che chiudeva l’accesso al recinto e l’aprii. Senza nemmeno sellarlo montai in groppa e, con un leggero colpo di talloni, sfrecciammo verso l’alba.
Adoravo quella sensazione. Il vento fresco che mi sferzava il viso, i capelli sciolti che volavano dietro di me, l’odore di rugiada, il respiro profondo di Seishin, il suono degli zoccoli sul terreno....la libertà. L’unico momento in cui mi sentivo davvero in pace con me stessa e quanto mi circondava.
Non ricordavo assolutamente nulla dei miei primi anni di vita. Tutto ciò di cui ero certa era che, in un’estiva giornata dal sole accecante, ero giunta nel villaggio dove attualmente vivevo, vestita solo di una coperta, affamata e stremata. Lì ero stata accolta da colui che avevo imparato a chiamare padre, che mi aveva dato un nome e una famiglia. Tutto ciò che precedeva qual momento, era solo nebbia nella mia mente.
Poi c’erano i sogni. Sempre gli stessi, ogni tanto spuntavano dal mio subconscio per tormentarmi. Ormai ero sicura fossero frammenti di qualche mio passato ricordo, ma non riuscivo a collocarli né nel tempo, né nello spazio...mi lasciavano solo con un vago senso di orrore...
Scossi il capo con rabbia, incitando Seishin ad andare più veloce. Volevo sfogare la mia frustrazione.
Vivevo già un’esistenza abbastanza inusuale, senza che vi mettesse lo zampino anche il mio inconscio.
Ero diversa. Questo lo sapevo. Ma continuava a sfuggirmi il motivo di tale diversità.
Cominciai a vagare tra i ricordi, allo stesso ritmo con cui lo stallone nero divorava il terreno, con grandi falcate.
Molto tempo prima, avevo circa dodici anni, stavo giocando con i miei coetanei nel boschetto ai margini del villaggio. Facevamo a gara su chi fosse riuscito ad arrampicarsi sull’albero più alto. Un gioco davvero stupido e rischioso, ma al momento non pensammo che la cosa potesse riguardarci. Essendo più forte della media dei miei compagni, ero certa che avrei vinto, ma la fretta mi fece mettere un piede in fallo ed ero caduta rovinosamente al suolo, procurandomi un lungo taglio su un braccio e rompendomi una gamba. Immediatamente ero stata portata al paese e medicata, ma sapevo che, vivendo in un villaggio isolato, senza strutture mediche adeguate, probabilmente avrei zoppicato a vita, per via di quella frattura. Non avevo ancora dimenticato la strigliata di mio padre.
Il fatto più assurdo, però, avvenne la mattina dopo. Mi svegliai, mi alzai e andai a fare colazione, di fronte a mio padre che mi fissava basito. Al suo sguardo mi svegliai improvvisamente e, ricordando la disavventura del giorno prima, controllai le parti offese.
Ero guarita completamente. Nemmeno una cicatrice.
Da allora la gente aveva cominciato a guardarmi con un misto di sospetto e timore.
Da allora ero sempre stata molto cauta ed avevo evitato il più possibile di procurarmi qualsiasi tipo di ferita, fosse anche solo un livido.
La verità era che, colei che aveva più paura della sottoscritta, ero proprio io.
Non sapevo spiegarmi questi avvenimenti e la cosa mi metteva in angoscia. Cosa mi rendeva così diversa dagli altri?
Forse la risposta risiedeva nel mio passato...se solo avessi cominciato a ricordare...
Il nitrito di Seishin mi riportò alla realtà.
Eravamo arrivati al lago, anche se chiamarlo tale era un eufemismo. Era un modesto specchio d’acqua limpida, alimentato da uno dei molti ruscelli che scendevano dalle montagne, per poi contribuire all’irrigazione delle nostre risaie. Intorno al laghetto erano cresciuti diversi alberi, che offrivano un riparo dal sole e dal caldo, specialmente nei caldi mesi estivi.
Smontai da cavallo e andai a rinfrescarmi il viso. L’acqua era freschissima.
Come sempre, in occasione di queste nostre piccole fughe dalla realtà, ci mettemmo entrambi sotto un grande ciliegio. A volte restavamo in quel piccolo angolo paradisiaco anche diverse ore, semplicemente immobili, a godere della brezza che soffiava dai monti.
Quella mattina però c’era qualcosa di diverso. Seishin era nervoso e sferzava il terreno con gli zoccoli.
Mi rialzai in piedi, accostandomi a lui e donandogli levi pacche sul collo per tranquillizzarlo. Qualcosa lo disturbava, ma non capii cosa fosse, finchè una piccola scimmietta non scese saltellando da uno degli alberi vicini.
Era piccola, marroncina, con due grandi occhi neri ed espressivi. Compresi cosa avesse irritato il mio amico. Semplicemente quel grazioso animaletto era entrato nel suo territorio e, si sa, gli stalloni sono molto territoriali.
“Non vorrai dirmi che ti infastidisci per un microbo simile?! Ti credevo più tollerante.”
Sbuffo.
“Non è affatto un microbo, è una scimmia. E ha anche un nome, come presumo anche il tuo intransigente equino.”
Mi voltai di scatto al suono di quella voce.
Di fronte a me c’era una donna, sulla cui spalla si era prontamente arrampicato l’animaletto in questione. Non l’avevo affatto sentita arrivare, ma la questione decadde immediatamente. Ero più interessata al suo abbigliamento. Vestiva quella che, a prima vista, sembrava una sorta di uniforme, nera, con inserti dorati, anche se ciò che più di tutto catturò la mia attenzione era la grossa spilla in forma di croce iscritta, che portava all’altezza del petto. Dove avevo già visto quel simbolo?
Mi accorsi di non aver smesso di squadrarla, così mi affrettai a rompere il silenzio.
“Lei chi è?”
“Potrei farti la stessa domanda.”
Già mi stava indisponendo. Decisi di finire la conversazione ancora prima che cominciasse.
“Temo che dovrà cercare da se la risposta.” Ribattei, voltandomi per salire a cavallo...ma mi fermai.
Un suono.
Un lieve scampanellio, il più tenue che avessi mai udito, eppure lo sentivo distintamente.
Mi rigirai verso la sconosciuta, che ora fissava incredula la sua borsa, aperta, dalla quale emanava un debole bagliore azzurrino.
“Che cosa contiene quella borsa?”
Inconsciamente iniziai a muovermi verso di lei, rapita da quel...”qualcosa”. Avvertivo una sensazione strana...mi sembrava di essere in un altro tempo e in un altro luogo...mi pareva di aver già avvertito in passato quella presenza...ma questo non era possibile.
Chiusa la borsa, smorzando completamente quella luce e riportandomi al momento presente. Che mi stava succedendo?
La bionda mi guardava ora con curiosità, come se fosse incredula su qualcosa che io non potevo sapere. Solo allora notai la grossa cicatrice che le sfigurava il volto.
Chi era quella donna?
“Come ti chiami?”
“Kris Hikari”.
Continuò a fissarmi...decisamente qualcosa mi sfuggiva.
“Da dove vieni?”
“Qui i fondo alla collina c’è un villaggio. Abito lì con mio padre.”
Annuì.
Ora non potevo più lasciar cadere la questione. Quella donna sapeva qualcosa sul mio conto, qualcosa che io ignoravo. Glielo leggevo negli occhi.
Inoltre volevo assolutamente sapere cosa fosse ciò che teneva in borsa, ciò che mi aveva così irresistibilmente attratta...
“Ha un luogo dove stare?”
“No, sono in viaggio da diversi giorni.”
“Dov’è diretta?”
“Al momento? Esattamente...qui.”
Che diamine voleva dire?
Da quando era apparso quel bagliore, il suo atteggiamento verso di me era totalmente cambiato. Avevo l’impressione che persino quella scimmietta mi stesse guardando in modo strano...
Decisamente non mi faceva bene alzarmi troppo presto la mattina.
“Se vuole posso offrirle una colazione. Siamo molto ospitali coi forestieri, al villaggio.”
“Volentieri.” Montai a cavallo e le feci strada. Ovviamente impiegammo molto più tempo di quanto ci avessi messo io, quindi arrivai in ritardo da mio padre, che difatti già mi aspettava all’ingresso del paddock.
La sua espressione contrariata dal mio ritardo, si dissolse nella domanda che il suo volto silenziosamente esprimeva, fissando la sconosciuta che mi accompagnava.
Lo bloccai prima che potesse parlare.
“Lo so! Sarei arrivata in tempo, ma ho incontrato questa viaggiatrice. Non ha ancora fatto colazione, così ho pensato...”
“...Che mentre tu recuperi il lavoro perso, io me ne occuperò.”
“Ma...!”
“Fila e non discutere.”
Lasciai con disappunto Seishin a pascolare nel recinto, mentre mio padre accompagnava l’ospite in casa.
Di malavoglia entrai in quel forno che era la fucina di mio padre. Presi grembiule e guanti e mi misi al lavoro.
Mio padre era il miglior fabbro della valle, nonché un autentico esperto nel forgiare spade. Oramai era rimasto uno tra i pochi che ancora erano in grado di creare katane col procedimento più antico e tradizionale, tramandato nella sua famiglia da generazioni. Infatti aveva lontane origini giapponesi, ma i suoi antenati avevano dovuto abbandonare il loro paese natio, per sopravvivere, quando aveva cominciato ad essere invaso dai mostri. Mi raccontava spesso questa storia ed io, sin da bambina, avevo nutrito grande curiosità per le mostruose e sconosciute creature leggendarie di cui narrava.
Con la sua maestria e la raffinatezza che metteva in ogni dettaglio, la nostra bancarella spopolava ad ogni mercato stagionale. Io, ovviamente, lo accompagnavo sempre, facendo dimostrazioni pratiche dei nostri prodotti, per i clienti. Maneggiavo le spade meglio di un uomo. Mio padre sosteneva fosse un fatto innato e quasi prodigioso, io ero molto più convinta che la cosa fosse dovuta al fatto che mi aveva messo in mano piccole armi di legno fin dall’età di nove anni.
Immersa nei miei pensieri non la vidi, appoggiata allo stipite dell’officina.
“Sembri molto brava nel tuo lavoro”.
Mi fece prendere un colpo.
“Si, diciamo che è l’unico che ho imparato.”
Dalla porta spunto anche mio padre, con un’espressione piuttosto allibita e combattuta. Cosa gli aveva detto quella donna?
“Kris...vieni in casa, per favore.”
“Padre...? Stai bene? Hai una faccia che...”
“Credo...credo che tu debba ascoltare quello che questa signora ha da dirti...”
Scomparve, scuotendo la testa.
Vedere mio padre così sconvolto mi fece andare su tutte le furie!
“Che diamine ha detto a mio padre?! Cosa gli ha fatto?!!”
“Nulla più di quanto dirò anche a te. Andiamo”.
La seguii dentro casa. Ci accomodammo tutti e tre intorno al tavolo della cucina. Mio padre mi guardava in un modo che mi fece rabbrividire, sembrava quasi che avesse paura svanissi da un momento all’altro.
“Tuo padre mi ha raccontato un po’ di cose sul tuo conto, alcune parecchio curiose a dir la verità”.
“Padre, era proprio necessario?”
“Kris, ascoltala, per favore. Nemmeno io riesco a capirci qualcosa, ma...”
“Quello che tuo padre sta cercando di dirti...è che io posso spiegarti il perché di tutto quanto di più strano ti è accaduto.”
La fissai ad occhi sbarrati. Come poteva sapere qualcosa sul mio conto, se mai l’avevo vista in vita mia?
“Lui non è il tuo genitore naturale, vero?”
“Padre, le hai detto anche questo?”
“No, me lo ha detto lei.”
“Tuo padre,”mi disse, in modo che rivolgessi la mia attenzione di nuovo su di lei, “mi ha accennato al fatto che, quando tu arrivasti in questo villaggio, l’unica cosa che avevi addosso, oltre ad una coperta, era un segno...un simbolo, proprio sul petto.”
Probabilmente avevo smesso di respirare. Quel tatuaggio era il più grande degli enigmi della mia vita, non ricordavo di essermelo mai fatto fare, ne che qualcuno me lo avesse impresso contro la mia volontà. Era sempre stato osservato in modo strano da tutti, così avevo iniziato a indossare vestiti che riuscissero a celarlo.
“Ti toglieresti la camicia?”
Incapace ormai di intendere e di volere, me la levai, restando in canottiera. Il simbolo era perfettamente visibile, nero e nitido contro la mia carnagione chiara.
La donna spalancò ancora di più gli occhi, annuendo. In qualche modo, sembrava fosse in parte addolorata per quella scoperta, ma, probabilmente, era solo una mia impressione, dettata dalla confusione del momento.
In qualche modo però, riuscii a parlare.
“Come sapeva che non ero la figlia naturale di mio padre? Chi è lei?!”
Ero spaventata e irritata, volevo solo delle risposte...delle certezze. Volevo sapere chi era quella donna che mi stava stravolgendo la giornata.
“Che sbadata, non mi sono nemmeno presentata, avete ragione”.
Si alzò dalla sedia, tendendomi la mano.
“Sono Cloud Nyne, Generale dell’Ordine Oscuro. E sono stata certa del fatto che tu non appartenessi a questo luogo e non fossi sua figlia naturale,” disse, indicando mio padre, “dal momento che tuo padre mi ha parlato di quel simbolo. Ed ora che lo vedo coi miei occhi non ho più dubbi. Sono abbastanza sicura di non sbagliare anche se affermo che non ricordi nulla dei tuoi primi anni di vita.”
“Come può sapere...”
“Perché conosco una persona che ha vissuto e vive la tua stessa situazione. Ed ha lo stesso tuo simbolo sul petto.”

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Capitolo 2
*** Innocence ***


Sono lentissima ad aggiornare, me ne rendo conto, ma riuscire ad inserire un nuovo personaggio nella storia non mi sta rendendo la vita facile...esatto, mi sono tirata la zappa sui piedi da sola!
Detto ciò, spero che possiate apprezzare la continuazione!!

Hikari

2nd Night: Innocence

Lo stesso simbolo...
No, non poteva essere...
Dopo anni di domande ed incomprensioni su me stessa, quella notizia fu come una meteora per me.
Troppe emozioni mi invadevano. Stupore, felicità, rabbia, paura...curiosità per costui o costei, di cui non sapevo nulla, ma che in quel momento sentivo tremendamente vicino...
Tutto ciò era ai limiti dell’assurdo.
Non fui in grado di proferire alcun suono che somigliasse ad una frase di senso compiuto.
“Kris, stai bene?”
Mio padre era visibilmente preoccupato, dall’espressione che, nel mio momentaneo torpore, vidi sul suo viso, non dovevo avere una bella cera. Probabilmente il mio colore tendeva alle lenzuola di casa.
“Forse è meglio che tu ti sieda, abbiamo ancora molte cose di cui parlare.” Mi disse la donna che, con cautela, fece il giro del tavolo per poggiare le mani sulle mie spalle e mettermi a sedere.
Non opposi alcun tipo di resistenza fisica o verbale a quel gesto.
Ero completamente apatica.
Vedevo e udivo il mondo intorno a me, come avvolto da una foschia, come un sogno...nulla mi sembrava reale...
Fu la scimmietta della donna a svegliarmi, piazzandosi improvvisamente a une centimetri dal mio naso, gli occhi tondi fissi su di me, facendomi trasalire. Quell’animale aveva qualcosa di strano, lo percepivo, ma riuscire a comprendere cosa, andava ben oltre le mie possibilità del momento.
“Ho la ferma intenzione di portarti con me.”
Una pugnalata. Questo furono le sue parole.
“Con lei? Ma di cosa sta parlando?! Io non vengo da nessuna parte!”
Il torpore, che fino ad allora mi aveva avvolta, sparì completamente di fronte all’assurda richiesta di quella donna.
Mai avrei lasciato mio padre.
Mai avrei lasciato Seishin.
Mai avrei lasciato che lei mi sconvolgesse la vita.
Dall’espressione di mio padre però compresi qualcosa di totalmente diverso. Lui già sapeva, dopotutto, con quella donna aveva già parlato prima. Doveva avergli già esposto tutto ciò che si stava accingendo a dire a me. Pareva quasi rassegnato all’idea che dovessi abbandonarlo, come se sapesse che non avrei avuto scelta...ma questo era ridicolo! Nessuno mi aveva mai detto cosa fare o dove andare e non sarebbe certo stata quella donna la prima a farlo! Sarei stata inflessibile.
“Credo che tu non abbia scelta.”
Improvvisamente udii di nuovo quel tintinnio e, di nuovo, vi venni irresistibilmente attratta. La donna pose mano alla sua borsa ed estrasse l’oggetto che mi stava chiamando...era qualcosa su cui non avevo mai posato gli occhi.
Quello che posò al centro del tavolo, di fronte a me, era un cubo verde-azzurro, grande quanto una ciliegia matura, incredibilmente scintillante, circondato da due ruote dentata che si incrociavano tra loro. Era quella cosa a chiamarmi...mi pareva quasi di poterne udire la voce.
“Che cos’è?”
“Innocence.” Fu la risposta breve e diretta che mi diede.
Innocence...qualcosa dentro di me aveva già sentito quel nome...qualcosa aveva già incontrato quel potere...ma tutto ciò poteva essere solo suggestione, dato che mai nella mia vita mi ero imbattuta in qualcosa del genere.
La donna rispose alle mie silenziose domande, mentre io non riuscivo a staccare gli occhi da quel cubetto scintillante.
“Puoi chiamarla anche Cristallo di Dio. È un materiale di origine divina, ce ne sono parecchi frammenti disseminati nel mondo ed il compito degli Esorcisti è trovarli e recuperarli, cosicché i Generali, come me, possano viaggiare alla ricerca dei loro rispettivi Compatibili.”
Esorcisti, Compatibili....ma di che diavolo stava parlando?! Tutto questo non c’entrava nulla con me.
“Tu,” mi disse, indicandomi, “sei Compatibile con quest’Innocence. Lei ti ha scelta e non accetterà nessun’altro all’infuori di te, siete una cosa sola, un’unica entità. È per questo motivo che devo portarti all’Ordine Oscuro, per far si che tu possa essere un’Esorcista.”
La testa mi vorticava furiosamente. Più quella donna parlava, più il mio cervello si rifiutava di assimilare le sue parole.
Improvvisamente, un’ondata di immagini si riversò nella mia mente.

Un enorme torre arroccata su di un dirupo, guarda minacciosamente nella mia direzione...
Una strada...la percorro, avvicinandomi sempre più a quel luogo...
Giungo all’ingresso...un immane portone metallico si para di fronte a me...chiedo di entrare, ma non posso udire la mia voce...
L’ingresso si spalanca...è un’enorme bocca pronta ad inghiottirmi...
Una donna esca dall’ingresso...non vedo i suoi lineamenti...sul petto porta una croce d’argento...

“Kris! Kris!! Mio Dio, cosa ti succede, rispondimi!”
La voce di mio padre arrivò là dove la mia mente si era persa.
Ero accasciata sul tavolo, la testa tra le mani nel tentativo di bloccare quel dolore lancinante.
Cosa avevo visto?
Quella croce...mi ricordava qualcosa, ma non riuscivo a capire cosa!
Alzai gli occhi ed incrociai lo sguardo, assorto e preoccupato, della donna...che portava lo stesso simbolo, ma d’oro. Quindi la donna del sogno era un’Esorcista? Ma si trattava davvero di un sogno? Non ricordavo di aver mai visitato un luogo simile ed ero più che certa, prima di quel fatidico giorno, di non aver mai visto quel simbolo. Ma allora cosa avevo visto?
La testa mi pulsava insistentemente e mi sentivo debole, come mai prima di allora. Con fatica mi rizzai sulla sedia.
“Ora basta! Non vede che la sta facendo soffrire? Mi dispiace, ma non ho intenzione di vedere mia figlia ridotta in questo stato! Devo chiederle di andarsene da casa mia.”
Era il tono più irato che avessi mai sentito in bocca a mio padre. Lui era un uomo gentile ed ospitale, anche con chi non meritava tali attenzioni, e sentirlo intimare fermamente a qualcuno di uscire da casa sua, era un avvenimento che non avrei mai pensato di vedere.
Ma la donna pareva altrettanto ferma.
“Mi dispiace, so che tutto questo vi causa dolore e non conosco Esorcista che non rimpianga le proprie origini, una volta abbandonatele, me compresa...ma purtroppo non è qualcosa di cui l’uomo possa occuparsi. È un dovere che travalica i suoi sentimenti, come quelli di sua figlia. Ha idea di quanto sia raro trovare persona come lei? È per questo motivo che non posso lasciarla qui, perché abbiamo bisogno di lei, come e forse più di quanto ne abbia bisogno lei.”
Erano parole dure da ascoltare ed ancor più da accettare, ma non vi era cattiveria in tutto ciò che la donna stava dicendo. Anche lei pareva aver sofferto una decisione simile, in qualche modo capiva...forse aveva ragione, forse non dipendeva né da me, né da mio padre, ma solo da quel maledetto cubetto verde, che non la piantava di illuminare la stanza. Stavo iniziando ad odiarlo.
Con quel poco di energia che mi era rimasta, dopo quell’attacco, risposi.
“Non riuscirà a convincermi a lasciare mio padre. È vero, io qui non sono accettata da nessuno, vivo nell’esclusione e sarei ben felice di trovare un posto in cui venire accolta...ma l’amore che provo per mio padre, in questi anni, è sempre stato più forte del desiderio di scappare da questo posto. Finchè avrò mio padre, non sentirò il bisogno di cercare null’altro di meglio. Può tentare di convincermi fino allo sfinimento, ma non verrò con lei a questo Ordine, né tantomeno diventerò un’Esorcista.”
Fu il discorso più lungo dall’inizio della giornata e, forse, della settimana. Avevo dato fondo agli ultimi residui di forza rimasti, perciò sperai che la donna non avesse intenzione di contrattaccare.
“Molto bene. Ti lascerò il tempo di riflettere.” Poi si rivolse a mio padre. “Avrei bisogno di un telefono, sa indicarmi gentilmente dove trovarne uno?”
“Certamente. In fondo alla strada, all’emporio. È l’unico telefono del villaggio.”
“La ringrazio.”

Mi fissò negli occhi ancora una volta, prima di sparire dalla stanza, lasciandomi sola con mio padre e quel dannato frammento luminoso.

Aprii gli occhi, dopo un tempo che mi parve infinito. Avevo davvero bisogno di riprendermi e quel sonnellino era proprio ciò di cui avevo bisogno.
Scesi dal letto ristorata e con la mente più lucida di quando mi fossi coricata, sperando che si fosse trattato solo di un sogno, uno scherzo giocato dall’immaginazione. Ora mi sarei vestita, avrei fatto colazione e, dopo essere andata a salutare Seishin, mi sarei precipitata in officina ad aiutare mio padre, prima che potesse riprendermi per il ritardo.
Tutte le mie illusioni svanirono come fumo appena vidi il cubetto luminoso al centro del tavolo da pranzo.
Non era un sogno.
Avrei voluto urlare al mondo la mia frustrazione, ma decisi, almeno per il momento, di ignorare la presenza sul mio tavolo. Mi ero appena riuscita a calmare, non era certo il caso di innervosirsi nuovamente.
Aprii la credenza in cerca di qualcosa da mangiare. A giudicare dalla fame, l’ora di pranzo doveva essere già passata. Purtroppo la vista della scaffalatura semi-vuota, mi costrinse ad uscire, per recarmi all’emporio a fare acquisti.
Mi venne in mente che era proprio lì che si era diretta la donna, dopo aver portato scompiglio nella mia vita, ma pensai che oramai se ne dovesse essere andata.
Passai nel paddock, salutata dai nitrii festanti del mio destriero nero, poi, montata in groppa, mi diressi verso la fine del villaggio. La strada non era molta e avrei potuto tranquillamente percorrerla a piedi in pochi minuti, ma avevo bisogno di pace e stare in compagnia di Seishin era ciò che più di tutto mi tranquillizzava. Con lui ogni pensiero era superfluo.
Con un trotto leggero, che sollevava nuvolette di polvere dal battuto dell’unica via del paese, arrivai al negozio. Scesi e feci per dirigermi all’entrata, quando vidi, attraverso una delle finestre, che quella donna era ancora all’interno, al telefono. Sembrava parlare sommessamente, quasi non volesse essere udita, mentre, al suo fianco, svolazzava uno strano essere romboidale, dotato di ali simili a quelle di un pipistrello, che reggeva il cavo del telefono. Cosa fosse rimase per il momento un mistero, anche perché ciò che più mi premeva sapere, era la conversazione, supposi lunghissima, della donna.
Girai sul retro nell’emporio, in corrispondenza dell’angolo in cui si trovava l’apparecchio. Le travi di legno della costruzione mi avrebbero permesso di udire tutto quanto la donna stesse dicendo.
Raggiunsi il punto e mi acquattai, l’orecchio rasente la parete, il respiro estremamente controllato, perché nessuno mi sentisse. Seishin mi sbuffo in un orecchio, in segno di disapprovazione.
“Sssh. Lo so che queste cose non si devono fare, ma c’è in ballo la mia vita.”
Accostai di nuovo l’orecchio, le parole arrivavano forti e chiare.
“Komui, alla buon’ora! È due ore che cerco di contattarti.”
La fortuna era dalla sua parte, sarebbe riuscita a sentire la conversazione dall’inizio.
“Non voglio sapere quali terribili spasimanti di Linalee hai dovuto inseguire, tanto da non rispondere al telefono, ho cose più importanti a cui pensare.”
Dall’altro capo si udì un brontolio.
“Stammi a sentire, sono in Asia, il nome del villaggio sinceramente non lo conosco, ammesso che ne abbia uno...”
Effettivamente era talmente piccolo che non l’aveva...
“Ho trovato una ragazza, è Compatibile.”
Dall’altro capo dell’apparecchio sembrò esserci approvazione.
“Aspetta un secondo ad esultare, ancora non l’ho convinta, è un osso duro.”
E mai ci sarebbe riuscita.
“Si, non preoccuparti. Ma ho una domanda fondamentale da porti.”
Silenzio.
“Guarda nei documenti di trent’anni fa, in “quel” giorno morirono tre Esorcisti, se non ricordo male, e le rispettive Innocence furono riconsegnate all’Ordine e mandate in Asia per “quel” motivo, dico bene?”
Di nuovo, silenzio.
Il modo in cui accentava “quel” non mi piacque per nulla. Nascondeva qualcosa.
“Komui, maledizione, sono un Generale, certe cose mi è permesso saperle! Anzi, direi che sono tenuta ad esserne informata, comunque...ho bisogno di sapere se il frammento di Innocence che mi hai consegnato due mesi fa...”
Brusio dall’altro lato.
“Esatto, quello che Hebraska custodiva dal giorno in cui “quella cosa” è stata tragicamente conclusa. È fondamentale che tu mi dica se ha mai dato segni di corrosione o simili per via della morte del Compatibile.”
Un urlo. Dall’altro capo del filo l’uomo doveva aver chiamato a gran voce qualcuno, con tale potenza che persino io ero riuscita a carpirne il nome. Reever.
Sempre più nomi senza volto si aggiungevano a questa storia...
Passarono diversi minuti di snervante silenzio. Per qualche motivo ignoto, il mio istinto mi diceva che il frammento a me destinato aveva qualcosa di strano, ma se era strano lui, la cosa riguardava anche la sottoscritta, cosa che mi metteva una certa ansia. Inoltre c’erano troppi eventi non detti in quel discorso ed ero certa che fossero fondamentali per la comprensione.
“Si, dimmi.”
Il dialogo riprendeva.
“Ne sei certo?”
La voce tradiva lo sgomento della donna.
“Maledizione...Komui, ascoltami attentamente, questa ragazza ha il sigillo sul petto, se quell’Innocence è compatibile con lei e, come dici, non si era corrotta, allora ce n’era un terzo e noi non ne sapevamo nulla...”
Sigillo? Il mio tatuaggio? E che cosa avrebbe dovuto sigillare? Era solo un disegno.
Poi...un terzo? Ma di cosa?!
L’angoscia aumentò i miei battiti.
“Ti conviene prendermi sul serio, invece. Ha il sigillo, guarisce miracolosamente da ogni ferita, non ricorda nulla di sé prima dei nove anni, ha strani”incubi”...non ti viene in mente nessun’altro?”
La conversazione era concitata anche all’altro capo.
“No, sono solo rare immagini...cercherò di portarla via di qui, prima che questo posto pulluli di Akuma...spera solo di non avere un altro Kanda tra le mani, o saranno cavoli tuoi.”
Detto ciò chiuse la conversazione.
Ero seduta a terra, gli occhi sbarrati, la tranquillata che ero riuscita a riacquistare scemata completamente. Nomi e domande giravano nella mia mente...
Chi era Komui, con cui quella donna aveva parlato tanto a lungo? Forse una persona di rilievo? Un suo superiore?
E Kanda? Da come ne aveva parlato pareva aver fatto una sorta di associazione tra me e questa persona...dal nome pensai si trattasse di una ragazza. Era un’Esorcista anche lei?
Mi stavo rendendo conto che sfuggire al destino che mi stava venendo imposto si faceva sempre più difficile. in ogni caso, non sarei più riuscita a trascorrere la mia vita come prima di incontrare quella donna.
Poi, questi Akuma di cui aveva accennato. Se voleva che partissi prima del loro arrivo, dovevano essere qualcosa di pericoloso...forse sarei dovuta davvero partire, così, chiunque fossero, non sarebbero arrivati al villaggio.
“Tutto questo è assurdo!”
Dissi, rivolta ai profondi occhi neri del mio cavallo. Avvicinò il muso alla mia guancia, nel vano tentativo di consolarmi. Mi aggrappai a lui con tutta me stessa, cercando un sostegno, ma con scarsi risultati. Ero nel panico.

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Capitolo 3
*** Akuma ***


Sempre rapida ad aggiornare, come al solito XD
Devo dire che questo capitolo ha richiesto parecchio impegno da parte mia, scrivere scene drammatiche mi è risultato più difficile di quanto pensassi. Quindi spero che l'atmosfera che trasmetterà la lettura sia almeno vagamente simile a ciò che mi ero prefissata...
Dopo questo capitolo, verrà introdotto anche il secondo personaggio principale della storia (eheheheeeeeh XD) ed il racconto si attaccherà finalmente al manga (ergo: so' cavoli per la sottoscritta XD)
Non vi trattengo oltre e vi auguro...Buona lettura!!!

Hikari

3rd Night: Akuma

Sentii la porta dell’emporio sbattere con violenza e dei passi pesanti e concitati riempire la via. Immaginai le corpose nuvolette di polvere che dovevano aver alzato gli stivali di quella donna, un sentiero effimero sulla strada deserta. Una parte di me avrebbe voluto seguirla, quella parte che si sentiva vicina a lei, perché era consapevole che dentro di sé soffriva per qualcosa che aveva perso, perché avvertivo quanto fossimo legate da quella strana forza che risiedeva in quel cubetto, ancora sul tavolo di casa mia... Ma un'altra parte mi urlava di fuggirla, perché mi avrebbe privata della mia vita, catapultandomi in un mondo sconosciuto e, intuivo, oscuro...
Fu questo mio lato che prevalse. Attesi, seduta sul retro del negozio, finchè il suono dei passi non si fu allontanato, dopodiché mi alzai lentamente e, con l’aria di chi non è più conscio del mondo che lo circonda, montai a cavallo, uscendo sulla via.
Non condussi Seishin, lasciai che fosse il mio destriero a decidere per me la via da seguire. Avvertendolo, si diresse verso l’unico posto in cui riuscivo a sentirmi in pace, lo stesso luogo dove, non più di un giorno prima, avevamo incontrato l’Esorcista. Con passo lento e rilassato, il mio tenebroso amico scivolava fra l’erba alta, i fiori e tutto ciò che la natura donava alla vita dei mortali. Piccole farfalle svolazzavano intorno a noi, ma io non riuscivo a cogliere la meraviglia di quello spettacolo, sedevo, apatica, lasciando che il flusso incoerente dei miei pensieri trovasse una via per placarsi. Non facevo che pensare e ripensare a quella telefonata e a quanto fossi stata stupida nel volerla ascoltare. Forse, se mi fossi fatta gli affari miei, mi sarei sentita meglio... Certo, sarei comunque stata assillata da mille dubbi, per quanto quella donna mi aveva chiesto e raccontato, ma forse avrei avuto meno questioni cui pensare. Dalla conversazione che avevo origliato, intuivo che l’Esorcista non mi aveva detto tutto quanto sapeva...probabilmente era a conoscenza di più dettagli circa il mio passato, di quanto non lo fossi io stessa, e ciò mi creava una certa angoscia, naturalmente. Io non avevo alcun ricordo, prima dei nove anni...nulla che potesse aiutarmi a capire da dove venissi, perché fossi giunta lì...nulla, a parte quegli strani sogni sporadici. Ma i sogni non sono altro che immagini create dal nostro cervello, fantasie e paure inconsce, non certo ricordi. O no? Non ero in grado di convincere nemmeno me stessa, ero costretta ad ammettere che, per quanto cercassi di trattenerla con forza, la situazione mi stava velocemente sfuggendo di mano.
Improvvisamente Seishin si impennò, nitrendo furiosamente. Colta alla sprovvista dal suo scarto inaspettato, mi aggrappai alla criniera e al collo, pregando di non cadere.
“Che ti succede?! Calmati! Calmati Seishin!!”
Udirmi pronunciare il suo nome sembrò riportare la sua attenzione al mondo reale. Gli zoccoli anteriori ritoccarono terra, ma non smetteva di gridare e raspare il terreno. Sentivo ogni suo muscolo in tensione. Cosa stava accadendo?!
Poi li vidi, in lontananza... Non erano altro che una decina di punti indistinti, ma qualcosa dentro di me si sentì gelare. Avanzavano, sospesi i aria, ma non erano uccelli, non avevano ali ed il loro modo di procedere era decisamente troppo rettilineo per appartenere ad un qualsiasi animale. Più si avvicinavano, più sentivo una morsa d’acciaio stringermi lo stomaco. Paura.
Ora che si erano avvicinati ancora, scorgevo degli strani filamenti sporgere dalla parte inferiore di quegli...oggetti? Cosa diamine erano? Strane forme globulari, da cui comparivano quelli che, a prima vista, mi fecero pensare a cannoni...ma non poteva essere. Non esistevano armi simili e di certo non volavano!
Erano sempre più vicini, ma né io né il mio cavallo eravamo in grado di muoverci. Eravamo pietrificati da un terrore irrazionale verso ciò che ci veniva incontro.
Al centro di quegli ammassi grigi, riuscivo a scorgere ciò che somigliava ad un viso sofferente, un pentacolo nero in fronte, come un marchio... Poi, i “cannoni” di quello più vicino a noi cominciarono ad emettere un sinistro bagliore rosastro. Fu sufficiente a svegliarmi dal torpore e piantare i talloni nei fianchi del mio destriero. Con uno scarto fulmineo, lo stallone nero si voltò verso la valle.
“Corri! Corri!!”
Fu tutto ciò che riuscii a gridare, prima che il fragore delle molteplici esplosioni cominciasse a rimbombare appena dietro di noi. Quei maledetti affari ci stavano sparando addosso, vedevo i frammenti del mondo che ci circondava esplodere intorno alla nostra corsa disperata. In fondo alla discesa, il villaggio si era animato: la gente era uscita dalle case e correva verso le colline, per mettersi in salvo da quel pericolo sconosciuto. Ero vicina, ancora pochi metri e sarei arrivata sulla via principale.
“Papà.”
Lo sussurrai appena, una parola. Ma esprimeva tutto ciò per cui ero tremendamente preoccupata. Di fronte a me alcuni uomini erano usciti a sbarrare la strada a quei mostri, armati dei loro attrezzi agricoli.
“No...!”
Ma non fui abbastanza svelta. Un lampo li colpì in pieno. Nella mia corsa folle, potei vedere i loro visi agonizzanti riempirsi di pentacoli, prima che di loro restasse solo cenere, a riempire i loro abiti.
Non so cosa mi impedì di urlare...
Intorno a me il villaggio prendeva fuoco e crollava sotto il peso di quello spietato attacco...ceneri di ciò che un tempo erano i suoi abitanti volavano e si disperdevano intorno a me...l’Inferno...
Un colpo esplose a pochi metri da noi, l’onda d’urto fu troppo forte ed entrambi fummo lanciati verso l’altro lato della strada. Fui violentemente disarcionata e non riuscii a contare le volte che rotolai sullo sterrato. Riaprii gli occhi, di fronte a me la mia mano, piena di tagli che si stavano odiosamente rimarginando. Strinsi i denti per la rabbia e la frustrazione, mentre un mostro spianava le armi verso la sottoscritta. I bagliore che preparava il colpo di grazia si diffondeva rapidamente, ma non mi mossi, non sarei riuscita ad evitarlo...
Fu un attimo. L’essere venne squarciato con violenza ed esplose in una miriade di frammenti e fiamme, mentre la creatura autrice della sua fine, si parò di fronte a me. Era enorme, di forma vagamente umana, due enormi occhi rossi colmi di istinto omicida. Istintivamente, però, non provai paura.
“Hai intenzione di rimanertene lì impalata?!”
Mi voltai verso quella voce conosciuta. L’esorcista era dietro di me, in mezzo alle macerie lignee dell’emporio, dietro al quale avevo origliato la sua telefonata, ritta e fiera in mezzo a quella devastazione, come se fosse il suo habitat naturale. E forse, intuii, lo era.
“Tu?”
“Questa”
, disse, indicando la belva che mi aveva protetta, “è la mia Innocence.”
Rivolsi di nuovo lo sguardo verso la scimmia, perché a quel punto avevo intuito che si trattava della stessa tenera creatura che l’accompagnava quando l’avevamo incontrata. Il cambiamento era sconcertante.
Dunque questo era il potere dell’Innocence...
“Hai due scelte. Combatterli e distruggerli con me, oppure morire sotto i loro colpi...”,sorrise ironicamente, “anche se credo che per te sarebbe difficile.”
Maledetta. Era vero. Una scheggia di quei proiettili mi aveva colpita, poco prima di venire disarcionata, ma, nonostante tutti intorno a me, diventassero cenere, al contatto con quei proiettili, io ero ancora viva, indenne, se si escludeva il profondo taglio sul braccio sinistro, che, stranamente, faticava a rimarginarsi.
“Ma...?”
“Veleno.”
Fu la risposta alla mia domanda inespressa. “I proiettili degli Akuma sono costituiti dal loro stesso sangue. Al contatto con essi, si viene corrosi dal veleno e si diviene cenere.”
“Akuma?”
“Questi”
, disse, indicando gli immondi esseri che, nel frattempo, la sua Innocence stava riducendo a brandelli, “sono Akuma. Macchine assassine, nate al solo scopo di uccidere. Più esseri umani uccidono, più si evolvono ed il loro potere aumenta. Ma siamo fortunati, questi qui non sono altro che un manipolo di Livello 1, perciò dovremmo riuscire a sbarazzarcene senza troppi problemi.”
Se ciò che lei chiamava “Livello 1”, erano in grado di portare una tale distruzione, non osai pensare cosa potessero fare ad un livello superiore. Ciò che mi irritò fu che quella donna aveva parlato al plurale, convinta che io l’avrei aiutata.
“Io non distruggerò proprio niente! E’ il tuo lavoro, non il mio! Io voglio solo vivere in pace e ricostruirmi una vita dopo che tu e questi cosi ve ne sarete andati e...”
Non potei finire il mio irato discorso perché, con la coda dell’occhio, vidi uno di quei mostri sfuggire alle grinfie dell’Innocence e dirigersi verso la fucina, al cui ingresso stava mio padre, con in mano una delle sue infallibili spade, deciso a proteggere la sua casa. Fu uno di quei momenti in cui il tempo sembra scorrere al rallentatore.
Il mio nero destriero, rialzatosi a fatica sulle gambe, gravemente ferito, corse verso di me...
Mi aggrappai alla sua schiena, in una corsa contro il destino, che si accaniva su di me...
Lo sguardo di mio padre, fiero di fronte al mostro pronto a far fuoco...
Il lampo roseo che lo investì...
L’urlo lancinante che lanciai, ma che rimase muto alle mie orecchie...
La rabbia ed il dolore...
Corsi tra le macerie, ignorando il mostro, ancora sospeso in aria di fronte a ciò che un tempo era casa mia. Spostai le assi, con una forza data dalla rabbia e dall’angoscia, finchè non vidi il viso di mio padre, pallido, gli occhi sbarrati, il corpo schiacciato dal peso della sua dimora.
“Padre!”
Vidi le lacrime rigare il suo viso, mentre mi sorrideva per l’ultima volta, i pentacoli che già si affollavano sulla sua pelle. Chiusi gli occhi, incapace di sopportare la vista del mio vecchio che si tramutava in cenere...
Le lacrime mi rigavano copiose il volto, scendevano da sole, senza che io lo volessi, mentre una furia che mai avevo provato si impossessava di me e mi pervadeva. Tra le assi scorsi un bagliore azzurrognolo... Senza pensare, mi diressi verso quella piccola luce e la raccolsi.
Sentivo una presenza, un potere...
Dietro di me il mostro si preparava a far fuoco.
Animata da un coraggio e una determinazione che non sentivo come miei, mi voltai, guardandolo fissò negli occhi, sfidandolo. L’avrei distrutto con le mie mani.
Poi accadde.
Un vortice caldo mi avvolse, colmandomi completamente, mentre un potere enorme e sconosciuto riempiva ogni particella del mio corpo. Nella mia mano, l’Innocence emanava una luce intensa ed accecante, mentre lentamente cambiava forma.
Urlai tutta la mia frustrazione ed il mio odio per quegli esseri, mentre nella mia mano si materializzava una lama, fiamme verdi-azzurre a ricoprirla.
Non capii realmente ciò che accadde dopo. Con un poderoso salto arrivai di fronte al mostro, guardandolo dritto negli occhi, prima di colpirlo con un fendente che lo divise a metà, ricoprendolo di fiamme azzurre, consumandolo nel rogo della mia vendetta. La stessa fine fecero altri due esseri. Non mi sentivo più padrona di me stessa, era quella presenza misteriosa e potente a guidare la mia mano.
L’Innocence.
Ormai era rimasto solo uno di quei mostri. Alzai la lama, pronta a donargli la stessa fine che avevo riservato agli altri della sua specie...ma, improvvisamente, cominciai a boccheggiare. Le gambe cedettero, ogni muscolo del mio corpo iniziò a lanciarmi fitte lancinanti...la vista mi si annebbiò.
“Kris!”
L’Esorcista gridò. Alzai gli occhi, cercando in tutti i modi di rimanere cosciente, mentre l’Innocence che aveva armato il mio braccio ritornava alla sua forma originaria, innocua. L’Akuma sparò un colpo. Ero certa che non mi avrebbe mancata.
Poi, un lampo nero come la notte, comparve dalle mie spalle...con un poderoso nitrito di sfida e le ultime forze rimaste, si parò dinanzi a me...prendendo il proiettile destinato a me...abbandonandomi in una nuvola di polvere, appena un attimo prima che la belva distruggesse il suo assassino...
Non avrei mai perso il ricordo di quegli occhi, colmi d’amore, neri e profondi come il più profondo degli abissi, lanciarmi l’ultimo fugace sguardo d’intesa, prima di abbandonarmi per sempre...
Silenzio era ciò che sentivo.
Tutto era durato poco più di una manciata di minuti, eppure, avevo la sensazione di aver vissuto una battaglia durata mesi. La polvere si posava a terra, tra i rottami dei mostri e le macerie della mia vita. Io rimasi lì, accasciata a terra, priva di forze, stringendo convulsamente tra le mani quel maledetto cubetto che era stato la mia rovina e la mia salvezza.
L’Esorcista si chinò di fronte a me, attendendo che ricambiassi il suo sguardo. Alzai la testa e incrociai i suoi occhi, mentre lei annuiva, rattristata e provata da quell’orrore. Non ci furono parole tra noi, non furono necessarie...sapeva che l’avrei seguita. Non avevo più nulla che mi trattenesse, nessun legame che mi vincolasse ormai...
Faticosamente mi alzai, aiutata dalla salda presa della donna che, con la sua fida scimmietta in spalla, mi cinse, in un gesto protettivo e determinato al tempo stesso. Volsi lo sguardo alle mie spalle, cercando, nella densa foschia che il fumo delle fiamme diffondeva, tracce dei miei ricordi... I pochi sopravvissuti erano tornati tra quei resti, aggirandosi chi in lacrime, chi con rabbia...non erano più di una decina.. Incrociai i loro sguardi e non vi trovai che odio. Sapevano che la causa di tutto questo ero io, lo sapevano e, naturalmente, mi odiavano per questo. Io stessa mi detestavo dal profondo, avrei voluto scavare un buco e seppellirmici, sparire dalla faccia della terra.
“Andiamo...”
Non mi opposi, docilmente mi voltai e la seguii, mentre le lacrime, silenziose e da troppo represse, cominciarono a sgorgare libere.

“Kris, svegliati, siamo arrivate ormai.”
Un lieve tocco sulla mia spalla, mi destò dai miei consueti incubi. Il treno stava rallentando, probabilmente la nostra stazione era vicina. Stiracchiandomi, mi drizzai sul comodo sedile di prima classe. Essere Esorcista, a quanto sembrava, aveva i suoi vantaggi: niente prenotazione, niente biglietto, cabina privata in prima classe. Non male.
Era passata qualche settimana da quando il Generale mi aveva portata via dai brandelli del mio paese distrutto. Avevo perso il conto dei chilometri che avevamo macinato, prima di giungere ad una stazione ferroviaria, ma da quel momento in poi il viaggio era stato tranquillo e piacevole. Anche la ferita che l’Akuma mi aveva procurato, era ormai scomparsa. L’Esorcista non mi aveva fatto domande, né mi aveva costretta ad una forzata conversazione, limitandosi a rispondere a qualche mia rara domanda. Akuma, Innocence, Esorcisti...tutto cominciava a divenirmi a poco a poco più chiaro, nonostante quella donna continuasse ad evadere i miei quesiti circa la telefonata. Le avevo confessato di aver indegnamente origliato quella conversazione e lei non ne era stata naturalmente compiaciuta, anzi, era parsa piuttosto turbata. Tuttavia non volle spiegarmi le strane allusioni alla mia persona e ai terribili avvenimenti che le avevo udito nominare.
“A volte l’ignoranza è una benedizione.” Questo era tutto ciò che mi aveva risposto, ma non mi bastava. Per il momento, comunque, avrei lasciato cadere la questione, anche se non l’avrei certo dimenticata.
Il treno rallentò, fino a fermarsi. Un altoparlante pronunciò il nome della stazione. Dovevamo scendere.
Essere giunta a destinazione mi mise in uno stato di leggera, ma permanente agitazione. Non mi ero resa completamente conto di ciò che mi aspettava, fino a questo momento, in cui la mia nuova vita si stava materializzando. Era come se fossi rimasta avvolta da una lieve foschia, per tutto il viaggio, nebbia che si stava ora velocemente diradando, come volesse dirmi “Ehi, svegliati! Sei arrivata, basta dormire.”
Scesi dal treno. Non avevo bagagli e l’unico oggetto che portavo era ben nascosto, in una tasca interna della mia casacca azzurra. La mia Innocence. Sentivo distintamente la sua presenza, in un modo rassicurante ed insieme inquietante.
“Bene. Qui ci separiamo, io ho un’altra missione da compiere e posso accompagnarti solo fin qui.” mi disse sorridendo il Generale. Dopo il primo, traumatico, impatto, quella donna cominciava a piacermi, aveva un che di...materno. qualcosa che mi era completamente sconosciuto. La sua scimmietta estrasse un foglio dalla tasca dell’Uniforme dell’Esorcista e me lo porse. Non potei fare a meno di sorridere a quel buffo animaletto, sembrava impossibile immaginare in quale belva distruttrice fosse in grado di trasformarsi.
Sul foglio era raffigurato lo stemma dell’Ordine Oscuro, una Rose Cross. Lo aprii, trovando al suo interno parecchie indicazioni. Ecco, mi sarei di certo persa.
“In questo foglio troverai tutte le indicazioni necessarie a raggiungere il Quartier Generale. Mi raccomando, non farlo vedere a nessuno e, soprattutto, non fermarti a parlare e non distrarti. Non puoi sapere chi potresti trovarti davanti.”
Capii cosa volesse dire. Durante il nostro viaggio mi aveva spiegato, tra le altre cose, cosa fossero e come nascessero quei maledetti mostri chiamati Akuma. Erano il frutto del dolore, causato da una terribile tragedia. Colui che ne veniva colpito lasciava che le tenebre invadessero il suo cuore, tenebre che il Costruttore avvertiva e che utilizzava per convincere il malcapitato a richiamare l’anima della persona amata, per insediarla in un nuovo corpo artificiale, fornito dal Costruttore stesso. Quel corpo poi, uccideva colui che l’aveva richiamato in questo mondo, indossandone la pelle e la vita. Gli Akuma erano creature di dolore e tristezza, traevano potere dall’anima richiamata, imprigionata, senza possibilità di fuga, costretta ad obbedire al Costruttore e costretta ad uccidere ed evolversi. Solo l’Innocence poteva distruggere quegli esseri e donare finalmente la pace alle anime che ne erano coinvolte. Innocence che, però, allo stato puro era ben difficile da controllare, come avevo avuto occasione di sperimentare. Era soprattutto per quel motivo che era necessario porla in forma di arma, mi aveva spiegato l’Esorcista. Ancora ricordavo il senso di potere e l’immediata successiva perdita di forze, che erano seguiti alla sincronizzazione.
Senza la possibilità di distinguere gli Akuma dalle comuni persone, l’unica strada era considerarli tutti nemici e non dar corda a nessuno. Era triste da accettare, ma era l’unico modo per sopravvivere.
“Non si preoccupi, cercherò di arrivare il prima possibile.”
Cloud sorrise gentilmente.
“Allora, arrivederci Kris.”
“Arrivederci.”

Feci per allontanarmi, ma Nyne mi strinse in un caldo abbraccio. Fu il primo atto di spontanea gentilezza, da parte di un estraneo, dopo anni, e mi fece sperare che questo Ordine Oscuro, potesse diventare davvero un luogo in cui poter vivere senza essere perseguitata dai pregiudizi di tutti coloro che mi avevano conosciuta.
“Fa attenzione, mi raccomando.”
Detto ciò sciolse l’abbraccio e mi salutò, salendo su treno. Da quel momento, fui sola.
“Bene, andiamo.” Mi dissi ad alta voce, più per farmi coraggio. Non l’avrei mai ammesso, ma la mancanza di quella donna mi disturbava. Oramai mi ero abituata alla sua presenza e ritrovarmi improvvisamente sola, mi lasciò un lieve senso di insicurezza, che provvidi a scacciare immediatamente. Esitare non mi avrebbe certo aiutata.
Scoprii quanto le grandi città potessero essere un labirinto, per una ragazza di campagna quale ero, e difatti smarrii più volte la strada. Il fatto di non poter chiedere indicazioni di certo non mi aiutava, così persi la maggior parte della giornata nel tentativo di raccapezzarmi, circa la strada da seguire.
Era ormai il tramonto, quando lo vidi e per poco non rimasi senza fiato. Ritto su un pinnacolo roccioso, alto ed imponente con la sua architettura gotica, si ergeva il Quartier Generale dell’Ordine Oscuro, una torre nera che si stagliava contro il chiarore lunare. Era esattamente ciò che avevo visto settimane prima, quando mi ero accasciata sul tavolo di casa mia, pensiero che minacciò di farmi ricadere nel baratro del dolore, di nuovo. Cominciai a camminare lungo il sentiero che conduceva alla base del pinnacolo. Qualcosa mi disturbava...fu come ripercorrere una strada già nota, come stessi ripetendo un copione già scritto e recitato...ma ovviamente non poteva essere, perché in quel luogo ero certa di non aver mai messo piede. Ma ne ero davvero così sicura? Gli avvenimenti dell’ultimo periodo avevano minato nel profondo le mie convinzioni, gettandomi in uno stato di confusione e dubbio pressoché permanente.
Giunsi alla base della parete, che si ergeva alta ed interminabile sopra di me. Intuendo che quella era l’unica via praticabile, cominciai la scalata.

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Capitolo 4
*** L'Ordine Oscuro ***


Strano, ma vero: due aggiornamenti in meno di una settimana!
Premetto fin da subito che mi sono trovata abbastanza in crisi per questo capitolo, per vari motivi, tra cui:
a) Entrare nella mente di "certa gente" è veramente un gran casino =.=
b) Scrivere, ma soprattutto DEscrivere, le varie scene, ora che la storia si è collegata al manga, è veramente una responsabilità XD
Si! Mi tiro la zappa sui piedi, e ne sono fiera!!
Detto ciò, aggiungo solo che siamo giunti al collegamento col manga (già detto) e questo è il capitolo che introduce l'altro importante personaggio della storia (Ahinoi XD)
Non vi tedio oltre e attendo, come sempre, le vostre recensioni, buone e cattive ^^
Buona lettura!!!!

Kanda

4th Night: l’Ordine Oscuro

Seduto sul lettino dell’infermeria, sentivo le odiose fasciature a contatto con la mia pelle. Il solo fatto di averne avuto bisogno mi irritava. Era ridicolo. Le ferite se ne sarebbero andate, come sempre, non avevo bisogno delle inutili cure di un’infermeria. Era vero, da qualche tempo mi ero reso conto che le mie capacità rigenerative si erano attenuate, ma non se ne sarebbero mai andate. Io non potevo morire.
Con un lieve gesto di stizza mi alzai i piedi, prendendo l’uniforme senza nemmeno indossarla. Non mi preoccupai di riprendermi la camicia, ridotta com’era serviva a poco. Detestavo le missioni che non si concludevano nel modo sperato, e questa era stata una di quelle. Le ferite che mi ero procurato si sarebbero potute certamente evitare, se quell’idiota del Supervisore avesse vagliato meglio le missioni da affidare. Ed ora me ne stavo lì, nell’ultimo posto di cui avessi bisogno, tutto a causa di una stupida pietruzza, che si era rivelata nient’altro che un falso. Quel maledetto cinese mi aveva mandato fin in uno sperduto villaggio siberiano a recuperare un frammento di Innocence, che altro non si era rivelato che un mediocre esperimento, fatto da un pazzo locale, senza nemmeno una gran conoscenza scientifica al riguardo. Era stata una gran seccatura scoprirlo, odiavo agire a vuoto...e probabilmente lo dovevano aver pensato anche quegli stupidi “livello 2”, mandati in quella landa desolata per lo stesso motivo, visto l’accanimento con cui avevano attaccato il sottoscritto. La bufera di neve che aveva cominciato ad infuriare, fin dal mio arrivo, non mi aveva certo aiutato e fu solo grazie ai miei sensi ben sviluppati che ero riuscito ad evitare danni peggiori. Degli Akuma, comunque, non era rimasta traccia.
Uscii nel corridoio, lasciando che la porta sbattesse alle mie spalle. Sentivo i miei passi risuonare ritmicamente nello spoglio corridoio, interrotti solo da qualche goccia d’umidità che cadeva lievemente dagli antichi e grigi mattoni dei muri. Oramai era ora di cena e, benché non avvertissi il bisogno di mangiare, mi diressi meccanicamente verso la mensa. Dopo cena me ne sarei andato a letto, come al solito, sperando di dormire. L’ultima nottata prima della missione l’avevo passata interamente in uno dei locali d’allenamento, impegnandomi in una serie di figure con la mia katana. Era ciò che facevo, ogniqualvolta gli incubi del mio primo passato cercavano insistentemente di varcare la soglia del mio inconscio. Il che accadeva spesso, fin da quando avevo visto la luce.
Ero giunto al piano della mensa, decisamente più popolato degli altri settori della torre, se si eccettuava la Scientifica, perennemente in fermento e al lavoro. Finder ed Esorcisti affollavano l’atrio antistante la sala da pranzo, passai in mezzo a loro senza degnarli di uno sguardo, come al solito, ed essi, come di consueto, evitarono di fermarmi od incrociare il mio sguardo. Non ero il tipo di persona che ispirava simpatia o loquacità, ed ero ben attento affinché la situazione rimanesse tale. Stavo per aprire la porta della mensa, quando gli altoparlanti diffusi nel corridoio proruppero in un sonoro boato.
“COSTUI E’ OUUUUT!!”
Era la voce del guardiano. Il che significava che, all’ingresso principale, c’era una seccatura da eliminare. Proprio ciò di cui avevo bisogno per rilassare i nervi, dopo quell’inutile giornata.
Senza pensarci troppo, infilai l’uniforme, tralasciando di allacciarla, aprii la finestra più vicina e mi buttai in picchiata sulla mia preda. Dietro di me, un’immensa luna piena faceva da sfondo alle mie azioni, al mio lavoro...l’unico che sapessi fare, l’unico per cui la mia maledetta vita era stata creata...
Sotto di me, il cornicione dell’ingresso si avvicinava, di fronte al portone un uomo, sempre che lo fosse, visto il puntino microscopico che le mia visuale mi procurava. Attutendo la caduta, coma un felino, atterrai sull’ingresso, proprio sopra il guardiano, la mia Mugen tra le mani, guardai il ragazzino dai capelli bianchi che si parava di fronte al portone. Un esserino simile aveva scatenato quel putiferio? Tanto meglio, eliminarlo sarebbe stato rapido.
Un colpo di vento scostò un ciuffo di capelli albini dalla fronte del ragazzo...sopra l’occhio sinistro, faceva bella mostra di sé un pentacolo, il simbolo che contrassegnava gli Akuma. Istintivamente, sguainai Mugen, fissandolo con uno sguardo in cui potesse facilmente leggere a chiare lettere il suo destino.
“Hai proprio un bel fegato a venire da solo...”
Saltai dal cornicione, ignorando i farfugliamenti sconnessi di quel microbo. Con velocità sovrumana giunsi a pochi attimi dalla sua testa, la lama che calò velocemente dall’alto, pronta a segnare il colpo fatale...ma che venne inspiegabilmente bloccata. Con un’espressione vagamente stupita, mi rialzai dalla posizione acquattata con cui ero atterrato davanti alla mia preda, sorreggendo delicatamente la lama della mia katana con la punta delle dita, una posizione di delicata grazia assassina. Il ragazzino di fronte a me esibiva un braccio sinistro alquanto fuori dal comune, totalmente sproporzionato rispetto al suo esile corpicino. Un’enorme mano artigliata proteggeva il suo possessore, al centro del dorso una croce. L’Intero arto emanava un bagliore verde-azzurro...avvertivo in quella strana appendice una presenza quasi familiare che mi confuse.
Senza lasciare che la mia espressione mostrasse il minimo cambiamento circa i miei propositi, decisi di fare chiarezza.
“Cos’è...quel braccio?”
L’albino ricambiò il mio sguardo con aria di sfida, in cui però si notava anche una punta di timore e confusione.
“...E’ un arma anti-Akuma. Io sono un Esorcista.”
Un Esorcista?
“Cosa?”
Questo cambiava le cose. Ma perché allora gli era stata rifiutata l’autorizzazione? Nonostante le sue parole, il pentacolo che esibiva sulla fronte, non lasciava certo la possibilità di fidarsi completamente. Per quanto ne sapessi, avrebbe anche potuto essere una trappola...Certo, se invece fosse stato davvero un compagno, avrei eliminato un potenziale alleato, tutto a causa di quel maledetto...
“CUSTODE!”
Gli ringhiai contro con rabbia. Commettere errori a causa d’altri era insopportabile. Quel grassone, intanto, non faceva altro che frignare, non l’avevo mai potuto sopportare.
“No! Cioè, insomma! Se non capisco cosa c’è dentro, non posso mica farci niente! Se è un Akuma come facciamo?!”
“Io sono un essere umano!”

Il bambinetto dai capelli bianchi si avventò sul guardiano, sbraitando le sue ragioni verso quel ciccione che, naturalmente, seppe solo lamentarsi. E quello sarebbe dovuto essere il custode dell’Ordine? Ridicolo.
Sbuffai, spazientito.
“Beh, non importa.”
Akuma, umano o, come l’albino sosteneva di essere, maledetto, non avrebbe fatto differenza, c’era un modo molto più rapido per dirimere la questione e porre finalmente fine a quell’inutile seccatura. Avessi potuto tornare indietro, mi sarei fatto i cavoli miei, evitando tutta quella sceneggiata.
Mugen descrisse un’elegante arco intorno a me, caricando il colpo.
“Basterà guardare cosa c’è dentro, per capire.”
Evocai l’Innocence. La lama prese una lieve luminescenza azzurra, mentre il suo potere prendeva corpo.
“Ti farò a pezzi con la mia Mugen.”
Fu un lieve sussurro, quel tanto che bastò perché il ragazzino, terrorizzato e con le spalle al muro, l’udisse. Corsi veloce verso di lui, puntando la lama verso la sua gola, mentre l’albino protendeva verso di me il suo braccio scarlatto, tentando inutilmente di salvarsi la vita...ancora pochi centimetri...
“...lettera di presentazione da parte del Maestro Cross!”
Cross? Il nome del Generale mi fece tornare sui miei passi. Inchiodai, a pochi centimetri dal suo occhio destro, mentre il polverone si depositava intorno a noi, ma non riposi l’arma, né accennai a cambiare posizione. Non mi fidavo di quel tizio, tremante, di fronte a me.
“Da parte del generale...? Una lettera di presentazione...?”
L’albino, la cui paura era decisamente palpabile, si affrettò a rispondere.
“Esatto, una lettera di presentazione...indirizzata a qualcuno che si chiama Komui.”
Komui, quel dannato cinese non ne combinava mai una giusta. Se ciò che il ragazzo diceva fosse stato vero, allora la lettera era sicuramente arrivata...e dimenticata, in quel marasma infernale che era la scrivania del Supervisore. Ma se la lettera non fosse comparsa...
Tenevo attentamente il ragazzino sotto tiro, stando bene attento ad ogni suo movimento, anche se oltre al tremolio delle sue ginocchia, non pareva che alcun altro muscolo del suo corpo avesse intenzione di muoversi.
“Kanda, ferma l’attacco!”
La voce del Caposezione Reever arrivò forte e chiara dal mio golem, che fluttuava a pochi centimetri da me. Immaginai che il suo tono irritato fosse rivolto al suo superiore, anche se ero ben cosciente del fatto che, per chiunque all’interno dell’Ordine, io fossi il tipico “soggetto difficile e pericoloso”, quindi una lieve irritazione repressa, forse era indirizzata anche a me ed al mio modo di agire. Cavoli suoi, non era certo un mio problema.
Le due enormi inferiate del portone, ai due lati del muro dove, io e la mia vittima, ci stavamo fronteggiando, si spalancarono, due enormi bocche pronte ad inghiottire noi e la nostra vita.
“Sei autorizzato ad accedere a castello, Allen Walker.” Trasmise l’altoparlante, invitando il ragazzino ad entrare. Ma io non ero affatto convinto. In tutta quella faccenda non c’era nulla di chiaro, né un’anima viva che si degnasse di spiegarmi per quale motivo avevano deciso di farlo passare. Riavvicinai pericolosamente la lama al suo viso.
“Aspetta! Aspetta, Kanda.”
Era il maledetto Komui.
“Komui...? Che significa?”
Adesso mi avrebbe dato spiegazioni, gli conveniva decisamente.
“Scusaaa! Siamo saltati troppo presto alle conclusioni! Quel ragazzo è un allievo del generale Cross.”
Il resto della conversazione e i battibecchi da coppietta sposata tra Komui e Reever, non furono nemmeno captati dai miei timpani. Dunque era così che stavano le cose? Se questo ragazzino era davvero allievo di Cross, significava che il generale, disperso da non meno di tre anni, era ancora in vita, non solo, aveva anche un discepolo. Chi era veramente questo tizio?
“Il fatto che sia accompagnato da Timcampi è la prova più evidente. Lui è un nostro compagno.”
Vero. Anche la presenza del golem giocava a suo favore, ma non riuscivo a fidarmi completamente. Quel ragazzo aveva qualcosa di strano, anche se, detto da uno come me, un’affermazione del genere aveva quasi del ridicolo.
Non ebbi più il tempo di pormi troppe domande, perché una cartelletta planò poco dolcemente sulla mia testa. Tastando la parte offesa mi rivolsi verso l’impudente ragazzina, artefice dell’attacco. Linalee. Avrei dovuto immaginarlo che la sorella del Supervisore sarebbe giunta a placare gli animi, come sempre.
“Insommaaa! Ti abbiamo detto di smetterla, no?! Se non entrate in fretta, il portone si chiuderà!”
L’incredulità con cui l’albino la guardò e la mia espressione irritata e reticente, la portarono ad un tono che non ammetteva repliche.
“Entrate!” Ci ammonì, indicando il portone.
Varcammo il grande portone, giungendo all’imponente ingresso. Mentre gli altri due si sprecavano nelle presentazioni di rito, mi voltai e feci per andarmene.
“Kanda!”
L’albino ce l’aveva col sottoscritto, a quanto pareva. Mi fermai sul posto, girando lievemente il volto, guardandolo con la coda dell’occhio e uno sguardo che tutto aveva, fuorché dell’amichevole.
“...E’ così che ti chiami vero...?”
Che razza di domande. Mi ero fermato, no? Avesse chiamato un altro nome, me ne sarei andato per la mia strada. Mi aveva seriamente fermato solo per constatare l’ovvio?!
“Piacere.” Mi disse, porgendomi la mano destra, per presentarsi.
Tsk. Figurarsi se mi mettevo a fare amicizia con un ragazzino del genere, che fin’ora non aveva causato altro che problemi. Sentivo già di detestarlo nel profondo.
“Figurati se do la mano a un maledetto.”
E me ne andai.
Irritato ed infastidito da quella giornata, mi recai direttamente in camera. Ormai mi si era chiuso lo stomaco dal nervoso. Chiusi la porta e mi liberai immediatamente delle bende, constatando di non averne più necessità. Di cicatrici, nemmeno l’ombra, la pelle era liscia e chiara, senza alcun segno. Come sempre. Con un sorriso amaro, poggiai Mugen alla testata del letto e mi stesi, sperando in una nottata di sonno.

L’alba illuminava dei suoi colori rosati ogni cosa, dagli alberi, al terreno, alla torre dell’Ordine. Potevo solo immaginare queste cose, attraverso la benda che mi copriva la visuale. Ero uscito di buon ora, come sempre, per esercitarmi nel boschetto adiacente il Quartier Generale, ma ero stato intercettato dalla capo-infermiera, furente per la scomparsa delle sue maledette bende. La forza di quella donna rasentava l’inumano, così, malgrado le vigorose proteste del sottoscritto, era riuscita nel suo intento. Ed eccomi nella mia sessione di allenamento mattutina, di nuovo in compagnia di quelle inutili fasciature.
Rinfoderai la katana e mi levai la benda dagli occhi. Recuperando l’uniforme di diressi verso la torre.
La sera precedente, mentre cercavo di prendere sonno, avevo sentito una certa concitazione, ai piani inferiori, ed ero certo di aver sentito distintamente i cardini del pesante ingresso principale, cigolare per l’apertura. Ero abbastanza certo che nessun Generale o Finder avesse annunciato il proprio arrivo, quindi supposi dovesse trattarsi di un altro novellino. In una sola giornata si erano aggiunte ben due seccature alla mia vita, benché una delle quali non l’avessi ancora incontrata. Fortunatamente.
L’Ordine brulicava di attività, come di consueto a quell’ora, ed ero certo che avrei trovato la mensa piuttosto affollata. Mi fermai a lato del corridoio per levarmi quelle inutili bende, senza che la capo-infermiera potesse scovarmi. Era inquietante il modo in cui quella donna captava coloro che sgarravano dalle sue ferree cure. Liberatomi da quelle seccature, mi allacciai i bottoni dell’uniforme, ma non potei avanzare.
Il mio sguardo cadde a terra, basito.
Quel fiore? Perché ora? Perché lì? Non aveva senso...
Non ebbi la possibilità di provare a comprenderne il significato, perché qualcosa mi urtò violentemente la schiena, facendomi sbilanciare. Il fiore scomparve...
Mi voltai, parecchio irritato.
“Perché non guardi dove cammini?”
Aprii leggermente le fessure che erano diventati i miei occhi. Davanti a me stava una ragazza, con lunghi capelli biondi e occhi azzurri come un cielo di montagna, ma...tristi? No, doveva esser stata solo una mia impressione. Eppure lo sguardo di quella giovane aveva un che di familiare...ma probabilmente sbagliavo, anzi, sicuramente. Dopotutto, non avevo mai conosciuto alcun Esorcista che non avesse anche solo una lieve sfumatura di sofferenza nello sguardo. Tutti avevano perso qualcosa a causa dell’Innocence...me compreso...
Non indossava l’uniforme dell’Ordine, ma solamente una camicia azzurra dal taglio orientale, chiusa a lato da fini alamari di legno. Benché certe considerazioni varcassero più che raramente i miei pensieri, mi ritrovai a pensare che fosse piuttosto carina.
Doveva essere lei la novellina arrivata a notte fonda, giusto in tempo per smentire le mie speranze di poco prima.
Mi parve, per un attimo, che il suo sguardo si facesse vuoto, confuso...un’espressione che, per qualche motivo, che al momento mi sfuggiva, mi ricordava qualcosa.
Lasciai cadere a questione. Dopotutto, non m’importava.
La giovane, che doveva avere pressappoco la mia stessa età, mi squadrò subito con occhio infastidito. Sembrava il tipo di donna che non intende farsi mettere i piedi in testa, men che meno da un uomo.
“Prego?”
Era sorda? Ripetei quanto detto poco prima, con tono ancora più seccato.
“Ti ho detto di guardare dove cammini.”Le dissi, tra i denti.
Mi fissò con uno sguardo penetrante ed irritato, quasi degno del sottoscritto, ma che non mi intimidì per nulla. Era almeno una quindicina di centimetri più bassa di me, perché dovette piegare il collo per guardarmi negli occhi.
“Vedo benissimo dove cammino, grazie. Magari, se tu non ti mettessi nascosto agli angoli dei corridoi, la gente non ti verrebbe addosso, non ti pare?”
Quindi, era colpa mia? Certo questa tizia aveva un bel fegato. Cominciavo già a non sopportarla.
“Mi metto dove mi pare.” Fu la mia gelida risposta, senza staccare lo sguardo. Avvertivo la tensione espandersi intorno allo spazio in cui ci fronteggiavamo. Nemmeno lei cedette di un millimetro.
“Ed io cammino dove mi pare.”
Rimanemmo fermi, ciascuno deciso a non cedere. Più la guardavo, più avevo la netta sensazione che l’avrei detestata, anche se sentimenti simili, normalmente, erano condivisi per chiunque incontrassi. Ma questa ragazza aveva qualcosa di diverso...forse era proprio questo “qualcosa” a spingere il mio odio ai livelli di guardia. Eppure...continuava a non convincermi...ma forse era solamente la visione di poco prima a confondermi.
“Ora, se permetti, devo passare.”
E detto ciò mi scostò, urtandomi una spalla e dirigendosi verso la mensa. Ci guardammo a lungo con la coda dell’occhio, promettendoci a vicenda chissà quali atroci vendette. Avevo trovato nuovamente qualcuno che si sarebbe rivelato una gran seccatura. Un gran bel seguito, dopo la vicenda con l’albino.
“Brutta...”
Borbottando tra me e me una serie di poco eleganti improperi, mi diressi verso la mensa, sperando che ci fossero sufficienti tavoli affinché potessi starle il più lontano possibile. Per qualche motivo, desideravo ardentemente che non mi si ripresentasse davanti agli occhi tanto presto. Nemmeno l’albino, la sera prima, aveva messo così a dura prova i miei nervi, nonostante il nostro scontro fosse stato decisamente più lungo e rischioso, almeno per lui. Quell’Ordine stava diventando decisamente troppo affollato.
Sperando che il pasto mi avrebbe rilassato, aprii la porta ed entrai nel salone.

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Capitolo 5
*** Nuovi Incontri ***


Innanzitutto, prima di introdurre il capitolo, grazie a tutti coloro che mi seguono, anche senza recensire.
Grazieeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!!!!! =D

Tornando al capitolo, inizio dicendo che originariamente doveva essere un tutto unico col prossimo, ma arrivata a metà avevo già scritto 7/8 pagine ed ho deciso di dividerli. in questo modo resta tutto più equilibrato, no?
Ammetto che questo capitolo non è avvincente come i precedenti, ma purtroppo esistono anche i capitoli di passaggio, e questo è uno di quelli ^^ Kris entra all'Ordine, si scontra con le routine iniziali e fa la conoscenza di qualche membro.
Parlo sempre troppo, quindi.....Buona lettura!!! (e recensione, se volete XD)

Hikari

5th Night: Nuovi incontri

Credevo sarei morta prima di giungere in cima. Quel pinnacolo roccioso era pazzesco a vedersi, ma ancora di più da scalare. Quando, finalmente, mi accorsi di essere arrivata alla fine, mi sollevai sui gomiti, portando la testa oltre la soglia del precipizio. Di fronte a me, un sottile sentiero conduceva verso la torre. Più mi avvicinavo, più quella costruzione mi pareva imponente e minacciosa...come avrei fatto ad abituarmi a quel luogo, tanto da poterlo considerare, un giorno, casa mia, ancora non riuscivo ad immaginarlo.
Mi issai oltre il bordo, appoggiandomi alle ginocchia per riprendere fiato. Durante la salita mi ero abrasa parecchio i palmi delle mani, ma le piccole escoriazioni stavano già scomparendo. Richiusi i palmi, sottraendoli alla mia vista. Non avrei mai smesso di detestare quella parte di me stessa.
Alzando gli occhi verso la torre, ebbi l’impressione di vedere dei bagliori, alla sua base, ma probabilmente era la stanchezza a far danzare quelle luci davanti alle mie pupille. Intorno a me svolazzavano miriadi golem, piccoli esserini romboidali neri, con ali da pipistrello. Sapevo cosa fossero, dato che ne avevo visto utilizzare uno identico dal Generale Cloud, durante il viaggio. Il loro funzionamento e scopo, tuttavia, mi erano sconosciuti. L’Esorcista che mi aveva guidata lì, se n’era servita per telefonare, ma immaginai dovessero avere molte altre capacità. In un certo senso, mi sentivo osservata...
Decisi di prendermi qualche minuto, considerato che oramai ero giunta a destinazione. Avevo bisogno di riordinare le idee in tutta calma, dato che avevo la netta impressione che, una volta varcata quella soglia, non ne avrei avuto più il tempo. Mi sedetti per terra, col viso tra le mani, creando quel poco di oscurità che i palmi potevano darmi...non volevo vedere, né sentire nulla...chiusa per un attimo in quella mia piccola bolla di pace, dicevo addio alla mia vita. Ciò che avrei fatto, i luoghi che avrei visitato, le persone che avrei incontrato, non sarebbero più dipese da me...era una sensazione di prigionia e liberazione. Non avrei più potuto decidere ogni singolo istante della mia esistenza, ma non mi sarei nemmeno più dovuta accollare l’interezza delle decisioni che la riguardavano...perdersi in simili pensieri contrastanti non mi aiutò quanto sperato. Ero ansiosa, naturalmente, ma non nel senso positivo della sensazione. Non era paura ciò che stavo provando, piuttosto il sentore di non avere il controllo di ciò che mi attendeva...il mistero dell’ignoto. Il mio cuore batteva all’impazzata e ci misi qualche attimo per ricondurlo al suo passo normale, anche se forse impiegai più tempo. Quando uscii dal mio misero rifugio oscuro, la luna piena non era più nel brandello di cielo ove l’avevo lasciata. Anche le ginocchia, addormentate ed insensibili, me ne diedero la certezza.
Mi alzai, recuperando le mie capacità motorie, e mi avviai per il sentiero di fronte a me, un sottile lembo di terra sospeso sul vuoto.
“Che razza di fantasia costruire un edificio in un posto simile...”
Sicuramente era parecchio difendibile, nonché difficilmente localizzabile, dato anche il tempo che la sottoscritta stessa aveva impiegato per raggiungerlo, ma restava comunque un delirio riuscire ad arrivarci. Sperai di non dover ripetere la scalata precedente ogni volta che vi fossi dovuta ritornare.
Dinanzi a me si avvicinava l’ingresso. Dire che fosse maestoso, sarebbe stato un eufemismo: era immenso! Enormi pilastri reggevano quelle che a prima vista identificai come grandi porte metalliche, tra di esse uno spazio ospitava un grande volto scolpito ed inespressivo, che mi mise una certa soggezione. Di certo, un’entrata del genere non era un invito a varcare la soglia...per un attimo ebbi quasi l’idea di girare i tacchi ed eclissarmi da quel luogo assurdo, ma la determinazione ebbe la meglio. Ormai ero lì e sarei andata fino in fondo.
Ero li da qualche minuto, guardandomi intorno, ma, eccezion fatta per quegli strani oggetti neri e svolazzanti, non c’era nessuno venuto ad accogliermi. Eppure ero certa che l’Esorcista avesse avvisato le alte sfere dell’arrivo della sottoscritta. Ma allora perché ero ancora fuori?
Avrei preso in mano, anzi, in voce, la situazione.
Mi schiarii la gola.
“Salve. C’è nessuno?”
Silenzio. Quel luogo pareva davvero abbandonato.
Era già abbastanza complesso sopportare quello che mi stava accadendo, ma stare fuori dall’imponenza inquietante che mi sovrastava, non aiutava di certo i miei nervi, già messi a dura prova! Cominciavo leggermente a spazientirmi.
All’improvviso, da uno dei golem che mi vagavano attorno, provenne una voce. Dunque fungevano anche da trasmittenti? Al momento la cosa non era tra le mie priorità.
“Identificarsi prego.”
“Kris Hikari. Sono stata mandata dal Generale Nyne...dovrebbe aver avvisato circa il mio arrivo...” Ero leggermente titubante...non avevo idea di cosa fare, men che meno dire.
Attesi per un attimo che parve interminabile che il golem, o chi per lui, mi rispondesse. Il nervosismo era alle stelle. Mi trovavo in uno di quei classici momenti di liminalità...né fuori, né dentro...non avevo ancora abbandonato la mia precedente vita, ma nemmeno avevo abbracciato quella nuova e sconosciuta.
Finalmente, una risposta.
“Si, ci risulta. Fatti ispezionare dal custode e poi dovresti poter entrare.”
Dovresti?
Il che significava che, dopo tutto quello che mi avevano fatto passare, avrebbero anche potuto rifiutare di accogliermi?! Assurdo! Inoltre, mi trovai a pensare, io oramai conoscevo il luogo in cui si trovava l’Ordine, quindi...mi avrebbero davvero lasciata andare senza conseguenze? Questa possibilità mi inquietava.
Mi guardai intorno, cercando il custode di cui la voce parlava, ma non vidi anima viva...
Poi, improvvisamente, l’enorme viso scolpito nell’ingresso, si avvicino in un battito di ciglia, tanto che mi prese un colpo!
“Ma che...!”
Una forte luce, proveniente dagli occhi di quella creatura, mi investì, abbagliandomi. Non vedevo altro che quei due grandi occhi, dalle pupille indagatrici.
“Costei può entrare.” Sentenziò il vocione del guardiano, ritraendosi.
Le due grandi saracinesche a lato del volto si innalzarono, rivelando un ampio spazio al di là.
“Sei autorizzata ad accedere al Quartier Generale dell’Ordine Oscuro, Kris Hikari.”
La voce dal golem mi invitava a fare il mio ingresso in quel mondo...non avrei potuto tornare indietro, una volta varcata quella soglia, ma sentivo, ormai, di non avere più scelta. Io avevo deciso di seguire l’Esorcista, io mi ero spontaneamente presentata lì. Era inutile tergiversare di fronte ad una scelta già inconsciamente decisa.
Con passo deciso, ma misurato, varcai l’entrata, che si richiuse con un boato, inghiottendomi, subito dopo il mio passaggio.
Vista da sotto, la torre sembrava ancora più imponente. La pietra nera rifletteva i bianchi raggi lunari, colorandosi di tenui sfumature, che tuttavia non riuscivano del tutto a smorzare la spigolosità dei suoi alti contrafforti, terminanti in affusolate guglie, in cima. Scorgevo numerosi ordini di arcate e balconate, miriadi di finestre, alcune decorate, altre illuminate, altre ancora crepate dall’usura del tempo. Un gigante addormentato, che attendeva solo che la sua prossima preda si introducesse spontaneamente tra le sue fauci.
E quella preda ero io.
Varcai l’ampia arcata voltata a botte, che immetteva nella torre, e le sue doppie saracinesche in stile medievale...vedendole, pensai ai denti aguzzi di una belva carnivora. La mia autosuggestione stava davvero dando fondo alle sue possibilità, nel rendermi la vita più difficile.
Ero dentro.
L’atrio era davvero enorme. Grandi volte a crociera, sorrette da pilastri, reggevano dei lavorati candelieri metallici, che pendevano dalle loro chiavi di volta. I muri erano spogli, eccezion fatta per poche lucerne e qualche sporadico dipinto, dal soggetto a volte ambiguo, a volte inquietante. Sull’attenti, lungo le pareti, quelle che identificai come guardie svizzere, mi osservavano con attenzione. Forse troppa.
Scesi i pochi scalini dell’ingresso, portandomi verso il cento della sala. Dal portone all’altro capo del salone, vidi comparire un uomo sulla trentina, con folti capelli castani, dalla pettinatura poco curata, e un camice bianco. Si avvicinò e mi porse la mano presentandosi.
“Sono Reever, della Sezione Scientifica del Quartier Generale. Sei Hikari, giusto?”
Ricambiai con decisione la stretta di mano dell’uomo che, notai, ora che era più vicino, aveva due occhiaie paurose. Doveva davvero essere un gran lavoratore, immaginai.
“Si.”
Non fui in grado di articolare nient’altro. La loquacità tendeva sempre a venirmi meno quando non mi sentivo a mio agio. Il che non era raro...
“Benvenuta all’Ordine. Seguimi, ti porto dal Supervisore.”
Mi accodai all’uomo. Come benvenuto, mi parve piuttosto freddo...non mi diede adito a credere che mi sarei potuta trovar bene. Sperai che l’atmosfera glaciale che mi stava avvolgendo, non mi avrebbe accompagnata per il resto dei miei giorni, lì dentro. Osservando meglio l’uomo, però, pensai che fosse la stanchezza ad avergli frenato la lingua. Più che pensarlo, lo speravo. Non ero il tipo di ragazza che sentiva il morboso bisogno di circondarsi di amici cinguettanti, ma nemmeno un’asociale.
Cercai, perlomeno, di informarmi su ciò che mi aspettava.
“Supervisore?”
Fu una mia impressione o l’uomo assunse un espressione...nauseata? La cosa non prometteva nulla di buono.
“E’ il capo della Sezione Scientifica, anche se, in realtà , è molto di più. È lui che decide le missioni e organizza le mansioni di Finder ed Esorcisti. In un certo senso, è la mente e il punto focale di questo posto e dell’Ordine, in generale...vecchio pazzo...”
Di nuovo quell’espressione nauseata. Quell’uomo, da come ne parlava, non pareva avere una gran simpatia per il suo capo, anche se avevo avvertito comunque una certa stima nelle sue parole. Doveva essere un soggetto difficile da trattare.
Fantastico...
Improvvisamente, mi ricordai di avere ancora con me l’Innocence. Come avevo fatto a dimenticarmene?! Ero già così abituata alla sua presenza, da sentirla come una parte di me stessa? La cosa fece crescere in me una sottile ma decisa punta di irritazione.
Aprii il primo bottone della mia accollata camicia orientale, estraendo dalla tasca interna il cubetto, luminescente ed attraente tra le mie mani.
“Questa” chiesi all’uomo, porgendogli il cristallo “devo darla a lei?”
Sentivo il bisogno di liberarmene, ma al tempo stesso ero sicura di non poterne più fare a meno. Forse era per questo motivo che la mia mano restava sospesa tra me e l’uomo...incapace di decidere se avanzare o tornare sui propri passi.
Reever mi guardò, leggermente sorpreso. Probabilmente non era il tipo di domanda che si sarebbe aspettato da una Compatibile.
“No...”
Rimasi lì, dietro di lui, camminando nell’apatia di chi non è cosciente di sé stesso, di cosa c’è intorno...camminavo e guardavo l’Innocence, come a sperare che fosse lei a darmi le risposte di cui avevo bisogno.
Persi il conto della quantità di scale e corridoi che attraversai, ma, alla fine, giunsi a quella che, immaginai, fosse la Scientifica. Pannelli luminosi, superfici lucide in cui quasi si poteva specchiarsi, schermi che elaboravano migliaia di informazioni, uomini in camice bianco che lavoravano alacremente...non ero più in una cadente torre gotica del diciannovesimo secolo, ero avvolta da un’atmosfera fantascientifica, catapultata secoli avanti.
“Reever!”
Una voce argentina e allegra ruppe l’imbarazzante silenzio in cui io ed il mio accompagnatore ci eravamo venuti a trovare, ed una ragazza, di certo più giovane della sottoscritta, ci venne incontro. Sussultai, non appena vidi la croce argentea brillare sulla sua corta divisa nera. L’angoscia che l’ultimo “sogno” mi aveva lasciato, alla vista di quello stemma, ancora non accennava a scomparire.
I suoi lunghi capelli neri e lisci, raccolti in due folti codini, ondeggiavano, tingendosi di delicati riflessi verde scuro, quando la forte luce di quel luogo li intercettava. Aveva lineamenti delicati ed ancora, in parte, infantili, anche se nel corpo già si vedeva la donna slanciata e longilinea che tentava di sbocciare. Un sorriso sincero e privo di malizia incorniciava due occhi tendenti al verde bosco, ma con innumerevoli sfumature. Dall’aspetto, pensai fosse orientale, forse proprio una mia connazionale.
“Beh, ti lascio nelle sue mani, devo tornare al lavoro.” Mi disse l’uomo, volgendosi verso di me. “Benvenuta all’Ordine.”
Il lieve sorriso con cui mi lasciò, mi riscaldò, anche se minimamente. In fondo, non sembrava poi così terribile quel luogo. Tra tutte le persona che avevo visto di sfuggita, non ne avevo ancora scorta una che potesse mettermi a disagio, anche solo con lo sguardo. Tutti parevano immersi nel loro lavoro, che era la loro vita...ma non c’era infelicità. Certo, ancora non avevo incontrato nessun Esorcista e ben sapevo, da quanto il Generale mi aveva accennato, che la maggioranza della categoria, me compresa, non aveva scelto consapevolmente quella strada. Era l’Innocence a decidere per noi...e la possibilità di scelta non era contemplata.
Guardai la giovane di fronte a me, che con un ampio sorriso mi tese la mano, la quale mi affrettai a stringere, cercando di non mostrare il mio nervosismo.
“Benvenuta all’Ordine, Kris...posso chiamarti per nome?”
Certo non era una domanda che mi aspettassi.
“...Si, non c’è problema.” Istintivamente, mi venne spontaneo ricambiare il sorriso...il primo, da settimane...
“Io sono Linalee, l’assistente del Supervisore. Vieni, ti porto da lui.”
Senza ulteriore indugio, mi affiancai alla giovane e la seguii. Quella ragazza era un toccasana, una “medicina” per la mia anima tormentata. Dal momento in cui mi aveva sorriso, un senso di calore mi aveva riempita, quasi una sensazione di...casa. senza difficoltà, cominciammo a chiacchierare.
“Sei un’Esorcista?” le chiesi.
“Si, da parecchio ormai.”
Il sorriso che accompagno la risposta mancava di gioia. Come me, doveva aver sofferto molto quella decisione.
“Credo che non mi abituerò mai a questo...” riflettei ad alta voce, fissando il cristallo, ancora tra le mie mani.
“All’inizio odiavo questo posto.” Cercò di confortarmi, guardandomi con comprensione. “Tentai di scappare in ogni modo, ero profondamente infelice...Ma da quando mio fratello è venuto qui, come Supervisore, ho cominciato a considerare questo luogo come una famiglia. Sai, molti Esorcisti chiamano il Quartier generale “home”.”
Home...sarei mai riuscita a considerare davvero come una casa quel luogo? Al momento, era quanto di più impossibile ero in grado di pensare. Casa mia era lontana, tropo lontana, distrutta e ridotta ad un misero cumulo di macerie. Non avrei mai avuto altra casa oltre a quella, men che meno questo posto. Abbassai gli occhi di nuovo sull’Innocence, detestandola.
Ero molto colpita dal carattere di quella ragazza. Ci conoscevamo solo da qualche attimo, eppure non si era sentita per nulla in imbarazzo nell’aprirsi totalmente, confessando i suoi pensieri e le sue vecchie paure. Mi dispiaceva, ma io non avrei mai agito allo stesso modo. La mia esistenza serbava troppi segreti, perché potessi estrarli liberamente di fronte ad una persona che conoscevo da pochi attimi. In futuro, forse, se avessi approfondito la conoscenza, mi sarei sentita più tranquilla nel rivelare le parti più nascoste di me stessa...ma fino ad allora sarei stata il più possibile impenetrabile, una fortezza. Troppe volte mi ero fidata e confessata, per poi risultare tradita, o peggio, esclusa, proprio a causa di ciò che avevo rivelato.
“Eccoci.”
Eravamo giunte di fronte ad una porta, che Linalee mi fece cenno di aprire.
“Mentre incontri mio fratello andrò a preparare un po’ di caffè per la Scientifica. Non so come mai, questa volta, non mi vuole con lui. Di solito lo assisto con tutti i nuovo Esorcisti...” ammise, pensierosa.
Io, invece, immaginai con chiarezza e senza ombra di dubbio il motivo. “Quella cosa”, a quanto pareva, voleva essere tenuta segreta. Per la sottoscritta si rivelava solamente un vantaggio, sarebbe stato più agevole mantenere il riserbo sulle mie tanto odiate particolarità, se anche l’Ordine la pensava allo stesso modo.
La ragazza si riscosse dalle sue riflessioni.
“Passo a prenderti più tardi, così ti mostrerò la tua stanza.”
Detto ciò trotterellò via, salutandomi con un gesto della mano, che ricambiai. Dove trovasse tutta quell’energia, lo ignoravo. Presi un bel respiro e girai la maniglia.

Un incubo.
Questo era quanto avevo appena passato.
La nottata peggiore della mia esistenza, e ancora non ero andata a dormire...
Komui, il Supervisore, era un pazzo scriteriato, non c’era altro modo per poterlo definire. Catapultata senza preavviso tra le braccia di una creatura bianca e luminescente, piena di propaggini che si erano insinuate a scansionare la mia intera essenza. Pazzesco!
Se la stanchezza e il mio self-control non mi avessero trattenuta, avrei sicuramente spaccato la faccia a quel dannato!
Come se non bastasse, la strada che Linalee mi aveva mostrato, per giungere alla mia camera, era quasi più intricata di quella che avevo percorso per raggiungere l’Ordine. Corridoi, scale, passaggi male illuminati...quel luogo era un vero labirinto ed, inoltre, le porte delle stanze, avevo purtroppo scoperto, erano tutte completamente identiche! Ero certa che, almeno una volta nella mia permanenza, avrei commesso l’errore di infilarmi nella stanza di qualcun altro. Sperai che, quando mai fosse successo, e sperai che mai fosse potuto accadere, l’interessato non fosse presente e, nel caso, non fosse un uomo.
Espirai, lasciando che la tensione della giornata evaporasse insieme al mio respiro.
Seduta sul mio letto, appoggiai la testa contro il muro, guardando di sott’in su il quadro che vi era appeso. La sorte beffarda aveva voluto che vi campeggiasse un nero destriero rampante.
“Seishin...”
Una lacrima superstite disegnò una linea di dolore sul mio volto. Non la cancellai, lasciando che si imprimesse con forza, mentre rivolgevo il capo alla finestra, da cui potevo vedere il cielo terso e trapunto di stelle, vagando in pensieri più miti.
Komui non aveva fatto altro che confermare quanto già sapessi per esperienza, ovvero le mie capacità fisiche fuori dal comune, aggiungendo anche, come precedentemente anche Nyne aveva fatto, che non ero l’unica. Sull’identità dell’individuo, tuttavia, era rimasto ben muto, dicendomi, con un’espressione raggelata che non compresi, ma che non aveva promesso nulla di buono, che avrei avuto occasione di fare presto la sua conoscenza.
Era un bambino che giocava agli indovinelli. Quanto mi irritava.
Sospirai.
Ce n’era di gente bizzarra in quel posto.
Pensai subito ad Hebraska, la creatura che tanto mi aveva spaventata e che, alla fine, si era rivelata gentile e “materna”. Avevo appreso come anche lei fosse un’Esorcista, malgrado ciò paresse assurdo. Era la custode dell’Innocence ancora priva di un compatibile...parecchi cubi giacevano in lei, desiderosi ed impazienti di rovinare l’esistenza a qualcuno. Quello in questione che apparteneva alla sottoscritta, comunque, ora era tra le mani della scientifica, per essere trasformata in arma, secondo quanto la sua natura suggeriva. Da ciò che mi aveva accennato Komui, mi sarei quasi certamente trovata tra le mani un’arma bianca, il che mi confortava. Maneggiare spade, era l’unica cosa che avevo imparato nella mia inutile esistenza, oltre a cavalcare, forgiare armi e tenermi a distanza dalle persone. Me ne sarei preoccupata il giorno dopo, comunque. Me l’avrebbero consegnata assieme all’uniforme, confezionata su misura. La quantità di domande che un piccoletto con gli occhiali di nome Johnny, mi aveva rivolto circa la divisa, mi aveva spaesata, perciò mi ero limitata a lasciargli carta bianca. L’importante era che mi proteggesse e che mi trovassi a mio agio indossandola, no? Perdere tempo con inutili fronzoli non era necessario.
Morfeo stava cominciando a cullarmi tra le sue braccia, così levai la camicia, lanciandola scompostamente sulla testata inferiore del morbido letto. Non ebbi nemmeno la forza di pettinare i miei lunghi capelli, nonostante prevedessi l’esercito di nodi che avrei dovuto districare la mattina dopo. Mi ficcai sotto le coperte, rannicchiandomi ad abbracciare il cuscino, mentre le lacrime ancora inespresse mi rigavano gli zigomi, trascinandomi nell’incoscienza beata del sonno.

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Capitolo 6
*** Nuova Vita ***


Ce l'ho fatta!!! 6° capitolo di questo delirio mentale!!! XD
Devo dire che scegliere di dividere questa parte dal capitolo precedente è stata una buona idea....un capitolo di 20 pagine poteva essere nocivo XD
Detto ciò:
a) si rivede da un'altro punto di vista una scena già letta. Adoro questo tipo di cose XD
b) Non so perchè certi personaggi spuntano anche quando io non avevo previsto la loro presenza =.="
Grazie a tutti quelli che leggono e recensiscono!! Continuate a farlo, se vi va e vi piace =D
Buona lettura gente!!!

Hikari

6th Night: Nuova Vita

Percorro l’ingresso, sotto i candelieri lavorati...
Odo il suono dei miei passi riecheggiare nell’atrio...
Parlo...ma con chi?...
Ricordo di aver già visto questa scena...certo, ieri....quando sono arrivata...
Eppure questo momento...ho l’impressione sia accaduto molto tempo fa...
Non sto parlando con Reever...ad accogliermi è un’altra persona...
Scorgo i suoi capelli biondi...raccolti in un’acconciatura che le lascia libero il collo...non ne vedo il volto...
Si rivolge di fronte a sé...sorride?...
Istintivamente ne seguo lo sguardo...un uomo in fondo al corridoio...una croce sul petto...un Esorcista?...
Anche il suo volto è annebbiato...non so chi sia...
Mi volgo verso di lei...cerco risposte...
Una luce inonda la mia visuale...non distinguo più nulla..
.

Aprii un occhio, infastidita. La luce del sogno era dunque reale, un misero e molesto raggio di sole, il primo dell’alba, filtrava dall’ampia finestra. In quel momento non m’importava granché della sua presenza, ero troppo impegnata nel cercare di raccapezzarmi. Non avevo mai fatto un sogno simile prima d’ora. Solitamente, ripetevo in continuazione la stessa visione, in cui mi pareva di galleggiare...in cui il mondo intorno a me sembrava tutto indistintamente rosso. Il mio sogno ricorrente, nonostante più volte avessi cercato di venirne a capo, era quanto di più incoerente la mia mente avesse mai potuto partorire. Ma questo...era totalmente diverso, aveva senso, logica. Ero quasi certa che la bionda che avevo sognato, fosse la stessa che mi aveva accolto al portone dell’Ordine, quando quella visone mi aveva prepotentemente aggredita settimane prima, a casa mia. Ricacciai indietro la tristezza che minacciava di travolgermi, di nuovo, e mi concentrai sul lato onirico della mia mattinata. Non l’avrei mai ammesso, nemmeno a me stessa, ma quegli strani “sogni” cominciavano a crearmi una leggera angoscia.
Scossi la testa con fermezza ed emersi dalle coperte. Non erano state altro che immagini create dal mio subconscio, un puzzle dei ricordi ed esperienze delle ultime settimane.
Ci credevo davvero?
Preferii non rispondermi.
Mi alzai ed indagai meglio la camera, distraendo la mente. La notte precedente non mi ero soffermata poi molto sulla mia nuova sistemazione, il sonno, misto a nervosismo, aveva avuto la meglio. Non c’era poi molto da notare, comunque. Oltre al letto, al quadro sopra di esso ed alla finestra, facevano parte dell’arredamento un appendiabiti, un piccolo armadio ed una scrivania, su cui era appeso un modesto specchio. Semplice ed essenziale, ma al contempo sufficientemente accogliente. Raccolsi il mio misero bagaglio da terra ed estrassi una spazzola ed un paio di forbici, dirigendomi allo specchio.
Pettinare i miei capelli era una delle poche azioni in grado di rilassarmi completamente. Per quanto ne sapevo, non avevo impegni, quindi mi presi tutto il tempo necessario. Come avevo sospettato, un esercito di nodi era lì ad attendermi, più agguerrito del solito. Impiegai un buon quarto d’ora per districarli tutti, vagando tra mentali imprecazioni. Quando furono sufficientemente disciplinati, misi in ordine anche la frangia, eliminando le punte in eccesso. Non ero affatto una maniaca dell’estetica, ma ero convinta che la prima impressione fosse fondamentale e, siccome intuivo che avrei conosciuto diversi volti nuovi nei giorni a seguire, desideravo presentarmi in modo accettabile.
Dentro l’armadio trovai pochi abiti, per la maggior parte camicie e pantaloni. Ne infilai un paio neri, insieme ad una delle mie casacche, dal taglio orientale. Non trovai scarpe o simili nel guardaroba, quindi riciclai i miei logori stivali da viaggio, ormai scoloriti.
Quando la mia mano si appoggiò alla maniglia, pronta a catapultarmi definitivamente in quella vita, avvertii il bisogno di prendere un gran respiro. Espirando, emisi anche tutta la tensione, calmandomi, per quanto possibile.
Uscii, chiudendomi la porta alle spalle.
Non avevo idea di dove avrei dovuto recarmi, o se qualche mansione già richiedesse la mia presenza, così decisi di andare nell’unico luogo di cui in quel momento io, o meglio, il mio irriverente stomaco brontolante, aveva bisogno, la mensa.
I corridoi mi apparvero esattamente come la sera prima: un intricato ed irrisolvibile labirinto! Non riuscii a tenere il conto delle svolte e dei corridoi per cui passai, per non parlare del tempo che persi. Irritata, con la testa tra le mani, mi appoggiai ad una delle ringhiere che si affacciavano sul pozzo centrale, cercando di ricordare a strada fatta il giorno prima.
“Il primo giorno è difficile orientarsi, non sei l’unica ad esserti persa tra questi corridoi.”
Trasalii al suono di quella voce, ma non fu nulla in confronto al salto che feci quando mi ritrovai il volto sorridente, appoggiato sui gomiti, di un giovane dalla capigliatura ribelle e rossa, a dieci centimetri dal mio naso.
“Dico, ma ti sembra il modo?! Mi hai fatto prendere un accidente!”
Per tutta risposta mi guardò con aria interrogativa, come se pensasse di aver fatto la cosa più ovvia e normale del mondo. Ma non c’erano soggetti normali in quel maledetto posto?!
Mi portai una mano alla fronte, sconsolata. Se quello era solo l’inizio della mia prima giornata all’Ordine, preferivo non conoscerne il seguito.
“Che hai? Non ti senti bene?”
Levai la mano...e me lo ritrovai di nuovo appiccicato a pochi centimetri! Istintivamente inarcai la schiena, ritraendomi, con uno scatto così improvviso che, per poco, non capitolai per terra.
“Che diamine! Ma il concetto di distanza non te l’hanno mai insegnato?!” gli sbraitai contro. Quello non fece altro che sorridere, divertito.
Era demente, o cosa?
Ero già sufficientemente alterata, senza che ci si mettesse anche quel bizzarro rosso a rovinarmi la mattinata. Dopotutto, però, non era colpa sua se avevo smarrito me stessa in quel labirinto, non era proprio educato scaricare la mia bile addosso a lui, malgrado il suo assurdo comportamento. Cercai, nonostante l’imbarazzo, di rimediare.
“Senti...cerco la mensa, sai dirmi dove si trova?”
“Certo! Ti ci accompagno.”
Mi rispose, con un gran sorriso che raggiunse anche l’unico occhio.
Senza che potessi minimamente prevederlo, mi cinse le spalle con un braccio e cominciò a camminare. Quel tizio mi stava facendo letteralmente uscire da ogni grazia. Non ero mai stata tipo da contatto fisico, nemmeno tra i miei amici più fidati d’infanzia, ed un simile comportamento, ricevuto da un completo sconosciuto, mi metteva parecchio a disagio. E se mi sentivo a disagio, mi innervosivo. Ero fatta così.
Con movimento fluido e cercando di non sembrare troppo scortese, presi il suo polso destro e mi districai dal suo abbraccio, continuando poi a camminargli a fianco, ma a debita distanza.
“Non offenderti, ma non sono il tipo che da così tanta confidenza agli sconosciuti.”
Il rosso si strinse nelle spalle, senza perdere la sua espressione allegra.
“Nessun problema. Una stretta di mano me la concedi?” mi chiese, volgendosi verso di me per presentarsi.
Aveva uno sguardo davvero limpido, sincero, il tipo di persona che avrebbe ispirato simpatia a chiunque, indistintamente. Se fossi stata una persona diversa, forse gli avrei sorriso di rimando, automaticamente...ma quei tempi erano ben lontani e mi abbandonavano sempre più, da quando avevo messo piede in quel luogo.
Gli porsi la mano destra, stringendo la sua con decisione. Mi ritrovai a pensare che era davvero un bel ragazzo...quell’unico occhio verde smeraldo avrebbe fatto capitolare almeno la metà delle ragazze del mio villaggio, in più era alto e dal fisico atletico. Decisamente all’Ordine si trattavano bene. Non ero comunque quel genere di ragazza che cascava ai piedi del primo belloccio che le si presentava dinanzi, anzi, al momento attuale i ragazzi erano totalmente fuori dalle mie priorità.
“Piacere, io sono Lavi, il futuro Bookman.” Si presentò il rosso.
“Kris Hikari.....Bookman? Cosa sarebbe?” La faccenda mi incuriosiva, quello era un nome che, da che ero giunta lì, non avevo ancora sentito, perciò il mio bisogno d’informazione ebbe la meglio sulla mia abituale noncuranza.
Lavi si guardò un attimo intorno, prima di avvicinarsi e sussurrare la risposta. Era proprio un tipo strambo.
“Dato che sei dell’Ordine te lo posso dire, ma in effetti non potrei...”
Fu un attimo.
Un secondo prima il rosso era di fronte a me, un momento dopo era scomparso, travolto da un proiettile bianco e nero, troppo veloce da poter distinguere. Udii un forte frastuono alla mia sinistra e, quando volsi lo sguardo, vi trovai Lavi, disteso tra le macerie del muro che era andato ad “abbracciare”, che assorbiva una sequela di improperi da un vecchietto che esibiva un vistoso ricciolo di capelli bianchi, il quale, supposi, doveva essere colui che contro quel muro ce l’aveva spedito.
Credo che ciò che si leggesse sul mio volto fosse qualcosa di più della semplice incredulità. Quel posto era letteralmente una gabbia di matti! Mi ritrovai a desiderare la compagnia di Linalee, l’unica, fino a quel momento, che aveva dimostrato normali capacità intellettive.
“Non parlare di Bookman, quando Bookman non è presente!!”
Il vecchio non dava tregua al malconcio rosso, continuando a rovesciarli addosso la sua ira.
Stavo quasi per allontanarmi di soppiatto, evitando di continuare ad assistere a quello spettacolo ben poco edificante, quando il vecchietto notò la mia presenza, rivolgendomisi con un tono e dei modi tanto cerimoniosi da smentire la sua precedente sfuriata. Doppia personalità?
“Scusi quest’asino, signorina, non ha ancora appreso cosa gli è premesso rivelare e cosa no.”
“Vecchio panda...” Udii bisbigliare Lavi.
“Taci!” L’urlo del vecchio fece trasalire anche me. Doveva essere un uomo capace di farsi rispettare senza tanti complimenti...
“No, non si preoccupi,” Tentai di replicare, sperando di svignarmela il prima possibile, “tanto me ne stavo comunque andando...”
“Già te ne vai? Peccato, stavamo facendo una bella chiacchierata...”
“Taci, stupido coniglio! Il tuo problema è che chiacchieri troppo! Quante volte dovrò ancora ripeterti che...!”
Approfittando della ripresa della discussione, voltai l’angolo, coprendomi le orecchie col palmo delle mani. Quel vecchio aveva una voce poderosa per la sua statura.
Ero all’Ordine da meno di ventiquattr’ore ed avevo già avuto modo di comprendere che la mia vita, in quel luogo, sarebbe stata tutto fuorché agevole. Maniaci del lavoro, scienziati pazzi, vecchi urlanti che assaliscono giovani nei corridoi...nemmeno nelle mie più bizzarre aspettative avrei pensato di potermi ritrovare in un posto del genere. La mia vita aveva davvero preso una piega ancor più inaspettata del previsto...
Con questi pensieri a vagarmi nella mente, mi incamminai alla cieca, imboccando uno dei tanti corridoi che si dipanavano dal pozzo centrale. Dubitavo seriamente di aver preso la strada giusta, ma non disperavo in una lieve ed inaspettata dose di fortuna...in fondo la meritavo. Percorsi scale, vicoli bui ad altri fitti di lumi, invano cercando un segno, un mattone più scrostato o una ragnatela dalla forma particolare, che potessero aiutarmi a capire se fossi mai passata o no per quei luoghi. Cominciavo a sentirmi piuttosto scoraggiata e, di quel passo, la colazione non l’avrei vista nemmeno col binocolo.
Mi fermai, appoggiandomi ad un muro, cercando di chiarirmi le idee, quando udii un lieve fruscio d’abiti, proprio dietro l’angolo. Finalmente qualcuno cui poter chiedere un’indicazione!
Senza pensarci un attimo voltai velocemente in quella direzione...ed il mio naso pagò quell’avventatezza. Nel buio di quel misero corridoio, andai ad urtare direttamente contro ciò che immaginai dovesse essere una persona, malgrado la botta presa mi fece per un attimo supporre tutt’altro.
Infastidita da quell’ennesimo evento negativo, nella mia già pessima mattinata, alzai lo sguardo verso il mio “ostacolo”...ma quello che vidi mi lasciò interdetta...
A malapena udii le parole seccate dell’individuo di fronte a me...la testa mi girava...più lo osservavo, più i suoi contorni mi apparivano sfumati...ero certa di conoscerlo, o, quantomeno, di averlo già incontrato, eppure quegli occhi scuri dal taglio allungato, quei lineamenti orientali, quei lunghi capelli corvini sfumati di blu...mi erano totalmente ignoti...
Fu la sua espressione seccata, da me prontamente ricambiata, a riportarmi alla realtà. Di sfuggita, in un primo momento, i lunghi capelli raccolti in una coda mi avevano tratta in inganno, facendomi pensare di trovarmi di fronte ad una ragazza, ma osservando meglio l’individuo che mi si parava di fronte mi dovetti ricredere. Quelle spalle larghe e lineamenti marcati, benché smussati dall’etnia, non potevano certo appartenere ad una donna, per quanto mascolina. Non ero mai stata incline a sopportare occhiatacce prive di fondamento, se poi le suddette provenivano da un uomo, peggio ancora. Aveva appena acceso una miccia esplosiva.
Non ricordavo con quali parole si fosse rivolto a me, anche se pensai non fossero state certo amichevoli. Dopotutto gli ero piombata addosso...ma non era comunque una scusa sufficiente per squadrarmi dall’alto in basso in quel modo.
“Prego?” mi rivolsi, seccata.
“Ti ho detto di guardare dove cammini.” Mi rispose, tra i denti. Era come se improvvisamente un’aura oscura avesse cominciato ad avvolgermi. Tentava di spaventarmi? Aveva decisamente sbagliato persona.
Piegando lievemente la testa verso l’alto, per compensare la considerevole differenza di statura, gli risposi per le rime, con uno sguardo irritato che non gli avrebbe promesso nulla di buono.
“Vedo benissimo dove cammino, grazie. Magari, se tu non ti mettessi nascosto agli angoli dei corridoi, la gente non ti verrebbe addosso, non ti pare?”
“Mi metto dove mi pare.”
Avrebbe potuto gelare una fiamma con quello sguardo e quel tono e dovetti ammettere a me stessa che un lieve brivido freddo si era insinuato lungo la mia spina dorsale. Chi diamine era quel tizio? Notavo un che di assassino nel suo sguardo e modo di fare...sperai fosse solamente una mia impressione dato che, come avevo visto poco prima, indossava una lunga uniforme da Esorcista e, probabilmente, mi sarebbe anche potuto malauguratamente capitare di lavorarci insieme.
Mi accorsi che in una mano stringeva saldamente una katana...mi augurai non volesse usarla sulla sottoscritta. Nonostante il danno che avrebbe potuto infliggermi sarebbe stato minimo, non mi andava di cominciare il mio primo giorno in un bagno di sangue o con una sequela di insulti.
In ogni caso, non ero assolutamente intenzionata a lasciar cadere la questione.
“Ed io cammino dove mi pare.” Fu la mia inflessibile risposta.
Continuammo a squadrarci, nessuno dei due intenzionato a cedere di fronte all’altro. Non staccai lo sguardo da quegli occhi scuri e profondi, nonostante mi sentissi parecchio a disagio. Quel ragazzo aveva qualcosa di strano, qualcosa che, per motivi che nemmeno io comprendevo, sentivo affine...ma che, nel contempo, mi urlava di allontanarlo il più in fretta possibile. Ma forse quest’ultima sensazione era solo l’istinto di sopravvivenza...
“Ora, se permetti, devo passare.” Tagliai corto.
Con un movimento rapido lo sorpassai, urtandogli volontariamente il braccio, irritata.
Che razza di maleducato, intrattabile ed attaccabrighe! L’avevo incontrato solo per pochi minuti, ma già sentivo dentro di me montare un odio profondo per quel giovane. Erano diversi mesi che non sentivo un così forte desiderio di picchiare qualcuno.
Cercando, con profondi respiri, di recuperare un minimo di calma, imboccai un corridoio più grande, da cui udivo provenire un gran chiacchiericcio.

La mia ultima scelta si era rivelata corretta. Seguendo le voci ero riuscita a raggiungere la mensa.
Che sollievo! Finalmente, varcai il portone...
La sala era enorme. File interminabili di lunghi tavoli e panche lignee, circondate da possenti pilastri, a sorreggere le poderose crociere del soffitto. Gli stessi candelieri che avevo notato nell’atrio, illuminavano a giorno l’immenso spazio.
Su un lato del grande salone notai una finestrella, da cui partiva una breve coda di persone, che immaginai fosse il luogo da cui ritirare le ordinazioni. Velocemente mi affrettai, seccata, a prendere parte alla fila di gente in attesa del pasto. Tra le file di tavoli, infatti, avevo notato, seduto solo, in compagnia della sua katana, il moro decerebrato di poco prima, perciò avevo deciso di evitare che notasse la mia presenza. Un’altra discussione con quel tipo e sarei uscita da ogni grazia.
Non ebbi nemmeno il tempo di decidere cosa avrei preso per colazione, che mi ritrovai davanti all’apertura.
“Uuuh, ma chi è questa bellissima ragazza?”
Tutto mi sarei aspettata, tranne che un energumeno con gli occhiali da sole, paludato in un grazioso grembiulino da cuoca, spuntato cinguettando dalla finestrella della cucina. Non potevo vedermi in volto, ma immaginai di avere gli occhi fuori dalle orbite per la sorpresa e l’incredulità.
“Salve...sono una nuova Esorcista...sono arrivata ieri...”
Era difficile mettere insieme un discorso coerente dinanzi a tanta bizzarria.
“E come ti chiami, tesoro?” Chiocciò il cuoco...o la cuoca...?
“...Kris...”
“Che bel nome! Io sono lo chef Jerry, cosa vuoi che ti prepari? Posso cucinare tutto ciò che vuoi.”

Era simpatico, nonostante fosse piuttosto buffo. Mi venne quasi spontaneo accennare un mezzo sorriso.
“Veramente non saprei...vorrei fare colazione...ma non ho idea di cosa prendere...”
“Nessun problema, ti porto io qualcosa.”
E sparì nella cucina, tornandone pochi attimi dopo con un vassoietto fumante.
“Ecco qua, cara. Cappuccino e brioche!”
“Grazie...”
“Di nulla. Il prossimo!”

Mi avviai col mio vassoio alla ricerca di un tavolo libero. Non fu difficile trovarne uno, la sala non era troppo affollata, così mi accomodai in fondo ad una panca occupata, all’altro capo, da un gruppo di uomini dalle uniformi beige, che salutai con un lieve cenno del capo.
Mi concentrai su quella strana colazione, mai provata prima in vita mia. Era squisita! Immediatamente decisi che quella sarebbe stata la mia colazione-tipo, da quel giorno in avanti. Quel Jerry era davvero un genio in cucina.
Mentre assaporavo il mio pasto, lasciai che occhi e mente vagassero per quel salone. Non vedevo molti Esorcisti, la maggior parte dei presenti era formata da uomini con la stessa uniforme che avevo visto indosso ai miei compagni di tavolata, di cui ignoravo totalmente le mansioni, e da uomini in camice bianco, che immaginai essere membri della scientifica. C’era una netta sproporzione. Se, come mi aveva detto il Generale, quella era davvero una guerra all’ultimo sangue, come poteva essere che i prescelti dell’Innocence fossero così pochi? Come poteva un esiguo manipolo di persone, per quanto dotate del potere divino, combattere l’esercito di Akuma che le forze del Male andavano creando? Magari mi stavo sbagliando...forse era solo un caso che in quella sala, al momento, non ci fosse un gran numero di Esorcisti, probabilmente la massima parte era in missione, o non era ancora uscita dalle camere...un ragionamento che non convinceva nemmeno me. L’amara verità era che eravamo pochi...
Mi accorsi che i miei pensieri ormai erano passati al “noi”. Nonostante detestassi questa mia nuova sistemazione, mi ero oramai rassegnata ad accettare la mia attuale condizione. Sarei diventata un’Esorcista e su questo c’era ben poco da fare, era una situazione che, malgrado non l’avessi scelta consapevolmente, non sarebbe cambiata. Combatterla non sarebbe servito a nulla...anche se ciò non voleva dire che l’avessi completamente accettata, anzi...
Mentre ancora mi soffermavo su queste considerazioni e sulla crema della mia brioche, un urlo colmo di rabbia squarciò la sala, facendomi voltare immediatamente.
“Cos’hai detto?! Ehi! Prova a ripeterlo!”
Tre tavoli dietro di me, un energumeno in divisa chiara si era alzato, troneggiando colmo d’ira...sul moro! Ciò in un certo senso mi provocò un lieve sorriso di soddisfazione. Allora, non ero l’unica cui aveva fatto perdere le staffe, era proprio un vizio.
Non riuscivo ad udire cosa l’Esorcista gli stesse replicando, ma a giudicare dal tremito che scuoteva l’uomo dietro di lui, visibile persino a me, da quella distanza, non doveva essere stato nulla che l’altro potesse aver apprezzato.
“Dannato...Come osi dire certe cose su dei compagni morti in missione?! Noi Finder dell’unità di ricerca rischiamo la vita per essere di supporto a voi Esorcisti...”
Quindi era questo il compito di tutte quelle persone? La situazione cominciava se non altro a chiarirsi...
“...e questo ti farebbe peggiorare il gusto del cibo?!!”
Senza alcun preavviso l’energumeno portò indietro il braccio destro, pronto a vibrare il micidiale colpo sul moro sottostante. Per un attimo trattenni il fiato, ma nemmeno per un momento mi sognai di intervenire. Quell’uomo non stava facendo altro che realizzare ciò che io, nel mio autocontrollo, mi ero imposta di evitare. Mi sarei goduta un bello spettacolo.
Il tempo di un battito di ciglia e la situazione, però, si era ribaltata.
Con un movimento impercettibile, l’Esorcista era riuscito a schivare il colpo, ed ora stringeva la gola del suo avversario nella morsa della sua mano destra.
“Ma come...!”
Pensai che l’avrebbe fatto a fette con la sua katana, ma, oltre a pronunciare parole, per me incomprensibili data la lontananza, non fece. Se mi fossi lasciata andare, quella mattina, avrei fatto la stessa fine di quell’uomo? Non ne ero del tutto sicure, ma, certo, la possibilità c’era ed era alta...chi era quel ragazzo?...
Il volto dell’energumeno cominciava a mostrare i segni della mancanza di ossigeno, ma quel pazzo non accennava a mollare la presa. Non eravamo tutti dalla stessa parte lì dentro?! Non mi ero mai preoccupata troppo degli altri, ma avevo imparato a mie spese quanto anche l’aiuto più inaspettato possa rivelarsi utile, anche se non richiesto. Non m’importava granché di tutta la gente che affollava quel salone, ma combattevano tutti per un fine comune ed azzuffarsi tra di loro come cuccioli immaturi era quanto di più stupido potesse esserci. Inoltre, a quanto vedevo, quel tipo non pareva farsi molti scrupoli circa il suo avversario. Ebbi l’impressione che, se anche fosse soffocato, per lui non avrebbe fatto differenza. Era davvero orribile.
Arrivata a quel punto, non riuscii più a trattenermi. Mi alzai in piedi, scavalcando la panca e feci per dirigermi verso i due contendenti, quando...
“Stop.” Risuonò nell’aria.
I miei passi rimasero bloccati sul posto. Qualcun altro mi aveva preceduta, fortunatamente.
Un ragazzino dai capelli bianchi ed una strana cicatrice sul volto, aveva preso il polso dell’Esorcista, facendogli mollare la presa. Il Finder cadde a terra, allo stremo, prontamente soccorso dai suoi compagni, che lo misero sdraiato su una panca. Ridurre una persona in quello stato, senza una motivazione...una rabbia senza senso mi montava dentro e, più posavo lo sguardo sul moro, più quest’ira cresceva. Quello aveva proprio bisogno di qualcuno che gli rispondesse per le rime. Ma che diamine di problemi aveva?!
L’atmosfera tra i due ragazzi sia era fatta alquanto incandescente e già immaginavo l’inizio di un’altra inutile lite furibonda, quando la voce del caposezione Reever ruppe il silenzio che si era creato, come uno spiraglio di luce a cacciare le tenebre che stavano avvolgendo quell’angolo del salone.
“Kanda! Allen! Finite di mangiare entro dieci minuti e venite in Sala Comando. Andate in missione.”
Come fosse stata pronunciata una parola magica, i due si separarono, non senza una debita dose di occhiatacce e, immaginai, insulti mentali, andando ognuno per la propria strada. Se il destino non avesse mandato in missione quei due, probabilmente l’infermeria sarebbe stata parecchio affollata quella mattina.
In cuor mio mi augurai di aver assistito ad un episodio isolato. Il solo pensiero di dover sopportare ogni giorno una tale tensione, mi fece quasi passare la fame...ma l’abilità di Jerry ai fornelli era decisamente più potente di quel pensiero. Finii con calma ciò che restava della mia colazione, voltando occasionalmente lo sguardo in direzione dello sventurato Finder, il quale stava cominciando a riprendersi, aiutato dai suoi compagni.
“Kris Hikari, giusto?”
Decisamente non mi era concesso completare in santa pace il mio pasto.
In piedi, al mio fianco, stava un giovane, da vistosi occhiali tondi, che quasi gli occultavano il volto, incorniciato da una capigliatura decisamente ricciuta. Doveva avere già passato la ventina, eppure era mingherlino, con una corporatura da adolescente. Dal camice bianco lo identificai come membro della Scientifica.
“Si...?” Gli risposi, titubante. I miei limitati incontri con quella Sezione non mi avevano lasciato buoni ricordi.
“Piacere, io sono Johnny.” Si presentò, sorridendo cordialmente. “La tua Innocence e la tua uniforme sono pronte. Dovresti seguirmi alla Sezione Scientifica, per la consegna.”
La mia Innocence...era pronta.
Eccolo.
Il punto di non ritorno.
La fine della possibilità di scelta circa la mia vita.
Era un momento che attendevo con curiosità, ma angoscia soprattutto, l’attimo in cui sarei diventata ufficialmente un’Esorcista, legata ad un potere che nemmeno comprendevo appieno...e forse non ci sarei mai riuscita...
Respirai a fondo. Pensarci non avrebbe giovato ai miei nervi.
“Va bene.”
Mi alzai e seguii il giovane, ormai dimentica del vassoio di cibo che poco prima assorbiva tutta la mia attenzione. Ogni passo che compivo era un brandello del mio passato che veniva rinchiuso per sempre nell’angolo più remoto del mio cuore, destinato a non venire dischiuso mai più. I corridoi si susseguivano, nel loro intrico, come i pensieri che mi affollavano la mente, senza un apparente ordine, trasportati dalla turbolenta forza delle mie sensazioni...delle mie paure ed ansie...
In quello che mi parve un attimo, ero lì, di fronte al Supervisore, la mente al margine di quel sottile confine tra la coscienza e l’oblio...
Il giovane che mia aveva accompagnato mi porse un pacco informe, che immaginai essere un capo di vestiario.
L’Uniforme.
Lo aprii, con mai tremanti che cercai di non mostrare. Era semplice, ma al contempo pratica ed elegante: un paio di stivali neri al ginocchio, pantaloni lunghi del medesimo colore ed un soprabito di media lunghezza. Il colletto rimaneva alto, bordato ai margini da una linea bianca, gemella di quelle del medesimo colore che solcavano verticalmente la giacca, fino all’altezza della cintura. Tutti i bottoni argentei risplendevano, lucidi e sul retro di ognuno potevo scorgervi il mio nome inciso...sul petto, così fastidiosamente splendente, la Rose Cross.
Una voce, no...una presenza, che stava lentamente insinuandosi nel mio subconscio, fece cadere momentaneamente l’interesse per ciò che mi era appena stato consegnato. Voltai la testa nella direzione in cui quella strana sensazione, che già una volta avevo provato, mi suggeriva, incontrando con lo sguardo il fodero splendente che faceva bella ostra di sé, proprio lì...sul tavolo, a pochi passi da me.
“Hebraska ha conversato a lungo con lei, per capirne l’attidutine, inoltre abbiamo avuto qualche informazione dal Generale Cloud circa la tua prima evocazione. È stato deciso che questa fosse la forma ideale.”
Meccanicamente mi avvicinai al tavolo. Una spada occidentale, lucida e perfettamente lavorata, faceva mostra di sé, chiamandomi, come se mi avesse sempre conosciuta. Non ne capii il motivo, ma mi parve quasi di stare salutando una vecchia amica, dopo una lunga separazione...il che era assolutamente ridicolo.
Tralasciando il fodero marrone, decorato da fini inserti argentei, i miei occhi si diressero subito all’elsa, ad una mano e mezza, proprio come le spade di tipo occidentale che fabbricava mio padre. In fondo ad essa, una limpida pietra di un azzurro simile al mare, rifrangeva la forte luce della stanza, riflettendola sull’incastonatura che l’avvolgeva, per poi arrotolarsi a spirale sull’impugnatura e dividersi, infine, in due magnifiche teste equine, prive di criniera, con due pietre del medesimo colore al posto degli occhi. Il ricordo del mio amato Seishin fu inevitabile, come inevitabile fu il moro di rabbia che provai verso coloro che me l’avevano portato via.
“L’Innocence risiede nella lama, sfoderala.”
Komui mi riportò alla realtà. Impugnai l’elsa, fredda al tatto, ed estrassi l’arma. dovetti constatare che era splendida, nemmeno il mio esperto padre avrebbe saputo far di meglio. Era una lama di tipo tipicamente occidentale, non fosse stato per il lieve allargamento in prossimità di un terzo della sua lunghezza, che le dava un aspetto più snello ed elegante. Ma ciò che più di ogni altro particolare la rendeva diversa da qualsiasi spada avessi mai maneggiato, era il colore della lama, il medesimo delle pietre dell’elsa, unito ad una trasparenza che mi permetteva di scorgere ciò che era al di là della lama stessa...ma tutto ciò che di esteriore avevo potuto osservare, non era altro che il sontuoso involucro costruito perché io e “lei” potessimo diventare un’unica entità...anche in quel momento, la sentivo sussurrarmi il suo immenso potere, tramite quella lama lucida...
“Apocalypse, custode delle fiamme purificatrici dell’Inferno.”
L’Innocence ancora saldamente tra le mani, lo sguardo smarrito che mi era impossibile nascondere, fissai Komui.
“E’ il nome della tua Innocence.”
Con gesto rassicurante, pose la mano destra sulla mia spalla, sorridendomi.
“Benvenuta all’Ordine Oscuro, Kris Hikari.”

Lo so, è un capitolo lunghissimo, chiedo venia...
Ho messo tutto il mio amore nel descrivere Jerry <3 <3 <3 e tutt'ora non so perchè sia apparso Lavi...non ci doveva essere nella mia idea originale! O.o mah...
Attendo con ansia i pomodori!! XD

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Capitolo 7
*** Aria del Vecchio della Terra e della Notte del Cielo ***


Sono molto in ritardo, lo so, e mi scuso, ma ogni volta che devo scrivere dal punto di vista di quel maledetto spadaccino, ci metto i secoli! Che tizio complicato...
Non siamo ancora nel vivo della storia, bisogna preparare bene il terreno prima, però cominciano a comparire alcuni dei tasselli che andranno poi incastrati successivamente...ma non dirò altro.
Un grazie di proporzioni gigantesche a tutti quelli che mi seguono e mi recensiscono, anche se pochi (come dice il detto : "pochi, ma buoni" XD).
Attendo con ansia le vostre recensioni, buone o cattive che siano e, spero, sempre più numerose! =D
Buona lettura!!!

Kanda

7th Night:
Aria del Vecchio della Terra e della Notte del Cielo

Alterato era il termine più fine con cui potessi definire il mio attuale stato d’animo.
In realtà ero molto più che irritato. Non era stato sufficiente essere inseguito da una capoinfermiera maniaca del lavoro ed essere dovuto intervenire, inutilmente oltretutto, perché l’Ordine si affidava ad un Guardiano decerebrato, in una sola mattinata avevo anche dovuto aver a che fare con due fastidiosi novellini ed un Finder deprimente. Troppo per i miei nervi, già naturalmente alterati. Senza contare che, in quel momento, ero in viaggio con una delle suddette matricole, accompagnandolo nella sua prima missione. Mi avevano preso per una balia?!
Sospirai, spostando lievemente la schiena, ormai da troppo tempo immobile, cercando una posizione più comoda. Dovetti ammettere che viaggiare per conto dell’Ordine aveva i suoi vantaggi. Niente prenotazione, carrozza di prima classe, sedili comodi in scompartimenti riservati. Non che fossi un amante del lusso, ma, considerato che il lavoro che ero chiamato ad eseguire era già di per sé una gran seccatura, malgrado fosse l’unico fossi in grado di svolgere, viaggiare decentemente era il minimo. Sempre meglio che farsela a piedi, comunque.
Il moccioso albino che mi sedeva di fronte era immerso nella lettura e non pareva intenzionato a riprendere in mano la domanda cui aveva accennato, mentre stavamo cercando di prendere il treno. Come se, saltando da un tetto all’altro, avessi anche il tempo di rispondergli.
Ripensandoci, tuttavia, non gli avrei risposto volentieri nemmeno se si fosse rivolto a me in quel momento, comodamente seduti sul treno. Komui ci aveva fornito tutti i dettagli nei grossi fascicoli che entrambi avevamo aperti di fronte a noi, quindi, che si trovasse da sé le risposte che cercava.
Qualcosa nel carattere di quel ragazzino, mi faceva provare un profondo moto di avversione. Che fosse il suo altruismo, la sua bontà nell’accorrere in aiuto di gente che nemmeno conosceva, o il fatto di avermi platealmente provocato, quella mattina, lo ignoravo e, francamente, la cosa non mi interessava granché. Mi chiesi perché mi stessi anche prendendo il disturbo di pensarci. Semplicemente, non lo sopportavo.
Come pure non tolleravo la bionda che mi aveva investito, sempre durante la suddetta mattinata. Qualcosa aveva deciso di accanirsi su di me, quel giorno? O meglio, di accanirsi più del solito?
Forse credeva che non l’avessi notata, qualche tavolo più avanti dell’angolo di mensa in cui il Finder, che mi aveva fatto saltare i nervi, stava subendo la sua inaspettata punizione, ma avevo compreso chiaramente le sue intenzioni. Se la mammoletta non si fosse intromesso, ero quasi certo che, dopo aver scavalcato la sua panca, mi si sarebbe presentata davanti, intimandomi di lasciar andare il malcapitato Finder. Mai nessuno si faceva gli affari suoi, in quell’Ordine.
“Allora...Riguardo alla domanda di prima...”
Appunto.
Alzai di malavoglia gli occhi verso il moccioso, per nulla lieto di quell’interruzione nella mia lettura.
“Perché quella leggenda sarebbe collegata all’Innocence?”
Che seccatura. Il viaggio fino in Italia era piuttosto lungo, avrebbe avuto tutto il tempo di leggere accuratamente il suo fascicolo, invece di importunare il sottoscritto.
“Tsk.”
Immaginai che, se non gli avessi risposto ora, avrebbe reso la restante parte del viaggio un inferno, a forza di domande, quindi...
“L’Innocence,” iniziai, mentre il mio nervosismo cominciava a saturare lentamente lo scompartimento, “dai tempi del diluvio universale a ora, ha fatto registrare molti casi di mutazione delle sue condizioni.”
Mi appoggia al finestrino, vagando con lo sguardo sul paesaggio, che passava veloce senza curarsi di noi, lasciando che le parole uscissero da sole. Avevo ripetuto quella spiegazione milioni di volte, ed altrettante ero stato costretto a sorbirla.
“Forse guidati dalla misteriosa forza di questo cristallo, gli esseri umani lo scoprirono, e ora esiste sotto varie forme. Poi, provoca sempre dei fenomeni soprannaturali, per qualche motivo.”
“Allora significa che, forse, l’origine dei fantasmi di Mater è collegata all’Innocence?”

Piuttosto tardo il ragazzino. Non gli avevo forse appena detto, tra le righe, proprio quello?
“Già.” Risposi, sfogliando stancamente il fascicolo, per recuperare la pagina cui ero arrivato. “Nei posti in cui si manifesta il soprannaturale c’è l’Innocence. Quindi, l’Ordine passa al pettine tali luoghi e, se conclude che le probabilità che sia presente sono alte, manda noialtri.”
Sperai che ciò fosse sufficiente a zittirlo, così ripresi la lettura dal punto in cui mi ero interrotto.
Tuttavia, qualcosa nella storia di quei fantasmi, non convinceva nemmeno me. L’Innocence era in grado di provocare strani fenomeni, non potevano esserci dubbi in proposito, ma allora quei “fantasmi”, cos’erano? Qual’era esattamente la loro natura?
Ripresi la lettura.
La storia di quel paesino non solo era tremendamente noiosa, ma anche piuttosto deprimente. “La terra dimenticata da Dio”, così era chiamato Mater, un piccolo paese addossato ad un’altura brulla, bruciato dal sole, totalmente isolato dalla civiltà. Non c’era da stupirsi se gli abitanti avevano cercato di distrarsi con... No, era assurdo, eppure...
“Ma questo...”
A quanto pare anche la mammoletta era arrivato alla mia stessa conclusione.
Fu Toma, il Finder che ci accompagnava, a darci la conferma definitiva.
“E’ così. Anch’io ho partecipato a queste ricerche, quindi l’ho visto con i miei occhi. La vera natura dei fantasmi di Mater è...”

“Non avrei mai pensato che i fantasmi di Mater fossero delle semplici bambole.”
“Se sono state costruite usando l’Innocence non è una storia impossibile.”

Quella dunque, era la natura dei “fantasmi”. Nient’altro che bambole, gingilli creati per sollevare, con la danza ed il canto, il tetro vivere degli abitanti di Mater. Da centinaia di anni il paese era ormai abbandonato, ma esse avevano continuato a funzionare, il che poteva significare solamente una cosa. Era l’Innocence a dar loro la vita e a mantenerle in funzione.
Appena scesi dal treno avevamo tentato di metterci in contatto con la squadra di Finder mandata in perlustrazione, ma invano. La trasmittente di Toma non funzionava ed inoltre, avevo un pessimo presentimento...e di rado il mio sesto senso sbagliava. Così ci ritrovammo a correre a perdifiato verso l’entroterra, nonostante avvertissi chiaramente che la nostra corsa non sarebbe stata abbastanza veloce...ed infatti...
Io e l’albino ci fermammo improvvisamente, nello stesso istante. Doveva aver avvertito anche lui ciò che avevo sentito io. Una sensazione di freddo, no...di gelo, come una morsa avvolta intorno al mio cuore, mi aveva pervaso. Era una sensazione di morte.
“Tsk. Ci siamo precipitati qui perché la trasmittente di Toma non funzionava, ma...li hanno ammazzati.”
Sotto di noi, il dirupo e, poco più in là, l’inizio dell’abitato, totalmente in rovina, come un vecchio decrepito che ancora tenta di stringere la sua morsa sul monte retrostante, come se rimanere attaccato ad esso potesse restituirgli la vita. Ma di vita, in quel paese, non ce n’era da molto tempo ormai...ed altra ne era appena stata sottratta. Mi chiesi dove si trovasse l’Innocence e, soprattutto, se i superstiti, ammesso che ce ne fossero, fossero riusciti in qualche modo a nasconderla o, quanto meno, proteggerla, in attesa del nostro arrivo.
Gettai un rapido sguardo verso la mammoletta. Era piuttosto scosso e pallido in volto, il che non fece che confermare l’idea che mi ero fatto su di lui. Non sembrava tipo in grado da sopportare una perdita senza batter ciglio, nonostante sembrasse rendersi conto quanto inevitabile potesse essere che ciò avvenisse, né mi pareva dotato di un autocontrollo sufficiente a non lasciarsi trasportare dalle proprie emozioni. Già avvertivo la sua rabbia crescere, in risposta all’uccisione dei Finder, persone che nemmeno aveva mai conosciuto. Probabilmente era il genere di persona pronta a sacrificarsi, pur di salvare gli altri.
Ridicolo. Un elemento del genere mi era solo d’intralcio.
“Ehi, tu.” Lo chiamai. “Te lo dico prima d’iniziare. Se anche il nemico stesse per ucciderti, ma io giudicassi il tuo salvataggio un ostacolo per la missione, ti lascerei morire.”
Quel moccioso mi squadrò con un’espressione tra il sorpreso ed il disgustato. Cavoli suoi.
“Ogni guerra ha i suoi sacrifici, è una cosa normale, quindi non farti venire strane idee di cameratismo.”
“Che modo di parlare spiacevole.”
Ribatté, distogliendo lo sguardo dal sottoscritto.
Sapevo bene ciò che gli stava passando per la testa in quel momento e non m’importava. Era ciò che pensava chiunque mi avesse incontrato, almeno una volta. Insensibile, irascibile, menefreghista...ed una quantità imprecisata di altri aggettivi, nessuno dei quali tendeva verso il positivo. Che pensassero ciò che gli pareva, non era un mio problema e mai lo sarebbe diventato. Avevo smesso di interessarmi al giudizio altrui da parecchi anni...da una vita, avrei potuto dire. Le uniche due persone per cui sarebbe valsa la pena fregarmene della mia esistenza, se n’erano già andate da tempo...una si era spenta per mano mia...
Dei boati mi fecero focalizzare nuovamente sul paese.
Nell’occhio del ciclone, avvolta dalla loro furia, una barriera proteggeva quello che supposi essere il “fantasma”. Una mossa furba, dovetti ammetterlo, nonostante fosse costata la vita di chi l’aveva attuata.
Al limite della barriera, un Finder, riverso a terra, subiva le angherie di...un Akuma? Da quella distanza mi era difficile scorgerlo con sicurezza, ma ero certo che non si trattasse del nemico con cui avevo abitualmente a che fare. Decisi che era il caso di trattare la faccenda con prudenza, volevo conoscere il mio antagonista, prima di assestargli il colpo di grazia.
A quanto pareva, il moccioso non era dello stesso avviso. Non avevo ancora terminato le mie considerazioni, che si era già gettato a capofitto, in soccorso del poveretto, senza pensare minimamente alle conseguenze del suo gesto.
“Quello stupido.”
Nella foga, oscurato dal suo dannato altruismo, non si era neppure accorto del pericolo cui era andato incontro. Quell’Akuma era differente dai suoi simili, che invano tentavano di attaccare la barriera, era riuscito ad evolversi al secondo livello, il che significava che, oltre a possedere un ego ed un Io cosciente, poteva vantare una quantità sconosciuta di poteri. Quel moccioso irriverente si era cacciato in un bel guaio. Che ne venisse a capo, ora.
Voltai lo sguardo verso la barriera mistica a protezione della bambola. Quattro Akuma vi si accanivano senza posa e compresi che non avrebbe resistito ancora per molto.
Era ora di lavorare.
Con un movimento reso automatico dal tempo, la mia mano destra estrasse l’Innocence dal fodero. Ogni volta, posavo lo sguardo su di lei, come avrei fatto con una vecchia compagna d’armi...in fondo, poi, era proprio ciò che era. Ero più che convinto che fosse l’essere, benché inanimato, che, sull’intero globo terrestre, avesse la maggiore capacità di comprendermi. L’odiavo, ma non potevo fare a meno di lei.
La lama, nera e letale, scintillava alla luce della luna.
“Andiamo, Mugen.”
Indice e medio della mia mano sinistra percorrevano la lama ed il consueto bagliore azzurro prendeva il posto dell’oscurità, mentre l’Innocence veniva evocata.
La maggior parte delle volte, questo era sufficiente a concludere una missione. Solitamente affrontavo quegli esseri all’arma bianca, distruggendoli uno ad uno. Questa volta, però, non avevo tempo da perdere, dovevo eliminarli tutti in un unico colpo, prima che la barriera cedesse.
Saltai dal tetto, mentre Mugen percorreva un arco intorno a me, consumando nella sua Prima Illusione ogni Akuma sulla mia traiettoria. Atterrai, fra i rottami dilaniati, cercando, tra i cadaveri, i segni di un respiro.
Rinfoderai Mugen e mi chinai su uno dei corpi più vicini, che ancora dava deboli segni di vita.
“Ehi, qual è il codice per disattivare quel talismano?”
Il Finder aveva il cranio devastato, era incredibile che fosse ancora vivo. Sperai che riuscisse almeno a parlare, in quel poco tempo rimastogli.
“S-siete arrivati...esorci...sti...”
Quell’idiota. Già era poco il tempo concessogli, che non lo sprecasse in inutili convenevoli!
“Rispondi in fretta, se non vuoi rendere vane le morti dei tuoi compagni.”
Con le ultime forze rimastegli, riuscì a rispondere, poi, con un lieve tremito, si spense.
“Have hope”. Che razza di codice. La speranza era solo uno specchietto per le allodole, non avrebbe mai salvato nessuno. Era un sentimento che dal sottoscritto non avrebbe mai ricevuto considerazione...non di nuovo, comunque.
Disattivata la barriera, presi con me entrambe le bambole, o quello che erano, e mi rifugiai veloce tra i tetti in rovina. Erano piuttosto pesanti e mi ostacolavano i movimenti, quindi era bene che mi sbrigassi a portarle in un luogo sicuro, prima di poter recuperare l’Innocence, lontano da quell’Akuma.
Tra le vie intravidi la mammoletta, ancora alle prese con quel Livello Due. Alzò lo sguardo verso di me. Se stava cercando aiuto, non aveva proprio capito niente.
“Non ti aiuto.” Misi subito in chiaro. “E’ colpa tua se ti sei lanciato, mosso dalle emozioni, quindi arrangiati da solo.”
Mi aspettai di leggere lo smarrimento sul suo volto, ma, al contrario, mi rispose con un’espressione decisa, tutt’altro che rassegnata. Forse sarebbe riuscito a sopravvivere più qualche mese, all’Ordine.
“Va bene, lasciami pure qui. Se so che l’Innocence è con te sono tranquillo, vi raggiungo dopo aver distrutto questo Akuma.”
Tsk. Sempre più stupido. Si era lasciato ferire come un idiota ed ora blaterava di distruggere Akuma. A volte mi chiedevo come potesse l’Innocence scegliere elementi del genere. Ma dopotutto, non mi interessava.
I miei “passeggeri” ben saldi, saltavo di tetto in tetto, quanto veloce il loro peso mi permetteva, cercando di allontanarmi il più possibile dal luogo dello scontro. Una volta al sicuro avrei dovuto convincere quella bambola a consegnarmi l’Innocence, in un modo o nell’altro.
Trovare un luogo riparato, tuttavia, pareva davvero un’impresa ardua. La maggior parte delle case era ormai sventrata dal tempo e le intemperie e non offriva alcun riparo, nemmeno le vie potevano dirsi esenti da pericoli, così aperte al cielo notturno, anche i vicoli più stretti. Nonostante la mia forza superasse quella di un uomo normale, con due pesi da portare, anche le mie braccia iniziarono la loro silenziosa protesta.
“Voi vivete qui da anni. Non c’è un posto dove nascondersi?”
Fu la ragazzina a rispondermi. Aveva qualcosa di strano...
“Ci sono dei corridoi sotterranei, sotto la città.”
“Corridoi sotterranei?”

Quali altri segreti celava quel luogo?
“In questa città vi sono abitazioni sotterranee,” continuò, “costruite per sfuggire alla forza degli impietosi raggi del sole. È quasi un labirinto, se vi ci si addentra senza conoscerlo, ci si perde sicuramente...però c’è un uscita che, attraverso la valle, porta in riva al mare.”
Quando pose nuovamente lo sguardo su di me avvertii chiaramente la sua preoccupazione. Probabilmente sapeva che non avrei atteso d’arrivare al mare, per richiedere l’Innocence.
Non mi sentivo tranquillo. In quel labirinto di cunicoli avrei dovuto fare totale affidamento su di loro e la cosa non mi piaceva per niente.
“Quei mostri di nome Akuma possono volare. È meglio nascondersi sottoterra.”
Vero anche questo. Tuttavia, ancora non avevo alcuna informazione circa i poteri di quell’Akuma evoluto. Per quanto ne sapevo, avrebbe anche potuto seguirci.
Atterrai in uno degli stretti cunicoli che spezzavano il susseguirsi dei muri delle case. Decisi di seguire il consiglio della ragazzina ed andare in quel labirinto. La possibilità di salvezza pareva comunque più alta lì, piuttosto che rimanendo in superficie.
Il mio golem, nascosto nel colletto dell’uniforme, diede segni di vita, sgusciando fuori e cominciando a svolazzarmi intorno. Toma doveva avere qualche novità.
“Toma? Come va lì?”
Il suono arrivava distante e molto disturbato, a causa della trasmittente guasta del Finder, ma riuscii comunque a carpire l’essenziale. A quanto pareva, quel Walker era scomparso nello scontro e non se ne avevano notizie. Non avevo sbagliato giudizio sul suo conto, era proprio un moccioso avventato. Avrebbe dovuto cavarsela da solo.
Il problema, ora, era che, perso l’Esorcista, quel dannato Akuma si era messo ad inseguire Timcampi ed io avevo proprio bisogno delle sue abilità di registrazione. Era un rischio, ma bisognava recuperarlo.
“Ho capito. Mando in perlustrazione il mio golem per farti da guida, quindi porta soltanto Tim e raggiungimi. È pericoloso fermarsi a lungo. Ora mi servono i poteri specifici di Timcampi.”
“Si.”
Detto ciò chiuse la comunicazione.
Imprecai mentalmente. Nulla in quella missione andava per il verso giusto.
Ero abituato a gestire gli incarichi da solo, io e Mugen, e, per i miei standard, quello era già fin troppo affollato. Per lo più mi era stato affibbiato un incapace novellino. Quasi cominciai a pensare che, dovendo in ogni caso avere a che fare con un elemento simile, sarebbe quasi stato preferibile che mi avessero assegnato quella bionda. Nonostante avessi avuto l’incontrollabile istinto di farla a fettine, non appena mi aveva rivolto la parola, sembrava comunque meno avventata della mammoletta. Doveva avere un carattere difficile, certo, ma sembrava il genere di persona con cui poter beatamente evitare di parlare.
Buffo, io che mi mettevo a disquisire circa l’intrattabilità altrui. Davvero divertente.
Mi rivolsi ai miei due “ospiti”.
“Bene, ora si scende sottoterra. La strada la sapete, vero?”
Se mi fossi anche dovuto perdere nel sottosuolo a causa loro, avrei completato il quadro della mia già pessima giornata.
“La conosco...” affermò il più grande dei due.
Non ero riuscito scorgere il suo aspetto, ma, a giudicare dalla voce, doveva essere un uomo, anche piuttosto in avanti con gli anni.
“Io...sono qui da cinquecento anni, non vi sono strade che io non conosca.”
Il suo viso, lasciato scoperto dall’enorme copricapo che si era appena tolto, era impressionante. Grinze, deformazioni e rughe lo ricoprivano completamente...non avevo mai posato gli occhi su di un volto più martoriato. Dovette avvertire il mio sgomento, più che altro per la sorpresa di fronte a ciò che mi trovavo davanti.
“Sei tu la bambola? Sono stupito che tu possa ancora parlare.”
“Già. Voi siete venuti a prendere il mio cuore, vero?”
Aveva afferrato il punto, il che mi risparmiava una notevole dose di tempo, rendendo le cose molto più semplici. Inutile girarci intorno.
“Se possibile vorrei che me lo consegnassi subito.”
Lessi immediatamente l’orrore sul volto della ragazzina che l’accompagnava.
“Portarmi dietro una bambola enorme è troppo impegnativo.” Spiegai.
Non riuscivo a togliermi di dosso quella strana sensazione, ogni volta che la guardavo. Sembrava non avvertissi la sua presenza, fino a che non faceva qualche movimento, comparendo nella mia visuale, il che era curioso. Era molto raro potermi cogliere di sorpresa...
La bambina si parò di fronte a me, ponendosi davanti alla bambola, proteggendola, cercando in ogni parola che urlava di difendere la sua causa. Che diamine ci faceva una ragazzina di quell’età, sola, in una città isolata ed abbandonata, soltanto in compagnia di una bambola ultracentenaria? Tutto ciò aveva decisamente poco senso.
“E tu chi sei?”
Quella domanda parve far crollare parte della sua determinazione, nonostante non sembrasse per nulla disposta a lasciare il suo posto. Continuava a tenersi tra me e la sua preziosa bambola. Tuttavia non sembrava in grado di rispondere a quella semplice domanda.
“E’...una bambina abbandonata dagli umani. L’ho trovata...e l’ho presa con me..!”
Improvvisamente iniziò a tossire pesantemente, prontamente soccorso dalla ragazzina.
Più li osservavo, più cresceva dentro di me la sensazione che ci fosse un tassello fuori posto in quel quadro. Restando fermo il fatto che il cuore di quella bambola fosse Innocence, le sue condizioni di “salute” erano quanto mai sospette. Non si era mai vista una bambola tossire. E quella bambina...
Un fruscio in fondo alla scalinata, dietro di me, accantonò momentaneamente le mie considerazioni. L’arrivo di Toma mi fece concentrare su più pressanti problemi, lasciando cadere, almeno per il momento, la questione riguardante il cuore della bambola.
“Mi spiace, ma non posso rinunciare.” Continuai, rivolto al vecchio “fantasma”. “Non posso lasciare che quell’Akuma entri in possesso del tuo cuore. Per ora va bene così, ma alla fine, mi farò consegnare il tuo cuore, inevitabilmente. Mi dispiace che siate stati coinvolti.”
Altre due anime innocenti, reclamate dalla lotta per il possesso dell’Innocence. Non era certo colpa loro, ma la situazione che li aveva resi partecipi di questa grande battaglia, prevaricava ormai di gran lunga le loro possibilità ed il loro libero arbitrio. Non erano i primi, né mai sarebbero stati gli ultimi, che sarei stato costretto a sacrificare, per compiere il mio dovere...e comunque, nemmeno io avevo scelta.
Mi avvicinai al Finder, che teneva tra le mani ciò che a prima vista mi parve null’altro che ghiaia dorata.
“Ecco Timcampi.”
Dunque, era Tim. L’Akuma aveva sfogato la sua furia persino sul golem.
Attesi pazientemente che si ricomponesse, dopodiché gli chiesi di mostrarmi i dati che aveva raccolto sul Livello Due.
Le informazioni che aveva raccolto erano limitate, ma comunque molto interessanti e mi permisero di farmi un’idea effettiva circa quanto fosse in grado di fare quell’Akuma. Era decisamente pericoloso.
“E’ come uno specchio...” Riflettei, ad alta voce.
“Scusi?” Sentii il Finder chiedere, senza comprendere.
“Questo Akuma è al rovescio.” Spiegai. “Quando si è trasformato in mammoletta, gli abiti, l’arma... la destra e la sinistra sono capovolte.”
Davvero un’abilità sorprendente.
“Anche il doppione tagliato a metà è al rovescio.” Continuai, visionando i dati trasmessi da Tim. “Inoltre, l’interno era vuoto, era soltanto un fantoccio tridimensionale, per mostra. Questo non è un semplice potere di trasformazione...potrei dire che quello usa qualcosa per riprodurre il bersaglio. Inoltre, una volta impadronitosi di ciò che riproduce, a quanto pare può fare uso anche dei poteri della controparte.” Aggiunsi, notando con quale libertà aveva modificato l’arma anti-Akuma dell’albino.
Quel maledetto idiota! Non poteva farsi fregare qualcosa di più pericoloso! Se fosse stato ancora vivo, lo avrei fatto a fettine...
“Anche se fosse ancora vivo,” riflettè Toma, dando corpo al mio pensiero, “una volta che si presentasse a noi, non potremmo riconoscerlo.”
“Quello non è un problema. È al rovescio, quindi si capirebbe subito... Se avesse la faccia tosta di presentarsi così, sarebbe proprio uno stupido.”
Una parte di me sperò vivamente che lo fosse. Ero ansioso di sbarazzarmi in fretta di quella missione, iniziavo davvero a non sopportarla...
Era ora di scendere nei sotterranei, guidato, volente o nolente, da quella stana coppia. Mi voltai verso di loro, per esortarli a farci strada, ma...erano scomparsi! Avevano approfittato della mia distrazione e, mentre stavo analizzando le registrazioni di Tim, se l’erano filata! Maledissi me stesso per non essermene accorto. Ora avrei anche dovuto mettermi a cercarli.
“Merda, dove saranno?!”
Ero “lievemente” furioso.
Stavo per incamminarmi, con passi nervosi e decisi, attraverso il cunicolo che immaginai avessero imboccato, ma l’urlo allarmato di Toma mi arrestò bruscamente, costringendomi a voltarmi velocemente, in posizione di guardia, dalla parte opposta.
Con passo incerto, le punte degli stivali che strisciavano stancamente sulle mattonelle polverose, barcollante e con gli occhi sbarrati, al limite dello spiritato, mammoletta veniva verso di noi... solo che era al contrario.
“E’...è al rovescio!” gridò il Finder.
Mugen era già tra le mie mani, scintillando morte.
“A quanto pare, è uno stupido coi fiocchi.”
Sembrava stesse sussurrando qualcosa, ma in tono così flebile che non mi permise di capirlo. Se stava cercando pietà, era davvero idiota.
Un fendente, rapido e letale, sprigionò la Prima Illusione contro l’Akuma. Le creature generate da Mugen si avvicinarono alla velocità della luce, pronte a divorarlo.
“Torna nell’oblio!”
Ancora un attimo e sarebbe scomparso per sempre...ma l’Innocence venne fermata improvvisamente da un ostacolo, spuntato inaspettatamente dal muro.
Quel dannato mammoletta comparve senza preavviso da un cunicolo aperto nel muro laterale, mentre l’Akuma stramazzava a terra, esanime. Era diventato matto?!
“Che hai nella testa, dannato?! Perché hai protetto un Akuma!?”
Ero furioso, fuori di me. Cosa diamine poteva spingere un’Esorcista, anche il più smidollato di essi, a proteggere un suo nemico?! Cosa nascondeva quel maledetto ragazzino?...Gli conveniva fornirmi risposte in fretta, e che fossero esaurienti.
“Kanda, il mio occhio è in grado di riconoscere gli Akuma, questa persona non lo è.”
Non aveva senso. Era un’immagine speculare del ragazzino e solamente il potere di quell’Akuma era in grado di riprodurre fedelmente le caratteristiche di una persona, riflettendole su sé stesso. Se quello non era l’Akuma...chi era? Ma soprattutto, l’Akuma stesso, dove si nascondeva?
Sentivo intorno a me crescere una sensazione di disagio. Qualcosa lì non quadrava...
L’albino si chinò sull’individuo a terra, allarmato.
“Una crepa nel viso?”
Con un movimento rapido strappò la pellicola che ricopriva il volto dell’uomo, rivelandone l’identità. Toma.
“Ma cosa?!”
Se quello a terra era il Finder, allora...l’uomo cui davo le spalle era...
“L’altro Toma è l’Akuma, Kanda!”
Troppo tardi.
Mi colse alla sprovvista, senza che avessi il tempo di reagire. Tutto ciò che avvertii con chiarezza fu un forte colpo al petto, lo scricchiolio del mio torace ed il muro, o forse più d’uno, che si sgretolavano contro mia schiena e la mia testa. L’Akuma mi teneva saldamente per il collo, sollevandomi da terra, contro la parete. Sentivo i capelli, sciolti, cadere scompostamente attorno al mio viso ed il sapore ferroso del mio sangue riempirmi la bocca e la gola. Parecchie costole erano sicuramente rotte.
Mugen non era più con me.
“Maledetto...quando...?”
“Eh eh eh! Prima che si unisse a te!” Iniziò a schernirmi l’Akuma. “Quando ho distrutto il golem giallo, ho trovato anche quel Toma. Ho pensato che, conciato com’è questo, non ci si accorge se è al rovescio o no. Tu stavi attento alla destra e alla sinistra, no?”
Quel dannato mi aveva fregato proprio per bene. Aveva previsto con lucidità ogni mia mossa ed io ci ero cascato come un pivello.
“La “forma” del tizio coi capelli bianchi l’ho fatta indossare a quello...eh eh eh. Sono furbo, io.”
Con l’unghia dell’indice continuava ad aprire strati della sua “pelle”. Avrebbe potuto continuare in eterno, riproducendo chiunque desiderasse e mascherandone altrettanti con sembianze altrui. Furbo, lo era davvero...dannazione.
“La mia pelle è carta riflettente. Ti sei fatto ammazzare come un bambino, tu.”
Un sorriso amaro in volto, lo sfidai a compiere la sua prossima mossa. Ero conscio di ciò che mi aspettava.
Strinsi i denti istintivamente e mi irrigidii, mentre un dolore lancinante percorreva ogni fibra del mio corpo. Gli artigli di quel dannato mostro mi lacerarono dalla spalla al fianco, con crudeltà e violenza...

Soffrivo...
Intorno a me fili d’erba e arbusti...
Tendo la mano verso il cielo...il dolore mi sovrasta...la vista si annebbia...
Cerco di resistere...cerco Lei...
Un Akuma viene verso di me, un’espressione sadica in volto...lui stesso mi ha ridotto così...in fin di vita...
Ma io non posso morire...non ancora...
Quasi mi ha raggiunto...forse non riuscirò a scamparla...non questa volta...

A fatica mi costrinsi a riprendere conoscenza, sotto gli implacabili fendenti dell’Akuma, che non cessava di infierire sul sottoscritto. Le gambe minacciavano di cedere in ogni istante, ma mai glielo avrei permesso, nonostante stessi perdendo molto sangue.
Sarei rimasto in piedi.
“Crepa!”
Tsk. Speranza vana.
“Figurati se muoio...”
Sentivo il rumore del mio sangue cadere sui consunti mattoni del vecchio pavimento. La polvere ancora aleggiava intorno a me, ma forse era solamente l’effetto della vista annebbiata dal dolore...
Le forze stavano per abbandonarmi...ma comunque...io non sarei morto...mai...
“Io...non posso certo morire, prima di aver trovato Quella Persona...”
Io...non avrei mai potuto...
Non avrei resistito a lungo.

Fatico a tenere gli occhi aperti...
All’improvviso, fiamme verde mare avvolgono il mostro, rallentandone la marcia...
“Non ti lascerò uccidere anche lui!”
Quella voce...non era Lei...era Quella...
Odo un grido...la risata dell’Akuma...il tonfo di un corpo che cade a terra...anche Quella non è riuscita a tenergli testa, dunque...
È solo alla sua prima missione...ma già il Cielo l’ha reclamata a sé...
Anche Lei non è più con me...lo intuisco...mi ha lasciato...non ho più ragione di vivere...
“Sei ancora vivo?”
Il mostro è sopra di me...mi guarda beffardamente...cala il colpo...
Poi tutto...diventa oscurità...nero oblio...

Strano...era da tempo che Quella ragazza non compariva tra i miei nebulosi ricordi. Chissà per quale motivo mi stava tornando alla mente proprio ora...
Gli occhi faticavano a rimanere aperti, la mente non tentava nemmeno più di mantenersi lucida.
Rivivevo una scena già vissuta, ma stavolta ero solo. Lei non era con me e non lo sarebbe stata mai più...
Nemmeno la mia misteriosa protettrice era presente. Mi chiesi cosa fosse stato di lei...
Ma quel momento, tra i dubbi, persi i sensi...

Spero di aver ridotto al minimo gli errori di battitura, stavolta.
Più la storia prosegue, più i capitoli diventano lunghi...strana conseguenza XD
Se siete arrivati a leggere fin qui i fondo meritate un abbraccio psicologico...e le mie scuse per aver scritto così tanto XD

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Capitolo 8
*** In Missione ***


Eccomi finalmente con l'ottavo capitolo di questo mio immane ed autolesionista lavoro! Come tirarsi la zappa sui piedi...comunque, ormai siamo quasi nel vivo del racconto. Le presentazioni caratteriali generali dei miei due protagonisti, soprattutto per quanto riguarda Kris, sono abbastanza complete da permettermi di passare, finalmente, all'azione anche con lei, nei prossimi capitoli.
Questo è un capitolo parecchio psicologico che, forse, ad alcuni risulterà "noioso", ma spero comunque vorrete leggerlo fino in fondo e recensire...
Parlo sempre troppo, come al solito....dopo i consueti ringraziamenti a tutti coloro che mi seguono e che soprattutto mi recensiscono, concludo con un....Buona lettura!!!!!!!

Hikari

8th Night: In Missione

Passeggiando lungo uno degli ampi camminamenti esterni, guardavo l’alba inondare della sua luce rosata gli alberi, giù in basso, ed i grigi muri che mi circondavano. Massaggiandomi le braccia doloranti, mi appoggiai ad uno dei grandi pilastri e lasciai che il tenue calore del sole nascente mi confortasse.
Mi trovavo nel bel mezzo di alcuni tra i peggiori giorni della mia vita. Da quando ero giunta all’Ordine, il mio sonno era decisamente peggiorato, come se quel luogo, da solo, fosse stato in grado di riportare a galla tutti gli incubi che per quei lunghi anni erano rimasti sopiti nel mio inconscio. Tuttavia, non ero più così sicura della natura onirica di quelle immagini, cosa che, naturalmente, non faceva che accrescere la mia ansia. Più che sogni, parevano visioni, come se la mia stessa mente stesse cercando di mettermi in guardia...da cosa, però, non ne avevo la minima idea. L’unico elemento certo era che, quanto più quelle immagini affollavano le mie tormentate notti, tanto più io perdevo preziose ore di sonno.
A peggiorare ulteriormente la situazione pensavano i tremendi dolori muscolari, ormai miei fidi compagni in quei primi giorni della mia nuova vita. Ginnastica, corsa, arti marziali, spada...cominciavo a perdere il conto delle quantità e del tipo di allenamenti cui ogni giorno venivo sottoposta. Nonostante la mia forza e resistenza fisica superassero la media femminile, un ritmo del genere avrebbe distrutto chiunque!
Mi sedetti sulla balaustra, appoggiando la mia povera e provata schiena al pilastro. Il sole, nel frattempo, si stava levando alto ed il suo calore si faceva sempre più intenso. Ancora qualche minuto e avrei dovuto abbandonare quella pace.
Sospirai sconsolata.
Niente andava nel verso giusto. Da diversi giorni mi sottoponevo senza posa ad estenuanti sedute di allenamento e meditazione, tuttavia, malgrado i notevoli progressi, non avevo ancora raggiunto il risultato più importante e fondamentale.
Già.
Ancora non riuscivo ad evocare l’Innocence.
Dopo la mia prima, drammatica evocazione, Apocalypse era rimasta muta. Nonostante cercassi con tutte le mie forze di ritrovare in lei quel potere così distruttivo, che mi aveva permesso di vendicare mio padre, la spada non mi rispondeva, restava scintillante ed immobile tra le mie mani.
Forse il problema era proprio lì.
Quando l’avevo evocata, la prima volta, ero consumata dalla rabbia e dal desiderio di vendetta verso quei mostri che mi avevano distrutto la vita e ucciso tutti coloro che mi erano cari. In altre parole, avevo avuto un bisogno disperato del suo potere.
Ora, invece, non ne sentivo per nulla la necessità.
Non avevo mai avuto la minima intenzione di abbandonare la mia vita, né volevo trascorrere la mia intera esistenza chiusa lì dentro, al servizio di un Dio che non aveva mai mostrato interesse nei miei confronti, lasciandomi sola a crogiolarmi nelle mie sofferenze. Non avevo chiesto io di diventare un’Esorcista e, malgrado avessi ormai preso coscienza che ciò fosse inevitabile, questo non significava che la situazione mi piacesse. Tutt’altro.
Odiavo l’Innocence e desideravo ogni minuto della mia vita, da che mi aveva trovata, che sparisse, si volatilizzasse e mi lasciasse in pace.
E probabilmente lei lo sapeva, ragion per cui mi era impossibile evocarla.
Tutto ciò era particolarmente frustrante.
Il calore del sole stava cominciando a diventare fastidioso, così mi alzai e di diressi verso la piacevole ombra dei corridoi. Il mio senso dell’orientamento, in quei giorni, era decisamente migliorato ed ero riuscita a memorizzare quasi tutti i percorsi principali, nonostante mi capitasse ancora spesso, soprattutto dopo gli estenuanti esercizi fisici, di bussare alla porta sbagliata. Fortunatamente quasi tutte le camere erano per lo più vuote, quindi riuscii ad evitare le figuracce peggiori, nonostante due giorni prima mi fosse accidentalmente capitato di bussare alla porta di un Lavi assonnato, che esibiva degli imbarazzanti boxer rosa con disegnati dei panda. Ripensare alla scena mi fece quasi scoppiare a ridere, malgrado non fosse mia abitudine.
Passai dalla camera per infilarmi una camicia, dopodiché scesi per la colazione.
A quell’ora del mattino, la mensa non era mai particolarmente affollata e mi permetteva di consumare la mia brioche in tutta tranquillità, senza dover per forza colloquiare con qualcuno. Era il momento in cui riannodavo le ingarbugliate fila della mia bizzarra psiche.
Quella notte, un “sogno” in particolare mi aveva tenuta sveglia, ragion per cui quella mattina ero molto più spossata del solito.
Non ricordavo con precisione la scena, inoltre, i collegamenti logici e temporali tra le immagini erano molto confusi.
Correvo ansiosa in quello che pareva un grande prato d’erba alta, l’Innocence sguainata al mio fianco, ma di cui non riuscivo con certezza a distinguere l’aspetto, eccezion fatta per le fiamme verdi-azzurre che emanava. In fondo al mio campo visivo c’era quello che identificai come un Akuma, nonostante fosse molto più grosso e totalmente diverso rispetto a quelli che avevo incontrato al villaggio...
Ripensare a quel mostro in particolare, fece crescere in me un’ondata di innato terrore, che non seppi spiegarmi.
A quel punto del sogno, tutto era diventato confuso. Ricordavo di aver gridato qualcosa, forse di aver visto qualcuno a terra, tra l’erba alta...mi pareva di aver colpito quel mostro con l’Innocence, ma non ne ero troppo sicura.
Poi l’Akuma si era volto nella mia direzione e, con una forza sovrumana, mi aveva colpita in pieno petto.
A quel punto mi ero svegliata, sudata e respirando a fatica, mentre un dolore lancinante mi percorreva tutto il corpo, come se quel colpo devastante fosse stato reale, un dolore che ancora ora lasciava sentire la sua debole eco, nonostante fossero passate diverse ore.
Quelle immagini mi avevano parecchio destabilizzata.
Avevo avuto davvero paura di quel mostro, credevo seriamente di essere morta sotto la sua ira.
Erano sensazioni talmente vivide e reali da bruciarmi ancora dentro al solo pensiero. Un semplice sogno non era in grado di procurare simili reazioni. Oppure si?
Mi sforzai di convincermene, o non sarei riuscita a levarmi di dosso la strisciante sensazione di disagio e di...mancanza, che quei sogni mi lasciavano ogni volta.
Perché, al risveglio, avevo sempre la sensazione di aver perso irrimediabilmente qualcosa?
“Sei parecchio pensierosa stamattina.”
Alzai gli occhi verso la mia nuova interlocutrice, che mi distolse, fortunatamente, dai miei angosciosi pensieri.
Linalee si era appena seduta di fronte a me, una tazza fumante di tè tra le mani. Tra tutti coloro che avevo incontrato da che ero giunta all’Ordine, lei era quella la cui compagnia mi metteva meno a disagio. Non ero più abituata a stare in mezzo alla gente e non ero mai stata un tipo loquace, così, la maggior parte della volte, preferivo fosse la solitudine a farmi da compagna. La sorella del Supervisore, però, era sempre stata molto gentile con me e parlare con lei, risultava molto più semplice che rivolgersi ad altri.
“Si, parecchio.”
Riabbassai gli occhi sul cappuccino. Jerry era riuscito a creare un piccolo cuore con il cacao e la schiuma, quasi mi dispiaceva intingere il cucchiaino in quella deliziosa opera d’arte.
“Hai di nuovo dormito poco.”
Non era una domanda, si vedeva lontano chilometri quanto i miei occhi fossero stanchi e gonfi per la mancanza di sonno.
“Già, di nuovo quei dannati incubi...”
“Forse ti andrebbe di parlarne?”
Mi andava? Non ne avevo idea.
Confidarmi con qualcuno non era esattamente una passeggiata per la sottoscritta, tuttavia sfogarmi, forse, mi avrebbe aiutata, se non a schiarirmi le idee, almeno a sentirmi lievemente più sollevata.
“Non saprei da dove cominciare.”
Era vero. Quei sogni mi avevano accompagnata per tutta la vita di cui avevo memoria e, ormai, ero abbastanza sicura del fatto che fossero legati a qualche doloroso trauma subito nei primi anni di vita, di cui non conservavo ricordo alcuno. Cosa potevo aver provato di così terribile da farmi perdere ogni memoria?
Proprio per questo, probabilmente era meglio non mi facessi troppe domande. La perdita di memoria, per quanto ne sapevo, poteva anche essere infinitamente migliore rispetto alla verità.
“Caspita, sempre di poche parole voi spadaccini!”
Ridacchiò divertita.
Effettivamente non potevo certo ammettere di aver dato un tono incalzante alla conversazione.
Poi mi balzò alla mente la fine della sua esclamazione.
“Voglio sperare tu non mi stia paragonando a quel decerebrato orientale col codino...”
“Avete già litigato?!” chiese, tra lo sconsolato ed il rassegnato.
“Lui ha litigato con me.”
Ripensare al mio unico e breve incontro con quel tipo mi fece venire una gran voglia di rompere qualcosa...la sua testa, per esempio.
“Non hai avuto molta fortuna. Incontrare il primo giorno l’Esorcista col peggior carattere dell’Ordine, non è proprio un buon inizio.”
Sembrava quasi imbarazzata, il che mi fece pensare che, avvenimenti del genere, si ripetessero spesso. Quel tipo era davvero degno del mio odio incondizionato.
“Non lo sopporto. Dovessi svolgere la mia prima missione con quello, darei le dimissioni.”
Linalee parve rattristarsi lievemente.
“Non credo sarebbe possibile...”
Già...
Come se non lo sapessi. Mettendo piede lì dentro, avevo rinunciato per sempre alla possibilità di scelta sulla mia stessa vita. Non avrei mai potuto lasciare l’Ordine, o almeno, non da viva...
“No, infatti...”
“Sai...non sembri contenta di stare qui, e posso capirti, ma continuare a combattere questa situazione non ti aiuterà a viverla meglio.”
“Dovrei rassegnarmi?”
“Non sto dicendo questo, ma dovresti accettarti per ciò che sei.”

Non capivo e dovette leggerlo nel mio sguardo.
“L’Innocence non sceglie i suoi compatibili a caso. Tu sei nata, che ti piaccia o no, per questo ed è una situazione che non potrai mai cambiare.”
“E a te sta bene?”

Non potevo credere che lei volesse consapevolmente vivere in quel modo. Era un’esistenza da incubo....non era vivere!
“No. Io detesto l’Innocence, mi ha portato via la mia vita, le persone che amavo, ogni cosa...”
“Ma allora..”

Mi fermò con un gesto della mano.
“Però, mi ha dato la possibilità di conoscere persone meravigliose, che altrimenti non avrei mai potuto incontrare, di vivere emozioni forti assieme a loro, di gioia come di dolore, di condividere con esse ogni momento della mia vita. Se non fossi diventata un’Esorcista, avrei perso tutto questo.”
“Ti ha tolto tutto. Come puoi anche solo pensare di ringraziarla?”
“Non la ringrazio affatto, tutt’altro, ma sono costretta ad ammettere che la sua presenza non ha portato solo dolore nella mia vita.”
Continuò. “Dalle una possibilità, Kris. Nessuno ti chiede di amarla, ad oggi, non ho mai incontrato nessun Esorcista che non odiasse, anche solo un minimo, la propria Innocence, ma ognuno di noi ha trovato un compromesso. “
Pensare di venire a patti con lei, fece montare in me una rabbia ed un’irritazione così forti, che dovetti trattenermi dal tirare un pugno sul tavolo, per sfogarmi. Giungere a compromessi con qualcosa che mi aveva rovinato irrimediabilmente l’esistenza...la sola idea era disgustosa.
“Io non ho alcuna ragione per giungere ad un compromesso con l’Innocence. Al momento, nemmeno riesco ad evocarla, non ti sembra una prova sufficiente del fatto che entrambe non vogliamo avere nulla a che fare l’una con l’altra?”
Linalee parve davvero sorpresa dalla mie parole.
“Come...non riesci a evocarla?”
“No.”
Parlare con lei aveva portato a galla tutto l’astio e la frustrazione accumulati in quei primi durissimi giorni. Non ne potevo più, ore ed ore stressanti e faticose non avevano ancora portato a nulla.
“Probabilmente è tutto un malinteso. Quella volta l’avrò evocata solo per pura fortuna.”
“L’Innocence non si evoca “per pura fortuna”, una persona non compatibile non potrebbe mai estrarre il suo potere.”
“Se anche tu avessi ragione, io non ho più motivo d’evocarla ormai. Quella volta...ero disperata, avevo bisogno del suo potere...ora non più. Probabilmente anche lei l’ha capito e si è rassegnata.”

Maledissi il destino, che aveva fatto si che quella mattina Linalee fosse già in piedi di buon ora. Ecco uno dei motivi per cui preferivo stare per conto mio: niente domande e niente conversazioni personali.
Detestavo scavare nel profondo di me stessa, preferivo lasciare che i problemi decantassero, ignorati, in attesa che, in qualche modo, trovassero una via per essere risolti. Scappavo dal mio stesso Io, e la cosa non mi aveva mai dato nessun fastidio.
“Credi di non averne più bisogno. Uno dei motivi per cui odio l’Innocence è che non posso fare a meno della sua presenza. E’ una parte di noi.”
Era il discorso più assurdo che avessi mai intrattenuto, eppure, nella sua delirante stranezza, aveva terribilmente senso. Nonostante l’odiassi, non riuscivo più ad immaginare la mia vita senza Apocalypse, l’aveva stravolta a tal punto da divenirne parte integrante.
“E’ così frustrante.”
“Decisamente,”
mi disse aprendosi in un sorriso e alleggerendo l’atmosfera della conversazione che, nel frattempo, si era fatta parecchio pesante, “tanto vale provare ad andarci d’accordo no?”
Già, in fondo tanto, cosa sarebbe cambiato?
Parlare con Linalee mi aveva, in un certo senso, aperto gli occhi. Fino a quel momento, non avevo fatto altro che chiudermi nel mio rassicurante guscio, sperando che la questione, una volta ignorata a sufficienza, si sarebbe volatilizzato di propria volontà. Ovviamente era solamente una vana speranza, non avevo fatto altro che rimandare, giorno dopo giorno, ora dopo ora, il momento in cui la mia vita sarebbe cambiata definitivamente.
Decisi che era ora di provare ancora una volta, e questa sarebbe stata l’ultima.
Mi alzai e, con passo deciso, uscii dalla mensa, diretta ai locali d’allenamento, prima che potessi pentirmi della decisione presa, con Linalee che mi caracollava dietro, interdetta.
“E ora dove stai andando così di fretta?”
“Da Komui. Tutte le mattine mi fa provare l’evocazione.”

Sorrise, comprendendo la mia determinazione, ma leggevo chiaramente la velata sfumatura di tristezza nella sue pupille. Se fossi riuscita nell’intento, sarei diventata un’Esorcista a tutti gli effetti, il che significava che anche per me sarebbero cominciate le missioni, con tutto l’inferno ad esse correlato.
Ogni passo aumentava in me la terribile tensione per ciò che mi attendeva, minando la mia convinzione. Ero davvero così sicura di volermi gettare a capofitto in quel destino, segnato in me da sempre, ma sempre ignorato? Cosa avrei trovato sul mio cammino, una volta imboccata quella strada? Il mio istinto mi urlava chiaramente che non sarebbe stato niente di buono...
“Dovresti respirare, sai?” Mi fece notare Linalee.
Ero così totalmente immersa nei miei pensieri, che avevo scordato anche quella semplice e fondamentale funzione vitale. Tutto questo mi stava letteralmente uccidendo.
Dovevo distrarre la mente, portare i miei pensieri su qualcos’altro...ma cosa?
“Ma dimmi...com’è che hai avuto la “fortuna” di incontrare...ecco...”
Quella ragazza mi leggeva nel pensiero.
“Il demente col codino?”
“Si...lui.”
“Stavo cercando la strada per la mensa e, girando un angolo gli sono andata addosso.”
“Addosso?”
“Senti, non è un mio problema se quello si pianta dietro agli angoli dei corridoi. Aveva pure il coraggio di squadrarmi...idiota...”
“Ah, beh...vedi, lui guarda male chiunque...”
continuò, con un’aria oscillante tra il rassegnato e l’imbarazzato.
“Un vero idiota. Vuoi discutere? Benissimo! Come minimo, almeno, presentati, razza di maleducato! Davvero, non capisco come certa gente possa...”
Mi bloccai, piuttosto a disagio per quello sfogo improvviso, mentre la mia compagna sorrideva divertita.
“Scusa lo sfogo...”
“No, non è per quello. Sai, lo detesti a tal punto che potresti quasi andarci d’accordo.”
“Spero vivamente tu stia scherzando.”
La fulminai, con uno sguardo così gelido che la passò da parte a parte. L’unico modo in cui mi sarei potuta avvicinare a quel tizio, sarebbe stato solamente per riempirlo di botte.
“Certo.” Ribattè Linalee, stranita dai miei occhi minacciosi.
“Bene.” Dissi, chiudendo la questione, anche se fui quasi sicura di averle sentito bisbigliare qualcosa come “sono identici...”, con un tono di voce inquietato.
Tutto quel chiacchierare ci aveva portate rapidamente alla zona deputata agli allenamenti. Varie sale si aprivano lungo i corridoi, alcune più grandi di altre, in cui Esorcisti e numerosi Finder stavano dedicandosi ai loro esercizi fisici, ma la stanza che mi interessava si trovava in fondo al corridoio, quella in cui mi recavo ormai ogni mattina. Era uno dei pochi percorsi che ero riuscita ad imparare a memoria.
La porta era aperta, segno che il mio carnefice era già arrivato.
Entrai.
Come tutti i locali d’allenamento, la stanza era piuttosto spoglia, fatta eccezione per qualche attrezzo ginnico, sparso sulle pareti, ed i consueti candelieri in ferro battuto. Un aspetto di certo non molto accogliente.
Ripetendo un copione recitato, ormai, ogni mattina, Komui se ne stava comodamente seduto su uno dei materassini della stanza, con le consuete pantofole ed una tazza di caffè fumante in mano, mentre Reever, in piedi di fronte a lui, cartelletta alla mano, gli sbraitava contro. Quell’uomo doveva davvero avere una pazienza infinita. Fossi stata io al suo posto, la cartelletta sarebbe già andata velocemente a finire contro la testa del Supervisore.
“Ehm...Caposezione, è qui...” Johnny, il piccoletto che mi aveva accompagnata alla scientifica diversi giorni prima, tentò di richiamare l’attenzione del suo superiore, ma con scarsi risultati. Tra le mani teneva Apocalypse, alta quasi quanto lui stesso...mi venne quasi da sorridere della scena, malgrado la tensione.
Komui alzò gli occhi dal suo prezioso caffè, degnandosi di accorgersi della mia presenza.
“Oh, eccoti qua.” Cinguettò allegro.
Che diamine avesse quell’uomo, per essere sempre così di buon umore, non sarei mai riuscita a capirlo.
“Comincio?” gli chiesi, parecchio scocciata dalla sua allegria, a mio parere totalmente fuori luogo.
Senza schiodare le terga dal comodo materasso su cui era seduto, annuì lievemente col capo, sorseggiando nuovamente caffè dalla sua tazza rosa. Come facesse un elemento del genere ad essere a capo di un’organizzazione di quella portata, era davvero un mistero.
Estrassi Apocalypse dal fodero che Johnny teneva tra le mani, impugnandola fermamente, la lama splendente davanti ai miei occhi. Ogni volta che la osservavo, mi rendevo conto di quanto, effettivamente, fosse un’arma dalla fattura superba. Pareva di vedermi riflessa nel ghiaccio.
“A noi due.” Sussurrai, rivolta più a me stessa che all’essere inanimato che impugnavo.
Iniziai un lungo dialogo silenzioso, di odio, bisogno, dolore ed una quantità indefinita di altre emozioni, tutte impegnate a vorticarmi nella mente, al solo scopo di confonderla ancor di più. Ero venuta lì solamente per lei, quella mattina, armata di tutta la mia convinzione, ma l’Innocence continuava a rifiutarsi di collaborare.
I minuti passavano...
Nello sforzo di concentrare ogni più piccola particella del mio corpo in quella lama, i muscoli cominciarono ad irrigidirsi per la tensione ed iniziai a sudare. Quella era la parte più faticosa tra tutti gli allenamenti cui mi stavano sottoponendo in quei giorni. La più faticosa e la più frustrante.
Sospirai, con stizza.
Dovevo evocarla. Dovevo...ma volevo?
Ogni volta ritornavo sempre allo stesso punto.
Avevo paura dell’Innocence, non tanto dell’elemento in sé, temevo profondamente il modo in cui avrebbe sconvolto la mia vita. Dalla morte di mio padre, avevo perso ogni certezza, non facevo che rimuginare su me stessa ed il mio passato, evitando accuratamente di pensare al futuro. Quel potere, così devastante, ed il ricordo della sua presenza che mi pervadeva, non facevano che gettare altra carne al fuoco, angosciandomi sempre più.
Non ero certa di voler rivivere quella sensazione...eppure, a quanto sembrava, non avevo molte possibilità di scelta.
Ripensai alla mia famiglia.
Cosa mi avrebbe detto mio padre, se fosse stato ancora in vita? Probabilmente mi avrebbe chiesto di seguire la mia strada, di guardare avanti e vivere il presente, senza pensare a ciò che avrei potuto perdere, ma solo a ciò che avrei potuto acquisire...
Già, ma cosa ci stavo guadagnando io in tutta quella situazione?
Ero stata sradicata dalla mia vita e dalla mia casa, scaricata in un luogo di cui non conoscevo nulla, in mezzo a gente estranea...eppure, vivere lì si era rivelato meno terribile del previsto. Coloro che avevo incontrato, eccetto “certa gente”, si erano dimostrati cordiali, alcuni persino simpatici...a loro avrei voluto dare una possibilità?
Mi tornò alla mente il terribile Akuma che mi aveva “uccisa” quella notte.
Anche loro, dopotutto, sarebbero potuti sparire, da un momento all’altro...come mio padre, come Seishin...
Forse il punto era proprio quello.
Perso ciò che avevo di importante, non avevo più nulla da proteggere.Ttuttavia, le persone che stavo incontrando, un giorno, forse, sarebbero potute diventare una parte importante della mia vita...come potevo saperlo? Escludere a priori quell’eventualità, sarebbe stato stupido.
Decisi che avrei protetto quella possibilità.
Unito al perenne desiderio di vendetta contro quei mostri, cercai in me la volontà di difendere quell’occasione. Si, perché altro non era che quello. Non ero incline a concedere la mia fiducia a chiunque e, al momento, non potevo certo dire di avere delle amicizie, tuttavia, con molto tempo, forse avrei potuto nuovamente fidarmi di qualcuno, persone per cui sarebbe valsa la pena rischiare...anche se non avrebbero mai potuto sostituire ciò che avevo perso.
Nel mio cuore ormai c’era una ferita impossibile da rimarginare.
Guardai nuovamente la lama di fronte a me, con sguardo risoluto, consapevole delle decisioni che avevo silenziosamente preso.
Sarei diventata un’Esorcista, avrei distrutto quei dannati Akuma, vedendo in ognuno di loro il mostro che aveva distrutto la mia vita...e così facendo avrei anche protetto quel misero barlume di speranza che, con tutta sé stessa, una piccola, microscopica ed ignorata parte di me cercava di creare.
Certo, non era granché come convinzione, ma sperai che a quel dannato cubetto inopportuno bastasse.
Inspirai profondamente.
“Evocazione.”
Dapprima non sentii nulla e fui certa di aver fallito per l’ennesima volta, poi, quando stavo per gettare quell’arnese il più lontano possibile, avvertii una presenza, debole, che cercava timidamente di farsi strada. Era la stessa sensazione che avevo provato la prima volta che avevo incontrato l’Innocence ed il Generale, giorni addietro, in riva al lago sulla collina...
Il mio istinto tentò immediatamente di ostacolarla, ma poi mi costrinsi ad assecondare quel potere, lasciando che si facesse strada nel mio essere, cercando di comprenderne la vera essenza.
Una volta che le ebbi dischiuso la porta, l’Innocence mi pervase completamente, con una forza che mi colse totalmente di sorpresa e che a stento riuscii a controllare. Mai le avrei permesso di prendere il sopravvento.
Cercando di richiamare alla mente i brevi consigli del Supervisore, chiusi gli occhi, cercando di regolarizzare il mio respiro ed incanalare quell’energia.
“Ce l’ha fatta.”
Riaprii gli occhi al suono della voce di Linalee, rimasta ad assistere, e per la prima volta vidi la mia arma attivata. Era splendida, lo ammisi.
La gemma incastonata in fondo all’impugnatura, brillava come un piccolo sole e le teste equine finemente lavorate esibivano una folta e fluida criniera fiammeggiante. La lama, senza perdere la sua glaciale trasparenza, era totalmente avvolta da lingue di fuoco del colore del mare, illuminando di uno strano e sinistro chiarore verde-azzurro lo spazio della piccola sala.
In quel momento, i fotogrammi che mi avevano tormentato quella notte, riaffiorarono nella mia mente. Quel bagliore azzurrino...quelle fiamme...ero più che certa di averle brandite allo stesso modo nel sogno. Molto strano...ma probabilmente mi stavo lasciando suggestionare.
Tornai a concentrarmi sull’evocazione e richiamai l’Innocence, che subito abbandono la lama, riportando nella stanza la sola debole luce dei candelieri in ferro.
Avevo il fiato corto e le ginocchia non ne volevano sapere di smettere di tremare, ma in generale, pensavo mi sarei sentita molto peggio. Rinfoderai la spada nel fodero che Johnny mi porse e mi volsi verso Komui, sempre fastidiosamente sorridente.
“Bene, bene. Mi sembra che tu stia reagendo bene. Niente mancamenti, senso di nausea, stanchezza improvvisa?”
“No, sto bene.”
Tagliai corto.
“Me l’aspettavo...” Aggiunse, con un’espressione persino troppo seria per i suoi standard.
Mi rabbuiai lievemente.
Certo, che stupida. Era ovvio che mi sentissi bene...non mi aveva uccisa una caduta di quattro metri da un ramo, all’età di undici anni, figurarsi un’evocazione. La prima cosa che Komui aveva voluto esaminare, al mio arrivo, era stato quello strano simbolo sul petto che mi portavo appresso sin da che ricordassi. Ciò che più mi aveva inquietata, era stata la tristezza che aveva invaso i suoi occhi nel vederlo, come se si trattasse di un presagio infausto...o peggio.
Mi aveva preoccupata molto l’evasività della risposta, nel momento in cui gli avevo chiesto spiegazioni al riguardo. Non dovevo preoccuparmi, tanto era un’abilità che avevano anche altri, come Kanda, e non avrebbe certo interferito con il mio futuro come Esorcista...come se avessi creduto ad una sola parola. Inoltre, per l’ennesima volta, non avevo avuto la prontezza di chiedere chi diamine fosse questa Kanda, che già il Generale aveva nominato al villaggio, mettendola in relazione proprio con la sottoscritta. Se anche lei possedeva queste inquietanti capacità, perché non permettermi d’incontrarla? Forse mi avrebbe aiutato a convivere meglio con questa follia innaturale. Pensavo sarebbe stata un’idea logica, ma a quanto pare lo credevo solamente io.
Naturalmente, solo il Generale e il Supervisore erano a conoscenza del fardello che mi portavo dietro. Serbavo già troppi segreti per essere solo all’inizio della mia strada all’Ordine.
“Bene, Kris.” Riprese Komui, tornando al suo solito tono gioviale. “La giornata di domani te la lasciamo di riposo, ma dopo pranzo passa nel mio ufficio, così posso darti l’equipaggiamento per la tua prima missione.”
Rimasi basita. Ero appena riuscita ad evocare l’Innocence e già mi mandava in missione?! Sperai non intendesse mandarmi allo sbando e al massacro da sola. Non sentivo il bisogno di compagnia, ma, almeno nel mio primo incarico, avrei preferito lavorare con un Esorcista più esperto. Forse mi avrebbero assegnato al Generale Nyne per una sorta di apprendistato...lo speravo, ero già sufficientemente nervosa.
“E quando dovrei partire?”
“Dopodomani, possibilmente all’alba. Il viaggio fino ad Alessandria è lungo.”

Alessandria?! Sperai non si riferisse alla città sul delta del Nilo di cui avevo sentito parlare dai mercanti arabi delle fiere...
“Insieme al fascicolo riassuntivo ti fornirò anche di una splendida guida alle meraviglie dell’Egitto. Ah, che invidia, vorrei poterci andare io!”
“Non cerchi di sfuggire di nuovo al suo lavoro!” sbraitò il povero Reever.
Dunque era proprio quella...fino in Egitto. Il solo pensiero del caldo soffocante che avrei trovato, mi fece sentire male.
“Fratello, non credi sia un po’ imprudente lasciarle portare a termine la sua prima missione da sola?” Chiese, rivolta al fratello, che nel frattempo sorseggiava beato il suo caffè.
“Uh? Non va da sola, Linalee.” Poi aggiunse, rivolto ad una confusa e frastornata sottoscritta. “Ti riunirai ad un altro Esorcista ed a un Finder autoctono, che vi farà da guida, in un punto concordato. Domani ti darò tutte le indicazioni, ora vai pure a rilassarti.”
Detto ciò, uscì dalla stanza, seguito dai suoi collaboratori, lasciandomi in un vortice di domande che avrebbe fatto impallidire il più accanito degli uragani. Linalee, accortasi della mia espressione interrogativa, si avvicinò per rassicurarmi.
“Non sarà poi così male, vedrai. Ti va una tazza di tè?”
Decisamente. Rilassarmi era proprio ciò di cui avevo il più disperato bisogno.

Se siete arrivati fino in fondo, vi voglio già bene XD
Non esitate a lanciare uova marce, pomodori e quant'altro vi capiterà a tiro.
Alla prossima!!!

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Capitolo 9
*** Noi siamo distruttori, non salvatori ***


Buongiorno a tutti.
Si...è tantissimo che non aggiorno, anni in realtà, ma purtroppo la mancanza di tempo e gli studi mi avevano costretta a lasciare questa e molte altre fic in sospeso.
In ogni caso, eccomi di ritorno con un nuovo capitolo!
Era parecchio tempo che non scrivevo e ho paura che il mio stile sia un tantino arrugginito, ma spero comunque che la continuazione di questa storia possa piacere ^_^ Buona lettura!

Kanda

9th Night: Noi siamo distruttori, non salvatori

Arcate buie…un lungo corridoio…lampadari gotici pendono dal soffitto…
L’ingresso si apre, due figure entrano…Lei…
Lei mi viene incontro, ma non è sola…chi è…
Certo, è Quell’altra…camminano fianco a fianco, Lei la accoglie…
Quella è appena arrivata…il suo primo giorno…perché non riesco a vederne il viso…?
C’è troppa luce…
Lei mi sorride…avanza…
C’è ancora troppa luce…troppo bianco…
Chiudo gli occhi, li riapro…no…
Ancora quel prato…ancora quell’Akuma che avanza verso di Lei…
“Ti prego…fammi restare insieme a lui fino alla fine!”
La sua voce è flebile, eppure la sento così chiara…
“Ti prego…”

“Fatemi restare con lui fino alla fine!” Una voce si fece lentamente strada nella mia mente, sovrapponendosi alla Sua, che ancora rimbombava nella mia memoria. Un’altra visione…no. Solo un altro ricordo, nient’altro.
Lentamente mi riscossi dal torpore dell’incoscienza, senza tuttavia riuscire ancora ad aprire gli occhi. Sentivo la testa pesante, i pensieri ancora confusi, poi lentamente iniziai a riordinare i pezzi. Ma certo, l’Akuma. Ecco com’era andata. Dovevo essere svenuto dopo che quel buffone con la faccia da clown mi aveva messo al tappeto.
Maledetto…
Essere battuto con un tranello così meschino mi bruciava ancora sin nel midollo, e il dolore lancinante che mi pervadeva dall’addome al petto certamente non mi aiutava ad ignorare la fitta al mio orgoglio.
Socchiusi un occhio per cercare di capire dove mi trovassi. Sopra di me campeggiava un’enorme volta di pietra poggiata su immense colonne cilindriche. Malgrado gran parte di essa fosse crollata, lasciando filtrare qualche esile raggio di luna, la costruzione sembrava solida. Attraverso le crepe del soffitto riuscivo a scorgere quelle che parevano rovine di abitazioni.
Dunque eravamo sotto la città. E quella voce…
“Dopo la sua morte, non importa cosa sarà di me. In cinquecento anni, Gsor è stato l’unico ad accettarmi.” Ignorando le fitte lancinanti, voltai lievemente il capo. Fu allora che la vidi e compresi appieno l’altro errore madornale che avevo commesso. Non era il vecchio la bambola, ma la ragazzina. Ora che aveva rimosso il ridicolo cappello che le celava il volto, i lunghi capelli fluenti erano perfettamente visibili, così come i due piccoli apparati metallici che le incorniciavano il capo. L’apparenza non lasciava alcun dubbio.
Maledissi mentalmente la sequela di errori di valutazione che mi avevano inseguito in quella missione. Come avevo potuto essere così cieco? A quanto pareva, l’intensificarsi delle dannate visioni stava davvero minando la mia concentrazione.
Non potevo permettermelo.
Soprattutto, non potevo permettermi ulteriori divagazioni.
La missione andava completata in fretta e la soluzione era a portata di mano. Per quale motivo quell’insignificante mammoletta si stava ostinando ad ascoltare le parole di quella bambola? Cosa diamine stava aspettando?
“Fatemi funzionare come bambola fino alla fine! Vi prego.”
“No.”

Ne avevo abbastanza. Con la forza appena recuperata mi issai a sedere, senza curarmi degli aghi di acuto dolore che punsero la mia carne, là dove era stata lacerata dall’Akuma. Le ferite sarebbero guarite, come sempre. Ora la priorità era terminare in fretta quella seccatura di missione e levarmi dalla vista l’albino incompetente.
“Aspettare che quel vecchio muoia? In questa situazione non possiamo esaudire un desiderio del genere.”
Il novellino mi fissò interdetto, quasi non credesse alla freddezza delle mie parole. Poco me ne importava di quello che stesse pensando. Se aveva intenzione di indugiare a quel modo in ogni sua missione non sarebbe durato nemmeno un mese.
“Noi siamo venuti qui per proteggere l’Innocence!”
Nient’altro. Era un compito semplice, pulito, anche un’incompetente come lui avrebbe potuto portarlo a termine, se solo non si fosse lasciato coinvolgere come un ragazzino.
“Prendi immediatamente il cuore di quella bambola!”
L’albino non si mosse, nemmeno di fronte al mio ordine perentorio. Si pietrificò, fissando il mio sguardo con quello che pareva un misto tra odio, indignazione e incredulità.
Non l’avrebbe preso. Non l’avrebbe mai fatto, glielo si leggeva negli occhi.
Non si sarebbe mai sporcato le mani con quello che, ai suoi occhi, evidentemente altro non era che uno sporco omicidio.
La sua immobilità mi dava sui nervi. Se solo non fossi stato ancora così debole…
Stupido idiota.
“Cosa siamo venuti qui a fare noi?” gli sbraitai contro. Ansimando per le ferite che mi indebolivano, non gli staccavo gli occhi di dosso. L’avrei trapassato da parte a parte se avessi potuto…o dovuto.
Il novellino alla fine abbassò lo sguardo, quasi fosse indeciso sul da farsi. Questo non fece che darmi ancora di più sui nervi.
“N-non posso prenderlo…”
Che cosa…?
“Scusa. Non voglio prenderlo.”
Fuori da ogni grazia, lo fissai con disprezzo. Cercai Mugen intorno a me, ma incontrai il cappotto della mammoletta. Vi avevo dormito sopra per tutto quel tempo. Aveva usato la sua uniforme come un materasso per i feriti.
Non aveva capito niente.
Si era imbarcato nella vita dell’Esorcista senza comprendere nemmeno lontanamente cosa volesse dire.
La mia considerazione della sua infima persona non faceva che peggiorare.
Con rabbia, afferrai l’uniforme e gliela lanciai addosso, letteralmente, con tutto il disprezzo di cui ero capace.
“Questo soprabito non serve come cuscino per i feriti! Serve per essere indossato dagli Esorcisti!”
Senza più degnarlo della mia attenzione mi rialzai, buttandomi sulle spalle l’uniforme, Mugen saldamente nella mano destra. Se non era in grado di mettere da parte i suoi stupidi sentimenti, allora avrei posto io fine a quella farsa.
“E’ perché ci sono i sacrifici che esiste la salvezza, novellino.”
Non mi aspettavo che potesse capirlo, era decisamente al di là della sua portata come concetto. Lui non avrebbe mai capito. Non poteva.
Senza esitare, puntai l’acuminata estremità di Mugen verso il cuore della bambola, ignorando le suppliche sue e del vecchio. Attendere non aveva senso. L’uomo sarebbe morto a breve, in ogni caso, a giudicare dalle sue condizioni, e in quanto alla bambola, prima o poi avrebbe cessato di muoversi comunque. Non c’era alcun motivo che potesse convincermi a non agire.
Nessuno, a parte un idiota coi capelli bianchi.
Prima ancora che potessi muovere Mugen, l’albino si parò tra la lama e l’Innocence, proteggendoli. Quello stupido…
Avrei affettato volentieri anche lui, se si fosse rivelato d’intralcio. Ancora non l’aveva capito?
“Allora lo farò io.”
Una punta di incredulità si insinuò nel mio sguardo, ma non mossi un muscolo.
“Ti va bene se mi sacrificherò io per loro? Loro chiedono soltanto di incamminarsi verso la fine nel modo che preferiscono. Fino ad allora, non prenderò l’Innocence da questa bambola.”
Impercettibilmente, la lama di Mugen iniziò ad abbassarsi. Cosa stava blaterando quel pazzo? Sacrificarsi per due che nemmeno conosceva…era davvero più stupido di quanto pensassi.
“Se io distruggo l’Akuma non ci saranno problemi no? Una guerra vinta con soli sacrifici è una guerra vuota!”
Prima ancora che potessi pensare cosa stessi facendo, l’avevo già colpito in pieno viso con tutta la forza della mia rabbia. Un’azione che pagai cara. Mentre crollavo in ginocchio, l’amaro sapore del sangue in bocca, non smisi mai di fissarlo con odio.
Cosa ne sapeva lui? Cosa ne sapeva di che sacrifici quella stupida ed eterna guerra richiedeva e aveva sempre richiesto? Niente. Era solo un bambino immaturo e pensava come tale.
Io lo sapevo. Sapevo cosa voleva dire sacrificare tutto, contro la propria volontà persino. Non era qualcosa che si potesse accettare, ma nemmeno poteva essere cambiato. Ma almeno potevo decidere di non rendere vano quel sacrificio.
“Che ingenuità mostruosa!” riuscii a urlargli tra un respiro e l’altro. “Ehi…visto che ti fanno pena, sei pronto a svendersi per il tuo prossimo?”
Situazioni come questa se n’erano sempre presentate e sicuramente altre ne sarebbero venute. Qualcuno poteva considerarle problematiche, dolorose, magari persino struggenti, ma la questione non cambiava. L’unico modo per salvare quello che più avevo di caro era sacrificare il resto. Tutto il resto. E non mi sarei fermato, nemmeno per considerare il rimorso, finché non avessi eliminato ogni ostacolo che mi impediva di proteggere il mio obiettivo.
Davvero quel bamboccio era disposto a perdere tutto per quei due sconosciuti?
“Non hai niente d’importante al mondo tu?!” gli urlai addosso.
Respirando a fatica, complici l’ira e le ferite non ancora rimarginate, esaminai la sua odiosa espressione.
“Ciò che avevo d’importante l’ho perso molto tempo fa.” Rispose flebilmente, senza staccare gli occhi dal terreno sabbioso. “Non ho ragioni nobili come la compassione, è solo che non voglio vedere una cosa simile. Tutto qui. Io sono un minuscolo essere umano, quindi, piuttosto che alla vastità del mondo, il mio cuore si rivolge a ciò che ho davanti agli occhi. Non posso abbandonarli.”
D’un tratto non seppi cosa rispondere. Quell’odioso ragazzino era solo troppo disgustosamente buono per accettare di doversi sporcarsi le mani, eppure nelle sue parole c’era un dolore ed una convinzione che parevano avere quasi coerenza.
“Se posso, voglio proteggerli!”
Tsk. Povero illuso.
Nessuno avrebbe potuto proteggerli, nemmeno un pazzo incosciente e ingenuo come quel novellino. A volte, il miglior modo di proteggere qualcosa era fare in modo che non esistesse…
Non ebbi tempo di indugiare oltre sui miei pensieri.
Qualcosa non andava. Potevo sentire la minaccia intorno a me, una sensazione chiara e nitida, ma quando infine compresi da cosa provenisse era troppo tardi.
Un artiglio candido aveva trapassato completamente il vecchio e la bambola trascinandoli verso un vortice di sabbia apparso dal nulla. Riconobbi l’arma con cui l’Akuma aveva tentato inutilmente di uccidermi, mentre la sua insopportabile risata isterica echeggiava nell’aria della volta di pietra. In un attimo bambola e umano vennero sollevati, il vortice di sabbia che prendeva la forma di quell’Akuma pagliaccio che ora non la piantava di ridere ed esultare fissando l’Innocence appena catturata.
Che nervi. Tutto quel tempo perso in modo insulso a discutere del da farsi.
Tutta colpa di quella stupida mammoletta.
Se pensavo che poco prima stavo quasi per dare un minimo di senso alle sue parole…
Con rabbia e fastidio strinsi Mugen, preparandomi all’attacco…ma mi fermai. Una potente aura omicida pervase velocemente lo spazio del campo di battaglia, quasi oscurando la poca luce lunare che filtrava dalla volta, o almeno così mi parve, tanto la cappa di quell’atmosfera si fece pesante.
Mi voltai verso l’origine e, con sorpresa, constatai che era proprio il novellino ad emanarla.
“Ridammi quell’Innocence.”
Persino la voce pareva non essere più la sua. L’odio l’aveva trasfigurata e stava facendo lo stesso al suo braccio, plasmando l’arma anti-Akuma. Osservai, pronto all’azione, ma stranamente consapevole che, forse, la mia presenza non sarebbe servita. L’arma del bamboccio era potenzialmente potente e, unita alla sua rabbia, avrebbe potuto distruggere quell’Akuma, o quantomeno ne avrebbe avuto la possibilità.
Il braccio del ragazzino continuava a contorcersi, assumendo diverse forme, quasi fosse stato una creatura viva. Avevo sentito degli effetti che le emozioni potevano avere sulle armi dei Parassita, ma non avevo mai avuto occasione di constatarlo. Sarebbe potuto essere un risvolto positivo, se quello stupido fosse stato in grado di controllarlo…
No. Ovviamente no.
Senza nemmeno aspettare che la sua arma si fosse rigenerata completamente, la mammoletta si scagliò sull’Akuma.
Quello stupido.
La rabbia e il dolore avevano preso il sopravvento sulla ragione. Si sarebbe fatto ammazzare come un idiota.
Attivai Mugen, pronto a dover raccogliere i pezzi del bamboccio per la sala, una volta sconfitto l’Akuma, ma accadde l’impensabile. Proprio quando l’albino stava per calare sull’Akuma, la sua arma prese forma, trasformandosi in quello che sembrava a tutti gli effetti un cannone. E sparò.
Nemmeno un Livello 2 sarebbe potuto sopravvivere, crivellato di colpi a quel modo. Ma quest’Akuma sembrava fastidiosamente furbo. Un vortice e divenne nuovamente sabbia, sfuggendo ai colpi dell’albino, che però continuava a seguirlo con il suo occhio maledetto. Il desiderio di uccidere era palese in lui.
L’Akuma scomparve per un attimo, prima di esplodere di nuovo intorno al novellino, inglobandolo completamente e iniziando a colpire sé stesso nella speranza di uccidere l’Esorcista. Il Finder era visibilmente allarmato, convinto che per il bamboccio non vi fosse più alcuna speranza, ma io non mi mossi né persi la concentrazione.
Lo sentivo ancora. Il suo istinto omicida era ancora forte e presente.
Infatti.
L’arma trasformata ora in una sorta di spada squarciò l’involucro sabbioso del demone, liberando l’albino. Senza lasciare all’Akuma il tempo di reagire, il novellino distrusse la pelle mutante dell’Akuma, esponendolo. Nel tempo di un pensiero la sua arma riprese a sparare contro il nemico, che inutilmente tentava di proteggersi con l’arma copiata all’Esorcista, ormai ridotta a un colabrodo.
Aveva raggiunto il suo limite. Anche se avevano la stessa arma, era diverso chi ne faceva uso. Solo gli Esorcisti sono realmente in grado di controllare le armi anti-Akuma. Più si sincronizza con l’Innocence più l’Esorcista può diventare potente.
L’Akuma stava soccombendo, era evidente.
Ancora un po’…
Gli spari si fermarono all’improvviso, mentre quell’inutile mammoletta sputava sangue su terreno.
Tsk. Ridicolo.
Un’arma così potente su un Compatibile che non riesce nemmeno a resistergli fisicamente. L’Ordine stava decisamente mandando in missione chiunque.
L’Akuma realizzò in fretta la possibilità di vittoria, già si stava lanciando contro l’albino.
“Tsk. Dannazione…”
Sarebbe morto, ma questo avrebbe significato perdere l’Innocence. Anche se detestavo doverlo ammettere, nelle mie precarie condizioni avevo bisogno di un diversivo per vincere, e quella era l’unica utilità che ero disposto a concedere a quel novellino. Non poteva ancora morire quello stupido.
Un balzo e gli fui davanti, Mugen che intercettava il braccio dell’Akuma. Fitte di dolore scavarono in profondità la mia carne, potevo sentire il sangue caldo inzuppare la stoffa che le avvolgeva, le forze scemare lentamente. Combattei quella sensazione con la rabbia, il fastidio per il patetico albino che mio malgrado avevo appena salvato.
“Brutto smidollato, non esaurirti proprio all’ultimo minuto! Non sei stato tu a blaterare di voler proteggere quei due!?”
Strinsi i denti, mentre i muscoli tremavano per lo sforzo di contenere la forza distruttiva dell’Akuma. A quel dannato novellino conveniva riprendersi in fretta.
“Detesto il tuo modo di fare da ingenuo, ma odio ancora di più i tizi che non mantengono la parola!”
“Ah ah” una risata priva di allegria e colma di sarcasmo. “In ogni caso…mi odi comunque, no?”
Piuttosto ovvio.
“Non sono mica esausto. Ho solo fatto un riposino.”
Dopo una frase del genere l’istinto di spaccargli la faccia era sempre più prorompente.
“Mi dai sempre più sui nervi…”
Non potendo sfogare la mia bile sull’albino, indirizzai la mia ira verso l’Akuma. Un colpo seco del polso e la perfetta lama di Mugen tranciò di netto la mano del demone, proprio mentre la mammoletta evocava nuovamente l’Innocence.
Gli spari riempirono l’aria, mentre le creature di Mugen volavano verso la distruzioni e le grida di agonia dell’Akuma echeggiavano nell’intera sala.
Un attimo, un’esplosione, poi tutto finì.
L’Innocence cadde lentamente, una piccola luce attraverso la volta della sala. La fissai mentre sentivo la forze abbandonarmi, senza poter fare nulla per impedirlo.
Caddi, e tutto divenne nero oblio.

Erba.
Solo erba, a perdita d’occhio.
E poi quel sole, così accecante, così fastidioso…
Metto una mano davanti agli occhi, cerco di coprirlo, di vedere il Suo volto…ma non riesco…
Quel dannato sole è sempre lì, imperterrito…

Aprii gli occhi, la fronte imperlata di sudore, come sempre quando il mio sonno indugiava su quel passato. Il forte sole italiano filtrava dalla finestra inondandomi il volto, costringendomi a stringere gli occhi. Almeno quello non me l’ero sognato.
Mi sedetti, esaminando la stanza intorno a me. Bianca, anonima, piena di medicinali. Il Finder doveva avermi trascinato in ospedale quando avevo perso i sensi. Fatica inutile.
Trovai il mio cordino bianco sul comodino e mi legai i capelli alla bell’e meglio, senza preoccuparmene troppo, mentre borbottavo senza sosta una sequela di imprecazioni.
Niente era andato come previsto. Niente.
E tutto per colpa di quell’idiota albino e del suo inutile cuore tenero.
Ero ancora immerso nei miei tetri pensieri verso la matricola, quando Toma, il Finder, entrò cautamente dalla porta.
“Messer Kanda, siete sveglio. Che sollievo.”
Sospirai infastidito. Che la piantassero tutti quanti di preoccuparsi.
Io non potevo morire.
“Chiama l’Ordine.” Ordinai, senza particolare interesse.
Una telefonata con quel pazzo del Supervisore era proprio quello che mancava per peggiorare quella già fastidiosa giornata.
“Messer Walker è rimasto alla città.” Aggiunse il Finder.
Come se me ne fregasse qualcosa.
“Ha riposto l’Innocence nuovamente nella bambola, ma…beh, non è più la stessa ormai.”
Capii cosa intendesse dire. Anche con l’Innocence, quella bambola non avrebbe mai potuto ricordare nulla di ciò che era stato di lei negli ultimi cinquecento anni. Non era un essere umano dotato di memoria, era solo un oggetto, animato per volere di quella forza divina. Non avrebbe mai potuto ricordare.
Presi la cornetta della radio che il Finder portava sulle spalle e aspettai una risposta dall’Ordine. Non aspettai nemmeno che qualcuno mi rivolgesse la parola.
“Sono Kanda, la missione è conclusa. Torno all’Ordine.”
Se avessi anche solo per un momento pensato che avrei potuto cavarmela così facilmente, sarei stato uno stupido. Due secondi di silenzio e quel demente di Komui iniziò a blaterare del tempo e del mare. Che gran seccatura.
“Allora, che vuoi?” chiesi, mentre con noncuranza mi levavo dalla guancia un cerotto.
“Che vuoi?”
Una risatina nervosa seguì la risposta del supervisore, prima che un uragano mi investisse i timpani. Quel lavativo rompiscatole. Non avevo la benché minima intenzione di rovinarmi l’udito ascoltando le sue inutili lamentele sul come e perché non avesse ricevuto notizie per tre giorni. Non ero nemmeno cosciente in quel lasso di tempo, cosa diamine pensava di fare il novellino senza nemmeno comunicare con l’Ordine? Già, probabilmente quello stupido stava ancora cercando di proteggere quei due.
“E non urlare!” sbraitai alla cornetta, mentre con uno scatto secco mi levavo dal braccio l’ago della flebo. “Lamentati con lui! Anzi, Komui! Io non ci vado d’accordo con quello!”
“Kanda, tu non vai d’accordo con nessuno, mi sembra. Dov’è Allen?”
“Tsk. È ancora in quella città, con la bambola!”

Quell’idiota. Sicuramente non si era mosso dal giorno in cui l’Akuma era stato distrutto.
“Quella bambola di nome Lala…ormai sarà la sua ora?”
“Probabile. Quella non è più la bambola che ha funzionato per cinquecento anni. Si fermerà presto.”

In quel momento un medico baffuto entrò dalla porta, senza nemmeno preoccuparsi di bussare. Pareva parecchio alterato, ma non stavo nemmeno seriamente prestandogli attenzione.
“Un momento! Cosa state facendo?!”
Non era chiaro. Avevo poltrito anche troppo in quel buco di posto, non vi avrei passato un minuto di più.
“Me ne vado. I soldi chiedili a lui.” Risposi, indicando Toma, già pronto con una cartelletta su cui segnare i dati necessari.
“No, no! Voi siete un paziente grave, guaribile in cinque mesi!”
Il medico pareva davvero allarmato, ma non ne aveva motivo. Cinque mesi. Figurarsi.
Un tempo sarebbero bastati meno di cinque minuti.
Già, un tempo…
Seccato, senza mollare la cornetta, iniziai a levare le bende che mi avvolgevano il torace.
“Sono guarito.” Risposi, ignorando i balbettii e le proteste del dottore.
Lanciai il cumulo di bende al medico e infilai la camicia. Non un graffio solcava il mio petto ora, non una macchia o un livido. L’unico segno era lì da sempre ed era la ragione della mia pronta guarigione.
Lo odiavo.
“Arrivederci e grazie.”
Abbottonandomi la camicia uscii dall’ospedale.
“Questa volta ci hai messo del tempo a guarire, eh Kanda?”
Già, ero ancora al telefono con Komui.
“Però sono guarito.”
Questo chiudeva la questione. Possibile che in quell’Ordine nessuno pensasse ai fatti propri?
“Si, ma il fatto che ora ci voglia del tempo, significa che stai iniziando a deteriorarti. Non puoi permetterti di sbagliare la stima della tua riserva vitale.”
Silenzio.
Lo sapevo da me, non avevo bisogno che fosse quel babbeo a ricordarmi l’ovvio. Pensarci era superfluo. Sarei guarito ogni volta. Non sarei morto.
Non potevo.
Non prima di aver trovato Quella Persona…
“Allora?” dissi seccato nella cornetta. “Cos’è che vuoi? Se è una molestia telefonica ti sbatto il telefono in faccia.”
Allontanai il telefono dall’orecchio in un moto di stizza, per evitare che i miei timpani risentissero delle urla di quella donnetta isterica del Supervisore.
Attesi che si calmasse e che, se era quella l’intenzione, mi dicesse qualcosa di più utile che non i suoi lamenti.
“Non è così! Riguardo alla prossima missione…ti piacciono i climi caldi?”
“Che razza di domanda sarebbe?”
irritato, strinsi con più forza la cornetta. “Se hai intenzione di parlare del tempo riattacco.”
“Oh insomma! Sei sempre così scorbutico!”

Alzai gli occhi al cielo, quasi sperando che un fulmine colpisse Komui e lo zittisse all’istante.
“Allora, che vuoi?!” urlai nel telefono.
“E va bene. Lascia l’Innocence ad Allen, ti imbarcherai subito per la tua prossima missione.”
“Dove?”
“Egitto. Ti incontrerai con un’Esorcista sul posto, insieme ad un Finder del luogo. Ah, sempre in questi bei posti, e io bloccato qui…”
“Tsk.”

Stavolta gli sbattei la cornetta in faccia sul serio.

Era ormai sera quando raggiunsi la mammoletta alle rovine della città. Nell’aria si sentiva l’eco di una melodia lontana, dolce e lieve, eppure quasi triste. La bambola stava ancora cantando, dunque.
Seduto con la testa tra le braccia, proprio sulla scalinata che portava alle rovine, stava l’albino.
“Che cavolo dormi? Fai la guardia come si deve.”
Era davvero un buono a nulla senza speranza.
“Oh…? Cosa ci fai qui, una persona guaribile in cinque mesi?”
“Sono guarito.”
“Stai mentendo.”
“Sta’ zitto!”

Mi sedetti seccato sulla scalinata, appena sotto al novellino che ancora non aveva sollevato lo sguardo da terra. Meglio levarsi subito di dosso quella zavorra.
“Comunicazione da parte di Komui. Io parto subito per la prossima missione, tu torna al Quartier Generale a consegnare l’Innocence.”
“Ho capito.”

La sua risposta del tutto apatica mi lasciò lievemente interdetto. Non era il tono che mi sarei aspettato da quello lì. Quello stupido si era lasciato coinvolgere ed ora soffriva per le scelte che sarebbe stato costretto a prendere, e per quelle già prese.
“Se devi soffrire, allora vai a fermare quella bambola. Tanto ormai non è più Lala, no?”
Aveva voluto proteggere quei due a tutti i costi, ma il vecchio ormai era quasi arrivato alla sua fine e la bambola non era nemmeno lontanamente la stessa. Non c’era nulla che lo trattenesse, era una tortura che si stava affliggendo autonomamente e senza alcun motivo.
“E’ una promessa tra loro due. Lala deve essere rotta da Gsor.”
Scossi la testa e tornai a fissare il vuoto di fronte a me, appoggiato a Mugen.
“Sei proprio un ingenuo, tu. Noi siamo distruttori, non salvatori.”
Se non riusciva a capirlo, non avrebbe mai potuto nemmeno provare ad essere un Esorcista. Non era nella nostra natura salvare.
“…lo so! Però io…”
Non poté finire le sue parole e compresi subito il motivo.
Il silenzio.
La lieve melodia, che aveva riempito l’aria sino a quel momento, era improvvisamente cessata. La bambola si era infine fermata.
Il novellino si alzò immediatamente, camminando con passo incerto verso la grande volta. Con un sospiro di malcelato fastidio, lo seguii. La bambola era al centro della sala, il vecchio, ormai defunto, sulle ginocchia, immobile. La bambola si accasciò inerte tra le braccia della mammoletta proprio mentre misi piede nella grande sala in rovina.
Potevo distinguere chiaramente i patetici singhiozzi del novellino.
“Ehi! Cos’è successo?”
Lo vidi asciugarsi il volto con una manica. Sempre più inutile…
“Kanda…nonostante tutto io voglio diventare un distruttore che salva le persone.”
“Tsk.”

Non sopportai oltre quello spettacolo, né le sue parole.
“Lascio a te.” Dissi velocemente a Toma, passandolo.
Scesi le scale quasi saltando metà dei gradini, allontanandomi il più in fretta possibile da quel luogo.
Sperai solo che il prossimo compagno che Komui mi aveva accollato si sarebbe rivelato quantomeno decente.

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