Fade to black

di Akane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fortuna infame ***
Capitolo 2: *** Sogni infranti ***
Capitolo 3: *** Ciò che conta ***
Capitolo 4: *** E adesso basta ***
Capitolo 5: *** Oltre le proprie forze ***
Capitolo 6: *** cuori in fiamme ***
Capitolo 7: *** Poco a poco ***
Capitolo 8: *** Per noi qualcosa ancora ***



Capitolo 1
*** Fortuna infame ***


TITOLO: Fade to black – Dissolvenza nel nero

AUTORE: Akane

SERIE: Capitan Tsubasa

TIPO: What if…? – yaoi

GENERE: introspettivo – drammatico- sentimentale

RATING: PG 13 per ora al massimo R, se aumenta cambio subito! Per sicurezza metto R, sempre esagerare che diminuire…

PAIRING: TsubasaXTaro, presenti anche Jun, Genzo, Hyuga

PARTI: pensavo di farla one shot ma penso che farò qualche capitolino in più, nulla di lungo…anche se ho detto la stessa cosa per Till I collapse…e poi sono stati 40 cap!!! No, dai, mi trattengo, saranno pochi cap ma incisivi!

MODO: pensavo di farla in prima persona ma poi ci ho ripensato, è una sfida farla in terza, sarebbe più coinvolgente in prima ma trovare lo stesso coinvolgimento nella terza persona non è facile. Per questo ci provo. Ovviamente al passato!

DISCLAMAIRS: i personaggi non sono miei ma del suo creatore!

NOTE: E se Tsubasa avesse un incidente che lo paralizza nelle gambe costringendolo su una sedia a rotelle per il resto della sua vita? Sono sadica? Rispondetevi leggendo questa storiella! Non pensavo nemmeno io di arrivare a tanto ma mi sono detta che perfino un personaggio detestabile come Tsubasa può diventare amabile!!! Non so cosa uscirà perché ora la inizio ma non so quando la finisco, so solo che non voglio spenderci troppo tempo, lo faccio solo perché nel giro di questo ultimo mese ho finito 2 original a cap brevi che stavo scrivendo e il vuoto lasciato da loro(una era etero e l’altra yaoi ma entrambe romantiche!)lo dovevo riempire in qualche modo….anche perché sto scrivendo poche fanfic yaoi! Che vergogna! Diciamo che non c’è un periodo preciso in cui ambiento la storia, è fra un camionato e l’altro, un mondiale e l’altro….generico perché tanto è un gran casotto anche nel manga, per quel che ricordo…però deciso specificamente l’età: hanno sui 17 anni, età in cui ci si forma in ogni senso e settore, specie sentimentale e i sogni prendono vita poiché finalmente attuabili! Non so se a quell’età Tsubasa aveva già ricevuto la proposta di andare in Brasile da Roberto, ma poco importa, questa è una fanfic ed addirittura una What if…chiudiamo tutti un occhio, va’! Vi auguro buona lettura, spero sia tale! Baci Akane

DEDICHE: la dedico a tutti quelli che hanno avuto i loro sogni infranti e scontrandosi con la dura realtà, non hanno avuto scelta che vivere una vita diversa da quella desiderata, auguro loro di trovare un ragione di vita anche nelle cose terribili che si possono incontrare sul proprio cammino.

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FADE TO BLACK

Fade To Black
(Metallica)

Life it seems will fade away
Drifting further everyday
Getting lost within myself
Nothing matters, no one else
I have lost the will to live
Simply nothing more to give
There is nothing more for me
Need the end to set me free
Things are not what they used to be
Missing one inside of me
Deathly lost, this can’t be real
Cannot stand this hell I feel
Emptiness is filling me
To the point of agony
Growing darkness taking dawn
I was me but now He’s gone
No one but me can save myself, but it’s too late
Now I can’t think, think why I should even try
Yesterday seems as though it never existed
Death greets me warm now I will just say goodbye

Svanire Nel Nulla

Sembra che la vita svanirà
Sta scivolando ogni giorno più lontano
Mi sto perdendo dentro di me
Niente importa, nessun altro
Ho perso la voglia di vivere
Non ho semplicemente più niente da dare
Non c'è più niente per me
Necessito che la fine mi liberi
Le cose non sono come una volta
Ne manca una dentro di me
Mortalmente perso, non può essere vero
Non riesco a sopportare questo inferno che sto provando
Il vuoto mi sta riempiendo
Fino a diventare agonia
Il tramonto sta soppiantando l’alba
Io ero me stesso, ma adesso Lui se n’è andato
Nessun oltre a me mi può salvare, ma è troppo tardi
Adesso non riesco a pensare, pensare perché dovrei persino tentare
Il passato sembra che non sia mai esistito
La morte mi saluta caldamente, ora dirò solo arrivederci

 

CAPITOLO 1:

FORTUNA INFAME

/E se la vita ti volta le spalle? La tua vita perfetta si riduce ad un vetro smerigliato dove non potrai più vedere la tua immagine riflessa…e al primo colpo più forte degli altri, questo si romperà, come i tuoi sogni che vanno in frantumi per sempre./

Il solito pallone di cuoio da calcio rotolava per il marciapiede delle vie trafficate di Fujisawa, sospinto dai piedi di un ragazzo ormai noto in quel quartiere, noto e apprezzato da tutti.

Spensierato il moro dai lineamenti giapponesi camminava a passo spedito dirigendosi agli allenamenti pomeridiani. La giornata scolastica era finita e con sollievo poteva dedicarsi al suo solito passatempo preferito: il calcio! Per lui il calcio non era solo un divertimento, era molto di più: era il suo sogno, come quel pallone era il suo migliore amico, una frase ormai fatta che amava ripetere in continuazione, una filosofia di vita che l’aveva cresciuto!

Tsubasa con nulla in testa se non lo sport, stava progettando un nuovo schema d’attacco da proporre ai suoi compagni di squadra della Nankatsu, il nuovo campionato giovanile era alle porte e non vedeva l’ora di far vedere a tutti chi era, poi si sarebbe dedicato ai mondiali giovanili per la seconda volta, avrebbe incontrato campioni incredibili come Schneider e si sarebbe riunito ai suoi cari amici Wakabayashi e Misaki. Non vedeva proprio l’ora!

Sperava sempre che continuando a migliorarsi sempre più potesse arrivare anche a farsi sentire fino in Brasile dal suo amico Roberto. Tutti si stavano facendo una loro strada, desiderava farsene una anche lui e sentiva che questo mondiale per lui sarebbe stato decisivo, una sensazione forte che però contrastava con un’altra…ogni volta che provava ad immaginarsi in quel torneo non ci riusciva, era come se fosse impossibile arrivarci anche se la loro qualificazione era praticamente certa! Era strano, proprio strano…una sorta di barriera gli impediva di credere che sarebbe arrivato quel momento fantastico, che avrebbe calpestato nuovamente quell’erba di quel campo magico!

Sospirò scacciando questi lampi di pensieri un po’ tetri, doveva solo vivere il momento come aveva fatto fin’ora!

Si concentrò sul pallone che rotolando brevemente avanti a se l’aspettava per continuare il suo percorso, era bello immaginare che fosse vivo e che lo facesse apposta a non allontanarsi troppo da lui per non fare tutta la strada da solo! Lo divertivano questi pensieri!

Si era sempre ritenuto una persona normale come tante eppure pochi lo ritenevano tale, lo vedevano più come un super ragazzo dal fisico atletico, non troppo bello ma nemmeno troppo brutto, con dei voti scolastici altalenanti per via della testa riempita solo dal calcio, ottimo sportivo, campione fuoriclasse nel suo sport e per di più dal carattere amabile, giusto, carismatico, leder, amico, seguito da tutti, rispettato, stimato, cresciuto da genitori affettuosi…una persona che aveva avuto tutto e che era praticamente perfetta, il ritratto del ragazzo ideale: gentile, ingenuo, premuroso, calcio-dipendente, ottuso in campo sentimentale come molti ragazzi della sua età(per fortuna non tutti…), leale, sincero, profondo, riflessivo, allegro e felice. Ecco cos’era lui, un perfetto diciassettenne felice e contento della sua vita, che aspirava a qualcosa di più che sapeva avrebbe ottenuto di lì a poco, grazie alle sue indubbie capacità.

Compiangeva a volte persone come il suo amico Misugi che aveva tutte le capacità per arrivare a realizzare i suoi sogni ma non le possibilità…veramente se mancava la salute era finita, ringraziò il cielo per averla, lo faceva ogni volta che pensava al campione di vetro. Se non si fosse dovuto frenare e fermare sarebbe diventato senza dubbio il miglior giocatore di tutti i tempi, perfino migliore di lui.

Ma le cose erano andate diversamente ed era inutile pensare ai ‘se’ e ai ‘ma’…aveva fatto fatica a quel tempo ad accettare la forza superiore di un ragazzo, poi aveva capito che non si sarebbe potuta affermare, questa forza superiore, e che per lui ci sarebbe stata una sorta di strada spianata senza nessuno davanti e l’energia di continuare a giocare gli era sempre rimasta, non era andato più in crisi!

A volte si sentiva egoista e crudele a fare pensieri simili, era come se ringraziasse il destino che Misugi fosse nato con quella malformazione cardiaca! Non era bello e smetteva di avere simili considerazioni.

Eppure non si sa se si può chiamare destino, predisposizione di una forza sadica che gioca coi fili di qualche burattino, o chissà cosa…non si sa, fatto sta che non si può continuare ad essere sicuri della propria vita in eterno, perché la perfezione crolla per tutti, dal momento che non è di questo mondo.

Un esterno realista ci sarebbe arrivato subito: nessuno può essere così perfetto, avere una vita così perfetta e viverla per sempre. Nessuno.

Forse fu per dare questa lezione od un’altra, che accadde quel che accadde.

Veloce ed improvviso, uno scontro casuale con un passante, il pallone che scivolava dai suoi piedi, lui che senza pensarci ed automaticamente attraversava per riprenderlo ed invece l’altro che continuava a rotolare senza essere fermato…senza che trovasse ostacoli, senza che mai più potesse venir calciato dal suo proprietario.

Il migliore amico che ti inganna e ti lascia abbandonandoti per sempre.

Vedere all’ultimo momento un’auto che arrivava addosso e pensare:

“Dio, no…” fu un tutt’uno ma non poté far veramente nulla.

Nulla.

Solo aspettare e dirsi, mentre sentì il freno dell’auto sull’asfalto, che non sarebbe potuto andare troppo male.

Non sarebbe potuto.

Capì, però, dallo scontro violento e dal dolore dopo lo shock iniziale che sarebbe stato impossibile farcela.

All’inizio fu il caos più totale, cadde in un oblio momentaneo dove non capì dove fosse, chi fosse, cosa fosse successo, poi quando cominciò a far mente locale comprese di essere in mezzo alla strada, con una folla che si stava raccogliendo intorno e urla da parte di tutti.

Pur volendo pensare a qualcosa con tutte le proprie forze non ci riuscì, voleva qualcosa di utile che gli permettesse di riprendere le attività dei neuroni, ma qualcosa non glielo permetteva, risultò impossibile e l’unica cosa che sentì e che arrivò a fare fu gridare. Gridare per il dolore…dolore per una parte precisa del corpo.

Una parte che in un giocatore dalla vita perfetta basata tutta sul calcio, non dovrebbe mai essere presa di mira dal male.

Le gambe.

E vedendo le sue gambe e la sua schiena chiunque lì presente pensò, chiunque essi fossero: oh, fortuna infame!

Poi in mezzo alle urla dell’investito e dei soccorritori, il nulla l’avvolse senza fare in tempo a capire cosa fosse successo se non che voleva subito svegliarsi e tornare alla sua vita normale e perfetta.

Una vita che così non sarebbe più stata.

Nel giro di poche ore ogni mezzo di comunicazione possibile era attivo, nella zona ed in Giappone, per dare l’avviso della notizia terribile appena avvenuta.

Ci fu chi la ricevette per telefono, chi per televisione, chi per giornale o amici, ma tutti, entro la giornata lo seppero.

Stava tornando a casa dall’ennesimo lavoro part time nuovo, facevano sempre così in fretta a licenziarlo che ormai non gli stancava nemmeno cambiare lavoro così in fretta! Era colpa del suo caratteraccio, lo sapeva, nel giro di diversi anni aveva imparato a domarlo un po’ ma una tigre rimaneva sempre una tigre!

Quella giornata stancante era terminata e non vedeva l’ora di rientrare in casa, farsi un bagno rilassante, mangiare qualcosa e andare subito a dormire!

Ormai i giochi dei bambini erano finiti, a diciassette anni uno se lo ripete, eppure per lui, quei giochi, non avevano mai avuto inizio! Stanco di essere cresciuto troppo in fretta a volte gli veniva voglia di mandare tutto al diavolo e godersi una giovinezza negatagli, però poi si diceva che aveva il calcio ed in fondo quello bastava. Lavorava perché aveva saggiato troppo presto la povertà e non avrebbe più permesso che questo gli ricapitasse nemmeno se ora aveva studi gratis e poteva avere più respiro!

No, la sua vita non era stata facile ma aveva imparato a guardare quella degli altri e ad ammettere che ognuno aveva le proprie ‘magagne’!

Misugi aveva l’impossibilità di realizzare ciò per cui era nato, diventare un campione professionista di calcio, Matsuyama non aveva una squadra valida su cui fare affidamento per il proprio futuro, sempre legato al calcio, per cui era destinato ad arrancare a fatica in quel settore, poi c’erano molti altri che aveva incontrato e che poteva chiamare ‘amici’ ma non tutti avevano grossi problemi, come Wakabayashi che secondo il suo modesto parere se la spassava alla grande, o Tsubasa stesso che di lì a poco avrebbe ricevuto qualche ingaggio sicuro; fra l’altro non era sicuro di conoscere bene la vita degli altri, di Misaki, ad esempio, non sapeva un emerito nulla e nemmeno gliene importava moltissimo, ad essere onesti!

Limitò questi rari pensieri altruistici tornando a concentrarsi su di se, la sua vita doveva andare per forza sempre in crescendo, sarebbe decollato anche lui, lo sentiva, lo sperava…doveva credere in questo e nessuno l’avrebbe battuto!

Quando qualcosa comincia ad imboccare la strada della perfezione, difficilmente questa crolla!

Così pensava Hyuga giunto ormai nel proprio viale. Ma di lì a poco avrebbe scoperto che le cose sarebbero cambiate.

Appena entrato nella propria via lo vide subito, era quello che fra se e se amava chiamare scocciatore anche se in realtà sapeva che non lo era.

Si trattava di Misugi, come mai quella volta era venuto a trovarlo?

Lo faceva quando doveva riportarlo in carreggiata eppure ultimamente non aveva combinato nulla di sbagliato! O per lo meno ne era convinto, cominciò a dubitarne mentre il bel volto dai lineamenti delicati gli si avvicinava. Era solo.

Però qualcosa non andava. Già, qualcosa era andato storto quella giornata, non aveva quel suo eterno sorrisetto superiore che faceva sentire inferiore chiunque lo guardasse!

Lo ammirava e lo detestava contemporaneamente! Misugi era un gran personaggio che nel suo animo e nella sua personale scala delle simpatie, andava avanti e indietro troppo spesso. Lo ammirava per certi versi, l’avrebbe strangolato per altri! Era naturale, troppo diversi fra loro.

Fece subito attenzione al suo viso e alla sua espressione: cosa non aveva funzionato in quel periodo così tranquillo?

Un battito di troppo, una sensazione sgradita, una stonatura che notò perfino la tigre di lineamenti selvatici, si portò seccato i capelli all’indietro facendoli arrivare alle spalle larghe. Si fermò davanti all’altro ragazzo che aveva, a guardarlo meglio, un espressione sconvolta seppur controllata e tirata:

“Un principe rimane sempre un principe! Che mai gli sarà successo? Gli si è licenziata la servitù?”

Cercò di ironizzare da solo ma senza gran successo.

- Che succede questa volta?-

Disse subito senza nemmeno salutarlo, aveva un tono irrequieto e scontroso come suo solito però aveva un fondo di nervosismo nello sguardo scuro e penetrante. Gli occhi castani dell’altro si posarono elegantemente nei suoi, erano sempre sicuri e altezzosi ma quella volta no, quella volta fecero impressione a Hyuga, erano smarriti e fu il massimo che riuscì a decifrare:

- Hyuga, non hai visto i telegiornali, oggi? -

Si sentì punto sul vivo sentendosi disinformato e quasi ignorante per questa sua mancanza ed in tono difensivo disse:

- No, non sto vita natural durante a grattarmi davanti ad un televisore! Che diavolo avrei dovuto guardare?-

Misugi sospirò impaziente, come se fosse possibile che uno come lui perdesse la pazienza! Hyuga non ci avrebbe mai creduto ma osservandolo meglio lo vide sciupato e con una brutta cera, cosa straordinaria per l’attaccante notare qualcosa su qualcun altro!

Infine si decise a spiegare tagliando corto, se c’era qualcuno che era in grado di dare le notizie più gravi, quello era proprio lui, un esperto, ormai, in quelle cose.

- Si tratta di Tsubasa. È proprio mordace e faceto quando il destino si mette a ricrearsi con le vite pressoché perfette di qualcuno, forse si è snervato di perseguitare me ed ha deciso di dedicarsi a lui.-

Ormai non ce la faceva più e la sensazione di disagio e agitazione cresceva nel moro, tutti quei giri di prole per prepararlo a qualcosa che non capiva, non si sentiva così intelligente!

- Che cazzo vuoi dire, principe? Sii chiaro ed incisivo che non ti seguo, tu e le tue parolone da star!-

Nemmeno il castano ce la faceva più, al limite delle proprie forze mentali, teso come una corda di violino che stava per spezzarsi ancora, lo disse freddo, incisivo e secco, come se colpisse Hyuga con una sberla.

- Tsubasa è stato investito da un veicolo in corsa e pare grave. Sembra che gli specialisti si stiano adoperando per le sue gambe…che stiano tentando di trargliele in salvo…-

- Aspetta aspetta…che diavolo…che diavolo stai dicendo? Vuoi essere più chiaro? Cosa significa ‘stanno tentando di trargli in salvo le gambe?’-

Gli pareva di sentire un suono nei timpani che gli impediva di capire le parole che gli diceva, forse erano i battiti del suo cuore che improvvisamente erano aumentati, erano veloci e sempre più forti, quasi lo facevano impazzire e lui invece voleva sentire perfettamente la voce sfumata e calda del compagno di squadra e concittadino!

Non ci avrebbe creduto nemmeno fra un milione di anni, figurarsi se era uno come Misugi a dirglielo, uno baciato dalla sfiga più di lui!

Eppure anche l’altro parve essere arrivato al suo termine massimo.

- Significa che gli arti inferiori sono la parte più lesa, che rischia di non poterli più adoperare come prima…e forse neppure servirsene in assoluto! -

Mentre Misugi cercava parole sempre più chiare e semplici, con molta difficoltà perché più lui era stanco, agitato e fuori di se, più usava termini ricercati, Hyuga cercava con tutte le sue forze di non crederci, a Matsuyama non avrebbe creduto, a Wakabayshi, quel pallone gonfiato, non ci avrebbe creduto, e nemmeno ad altri della nazionale…però se c’era uno a cui avrebbe creduto qualunque cosa gli avesse detto, quello era proprio Misugi e conscio di ciò cominciò a sudare e improvviso capì di aver compreso anche troppo, lo prese con forza per le spalle e scuotendolo con poca gentilezza lo fissò sconvolto, come poche volte nella sua vita era stato, e alla sola luce dei lampioni sopra casa sua, si guardarono gridando:

- TSUBASA FORSE NON CAMMINERA’ PIU’?! MA SEI FUORI?! E’ QUESTO CHE VUOI DIRE? CHE STAI DICENDO? DILLO DNNAZIONE! SII CHIARO! DILLO E BASTA!-

Per la prima volta anche il leggendario principe del calcio dal sangue sempre freddo e controllato che mai si arrabbiava, perse il controllo e alzò la voce aggrappandosi a sua volta alle braccia del compagno che lo trattenevano con forza:

- SI, FORSE NON CAMMINERA’ PIU’! MAI PIU’! TI E’ CHIARO IL CONCETTO DEL NON CAMMINARE PIU’? TI DEVO FARE UN ILLUSTRAZIONE? CI ARRIVI? LO CAPISCI? NESSUNO SU QUESTO PIANETA HA POTERE PIU’ DI QUEI MEDICI CHE LO STANNO OPERANDO E NON SANNO COSA SARA’ DI LUI! SEI CONTENTO DI SENTIRTELO DIRE COSI’? VA BENE?-

- NO CHE NON VA BENE! MERDA! NON VA BENE! NO! NON VOGLIO CHE SIA COSI’, NON PUO’ ESSERE COSI’, NON DEVE! LUI E’ TSUBASA, DANNAZIONE! –

Rispose a sua volta sempre più iroso e fuori di se senza capire che stava scotendo violentemente Misugi, una persona che non c’entrava nulla e che non aveva bisogno di essere scosso! Se la stava prendendo con la prima figura che aveva sotto mano incapace di fare altro; forse per questo ma anche per la luce quasi folle che albergò nei suoi occhi, la rabbia che lo agitava, un insieme di cose fecero crollare il delicato ragazzo tutto d’un pezzo persino nel calcio e nella propria personale tragedia.

Misugi fermò la rabbia sconvolgente di Hyuga con le lacrime di sfogo, dolore ed impotenza che gli uscirono dagli occhi. Se fosse stato veramente così come temeva o magari peggio, sarebbe stato terribile perché in quella condizione c’era uno dei suoi migliori amici, uno che gli aveva insegnato molto a cui lui stesso aveva insegnato molto, qualcuno su cui aveva riposto le sue speranze e i suoi sogni, aveva visto in lui la realizzazione di ogni cosa fino a donargli un pezzetto di sè, fino a scoprirsi e a dirsi suo amico, proprio lui che non aveva mai avuto rapporti profondi e veri fino a quel punto. Perché fra tutti la persona più sbagliata per una tragedia simile era proprio Tsubasa ed ora quell’ira e quello shock che Hyuga sfogava su di lui, lo turbava e lo investiva in un momento sbagliato, non avrebbe retto altro per quella giornata!

Il moro si fermò all’istante impietrito. Tsubasa era molto per tutti e lo si poteva ammettere solo in casi estremi simili, ma gli faceva male, molto male, vedere uno incrollabile e forte come Misugi, cadere così. Capì di avere dei sentimenti e di infastidirsi di questo poiché si scoprì debole.

Impacciato in una situazione simile mollò l’amico che si coprì il volto senza girarsi, un pianto silenzioso liberatorio invidiabile. Era sicuro, Hyuga, di non averlo mai visto piangere, lo percorsero i brividi e persino del dispiacere.

Quando ci si sente impotenti finisce che diventi debole e arrivi ad ammettere e fare cose che mai potresti in condizioni normali.

- Scusa…mi dispiace…-

Mormorò con voce roca. Veramente non avrebbe voluto vederlo così, farsi crollare non solo l’immagine perfetta di Tsubasa ma anche quella di Misugi, due persone che aveva visto come invidiabili e detestabili per l’oro con cui erano ricoperte, a suo avviso…già sapere del cuore di uno l’aveva turbato, ora quell’istante era stato troppo per lui e come se potesse consolare se stesso consolando l’altro che piangeva, posò le mani sulle spalle ma questa volta con delicatezza, la maggiore che riuscì ad adottare, e strofinò in sottospecie di carezze. Lo vide così fragile, battibile, debole che non voleva fosse così…lo vedeva troppo umano e tutti quelli che aveva idealizzato si frantumavano sopra al piedistallo su cui li aveva posti.

Fu un momento di smarrimento anche per lui pensando che le cose persino a se stesso sarebbero potute precipitare ancora.

Improvvisamente il calcio gli parve la cosa più inutile e stupida su cui basare un intera esistenza e si interrogò sul proprio destino e volere: che senso avrebbe avuto fare qualcosa di così labile?

Misugi stesso, smarrito e sofferente come in poche volte della sua vita si era sentito, si appoggiò con la fronte al petto sicuro e forte del compagno di fronte aggrappandosi con le mani alla sua maglia attillata e leggera, avrebbe voluto essere lui, per un istante lo desiderò: Hyuga forte, sano, in salute, potente, energetico, accattivante, incrollabile…era stanco di vite poste in campane di vetro.

Stanco.

FINE CAPITOLO 1

Ok, le mie intenzioni erano del tutto diverse: volevo concentrarmi solo su Tsubasa e fare gli altri di contorno, ma le cose si stanno muovendo da sole, come è successo per Till i collapse e chissà a questo punto che succederà e cosa diventerà questa storia! Farò di tutto per non farla troppo lunga, tranquilli! La prossima volta ho in mente delle scene molto belle per far arrivare la notizia ai 2 più importanti: Genzo e Taro! Non vedo l’ora, penso che la farò in pochissimo tempo questa storia! E poi non avete notato una cosa? Vi giuro che pensavo di fare un accenno ad un'altra coppia: Hyuga e Hikaru, perché, me lo sapete dire? Perché invece è saltata fuori quest’altra coppia? Hyuga e Jun? Sono strana io o è la storia che si sta scrivendo da sola ed io non posso farci nulla come al solito? Che ne pensate? Della nuova coppia voglio dire!!! Aspetto vostre notizie!

Baci Akane

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Sogni infranti ***


*Come avevo annunciato il nuovo cap si concentra sulle reazioni dei due migliori amici di Tsubasa ed un pezzetto finale anche su di lui, colui che dovrebbe essere il protagonista di questa storia!!! Voi direte che qua sono tutti gay…bè, è quello che mi sono detta io mentre scrivevo! È allucinante come le coppie spuntino come i funghi! Non volevo farlo, vi giuro ma sta cambiando tutto, quindi siccome nemmeno io so cosa sarà questa fanfic, aspettatevi di tutto…e dico proprio di tutto! Per chi come Parsy non conosce bene i nomi originali che utilizzo faccio:

Tsubasa=Oliver Hutton

Taro Misaki=Tom Beker

Genzo Wakabayashi=Benjamin Price

Kojiro Hyuga=Mark Lenders

Jun Misugi=Julian Ross(il migliore….^_-)

Questi sono quelli di cui parlo più o meno marginalmente…sono i migliori amici di Tsubasa, in fondo(Hikaru/Philippe è troppo lontano ed impegnato affinché venga a sostenere)

 Buona lettura. Baci Akane

PS: grazie a Sally per aver letto e commentato, è stata la prima su EFP. Grazie anche a Sanzina89!*

 

CAPITOLO 2:

SOGNI INFRANTI

 

La palla esercitò un perfetto rettilineo nell’aria finendo il suo viaggio fra le braccia forti del portiere, era un tiro mediamente potente ma nulla di speciale, confrontato a quelli dei suoi diretti rivali. Agilmente tornò al centro della propria porta sistemandosi il cappellino perennemente calato con la visiera sul volto, per coprire meglio lo sguardo penetrante e sicuro, si potevano notare solo i lineamenti orientali del viso solo dal naso al mento, le labbra piccole erano inclinate in un sorrisetto ironico e soddisfatto, il corpo atletico e muscoloso tornò dritto e distinto. La visione di quel ragazzo in fiore che diventava sempre più bello, merito anche dei suoi capelli neri che fra tutti quei biondi erano sempre più apprezzati, piacque alle ragazze che erano accorse quel pomeriggio ad assistere agli allenamenti della squadra di calcio giovanile a loro preferita, se era per ammirare i loro calciatori prediletti si faceva quello ed altro! I calciatori in questione erano Wakabayashi e Schneider. Al primo, Genzo, non gli andavano fastidio ma non gli facevano nemmeno troppo piacere, si poteva dire che con la più totale indifferenza le sopportava e a onor del vero il suo ego si gonfiava pur non ne avesse effettivo bisogno. Al secondo, Karl, invece urtavano profondamente, riteneva seccante sorbirsi quei gridolini fastidiosi ma non sarebbe mai stato da lui lamentarsi o mandarle via.

I due giocatori erano molto amici, dopo tutti quegli anni passati insieme un po’ come avversari ed un po’ come compagni, erano diventati gli unici in grado di stare l’uno insieme all’altro, alcuni ricamavano su quel rapporto, altri li invidiavano, altri ancora li consideravano solo due amici.

Il portiere rimise la palla in gioco e fu in quel momento che il fischio dell’allenatore si udì in tutto il campo, la sua voce poi gridò:

- PAUSA! GENZO, VIENI, C’è UNA TELEFONATA PER TE DAL GIAPPONE, SEMBRA IMPORTANTE!-

Il bel tenebroso con aria stupita  uscì dal campo togliendosi il cappellino rivelando così dei mossi e neri capelli corti, si asciugò il sudore dalla fronte con l’avambraccio scoperto e pensando a chi potesse essere, entrò con passo sicuro nella sala delle riunioni dello stuff, dove vi era un apparecchio telefonico e appoggiando il didietro sul tavolino, prese la cornetta con una mano mentre con l’altra arieggiava il colletto della maglia appiccicata al corpo.

- Pronto?-

Lo disse automaticamente in tedesco, senza nemmeno pensare che stava parlando con la madre patria, infatti gli risposero in giapponese:

- Wakabayashi…sono io, Hyuga…-

Al moro venne quasi un colpo sentendo proprio lui dall’altra parte del telefono, si sarebbe aspettato tutti tranne lui!

Stupito quindi rispose:

- Hyuga?! Come mai mi chiami? È successo qualcosa?-

L’altro se ne risentì nonostante avesse ragione a credere che se lui lo chiamava non poteva essere normale!

- Idiota! Mica è la fine del mondo se ti chiamo! E poi potevi salutarmi! -

Genzo sospirò impaziente, sentire le sue lamentele era l’ultima cosa che gli andava anche se ammetteva che ogni tanto gli mancavano!

- Taglia corto! Sono certo che non è una chiamata di saluti!-

Erano sempre i soliti, nemmeno impegnandosi potevano essere più socievoli e gentili l’uno con l’altro…salvo poi ritenersi comunque amici!

- Bè, bando alle ciance…non so come dirtelo…-

- Dillo e basta, ho da fare, sbrigati!-

Sentiva che c’era qualcosa di stonato nella sua chiamata, lo sentiva nel profondo, ma non poteva e non voleva ascoltare quella vocina allarmante!

- Va bene. Si tratta di Tsubasa…-

- Cos’è successo a Tsubasa? Perché non mi chiama direttamente lui? Tu che diavolo centri?-

Seccato l’altro alzò la voce:

- Sono l’unico che ha pensato ad avvisarti ma me ne sto pentendo! Non rompere e ascolta! Tsubasa ha avuto un incidente! È stato investito da una macchina in corsa e le sue gambe sono critiche. Ieri l’hanno operato ma non si sa se tornerà a camminare o meno, i medici non sono stati positivi!-

Genzo boccheggiò, in quell’istante entrò Karl per richiamarlo all’ordine ma vedendo quell’espressione così shockata si fermò subito. Qualcosa non andava.

Il moro cominciò a non sentire più il corpo concentrandosi solo sulle parole che gli stava dicendo Hyuga, per la prima volta voleva ascoltarlo!

- Cosa…cosa dici?-

Hyuga abbassò la voce e divenne quasi delicato, con un tono preoccupato e malinconico che non era da lui, fu quello che gli fece più impressione, che gli fece più male.

- Dobbiamo prepararci all’eventualità che Tsubasa non possa più camminare…e rimanga…-

- Zitto! Non dirlo! Non di lui! A lui non succederà una cosa del genere! Non può! Non deve…zitto…basta…-

Fu una reazione giustificata e normale, che non fu fermata né commentata dall’interlocutore che parve dispiacersi. In fondo erano più uguali di quel che fossero disposti ad ammettere: avevano reagito alla stessa maniera…solo che Misugi aveva pianto per fargli accettare la realtà, lui non l’avrebbe di certo fatto. Improvvisamente pensando all’amico che già da tempo non poteva giocare a calcio, si sentì in colpa, strano per lui ma fu così…poteva accadere per la situazione fragile e delicata in cui tutti erano…dove si diventava onesti e sinceri e si prendevano in esame cose mai osate.

Improvvisamente si resero conto di non saper più che dire e che fare, stettero con il telefono in mano in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto ed una luce diversa, strana, che allarmò Karl da questa parte.

- Wakabayashi…-

Tentò senza però aver null’altro da dire, infatti fu proprio Genzo a tagliare corto, nel panico e nel caos più totali.

- Io…devo andare...-

Non diede il tempo di fare altro, riattaccò la cornetta interrompendo la comunicazione.

Rimase un lungo attimo immobile, con un espressione impietrita e il fiato sospeso, il sudore improvvisamente era freddo e il mondo circostante non esisteva più, l’unica cosa che sapeva ripetersi mentalmente era che Tsubasa aveva avuto un incidente e che forse le sue gambe non avrebbero più funzionato.

Funzionare.

Un corpo che smette di andare bene, si rompe, non va più, dà problemi, fa cadere nell’incertezza. E finchè è incertezza è bene, quando poi diventerà certezza, lì sarà da preoccuparsi.

Sembrò crollare in un luogo buio dove non c’era più il Genzo sicuro e strafottente di sempre, smarrimento, fu questo che si lesse nei suoi occhi neri e affascinanti, Karl si avvicinò posandogli una mano sul braccio forte abbandonato lungo il fianco. Mostrò persino lui un segno di titubanza davanti al suo portiere, era sicuro di non averlo mai visto in quello stato, non avrebbe saputo definirlo con certezza, sembrava più uno le cui certezze storiche stavano fuggendo via dalle dita.

- Genzo?-

Avevano preso a chiamarsi per nome da un po’ di tempo, in Germania non erano rigidi come in Giappone e fra compagni di squadra e amici ci si chiamava per nome e non per cognome…persino fra due tutti d’un pezzo come loro!

Il biondo non sapeva cosa gli succedeva ma provò un sano istinto di volerlo aiutare, far qualcosa per lui, solo per lui, per nessun altro avrebbe voluto far qualcosa, era così da anni, si volevano in campo a vicenda e non trovavano stimolante fare una partita l’uno senza l’altro, andava bene sia come compagni che come avversari!

Non ottenne risposta e pensò comunque di lasciargli i suoi tempi, non l’avrebbe forzato a parlare però gli faceva un certo effetto vederlo così.

In fondo stavano insieme da poco e non sapeva bene come si doveva comportare un…fidanzato.

Fece per togliere la mano ed allontanarsi ma fu fermato, quella di Genzo gliela prese prima che potesse staccarsi del tutto, allacciarono le dita e dopo averlo tirato verso di se, il moro appoggiò la fronte alla spalla larga del compagno.

- Tsubasa ha avuto un incidente…è non si sa…se…se potrà camminare…-

Fu un duro colpo anche per Karl ma lo shock fu attenuato dal voler tirare su Genzo, gli fece più male vedere lui così, sapeva quanto erano amici, si tenevano sempre in contatto e il loro rapporto era da ammirare, un po’ di invidia l’aveva provata ma non era tipo da gelosia. Invidia perché lui l’unico amico che aveva avuto era stato Genzo.

Strinse la mano mentre l’altra la posò sulla schiena spaziosa.

Non disse nulla, cosa avrebbe potuto dire?

Non voleva nemmeno pensare a cosa avrebbe significato questo, non voleva pensarci affatto.

Si trattava solo di fortuna?

Nessuno poteva avere una vita perfetta, quella era la dimostrazione.

- Devo…andare da lui…-

La voce tenue e smarrita cercava di tornare in sé ed essere la persona pratica, sicura e decisa di sempre ma le forze persino a lui in un momento simile gli venivano meno.

- Vuoi che ti accompagno?-

Sentirlo così tenero, per i suoi canoni, gli fece una certa impressione e gli diede quell’energia per affrontare ancora una volta le proprie difficoltà. Non c’era stato nulla, nella sua vita, che non si fosse guadagnato con le sue forze e capacità.

Avrebbe superato anche quel momento difficile.

- No, devo andarci da solo…-

Prese questa decisione insieme al bacio che gli strappò quasi con disperazione, per ricaricarsi e fare la cosa giusta. Avrebbe dovuto mostrarsi come sempre agli altri, per cui si prese quel momento per essere onesto con se stesso e lasciarsi andare.

Solo quel momento.

 

Caricò il borsone di calcio sulla spalla larga tipica di uno sportivo, si diresse all’entrata di casa sua e assicurandosi di non aver dimenticato nulla lo sguardo gli cadde su una busta a terra, parte della posta era caduta e non se ne era accorto, chissà da quanto era lì! Si abbassò e la prese, fra le bollette c’era anche un telegramma per lui, guardando la data si risollevò, era di quella stessa giornata.
Se la mise fra le labbra e posò le altre sul mobile in modo che il padre al suo ritorno le vedesse, cercò le chiavi in entrambe le tasche ed una volta trovate uscì chiudendosi la porta dietro di se, fece un giro di serratura e si incamminò a passo spedito e leggero per il marciapiede parigino, riprese la busta in mano e senza fretta iniziò ad aprirla, non le dava molto peso, gli piaceva camminare per quei posti godendosi il paesaggio. Sembrava che il padre si fosse stabilito pianta stabile a Parigi, era comprensibile, tutta la Francia era bellissima e per un artista, viverci era il massimo, ma sapeva che prima o poi sarebbero tornati in Giappone, sarebbe servita una buona scusa, tuttavia per ora non l’avrebbe forzato, non l’aveva mai fatto e non avrebbe iniziato ora, del resto nemmeno lasciarlo lì ed andarsene a vivere da solo era pensabile, gli voleva un bene dell’anima, doveva tutto a lui e anche se non avevano mai avuto una casa vera e fissa, averne molte gli aveva permesso di avere molti amici, avere conoscenze che un ragazzo normale non potrebbe avere e soprattutto far sue tutte le tecniche di calcio dei diversi posti visitati. Erano molto uniti padre e figlio, poi lasciarlo solo non era indicato anche perché i padri non sapevano cavarsela da soli.
In una famiglia vi sono la moglie che pensa al padre e dona affetto al figlio, mentre il padre si fa accudire dall’amata e cresce il figlio secondo i suoi valori e ideali. Se manca uno dei due per forza di cose il piccolo viene tirato su in modo diverso da come dovrebbe venire. Se manca il padre ci si troverà davanti una persona più insicura, con più dubbi che fa diversi ‘errori di calcolo’ dovuti alla mancanza maschile di riferimento, se manca la madre invece si arriva ad una persona che cerca di sostituirla per aiutare il padre ad andare avanti senza che si lasci a se stesso, a costo di farsi prendere in giro per questo, che però cerca e trova affetto a modo proprio in cose a volte convenzionali a volte meno, buttandosi in passioni personali fra le più diverse.
Questo era Taro Misaki, un ragazzo dovuto crescere prima degli altri, con una maturità differente ed una sensibilità tipica femminile per poter compensare a ciò che solo una donna può dare in una famiglia.
Respirando a fondo l’aria esterna, fece un sorriso tenero che abbracciava ciò che ormai amava molto, quella città. Le persone del quartiere incrociandolo lo salutavano, qualche ragazza che sperava in un suo sguardo ed in un suo cenno particolare, attaccavano bottone invano, lo conoscevano abbastanza da sapere che quel grazioso giapponese effeminato sembrava non essere per nulla interessato alle donne, lo si capiva soprattutto da come si poneva nei loro confronti, con una gentilezza, apertura e spontaneità poco maschile, seppur mantenendo una certa riservatezza.
C’era ormai molta folla che andava e veniva intorno a lui, aprì il foglio senza pensieri particolari, vide che era scritto in Giapponese e veniva da Tokyo, appena i suoi occhi scuri scorsero le prime righe, si rabbuiarono immediatamente, fermò il passo mentre qualcuno che gli passava vicino tirava il collo per poter curiosare, lui questi dettagli non li sentiva e non li notava, concentrato totalmente su quello che c’era scritto, una specie di tuffo al cuore che mancò un battito e forse anche più di uno, come se potesse capire come si sentiva Misugi quando aveva i suoi attacchi di cuore in campo.
Non si rendeva nemmeno conto di aver sospeso il respiro e di essere impallidito in modo impressionante.
Erano parole telegrafiche e semplici, chiare dal significato preciso, inequivocabili e perfettamente comprensibili come il mittente che le aveva scritte.
Eppure gli sembravano scritte come a fuoco, marchiate.
Non le avrebbe dimenticate per il resto della sua vita, a distanza di anni le avrebbe sapute ripetere alla perfezione come se le avesse appena lette.
Jun Misugi scriveva:
“Sono spiacente di informarti che Tsubasa Ozora ha avuto un incidente. Le gambe sono gravi. Non si sa se tornerà a camminare. È ricoverato all’ospedale di Tokyo. Spero tu possa venire qui il più presto possibile. Saluti. Jun Misugi.”
La lesse una sola volta e non ci fu bisogno di rileggere per vedere se aveva capito bene, la firma era una garanzia, sapeva che era tutto vero. Tutto corretto. Che non c’erano equivoci.
Pulsazioni.
Sempre più forti.
I muscoli che cedono.
Insensibili.
Incontrollati.
Il corpo pesante.
Il foglio scivola.
Vola a terra.
Si posa.
I suoi occhi nel vuoto.
Il cuore che pulsa.
Pompa sangue.
Veloce.
Sempre più.
Di più.
Ancora di più.
Vista appannata.
Formicolio sotto tutta la pelle.
Bocca che trema.
Dolore.
Malessere.
Sofferenza.
Testa che esplode.
Confusione.
Caos.
Instabilità.
Scivolare.
Giù.
Affondare.
Giù.
Ancora.
Sempre di più.
Senza arrivare.
Panico.
Agitazione.
Angoscia.
Un nome.
Tsubasa.
Una sillaba.
No.
Bruciore sugli occhi.
Sfugge dalle mani.
Cosa?
La vita.
Cosa fare?
Si può impedire?
No.
Aiuto.
Chiederlo con la mente.
Voce sparita.
Parole bloccate.
Svanire.
Dove?
Svanire.
Dove?
Nel buio.
Nel nero.
Nell’oscurità.
Senza vedere una via d’uscita.
Simbiosi con lui.
Colui a cui tieni di più.
Saperlo.
Dirselo.
Amarlo.
E svanire nel nero con lui.
Perdita di sensi.

A chi glielo avrebbe detto non ci avrebbe creduto. Come sarebbe potuto tornare tutto come prima?
Aggrapparsi a quell’incertezza scritta nel telegramma era normale ed obbligo, ma se poi avrebbe scoperto che sarebbe stato inutile…bè, lì. In quel momento…che avrebbe fatto?
Il corpo del ragazzo da un corporatura media era steso a terra svenuto, sostenuto al volo da un passante che gli era stato proprio dietro in quell’istante.
Chi?
Chi era?
Quando questi lo chiamò preoccupato a gran voce mostrando la propria agitazione come poche volte nella sua vita aveva fatto, notò solo lacrime che scendevano dai suoi occhi.
Durò poco la perdita di sensi, li riacquistò subito, quando aprì lentamente i suoi occhi ancora offuscati, pieni di lacrime, il ragazzo ebbe un brivido.
Non era un semplice malessere.
Qualcosa era andato storto.
- Misaki…Misaki, dimmi che è successo? -
In risposta Taro nascose il volto nel palmo di una mano mentre l’altra si aggrappava istintivamente all’amico che aveva riconosciuto.
Pensò che almeno era successo con una persona conosciuta.
Almeno.
Ma fu un magra consolazione.
Non avrebbe parlato. Non sarebbe riuscito a parlare se non per dire il suo nome, il nome della persone a cui teneva di più, che gli era entrata nel cuore da quel tempo in cui erano bambini ed ogni sciocchezza era di vitale importanza, dove con spensieratezza ed energia affrontavano e superavano ogni ostacolo.
Come superare questo?
Pierre, il nome del ragazzo che l’aveva raccolto, si guardò intorno per vedere se qualcuno poteva essergli d’aiuto e fu lì che trovò la lettera. La raccolse ma non capendo il giapponese cominciò a preoccuparsi.
Capendo che un telegramma dal Giappone non era normale, specie considerando la reazione di Taro e che c’era di mezzo Tsubasa.
Lo alzò seduto e prendendolo per le spalle cominciò a scuoterlo leggero, senza violenza ma con una certe preoccupazione.
- Misaki, che è successo a Tsubasa?-
Glielo chiese ripetutamente mentre tutto quello che sapeva fare l’altro era continuare a piangere. Quando finalmente glielo disse in un mormorio disperato, Pierre sentì un pugnale.
Veramente i sogni potevano infrangersi così facilmente?
I sogni, una vita…tante…un cambiamento per una persona spazzava anche il resto, tutte le persone circostanti.
Consci tutti che mai sarebbe potuto essere come prima. Nulla.
Mentre il fato continuava a beffarsi della perfezione rubata.
Per sempre.
Ed un sorriso radioso, dolce e sincero che non sarebbe tornato nelle labbra sue labbra per molto tempo.


La luce l’accecò appena aprì gli occhi dopo il buio che aveva avuto. Vi era precipitato improvviso ed inaspettato dopo un dolore acuto da far impazzire i sensi.
Solo il caos si era preso la briga di avvolgerlo come una coperta materna.
Aveva viaggiato in un luogo dove il tempo e lo spazio erano indefiniti, una specie di sonno tormentati dove nemmeno il corpo esiste. Senza sentire nulla se non inquietudine ed angoscia.
Quando li riaprì i suoi occhi neri vide la luce e li richiuse, si sentì bruciato da essa, beffeggiato. Poi realizzò a fatica che si trattavano solo di lampade al neon. Non c’erano in casa sua. Dove era?
Era tutto rintronato e il corpo lo sentiva pesante ed indolenzito, l’anestesia non gli faceva ancora sentire i dolori come avrebbe dovuto.
Sentì una voce ovattata che lo chiamava, quando girò la testa nella sua direzione vide sua mamma con le lacrime agli occhi e poco distante, nello stesso stato, la sua manager, Sanae.
Fece per parlare ma la voce non gli uscì nemmeno, solo allora sentì il tubo che aveva in gola, per respirare. La mano della donna si posò sulla sua fronte carezzandola, gli scostò i capelli e dolcemente parlò:
- Sst, non parlare ancora. Ora arrivano i medici a spiegarti tutto, ti toglieranno quel tubo dalla gola e potrai parlare. Presto l’effetto dell’anestesia sparirà e ti sentirai male, ma sta calmo. Ti starò accanto. Tuo padre arriverà a giorni.-
Tsubasa la guardò stralunato ed interrogativo. Non capiva proprio cosa fosse successo, la sua memoria si fermava quando il pallone gli era sfuggito dai piedi e lui aveva attraversato la strada per prenderlo.
Anche se un vocina gli suggeriva la risposta non voleva dirselo. Aspettò e quando lo udì preferì non essersi mai svegliato.
- Sei stato investito da un auto. Eri molto grave, ti hanno tirato di qua per i capelli…-
Al momento di procedere si fermò. Non ebbe il coraggio di dirgli altro, di dirgli delle sue gambe.
Quando i medici lo fecero per lei dandogli la notizia ormai sicura, il cuore mancò di un battito nella macchina accanto. Chiuse gli occhi e sperò che la morte lo prendesse.
Chiaro e netto il desiderio. Senza esagerazioni.
- Non potrai più camminare, la tua spina dorsale è stata lesa. Sei paralizzato sulle gambe, Tsubasa. Abbiamo fatto il possibile, ci dispiace…-
Sogni infranti, una vita interrotta ed il desiderio continuo di sparire in quella voragine nera che si apriva davanti a lui. Tutto quel che vedeva.
Solo quello.

FINE CAPITOLO 2

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Capitolo 3
*** Ciò che conta ***


*Vi presento quindi il terzo capitolo di questa fanfic che sono sicura non sarà lunga come Till i collapse anche se ci sono tutti gli elementi affinché lo diventi! Ne avrei di materiale e cose da scrivere e approfondire, ma non voglio arrivare a quei livelli, ho altri progetti! Vabbè, chiacchiere a parte, qua si parla più di Tsubasa e si mostrano le sue prime reazioni alla cosa, poi arrivano Taro e Genzo e vorrei inserire anche qualcosa su Hyuga. Ringrazio i lettori. Spero gradiate quel che combino! Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO 3:

Ciò CHE CONTA

- Chiudi quella finestra!-

La voce cavernosa proveniente dall’ennesima notte insonne, raggiunse la madre che era andata ad aprire i vetri alzando le saracinesche per far entrare la luce del sole alto e caldo. Lei si fermò voltandosi verso il figlio sdraiato nel letto, aveva il busto nudo, fasciato da diverse bende mediche, appoggiato alla spalliera del letto, la testa dritta con uno sguardo scuro perso nel vuoto, il viso sciupato con ancora dei lividi residui dall’incidente, era coperto da alcune ciocche di capelli che ormai non pettinava più lasciandoli crescere come meglio volevano. Le mani abbandonate in grembo, un grembo che non avrebbe mai più sentito vivo.

Le gambe erano entrambe fasciate sotto le lenzuola ed alzate il necessario per facilitare la circolazione. Non poteva nemmeno dire di sentire dolore fisico, non ne provava affatto se non per le costole rotte e le altre ammaccature dalla vita in su.

Non sentiva nulla sugli arti inferiori.

Nulla.

- Ma Tsubasa…oggi è una bellissima giornata e qua dentro c’è odore di chiuso, bisogna far prendere aria. Fuori c’è un sole così allegro, sai che ti fa bene il sole, il medico ha detto…-

- Non mi importa!- La interruppe incolore, continuando a non guardarla, poi proseguì: - Non mi piace la luce, il sole, l’aria, i rumori estivi, la gente allegra che parla spensierata di cose che solo loro possono godere. Non c’è nulla d’allegro qua dentro. Voglio silenzio e buio!-

- Ma comincia a far caldo anche qua dentro, non si respira bene e poi il medico…-

- NON ME NE IMPORTA NIENTE DI COSA DICE IL MEDICO! SE HAI CALDO VA’ FUORI E FATTI UNA CORSA! TU PUOI FARLA, NON SEI OBBLIGATA A STARTENE CHIUSA QUA! QUESTA è LA MIA VITA E DECIDO IO SE VIVERLA ALLA LUCE O AL BUIO! TU NON SEI COME ME E NON DEVI FARE QUELLO CHE FACCIO IO! NESSUNO DEVE! BASTA CON QUESTA STORIA!-

La donna si mortificò molto dopo la sfuriata di Tsubasa, aveva alzato la voce e adirato si era voltato verso di lei guardandola in faccia, nemmeno vedendo il viso addolorato della madre l’aveva fermato, nessun effetto. Le lacrime le premettero per uscire così col nodo alla gola che premeva sempre più, tremante e quasi nel panico, non attese un minuto di più uscendo dalla stanza di corsa, chiudendosi la porta alle spalle e pensando solo un'unica cosa coerente:

“E’ un incubo, io non ce la faccio più da sola!”

Tsubasa all’interno della stanza era tornato al suo punto morto, con occhi spenti e la bocca serrata, non gli era nemmeno dispiaciuto l’averla maltrattata, non provava più nulla. Assolutamente nulla. Il vuoto albergava in lui.

Ma era veramente vuoto?

L’odio verso il sole era l’odio verso la vita e se c’è odio non c’è indifferenza, né vuoto.

Dunque lui provava ma reprimeva con forza e testardaggine.

Era solo convinto che la vita per lui si fosse fermata definitivamente e aspettava deciso la fine dei suoi giorni in quel letto. Una fine che pregava sarebbe arrivata presto.

Senza le gambe non esisteva più nulla. L’unica cosa che riusciva a pensare, che ammetteva nella sua mente.

Senza le gambe tanto valeva morire, poiché tutto quello per cui era nato gli veniva strappato con esse.

Tuttavia questo reprimere una vita che volente o nolente avrebbe dovuto affrontare, questo soffocare le emozioni, i sentimenti, la disperazione ed ogni devastante reazione, lo gettava sempre più in una voragine dove per lui tutto ciò che prima era stato importante, non esisteva più.

Ci sono poche cose che cambiano la vita delle persona ed una percentuale non molto alta che queste accadano, ma se succede ci si deve preparare al mai visto e pensato!



Il gran via vai della folla incuteva quasi timore, c’era un numero spropositato di Giapponesi e gente anche straniera che andava e veniva nell’aeroporto. Misaki prese un profondo respiro e con il borsone in spalla si diresse verso il passaggio dei taxi per prenderne uno.

Era appena tornato nella sua madre patria.

Aveva un aria piuttosto sciupata, due occhiaie scure sotto gli occhi ed un pallore che non passava inosservato, per un espressione inequivocabilmente preoccupata. Non vi era più l’eterna e sincera serenità con cui affrontava ogni cosa ed i pensieri che albergavano nella sua testa erano tutti rivolti a Tsubasa e a come avrebbe dovuto affrontarlo, ogni volta che ci pensava finiva come per sentirsi male, la sua mente rifiutava quasi di mandare quella realizzazione, tuttavia il moro non era tipo da scappare dalla realtà, sapeva bene che doveva accettarlo e così sarebbe stato.

Diversa l’aveva presa Wakabayashi che con grande rabbia si mangiava in continuazione tutti quelli con cui aveva a che fare!

- Misaki?-

L’aveva riconosciuto subito quasi sperando di vederlo prima degli altri e con sollievo l’aveva chiamato senza pensarci.

L’altro si voltò di scatto spaventato, era soprappensiero e tutto il resto del mondo gli scivolava intorno come acqua, il contrario del portiere che gli arrivava ogni cosa amplificata, non riusciva a fare a meno di sentire e fare attenzione al resto che lo infastidiva fino quasi a farlo impazzire. La testa gli doleva, lo stomaco era sottosopra e l’intontimento generale dovuto alle ore di sonno mancate, si facevano vedere e sentire anche su di lui, tuttavia nel complesso manteneva il suo bell’aspetto su un espressione che sembrava ancor più tenebrosa ed aggressiva del solito.

- Wakabayashi! Sei arrivato anche tu! Immaginavo che avremmo potuto incontrarci a Narita, ma non pensavo che sarebbe successo veramente!-

Genzo lo guardò scrutandolo a fondo, come faceva a parlare lo stesso come se nulla fosse? Poi capì.

“No, quello non è il solito Taro. È ben altra persona quella che mi sta ora davanti…lo può capire solo chi lo conosce un po’ meglio rispetto agli altri.”

Così pensando, gli tese la mano ma questa volta senza il suo perenne sorrisetto enigmatico a tratti, strafottente ad altri. Non aveva il cappellino che si portava sempre dietro e mostrava un aria molto adulta e seria, dovuta anche all’espressione imbronciata e grave che non sapeva nascondere. In lui la preoccupazione era così accesa e viva che non serviva conoscerlo bene per comprendere il suo reale stato d’animo. Certe cose nemmeno lui riusciva a mascherarle, anche se di norma se voleva ci riusciva!

- Già…una coincidenza d’orari incredibile…-

Fu tutto qua quello che riuscì a dire, cercava di essere più gentile che poteva ma meglio di così non ci riuscì. In condizioni ottimali gli avrebbe chiesto come andava e cosa faceva, era da un bel pezzo che non si vedevano più pur essendo così vicini rispetto agli altri compagni di nazionale. In condizioni ottimali anche Taro avrebbe parlato molto di più, spigliato e allegro come sempre, con quella dolcezza che lo caratterizzava…una dolcezza matura. Erano caratteristiche rare da trovare in un ragazzo, chissà se sarebbero rimaste tali anche ora.

Taro strinse a sua volta la mano dell’amico e provò quasi del sollievo a stare con un amico in una situazione così difficile.

- Si…-

Rispose a sua volta l’altro cercando disperatamente qualcos’altro da dire, senza però trovare nulla di soddisfacente.

“Ma non è forse così anche per me?”

Terminò così il pensiero precedente, il bel tenebroso. Sprofondò le mani nelle tasche dopo essersi sistemato con cura il borsone in spalla, con aria sfuggente distolse lo sguardo dall’amico e si guardò in giro per trovare qualcos’altro di più utile da fare, vide il taxi che stava per prendere Taro quando l’aveva visto e decise subito senza perdere altro tempo:

- Facciamo la strada insieme?-

L’altro fu come se si svegliasse e gentilmente accettò con quella sua aria svanita che sapeva non sarebbe andata via facilmente. Si sistemarono nell’abitacolo e pur essendo due vecchi amici che non si vedevano da molto, non spiccicarono parola alcuna, il silenzio che calò dall’inizio alla fine fu pesante ed imbarazzante e se per uno come Genzo poteva essere normale, non lo era per Taro, abituato sempre a discorrere con chiunque si trovasse in compagnia. Ora era lì a guardare distratto fuori dal finestrino con aria malinconica, assente, persa. Faceva un certo effetto vederlo così e Genzo non se la sentì di violare quel suo stato d’animo così particolare.

“Dio, sta così male?”

Questo altro pensiero gli salì alla mente durante il viaggio cercando di domare il fastidio che provava per ogni cosa gli capitasse e lo toccasse: il silenzio gli seccava, il parlare gli seccava, la gente gli seccava, la solitudine gli seccava, i cambiamenti gli seccavano, le stabilità gli seccavano, non c’era nulla che gli stesse bene, per questo stava solo zitto e guardava a sua volta fuori…anche se odiava pure quel sole così alto e felice!

Tirò fuori il cellulare dalla tasca e lo fissò con intensità come fosse una bella donna, ma visti i suoi gusti sessuali forse è meglio dire un uomo. Visualizzò il numero di Schnaider e la tentazione di chiamarlo fu grande, ma si trattenne, non l’avrebbe certo fatto in quel momento davanti a Misaki!

Quest’ultimo dal canto suo non sentiva nemmeno la presenza dell’altro accanto, si era dimenticato immergendosi nel suo mondo dove non vedeva e non captava nulla se non i propri pensieri e a volte nemmeno quelli. La notizia di Tsubasa l’aveva shockato e non era sicuro di essersi ancora svegliato da quella perdita di sensi, per quanto ne sapeva poteva essere ancora in Francia con Pierre…e forse lo sperava.

Si fecero portare direttamente all’ospedale centrale di Tokyo e sempre in silenzio arrivarono davanti alla stanza che gli avevano indicato. Non avevano avvisato nessuno del loro ritorno, sarebbe stata una sorpresa ma improvvisamente pensarono che forse non era stata un buonissima idea. Al di là di quella porta c’era Tsubasa con le gambe ingessate ed immobilizzato a letto, o chissà in quali condizioni. Fecero un profondo respiro ma senza prendere l’iniziativa, quando Genzo finalmente stava per bussare, una voce lo interruppe e ne fu quasi grato, come se il ritardare il loro incontro potesse servire a farli sentire meglio.

Si voltarono in contemporanea e videro arrivare loro incontro la madre di Tsubasa.

- Signora…-

La salutarono e lei fece altrettanto con un sollievo negli occhi e nello sguardo che sembrava più gratitudine che altro:

- Misaki, Wakabayashi…come sono felice che siate qui. Vi hanno avvertiti di…-

Non riuscì a finire la frase, non avrebbe mai avuto il coraggio di dirlo.

- Si…mi ha chiamato Hyuga…pensavo scherzasse…-

Disse Genzo con sforzo per mantenere la sua sicurezza. Se ne sarebbe stupito il compagno se non si fosse incantato a guardare la porta chiusa della camera del suo migliore amico.

- Misaki, caro…tutto bene?-

Lo scosse la signora con fare materno e lui sbattendo gli occhi la guardò come fosse la prima volta che la vedeva, poi fece mente locale e si ricordò di cosa si stava parlando, rispondendo a sua volta sempre con un tono vago:

- Oh, a me hanno mandato un telegramma, è stato Misugi…-

Lei fece loro una carezza ciascuno per ringraziarli, li aveva visti che erano piccoli e giocavano a calcio col figlio, erano diventati suoi amici e poi avevano preso ognuno la propria strada, ma voleva loro bene e dispiaceva che vedessero Tsubasa in quello stato.

- Vi ringrazio di essere venuti, ma devo avvertirvi. Tsubasa non è più lo stesso. I medici dicono che non ci sono speranze per lui di tornare a camminare ed ora è completamente diverso da come lo ricordavate. -

Taro trattenne il respiro mentre spalancava gli occhi come avesse il terrore dentro, Genzo strinse i pugni e contrasse la mascella indurendo il volto dai lineamenti decisi.

- No, non potrà più camminare. Ha rotto le gambe e quel che basta della spina dorsale per non poter più alzarsi in piedi…dovete essere forti. Ve lo chiedo perché io…le mie forze…le ho già esaurite…-

Annuirono ma non furono molto convincenti, poi entrò e subito dopo uscì con un espressione molto dispiaciuta e le lacrime che volevano uscire:

- perdonatelo…non vuole vedere nessuno…nemmeno voi. Dice che non…non vuole vere a che fare con alcuno…-

Infine si scusò andandosene. Li lasciò soli e dalle espressioni shockate non credevano a quanto sentivano, l’impulso di Genzo fu di entrare lo stesso e a denti stretti, con rabbia sempre più crescente, sbottò:

- Me lo deve dire di persona!-

Aveva già messo la mano sulla maniglia ma fu fermato da Taro che finalmente aveva reagito, non lo toccò, solo la voce, tremante, strana…sull’orlo del pianto:

- No, Wakabayashi…no…-

Avrebbe voluto dire che non era il caso, che era troppo presto, che dovevano lasciargli più tempo, avere pazienza…ma riuscì a dire solo ‘no’ e lui si fermò, aveva tutti i muscoli del corpo tesi e avrebbe preso volentieri a pugni qualcuno, l’impotenza e la frustrazione erano grandi in lui e l’idea di stare per impazzire lo sfiorò! Era un tipo d’azione, che faceva sempre qualcosa, non stava mai fermo ad aspettare ed ora era addirittura rifiutato e costretto.

Misaki glielo aveva chiesto e non poteva non ascoltarlo.

- Ragazzi…?!-

La voce alle loro spalle era distinta ma incerta, come se volesse assicurarsi di avere davanti le persone che credeva.

Era Misugi.

Li vide lì davanti alla camera di Tsubasa, entrambi scossi e Misaki con gli occhi lucidi, se non fosse arrivato forse avrebbe pianto, mentre Wakabyashi pareva a dir poco adirato, sull’orlo di una sfuriata, si passava nervoso le mani fra i corti capelli mossi e cercava di non lasciarsi troppo andare. Dentro di sé si chiese se anche lui, Jun, sarebbe riuscito a mantenete a lungo quello stato fermo di maturità e calma, anche lui come tutti era sotto pressione ma fra tutti era quello che riusciva più a controllarsi, trattenersi e rimanere con la sua aria sicura come solo un aristocratico poteva riuscire.

- Siete giunti insieme…è un piacere vedervi, l’occasione non è altrettanto piacevole…-

Si salutarono scacciando quello stato pesante e doloroso in cui si trovavano, fu un attimo di consolazione poi Jun prese in mano la situazione come era consueto per lui.

- So che non ha intenzione vedere nessuno, ma nutrivo la speranza che almeno voi lo avreste aiutato. Avremo tempo per parlare con lui. Ora è più opportuno che vi riposiate. Se volete posso ospitarvi a casa mia per il tempo che desiderate. Abito accanto a questo ospedale e non esistono problemi se rimarrete con me. Che ne pensate? -

Lo ammirarono per la dimestichezza col linguaggio che aveva anche in quelle situazioni, non si smentiva mai, non si agitava o allarmava, rimaneva padrone di se e non si perdeva per nessuna ragione. Lo invidiarono senza immaginare lo sforzo che in realtà facesse e lo scoppio di pianto che aveva avuto quella sera con Hyuga.

Alla fine accettarono, avevano bisogno di sapere meglio come erano andati i fatti e di stare un po’ tranquilli con una persona altrettanto tranquilla. Sembrava che lui fosse sicuro che tutto sarebbe finito per il meglio.

Ma spesso le apparenze ingannavano.

Soprattutto nel suo caso.



- Dovresti andare da lui. Non ci sei ancora andato.-

Aveva detto così Sawada prima di separarsi per andare a casa sua. Lui gli aveva scorbuticamente chiuso la bocca liquidandolo dicendo che nemmeno lui era ancora andato, ma poi gli aveva giustamente ribattuto con un frase che l’aveva fatto pensare:

- Ma io non ho lo stesso legame che hai tu con lui. Ci andrò quando si sentirà meglio, non ha senso che ci vada ora…-

Hyuga allora aveva risposto subito brusco e seccato:

- Quale legame? Non sono legato a nessuno!-

- Avete un rapporto…-

- Non sono fidanzato con nessuno, io…specie con quella capra!-

Lo scambio di battute poi era diventato sempre più veloce e serrato con uno che si divertiva e l’altro che si innervosiva sempre di più:

- Rapporto, non relazione!-

- è la stessa cosa!-

- No…-

- Si…-

- Ma non è questo il punto! Tu e Tsubasa siete amici!-

- Non dire scemenze romantiche!-

- Non serve che lo ammetti. Ma devi andarci!-

Così ora era lì, in ospedale, a maledire se stesso e la sfiga che ci vedeva sempre bene. Aveva pensato molto in quel periodo. Aveva vissuto secondo certi ideali e principi, facendo in modo di non pentirsi di ciò che faceva, affrontando la vita come una tigre e non come una gallina, tuttavia ora ciò che credeva solido era crollato lento insieme a Tsubasa e si chiedeva cosa fosse veramente importante nella vita, cosa rimanesse se tutto quel che credi importante, un giorno se ne va. Cos’è che non se ne andava mai?

Lo sguardo più scuro e arrabbiato del solito non guardava in faccia nessuno e si dirigeva verso quella che doveva essere la camera di Tsubasa conscio che probabilmente non sarebbe riuscito ad entrare o che lui non l’avrebbe voluto vedere.

Andiamo, che ci faceva lui, cioè: LUI lì? Uno come lui non andava a fare visite di cortesia, non si preoccupava dei rivali, non calcolava chi gli aveva sempre messo i bastoni fra le ruote.

Poi però a convincerlo a fare una piccola marcia indietro sulle sue convinzioni, era stata la frase più significativa di Sawada, alla sua frase sempre più scocciata:

- Io e lui siamo solo rivali, nemici…-

L’altro aveva risposto sicuro e soddisfatto:

- Si, ma siete l’un l’altro i miglior nemici!-

Sospirò spazientito.

Si sentiva solo un idiota!

“Ecco, lo sapevo! Non era una buona idea! La prossima volta cucio la bocca a quell’impiccione sentimentale!”

Hyuga non era nemmeno riuscito ad entrare in quella stanza, la madre l’aveva mandato gentilmente via dicendo che non voleva vedere nessuno e che gli altri erano tutti da Misugi.

Si era chiesto chi erano gli ‘altri’ ma aveva deciso che avrebbe scoperto di persona l’arcano mistero. Quel che lo infastidiva veramente non era che il suo amico Sawada si fosse impicciato facendogli fare la figura della femminuccia, non era nemmeno che non si sentiva molto tigre o le domande che si faceva in continuazione dall’incidente…quel che l’aveva urtato dal profondo ed in modo pericoloso tanto da spintonare un povero sventurato che gli era venuto addosso per sbaglio, era stato il fatto che Tsubasa non l’avesse voluto vedere! Allora non erano più niente. Nessuno contava nulla, funzionava così, per lui. Le belle parole, i bei sentimenti che propinava, i principi e le palle varia che sventolava erano tutte falsità e bugie, sciocchezze insomma. Tsubasa era uno così? Che faceva finta di valorizzare un sacco di cose ma in realtà non gli importava di niente e nessuno!

Senza accorgersene era giunto davanti alla mega villona di Misugi. Non ci era mai stato di persona, ma sapeva com’era e dov’era, tutti lo sapevano. Era veramente vicina all’ospedale, l’ideale luogo di ritrovo per chiunque avesse bisogno di farsi forza per via di Tsubasa.

Lui non ne aveva bisogno, voleva solo vedere chi erano gli altri!

Con un muso lungo tre metri si fece condurre da Jun e quando sentì la sua voce parlare si fermò subito. Stava dicendo una cosa che lo lasciò non solo di sasso ma anche gli fece chiedere se per caso quel principino non fosse anche un veggente:

- Alla fine è vero. Ciò che permane e che è utile nella vita sono solo i sentimenti e le relazioni. Può accadere qualunque cosa e sottrarti quello per cui hai vissuto fin ora e ti rimangono solo i sentimenti, quello che hai provato, gli amici, gli affetti. Non ha peso cosa fai e come lo fai, ma se quando lo facevi eri felice. Anche smacchiare un pavimento o consegnare dei giornali può portare felicità, è lo stato d’animo e come affronti le cose. -

Rimase a bocca aperta la tigre e per un attimo gli parve non solo che gli avesse letto nell’animo i dubbi, ma anche che se era stato lui e non un altro a dare risposta, un motivo c’era, ma questo lo confuse maggiormente e così decise di scacciare il pensiero e concentrarsi sulla veridicità delle parole che aveva sentito.

Aveva ragione, in fondo, gli seccava ammetterlo e non glielo avrebbe detto, però era così.

Sospirò di nuovo questa volta un po’ più rilassato, difficile per lui ed entrò. Solo lì sentì e vide chi c’era in quella stanza.

E quasi non gli venne un colpo.

Wakabayashi e Misaki erano qua.

Allora tutto sarebbe andato a posto, di sicuro loro avrebbero aiutato Tsubasa e tutti, Misugi per primo, sarebbero tornati a respirare leggeri.

Forse.

FINE CAPITOLO 3

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Capitolo 4
*** E adesso basta ***


* Se pensavate che le cose fossero messe male dal mio modesto sadismo, leggete questo capitolo e mi saprete dire se c’è limite alla cattiveria delle autrici! In realtà non è una gara a far migliorare il più possibile Tsubasa o cose simili, ma solo un po’ di sano realismo in una situazione tanto difficile quale li ho ficcati. È tutto naturale. Sadico ma naturale! Ringrazio chi mi commenta e legge, noto con piacere che prende sempre più piede questa storia, ne sono felice. C’è chi mi ha chiesto di farla il più lunga possibile, non penso di arrivare ai livelli di Till i collapse ma in effetti c’è tanto buon materiale. Vediamo cosa combino ma sicuramente non qualcosa di così lungo. Poi altre sono felici che io sviluppi una coppia bistrattata come Tsubasa e Taro, sono i più slashabili della serie, come i fa a non farlo? Poi comincia a piacere e stimolare nonché incuriosire anche la coppia imprevista: JunXKojiro, piace molto anche a me, penso ci farò un seguito perché sono troppo carini insieme! Ora basta chiacchiere. Vi auguro buona lettura. Baci Akane *

 

CAPITOLO 4:

E ADESSO BASTA

 

 

L’ampio giardino verde era il luogo ideale per un po’ di privacy e intimità, proprio quella che cercava Genzo. Era sgattaiolato fuori da quella villa così grande che ricordava tanto la sua d’infanzia. Sarebbe stata un’occasione per tornare al vecchio quartiere. Ma non subito. No.

Cominciò a camminare distratto senza godersi veramente la natura che lo circondava fatta di alberi, viottoli, siepi, laghetti e aiuole fiorite nonché molti roseti. Tutto ciò era sul davanti, come per un’accoglienza ai visitatori, sul retro vi era invece un grande parco con panchine costeggiato da qualche albero, per stare più in tranquillità, era provvisto di un piccolo campetto di calcio e di tennis, molto più in là si notavano anche le stalle dei cavalli, non numerosi, probabilmente erano giusto per il gusto dei ricchi di avere quelle povere bestiole. Ci si poteva immaginare Misugi perdersi fin da piccolo in tutta quell’enormità, naturale che passasse tutto il tempo col calcio!

Non si fermò, il bel moro, deciso a continuare il suo percorso in quell’ampio esterno.

Tirò fuori il cellulare e su di esso puntò il vero e proprio interesse: schiacciò subito il tasto verde che gli mostrò l’ultima chiamata effettuata, avvenuta solo la sera prima, al momento di dormire. Tornò a schiacciare lo stesso tasto ed attese di prendere la linea. La distanza era molta e sapeva che nonostante la scheda speciale che aveva avrebbe speso un capitale in quel periodo, vista la quantità di chiamate che faceva in Germania ad una persona specifica.

Quando la voce dall’altro capo telefonico gli risuonò un po’ lontana e fredda nell’orecchio, Genzo si trovò a respirare di nuovo sentendosi già meglio.

- Karl, sono io…-

L’ennesima chiamata al fidanzato.

- Ciao. Come va’? -

Glielo chiese pur sapendo la risposta, in poche ore non poteva certo essere cambiato qualcosa.

- Come ieri.-

- Già…-

Che altro avrebbe potuto dire? Lui stesso sapeva che Genzo era un tipo che non mostrava bisogni particolari ma in realtà ne aveva eccome, aveva bisogno di sostegno e poche persone potevano darglielo…ormai veramente poche. Ma anche Karl non era un gran conversatore, specie per telefono, non amava quell’apparecchio e se fosse uno che si innervosiva, sarebbe successo solo in quei momenti, ma così non era e controllandosi alla grande, riusciva a mantenersi distaccato e telegrafico, non si poteva pretendere troppo da lui, in fondo.

- Andrai a trovarlo?-

- Ne ho parlato con Misaki, dice che è meglio se ci prova lui da solo, io gli ho suggerito di beccare un momento in cui è solo senza la madre, di entrare senza chiedere il permesso e piazzarsi davanti a lui costringendolo ad ascoltarlo e farsi aiutare…ma conoscendolo non è tipo da porsi in questo modo!-

Aveva iniziato la conversazione molto tirato ma proseguendo si era rilassato un po’, essendo la voce di Karl, a detta sua, molto rilassante. Gusti personali!

- Immagino piuttosto che solo tu faresti una cosa simile!-

Voleva distrarlo un po’ ma era difficile riuscirci e poi non voleva sembrare indelicato, anche se uno come lui, di norma, non aveva tutte queste attenzioni. Genzo lo sapeva ed infatti apprezzò molto il tentativo.

- Non sta a credere: c’è Hyuga che farebbe di peggio, si è trattenuto fin ora solo perché chiunque prova riguardo per Tsubasa in quelle condizioni, altrimenti sarebbe solo uno spettacolo: lui che viene rifiutato? Non si è mi visto accettare simili affronti! -

Parlare di lui l’aveva tirato un po’ su, magri per Hyuga era più difficile, da quel che ne sapeva non aveva una dolce metà su cui appoggiarsi e vedere il proprio diretto ed eterno rivale ridotto in quello stato, poteva essere devastante, conoscendo il tipo.

- Genzo, sai che puoi dirmelo. Se hai bisogno di me io arrivo. -

La frase di Karl era stata improvvisa  incisiva, l’aveva colto di sorpresa e non aspettandoselo era rimasto un po’ di sasso anche il portiere, poi aveva come sorriso, un sorriso innaturale e malinconico, nostalgico, e aveva risposto semplice e sottovoce:

- Grazie…ma lo sai, mi conosci…certe cose le devo affrontare da solo. Va bene così. Mi basta la tua voce.-

Poi era arrossito, non era affatto tipo da certe parole, seppur col fidanzato, ma in alcuni stati d’animo ci si lascia andare di più. Solo in alcuni, però.

Dall’altra linea un sospiro di consapevolezza, non si sarebbe aspettato nulla di diverso da lui. Gli piaceva per questo.

- Lo so, ma volevo dirtelo. -

Sembrava poco eppure poteva bastargli veramente, a Genzo, sentire la sua voce, immaginare le parole che lui avrebbe detto e vederselo davanti a sé mentre scrollava freddamente il capo come per dire che lui era sempre il solito! Sarebbe stato troppo facile stare lì ad aspettare il rinsavimento di Tsubasa insieme a Karl. Troppo facile.

Così non doveva essere.

La chiamata andò avanti ancora a lungo.

 

 

Frustrazione e rabbia erano palpabili nella stanza. Un senso non solo d’insoddisfazione ma anche di contrarietà verso ogni cosa lo circondava, Tsubasa era steso nel proprio letto d’ospedale, si muoveva poco e niente, ma non era quello ciò che gli pesava, quello che per lui era ormai diventato insostenibile era il non sentire.

Non sentire il proprio corpo dalla vita in giù.

Non sentire la vita che scorreva.

Non sentire un domani positivo per se stesso.

Non sentire nessun dolore.

Convivere con la consapevolezza di non avere più nessuna speranza per tornare alla vita che lui voleva, alla SUA vita, non era facile per nessuno, figurarsi per uno come lui.

Basare un intera esistenza su una singola cosa effimera e fragile che può sfuggire da un momento all’altro, è pericoloso, perché può non succedere nulla e andare tutto bene ma anche il contrario, può anche accadere proprio quello che strappa dalle mani quella cosa importante e quindi l’esistenza.

Questione di priorità?

Stupidità?

Incoscienza? O che altro?

Chiederselo col senno di poi era facile per chiunque ma più stava fermo e andava avanti, più la sua mente si rifiutava di rimandargli immagini del suo felice passato.

Era cresciuto credendo in quello che faceva, amando quello che faceva, dando tutto se stesso in quello che faceva, aveva imparato dei principi e dei valori su quel campo di calcio che per molti potevano essere sciocchezze, era sempre stata una persona corretta che si limitava a vivere la sua vita nel modo che riteneva opportuno, basandosi su quello sport che da piccolo l’aveva salvato dalla morte.

Una morte che a quanto pare non poteva essere inevitabile per sempre.

Forse aveva sbagliato ad interpretare il proprio destino, quel giorno il calcio non l’aveva salvato, Quel giorno il calcio gli aveva dato un messaggio importante che lui aveva travisato: quello sport non gli avrebbe dato una vita ma gliel’avrebbe tolta.

Fu unicamente questa la sua conclusione.

Girando e rigirando il capo sul cuscino con espressione inquieta, cominciò a maledire mentalmente tutto quel che gli stava intorno, per la millesima volta, lanciò un occhiata all’esterno, attraverso le saracinesche abbassate si poteva intravedere il solito sole che splendeva, quella stanza ormai era priva di aria pulita e perfino sua madre aveva diminuito le visite perché aveva aumentato le lacrime.

Era perfettamente cosciente di tutto, ogni cosa che lo circondava e proprio per questo ormai non sopportava più niente. Erano venuti Wakabayashi e Misaki. Solo fino a giorni prima li avrebbe accolti felice abbracciandoli, ora…ora il solo pensiero di farsi vedere steso senza più la possibilità di camminare, lo mandava in bestia, era sicuro di non farcela ad andare ancora avanti così. Ne era sicuro.

Loro due avrebbero continuato la loro vita con quello che era il SUO sogno. Il SUO.

Non avrebbe voluto la pietà di nessuno. Tanto meno sarebbe riuscito a sostenere lo sguardo dispiaciuto e compassionevole nei suoi confronti.

Tsubasa era sempre stato forte, ora non lo era più, ora non era più il campione fuoriclasse fanatico del calcio, non era più nessuno, steso in quel letto, senza poter più camminare e non stava così male solo perché non avrebbe più giocato a calcio ma anche perché senza potersi muovere, per lui nulla valeva la pena di essere vissuto ancora.

Più in là di lì la vita non esisteva.

Era un tipo assoluto capace di dare tutto se stesso per un gioco, come aveva fatto fin’ora e poi non credere più in niente, non conosceva vie di mezzo. Guardandolo non sembrava uno così ma poi conoscendolo bene lo si capiva perfettamente. Non si trattava di ottusità o ingenuità, solo di troppo sentimento per un'unica cosa.

Era un misto di rabbia, frustrazione, insoddisfazione, incertezza, dolore, odio, rifiuto, contrarietà.

Come avrebbe vissuto?

Si poteva vivere anche così?

No, non lo credeva. Era sicuro di no.

Avrebbe saputo i suoi compagni andare avanti lo stesso nel modo che lui avrebbe voluto per sé, avrebbe percepito il loro finto dispiacere verso di lui, internamente magari avrebbero esultato per non avere più un rivale come lui fra i piedi, loro avrebbero vissuto, lui avrebbe appena sopravvissuto e non era questo ciò per cui era nato.

Con un gesto di stizza prese il cuscino sotto la testa e lo premette sulla faccia senza particolari intenzioni, non voleva sentire tutti quei pensieri che fluivano, quelle sensazioni negative ed insopportabili, il sole e l’aria, il mondo che proseguiva il suo cammino, non voleva procedere in quel modo.

Non voleva.

La rabbia aumentava immaginando Hyuga sempre più forte, Misugi che ugualmente poteva fare qualcosa nel calcio, Matsuyama che tirava fuori nuovi assi, Wakabayashi ormai imbattibile, Misaki perfetto.

Non avrebbe più gareggiato con Hyuga e Matsuyama, non avrebbe più ascoltato le nuove tattiche valide di Misugi, non avrebbe più potuto tentare di far goal a Wakabayashi….non avrebbe più potuto….giocare con Misaki.

Fu questo che gli provocò maggiore dolore. Averlo lontano, sempre più lontano, irraggiungibile, distante ed inarrivabile. Quel sentimento che provava per lui era imparagonabile ed ora sicuramente si sarebbe sporcato o chissà….sarebbe tutto cambiato. Perché queste cose cambiano la vita.

Cominciò così a schiacciare sempre di più il cuscino sulla faccia dove una smorfia di ira lo deformava.

Non era partito con nessuna intenzione ma sentendo la fatica a respirare capì che continuando sarebbe soffocato.

Il senso di soffocamento, l’idea di andare completamente dall’altra parte, improvvisamente non gli parve così orribile e spaventoso, improvvisamente gli parve allettante, la cosa migliore con cui era venuto a contatto in quei giorni.

Improvvisamente credette che la morte non era peggio del non poter camminare più e subire tutte le inevitabili conseguenze.

 

“Disperato.

Sprofondo nell’oblio.

Il vortice si apre sotto di me.

Mi lascio cadere senza forze.

È quello che voglio.

Quello che desidero.

Abbandono.

Voglio morire.

Senza ragione di vita non voglio vivere.

Morirò.

Mi libererò.

Chiudo il sipario su di me.

Abbracciato al dolore.

Schiacciato dalla consapevolezza.

È tutto andato.

I giochi sono finiti.

Ed io non posso far altro che questo.

Per quanto tempo avrei potuto resistere.

Separato dall’altra mia parte?

Non credo più sia male togliermi la vita.

È tutto ciò che voglio.

Addio.

Lasciatemi morire.

Non è questa la vita che volevo.

Che ho vissuto.

Che voglio vivere.

Adesso basta”

 

 

Si sentì appena un bussare dalla porta e subito si aprì, giusto per le regole dell’educazione. Aveva seguito un po’ il consiglio di Wakabayashi ed era entrato senza attendere permessi, si sentì un po’ un ladro maleducato ma capiva che non poteva fare in altro modo. Lui teneva a Tsubasa più che a se stesso, sapeva che il sentimento che provava per lui andava oltre l’amicizia e saperlo in quello stato era insopportabile, tanto che l’unica cosa a cui riusciva a pensare era lui e come doveva sentirsi, cadeva spesso in un altro mondo e in perenne assenza con la testa, si faceva chiamare dagli altri in continuazione. Ma sapeva che non era una reazione definitiva, quella vera…quella vera sarebbe arrivata a breve.

Quando fece capolino nella stanza in penombra subito una nota gli parve stonata.

Percorse con lo sguardo la camera spoglia e si soffermò sul letto pieno.

Tsubasa era lì steso con le gambe coperte ed immobili e…il volto nascosto nel cuscino…a dire il vero non solo nascosto, le mani premevano l’oggetto morbido in modo poco equivocabile, tremavano quasi dalla rabbia e dalla forza che esercitava e la mente elaborò all’istante la peggiore delle ipotesi, come una qualsiasi persona avrebbe fatto sapendo la situazione dell’amico.

- Oh mio Dio…-

Mormorò solo questo, poi con prontezza e impulsività, senza pensare molto si fiondò da lui prendendogli il cuscino e strattonandolo con forza, non si era nemmeno accorto della sua presenza e vedendo il colorito del viso capì che aveva fatto appena in tempo e che non aveva capito male.

Tsubasa aveva tentato di soffocarsi, non trovando altri modi plausibili per togliersi la vita. Certo, per uno immobilizzato a letto non era una passeggiata.

Non volle nemmeno capire i motivi profondi, erano così chiari, per lui tutto quel che riguardava Tsubasa era semplice e limpido, cristallino, ed ancora una volta lo comprese, senza però condividerlo.

Taro era una persona semplice, dolce, gentile ed educata, riflessivo ed internamente molto profondo, con una pazienza che aveva dell’incredibile, aveva passato molti brutti momenti e li aveva affrontati tutti col sorriso, ma quella volta riuscì a perdere il controllo di se stesso.

- Tsubasa…tu…tu…-

La voce era bassa e tremante, non si capiva se fosse sull’orlo delle lacrime o di una sfuriata colossale. L’ex numero 10 appena sentì la sua voce non aprì nemmeno gli occhi, iniziò solo a respirare e mantenendo una smorfia di rabbia si girò dalla parte opposta a lui.

Il moro rimase in piedi davanti al suo letto e mentre mille flussi fra i più diversi gli percorrevano il cervello, insieme alle emozioni che invece trafiggevano il suo cuore, si portò le mani ai lati della testa, coprendosi gli orecchi, popi gli occhi, ed infine sulla fronte, prendendosi i capelli della frangia tirandoseli.

Riprese con lo stesso tono di poco prima che andava in crescendo:

- …sei solo un viziato.-

All’udire ciò l’altro si voltò di scatto verso di lui, aveva un’espressione arrabbiati e colpiti da quanto Taro gli stava dicendo, Ad alta voce chiese accusatorio:

- COME? IO SAREI VIZIATO?! LO DICI PROPRIO TU? CREDEVO CHE CI CONOSCESSIMO!-

Ma Taro non si fece colpire da queste parole e nemmeno dai suoi occhi neri che sembravano più scuri di sempre, non riusciva più a trovare lo Tsubasa che aveva lasciato tempo prima. 

- Non provarci. Sono IO  che credevo di conoscerti. Non sei solo viziato…ma anche capriccioso, prepotente, patetico, infantile…-

Gli provocava dolore più a se stesso che a Tsubasa ma non poteva risparmiarsi. Non si era mai sentito così in vita sua: angoscia, ira, disgusto…ma non solo. Si sentiva ferito. Ferito dalla persona che amava. E non ce la faceva più.

Tsubasa si alzò sui gomiti e fissandolo con astio irriconoscibile, disse:

- COME PUOI DIRMI QUESTO? NON VEDI COSA MI è SUCCESSO? NON LO VEDI? NON POTRò Più CAMMINARE, MAI Più, MAI Più E TUTTO QUELLO CHE SAI DIRMI SONO INSULTI!-

La goccia uscì e il vaso cadde rompendosi, Taro aveva passato il suo limite e come fosse tutt’altra persona prese per il colletto della maglietta leggera il compagno e avvicinando il viso al suo urlò come mai aveva fatto:

- E ADESSO BASTA! SMETTILA! SMETTILA DI COMPATIRTI! NON SEI UNA VITTIMA! NON SEI IL PRIMO CHE GLI CAPITA UNA DISGRAZIA E NON SDARAI L’ULTIMO! SEI SOLO UN FALSO! UN BUGIARDO”! TUTTE LE TUE BELLE PAROLE SULL’AMICIZIA, LE TUE ATTENZIONI VERSO CHI TI STAVA ACCANTO, COME HAI AIUTATO GLI ALTRI, HAI RIPORTATO ALLA LUCE GENTE COME HYUGA, SCHNEIDER E CHISSà QUANTI ALTRI. SEI SOLO UN VIGLIACCO, FINTO, SUPERFICIALE, STUPIDO! COME DIAVOLO SI FA A PENSARE DI ESSERE AMATI DA UNO COME TE? COME FACCIO IO A PROVARE QUESTO PER TE?” PENSO CHE FIN’ORA HO VOLUTO BENE QUALCUN ALTRO, NON TE! OH, AL DIAVOLO! UCCIDITI PURE! FAI PROPRIO PIETA’!-

Dopo di ciò lo mollò nel letto e senza fare altro se ne andò di corsa sbattendo la porta mentre le lacrime, le stesse che gli erano scese durante la sfuriata, gli rigavano le guance nello stesso modo in cui il suo cuore gli stringeva nel petto.

Questa volta non ce l’avrebbe fatta.

Ne era sicuro.

 

FINE CAPITOLO 4

 

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Capitolo 5
*** Oltre le proprie forze ***


* ecco il nuovo cap che a me personalmente gusta in modo particolare, capirete perché leggendo, non vedevo l’ora di riuscire a scriverlo….protagonisti Jun, Tsubasa e anche Kojiro sull’ultima parte…per il resto posso solo dirvi che questo cap è yaoi ma non sulla coppia principale bensì su quella nuova che tutti si sono stupiti di aver trovato, io per prima! Penso che potrebbero mettersi insieme Kojiro e Jun solo in una situazione come questa poiché altrimenti non esisterebbe verso che si avvicinassero in quel senso…ne sono convinta…Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO 5:

OLTRE LE PROPRIE FORZE

Quando lo videro arrivare, Genzo e Jun si allarmarono subito capendo che la visita a Tsubasa era andata male. Sospirarono sconfitti ancor prima che lui arrivasse da loro. Taro rallentò il passo quando arrivò loro davanti, alzò gli occhi pieni di lacrime su Jun e poi su Genzo e la voglia di lasciarsi andare fu immensa, il flusso di pianto aumentò e fu difficile per lui domarsi, odiava dal profondo piangere in quel modo, mostrarsi debole e calpestato, essere un peso per altri, una palla al piede…lui voleva tirare su gli altri ed essere un sostegno, non sostenuto, aveva sempre avuto paura di essere una persona troppo pesante moralmente e troppo debole, era riuscito a mantenere quella forza pura, a sorridere sempre pesando che c’erano cose peggiori, ma non c’era stato molto da fare, questa volta non ci era riuscito e questo lo turbava e lo scuoteva nell’animo dandogli solo ancor più bisogno di piangere e sparire.

- Scusate ragazzi…non ora…-

Così dicendo riprese ad andare sorpassandoli, entrò in casa e si immerse in un bagno caldo e ristoratore che confuse le proprie lacrime che scendevano ancora copiose.

Jun e Genzo si guardarono un po’ interdetti, non l’avevano mai visto piangere ma in fondo fra tutti. Taro era quello meno conosciuto. Era arrivato fra loro come un soffio di vento leggero, la brezza fresca primaverile terribilmente piacevole poiché accompagnata da un sole non troppo caldo ma carezzevole…poi però se ne era andato allo stesso modo, rimanendo nei cuori dei suoi compagni e di uno in particolare. Era tornato, certo, però non stava mai a lungo, il tempo di dare qualcosa di sé stesso a chi ne aveva bisogno ed ecco che tornava a volare via. Saperlo così era un duro colpo per loro due.

Non avrebbero saputo cosa fare se avessero avuto altri caratteri, ma entrambi erano sempre molto decisi e sicuri, due ‘condottieri impavidi’ che non si trovavano mai nella condizione di lasciar scegliere ad altri, dirigevano sempre i lavori, due capitani veri.

Il primo a parlare fu Genzo che puntò l’indice e il pollice ad ‘L’ verso il castano e disse:

- Tsubasa o Taro?-

Sapevano che Taro aveva solo bisogno di stare solo, lo sapevano, però lasciarlo così a piangere a quel modo, pesava più a loro che a lui stesso. Così decisero di fare qualcosa almeno quella volta.

Jun fece un mezzo sorriso, uno dei suoi che infondevano sicurezza e certezze, poi rispose calmo:

- Io vado da Tsubasa, è ora che ci parli un po’…-

Genzo si sentì quasi sollevato, non aveva idea di cosa fosse successo ma lo immaginava benissimo e se aveva ridotto così uno come Taro non osava immaginare come lui stesso avesse reagito vedendolo.

Detto ciò si scambiarono un’occhiata eloquente e presero le rispettive strade.

Genzo arrivò in camera di Taro e bussò, non udendo risposta decise di entrare non accettando di certo una negazione, diciamo che lui bussava solo per formalità poiché era tipico fare quel che desiderava comunque.

Vide la stanza vuota e la porta del bagno interno aperta, così capì che era lì, con voce quasi delicata, quanto più gli riuscì, lo chiamò, poi attese fermo che gli rispondesse, udì solo dei singhiozzi e decise che fossero il suo: ‘entra’!

Mosse qualche passo all’interno della stanza non molto spaziosa, aveva piastrelle azzurre che sfumavano nel blu a seconda degli angoli in cui erano poste, la classica doccia ed incassata nel pavimento una piccola vasca per uno. Era tutto arredato sui toni del blu e dell’azzurro, ricordava il mare ed era fatto tutto con gran gusto, come tutto il resto della casa.

Si sedette su uno sgabello a pochi metri dalla vasca e l’accarezzò gentile con lo sguardo. Taro era lì immerso fino alla bocca, con solo gli occhi e il naso fuori, i capelli metà bagnati e metà solo umidi. Quegli occhi gonfi e carichi di lacrime che ancora scendevano.

Erano compagni di squadra, si erano visti nudi tante volte, non era quello un problema per nessuno dei due, l’imbarazzo nasceva da ben altro come lo stato in cui era il moro ora ammollo.

La presenza di Genzo fu in fondo apprezzata, era un ragazzo che dava sicurezza e forza, però si vergognava di farsi trovare così debole.

- è uno stupido. Questa volta basta…-

Lo disse sapendo che così non sarebbe stato.

Genzo non disse nulla sapeva che l’amico aveva solo bisogno di parlare, solo quello. Sfogarsi. Non l’aveva ancora fatto da quando si erano visti.

- Sono arrivato e lui era lì che tentava di uccidersi…ma come si permette? Come se la vita fosse solo sua, come se solo lui soffrisse, se fosse il primo ad avere disgrazie…e io dico: va bene un po’ ma poi basta, dacci un taglio, la vita va avanti anche se tu non lo vuoi…no, per lui senza il calcio è tutto finito. Non camminerai più, ok, piangi e disperati pure, ma non toglierti la vita perché se non sei morto è un miracolo ed io ho ringraziato Dio per questo. No, lui non ci pensa a questo, come non pensa a me. Questa volta mi sono stufato. Gli ho gridato tutto quel che pensavo…proprio tutto…- A questo si fermò arrossendo visibilmente, ricordando cosa fosse quel ‘tutto’, cosa che capì anche Genzo, poi terminò con un flebile e più calmo: - …poi me ne sono andato…-

Non avrebbe pensato che farsi ascoltare da lui potesse aiutarlo veramente, le lacrime erano finite e lui si sentiva in fondo più leggero, tirò fuori dall’acqua la testa del tutto e gli lanciò uno sguardo di gratitudine e di scuse, Genzo fece una specie di sorriso un po’ tirato e poi disse solo:

- Sai bene che non hai chiuso con lui. Hai fatto bene. Vedrai che ora cambia…-

Ma questa era solo una sua speranza.

 

Jun fece come Taro, entrò e basta. Non era nei suoi modi e si sentì anche lui un po’ un ladro, ma lo fece, sapeva che non l’avrebbe mai fatto entrare, altrimenti.

Lo vide lì nel letto, mezzo seduto, che faceva a pezzi tutto quel che gli capitava con un’espressione molto irosa in volto, livido di rabbia, Jun sospirò impressionato di trovarlo così.

Entrò e si appoggiò alla finestra scrutandolo con cura, cosa che infastidì Tsubasa, lo fissò malamente e nemmeno salutandolo, gli disse solo sgarbatamente:

- Sei venuto a farmi la predica?-

Jun si preparò ad un dialogo molto difficile.

- No, sono venuto ad ascoltarti.-

Tsubasa fu colpito da queste parole però caricò la dose di frustrazione e continuò a sfogarla sul giovane.

- Ma cosa vuoi ascoltare…cosa vuoi capire…-

- Io quando ho scoperto di avere la malattia cardiaca avrei voluto qualcuno che semplicemente mi stesse ad ascoltare senza dirmi parole di conforto…-

- Tu sei diverso da me, la tua condizione lo era…se ti bastava essere ascoltato non stavi poi così male…tu non puoi capirmi!-

- Davvero? Guarda che io fra tutti sono l’unico che può comprendere il tuo stato d’animo…-

Detestava dire quelle cose e parlare di sé in quel modo, Tsubasa avrebbe dovuto saperlo, ma quel Tsubasa non sapeva proprio più nulla.

- No, che non puoi capirmi! Cosa vuoi saperne del non poter più camminare? Tu puoi ancora muoverti, basta che ti limiti…cosa ne sai di cosa voglio io or…io ora voglio camminare, correre, riprendere i miei sogni, non voglio che mi ascoltino. Voglio camminare! -

Jun ne rimase colpito e ferito da quelle parole, non poteva sentirsele dire proprio da lui che l’aveva aiutato così tanto quella volta e anche i giorni a venire. Avevano legato ed erano diventati amici, l’unico amico che lui poteva dire di avere era sicuramente Tsubasa ce ora lo sminuiva così e gli diceva quelle cose, ricordò tutti i momenti di rinuncia, quando guardava i suoi compagni giocare, perdere perché non avevano un buon regista, il bruciore che gli dava quella consapevolezza, gli sguardi di pietà nei suoi confronti quando avevano saputo delle sue condizioni, ricordò tutto e un nodo gli salì alla gola, pericolante, mentre qualcosa gli premeva sugli occhi per uscire, si domò, tentò di calmarsi mentre l’ascoltava e il fiato gli veniva corto e i battiti si acceleravano. Non era giusto. Non se le meritava quelle parole.

- Certo, io in fondo volevo e voglio solo un cuore che funziona e che non mi faccia rischiare la vita ogni volta che faccio qualunque cosa…-

- Tu sei comunque messo sempre meglio di me, non puoi capirmi, non hai passato nemmeno un unghia di quello che sto passando io…-

Jun si innervosì passandosi le mani fra i capelli, poi si staccò dalla sua postazione e cominciò a camminare per la stanza, poi disse tagliente:

- Vuoi fare la vittima? Fallo! Compatisciti, sii perdente…hai ragione, non posso proprio capire qualcuno che ci tiene tanto ad avere il titolo di peggiore! Tanto convivere dall’età di 7 anni con l’idea della morte è solo uno scherzo, una sciocchezza! Tsubasa, svegliati! La vita va avanti e tu non morirai mai a meno che non ti uccidi tu o non finisci di nuovo sotto una macchina…ci si deve piegare davanti a certe cose, fra queste la salute! Ma tanto io che ne posso sapere…ho solo dovuto rinunciare ai miei sogni vivendo alla loro ombra da quando ero bambino…alla tua ombra…non importa nulla…Stà lì e rimanici, guarda. Io quello che potevo l’ho fatto!-

Detto ciò con un tono molto trattenuto ma con un fondo di nervosismo e agitazione, ed una freddezza nello sguardo da tagliare qualsiasi cosa, uscì anche lui con la solita camminata fiera ed elegante, solo un po’ più veloce del solito.

Il nodo stava per uscire, ce l’avrebbe fatta questa volta a trattenerlo?

 

Appena l’aveva visto aveva subito capito che c’era qualcosa che non andava in lui. Qualcosa stonava. Di nuovo, come quella sera in cui gli aveva detto dell’incidente di Tsubasa, c’era l’impressione che dentro si sé fosse sconvolto. Come potesse dirlo non sapeva nemmeno lui, visto che non era tipo da capire così bene l’interiorità altrui, ma era una chiara sensazione che stava sviluppando soprattutto ultimamente!

Aveva sempre visto Jun Misugi come una persona snob, con la puzza sotto il naso, aristocratico, completamente di un altro mondo, una delicatezza ricoperta d’oro il cui problema più grande era ricordarsi i nomi dei suoi camerieri o cose del genere!

Non era una grande considerazione, poi però aveva capito anche che il suo problema del cuore era più serio e pesante di quanto non l’avesse mai considerato, però questo non gli aveva permesso di cambiare opinione generica sul campione di vetro. Era riuscito a dargli più rispetto ed un briciolo di stima in più, tutto qui!

Ora le cose erano ulteriormente diverse, dalla malsopportazione all’ammirazione segreta a…un qualcosa di non molto definito, poteva chiamarsi curiosità?

C’era qualcosa in Jun e lo stava capendo solo ora. Qualcosa che stimolava la sua attenzione.

Erano troppo diversi e quando il mondo di un principe viene a contatto con quello di uno di strada, possono accendersi diversi tipi di scintille.

- Che succede?-

Gli chiese Kojiro.

In quei giorni erano riuniti spesso a casa di Jun visto che era una specie di reggia a due passi dall’ospedale di Tokyo, dove era Tsubasa. Dipendeva dal fatto che Genzo e Taro erano ospitati lì intanto che il loro amico non si riprendeva un po’ meglio, Hyuga quindi capitava molte volte da loro, come per darsi forza a vicenda e conoscere gli ipotetici e sperati progressi del numero 10.

Gli rispose con voce controllata e tirata, era sull’orlo del crollo:

- è qualcosa oltre le mie forze! Non ce la faccio più! Non sono un tipo che si auto compassiona, detesto farlo, per questo ho celato a lungo le mie condizioni…io…io non lo sopporto più! Non sopporto più Tsubasa!-

Hyuga se ne shockò non poco, sentirgli dire quelle cose, seppur mantenesse l’aria altolocata e le parolone da cervellone, fu come se venisse schiaffeggiato, non era sicuro di aver sentito bene:

- Come, come?-

Si appoggiò con fare incerto al muro scacciando l’idea che quella villa così linda e pura, lui, avrebbe potuto sporcarla. Jun invece cominciò ad andare su e giù per la sala con una camminata sempre elegante ma più veloce, si passava nervosamente le mani fra i capelli scompigliandoli un po’, il tono di voce cominciava a lasciarsi più andare e mentre parlava si agitò del tutto.

- Secondo te cosa è peggio? Avere le capacità ma non il corpo per realizzarsi è terribile ed io lo provo da sempre! Arriva lui e mi dice che non avere un cuore giusto ti permette comunque di fare qualcosa invece non avere le gambe è peggio…ma…ma io cosa dovrei dirgli? Io cosa vuoi che ne sappia del non poter camminare? In fondo io mi muovo, posso correre per qualche minuto, basta che mi fermo in tempo e mi riposo, posso starci ancora nel calcio, nel mio sogno…è solo che non ho un cuore adatto…non ho…uno stupidissimo cuore…che mi ha dato l’onere di convivere continuamente con l’idea della morte…sin da quando avevo…7, 8 anni… ti rendi conto? Io rischio di morire se sgarro troppo, lui la vita ce l’avrà sempre, nelle sue condizioni. Che vita può avere dipende da lui! Non ha il calcio giocato ma avrà altro, io ho imparato a piegarmi alla salute! C’è poco da fare in quei casi! O così o nulla…e piuttosto del nulla, credimi, ti abbassi a qualsiasi cosa! Ma improvvisamente sentirmi dire che io non posso capirlo, non posso sapere, che io non ho provato nemmeno un unghia di quello che sta passando lui, che quello che è capitato a me è una sciocchezza a confronto, che devo lasciarlo in pace e smettere di dire che lo capisco…Dio, mi manda in bestia! Ti rendi conto? Mi sono sentito pugnalato da uno che ho sempre considerato uno dei pochi veri amici! Ho passato momenti terribili, ho detto addio al campo da calcio un sacco di volte, ho visto la morte in faccia e lui ci sputa sopra! Lui che si sta affacciando ora al mondo della sofferenza, delle rinunce…delle lacrime segrete…-

Dopo tutto questo sfogo gli passarono alla memoria tutti i momenti peggiori dei suoi ultimi anni, a partire dalla partita contro Tsubasa, passando per quella contro Hyuga e continuando quando aveva deciso di fare l’allenatore. Una gran rabbia, delusione, frustrazione gli si agitava dentro da molto ed ora gli era completamente sfuggita di mano, esplosa. Una cosa mai successa. Menzionare la propria sofferenza, le proprie lacrime, era stata un specie di sconfitta, scoprirsi fino a quel punto lo urtava dal profondo, non avrebbe mai voluto che quello accadesse ma quando ci si trovò in mezzo si rese conto che la sua voce non usciva più per il nodo che ormai era uscito.

E per le lacrime che di nuovo in pochi giorni uscivano dai suoi occhi.

Si sentì quasi male per questo, insopportabile idea di cedimento, crollo, caduta della maschera di sicurezza e perfezione, una maschera di vetro o di cera che si scioglieva al sole, al fuoco…e quel fuoco era sempre lui. Hyuga. Se ne risentì senza più riconoscersi. Smise di parlare e camminare, si girò verso il muro, dall’altra parte rispetto al compagno, e mantenendo la sua posizione eretta di sempre, cercò di domare gli scossoni delle spalle e della schiena.

Non ce la faceva più.

In poco tempo quello era il suo limite. Da ora in poi non avrebbe più potuto pretendere altro da se stesso.

Aveva bisogno di qualcuno, di aiuto, una persona forte che gli stesse accanto e lo sostenesse ridonandogli quell’unicità di un tempo.

Hyuga smarrito come poche volte nella sua vita era stato, fece crollare del tutto l’immagine speciale che aveva di Misugi e in totale imbarazzo, senza aver idea di cosa si facesse in quei casi, decise di sedersi nel divano invitandolo a fare altrettanto, non lo fece subito, voleva riprendersi un po’.

- Mi dispiace…cioè…è una testa di cazzo, io l’ho sempre detto ma non mi ascoltavate…-

Voleva cercare di essere e sembrare quello di sempre, gli risultò difficile e decise di lasciar perdere.

Ci riflettè, gli dava fastidio che Tsubasa, uno così acuto con gli amici, pensasse questo di Misugi, ma forse gli dava fastidio anche vederlo così, il principe del calcio non poteva piangere e rivelarsi fragile, nessuno poteva calpestarlo e togliere quell’immagine perfetta e regale che aveva. Nessuno.

- È normale che reagisca male, non me lo sarei aspettato da lui ma è normale…non so che altro dire.-

Jun decise di sedersi asciugandosi le lacrime che gli rigavano il viso, non si sentiva ancora bene ma sapeva che la vicinanza con Hyuga poteva fargli bene, lui che ai suoi occhi era così forte. Appoggiò la schiena e il capo indietro e sospirò profondamente.

- Scusami per lo sfogo. Non c’è niente da disquisire. Mi dispiace per quel che afferma, so che sta male e se ribadisco che lo so è vero, non sono uno banale che dice cose banali in momenti banali, non parlo tanto per parlare o mettermi la coscienza a posto.-

Si sentiva strano e proprio per questo decise seccato di essere il solito impulsivo ed imprevedibile di sempre, quando pensava non usciva mai nulla di buono!

- Tu hai avuto ragione, anche a me da fastidio che lui approfitti della sua situazione per insultare gente che gli è sempre stata amica e vicino…io magari no ma tu…so che tu e lui avevate un certo rapporto. Lui per primo ti ha capito e ti ha sostenuto. Ora si comporta così…sai, non lo sopporto! Per come ti tratta, per quel che dice, per come si tratta da solo. La sua tragedia lo scusa fino ad un certo punto!-

Si stava infervorando, non gli piaceva quella situazione, tanto meno sapere Jun in quelle condizioni ed ora come ora avrebbe preso a pugni quell’idiota, gambe o no non poteva permettersi di sminuire una situazione come quella di Misugi, il rispettato e stimato Misugi. Si meritava un po’ di riguardo, se l’era guadagnato! Da quando avevano iniziato a giocare nella stessa città si erano visti spesso, l’altro l’aveva tenuto d’occhio e l’aveva riportato in carreggiata un sacco di volte…erano diventati qualcosa, aveva imparato a conoscerlo un po’ meglio, specie dopo quel momento.

- Grazie…non mi aspettavo queste parole da te…mi secca dover esprimere quel che ho passato, il mio dolore…come se volessi vantarmi della mia sofferenza per prendermi un primato. Non è così. Mi hai capito, vero?-

Non sapeva perché ci teneva così tanto a mettere in chiaro quello e ad vere la conferma di essere stato capito da Hyuga. Improvvisamente lo vedeva estremamente importante, lui e la sua opinione. Non avevano mai veramente parlato di cose così profonde e personali, era stato un rapporto strano il loro. Gli piaceva averlo vicino in quel momento difficile nel quale si era lasciato andare e mostrato così tanto.

- Mmm…egoista del cavolo…ha passato il limite!-

Mugugnò. Aveva molta rabbia ed ira che gli cresceva dentro, sembrava aver capito alla perfezione, immaginava il motivo dell’arrabbiatura, Jun era un tipo acuto ma era ancora molto spossato e la delusione verso Tsubasa si leggeva nei suoi occhi chiari e molto belli.

Hyuga lo guardò di sottecchi e notò il suo profilo perfetto, increspato da uno sguardo perso nel vuoto, pensieroso e preoccupato. Lesse una ferita che gli diede fastidio leggere.

- Al diavolo!-

Sbottò a denti stretti, con rabbia annullò la distanza e prese la sua mano abbandonata fra i due, si era ripromesso di agire senza pensare e così faceva! Prima di prendere a pugni la capra ottusa doveva e voleva risolvere quello.

Non doveva sentirsi sotto terra, lui era uno che doveva volare!

Non si spiegò quel senso di protezione che sentiva nei suoi confronti, protezione e possessione, in un certo modo, poiché solo lui poteva rispondergli male e ritenerlo uno snob cervellone!

Non si spiegò perché tenergli la mano gli sembrava appropriato, spostò gli occhi su quelli castano chiaro di lui, ricambiato, mentre lo sentiva un attimo irrigidirsi e poi sciogliersi stringendo a sua volta la mano. Il moro non capiva più cosa gli passasse per la testa…come era sempre stato eccezione per quegli ultimi giorni, per quegli ultimi minuti. Poteva sembrare una stretta amichevole, guardandola dall’esterno, ma loro non la sentivano tale. Arrossì. Anche sentendosi una femminuccia stupida, capiva che andava bene…

L’aveva visto scoperto nella sua fragilità, non forte con la sua maschera di imbattibilità addosso, non il principe supponente, sapiente ed intelligente. Solo un ragazzo con debolezze, rimpianti e dolori che tutto d’un tratto non ce la faceva più. Si era lasciato andare in ogni senso e modo e gli aveva fatto vedere così un Jun differente e diverso. Una persona bisognosa di avere accanto a sé qualcuno forte che lo sostenesse e gli ridonasse quel suo modo di fare nobile e unico.

Fragile nonostante sapeva che non lo fosse e facesse di tutto per non esserlo.

Lo investì una voglia di sbaragliare chiunque gli facesse cambiare la sua idea su Jun.

Fu una specie di spinta invisibile, un’atmosfera che era calata che sapeva di innaturale, delle emozioni ed un insieme di cose per stati d’animo instabili, agirono lenti, fu uno strazio per la tigre ma non era nemmeno sicuro di quel che stava accadendo, lasciò che la gestisse l’altro. Non se ne spiegarono motivi e non si fecero più giri mentali di quanti non ne avessero già compiuti.

Fecero qualcosa che non avrebbero mai fatto e mai pensato di fare nell’arco della loro vita.

Si baciarono!

Senza toccarsi se non con le mani, senza poi nemmeno attendere altro, specie per Hyuga di sentirsi più imbecille di come cominciava a sentirsi, posarono le labbra le une sulle altre e si lasciarono andare.

Fu strano, senza ragionamenti, del resto uno dei due non ne faceva spesso; se lo godettero e basta.

Hyuga aveva il sapore di quel ragazzo nobile e gli piaceva averlo, giocare con lui, inizialmente lo imbarazzò ancor di più, ma poi si sentì quasi subito bene, capendo che era stato giusto.

Che se non gli aveva fatto schifo allora qualcosa fra loro poteva starci.

Cosa?

Non era il momento di capirlo!

FINE CAPITOLO 5

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Capitolo 6
*** cuori in fiamme ***


*Un regalo a me stessa per la settimana che sta per arrivare, ovvero quella del mio compleanno! Ebbene sì, martedì 18 luglio(questo martedì)farò 21 anni, non mi sento molto vecchia, anzi…ho ancora molta strada prima di sentirmi abbastanza matura per definirmi vecchia! La mia gioventù è appena iniziata….anche se mi sembra ieri che ho iniziato a scrivere la mia prima fanfic(su Generation Basket e per giunta yaoi….ovvio!!!). Questo è il pre-regalo a me stessa, non so quale sarà il regalo vero e proprio che sfornerò martedì o intorno a quel giorno, spero. Scopritelo con me anche se penso di sapere quale sarà! Se mi conoscete anche voi lo sapete…comunque sia…qua diciamo che ci sono prevalentemente le reazioni di Kojiro e Jun…ricordate che hanno combinato? Mamma quanto mi diverto a fare queste cose…eheheh…Bè, niente anticipi. Ringrazio moltissimo i molti lettori e recensori di questa fic che sta avendo sempre più consensi un po’ ovunque, ne sono fiera e orgogliosa! Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO 6:

CUORI IN FIAMME

I giorni che passarono dopo quell’evento, tutti li passarono ognuno per conto proprio, si parlavano col contagocce e sempre con la testa fra le nuvole, in un mondo proprio. L’istinto di Genzo era stato quello di prendere a pugni Tsubasa ma si conosceva, in fondo, e sapeva che avendolo davanti si sarebbe sciolto lui stesso e non ce l’avrebbe mai fatta. In fondo sembrava forte ma non lo era, per debolezza preferiva non affrontarlo ancora, rimandare e rimandare quel fatidico momento sembrava essere l’unica cosa che gli riusciva! Girovagava come uno zombie per la villa di Jun chiedendosi quando sarebbe stato il tempo di tornare alla sua vita normale, tuttavia l’unica cosa che sapeva con certezza era una sola: finchè Tsubasa non si sarebbe ripreso da quell’affondo in cui era, non sarebbe tornato a casa…da Karl. Pensare ad una persona, a lui, come a casa sua, la legittima e vera, gli suonava strano ma non pensava mai alla Germania come alla su nuova patria, al suo rifugio, al luogo in cui tornare…ma solo a Karl. Ormai era così ed andava avanti a chiamate con lui, rivelando l’uno verso l’altro, una sensibilità insperata ed insolita…che mai nessuno avrebbe loro affibbiato.

Taro non si sarebbe più sognato di su iniziativa, di tornare da Tsubasa, aveva deciso di metterci una pietra sopra, sicuro con la disperazione del momento, di non poter fare veramente più nulla, senza sapere che invece aveva fatto veramente molto. Si era imposto la lontananza da lui ma nonostante questo lui stava lì, in Giappone, e non ci pensava minimamente a tornare in Francia. Proprio per niente! Aspettava, in cuor suo lo sapeva. Aspettava il ritorno di quella persona di cui si era innamorato giorno dopo giorno.

Jun invece sembrava il più normale fra tutti. Continuava le sue solite attività, i suoi studi, i suoi allenamenti speciali, le chiacchierate con chi veniva da lui per sapere notizie di Tsubasa…sembrava essersi ripreso e non aveva parlato con nessuno di quanto accaduto fra lui e l’ex giocatore. Con nessuno tranne colui che in un modo un po’ strano, l’aveva consolato ed aiutato. Quella volta in cuor suo aveva sperato che nessuno lo vedesse in quelle condizioni, poi vedendo proprio Kojiro arrivare, si era preparato allo scoppio e a cercare di fermarlo dall’ammazzarlo, ma poi chissà cosa era scattato nel moro, non aveva proprio reagito come si era immaginato…e si era sentito sostenuto proprio da lui. Si era accorto che in modo alquanto personale lo stava consolando perché solo la sua vicinanza lo aveva subito fatto sentir meglio. Jun faceva perfette analisi su sé stesso e sugli altri: su di sé sapeva di essere forte, DOVERLO essere, di sembrare una persona un po’ snob e distinta, calma e sempre perfettamente in sé ed in forze. Su Kojiro vedeva invece una vera e propria tigre, un forza autentico inesauribile, un fuoco ed una passione per ogni cosa che mai si spegneva, l’aveva spesso invidiato per quegli impulsi che seguiva, per le esplosioni e per la vita che mostrava. Quando era stato accanto a lui e poi l’aveva baciato era stato sorpreso in un primo momento ma poi si era sentito invaso di quell’essenza che lo caratterizzava ed aveva quasi sperato che non se ne andasse. Aveva capito in un momento la natura dei suoi sentimenti, di quelli di Kojiro, del rapporto che si era instaurato in quella situazione così strana e anche dei motivi per il quale accadeva tutto quello.

Solo che Jun aveva autocontrollo, Kojiro invece no. Questo fu determinante. Perciò Jun capì subito tutto e riuscì a gestire la cosa al contrario dell’altro.

Era consapevole che si erano potuti scoprire e avvicinarsi così solo perché erano stati profondamente cambiati da un avvenimento shockante come quello.

Così tutto quello che potevano fare tutti era aspettare.

Che qualcosa cambiasse, che qualcuno di determinante risolvesse la cosa, che la forza tornasse per poterli rimettere alla carica.

L’unico che però nell’attesa non poteva stare solo e semplicemente fermo e tranquillo era proprio Kojiro.

Dopo il bacio con Jun aveva promesso di far fuoco e fiamme per Tsubasa, ma poi non aveva più trovato lucidità, coraggio, forza e senso…ma solo un enorme caos!

Con la confusione più assoluta non si riconosceva più, non capiva le priorità, che gli accadesse, che volesse o dovesse fare…e per reazione aveva deciso di tenersi il più occupato possibile e sfogarsi nello stesso tempo, per cui era finito quasi 24 ore su 24 su un campo da calcio deserto a calciare pallonate contro una rete sfondata e quindi su un muro ormai crepato!

Era tipico suo agire senza pensare e poi trovarsi a dover rimediare dopo senza però sapere come fare, autodistruggendosi per questo, era proprio da lui. Così finiva per fare l’unica cosa che lo faceva stare meglio, lo faceva rilassare e riflettere senza farlo sentire un imbecille: il calcio!

Così ora era là sotto quel sole che gli illuminava la pelle imperlata di sudore che cadeva dalla sua pelle abbronzata, i capelli lunghi fino alle spalle erano selvaggiamente lasciati a se stessi fino ad arrivare anche sul volto, dove un espressione aggressiva e minacciosa vi era dipinta, rendendolo solo più affascinante, complice anche quel fisico che si ritrovava.

Si vedevano le vene del collo e delle tempie gonfie pulsare, i muscoli di tutto il corpo tesi ed evidenziati e solo un ringhio di rabbia prima dei tiri, seguiti da un forte botto, il pallone che finiva contro il muro di cemento, ormai sgretolato.

Lui ce la metteva tutta per non cacciarsi in quelle situazioni in cui da solo non arrivava a cavare un ragno dal buco, ma non ci riusciva mai a starne lontano. Li vedeva solo come guai, anche Jun in quel momento lo era, lui e qualunque cosa fosse quella che l’aveva spinto a baciarlo, forse solo propria debolezza per averlo visto così triste, per averlo visto piangere…per…bè, rimuginare non gli faceva bene, l’aveva fatto fino a quel momento e c’era anche Tsubasa che aspettava di essere pestato da lui, quella testa di cavolo che insultava a destra e a manca…non ne poteva più, pensava fossero tutti impazziti e lui per primo.

Se non si trattava di calcio finiva che non sapeva mai come muoversi!

Sperò nell’aiuto di qualcuno di competente con cui potersi confidare pur sentendosi stupido a raccontare che…che aveva baciato Misugi.

Arrossì pensandoci e con violenza crescente tirò un nuovo calcio. Perché si sentiva così? Perché era nell’incertezza e lui odiava esserci, ecco perché, si ma del resto non era la prima volta che lo era…però lo era per una cosa simile, mica si baciava tutti i giorni un ragazzo…Misugi, poi…

Come evocato dai suoi pensieri ecco che apparve la realizzazione delle sue preghiere: l’esperto con cui confidarsi che l’avrebbe aiutato: Genzo!

“Ecco, è finita…”

Pensò questo quando lo vide arrivare e con quel suo fare così plateale ed egocentrico, parargli uno dei suoi tiri! Sbuffò e sputò a terra imprecando in maniera esagerata.

Il moro gli ripassò la palla senza però l’intenzione di continuare ad allenarsi con lui, non aveva l’umore adatto. L’aveva spinto lì una specie di richiamo, una forza d’ira pari a quella che solo la famosa tigre poteva avere, ormai lo sentiva anche a distanza quando lui era in quegli stati d’animo!

Alzò la lattina di birra che aveva appoggiato a terra per parare la sfera e l’aprì, poi gli disse:

- Che è successo?-

Kojiro stava apprestandosi ad un altro tiro e su quella domanda inciampò spalancando gli occhi e cadendo con il sedere a terra, facendo una figura non buffa ma peggiore!

Genzo ridacchiò senza ritegno, a volte poteva lasciarsi andare e riusciva anche a fare quello di sempre. Ma solo a volte.

Gli andò davanti coprendogli il sole col corpo e guardandolo dall’alto mantenne il suo sorrisino sornione divertito:

- Sei sparito, di solito venivi quasi ogni giorno…che c’è? –

Kojiro sentitosi messo già con le spalle al muro, cosa che non gradì affatto, prese una manciata di erba e gliela tirò addosso, essa però si disperse prima di arrivare a lui e non sortì alcun effetto, poi impulsivamente si affrettò a rispondere infervorato:

- Cosa ti fa pensare che io debba avere qualcosa con Misugi anche se non vado a casa sua per qualche giorno?-

Il solito che per difendersi attaccava per primo senza pensare!

Genzo alzò un sopracciglio e lo fissò incuriosito, poi con malizia chiese senza lasciarsi perdere l’occasione di punzecchiarlo:

- Io non ho mai nominato Misugi…cosa sarebbe successo con lui? Cioè…litigare con lui ce ne vuole…-

Poi alzò gli occhi pensando all’altro interessato, in realtà lui sembrava quello di sempre, in quei giorni, nulla che gli facesse pensare a qualche cosa di strano accaduto, ma per quel che lo conosceva poteva essere perfettamente normale!

Il ragazzo a terra quindi si prese le ginocchia fra le mani e si incrociò le gambe mettendosi in posa battagliera, sapeva che in piedi non avrebbe retto per molto visto l’argomento che lui stesso come un fesso aveva tirato fuori, si insultò da solo e senza gentilezze.

- Nulla, cosa vuoi che sia successo?-

Su tutti proprio lui…perché? Se lo chiese una decina di volte di fila, ma non lo capì mai! Chi aveva deciso che sul suo cammino doveva sempre finirci quel rompiscatole di un portiere?

L’altro però non si perse d’animo e con una certa furbizia si accovacciò davanti a lui osservandolo bene, era più fascinoso del solito, così trascurato…lo dovette ammettere e si chiese se in effetti non fosse proprio diventato gay del tutto. Accantonò il pensiero e tornò alla malizia e al sadismo che dopo quei giorni di tensione e arrabbiature varie, era proprio un insolito rilassamento per uno come lui.

- Che è successo? Perché sei così strano? Lui sembra normale, il solito enigmatico e superiore principe…ma tu…tu sembri morso da una tarantola…-

Genzo aveva un che di divertito negli occhi mentre gli faceva questa domanda, come se intuisse chissà cosa. Certo non avrebbe mai immaginato la verità.

Hyuga però sembrava arrivato al limite, sentiva il bisogno di parlarne, aveva una tale confusione in testa, non era abituato ad avere a che fare in quel campo. Si sentì per l’ennesima volta un imbecille ma decise che nonostante il rossore e la figuraccia, ne avrebbe fatto parola con lui. Solo con lui. Non pensava di potersi fidare, semplicemente sapeva che Genzo era gay e fidanzato e magari qualcosa di utile poteva dirgliela.

Inizialmente mugugnò qualcosa di incomprensibile con la testa bassa e la voce impercettibile, poi spinto da un disinvolto Genzo che beveva la birra in lattina, lo disse chiaro ma sempre pieno di vergogna:

- Io e lui…-

- Tu e Misugi…-

- Si…io e Misugi…ci siamo…baciati…per caso, credo…lui…lui era…scosso…aveva pianto…deluso…litigato con Tsubasa…e…insomma, che ne so, ci siamo baciati!-

All’udire ciò il portiere sputò tutta la sorsata che aveva in bocca, in faccia al ragazzo di fronte a lui e con un espressione di chi sembrava avere davanti un extraterrestre, disse sconvolto ed incredulo:

- Cosa?! Tu e Misugi vi siete baciati?-

Hyuga bagnato di birra in volto e nei capelli, assunse un aria seccata ed offesa, forse non era stata una grande idea parlarne con lui…ma che diamine…era gay, se non ne parlava con lui con chi doveva farlo?

- Che c’è di male in due ragazzi che si baciano?-

Sbottò subito sulla difensiva mente si asciugava con la maglia il viso.

- In due ragazzi nulla…ma in TE E MISUGI ammetti che lo stupore è il minimo…-

- Siamo strani?!-

- Insieme si!-

La tigre incrociò le braccia al petto e lo fissò con aria di sfida, l’imbarazzo gli faceva quell’effetto!

- Ma parliamo di Jun Misugi, il ricco e nobile ragazzo che soffre di cuore ma è un campione di calcio e lo chiamano Campione di vetro o Principe del Calcio? Delicato, saccente, superiore, intelligente, a modo, educato, acuto, sveglio, indecifrabile, gentile…-

- Si si, lui, lo conosco, sai? Abitiamo nella stessa città, sei tu che te ne sei andato da anni!-

Lo interruppe sgarbato e punto sul vivo. Genzo rimase ancora inebetito a guardarlo provando ad immaginarsi la scena, senza successo. Se c’era qualcuno che non riusciva nemmeno lontanamente ad immaginarsi insieme, erano proprio loro due…eppure…eppure pensandoci bene, loro come persone, magari, si completavano. Sarebbero stati divertenti!

Fu così, in un secondo, che decise di aiutarli a sistemarsi, di dar loro una leggera spinta.

Assunse la sua aria sicura, il suo sorriso sarcastico e la luce di chi sta macchinando qualcosa, poi disse:

- Come è stato?-

Il rossore nell’amico abbronzato si vide eccome:

- In…in che senso come è stato? Come vuoi che sia stato? Un ba-un ba-un bacio!-

- So come si bacia, volevo dire cosa ti ha trasmesso, ti è piaciuto, ti è sembrato che piacesse anche a lui…chi ha avuto l’iniziativa, cosa avete fatto dopo, cosa ha detto lui, vi siete parlati…non voglio la descrizione tecnica del bacio, come avete mosso la lingua e dove avete messo le mani!-

- Cavolo, parli troppo, va piano, una cosa alla volta!-

Cercò di prendere tempo mentre boccheggiava, almeno non doveva fargli la cronaca del bacio in sè! Anche se avrebbe voluto sapere anche lui come era andato…doveva chiederlo a Jun, forse?

L’idea di farlo gli fece andare il sangue al cervello e senza ragionare si alzò di scatto preferendo camminare nervoso su e giù per l’erba, nervoso iniziò a parlare a macchinetta:

- Bene, cioè, bello, no, aspetta, non ne sono sicuro, non ricordo bene, è stato inaspettato, non so se pensavo a come fare oppure a cosa provavo…ero un po’ nel caos, non capivo che facevamo. Lui si è sfogato con me perché aveva litigato con Tsubasa, poi ci litigo anche io appena mi riprendo, è insopportabile…l’aveva sminuito, offeso, aggredito, gli aveva detto che non poteva capirlo, che non ha passato quello che passa lui, che è diverso non avere le gambe, che è peggio…e insomma queste cose, Misugi mi ha incontrato subito dopo questo, così si è sfogato con me ed io mi sono arrabbiato perché non era giusto che qualcuno alleggerisse quello che lui ha passato, anche se non mi è mai stato troppo simpatico e non siamo mai stati amici ho sempre riconosciuto il suo genio e il suo dramma, ha avuto la mia stima e la mia ammirazione, in segreto ma l’ha avuta, non mi è andato bene che uno amico suo come Tsubasa lo trattasse così, lui è crollato dopo tutto questo periodo pesante ed ha pianto, non voleva farsi vedere, io l’ho visto piangere solo un'altra volta e mi ha fatto impressione...volevo aiutarlo, tirarlo su. Abbiamo parlato un po’ e lo vedevo diverso da sempre, la sua forza era fragilità, volevo fare qualcosa così non so cosa mi sia preso, ho solo agito. Gli ho preso la mano e lui me l’ha stretta a sua volta…in seguito…bè in seguito non so come e perché, diavolo, ma ci siamo baciati, avvicinati insieme e baciati. Lui non mi ha respinto. Dopo…boh, dopo nulla, ci siamo guardati stupiti e nessuno ha detto niente, me ne sono andato di corsa, cosa dovevo fare? Cosa dovevo dire? Non ne abbiamo più parlato…anzi…non ci siamo più visti!-

Terminò il monologo notando l’espressione interrogativa di Genzo, come se guardasse un completo imbecille!

- Gli hai preso la mano? -

Di tutto il discorso l’aveva catturato quello, ognuno aveva le sue, no? Del resto era comprensibile. Se fosse stato Jun a farlo era una cosa, ma era stato Hyuga…si pentì di non aver visto la scena!

L’altro non rispose, cosa doveva dire?

Lo guardava male e basta!

- Dovreste parlarne, non posso dirti io che vuoi da lui o viceversa…ti è piaciuto?-

- Lui o baciarlo?-

- Entrambi….-

Il moro si fermò pensandoci attentamente, aveva un leggero mal di testa e i capelli lunghi arruffati.

Dopo una riflessione parlò:

- Si. Il bacio mi è piaciuto. Altrimenti l’avrei interrotto. -

Genzo quindi si azzardò, ci godeva come un indecente a torturarlo così, a fare il dottor stranamore.

- E lui?-

Hyuga aprì la bocca per rispondere ma rimase proverbialmente senza parole.

- Lui…non so…ho provato come…un senso di protezione, cioè di volerlo proteggere anche se è uno che sa proteggersi da solo, mi ha dato fastidio quel che Tsubasa gli aveva detto, vederlo così fragile e nudo…è una persona che merita molto, anche se non l’avrei ammesso facilmente. L’ho sempre visto come di un altro mondo, irraggiungibile, non per me…però averlo così vicino e scoperto mi è piaciuto, c’è molto da vedere di lui, vorrei vederlo ancora di più…-

Il portiere sorrise un po’ meno strafottente di sempre, più comprensivo, come se ricordasse cose simili accadute a lui poco tempo prima e con esse gli arrivò la nostalgia di quei momenti e di quella persona.

- Allora è lui che ti piace. Parlagliene. Non lo conosco abbastanza ma è un tipo con un cervello che funziona bene, al contrario del tuo ritardato…-

Hyuga apprezzò le sue parole, specie quelle che sdrammatizzavano. Non era convinto ma in sé sentiva che non erano palle quelle che diceva…poteva fidarsi. In fondo lo sentiva.

- Non farmi pentire di avertelo detto!-

Genzo assunse un aria da finto innocente e con un gran divertimento lo stuzzicò ancora per riportarlo a quello di sempre, alzandosi a sua volta:

- La prossima che gli prendi la mano chiamami, per nulla al mondo me la perdo la scena…avrei voluto esserci!-

Lo spinse amichevolmente insultandolo. Si sentiva meglio, se fosse stato Misugi l’avrebbe anche potuto ringraziare, ma era Wakabayashi!

Dopo questo discorso fu quest’ultimo a cambiare repentinamente, l’espressione si incupì molto e portando i suoi occhi neri in quelli dello stesso colore dell’altro, lo fissò facendogli passare dei brividi.

Stava pensando a Tsubasa e Hyuga l’aveva capito subito, per questo era cambiata l’atmosfera e lui non aveva parlato più.

- Hyuga, tocca a noi. È arrivato il tempo di andare da lui e sistemare le cose una volta per tutte.-

Non era una domanda, non chiedeva il suo parare, ma non era nemmeno un ordine, era più che altro un affermazione. Un cosa giusta e come tale Kojiro la prese, infatti assumendo il medesimo tono e volto, disse:

- Si, adesso basta.-

Era sul punto di non farcela, veramente Tsubasa era sul punto di non farcela più. Prima aveva pensato di aver toccato il fondo quando era stato pronto a lasciarsi andare, a lasciare il mondo, ad uccidersi…poi con Taro l’ira si era ingigantita ma era stato con Jun che aveva cominciato a capire che il fondo era ben altra cosa e lo stava vedendo davanti a sé, conscio che così ci avrebbe sbattuto il volto.

Si guardava le gambe ed era l’unica cosa che era in grado di fare ormai. Aveva rotto tutto il possibile, ormai non veniva più nessuno da giorni e sua madre sporadicamente riusciva a stare lì più di qualche minuto per volta. Aveva fatto tutto ed ormai gli era rimasto solo l’arrendersi al sentimenti di non farcela, di sapere di non farcela veramente…era rimasto…il nulla…era rimasto il vero vuoto e il panico:

- Cosa posso fare adesso?-

Aveva riflettuto e si era ripetuto fino alla nausea le parole di Taro, il suo Taro, che aveva detto di amarlo, sapere di averlo ferito l’aveva fatto morire dentro e questa reazione l’aveva gettato nel caos.

Certo, aveva fatto tutto tranne accettarsi e piangere per sé stesso, piangere e dirsi: ‘vado avanti’.

Nel panico più assoluto poteva solo guardarsi le gambe e cacciare chiunque entrasse, insultandosi, dandosi fastidio da solo, continuare a disperarsi e a auto compatirsi senza più riconoscersi.

Poteva solo assaggiare la solitudine che da solo si era costruito e procurato.

L’arrivo di Hyuga e Genzo li aveva stupiti, insieme, nemmeno uno per volta…spalancò gli occhi e conscio che l’espressione che avevano così shockata era per lui e per lo stato in cui si era gettato, sentì solo una vaga vergogna che gli fece ancora perdere la testa, chiuse gli occhi e voltò il capo dicendo solo di andarsene.

Perché erano venuti?

Vergogna per sé stesso, ira per questo, agitazione e contrarietà di conseguenza, mala reazione in finale.

Stava per aggiungere qualcosa che l’avrebbe segnato definitivamente ma appena Hyuga lo vide così pietoso gli bastò, si montò in lui una tale rabbia ceca che forse in rari momenti poteva dire di aver provato ed in un attimo solo, un fulmine l’attraversò e gli occhi erano quelli di una tigre feroce, Genzo stesso accanto a lui lo vide di sfuggita e ne ebbe paura, non l’avrebbe mai ammesso ma fu così.

Si erano immaginati molte parole e cose da poter fare, ma il solo vederlo le avevano gettate tutte al vento, poche falcate e Kojiro gli arrivò addosso e dimenticandosi della condizione del ragazzo a letto, lo prese per il colletto della maglia bianca e lo colpì con un pugno di media potenza.

Avrebbe potuto essere più leggero e avere più riguardo ma questo sarebbe stato peggio, non sarebbe riuscito a far sentire “l’imputato” come ora in quel momento si sentiva, nel modo giusto.

Kojiro era stato l’unico a trattarlo come un tempo, come sempre, come tutti gli altri, a non usargli occhi di riguardo, a non vederlo come un povero ragazzo perseguitato da chissà quale sfortuna.

E quando sentì il dolore per l’impatto, un forte ed acuto male allo zigomo del volto girato verso il muro, gli occhi si serrarono vedendolo.

No, non il muro.

Quello che videro lo sconvolsero.

Eccolo lì in tutta la sua angoscia, bruttezza e marcio quel famoso fondo che aveva pensato di aver visto e toccato mille altre volte.

Eccolo che invece solo ora vi era sbattuto con tutta la sua faccia disperata.

Vide com’era fatto, era uno specchio e ciò che riflettè fu la sua immagine: un Tsubasa perdente, sconfitto, arreso…un immagine che gli fece schifo a sé stesso per primo e gli accese il desiderio di risalire dal pantano in cui si era cacciato da solo a forza.

Voleva risalire ma aveva speso tutte le forze ad affondare in quel buio, in quel nero che era la melma e l’inferno.

Ora non ne aveva più ma voleva tornare su. Lo voleva perché quell’immagine non gli piaceva, lui non era quello, non poteva esserlo perché se c’era ancora qualcuno che lottava per riaverlo, che lo trattava come sempre, che tornava da lui nonostante tutto, allora significava che non poteva rimanere in quel oscuro luogo solitario.

Ma come.

Come fare?

Se lo chiese e se lo richiese e se lo chiese di nuovo fino alla nausea senza ottenere risposta, senza sapere, senza capire più, solo sapendo che era affondato in quel nero e non voleva più starci, il culmine, il massimo dell’autodistruzione, il peggio nel quale un uomo può arrivare.

- Hyuga!-

Lo ammonì Wakabayashi dopo aver sperato che le buone intenzioni elencate per strada sarebbero state rispettate…tanto l’aveva immaginato che sarebbe finito così, perché lui era così ed andava bene com’era…perché in fondo era anche grazie a queste intuizioni che ci si tirava fuori dai guai, a volte.

Gli andò vicino e lo allontanò lasciando però che le urla uscissero dalla sua bocca per colpire il protagonista di tale ira ceca:

- SAI COSA SEI? NIENTE DI SPECIALE, SOLO UN COMUNE PEZZO DI MERDA! TE L’HANNO MAI DETTO INVECE DI FARE TANTO I GENTILI CON TE SOLO PERCHE’ NON PUOI PIU’ CAMMINARE? SI, ASCOLTAMI BENE, LO DICO E NON NE HO PAURA: NON PUOI PIU’ CAMMINARE, LO SAI? TE L’HANNO SPIEGATO? TE LO SEI DETTO? È BRUTTO MA LA REALTA’ E’ ESATTAMENTE QUESTA, ALLORA CHE SI FA? NON ME NE FREGA SE CAMMINERAI O MENO, MA LA SOSTANZA E’ QUESTA E LA TUA E’ QUELLA DI UNO STRONZO CHE SI CREDE CHISSA’ CHI E SI METTE AD INSULTARE CHI NON NE HA BISOGNO! MA CHI TI CREDI DI ESSERE? LO SAI QUANTI HANNO PASSATO LE TUE TRAGEDIE O ALTRE MA SEMPRE DRAMMATICHE? E COSA VUOI DA NOI? LO SAI CHE NON SEI NESSUNO PER DIRE CERTE COSE? VUOI STARE SOLO? STACCI, MI HAI ROTTO I COGLIONI, PRIMA DI ANDARMENE VOLEVO DIRTELO!-

In tutto il momento dello scoppio Genzo aveva dovuto trattenerlo per le braccia per non farlo andare di nuovo contro Tsubasa, però si era chiesto anche lui che dovesse fare…forse era giusto trattarlo così per scuoterlo, la classica terapia d’urto, ma in fondo quello di cui aveva bisogno era di piangere e ammetterlo…cosa estremamente difficile, fare come faceva Hyuga poteva essere giusto ma come saperlo con certezza? Per un attimo, quindi, se lo chiese anche lui…poi si chiese solo come fermare quel carro armato!

Il moro seduto si teneva la guancia colpita con una mano e tornatosi a girare verso la tigre infuriata dal cuore in fiamme, era letteralmente paralizzato, senza reazioni o cambiamenti, una statua di marmo che sta per essere distrutta con un calcio, che sarebbe finita a terra e si sarebbe rotta. Un solo calcio, uno solo. E sarebbe successo.

Ad impedirlo fu il portiere che facendo appella a tutte le sue forze lo strattonò spingendo il compagno iroso contro il muro dietro di loro.

- BASTA!-

La botta che si prese non fu trascurabile ma poi a mente fredda tutti si dissero che quelle reazioni sarebbero potute essere fatte solo da loro due.

Ed erano entrambe giuste.

Genzo di avvicinò al letto dove Tsubasa privo di espressione sembrava sprofondato in un posto di non ritorno, avrebbe voluto fare la stessa cosa di Hyuga, ma l’aveva già fatta l’altro…si passò la mano fra i capelli e decise solo di sedersi accanto a lui nel materasso, gli dedicò il suo sguardo più serio e sincero e provando a penetrarlo allungò la mano sull’altra guancia del ragazzo, gliela toccò titubante e sentendolo freddo pensò che forse l’aveva perso definitivamente.

- O cazzo, e ora che faccio?-

Mormorò infatti agitato.

- Tsubasa…? Hey…non devi prendertela ma in fondo…cioè vorrei dirti che è uno stupido ma questa volta va detto…ha ragione…però devi capire perché ce l’ha…nessuno ti lascerà solo ma tu devi dirtelo…Tsubasa, non camminerai, certo magari un domani potrei tornare a farlo con qualche miracolo della medicina, ma ora come ora no. Dittelo e rialzati. Rialza la tua testa. Hai capito? Da qui tutto cambierà…tutto…-

Era stato convinto di non essere stato ascoltato, ma così non fu, quello che captò l’altro fu la frase ‘non camminerai’, qualcosa che nessuno gli aveva detto dopo il medico, che nessuno aveva ammesso ad alta voce accettandolo prima di lui, che nessuno aveva semplicemente provveduto ad assicurarsi che lui l’avesse semplicemente compreso.

Solo questo.

Nessuno aveva mai osato dirglielo, gridarglielo o sussurrarglielo.

Anzi, lui non se lo era detto veramente e nessuno aveva avuto solo quello da dirgli.

Gli occhi scuri di Tsubasa si spalancarono di nuovo riprendendo tono e colore, diventando sempre più lucidi tornarono a fissarsi sulla persona che aveva davanti e non su un punto vuoto…e lo mormorò lui stesso senza il secondo fine di auto compatirsi o cose simili, solo perché era vero e non c’erano altri significati dietro.

- …non camminerò più…-

E su questo sussurro scesero finalmente le lacrime di Tsubasa.

FINE CAPITOLO 6

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Capitolo 7
*** Poco a poco ***


Nuova pagina 1

*rulli di tamburi, sono tornata dalle vacanze e sono più attiva che mai! Ecco un nuovo cap di questa breve fic. Breve rispetto a Till i collapse di 40 cap! Il prossimo capitolo sarà quello finale, non piangete ora che lo sapete ma ho così tanti impegni che non posso tirarla troppo per le lunghe, anche se ammetto mi piacerebbe, penso farò più avanti una side story su Hyuga e Misugi perché è una coppia insolita che mi piace veramente troppo! Bene…ora godetevi la pace con questo cap. Buona lettura e grazie a chi fedelmente mi segue e mi commenta. Baci Akane PS: dimenticavo, cerco collaboratori per questo blog che raccoglie creazioni e creatori che hanno lasciato il segno: http://vampiri.iobloggo.com Non fatevi ingannare da questa mia breve e stringata descrizione, visitate e saprete di cosa si tratta.*

 

CAPITOLO 7:

POCO A POCO

 

 

Solo semplici singhiozzi s’udivano in quella stanza semi buia, pochi raggi di sole pomeridiano filtravano dalla saracinesca abbassata e l’odore di chiuso e medicine era certamente intenso e poco piacevole. Una figura alta e prestante stava assistendo alla scena singolare, era appoggiata al muro come se vi fosse stato spinto da qualche minuto e lì fosse rimasto senza muoversi, non per lo shock ma perché ogni voglia di muoversi o fare qualsiasi altra cosa era svanita nell’istante in cui era stato spinto lì e i singhiozzi si erano levati; costui era un ragazzo molto affascinante dall’aria selvatica, lunghi capelli neri incolti fino alle spalle, mezzo volto coperto dagli stessi ed un espressione dove occhi di tigre facevano il loro sfoggio puntandosi avidi e rabbiosi sugli altri due presenti. Li fissava e li scrutava come fossero prede da mangiare…ma poi lentamente cominciarono a cambiare assumendo un altro tono, quasi che il ‘cibo’ che aveva tentato di mangiare si era rivelato troppo anche per lui, o forse indegno di essere divorato o magari avesse avuto pena o simili.  I due al lato opposto di lui ove le sue pupille confuse con le iridi nere si posavano, erano seduti su un letto dalle disfatte lenzuola bianche, uno portava le gambe fasciate per delle ferite più o meno recenti e stava ricurvo col volto nascosto nella spalla e fra le braccia dell’amico che lo copriva cercando di consolarlo a modo suo, con fare impacciato ed incerto ma in un certo senso sollevato. La sua espressione era mutata in un attimo da grave e preoccupata e perfino un po’ arrabbiata ad una rilassata e serena, come dicesse:

‘Ora andrà tutto bene.’

Rimasero così per un lungo momento, tutti in silenzio a guardarsi e ad udire il pianto dell’unico che finalmente aveva ceduto e si era arreso.

Non si sarebbero mossi se qualcosa non li avesse interrotti. Fu lo squillo, il solito consueto e banale squillo, del cellulare che ultimamente suonava piuttosto spesso.

Genzo lo lasciò andare per un po’ ma la consapevolezza che fosse ‘lui’ a chiamare lo portò a muoversi, non voleva che mettesse giù pensando chissà cosa. Inoltre aveva bisogno di sentire la sua voce, ora più che mai.

Tirò fuori il telefonino e guardò il display dove lampeggiava il nome del chiamante con la foto del suo sguardo ravvicinato: gelidi occhi azzurri inespressivi.

Lanciò uno sguardo a Hyuga sperando prendesse il suo posto e provasse a consolarlo, sapeva non l’avrebbe mai fatto infatti il moro nemmeno si mosse. Tsubasa si mosse per lui posandosi sul cuscino, nascondendo di nuovo il volto stravolto dalle lacrime che continuavano a scendere implacabili.

Genzo si alzò pensando che comunque più di così non avrebbe potuto fare, si diresse verso la porta e rispose:

- Pronto, Karl?-

Nel momento in cui apriva la porta per uscire si trovò davanti Jun e Taro, fu lì che sorrise dimenticando di ascoltare la voce un po’ metallica e un po’ più umana di sempre del suo ragazzo che gli rispondeva dall’altro capo del telefono, fu un sorriso quasi radioso, più di gratitudine però. Molto bello nel suo volto tenebroso fino a quell’attimo. Poi li passò sparendo nel corridoio parlando in tedesco.

Ora era di troppo.

 

Ciò che accadde a Kojiro vedendo il viso dai perfetti lineamenti nobili e delicati di Jun, vedendolo dopo parecchi giorni di astinenza, vedendolo dopo quel fatto per lui shockante, fu l’apocalisse. Andò nel caos più completo e dimenticandosi tutto, luogo, situazione, persone, arrossì visibilmente imbarazzato irrigidendosi. Diventò una statua di pietra che fissava il castano, egli entrò con passo felpato dopo aver compreso con un occhiata veloce la situazione e sorriso rassicurante, il suo sorriso superiore a tutto e tutti che infondeva certezze o fastidi a seconda di chi si trovava a riceverlo.

Quel che fece invece Jun dopo aver capito quanto era accaduto, fu una fluida camminata verso la tigre impietrita, infilarle la mano sotto il braccio e come fossero una coppietta deliziosa, trascinarla fuori e dire con voce carezzevole e calda:

- Vieni, ti cercavo, dobbiamo parlare, sai? -

Solo per lasciarli soli, senza bisogno di dirlo chiaramente o raccontare bugie. Dire ‘lasciamoli soli’ era troppo banale e non da Jun, dire una cosa del genere, ovvero la pura verità, e prendere due piccioni con una fava, era proprio da lui, invece…Kojiro non sarebbe più scappato e nemmeno Tsubasa.

Sapeva che quei due avrebbero avuto più successo di loro, immaginava come, ma ce l’avevano fatta e l’importante era il risultato.

 

Quando si trovarono soli, Tsubasa e Taro inizialmente non fecero nulla. Rimasero fermi come erano stati lasciati, il pianto cercava di essere domato mentre una sorta di vergogna cresceva nel proprietario, non avrebbe mai trovato il coraggio di alzare gli occhi e guardare Taro. Ne era sicuro, ma non sarebbe servita nessuna spiegazione al compagno che fermo sullo stipite della porta, osservava la figura che nascondeva il volto sul cuscino. L’assorbì con cura senza dover sforzarsi di capirlo o decifrarlo. Ora ci riusciva.

Ci riusciva di nuovo.

Come un tempo.

Piegò la testa di lato facendo attenzione a respirare leggero, assottigliò gli occhi e sprofondò le mani nelle tasche dei jeans. In quel momento Tsubasa gli appariva come un bambino, una persona che aveva passato la vita ad essere più maturo degli altri per poter raggiungere presto il proprio sogno che poi per uno shock improvviso si era trovato a regredire e voler essere solo un semplice bambino, per vivere e affrontare le cose come non aveva mai potuto, con l’infantilità, la semplicità, la schiettezza e l’esagerazione dei bambini! Ora si rivedeva sé stesso e i suoi comportamenti come in un film e con oggettività riusciva ad essere onesto fino alla vergogna.

Non era il Tsubasa di un tempo, ma nemmeno l’alieno che quei giorni terribili l’aveva ferito.

Improvvisamente Taro riusciva a scorgere il tanto agognato schiarimento nel cielo coperto di nuvole da troppo tempo, ormai.

Non gli importava di ritrovare il vecchio amico pallone dipendente, anche quel nuovo Tsubasa gli stava bene, un personaggio alla nuova ricerca di sé stesso che cercava di risalire poiché lo voleva.

Non c’era una nuova definizione per lui, ma l’avrebbe trovata presto, quando avrebbe rialzato lo sguardo e accompagnato da lui sarebbe risalito dal fosso in cui era sprofondato.

Non era un passaggio veloce, anzi. Era un cammino lungo, lento e faticoso, ricominciare da zero in ogni settore possibile, fare un gran lavoro su sé stesso, cambiare per diventare qualcuno, un altro che non era mai stato ma diventarlo, capire chi e diventarlo.

Richiedeva uno studio non indifferente.

Quel che fece poi Taro fu solo un semplice gesto, pochi passi e annullò la distanza che li separava, Si sedette sul letto accanto a lui, posò una mano lieve sulla schiena ricurva dell’altro che ancora tremava con fare irriconoscibile per la fragilità rivelata, poi silenzio dalle loro labbra.

Solo questo e Tsubasa si girò fulmineo come una saetta aggrappandosi a lui quasi come si fa con un salvagente, infilò le mani fra i fianchi  e le braccia del compagno facendole sgusciare fino alla schiena ed immediatamente affondò il volto nell’incavo del suo collo, premendo gli occhi chiusi che gettavano fuori ancora lacrime per sé stesso, i suoi sogni infranti, la sua vita da ricostruire, un labirinto intricato da superare in salita e la persona più importante ferita proprio da lui.

Avrebbe voluto chiedere perdono e fare domande, dire qualcosa, magari anche giustificarsi…ma non gli uscì nulla dalla gola, nemmeno l’aria si muoveva per le vie respiratorie. Si sentiva bruciare e con l’abbraccio ricambiato almeno una cosa del caos che lo angosciava, era più chiara.

Non sapeva se chiamarlo amore ma ci andava vicino.

Voleva stare con Taro, per sempre. Senza mai più separarsi, l’avrebbe seguito ovunque, avrebbe affrontato ogni cosa se lui gli avesse detto di nuovo quelle parole che gli aveva urlato da arrabbiato.

- Ci pensiamo insieme, non sei solo. Ci sono io con te.-

Non ebbe però il coraggio di chiedergli se lo amava ancora nonostante tutto, non sapeva se quelle parole potevano essere una sorta di dichiarazione o meno ma non gli importava, gli aveva detto che rimaneva con lui. Bastava…

A rispondergli arrivò Taro, fu lui a prendere l’iniziativa, prese il viso del compagno fra le mani e con fermezza lo alzò portandolo davanti al suo, Lo guardò con cura come lo vedesse per la prima volta, gli donò quel suo sorriso radioso e contagioso e con dolcezza e delicatezza, lento e senza fretta, posò le labbra sulle sue dapprima in un bacio leggero e carezzevole, poi approfondito con cura e amore.

Non potevano essere diversamente, loro due.

Ora sarebbero risaliti insieme, sarebbe stato un viaggio quasi interminabile, serviva pazienza e calma, ma ce l’avrebbero fatta.

Poco a poco.

 

Percorrevano il corridoio ancora a braccetto quando furono incrociati da un gruppo di persone che non abbastanza tristi per il luogo in cui si trovavano,  si sgomitarono scambiandosi sguardi maliziosi ed ironici. Fu questo che fece decidere a Hyuga di strattonare via il proprio braccio dalla presa gentile ed educata dell’altro, a sua volta Misugi non fece una piega e accennò ad un sorrisino divertito per la situazione.

Uscirono dall’edificio ospedaliero prendendo per i giardini silenziosi e verdi sui quali qualche paziente accompagnato da parenti, passeggiava godendosi la bella giornata.

Dopo l’ennesima volta che il moro si sistemava i capelli togliendoseli dagli occhi, quest’ultimo si decise, a sguardo basso e tetro, a parlare, lo ammise a se stesso prima e poi lo disse ad alta voce, conscio che non aveva scelta:

- Ehi, Devo parlarti!-

Così si fermarono bruscamente, o meglio lui brusco, l’altro come sempre aggraziato e placido. Jun lo vide guardare giù nonostante fosse dinnanzi a lui, tormentarsi le mani sudate ed assumere un colorito rosso acceso per l’imbarazzo così delizioso da fargli accentuare il sorriso di pochi attimi prima.

Tuttavia mantenne il solito contegno e disse sornione:

- Lo so, prego…-

Senza puntualizzare il fatto che lui si chiamava Jun Misugi e non ‘Ehi’!

Qua a Kojiro venne spontaneo alzare la testa per fissarlo malamente e sbottare:

- Macchè ‘prego’! Parla come mangi che mi fai sentire di un altro pianeta!-

Ed era una sensazione a dir poco sgradevole, ottenne in risposta l’espressione da principe so tutto io e la seguente frase logica:

- Io non mangio come un animale ma con cura.-

- Si, ecco, appunto…-

L’espressione di quest’ultimo era quella di chi era consapevole di avere davanti uno che per lui era un caso senza speranza, senza sapere che l’altro pensava la stessa cosa di lui!

Jun divertito fece di proposito poi a ricercare qualche termine da sciorinargli con l’aria da saputello, si divertiva a provocarlo e metterlo in difficoltà:

- Di cosa devi disquisire con me?-

La risposta adatta sarebbe stata ‘Hai detto che sapevi che dovevo parlarti’, ma l’interlocutore non era cos’ì sveglio, per cui seccato, cascò nella trappola e sbottò guardando in alto:

- Mapporca…forse è meglio di no, chi me lo fa fare?-

- Cosa?-

Disse di rimando il compagno che cominciava a divertirsi non poco, visto che per lui le cose erano già belle e chiare, si avvicinò col volto scrutandolo da finto innocente, con un sorriso preoccupante.

In realtà Kojiro non aveva idea di cosa dirgli, non sapeva se aveva già preso una decisione o cosa, aveva solo intenzione di parlargli e di dirgli che in effetti, in tutta sincerità, il bacio, per qualunque motivo fosse uscito, non gli era dispiaciuto, come non gli sarebbe dispiaciuto approfondire la loro amicizia, poiché gli sembrava che Jun, in fondo, non fosse poi così male come aveva sempre pensato dalla nascita!

Così decise di ignorare, a fatica, il bel volto che lo fissava da troppo vicino, e di provare a parlare, seppur con imbarazzo crescente.

“Parlagli! Dice lui, come se fosse facile dirgli una cosa simile…che nemmeno mi è del tutto chiara, certa, definita e sicura…dannazione…”

- Ho pensato…-

- Mi stupisce!-

Intervenne col solito tono Jun, mentre dentro di sé stava già ridendo come poche volte gli era capitato. Una sempre più feroce risposta:

- Smettila!-

Subito si intavolò un breve e veloce botta e risposta con uno sull’arrabbiato andante e l’altro più calmo che mai, un contrasto che dall’esterno faceva morire dal ridere lo spettatore che per caso si trovava lì, uno a caso….un certo super portiere che aveva fatto un patto col Diavolo per poter vedere quella scena:

- Di far cosa?-

- Quello che fai!-

 - Che faccio?

- Mi fai sentire stupido!-

- Posso non rispondere?-

- DEVI NON RISPONDERE!-

- Bene! Parla allora. Per cosa si è adoperata la tua materia grigia?-

- Per decidere come ucciderti!-

- Ti sei sprecato!-

- BASTA, NON CE LA FACCIO!-

- è una conversazione troppo complessa?-

- SGRUNT!-

- Forza, procedi…-

- Cosa?-

- Fa quel che devi fare, ti concedo il permesso.-

- Ma sei scemo? Devo parlare, mica fare!-

- Sicuro?-

- E cosa dovrei fare?-

- Questo…-

Detto ciò il principe del calcio unì fluidamente le labbra a quelle di una sbigottita e shockata tigre che aveva dimenticato zanne e artigli chissà dove per far assumere alla sua pelliccia maestosa ed invidiabile, un simpatico color porpora! Fu un bacio che di casto e puro aveva ben poco, tutto sommato. Del resto sognare ogni notte le sue labbra deliziosamente imbronciate e così morbide di natura, non avrebbe mai permesso nulla di troppo romantico. Anche se non fu un divorare di bocche, nulla di volgare, erotico o sconveniente, mostrò una certa padronanza di sé, del bacio e del compagno che ancora immobile si lasciava fare ogni cosa. Con fare esperto ed aggraziato ma al contempo che trapelava desiderio, assaggiò di nuovo le sue labbra unendo la lingua alla sua, finendo per fare una danza più a senso unico.

Come le danze orientali dove uno stava fermo al centro e la compagna gli ballava intorno con fare sensuale e seducente.

Ecco cosa aveva Jun in quel momento, con quel bacio inaspettato per Kojiro.

Sensualità, qualcosa che nessuno gli aveva mai visto. Era una sensualità naturale e non cercata o costruita.  Un nuovo lato di Jun gli si mostrò a lui e non potè far altro che rimanerne ancor più attratto e affascinato.

Quando si staccarono, sempre per merito del castano poiché se dipendeva dall’altro sarebbero rimasti in quel modo in eterno, Kojiro si trovò nella confusione più totale, boccheggiante ed accaldato nonché pieno di vergogna per aver avuto un certo desiderio di approfondimento.

- Avevo ragione?-

Chiese Misugi sornione come nulla fosse, sempre rimanendo attaccato al suo petto e vicino al suo viso.

Tutto quel che seppe fare Hyuga fu balbettare un:

- M-m-m-m-ma n-non p-pensavo…-

Subito pronta la risposta mentre cercava di riunire le loro labbra, sempre divertendosi un mondo dentro di sè:

- Ma avevi detto che avevi pensato! Lo faccio con più calma così ci pensi ora?-

L’altro lo bloccò con fermezza sbottando:

- FERMO, SMETTI!-

Il principe scendendo dalle nuvole chiese fintamente innocente:

- Perché?-

- Ora ti blocco io!-

Detto ciò afferrò a sua volta il suo viso fra le mani e senza darsi tempo per riflettere, come suo solito, prese l’iniziativa attaccando per non essere attaccato. Non gli era mai piaciuto difendersi e ricevere attacchi inaspettati, per cui preferiva essere lui l’impulsivo imprevedibile che faceva la prima mossa, si trovava più a suo agio, anche se poi avrebbe dovuto riflettere sulle conseguenze e raccogliere quanto seminato senza aver usato la testa.

Era sicuro di sé anche se non ne aveva motivo, sapeva che non aveva mai combinato cose troppo errate e andava dritto per la sua strada senza sprecarsi in troppi ragionamenti. Ora aveva semplicemente capito che voleva approfondire le cose con Jun, che lo interessava e gli piaceva baciarlo…questo bastava, il resto sarebbe arrivato dopo, non gli interessavano le definizioni o i riconoscimenti di sentimenti astrusi, se mai lui ne avesse provati.

Lo baciò e basta seguendo la sua filosofia di vita, perché prima gli era piaciuto e voleva ricambiare, voleva partecipare attivamente, provare a gestire l’ingestibile per non trovarsi troppo indietro e con l’acqua alla gola in un qualcosa di troppo enorme per lui, voleva essere sicuro di stare davanti alle cose e alle persone e non dietro…ma ancora una volta si trovò a seguire il ritmo imposto da Jun e senza nemmeno accorgersene desiderare di avere di più, qualunque cosa fosse.

 

Mentre questo si consumava in un angolo appartato dell’immenso giardino, due occhi neri li osservavano divertiti e un sorrisino sbieco si dipingeva sulle labbra, contento di aver assistito ad uno spettacolo che mai avrebbe voluto perdersi.

Ora erano tutti pronti per riprendere le loro nuove vite…mentre lui avrebbe proseguito con la sua felice di averla azzeccata al primo colpo e di non aver bisogno di cambiarla.

- Karl? È tutto a posto, torno a momenti…-

Ovviamente Genzo non aggiunse il seguito del suo pensiero, non avrebbe mai ammesso che aveva una voglia matta di far l’amore con lui dopo tutto quel periodo di astinenza!

 

FINE CAPITOLO 7

 

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Capitolo 8
*** Per noi qualcosa ancora ***


Nuova pagina 1

*non ci crederete ma ci siamo…siamo al famoso fatidico ultimo capitolo…gioite con me. Ultimamente mi trovo spesso a scrivere la premessa per finire le storie a cap che faccio…quasi quasi mi commuovo, significa che le cose che inizio riesco anche a finirle! Yeah! Comunque…questo diciamo che è un regalo un po’ per tutti i romanticoni…ognuno va per la propria strada, chi da solo, chi in coppia, chi continua la vita di sempre, chi la cambia radicalmente, chi invece solo in parte…infine la scena fra Genzo e Karl la dedico a Slanif che ci teneva tanto per vederla! Ringrazio anche gli altri che hanno letto, seguito e commentato questa storia con poche pretese e ammetto molto sadismo(nonché molto yaoi!!!), fra cui cito: Lady Fire, Sally, Sanzina89, Slanif, Kiramars, Chy, Sanzina89, Kurama87, Chy-cahn, Parsifal, Yukino, Yama An. Penso che più avanti farò il seguito, ma sarà una incentrato su Kojiro e Jun che mi piacciono troppo insieme! Se nel frattempo sperate io scriva di nuovo su CT non so che rispondervi, non credo lo farò ma non lo escludo…io sono imprevedibile! Ci sono comunque molte fanfic e storie che scrivo e che ho in mente di iniziare, ce n’è sempre per tutti i gusti…ora vi saluto e spero questo ultimo capitolo piaccia a tutti. Questo è il link di un disegno che ho fatto su Jun nella versione di questa fic, l’ho personalizzato disegnandolo col mio stile e non quello del suo autore originale, per cui forse nemmeno ci somiglia, al vero Jun, ma poco importa, a me soddisfa: http://img237.imageshack.us/img237/4972/secretcryet6.jpg. A presto e buona lettura. Baci Akane*

 

CAPITOLO 8:

PER NOI QUALCOSA ANCORA

 

 

L’aeroporto gremito di gente che andava e veniva era un punto d’incontro e saluto per molta gente, troppa per alcuni, non abbastanza per altri. L’andirivieni era impossibile da seguire senza farsi venire mal di testa. La voce metallica dell’annunciatrice iniziò in tutte le lingue possibili a richiamare i passeggeri del volo diretto in Francia, poco dopo richiamarono quelli della Germania.

Fra tutti non si sarebbero distinti facilmente 5 ragazzi giunti a Narita per salutarsi e separarsi, per andare ognuno nella propria strada, nuova vita o tornare a quella vecchia.

- Sarà strano…-

Aveva iniziato a dire Hyuga lasciando però la frase a metà per non sembrare sentimentale.

- Cosa?-

Chiese quindi Genzo strafottente con l’intenzione di farsi l’ultimo battibecco prima di andarsene e non vederlo per chissà quanto!

- Penso che intendesse: sarà strano sapere Tsubasa in Francia con Taro!-

Tradusse per lui Misugi vedendo il compagno in difficoltà, tutti li guardarono contemporaneamente, incuriositi e stupiti dal vedere per l’ennesima volta Jun che veniva in soccorso a parole a Kojiro. Solo Genzo sapeva che si erano messi insieme, gli altri, probabilmente, non l’avrebbero mai saputo ma anche se la cosa si fosse sparsa fra il giro stretto, a nessuno dei due sarebbe dispiaciuto, entrambi erano tipi menefreghisti a modo proprio…Kojiro per la serie: ‘non me ne sbatte un ca**o di nessuno!’ Invece Jun era più: ‘Io vado avanti lo stesso per la mia strada!’

- Bè, la cosa più strana sarà che non giocherò più a calcio, no?-

Aveva improvvisamente detto Tsubasa stesso, togliendo dall’impaccio chiunque pensasse la stessa cosa senza osarla dire. Tutti l’ammirarono in quel momento, anche se l’aveva detto con un aria molto tirata e malinconica. Aveva fatto dei grandi passi in avanti rispetto a pochi giorni prima, si era ripreso in parte e sentirlo parlare in quel modo era una buona ricompensa dopo tutto quello che avevano passato!

La paura di non saper cosa dire però ormai era viva in loro e cercando di dosare sempre le parole, finivano sempre per parlare solo Jun e Taro.

- Ora?-

Chiese improvviso Genzo, facendosi serio.

- Ora si ricomincia…-

Aveva risposto Taro serenamente, il solito sorriso era tornato e a tutti parve di riuscire a respirare meglio.

- Già…-

Fecero eco gli altri con una giustificata tristezza nella voce e nello sguardo. Le cose erano cambiate molto per tutti, perfino per Hyuga e Misugi che sarebbero semplicemente tornati alla vita di prima, in realtà le cose erano cambiate anche per loro, non solo per quanto accaduto a Tsubasa che li aveva resi coscienti di una visione di vita diversa, specie alla tigre, ma soprattutto per il sentimento che era nato e si stava sviluppando fra loro stessi. Non si chiamavano ancora fidanzati, prima di farlo ce ne sarebbe voluto un bel po’ visto il caratteraccio di Hyuga, ma il frequentarsi e ammettere che il lato fisico c’era, eccome, era un gran passo in avanti che cambiava quindi molto. Anche per Jun era nuovo quel rapporto ma lui gestiva le situazioni decisamente meglio, dopo la malattia si era sempre preparato subito a ricevere qualunque novità, era molto più adulto degli altri e sapeva accettare sia le cose belle che quelle brutte, Kojiro era fra quelle belle anche se insolite, strane e pesanti…sarebbe stata una nuova vita anche per lui, tutto sommato…una nuova vita difficile ma piacevole.

Genzo? Bè, lui pensava già insistentemente a quando avrebbe rivisto Karl all’aeroporto, non vedeva l’ora, cominciava ad essere terribilmente impaziente anche se avrebbe dovuto lasciare quegli amici con cui stava bene. Era sincero, però. Stare con Tsubasa, da ora in poi, sarebbe stato ancor più difficile di quanto non lo erano stati quei giorni. Tsubasa doveva ancora risollevarsi e scoprirsi, capire cosa fare della propria vita, rinascere e risalire, diventare qualcuno…era alla ricerca di sé stesso e di una ragione di vita, non era facile, specie quando si passa tutti gli anni a convincersi che sarà una che invece ora non puoi più percorrere. Di strade, però, ce ne sono tante per ognuno.

Tutti hanno mille possibilità nella propria vita, così come ci sono più di una persona che potrebbe vivere con ciascuno, ma se ne sceglie solo una, basta saperle riconoscere e accettare, dedicarsi anima e corpo prima che fuggano e non tornino più, prima di perdere il treno.

Genzo non avrebbe cambiato una virgola della propria vita, aveva trovato subito la sua strada e la persona giusta con cui percorrerla, non avrebbe cambiato nessuna delle due nemmeno per tutto l’oro del mondo ed anche se a volte ci si deve fermare per aiutare gli altri, l’importante è saper ritornare in carreggiata, recuperare i propri bagagli e il compagno di viaggio e continuare a camminare andando avanti e mai indietro. Genzo era per questa filosofia e per quanto bene volesse a Tsubasa, Misaki, Hyuga…e perché no, ora perfino al poco più che estraneo Misugi, non avrebbe mai cambiato l’oro che aveva trovato in Germania, per qualcos’altro.

Tsubasa e Taro si apprestavano per lo più ad una vita completamente diversa, sia perché finalmente la percorrevano insieme con la scoperta di nuovi sentimenti, sia perché Tsubasa dovendo cambiare ogni cosa di sé stesso, aveva coinvolto in questo inevitabilmente anche il compagno. Tsubasa non avrebbe mai preteso che Taro rinunciasse al calcio per lui, gli chiedeva solo di stargli accanto, così sarebbe stato e chissà cosa il futuro avrebbe posto sul loro cammino…l’ex numero 10 avrebbe atteso poiché era l’unica cosa che gli rimaneva. A volte con uno sguardo spento, altre triste e malinconico, altre ancora piangendo di nascosto…altre però riuscendo addirittura a sorridere, non come un tempo ma comunque qualcosa sarebbe riuscito a fare…senza bugie. Solo ciò che si sentiva. Fra tutti lui ce l’avrebbe avuta più dura però il sollievo, l’unico che poteva avere, veniva dalla persona che mai più l’avrebbe lasciato.

Alla fine è così.

Sono i sentimenti con cui si affrontano le cose, ciò che cambiano, non cosa si fa e nemmeno se lo si fa bene o male…solo se quando lo si fa si è felici e si sta bene. Come si fa ad esserlo? Amando ed essendo amati. Il tipo di amore non ha importanza, ce ne sono molti e per molti, ma sempre di amore, alla fine, si tratta.

- Allora alla prossima, ragazzi…-

Disse Genzo interrompendo il silenzio pesante in cui erano calati, un sorriso tirato, non strafottente, e uno sguardo sinceramente dispiaciuto di lasciarli…ma fino ad un certo punto. Si capiva che era anche contento di poter tornare nel suo angolo di paradiso, da qualcuno che in un modo o nell’altro tutti avevano capito essere Karl.

- Si, alla prossima…è meglio che ci avviamo o chiudono il chek in…-

Aveva detto Taro pratico di viaggi, prese l’iniziativa salutando tutti con una stretta di mano, un abbraccio e un bacio ciascuno, come era nel suo stile, qualcuno si salutò con una semplice stretta, altri addirittura con uno scambio di sguardi ed un ‘ciao detto fra i denti, ma tutti si salutarono e quando Tsubasa ebbe concluso, disse con un filo di voce e occhi lucidi, l’ultimo consiglio da capitano della squadra:

- Ragazzi, fate ciò che io avrei voluto fare ma non come l’avrei fatto io, bensì come lo fareste voi…-

Nessuno ebbe il coraggio o la forza di dire niente, nessuno tranne Jun che con una nobile espressione e un controllo ammirevole, rispose:

- Realizzeremo le nostre aspirazioni anche per te. -

- Certo, detto da te suona come una barzelletta, sai?-

non era riuscito a trattenersi Kojiro, anche se non aveva parlato con un ghigno sadico, tanto meno con l’intenzione di sdrammatizzare…però tutti risero accentuando la battuta involontaria del moro che fece una smorfia sentitosi preso in giro.

- So bene che io sono l’ultimo che può pronunciare un concetto simile, ma dal momento che nessuno di voi la proferiva, ho risolto io la situazione! -

Ribattè quindi pronto il compagno senza scomporsi. Tutti apprezzarono lo scambio, sicuri, ormai, che fra loro le cose erano proprio cambiate!

- Grazie…-

Concluse così timidamente Tsubasa e con un ultimo cenno ricambiato da sorrisi diversi fra loro, fu condotto via da Taro sulla sedia a rotelle con cui avrebbe dovuto fare più che amicizia!

Poco dopo fu seguito da Genzo che dopo un pugno amichevole a Hyuga si congedò lasciando la nuova coppia, o quanto più di somigliante ci fosse, a vedere anche la sua schiena forte allontanarsi. Nessuno dei due avrebbe mostrato occhi lucidi, tanto meno emozione e tristezza per il termine di quel periodo a tratti doloroso, altri felice.

- Bè, ora tocca a noi…-

Mugugnò con una certa sicurezza nella voce il tenebroso Kojiro.

- Già…avviamoci anche noi.-

Fece eco Jun lanciandogli una fugace occhiata, ogni volta che ammirava il suo bel profilo deciso, differente dal suo più delicato, di attimo in attimo gli piaceva sempre di più, sarebbe stato un crescendo di consapevolezza e sentimenti veloce e piacevole, era contento di aver riscoperto Hyuga, l’unico che in quella situazione poteva in effetti stargli concretamente accanto. Si avviarono verso l’uscita del grande aeroporto, entrambi non erano tipi da manifestare il loro affetto reciproco, soprattutto in pubblico, pur essendo diversi, erano uguali in alcuni punti, anche se comunque distinti in   quelle date uguaglianze!

Una volta a casa, ormai era quasi sera, Jun invitò a cena Kojiro con fare disinvolto, questo lo fece arrossire ed imbarazzare anche se non quanto, una volta rifiutato, sempre il bel principe gli aveva detto con un fondo di malizia:

- E non mi saluti prima di andartene?-

La tigre si era messa a tossire e scomposto come se fosse appena tornato da una corsa di 10 ore filate, si guardò intorno a disagio, sentendo gli occhi ancora puntati su di sé, i suoi occhi, lo guardò di sottecchi studiandolo, prendendo tempo, cercando di capire che diavolo fare, cosa intendesse con quella frase. Aveva uno sguardo cristallino eppure così adulto ed ironico, misterioso quasi, si spostò sulle labbra e su quell’inclinazione saccente e sorniona che avevano, si notava il pallore della pelle anche alla luce fioca del crepuscolo ma nonostante tutto lui era sempre composto e tranquillo, non un capello in disordine. Quel tipo amava provocare gli altri affinché raccogliessero le sue sfide! Bè, di per sé non era male…se le sfide si fossero limitate al calcio! Non era preparato a quel genere di cose…tuttavia anche se non aveva proprio ben sviluppato il senso della bellezza, cioè non la distingueva più di tanto, riusciva a sentirsi attratto da quel ragazzo particolare di cui si vedeva solo la punta dell’iceberg. Sarebbe stato interessante trovare anche il resto. Finì di imbarazzarsi e sempre rosso come un pomodoro si assicurò che non ci fosse nessuno nei paraggi, poi gli si avvicinò e chinandosi leggermente, non avevano una grande differenza d’altezza, gli posò un leggero e velocissimo bacio sulle labbra, senza soffermarsi ed approfondire…era il meglio che potesse fare per ora! L’altro ridacchiò divertito e mutando la malizia in qualcosa di enigmatico ed intraducibile, quando Kojiro si stava allontanando per poter scappare da quella scena, lo fermò prendendogli la mano, il contatto bloccò all’istante l’altro tanto che catalizzò totalmente la sua attenzione sulle loro dita allacciate, cos’era poi quel fastidioso tamburo che rullava nei suoi timpani? E perché il fiato non gli veniva più a pieni polmoni? Faceva una fatica…era nervoso? Agitato? Non lo capì, non capiva mai che gli succedeva, soprattutto ultimamente! Però anche se si vergognava gli sembrava bello, una cosa giusta, gli ricordò quando si erano baciati la prima volta…ora era diverso. Mentre lui era attento alle loro mani sentì poi le sue labbra che si avvicinavano al proprio orecchio e istintivamente si ritrasse di qualche centimetro, sentendolo troppo vicino, tanto da avere il suo fiato addosso, ma non lo allontanò, Jun gli andò ancor più vicino e gli sussurrò:

- Ci vediamo domani?-

Gli vennero i brividi e i peli del corpo si drizzarono, come se gli fosse passato del ghiaccio lungo la spina dorsale, si dimenticò quindi di ascoltare le sue parole tanto che dovette dire:

- C-che?-

Lo sentì sorridere lieve ed aumentare di poco la stretta della mano, mentre l’altra la posava sul petto…certo, se questo era il suo modo per riportarlo alla realtà allora erano a posto!

- Ho detto se ci vediamo anche domani…non vorrei che ora che non ci sono più loro, tu torni a sparire…-

Forse era una sorta di accertamento su quanto stava accadendo fra loro, anche se Jun non ne aveva bisogno, in effetti…magari voleva solo che Kojiro l’ammettesse. Chissà…a volte, anzi sempre, il bel giovane era incomprensibile!

A fatica, molta, l’altro capì lontanamente il senso della frase e piegando la testa verso la spalla per togliersi quei formicolii sulla pelle, arrivando così più vicino al volto del compagno, rispose balbettando:

- B-boh, c-che n-ne so…s-s-si, dannazione!-

Misugi accentuò il sorriso divertito e staccandosi gli lasciò un bacio sulla guancia in fiamme, poi lo lasciò definitivamente andare beandosi un ultima volta del suo volto imbronciato e scontrosamente imbarazzato.

Sarebbe stata molto lunga, con lui…dura e difficile, ma a lui le sfide piacevano eccome!

 

Anche le ore del viaggio gli sembrarono interminabili, con forte, fortissima impazienza, però, arrivò anche l’atterraggio dell’aereo e dopo un altro paio di minuti, nemmeno pochi in effetti, il bel tenebroso riuscì ad uscire dalla porta degli arrivi fuori dalla quale familiari ed amici aspettavano la gente appena giunta a destinazione. Si fermò un attimo per trovarlo ma non gli ci volle molto anche se erano quasi tutti biondi. Sapeva dove l’avrebbe aspettato, indietro rispetto alla folla, appoggiato ad una colonna o qualcosa di simile, dove rispetto al resto dell’edificio, c’era meno gente. Infatti eccolo là. Lo vide e senza volerlo, i suoi occhi si illuminarono come ancora in quei giorni non era successo. L’istinto gli disse di precipitarsi da lui ma siccome era uno che il sangue freddo lo manteneva fin troppo bene, riuscì a domarsi, anche se a stento, e semplicemente gli andò incontro, lui fece a sua volta qualche passo e quando si incontrarono si chiesero se potessero mai abbracciarsi in mezzo a tutta quella gente…lasciando che la loro già labile privacy svanisse a quel modo. L’avrebbero fatto. Oh, se l’avrebbero fatto! Anche se avevano quei caratteri così controllati e tutti d’un pezzo che non amavano manifestazioni sdolcinate d’affetto, anche se si sarebbero sentiti un po’ stupidi, anche se c’erano molti motivi per non farlo l’avrebbero fatto se non fosse stato veramente per tutta la gente che improvvisamente li osservava riconoscendoli. Presi singolarmente poteva essere una coincidenza, una somiglianza con quei calciatori popolari quali erano, ma insieme si capiva benissimo che dovevano essere proprio loro…così ci volle una grande forza di volontà per non mandare tutti al diavolo, non si toccarono nemmeno per non accendere strane voglie d’abbracci e simili…dissero solo:

- Ehi, ciao…-

- Sei tornato, allora…-

- Pensavi che non venissi più?-

- No, pensavo che l’aereo non atterrasse più!-

- Uhm…è meglio però se andiamo…-

Così il dialogo terminò anche perché perfino le parole sarebbero presto state compromettenti…il desiderio di dirsi che si erano mancati era grande, in fondo!

Svincolandosi abilmente dagli ammiratori che si erano raccolti per guardarli(e chiedere autografi)Genzo si chiese come mai lì erano stati notati mentre in Giappone erano passati inosservati!

Nemmeno quando giunsero in auto poterono lasciarsi andare, sempre sguardi, sempre occhi…era snervante e man mano che la loro relazione procedeva, lo era sempre più…ma potendo farci poco, Karl con una sgommata lasciò il parcheggio e con pazienza che non pensava di avere fu subito in autostrada…il silenzio era calato, del resto sulla permanenza a Tokyo avevano già abbondantemente parlato per  telefono e dirsi romanticherie non era nel loro stile, stavano bene anche senza parlare in continuazione, il punto era che ora avevano la testa rivolta così tanto verso il compagno accanto che dovevano rivolgere le loro attenzioni allo stare fermi.

La cosa, però, non durò a lungo. Quando Karl si fermò improvvisamente su un area d’emergenza, Genzo non ebbe il tempo di capire che accadesse, si girò verso il compagno e si trovò subito le labbra sulle sue. Fu così che si rilassò tornando a respirare.

Gli era mancato.

Baciarsi con lui, stare con lui, sapere che una volta a casa avrebbero fatto l’amore, stare bene seppur in silenzio con lui…gli era mancato ogni singolo particolare purchè fosse fatto con lui, Gli era mancato Karl ed ora se lo sarebbe goduto in tutti i modi possibili.

Per assicurarsi che fosse lì portò la mano al volto del biondo affondandoli sui capelli nella nuca, poi scivolò sulla spalla e l’esplorazione continuò scendendo giù, giocò un po’ con la sua mano e le sue dita, poi il bisogno di toccargli le gambe fu grande, andò sulle cosce e senza fretta le percorse leggero. Non era un istinto sessuale, era una ricerca, ricerca di sicurezza. Sicurezza che Karl non sarebbe mai crollato, sarebbe stato sempre lì come l’aveva conosciuto, lì con lui, senza cambiare, senza allontanarsi, senza soffrire.

Il compagno capì quel bisogno che era arrivato improvviso, capì anche che avrebbe potuto colmarlo meglio a casa così a malincuore, dopo aver lasciato libero sfogo alle loro lingua che si toccavano giocando con cura e lentezza, per gustarsi meglio, si staccò da lui guardandolo finalmente meglio, come avrebbe voluto fare prima. Ora l’aveva vicino e solo con lo sguardo poteva assorbire quei lineamenti orientali così delicati ma allo stesso tempo decisi, gli occhi neri dallo sguardo tenebroso, ora pieni di desiderio e anche un po’ smarriti. Si accorse così del reale stato d’animo del compagno e lasciò le proprie mani andare su quel volto dall’aria tirata, lo sfiorò arrivando ai capelli neri che spettinò ulteriormente, poi disse:

- Non ne potevo più.-

Genzo non riuscì a sorridere o a mostrare la sua espressione di sempre, parve improvvisamente insicuro.

- Anche io…ho bisogno di toccarti, sentirti di più…-

Non lo scambiò come sesso. Aveva perfettamente capito cosa intendeva. In fondo era bello così, che Genzo si lasciasse andare solo con lui. Smarrito, ecco cos’era. Lo vide del tutto smarrito, senza bisogno di farlo spiegare, farlo parlare, l’aveva capito subito e semplicemente l’abbracciò. Gli fece nascondere il volto nell’incavo del suo collo e gli carezzò impacciato il capo. Non tremava esteriormente ma nell’animo sì.

Si era trattenuto in maniera spasmodica ed ora la sua paura si ingigantiva, diventava quasi insostenibile, pressione che lo schiacciava. Genzo si aggrappò con tutte le sue forze al ragazzo che gli donava quel rifugio che aveva cercato in quei giorni.

- Karl…promettimi che non baserai la tua esistenza su qualcosa di fragile…qualcosa che se di sfugge ti distrugge…promettimelo…-

Karl rafforzò la stretta sentendo tutta la tristezza e il dolore del fidanzato. Non era bravo a parole, non avrebbe saputo dire grandi cose, ma una poteva:

- Si…sono con te, non ti lascio…-

Sentirlo, ascoltarlo, sapere che non parlava tanto per fare, farsi stringere, rassicurare, curare da lui, averlo finalmente lì, riempirsi di quel contatto, cedere, crollare, farsi accogliere, sentirsi deboli, fragili e pieni di bisogni, avere qualcuno che riempie quei vuoti e quel caos, sentirsi finalmente a casa, sé stesso, poterlo essere fino in fondo, sfogarsi anche lui, farsi consolare.

- Grazie…-

Solo sentendo quelle braccia intorno a lui con fare protettivo, riuscì a liberare i sentimenti che aveva trattenuto violentemente, insieme ad essi le sue lacrime. Lacrime per il fato che aveva travolto il suo migliore amico Tsubasa, per la disperazione che aveva colto tutti, il cambiamento in cui ora avrebbero dovuto andare avanti lo stesso, i sogni infranti, i sogni mai realizzati, i sogni che sarebbero dovuti cambiare…lacrime di cui si vergognava, lacrime prive di senso, forse, o magari terribilmente sensate, lacrime per una forza esaurita ed un sostegno dato a quanti ne avevano avuto bisogno.

Solo semplicemente lacrime.

Le sue.

E nessuno all’infuori di Karl avrebbe potuto vederle, scatenarle, riceverle ed asciugarle.

- Ti amo, voglio che tu lo sappia perché non voglio andarmene senza avertelo mai detto…solo perché ho un ruolo da ricoprire!-

- Ti amo e te lo dico perché lo sento.-

Sentimentali? Cose non da loro?

Certi momenti possono cambiare radicalmente le persone e i reciproci rapporti.

 

 

Se ne era andato senza rilasciare interviste di alcun genere, ne aveva parlato solo coi genitori e le persone a lui strette, poi semplicemente aveva fatto le valigie e accompagnato dal compagno aveva preso l’aereo che l’avrebbe portato lontano, verso la riscoperta di sé stesso.

- E’ buffo, sai? Il calcio quando ero piccolo mi salvò la vita…ed ora me l’ha quasi tolta…come se volesse riprendersi ciò che mi aveva dato…sembra una storia comica…-

Tsubasa aveva detto così mentre l’aereo entrava in territorio francese, con aria malinconica e pensierosa, come se le nuvole che aveva ammirato fino a quel momento, gli avessero suggerito quell’idea. Taro accanto a lo guardò non molto sorpreso, a pensarci poteva essere come diceva lui…oppure no. Oppure con un po’ più d’ottimismo poteva essere anche diversa:

- Oppure come se volesse farti tornare alla realtà…in un certo senso noi vivevamo in un mondo tutto nostro dove chiamavamo ‘migliore amico’ il pallone…ma una cosa inanimata non può tentare di toglierti la vita…come non può nemmeno salvarti…forse c’è stato ‘qualcuno’ che ha voluto farci rivalutare le nostre vite, le priorità ed i valori. Assegnare tanta importanza ad un oggetto, a qualcosa di inanimato come è il calcio, è qualcosa di irreale. Non avevamo i piedi per terra e questo va bene ma solo fino ad un certo punto. Questa esperienza mi sta insegnando questo…ed anche che il tempo corre e noi aspettando il momento giusto, a volte, perdiamo qualche treno…-

La visione completa e matura delle cose avrebbe potuto dargliela solo lui, Tsubasa ricambiò così lo sguardo mutandolo in uno di gratitudine…gli sarebbe dispiaciuto riporre nello sport tanto amato, tutto il suo risentimento e le colpe di quanto gli era accaduto…la realtà era che pur sforzandosi non ci sarebbe riuscito, non avrebbe mai potuto dare la colpa a qualcuno o qualcosa se non a sé stesso…perché era stato lui a correre per le strade col pallone ed anche se l’aveva fatto milioni di volte, avrebbe dovuto saperlo che in mezzo a tutta quella gente una percentuale di pericolosità c’era sempre; perché era stato sempre lui a perdere il controllo di quella palla e ad andare a prenderla con la testa rivolta all’allenamento che avrebbe fatto di lì a poco, senza controllare le auto, con una leggerezza tale da identificarsi in stupidità; perché era stato lui che si era fatto prendere sotto da quella macchina e dare la colpa al calcio o a qualcun altro, al fato addirittura, era infantilismo bello e buono.

Taro aveva ragione, fino a quel momento aveva vissuto con la testa fra le nuvole, senza considerare la vita come realtà da affrontare, pensando solo ed unicamente allo sport, a dedicarvi tutta la sua vita senza esclusioni di forze. Perché era stato lui l’avventato che aveva dato così tanta importanza a qualcosa di immateriale ed insicuro.

Che riuscisse già a dirselo nonostante fosse passato così poco dalla tragedia, era un buon passo in avanti, un buon segno. Anche se aveva vissuto con la testa altrove, avvolto nella bambagia, le capacità per mostrarsi veramente maturo e non solo per quanto riguardava il calcio e gli amici, le aveva e toccava a quel momento tirarle fuori. Diventare adulto e forte, crescere dove non era mai riuscito fino ad ora.

Da solo forse non ci sarebbe riuscito, l’ammise. Ma con lui, con Taro, si.

Fu una lunga e faticosa trafila per arrivare nell’appartamento di Taro, ma ci riuscirono, una volta entrati la prima cosa che notarono fu il pallone abbandonato insieme al borsone di calcio, si fermarono guardandolo, poi l’amico guardò Tsubasa chiedendosi se non fosse stato indelicato portarlo proprio a casa sua, chiedendosi di nuovo se non fosse il caso di abbandonare il calcio anche lui, se…e i dubbi aumentarono di secondo in secondo. Poi proprio l’ex numero 10 disse improvviso e serio:

- Scusa…mi puoi dare quello?-

Indicando con gli occhi proprio il pallone. Ci fu un attimo di stasi generica in cui il ragazzo si chiese se avesse capito bene, poi semplicemente si mosse e decise di fare come diceva. Una volta avuto fra le mani, Tsubasa, trattenne il respiro. Era da quel giorno che non ne vedeva uno e non ne toccava nemmanco. Aveva uno sguardo molto concentrato, come se cercasse di leggervi qualcosa in quell’oggetto sferico, per un attimo Taro credette che sarebbe scoppiato di nuovo, che sarebbe caduto in una seconda crisi, che…ma poi lo vide alzarlo e portarlo alla fronte, appoggiarlo proprio in mezzo agli occhi, chiuderli a loro volta ed espirare per poi inspirare nuovamente. Capì che stava solo ricordando tutti i momenti passati in sua compagnia, tutte le partite giocate, dalla prima all’ultima, le evoluzioni e le persone incontrate grazie ad esso, capì che in quell’istante stava rivivendo la sua vita, sempre in perenne contatto col calcio…e che gli stava dando il suo addio, il suo saluto. Chiedendosi se ci sarebbe riuscito a starci lontano veramente. Chiedendosi se anche per lui ci fosse qualcos’altro. Ci fosse qualcos’altro oltre quello sport.

Dopo interminabili attimi in silenzio dove a Taro vennero le lacrime agli occhi ma non si mosse, Tsubasa mormorò staccando la testa dalla palla:

- Per me qualcosa ancora…ci sarà…ne sono sicuro…-

Si poteva però catturare tutta l’immensa tristezza, smarrimento e pesantezza con cui diceva quelle cose. Una parte della sua vita era andata, l’aveva salutata, ora doveva chiudere quel capitolo definitivamente ed aprirne un altro. Doveva. Si chiese se ce l’avrebbe effettivamente fatta, poi sentì la mano tiepida del compagno accanto a sé e il respiro, un po’, tornò.

- Penso anch’io. La troveremo…-

Fu così che posò una mano sopra la sua facendosela stringere a sua volta, mentre l’altra che ancora teneva la palla di calcio, lentamente l’alzò fino a farlo cadere a terra, lo vide scivolare e rotolare nel pavimento di quell’accogliente appartamento, poi quando si fermò in un angolo si dissero entrambi che il sipario sul calcio era calato.

Ora avrebbero cercato e trovato quel qualcos’altro che aspettava Tsubasa.

 

FINE

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