36- Quando le piccole cose fanno la differenza

di CriLife
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto capitolo ***
Capitolo 5: *** Quinto capitolo ***
Capitolo 6: *** Sesto capitolo ***
Capitolo 7: *** Settimo capitolo ***
Capitolo 8: *** Ottavo capitolo ***
Capitolo 9: *** Nono capitolo ***
Capitolo 10: *** Decimo capitolo ***
Capitolo 11: *** Undicesimo capitolo ***
Capitolo 12: *** Dodicesimo capitolo ***
Capitolo 13: *** Tredicesimo capitolo ***
Capitolo 14: *** Quattordicesimo capitolo ***
Capitolo 15: *** Quindicesimo capitolo ***
Capitolo 16: *** Sedicesimo capitolo ***
Capitolo 17: *** Diciasettesimo capitolo ***
Capitolo 18: *** Diciottesimo capitolo ***
Capitolo 19: *** Scena tagliata ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo ***


Prima di cominciare, devo ringraziare delle persone: prima di tutti una mia amica, che mi ha fatto scoprire questo sito e che mi ha dato quindi la possibilità di pubblicare questa storia e inoltre devo ringraziare un’altra importante persona, l’amica più speciale che conosco, che mi ha aiutato nella correzione dei capitoli e mi ha dato sostegno morale durante la fase di scrittura. Grazie ad entrambe e a tutti auguro una buona lettura!

Tutti noi abbiamo un obbligo nei confronti
dell’amore:
permettere che si manifesti nel modo che ritiene migliore.

Paulo Coelho

 
Ho superato quelle mura con le ali leggere dell'amore poiché non v'è ostacolo di pietra che possa arrestare, il passo dell'amore.
 William Shakespeare

 
 
 
I am the outside, I’m looking in!
Così cominciò un’altra giornata alle 5.50 di mattina.
- Katie svegliati… È ora di andare in cucina!- dissi alla mia pigrissima, nonché migliore amica compagna di stanza Katie.
- Ma come fa a non sentire tutto il casino che fa la sveglia- borbottai tra me e me come ogni mattina.
- Umm…- fu la sua risposta, come ogni mattina.
Riuscii a infilarmi la divisa, che consisteva in una canottiera e un paio di shorts neri, e lanciai a Katie la sua.
- Dai muoviti. Ho paura che tra oggi e domani avremo tantissime cose da fare-.
- E perché?-.
- Perché mercoledì torna il figliol prodigo e la nostra Giorgi vuole che tutto sia perfetto per lui. Penso voglia anche organizzare un party in suo onore, comunque ne avremo la conferma tra cinque minuti se riesci a capire che quelli sono pantaloni e non una maglietta!- dissi mentre osservavo quasi incredula, Katie che cercava un buco nei pantaloni per farci entrare la testa.
- Ops… Scusa ho sonno!-.
-Ok, ma ora muoviti!- la incitai un po’ scocciata.
- Eccomi, eccomi!-.
Uscimmo dalla stanza di corsa, lei con le scarpe in mano, verso la cucina. Entrai e vidi Jane e Marie già sedute con una tazza di caffè in mano, che parlavano dei lavori della giornata.
Presi del caffè per me e Katie e mi avvicinai al tavolo, al quale quest’ultima si era accomodata.
- Allora, quanto avremo da fare per il principino?- chiesi stizzita.
- Ah Jo, ancora pensi male di Michael? E perché poi? Ti ha forse trattata male? È stato scortese? Non mi sembra!- mi rimproverò Marie, la più anziana tra noi di circa sessant’anni, ma ancora tosta e arzilla.
- È un bambino viziato e presuntuoso!-.
- Questo lo dici tu, non lo conosci neanche…-.
- E preferisco così!-.
- Beh, è stato via per quasi due anni, può essere cambiato-.
- Allora da dove dobbiamo cominciare?- dissi cambiando argomento.
Marie mi lanciò un’occhiataccia che io ignorai e Jane mi espose il programma: - Dunque, tu, Katie e David dovete passare tutto il secondo piano: la sala grande, la stanza da caffè, i due bagni e la terrazza; io mi occuperò del primo piano con Samuel, che farà un po’ con me e un po’ in cucina con Marie e a proposito, dove sono finiti quei due?-.
In quel momento entrarono un uomo di mezza età e un ragazzo all’incirca della mia età, di corsa scusandosi per il ritardo.
- Eccovi! David noi due con Jo abbiamo il secondo piano- disse Katie ruotando la testa sul palmo della mano a cui stava completamente appoggiata.
- Ok, io voglio la stanza da caffè!-.
- Allora io mi prendo la terrazza e un bagno!-.
- No! E io dovrei fare la sala grande un’altra volta? Ma perché sempre io?! Beh David si prende l’altro bagno almeno!- ribattei.
- Va bene, agli ordini!- scherzò il preso in causa.
Intanto Samuel andò da Jane e la baciò.
- Scusa il ritardo abbiamo dovuto aspettare il carico di pesce che si era bloccato-.
- Mmm… Si sente la puzza!-.
- Va bene, forza Jo devi portare la colazione alla signora Georgette!- li interruppe Marie.
- Di già? Sono quasi le 6.30, ma di solito la vuole alle 7.00!-.
- Ma per i preparativi a chiesto di essere svegliata prima, quindi va’!-.
- Va bene- dissi prendendo il vassoio.
- Katie tu prepara la colazione per Miriam…- sentii dire da Marie, poi si richiuse la porta.
Eccomi, fare rampe di scale aprire porte tenendo con l’altra mano un vassoio stracolmo di cibo e arrivare davanti alla porta della camera della signora.
Appoggiai il vassoio al tavolino ed entrai piano. Facendo il minor rumore possibile andai alla finestra e spalancai le tende. Alla signora piaceva essere svegliata in questo modo anche se io avevo sempre pensato che se qualcuno avesse provato a farlo a me si sarebbe preso una parolaccia e via di corsa.  A lei andava bene così.
- Buongiorno Josephine! È una splendida giornata non trovi?-.
- Sì, direi di sì- risposi mentre tornavo con il vassoio - Ecco la sua colazione signora-.
- Lo sai che mercoledì torna Michael, vero?- disse tutta eccitata afferrandomi il braccio.
- Sì, me l’aveva accennato…-. In realtà lo ripeteva ogni mattina da una settimana.
- Voglio che sia tutto perfetto per lui! Sai è via da così tanto tempo! E suo padre è andato a prenderlo proprio ieri, sai? Oh! Ma certo che lo sai! Mi sembra ovvio, l’ho detto io ieri perché questa mattina non portassi due colazioni, che sbadata! Il fatto è che sono così eccitata per il suo rientro, spero che trovi tutto come desidera…- e così proseguì finché non riuscii a interromperla dicendole che dovevo sbrigare delle faccende.
- Oh, sì certo cara vai pure! Brava ragazza che sei…-.
Finalmente riuscii a uscire.
 
Stavo giusto passando la sala grande, quando mi misi a pensare a me, al mio lavoro e alla mia vita.
Facevo un lavoro modesto, la cameriera di una famiglia nota per la sua ricchezza.
Avevo cominciato a lavorare in quella casa quattro anni fa. Quando Marie mi trovò ero uscita da una situazione famigliare burrascosa, dopo un incidente che sconvolse le nostre vite e con un padre che ancora non se ne capacitava , avevo dovuto prendere la decisione di andarmene di casa. Prima lavoravo in un locale squallido circa a cento chilometri dalla mia città natale. Vivevo con un’altra ragazza, la quale mi aveva trovato il lavoro.
Una sera, il proprietario mi disse che non potevo più fare la cameriera, ma se volevo ancora prendere dei soldi lì, dovevo fare la ballerina. Io mi opposi e lui divenne violento, mi picchiò e mi buttò in strada. A quel punto incontrai per la prima volta Marie.
- Ragazza che ti è successo?-.
Io ero quasi svenuta, senza forze e lei mi prese con sé dicendo che si sarebbe presa cura di me.
Il mattino dopo mi svegliai in un letto pulito, Marie che mi puliva il viso con un panno bagnato.
- Chi sei?- le chiesi subito.
- Prego, sono contenta che tu capisca che ti ho salvato la vita!- disse lei.
- Mi… mi scusi. Sì, grazie!-.
Lei mi sorrise e disse:- Tranquilla. Sono Marie, ti trovi nella mia stanza. Sono la cuoca della famiglia Jones, ho parlato con la padrona di casa. Le ho spiegato la situazione. Vuole incontrarti. Spero di farti ottenere un posto qui, come domestica. Che ne pensi?-.
- Io… Io non so che dire. La ringrazio immensamente! Grazie, grazie mille davvero!-.
- Calma, calma! Devi dimostrarle che vale la pena assumerti prima - mi fermò lei - E gradirei sapere come ti chiami-.
- Il mio nome è Josephine Taylor- risposi in fretta.
- Va bene Josephine Taylor. Ora vèstiti… Ah, prima devo accompagnarti a prendere le tue cose. Non volevo essere indiscreta, ma ho visto sulle tue chiavi l’indirizzo del tuo appartamento, conosco la zona… E ora, mi spiegheresti come ci sei finita laggiù?-.
Le raccontai di mia madre, di mio padre e di mio fratello, della mia partenza e del locale dove ero finita dopo aver finito tutti i soldi e essere rimasta senza casa.
Così dopo il resoconto, lei non disse niente: annuì e mi portò alla mia abitazione. Ovviamente Kate era ancora in giro a spassarsela a quell’ora, così entrai radunai i miei pochi effetti, lasciai un biglietto e le chiavi affianco.
Da quel giorno, dopo un colloquio molto formale con la signora Georgette, fui la domestica di casa Jones.
Marie mi presentò sua figlia Jane e suo marito Samuel e la mia futura compagna di stanza Katie. Quest’ultima era un tipo esuberante, arzilla e sempre pronta a fare nuove pazzie, ci trovammo subito bene, lei mi aiuto ad ambientarmi, ad ingranare. Sapevo che quella non era proprio una vita stupenda, di agi e tranquillità, ma se ci ripensavo ora, ero più che felice di trovarmi lì, perché già dopo poco dal mio arrivo, quella di casa Jones, era diventata la mia famiglia.
- Ciao Jo!-. mi riscosse la voce di una bambina che correva verso di me perché la prendessi al volo.
- Buongiorno Miriam!- le risposi allargando le braccia per accoglierla.
Le feci fare un paio di giri e la rimisi giù.
Miriam era la terza e più piccola figlia dei padroni, aveva otto anni ed era una bambina fantastica.
- Oggi la scuola è chiusa perché devono fare dei lavori! Quindi io volevo aiutarti, ma mamma ha detto che prima devo esercitarmi al piano- disse un po’ mogia.
- Ma è perfetto! Io devo pulire questa stanza, tu suoni il pianoforte e io sono qui ad ascoltarti! Così fai quello che ti ha detto tua madre e stiamo anche insieme!- cercai di tirarla su.
Miriam, abbastanza influenzabile, mi rivolse un sorriso raggiante e corse al piano urlandomi che mi avrebbe fatto sentire i nuovi pezzi che stava imparando.
Mi fermai un po’ a guardarla suonare. Era un po’ minuta per la sua età e i suoi piedi arrivavano a stento al pavimento, seduta sullo sgabello del pianoforte a coda che c’era nella stanza. Ancora mi chiedevo come facesse a suonare così bene con quelle sue manine piccole che sembravano troppo fragili per suonare tutti quei tasti.
Quando finii anche la sala grande, Miriam era ancora seduta al pianoforte, ma mi stava raccontando di quello che aveva fatto l’altro giorno un suo compagno di classe. Si interruppe e mi chiese: - Per favore mi suoni qualcosa tu adesso?-.
Stavo per declinare l’offerta quando mi corse incontro e mi trascinò fino al piano, mi fece sedere e si mise affianco a me.
- Forza, suona il pezzo che mi hai suonato una volta!-.
- Quale pezzo?-.
- Non mi ricordo… Beh, fanne uno e basta, no?-.
Feci un sospiro e appoggiai le dita sui tasti. Avevo suonato per sette anni, fino all’incidente. Mi era sempre piaciuto moltissimo il pianoforte, ma dopo essere andata via di casa avevo dovuto farne a meno.
Cercai di ricordare la melodia di un pezzo che avevo imparato più o meno sei anni prima, ma non fu necessario sforzarmi molto: le dita scivolarono veloci e decise sui tasti, quasi andavano da sole.
Quando finii, Miriam fissava estasiata la tastiera, poi si girò verso di me e urlò: - Ma sei fantastica!-.
- No, non sono fantastica, basta che continui a suonare e ti assicuro diventerai anche più brava di me!-.
- Dici davvero? Allora ti prometto che d’ora in poi studierò moltissimo, così sarò brava come te!-.
Le sorrisi e mi congedai dicendo che dovevo fare altri lavori.
Fuori dalla stanza trovai Katie che trasportava un  secchio d’acqua per il corridoio fino allo stanzino sotto la scala dove riponevamo gli strumenti e li pulivamo.
La aiutai e poi scendemmo insieme chiacchierando.
Passando per il primo piano vedemmo Jane indaffarata nella sala da pranzo, le chiedemmo se avesse bisogno di aiuto, ma lei ringraziandoci disse che non serviva.
Così tornammo in cucina dove Marie stava insegnando a Samuel come tagliare in modo più preciso un arrosto o qualcosa del genere.
- Katie, dov’è David?- chiese interrompendoci Marie.
- La signora Georgette l’ha intercettato mentre veniva giù e gli ha chiesto di andare a prendere un paio di cose dalla sarta. Perché?-.
- Avevo bisogno di una mano per scegliere le torte. Katie verresti tu per favore?- chiese implorante.
- Sì, certo. Però Jerry aveva chiesto una mano in giardino a me e Jo…-.
- Si accontenterà di una ragazza sola! Siete le mie sottoposte dopo tutto, non le sue!- la interruppe.
Katie si voltò verso di me – Ti spiace aiutare tu Jerry, mentre sono con Marie?- mi chiese.
- Certo che no! Va bene, ci faremo quattro risate! Non mangiarti troppi dolci con la scusa di doverli assaggiare!-.
- Va bene!- rispose mentre uscivo verso il giardino.
Jerry era il giardiniere, aveva più o meno l’età di Marie ed entrambi lavoravano in quella casa da sempre. Quei due si punzecchiavano sempre, litigavano, si insultavano, ma infondo si volevano un gran bene.
- Hei, Jo! Katie non viene?-.
- Il generale dice che lei ha la precedenza su di noi, quindi ti devi accontentare!-.
- Mi sembra giusto!- rispose ridacchiando – Allora, avrei bisogno che mi aiutassi a raccogliere un po’ di fiori. La signora Georgette dice che “sono troppo piene queste aiuole, Jerry! Per favore sfoltiscile un pochino, ne hanno proprio bisogno!”. Quindi bisogna obbedire! -.
Risi con lui della sua ottima imitazione della signora e cominciammo a raccogliere rose.

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo ***


Eccoci al secondo capitolo! spero ve lo godiate! Ps: per domande, sono qui!

La possibilità che ci fosse un party fu confermata quando alle sette di mattina di martedì la signora Georgette entrò in cucina dicendo: - Ragazzi! Domani sera ci sarà una festicciola per il ritorno del mio caro Michel! Quindi dobbiamo preparare tutto! Sarà nella sala grande. Spiegherò a Jane come voglio che sia e lei riferirà a voi in modo che facciate tutto perfettamente! Vieni Jane, forza! Buona giornata a tutti!- e se ne andò trascinando dietro di sé Jane.
- Che ti avevo detto, Katie?- dissi.
- Già- rispose e continuando sottovoce in modo che sentissi solo io – Comunque, ancora non capisco perché non ti piace. È anche carino!-.
La guardai con gli occhi fuori dalle orbite – Ma a te poi che importa? Non pensi già forse a qualcun altro?- dissi maliziosamente.
- Smettila! Quando la finirai con questa storia? Basta, non è vero!-.
- Cosa non è vero?- chiese David, che si era avvicinato e aveva fatto fare a Katie un infarto.
- N-niente, niente- balbettò lei arrossendo – proprio un bel niente, giusto Jo?- mi chiese guardandomi intensamente.
- Bah, niente a quanto pare!- risposi non curante e me ne andai ridacchiando.
 
Passammo tutta la giornata e buona parte del giorno dopo a preparare, allestire, fare, buttar giù e ricominciare, senza tregua.
Alla fine arrivarono le cinque di pomeriggio di mercoledì. Alle 5.30 doveva arrivare Michel.
Gli invitati, un centinaio, erano già tutti in sala. Io me ne stavo dietro un tavolo a servire da bere a ricconi snob, che si trovavano lì principalmente per interessi nei confronti del signor Jones.
Michel non sapeva del party, ma appena entrò e gli gridarono tutti “ben tornato” fece un’espressione così finta, che fui certa si aspettava senza dubbi che la madre organizzasse una festa in suo onore.
Lo odiai ancora di più.
Strinse mani, diede baci fece sorrisi a tutti e infine arrivò a braccetto di una ragazza bionda truccatissima che sembrava avere un fazzoletto per vestito a prendersi da bere.
- Uno champagne per la signora e uno di quello che hanno tutti, ma che io non ho idea di cosa sia per me!- disse credendo di essere simpatico. La ragazza fece una risatina isterica.
- Gin?- chiesi impassibile.
- Bah, se lo dici tu!- continuò sorridendo.
- a voi-.
- Grazie… - rispose sforzandosi di ricordare il mio nome.
Rimasi ferma a guardarlo. Non avevo intenzione di dirglielo.
Katie, dal tavolo di fianco se ne accorse e mi fu subito affianco dicendo:  
- È Josephine, ricorda?-.
- Josephine! Ma certo!- disse portando una mano alla fronte – sei cambiata parecchio da quando ti ho vista l’ultima volta!-.
- Lei invece per niente, sa!-risposi tagliente.
- Ok, forza Jo ora faccio io qui, tu dai una mano a Marie in cucina!- cercò di spingermi via Katie.
Non mi mossi.
Michel affilò lo sguardo e mi chiese con calma controllata: - C’è qualche problema?-.
- Lo vuole veramente sapere?-.
- Sì-.
- Beh, il problema è lei!-.
- come prego?-.
-Ha capito bene! Lascia così casa e per due anni vagabonda in giro, a far festa con gli amici. Poi decide di tornare sempre di punto in bianco e sfrutta l’affetto di sua madre a suo vantaggio, spreme tutto quello che può da lei e quando ha finito cerca qualche nuovo modo perché quella torni da lei e non la scalfisce per niente il fatto di usarla così a suo piacimento, no, anzi lo considera una dimostrazione d’affetto, quasi volesse dire che ha bisogno di lei, quando invece per lei sua madre è semplicemente una macchinetta dalla quale attingere quando meglio le pare-.
Mi guardò stupito.
- Wow! E sei riuscita a dire tutto questo d’un fiato! Cavolo, sei stata brava devo ammetterlo!- disse ridendo.
Lo fissai incredula. La mi faccia poi divenne una maschera di disgusto, diedi la bottiglia di champagne a Katie e me ne andai senza fiatare.
- Qualcosa non va, tesoro della mamma?- sentii la signora Georgette chiedere al figlio. Disgusto. Mi veniva da vomitare.
Corsi in cucina. Marie mi chiese cosa ci facevo lì, non la degnai di uno sguardo e andai in camera mia sbattendo tutte le porte.
 
Com’è possibile? Come può essere così? Insensibile, pacifico, come?
Continuavo ad interrogarmi sul suo comportamento.
Se poi avesse riferito a qualcuno quanto avevo fatto, sarei stata licenziata su due piedi.
- Hei…-.
Mi svegliai, aprii un poco gli occhi e vidi Katie seduta sul letto, che mi guardava con aria comprensiva, ma anche di rimprovero.
- Non dovevi parlargli in quel modo-.
- Lo so, ma è stato più forte di me…- provai a spigare con tono lamentoso.
- Ssh! – mi interruppe lei - Le spiegazioni non le devi a me. Non ho detto niente a Marie, ma ci sta arrivando da sola. Devi parlarle. Dirle tutto. Lo sai-.
Feci una smorfia. L’ultima cosa che volevo era spiegare a Marie quello che avevo detto e prendermi una strigliata da lei.
- Forza. Prima lo fai, meglio è. Ti aspetta in cucina.- mi incitò.
Respirai profondamente e mi tirai su. Mi passai le mani sul viso, incrostato di lacrime di rabbia, tristezza e altro genere di sentimenti che ero riuscita a provare nei confronti di Michel.
Marie era seduta a tavola. Aveva un’espressione impaziente e faceva ticchettare le unghie sul legno. Non me la sarei cavata con poco.
Quando mi vide, sospirò mi indicò una sedia e incrociò le braccia sul petto, in attesa.
Mi sedetti, respirai a fondo, non avevo il coraggio di guardarla in faccia.
- Ebbene?- il suo tono era freddo e distaccato.
Sospirai di nuovo e dissi:- Ho insultato Michel. Gli ho detto che è un approfittatore, che usa i sentimenti di sua madre e che è buono solo a far festa e quello che gli pare-.
Diedi una sbirciata al suo viso. Era una maschera impassibile, ma dagli occhi capivo che era furibonda.
- Non ne avevi il diritto! Tu non sai la verità! Tu non sai quello che ha passato, quello che gli è successo. Tu non conosci i fatti. Ti sei basata su congetture, voci e pettegolezzi! Spera che sia così buono da non riferirlo a nessuno, altrimenti un’altra notte qui te la sogni. Tu non te ne rendi conto- .
Io me ne stetti zitta, con gli occhi bassi, a ricevere quelle frustate. Stringevo i denti e in cuor mio sapevo che era giusto.
Alla fine Marie portò le mani in volto, chiuse gli occhi e a voce bassa continuò: - Domani mattina, voglio che tu vada da lui e gli chieda scusa per la scenata di sta sera. Spero tu sia realmente pentita di quanto hai fatto, perché altrimenti…- non finì la frase.
Alzai di scatto la testa, la fissai negli occhi e dissi:- Sì che sono pentita. So di aver sbagliato. Domani andrò da lui. Ti chiedo scusa per la figura che ti ho fatto fare…-.
- Ma che centra la mia figura?! Non sono felice per te! Tu non devi badare a quello che si dice in giro! Non lasciarti trasportare da questa corrente, corrotta e superficiale! Va bene?-.
Annuii e senza riuscire a trattenere le lacrime, mi avvicinai a lei e piansi per terra, la testa appoggiata alle sue ginocchia.
Mi mandò a dormire poco dopo con mi diede un bacio in fronte.
Tornata in camera vidi Katie per terra, con un cuscino stretto in pancia e si mordicchiava un labbro.
Mi vide entrare e con gli occhi fuori dalle orbite mi chiese:- Che succede ora?-.
Le sorrisi mi sedetti affianco a lei, mi appoggiai alla sua spalla e le sussurrai:- Sono stata una stupida. Ma rimango-.
Si girò di scatto e mi saltò al collo.
- Lo sapevo, lo sapevo! Non poteva cacciarti! Non  l’avrebbe mai fatto! Ti vuole troppo bene e anche io! Anche io te ne voglio troppo!- strillò baciandomi le guancie.
- Fa piano! È tardi!- cercai di zittirla, ma inutilmente. Quella notte unimmo i letti e dormimmo tenendoci stette le mani, felici di vivere insieme le nostre vite.

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Capitolo 3
*** Terzo capitolo ***


E al terzo capitolo continua la storia di Jo.
Sospirai. Ero davanti a quella porta da dieci minuti, ma non mi decidevo a bussare. Dovevo scusarmi, chiedere perdono per il mio comportamento avventato e irrispettoso, ma buna piccola parte di me, quella orgogliosa, mi frenava. Dopo l’ennesimo sospiro, mi decisi alzai la mano per bussare e in quel momento si aprì la porta.
Per poco non diedi un pugno a Michel, il quale vedendomi era indietreggiato per la sorpresa.
- Oh! Mi scusi - cercai di ricompormi dallo spavento. Lui fu più veloce.
- Guarda un po’ chi c’è! Jo. Come stai?- disse richiudendo la porta e venendomi così vicino al viso che potevo vedere le striature di blu nei suoi occhi.
- A-amm… Io- dissi allontanandomi - Io sono venuta per scusarmi. Del mio comportamento di ieri sera. Non- non avrei dovuto parlare così-.
- Umm. Sì, sei perdonata-.
- Come?- chiesi perplessa.
- Hai capito. Va bene, sei perdonata. Puoi stare tranquilla- rispose sereno e si incamminò per il corridoio.
Del tutto presa in contro piede, mi riscossi e lo inseguii.
- Ma non è arrabbiato? Non si è sentito offeso? Insomma io l’ho insultata!-.
Si girò a guardarmi, strinse gli occhi e disse:- Sembra quasi che tu non voglia il mio perdono e neanche mantenere il tuo lavoro-.
- Sì, sì ci tengo al mio lavoro, ma non la capisco- dissi bloccandomi di colpo, sempre troppo vicina a lui.
Mi fissò per un secondo, poi disse serio:- Non posso badare a tutto quello che mi dicono. Tutte le persone che mi giudicano o sparlano di me. Apprezzo che tu sia dispiaciuta e per questo non me la prendo con te dato che parli solo secondo quello che dicono gli altri-.
Si rigirò e riprese a camminare.
Lo  feci fermare di nuovo.
- Se lei mi dicesse la verità però, capirei meglio!-.
Mi guardò con un mezzo sorriso.
- Non è il caso- e se ne andò lasciandomi ferma nel corridoio.
 
- Cos’hai? Perché sei così imbronciata?- mi chiese quel pomeriggio Katie, mentre pulivamo la stanza dalla festa del giorno prima.
- Niente…-.
Si bloccò.
- Forza, parla!-.
Le dissi del mio incontro con Michel, della verità nascosta che “ non era il caso di rivelarmi”.
- Cosa pensi che sia?- chiese Katie.
- Non ne ho idea! Per questo sono così pensierosa, non capisco cosa potrebbe essere e in tutta sincerità mi da un po’ fastidio. Ora non sono degna di sapere niente-.
- Beh, non hai tanto da pretendere dopo quello che gli hai detto… Non pensi di essere un po’ in debito per il fatto che ti abbia perdonata così?- mi chiese Katie incerta.
Ci pensai un po’ su, sempre più oppressa.
- Oh, sono un ‘idiota… E solo ora mi rendo conto della mia stupida sfacciataggine! Non riuscirò mai più a guardarlo in faccia… Sono una stupida!-.
Da quella mattina cercai di evitarlo. Mi vergognavo e nel profondo ancora non mi piaceva il fatto che mi pensasse indegna di sapere quel suo segreto.
Lui quando mi incontrava era sempre cordiale, mi chiedeva come stavo e si interessava ai lavori di casa. Io se lo vedevo venirmi incontro in un corridoio entravo dalla prima porta che trovavo.
Una volta entrai in uno sgabuzzino senza saperlo, chiusi la porta e rimasi ferma con il fiatone, al buio.
Toc, toc.
Era lui certamente. Aprì la porta e mi guardò divertito e interrogativo.
- Cosa fai qui dentro al buio?- mi chiese.
- No-non funziona la luce-. La prima scusa che mi era venuta in mente.
Lui alzò un dito, lo spostò verso l’interruttore e premette il pulsante. Il neon si accese emanando una luce fredda che mi illuminò di colpo.
- Sai, comincio a sospettare qualcosa...-.
- Davvero? Beh, le chiedo scusa ma devo proprio andare- e gli sgusciai sotto il braccio e di corsa giù per le scale.
Non potevo continuare così. Aspettavo sempre che uscisse di casa, per pulire la sua stanza. A pranzo se c’era io facevo di tutto pur di farmi mettere a lavorare in cucina, così toccava a Katie servire, che spesso mi diceva che lui mi salutava, dato che non mi vedeva mai.
Un giovedì, circa dopo due settimane che la quella situazione persisteva, lo vidi uscire dal portone e andai in velocità in camera sua per le pulizie.
Stavo finendo di rifare il letto, quando la porta si aprì. Non ebbi il coraggio di girarmi verso la porta, ma sentii la sua presenza dietro di me.
- Jo, è un pezzo che non ti vedo- disse tranquillo.
Gli risposi dandogli la schiena e continuando a riporre bene le lenzuola.
- Davvero? Beh, succede. La casa è grande e io molte cose da fare, come te.. lei! Come… Lei del resto…-. Blateravo senza neanche sapere cosa stavo dicendo.
Ad un certo punto, interrompendo il mio sproloquio, mi prese per le spalle e mi girò verso di lui, tenendomi vicina, ferma.
Io lo fissavo negli occhi con il cuore che batteva all’impazzata. Lui mi guardava intensamente, con il capo leggermente inclinato.
Non capivo cosa succedeva, poi in un secondo ne presi coscienza, ma era troppo tardi. Michel avvicinò il suo viso al mio e dopo un secondo di attesa, colmò la distanza fra noi, baciandomi.
All’inizio non sapevo cosa fare, poi lui mi strinse una mano tra i capelli e con l’altra mi avvicinò spingendomi sulla schiena. A quel punto mi lascai andare, gli misi le braccia intorno al collo e mi strinsi a lui. Lo baciai e lo baciai e ancora lo baciai.
Ad un certo punto ci staccammo, rimanendo abbracciati, ci guardammo. I suoi occhi, azzurri e blu, bellissimi, profondi come il mare, mi scrutavano.
Poi ritornai in me. Cosa stavo facendo? Cosa mi era preso?
Mi allontanai in fretta da lui, ansimando. Lui rimase a guardarmi serio.
Gli girai intorno per raggiungere la porta, lui si girava insieme a me, mentre continuavamo a fissarci. Raggiunsi la porta. Mi ci appoggiai, scossi leggermente la testa e uscii in velocità.
 
Incrociai David per le scale, che mi chiese cosa succedeva, ma non gli risposi. Aprii la porta della cucina, terrorizzata, in panico. Contemporaneamente Marie, Jane e Katie si girarono verso di me. Guardai quest’ultima, poi mi precipitai in camera e sentii che mi aveva seguita. Una volta dentro scoppiai a piangere, Katie mi accolse tra le sue braccia e mi fece sedere con lei, tra i cuscini per terra.
Mi consolava, senza neanche sapere cosa mi era successo, ma non volevo altro, avevo bisogno di un sostegno, di qualcuno che non mi giudicasse per quanto era accaduto, avevo bisogno di lei.
- Va tutto bene, tranquilla… Ssh… È tutto finito… tranquilla… va tutto bene, ci sono qui io… Basta… tranquilla…-.
Mi accarezzava i capelli e intanto mi cullava tra le sue braccia, stringendomi ad ogni mio singhiozzo.
Una volta che mi fui calmata, mi diede un fazzoletto e mi guardò.
- Allora, vuoi dirmi cosa è successo?- mi chiese piano.
Io feci un respiro profondo, cercai di trovare la forza di ritornare a quel momento.
- Ho… Ho baciato Michel…-. Nascosi il viso fra le mani e piansi ancora.
Katie aspettò che mi riprendessi e la guardassi, per parlarmi. Quando alzai lo sguardo, aveva un’espressione buffa, “alla Katie”, che mi fece fare un risolino. Aveva un sopracciglio alzato, e la bocca stretta.
- E allora? Va bene l’hai baciato, non è una tragedia!-.
- Ma non so cosa mi è preso! Lui si è avvicinato, mi ha baciato prima lui, ma poi io ho ricambiato! Non è stato certo un bacio accidentale! Io…-.
- È stato pure lui a cominciare! E tu ti senti in colpa!- disse uscendo di testa.
Mi prese le mani fra le sue e mi disse:- Tu non hai ragione di sentirti in colpa! Non devi sentirti in colpa, anzi non puoi! Non te lo permetto. È successo. Basta. Non puoi più farci niente. Ok? Basta. Tu non hai fatto niente di male-.
Ero ancora scossa, ma lei aveva ragione. Sì, non avevo fatto niente di male alla fine. Ok. Basta ora dovevo semplicemente andare avanti. Uno  sbaglio, solo uno sbaglio. Dovevo continuare come se non fosse successo niente. Sì, non era successo niente.

 

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Capitolo 4
*** Quarto capitolo ***


Dopo il bacio sconvolgente di MIchel, Jotorna alla sua vita quotidiana e... La storia continua!

Così tornai alla mia normale routine. Michel uscì con il padre per due settimane, il quale voleva farlo entrare e fargli conoscere il mondo del lavoro e del commercio, così che più avanti sarebbe stato pronto a fargli da spalla destra e poi a prendere il suo posto.
Non potevo sperare di meglio.
In questo modo mi fu più facile lasciare dietro di me l’episodio e dopo quelle due settimane se ci pensavo, alzavo le spalle e dicevo fra me e me “va beh, non era niente”.
Si avvicinava ottobre, e con quello la festa annuale dei Jones.
Ogni anno organizzavano una festa a tema verso metà di ottobre, alla quale venivano più di trecento persone a volte.
La signora Georgettevoleva che partecipassimo anche noi e quindi ogni anno chiamava un catering e quella era l’unica festa nella casa, alla quale noi non servivamo.
Da un paio di anni poi, la signora voleva che io e Katie la accompagnassimo a prendere il vestito per lei e per Miriam, poi dato che eravamo già al negozio, prendeva anche i nostri. Così io e Katie potevamo indossare degli abiti stupendi sapendo però, che sarebbe stata la prima e ultima volta.
Un anno il tema era stato il mondo magico perché Miriam aveva supplicato la madre fino allo sfinimento di farlo, un altro era stato in stile celtico e in fine per quest’anno il tema era fine ‘700.
Quel lunedì entrai in camera della signora, aprii le tende, le portai il vassoio della colazione e lei mi disse:- Grazie Josephine, volevo parlarti della festa di sabato. Sai che ormai ogni anno porto Miriam, Katie e te a prenderci i vestiti, giusto? Avevo intenzione di farlo anche quest’anno se per voi va bene-.
- Ma certo! Per noi è un vero piacere, è più per lei, per il suo disturbo!- le risposi.
- Ah! Di quello non devi preoccuparti, il fatto è che io questa settimana avrò così tante cose da fare che non ho idea di come fare, quindi ho chiesto a Michel di accompagnarvi al posto mio, sai è anche giusto che stia un po’ con sua sorella dopo tutto il tempo che le è stato lontano, quindi domani pomeriggio andrete in centro a prendere i vestiti con lui, va bene?- mi chiese con un tono che non ammette obbiezioni.
- Sì, ma certo. Posso chiederle quando tornerà con il signor Jones, così provvederò a preparare in tempo la sua camera?-.
- Tornano sta sera. Ora vai pure, cara-.
- La ringrazio, buongiorno-.
Tornai in cucina e dissi a Marie: - Giorgi di che ‘sta sera tornano Michel e il  signor Jones. Sarà il caso che prepari la stanza: le lenzuola non sono ancora state messe-.
- Va bene, e ti ha parlato dei vestiti per la festa?- mi chiese.
- Mi ha detto che non riesce lei e mi ha praticamente ordinato di andare con Michel – risposi impassibile.
- Sì, cosa ne pensi tu?- chiese facendo una domanda a trabocchetto.
- Va bene, non ci sono problemi- risposi sapendo di non esserci caduta.
Annuì e mi disse di andare.
Presi le lenzuola per il letto di Michel e andai in camera sua. Non ci ero più entrata dopo l’accaduto, ma quando accesi le luci e vidi la stanza non ebbi nessuna reazione, mi ero davvero lasciata alle spalle quello che era successo.
Nel pomeriggio ebbi l’occasione di parlare con Katie, le spiegai della faccenda dei vestiti e lei mi guardò un po’ incerta.
- Tu sei tranquilla?- mi chiese.
- Sì, non ci sono problemi. Non mi fa né caldo né freddo!- le risposi sorridendo.
- Ok- mi disse ricambiando il sorriso.
- Ciao Jo! Sai che questo pomeriggio Mike ci accompagna a prendere i vestiti per sabato? Vero Mike che ci accompagni?- mi assalì Miriam la mattina dopo.
- Sembra che mi abbiano incastrato!- disse l’interessato spuntando dalle scale.
Alzai lo sguardo verso di lui. Non lo vedevo da quasi un mese e quando incrociammo gli sguardi e mi sorrise con naturalezza, fui certa che anche lui se ne era dimenticato e che ora eravamo amici, ragion per cui ricambiai tranquilla il sorriso.
- Allora ci vediamo questo pomeriggio qui in entrata alle 3.30, puntuale mi raccomando- mi urlò Miriam correndo via.
- Ok!- le risposi guardandola e sorridendo, mentre la vedevo saltare per la stanza accanto.
- Ciao- disse Michel che ora mi stava di fianco.
Mi voltai verso di lui. Aprii la bocca per ricambiare il saluto, ma rimasi pensierosa sul da farsi.
Lui mi guardo interrogativamente.
Feci un sorriso un po’ imbarazzato e gli spiegai:- Mi trovo un po’ in difficoltà… Lei, tu… Signore, Michel… Prima che andasse via non parlavamo molto quindi non c’erano questi problemi, ma ora, che alla fine, ci siamo conosciuti un po’ non so come comportarmi…-.
Si mise a ridere e mi rispose:- Tu, Michel. Assolutamente. Ok?-.
- Ok- risposi sorridendo - Allora, ciao Michel!-.
- Ciao di nuovo! Ora devo uscire, ci vediamo questo pomeriggio?- mi chiese.
- Sì, a dopo!-.
- Ciao! - mi salutò.
Stavo entrando in cucina quando vidi Katie e David, vicini al bancone, per mano.
-… Penso si possa fare- stava dicendo lei sorridendogli.
- Bene allora!- le rispose David chinandosi e baciandola.
Richiusi la porta e me ne andai sorridendo. Per le scale incontrai Marie che portava verso la cucina delle lenzuola. La fermai e le dissi:- Tranquilla Marie, faccio io qui! Sai, prima… Mi sembrava che prima Jerry ti cercasse! Faresti meglio ad andare da lui!-.
- Jerry? Cosa dovrebbe volere da me? Ok, grazie… Vado- mi rispose un po’ perplessa.
- Sì, sì vai!- le dissi prendendo il carico di lenzuola.
E ora?
Optai per il fare molto rumore prima di entrare, perché avessero il tempo di ricomporsi.
Stoc! Un calcio alla porta, feci scivolare la maniglia perché sbattesse e poi entrai a occhi chiusi.
- Per favore, fa che non ci sia niente- pregai. Quando sbirciai da un occhio, li vidi seduti al tavolo che si tenevano le mani e mi guardavano ridendo.
Tirai un sospiro di sollievo.
- Ah, per fortuna-.
Posai quello che avevo in braccio e dissi:- Forza! Qui si lavora!- e uscii.

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Capitolo 5
*** Quinto capitolo ***


Così, Jo comnicia ad avere un nuovo punto di vista nei confronti di Michel, il quale, pur avendo dei compprtamenti a volte inappropriati, si rivela essere simpatico e un buon amico per lei.

Alle 3. 32 uscii dalla cucina in jeans e canottiera. Miriam mi vide e si alzò dalle scale.
- Era ora! Sei in ritardo!- mi accusò.
- Scusami, ma dovevo parlare con Katie e mi ha trattenuta per tuuutto questo tempo- dissi fingendomi scioccata.
In quel momento si alzò anche Michel che era rimasto seduto sulle scale.
In camicia e jeans, faceva la sua figura e quando si accorse che lo osservavo e si tolse gli occhiali da sole per mostrarmi la sua espressione interrogativa, realizzai che davvero era un bel ragazzo.
Gli sorrisi e presi per mano Miriam.
- Andiamo allora?- chiese impaziente.
- Sì, forza andiamo- disse Michel.
- Aspetta manca Katie!- strillò Miriam.
- È vero- mi resi conto anche io – Vado a chiamarla-. Entrai di corsa e la cercai.
Quando uscimmo dalla cucina, Miriam era quasi livida.
- Scusami Miriam! Avevo delle cose da fare e stavo pensando ad altro! Scusami tantissimo!- implorò perdono Katie.
- Va bene… Però ora andiamo!- le rispose.
- Forza, in marcia!-.
Dopo il viaggio nella lussuosa Lamborghini di Michel, arrivammo al centro commerciale. Una volta entrati Miriam, che teneva me e Katie per mano, si mise a spingere per arrivare prima al negozio dove avevamo sempre acquistato i nostri costumi.
- Forza! Dobbiamo fare in fretta!- si lamentava.
Quando riuscimmo ad entrare, il proprietario, un ometto piccolo con due occhietti vispi, ci venne incontro e si rivolse a Michel.
- Oh, signore ben tornato! Vedo che sua madre non è riuscita a venire, ma certo lei la sostituisce perfettamente! Se volete seguirmi, vi mostro il reparto che fa per voi. Vostra madre mi ha avvisato già a luglio del tema, così ho potuto farmi arrivare moltissimi vestiti tipici e il resto, perché possiate avere una scelta più vasta!- disse accompagnandoci.
In effetti il reparto era pieno di vesti dell’epoca, sia io che Katie rimanemmo a bocca aperta.
- Grazie, ora penso faremo da soli- lo congedò Michel.
- Oh, ma certo! Come desidera!- rispose petulante l’uomo e se ne andò.
- Spero non vi dispiaccia… Non mi piace avere intorno qualcuno che, come quello, ti sbava addosso solo per il tuo cognome- disse Michel avvicinandosi a me e Katie.
- No, figurati-.
Miriam si era già buttata nella ricerca e stava tornando con un mucchio di vestiti.
- Ok, ora voi sedetevi lì, sui divani e… Katie mi aiuti a mettere i vestiti?- ci ordinò.
- Sì, forza dentro!- rispose lei.
Io e Michel aspettammo che si vestisse, poi Katie uscì e ce la annunciò come la signorina Miriam. Lei uscì con un bel vestitino, con la gonna campanella color bordeaux.
Le facemmo i complimenti, ma lei non convinta tornò nel camerino a cambiarsi. Dopo aver visto circa quindici vestiti, né io né Michel davamo segni di cedimento e alla fine Miriam si decise per un vestito simile al primo solo che color celeste a maniche lunghe, e delle scarpette in tinta.
Quindi rivolgendosi a me e Katie: - Forza tocca a voi!-.
Io e Katie ci guardammo e poi ci mettemmo alla ricerca di vestiti carini da indossare.
Ne prendemmo un po’ ed entrammo in un camerino doppio per strare insieme.
Quando provammo il primo vestito guardandoci ci mettemmo a ridere.
- Allora, uscite?- chiese Miriam impaziente.
Uscì Katie davanti a me e i due fratelli le approvarono il vestito. Poi io feci un sospiro e uscii.
Miriam rimase pensierosa e Michel fece ondeggiare il capo riflettendo.
- Beh? Sono così brutta?- chiesi un po’ irritata dal loro silenzio.
- No, non sei brutta!- si affrettò a dire Miriam.
- No, infatti. Ma… Non è da te!- spiegò Michel.
- Oh…- dissi perplessa.
- Dai, ci sono altri vestiti dentro! Probabilmente ti va meglio quello bianco! Quel modello penso ti si addica di più!- mi trascinò in camerino Katie.
Lei provò altri due vestiti e poi il terzo venne scelto all’unanimità da noi tre come migliore.
Io al terzo ancora non andavo bene per loro, quindi decisi di provare il vestito bianco che diceva Katie. Aveva delle manichette a sbuffo ed era stretto sul petto, poi aveva un nastrino di un azzurro chiarissimo e cadeva giù dritto fino ai piedi, ai quali avevo un paio di classiche ballerine con il tacchetto, tipiche del fine ‘700 o inizio ‘800.
Quando uscii dal camerino, Miriam rimase imbambolata con la bocca aperta, Katie si girò di scatto a guardarmi e Michel che stava distrattamente parlando con Katie, riacquistò l’attenzione.
- Sei bellissima!- esclamò la bimba.
- Questo è certamente il tuo tipo!- affermò sicuro Michel e Katie concordò.
- Ok, allora… Michel, tocca a te, no?- chiesi.
- Mi spiace, ma già ieri sono andato a prenderlo con un mio amico. Quindi ce l’ho già- sorrise soddisfatto.
- Ma è ingiusto!- protestammo – Perché noi dobbiamo fare avanti e indietro per i camerini e tu no? Non è giusto!-. Ma ormai così era.
Una volta tornati a casa dopo il gelato gentilmente offerto da Michel, era già ora di cena.
Io e Katie andammo in camera a cambiarci e ci preparammo per dare una mano in cucina.
- Mi sono proprio divertita oggi!- disse Katie mentre mi passava la divisa.
- Sì, anche io! È stato tranquillo…- le risposi.
- Già-.
Da martedì, i giorni scorsero veloci tra i preparativi. Tutti i pomeriggi, Michel capitava nella sala e ci aiutava una volta a fissare alle finestre le ghirlande, una volta a spostare le tavole e così fece amicizia anche con David e con lui si alleò il venerdì quando io Katie dovemmo pulire la piscina nella terrazza: non si fecero vedere per un po’ e poi sbucarono all’improvviso con delle canne d’acqua e ci lavarono completamente. Noi due fradice e arrabbiate ci avventammo su di loro con le spugne zuppe e li abbracciammo in modo che si bagnassero anche loro e poi ci mettemmo per terra ad asciugare. Katie e David si allontanarono da noi per un po’ per fare i piccioncini e io rimasi a chiacchierare con Michel, che mi diede una mano a finire di lavare la piscina, tra uno schizzo e l’altro.
- Allora, da quanto sono insieme Katie e David?- mi chiese dopo un po’ di silenzio.
- Da poco, cos’ era? Martedì penso… Sì! Per quello abbiamo fatto tardi ad arrivare, mi aveva raccontato quello che era successo la mattina- gli risposi.
- Davvero da così poco? Sembrano così in perfetta armonia! Stanno davvero bene insieme!-.
- Sì è vero, andava avanti da non so quanto e non si decidevano a far niente! Finalmente ora sono insieme…-.

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Capitolo 6
*** Sesto capitolo ***


Ciao ragazzi! So che è una vita che non aggiorno la storia, quindi per favore perdonatemi, ma questo capitolo è pieno di avvenimenti e spero vi piaccia!!

Così arrivammo al giorno dopo e Michel, a parte la mattina quando ci aiutò a gonfiare i palloncini sparandoci l’aria in faccia di tanto in tanto, non si fece vedere.
Verso le sette la signora Georgette arrivò nella sala e ci disse:- Ottimo lavoro ragazzi! È tutto stupendo! Ora però andate subito a prepararvi, sta sera dovete essere fantastici!-.
La preparazione per la festa tra noi donne era un momento bellissimo.
La signora ci dava a disposizione una stanza comunicante con la sua, chiamata la stanza trucco.
C’era un bancone stracolmo di prodotti e trucchi, uno specchio che occupava tutta la parete dietro e moltissimi strumenti per i capelli, per il viso. Tutto ciò che una donna può volere in questo ambito.
Prima aiutammo Marie e Jane a vestirsi e truccarsi, poi le facemmo delle foto e loro uscirono.
Questo era il momento migliore. Io e Katie da sole lì dentro.
Ci sedemmo sulle due sedie girevoli e ci mettemmo al lavoro aiutandoci tra di noi.
Lei la maga delle acconciature, mi fece i boccoli e una pettinatura complicata, mettendo delle perline bianche tra i capelli e un’altra acconciatura altrettanto difficile riuscì a farsela da sola, poi la truccai con dei colori che richiamavano il suo vestito blu notte e mi occupai di me.
Alle nove eravamo pronte. La festa era già iniziata da una mezzora quando io e Katie uscimmo e ci fermammo in cima dalla scalinata, poi ci guardammo sorridendo e scendemmo.
Arrivate alla porta sentimmo la musica e il chiacchiericcio degli invitati. Due paggi ci aprirono le porte ed entrammo nella stanza.
Continuavamo a sorridere guardando tanta bellezza della sala, lei mi strinse la mano e poi disse:- Oh, ecco David!-.
Mi girai verso dove guardava e vidi David con Michel. David diede una pacca a Michel e ci venne incontro per prendersi Katie. Notai che Michel non si mosse, rimase lì fermo con un bicchiere a mezz’aria e la bocca aperta che guardava nella nostra direzione. Lo guardai per un attimo e poi mi misi a ridere, lasciando Katie e David e andando da lui.
- Hei! Che eleganza!- gli dissi scherzando.
Lui riavuto dal suo stato di limbo, mi sorrise e disse:- Visto?-.
- Eh, già!-. In effetti era proprio vero, era vestito perfettamente a tema, con la camicia e il panciotto bianco e una giacca blu scuro sopra.
Dopo poco arrivarono dei suoi amici a salutarlo e io gli sorrisi comprensiva e me ne andai.
Lui cercò di fermarmi per presentarmi a tutti, ma riuscii a scivolare via comunque.
Stetti per un po’ con Marie e Jerry, finché non cominciarono le danze.
Allora gli invitati fecero posto al centro della stanza e la mini orchestra si mise a suonare.
Il signore e la signora Jones scesero in pista per primi e si misero ad ondeggiare elegantemente per la stanza. Si unirono altre coppie e poi vidi andare David e Katie. Jerry implorò Marie di concedergli un ballo e lei cedette, poi vidi anche Michel in pista, che teneva in braccio sua sorella e la faceva volare, ridendo con lei.
Guardai tutti loro, felice della loro gioia.
- Posso avere l’onore del prossimo ballo, signorina?- interruppe una voce i miei pensieri.
Mi girai e vidi un ragazzo al mio fianco con la mano tesa verso di me, era un amico di Michel, simpatico, un ragazzo allegro.
- Perché no?- gli risposi sorridendo e prendendo la sua mano.
Fortunatamente nella mia vita passata, mia madre mi aveva fatto fare delle lezioni di danza e qualche passo ancora lo ricordavo, così non feci la figura dell’idiota quando Josh mi prese in vita e mi sorrise, pronto a partire.
Ballammo per un po’, chiacchierando e ridendo di qualche nostro passo falso. Alla fine del ballo, ci fermammo e mi chiese se volevo qualcosa da bere e dopo la mia risposta affermativa, mi lasciò mentre andava a prendere qualcosa.
In quel momento, mentre lo guardavo allontanarsi, sentii una voce dietro di me.
- Sembra che tu abbia fatto amicizia con Josh -.
Sobbalzai per la paura e mi girai verso la persona dietro di me.
Michel.
- Michel!- dissi sorpresa.
Aveva un’espressione dura e mi fissava.
Sentii la musica ricominciare e non ebbi neanche il tempo di accorgermi che Michel mi aveva preso con una mano la vita e con l’altra, la mia.
Mi ritrovai a ballare con Michel, che ancora mi fissava, arrabbiato. 
- Cosa succede?- gli chiesi non capendo.
Non rispose.
- Michel?-. Ancora niente. Si limitava a guardarmi. Tentai di allontanarmi da lui, stizzita, ma mi tenne stretta, continuando a ballare.
- Cosa vuoi, Michel?- gli chiesi arrabbiata del suo comportamento.
- Lo sai benissimo- mi rispose con voce ferma.
- Cosa? No! No che non lo so! Cosa? Cos’ è?- continuai quasi esasperata.
- Che smetti di fingere!-.
Sentii un brivido freddo corrermi per la schiena. Avevo capito. Si riferiva al bacio. Cominciai a sudare freddo.
- Senti Michel, quello è stato solo un errore. Non era niente. È come se non fosse mai successo!- cercai di spiegargli, ma lui scosse la testa.
- No, quello non è stato un niente! Lo so io e lo sai anche tu, solo che non vuoi ammetterlo!-.
- No, non è vero!- dissi quasi in lacrime, cercai di divincolarmi e questa volta lui mi lasciò andare.
Corsi fuori dalla sala, scesi le scale di corsa per paura che mi seguisse e uscii in giardino.
Da quando abitavo lì, quando stavo male mi rifugiavo in un piccolo giardino dietro la casa, con i muri ricoperti di edera e tre panchine intorno ad una grande quercia.
Arrivai lì dentro e mi nascosi dietro il tronco, appoggiandomi. Avevo il fiatone ed ero scossa dai singhiozzi.
Tenni gli occhi chiusi per un po’, per calmarmi. Per questo non vidi Michel arrivare ed ero così stravolta e presa dai miei pensieri che neanche lo sentii.
- Jo…- mi sussurrò.
Aprii di scatto gli occhi e lo vidi davanti a me, in viso un’espressione triste e in pena.
Guardandolo, mi venne ancora più da piangere, ma cercai di contenere i singhiozzi. Distolsi lo sguardo, ma me ne sfuggì uno.
Allora Michel mi venne vicino, mi prese il capo e lo strinse al suo petto. Io scoppiai a piangere e mi aggrappai a lui, inzuppando la sua bella giacca.
- Ssh… Jo… Ssh… Calma… Oh, Jo…- provò a parlare, ma gli si spezzò la voce e mi strinse più forte a sé.
Una volta che mi fui calmata, mi prese tra le mani il viso e mi spostò i capelli dagli occhi.
- Jo… Perché stai così male?- mi chiese parlando piano, guardandomi negli occhi con un’espressione sofferente.
- Jo…- ripeté con voce spezzata.
Io lo guardavo altrettanto sofferente.
- Io… Io non lo so… Non so perché… Perché faccio così… Io… Io penso di aver paura… Ti giuro che non so perché… Ma ho paura…- cercai di dire.
- Di cosa? Di cosa hai paura? Di me forse? Hai paura di me?-.
- No! No… Non potrei mai aver paura di te… Tu… Tu sei- cercai le parole e intanto gli misi una mano sulla guancia, lui chiuse gli occhi -Tu sei così dolce… Tu sei fantastico… Sei una persona eccezionale… E io non penso di andar bene per te… Io… Io non sono così… Io non sono come te…-.
- Oh, Jo… Ma tu sei molto meglio di me! Credi di non essere alla mia altezza? Ma tu sei mille miglia sopra di me! Jo… Tu sei una persona eccezionale! Sei riuscita a far uscire il meglio di me! Mi hai aiutato a sorridere e vivere la vita positivamente come te! Jo… Io ti amo-.
- Michel…- riuscii a sussurrare prima che lui si chinasse su di me e mi baciasse.
Questo non fu un bacio come la prima volta. Questo fu molto più appassionato, consapevole e vero. Mi lasciai tra le sue braccia e lo baciai con tutta me stessa.
Poi si staccò e appoggiando la fronte alla mia, mi sorrise.
Io lo guardai intensamente e gli sussurrai: - Ti amo, Michel -. 

Eccoci qua! Avevo detto che è importante questo capitolo!
con il sesto capitolo, la prima parte della storia si conclude, ma tranquilli ce ne sono altre!
... E intanto, al prossimo capitolo, comincia la seconda!
ps: grazie di essere entrati, per favore se i piace (o anche se non vi piace e avete qualcosa da dirmi) recensite!

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Capitolo 7
*** Settimo capitolo ***


Parte seconda, Michel si è dichiarato e Josephine si ritrova a capire di essere innamorata di lui, ora cosa succederà?
Leggete e poi mi raccomando, se potete e volete, recensite!!


- Dove mi porti? Michel!-  sussurrai divertita al buio davanti a me.
- Ora vedrai!- mi rispose prendendomi per mano e trascinandomi avanti.
Era martedì sera, anzi probabilmente era già mercoledì. Mi aveva portata a cena in un posticino che aveva scoperto, vicino al porto. Dopo eravamo andati a passeggiare sulla spiaggia scalzi e ci mettemmo sotto un albero a parlare… e non solo.
Ora eravamo tornati a casa, ma quando gli avevo dato un bacio e mi stavo avviando verso la cucina, mi aveva tirata indietro e mi aveva fatta salire con lui. Passammo il primo e il secondo piano, ora eravamo nel corridoio del terzo, me lo stava facendo percorrere tutto, anche se dovevamo fare piano per non far svegliare i suoi.
- Attenta ai gradini ora- mi sussurrò.
- Ma… Mi hai portata in soffitta?- gli chiesi non capendo.
- Non nella soffitta, ma fuori dalla soffitta!-.
- Cosa?-.
- Ora vedrai- sussurrò prima di lasciarmi la mano.
Lo sentii muoversi e dopo un rumore più forte, una luce inondò tutta la soffitta. Lo vidi con un telo vecchio e logoro in mano, sotto un grande lucernario, che guardava il cielo.
Lo raggiunsi e intrecciai la mia mano alla sua, allora si riscosse e mi sorrise.
- Andiamo- mi sussurrò e aprì il lucernario. Fuori c’era una specie di terrazzino, più che altro un spazio orizzontale invece che il tetto spiovente.
Mi mise davanti a lui, mi prese per i fianchi e mi disse di aggrapparmi al bordo e poi issarmi su dopo la sua spinta. Così feci e lui senza nessun aiuto riuscì a fare lo stesso.
Si chinò di nuovo verso la soffitta e prese una pesante coperta completamente impolverata, la aprì e una nuvola di polvere si alzò in aria, allora la sbatté bene, la distese per terra, si sedette e allargando le braccia mi indicò di sedermi in braccio a lui.
Allora mi accomodai e guardai il cielo con Michel.
- È bellissimo- dissi.
Michel sospirò.
- Ci venivo con mio fratello, quando eravamo piccoli-.
- Non ho mai conosciuto tuo fratello-.
- Posso capire la ragione, se ne è andato prima che tu arrivassi qui-.
- Oh, mi dispiace…-.
- No! Non è morto!- saltò su - Senza dire niente a nessuno, si è arruolato nell’esercito e una mattina Marie con la sua colazione, invece che trovare lui nel suo letto, trovò un biglietto, nel quale diceva di essersi arruolato sperando di trovare la sua strada con quella esperienza- continuò Michel con tono arrabbiato.
- Non è più tornato?-.
-  Qualche tempo dopo che si era arruolato, scrisse una lettera, tre righe dove ci informava che era stato inviato in Afghanistan. Non è stata una bella notizia. Ma il peggio è stato poi: dopo un anno dalla sua partenza arrivò un telegramma dall’esercito. William era “disperso in battaglia”. Da quel giorno non abbiamo più ricevuto notizie. Niente. Noi… Noi non sappiamo se è morto o no!- disse arrabbiato e triste insieme.
Gli strinsi la mano.
- Sai, io non sono venuta qui a chiedere di essere assunta- gli dissi guardandolo.
Lui si girò verso di me. Feci un respiro profondo e gli raccontai di quello che mi era successo.
- Cinque anni fa, mia madre fece un incidente. Lei morì sul colpo, ma… mio fratello Roger, lui rimase in coma per quattro mesi. Per me e mio padre è stata un’agonia. Aveva solo dieci anni! Poi, si svegliò. I medici gli fecero delle analisi, dei controlli e ci dissero che stava benissimo e che poteva tornare a casa. Era un martedì. Quella settimana è stata stupenda, mio padre era come rinato. La domenica mattina, andammo in camera sua per svegliarlo presto e andare al mare, ma… per quanto lo scuotessimo, per quanto lo chiamassimo… Lui non si svegliava. I medici non seppero spiegarci come era stato possibile. Mio padre non ce la fece più. Uscì di testa. Quando tornava da lavoro mi picchiava e si arrabbiava con me, dicendo… Dicendo che era colpa mia. Una sera mi ribellai. Lui si arrabbiò ancora di più e mi sbatté fuori di casa, dicendo di non volermi vedere mai più.
 Allora sono partita e con l’autostop, infilandomi tra le persone in autobus sono arrivata qui. Una sera mentre vagabondavo per quartieri non di buona fama, una ragazza mi venne vicina, era una prostituta. Mi chiese perché ero ridotta in quello stato e mi accolse a casa sua, la sera dopo mi portò al locale dove lavorava e mi fece assumere come cameriera in quel lurido nightclub. Poi il padrone decise che ero troppo bella per stare sotto quella divisa e mi disse che ero promossa a ballerina. Io gli dissi che mai avrei fatto la spogliarellista e allora lui mi cacciò via, dopo avermi picchiata tanto che non mi reggevo in piedi.
 Stavo crollando, mi buttai a terra e in quel momento udii la voce più dolce che avessi mai sentito. Marie mi trovò lì in un vicolo, mi portò qui, mi lavò e mi diede un letto per dormire. Il giorno dopo, mi presentò a tua madre, la quale ebbe pena di me e mi assunse. Ed eccomi qui-.
Senza che me ne accorgessi delle lacrime erano cadute dal mio viso sulla maglia, bagnandola.
Michel continuò a fissarmi, con espressione seria, stringendo la mia mano.
- Tu sei la persona più forte, più coraggiosa e con più forza di volontà che io abbia mai conosciuto-.
Gli sorrisi:- Grazie-. Mi avvicinai e lo baciai.
- Figurati- disse sorridendo sulle mie labbra e facendomi distendere per portare il suo viso sopra il mio e baciarmi di nuovo.
Poi ci mettemmo a parlare, ma ad un certo punto mi zittii.
Aspettato qualche minuto di silenzio, mi chiese di getto:- Ok, non ce la faccio più. Cosa succede?-.
Io gli sorrisi. – Pensavo-.
- Mmm… È una buona cosa!- disse sorridendo, vedendo di essere riuscito a farmi sorridere per la sua battuta - Ma andando un po’ più nello specifico?-.
- Beh… Pensavo a noi due…-.
Si tirò un po’ su guardandomi guardingo.
-Cioè… Come andrà avanti in futuro? Continueremo a stare insieme di nascosto, in segreto? Io non voglio…-.
Mi interruppe facendo un verso di insofferenza.
- Dobbiamo parlarne proprio ora? Era tutto così bello!-.
- Michel, dobbiamo pensare a cosa vogliamo fare! Non mi piace l’idea di non dire a nessuno di noi due, di fare tutto...-.
- Ti prometto che ne riparleremo, lo diremo a tutti, compresa mia madre! Ma per ora, per favore, non ci pensare! Almeno per sta sera!- mi interruppe di nuovo parlando deciso.
Sospirai e lui mi guardò con una faccia implorante facendo una smorfia come un bambino.
Risi guardandolo. – Va bene!-.
- Sì!-.
- Però ne riparleremo!-.
- Assolutamente!- disse tornando a baciarmi.

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Capitolo 8
*** Ottavo capitolo ***


A Jo non piace molto l'idea di tenere nascosta la sua relazione con Michel, ma lui non ne vuole sapere. Ora Josephine si vedrà costretta a dirlo per forza per evitare...
Bona lettura!


- Jo? Jo! Hai capito cosa ti ho detto?- mi riprese Jane.
- Cosa?- tirai su di scatto la testa. Mi ero appisolata sul bancone in cucina mentre Jane ci esponeva le faccende della giornata. Avevo dormito sì e no due ore quella notte e stavo letteralmente cadendo dalla sedia per il sonno.
- Sì, certo i lavori di oggi: cosa dobbiamo fare?-.       
- Ho già finito di dire tutto, volevo chiederti se in camera tua hai qualcosa da lavare- disse infastidita.
- Oh- mi resi conto di essere rimasta solo io nella stanza con Jane – No, abbiamo già portato tutto ne cesto, non c’è bisogno d’altro. Scusami… che compiti ho per oggi?- le chiesi lamentosa.
-Rimani qui in cucina, poi questo pomeriggio vai con Samuel al super mercato e devi spolverare i quadri di tutta la casa-.
- Ok- risposi già persa.
- Devi portare la colazione ai signori Jones!-.
- Sì, giusto! Vado!- mi misi in piedi di colpo, mi diedi uno schiaffo per svegliarmi e presi il vassoio che mi porgeva Jane, la quale prima di uscire mi lanciò un’occhiata di disapprovazione.
Andai su per le scale stropicciando gli occhi per evitare di addormentarmi lungo il tragitto.
Riuscita a portare la colazione ai signori, uscii passandomi una mano in viso e ripromettendomi di dire a Michel di non fare più uscite del genere.
Proprio mentre chiudevo la porta lo vidi avanzare per il corridoio strisciando i piedi e gli occhi gonfi.
Mi vide e io gli sorrisi avvicinandomi.
- Scusa se sono andata via così prima, ma dovevo farmi trovare in cucina un quarto d’ora dopo e svegliarti così presto mi è sembrato cattivo, dato che sei così bello mentre dormi- gli dissi accarezzandogli la guancia.
- Mmm- rispose lui facendo un mezzo sorriso e dandomi un bacio sulla mano, ancora troppo stanco per parlare veramente. 
- Basta uscite del genere nei giorni lavorativi!- gli dissi. Mi alzai in punta dei piedi, gli diedi un rapido bacio e gli dissi:- Vai a riposare, ci vediamo sta sera!-.
- A dopo…- riuscì a dire ed entrò in camera sua.
Tornai sui miei passi e mi avviai a tornare giù. Però una volta girato l’angolo persi uno spavento enorme.
Katie se ne stava lì, attaccata al muro a occhi chiusi.
Quando la vidi feci un salto indietro e lei accortasene lanciò un urlo.
- Katie! Mi hai quasi fatto venire un infarto! Cosa facevi qui dietro?-.
- Scusa!- mi disse dispiaciuta- Stavo venendo a prendere dalla soffitta delle cose per Samuel e ho visto te e Michel, scusami! Non volevo spiarvi! Comunque non ho visto niente, solo che tu gli tenevi una mano sulla guancia, non ho neanche sentito niente! Scusami davvero!-.
- Ma figurati! Tranquilla! Solo… devo ricordarmi di stare più attenta, un giorno potrebbe esserci Giorgi invece che te!- dissi pensierosa.
Stavo stendendo la pasta per un dolce, le mani infarinate e la faccia anche di più, mentre pensavo incessantemente a Michel, nessun pensiero in particolare, solo lui: bastava vedere nella mia mente il suo viso, il suo sorriso e la giornata diventava improvvisamente bella e allegra.
Toc, toc. Alzai la testa e dalla porta della cucina spuntò Michel.
- Michel, cosa succede?- gli chiese Marie.
- Buongiorno. Il fatto è che, come sai, ho saltato la colazione, stavo ancora dormendo e ora avrei un certo languorino e mi chiedevo se ci fosse qualcosa da mangiare…- chiese esitante.
- Sei in una cucina, ne abbiamo da mangiare!- rispose lei un po’ stizzita, perché sapeva perfettamente che era rimasto alzato tutta la notte. Speravo solo che vedendo la mia stanchezza non intuisse che era stato con me.
- Già…-.
- Dai siediti! Vuoi una fetta di torta ai mirtilli?- gli chiese lei andando al frigo.
- Sì, assolutamente se è la tua!- le rispose sedendosi e lanciandomi ogni tanto degli sguardi d’intesa.
- Certo che è la mia! Siamo nella mia cucina, qui tutto è mio!- scherzò Marie porgendogli il piatto e la forchetta.
- Grazie, dove posso prendere del succo? È imbarazzante non sapere neanche questo in casa propria…-.
- Jo, vai tu per favore? Mi si brucia tutto in forno!-.
Io tirando fuori le mani dall’impasto dissi:- Sì, ok… devo lavarmi le mani prima-.
- Tranquilla! Vengo con te! Tu mi dici dov’è, io lo prendo così finalmente saprò dove trovarlo- disse Michel scattando in piedi.
- Ok…- risposi lanciando uno sguardo a Marie, che era tutta intenta sulla carne e non sembrava far caso a noi.
- Allora per di qua- mi incamminai sentendo la sua presenza dietro di me.
Attraversammo un breve corridoio e arrivammo nella dispensa.
Una volta dentro, Michel chiuse la porta.
- Se accendi la luce di dico dov…- mi bloccò le parole spingendomi contro il muro e baciandomi.
- Michel!- cercai di dire, ma inutilmente.
Senza curarmi delle mani impastate, le misi sul suo petto e lo spinsi via.
- Michel, non mentre lavoro!- lo rimproverai non del tutto convinta.
- Ma io sono il tuo capo. E ora ti ordino di baciarmi- disse con voce suadente riavvicinandosi.
Provai ad allontanarlo, ma resisté e la parte di me con un po’ di buon senso ebbe la peggio.
- Era ben nascosto eh!- disse Marie vedendoci tornare dopo cinque minuti.
- Em…- arrossii- Già, non lo trovavamo-.
- Sì…- disse Marie con l’aria di una che ha capito tutto e che disapprova, lanciando uno sguardo alla camicia di Michel. Sporca di farina.
Michel mangiò in silenzio e quando finì si avvicinò a Marie, la abbracciò facendole i complimenti e mi sfiorò un braccio per saluto, prima di uscire.
Io continuai a impastare in silenzio.
- La pasta è pronta- dissi dopo un po’.
- Ok, Jo…- mi disse avvicinandosi.
- Sì? - le chiesi facendo la finta tonta. Lei mi guardò di traverso.
- Marie, è tutto apposto. Non creerà mai problemi, non mi ostacolerà nel mio lavoro!-.
- Sì, proprio come poco fa?-.
- È stata una cosa così! Niente di che! Non succederà mai più!-.
- Ah… Io non posso ordinarti cosa fare, però dovete dirlo ai signori Jones. La signora Georgette dovrà valutare- disse – Sai anche tu che è giusto così!- continuò vedendo la mia espressione riluttante.
- Sì, lo so…-.
- Bene, detto questo, se farete in questo modo, io non ho obbiezioni se non interferisce o rallenta in qualche modo il tuo lavoro-.
- Va bene-.

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Capitolo 9
*** Nono capitolo ***


- Quindi dovrete dirlo per forza ai suoi?- mi chiese Katie mentre si preparava con me per uscire, quella sera.
- Sì… Solo che se io non ne ho per niente voglia, Michel è dieci volte più riluttante!-.
- Già…-.
- Risolveremo… Tu e David dove andate ‘sta sera?-.
- Al concerto deiLions, io non li conosco, ma ha detto che sono stupendi…-.
- Anche Michel vuole portarmi a vedere iLions!- le dissi sorpresa.
- Davvero? Allora ci troveremo lì!-.
- Penso di sì!- le risposi sorridendo.
-Ok, ma tu sei in ritardo se non ti muovi a metterti qualcosa addosso, sappilo!- mi risvegliò dai miei pensieri.
- Oh, cavolo! Come mi vesto?- dissi correndo disperata in camera.
- La camicetta bianca?- mi suggerì Katie.
- No, è sporca-.
- Mmm… Ti do i miei jeans pesanti e metti la maglia nera, quella con il pelo degli HollywoodUndead!-.
- Sì! Sei un tesoro grazie Katie!-.
- Niente! Forza sbrigati!-.
Dopo poco uscii dalla casa e mi avviai per la via. In fondo, la Lamborghini lucida di Michel, mi aspettava.
Quando salii, lo trovai a guardare i CD  nel raccoglitore per scegliere la musica.
Alzò subito lo sguardo verso di me e sorridendo disse: - Sei bellissima!-.
-Grazie!-. lo osservai un attimo: maglia girocollo, felpa pesante nera e jeans. Ci assomigliavamo abbastanza.
- No, non ci credo- mi disse fissando la mia maglia- Conosci gli Hollywood Undead!-.
- Stai scherzando? Sono fantastici!-.
Lui aprì la felpa e mi mostrò la maglietta con la stessa stampa della mia felpa.
- Lo pensiamo entrambi!- disse sorridendo.
- Oh, quasi dimenticavo: Katie ha detto che anche lei e David vogliono andare a vedere i Lions-.
- Davvero? Beh, sai quando escono? Così gli diamo un passaggio… Ti spiace se vengono con noi?- mi chiese sperando di non  aver detto qualcosa di sbagliato.
- Ma cosa dici? Sono quasi orgogliosa di te! Ora scopro che sei anche generoso!- gli dissi ridendo.
- Ok, allora li aspettiamo-.
- Sì, in teoria dovevano uscire ora… Ah, eccoli!- gli dissi indicando i due che stavano abbracciati e camminavano tranquilli.
Michel smontò e si girò verso di loro.
- Hei ragazzi, volete un passaggio? Ho sentito che andiamo dalla stessa parte!- li invitò.
- Ma non disturbiamo?- sentii David.
- Ma figuratevi! Forza salite!- così dicendo rimontò e mise in moto la macchina.
- Grazie Michel!- disse Katie.
- Di niente! Da qui si capisce perché io e David ci siamo trovati bene fin dall’inizio, no?- disse partendo.
- Già!-.
Arrivammo in centro abbastanza presto, il concerto sarebbe cominciato dopo più di mezz’ora.
- Beh, volete fare un giro?- chiese Katie.
David disse che andava bene, ma io guardai incerta Michel. In giro potevamo trovare suoi amici o anche amici dei suoi genitori, forse non era il caso.
Lui guardava davanti a sé, fece un respiro profondo e poi disse:- Sì, perché no?-.
Mi prese per mano e ci incamminammo per la via.
- Ne sei sicuro?- gli sussurrai.
- Penso di sì… Questa sera gli amici dei miei sono tutti a casa nostra: non ne troveremo qui-.
In parte quella notizia mi sollevò, perché voleva dire che potevamo stare tranquilli, ma in parte mi dispiacque: lui ancora non voleva assolutamente mostrarsi con me.
Gli dovevo parlare. Continuavano a tornarmi in testa le parole di Marie.
Michel mi teneva per mano, sempre un po’ guardingo, ma tranquillo.
Mentre chiacchieravamo, ad un certo punto sentimmo la musica del concerto.
- Cavolo, è cominciato!- disse David.
- Merda! Forza andiamo- disse Michel girandosi e mettendosi a correre tenendomi per mano.
- Forza Jo!- mi incitava ridendo.
- Ah! Vai troppo veloce! Non ce la faccio!- gli rispondevo io.
Alla fine arrivammo alla piazzola, tirando il fiato.
- Wow!  È stata una bella corsa!- disse Katie, appoggia dosi sulle ginocchia.
Le sorrisi e mi girai verso Michel, era tranquillo, il respiro un po’ accelerato, ma ancora composto.
Lo guardai stizzita e lui mi chiese:- Che ho fatto adesso?- non capendo.
Io lo abbracciai ridendo.
- Ma sei perfetto tu?-.
- Probabile!- fece il superiore lui.
Mi guardò sorridendo, mi diede un bacio e poi si girò dicendo che dovevamo andare davanti per vedere qualcosa, ma si bloccò.
Davanti a noi, c’era la ragazza-fazzoletto della sera del ritorno di Michel.
Ci guardava incredula, disgustata e con un certo che di preoccupante che interpretai come un “Ho un nuovo gossip da dire a tutto il mondo!”.
Probabilmente anche Michel l’aveva capito e quindi cercò di andare via di fretta, ma lei si mise davanti a noi, dicendo: - Hei, Michel! Non ti sei più fatto sentire! Sei stato molto occupato forse…- disse guardandomi con fare superiore.
- Già, ho avuto molto da fare! Se vuoi scusarci…- tentò ancora di sfuggirle Michel.
- No, no, no! Questa voglio proprio godermela!- lo interruppe con un sorriso maligno – Tu che esci con la sguattera e mamma e papino non lo sanno! È stupendo!-.
- Eveline… Evi per favore! Ti prego non farlo- la guardò preoccupato lui.
- Puoi stare tranquillo con me! Non ho intenzione di bruciare male la mia cartuccia… No, troverò il momento migliore per giocare il mio asso!- lo guardò beffarda e sé ne andò soddisfatta.
Dopo un attimo di silenzio, Michel sospirò e disse:- Forza, ci perderemo il concerto…-.
- Michel, non è necessario. Forse dovremmo tornare a casa...- provai a tenerlo fermo.
- No! Ora andiamo a vedere questi idioti, va bene?- mi urlò contro.
Io rimasi ferma a fissarlo. Non aveva mai urlato con me in quel modo.
Lui mi guardava negli occhi, fuori di sé, poi sospirò e abbassò la testa.
- Scusa, non dovevo prendermela con te- disse venendomi vicino - Mi perdoni?-.
Ero ancora un po’ scossa, ma gli sorrisi e annuii:- Dai, raggiungiamo gli altri-.
 
Dopo il concerto lasciammo soli Katie e David, noi ci dirigemmo verso casa.
Entrati in casa, dopo esserci assicurati di essere soli, Michel mi abbracciò.
- Mi dispiace tanto per prima. Davvero, io… Non so cosa mi ha preso. Il fatto è che, sarà una cosa delicata… Voglio dirlo nel momento giusto ai miei… Non voglio che mia madre se la prenda o che faccia qualcosa di stupido, solo perché è stata presa di sorpresa. Lo capisci?-.
- Certo…- dissi piano, non del tutto convinta.
Michel si tirò indietro per guardarmi in faccia e dopo un sorriso, mi diede un bacio e andò via.
Rimasi ferma vicino alla porta della cucina.
- Sì… Capisco…- dissi tra me.
Andai in camera e mi distesi sul letto.
Dovevo smettere di pensarci. Michel l’avrebbe detto quando se la sarebbe sentita. Aveva ragione, era una cosa delicata che andava affrontata nel modo giusto, al momento giusto.
Mi rigirai nel letto e dopo qualche sospiro, mi addormentai.
Le giornate seguenti trascorsero tranquille, Michel era tornato quello di sempre.
Quando mi trovava per i corridoi mi faceva entrare in una stanza vuota e mi baciava più che poteva, prima che io lo spingessi via e con un sorriso, uscissi.
La sera uscivamo, dalla sera del concerto, in posti appartati e poco frequentati, ma comunque in un clima sereno così potevamo goderci quelle nostre ore da soli.
Tutto fino ad un certo punto.

Va tutto bene, fino a che punto?Cosa turberà ora la tranquilla atosfera che si è venuta a creare in casa Jones?
Se siete curiosi, aspettate un po' ed entro breve pubblicherò anche il prossimo capitolo!
Ciao a tutti, Spesxx

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Capitolo 10
*** Decimo capitolo ***


Ecco qui. In questo capitolo viene introdotto nella storia un nuovo personaggio, molto importante per gli svolgimenti della vita di Jo!
Buona lettura e potendo... Recensite!!


Era un giovedì mattina. Avevo portato la colazione alla signora Jones, avevo fatto il bucato e stavo avviandomi verso la cucina con altri vestiti da lavare, quando si aprì la porta.
Mi girai e rimasi a bocca aperta. Un uomo, uguale a Michel, i capelli biondo cenere, gli occhi blu, le stesse labbra, era solo più grosso. Era più robusto di Michel, più muscoloso e con uno sguardo più freddo, quasi maligno.
Lui era William.
Ero ancora sconvolta quando mi accorsi che mi aveva chiesto qualcosa.
Mi riscossi: - Scusi?-.
- Ti ho chiesto, sai dov’è mia madre?- mi chiese un po’ stizzito.
- Am… È qui, nel salotto qui di fianco-.
- Grazie- rispose fissando incerto la porta chiusa. Mise giù la sacca che portava a tracolla. Era dell’esercito, come la mimetica che indossava e gli anfibi.
Io ero ancora ferma ai piedi delle scale. Mi lanciò uno sguardo un po’ preoccupato, fece un respiro profondo ed entrò.
Trattenni il fiato.
- Aaaaaaaaaaaaaaaaah! O mio dio! O mio dio non è possibile! Non puoi essere davvero tu!- sentii la signora Jones urlare piangendo.
- Mamma, sono io! Sì, mamma! Mamma! Mamma… sono Will!- disse sul punto di piangere anche lui.
In un attimo vidi arrivare Marie, con il terrore dipinto in volto, mi guardò, poi vide nella stanza il ragazzo che stringeva la madre, che era due volte più piccola di lui.
- Oh, santo cielo!- sussurrò portandosi le mani al cuore.
Sentii dei rumori dietro di me, vidi Michel scendere le scale con uno sguardo più impaurito di Marie, mi guardò con gli occhi fuori dalle orbite, mentre scendeva gli ultimi gradini.
Lo guardai, non sapendo cosa dire o fare, cercando di farlo calmare già prima che capisse cosa stava succedendo.
Lui spostò lo sguardo dai miei occhi a dietro di me, poco alla volta la sua espressione cambiò, prima incredulità, poi gioia, emozione, poi si accigliò, i suoi occhi si fecero duri, contrasse la mascella e distinsi chiaramente l’odio, mentre guardava il fratello.
Mi oltrepassò piano, si fermò sulla porta del soggiorno, la madre vedendolo si sciolse dall’abbraccio con suo figlio e pulendosi gli occhi con le mani, gli indicò Michel. Quest’ultimo si irrigidì all’istante, suo fratello si girò e lo guardò.
Fece un’espressione di gioia, gli andò in contro facendo per abbracciarlo, ma quando gli arrivò vicino Michel scattò indietro, i pugni stretti lungo i fianchi.
- Mike…- disse piano, non capendo.
- Non toccarmi- disse Michel con un tono che mi fece gelare il sangue nelle vene.
- Cosa? Michel… Cosa… Cosa succede?-.
- Tsk…- disse solo Michel guardandolo, scuotendo la testa e indietreggiando.
- Michel…-.
Se ne andò lasciando William con le braccia tese in avanti ancora cercando di capire il perché di quel comportamento.
Quando Michel mi passò accanto gli sfiorai la mano, lui mi guardò, negli occhi gli si leggeva il dolore. Corse su per le scale.
- Ma cosa…?- chiese William alla madre.
- Lasciagli un po’ di tempo, tesoro-.
- Sì…- rispose lui poco convinto.
- Bentornato Will!- sentii dire da Marie, commossa.
- Marie!- le rispose lui abbracciandola.
Io gli diedi un benvenuto formale, lui mi guardò per un attimo, poi mi ringraziò.
Con la scusa di dover preparare la sua stanza andai ai piani superiori.
Sapevo dove trovare Michel.
Attraversai il corridoio del terzo piano, aprii la porta della soffitta e vidi il lucernario aperto.
Sospirai, arrivai sotto la finestra e vidi Michel, in piedi in mezzo allo spiazzo fuori di schiena, le braccia molle lungo i fianchi, lo sguardo rivolto al sole e gli occhi chiusi.
Di certo mi sentì quando cercai qualcosa per aiutarmi a salire, ma non si mosse.
Finalmente uscii e mi investì un vento freddo. Ero in maniche lunghe, ma mi vennero comunque i brividi. Michel aveva solo la camicia sbottonata mossa dal vento e sotto una canottiera. 
Gli andai affianco, presi una sua mano tra le mie e mi strinsi a lui, appoggiandomi alla sua spalla. Ancora non fece una mossa.
Lo guardai, socchiudendo gli occhi per il sole. Aveva ancora gli occhi chiusi e la mascella contratta.
Con un dito gli toccai il mento e feci scorrere la mano fino a stringerla sulla guancia. Al contatto lui sussultò e appoggiando il capo al mio, mise la sua mano sopra la mia stringendola.
Alzai un po’ la testa per guardarlo bene in faccia, aveva il viso contratto in una smorfia di dolore, gli occhi socchiusi lucidi.
- Hei…- gli sussurrai.
Lui mi guardò e mi fece male il dolore che mi trasmisero i suoi occhi.
- Michel…-.
Misi anche l’altra mano sulla sua faccia, stringendolo e costringendolo a guardarmi.
Lui mi prese per i fianchi e mi strinse a sé, spostò il capo sulla mia spalla e mi abbracciò chinandosi su di me.
- Oh, Michel…- gli dicevo accarezzandogli la nuca.
Si tirò un po’ su e appoggiò la fronte alla mia guardandomi negli occhi.
Io lo guardai intensamente, come se avessi potuto trasferirgli un po’ di forza fissandolo.
Con le braccia intorno al suo collo, lo baciai. Lo baciai con forza e lui mi strinse ancora più forte. Ad un certo punto sentii in bocca il sapore salato delle lacrime, non sapendo se sue o mie.
 
Per tutta la giornata Michel non si fece vedere, William era circondato da persone che andavano e venivano, la madre sempre di fianco.
La sera, in camera, parlai con Katie.
- …Ma perché gli è così difficile accettare il ritorno di suo fratello?- mi chiese Katie, seduta sul suo letto con in braccio il suo pupazzo regalato da David.
- Prova a metterti nei suoi panni! Lui era sempre stato il suo idolo, poi era diventato un appoggio, insomma erano ragazzi entrambi quindi immagino lo abbia istruito un po’ lui in quanto a… ragazze. Poi tutto d’un tratto è sparito! Michel si è trovato solo. E… penso ci sia dell’altro. Qualcosa che Michel non mi ha detto-.
- Ah! Ci sono. Il segreto che non ti voleva dire quella volta!-.
- Probabile- dissi- Beh, se vorrà dirmelo me lo dirà, basta. Sarà meglio farci una bella dormita ora-.
- Buona notte-.

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Capitolo 11
*** Undicesimo capitolo ***


Ciao, è un pò che non posto la storia, ma ecco questo capitolo.
E' abbastanza sconvolgente, per il seguito della storia e per questo è un po' lungo, non potevo spezzarlo!
Beh, spero vi piaccia!


La mattina dopo, alle 5.50 suonò una sveglia diversa. Per questo mi alzai di scatto e cercai di mettere a fuoco quello che non andava.
This is, this is my depressed day!
- Katie, che diavolo è questa roba?- urlai alla massa informe formata dalle coperte ammucchiate sul letto, tirandole un cuscino.
- Mmm…-.
- No oggi non te la cavi con un mmm! Ma che diavolo!-.
- Scusa! Volevo mettere una canzone allegra, così per cominciare bene la giornata! C’era scritto Happyness! Pensavo fosse carina!-.
- C’è scritto Happyless! Ah… Non importa, forza su-.
- Ok-.
Arrivate in cucina come al solito trovammo Marie e Jane al tavolo.
- Buongiorno- dissi sbadigliando.
- Ciao, Jo oggi tu devi stare con William - mi annunciò Jane.
- Cosa?- dissi sicura di non aver capito.
- Hai capito. William ha bisogno di una mano per la sua stanza, per i suoi effetti e poi ha bisogno di fare delle commissioni, ma la sua patente è scaduta da un pezzo, quindi dei accompagnarlo. E cerca di essere socievole… Bisogna mettere un po’ più a suo agio quel ragazzo-.
- Sì… Va bene...- dissi per niente convinta.
- Katie, Jerry ha chiesto una mano per il lavoro fuori. Vai tu, d’accordo?- disse Marie.
- Certo!-.
- Bene. Ben arrivati voi!- disse rivolgendosi a David e Samuel, che erano appena entrati.
- Hei! Scusate, il solito carico bloccato- disse Sam.
- Ok- gli rispose distrattamente Marie, guardando il programma.
- Jo, dovrai dire a William che il pomeriggio dovrà fare da solo, il signor Jones vuole le che vengano lavate le macchine…-.
- Oh, oh! Anche io, anche io voglio lavare le macchine!- scattò Katie estasiata.
- Sì, anche tu le lavi, David ti metti anche tu, ok?- disse Jane guardando rassegnata Katie, che stava saltando dalla felicità.
- Va bene- rispose lui, contento di poter stare vicino a Katie.
- Allora Jo e Katie cominciate a fare le colazioni-.
Dopo aver portato la colazione ai signori Jones, stavo tornando in cucina, quando vidi entrare dall’ingresso William, completamente sudato, l’ mp3 nelle orecchie, con il fiatone.
- Buongiorno- gli dissi.
Lui mi guardò e ancora tirando il fiato, fece un sorriso divertito, si avvicinò di qualche passo e mi disse:- Non sono un’ultra cinquantenne e comunque non penso di essere molto più vecchio di te-.
Lo guardai interrogativamente.
- Non darmi del lei, non serve- continuò.
- Ok…-.
- Jo, ti cercavo…- sentii una voce dietro di me, seguita da un silenzio, quando Michel vide che parlavo con suo fratello.
Mi girai verso di lui. Si era fermato e guardava me e William, sospettoso.
- Beh, ci vediamo dopo, Josephine!- disse William rompendo il silenzio.
Mi riscossi, lo guardai ma ormai era già in cima alle scale.
-Ci vediamo dopo?- disse Michel guardandomi, a metà tra la preoccupazione e la rabbia.
- Sì, ha bisogno di fare delle compere e dato che la patente gli è scaduta, gli serve un’autista-.
- E non può portarlo l’autista?- disse alzando la voce.
- George è malato. Cos’è sei geloso?- lo punzecchiai.
- Geloso? Sono solo preoccupato per te-.
- Non sarà invece una sorta di senso di proprietà che hai su di me, che pensi lui ti ruberà?- dissi e vedendo la sua espressione dissi:- Dai, mi farebbe piacere conoscerlo un po’, in fondo è sempre tuo fratello-.
- No, non più- disse freddo allontanandosi da me e andando via.
Sospirai e tornai in cucina.
- Jo, William ti aspetta in entrata!- bussò alla camera Marie mentre mi vestivo.
- un attimo, ci sono quasi!-.
Riuscii a mettere i jeans e corsi fuori.
- Eccomi! Le… Ti chiedo scusa!- dissi a William, che se ne stava appoggiato alla porta, giocherellando con delle chiavi.
- Sei scusata. Però andiamo con la mia macchina- mi disse alzando la mano, con la chiave appesa.
- Penso di dover avere paura- dissi vedendo il portachiavi della Ferrari.
Lui ridacchiò e disse:- Almeno ci devi provare!-.
- Ok- dissi porgendo il palmo, incerta.
William sorrise e ci appoggiò le chiavi.
 Andammo al garage e lui mi indicò una macchina coperta da un telo scuro.
- È lei!- disse quasi orgoglioso e tolse il telo.
Ne uscì una macchina che mi fece rimanere a bocca aperta.
Non era molto grande, ma era elegante, di un rosso fiammante.
- Allora, che te ne pare?- disse passando una mano sul cofano.
- Discreta- risposi arrancando verso la portiera del conducente.
Io alla guida di una Ferrari. Di quella Ferrari. Non potevo farcela.
- Dai, coraggio non morde!- mi lesse nel pensiero William.
Gli lanciai uno sguardo di sfida e salii.
Lui rise e montò.
-Bene. Ora devi inserire la chiave nel quadro e girarla per far partire la macchina!- mi prese in giro.
- Lo so! Grazie-.
Dopo un po’ riuscii ad abituarmi all’andamento della macchina e quando fummo vicini al centro dissi:- Ok, dove si va?-.
- Beh intanto in un negozio di vestiti, quelli a casa mi stanno tutti piccoli e nell’esercito non ne avevo molto bisogno quindi…-.
- Hai qualche preferenza?-.
Mi guardò come dire “ah, sei un caso senza speranza”.
Io pensando fosse serio dissi:- Scusa… Io volevo solo sapere… Non volevo…-.
Mi sorrise e disse:- Tranquilla! Il fatto è che non vengo da queste parti da sei anni. Sono cambiate diverse cose-.
- Ah, sì in effetti-.
- Quindi a te la scelta!-.
- Va bene. Allora cominciamo dal centro commerciale, che ne dici?-.
- Fa come vuoi ti ho detto, basta che ci siano dei vestiti!- disse alzando le mani.
Parcheggiai nel parcheggio sotterraneo, stavo per spegnere la macchina quando un ragazzo del parcheggio mi batté sul finestrino e disse:- Prego, c’è il garage a sua disposizione-.
- Il garage? Non ci siamo già?- chiesi confusa.
Sorrise servizievole.
- Certo, ma c’è un’area riservata alla sua famiglia signorina Jones -.
- Sig...? No, io non sono…- tentai di spiegare.
- Ti ringrazio, puoi indicarci dove andare?- mi interruppe William.
- Certo signore. È proprio dietro questa curva, dica il suo nome e la faranno entrare- rispose.
- Grazie- gli rispose e rivolgendosi a me:- Forza, vai!-.
- Sì-.
Mi sentivo in imbarazzo, non parlai più, dissi solo alla guardia:- Il signor William Jones -.
Quello si spostò e disse prontamente:- Benvenuti-.
Quando entrammo nell’atrio centrale William mi guardò e disse:- Hei? Cosa ti succede? Ti sei improvvisamente zittita-.
- Niente… Allora, andiamo di qua!- dissi indicando un corridoio largo con vetrine illuminate e manichini scintillanti.
- Va bene-.
Entrati in un negozio gli chiesi guardandomi in giro:- Che tipo di vestiti cerchi?-.
- Boh, da tutti i giorni-.
- Ok, dato che è inverno, andiamo sul pesante come maglioni o felpe imbottite?- azzardai.
- Sì, direi cose come questa- disse indicando un maglione di lana marrone scuro- O questa- una felpa con il pelo, nera anonima.
Mi scappò una risatina.
Lui si girò verso di me:- Ho detto qualcosa di divertente?-.
- No, è solo che tu hai gli stessi  identici gusti di tuo fratello!- cercai di spiegarmi, non pensando al fatto che forse non avrei dovuto conoscere così bene i gusti di Michel.
Ci pensò William.
- Lo conosci bene, Michel?- mi chiese curioso.
Mi prese un colpo e cercai di rimediare a quanto avevo detto.
- Beh, negli ultimi tempi ci siamo conosciuti meglio, da quando è tornato e poi tempo fa abbiamo avuto l’occasione, per caso naturalmente, di…-.
- Non serve che tu faccia così- mi disse interrompendomi, con un’aria di chi sa tutto e guarda con pietà la coinvolta.
 - Scusa?- feci la finta tonta.
- Non serve che tu finga, so che state insieme-.
Mi prese in contro piede.
- Sei così sorpresa? Si vede lontano un chilometro! È bastato il tuo comportamento nei suoi confronti quando mi ha visto la prima volta o la sua espressione quando ci ha visti parlare sta mattina, ma tranquilla non dirò niente a nessuno! Però sapete che se volete continuare questa storia, dovete dirlo…-.
Lo guardai in modo espressivo.
- Sì, lo so. Ma lui è un po’ meno entusiasta di me-.
- Già, so cosa vuol dire. Tu tieni davvero a lui?- mi chiese serio.
Rimasi zitta un po’ girandomi tra le mani un maglia. Poi lo guardai negli occhi e gli dissi:- Lo amo-.
- Mm- disse e  fece dondolare il capo per soppesare la risposta - Direi che è sufficiente!- disse sorridendo.
Gli sorrisi anche io.
- Ok, ora cerchiamo qualcosa per me!-.
- Sì!-.
Dopo aver preso una buona quantità di vestiti, andammo al supermercato.
- È bello andare in giro così- disse William dopo un po’ di silenzio.
- Così come?- gli chiesi.
- Così, tranquilli. Senza dieci commessi che ti corrono dietro perché “onorati di averci qui”!- rispose facendo una smorfia.
Cercai nuovamente di nascondere un sorriso, ma se ne accorse.
Da prima mi guardò perplesso, poi capì e disse sorridendo:- Immagino tu abbia già sentito queste cose-.
- Già, comunque di cosa hai bisogno qui?-.
- Mmm… Di un gel per capelli e poi avrei bisogno di prendermi anche un profumo, ma posso fare un’altra volta-.
- Ma perché? Già che siamo qui. C’è una profumeria qui di fianco, se vuoi proviamo a vedere!- gli dissi e girandomi a guardarlo, lo vidi fissare qualcosa alla fine della corsia.
Seguii il suo sguardo e vidi una ragazza abbracciata a un bel ragazzo, palestrato con la pelle così abbronzata che non sembrava vera.
William li guardava con la mascella contratta, la fronte corrugata.
- Hei… Tutto bene?- gli chiesi.
Fece un respiro profondo, si rilassò e disse:- Lei era la mia ragazza prima… Non l’ho neanche salutata quando sono partito-.
- Vuoi andare da lei?- gli chiesi incerta.
Lui la guardò di nuovo incerto, poi si girò e disse: - No è meglio se…-.
- Will?- una voce lo interruppe.
Lui si girò di scatto e io feci altrettanto.
La ragazza si stava avvicinando, guardando incredula William.
- Sara…- disse lui visibilmente agitato.
- O mio dio, non ci credo- disse lei coprendosi la bocca con una mano.
Il palestrato stava arrivando, dopo essersi accorto che la sua ragazza era sparita.
- Ciao…- disse piano William.
- Sei… Sei vivo e… Sei tornato!- continuò lei con il respiro veloce.
Il ragazzo le mise un braccio attorno alla vita con espressione che equivaleva ad un cartello di “proprietà privata” .
Sara se ne accorse a disse:- Lui… È… Jasper. Il mio fidanzato-.
- Fidanzato?- ripeté sorpreso William.
La ragazza stava già per mettersi a piangere e scusarsi, quando William sorrise a disse:- Congratulazioni, allora!- porgendo la mano al ragazzo.
- Grazie- disse questo perplesso.
- Io sono William, un amico di Sara -.
- E la tua ragazza come si chiama?- chiese Sara, guardandomi.
Io stavo per dire qualcosa, ma William fu più veloce.
- No, lei è Josephine, non è la mia ragazza. Lavora per mia madre, mi ha accompagnato per darmi una mano a prendere un po’ di cose. Sai, dopo sei anni i vestiti non ti vanno più bene e bisogna comprarne altri- disse alzando le borse.
Lei sorrise. - Ah, ok! Ma quando sei tornato?-.
- Ieri-.
- Beh, ben tornato! È stato un piacere rivederti. Josephine – disse facendomi un cenno.
- Sì, ciao!- rispose William.
Poi proseguirono.
William sospirò, io lo guardai.
- Come ti senti?- gli chiesi.
- Bene. Sono sollevato che sia tranquilla anche lei. Anche se devo ammettere che…-.
- Che?- lo incitai.
- Quel tipo è strano forte!- si mise a ridere e io con lui.
Dopo la tappa del supermercato, entrammo in profumeria e dopo i cento profumi che ci spruzzammo addosso per dispetto, ne scelse uno e uscimmo.
Tornando a casa William mi raccontò un po’ di aneddoti di suoi compagni d’armi in Afghanistan, alcuni sospettai riguardassero lui ma non specificò a chi accaddero.
Mi stava giusto raccontando tra le risate, di un suo compagno che i primi mesi di addestramento dopo aver sparato con la mitragliatrice in un’esercitazione, aveva mancato i bersagli e il capitano gli aveva chiesto l’arma per fargli vedere come fare perché era “un vero idiota” e questo gli aveva porto per la canna incandescente.
- … E il capitano l’ha afferrata! Ha urlato come una bambina e Pete mi fa “e ora chi è l’idiota?”. Non sai che risate!-.
Mi misi a ridere con lui e aprii la porta d’ingresso.
Una volta dentro vidi Michel che scendeva le scale e quando mi vide ridere e chiacchierare con William mi guardò carico di rabbia.
- Ciao Michel!- gli dissi cercando di essere positiva.
Lui scese e mi venne vicino trascinandomi lontana da William, lo guardò e poi mi chiese fissandomi:- Cosa diavolo sta succedendo?-.
Lo guardai perplessa.
- Niente…-.
- Non trattarmi come se fossi uno stupido! Ti ho vista, con William!-.
- Cosa? Stavamo parlando, che problema c’è?-.
- Lo sai qual’ è il problema! Lui è il problema!- disse alzando la voce.
- Oh, smettila con questa storia! Sì, ha sbagliato ma ora è tornato e solo tu non vuoi neanche provare a dargli una possibilità e perdonarlo!- saltai su io.
- Hei, che succede?- si avvicinò William.
- Tu non metterti in mezzo! Sei tu la causa di tutto, quindi stattene zitto!- gli puntò contro il dito Michel.
- Vedi? Non vuoi saperne! Non può neanche parlarti!- saltai su nuovamente.
- Cos’è, ora lo difendi?- continuò lui urlando, con gli occhi fuori dalle orbite.
- Sì! Lo difendo se tu continui ad essere così ingiusto!-.
- Io sarei ingiusto ora? Ma che…-.
- Michel, stai zitto!- lo interruppe la signora Jones, comparsa dal salottino, con il fiato corto, lo sguardo stravolto.
- Mamma!- disse Michel andandole vicino, ma lei lo fermò guardandolo duramente. Poi spostò il suo sguardo su di me e mi fulminò.
In quel momento dietro di lei comparve Eveline, con uno sguardo innocente.
- Ciao Michel!- disse sorridendo angelica – Ero passata a salutare, ma ho incontrato tua madre e ci siamo messe un po’ a chiacchierare. Non pensavo che non fosse a conoscenza della tua cara ragazza, mi dispiace!- disse ostentando una faccia dispiaciuta.
- Michel. È vero?- chiese la madre.
Michel mi guardò duro e disse:- No, non più-.
- Cosa…?- dissi sentendomi girare la testa.
Ero in un incubo o Michel aveva davvero detto che non ero più la sua ragazza?
- Hai capito! Mi sono completamente sbagliato sul tuo conto! Non sei assolutamente la persona che credevo! Cambi ragazzo alla prima occasione, ogni volta, quando ti è più conveniente?-.
- Michel… Ma cosa stai… Cosa stai dicendo?-.
- Michel, ti assicuro che non è così! Lei non è interessata a me! Michel lei è innamorata di te, dovresti saperlo!- cercò di difendermi William.
- La smetti? Non fai che peggiorare la situazione! Stai zitto! Ormai hai perso ogni diritto in questa famiglia! Tu non ne fai più parte!- gli saltò addosso Michel.
- Ora basta! Capisco di averti fatto soffrire e ti volevo lasciare del tempo per accettarmi di nuovo, ma che tu lo voglia o no sono tuo fratello maggiore e in quanto tale non ti permetto di trattarmi così e ho tutti i diritti di difendere una delle poche persone che ancora ti vogliono bene e che tu stai prontamente allontanando per niente!-.
- Ma che ne sai tu di me! Tu non mi conosci! Non sai niente di me!- continuò Michel.
- Basta! Basta! Michel, William ha ragione devi smetterla con questo comportamento. William tu non intrometterti in faccende che conosci così solo per detto di una sola persona e tu, tu Josephine lascia immediatamente questa casa e non farti mai più rivedere! Piccola, sciocca, bambina ingrata!- urlò la signora Jones, il volto sudato per lo sforzo.
La stanza cadde in un silenzio spettrale per qualche secondo, poi sia William che Michel dissero:- Mamma…-.
- Zitti!- li interruppe lei col fiato corto.
Cominciò ad impallidire, si appoggiò alla porta e si mise una mano sul petto.
Cominciò a respirare forte e male, le gambe le cedettero, cadde a terra e svenne.
- Mamma!- urlarono i due figli precipitandosi su di lei.
Intanto anche Marie, Jane, Katie, David e Samuel si erano affacciati e ora si erano avvicinati.
- Chiamate un’ambulanza!- urlò William.
Michel prese subito il cellulare e fece il numero.
- Pronto! Sono Michel Jones! Mia madre è appena svenuta! No, non respira…-.
In quel momento io non sapevo che fare, me ne stavo ferma, in un angolo senza capire.
Arrivò l’ambulanza. Portarono via su una barella la signora Jones e un’infermiere disse:- Un parente venga in ambulanza con lei!-.
- Vado io!- scattò Michel.
William rimase lì fermo e Marie prendendolo per un braccio gli disse:- Forza ti porto io!-.
Così chiusero la porta d’ingresso e allora sentimmo solo il suono delle sirene che poco a poco sparì, allora rimase solo il silenzio.
Tornarono tutti in cucina. Katie mi cinse le spalle e mi portò in camera.
Io non dissi niente.
Katie mi fece sedere sul letto e mi tenne vicina a lei per un po’.
Poi mi riscossi e senza dire una parola mi alzai e presi la mia valigia.
- Jo? Che cosa stai facendo?- mi chiese preoccupata.
- La signora Jones ha detto che devo andarmene-.
- No, non diceva sul serio, non devi andare via!- disse toccandomi un braccio.
La spinsi via.
- Si devo andarmene-.
- Ma dove andrai? Come farai?-.
- Ho dei soldi da parte, andrò in un albergo per ora-.
- Ma perché invece non rimani qui finché…-.
- No! Non posso restare! Non mi vuole più nessuno qui!- le urlai contro.
- Io sì!- urlò anche lei, piangendo.
- Tu hai David, Marie, Jane. Sopravvivrai!-.
Chiusi la valigia e mi diressi fuori. In cucina nessuno disse niente.
Aprii la porta d’ingresso.
- Non andare!- mi urlò Katie.
Ma ormai io ero per strada e non avevo intenzione di tornare indietro.

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Capitolo 12
*** Dodicesimo capitolo ***


Ben arrivati al 12° capitolo!! Ora la situazione è parecchio triste... Però sappiate che non manca molto alla fine della storia, al massimo due o tre capitoli!!
Buona lettura!

Camminai per circa mezzora, poi infreddolita e scossa, trovai un piccolo albergo.
Entrai e chiesi una stanza.
- Stanza 36! Ecco la chiave- mi disse la ragazza dietro il bancone porgendomi una tessera magnetica.
- Non… Non ce ne sono altre?- chiesi.
- Singole… Solo questa, mi spiace- controllò sul computer lei.
- Va bene, non importa- dissi e mi diressi all’ascensore.
Arrivai davanti alla porta, fissai a lungo i due numeri di metallo incollati al legno.
Sospirai ed entrai.                            
Una volta dentro accesi la luce e vidi una piccola cameretta accogliente, tutta in rosso e marrone.
Mi sedetti sul letto e appoggiai sul comodino la chiave.
La guardai. Spiccavano in rosso sangue scritti i numeri 3 e 6.
Li fissai per un po’ e poi scoppiai a piangere.
 
-Forza tocca a te!- mi disse Michel, dandomi un colpetto sul braccio.
- Mmm…- dissi pensierosa.
- Dai lumaca!- mi disse ridendo.
- Ci sto pensando!- gli risposi ridendo a mia volta.
- Ok, ci sono. Il tuo numero fortunato!-.
- Il mio numero fortunato? Ma che domanda è? Ti ho già detto il mio numero preferito, non basta?- mi chiese non capendo.
- No, dai ti ho chiesto il numero fortunato!-.
- Il36!-.
- Dai, non dirne uno a caso!-.
- Non è uno a caso! È il mio numero fortunato!-.
- Non ti credo-.
- Sì! Mio padre mi ha avuto a 36 anni, ad una lotteria una volta ho vinto 3600 dollari!-.
- Davvero?-.
- No, questo l’ho inventato- disse ridendo- Ma mio padre davvero mi ha avuto a 36 anni!-.
- Sei uno stupido!- dissi buttandogli addosso il mio tovagliolo.
- No, ora sono serio. Sarà il mio numero fortunato in futuro!-.
- Ma davvero?- scherzavo io.
- Sì, ti sposerò il 36 maggio!-.
- ti ringrazio!-.
- …Nel 2036!-.
- Pessimo!-.
- …E avremmo 36 figli!- disse ridendo di gusto.
- Dammi il tovagliolo per favore, così te lo rilancio!- dissi ridendo.
- Propongo un brindisi!- disse ricomponendosi e facendo il serio.
- Bene!- dissi stando al gioco e alzando il calice.
- Al 36!- disse con voce solenne.
- Al 36!-.
 
Mi distesi sul letto e piansi.
Non so quanto tempo passai con il viso premuto sul cuscino, fradicio di lacrime e poi mi addormentai.
 
Mi svegliai verso le otto di sera.
Mi tirai su e il primo pensiero che ebbi fu: devo andare in ospedale.
Mi cambiai e mi resi presentabile. Poi scesi nell’atrio.
-Buonasera signorina Taylor- mi disse la stessa ragazza di quel pomeriggio.
- Mangerà in albergo questa sera?- mi chiese cortesemente.
- No- sentii la gola raschiare, mi schiarii la voce - No, devo uscire. Grazie-.
- Di niente, buona serata!-.
Presi un taxi e arrivai davanti all’ospedale. Prima, l’idea mi era sembrata più che buona, ma ora avevo mille dubbi.
Piano entrai e andai al bancone centrale.
- Posso esserle utile?- mi chiese l’infermiera.
 -Sì, oggi è stata portata in ambulanza qui la signora Georgette Jones, può dirmi come sta o…?-.
- Mi dispiace, ma non posso rilasciare nessuna informazione su i pazienti se non si è un parente- mi interruppe.
- Josephine!- sentii una voce chiamarmi.
Mi girai e vidi William che mi veniva incontro.
- William. Mi dispiace, forse non sarei dovuta venire. Scusa, anzi sai forse dovrei andare…-.
- No! Marie ha provato a chiamarti, ma ha risposto Katie che ha detto che eri andata via senza il cellulare e non sapevamo come contattarti-.
- Perché? Perché volevate contattarmi?-.
- Per Miriam. Lei e papà sono arrivati appena possibile, lui è andato a prenderla a scuola e quando ha visto la mamma è rimasta sconvolta, papà si è messo a piangere e questo non l’ha aiutata, Michel sembrava un automa in un angolo della stanza, zitto e quando io le sono andato vicino le mi ha guardato ed è scappata. Non si ricorda neanche chi sono.
- Marie è riuscita a fermarla ma è da questo pomeriggio che non dice una parola, così ha pensato a te e quando non siamo riusciti a contattarti non abbiamo potuto fare altro che aspettare, è riuscita a dire a Marie che voleva dell’acqua, per questo sono qui- disse alzando la bottiglietta che aveva in mano.
- Dov’è?- dissi prendendola.
- Vieni-.
Arrivammo al terzo piano e dopo qualche svolta tra i corridoi, William mi indicò una porta.
Di fianco vidi Marie seduta, ad occhi chiusi.
- Marie – le sussurrai.
Aprì gli occhi e si tirò su.
- Jo, per favore prova a parlarle tu, è qui dentro dalle due di questo pomeriggio. L’infermiera ha detto che è una stanza vuota e che non ci sono problemi ma…- le si spezzò la voce.
Io guardai dalla porta socchiusa e vidi Miriam seduta per terra, con le braccia incrociate sulle ginocchia e su di esse appoggiata la testa.
Feci un respiro profondo ed entrai.
Non si mosse ed io andai a sedermi circa a mezzo metro da lei, per terra.
- Hei…-.
Niente.
- Hai sete?- le chiesi.
Lei scosse la testa.
- Come preferisci, però io un po’ sì…- dissi, aprii la bottiglia e ne bevvi un po’ e poi facendo schioccare la lingua soddisfatta.
Appoggiai la bottiglia tra di noi, aperta e socchiusi gli occhi, rilassandomi.
Miriam poco alla volta alzò il capo, guardò l’acqua poi me, io chiusi gli occhi e la sentii prendere la bottiglietta e trangugiarla tutta.
Quando riappoggiò la bottiglia a terra, riaprii gli occhi e la guardai.
- Avevi sete allora!- le sorrisi.
Lei mi guardò e scoppiò a piangere, buttandosi tra le mie braccia.
Io l’abbracciai e la tenni stretta perché si calmasse.
- Perché la mamma sta di nuovo male? Avevano detto che sarebbe stata bene, che non avrebbe più avuto problemi. Perché?- mi  chiese triste.
- È già stata così male?- le domandai non capendo.
- Sì, io ero piccola  e non me lo ricordo bene però lei stava tanto male-.
- Quando è successo?-.
- Avevo tre anni, mi sembra. Ma perché adesso sta male?-.
- Io non lo so bene, se vuoi chiamo tuo fratello, lui lo sa di certo, vuoi?- provai a chiederle.
- Michel? Lui sta male per la mamma, anche l’atra volta era sempre triste, non voleva più giocare con me-.
- Cosa ne pensi se faccio entrare William?-.
Quando lo nominai, lei si ritrasse.
- Io non lo conosco. Non so chi è, mi fa paura!- disse sul punto di piangere di nuovo.
- No, non devi aver paura! La mamma ti aveva detto che hai un altro fratello?-.
- Mi aveva detto che era andato via quando ero piccola e adesso era in cielo, quindi non può essere lui! Il mio fratellone è in cielo, non può venire qui!- disse convinta.
- Ma la mamma non sapeva se davvero era in cielo o no e alla fine lui è riuscito a tornare a casa…-.
- Quando? Io non l’ho mai visto a casa!- mi interruppe.
- Perché è tornato solo ieri e tu eri da Jennifer a dormire, quindi non l’hai visto-.
Rimase un po’ in silenzio, poi mi guardò.
- Lui è proprio mio fratello?- chiese incerta.
- Sì e ti assicuro che ti vuole tanto, tanto bene. Adesso è qui fuori, tutto preoccupato per te. Pensi di poterci anche solo parlare un po’? io starò qui con te!-.
Dopo qualche sua riflessione annuì.
- Bene. William, puoi venire per favore?- alzai la voce.
La porta si aprì piano e comparve William, guardava Miriam con tristezza e il timore di fare qualcosa di sbagliato.
Miriam si avvicinò meglio a me e batté la mano accanto a lei, perché si sedesse.
In silenzio lui lo fece e poi disse:- Ciao…-.
- Ciao- rispose timida, ma un po’ curiosa Miriam.
- Come stai, ora?- le chiese sempre piano, incerto.
- Meglio- annuì lei- Assomigli tanto a Michel -.
William le sorrise.
- Già, anche tu gli assomigli, sai?-.
- Davvero?- chiese lei toccandosi la guancia.
- Sì-.
- Quindi anche noi due… Ci assomigliamo, giusto?- gli chiese.
- Secondo te, ci assomigliamo?- le chiese lui.
- Un po’…-.
- Allora sì!- le sorrise.
- Però tu sei più grosso di me!- cominciò a sciogliersi lei.
Lui sorrise. - È vero…-.
- Hei, Miriam ti dispiace se vado un attimo fuori? Devo andare in bagno- mi intromisi sperando le andasse bene.
- Sì, va bene…- mi disse lasciandomi tranquilla la mano.
- Ok- le diedi un bacio, sorrisi a William e uscii.
- Grazie Jo…- mi disse Marie.
- Di niente… La signora Jones, come sta?- chiesi incerta.
Sospirò.- Ora è in coma farmacologico. Vedremo quando si sveglierà-.
- E… Michel?- chiesi a bruciapelo.
- È stravolto-.
- Miriam ha detto che la signora è già stata tanto male. Cinque anni fa, corrisponde alla scomparsa di William o è una coincidenza?- lei chiesi.
- Io non posso dirti cosa è successo, ma è stato un duro periodo per tutti. Per Michel in particolare, ha dovuto mandare tutto avanti lui. Non posso dirti altro-.
- Ora è meglio che vada…- dissi.
- Jo! Mi dispiace…- mi disse triste.
- Sì…-.
Percorsi diversi corridoi, stavo per prenderne un altro, ma vidi Michel.
Era appoggiato alla parete. Si teneva le mani premute sugli occhi.
Si bloccò, si girò di scatto nella mia direzione e io mi tirai indietro velocemente.
Ritornai suoi miei passi correndo, finalmente trovai un ascensore.
Non sapevo se mi aveva visto, o seguito, ma sentivo di dovermi allontanare il più possibile da quel posto.
Uscii e mi investì il freddo. Chiamai un taxi e mi girai un’ultima volta verso l’ospedale. Forse era stata la mia immaginazione ma per un attimo mi sembrò di vedere Michel, ad una finestra.
 
Tornai subito in hotel e mi chiusi in camera.
Non riuscivo a stare ferma, andavo avanti e indietro per la stanza, pensavo a Michel. Vederlo mi aveva provocato un’agitazione inspiegabile e dopo quello che avevo scoperto, stavo dando i numeri. Non avevo mai saputo che la signora Jones aveva avuto dei problemi a livello fisico e psicologico, con la scomparsa di William. Era successo poco prima che io arrivassi. Katie era stata adottata da Jane e Samuel, quando i suoi erano morti, ma era stato poco prima del mio arrivo quindi anche lei non ne era a conoscenza, David era arrivato dopo di me, quindi neanche lui. Solo Marie, Jane e Samuel lo sapevano dunque.
Ora i pezzi si agganciavano tra loro: per Michel era stato un periodo difficile, forse da questo dipendeva anche il comportamento con sua madre, il che spiegava perché quando lo accusai lui mi disse di stare tranquilla perché c’era abituato, perché sapeva che erano solo voci che non conoscevano la verità, quindi non lo sapeva nessuno della malattia della signora.
Mi lasciai cadere sul letto. Come mi sentivo idiota. Potevo comportarmi in modo diverso forse, fin dall’inizio. Tanto ora, comunque neanche Michel voleva vedermi.
Sono una persona orribile, continuavo a pensare.
Quanto avrei voluto essere con lui, la sua immagine con le mani sul viso continuava a tornarmi in mente. Ma ora lui non voleva me. Non potevo andare da Michel.

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Capitolo 13
*** Tredicesimo capitolo ***


Bene, ci avviciniamo sempre di più alla fine, ma ancora manca il pezzo forte... Quindi, buona lettura!!

Squillò il telefono sul comodino.
Mi riscossi e guardai l’orologio. Le 23.34.
Mi ero addormentata anche quella sera tra le lacrime, dopo una giornata in giro a cercare uno straccio di lavoro.
- Pronto?- risposi assonnata.
- Una chiamata per lei signorina Taylor-.
- Chi è?-.
- Non ha detto il nome, se vuole rispondere per favore prema il pulsante che si è illuminato sull’apparecchio -.
Guardai la spia lampeggiare e dopo un attimo di esitazione risposi.
- Sì, accetto la chiamata-.
Sentii il cambiamento di linea e poi una voce maschile.
- Josephine! Sono William, per favore vieni qui! Ti prego vieni… Non ce la faccio, per favore…- aveva la voce spezzata e agitata.
Scattai seduta.
- William, Will! Calmati. Dimmi cosa è successo-.
- Mia madre. Lei si è svegliata, Miriam era vicina a lei. L’ha guardata e… Non l’ha riconosciuta…- sentii la sua voce spezzarsi di nuovo- Le… Le ha chiesto chi era. Miriam si è messa a piangere e mia madre si è agitata, non capiva più niente e alla fine è svenuta di nuovo.
- Allora anche Miriam non ci ha più visto. Io le ero dietro, si è girata ha cominciato a darmi pugni, urlava e ad un certo punto, mi ha guardato, mi ha chiesto “perché?” e poi…- silenzio- Ha perso i sensi. Ti prego vieni qui! Mio padre non sa più per chi piangere, Michel… Non reagisce. Quando mamma si è svegliata le si è avvicinato, ma poi da quando è tornata incosciente è peggio di prima. Non parla, non mangia. Sta fermo su quella poltrona e basta-.
- Arrivo subito-.
Mi vestii in fretta e corsi fuori. Diluviava.
Cercai di fermare un taxi  per cinque minuti, poi la portinaia mi disse che poteva chiamarmene uno.
Dopo altri cinque minuti ero quasi arrivata.
Ci bloccammo nel traffico. Non potevo aspettare, uscii e mi misi a correre.
Miriam aveva bisogno di me. 
Ero a due isolati di distanza, corsi tra le macchine, i clacson che  mi assordavano.
Infine, con il fiatone riuscii a raggiungere l’ospedale. Mi fermai davanti alle porte per un momento per riprendere fiato ed entrai.
Non guardai neanche l’infermiera, la stessa del giorno precedente e mi diressi agli ascensori.
Una volta arrivata al terzo piano, svoltai sicura verso la camera della signora Jones, quella davanti alla quale avevo visto Michel.
Fuori dalla stanza c’era Marie. Appena mi vide, mi corse incontro e disse:  - Sei tutta bagnata, Che è successo? Vieni, devi tornare giù al secondo piano, lì c’è Miriam!-.
- Come sta?- le chiesi subito tornando agli ascensori.
- Lei sta abbastanza bene. Ora sta dormendo, ma William no. Si sente in colpa, non vuole lasciarla, pensa che sia colpa sua e… ora sembra che tu sia la persona migliore che può stargli vicino… Per favore-.
- Sì…- risposi un po’ incerta. Infondo io non lo conoscevo veramente, ma comunque era vero, mi sentivo vicina a lui. Mi sentivo quasi in obbligo di aiutarlo, come succede per una persona cara.
- Quando esci dall’ascensore vai a destra ed è la prima porta a sinistra, va bene?- mi disse Marie mentre si aprivano le porte.
- Sì, ok vado-.
Le porte si stavano richiudendo, io guardavo Marie e mi sembrò che in quel momento Michel svoltasse l’angolo, con un’espressione interrogativa, guardandosi intorno, come per cercare qualcuno. Per una frazione di secondo incrociai il suo sguardo e poi le porte si chiusero.
Seguii le indicazioni di Marie e trovai William seduto vicino al letto, dove la bimba riposava.
Teneva il viso nascosto tra le mani e non mi sentì entrare.
Mi sedetti accanto a lui, tolsi il cappotto fradicio e tirai indietro i capelli bagnati.
Gli sussurrai:- Will?-.
Non si mosse.
- Will… Non fare così- continuai piano, appoggiando la mia mano sulla sua gamba.
Ancora nessuna reazione.
- William, non è colpa tua. È una situazione terribile, è vero. Ma assumerti tutta la colpa non ha senso. Tua madre sta male. Molto-.
Sentii un suo sussulto. Continuai con voce ferma.
- E tutti voi ne state subendo le conseguenze. Tuo padre è debole, non pensava che sarebbe capitata una cosa del genere. Miriam è piccola, ha reagito spaventandosi ed è normale che non abbia retto davanti ad una cosa del genere. Michel… Michel reagisce a modo suo, si chiude in sé stesso- mi si incrinò la voce e mi fermai un momento – Ma tu, tu devi rialzarti. So che è dura, fidati lo so davvero, ma non puoi addossarti la colpa e startene fermo per questo.
- Sei una persona forte, io lo so. Ora fatti valere come fratello maggiore e come bravo figlio-.
- E se si rifiutano, se dicono che è colpa mia?- mormorò con voce insicura.
- Non ascoltarli. Non è così, se lo fanno è per il dolore, lo sai anche tu! Forza, puoi farcela-.
Rimanemmo fermi per un po’, poi lui fece un respiro profondo, mise la sua mano sopra la mia e mi guardò, un’espressione triste negli occhi:       
- Grazie- mi sussurrò.
Io gli sorrisi incoraggiante.
- Rimango io con Miriam - dissi.
 -Sì- la guardò per un lungo momento, io gli strinsi la mano, mi guardò e uscì.
Mi misi sulla sua sedia e presi la mano di Miriam, che dormiva facendo respiri leggeri, quasi impercettibili. Mi appoggiai sui gomiti sul letto e ci misi la testa.
Dopo un po’ sentii un movimento della porta, girai la testa e vidi Michel fermo sulla porta.
Mi ero asciugata abbastanza dalla corsa sotto l’acqua, ma ora sentii il freddo penetrarmi nelle ossa. Il cuore che batteva a mille.
- Ciao…- disse piano.
Io deglutii. - Ciao-.
Stava  sulla porta, incerto se entrare o andare via.
Optò per chiudere la porta e rimanerci appoggiato.
- Sai già cosa è successo?- mi chiese facendo un cenno verso Miriam.
- Sì, William mi ha chiamata-. Subito mi pentii di averlo detto, per paura di scatenare nuova rabbia in lui.
Infatti strinse gli occhi, con la bocca socchiusa.
Prima che potesse parlare, scattai in piedi.
- Bene, ora devo andare. Non c’è più bisogno di me, vado-.
Presi al volo la giacca e oltrepassai Michel il quale dopo un attimo di smarrimento si voltò e mi afferrò il braccio per fermarmi.
- No aspetta…- cominciò uscendo dalla  porta con me.
Si interruppe per il rumore di qualcosa che era caduto dalla tasca della mia giacca.
Abbassò lo sguardo e si chinò a raccoglierla.
Rimase a osservare la chiave della mia camera, passando il pollice sopra i numeri in rilievo.
Quando alzò lo sguardo, vidi l’immenso dispiacere e tristezza che provava in quel momento.
Cercò di dire qualcosa, ma richiuse la bocca senza emettere suono.
La seconda volta riuscì a dire, agitando la chiave:- Vuoi… Ti va di prendere un caffè giù?-.
Io lo fissai un momento negli occhi. Poi annuii e in silenzio ci avviammo.

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Capitolo 14
*** Quattordicesimo capitolo ***


Scusatemi se ancora una volta sono moolto lenta... Spero vi ripaghi bene questo capitolo, che è un po'... Lo spannung della storia direi!! Grazie a voi che la leggete, da davvero un'immensa soddisfazione vedere che qualcuno apprezza ciò che scrive! Buona lettura!

Una volta al tavolo, stemmo zitti per un po’. L’unico rumore era quello dei cucchiaini che giravano nelle tazze.
Ad un certo punto, Michel mise giù il cucchiaino e mi guardò.
-Scusami-.
Io abbassai lo sguardo, continuai a fissare il mio cappuccino.
- Devi sapere una cosa- continuò un po’ più piano.
Lo guardai di sottecchi, ora anche lui guardava in basso, ma era determinato a parlare.
- Io ti ho raccontato che quando mio fratello se ne è andato, per noi è stato un brutto periodo. Beh, brutto è un eufemismo. Quando ci arrivò la lettera di dispersione di William, mia madre andò in crisi. Nel primo periodo pensavamo fosse semplicemente sconvolta e per questo fosse così giù. Ma dopo un mese peggiorò, aveva degli scatti d’ira contro tutti, era autolesionista e si aggirava per casa come un automa. La fecero ricoverare in psichiatria. Per più di quattro mesi rimase ferma su quel letto, parlando di cose senza senso e urlando nel sonno. I medici dicevano che era un tipo di schizofrenia da trauma. Poco alla volta, poi cominciò a migliorare. Dopo altri tre mesi ci dissero che poteva tornare a casa, ma che lo shock subito dal cervello era stato tale, da non poter considerare possibile una completa guarigione. Quando tornammo a casa, cominciò a parlare a vanvera di nuovo. Parlava di me principalmente. Sembrava che William non fosse mai esistito. Diceva che doveva prendermi quel vestito, questa cosa, perché ne avevo bisogno, perché mi serviva per.. La facemmo visitare di nuovo e ci dissero che era tutto causato dal trauma, che sarebbe migliorata, ma che però si comportava così perché il suo subconscio le diceva che era stata una madre non abbastanza attenta nei confronti di William e che quindi il suo cervello cercava di rimediare, essendo iperprotettiva nei miei confronti. Sai quando sono andato via, quei due anni? Prima sono andato ad un college che mia madre mi supplicava di frequentare, poi in Inghilterra, per una specializzazione che mai mi servirà, perché ho intenzione di fare tutt’altro nella mia vita, ma l’ho fatto perché altrimenti lei sarebbe ricaduta in depressione, pensando di aver sbagliato di nuovo in qualcosa. Pochi sapevano della sua situazione, così non dicemmo niente della mia destinazione e io lasciai che la gente dicesse quel che voleva su di me-.
Io lo ascoltavo, fissandolo. Non potevo crederci.
 Tutto ciò che avevo pensato di lui era sbagliato. La rabbia di Marie quando mi aveva detto che non sapevo cosa gli era capitato e infine la cosa che Michel non riteneva dovessi sapere. Ecco cos’era. Mi sentivo una tale stupida.
Dopo qualche minuto di silenzio alzò lo sguardo su di me.
- Ecco perché ce l’avevo tanto con William. Sì, mia madre è migliorata moltissimo, ma ho dato sempre la colpa a lui per quanto le è successo. Sono tuttora convinto che è stato un idiota, che ha causato tanta di quella sofferenza che…- si interruppe facendo un sorriso senza gioia- Comunque, ho capito che è ora di perdonarlo. Avevi ragione, sono diventato paranoico. Sono stato uno stupido e… Non avrei mai dovuto dirti quelle cose-.
Io chinai ancora di più la testa al ricordo del suo viso che mi urlava sprezzante.
- Io…- continuò piano, con voce spezzata - Io non ho mai pensato quello che ho detto. Mi ha preso una rabbia cieca e… Mi dispiace. Non so come posso farmi perdonare, ma… Volevo che sapessi che… Che mi manchi. E che io… Ti amo ancora-.
Rimanemmo in silenzio, continuavo a risentirele sue parole.
Avrei dovuto dirgli che lo amavo anche io, che mi mancava da morire, che avrei voluto abbracciarlo e sentire il suo buon profumo, avrei voluto dirgli che avevo bisogno di lui, ma non ci riuscivo. Me ne stavo ferma, la tazza tra le mani. Sentivo il suo sguardo addosso, ma non avevo il coraggio di guardarlo.
Dopo cinque minuti di completa immobilità, Michel si alzò, si fermò di fianco a me e sussurrò ancora: -Mi dispiace…- e se ne andò.
Fissavo il mio cappuccino intonso. Ero in lotta con me stessa. Uscire e non tornare mai più in quel posto o alzarmi, rincorrere Michel e seguire il mio intenso desiderio?
Lo facevo soffrire. Michel soffriva per colpa mia. Non volevo che soffrisse. Io lo amavo, per questo non volevo che stesse male. Lo amavo… Diavolo se lo amavo.
Improvvisamente alzai la testa. Io lo amavo. Lo amavo moltissimo. Quando si ama una persona si fa tutto il possibile per farla felice. Io lo amavo e gli mancavo. Gli mancavo, ma se fossi andata da lui, sarebbe stato felice!
Ma lo avevo anche fatto soffrire molto, lui stava male per colpa mia. Come minimo per la decenza, per la morale dovevo lasciarlo stare. Forse se mi fossi allontanata sarebbe andato avanti.
Forse.
In quel momento vidi dalla finestra una donna, aveva ancora il braccialetto dell’ospedale addosso, che correva per il parcheggio con le braccia in aria. Solo in quel momento mi accorsi che nevicava. La donna portava un foulard in testa, segno di una passata chemioterapia. La vidi che si voltava ridendo e in quel momento scorsi un uomo. Le corse incontro e la fece girare in aria. Lei urlava dalla felicità.
Al diavolo la morale! Pensai d’un tratto.
Scattai in piedi e uscii dal bar. Non sapevo dove era andato Michel, speravo solo che non avesse preso ascensori.
Corsi alla cieca per i corridoi e alla fine lo vidi.
Camminava piano, le spalle curve.
Il cuore mi batteva fortissimo, avevo il fiatone per la corsa, ero infreddolita per i vestiti ancora bagnati, lo guardai per un secondo e bloccandomi all’inizio del corridoio chiamai: - Michel!-.
Lui si girò e restò a guardarmi, sorpreso.
Feci un paio di respiri per calmare il cuore, feci un mezzo sorriso trovandomi a pensare a quanto era bello anche così: le spalle curve, le mani nelle tasche della felpa da ginnastica, i capelli disordinarti.
- Michel…- ripetei avvicinandomi piano.
- Io volevo dirti… Che anche tu mi manchi- dissi con tutto il sentimento di cui disponevo, a parlare in quel momento era il mio cuore.
- Michel mi disp…- cercai di continuare, ma fui interrotta da lui che in pochi secondi aveva colmato la distanza tra noi e mi aveva baciata.
Subito non mi resi neanche conto di ciò che accadeva, ma quando sentii il famigliare piacere che mi avevano sempre dato le sue labbra sulle mie, mi ripresi e mi strinsi forte a lui.
Poi si allontanò da me quanto bastava per guardarmi negli occhi e mi disse:- Non dire niente. Va bene così. Va bene così- e mi fece appoggiare la testa al suo petto, cullandomi.
Quello fu il momento più dolce della mia vita. Ero in pace. Io amavo Michel, lui amava me ed eravamo insieme. Cosa potevo volere di più?

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Capitolo 15
*** Quindicesimo capitolo ***


Ciao a tutti, ci stiamo proprio avviando alla fine e... A breve non ci sarà più niente da dire!
Per adesso, buona lettura!


Quella notte William obbligò Michel ad andare a casa, a riposare. Lui sarebbe stato con Miriam e il signor Jones con Georgette. Il giorno dopo si sarebbero dati il cambio.
Quando tornai all’hotel erano le due di mattina. Arrivata alla porta della mia camera, fissai ancora le piastrine di metallo attaccate all’ingresso.
Sorrisi e ripensai a quanto era successo poco prima.
- Sai, Jo… -aveva cominciato a dire Michel.
Eravamo davanti all’ospedale, in attesa del mio taxi.
Teneva il capo chino, vicino al mio, giocherellava con i miei capelli.
- Sai, sono state le chiavi. Le tue chiavi mi hanno fatto trovare il coraggio di parlarti-.
Mi aveva guardato di sottecchi e aveva fatto un mezzo sorriso.
Io avevo ricambiato e avvicinandomi ancora un po’ a lui gli avevo risposto piano: - Lo so!-. Allora gli avevo dato un leggero bacio sulle labbra, come saluto e mi ero allontanata guardandolo, verso i taxi che mi aspettava.
Entrai in camera e mi buttai sul letto. Non ci credevo. Non era possibile. Fino a neanche il giorno prima non trovavo la forza di alzarmi dal letto per continuare a vivere senza di lui e ora, ora ero felice, in pace e soprattutto, di nuovo insieme a Michel.
 
Toc, toc! Toc, toc!
Mi ridestai al rumore. Guardai la porta e dissi: - Chi è?-.
- Servizio in camera!- sentii dire da una voce fuori, sembrava ironica.
Perplessa, mi alzai, mi misi la vestaglia e aprii leggermente la porta.
Appena guardai fuori e riconobbi la persona, spalancai la porta e le saltai al collo.
- Hei, buongiorno!- mi disse con dolcezza Katie tra i miei capelli.
Mi tirai indietro per guardarla in faccia, gli occhi mi si riempirono di lacrime. Non sapevo se di scusa o di gioia.
- Ragazza! Che fai, piangi? Ridi e fammi entrare che ho fame!- mi disse lei con tono autoritario, sventolandomi sotto il naso un sacchetto dal quale proveniva un invitante profumo.
Io senza dire niente, mi scostai e lei entrò buttandosi sul letto.
Mi sedetti a gambe incrociate di fronte a lei, che mi porse un cornetto e un bicchiere da bar di caffè.
Li presi e la guardai. Lei mi sorrise.
- Tranquilla, è tutto apposto. Ti capisco- disse mettendomi la mano sul mio ginocchio.
- Però- esordì con uno sguardo furbo - Voglio i dettagli della riconciliazione!-.
Io risi e le raccontai della notte prima.
- … E sono andata via così!- conclusi.
- Però… Non me l’avevi mai raccontata la storia del 36!- disse sorridendomi.
- Sì, ero presa da altro credo- le risposi con un sorriso di scuse – Katie, come posso farmi perdonare per il mio comportamento?-.
- Jo, non devi fare niente!- mi rispose guardandomi con gli occhi più dolci che avevo mai visto.
- Anzi - riprese tornando più rilassata – Semplicemente, tienimi aggiornata! La storia tra te e Michel si sta rivelando essere meglio delle telenovele in TV!- rise.
Io le tirai addosso un cuscino e da lì, parti la guerra che durò finché non ci trovammo distese a terra, una sopra l’altra, sfinite.
- Katie?- dissi cercando di prendere fiato.
- Mmm!- la sua risposta preferita.
- Ti voglio bene!-.
- Anche io!- e dicendolo mi prese la mano.
Dopo che ci fummo riprese, io mi feci una doccia e quando uscii, asciugando i capelli, trovai Michel disteso sul letto, a guardarmi sorridente. Katie non c’era più.
- Buongiorno!- mi disse con voce seducente e si alzò per abbracciarmi e darmi un bacio.
- Ciao- dissi dopo che si rimise seduto - Ma… Katie dov’è?-.
- È tornata a casa. Ah, a preso in ostaggio il tuo … Maglione preferito?- disse incerto – Per essere sicura che tornerai a casa anche tu-.
- Che cosa?- lo guardai incredula, mi voltai verso la sedia dove l’avevo poggiato e vidi che non c’era più.
- Sì, ti ha preso il maglione. Ma il punto non è questo, torni a casa, vero?- mi chiese guardandomi con gli occhi tristi, lo sguardo innocente e sinceramente un po’ in ansia.
- Se me lo chiedi con quella faccia!- gli sorrisi dandogli un bacio sulla guancia e rimettendomi ad asciugare i capelli.
Gli diedi la schiena per non schizzarlo, ma un attimo dopo le sue braccia mi avvolsero la vita e mi tirò su facendomi girare per la stanza.
- Michel! Che fai? Mettimi giù!- gli ordinai dimenandomi.
Lui rise e, per i miei calci all’aria perse l’equilibrio e cademmo sul letto, in mezzo alle sue risa e le mie urla.
Restai distesa sul letto, con i capelli che mi oscuravano la visuale.
Michel si girò su un fianco e me li scostò dal viso.
- Grazie- mi sussurrò.
Io stavo per chiedergli di cosa, ma lui non mi lasciò il tempo e mi baciò con forza.
 
Dopo essermi preparata, feci i bagagli e scesi nella hall per mano a Michel.
Stavo per pagare, ma Michel mi precedette e diede alla ragazza dietro al bancone la sua carta di credito.
- Michel? Perché… ? Devo pagare io!- gli dissi piano.
Lui mi guardò e sorrise.
- Sei stata qui per colpa mia, pago io!- disse e mi scoccò un bacio in fronte.
Uscimmo e la Lamborghini di Michel ci portò davanti a casa sua.
Sospirai rivedendo l’enorme villa.
- Tutto bene?- mi chiese Michel, prendendomi per mano.
 Lo guardai e sorrisi. -Sì- dissi con convinzione.
Quando entrai mi accolse il profumo di casa. Michel mi prese per mano e ci avviammo alla cucina.
Quando entrai, Jane mi venne incontro e mi abbracciò, sussurrandomi all’orecchio:- Bentornata!-.
Samuel mi salutò allo stesso modo e io mi avviai in camera.
- Sai, non sono mai stato in camera tua!- mi disse poco prima di aprire la porta, Michel.
In quel momento mi bloccai, lo guardai con uno sguardo preoccupato e gli dissi: - Appunto perché non sei mai entrato, aspetteresti un attimo fuori così vedo se è presentabile?- chiesi implorante.
Lui rise, ma annuì e si girò mentre entravo.
Per fortuna Katie aveva riordinato tutto e lei e David se ne stavano sul letto abbracciati.
Quando David mi vide, si alzò e mi abbracciò e Katie lo raggiunse dopo poco dicendomi: -Il tuo maglione è lì!- e rise.
Io risi con lei, poi mi ricordai che Michel aspettava ancora fuori, quindi dissi alzando la voce:- Mike, entra! Via libera!-.
Così anche Michel entrò e mi raggiunse cingendomi con un braccio i fianchi.
Risistemai un po’ le mie cose, mentre Michel mi osservava dal mio letto e quando finii mi sedetti vicino a lui.
- Allora- dissi seria - Come sta tua mamma?-.
Lui fece un respiro profondo e mi disse:- Al solito. È comunque in coma e…- lo squillò del suo telefono lo interruppe.
- Sì?- rispose.
Mamma è sveglia! Sentii dire dall’atro capo del telefono.
È sveglia e vuole vederti!
- Vuole …?- chiese stordito Michel.
Sì, vuole vederti! Si ricorda tutto! Forza vieni e porta anche Jo! Disse entusiasta William.
Chiuse la chiamata e mi guardò con gli occhi che scintillavano.
Gli presi la mano e dissi:- Andiamo!-.
Ci mettemmo poco grazie alla guida spericolata di Michel e salimmo in fretta con l’ascensore.
Michel camminava svelto per i corridoi e mi teneva per mano.
Si fermò davanti alla porta chiusa della stanza di sua madre e io gli strinsi la mano per dargli forza.
Mi guardò accennando un sorriso e aprì.

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Capitolo 16
*** Sedicesimo capitolo ***


Mamma è sveglia! Sentii dire dall’atro capo del telefono.
È sveglia e vuole vederti!
- Vuole …?- chiese stordito Michel.
Sì, vuole vederti! Si ricorda tutto! Forza vieni e porta anche Jo! Disse entusiasta William.
Chiuse la chiamata e mi guardò con gli occhi che scintillavano.
Gli presi la mano e dissi:- Andiamo!-.
 
- Michel!- disse la signora Georgette quando comparve sulla porta.
- Mamma!- gli rispose lui emozionato, avvicinandosi al letto e tenendomi sempre per mano.
Vidi Miriam distesa nel letto, accoccolata sul fianco della madre, William ai piedi del letto e il padre dei tre dall’altra parte rispetto me e Michel.
- Oh, Michel! Ti devo chiedere scusa per il mio ignobile comportamento!- gli disse la signora mettendo una mano sul volto del figlio.
- Mamma, non serve! Tu ora stai tranquilla, pensa a stare bene!- le disse Michel, ma lei lo fermò con un cenno della mano e mi guardò.
- No, non ho finito-.
In quel momento ebbi paura. Mi si formò improvvisamente un nodo alla bocca dello stomaco e rimasi pietrificata a guardare il volto serio della signora Georgette.
- Josephine, avvicinati- mi disse.
Io piano, senza dire niente mi misi al fianco di Michel.
- Josephine, devo fare le mie scuse anche a te! Ho detto delle cose false e impulsive, quel giorno, ti chiedo di perdonarmi- mi disse col volto triste e pieno di rammarico.
Il nodo di poco prima si dissolse nel nulla e mi aprii in un sorriso sincero verso la signora.
- Signora Georgette, va bene! Accetto con piacere le sue scuse e può stare certa che è già stata perdonata!- le dissi guardandola con gentilezza.
Lei mi sorrise e appoggiò la sua mano sopra la mia e quella di Michel, unite.
- Che Dio vi benedica entrambi, ragazzi miei!- ci disse.
Michel si avvicinò e le diede un bacio, mentre io la ringraziai educatamente dal mio posto.
- Jo, basta con la signora Georgette! Direi che mi puoi chiamare Georgette senza quel brutto appellativo che mi fa sembrare vecchia- mi disse ridendo.
Io e gli altri non potemmo che unirci a lei e ridere.
- I medici dicono che si rimetterà. Bisognerà controllare che non faccia troppi sforzi per qualche tempo, ma poi sarà di nuovo in forma- disse il signor Jones, guardando raggiante la moglie.
- E tu, Miriam come stai?- le chiesi dandole un buffetto sulla guancia.
- Bene, ora che sta meglio anche la mamma!- mi sorrise lei.

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Capitolo 17
*** Diciasettesimo capitolo ***


Era il 24 dicembre e io e Katie, chiuse nei nostri giubbotti e sciarpe, giravamo per le strade del centro per trovare dei regali per i nostri rispettivi ragazzi.
- Mmm … Un maglione? Guarda com’è carino quello!- mi disse Katie.
Io guardai la vetrina e passando avanti le dissi:- No, non va bene!-.
In quel momento passammo davanti ad un’oreficeria e mi venne l’idea.
- Ho trovato!- dissi a Katie ed entrammo.
Dopo un’ora uscimmo, io soddisfatta del mio acquisto e ci concentrammo su David.
Alla fine Katie optò per una bella felpa marrone foderata con il pelo, che le piaceva e così potemmo finalmente tornare a casa.
Quando entrammo, ci avvolse il caldo e lasciandoci andare alla sensazione di piacere, ci sorridemmo.
In un attimo dalle scale spuntò Michel e dalla porta della cucina David.
Io e Katie ci guardammo e scoppiamo a ridere.
- Cos’avete un radar?- chiesi mentre mi avvicinavo a Michel sfilandomi i guanti.
- Certo!- mi disse dandomi un piccolo bacio – Oppure la tua macchina è talmente un catorcio, che la senti a un kilometro di distanza!- mi prese in giro lui e io gli diedi i guanti in faccia per dispetto, difendendo il mio vecchio mezzo.
- Beh, noi dobbiamo tornare al lavoro quindi ci vediamo dopo, ok?- dissi a Michel cercando di andare alla cucina, ma lui mi tirò indietro per i fianchi e disse:- No! Siete tutti in ferie!-.
- Cosa? Te lo sei inventato ora!- dissi cercando di liberarmi dalla sua presa.
Lui non mollò e disse:- Te lo assicuro! L’ha deciso mia madre!-.
- E chi dovrebbe cucinare il pranzo di domani allora?- gli chiesi con tono di sfida.
- Tutti quanti!- mi rispose con semplicità lui.
Si girò verso Katie e David e sorrise, anche loro erano perplessi.
- Mia madre si siederà su una poltrona in cucina e chiacchiereremo mentre io, tu, Katie, David, Marie, Jane, Samuel, Jerry, Will e mio padre daremo una mano a preparare il tutto! Ci divertiremo il doppio!- mi spiegò raggiante.
- Caspita!- dissi colpita.
- È stata mia madre a chiedermelo e io e mio padre l’abbiamo trovata una gran bella idea, no?- chiese a tutti.
 -Sì, certo!- rispondemmo noi, contenti.
Guardai Michel, mentre scherzava con David, quel luccichio di felicità nei suoi occhi lo rendeva ancora più stupendo.
Sorrisi al pensiero che mi apparteneva.
Michel era mio e io sua.
Lui notò che lo osservavo e mi sorrise avvicinandosi e dandomi un bacio dolce, pieno d’amore.
Lo strinsi a me per la milionesima volta, senza mai stancarmi di quella sensazione di leggerezza che provavo sempre, standogli vicino.

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Capitolo 18
*** Diciottesimo capitolo ***


Il giorno dopo, come previsto, fu divertentissimo.
Dopo un dolce risveglio, con colazione a letto da parte di Michel, seguito poi da David per Katie, verso le 9.00 cominciammo a preparare le pietanze per il pranzo di natale.
Come previsto, la signora, No! Georgette! Venne fatta accomodare su una poltrona dalla quale vedeva come procedevano tutti i lavori in cucina.
Marie dirigeva tutti i lavori, Jerry le girava intorno e la stuzzicava, io, Michel, Katie, David e William impastavamo e impanavamo un centinaio di polpette tirandoci farina addosso, Jane, Samuel e il signor Jones, che chiese a tutti di chiamarlo Charlie, facevano le patate e l’arrosto, mentre Miriam girava un po’ tra uno e l’atro gruppo.
Per l’una di pomeriggio ci mettemmo a tavola, nella sala grande e ci godemmo il banchetto ridendo e chiacchierando come una grande famiglia, perché questo eravamo infondo.
 
Nel tardo pomeriggio, dopo aver sparecchiato tutto, ognuno si ritirò e con nostra grande sorpresa vedemmo Marie uscire per mano a Jerry e salutarci, con un sorriso furbo.
Io aiutai in cucina Jane e poi raggiunsi Michel, che aveva detto mi avrebbe aspettato su, che io sapevo essere lo spazio sul tetto.
Quando entrai in soffitta sorrisi vedendo una scaletta improvvisata per aiutarmi ad uscire da sola, chiudendomi il cappotto, salii e raggiunsi Michel, seduto su una sedia pieghevole e affianco una vuota.
Mi misi a ridere, vedendo che aveva acceso un mini falò, e ci si stava scaldando le mani.
Alla mia risata, Michel si girò e mi sorrise invitandomi a sedermi accanto a lui.
Quando mi sedetti, rimasi sbalordita.
Davanti a noi, il tramonto più bello che avessi mai visto stava calando pian piano tra i tetti innevati della città.
- Bello, eh?- mi disse lui piano.
- È stupendo- sussurrai.
Michel mi prese per mano e per un po’ contemplammo il panorama in silenzio, poi mi ricordai del regalo e trassi dalla tasca del cappotto un piccolo pacchettino argentato. Lo porsi a Michel, che dopo un attimo di esitazione lo prese e mi guardò.
- Sai che non dovevi, vero?- mi disse piano.
- Mmm… Sì, me l’avevi detto, ma non ti ho ascoltato!- gli dissi sorridendo.
Lui mi sorrise di rimando e cominciò a scartare la carta.
Ne trasse una scatola di pelle nera, al che mi guardò con un’aria misto rimprovero e piacere.
L’aprì e la sua bocca si schiuse in un grande sorriso.
- Oh, Jo!- mi disse scuotendo la testa.
- Ti piace?- gli chiesi.
- Se mi piace?- mi chiese lui di rimando - Sì!-.
Tirò fuori dalla scatola una catena argentata, con come ciondolo un piccolo 36.
- È perfetta. È da me!- mi disse sorridendo.
- E … Anche io ho qualcosa per te!- mi guardò sorridendo e infilò la mano sotto il suo cappotto ed estrasse una scatola più piccola della mia, rossa.
- Non ti avevo detto che non dovevi?- lo imitai.
- Sì, ma non ti ho ascoltata!- rispose sorridendo e porgendomi il pacchetto.
Lo presi e lo scartai. Mi insospettii subito quando vidi una scatola di pelle nera molto simile a quella per il regalo di Michel, lo guardai interrogativa e lui si strinse nelle spalle.
- Abbiamo le stesse idee!- mi disse mentre aprivo la scatola.
Scoppiai a ridere. Dentro la piccola scatola c’era un bracciale di catena argentata con al centro inseriti i due numeri. I nostri due numeri.
Guardai Michel e gli dissi piano: - Grazie!-.
Lui si alzò, io con lui e ci abbracciammo forte.
Appoggiai la testa al suo petto e lui la sua guancia sulla mia testa. Guardammo il tramonto, mentre Michel mi cullava tra le sue braccia.
Lo amavo. Sapevo solo questo e mi bastava.
Inspirai il suo buon profumo e mi avvicinai ancora di più a lui.
In quel momento mi sentii in pace con me stessa.
Ora, con Michel al mio fianco, ero completa.

FINE
Grazie a tutti per aver letto questa storia, se potete, datemi un giudizio finale a riguardo, grazie ancora.

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Capitolo 19
*** Scena tagliata ***


Bene, ho deciso di scrivere quest’ultima cosuccia.
In realtà, tutta la storia è nata da questo episodio che, sembrerà incredibile, ma mi sono inventata proprio mentre stendevo la biancheria, come fa qui Jo.
Il fatto particolare è che da qui è nato tutto, ma questo momento della storia non l’ho inserito!
Non c’è, non ho più avuto modo di farcelo entrare e così... Eccolo!
Questo è l’ultimo aggiornamento di “36-Quando le piccole cose fanno la differenza”. Grazie a tutti!
 
Is raining men, hallelujah!
Canticchiavo questa canzone mentre me ne stavo in una stanzetta, vicino al garage dove appendevamo i vestiti di noi domestici, dove c’erano dei grandi container con l’acqua calda che rendevano il piccolo ambiente caldo e accogliente.
Ero persa nei miei pensieri, dopo una lunga giornata per le pulizie di tutta la casa. Erano circa le sei di sera e tra poco sarebbe finita la mia giornata (non occorreva che servissi la cena quella sera) e potuta andare in camera mia, mettermi i pantaloni della tuta da ginnastica e finire il bel libro che stavo leggendo.
- Canti bene, sai?-.
La voce mi colse totalmente di sorpresa, mi girai di scatto e trovai appoggiato allo stipite della porta, Michel.
- Mmm... Grazie!- risposi con un mezzo sorriso, prima di tornare a stendere una camicia che tenevo in mano.
- Dico sul serio, potresti avere un futuro!- disse con un tono di voce strano.
Mi girai di nuovo e mandai un’occhiata critica alla bottiglia di birra quasi vuota che teneva in mano. Così notai la camicia con i primi bottoni sbottonati, la cravatta allentata così dissi: - Perché qualcosa mi dice che non sei stato alla riunione di tuo padre fino alla fine?-.
Lui ridacchiò.
- Ha! Era troppo noiosa- rispose con un’espressione di disappunto.
Non potei fare a meno di ridere, mentre prendevo la cesta vuota e gli passavo accanto per rimetterla a posto.
Quando mi girai per uscire, me lo trovai a pochi centimetri dal viso.
- Mi prendi forse in giro?- mi disse piano, con uno strano sguardo negli occhi.
Bellissimi occhi azzurri, profondi, mi sembrava di poterci cadere dentro.
In un attimo ripresi, ma lui non mi permisi di attraversare l’uscio.
- Michel - dissi seria.
- Sì?- rispose lui con un sorriso furbo, avvicinandosi ancora un po’ al mio viso.
- Sei ubriaco-.
- No, non è vero!- disse fingendosi offeso.
- Michel...- prima che finissi di parlare lui mi afferrò la nuca con una mano e mi attirò a sé, baciandomi.
Non fu un gran bacio, premette le sue labbra sulle mie e basta, ma solo il gesto mi aveva parecchio scossa.
Quando mi allontanai, cercai di ricompormi e gli dissi: - Sì, sei ubriaco. Vai a letto, a domani, Michel!-.
E detto questo uscii.

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