La vera storia di Sirius Black

di TrixieBlack
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Grifondoro ***
Capitolo 2: *** Babbane in bikini e tiramisù ***
Capitolo 3: *** Sabato, finalmente! ***
Capitolo 4: *** I signori Lunastorta, Codaliscia, Felpato e Ramoso ***
Capitolo 5: *** Piccoli problemi (più o meno pelosi) e grandi cambiamenti ***
Capitolo 6: *** La prova dei Malandrini ***
Capitolo 7: *** In punizione ***
Capitolo 8: *** Carta igienica, panna montata e fango ***
Capitolo 9: *** Stelle e luna piena ***
Capitolo 10: *** Non trovo un titolo, quindi fate senza. ***
Capitolo 11: *** Palle di neve e occasioni sprecate ***
Capitolo 12: *** La festa ***
Capitolo 13: *** Ehi Evans, vuoi uscire ad Hogsmeade con me?! ***
Capitolo 14: *** A volte anche i Grifondoro hanno paura ***
Capitolo 15: *** La accendiamo?!! Ma sì, accendiamola. ***
Capitolo 16: *** Sedicesimo capitolo ***
Capitolo 17: *** Infortuni notturni e scope da corsa in posti improbabili ***
Capitolo 18: *** La partita ***
Capitolo 19: *** Tra G.U.F.O., sospetti e pianificazioni ***
Capitolo 20: *** Sotto il faggio ***
Capitolo 21: *** La fine della scuola ***
Capitolo 22: *** Tartufo - parte 1 ***
Capitolo 23: *** Tartufo - parte 2 ***
Capitolo 24: *** Grimmauld Place ***
Capitolo 25: *** Per sempre ***
Capitolo 26: *** Il ritorno alla normalità ***
Capitolo 27: *** Incontro notturno ***
Capitolo 28: *** Segreti da proteggere ***
Capitolo 29: *** Tra Zonko, berretti di lana e linguaggi in codice ***
Capitolo 30: *** La notte peggiore ***
Capitolo 31: *** Cantami o Sfrappola l'ira funesta della Filippide Beatrice ***
Capitolo 32: *** L'ultima volta ***
Capitolo 33: *** Amori che finiscono, amori che nascono ***
Capitolo 34: *** Leggi di Golpalott e ronde improvvisate ***
Capitolo 35: *** Proposte di pace ***
Capitolo 36: *** Vacanze in Italia ***
Capitolo 37: *** Di nuovo a Hogwarts ***
Capitolo 38: *** Risvegli, bagni e lezioni sperimentali ***
Capitolo 39: *** Temporali ***
Capitolo 40: *** Ridendo e scherzando ***
Capitolo 41: *** L'inizio ***
Capitolo 42: *** La Septimana Horribilis ***



Capitolo 1
*** Grifondoro ***


PARTE PRIMA

Primo capitolo: GRIFONDORO

Non dimenticherò mai la prima volta in cui misi piede ad Hogwarts. Ogni cosa mi sembrava fantastica, non riuscivo a staccare gli occhi dai mille particolari che mi affascinavano, il soffitto magicamente stellato, le candele sospese a mezz’aria, le quattro immense tavolate da cui centinaia di maghi e streghe guardavano noi piccoli avanzare…

Lo Smistamento. Il mio cuore non batteva, saltava nel petto come un cavallo imbizzarrito, mentre guardavo terrorizzata il Cappello Parlante che, fin troppo velocemente, assegnava ogni studente alla sua casa di appartenenza. Pensavo agitatissima a quello che sarebbe successo a momenti, e a poco a poco persi il filo dello Smistamento. Mi risvegliai bruscamente, con una fitta allo stomaco, quando la voce imperiosa della Mc Granitt, rimbombando nella Sala, mi chiamò: ”Summerland, Beatrice!” Mi mossi verso la sedia, il volto rosso dall’emozione, gli occhi di ogni studente puntati sulla schiena. Mi sedetti, e infilai il logoro cappello, che si afflosciò su un lato, coprendomi un occhio. Una voce inaspettatamente vicina al mio orecchio sinistro cominciò a parlare. “Uhm, sentiamo un po’… Nata Babbana, a quanto vedo…” Non sapevo se rispondergli, mi sembrava una cosa infinitamente stupida parlare con un cappello.
“Grifondoro? …Non mi convince… Tassorosso? No, direi di no… Corvonero, non se ne parla… Serpeverde? Nemmeno….”
Cercando di ignorare la voce fastidiosa del Cappello, cominciai ad osservare gli studenti che, divisi nei quattro grandi tavoli, aspettavano impazienti l’inizio della cena. In quale casa mi sarebbe piaciuto essere smistata? Non lo sapevo, per me non c’erano differenze, volevo soltanto che il Cappello si decidesse.
 Il mio sguardo vagava per la Sala Grande senza una meta, fino a quando non fu catturato dalla vista di quattro ragazzi che, all’estremità più vicina della tavolata a sinistra, ridevano a crepapelle. Li osservai, ammaliata. Avevano qualcosa di diverso, di superiore rispetto alla massa comune di persone che affollava la Sala. Affascinata per chissà quale motivo, mi chiesi perché stessero ridendo così forte. Pensai che mi sarebbe piaciuto essere lì con loro. Si stavano divertendo. Erano felici. E soprattutto, erano amici, molto amici. Ecco forse perché mi piacevano così tanto. Rispecchiavano perfettamente la mia idea di amicizia. Pur non conoscendoli, capivo dal modo in cui parlavano, dal modo in cui stavano insieme, che ognuno di loro avrebbe fatto qualsiasi cosa per gli altri tre.

Senza nemmeno accorgermene, cominciai a sorridere anch’io, influenzata dalle loro risate, fino a quando non mi ricordai, con un certo terrore, che ero ancora seduta sulla sedia, in attesa che quel dannatissimo Cappello, ignaro di tutto, mi smistasse. Mi costrinsi a concentrarmi su quello che diceva. Era ancora molto indeciso, da quel che sentivo.
E intanto i minuti scorrevano. L’interesse della Sala Grande per la mia sorte stava scemando rapidamente. Adesso ero seriamente preoccupata. La paura tipica di ogni nuovo studente di Hogwarts, quella di non essere all’altezza della scuola, sembrava non rivelarsi del tutto infondata, nel mio caso. “Ma perché proprio io???”, pensai disperata. Intanto il Cappello borbottava sempre più sonoramente: “Allora, dove ti mettiamo?! Difficile… Molto difficile…” Lo odiavo, quel cappello, era tutta colpa sua. “Basta che ti sbrighi!”, esplosi alla fine, dimenticandomi che parlare con un cappello era stupido.
“E va bene….”
“GRIFONDORO!!”
Respirai di sollievo e, con il cuore mille volte più leggero, mi avviai salterellando felice verso il boato della tavolata rossa e oro, Grifondoro, la mia Casa, dove i miei nuovi compagni applaudivano esultanti.

Nell’euforia del momento, non feci caso al ragazzo accanto al quale mi sedetti. Solo più tardi, fra un succo di zucca e un arrosto, mi voltai verso di lui e, folgorata, lo riconobbi immediatamente per uno dei quattro ragazzi che mi avevano stregata da lontano.
Alto e slanciato, lineamenti duri e taglienti, capelli scuri, occhi fieri di un grigio indefinito, mi sorrise mettendo in mostra i suoi denti perfetti, con un’espressione gentile e malandrina allo stesso tempo. Alzando il mento, mi tese la mano. “Piacere, Sirius Black.” Timida, restituii il sorriso, dimenticandomi di presentarmi. “Sirius”, pensai solo, “come la costellazione”.
Ed era proprio Sirius la stella che avrebbe illuminato la mia vita.
 

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Capitolo 2
*** Babbane in bikini e tiramisù ***


Secondo capitolo: BABBANE IN BIKINI E TIRAMISÚ

Erano passati tre anni esatti dal giorno del mio Smistamento.
La stazione di King’s Cross era affollata come sempre: stridii di gufi e di altri animali risuonavano dovunque, gli studenti in partenza per Hogwarts salutavano festosi gli amici dopo una lunga estate di separazione, e i piccoli del primo anno, in disparte, scambiavano addii affettuosi e talvolta tristi con le proprie famiglie. Nel complesso, il solito clima gioioso aleggiava nell’aria, e io non vedevo l’ora di partire.

“Mi raccomando, fai la brava.”
“Certo, papi…”. Cercai di nascondere l’impazienza di fronte alle solite raccomandazioni dei miei genitori, mentre i miei occhi saettavano bramosi da una parte all’altra della banchina, cercando di intravedere fra le nuvole di vapore qualche segno familiare. Con un tuffo al cuore, poco lontano dal treno notai una sagoma inconfondibile, che purtroppo scomparve subito, sommersa dal mare di gente.
“Mi mancherete un sacco, davvero…”. Cercai di essere convincente, ma i miei non ci cascarono. Strizzai gli occhi per farli diventare lucidi, ottenendo come unico risultato un sorrisetto scettico da parte di mia madre.
“Ora devo proprio andare, altrimenti perdo il treno!”. Abbracciai prima mia madre, che mi stampò un bacio sui capelli, poi mio padre e infine mia sorella. Provai una fitta di senso di colpa, mi sembrava una cosa profondamente ingiusta il fatto che lei non fosse una strega. “Ciao Fran, ci vediamo presto. Non sentire troppo la mia mancanza eh?!”, le dissi scompigliandole i capelli. Lei sorrise e sbuffò, e fu uno di quei rari momenti in cui sentii di adorarla.
Mi avviai verso la locomotiva rosso fuoco, quasi correndo, poi mi girai un’ultima volta per urlare: “Vi scrivo appena arrivo!!”
Mi feci largo tra la folla, verso il punto in cui mi era sembrato di scorgere qualcuno.
E poi, alla vista di una delle persone a cui voglio più bene in assoluto, mandai un gridolino di giubilo. “REMUS! REMUUUUS!!!!” Mi sbracciai come una forsennata correndogli incontro, e mi lanciai tra le sue braccia travolgendolo in pieno. Lui scoppiò a ridere e ricambiò l’abbraccio.
“Remusmiseimancatounsacco!!!”, esclamai tutto d’un fiato.
“Anche tu, tutto bene? Vedo che ti sei già liberata della tua famiglia…” Guardando il suo volto maturo e intelligente, mi si allargò il cuore.
Remus Lupin era il mio migliore amico. Già dopo una settimana dal mio arrivo ad Hogwarts, quel ragazzo così serio e taciturno mi aveva incuriosita, e capendo che saremmo potuti diventare ottimi amici, avevo fatto di tutto per attirare la sua attenzione. Incredibilmente, ci ero riuscita, anche se era stata tutt’altro che un’impresa facile, dato che Remus passava tutto il suo tempo libero insieme ai suoi tre migliori amici, Peter, James e Sirius, e gli ultimi due mi mettevano molto in soggezione.

“Andiamo a cercare uno scompartimento? Gli altri sono già dentro, penso.”
 “Sì, certo… Mi era parso di vedere Sirius, prima…” Mi interruppi davanti al suo irritante sorriso divertito e gli diedi le spalle, mettendomi in fila per salire sull’Espresso e salutando a destra e a sinistra qualche compagno.
Nel corridoio del treno, guardai all’interno di ogni scompartimento, tentando di soffocare la trepidazione, alla ricerca degli altri tre componenti del quartetto più carismatico della scuola.
Li trovai quasi subito. Peter non c’era, ma la porta del loro scompartimento era già chiusa. Prima di aprirla, aspettai che arrivasse anche Remus, e rimasi per un po’ a guardarli indisturbata. James e Sirius chiacchieravano allegramente. Mi ricordai della prima volta in cui li avevo visti, durante il mio Smistamento, e mi persi nei ricordi. Erano così belli, tutti e due…
James Potter, magro, con i capelli neri e spettinati, stravaccato sul sedile con la sua espressione ribelle che, insieme al formidabile talento nel Quidditch, conquistava tante ragazze, e Sirius Black, elegante nella sua trascuratezza, i folti ricci bruni un po’ più lunghi di come li ricordavo, un ghigno strafottente che gli incurvava all’insù le labbra piene.
Probabilmente i due ragazzi più popolari della scuola.
Mi decisi ad entrare.
“Posso sedermi con voi? Gli altri scompartimenti sono tutti occupati…” feci gli occhioni da cucciolo indifeso.
“Ciao Scricciolo!”, mi salutò vivacemente James.
“Quattrocchi, quanto tempo che non ci si vede…”, gli risposi a tono. Io e James adoravamo prenderci in giro a vicenda. Poi, dopo un’ impercettibile esitazione aggiunsi, rivolta all’altro ragazzo: “Ciao, Sirius.”
“Ciao Beatrice, passato belle vacanze?”, mi rispose lui sorridendo.
“Sì, grazie. Sono stata dai nonni in Italia. E tu?”
Il suo bel volto s’incupì. “Un inferno, non vedevo l’ora di tornare”. “Sai James, ho riarredato la mia stanza!”, concluse illuminandosi di nuovo. “La mia adorata famiglia non ha molto apprezzato, mia mamma si è quasi presa un colpo quando è entrata..”. Ora sghignazzava, felice.
Dopo un colpetto alla porta, entrarono anche Remus e Peter, che si sedettero dal lato opposto e presero immediatamente parte alla conversazione.
 
Passammo il resto del viaggio piegati in due dalle risate, a parlare dei poster delle ragazze Babbane in costume che Sirius aveva appeso in camera sua e a ingozzarci di Cioccorane e Gelatine Tutti i Gusti + 1, ben sapendo che ad Hogwarts ci aspettava un grandioso banchetto.
Fuori dai finestrini, il paesaggio era ormai buio, e qualche stella cominciava ad apparire timida nel cielo color indaco. Dopo ore di scherzi e chiacchiere ininterrotte, anche nel nostro scompartimento alla fine calò il silenzio. Stanchi, rimanemmo a guardarci sorridendo. Per la prima volta nella giornata, mi sentii terribilmente a disagio. Ero un’intrusa, in mezzo a loro, e anche se ero più o meno loro amica non c’entravo niente,  sicuramente non vedevano l’ora di liberarsi di me per restare soli. Maledicendomi per non averlo fatto prima, mi alzai di scatto: “Io… vado dalle mie amiche, non ci siamo ancora viste.” Salutai frettolosamente e raggiunsi le mie compagne di dormitorio, Georgia, Heloïse e Juliet, che si trovavano dall’altra parte del treno, e rimasi in loro compagnia fino a quando la locomotiva non si fermò.
 
Le carrozze si inerpicavano lentamente su per la salita che portava ad Hogwarts, costeggiando il lago. Le luci delle finestre si riflettevano tremule sulla liscia superficie dell’acqua, insieme allo spicchio di luna che faceva capolino sopra la cima delle montagne. Guardai il castello che si avvicinava sempre di più, emozionata come non mai, pensando che mi aspettava un altro anno da vivere in questo posto magico.
 
Il banchetto era ancora meglio di quanto mi ricordassi. Mangiai e mangiai, per la gioia della mia pancia perennemente affamata, lasciandomi andare in esclamazioni estasiate ogni qualvolta compariva un nuovo piatto. Di tanto in tanto incrociavo lo sguardo di Sirius e, quasi involontariamente gli sorridevo.
La mia felicità raggiunse il culmine quando, insieme ai dolci, apparve il tiramisù. “Evvai!!!!” urlai alzando il pugno a mezz’aria in segno di trionfo e facendo ridere i miei vicini di tavolo.
 
Alla fine, esausta e inebriata dal cibo, mi coricai nel mio morbido letto rosso e oro che mi era tanto mancato, avvolgendomi nelle lenzuola candide e fresche. “Vi voglio bene”, sussurrai alle mie amiche. Ma non feci in tempo a sentire la loro risposta: ero già sprofondata in un sonno beato.

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Capitolo 3
*** Sabato, finalmente! ***


Terzo capitolo: SABATO, FINALMENTE!

 
Quella mattina mi svegliai di buon umore, pensando che finalmente era arrivato il sabato. La settimana era stata traumatica ed era passata con una lentezza esasperante, fra una lezione e l’altra. Dopo un’estate di dolce far niente i professori ci avevano colti alla sprovvista assegnandoci una montagna di compiti a dir poco scandalosa, con la scusa che “dovevamo riprendere il ritmo dello studio.” Bella roba. Finalmente però era arrivato il week-end. Sorrisi fra me e me e mi stiracchiai.
La stanza era illuminata dalla luce del sole nascente, una palla arancione che colorava il lago dello stesso colore. Doveva essere passato poco tempo dall’alba. Guardai l’orologio babbano che avevo al polso: segnava le sei e trentacinque. Le mie compagne dormivano ancora. Mi alzai, sempre sorridendo felice, infilai le pantofole e uscii dal dormitorio, rovesciando per sbaglio il mio baule. “Chissenefrega, sistemo dopo”, pensai allegramente.
Il castello era deserto. Scesi un piano dopo l’altro, una volta sbagliai strada e mi ritrovai in una stanza circolare piena di specchi, che non avevo mai visto.
Alla fine arrivai nei pressi delle cantine, dove si trovava la Sala Comune dei Tassorosso. Svoltai in un corridoio leggermente in discesa e mi fermai di fronte ad un ampio quadro raffigurante un vaso di frutta. Allungai il dito indice e feci il solletico ad una pera panciuta nell’angolo, che si agitò con un risolino. La porta si aprì con uno scatto. Non feci in tempo ad entrare che fui accerchiata da un gruppetto di elfi domestici. “La signorina desidera qualcosa?”, mi chiesero nel solito tono servile, con mio grande imbarazzo.
“Ehm, sì grazie… vorrei qualcosa da mangiare, se è possibile, oggi io e le mie amiche volevamo fare un pic-nic al lago…”. Mi sentii terribilmente in colpa, gli elfi domestici erano già abbastanza sfruttati senza che mi ci mettessi anch’io.
Un piccolo elfo vicino ad uno dei tavoli, a quelle parole, preso un vassoio cominciò febbrilmente a riempirlo di dolci, panini, tazze di tè, fette di torta.
Mi avvicinai a lui. “Tu sei Dobby, vero?”
L’elfo annuì felice sbatacchiando le grosse orecchie da pipistrello. “La signorina si ricorda di Dobby!”, disse mentre i suoi enormi occhi verde erba si riempivano di lacrime di gioia.
“Certo che mi ricordo di te, Dobby!”, esclamai afferrando il vassoio decisamente troppo pesante per le esili braccine dell’elfo, che infatti stava per cadere a terra.
“Grazie mille Dobby, non dovevi disturbarti!”, lo ringraziai.
“Arrivederci signorina, torni pure quando vuole!”
 
Maledicendo il fatto che la Torre di Grifondoro dovesse essere così lontana dalle cucine, mi avviai faticosamente verso la Sala Comune, senza fare troppo caso alle occhiate perplesse dei pochi studenti insonnoliti che incontravo. Ero al terzo piano quando mi fermai di botto, rovesciando un po’ di tè per terra. Dietro l’angolo, sentivo chiaramente la voce di Gazza che urlava contro qualche povero studente. “E VOGLIO VEDERE SE QUESTA VOLTA NON ASSAGGERETE LA FRUSTA!”
Non feci in tempo a nascondermi che Gazza spuntò nel corridoio, trascinando per un orecchio James e Sirius. Chissà cosa avevano combinato, mi chiesi. Si vedeva anche da lontano che stavano cercando accuratamente di non incrociare gli sguardi per non scoppiare a ridere. Quando Gazza mi vide, i suoi occhi schizzarono quasi fuori dalle orbite per la rabbia e le sue guance flosce si chiazzarono pericolosamente di viola. “Disgraziata, cos’hai combinato!”, urlò bellicosamente. “ATTENZIONE, LADRA SI AGGIRA NEL CASTELLOOO!”, ululò rivolto verso i piani superiori. Sirius scosse la testa con aria di finto rimprovero, e mi fece l’occhiolino.
“Niente, non ho fatto niente!”, risposi a Gazza scappando a gambe levate, per quanto me lo consentiva il peso del vassoio. In lontananza sentii le risate di James e Sirius.
 
Quando arrivai in camera, visto che avevo le mani occupate aprii la porta con un calcio ed entrai urlando: “Stamattina colazione a domicilio!”
Le tre Belle Addormentate erano ancora a letto. Georgia, vedendomi, sgranò gli occhi azzurri, Heloïse sbadigliò, probabilmente non si era nemmeno accorta della mia presenza. Juliet dormiva ancora, naturalmente. Mi avvicinai al suo letto e la scrollai. “Juliet, Juliet, chi dorme non piglia pesci e il mattino ha l’oro in bocca… Mangiamo? Mi ha dato tutto Dobby.”Per tutta risposta, si girò dall’altra parte e, dopo essersi sistemata la frangia castana, riprese a dormire, con un braccio sopra il viso per coprirsi dalla luce.
Presi un pancake e lo divorai. Heloïse mi imitò.
 
Un’ora dopo eravamo distese al sole sull’erba soffice, in riva al lago, ad ascoltare il frusciare del vento tra gli alberi e il cinguettio allegro degli uccellini, finalmente libere di goderci il tempo ancora estivo. Se fosse stato per me non avrei esitato a fare il bagno, ma le mie amiche si erano categoricamente rifiutate.
Restammo nel parco tutto il giorno, fino a quando non cominciò a fare freddo.
 
La sera, dopo cena,  ero acciambellata su una confortevole poltrona un po’ sgualcita, di fronte al camino spento della Sala Comune, del tutto presa dalla lettura di uno dei miei libri.
  “Scricciolo?” James, spuntato dal nulla, si appollaiò sul bracciolo della mia poltrona.
“Mmm?”
“Cosa fai?”
“Secondo te?!”, dissi sbuffando infastidita.
“Che libro è?”
“Orgoglio e pregiudizio. Èun romanzo babbano e ora te ne puoi anche andare.”
“Scricciolo?” Ovviamente era ancora lì.
“Cosa vuoi, James?”. Chiusi il libro e lo guardai seccata.
“Niente! Volevo solo chiederti da quanto tempo ti piace Sirius”. Fece un sorriso angelico. E io mi sentii gelare.
“Cosa scusa?” Feci finta di non aver sentito.
“Da quanto tempo ti piace Sirius?”
“Cosa stai dicendo, Quattrocchi?”, chiesi cercando di simulare incredulità. Non arrossire, non arrossire, pensavo intanto con tutte le mie forze. Come naturale conseguenza, diventai color porpora.
“Ah-haaa, sei arrossita!”, eslamò James trionfante. “Ti piace Sirius, ti piace Sirius…”, si mise a cantilenare a voce sempre più alta.
Non sapendo cosa fare, cercai di tappargli la bocca, ma nel farlo mi detti troppo slancio. James perse l’equilibrio e cadde giù dalla poltrona, trascinandomi a terra. Mi misi a schiaffeggiarlo selvaggiamente, tentando di farlo smettere, mentre lui cantava ormai a squarciagola.
“Non! Mi! Piace! Sirius!” gli urlai accompagnando ogni parola con un pugno.
“…Ahi!... Un portamento… così nobile e fiero… Ahiaa!... Toujours pur…”. Era scosso dalle risate e si dimenava come un lombrico, ma nonostante tutto continuava imperterrito a decantare le lodi dell’antica e nobile Casata dei Black.
“BEH SENTI CHI PARLA!”, sbraitai alla fine, perdendo il minimo di ragione che ancora mi rimaneva. “HAI UN BEL CORAGGIO, PROPRIO TU CHE SBAVI DIETRO A LILY DA CINQUE ANNI QUANDO LEI NON NE VUOLE SAPERE DI TE!!”. Per un secondo ammutolì, guardandomi a bocca aperta, poi con una spavalderia che non potei fare a meno di ammirare, riprese fiato e tentando di tenermi ferma ricominciò: “Quello sguardo… così seducente… AHIAAAA!”. Gli avevo morso una mano.
Continuammo a picchiarci furiosamente, e saremmo andati avanti ad oltranza  se la porta della Sala Comune non si fosse aperta all’improvviso, facendo entrare due persone.
Ci paralizzammo di colpo, inorriditi,  io con una mano che tentava di strangolarlo e l’altra che gli tirava una ciocca di capelli, lui con un piede che mi schiacciava la testa.
 
Sirius e Lily, immobili come due statue, ci guardavano esterrefatti.

 

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Capitolo 4
*** I signori Lunastorta, Codaliscia, Felpato e Ramoso ***


Quarto capitolo: I signori Lunastorta, Codaliscia, Felpato e Ramoso

 
Io e James scattammo in piedi come due molle ed esclamammo in coro: ”Cosa state facendo?”
Vedere  Sirius e Lily insieme ci aveva sconvolti. “Che due poveri depressi.”, pensai.
“No…”, disse Sirius scuotendo la testa, incredulo. “Cosa state facendo voi!”
“James…”, continuò scandalizzato. “Non mi dire che stavi picchiando alla Babbana una ragazza… più piccola di te, fra l’altro.” “Un conto è Mocciosus…”aggiunse ignorando le occhiate velenose di Lily, “… Ma questo va contro i nostri principi morali!”
James, accaldato per la recente lotta, divenne ancora più rosso. “Ha cominciato lei!”. Lily lo guardò, disgustata.
“Non è vero!”, replicai io.
“Ti ha fatto male?”, mi chiese Lily, sempre guardando torva James.
“No”, le risposi corrucciata e più aggressivamente di quanto avessi voluto. Lily era simpatica, una tosta, ma in quel momento non riuscivo a togliermi dalla testa l’immagine di lei e Sirius davanti alla porta, inspiegabilmente insieme.
“Ma cosa è successo?!”, chiese Sirius rivolto a tutti e due.
Io e James ci guardammo un attimo, e arrossimmo entrambi.
“Prova a dirgli una sola parola e giuro che sei un uomo morto, James Potter.”, gli sussurrai tra i denti.
“Niente”, risposi poi a Sirius.
 Mi spolverai i jeans e schizzai fuori dalla Sala Comune. Anche se erano solo le otto mi buttai sul letto e chiusi le tende, per rimanere sola.
La consapevolezza di quello che era successo mi crollò addosso. Nascosi la testa sotto il cuscino, le guance roventi dalla vergogna. Sirius aveva sentito il nostro litigio? E se anche non aveva ascoltato, gliel’avrebbe detto James? In fondo era il suo migliore amico… Ma era così evidente che Sirius mi piaceva? Avevo sempre cercato di nasconderlo, eppure se ci era arrivato James, che in queste cose non era proprio il massimo della perspicacia, era grave.
E infine: a Sirius piaceva Lily? Perché prima erano insieme? Quei due si erano sempre odiati. “No…”, mi contraddisse una vocina ragionevole e odiosa dentro la mia testa. “Lily odia Sirius, ma lui è sempre stato gentile con lei…”
Sentii la gelosia agitarsi repentinamente nella mia pancia. Lily era bella. Capelli rossi e occhi di un verde stupefacente… Quello che ogni ragazza avrebbe voluto essere, insomma. E, come se non bastasse, era anche simpatica. Merlino, quanto la odiavo in quel momento!
 
Restai a tormentarmi con domande senza risposte, fino a quando non mi arresi all’idea che quella notte non sarei mai  riuscita a dormire. E mi venne in mente la soluzione: Remus.
Aprii le tende e scesi dal letto. Faceva freddo, quindi presi una felpa a caso dal baule e la indossai. Uscii dalla camera e salii le scale che portavano al dormitorio maschile. Mi fermai davanti alla porta socchiusa, in ascolto. Dalla stanza non proveniva nessun rumore.
“Remus!”, bisbigliai. “Psssh, Remus!”. Nessuna risposta. Strano, di solito aveva il sonno molto leggero. Aprii un po’ di più la porta e guardai all’interno. Un raggio di luce lunare illuminava uno spicchio del letto sotto la finestra: era vuoto. Entrai e mi guardai attorno.
Ero sola.
 
Sospirai avvilita e mi lasciai cadere stancamente sul letto sotto la finestra. Ai miei piedi c’era un baule, le iniziali SB che rilucevano dorate nel buio.  Inspirai il profumo delicato ma pungente delle lenzuola e mi rannicchiai sul bordo del materasso, abbracciando il cuscino. Dov’erano andati? Perché dovevano sempre scappare?!
Con un piede urtai qualcosa sul fondo del letto. Sembrava un pezzo di carta. Mi tirai a sedere e scostai le lenzuola. Sul materasso, tutta spiegazzata, c’era una vecchia pergamena. Accesi la luce e la aprii, ma era vuota. Stavo per rimetterla dove l’avevo trovata quando dal centro del foglio cominciarono ad apparire una dopo l’altra delle parole, scritte con una grafia ordinata, in inchiostro nero. Mi affrettai a leggerle, temendo che scomparissero nuovamente. 


Il signor Lunastorta porge i suoi ossequi a mademoiselle Beatrice
e la prega di farsi gli affaracci suoi, se ci riesce.
Il signor Codaliscia è d'accordo con il signor Lunastorta, e ci tiene ad aggiungere  

che mademoiselle Beatrice è una grandissima idiota.
Il signor Felpato vorrebbe sottolineare il suo stupore
 per il fatto che una nanetta del genere riesca ad essere così ficcanaso.
Il signor Ramoso, infine, augura una buona notte alla sopraccitata nanetta, e le dà un consiglio:
torna nel tuo dormitorio, pervertita.
 

Sorrisi, scossa da risate silenziose. Certo che ne avevano, di fantasia… Schiacciai il naso contro il cuscino, sempre ridendo, la depressione di poco prima momentaneamente scomparsa. Rimasi a pensare a Lunastorta, Codaliscia, Felpato e Ramoso  chiedendomi che significato avessero quei nomi strambi.
“Lo devo chiedere a Remus, la prossima volta che lo vedo…” 

 

***


Un colpetto leggero sulla spalla. Poi un altro, un po’ più insistente. “No, non sono Biancaneve. E neanche Brontolo.”, borbottai ancora nel dormiveglia.
“…Beatrice?” Una voce vagamente preoccupata.
“Cosa c’è?!!” Aprii gli occhi, infastidita, e mi trovai a fissare un volto che, a pochi centimetri dal mio, mi scrutava con una certa apprensione.
“Aaaaah!”, strillai spaventata, e mi nascosi sotto le coperte. Poi mi resi conto che c’era qualcosa che non andava. 
“Oh no. Oh no oh no oh no, ti prego fa che non sia vero. È un sogno. È un sogno. Torna a dormire, dai.” Chiusi gli occhi e feci un profondo respiro, cercando di addormentarmi.
“Beatrice!”. Qualcuno mi scrollò con forza. E va bene, pensai terrorizzata. Tanto non avrei potuto rimanere lì per sempre. E magari, c’era davvero la possibilità che fosse solo un sogno. Aprii gli occhi. No, non era  un sogno. E decisamente, quella non era la mia camera. Molto lentamente, posai gli occhi su colui che mi aveva svegliato. Sentii le viscere che mi si attorcigliavano. Sirius mi fissava con un’espressione strana. “Stai bene?”, mi chiese.
Rimasi in silenzio, aspettando l’arrivo della fatidica domanda.
“Ehm, posso chiederti cosa ci fai nel mio letto?” Appunto.
 “Beh. Ehm. Sai. Il tuo è più morbido, ecco.”
Il tuo è più morbido?!?!! Va bene, il mio cervello aveva davvero qualcosa che non andava. E Sirius doveva pensare lo stesso. Alzò le spalle, con disappunto. Io mi alzai, desiderosa di andarmene il prima possibile.
 
Solo in quel momento mi accorsi che dietro Sirius c’erano Peter e James. Quest’ultimo, quando gli passai di fianco, mi rivolse un ghigno divertito e una strizzatina d’occhio fin troppo allusiva. Io mi passai un dito sopra la gola in un gesto eloquente e lo fulminai con lo sguardo, ancora infuriata dalla sera prima.
 
Ero circa a metà strada quando mi ricordai di una cosa e feci dietrofront. Tornai nel dormitorio maschile e, trovando la porta chiusa, bussai, sperando vivamente che non venisse ad aprirmi Sirius.
James socchiuse la porta.
“Scricciolo! Vuoi usufruire ancora un po’ della morbidezza del letto di Sirius? ”, mi disse facendomi entrare. Mi fermai sulla soglia. “No, volevo sapere dov’è Remus.”
“È malato.”, mi rispose un po’ troppo precipitosamente.
Inarcai le sopracciglia, scettica. “Di nuovo?!”
“Lo sai che è cagionevole di salute! Avrà preso freddo ieri …”
“E stanotte dov’eravate?”
James mi sbattè la porta in faccia. Preferii non insistere e tornai in camera mia, molto poco convinta.

 

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Capitolo 5
*** Piccoli problemi (più o meno pelosi) e grandi cambiamenti ***


Quinto capitolo: PICCOLI PROBLEMI (PIU’ O MENO PELOSI) E GRANDI CAMBIAMENTI

 
Non rividi Remus per più di due settimane.
James e Sirius, inflessibili nel loro silenzio, si rifiutavano assolutamente di dirmi cos’avesse, anche se una volta li avevo sentiti parlare del piccolo problema peloso del loro amico. Non ero però riuscita a capire di cosa si trattasse. Che stesse allevando di nascosto qualche bestia pericolosa, un cucciolo di Acromantula o qualcosa del genere? Poco probabile. Non mi era concesso nemmeno di andarlo a trovare, così una notte, al limite dell’esasperazione, mi ero alzata di nascosto e avevo cercato di forzare la porta dell’infermeria: ovviamente madama Chips mi aveva sentito ed era arrivata come una furia.
Da quella volta avevo rinunciato ad ogni tentativo di vedere il mio migliore amico, e sarei certamente sprofondata nella depressione più totale, se non fosse stato per Sirius. Incredibilmente, sembrava aver deciso di colmare il vuoto lasciato dall’assenza di Remus, e rendendosi conto di quanto fossi giù di morale mi teneva compagnia in ogni momento. Non eravamo mai stati molto in confidenza io e lui, passavo molto più tempo con James, anche se non andavamo molto d’accordo. Eppure improvvisamente aveva cominciato a venirmi a prendere e accompagnarmi da una lezione all’altra, il pomeriggio mi aiutava a studiare, e nei momenti liberi chiacchieravamo del più e del meno, come se fossimo stati amici di lunga data. Ero stupita e lusingata da questo cambiamento, anche se ero convinta che mi trattasse così perché aveva capito di piacermi e perciò, non ricambiando i miei sentimenti, si sentiva in colpa. Era una cosa piuttosto umiliante, ma purtroppo non potevo negare quanto mi facesse piacere quando mi prendeva per mano sorridendo e mi chiedeva com’era andata a lezione.
 
La mia sorpresa aveva raggiunto il culmine quando sabato mattina, uscendo dal dormitorio, avevo trovato le scale trasformate in un lungo scivolo. Ai piedi dello scivolo mi aspettava Sirius, le labbra dispiegate in un ghigno dannatamente affascinante.
“Cos’hai per lunedì?”                                                                           
“Trasfigurazione, Erbologia…”, avevo risposto sbadigliando un po’ disorientata.
 “Prendi tutto. Hai un costume da bagno?”
“Sì cer…” COSA?!! COSTUME DA BAGNO?!?
“Un… Un costume da bagno?!”
“Andiamo al lago.” Mi aveva spiegato allegro.
“Oh. Vado a prendere tutto!”
 
Nemmeno nei miei migliori sogni, che pure erano molto fantasiosi, avrei potuto immaginare una giornata più bella.
Distesi sull’erba, testa contro testa, restammo tutto il giorno insieme, indisturbati, a parlare. “Sirius…”
“Sì?”
“Mi chiedevo… ultimamente passi molto più tempo con me, rispetto ad una volta… Come mai?” Ma per la barba di Merlino, un suggerimento per una domanda più stupida?
“Beh… ho visto che Remus ti manca.”, rispose lentamente, ad occhi chiusi. “… E non volevo che ti deprimessi del tutto. Sei mia amica!”
Mi girai dall’altra parte, per nascondere il largo, stupidissimo sorriso che mi illuminava il volto.
“Sei molto amica di Remus vero?” Nemmeno la sua era una domanda intelligentissima. Magra consolazione.
“Sì… non so come farei senza di lui…”, sussurrai con un velo di malinconia nella voce. Sirius mi prese la mano, e cominciò a studiarne le linee.
“Non preoccuparti, ormai dovrebbe essere guarito.”, mi rassicurò. Con la coda dell’occhio lo guardai. Rimasi incantata a seguire il suo profilo, altezzoso e vagamente arrogante, gli zigomi pronunciati, il naso diritto e le labbra carnose, concentrandomi sulla meravigliosa sensazione delle sue dita che accarezzavano il mio palmo, sui brividi che dalla mano salivano, attraversavano il braccio, si diffondevano in tutto il corpo…
“Facciamo il bagno?” Sirius si alzò e si tolse la maglietta. I raggi del sole scolpivano i muscoli appena accennati e illuminavano la sua pelle diafana. In una storia di vampiri non sarebbe stato fuori luogo.
Si tuffò con eleganza, increspando appena la superficie scura del lago, e riemerse dopo pochi secondi, il viso splendente e divertito.
“Vieni, non è fredda!”, mi chiamò.
Mi sfilai i vestiti e presi la rincorsa, per poi lanciarmi a bomba nell’acqua gelida, strillando e spruzzando tutt’attorno. Quando tornai a galla, sputacchiando, strizzai gli occhi alla ricerca di Sirius.
“MENO MALE CHE NON ERA FREDDA EH?!!”, urlai tossendo come una povera demente.
Sirius sghignazzò, incurante del fatto che stavo per annegare.
 “Ti facevo più coraggiosa, sai?”, mi punzecchiò.
Nuotai faticosamente verso di lui, cercando di sembrare spavalda, e commentai tra un brivido e l’altro: “In effetti non è poi t-t-tanto fredda. È stato solo l’impatto i-i-i-iniziale…”
La mia voce venne coperta dalle sue risate fragorose.
Mi misi a pancia in su, a stellina, riscaldandomi al  tepore del sole di mezzogiorno, cullata dalle piccole onde. Ad un certo punto, venni colta da un dubbio improvviso. Mi girai verso Sirius che, nella mia stessa posizione, sembrava quasi addormentato.
“Ma… Sirius? Si può fare il bagno nel Lago Nero, vero?”
Socchiuse pigramente gli occhi, mentre le sue labbra si allargavano a dismisura in un ghigno tremendo.
“Paura della piovra??”, mi chiese ironico.
“Sirius. Si può fare il bagno nel Lago Nero sì o no?”
“In che senso?” Se la stava spassando un mondo.
“Quanti sensi dovrebbero esserci, secondo te?!”, strillai esasperata.
“Ti scaldi così facilmente…”, commentò placidamente.
“Mi. Rispondi. Per. Favore? ”
“ E se anche non si potesse?”, mi chiese sogghignando. “E comunque, io e James l’abbiamo fatto un sacco di volte, e non è mai successo niente!” concluse soddisfatto.
“Ti voglio bene.”, sospirai trattenendo a stento un sorriso.
“Anch’io”, mi rispose. “E anche la piovra”, aggiunse subito dopo con uno dei suoi sorrisi beffardi.
 
 

***
 
 

Finalmente una mattina, mentre attraversavo uno dei corridoio del quarto piano, vidi Remus insieme ai suoi amici. Mi misi a correre, con un sorriso talmente ebete stampato sul volto che se non fossi stata così felice certamente me ne sarei vergognata. Quando ero pochi metri dietro di lui accelerai e saltai con slancio sulle sue spalle con un gioioso urlo selvaggio, facendolo sobbalzare. Rimasi  abbarbicata alla sua schiena come una scimmietta, le braccia strette attorno al suo collo, il viso affondato nel suo maglione. Poco distante, due ragazze del secondo anno osservavano la scena con una rivoltante espressione languida e sognante dipinta sul viso, come se trovassero la cosa “dolce”. In effetti, un sacco di gente nel corso degli anni si era fatta l’idea che io e Remus stessimo insieme (con mio grande divertimento e sua grande irritazione).
“Bea… Pesi…”, gemette Remus.
“Oh , già!” Scivolai giù e mi misi di fronte a lui, per osservarlo attentamente. Era pallidissimo, più magro del solito, e dietro il sorriso i suoi occhi ambrati apparivano tristi e stanchi. Un profondo taglio attraversava diagonalmente la sua guancia destra.
“Remus… Cos’hai fatto?!”, balbettai sconvolta.
Non l’avevo mai visto in quello stato, nonostante molto spesso si ammalasse.
Fece una smorfia. “Lo sai, sono stato malato!”
Decisi che in quel momento le domande potevano aspettare. Lo presi per mano e mi avvicinai di più.
“Non sai quanto mi sei mancato, cavolo.”, sussurrai piano. E mi resi conto in quel momento di quanto sarebbe stata vuota la mia vita senza di lui.
Uno sbuffo alla sinistra di Remus. Mi voltai. Sirius camminava a testa bassa, imbronciato. Automaticamente mi guardai attorno, pensando di vedere Lily con qualche ragazzo. Invece eravamo soli. Lanciai un’occhiata interrogativa a Remus, indicando con il mento il volto cupo ma non per questo meno attraente del suo amico. Remus alzò un sopracciglio e sorrise misteriosamente.
In quel  momento suonò la campanella di inizio lezione. Mi separai di malavoglia dal mio migliore amico e mi incamminai verso l’aula di Incantesimi, rimuginando sull’insolito comportamento di Sirius.
 
La sera, dopo cena, aspettai Remus in Sala Comune. Avevo un sacco di cose da chiedergli.
Quando arrivò non gli lasciai il tempo di sedersi e cominciai immediatamente a parlare. Gli raccontai di quando io e James ci eravamo picchiati, di quando la notte ero andata a cercarlo, dei miei sospetti su Lily, della vergogna quando pensavo che Sirius probabilmente conosceva i miei sentimenti, e dei meravigliosi momenti passati con lui. Era una cosa bellissima stare lì, e sputare tutto quello che mi tenevo dentro e che non potevo confessare a nessun altro se non a lui, poter parlare con una persona di cui mi fidavo ciecamente, essere rassicurata, essere consolata, e al tempo stesso sapere che anche lui aveva bisogno di me, di qualcuno che lo proteggesse…
Lo guardai dritto negli occhi, seria.
“Remus. Non penserai, vero, che io mi sia bevuta la storia dell’influenza cronica?”
“Ascoltami bene, Beatrice.” Pronunciò il mio nome con veemenza, in un modo che mi ricordava mia madre quando mi sgridava.
“Tu sei la mia migliore amica. E ti assicuro che se avessi qualcosa da dirti, te lo direi. Devi fidarti di me.”
Abbassai lo sguardo,  sconfitta. Era ovvio, l’avrei dovuto capire da sola che se Remus non voleva parlarmene doveva esserci un motivo.
“Scusa…”, sussurrai avvilita. “Non volevo… farti arrabbiare. Davvero.”
Mi sorrise stancamente. “Forse… un giorno… Ti spiegherò tutto. Te lo prometto.”
Annuii, e decisi di cambiare argomento una volta per tutte.
 “Ma secondo te Lily e Sirius…”
Aspettai col fiato sospeso, mentre mi guardava pensieroso.
“No. Non penso proprio. Anche se… dei sospetti su Sirius a dir la verità mi sono venuti.”
“Davvero? Chi è?”, chiesi avida, sapendo che la sua risposta mi avrebbe definitivamente fatto star male. Sgranò gli occhi e mi guardò stupito. Lo conoscevo troppo bene per poter far finta di non aver capito cosa voleva insinuare. Affogai la piccola speranza che si era accesa nel mio cuore in un mare di buonsenso. Non poteva essere. Tirai fuori il mio miglior tono sarcastico.
“Ceeeerto, Remus. È meglio se vai a dormire, sai? O forse ti avevano messo qualcosa nel succo di zucca??”
Si stiracchiò, con un largo sorriso. “Sì, penso proprio che andrò a dormire.” Si alzò e mi diede le spalle.
Era ormai sui primi scalini quando lo chiamai: “Ehi Remus, un’ultima cosa…” Aspettai che si voltasse.
“Sei tu Lunastorta, vero?”
Mi guardò con gli occhi spalancati, confuso e stupito. Ci ho preso!, pensai trionfante.
 

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Capitolo 6
*** La prova dei Malandrini ***


Sesto capitolo: LA PROVA DEI MALANDRINI

 

Era ormai sui primi scalini quando lo chiamai: “Ehi Remus, un’ultima cosa…” Aspettai che si voltasse.
“Sei tu Lunastorta, vero?”
Mi guardò con gli occhi spalancati, confuso e stupito. Ci ho preso!, pensai trionfante.
 
“Co.. come…” balbettò dopo molti secondi.
“La pergamena sul letto di Sirius.”, spiegai in fretta. “Comunque ho indovinato? Sei tu Lunastorta?”, lo incalzai, sentendomi potente per averlo lasciato stupefatto.
“Sì, ma… come…?” Sembrava quasi spaventato.
“Beh, gli altri tre nomi non avevano molto senso, quindi ho provato a capire chi fosse Lunastorta e ho pensato…”
“Hai pensato…?”, mi spronò lui, impallidendo leggermente.
Dopo un secondo di pausa ad effetto (essere ascoltata da qualcuno che pendeva letteralmente dalle mie labbra era esilarante), proseguii atteggiandomi a grande detective: “O tu o Sirius. Però, ipotizzando che il nome indichi una caratteristica importante della persona a cui si riferisce…” Un'altra pausa. “…aveva più senso che fossi tu.”
“Perché?”, mi chiese lui, bianco come un lenzuolo.
“Beh sai, ci sono quei periodi in cui sei così cupo e… a dir la verità sono andata ad istinto.”, ammisi a malincuore.
Remus riprese velocemente colore.
 
“Vieni”, mi intimò prendendomi per un braccio. Lo seguii rassegnata, pensando alla ramanzina che sicuramente mi aspettava, mentre mi trascinava verso il suo dormitorio. Quando entrammo, James, Sirius e Peter, che si stavano tirando delle gran cuscinate insultandosi allegramente, si fermarono preoccupati.
“Beatrice ha trovato la Mappa. ”, annunciò Remus. Io arrossii colpevole, pur non sapendo cosa fosse la Mappa.
Sirius mi guardò con astio. James venne verso di me, furioso, e io mi ritrassi, nascondendomi dietro a Remus.
“Gliela facciamo vedere?”, propose Remus tranquillamente. James aprì la bocca, pronto a protestare, ma poi la richiuse e alzò le spalle, imitato da Sirius. “Tanto è troppo ficcanaso. Lo capirebbe comunque.”, acconsentì.
“È un complimento?”, lo rimbeccai.
Remus ci zittì e tirò fuori da un cassetto la pergamena sgualcita che mi aveva simpaticamente insultata qualche settimana prima.
“Sirius, a te l’onore.” La porse a Sirius, che prese la bacchetta e si schiarì la voce. Ci avvicinammo tutti a lui.
Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.”, sentenziò teatralmente, puntando la bacchetta al centro del foglio.
Come avevo già visto accadere, delle parole apparvero dal nulla.
 

 
I signori Lunastorta, Codaliscia, Felpato e Ramoso sono lieti di presentarvi
la Mappa del Malandrino
 

 

Aggrottai la fronte, perplessa, mentre una serie di puntini e linee spezzate cominciava a riempire la vecchia pergamena. Non riuscivo ancora a capire di cosa si trattasse.
Dopo qualche attimo, avvicinandomi di più, esclamai: “Ma è… la mappa di Hogwarts!”
“Con tutti i passaggi segreti!”, puntualizzò Remus.
”No, aspetta…”, aggiunsi guardando meglio. “Quelli sono…” Senza parole, indicai freneticamente con la mano i puntini dotati di targhette che si muovevano all’interno della mappa.
“Sì, persone! Per la precisione, ogni studente, professore, fantasma di Hogwarts.”, mi venne in aiuto Sirius, che sprizzava orgoglio da ogni poro. “Guarda qua”, aggiunse indicando un angolo in cima alla mappa cinque puntini. Lessi le targhette: James Potter, Beatrice Summerland, Peter Minus, Sirius Black, Remus Lupin.
Strappai la mappa dalle mani di Sirius e mi misi a saltare per la stanza, correndo da un lato all’altro come una pazza squilibrata, senza staccare gli occhi dal mio nome scritto sulla pergamena, che si muoveva esattamente come me. Alla fine, esausta, mi buttai su uno dei quattro letti.
È… wow.”, commentai con enfasi. “Dove l’avete presa?”, domandai curiosa.
James mi guardò scandalizzato. “Sentitela, dove l’abbiamo presa, ci chiede…”, disse scuotendo la testa compassionevole.
“L’abbiamo fatta noi. Ovvio no?”
“L’avete… cosa??” Quei quattro non avrebbero mai smesso di stupirmi, mai. Più li conoscevo, più mi sembravano incredibili…
“L’abbiamo fatta noi. Vuoi che lo ripeta ancora un po’?”, mi domandò James con un tono che avrebbe dovuto essere seccato ma che di fatto era compiaciuto in modo scandaloso.
Sirius a quel punto, non potendo contenere l’esaltazione, si mise in piede sopra al suo letto disfatto e declamò: “Noi, i Malandrini, Consiglieri ed Alleati dei Magici Malfattori, i leggendari Malandrini, noti anche come Felpato…”, e fece un profondo inchino, “Ramoso, Lunastorta e Codaliscia!”, concluse indicando con gesti plateali James, Remus e Peter.
“Suvvia, Felpato, non essere troppo modesto!”, lo rimproverò James.
Scoppiai a ridere. Non potevo nascondere quanto li ammirassi. I Malandrini. Sì, non c’era aggettivo migliore di malandrini. E poi, quei nomi in codice… Felpato… Merlino, quanto mi sarebbe piaciuto essere davvero una di loro! E perché no?!, pensai improvvisamente. Era un’idea folle, senza senso, eppure meravigliosa.
 
A bruciapelo, prima di poter cambiare idea, domandai: “Posso associarmi? Posso diventare una Malandrina?” La mia voce era piena di desiderio.
“No!”, esclamarono di getto Sirius e James. Io ci rimasi malissimo e li guardai implorante.
James si alzò e si mise davanti a me. “Per caso, hai contribuito a fare la Mappa del Malandrino? No. Hai anche una minima percentuale della nostra intelligenza? No. Sai anche solo la metà dei nostri segreti? No. E allora: no! Mi dispiace. ”
“No, aspetta, Ramoso! Non essere precipitoso…”, lo interruppe Sirius “Perché no? Perché non potrebbe?”
James gonfiò il petto, offeso. “Ah, la difendi pure!”, lo accusò.
 Sirius non l’ascoltò e si rivolse a me, con un ghigno che non lasciava presagire nulla di buono. “James ha ragione. Però, io ti darei una possibilità. Vuoi diventare una Malandrina? Ebbene, comportati da Malandrina, come noi, se capisci cosa intendo…”
Sì, avevo capito fin troppo bene. Sirius mi stava mettendo alla prova. Non riuscivo a capire cosa gli prendesse. Era stato così gentile, durante l’assenza di Remus, da farmi pensare che le cose fossero realmente cambiate fra noi. Decisi che per quella sera avevo subito abbastanza. Non intendevo lasciarmi calpestare da nessuno, nemmeno da un Black, e se Sirius pensava di essere tanto superiore solo perché trovava un modo per finire in punizione ogni benedettissimo giorno, gli avrei dimostrato quanto si sbagliava. Era la prima volta che io e Sirius ci scontravamo, mi ritrovai a pensare con un po’ di tristezza.
“Vuoi scommettere?”, gli chiesi però in tono di sfida.
Si illuminò in volto e mi tese la mano. “Scommettiamo, ti do due settimane di tempo. Vedremo quanto riuscirà a diventare Malandrina, la nostra bimba.”
 “Va bene.”, risposi stringendogli ferocemente la mano.
“Va bene.”, ripetè lui, sorridendo angelico.
Va bene.” Uscii dalla stanza a grandi passi, borbottando maledizioni a chiunque mi passasse per la testa. Avrei vinto quella scommessa, a costo di farmi espellere da Hogwarts.
 
Pochi minuti dopo ero in camera mia, davanti allo specchio. Decisamente, non avevo l’aspetto di una “malandrina”. Pensavo a James e Sirius, e a quanto fossero diversi da me, persino nell’apparenza. Presa dallo sconforto, provai a distendere le labbra in un ghigno alla Sirius. Lo specchio mi restituì l’immagine di una ragazza depressa che faceva una mezza smorfia tirata. No, non andava. Quando Sirius ghignava, lo faceva con tutto il volto, non solo con le labbra. Gli occhi grigio metallo gli si illuminavano di una scintilla di perfido divertimento, una fossetta compariva all’angolo sinistro della bocca, i denti gli si scoprivano in modo quasi lupesco. Feci fatica a distogliere il pensiero dal volto di Sirius, e da quanto mi dispiacesse il suo nuovo modo di trattarmi, per di più quando non gli avevo fatto niente. Che fosse di cattivo umore sempre per colpa di Lily?  
Passai il resto della sera a sorridere allo specchio, provando in tutti i modi a imitare Sirius. A furia di tentativi miseramente falliti, alla fine, riuscii nel mio intento. Non era esattamente il ghigno di Sirius, che, come avevo sperimentato, era irriproducibile, però era pur sempre un ghigno. E niente male, fra l’altro. Mi piaceva molto più del mio solito sorriso timido, l’angolo sinistro della bocca che si sollevava leggermente mi dava un’aria più… misteriosa.
Me ne andai a letto pienamente soddisfatta, sicura al cento per cento che sarei riuscita a diventare una Malandrina. In fondo, dietro alla facciata di brava ragazza, il mio carattere un pochino assomigliava a quello di Sirius. Un pochino… Ero testarda come un mulo, quello non l’avrebbe potuto negare nemmeno lui, orgogliosa il giusto, mi piacevano gli scherzi... Per il resto ero come nell’apparenza, tranquilla e pacifica, non amavo cacciarmi nei guai o dare fastidio agli altri. O almeno, fino a quel momento ero stata così… Nel buio, mostrai il mio nuovissimo sorriso al cuscino.
Poi mi addormentai, e per tutta la notte i miei sogni furono popolati da ghigni tremendi e affascinanti e da Gazza che urlava selvaggiamente e mi appendeva per i pollici nel suo studio ammuffito.

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Capitolo 7
*** In punizione ***


Ciao a tutti, miei cari lettori! Scusate il ritardo, ma in questo periodo sono un po’ incasinata e non ho mai tempo per scrivere, quindi purtroppo penso che d’ora in poi aggiornerò meno frequentemente. Il capitolo ahimè è abbastanza corto e abbastanza brutto, ma spero di rimediare con il prossimo!!! Buona lettura (almeno spero),
Trixie

 

  Settimo capitolo: In punizione


  Arrivò ottobre, e con ottobre la pioggia, leggera ma instancabile, giorno e notte. Il parco di Hogwarts sembrava ancora più verde, con le foglie degli alberi, ormai verde pallido, rese brillanti dall’acqua.
La scommessa con Sirius occupava la maggior parte dei miei pensieri. Nonostante mi impegnassi così tanto, non ero ancora riuscita a trovare qualcosa di abbastanza ingegnoso, che fosse in grado di stupire i Malandrini. A dir la verità, non mi ero proprio arrischiata a combinare qualcosa, a parte lanciare Caccabombe dalle finestre della Sala Comune in testa a quelli del Quidditch quando tornavano dagli allenamenti, niente di originale però. James e Sirius non mancavano di fare battutine scettiche sulla mia dubbia malandrinaggine, e cominciavo a temere seriamente di poter perdere la scommessa, visto che non mancava molto tempo alla fine delle due settimane.
Un giorno, presa dall’esasperazione, decisi di fare una capatina all’ufficio di Gazza, giusto per dare un’occhiata agli annuari delle vecchie malefatte degli studenti di Hogwarts e prendere un pochino di spunto. Così, dopo aver preso in prestito (da Lunastorta, naturalmente) la Mappa del Malandrino, mi avviai verso i sotterranei. Ero stata solo una volta nell’ufficio del nostro amato custode, al secondo anno, quando avevo acconsentito di malavoglia (ero ancora una ragazzina perbene) a fare da spalla al mio amico Kenny che doveva riprendersi  un Freesbe Zannuto sequestrato.
Appena entrata, storsi il naso per l’acre odore di polvere e marcio. Una debole lampadina illuminava fiocamente la piccola stanza, stipata di armadi che straripavano di vecchie pergamene, oggetti più o meno identificabili e altro. La scrivania era occupata da pile altissime di fogli messi uno sopra l’altro con l’ordine maniacale tipico di Gazza. Mi sedetti  sull’unica sedia della stanza, tirai verso di me una delle cataste di pergamene cercando di non farla cadere, e cominciai a leggere.
2 ottobre 1975: Richard Skittle si esibisce in uno spettacolo circense babbano  facendo acrobazie nel corridoio del terzo piano. Punizione: pulizie dei bagni maschili (senza l’uso della magia) per una settimana…
 
Non so quanto tempo passò, perché ero completamente assorta dai comici e meticolosi appunti di Gazza. Persi il conto di quante volte appariva il nome di Sirius, o di James, o più spesso di tutti e due, a volte accompagnati da Remus e Peter. Quanto erano geniali, però. C’era poco da fare, avrei potuto mettercela tutta ma non sarei mai riuscita a competere con loro...
Saltando un po’ di pagine ero arrivata al 1969, e stavo ridendo come una matta (per via di un certo Robert Jhonson che aveva dichiarato il suo casto amore alla professoressa di Incantesimi in piedi sopra un tavolo), quando la porta cigolò e la maniglia si mosse.
Strillai, feci in tempo a buttare affannosamente la pila degli annuari verso le altre, facendola cadere, imprecai, cercai di alzarmi, e poi Gazza aprì la porta. Restò a guardarmi per qualche secondo, gli occhi spalancati e le guance flaccide tremanti, mentre io, sommersa dai fogli che erano caduti volando dappertutto, cercavo inutilmente una via di fuga.
“Tu… tu… brutta…. GUARDA COS’HAI FATTO!!”, urlò sputacchiandomi contro.
“Mi dispiace, mi dispiace, ora… sistemo tutto!” Cominciai a raccogliere affannosamente i fogli.
“NON TOCCARE, BRUTTA CANAGLIA!”, strillò Gazza fuori di testa.
Mi ritrassi di qualche passo e aspettai che Gazza si riprendesse.
“E ora… andiamo dal Preside!” Mi afferrò per il bavero, una luce di folle soddisfazione negli occhi.
 “L’ho sempre detto… che non eri innocente come sembravi… Ho cercato di convincere il Preside a farti dare qualche punizione preventiva… e avevo ragione… ma nessuno mi ascolta…” , continuò a bofonchiare furiosamente mentre salivamo verso l’ufficio del Preside.
Calicantus”, borbottò poi.  I gargoyle di pietra ruotarono su se stessi, mostrando le scale a chiocciola dorate che salivano a spirale verso l’ufficio del Preside.
Da dentro provenivano delle voci.
Gazza bussò forte sul battente, poi  entrò strattonandomi. Silente stava parlando con un ragazzo che mi dava le spalle, e dietro all’espressione di garbato rimprovero, i suoi occhi brillavano di una scintilla di malcelato divertimento. Ovviamente, il ragazzo era Sirius.
“Signor Preside!”, esclamò Gazza, gli occhi lucidi dall’emozione. “Questo demonio, la vedete!”, balbettò fuori di sé dalla gioia. Sirius si girò verso di me, e spalancò gli occhi dalla sorpresa. Sogghignai automaticamente, mentre Gazza mi maciullava il braccio cercando parole abbastanza enfatiche per descrivere il mio tremendo misfatto.
“Arg, vecchio mio! Come va con i reumatismi?”, chiese Sirius a Gazza dandogli un’amichevole pacca sulla spalla. “Oh, mi scusi, signor Preside”, aggiunse poi con un’occhiatina non molto colpevole verso Silente.
Gazza puntò il dito contro di me, prese fiato e urlò: “L’ho incastrata!”
Silente mi squadrò con i suoi penetranti occhi azzurri e sorrise impercettibilmente.
“Signorina… Summerland, se non ricordo male.”
“Sì signore.”
“I professori mi hanno sempre parlato bene di te, una ragazza molto educata e tranquilla…”
“HA  VIOLATO IL MIO UFFICIO!” ululò Gazza, per assicurarsi di essere stato capito: io non ero una ragazza molto educata e tranquilla, ero un demonio.
E come dovremmo punirla, secondo te, Argus? La crocifiggiamo? propose Silente con un velo d’ironia.
“HA PROFANATO GLI ANNUARI, ERANO IN ORDINE CRONOLOGICO DAL 1920!”
“Bene, allora penso che rimetterli a posto, insieme al signor Black, le servirà da lezione. Potete andare.”, congedò me e Sirius. Prima di uscire dalla stanza circolare, avrei potuto giurare di vederlo farmi l’occhiolino. Possibile che persino Silente sapesse della mia cotta per Sirius?! Che rabbia.
 
“Complimenti Summerland, sei riuscita a farti mettere in punizione senza combinare niente!”, commentò Sirius poco dopo con un larghissimo sorriso, mentre ci avviavamo verso gli annuari, lontani dallo sclerante Gazza. 
“Zitto Black. ”
“Molto malandrina, come sempre.”
“Zitto, ti ho detto.”
Cominciò a raccogliere qualche foglio a caso dal pavimento.
“Toh, guarda! 13 settembre 1970: Sirius Black rovescia un piatto di zuppa francese in testa a Severus Piton. Punizione: pulizia sorvegliata dei Trofei.
“Prendiamone un altro a caso… Ecco, Sirius Black, Peter Minus, James Potter e Remus Lupin…
“Invece vediamo quante volte compare il tuo nome… No… questo no… ancora no… no e no…”
“LA SMETTI?!”, sbottai profondamente offesa. Sirius sapeva essere davvero odioso, quando voleva. “Va bene, hai ragione, non ho mai preso una punizione in vita mia e sono fiera di me stessa! Anzi, sai cosa ti dico? Sistemali pure tu, gli annuari, visto che ti diverti così tanto! Io me ne vado!”
“No… Non puoi… Summerland Beatrice, torna immediatamente qui!” mi ordinò imperioso.
Gli feci una linguaccia e uscii sbattendo la porta di fronte alla sua espressione basita.
“E NON AZZARDARTI A DIRLO A GAZZA, MALANDRINO DEL  CAVOLO!”, urlai con quanto fiato avevo in gola, ormai lontana.
 
Se avessi potuto sapere quello che stava pensando Sirius in quel momento, cioè che ero molto più Malandrina di quanto non si aspettasse, probabilmente non ci avrei creduto.
 

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Capitolo 8
*** Carta igienica, panna montata e fango ***


Ottavo capitolo: CARTA IGIENICA, PANNA MONTATA E FANGO

 
Molte ore dopo Sirius ricomparve dal buco del ritratto e si diresse verso il suo dormitorio fischiettando allegro. Non mi voltai a salutarlo, ma quando mi passò di fianco si chinò e sussurrò ironicamente: “Hai intenzione di chiedermi scusa?”
Restai ostinatamente in silenzio, lo sguardo fisso sulle pagine di Erbologia che stavo studiando. Mi stavo già pentendo per la scenata che avevo fatto, e rimpiangevo di aver sprecato il prezioso tempo che avrei potuto passare da sola con Sirius, per la prima volta da dopo la malattia di Remus. Ma no, ovviamente avevo dovuto rovinare tutto, come al solito.
“Mi vuoi chiedere scusa sì o no?”
Silenzio.
“Comunque… 351 punizioni in cinque anni, sai?”, mi soffiò in un orecchio. Mi ritrassi rabbrividendo, alzai involontariamente gli occhi e trovai il suo viso a pochi centimetri dal mio. Rimasi paralizzata per un tempo che mi sembrò infinito, senza riuscire a staccare gli occhi dai suoi, finchè lui non se ne andò. Per un attimo provai l’irresistibile desiderio di corrergli dietro, abbracciarlo e chiedergli scusa, poi mi ricordai che non avevo nessuna colpa. Non dovevo lasciarmi abbindolare in quel modo da Sirius, assolutamente. Anzi, dovevo darmi una mossa, se volevo dimostrargli di essere alla sua altezza.
Mi avvicinai al ragazzo bruno di fronte al camino. “Kenny? Mi devi aiutare.”, gli annunciai.
 
Kenny Jordan era semplicemente la persona più idiota che conoscessi, in senso positivo. Adorava fare il casinista, però non era diabolico quanto James e Sirius, non si ingegnava, faceva un po’ di confusione e basta. Aveva un senso dell’umorismo pazzesco, ed era una di quelle persone che ti fa ridere già solo guardandola. Una volta, per puro divertimento, aveva parlato per intere settimane usando una sola vocale, che cambiava ogni giorno. I professori erano impazziti, ma non c’era stato verso d farlo smettere. Un po’ irritante, in effetti. Con lui non mi sentivo mai a disagio, si poteva parlare di qualsiasi cosa senza alcun imbarazzo. Per di più era il miglior anti-depressivo che conoscessi: era incredibile come riuscisse a sdrammatizzare qualunque cosa.
“Spara.”, mi spronò sorridendo, gli occhi color cioccolato fondente che sprizzavano allegria, come sempre.
“Devi darmi una mano a combinare qualcosa di grosso. Di molto grosso.”
Dopo un attimo di perplessità, il suo volto si spianò in un sorriso entusiasta. “Imbrattiamo l’ufficio di Silente con carta igienica e panna montata!”, propose  alzandosi in piedi e battendo le mani.  “Dai, andiamo.”
“Kennìììì…”, lo richiamai, alzando gli occhi al cielo. “Imbrattiamo l’ufficio di Silente con carta igienica e panna montata?  Come ti è venuta?! Non adesso, ci serve un piano. E poi povero Silente, non possiamo distruggergli l’ ufficio così, senza motivo! Al massimo quello del Vecchio Lumacone…” Avevo sempre odiato Lumacorno. Beh, non sempre, a dir la verità. Solo da quando aveva iniziato a organizzare le sue stupide cenette senza invitarmi. Inutili dettagli, comunque.
“Possiamo eccome! L’hai detto tu che volevi combinare qualcosa di grosso! E niente piani, per favore. ”, tornò all’attacco. Forse avevo chiesto aiuto alla persona sbagliata.
“KENNY! Adesso non andiamo da nessuna parte. Ci penso stanotte e domani decidiamo cosa fare.”, conclusi sbadigliando.
“Domani?!! Ma domani è fra un sacco di tempo…”, si lagnò. “…E se moriamo stanotte? Come puoi aspettare domani, quando potrebbe essere la tua ultima occasione?!”
“Buonanotte. Domani in Sala Grande alle sette e mezza.”
Decisi di andare dalle mie amiche, per sentire il loro parere (che in ogni caso non avrei ascoltato).
“Ragazze, mi dovete aiutare!”, esclamai di getto appena entrata in camera.
“Sirius ti ha chiesto di uscire con lui?”, mi chiese Heloïse felice e speranzosa, sistemandosi i capelli ramati dietro le orecchie, in attesa di pettegolezzi. “Ti trucco io, tu non sei capace, e…”
“No, non c’entra Sirius”, la zittii io. Certo, come no, Sirius non c’entrava. Figuriamoci.
“Oh. Allora cosa?”, chiese un po’ delusa.
“Dobbiamo entrare nell’ufficio di Silente e… fare più danni che possiamo, ecco.”, spiegai schiettamente. Ci fu un attimo di silenzio.
“Sìììììììì, è un’idea magnifica!”, urlò Heloïse alzandosi in piedi. Poi si fermò di botto. “Ma… aspetta, da quando tu combini guai?! Mi devo essere persa qualcosa.”, affermò inarcando le sopracciglia in quel modo buffo, come sapeva fare solo lei. Era strana, Heloïse. Simpatica, ma strana. A partire dalle facce che faceva, quando gonfiava le guance e strizzava gli occhi, e poi il modo di ridere, sempre con la bocca spalancata… Non aveva vie di mezzo, o era felice come una Pasqua, e in questo caso girava saltellando come un Puffo e abbracciando la prima persona che le passava accanto, oppure si voleva suicidare e trascinava il mondo nella depressione. Una squilibrata mentale, in sintesi.
“Allora, ci state?”, domandai impaziente. E a quel punto intervenne Georgia.
“Beatrice, non possiamo entrare nell’ufficio di Silente, sei matta?”, esclamò con tono da “è così e basta”. Le esperienze fatte in quattro anni di amicizia mi avevano insegnato a non contraddire mai, MAI, Georgia che, nonostante potesse sembrare un angelo, con i suoi capelli biondissimi e i suoi occhi azzurrissimi, quando si arrabbiava diventava pericolosa. Una volta si era scatenata una lite furibonda che era durata un giorno perché Georgia sosteneva che il ragù di soia non potesse essere chiamato ragù, visto che non era di carne, e noi eravamo state tanto imprudenti da dirle che il suo ragionamento non stava in piedi.
“Juliet, tu che ne dici?”, domandai all’unica persona della stanza che non aveva ancora aperto bocca.
“per me va bene, però…”, iniziò Juliet, fermandosi con una risatina allusiva.
“Però cosa, Juliet?”, sospirai immaginando già dove volesse arrivare.
“Però… In cambio guardiamo tuuuutta la sesta stagione!”, concluse raggiante. Vile ricattatrice. Convivere con Juliet, da quando era diventata succube di un telefilm Babbano assolutamente idiota, Grey’s Anatomy, era potenzialmente problematico. La cosa più assurda era che Juliet, colei che passava il tempo a colorarsi l’ombelico e a scriversi sulle gambe “W DEREK”, questa stessa persona, ecco, aveva Eccezionale in tutte le materie. Le stranezze della vita…
“Quant’è bello Derek, nella sesta…”, sospirò sognante la sopraccitata creatura.
“Bene, allora è deciso! Anche Kenny è dei nostri.”
Presi un foglio stroppicciato e una piuma.
“Ci serve un piano. Prima di tutto, qualcuno che tolga dai piedi silente e lo distragga. Potremmo rubare un po’ di Polisucco dalle scorte del Vecchio Lumacone…”, proposi ghignando.
“Ma che Polisucco. Se obblighiamo, cioè… voglio dire, persuadiamo un primino è molto più pratico.”, consigliò Georgia, lasciandomi spiazzata. “E comunque, rimango contraria!”, aggiunse, leggendomi nel pensiero.
“Certo. Al primino ci pensi tu.”, e cominciai a scrivere.
“Quindi. Mentre Silente è da qualche parte, quattro di noi entrano, uno resta di guardia fuori dalla porta. Semplice!”
“E poi cosa facciamo?”
Sorrisi. “Quello che vogliamo. Panna montata, carta igienica, Caccabombe…”
“E fango, pomodori, uova, e tutto il cibo non solido in generale,”, aggiunse prontamente Heloïse. “Quando andiamo?”
“Domani mattina, prima di pranzo.”, risposi, annotando tutto. “Oh no, i ritratti!”, esclamai, dandomi una pacca in fronte.
“I ritratti cosa?”, chiese preoccupata Georgia.
“Ficcanaso come sono, di sicuro faranno la spia a Silente. Ci puoi scommettere”, affermai imbronciata.
“Ma c’è un incantesimo… Obscuro, mi sembra, per bendare gli occhi!”, suggerì Juliet. Dopotutto, avere Juliet come amica aveva i suoi vantaggi, Grey’s Anatomy a parte.
“Perfetto! Li colpiamo tutti insieme, da dietro la porta… Julls, sei un genio!”
Restammo a pianificare il nostro scherzo (se si poteva definire scherzo), fino a notte tarda, quando crollammo sui nostri letti, ancora vestite.
 

***
 

“Sì, ho capito, ho capito…”, sbottò spazientito per l’ennesima volta Kenny, mentre, la mattina dopo, a colazione, gli spiegavo il piano nei minimi dettagli. “…Non sono mica così stupido!”
Mi trattenni dal commentare la sua ultima affermazione. “Bene, alle dodici meno cinque davanti alla statua del terzo piano.”, conclusi guardando con la coda dell’occhio Georgia che, poco più in là, sbatteva le ciglia in modo minaccioso a un minuscolo ragazzino rosso come un peperone.
Quel giorno le lezioni volarono. Guardavo terrorizzata le lancette dell’orologio, sperando che si fermassero. E invece, dopo quella che mi era sembrata una mezz’oretta scarsa, fui trascinata a forza da Heloïse fuori dai sotterranei, per andare a compiere quella che pensavo sarebbe stata la più grande idiozia della mia vita.
Io, Juliet, Heloïse, Georgia e Kenny, dopo un’occhiata d’intesa, ci disperdemmo nel corridoio, ognuno per la sua strada.
Cercando di sembrare il più noncurante possibile mi incamminai velocemente verso il terzo piano. Ad un certo punto lo stesso ragazzino che qualche ora prima era stato vittima delle capacità seduttive di Georgia mi venne incontro.
“È f-f-fatto. Silente sta andando g-g-giù”, balbettò guardandomi terrorizzato, prima di scappare via. Feci un cenno di ringraziamento alle sue spalle, e tornai sui miei passi. Ero quasi giunta a destinazione quando mi venne un’idea. Feci dietrofront e schizzai verso la Sala Comune, poi su per le scale dei dormitori. Non ci misi molto a trovare quello che cercavo, la Mappa del Malandrino, come al solito malamente appoggiata sul comodino di James. Quello che invece non mi aspettavo di trovare fu, proprio accanto alla Mappa, uno strano mantello argenteo. Non l’avevo mai visto addosso a nessuno dei Malandrini, non era nel loro stile, però aveva un che di familiare. Me lo  posai sulle spalle e mi guardai allo specchio. Ci misi qualche secondo per rendermi conto che nel mio corpo c’era qualcosa di diverso. Anzi, più che c’era, non c’era, visto che le mie spalle e parte delle braccia erano totalmente scomparse.
Un mantello dell’invisibilità.
Non potevo credere ai miei occhi. Un mantello dell’invisibilità era quello che avevo sempre desiderato, ma non ne avevo mai visto uno, a parte in qualche libro. E ora me ne trovavo uno fra le mani, così, all’improvviso.
Lo indossai del tutto e, euforica, corsi verso il luogo dell’appuntamento. Quando vidi i miei amici che, appoggiati alla statua, si guardavano attorno in attesa della ritardataria, mi dimenticai di essere invisibile e mi lanciai verso di loro, sussurrando rumorosamente: “Guardate cos’ho trovato!!”. Sobbalzarono tutti contemporaneamente, qualcuno cacciò un gridolino di paura. Trascinai Juliet sotto il mantello, rimandando ad un momento più opportuno le spiegazioni, e cominciai a salire verso l’ufficio di Silente, seguita a distanza di qualche metro da Georgia.
Aprimmo a fatica la pesante porta di legno dell’ufficio, e dopo essere entrate, ci fermammo a contemplare la quindicina di ritratti appesi alle pareti.
“Bel pomeriggio per salvare vite!”, sussurrò Juliet.
“Ma che cazzo c’entra?!”, strillai con una nota di isterismo nella voce. Ero già abbastanza stressata senza che Juliet si mettesse a fare l’enigmatica.
“Lo dice sempre Derek prima di un operazione. Una frase ad effetto ci voleva!”, spiegò Juliet. “Sai una cosa? È la prima volta che ti sento dire una parolaccia!”.
“Allora, puoi sistemare i ritratti, per favore? E se ci tieni a salvare la tua, di vita, oggi pomeriggio, evita le frasi ad effetto di Derek, va bene?”, sbuffai.
“Vaaaaa bene… Già che ci sono li faccio diventare anche sordi.”
“Ecco, brava”, mugugnai. Quando ebbe finito di agitare la bacchetta borbottando parole incomprensibili ai comuni mortali, mi sfilai il mantello, pronta a iniziare l’opera.
In quel momento arrivarono Kenny ed Heloïse schiamazzando allegramente, trascinandosi dietro dei sacchi neri dall’aria sospetta, un secchio di fango e una scopa.
“Potreste-fare-piano? A cosa vi serve tutta quella roba?!! ”, dissi tra i denti.
“Si vede che sei una novellina…”, sghignazzò Kenny, senza peraltro abbassare il tono della voce.
Mi diedi un’occhiata nervosa alle spalle, aprii un sacco e afferrai a caso un uovo e una bomboletta di panna montata. Poi me ne restai imbambolata.
“Santo Dio Beatrice!”, esclamò Kenny. “Si fa così.” Mi afferrò la mano e premette il suo dito sul mio. Una candida nuvola di panna uscì dalla bomboletta e andò a colpire dritto in faccia un ritratto dai capelli neri, che si dimenò furiosamente e si mise a imprecare in modo poco decoroso, soprattutto per un ex-preside.
“Figo!”, commentai entusiasta. Spruzzai di nuovo, e poi di nuovo ancora, finchè il ritratto non divenne totalmente bianco. Era divertente. Pian piano cominciai a prendere confidenza con bomboletta di panna montata, uova e Caccabombe, e mi scatenai. Ero esaltata e frenetica, ma terrorizzata in pari misura. Per tranquillizzarmi continuai a ripetere “Ci beccano. Ci beccano. Ci beccano.”, fino a quando l’urlo rabbioso di Georgia (“Hai voluto venire? E adesso TACI!”) non mi zittì.
Anche gli altri intanto si stavano dando da fare.
Juliet correva da una parte all’altro della stanza, facendo piroette a ritmo di valzer e lanciando uova a destra e a manca.
Kenny, non so come, era riuscito ad arrampicarsi in cima alla libreria e da lì addobbava il soffitto e il lampadario con rotoli di carta igienica e dirigeva le azioni di noialtre.
Heloïse, sporca dalla testa ai piedi, si stava impegnando più di tutti, e spalmava metodicamente fango con la scopa su ogni porzione di muro ancora intonsa.
In pochi minuti la stanza divenne irriconoscibile.
“Secondo voi non abbiamo… ehm… un pochino esagerato?”, domandai, lasciando per un attimo perdere la panna montata e guardandomi attorno.
“Pfffh”, sbuffò Kenny, e mi lanciò un uovo in testa. “Sta zitta e continua. Il tavolo è ancora pulito, se non sai cosa fare.”
 Nonostante ciò continuai insieme ai miei amici a distruggere la stanza, fino a quando uno “Psssh” frenetico dalla porta non ci avvertì che il tempo a disposizione per la nostra opera sensazionale era scaduto. Dopo un attimo di confusione, accatastammo in un angolo il nostro materiale artistico (non senza aver rovesciato sul pavimento il fango rimasto), e scappammo disordinatamente verso la porta.
 
Non so come, riuscimmo ad evitare la Mc Granitt e Silente (non ci tenevo affatto ad assistere alla reazione del Preside quando sarebbe entrato nel suo ufficio) che salivano dalle scale, e pochi minuti dopo, restituiti il mantello e la Mappa senza che i Malandrini mi vedessero, ero distesa sul mio letto, a ridere istericamente.
“L’abbiamo persa…”, commentò Heloïse, accanto a me.
“Ma… Povero Albus… il suo ufficio… distrutto… Se ci becca ci sospende… e tutto… quel fango… E i bambini in Africa muoiono… di fame… e noi… abbiamo sprecato…”, ansimai tra le risate.
“Ma piantala… Ti vuoi prendere le responsabilità delle tue azioni, una volta tanto?”, sbraitò Georgia scuotendomi nel tentativo di farmi smettere di ridere e balbettare frasi incoerenti.
 
Per l’ora di cena mi ero quasi ripresa. Arrivai in Sala Grande e, rifiutando a malincuore  l’invito di Sirius, che mi aveva fatto cenno di sedermi accanto a lui, presi posto fra i miei complici.
La cena filò liscia, ma inevitabilmente, prima che tutti avessero finito di mangiare, Silente fece “tin tin” col cucchiaio sul bicchiere e ordinò “Silenzio!” (A mio parere, valeva la pena di diventare Preside solo per poter fare “tin tin” sul bicchiere e zittire centinaia di ragazzi posseduti dal demonio in pochi secondi).
Da sotto il tavolo sentii Georgia che mi stringeva la mano solidale.
Silente si schiarì la voce.
“Sono spiacente di informarvi…”, cominciò con la sua voce profonda e penetrante, “che oggi, all’incirca all’ora di pranzo, qualcuno si è reso colpevole di un misfatto vergognoso”.
Con la coda dell’occhio vidi James e Sirius che si scambiavano un sorriso complice.
“Questo qualcuno”, riprese Silente, “si è intrufolato nel mio ufficio e ha compiuto degli atti di vandalismo ingiustificati.” Fece una pausa e guardò a lungo le quattro e silenziose tavolate.
Di nuovo, con la coda dell’occhio vidi James e Sirius, che però si guardavano perplessi.
“Quindi…”,concluse Silente, “… il colpevole, o la colpevole, è pregato di farsi avanti e di confessare, in questo momento.”
Tenni lo sguardo fisso sul bicchiere, le guance infuocate e lo stomaco attorcigliato, mentre Kenny borbottava: “Bea, parla ora o taci per sempre!”
E nessuno parlò.
Silente sospirò. “Beata gioventù! Quindi il colpevole, o, ribadisco, la colpevole, non ha intenzione di farsi avanti? Peggio per lui. O per lei… Potete andare, buonanotte. ”
Feci un profondo respiro e mi arrischiai a guardare verso il tavolo dei professori, dove Silente era impegnato in una fitta conversazione con Madama Chips.
“È andata!”, dissi respirando a pieni polmoni.
“Secondo me l’ha capito…”, disse pensierosamente Georgia.
“Anche per me”, fece Juliet.
“Già”, concordò Heloïse.
“Mi sembra abbastanza ovvio che l’abbia capito, no?”, sbottai io.
“Ma chissenefrega, tanto non ha le prove. E poi, perché dovrebbe sospettare proprio di noi?!”, ribattè Kenny, sorridendo innocentemente. “Però dobbiamo rifarlo, una volta. È stato troppo forte!”, aggiunse allegramente.
“Sì, è stato forte…”, ammisi ripensando alla carta igienica che pendeva dal soffitto. Chissà se Silente aveva già sistemato tutto? Sicuramente…
 

 

***
 

 

Stavamo per andare a dormire quando qualcuno bussò alla porta.
“Avanti”, borbottai stancamente, immaginando Kenny che veniva a proporci di andare a combinare qualcosa.
“Buonasera fanciulle… Scusate l’ora.”
Il volto di Sirius spuntava dallo spiraglio della porta, sorridente e angelico. Le mie amiche non erano più stupite di me. Mi affrettai a buttare sotto il letto il paio di calzini sporchi che tenevo in mano.
“Posso rubarvi un attimo Beatrice?”, chiese sorridendo smagliante.
Heloïse si riprese fin troppo in fretta. “Certo!”, gli rispose spingendomi con veemenza dritta tra le sue braccia.
“Ma che…”, protestai infuriata. Heloïse mi cacciò letteralmente fuori dalla mia camera, sbattendoci la porta in faccia.
“Simpatica, la tua amica!”, commentò Sirius.
“Lascia perdere.”, bofonchiai arrossendo. “Perché mi hai chiamata a quest’ora? Stavo andando a dormire.”
“Volevo fare una chiacchierata... Ti dispiace?”
“No.”
“No non vuoi o no non ti dispiace?”, mi chiese sorridendo beffardo.
“No non mi dispiace.”, risposi scandendo le parole.
“Hai uno schizzo d’uovo sulla fronte, sai?”, mi informò ironicamente.
“Ah.”, commentai strofinandomi la fronte. Dopo un attimo di silenzio, cominciò a parlare.
“Allora. Per prima cosa, al fine di non crearti crudeli illusioni, ti avverto subito che quello che hai combinato oggi non basterà a farti diventare una Malandrina, nel caso avessi potuto pensarlo.”, iniziò. “Anche se devo ammettere che non me l’aspettavo”, aggiunse un po’ addolcito, notando la mia espressione ferita. “Anzi, mi dispiace di non averci pensato prima io…”
Non feci in tempo ad aprir bocca che ricominciò a parlare.
“…Secondo, non è una gran bella cosa entrare nei dormitori altrui e rubare oggetti che non ci appartengono.” Alzai appena gli occhi per vedere se fosse davvero arrabbiato o se stesse scherzando. Stava sorridendo.
“Ma ve l’ho restituita…”, mi difesi debolmente. “… E poi, potevate dirmelo del mantello dell’invisibilità. Siete cattivi, tu e James.”
Scoppiò a ridere fragorosamente. “E tu sei una ficcanaso incredibile.”
“Non è vero…”, replicai ridendo anch’io. Per un attimo mi sembrò di essere tornata indietro di qualche settimana, e di essere di nuovo distesa a stellina in mezzo al Lago Nero.
 “Se lo lasciate lì in bella vista non è colpa mia!”
“Ah no?”, mi chiese lui con un sorriso canzonatorio.”
Comunque…”, aggiunsi cambiando argomento, “…cos’è che dovevi dirmi, a parte che sono una ficcanaso, che non devo entrare nei dormitori altrui e che non riuscirò mai a diventare una Malandrina?”
 

 

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Capitolo 9
*** Stelle e luna piena ***


Ciao a tutti! Scusate l'enorme ritardo, ma non è stata ASSOLUTAMENTE colpa mia (?), sapete, gli esami, le vacanze, ecc.... Comunque, eccomi di nuovo quaaa! Spero che non abbiate abbandonato questa ff e che ricominciate a recensire e a darmi consigli, che fanno sempre bene. Un appello anche ai lettori silenziosi: capisco la pigrizia, ma vi prego, una piccola recensioncina non vi uccide mica!
Vi ringrazio in anticipo  e buona lettura
Trixie


 

Nono capitolo: STELLE E LUNA PIENA


“Comunque…”, aggiunsi cambiando argomento, “…cos’è che dovevi dirmi, a parte che sono una ficcanaso, che non devo entrare nei dormitori altrui e che non riuscirò mai a diventare una Malandrina?”

Un attimo infinito di silenzio. Lo sguardo di Sirius si perse lontano, fuori dalla finestra, distratto da chissà quale pensiero.
“Guarda… Là.”, sussurrò alla fine, indicando qualcosa nel cielo. Mi sporsi oltre il bordo della finestra, lasciandomi accarezzare le guance accaldate dalla brezza gelida, e cercai di seguire il suo sguardo, serio come non l’avevo mai visto.
Ma non trovai niente. La notte era vuota e incredibilmente limpida per una sera d’ottobre. Il cielo, non ancora nero ma di quel blu intensissimo che dopo il verde dei prati è il mio colore preferito, era striato da una miriade di stelle, sparse secondo criteri che io non conoscevo. Stelle. Ero da sola con Sirius, e stavamo guardando le stelle.
Rivolsi nuovamente la mia attenzione a Sirius, per capire cosa volesse mostrarmi.
“Là…”, ripetè ancora, poi prese con delicatezza la mia mano e la puntò in alto. “… Vedi quella stella, abbastanza grande, vicino a quella specie di arco?” Impiegai un po’ di tempo per individuare la stella di cui parlava Sirius, luminosa, quasi azzurra, e così bella, come del resto tutte le stelle. “Sì…”, mormorai rivolta a Sirius.
“Quella è il Sirio. La mia stella…”, mi disse distogliendo lo sguardo dal cielo e lasciando andare la mia mano. “… La maggior parte dei miei parenti ha il nome di una stella.”
“Davvero?! Avevo sempre pensato che il Sirio fosse una costellazione, non una stella.” E non avevo mai dimenticato la prima cosa che avevo pensato di Sirius vedendolo la prima volta. L’avevo subito associato alle stelle, per il suo nome.
“Fa parte della costellazione del Cane Maggiore. Ed è la più luminosa del cielo.”, aggiunse con una punta di orgoglio nella voce. Ero affascinata, ma non riuscivo a capire il senso delle sue parole. Forse stava prendendo tempo prima di dirmi qualcosa di più importante, oppure c’era un significato nascosto che io non riuscivo a capire.
“Non… non sapevo che ti interessasse l’astronomia…”, sussurrai ammirata, tornando a guardare il cielo e la stella di Sirius, che ora mi sembrava la cosa più bella del mondo.
“Sì. È l’unica cosa che mi piace delle tradizioni della mia famiglia. Quando ho bisogno di solitudine, quando mi sembra che il mondo sia sbagliato e non capisco perché ne faccio parte, cerco le mie risposte nel cielo. E a volte le trovo. È quello che mi è successo quando ti ho conosciuta.”
Non avevo mai visto Sirius così. Era un’altra persona, e per la prima volta mi rendevo conto che dietro alla facciata da Malandrino era molto più profondo di quanto credessi. Ma non capivo cosa stesse cercando di dirmi.
“Buonanotte”, mi sussurrò pianissimo, senza l’ombra di un sorriso sul bel volto. Mi sfiorò appena lo zigomo con le labbra, e poi si voltò, sparendo a passi rapidi verso il dormitorio. 
Io rimasi lì, incredibilmente sola e triste.

***

Non avevo creduto nemmeno per un istante che quella notte sarei riuscita a prendere sonno. Tornata in camera, avevo ignorato il mio letto e mi ero seduta sul davanzale, con la fronte appoggiata sul vetro freddo della finestra, senza staccare gli occhi da quella stella, che per me era diventata così importante. Da dietro le montagne era spuntata la luna piena, circondata da un alone di luce argentea.
Volevo anch’io trovare nel cielo le risposte alle domande assillanti che mi roteavano in testa, ma più guardavo il Sirio, più sentivo quell’inspiegabile nostalgia per Sirius, più desideravo averlo lì accanto a me, e avere abbastanza coraggio per chiedergli cosa significavano le sue parole, cosa significavo io per lui. Avevo paura di illudermi, ma non potevo fare a meno di pensare che il discorso di Sirius non sembrava rivolto ad una semplice amica.
Lasciai vagare lo sguardo lungo il parco, sul lago e sulla luna piena che era appena spuntata da dietro le montagne, sempre seguendo i miei pensieri, fino a quando non fui distratta da due ombre che si spostavano nel prato. In quel momento non mi interessava sapere di chi o di cosa si trattasse, ma strizzai comunque gli occhi per riuscire a vedere meglio.
Un cervo. Un cane. Si rincorrevano in modo giocoso, spingendosi a vicenda. Era una cosa strana. Non ero incuriosita e non stavo pensando a niente, tuttavia, quasi inconsciamente, collegai tutto.

Ramoso. Felpato. La costellazione del Cane Maggiore.
E combaciava.

Mi alzai in piedi di scatto, senza rendermene conto. “Non può essere”, boccheggiai col fiato corto. Eppure sapevo, intuivo di avere ragione. Un secondo dopo ero già fuori dal dormitorio, e correvo a perdifiato giù dalle scale. Mi fermai, esausta, soltanto davanti al portone della Sala Grande. Ero a piedi scalzi, vestita solo con un pigiama leggero, e l’aria gelida mi investì facendomi arretrare di qualche passo. Agii d’impulso e mi gettai nella notte, stringendo i denti per non rabbrividire, e ripresi a correre, inseguendo le due figure sempre più lontane, fino a quando non le raggiunsi al margine della Foresta Proibita.
Sentendomi arrivare, il cervo (o meglio, se non mi stavo sbagliando, James) emise un  bramito di allarme.
Ignorandolo mi avvicinai ancora, come una furia.
“Capisco il Mantello, capisco la Mappa, capisco tutto, ma questo NON POTEVATE NASCONDERMELO! SIETE DEGLI STRONZI!”, urlai con la voce un’ottava più alta del normale. Poi crollai a terra, tremando sfinita.
Un fruscio alla mia sinistra mi avvertì appena in tempo. Alzai gli occhi, ma l’urlo di terrore che avevo in gola non uscì mai dalle mie labbra.
Feci solo in tempo a vedere un’ombra scura ed enorme che incombeva su di me, un muso grottesco con gli occhi iniettati di sangue e i denti aguzzi scoperti, che una massa nera mi saltò addosso mugolando, schiacciandomi contro il terreno e frapponendosi  tra me e la bestia. Chiusi gli occhi e smisi di respirare, in preda al panico, ma gemetti di dolore quando i denti del cane nero si conficcarono nella mia carne cercando invano di essere delicati e venni trascinata con forza, lontano dalla specie di lupo che aveva cercato di uccidermi.
La terra che sfregava contro il mio viso mi faceva male, e ancora di più la presa ferrea dei denti sul mio braccio. Quando il cane si fermò, ormai lontano dalla foresta, rimasi rannicchiata su me stessa. Poi il cane si trasformò, e quasi presi un colpo.
Perché mi ero completamente dimenticata che il quadrupede al quale dovevo la vita era Sirius.
“Sei una grandissima imbecille, lo sai?”, mi informò immediatamente, con lo sguardo acceso dalla preoccupazione. “Su, andiamo, prima che combini qualche altro disastro…”, disse tendendomi la mano. “Mi hai fatto perdere dieci anni di vita, stasera.” Non mi mossi di un centimetro. Sospirando mi sollevò di peso e mi sistemò fra le sue braccia. Affondai il naso nell’incavo del suo collo, lasciando che le lacrime ripulissero il mio volto, e sbirciai quasi con paura la luna piena che incombeva come una minaccia su di noi.
“Sirius, chi era?”, sussurrai controllando il tremito della voce. Ma sapevo già la risposta. Anche l’ultimo segreto dei Malandrini adesso mi appariva chiaro come la luce del sole.

Remus Lupin, il mio migliore amico, era un lupo mannaro. 

Rimasi in silenzio, mentre le lacrime scorrevano sempre più copiosamente. Remus, così buono, così gentile con tutti, sempre pronto ad aiutarti, in qualsiasi momento, quando era lui ad avere mille volte più bisogno. Facevo proprio schifo, come amica. Dicevo di conoscerlo, e non ero nemmeno stata capace di accorgermi che Lunastorta aveva qualcosa di più che qualche semplice sbalzo di umore. Non mi sarei mai perdonata. E lui non avrebbe più voluto che fossimo amici, avrebbe cercato di proteggermi dal mostro che credeva di essere. Ma questo non l’avrei permesso.
Quando arrivammo in camera mia, dopo avermi medicato alla bell’e meglio il braccio e i graffi sulla faccia, Sirius mi appoggiò piano sul letto. “E vedi di rimanerci.”, borbottò.
Ma io non volevo restare sola. “Ti prego, non andartene…”, sussurrai afferrando il suo braccio, mentre le lacrime ricominciavano ad appannarmi la vista. Sentii che esitava, immobile nel buio. Poi scostò le lenzuola e si infilò accanto a me. Mi lasciai avvolgere dalle sue braccia, riscaldandomi con il calore del suo corpo. Il suo respiro regolare mi rassicurava, così appoggiai la testa sul suo petto, per farmi cullare dal battito del suo cuore. Era bello. Avrei voluto che durasse per sempre, ma sapevo che la mattina dopo, quando mi sarei svegliata, avrei trovato il letto freddo e vuoto. Fui presa da una strana malinconia, un dolore sordo in qualche punto imprecisato del petto, e mi strinsi più disperatamente a lui. Avrei  avuto eternamente bisogno di Sirius come in quel momento, ma lui non ci sarebbe stato per sempre. Mi strinsi al suo collo e cominciai a singhiozzare più forte. Addio malandrina, pensai con amarezza.
“Ehi, è tutto a posto, ok?”, mi rassicurò lui, sollevandomi il mento per cercare invano di incrociare il mio sguardo.
“Mi… mi parli ancora di quella stella… del Sirio?”, lo implorai, sopraffatta dall’emozione.
Stette un attimo in silenzio, forse sorpreso dalla mia richiesta. “Beh, è una delle poche stelle che si conoscono fin dall’antichità. Gli antichi Greci la temevano, perché pensavano che portasse sfortuna… e quindi per conquistare il suo favore le sacrificavano dei cani. O forse erano i Romani, non mi ricordo. ” “Avevano ragione, gli antichi. Guarda quanta sfortuna ho portato alla mia famiglia… avrebbero dovuto scegliere un’altra stella.”, aggiunse con una mezza risata beffarda, che però non nascondeva l’amarezza delle sue parole.
“Anch’io vorrei avere una stella…”, dichiarai, lottando contro il sonno.
“Un giorno te ne scelgo una.”
“Sirius.”
“Dimmi.”
“Ramoso ha un bel paio di corna.”
“Già”, disse Sirius sghignazzando. “Glielo dobbiamo dire.”

***

 Mi svegliai di soprassalto poche ore dopo. La sensazione di pace del sogno che avevo fatto, in cui avevo un paio di ali e volavo tenendo per mano Sirius sempre più in alto, sfrecciando tra le stelle, sparì immediatamente, sostituita da un profondo senso di orrore e vergogna.
Avevo pianto e mi ero disperata come una bambina. Avevo dimostrato di non essere in grado di arrangiarmi e di tenere per me i miei sentimenti e le mie paure, avevo avuto bisogno che Sirius restasse con me.
Ah già, Sirius. Sirius dormiva ancora, una mano stretta attorno alla mia vita e l’altra affondata nei miei capelli, dietro la nuca. Mi girai piano, cercando di non fare rumore, e quasi caddi dal letto vedendo il suo volto. Un sorriso appena accennato gli incurvava le labbra. Ma era un sorriso sconvolgente. Non era un ghigno, era un… sorriso, e basta, innocente e felice come quello di un bambino.
Bah, il mondo andava a rotoli.
Sentii dei movimenti dietro la mia schiena. No no no ti prego!, pensai con tutte le mie forze. Poi mi feci coraggio e mi girai. Tre paia di occhi raggianti, accompagnati da tre sorrisi larghissimi, mi fissavano, ci fissavano da chissà quanto tempo.
No sapete, non è come state pensando. No no. Ieri sera Sirius mi ha parlato delle stelle, poi ero alla finestra e ho visto un cane e un cervo e logicamente, scommetto che chiunque sano di mente lo avrebbe immaginato,  ho pensato che fossero Sirius e James, quindi sono andata giù in pigiama, sono stata aggredita da un lupo mannaro che in verità era Remus Lupin, poi Sirius sotto forma di cane mi ha salvato la vita e si è fermato a dormire da me. Ma non abbiamo fatto niente di poco casto, ve lo assicuro., pensai ironicamente, immaginando come avrei potuto spiegare il fatto che io e Sirius stavamo dormendo abbracciati. No, ovvio che non potevo spiegare proprio un bel niente.
Ripensai a quanti casini ero riuscita a combinare in 24 ore. Avevo distrutto l’ufficio di Silente, ero uscita dal castello di notte, avevo scoperto che i Malandrini erano un lupo mannaro, un cervo, un cane e chissà qual era l’Animagus di Peter ma chissenefrega di Peter, e infine, per completare, avevo costretto Sirius a fermarsi nel mio letto, dimentica del fatto che condividevo la camera con altre tre ragazze. Che fra l’altro dormivano quando ero tornata in camera dopo la chiacchierata con Sirius, quindi avrebbero sicuramente pensato che la nostra conversazione fosse degenerata in… Va bene, basta così. Fatto il misfatto.
La mia priorità assoluta era, dopo una doccia bollente, trovare un modo per andare da Remus e parlargli e sapere come stava. Dopodichè, siccome ero una persona fredda, calma, razionale, forte e coraggiosa (Sì Beatrice, l’importante è che ne sia convinta tu), avrei dimenticato tutto e sarei tornata alla mia vita di prima e mi sarei impegnata al massimo per raggiungere il mio obiettivo. Che ovviamente era sempre quello di vincere quella dannata scommessa vecchia di secoli e diventare una Malandrina coi fiocchi.
Per fortuna avevo un nuovo piano. Se non fosse stato che era un’impresa praticamente impossibile e che le percentuali di riuscita erano infinitesimali, sarei stata sicura di vincere.
Ma ci avrei provato. Altrochè se ci avrei provato.
Mi staccai bruscamente da Sirius, fulminando con gli occhi Juliet, Georgia ma soprattutto Heloise, e mi chiusi in bagno sbattendo la porta.

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Capitolo 10
*** Non trovo un titolo, quindi fate senza. ***


Decimo capitolo: NON TROVO UN TITOLO, QUINDI FATE SENZA.

 

“Ehi Rem.”
Salutai così il mio migliore amico, pallido e più magro che mai, con due ombre scurissime sotto gli occhi, quando il giorno dopo riuscii ad andarlo a trovare in infermeria. 
Non mi rispose, e dovetti lottare con le lacrime che minacciavano di risalirmi per l’ennesima volta agli occhi. Quante volte dovevo ripetermi che la persona che aveva bisogno di consolazione lì dentro era lui, e non io?! Rimasi a guardarmi le punte dei piedi, imbarazzatissima.
“Non doveva succedere. Ieri sera. Mi dispiace tanto.”, sussurrò alla fine, con la voce carica di dolore.  Avvicinai una sedia al suo letto e mi ci lasciai cadere stancamente. Gli presi la mano.
“Remus, siamo amici. L’avrei scoperto, prima o poi. Se ci sono arrivati quegli altri tre imbecilli, pensi che io non l’avrei capito?!”, ragionai cercando di scherzare. Il suo sguardo si fece ancora più cupo.
“E poi a me non importa, sul serio! Non smetterò di volerti bene solo perché… solo perché… ” Mi si spezzò la voce e non riuscii ad andare avanti. Riprovai in modo diverso dopo un minuto di perfetto silenzio.
“Ti va di parlarne?”, gli chiesi esitante.
“… Avevo cinque anni.”, cominciò in un flebile sussurro. “Mio padre aveva fatto un torto ad un lupo mannaro di nome Fenrir Greyback. E lui per vendetta… I bambini sono la sua arma.
 È sempre stato un inferno, e se non fosse per James, per Peter e per Sirius, non so come farei a sopportarlo.”
Continuò a parlare per un po’, raccontandomi  come usciva di nascosto dal castello una volta al mese e si rifugiava insieme ai tre amici nella Stamberga Strillante, provando a descrivermi le sensazioni che provava da uomo-lupo.
Quando me ne andai, mi sentivo molto più leggera. Non mi ha neanche sgridata, pensai sorridendo soddisfatta.

La conversazione con Remus non fece che accrescere la mia determinazione nel mettere a punto il piano che avevo pensato il giorno prima. Ora che conoscevo il piccolo problema peloso di Lunastorta, volevo ancora di più diventare una Malandrina per entrare definitivamente a far parte del loro gruppo. Cominciai il giorno stesso con l’andare in biblioteca a riempire la mia borsa con tutti i libri che pensavo potessero essermi utili. Il pomeriggio mi chiusi in camera, da sola, e cominciai a sfogliare quei tomi.
Mi resi conto che sarebbe stato difficile. Tremendamente difficile.
Una sera, (non erano passati molti giorni dalla famosa notte di luna piena, e ancora arrossivo tutte le volte che parlavo con Sirius), alla porta della mia camera si presentarono i Malandrini al gran completo. Cacciai in tutta fretta un paio di libri sotto il letto, mi sistemai la camicia e andai ad aprire con il sorriso più smagliante che mi riuscì.
“Scricciolo! Com’è che passi tutto questo tempo chiusa in camera?!”, mi prese allegramente in giro James.
“Cornuto! Fatti gli affari tuoi.” Fra una cosa e l’altra, era da un sacco di tempo che io e Ramoso non ci stuzzicavamo. Ero in astinenza.
“Cornuta sarai tu! Anzi, sono più che sicuro che Lily questa volta accetterà di venire ad Hogsmeade con me, me l’ha lasciato intendere chiaramente ieri mandandomi a quel paese davanti a mezza scuola. Fanno tutte così, quelle timide.”, mi raccontò James sorridendo entusiasta, lo sguardo illuminato come succedeva soltanto quando parlava di Lily.
“Sì James, hai proprio ragione… e comunque mi riferivo alle corna da cervo, non a Lily.”, sospirai senza riuscire a trattenere un sorriso. Sirius dette una pacca compassionevole sulla spalla dell’amico.
“L’importante è che non perdi la speranza, vecchio mio.”, affermò.
“Figurati, di quello non c’è pericolo…”, borbottò Remus piuttosto sonoramente. Scoppiammo tutti a ridere, tranne James.
“Comunque.”, riprese Sirius dopo qualche minuto, tornato semi-serio. “Siamo venuti per la faccenda di quella scommessa, Beatrice.”
Rimasi un attimo perplessa, poi mi diedi una pacca sulla fronte. Ma che problemi hai?!, pensai esasperata. Ero talmente presa dai miei tentativi per vincere la scommessa che alla fine… mi ero dimenticata della scommessa. “Ehm, giusto, la scommessa. Ditemi pure.”, balbettai  dopo l’iniziale disorientamento. Chissà cosa dovevano pensare di me.
“Sai, sono passate tre settimane e il tempo ormai sarebbe scaduto.”, mi spiegò con lieve imbarazzo. Forse alla fine anche loro avevano sperato che diventassi una Malandrina, ma erano solo troppo orgogliosi per rimangiarsi la parola. Ormai non mi importava più, comunque. Avevo altri piani. Perché se fossi riuscita nel mio intento, anche fra anni, sarei diventata di sicuro Malandrina a tutti gli effetti, scommessa o non scommessa, e avrei vinto io.
“Ah, giusto.”, risposi quindi fingendo rammarico. “Non importa, tanto non sarei riuscita mai a vincere. Mi arrendo!”, ammisi umilmente. Mi guardarono increduli. In effetti mi costava fatica anche solo dover far finta di essermi arresa, e loro mi conoscevano troppo bene per non rimanere stupiti di fronte alla mia docilità. 
“Comunque magari… ci saranno altre occasioni in futuro, ecco.”, aggiunse Sirius con impeto.
“Ma certo! Buonanotte.”, li salutai trattenendo un sorriso. Eccome se ci sarebbero state altre occasioni.

Ma nonostante l’ottimismo e la testardaggine, ben presto cominciai a scoraggiarmi. La cosa peggiore è che non avevo nessuno che potesse aiutarmi, nemmeno le mie amiche, questa volta. Se pensavo a quanto mi era sembrato difficile intrufolarmi nell’ufficio di Silente…
Nei mesi seguenti le esercitazioni assorbirono gran parte del mio tempo. Me ne stavo in camera, oppure quando il tempo era bello in qualche angolo remoto del parco, e provavo e riprovavo, la bacchetta in una mano e un libro nell’altra. Facevo pochi progressi, ma non mi arrendevo, e le volte che ero sul punto di mandare tutto al diavolo, il pensiero dei Malandrini mi imponeva di andare avanti. Loro ovviamente si erano accorti che nascondevo qualcosa. Stavo quasi sempre da sola, ridevo raramente alle loro battute, ero sempre tra le nuvole. Non che loro avessero meno pensieri. Con l’avvicinarsi dei GUFO persino James (nonostante la sua brillantissima mente, come la definiva lui), era costretto a passare più tempo sui libri che al campo di Quidditch.
Una volta al mese, di notte, guardavo i Malandrini correre nel parco verso il Platano Picchiatore e trasformarsi nei rispettivi Animagus. Dalla finestra li salutavo con la mano, anche se sapevo che non potevano vedermi.
Comunque, tiravamo tutti avanti. E pian piano, giorno dopo giorno, cominciai a rendermi conto che il mio obiettivo si faceva sempre più vicino e che, anche se avevo dovuto faticare così tanto, ce la stavo per fare.
Era ormai febbraio, fra poco sarebbe stato il compleanno di Sirius e speravo davvero di riuscire ad entrare tra i Malandrini entro quella data. Quindi mi rimboccai ancora di più le maniche e raddoppiai gli sforzi. Ero elettrizzata al pensiero di cos’avrebbero detto Sirius, James, Remus e Peter quando avrei finito.
Quando ci riuscii la prima volta, per pochi secondi, rimasi letteralmente paralizzata. Mi buttai sul letto e rimasi mezz’ora a fissare il soffitto, lasciandomi andare ogni tanto in una risatina isterica, poi aprii la finestra, mi sporsi verso il parco e gridai “UOOOOOOOH!”, facendo sobbalzare le lontanissime persone che si muovevano sul prato. “CE L’HO FATTA, CE L’HO FATTAAAAAAA!”
“Beatriceee, apri quella porta!” Mi accorsi all’improvviso della voce di Georgia e dei suoi pugni, che minacciavano di voler buttare giù la porta. “SIIII!”, sussurrai eccitatissima un’ultima volta, mostrando i pugni allo specchio. Sei un tantino patetica, malandrina mia…, pensai. Tutti quei mesi di tentativi falliti mi avevano mandato in pappa il cervello. Aprii la porta a Georgia, mi lanciai fuori dalla stanza senza nemmeno guardarla mentre mi urlava dietro qualcosa e corsi euforica fino al parco, ignorando un sacco di conoscenti che mi guardavano attoniti (fra cui anche Sirius, è probabile). Nel parco tentai e ritentai, diventando sempre più brava, fino a quando non fui sicura di essere perfettamente capace. Ero felicissima e avrei dato qualsiasi cosa per andare a spifferare tutto a qualcuno, ma riuscii a resistere alla tentazione.
Quando finalmente decisi che era arrivato il momento di mostrare a Sirius il frutto dei mesi passati era metà febbraio e mancava un giorno al plenilunio.

***

Era in Sala Comune, e stava chiacchierando con dei suoi amici di qualche anno più grandi di me. Mi feci coraggio e gli andai vicino. Picchiettai un dito sulla sua spalla. “Ehi Sirius. Puoi venire un attimo?”, gli chiesi a bassa voce. Vidi i ragazzi che mi guardavano incuriositi, così come Sirius. “Certo.”, fu la sua risposta.
Lo portai lontano dagli occhi indiscreti dell’affollata Sala Comune, ignorando le sue domande e muovendomi a passo spedito tra corridoi e scale, verso uno dei posti in cui avevo preferito stare da sola nei mesi precedenti.
Quando arrivammo, mi chiesi se Sirius si ricordava della giornata che avevamo passato insieme proprio lì, in quel punto del parco. Lui non disse niente, ma qualcosa cambiò nella sua espressione.
“Allora?”, mi chiese impaziente. Il cuore mi batteva a mille. E se avessi sbagliato? Cercai di ritrovare la calma guardando gli alberi frondosi che ci circondavano, gli scogli bagnati sulla riva, gli uccelli che volavano lontani nel cielo terso…
E divenne tutto improvvisamente facile. Pochi secondi dopo ero lassù anch’io, sfrecciavo come impazzita in alto, sempre più in alto, poi scendevo in picchiata e risalivo avvitandomi e girando su me stessa,  sbattevo freneticamente le ali e poi mi lasciavo  muovere solo dal vento, piccola e agile, inebriata da quel senso di libertà e purezza totalmente nuovo per me.
Ero una rondine.
Con uno stridio acuto tornai da Sirius, e svolazzai di fronte al suo sorriso sbalordito. Quando tornai umana scoppiai a ridere, assaporando il mio momento di gloria, e per la prima volta Sirius mi guardò con ammirazione.
Raramente mi ero sentita così appagata.
“Allora c’era un motivo se non hai protestato più di tanto e non hai nemmeno chiesto se potevi venire con noi di notte…”, sussurrò maliziosamente. “… Mi sembrava strano.”
“Ovvio! E anche se vi ho lasciato vincere la scommessa… Tanto adesso siete obbligati a farmi entrare nei Malandrini.”, risposi ghignando.
“Remus ti ammazza.”
“Remus se ne sta tranquillo.”, ringhiai. “Ho fatto tutta questa fatica solo per lui, e non ho intenzione di lasciar perdere. Tanto posso stargli alla larga, quando si mette male. Non sarò nella mischia, come te e Ramoso. Domani io vengo con voi.”, esclamai con decisione appoggiando le mani sulle sue spalle.
Poi, senza poter resistere, mi trasformai di nuovo, seguita immediatamente da Sirius, e i pochi studenti che si trovavano nelle vicinanze stettero a guardare la scena bizzarra di un cane grosso e nero che inseguiva abbaiando felice una piccola rondine.

***

James lanciò un debole fischio di ammirazione, Remus spalancò la bocca infuriato, Peter, dopo aver  controllato le reazioni degli amici, si astenne dal commentare.
“Scricciolo, sei davvero… uno scricciolo!”, esclamò James entusiasta.
Alzai gli occhi al cielo, prima di ricordarmi che era un gesto ridicolo per un uccello, e gli risposi con un complicato gorgheggio in rondinese, che causò l’ilarità dei miei amici. Tranne che di Remus, che rimaneva in disparte, con le braccia incrociate e lo sguardo truce. Non avevo intenzione di trasformarmi prima che gli fosse passata l’arrabbiatura, perché così sarei sempre potuta scappare dalla finestra aperta, in caso di pericolo.

Anche io facevo ancora fatica a credere ai miei occhi. Mi studiai nei minimi particolari allo specchio, osservando con attenzione il colore delle piume, candido sul petto, nero inchiostro, quasi bluastro, nel resto del corpo tranne che attorno agli occhi e al becco, dove tendeva ad una sfumatura più rossiccia. I miei occhi, non più azzurro-verdi, erano piccoli, neri e lucenti, il becco era sottile e affilato, e dello stesso nero del corpo, la coda aveva due punte, grazie alle quali quando volavo ero in grado di cambiare direzione all’improvviso e in pochissimo tempo. Certo, all’inizio, quando ero riuscita a trasformarmi per le prime volte, ero un po’ terrorizzata all’idea di dover volare. Dopo i primi voli raso terra però mi ero resa conto che era molto più facile e spontaneo di quanto credessi, e dopo poco avevo preso confidenza e fiducia nelle mie ali, piccole ma potenti.
Sì, conclusi tra me e me, ero soddisfatta del mio Animagus. Quando avevo provato ad immaginare che forma avrebbe preso, avevo sempre pensato ad un animale di terra, come un gatto, o una volpe, anche se l’animale che avrei preferito in assoluto, per quanto improbabile, era la giraffa. Ma sentivo che la rondine era perfetta per me. Ero così a mio agio, nel suo corpo. Era una liberazione poter sfuggire alle mie occupazioni e ai miei pensieri da umana, poter scappare in qualsiasi momento senza dover dire niente a nessuno, senza che qualcuno se ne accorgesse.

Terminate le mie riflessioni davanti allo specchio, tornai a terra e mi ritrasformai.
“Un hip hip urrà  per Scricciolo!!”, urlò James.
“Hip hip…”, iniziò Peter, poi vide la faccia di Remus e lasciò perdere.
“Quindi, dopo aver versato lacrime, sangue e sudore per tale nobile scopo, sono finalmente degna di entrare a far parte dell’esclusivissimo e leggendario gruppo dei Malandrini, Consiglieri ed Alleati dei Magici Malfattori e bla bla bla…?”, conclusi ironicamente,  arrischiandomi guardare Remus che non aveva ancora aperto bocca.
Sirius si guardò intorno. “Chi vota per il sì?”
La sua mano si alzò insieme a quella di Ramoso e Codaliscia. Tutti guardarono interrogativamente Lunastorta.
“Ho già rischiato di ucciderti una volta,”, iniziò lui, “… non permetterò che succeda di nuovo.”, conclusi io al suo posto imitando il tono grave della sua voce. “Perché ovviamente questi tre idioti possono fare tutto quello che vogliono e possono rischiare di farsi ammazzare senza problemi quando preferiscono, mentre io invece solo perché sono una femmina devo sempre ascoltare gli altri. Senza contare che, a quanto mi risulta, i lupi mannari non sanno volare e quindi a meno che non mi schianti contro un albero, le possibilità che io rimanga uccisa venendo con voi sono pari a zero.”, continuai testardamente esponendo i punti salienti della mia brillante arringa.
“Beh, ha ragione…”, si azzardò Sirius.
“Tanto le hai sempre tutte vinte.”, cedette Remus esasperato al massimo.
“Quindi…?”, lo spronai speranzosa.
“Quindi… voto sì anch’io.”, si arrese Remus trattenendo a stento un sorriso.
“E QUINDI HO VINTO QUELLA DANNATA SCOMMESSA!!”, conclusi esultante.
“Abbraccio sandwich!”, urlò Peter, e si strinsero tutti attorno a me in un abbraccio strettissimo.
“Ahia, soffoco.”, ansimai ridacchiando.
“Dobbiamo organizzare una festa! In onore del primo e unico membro femminile dei Malandrini!”, esclamò James, che non perdeva mai un’occasione per festeggiare, indipendentemente da cosa si doveva festeggiare.
“Primo, unico e anche ultimo.”, puntualizzò Sirius ammiccando.
“No, ultimo no. Quando mi sposerò con Lily dovrà per forza entrare anche lei. È molto più malandrina di Beatrice.”, lo contraddisse seriamente James.

E si concluse così la mia prima giornata da Malandrina.

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Capitolo 11
*** Palle di neve e occasioni sprecate ***


Undicesimo capitolo: PALLE DI NEVE E OCCASIONI SPRECATE

Sabato 22 febbraio mi svegliai alle 8.05, guardai fuori dalla finestra, vidi che nevicava ancora e sorrisi. Da quasi una settimana nevicava sul serio, ora dopo ora senza fermarsi quasi mai, e il castello, il parco, le montagne, tutto ma proprio tutto era sommerso da più di un metro di neve. A me piaceva la neve, soprattutto perché nei primi anni della mia infanzia avevo vissuto in Italia, il paese natale della mia mamma, e queste nevicate improvvise e abbondanti, che laggiù non si vedevano quasi mai, riuscivano ancora a sorprendermi.  
Sorrisi di nuovo, perché quel giorno era il compleanno di Sirius. E poi sogghignai, perché Sirius mi aveva promesso che per festeggiare avremmo massacrato James di palle di neve.
Dopo questa serie di sorrisi, mi alzai, mi lavai, mi vestii, e con passo felpato per non svegliare le ragazze, che il sabato mattina non si alzavano prima delle dieci, andai a fare colazione.

A metà strada mi venne un’ispirazione malvagia, cambiai rotta e tornai alla torre di Grifondoro. Senza problemi entrai di soppiatto nel dormitorio maschile, spalancai silenziosamente le finestre annusando il profumo della neve (forse sono l’unica che pensa che la neve abbia un profumo, comunque non importa, andiamo avanti) e mi fermai ad osservare i miei quattro amici che dormivano: Remus a bocca aperta, ancora pallidissimo per essersi appena ripreso dal suo piccolo problema peloso, James con la testa dalla parte dei piedi, Peter teneramente abbracciato al cuscino e Sirius proprio sull’orlo, come se stesse per cadere.
Mi sembravano talmente… stupidi, nell’insieme, che mi maledissi per non avere una macchina fotografica, e cominciai a ridacchiare, e più mi dicevo di stare zitta più mi veniva da guardarli e da ridere, mentre Sirius borbottava nel sonno facendo il broncio: “Jamie, ho freddo…”, e si contorceva inutilmente per recuperare le coperte, che erano cadute sotto il letto. Quando crollai a terra ridendo silenziosamente Sirius si svegliò, e guardò prima le finestre spalancate, poi me, raggomitolata in un angolo e scossa dalle risate.
“A…au..g… “Au..guri!”, rantolai tenendomi la pancia con le mani. Lui mi sorrise un po’ incerto, come se si stesse domandando se era tutto a posto. In quel momento si svegliò anche James, che balzò in piedi, in mutande e maglietta spiegazzata , sbraitando: “Chi ha aperto le finestre?!”
Io ricrollai sulle ginocchia, presa da un nuovo attacco di risa. “James… co…me sei se…sexy”, sghignazzai  con le lacrime agli occhi. 
“Ah, stronzetta, ridi pure…”, mi minacciò agitando il pugno in aria e avvicinandosi pericolosamente. Io strisciai fino al suo letto e mi ci buttai sopra, nascosi la testa dentro il cuscino e continuai a ridere convulsamente.
 “Ragazzi… non ridevo così tanto da… secoli… Ahi che mal di pancia…”, ansimai alla fine, asciugandomi gli occhi.
“Fuori di qui!” urlò James infuriato, indicandomi la porta.
“Sissignore!”, e corsi fuori sbattendomi la porta alle spalle. Dopo un secondo la riaprii, infilai la testa dentro la stanza ed esclamai con un sorriso raggiante: “Cavolo James, non ti avevo mai visto così arrabbiato!”, poi scappai giù dalle scale, mentre James mi urlava qualcosa dietro.

Quando mi raggiunsero a colazione, James era ancora arrabbiato e io mi ero finalmente ripresa dalla ridarella. Abbozzai un sorriso e spostai il mio piatto per far loro spazio.
“Tieni, buon compleanno.”, dissi a Sirius e gli lanciai un pacchetto blu. Avevo riflettuto molto su cosa regalargli, sempre che fosse il caso di regalargli qualcosa. Ma sì, avevo deciso alla fine. Eravamo abbastanza amici, e per di più adesso ero entrata definitivamente nei Malandrini. Dopo un bel po’ di indecisione avevo optato per qualcosa di Zonko, che a Sirius sarebbe andato bene sempre e comunque.
“Ehi! Grazie! Che cos’è?”, chiese Sirius scartandolo curioso.
In verità non avevo capito bene nemmeno io di cosa si trattasse, però mi ero affidata completamente al commesso di Zonko, il quale mi aveva promesso che il misterioso “Attentatore Pratico” non mi avrebbe deluso.
Feci un sorriso enigmatico,  e poi fui distratta da uno scoppio che proveniva dall’interno del pacchetto. “Penso che faccia parte del… meccanismo, o quello che è.”, gli spiegai tranquillamente, mentre lui guardava il globo arancione e scoppiettante contenuto nel pacchetto con un misto di diffidenza e curiosità.  Poi James si illuminò ed esclamò: “Ma sì, è il nuovo Attentatore Pratico di Zonko! ”
Ascoltai distrattamente Sirius e James, impegnati in una fitta conversazione con Peter ed un poco entusiasta Remus sui mille usi di quel coso, che, a quanto dicevano, avrebbe causato la rovina di Gazza.
“E comunque!”, esclamò alla fine James agitando per aria una forchetta e guardandomi torvo. “…Non m’importa se oggi è il compleanno di Sirius, tu non ti devi permettere di entrare in camera MIA alle OTTO di mattina, di spalancare le finestre quando ci sono venti gradi sotto zero e poi di scoppiare a ridere come una demente, sono stato chiaro?!”,
“Ma dai Jamie… era uno scherzo…”, ribattei mordendomi le labbra e guardando con più interesse del normale la mia tazza di tè. 
“NON CHIAMARMI JAMIE, BRUTTA…”
“James, Beatrice, basta.”, esclamò alla fine Sirius, esasperato.
“Va bene, vado da Lily.”, sentenziò quindi James dopo essersi passato una mano nei capelli e rimirato in un cucchiaino, come se l’alternativa a litigare con me fosse andare a rompere le scatole a Lily. La logica di James a volte mi lasciava un po’ stranita…
“In bocca al...", cominciò Remus, poi si ricordò del suo piccolo problema peloso e si interruppe con una mezza smorfia divertita.

 

***

“Io vado con Sirius e gli altri giù nel parco. Se volete venire…”, proposi alle mie amiche mentre mi avvolgevo attorno al collo la lunga sciarpa rossa e oro. Si scambiarono un’occhiata dubbiosa.
“Sì dai!”, esclamò entusiasta Georgia, che era quella con meno problemi a socializzare, anche perché faceva parte della squadra di Quidditch di Grifondoro e quindi lei e James erano già amici.
“Non è che Sirius si arrabbia perché ha in mezzo ai piedi altri quattro terzi incomodi da far fuori per stare da solo con te?”
“Dio Heloïse, sei insopportabile.”, sospirai infastidita, avendone fin sopra i capelli delle sue insinuazioni malefiche. “Sbrigatevi, se volete venire.”

E così, quattro Malandrini e quattro Malandrine si incontrarono all’ingresso della Sala Grande. Non potei fare a meno di pensare a quanto somigliassimo a quattro coppie. Mi lambiccai sovrappensiero su quali sarebbero potute essere le combinazioni. Io e Sirius, ovviamente. Remus e… Juliet? James e Georgia. E  infine, Peter ed Heloïse, conclusi con un ghigno divertito.
“A cosa pensi?!”, mi chiese Sirius curioso tirandomi una ciocca di capelli.
“Niente niente…”, risposi sempre sorridendo sovrappensiero.

La neve scendeva a grandi fiocchi. Come facevo sempre da bambina, alzai la testa verso il cielo e aprii la bocca aspettando che i fiocchi mi si sciogliessero sulla lingua. Quindi quando arrivò la prima palla di neve non me ne accorsi e non feci in tempo a schivarla. Non avevo bisogno di girarmi per immaginare James che sogghignava con soddisfazione e si preparava a tirarmene un’altra.
“James. Provaci soltanto.”, lo avvertii.
“Come vuoi…”, e un’altra palla di neve mi colpì proprio sul collo.
“I capelli no, ti prego!! Domani c’è la festa e se mi ammalo è tutta colpa tua…”, sbraitai avanzando a fatica verso di lui e lanciandogli una palla di neve, che ovviamente lo mancò di circa un metro.
“Che stupida...”, sghignazzò lui. Poi proseguimmo verso il lago quasi completamente ghiacciato, un po’ correndo e un po’ scivolando, tutti allegramente in fila da destra a sinistra, mentre le palle di neve ci volavano sopra la testa. Più o meno tutta Hogwarts oggi aveva deciso di venire a fare palle di neve. Come tutti gli anni, del resto. Anche da lontano riuscivo a distinguere Kenny, il viso bruno che risplendeva in mezzo a tutto quel bianco mentre era impegnato in una furiosa battaglia contro dei suoi amici.
“Ti piace la neve?”, mi chiese Sirius. Non sopportavo quando mi faceva queste domande del cavolo. Ovvio, adoravo parlare con lui, ma a volte mi sembrava che mi rivolgesse la parola giusto per educazione, come se fossimo due sconosciuti costretti a parlare. 
“No, mi fa schifo!”, gli risposi allegramente con una nota di impertinenza nella voce, come per sfidarlo ad affermare il contrario. Infatti mi guardò sorpreso. “Davvero?!”
“E allora perchè me lo chiedi?! È ovvio che mi piace, se esco apposta per fare le palle di neve!”
Mi guardò ancora più sorpreso. Non era da me ribattere così, probabilmente si chiedeva cosa mi passasse per la testa.
“Sai, è che a volte parliamo di cose così insignificanti! Siamo amici, no? Non dovrebbe esserci bisogno di tutte queste… domande formali. ”, provai a spiegargli arrossendo.
“Se sei timida e la maggior parte delle volte  mi rispondi a monosillabi non è colpa mia. ”, si difese, senza però rinunciare al suo immancabile ghigno.
“Ehi, non è vero!”, protestai ridendo.
“Allora sei timida solo con me... Con James parli molto di più. E anche con Remus. E pensare che sono mille volte più simpatico e più bello di loro due messi insieme! ” Arrossii nuovamente.
“Remus è Remus. E con James ci litigo e basta.”, ribattei un po’ sulla difensiva.
 “Tsè, ci litighi…”, insinuò lui.
Inarcai le sopracciglia sorridendo. “James, adesso?”
“E perché no?! È bello, piace ad un sacco di ragazze…”
“…Sì, soprattutto a Lily.”, lo interruppi io, e scoppiammo entrambi a ridere.
“Dai, non dobbiamo prenderlo in giro, povero Cornuto.”, protestai senza molta convinzione. Mi girai per cercare James con lo sguardo e mi resi conto che, inspiegabilmente, io e Sirius, troppo presi dalla conversazione per accorgercene, eravamo soli. I sei terzi incomodi, come gli avrebbe chiamati Heloïse, erano rimasti molto, molto più indietro. Terzi incomodi di cosa, poi?, mi chiesi sospirando irritata. Se io fossi interessata a Sirius, credevano che avrebbe avuto bisogno del loro aiuto perché ci mettessimo insieme?! La mia cotta era così evidente, per tutti… C’erano state mille occasioni in cui, se io gli fossi piaciuta, avrebbe potuto dirmelo. Quindi, ovvio che non gli piacevo. Peccato che per loro non fosse altrettanto lampante.
La vita è dura, quando hai degli amici che ti vogliono troppo bene.

“Tutto a posto?”, mi chiese Sirius distogliendomi dai miei pensieri.
Trasalii. “Cosa? Sì, tutto a posto. Solo… gli altri sono rimasti un po’ indietro.”, risposi cercando di non sembrare imbarazzata.
Strizzò gli occhi nella direzione dei sei puntini che erano rimasti un po’ indietro. “Eh già!”, commentò con un mezzo ghigno. “Di cosa stavamo parlando?!”, riprese lui.
Alzai lo sguardo e incrociai i suoi occhi grigi, quel giorno dello stesso colore del cielo, che brillavano di divertimento. Sarei potuto rimanere a guardarlo senza stufarmi per ore, avrei voluto intrappolare nella mente ogni particolare, dai fiocchi di neve cristallizzati che si posavano sulle sue ciglia e sui suoi capelli, al colore delle sue guance, appena più acceso del normale a causa del freddo.
“Non mi ricordo.”, mormorai alzando le spalle. Ed era la pura verità.
Eravamo ancora soli. Un’altra ragazza al mio posto ne avrebbe approfittato di sicuro, avrei potuto prendere io l’iniziativa, dirgli tante cose, oppure addirittura baciarlo…
Ma io ero io. Se da una parte avrei voluto che in quel momento succedesse qualcosa, dall’altra ero terrorizzata. Forse non mi sentivo ancora pronta. Forse non lo sarei mai stata. E così, ancora una volta, agii d’istinto e feci la prima cosa che mi passò per la testa, proprio quando stava per aprir bocca. Mi chinai di scatto, raccolsi una manciata di neve e gliela tirai in faccia.
Avevo rovinato tutto, come al solito.
Eppure, non si sa perché, scoppiai in un’allegra risata, che sembrava naturale persino a me.
Lui, senza dire una parola e con la faccia sgocciolante mi prese in braccio, mi capovolse e tenendomi per le gambe prima che riuscissi a protestare mi ficcò la testa nella neve. Cominciai a scalciare e a dimenarmi fino a quando indietreggiando mollò la presa e mi lasciò cadere come un sacco di patate. Completamente immersa nella neve, rotolai di fianco mentre mi tendeva la mano per aiutarmi a rialzarmi. Lo guardai in cagnesco.
“Occhio per occhio…”, mi disse sghignazzando.
“… dente per dente.”, conclusi mio malgrado unendomi alle sue risate, poi afferrai la sua mano e lui mi tirò verso di sé, accarezzandomi la testa bagnata. Io rimasi lì, appoggiata al suo petto e tremante di freddo.
Fu così che ci trovarono i sei ritardatari, che arrivarono schiamazzando allegramente e scambiandosi qualche occhiata allusiva.
“Scusate, ma stavate andando troppo veloci!”, disse Remus sorridendo.
“Ciao.”, borbottai a denti stretti. “Andiamo?”
“Perché sei bagnata?!”, mi chiese Juliet ridacchiando.
“Indovina.”, risposi laconica, indicando Sirius.
“Così impari!”, ghignò James.
“Gne gne gne!”, gli risposi io, e prima che potessimo ricominciare a litigare, Sirius sbottò: “Allora, andiamo sì o no?”, e ci incamminammo tutti verso il lago.

“Per me se ci cammino sopra regge.”, esclamò spavaldo James, guardando con un ghigno pensieroso lo strato di ghiaccio che ricopriva il lago. Era uno di quei momenti in cui Lily Evans, giustamente,  l’avrebbe odiato con tutto il cuore. Heloïse lo stava guardando con molto interesse.
“No James, non farlo, è troppo pericoloso!”, strillò Sirius in falsetto portandosi una mano alla bocca con un’espressione di finto terrore. James lo ignorò e posò un piede sopra il ghiaccio. Incrociai le dita sperando con tutto il cuore che cadesse dentro e venisse trascinato negli abissi dalla Piovra Gigante.
Tuttavia James posò anche l’altro piede e iniziò a pavoneggiarsi in modo disgustoso, muovendo qualche passo scricchiolante sulla superficie. Incrociai lo sguardo di Sirius, che sogghignando mi fece segno di stare zitta. Poi, mentre James era girato di spalle, gli si avvicinò da dietro, fece pressione con entrambi i piedi sul ghiaccio.
“Aaaaaaah!!”, urlò James vedendo che il ghiaccio cominciava a cedere, poi si mise a correre verso di noi, scivolò di sedere e cadde bocconi sulla neve, al sicuro, mentre noi ci sbellicavamo dalle risate.
“Peccato che non ci sia Lily, vero?”, lo canzonai mentre cercava di rialzarsi incespicando.
“Andate... tutti...”, borbottò lui con la faccia tutta rossa per lo sforzo e la vergogna.
“Già, si sarebbe divertita da matti!”, mi diede man forte Remus anche se, a mia differenza, era troppo buono e gentile per umiliare davvero James.

Passammo gran parte del pomeriggio ad Hogsmeade, ai Tre Manici di Scopa dove finalmente mi riscaldai, anche se i vestiti rimasero umidi. Ovviamente fu obbligatorio anche passare da Zonko, che ci portò via quasi un’ora.
“Ragazzi, io torno al castello. Così magari passo da Madama Chips e le chiedo qualcosa per prevenire il raffreddore. Che di sicuro mi verrà.”, esclamai lanciando un’occhiataccia a Sirius.
 “Ti accompagno. Per farmi perdonare…”, si offerse Sirius alzandosi in piedi. Io arrossii confusa.
“Sì, ti accompagno anch’io.”, lo emulò Peter alzandosi immediatamente e guardando gli altri. “… Non venite?”, aggiunse subito titubante, vedendoli immobili. Povero ingenuo Peter, pensai sorridendo un po’ stizzita. Sentii Heloïse che gemeva guardando Peter con aria omicida, mentre cercavo di trattenermi dal mostrarle la lingua. Non che mi facesse particolarmente piacere la presenza di Peter.
Alla fine decisero tutti di tornare, anche perché cominciava a fare davvero freddo. James e Georgia parlavano (indovinate un po’?) di Quidditch, io me ne stavo in silenzio, amareggiata per aver sprecato ben due opportunità in cui avrei potuto scoprire se io contavo qualcosa per Sirius, gli altri giocavano ancora con la neve.

Mentre entravamo nel castello, rivolsi i miei pensieri alla festa imminente, la mia festa, che avevamo fissato per il giorno dopo. Cercavo di non farmi troppe illusioni per quella sera, ma insomma, se tra me e Sirius doveva succedere qualcosa (e tutti lo davano per scontato) quella era l’occasione giusta. Le feste sono sempre l’occasione giusta. Altrimenti mi sarei rassegnata per sempre.
No, cancellate l’ultima frase! Non mi sarei rassegnata comunque. 

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Capitolo 12
*** La festa ***


Dodicesimo capitolo: LA FESTA

Quando James aveva detto che dovevamo organizzare una festa in mio onore, beh non avevo pensato che intendesse una festa seria, con tutti gli studenti della scuola (e anche qualche fantasma) invitati. E invece, mai sottovalutare James Potter.
Ovviamente solo noi cinque avremmo saputo il vero motivo della festa, dato che nessuno era al corrente dell’esistenza dei Malandrini, e sull’invito ci saremmo inventati qualcosa. Io però avevo proposto che avremmo potuto festeggiare il compleanno di Sirius, e così dovetti (non a malincuore) dividere il ruolo di protagonista con lui.
L’organizzazione era tutta nelle mani di James e Sirius, perché io in questo campo ero totalmente incapace e anche piuttosto pigra. Il massimo che ero disposta a fare era distribuire gli inviti e, magari, aiutare gli elfi domestici con le decorazioni.


***

“AHIA Heloïse! E non dirmi che chi bella vuole apparire un poco deve soffrire, perché ti ammazzo di botte!”, strillai infuriata mentre Heloïse cercava entusiasticamente di pettinarmi i capelli in una specie di chignon intrecciato, dopo che avevo accettato, con una certa riluttanza, di sottopormi al suo trattamento di bellezza. Dopotutto, anche se nessuno lo sapeva, quella sarebbe stata anche la mia festa, e ci tenevo ad essere carina.
“Sei troppo Babbana. Un avada-kedavra è molto più pulito.”, rispose lei, e riprese a lottare contro i miei nodi un po’ più delicatamente.
“Purosangue razzista.”, bofonchiai stizzita. Osservai sconsolata la pila di lozioni per la pelle, ciprie, ombretti eccetera eccetera accatastata alla rinfusa sul mio letto, e poi Juliet e Georgia, già perfettamente pronte, la prima con un vestito verde pallido che le metteva in risalto le lunghe gambe, e una complicata acconciatura di cui non ricordavo il nome, la seconda con i capelli sciolti sulla schiena e un tubino grigio perla.
Quando Heloïse ebbe finito di torturarmi, infilai a fatica il mio aderente vestito nero senza spalline, con il corpetto bianco, e dopo essermi lasciata passare sopra gli occhi una sottile linea di eyeliner, ci avviammo verso il luogo della festa.
All’inizio avevamo pensato alla Sala Comune di Grifondoro, ma era ovviamente troppo piccola, e Sirius, in pieno stile malandrino, aveva avuto l’idea di portare tutti gli invitati nella Stanza delle Necessità, che per l’occasione avrebbe preso le sembianze di un’enorme stanza con eleganti divanetti di pelle, tavoli per il buffet e tantissimo spazio per ballare, o chiacchierare… Sirius era davvero un genio.

“Ciao bellissime!”, ci salutò James con disinvoltura all’ingresso della stanza, e ci dette una spintarella leggera per farci entrare. Rimasi per un attimo frastornata di fronte alle luci colorate e alla musica a palla, ma non feci in tempo a sentire il parere delle mie amiche che fui inghiottita dai corpi che si muovevano a ritmo della musica. Mi feci strada alla ricerca del resto dei Malandrini, e vidi da lontano Sirius che si sbracciava raggiante. Lo salutai con la mano e lo raggiunsi.
“CHE NE PENSI?”, sbraitò cercando invano di superare il volume della musica e prendendomi le mani per farmi ballare.
“BELLISSIMO!”, urlai di rimando, cominciando a sentirmi meno a disagio. Continuammo per un po’ a fare qualche osservazione insignificante sulla festa, o sugli invitati. C’era troppa confusione e troppa gente per parlare di qualcosa di più personale. Poi lo cedetti di malavoglia al capannello di persone che era venuta per fargli gli auguri, e non lo rividi per gran parte della sera. Sbocconcellai qualcosa dal tavolo dei buffet, chiacchierai con un sacco di conoscenti che normalmente non frequentavo e cercai di essere il più disinvolta possibile con tutti.
Filava tutto a meraviglia fino a quando, stanca di ballare e accaldata, mi sedetti su un divanetto e mi scolai un bicchiere di Coca ghiacciata. Dopo la pausa mi alzai per cercare qualcuno, possibilmente Sirius, con cui stare, ma sembravano tutti impegnati. Remus, che doveva per forza essere da qualche parte, non ero ancora riuscita a trovarlo, e tutte le persone con cui avrei avuto voglia di passare il resto della sera o sembravano scomparse, oppure erano occupati in altro. Pensai di avvicinarmi a Kenny, ma sembrava tanto preso dalla conversazione con una nostra amica in comune di Corvonero, Catherine,  una ragazza simpatica e silenziosa, che mi chiesi se era il caso di disturbarlo. Per un attimo presi in considerazione l’idea di andare da Peter, ma si stava abbuffando di gusto al tavolo dei dolci e decisi di non disturbare nemmeno lui. Quando poi vidi in un angolo Sirius, circondato da un gruppo di ragazze che ridevano come delle oche e se lo spupazzavano allegramente (non che lui sembrasse particolarmente infastidito), persi ogni energia e me ne tornai mogia al mio divanetto. Poco dopo fui raggiunta da James.
“Già stanca?”, mi punzecchiò.
“La vecchiaia comincia a farsi sentire anche per me. Hai visto Remus?”, gli risposi con tono distaccato.
Fece un ghigno. “Eccome. Guardalo là, il nostro lupacchiotto.”, e mi indicò un altro divano. Mi andò di traverso la coca-cola e, tossendo e sputacchiando, mi rovesciai quella che restava sul vestito.
Remus e Juliet, avvinghiati sul divanetto, si baciavano con foga.
“Non fissarli, non è educato.”, mi prese in giro James sghignazzando fragorosamente. “Era ora che Lunastorta si svegliasse un po’! Però non sapevo che gli piacesse Juliet!”
“E io non sapevo che a Juliet piacesse Remus!”, esclamai sbalordita senza riuscire a staccare gli occhi dalla scena disgustosa.
“Saranno ubriachi.”, disse James alzando le spalle con noncuranza. “Comunque sono contento, l’ho educato proprio bene!”, aggiunse con orgoglio. Io invece… come sarebbe stato, se Juliet e Remus, due dei miei migliori amici,  si fossero fidanzati? Sarebbe cambiato qualcosa, per me? Mi sentivo un po’ inquieta. Ma no, dovevano essere per forza ubriachi. Nessuno dei due avrebbe preso un’iniziativa simile, quando si conoscevano appena. Il mio sguardo tornò a vagare per la sala, e si fermò di nuovo su Sirius, che ballava con una ragazza bionda abbastanza carina. Sospirai imbronciata. James sogghignò e io lo guardai malissimo.
“Ma scusa, di cosa di lamenti?!! Tutte le volte che ti diamo l’occasione per stare da sola con lui tu scappi via o comunque trovi il modo per rovinare il momento romantico. Non sembri molto innamorata di lui, sai?”, mi disse.
“Eh?”, risposi sorpresa. Io non sembravo molto innamorata di Sirius?! Certo che James era proprio un idiota.
“No, per niente.”, ribadì James scuotendo lentamente la testa.
“Ma… James? Voi date per scontato che io, insomma… piaccia a Sirius?”, mi azzardai a domandargli mentre sentivo che mi si scaldava il viso.
“Gli altri sì. Io proprio no! Sirius è troppo un tipo a posto. Perché dovrebbe innamorarsi di una come te?!”, mi rispose sghignazzando.
“Non fa ridere.”
“Sì invece. E comunque magari gli piaci sul serio. Lui non ne parla mai, neanche con me. Un conto è se ci prova con una per divertimento, altrimenti o non si è mai innamorato sul serio, oppure si tiene tutto per sé.”
“Ah.”, risposi soltanto. Poi aggiunsi ridendo: “Dovresti fare così anche tu, invece che tormentarci con Lily.”
“Stai zitta.”
 “Come fai a sopportarlo?”, gli chiesi prima di riuscirmi a trattenere. Mi riferivo, e lui lo capì, al fatto che Lily non ne volesse proprio sapere di lui, quando metà ragazze di Hogwarts avrebbe dato chissà cosa per poter essere ricambiata da James.
“Non lo sopporto.”, rispose lui semplicemente. “Ma tanto prima o poi cederà anche lei. Cavolo, sono il miglior baciatore della scuola! Perché non dovrei piacerle?”, aggiunse con trasporto. Preferii non rispondere.
“Carina l’altra tua amica. Heloïse.”, commentò indicando la ragazza che risaltava nella sala con il suo vestito rosso fuoco.  “Una volta o l’altra ci provo con lei. Così faccio rosicare la Evans. Le piaccio, vero? Ad Heloïse, intendo.”
“No che non le piaci!”, esclamai indignata, anche se avevo paura che purtroppo non fosse del  tutto vero. Non sopportavo che James dovesse essere sempre così convinto di piacere ad ogni ragazza di sua conoscenza. E per di più mi era anche venuto mal di pancia, con tutte le bibite gelide che avevo bevuto.
“… Uffa, non ce la faccio più.”, sbuffai di malumore. James mi passò un braccio attorno alle spalle in modo fraterno e io piegai la testa per appoggiarla sulla sua spalla, cozzando contro la sua, che si era abbassata nello stesso momento. “Ahia.”, mormorammo all’unisono. Vidi Sirius che ci guardava, alzai il mento in un freddo cenno di saluto e lui, sciogliendosi dalla stretta mortale della bionda,  ci raggiunse e si sedette di fianco a noi.
“Che fate?”
“Niente.”, risposi.
“Avete visto Lunastorta??”, ci chiese con un ghigno. Annuii lugubremente.
“Vabè,”, fece James, “adesso vediamo se non piaccio ad Heloïse. Scommettiamo?”, mi chiese alzandosi. Io alzai gli occhi al cielo, e mi ripromisi mentalmente che non sarei scappata via e non avrei rovinato anche questa volta il “momento romantico”, come aveva detto James. Lo guardai avvicinarsi ad Heloïse, dirle qualcosa, lei che scoppiava a ridere, si scambiavano qualche parola sorridendo, poi James non si sa perché si allontanò ed Heloïse tornò a ballare.
“Peccato.”, commentò Sirius, che come me aveva seguito  la scena.
Mi rivolsi a lui sforzandomi di sorridere maliziosamente. “Carina la bionda!”
Sirius alzò le spalle. “Passabile. Ma preferisco le more. Anzi, le castane. Castano chiaro.” Sentii di gelare e arrossire allo stesso tempo. Io ho i capelli castano chiaro, pensai.
Non dovevo più deludere i miei amici, quando erano così premurosi con me. Quindi feci uno sforzo enorme e dissi sorridendo: “Come me.” Oddio non è possibile, l’ho detto sul serio., pensai subito dopo inorridendo.
“Sì, come te.”, rispose, e poi lasciò cadere il discorso.
“Sembri davvero una rondine, con quel vestito.”, commentò poco dopo indicando il mio vestito nero e bianco.
“Sì, l’ho messo apposta per quello.”, risposi distrattamente. Ecco, non potranno più rompermi le scatole. Stavolta non ho rovinato un bel niente ed ecco il risultato: niente., pensai delusa. A che gioco stava giocando, Sirius? Si divertiva a darmi false speranze, come se fosse sempre sul punto di dirmi che gli piacevo, oppure proprio non se ne rendeva conto?! Non ce la facevo più. Decisi in quel momento che mi ero stufata. Di lui, del suo comportamento, e di tutti gli altri. Mi alzai di scatto.
“Devo ancora salutare… un amico.”, improvvisai e mi allontanai dandogli le spalle. Me ne pentii subito dopo, ovviamente, ma ormai ero abituata a convivere con le mie cazzate quotidiane, quindi non ci detti troppo peso, anche se mi rovinai definitivamente la serata.
Non so che ora fosse quando la festa finì e ognuno ritornò nelle proprie Sale Comuni. Io mi buttai a letto, dopo essermi praticamente strappata di dosso il vestito, e aspettai Georgia ed Heloïse. Juliet stava già dormendo, ancora vestita.
Mi alzai di scatto quando le sentii entrare, ridacchiando e chiacchierando fitto a bassa voce. “Avete visto Juliet stasera?”, mormorai quando si sedettero sui rispettivi letti. Annuirono, un po’ incredule. Heloïse lanciò un’occhiata alla migliore amica, che dormiva beatamente. “Per me era ubriaca fradicia. Insomma, la conoscete! Non è da lei!”
“Sì, ma non è da lei nemmeno ubriacarsi.”, ribattei dubbiosa.
“E tu, con Black?”, sussurrò Georgia. Sbuffai e mi girai dall’altra parte, raggomitolandomi sotto le coperte e chiedendomi perché dovesse essere sempre tutto così difficile, con Sirius.
“Non lo so, davvero.”, e mi sfogai raccontandole della conversazione di prima, e anche del giorno precedente.
“Ma devi dargli tempo, Beatrice!”, esclamò Georgia esasperata. “Magari lui stasera stava solo aspettando il momento giusto, e poi tu te ne sei andata così, all’improvviso, come se ti scocciasse. Se tu fossi al suo posto cosa penseresti?!”
Ci pensai. “Che non gliene frega niente di me.”, mormorai stupita.
“Ecco, vedi?”, esclamò Georgia trionfante.
“Avete ragione.”, ammisi riluttante.  “Però… non ne sono convinta. Insomma, arrossisco in continuazione, sono così diversa quando sono con lui… è impossibile che non se ne sia accorto!”,
“Se tu ti vedessi dall’esterno non la penseresti così.”, bofonchiò Georgia coricandosi.
"E comunque, anche se Sirius non ti volesse, ci sono sempre io!", mi sussurrò Heloise abbracciandomi.
"Sì", annuii sorridendo. "Ti voglio bene, Helopisly", borbottai con uno sbadiglio, e poi nella nostra camera calò il silenzio.
Io continuai a ripensare a quello che mi aveva detto Georgia, fino a quando decisi che basta, il giorno dopo sarei andata da Sirius a parlargli, gli avrei detto tutto, e avremmo chiarito. Non si poteva più andare avanti così.
O la va o la spacca., pensai soddisfatta e fiera della mia coraggiosa decisione. Mi addormentai tranquilla e fiduciosa, perché tanto peggio di così non sarebbe potuta andare.

***

“Porca Meredith, che mal di testa.”
Io ed Heloïse ci scambiammo un’occhiata d’intesa mentre Juliet barcollava per la camera senza una meta, massaggiandosi le tempie.
“Ehm, Juliet, allora ti è piaciuta la festa?”, indagai.
“Boh, direi di sì. È tutto molto confuso, a dir la verità.”, mi rispose pensierosa. “… Mi ricordo bene che avevo una gran sete, quindi sono andata a prendermi un bicchiere d’acqua… solo che non sapeva di acqua!”
“Era vodka, idiota.”, sospirò Georgia.
“GIURA! Ma pensa, era vodka!”, esclamò sorpresa Juliet.
“Glielo diciamo??”, mi sillabò Heloïse silenziosamente. Alzai le spalle e annuii.
“Sai Juliet, probabilmente non te lo ricordi ma ieri sera, ecco… ieri sera…”, cominciai.
“Ieri sera cosa?”, mi chiese curiosa. “Oddio, ho fatto qualcosa di… strano?! Perché ero ubriaca?”, mi domandò preoccupata.
Guardai implorante Georgia, che prontamente continuò: “Beh sì, un po’ strano… tu, insomma… eri lì… e…”, Georgia si bloccò, e mi resi improvvisamente conto di quanto era comica la scena.
“E..?!!”
“E… e…”
“E TI SEI FATTA REMUS LUPIN, VA BENE?? ERA TANTO DIFFICILE?”, sbottò alla fine Heloïse, con la sua tipica delicatezza.
Juliet sgranò gli occhi, si grattò la fronte e si pettinò la frangia, si guardò attorno, scoppiò a ridere e poi inorridì. “Io cosa?”, chiese incredula.
“Ti. Sei. Fatta. Remus. Lupin.”, ripetè lentamente Heloïse scandendo le parole.
“Oddio. Ma è terribile! Ho tradito Derek!”, esclamò Juliet nascondendosi il viso dietro le mani. Io respirai di sollievo e sorrisi a Georgia ed Heloïse. Se tirava in ballo Derek voleva dire che era tutto normale. Non avrebbe subito danni permanenti.

***
 

Poco lontano, nel dormitorio maschile, si svolgeva più o meno la stessa scena.
“Davvero, te lo giuro! Diglielo Sir, non sto scherzando! Eravate lì sul divanetto e…”, esclamò James, divertito ed esasperato.
“Ma non è possibile!”, ripetè debolmente Remus per l’ennesima volta. 
“Sì Luna, è vero.”, si intromise Sirius annuendo. “E tu, sei sicuro di non ricordarti assolutamente niente? Tu non ti ubriachi mai…”, insinuò guardando Remus dritto negli occhi.
Remus fu sul punto di aprir bocca, poi però arrossì e sbuffò. “Insomma sentite, non è colpa mia! Era ubriaca fradicia, è arrivata lì e mi è praticamente saltata addosso!”, sbottò abbassando gli occhi.
“Ecco, lo sapevo che stavi mentendo.”, sospirò Sirius scuotendo la testa.
“Aaaaaaaaaah, ora sì che va meglio…”, esclamò Peter soddisfatto. “Hai fatto benissimo! Bravo Lunastorta!”
“Smettetela, non è divertente.”, ribattè lui arrossendo.
“C’è amore nell’ariaaaa…”, canticchiò allegro Sirius, saltando sul letto e ghignando.
Remus gli lanciò addosso un cuscino e sbottò con aria di sfida: ”Sì Sirius, c’è tanto amore nell’aria.” “Tra te e Beatrice, però.”, aggiunse con un ghigno divertito.
Sirius si interruppe un attimo, turbato, poi si riprese e disse tranquillamente: “Cosa c’entra Beatrice?!”

E Remus venne finalmente lasciato in pace.

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Capitolo 13
*** Ehi Evans, vuoi uscire ad Hogsmeade con me?! ***


Tredicesimo capitolo: EHI EVANS, VUOI USCIRE AD HOGSMEADE CON ME?!

Il giorno dopo, un Sirius un po’ abbacchiato uscì dal dormitorio per venirmi a cercare.
“Riunione speciale dei Malandrini.”, mi informò lugubremente indicando con il mento la camera.
“È successo qualcosa?!”, gli chiesi preoccupata.
“James”, mi rispose soltanto, scuotendo la testa.
“Ah, okay.”, dissi, più rilassata. Non che non me ne fregasse proprio niente di James (nonostante tutto), ma se Sirius era così giù di corda, purtroppo per noi non poteva essergli successo niente di grave. Probabilmente stava attraversando uno dei suoi periodi di egocentrite acuta, con effetti collaterali per i suoi disgraziati compagni di camera, del tipo “aumento del desiderio di spalancare la finestra e buttarsi giù”.
E in effetti quando aprii la porta della loro camera, Remus e Peter erano sdraiati sui rispettivi letti con un’espressione disperata, mentre James passeggiava avanti e indietro per la stanza, con gli occhi luccicanti di gioia, blaterando ad alta voce: “Quindi non può fallire! Per il semplice motivo che io sono bellissimo, simpatico, intelligente, miglior Cercatore dall’ultimo secolo, bellissimo, divertente, ho dei bei capelli, ho un fan club che mi adora, dolce, carino, romantico, bellissimo…”
“Aiutooo”, rantolò Peter guardando il soffitto disperato.
“Che c’è?! Non pensate che io sia bellissimo?”, ci domandò arrestandosi di botto e squadrandoci uno a uno.
“Sì Jamie, ti troviamo stupendo, e adesso basta, ti prego!”, lo implorò Remus.
“Allora, qual è il problema?”, domandai allegramente: qualsiasi cosa, purchè James la smettesse.
“Problema?! Nessun problema! Mi è venuta un’idea fantastica.”, rispose James gonfiando il petto con orgoglio.
“Oh cavolo.”, mormorai sbiancando e guardando Sirius in cerca di sostegno.
“Ehm, va bene. Spara.”, lo incitai preparandomi al peggio. Prima che James potesse rispondere, Remus esplose mettendosi le mani tra i capelli in modo disperato: “VUOLE FARE UNA SERENATA A LILY!”
“Vuole fare… che cosa?!”, domandai allibita spostando lo sguardo da Remus a James.
“Voglio fare una serenata alla Evans!”, ripetè James con un sorriso soddisfatto.
“Sei davvero così completamente… idiota, imbecille, cretino e tra l’altro altamente masochista oppure… no James, STAI SCHERZANDO, vero?!”
Sirius ghignò mestamente.
“E poi, quando avrò finito, le chiederò…”
Ehi Evans, vuoi uscire ad Hogsmeade con me?!”, conclusi io nascondendo il viso tra le mani.
“Esattamente!”
 “… Ma non è questo il punto!”, esclamò Remus impaziente.
“Vuole che lo aiutiamo!”, squittì Peter con un’espressione terrorizzata. Lily Evans, ricordai con un ghigno, era la persona che lo spaventava di più in assoluto.
“Esatto!”, approvò James con un sorriso a trentadue denti.
Io ero semplicemente senza parole. “Cosa dovremmo fare scusa?!”
“Aiutarmi a fare una serenata alla Evans!”
Il geniale e terrificante piano di James, come ebbi modo di apprendere nei minuti seguenti, era di addobbare la Sala Comune, attirare la Evans fuori dal dormitorio, e farle una serenata. Sirius avrebbe suonato la chitarra e Peter il triangolo.
Non sapevo se mettermi a ridere o a piangere.
“E dove la troveresti una chitarra?”, domandai sarcasticamente quando non ebbero più nient’altro da aggiungere.
“Figurati se ad Hogwarts non si trova una chitarra!”, sbuffò James sorridendo malandrino.
“E come penseresti di convincermi a partecipare?”, domandai altrettanto sarcasticamente. James mi si avvicinò, appoggiò la fronte contro la mia e mi guardò fisso negli occhi, con la sua tipica espressione da cucciolo bastonato. Ora, se c’era qualcosa di James a cui non sapevo proprio resistere, erano i suoi dannatissimi occhi di quel color nocciola, così caldo. Soprattutto quando faceva il cucciolo bastonato. E lui, purtroppo per tutti noi, lo sapeva benissimo.
“Ti prego… Scricciolo ti prego, sei la mia migliore amica, sei la ragazza più gentile e più carina che…”
Mi misi a sghignazzare e lo spinsi via. “Da quando sono la tua migliore amica, scusami?!”, gli chiesi ironicamente.
“Non vuoi aiutarmi a conquistare Lily?”, sussurrò facendo il broncio e guardandomi di nuovo con quegli occhi.
Sospirai afflitta. “James, vai a quel paese.”
“Lo prendo come un sì?”, mi domandò lui speranzoso. Sbuffai e mi arresi con un’alzata di spalle e un sorriso esasperato.
“Evvaiiiiiii”, esultò lui e mi abbracciò. “Sei il mio scricciolo preferito!”
“Allora è fatta.”, annunciò Remus sconsolato. “Almeno, risparmiami di suonare qualcosa e fammi lavorare dietro le quinte.”, lo implorò.
“Sì, idem per me! Noi due siamo in buoni rapporti con Lily, non vogliamo fare la tua stessa fine, Cornuto.”, rincarai guardando Remus con un misto di complicità e commiserazione.

***

Per le otto e mezza di sera era tutto pronto. Lily, dopo aver cenato, era andata direttamente in camera sua, e io e Remus eravamo stati costretti ad appendere al soffitto una miriade di cuoricini rossi e a riempire la stanza con delle orrende candele profumate sparse negli angoli, il tutto sotto gli occhi di tutti i nostri compagni di Casa che ci guardavano come se fossimo dei marziani. 
James, intanto, si era posizionato con un megafono (il solito esagerato), sotto le scale del dormitorio femminile, e Sirius e Peter, con i rispettivi strumenti trovati non so dove, su due sedie appena dietro. Sempre io e Remus avevamo spento tutte le luci, in modo che l’unica fonte di illuminazione fossero i riverberi dorati e tremolanti delle candele, e poi avevamo pregato tutti i ragazzi presenti in Sala Comune di sedersi sulle poltrone e stare in silenzio. Come tocco finale, una ragazzina era arrivata correndo e con le guance in fiamma e aveva portato a James una rosa rossa. Ah, dimenticavo: ero dovuta anche andare in Infermieria (che in quel periodo, a causa del brutto tempo, era sempre molto affollata), e sviando le domande di una perplessa Madama Chips, le avevo chiesto di tenere da parte un letto per la notte, giusto per sicurezza.
“Scricciolo, tocca a te! Si va in scena!”, mi sussurrò con un ghigno malandrino James. Io feci un sospiro della serie “ma chi me l’ha fatto fare” e mi avviai verso il dormitorio. Bussai tre colpi ed Alice Prewett venne subito ad aprirmi.
“Ehm…”, tossicchiai imbarazzata. “C’è Lily?”
“Liiiiiiiiiils”, urlò lei rivolta alla stanza, e Lily uscì dal bagno, in vestaglia e capelli bagnati. “Ehi, ciao!”, mi salutò un po’ sorpresa.
“Ehm, ci sarebbe… James che… ehm…” Lei sbuffò inviperita ed esclamò: “Se vuole chiedermi di uscire ad Hogsmeade, digli pure che…”
“…No, è una cosa ehm, un po’ diversa… forse è meglio se vieni a vedere.”, le consigliai con un sorrisetto.
Lily uscì a grandi passi dalla stanza, preparandosi ad una delle solite litigate, ma rimase un po’ sorpresa dal buio e rimase lì, in cima alla scala, mentre io scendevo silenziosamente, soffocando le risate e andando a nascondermi dietro una poltrona insieme a Remus.
“Evans… questo è per te.”, annunciò James con un tono di voce suadente, e qua e là nella sala si levò qualche risatina e qualche sospiro languido. L’espressione di Lily, confusa, incuriosita ma comunque arrabbiata, era impagabile.
Un dolce arpeggio della chitarra, e poi James attaccò a cantare una canzone che si intitolava “Green Eyes”, con la sua voce piacevole, calda e un po’ roca.
Okay, lo ammetto: è stata semplicemente una delle serate più divertenti che si siano mai viste ad Hogwarts.

Lily era talmente shockata che non si mosse di un millimetro e rimase a guardarlo con occhi vitrei, imitata dalle sue compagne di stanza che incuriosite, guardavano da dietro le sue spalle, mentre Sirius faceva uno sforzo sovrumano per continuare a suonare, con le spalle che sussultavano dalle risate represse, e Peter, tutto assorto e con un’espressione estasiata dipinta sul volto, batteva il tempo con il triangolo e mezza Sala Comune si sbellicava dalle risate.
La scenata, se fosse dipeso da James, sarebbe andata avanti ancora a lungo, ma nel momento clou della canzone (ovvero James, che perdendo completamente il controllo, urlava a squarciagola: “… that green eyeeeees, you’re the oneeee that I wanteeed to fiiiiiiiind…”, e Remus di sottofondo che borbottava: “Merlino, quant’è stonato”), Lily trovò la forza di reagire e scese le scale come una furia, urlando: “BLACK, DAMMI QUELLA CHITARRA!”
Sirius, che era coraggiosamente resistito fino a quel momento, con un accordo stonatissimo crollò a terra stringendo la chitarra e ridendo convulsamente. Lily strattonandolo gli strappò con malagrazia la chitarra dalle mani, per poi voltarsi con un’espressione omicida verso James, il quale però aveva fiutato il pericolo e si stava avviando in tutta fretta verso la porta di uscita.
“POTTER, VIENI QUI!”, sbraitò lei brandendo minacciosamente la chitarra con le sue braccia esili ma forti, e si mise a rincorrerlo. Gli spettatori avevano saggiamente deciso che era giunto il momento di tagliare la corda, e quindi la sala si stava rapidamente spopolando. Peter squittendo si rifugiò al sicuro dietro una poltrona, io e Remus ci alzammo in piedi per cercare di riportare la calma, mentre Sirius si contorceva ancora sul pavimento, ululando dalle risate.
Lily inseguiva James, James scappava da Lily rovesciando poltrone e tavolini al suo passaggio, mentre lei gli urlava dietro tanti di quegli insulti da scandalizzare persino Pix.
“Ehi, Evans, quasi mi dimenticavo… vuoi uscire ad Hogsmeade con me?!”, le urlò James quando si trovò ad una distanza di sicurezza.
“EHI POTTER, QUASI MI DIMENTICAVO, LO VUOI UN BELLO SCHIANTESIMO DRITTO IN FACCIA?!”, sbraitò lei di rimando abbandonando per terra con un gran tonfo la chitarra e sfoderando la bacchetta.
Sirius urlò disperato: “Noooooo, la mia chitarra!!”, e corse a salvarla dalla mischia, anche se ormai era troppo tardi.
“A me non pensi, eh?!”, gli gridò James, che stava per essere di nuovo raggiunto dalla Evans. “…SIRIUS, PORCO SALAZAR, SALVAMI!”
“Non ci penso nemmeno, vecchio mio.”, rispose Sirius ghignando sadico.
“… forse dovremmo intervenire, prima che si metta male.”, dissi a Remus titubante.
“Si è già messa male.”, constatò Remus alzando le spalle.
Mi ero quasi decisa a provare a calmare Lily e a dire a James di andare a dormire, quando il ritratto si aprì sbattendo e Argus Gazza, il nostro beneamato custode, irruppe  nella Sala Comune brandendo la bacchetta (ma a cosa gli serve la bacchetta, se è un Magonò?!, pensai irritata), e biascicando: “Che succede qua dentro, che succede?”
Poi ammutolì e guardò sconvolto la pittoresca scena che si trovava di fronte: Sirius era seduto per terra, con la chitarra stretta fra le braccia in modo protettivo; Peter era rannicchiato dietro una poltrona; io ero salita in piedi su un tavolo per cercare di riportare la calma; Remus, dietro di me, si passava febbrilmente una mano nei capelli; Lily aveva acciuffato James e gli puntava la bacchetta sul petto; James si guardava attorno come un animale braccato dimenandosi debolmente. Infine, tavoli e sedie rovesciati, insieme a pezzi di un oggetto non identificato, probabilmente il megafono che era andato in frantumi, occupavano il pavimento, mentre i cuoricini rossi, parecchio fuori luogo, pendevano dal soffitto.
Poi James si riprese e con un urlo di gioia selvaggia si liberò dalla Evans, corse da Gazza e gli saltò addosso abbracciandolo commosso e balbettando frasi sconnesse di ringraziamento. “…Arg… Arg, mi hai salvato la vita… Ti amo!”
“In punizione. Tutti.”, trovò solo la forza di farfugliare un Gazza parecchio sotto shock.

***

“Ma vi sembra giusto?!!”, esclamai indignata strofinando vigorosamente una coppa d’argento.
“Adrian Diggory… sto sfigato che ha avuto la bella idea di vincere una dannatissima partita giusto per far perdere tempo A ME alle dieci di sera a pulire la sua schifosissima coppa. Che era già pulita, fra l’altro.”, borbottai soffiando rabbiosamente e buttando per terra lo strofinaccio, mentre Sirius ghignava sotto i baffi e mi osservava di sottecchi.
“Ringrazia che non sia venuta la Mc Granitt a controllare al posto di Gazza”
“Neanche fossi Cenerentola!”, sbraitai gesticolando e senza ascoltarlo.
“Chi scusa?”, mi chiese Peter sbattendo le palpebre confuso.
“Lascia perdere, Pet.”, mugugnai.
“E poi, cos’ho fatto?! Io proprio non c’entravo!”
“Ah sì, bella questa!”, esclamò Sirius, mentre la sua risata simile ad un latrato riempiva la stanza.“… Quando si tratta di dimostrare quanto sei malandrina allora sì, io, Beatrice Summerland, ne combino di qua ne combino di la e bla bla bla, poi appena arriva la punizione torni ad essere la perfettina-santerellina-studentessa modello-cocchina di Vitious solo perché sei bassa come…”
“SONO BASSA COME?”, esplosi infuriata spronandolo a continuare, se ne aveva il coraggio, mentre Peter si rotolava per terra rovesciando coppe a destra e a manca e ridendo come un matto.
“Solo perchè… sei bassa… come lui”, riprese Sirius sbellicandosi dalle risate e afferrandomi prontamente i polsi per immobilizzarmi. “Scusa.”, aggiunse con un risolino per niente pentito subito dopo, intrecciando le sue dita tra le mie. Ignorai stoicamente il battito del mio cuore che accelerava e inarcai un sopracciglio con un sorrisetto scettico. “Di niente.”, risposi.  Peter tossicchiò in modo molto discreto.
“Sì Pet, lo sappiamo che ci sei anche tu eh, mica stiamo facendo chissà che cosa.”, esclamò Sirius a metà tra l’infastidito e il divertito, e lasciò andare le mie mani, per tornare a tenermi stretti i polsi mentre io mi divincolavo.
“Stavate flirtando.”, squittì Peter in tono lamentoso.
“Non… stavamo… flirtando…”, ribattei esasperata mettendo l’accento su ogni parola. “Stavamo… stavamo… Oh, andiamo Sir, mollami.”, bofonchiai spazientita.
“Sapete una cosa?”, esclamò Peter.
“Cosa?”, chiedemmo in coro io e Sirius.
“Vorrei imparare a suonare il triangolo…”, sospirò sognante. Io e Sirius ci guardammo increduli e scoppiammo a ridere.
“Piuttosto, aiutami a pulire!”, sghignazzai lanciandogli uno strofinaccio che prese al volo.
“Vuoi che ti dia una mano?”, mi chiese Sirius con una gentilezza un po’ ironica indicando col mento la tanto insultata coppa del povero Diggory.
“Sai, mi farebbe moooolto piacere, ma a quanto pare voi due siete troppo impegnati a ridere e a prendermi in giro, no?” “La prossima volta chiederò a Gazza una punizione separata.”, bofonchiai imbronciata.
“Eeeeeh, addirittura…”, mi punzecchiò Sirius, divertito. Io lo ignorai con grandissima dignità. “E intanto James, Lily e Remus sono là che se la spassano! Il lavoro duro tocca sempre a noi…” “… Anzi, a me.”, mi corressi con un’occhiataccia a Sirius e Peter.
“Ma se stanno pulendo i cessi a mani nude!”, esclamò Sirius sghignazzando e guardandomi incredulo.
“Oh bè! Capirai.”, borbottai scrollando le spalle.
Diciamo semplicemente che mi dovevo ancora del tutto abituare alle punizioni, che erano inevitabili passando così tanto tempo con gente come Sirius e James. Quell’anno ero già arrivata a quota cinque punizioni. “Stai rimontando!”, mi ripeteva sempre Sirius, orgoglioso.
La prima volta che mi avevano beccato a far esplodere i vasi da notte del dormitorio dei Serpeverde, la Mc Granitt aveva pensato che si trattasse di una spiacevole coincidenza.
La seconda (stavamo trasfigurando il naso di un tizio che aveva osato provarci con la Evans), la Mc Granitt aveva chiuso un occhio: in fondo ero sempre stata una studentessa modello, e Sirius e James avevano innocentemente spiegato che ci stavamo allenando in Trasfigurazione (che poi era una delle materie in cui andavo meglio).
La terza volta, infine, quando avevamo cercato di annegare Mrs Purr nel lavandino del bagno al secondo piano, la Mc Granitt mi aveva chiamata nel suo studio per un  lunghissimo discorso, durante il quale per un paio di volte mi dovevo essere distratta a seguire fuori dalla finestra il volo di un barbagianni. Il succo del discorso, almeno credo, era che non dovevo lasciarmi influenzare dalle cattive compagnie. Ma se lo sapevano tutti che pure lei aveva un debole per Sirius! (il quale ne approfittava abbondantemente).
I Malandrini mi avevano aspettato uno accanto all’altro fuori dalla porta, con la testa bassa e un’espressione contrita (tranne Remus, che mi guardava con rimprovero), salvo poi scoppiare a ridermi in faccia appena la porta si era richiusa alle mie spalle.
“Già, molto divertente.”, avevo commentato con tono distaccato. “Sbaglio o avevamo un conto in sospeso con Nott?!”, avevo esclamato subito dopo illuminandomi in un ghigno pensieroso.

E così era cominciata la mia carriera da Malandrina.
Ed ora ero lì a pulire trofei alle dieci e mezza di sera.

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Capitolo 14
*** A volte anche i Grifondoro hanno paura ***


Quattordicesimo capitolo: A VOLTE ANCHE I GRIFONDORO HANNO PAURA

La mattina dopo, a colazione, Lily era molto occupata a lanciare delle occhiatacce truci a James, il quale le sorrideva amabilmente di rimando. Sirius, abbastanza cupo in volto, era preso dai suoi pensieri, Peter… mangiava, Heloïse, Juliet e Georgia dormivano ancora, io e Remus leggevamo la Gazzetta del Profeta
“FAMIGLIA BABBANA ASSASSINATA FUORI LONDRA.”, lessi rabbrividendo su un trafiletto della prima pagina della Gazzetta del Profeta, e sentii il mio cuore che perdeva due battiti. Mi girai immediatamente verso Remus. Non avevo il coraggio di andare a leggere l’articolo. Non potevo. Lui capì al volo, e sorridendomi rassicurante, corse a pagina 5. “Stai tranquilla”, mi disse subito. “…Non è la tua… non sono…”
“C’entra… Tu-Sai-Chi, vero?”, lo interruppi ansiosa, vergognandomi per l’enorme senso di sollievo che non potevo fare a meno di reprimere. “I Mangiamorte?”, e il mio sguardo corse involontariamente al tavolo dei Serpeverde.
“Penso di sì”, mormorò lui immergendosi nella lettura, e io, spostando il giornale un po’ più verso di me, lo imitai.
"Non c’è stato niente da fare per la famiglia di Babbani, papà, mamma e due bambini di 6 e 9 anni, trovati senza vita stamani nella loro abitazione. Nessun motivo di morte apparente, la polizia babbana sta ancora indagando, ma per il mondo della magia è evidente che questo delitto è opera di una Maledizione Senza Perdono. “Potrebbero esserci dietro i Mangiamorte.”, spiega nervosamente un impiegato del Ministero. Per ora ancora niente di certo, ma il Ministro della Magia ci assicura che verrà fatto il possibile per acciuffare il colpevole.
Ma trattandosi di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, non è che questa promessa ci rassicuri molto."

Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato. E così era lui, sempre lui, dietro ad ogni omicidio. Insieme a rabbia e paura, sentii crescere dentro di me anche un senso di nausea e ribrezzo. Com’era possibile uccidere a sangue freddo dei bambini, una famiglia babbana, inerme, debole, che non poteva alzare nemmeno un dito per difendersi?!
Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato. E i Mangiamorte. Era orribile, rivoltante, l’idea che ci fosse qualcuno che lo sosteneva, che credeva nella purezza del sangue e in tutte quelle idiozie che mi sembravano così stupide, così infantili. E allo stesso tempo così terrificanti.
 “Remus. Ci sarà la guerra?”, gli chiesi di nuovo, scrutando all’interno dei suoi occhi ambrati per paura che mi mentisse.
Lui mi guardò accigliato e pensieroso.
“Se non lo fermiamo prima.”, rispose soltanto.
Ecco perché Remus Lupin era il mio migliore amico. Riusciva a rassicurarmi e a farmi sentire che mi era vicino, che potevo contare su di lui, sempre. Ma non mi avrebbe mai mentito, non mi avrebbe mai nascosto qualcosa per proteggermi dalla verità. Perché sapeva che era una di quelle cose che non potevo sopportare. E che, nonostante tutto, io ero abbastanza forte.

Mi ritirai presto in camera mia, mi misi davanti alla finestra con un foglio di pergamena e una piuma. In quel momento avevo un bisogno impellente di scrivere alla mia famiglia, per sapere che era al sicuro, per sentirla vicina a me, e cercai di pensare a qualcosa di spiritoso, che non lasciasse trapelare quanto fossi preoccupata. Dopo quasi un’ora di fogli stracciati, righe cancellate e inchiostro sbavato, avevo finito.

Hogwarts, 27 febbraio 1971
 

Ciao mami, papi e Fran!
Io sto benissimo, sì, ha smesso di nevicare e no, non ho ancora preso ne raffreddore ne influenza ne il vaiolo di drago (non ridete, esiste davvero.) Sapete che a Trasfigurazione ho  imparato a trasformare un cucchiaino da tè in uno scarabeo!? La prima volta che ci ho provato ho combinato un mezzo disastro, ma ora sono diventata prooooprio brava. Trema Fran: quando sarò maggiorenne ti riempirò il letto di scarabei. (no no mamma! Scherzavo!!!)
Ehi, fra un po’ è il mio compleanno. Ve lo ricordo giusto così, tanto per fare. Non mi dovete fare nessun regalo eh, figuriamoci. Però se proprio insistete… un po’ di galeoni mi farebbero comodo (cioè, volevo dire, di sterline, poi ci penso io a cambiarli in galeoni, visto che l’ultima volta sei entrato in crisi, papà, tu che dici di essere tanto bravo in matematica.), così mi compro qualcosina io in un negozio bellissimo che si chiama “L’emporio degli scherzi di Zonko”. Non sto a spiegarvi cosa vende, è un po’ complicato, ma non preoccupatevi non è niente di brutto, è solo… magico!! Oh, e anche da Mielandia, naturalmente!
A parte gli scherzi… non so che dirvi. Qui è tutto sempre meravigliosamente uguale, perché le uniche cose che succedono non posso raccontarvele ahahahah.
Pensavo che quest’estate potremmo invitare a casa nostra un po’ dei miei amici, così li potreste conoscere dal vivo. Non vi spaventate, non vi distruggeranno la casa a suon di Schiantesimi (se non invitiamo anche Lily Evans: su di lei non posso garantire niente.)  Vi ricordate di Juliet, Georgia, Heloïse? Ve ne ho parlato in un sacco di lettere. E poi ci sono anche Remus, Peter, Sirius e James. Per rispondere alla tua ultima lettera, mami: non sono innamorata di James Potter, proprio no. È solo insopportabilmente insopportabile e simpaticamente simpatico. Ieri sera abbiamo ha combinato un gran casino e ha dovuto pulire i bagni senza la magia. E lui non ci è proprio abituato.  Penso di non essermi mai divertita tanto come ieri sera, ma ve lo racconterò meglio quando ci vediamo, perché merita. Però sul serio, sarebbe bello se li invitassimo a casa nostra. Vi piacerebbero.
E voi? Che mi raccontate di bello?! Non oso nemmeno pensare quanto sia triste la casa senza di me, ma meglio non infierire vero? Tanto lo so che ve la spassate alla grande…
Direi che ora non ho più niente da raccontare. Oggi è domenica! Quindi non ho niente da fare, forse andrò ad Hogsmeade. Oppure resterò al calduccio in Sala Comune a leggere davanti al camino. Ma immagino che non ve ne freghi niente dei miei programmi, giustamente, quindi la smetto. Quanto odio scrivere le lettere, in tutta onestà! Però per voi faccio un’eccezione. 
Un’ultima cosa, che non c’entra niente. Sono proprio fiera di avere una famiglia come voi. Nel mondo della magia ci sono alcuni che disprezzano i babbani. Forse non dovrei dirvelo, ma lo sapete come sono fatta, quindi non offendetevi. Sì, alcuni considerano inferiori quelli come me solo perché non discendiamo da una famiglia di maghi. Ma state tranquilli, io mi so difendere e sono immune alle idiozie (eccetto le mie). Perciò ci tenevo a farvi sapere che siete la famiglia migliore del mondo, e che vi adoro così come siete, perché lavate i piatti a mano, usate il telefono invece dei gufi e perché considero la lotta che facciamo sempre io e te, sorellina, infinitamente più istruttiva di un duello.
Mi mancate tanto, lo so che non ci credete ma io ve lo dico lo stesso. Vi voglio bene. Non vedo l’ora che arrivino le vacanze di Pasqua per rivedervi ecc. ecc. le solite sdolcinatezze che però sono tutte vere.
Un milione di baci, andate in pace.
Beatrice

P.s. Il gufo morde. Non lasciatevi ingannare dai suoi occhioni, è tutta una finta. Però in fondo è simpatico, per questo vi spedisco la lettera con lui. L’ho chiamato Effy.
P.p.s. ho appena riletto tutta la lettera. Oddio, non posso credere di essere stata così mielosa! Ormai non faccio in tempo a riscriverla ma non pensate male di me, non so cosa mi abbia preso.
P.p.p.s. Lo sapete quanto amo i P.S. Potrei andare avanti delle ore. Ma basta così, che ne dite?! Ciao ciao
P.p.p.p.s. L’ultimissimooooooooo!!!!!!!!!! Ok, sono un caso disperato.

Infilai la lettera in una busta, mentre una strana malinconia mi si diffondeva in un punto imprecisato del petto. Era il terzo assassinio di babbani da quando eravamo arrivati ad Hogwarts, quell’anno. Avevo paura per la mia famiglia. Facevo la persona forte, io, cercavo di essere la coraggiosa Grifondoro che avevo sperato di diventare, ma non potevo fare a meno di avere paura e di temere il futuro.
A dir la verità questi momenti di panico erano abbastanza rari, ad Hogwarts sembrava di essere in un mondo a parte e la vita trascorreva talmente allegra e serena, che quasi sempre ero tranquilla e spensierata. Poi però  mi succedeva improvvisamente di cadere in questa strana inquietudine. Per fortuna che c’erano le mie amiche e i Malandrini a tenermi compagnia.
E appunto…
“BEEAATRICEEEEE! SCRICCIOLOOOO! BEAAAAAA!”, mi chiamò una voce lontanissima. Sospirai e andai a vedere  chi stesse facendo tutto quel casino.
“Dov’eri finita?!”, mi gridò Sirius, dai piedi delle scale trasformate nel solito scivolo, quando aprii la porta.
Sbuffai scuotendo la testa. “Certo che lo sapete che non si riesce a salire nel nostro dormitorio! Perché tutte le volte dovete provarci, visto che poi  tutte le volte io rischio di ammazzarmi per scendere?!”, gli urlai di rimando. Mi stava già tornando il buonumore, notai.
“È proprio questo il bello!”, mi rispose Sirius con un sorrisone.
“Uhm. Grazie. Stavo scrivendo ai miei…”, gli spiegai agitando la lettera. “Adesso vengo giù. Cioè, adesso provo a venire giù!”, esclamai studiando diffidente lo scivolo.
“Come al solito. Tu con il tuo istinto suicida prenderai la rincorsa e non riuscendo a fermarti rischierai di smaltarti contro al muro, ma io all’ultimo ti afferrerò in stile Principe Azzurro e tu cadrai per terra ridendo e ringraziandomi fra lacrime di gratitudine. Ormai ti conosco…”, disse Sirius sghignazzando.
“Pronto?”, gli domandai con un sorriso malandrino.
“Vai!”
“UAAAAAAAAAAAAAAH!”, urlai buttandomi giù dallo scivolo, come da copione cercai senza successo di fermarmi, inciampai e ruzzolai sbellicandomi dalle risate addosso a Sirius, che mi afferrò per un braccio e mi tenne saldamente in piedi. “F-fatto… mio eroe!”, ansimai fra le risate.
“Devi andare in guferia?”, mi chiese lui lasciandomi andare il braccio, quando fu sicuro che non sarei crollata per terra.
“In teoria sì. Ma ti prego, rifacciamo lo scivolo un’ultima volta!”, sghignazzai guardando lo scivolo che era tornato scala.
“Tanto lo so che è tutta una scusa per abbracciarmi…”, mi disse Sirius maliziosamente.
“Ovviamente. E comunque, andiamo in Guferia.”, replicai alzando gli occhi al cielo.

“Hanno ammazzato un’altra famiglia di babbani.”, dissi all’improvviso, seduta sul muretto della Guferia, mentre cercavo di legare la lettera alla zampa di un piccolo gufo marroncino che si divincolava strenuamente. Io stessa mi stupii del mio tono di voce. Era secco, tagliente, quasi cinico.
“Oh.”, commentò soltanto Sirius, guardandomi un po’a disagio e spostandosi una ciocca di capelli neri che gli ricadeva sugli occhi. “Mi dispiace.”
“Ma stai un po’ fermo, mostricciattolo.”, borbottai rivolta al gufo e ignorando Sirius.
“Beatrice, va tutto bene?”, mi chiese lui.
“Eh?!” Lo guardai spiazzata, e il gufo ne approfittò per ritornarsene al sicuro sul suo trespolo. “Effy, vieni qui, brutta bestiaccia! E pensare che io dovrei piacerti, sono un pennuto come te, in fondo!”, urlai arrabbiata. “…Sì certo, va tutto bene.”
“Mi sembri strana.”
“Davvero?” Non pensavo che Sirius riuscisse a capire così bene quello che mi passava per la testa. Cioè, non a capire, ma ad avvertire quando cambiavo di umore, quando era turbata per qualche motivo. In assenza di Remus, pensai che anche lui, nonostante fosse un Purosangue di nobile famiglia e non un lupo mannaro che si trovava nella mia stessa barca, poteva essere un buon confidente.
“È che… sono un po’ preoccupata per la mia famiglia. Sono così lontani, e deboli, senza nessuna protezione… se dovessero venire attaccati non riuscirebbero mai a difendersi.”, ammisi mordendomi un labbro.
“Ma perché dovrebbero venire attaccati?”, mi chiese Sirius seriamente, guardandomi negli occhi.
“Ma perché pensi che sia stata uccisa questa famiglia di babbani?! Pensi che avessero fatto qualcosa? L’hanno fatto solo per divertimento, perché sono… dei mostri.”, esclamai mentre sentivo la rabbia montarmi dentro.
“Come la mia famiglia.”
“Sirius!”, protestai a disagio. Lui mi guardò con aria di sfida.
“Per quel che ne sappiamo, potrebbe essere stato anche qualcuno della mia famiglia.”
“Ma non puoi dire così, non puoi saperlo!”
“Sai, non restano molte famiglie Purosangue che odiano i babbani e vorrebbero sterminarli tutti. I Black sono una di queste.”
“Ma… qui sono i Mangiamorte, Tu-Sai-Chi…”
Sirius scoppiò in una fragorosa risata priva di allegria. “Tu non conosci mia madre. O mia cugina Bellatrix.”
Abbozzai un debole sorriso. “Bellatrix l’ho incrociata, qualche volta.” E in effetti non si poteva proprio escludere che gente come Bellatrix non fosse dalla parte del Signore Oscuro. Era una ragazza terrificante. Alta, slanciata e bellissima, così simile a Sirius, elegante e indifferente in qualsiasi momento, con i lineamenti duri e imperiosi, i capelli ricci, neri e lunghi, occhi altrettanto neri… e quell’espressione di eterno disgusto stampata sul volto.
“Ma tu non devi avere paura. Sei al sicuro.”, mi disse Sirius passandomi un braccio attorno alle spalle.
“Io non ho paura. Sono una Grifondoro.”, lo rimbeccai sprezzante.
Sirius mi guardò sogghignando e scuotendo la testa, poi emise un fischio prolungato. “Sirius… vieni qui”, chiamò guardando il soffitto, e un grande gufo nero come la pece scivolò giù da un trespolo e planò elegantemente sul braccio teso di Sirius.
“Il mio gufo.”, spiegò lui con un ghigno orgoglioso.
“Hai chiamato il tuo gufo… Sirius?!”, gli chiesi allibita.
“È talmente un bel nome…”, sospirò lui ridacchiando.
“Fai schifo! E poi dici di James!” esclamai io ridendo a crepapelle. “Però in effetti vi assomigliate.”, aggiunsi divertita. “Per non fare confusione… tu sei Sirius, e lui è Sissi.”, esclamai puntando il dito prima su Sirius e poi su Sirius. Cioè, scusate, prima su Sirius Ragazzo poi su Sirius Gufo.
“No, il mio Sirius non può chiamarsi Sissi!”, protestò schifato Sirius Ragazzo. “È da effeminati.”
“Oh giusto. Allora facciamo il contrario, lui è Sirius e tu sei Sissi!”, sghignazzai, e lui mi guardò in cagnesco.

Lo osservai di sottecchi mentre accarezzava Sissi, e pensai alla sua famiglia. All’Antica e Nobile Casata dei Black, e a quanto lui fosse diverso, a parte certi atteggiamenti “made in Black” da tutti i suoi parenti. Non avevamo mai parlato apertamente della sua famiglia, però sapevo che non aveva una bella situazione familiare, che se avesse potuto, li avrebbe lasciati tutti senza il minimo rimpianto. L’unico per cui provava ancora un minimo di affetto era il fratello Regulus. Ma adesso la sua nuova, vera famiglia erano i Malandrini. A volte mi consolavo pensando che, se anche Sirius non mi avesse voluto nello stesso modo in cui io volevo lui, mi avrebbe comunque considerato una specie di sorella, e mi avrebbe voluto bene lo stesso.

Rimanemmo sul muretto della Guferia con Sissi ed Effy tutta la mattina, un po’ in silenzio, ognuno immerso nei suoi pensieri, un po’ chiacchierando e bisticciando.
Eravamo cambiati un sacco, quell’anno. Fino ad allora io l’avevo sempre considerato (insieme ai Malandrini), un essere superiore, impossibile da raggiungere come amico, e figuriamoci come qualcosa di più, anche se li frequentavo dal secondo anno. C’era il suo Fan Club, ma io, figuriamoci, non ero mai stata sfiorata dall’idea di entrarne a far parte. Sarò pure stata infatuata da Sirius, ma non ero così stupida. Non in quel senso, almeno.
Poi avevo cominciato a passare sempre più tempo con loro, addirittura ero diventata più o meno una Malandrina, ero uscita con loro di notte durante la Luna Piena, ero diventata un Animagus, insieme ne avevamo combinate di tutti i colori, quell’anno, e io avevo perso quella venerazione e timidezza che avevo sempre provato nei loro confronti.
Io e Sirius cominciavamo a conoscerci sul serio. E a diventare inseparabili quasi quanto eravamo io e Remus.  

Note dell’autrice:
Ehilà gente! Questo è il primo capitolo diciamo serio della storia (no vabbè, non esageriamo). Per la prima volta vengono nominati Voldemort e compari e succede qualcosa di extra-scolastico, cioè l’assassinio della famiglia babbana. E ovviamente Beatrice, essendo nata babbana, si preoccupa. Era da un po’ che avevo in mente di scrivere un capitolo del genere, perché non mi immagino i nostri Malandrini e Beatrice completamente sereni, che se ne fregano di quello che succede fuori da Hogwarts, e questa ff comincia ad essere davvero TROPPO leggera e spensierata. Okay, mi sto impappinando. Comunque, il capitolo fondamentalmente non serve ad un cavolo, e penso che per un po’ non ci saranno altri riferimenti all’Oscuro Signore, almeno credo. Questo serviva un po’ da introduzione alla situazione che inizia ad aggravarsi, con Voldemort che inizia la sua ascesa al potere, perché la guerra sarà una parte fondamentale della storia.
Ah sì, poi ci sono tutte le riflessioni pallose di Beatrice su Sirius :D ma dobbiamo perdonarla, sapete, l’amour
Direi che non ho più niente da aggiungere, quindi passo e chiudo!
Trixie

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Capitolo 15
*** La accendiamo?!! Ma sì, accendiamola. ***


Quindicesimo capitolo: LA ACCENDIAMO?!! MA SÌ, ACCENDIAMOLA.

“No. Non ci posso credere!”
Che cosaaaaa?”, urlò Juliet da sotto la doccia. Heloïse la ignorò e tornò a guardarmi delusa e sbalordita.
“Non ci posso credere!”, ripetè. “….Avete passato tutta la mattina insieme, da soli, e ancora niente!” Annuii facendo spallucce. Eravamo distese sul letto di Heloïse a sfogliare una rivista di Quidditch, e le stavo raccontando di come avevo passato la mattina con Sirius alla Guferia.
“Dopo quello che ti aveva detto alla festa! Ma cosa aspetta!?”, esclamò indignata incrociando le braccia al petto.
“Helo, davvero, non m’importa niente!”, la tranquillizzai con noncuranza fingendo di essere interessata alla rivista.
“IMPORTA A ME, CHE CAVOLO!”, sbottò lei guardandomi truce.
“Ah, ma adesso… lo sistemo io.”, bofonchiò passandosi la bacchetta tra le mani.
“Heloïse, lascia perdere. Davvero, cosa cambia?”
“Ma Merlino! Tu gli piaci, lo vuoi capire?!”, strillò scrollandomi con forza. Heloïse a volte aveva delle reazioni così esagerate.
“Dobbiamo fare qualcosa!”
“Non dobbiamo fare un bel niente.”
“Devi fare qualcosa, sul serio!”
“Non devo fare niente! Cosa vuoi che faccia?!?”, esclamai arrabbiata. L’unica cosa che dovevo fare era smetterla, smetterla di pensarci. Se fosse successo qualcosa con Sirius, sarei stata la prima ad esserne felice. Altrimenti non importava, io e Sirius eravamo amici e questo mi bastava. Ma non bastava alle mie amiche.
Io ed Heloïse ci squadrammo negli occhi per un lungo istante di silenzio.
“Dichiarati. Fai tu il primo passo.”, propose lei spiccia, sorridendo maliziosa.
Strabuzzai gli occhi e scoppiai a ridere. “Sei scema? Mi conosci bene, lo sai che non lo farei mai. ”
“Oh, bene. Allora aspettiamo altri due anni, solo perché siete due idioti. Poi lui lascerà Hogwarts, non vi sentirete mai più e lui sposerà un’altra, sfornerà un sacco di piccoli Black e tu rimarrai una zitella acida per tutta la vita.”, commentò lei schiettamente.
“Tu non capisci.”, sibilai mentre la rabbia mi montava dentro.
“Noi… non importa se non ci metteremo mai insieme, se sposeremo qualcun altro. Resteremo sempre amici, esattamente come resteremo amiche noi quattro. E poi… è solo una stupida cotta adolescenziale.”, le spiegai cercando di non lasciar trapelare quanto mi avessero colpito le sue parole.
“Non è vero, ti conosco troppo bene. Ti è mai piaciuto un altro ragazzo?”, mi domandò cocciuta.
Mi morsi un labbro. “Sì!”, esclamai con tono di sfida. “Per esempio, ti ricordi quel Tassorosso…. Quello biondo?”
“Ma non farmi ridere!”, sbuffò Heloïse sarcastica. “Non lo guardavi di striscio. Avrai detto un paio di volte che era carino…”
“Un po’ mi piaceva!”, protestai arrossendo. “E comunque, se Sirius dovesse anche essere l’amore della mia vita io-non-mi-dichiarerò-mai.”
“Oh, andiamo! Se ti dico che gli piaci! Ci scommetterei la mia bacchetta, perché ti fidi sempre e solo di te stessa?”, mi implorò Heloïse saltando sul letto.
“No.”, ripetei io seccamente.
“Prova! Non hai nulla da perdere, non devi vergognarti dei tuoi sentimenti.”, continuò lei ragionevolmente.
“Rovinerei la nostra amicizia.”, ribattei combattuta. Anche solo il pensiero di perdere l’amicizia di Sirius mi era insopportabile.
“Fidati, un’amicizia come la vostra non può venire rovinata.”
La verità è che avrei voluto davvero credere alle parole di Heloïse, tentare senza aver paura di perdere qualcosa. Potevo mentire a me stessa quanto volevo, ma mi sarebbe piaciuto essere capace di ascoltare Heloïse e di seguire i suoi consigli.
Lei lesse l’incertezza nei miei occhi e si rianimò. “Eddai, Beatrice! Fallo! Vai lì, gli dici: “tu mi piaci”, sono tre parole, eh, mica questo gran discorso.”
Scossi la testa freneticamente.
“Ma per Godric! Non posso credere che quello stupido cappello ti abbia davvero smistata a Grifondoro!”, sbottò lei, schifata. “Non sei nemmeno capace di dichiararti ad un ragazzo, e il tuo più grande sogno è diventare Auror, affrontare Tu-Sai-Chi e dirgli che è un coglione e…”
“Stai zitta!”, urlai alzandomi in piedi. Se c’era una cosa che non tolleravo era che qualcuno non mi considerasse degna della mia casa, Grifondoro, di cui ero così orgogliosa. Oh, sì, Heloïse avrà avuto pure ragione, ma l’orgoglio Grifondoro, quello ce l’avevo tutto. Aveva proprio toccato il tasto giusto.
“La pensi così? Pensi che non lo faccia perché non ne ho il coraggio?”, mormorai stringendo i pugni.
“Beh, sì.”, rispose lei senza scomporsi. Heloïse era sempre così incredibilmente sincera.
“Vuoi vedere?”, le chiesi in tono provocatorio. Heloïse sapeva che amavo le sfide. Aveva colpito nel segno.
“Sì, voglio vedere!”, mi rispose sfrontatamente.
Mi sfilai in fretta la felpa sformata e i pantaloni della tuta per indossare un paio di jeans stretti, un morbido maglione color panna, il mio preferito, e l’immancabile sciarpa rossa e oro.  Sciolsi i capelli sulle spalle e mi guardai allo specchio con un’espressione decisa che non mi apparteneva per niente.
“Dove vai?”, mi chiese Heloïse innocentemente.
“A farti vedere chi è la Grifondoro qua dentro”, le risposi con determinazione.
“In bocca al lupo, Bice. Vincerai tu, lo so. Fidati di noi!”, mormorò abbracciandomi affettuosamente. E in quel momento capii che era quella la mia grande fortuna: avere delle amiche che mi conoscevano meglio di quanto mi conoscessi io, che riuscivano a farmi fare le cose giuste contro la mia stessa volontà. Perché io, nonostante fossi così irrimediabilmente testarda e diffidente, mi fidavo di loro. Mi fidavo più di loro che di me stessa, senza che me ne rendessi conto. E in quel momento, una parte del mio subconscio ringraziava Heloïse. Corsi fuori dal dormitorio, dritta addosso a Remus.
“Ehi, quanta furia!”, mormorò lui ridacchiando. Io lo abbracciai calorosamente, come se dovessi partire per la guerra, e lo guardai con gli occhi pieni di fiducia. “Remus, gli piaccio? Dimmelo.”, gli chiesi con foga.
Lui capì all’istante e sussurrò serio: “Sì. Io dico di sì.”
“È giù al parco!”, mi urlò dietro mentre ricominciavo a correre. Quando James mi vide passare, mi sorrise radioso e mi afferrò per un braccio. “Ehi Scricciolo, fermati! Ti devo far vedere…”
“Sta zitto, lasciami!! Lasciami, sto andando a fare la cazzata più grossa della mia vita!”, strillai istericamente liberandomi con uno strattone violento. Lui mi guardò terrorizzato e io scappai via. Nella mia testa stava accadendo tutto troppo velocemente.

Solo l’aria fredda fuori dal castello riuscì in qualche modo a schiarirmi le idee. Riconobbi all’istante la figura lontana nella neve, e una morsa di ghiaccio mi strinse repentinamente lo stomaco, mentre le guance mi s’infiammavano. Feci un respiro profondo, mi ripetei che dovevo essere spregiudicata, sì, coraggiosa e spregiudicata, e poi con una risata gioiosa e un po’ folle ripresi a correre a testa bassa nella neve.
“SIRIUS! SIRIUS!”, lo chiamai ad alta voce quando ormai poca distanza ci separava. Lui si girò e mi guardò sorpreso mentre correvo verso di lui. Frenai di colpo e appoggiai le mani sul suo petto.
“Se avevi così tanta fretta di rivedermi, stavo tornando al castello… Hai anche dimenticato lo giacca.”, mi disse ghignando.
“Sirius, c’è una cosa che…”, iniziai con il cuore che batteva furiosamente.
“No”, disse lui, e mi tappò la bocca con delicatezza. Io lo guardai ferita, mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime. Le ricacciai indietro con forza e gli voltai le spalle, per non doverlo guardare in faccia.
Che stupida.
Che stupida. C’ero cascata. Avevo davvero creduto di piacergli. Remus, Heloïse, loro non capivano un bel niente. Ma non sarebbe successo più, no. Io dovevo fidarmi di me stessa e del mio intuito, e basta.
“Dove vai? Dobbiamo parlare.”, mi richiamò Sirius afferrandomi per un polso.
Riflettei velocemente e decisi che non dovevo combinare più danni di quanti non ne avevo già fatti. Per mia fortuna mi aveva bloccato prima che potessi dire qualcosa di compromettente, anche se ovviamente aveva capito. Però rimaneva sempre una soluzione: negare sempre e comunque, fino alla morte! Quindi con un debole, tremante sorriso, mi girai verso di lui e annuendo lo seguii lungo la riva del lago.
“Bene. Parlare di cosa?”, chiesi con distacco.
“Della tua vita sentimentale.”, mormorò lui sogghignando.
Io sobbalzai e rimirai la possibilità di scappare a gambe levate. Pietà, Sirius, pietà!, pensai disperata. Lo so, ho sbagliato a fidarmi di quei due idioti, ma non lo farò mai più, lo giuro su Godric!
Deglutii nervosamente. “Ehm. È proprio necessario?”
Lui con un sorriso sghembo si fermò e mi guardò attentamente.
“Hai mai avuto un ragazzo?”
Io arrossii un po’ spiazzata. “No”
“Oh, bene. Allora… sarò io il primo.”, mormorò sistemandomi una ciocca di capelli dietro le orecchie. Poi, senza che io avessi ancora fatto in tempo a registrare le sue parole, si chinò piano verso di me e mi baciò.
Così maledettamente sicuro.
Così maledettamente irresistibile.
Il nodo di tensione, rabbia e delusione che mi stringeva la gola si sciolse e una lacrima solitaria mi solcò il viso, subito gelata da freddo.
Mi alzai in punta di piedi per assaggiare meglio il sapore dolceamaro delle sue labbra, Burrobirra e qualcosa di indefinito, più delicato, che mi inebriava. Mi sentii barcollare e le mani di Sirius andarono a cingermi i fianchi per sorreggermi.
Era così meravigliosamente assurdo sentire le sue labbra che si muovevano sulle mie, leggere e delicate, quelle stesse labbra che tante volte avevo visto piegarsi all’insù in uno dei soliti ghigni alla Sirius… Il mio petto era appoggiato a quello di Sirius, tanto che il battito frenetico del mio cuore si mescolava al suo, come se fossimo una sola persona. Ed era proprio così che mi sentivo: unita a Sirius, come una sola persona. Ero a casa, lì tra le braccia di Sirius, non mi ero mai sentita così a mio agio.
Era la cosa più naturale del mondo.
Però… fermi tutti! Qui c’è qualcosa che non quadra., pensai appena riuscii a recuperare un briciolo di lucidità.
Sirius mi sta baciando. Sirius mi sta baciando! Se Sirius mi sta baciando, vuol dire che gli piaccio. No, c’è qualcosa che non va. Ah, tra parentesi, lo straccio di dignità che mi rimaneva è andato a farsi fottere. È meglio se vado a riprendermelo.
Per Godric, Sirius non può essere sempre così sicuro di sé! Come può essere assolutamente certo che sarà lui il mio primo ragazzo?!
Eh no. Qui sta andando tutto troppo liscio, per Sirius. Dovrò pur rovinare qualcosina! Se no non sarei io.,
e conclusi i miei contorti ragionamenti staccandomi dolcemente da Sirius.
Lui mi guardò interrogativo, e notai con stupore che, per la prima volta da quando lo conoscevo, aveva le guance leggermente arrossate, e gli occhi gli brillavano di emozione.
“Che c’è?”, sussurrò notando la mia espressione pensierosa.
“Niente, è che… non mi hai chiesto il permesso né per baciarmi né per diventare il mio primo ragazzo.”, puntualizzai ridendo, perché mi rendevo conto io stessa di quanto fossi assurda.
Lui sospirò esasperato. “Beatrice, posso baciarti e posso… Merlino, mi sento ridicolo! Di solito sono le ragazze che me lo chiedono in ginocchio!”, protestò lui scuotendo la testa incredulo.
Io feci finta di pensarci un attimo. “Sì, direi di sì. Ti do il mio permesso.”
Lui sbuffò alzando gli occhi al cielo. “Ne sei proprio sicura? La accendiamo?”, mi chiese sorridendo ironicamente.
“La accendiamo.”, risposi io alzandomi in punta di piedi e circondandogli il colo con le braccia.
“Sai, se non fossi Sirius Black… potrei quasi dire di essermi innamorato di te.”, sussurrò sfiorandomi le labbra.
E a quel punto fui io a baciarlo, finalmente sicura che sì, anche lui nonostante tutto era innamorato di me.
Aspetta che lo sappia Heloïse, pensai sorridendo felice.

Note dell’autrice:
Ehm… *arrossisce e si guarda attorno in cerca di una via di fuga* Mi vergogno da morire >.< il capitolo è venuto da schifo, era ancora troppo troppo presto, ed è successo tutto all’improvviso. Però… l’importante è che ce l’abbiamo fattaaaa non ci posso credere nemmeno io che si siano davvero messi insieme  i due polli *__* C’è voluta un po’ di spinta da parte di Heloïse.
Allora, saltando i commenti sul capitolo, qui finisce la prima parte della ff. La seconda, almeno credo, non sarà più narrata da Beatrice (perché la ragazza mi ha un po’ stufato…) ma da Sirius, che parlerà al presente per qualche motivo a me ignoto che dovrò inventarmi :’D  Perché mi sembra giusto cambiare un po’ prospettiva, è più completo. Comunque Beatrice tornerà, prima o poi.

Bene, non ho più niente da dire a parte ringraziare tutti quelli che mi hanno recensito finora MooneyDora, Sheireen Black, Butterfly90, Jullsfrap, Coquelicot, Alyssia Black/PiccolaStellaSenzaMeta e SvaneH, perché senza di voi non ce l’avrei mai fatta! Grazie anche a quelli che hanno messo questa ff nelle Preferite/Seguite: mi sono gasata in un modo assurdo XD Però potreste lasciarmela, una recensione piccola piccola, una volta ogni tanto!!!
Oh, e poi ovviamente un grazie enorme va alla Pisly, a Ciulièttt e alla Shosha, che mi hanno consigliato, aiutato (e minacciato di morte lenta e dolorosa quando non mi sbrigavo a scrivere, cosa che non è servita a molto.) in ogni momento, insieme a Kenny e a Big D (ti odio per il messaggio di stamattina). Siete degli amici fantastici!
Un bacio a tutti e alla prossima!
Ah, quasi dimenticavo! Per due settimane sarò via, quindi non penso che riuscirò ad aggiornare. Comunque continuerò a scrivere e poi pubblicherò tutti i capitoli in una volta sola.
Quindi, ci rivediamo a settembre!!!
Trixie

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Capitolo 16
*** Sedicesimo capitolo ***


SECONDA PARTE

Sedicesimo capitolo

“L’accendiamo.”, risponde lei con un sorrisetto, e poi si avvicina al mio viso con una sicurezza che non pensavo avesse.
“Sai, se non fossi Sirius Black… potrei quasi dire di essermi innamorato di te.”, sussurro senza nemmeno rendermene conto, e poi lei mi bacia, e io torno nell’oblio.
È così strano sentire il suo corpo contro il mio, le nostre lingue che si sfiorano e si inseguono e le sue mani che si aggrappano al mio collo. Penso che saprei riconoscere le sue labbra fra mille altre, perché sono proprio come lei: timide e inesperte, ma allo stesso tempo audaci.
Respiro a pieni polmoni il suo profumo, cocco e camomilla, lana e neve gelida, e la stringo di più a me, perché mi sembra così piccola e fragile che sento il bisogno di proteggerla. Lei sospira, e io per un attimo socchiudo gli occhi, e vedo che sta sorridendo in modo strano. Vorrei sapere a cosa diamine sta pensando, perché lei a qualcosa pensa sempre. Ah bè, ovvio: starà pensando che bacio da Dio.
Il tempo si è fermato. In questo momento mi sento Felpato anche se sono in forma umana, e non so se è una cosa positiva, visto che sto baciando una ragazza. Perché non penso, raccolgo soltanto sensazioni, profumi e sapori, agisco d’istinto ed è tutto così immediato.
Dopo un tempo indeterminato, secondi, minuti, giorni o millenni, dischiudo le labbra e la guardo negli occhi. Senza pensarci le bacio con delicatezza una guancia, rovente e gelida insieme, e lei affonda il viso color porpora contro il mio petto. Adoro quando arrossisce in quel modo, soprattutto se sono io la causa.
Vorrei dire qualcosa, ma vorrei anche stare in silenzio per sempre. Quando rialza il viso, non è più rossa ma rosa chiaro, e sorride malandrina, come se volesse chiedermi: Beh, cosa ne pensi? Io ghigno e le do un buffetto su una guancia. Poi mi ricordo di una cosa e le chiedo: “Cosa dovevi dirmi, quando sei arrivata qui correndo come una disperata?!”
Lei alza le spalle con noncuranza. “Dovevo… vincere una specie di sfida. Con Heloïse.” Heloïse? Allora penso di aver capito.
Giusto per divertimento le chiedo: “Che sfida?” Lei arrossisce e si acciglia, poi con un sospiro sconfitto mormora: “Dovevo venire a dichiararmi per dimostrare che sono una Grifondoro.” Io sghignazzo sonoramente. “Quindi, hai perso la sfida.”, concludo.
“Non è vero! Io lo stavo per fare, che cavolo, sei tu che mi hai zittita!”, protesta guardandomi male. Io scoppio in una delle mie risate canine. “Sì, certo”
Ma se la conosco, pur di vincere era disposta a farlo sul serio. Anche se le deve essere costato uno sforzo tremendo venire fin qua. Soffoco una risata. Avrei voluto stare zitto e lasciare che parlasse lei. Sarebbe stata la più grande soddisfazione della mia vita, se avesse avuto davvero il coraggio di dirmelo. “Sirius Black, mi sono innamorata di te.” Figuriamoci, ora non gliele caverò mai più di bocca, quelle parole.
“Sirius.”, sussurra lei guardandomi con le sopracciglia corrugate, come se si stesse sforzando per qualcosa.
“Sì?”
“Ti voglio bene.”, mormora sorridente come leggendomi nel pensiero, e io non posso fare a meno di sorridere a mia volta e di alzare gli occhi al cielo.
“È il massimo di cui sei capace? Dirmi che mi vuoi bene?”, le chiedo sogghignando esasperato, anche se alla fine non mi è mai importato molto delle parole.
Lei non risponde e restiamo così per un po’, abbracciati e in silenzio, ognuno pensa per conto suo, ma è un silenzio pieno di significati, di ricordi e di sogni. Alla fine lei si scioglie dal mio abbraccio, e mormora: “Ci vediamo dopo”. Mi da un rapido bacio a fior di labbra e poi, più veloce di un battito di ciglia, si trasforma nella rondine nera e bianca e scompare.

Scompare così, e mi lascia solo. Io la guardo volteggiare sempre più su. Esiste una persona più imprevedibile e prevedibile allo stesso tempo? Non mi resta nient’altro da fare se non trasformarmi anch’io in Felpato. Mi accuccio nella neve, annusando l’aria, e rivivo le immagini ordinate che mi scorrono davanti agli occhi, Beatrice che corre verso di me, Beatrice che si volta con un’espressione ferita, poi mi segue di malavoglia, il suo viso che si avvicina indeciso al mio, il sapore fresco delle sue labbra…
Lei non si fa più vedere, e alla fine decido di tornare al castello. Nella Sala Comune sono sedute sul pavimento le amiche di Beatrice, e quando mi vedono, Heloïse si alza trattenendo rumorosamente il respiro, poi si risiede mordendosi le labbra e mi guarda speranzosa. Io le saluto con un ghigno, ma non dico niente.
“Hai visto Beatrice?”, mi chiede Georgia con un sorrisone.
“Può darsi… ma non so dov’è andata.”, rispondo con un sorriso pigro. Eh no, non sarò di certo io a facilitarle il compito di raccontare tutto alle sue amiche.
Mi trascino verso la mia camera. Il solito odore di Burrobirra, calzini sporchi e legno mi investe appena entro. James è spaparanzato sul letto in mutande e gioca con quel maledetto Boccino, Remus sgranocchia cioccolata alle nocciole con un’espressione serena e pensierosa e Peter mangia Cioccorane.
“Dove sei stato?”, salta su James guardandomi sospettoso.
“Ero con la Evans.”, rispondo con un ghigno divertito.
“Non è vero!”, strilla James, e mi lancia un cuscino che schivo con eleganza. Frego una tavoletta di cioccolata a Lunastorta e mi butto sul mio letto.
“Ehi, la mia cioccolata!”, protesta lui indignato, ma io lo ignoro.
“Non eri con la Evans! Non è vero!”, strilla nuovamente James. 
“No, non ero con la Evans!”, sospiro esasperato.
“E con chi eri? Eh, eh? Con chi eri?”
“James, sei per caso geloso?”, gli chiedo sghignazzando.
 “Sciocchezze. Eri con Beatrice, eh?”, continua imperterrito.
“Sì.”, rispondo io con noncuranza. Sono sicuro che non ci metterà molto ad indovinare tutto, sempre che non l’abbia già fatto, anche se non gliene ho mai parlato.
Fra i Malandrini sono io quello meno estroverso, lo scorbutico, quello cupo, pessimista e distaccato, che si tiene sempre tutto dentro, come tutti i Black. È così che ci hanno abituato in famiglia. A nascondere i sentimenti (sempre che la mia famiglia ne abbia), perché sono soltanto una debolezza, un intralcio. Al contrario di James, che è sempre così espansivo, non si fa problemi ad ammettere quanto tiene a noi, o alla Evans, a parlare delle sue paure o dei suoi desideri, io rimango chiuso in me stesso. È difficile capire cosa mi passa per la testa.
Però ci sono i Malandrini. Con loro non ha senso avere segreti, basta uno sguardo, un sorriso, un cenno, e ci capiamo.
“E cosa avete fatto?! Una bella pomiciata?”, mi distrae dai miei pensieri James.
“Beh, sì.”, affermo con nonchalance.
“Aaah-ha! James, 10 galeoni!”, urla Remus vittorioso. James quasi cade dal letto e lo guarda in cagnesco.
“Avevate scommesso su di noi?”, domando con un ghigno.
Remus, con un sorriso a trentadue denti, fa spallucce. “James diceva che tu non saresti così fuori da metterti con una come Beatrice, e così abbiamo scommesso.” Io inarco un sopracciglio con eleganza e guardo James, che a sua volta mi sta fissando offeso.
“Fra tutte le ragazze che potevi trovarti, proprio lei! È così… rompipluffe, dispettosa, malvagia… è anche bassa! ”, commenta tirando su col naso e lanciando un sacchetto tintinnante a Remus.
“Perché invece, la Evans, capirai!”, lo provoco io sogghignando.
“La Evans è simpatica! E bella! E brillante, intelligente, malandrina, è… perfetta!”, esclama appassionatamente quell’idiota di James con gli occhi che luccicano.
“È più acida di un limone, è sempre lì che urla e sbraita e cerca di Schiantarti, è insopportabile!”, ribatto tranquillamente. Non è la prima volta che io e Ramoso discutiamo su pregi e difetti di Lily Evans. Mi diverto solo perché James si imbestialisce tutte le volte che la offendo.
“Non è vero! Solo con te…”
“…E con te.”, sghignazzo io e lui mi guarda offeso.
“Beh, ti conviene fartela piacere perché sarai il mio testimone al nostro matrimonio e diventerai il padrino di nostro figlio!”, esclama.
“Oddio, che incubo! Me lo immagino, un piccoletto tutto tronfio con i capelli neri sparati, gli occhialetti tondi e gli occhi verdi… Per fortuna che non vi sposerete mai”, esclamo sbellicandomi dalle risate, mentre lui gonfia il petto più offeso che mai.
Peter geme sconsolato e ci guarda implorante. Noi lo ignoriamo e continuiamo ad insultare le rispettive (anzi, non rispettive perché la Evans di James proprio non ne vuole sapere) ragazze.
“…Sei solo un cane bastardo e pulcioso!”, urla James in modo melodrammatico.
“E tu un cornuto!”
“Sacco di pulci!”
“Cornuto”
“Bastardo!”
“Cornuto”
“FIDO!”
“BAMBI!”
“FIDO!”
“… BASTAAAAAAAAA!”, si intromette Lunastorta urlando con quanto fiato in gola. Noi restiamo a guardarlo imbambolati. “SIETE DUE IDIOTI! INFANTILI, NOIOSI, IDIOTI…”
“Ci risiamo…”, mormora il povero Peter, che alla fine si ritrova sempre in mezzo. “Se non la smettete io me ne vado in cucina!”
“Portaci qualche Burrobirra”, gli chiedo con un ghigno, e Remus mi guarda storto. James approfittando del momento di distrazione si butta sul mio letto facendo cigolare tutte le molle e mi salta addosso.
“James… porco Salazar… mi schiacci…”, ansimo cercando di scrollarmelo di dosso. Lui per tutta risposta fa un sorrisetto sadico e mi abbraccia forte con il palese desiderio di strangolarmi
“James… idiota… coff… soffoco!”, esclamo tirandogli un pugno nello stomaco, e poi inevitabilmente cominciamo a picchiarci alla Babbana fino a quando, con un gran tonfo della porta che sbatte, entra Beatrice.
“Buonaseraaa gente!”, urla allegra, e contemporaneamente James esclama: “I miei occhiali!” Lei ci vede, si ferma un attimo a guardarci con un ghigno pensieroso.
“Mmm, lotta alla Babbana, eh? Penso che potrebbe interessarmi”,  poi corre verso di noi e si butta con slancio sul mio letto, esattamente sopra il mio ginocchio. “Ahiaaaaa”, strillo cercando di liberare la mia gamba.
“Beatrice, non anche tu”, esclama Remus disperato quando vede che anche la sua ultima alleata l’ha tradito.
“Eddai Remus, vieni! Ci stiamo divertendo!”, risponde lei allegramente, dando un pizzicotto a James, che inizia ad ululare e cerca di ricambiare la cortesia, ma Beatrice nella lotta Babbana è davvero imbattibile e così tiene testa ad entrambi.

Sì, è lei la ragazza perfetta per me, concludo sorridendo soddisfatto.

***

“Ehi ragazze!”, urla James salendo in piedi sulla panca del nostro tavolo in Sala Grande verso la fine della cena. Un boato si leva da tutti i tavoli, a parte quello dei Serpeverde.
“Sì, lo so, sono fantastico… I miei capelli poi, stasera sono ancora più fantastici del solito!”, grida passandosi una mano nei capelli in modo vanesio e sorridendo ammiccante.
Sei bellissimo, Jamie!”, urla una ragazza a nome di tutte le altre alzandosi in piedi. James si inchina con grazia, mentre la McGranitt comincia a guardarlo storto dal tavolo dei professori. “…Lasciando da parte me, ragazze, volevo farvi un annuncio sul mio amico qui presente Sirius Black, anche se ovviamente io sono molto più bello!” Un boato ancora più forte (modestamente) si leva questa volta nella mia direzione, e io quasi senza pensarci alzo la mano ghignando in segna di saluto. Vedo Beatrice che mi lancia un’occhiata di sbieco sbuffando e poi James, che sorride malandrino ad entrambi in modo allusivo.
Oh no, James, non farlo. Non fare quello che sto pensando che tu stia per fare, lo avverto con gli occhi. Lui per tutta risposta raddoppia il sorriso e urla: “Beh, da oggi non fate più tanto le furbe con Sirius…”, pausa ad effetto, “PERCHÉ È GIÀ OCCUPATO!” Circa la metà dei membri femminili di Hogwarts piomba in un silenzio attonito, poi partono i sussurri concitati, qualche singhiozzo, e il coltello di Beatrice, che sta guardando James con la bocca spalancata e le guance che prendono velocemente colore, le cade dalle mani.
Okay, non mi è mai dispiaciuto essere al centro dell’attenzione e questo non è un mistero, però mi sa che stavolta James sta un po’ esagerando.
E con chi, di grazia!”, strilla una ragazza con la voce rotta dalla disperazione. James fa un ghigno e poi punta il dito contro Beatrice.
“Con… lei”
“Con lei?!!”, ripetono più volte molte ragazze squadrando da capo a piedi me e Beatrice, seduti vicini. Lei, paonazza e tremante di rabbia si alza di scatto e prende James per la camicia, facendolo cadere giù dalla panca. “Potter. Sei morto ”, ringhia tra i denti afferrandogli una ciocca di capelli.
“No, lascia stare i miei capelli!”, si difende lui indignato.
Sì, lascia stare i suoi capelli!”, ripetono infuriate le ragazze del nostro tavolo. Lei si guarda attorno arrabbiata e cerca il mio sguardo come per chiedermi aiuto.
“Potter, signorina Summerland, basta così!”, abbaia la McGranitt venendo verso di noi.
“Professoressa, salvi i miei capelli, la prego!”, urla James disperato.
“Professoressa, se l’è meritato! Mi lasci picchiarlo, la prego!”, urla Beatrice altrettanto disperata e furiosa. Io me ne sto da parte con la mia fetta di crostata di mele e  sorrido divertito. Non mi da poi così tanto fastidio, a differenza di Beatrice, che tutta la scuola, professori e fantasmi compresi,  sappia che io e lei stiamo insieme.
“Signorina Summerland, ho sentito la notizia e ne sono infinitamente lieta, adesso lasci andare i capelli di Potter e si calmi”, risponde la McGranitt nascondendo a fatica un sorrisetto e guardandomi con un certo compiacimento.
“Però la mia preferita resta comunque lei, professoressa!”, le urlo sorridendo smagliante mentre si allontana. 
“Black, non fare il ruffiano e non usare questo tono confidenziale con me!”, mi rimprovera la McGranitt stringendo le labbra per non sorridere.
Intanto Beatrice e James sono tornati a sedersi, e si lanciano qualche reciproca occhiataccia, uno massaggiandosi i capelli e l’altra giocherellando in modo minaccioso con il coltello.

Ricapitolando, Beatrice è la mia ragazza, James è il mio migliore amico, Beatrice e James non si sopportano e probabilmente cercheranno di uccidersi a vicenda il prima possibile.
Oh sì, ci sarà da divertirsi.

***

La mattina dopo, e quasi stento a crederci, mi sveglio prestissimo ed esco a passi felpati (la mia specialità) dal dormitorio.
La Sala Comune è deserta, tranne che per la ragazza appollaiata sul davanzale della finestra,   con il mento appoggiato sulle ginocchia, i capelli sciolti e scompigliati e un pigiama rosso.  Mi lascio cadere sulla sedia sotto la finestra.
“Ciao”, borbotta Beatrice girandosi verso di me, per niente sorpresa, poi scivola agilmente giù dalla finestra sulla mia poltrona e si rannicchia contro il mio petto. Si vede che è ancora arrabbiata per la scenata di ieri sera.
 “Sai… stavo pensando.”, mormora seria disegnando dei cerchietti immaginari sulla poltrona e guardando accuratamente il pavimento.
“Sbalorditivo!”, commento io fintamente colpito,  e lei mi da una gomitata scherzosa tra le costole.
“No, stavo pensando a noi due. E alla nostra relazione che ora è diventata di dominio pubblico”, dice a denti stretti.
“Ah”
“È che… insomma, lasciando da parte ieri sera… prima eravamo amici e basta, e subito dopo… Cioè, è…”
“…Strano, lo so”, concludo io il suo discorso ingarbugliato.
“Già”, annuisce sovrappensiero.
“E poi… ho paura di aver frainteso una cosa.”, mormora arrossendo lievemente. “Stiamo… stiamo davvero insieme, adesso?”
Io alzo gli occhi al cielo. Solo lei è capace di pensare di aver frainteso una cosa del genere.
“Sei assurda! Ti ho dovuto persino chiedere il permesso, James si è premurato di annunciarlo davanti a tutta la scuola e adesso hai paura di aver frainteso?!”, esclamo incredulo.
“Beh, sai… Per sicurezza. E poi alla fine non è che cambi molto, no?”, mi chiede pensierosa. “Siamo amici come prima, scherziamo nello stesso modo di prima... è praticamente tutto uguale a prima.” “A parte che avrò bisogno di una scorta quando giro per i corridoi per colpa di quella sottospecie di idiota”, aggiunge con un sbuffo irritato.
 “Guardati sempre alle spalle, non stare mai da sola, non lasciarti offrire da bere, dormi con la bacchetta sotto il cuscino…”
“Sì, ho capito, ho capito…”, mi interrompe lei alzando gli occhi al cielo. “Mi so difendere benissimo da un branco di ragazzine frustrate, cosa credi.”, mi rimbecca sorridente.
“Sicuro.”
“Ma… Sirius?”, riprende timidamente dopo un po’.
“Sì?”
“Io… io ti piaccio davvero?”, mi chiede piano, titubante. Mi ricorda tanto Remus, quando ieri sera, prima di andare a dormire, mi ha preso da parte e mi ha detto: “Soltanto, non trattarla male. Lei ci tiene davvero”.
Prima di risponderle io ci penso un attimo. Non posso farne a meno, non perché non sia sicuro della risposta, ma perché in effetti è proprio strano. Io non sono il tipo di ragazzo che prende molto seriamente le relazioni con l’altro sesso, eppure sono felice di quello che è successo tra noi. Indubbiamente mi piace più di qualsiasi altra, e non sono dispiaciuto per il fatto che non potrò più divertirmi con le ragazze come… ehm, come facevo prima. E questo è molto strano.
“Sì, mi piaci”, rispondo con decisione.
“Quindi avevano ragione Remus e le altre, alla fine”, commenta lei sollevata e divertita allo stesso tempo. “… Alla faccia di James, che mi diceva sempre che non era possibile!”
Che cosa?!!”, esclamo sconvolto. “Tu… tu l’avevi chiesto a James?! ” Lei fa spallucce e annuisce con disinvoltura.
“E perché proprio a James?”, chiedo esterrefatto. “Non è che voi due filiate proprio d’amore e d’accordo…”
“Lo so, ma… visto che più o meno, io con te e lui con Lily, eravamo nella stessa barca… a volte ci confidavamo”, mi spiega arrossendo. “Cioè, più che altro ci demoralizzavamo a vicenda per dispetto”, aggiunge con una smorfia divertita. “Adesso glielo rinfaccerò fino alla morte, visto che lui con Lily è ancora in alto mare… ”, dice tra sé e sé con un sorrisino crudele.
“E lui da quanto lo sapeva?” Sono sbalordito, James lo sapeva e non mi ha mai detto niente di niente.
“… La prima volta che ne abbiamo parlato… alla fine siamo passati alle mani. Quando tu e Lily ci avete trovati mentre ci stavamo picchiando, ti ricordi?”, mi chiede ridacchiando.
“Vagamente… ma tu e James passate sempre alle mani, quindi.”, commento ripensando a ieri sera. “Anche Peter e Remus lo sapevano, immagino”
“Lo sapevano più o meno tutti”, dice lei ridendo. “Non sono mai stata molto brava a fingere.”
“Adesso, in ogni caso, lo sanno proprio tutti.”, ghigno io divertito.
“Già, anche la McGranitt.”, ringhia lei. “Oh, ma gliela farò pagare. Eccome se gliela farò pagare.”, promette con un luccichio minaccioso negli occhi.

Sì, confermo: Beatrice è la ragazza perfetta per me.
E ci sarà molto da divertirsi.  

Note dell’autrice:
Sono tornataaaaaa!!!! No vabè, questo capitolo per stupidità batte tutti gli altri. Non sapevo proprio cosa scrivere e così ho sparato un mucchio enorme di cavolate, è venuto persino lungo. Poi l’ho riletto tipo 30 volte prima di pubblicarlo e non mi convince proprio, però non mi va di riscriverlo. È che è molto più difficile di quanto pensassi immedesimarsi in Sirius, devo fare ancora un po’ di pratica. Quasi quasi rimpiango Beatrice e le sue riflessioni senza senso =D Cooomunque… oggi è il primo settembre vi rendete conto?! È tutto il giorno che mi chiedo cosa cavolo ci faccio ancora qui >.<
Al prossimo capitolo che arriverà prestissimissimo!
Trixie

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Capitolo 17
*** Infortuni notturni e scope da corsa in posti improbabili ***


Diciottesimo capitolo:  INFORTUNI NOTTURNI E SCOPE DA CORSA IN POSTI IMPROBABILI

Io e Beatrice stiamo insieme da quasi un mese.
E, cosa ancora più sorprendente, non sono nemmeno stufo, anzi, ogni giorno che passa spero che le cose restino così per… un tempo indeterminato, diciamo. Il per sempre mi spaventa ancora troppo, non fa proprio per me.

Mi sta correndo incontro raggiante, con la coda di cavallo che le sbatte ritmicamente sulle spalle e la borsa che la fa inciampare. Sorrido automaticamente e quando frena al mio fianco con una scivolata le passo un braccio attorno alle spalle. Ormai è un gesto talmente abituale che non arrossisce nemmeno più.
“Non l’ha ancora trovata”, ghigna soddisfatta, e io alzo gli occhi al cielo.
“Perché a nessuno verrebbe in mente di cercare una scopa da corsa nel busto di Wilfred il Meditabondo”, ribatto leggermente contrariato.
“In effetti”, commenta lei serena.
“E, per caso, hai intenzione di restituirgliela, in un futuro prossimo?”
“Ma sì, la settimana prossima c’è la partita, non farei mai perdere i Grifondoro, neanche per fare un dispetto a James.”
 È spietata. Ha preso a James la scopa più di due settimane fa, e non c’è stato ancora verso di fargliela restituire. Ma già, per lei che non deve sopportare giorno e notte un James senza Quidditch dev’essere facile.
“Non ti senti un po’ in colpa?”, la stuzzico.
“No”, risponde prontamente. “Non tanto”, aggiunge dopo un po’ abbassando gli occhi. “E va bene, domani gliela riporto!”, sbotta alla fine, sconfitta.

“Stasera c’è la luna piena!”, esclama all’improvviso, pensierosa. “La mia seconda luna piena…”
“Vero”, rispondo io con un largo sorriso. “Vedrai che ci divertiremo”.
“Lo so”, risponde lei con un ghigno. “Io e te contro Ramoso.”
Annuisco sorridendole, poi la prendo per mano e insieme ci avviamo verso la sala comune.

***

Remus è accucciato sul pavimento polveroso della stamberga strillante. Il cielo è ancora completamente buio, della luna non c’è nemmeno l’ombra, ma non deve mancare molto. Sento l’eccitazione che mi scorre nelle vene, non vedo l’ora che Lunastorta si trasformi, e che ci buttiamo nella notte, un cane, un cervo, una rondine, un topo e un lupo mannaro. Certo che il  nostro branco è strano forte. Accanto a me, Ramoso si agita, altrettanto irrequieto, con gli occhi esaltati, poi c’è Codaliscia, che guarda con ansia Remus, e Beatrice, seduta in un angolo, pallida quasi quanto Lunastorta. Non gli stacca gli occhi di dosso e trattiene il respiro ad ogni suo gemito. Ha insistito per assistere fin dal primo momento alla trasformazione, ma so che per lei  è dura. Quando si accorge del mio sguardo mi rivolge un sorriso forzato.
“È ora”, sussurra Ramoso guardando immobile il bagliore perlaceo che si fa strada da dietro le nuvole. Nella stanza regna il silenzio, Remus ha smesso di gemere, si è irrigidito e ha gli occhi fissi sulla luce bianca che si diffonde piano, fuori dalla finestra.
E poi la luna spunta, enorme, bellissima e terribile, illuminando la stamberga in modo sinistro. Succede tutto in un attimo. Con un urlo strozzato Remus si dimena e conficca le dita nel pavimento. Gli occhi gli si iniettano di sangue, il viso e gli arti gli si allungano e tutto il corpo si riempie di peli, dello stesso colore dei suoi capelli.
Beatrice, tremante, sguscia dal suo angolo e viene verso di me. Contemporaneamente Remus, ormai trasformato nel lupo mannaro, inarca la schiena ululando e crolla sulle quattro zampe. È il momento. Noi quattro ci scambiamo uno sguardo d’intesa e ci trasformiamo, Ramoso con un bramito di gioia da una cornata alla porta, che si spalanca, e trotta fuori, nella notte, inseguito da Lunastorta che ulula famelico. Io aspetto ancora un attimo, per assicurarmi che Beatrice e Peter siano pronti, poi mi getto all’inseguimento, assaporando la sensazione meravigliosa di libertà e il profumo dell’erba bagnata.
I muscoli di Ramoso sono più possenti dei miei, li vedo distendersi e contrarsi ritmicamente mentre lui galoppa nel prato, ma non ci metto molto a raggiungerlo. Lui mi sente arrivare, si gira prontamente e piegando la testa mi da una cornata amichevole. Io gli abbaio contro, mentre Codaliscia si arrampica in mezzo alle mie orecchie. Beatrice è con Lunastorta, che non si è ancora tanto abituato alla sua presenza  come alla nostra. Gli sta svolazzando sopra la testa, a volte  così vicino che ho paura che si possa fare del male.  Mi distraggo a guardarla, ma Ramoso immediatamente reclama la mia attenzione mordendomi  la coda, e così ricominciamo ad inseguirci.
Alla fine, come tutte le notti di luna piena, ci troviamo a giocare a “Tutti contro Lunastorta”. Il gioco consiste nel dargli più fastidio possibile e poi, quando si mette male, scappare via e farci inseguire. Lui sta praticamente impazzendo, ma si vede che sotto sotto si diverte, e in qualche modo ci è grato per non lasciarlo solo. È molto più umano del lupo mannaro che ho conosciuto per la prima volta tre anni fa. Codaliscia gli si arrampica sulla schiena distraendolo, io e Ramoso gli corriamo attorno mordicchiandolo e Beatrice gli becca affettuosamente la schiena e il muso.
 
E poi il divertimento finisce all’improvviso.
Lunastorta si alza sulle zampe posteriore ringhiando verso Beatrice. Lei non si sposta.  Mi accorgo un secondo in ritardo che c’è qualcosa che non va, ma quando balzo in avanti è già troppo tardi, la piccola rondine viene scaraventata per terra da una zampata, e rimane in mezzo all’erba, muovendo piano le ali e stridendo. Con un guaito mi accuccio accanto a lei e la nascondo dal lupo mannaro, intanto che James cerca di allontanarlo facendosi rincorrere.
Perde sangue. Sta perdendo un mucchio di sangue, e io non so cosa fare, sono paralizzato, per la prima volta non riesco a controllare il panico.  Sembra che ormai non abbia più forze, poi  con un sussulto si trasforma e crolla a terra, tremante. In un attimo torno umano anch’io, e la sollevo di peso. Ha gli occhi chiusi, ma non smette di tremare. Mi sembra più leggera del solito. Senza pensarci risalgo il prato correndo, ed è già successo, un’altra volta, solo che lei non era ferita, era calda e viva, e mi stringeva.
Aveva ragione Remus, come sempre.  Avevamo già rischiato una volta, non doveva succedere di nuovo, non doveva! Serro i denti, furioso con me stesso e gli altri. È solo una bambina, non doveva venire. E io sarei dovuto stare attento, invece l’ho persa di vista troppe volte.
Finalmente arriviamo alla stamberga. Entro con il fiato corto e la appoggio con delicatezza sul letto sfondato. Lei si lascia sfuggire un gemito di dolore.
“Beatrice! Beatrice, mi senti?”, le domando. Con sollievo mi accorgo che la mia voce rimane calma. Lei spalanca gli occhi, grandi e spauriti e cerca di muovere le labbra esangui.
Con attenzione le sollevo la maglietta insanguinata, e sento salire un conato di vomito alla vista del taglio profondo sul suo fianco, con la carne viva, più chiara del sangue, fatta a brandelli.
Mi lascio sfuggire un’imprecazione. Qua ci vorrebbe Remus, io non sono capace, non riesco nemmeno a pensare. Non so far niente di meglio se non strapparmi un pezzo di camicia e appoggiarglielo sulla ferita, per tamponare il sangue che esce. Lei geme di nuovo, strizzando gli occhi.
“Scusa…”, mormoro addolorato.
“Non è… niente… fa solo… un po’ male… La bacchetta…”esala in un flebile sussurro.
La guardo disperato. Io non conosco nessun incantesimo per curare le ferite, non posso far niente, dovrei portarla al più presto al castello, ma da solo non ce la faccio.  Mi piego verso il suo viso e la bacio, nel tentativo di distrarla. Lei non ha nemmeno le forze per ricambiare, ma mi accorgo che ha preso un po’ di colore sulle guance.
“Sirius, ti sembra il momento!?”, esclama una voce scocciata alle mie spalle. James corre verso di noi, i capelli ancora più scompigliati del solito, pallido e stralunato, e si inginocchia accanto a Beatrice.
“Come sta?”
“Non lo so!”, rispondo scuotendo la testa.
Lui le alza la maglietta per esaminare la ferita, e una punta di gelosia si agita nel mio stomaco, ma è talmente stupido e fuori luogo che quasi non ci faccio caso. Anche James ha la faccia nauseata, ma si sforza di sorridere e con voce tranquillizzante le mormora: “Stai tranquilla, ti portiamo da Madama Chips, ti siste…”, poi si blocca e mi guarda inorridito.
Merda.
Madama Chips ci metterà un nanosecondo a capire cos’è successo.
Beatrice scuote la testa freneticamente. “Non… madama Chips… no…”
Io e James ci scambiamo uno sguardo disperato. Le possibilità sono due: o la portiamo da Madama Chips, e probabilmente verremo espulsi tutti e quattro, o, non so come, la curiamo noi.
“Juliet…”, sussurra lei tremando. Io e James ci guardiamo confusi. “Juliet”, ripete lei, più decisa.
“Ma certo!”, esclamiamo in coro io e James. “Andiamo”.
Io le sollevo le gambe e James la schiena, e poi, più veloce che riusciamo, ci avviamo verso il castello buio.
“Cosa le diremo?”, mi chiede James preoccupato.
“Boh… qualsiasi cosa, non importa… dirò che eravamo a fare una passeggiata… e ci ha aggrediti un lupo, ecco…”
“Ma guarda in che casini ci caccia sempre”, esclama scuotendo la testa irritato.
“Sta… zitto”, ribatte lei flebilmente, ma con l’ombra di un sorriso negli occhi. 

***
 

“Ce la fai a salire? Ti sorreggiamo noi.” Beatrice annuisce, bianca come un lenzuolo, e così riusciamo a salire anche le scale del dormitorio.  Le sue tre amiche stanno dormendo, e quando la appoggiamo sul letto non si accorgono di niente.
“Juliet!”, grido scrollando la ragazza con forza.
“Che c’è?!”, borbotta lei alzandosi di scatto. Poi vede Beatrice, pallida e sporca di sangue, e ammutolisce.
“Sbrigati, dobbiamo fare qualcosa!”, esclamo afferrandola per un braccio. Lei scende dal letto con un balzo e si scaraventa verso Beatrice.
“Ma che cosa…”
“Dopo”, la interrompo aspro. Lei con delicatezza toglie il pezzo della mia camicia dalla ferita, che non è migliorata, e la esamina senza battere ciglio.
“Avrei bisogno di sapere cos’è stato”, mormora guardandomi severa.
“Ehm, un lupo.”, borbotto io con l’espressione più sincera che mi riesce. Lei spalanca gli occhi ma non commenta.
“Ci vorrebbe Derek… lui sì che sistemerebbe tutto in un attimo. Qualche punto di sutura… Accio bacchetta”.
Juliet fa comparire dal nulla una ciotola piena fino all’orlo di un liquido giallastro dall’odore forte e una pila di garze.
“È molto grave?”, le chiedo irrequieto mentre spalma il liquido sulla ferita.
“No, anche se sarebbe stato meglio portarmela prima. Un paio di giorni e te la restituisco come nuova!”, mi risponde sorridendo ammiccante. È forte, Juliet. Le sorrido riconoscente.
“E perché non siete andati da Madama Chips?”, domanda Juliet distrattamente.
“Non potevano dire che erano fuori dal castello di notte”, mi precede prontamente James.
“Capito”, annuisce lei, poi inizia ad eseguire complicati movimenti con la bacchetta, borbottando tutta concentrata, e la ferita diventa molto meno spaventosa.
“Vuoi fare la Guaritrice da grande, Juliet?”, le chiedo con simpatia.
“Credo proprio di sì”, risponde lei seria.
“Ehi! Che state facendo?”, esclama una voce assonnata alle mie spalle. Heloïse si è svegliata, e ci fissa con gli occhi gonfi di sonno e i capelli aggrovigliati. Sembra una pazza, e mi ricorda un po’ mia cugina Bellatrix, in versione più innocua. Sorrido al pensiero. Lei si alza e barcolla verso di noi. Quando vede Beatrice distesa sul letto, ancora con gli occhi chiusi, e Juliet che si affaccenda con le garze attorno alla ferita spalanca la bocca e mi chiede in tono sospettoso: “Che cosa le hai fatto?” Io sbuffo  al cielo e mi passo stancamente una mano davanti agli occhi. “Non sono stato io”.
“E spostati!”, mi ordina  scansandomi per mettersi vicino a Beatrice.
“Posso svegliare Georgia? Sembra troppo un angioletto…”, chiede poi a Juliet ghignando pensierosamente e guardando l’amica, con un braccio sopra il viso e i capelli biondo oro sparsi sul cuscino. Juliet fa un mezzo sorriso, ma è Beatrice che risponde, rauca: “Lasciala dormire. Poi si mette ad urlare ed è un casino.”
“Come stai?”, le chiediamo in coro tutti e quattro. Lei sorride.
“Benissimo, ne ho passate di molto peggio.”, risponde allegra accarezzandomi i capelli.
“Già, ti ricordi quella volta che al primo anno hai centrato il gradino sfondato, sei caduta per due rampe di scale e ti sei spaccata un dente?”, sussurro scosso dalle risate.
“E come dimenticarselo. Quel tipo di Corvonero ride ancora tutte le volte che ti incontra”, mormora Juliet sghignazzando in silenzio.
“Oppure quando ti sei versata addosso la Pozione Restringente… Non ho mai visto Lumacorno così disperato”, ricorda Heloïse divertita.
“Quella è stata brutta sul serio”, mormora Beatrice pensierosa, ma sta ridacchiando. “Però vi siete presi un bello spavento anche questa volta, eh?”, dice guardandoci con affetto.
Io e James le lasciamo chiacchierare, tenendoci in disparte. Sono un bel quartetto, ricordano un po’ noi Malandrini in versione femminile, anche se ovviamente noi siamo unici nel nostro genere.
“Ehi Jamie…”, esclama dopo un po’ Beatrice, sorridendo angelica. Lui la guarda stringendo gli occhi, insospettito.
“Dimmi, tesoro”.
“Hai presente il tuo manico di scopa? Ecco, può darsi che si trovi nel busto di Wilfred il Meditabondo, forse… se passi a dare un’occhiata.” “Guarda che sono ancora invalida!”, aggiunge precipitosamente quando la faccia di James diventa di un brutto violaceo a chiazze, indicandosi la ferita bendata.

***
 

La mattina dopo io e James lasciamo le ragazze dormire. Adesso c’è un altro amico che ha bisogno di noi. 
L’infermeria è vuota a parte lui e Peter, che è seduto su una sedia accanto a lui. Stanno mangiando cioccolata. Provo un moto d’affetto per il nostro piccolo Codaliscia, il buon amico fedele, che è rimasto con Remus a fargli compagnia e a consolarlo, quando noi lo abbiamo mollato per curare Beatrice.
“Come sta?”, ci chiede in un bisbiglio. Non sembra arrabbiato, solo rassegnato e molto triste. James sfodera il suo miglior sorriso. “Bene, Juliet l’ha subito rimessa in sesto. La ferita non era profonda, e in un paio di giorni sarà a posto. Non preoccuparti, Lunastorta, non è colpa tua.”, mormora andando dritto al punto.
 “Ah no?”, chiede aspramente, lasciandosi ricadere suoi cuscini. “È arrabbiata?” 
“No, certo che no, Remus! Non l’hai mica fatto apposta!”, esclamo ragionevole. Ma tutto quello che gli diciamo non sembra consolarlo. “Sai, ci ha detto di salutarti. Che non vede l’ora di rivederti e di non pensare a cose stupide, perché è stato un incidente.”
“Be’, il lato positivo…”, mormora sconsolato alla fine, “è che almeno adesso non verrà più. Lo sapevo, gliel’avevo detto, ma non ha voluto ascoltarmi…” Non ho il coraggio di contraddirlo, anche perché penso che abbia ragione. Non ci sarà bisogno di convincere Beatrice, lei non vorrà più venire, soprattutto per non far più soffrire Remus.
“Vorrei tanto andare a trovarla… Ma Madama Chips dice che non posso ancora muovermi”, sospira mestamente.

Il pomeriggio però Remus riesce a convincere Madama Chips a uscire dall’infermeria.
Beatrice è seduta sul letto insieme alle sue amiche, ancora in pigiama, un po’ pallida e spettinata. Quando vede entrare Remus fa un sorriso timido, e allunga un braccio verso di lui. Remus si avvicina a malincuore e si lascia abbracciare, rigido come un palo. Non può parlare di fronte alle amiche di Beatrice, ma l’occhiata che le rivolge è così tanto piena di dolore, rabbia e affetto che anche loro si accorgono che c’è qualcosa di strano.
“Come… come va?”
“Bene, Rem. Sto benissimo, guarda”, mormora con dolcezza, e gli mostra la cicatrice completamente rimarginata. “E tu?”
“Io… bene. Ti ho portato della cioccolata”, risponde lui nervosamente.
“Sul serio!?”, esclama lei illuminandosi. “Fondente, spero! Da qua.”
“Ma tu perché mangi così tanta cioccolata e sei così magro?”, gli chiede Georgia, guardandolo con  aria critica mentre divora con gusto una tavoletta dopo l’altra.

Quando ce ne andiamo, Remus ci dice di andare avanti perché deve fare una cosa. Noi tre ovviamente ci fermiamo ad aspettarlo dietro la porta, curiosi.
“Ehm… volevo ringraziarti… per aver curato Beatrice”, dice a Juliet arrossendo lievemente e strusciando i piedi per terra, impacciato.
“Oh… figurati”, mormora lei imbarazzata e lusingata, sistemandosi la frangia.
“Sì, quindi… grazie”, ripete balbettando lui.
“Sì… grazie. Cioè no, prego, volevo dire…”
“Va bene… allora… ciao”
“Ciao”, lo saluta lei, mentre io, Peter e James  ci affrettiamo a scomparire ridendo come dei matti.

“Gli dobbiamo dare qualche lezione su come si fa, che ne dici, Ramoso?”, chiedo a James scuotendo la testa divertito.
“Concordo in pieno, Felpato”, mi risponde allegramente.

Note dell’autrice:
Ciao gente! Questo capitolo non so proprio da dove mi è venuto :’D avevo voglia di fare un po’ la tragica e allora Lunastorta ha perso un po’ il controllo, poveretto, ma non è colpa sua, tutta dell’autrice che non sapeva cosa scrivere! Però poi mi sono detta: se già adesso comincio con gli incidenti quando scoppia la guerra li faccio ammazzare tutti?? E allora ho risolto felicemente l’episodio :D Sono un’idiota. Lascio a voi il resto dei commenti.
Trixie

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Capitolo 18
*** La partita ***


Dedico questo capitolo a Giorgia e Giulietta,
che hanno sprecato un intero pomeriggio ad aiutarmi a scriverlo
quando non sapevo più dove sbattere la testa.

Diciottesimo capitolo: LA PARTITA

Sono di pessimo umore. Come al solito, del resto.
Primo,  fa un freddo cane e piove, e James mi ha costretto ad andare a vedere l’allenamento di Quidditch per inviargli energia positiva. Secondo, stamattina a colazione Mocciosus l’idiota mi ha insultato, e non ho potuto sistemarlo come si deve perché si è messa in mezzo il Prefetto-Perfetto Evans. Spero solo che Grifondoro vinca  la partita e che James prenda in fretta quel maledetto boccino, perché non ho proprio voglia di passare tutta la mattina sotto la pioggia.
Coda e Lunastorta stanno sistemando il vecchio cartellone che usavamo sempre gli anni scorsi in tutte le partite e che siamo riusciti a recuperare dall’ufficio di Gazza, un disegno della McGranitt che agita il pugno e urla: “DATECI DENTRO CON I BOLIDI!”

Gli spalti si riempiono velocemente, rosso e oro da una parte e blu dall’altra. Noi siamo in netta minoranza, perché sia i Tassorosso che le Serpi tifano per i Corvonero. Poco male, tanto vinceremo noi. Prendiamo posto sugli spalti in quarta fila accanto a Beatrice, Heloïse  e Juliet, che ha la sciarpa Grifondoro legata intorno alla testa.
“Georgia stamattina era bella carica”, ci saluta Beatrice, con un’enorme macchina fotografica al collo.
“Sì, anche James. Mi ha buttato giù dal letto alle 6 per l’ultimo allenamento”, rispondo lugubremente.
“Oh, ecco, stanno entrando!”, esclama Heloïse indicando gli spogliatoi, da cui escono le due squadre, e immediatamente la voce amplificata di Kenny Jordan, il nostro fidato e imparzialissimo cronista, risuona nel campo.
Eccoli che scendono, i nostri fantasticissimi Grifondoro. La capitanessa Cox, seguita da Cooper, Hill, McKinnon, ancora McKinnon, Paciock e Potter! ” Applaudiamo entusiasticamente, e Peter con un colpo di bacchetta aziona il cartellone. “Dateci dentro con i Bolidi!”
“Non ancora, Pet…”, sbuffa Remus ridendo.
“... e adesso quelle cac- no professoressa, non intendevo quello- ehm sì, adesso i Corvonero. Steeval, O’Malley, Jones, Hornby, Jennacker, Lawrence e Berry.”, continua monotono. 
Uno, due, tre, VIA!!! YUHUUUUUU, fateli neri, ragazzi, massacrateli, buttateli…”
Jordan”, inizia la McGranitt, esasperata.
 “Minervaaaa!”, urlo nella sua direzione sbracciandomi. Quando si gira le mostro la sua faccia inferocita sul cartellone, e lei mi fulmina, stringendo le labbra.
La Pluffa a quell’idio… a Steeval, Hornby, ancora Steeval, Jones che si avvicina alla porta… Frank, se non la pari… No, ma ecco che arriva la Cox, leggera come una fatina dei boschi certo professoressa, la smetto subito dai Isabelle… evvai! Ebbene sì, quel troll di montagna si è lasciato prendere la Pluffa”, conclude Kenny drammaticamente.
“Jordan!”, urla la McGranitt rubandogli il megafono dalle mani.
Ma sì, professoressa, dicevo per scherzareIsabelle passa a Georgia, Georgia Hill, che sfreccia a testa bassa verso la porta…”
 “Jones cerca di tagliarle la strada, Jennacker  le tira un Bolide e la manca di brutto, ahahah… dai
Georgina… noooo, che sfiga!”

Un boato di delusione si leva dai tifosi Grifondoro, mentre la Pluffa passa da un Corvonero all’altro… Frank si piazza con decisione davanti ai tre anelli, e Alice Prewett, a poca distanza da noi, trilla estasiata: “Oooh, guardate il mio Frankuccio, che uomo…”. Peccato che Steeval tira, Frankuccio annaspa agitando invano le braccia e la Pluffa entra nell’anello centrale. Un uffa collettivo si alza dai nostri spalti, mentre il resto dello stadio ride.
FRANK, BRUTTO IDIOTA! Non hai visto che stava per tirare?! Ecco, 10 a 0 per Corvonero, tutto per colpa tua, spero che i rimorsi ti uccidano e…”, urla Jordan gesticolando verso il desolato Frank.
E la partita prosegue in questo modo per un'altra ora e mezza.

***
 

“…E Grifondoro segna! 80 a 60 per Grifondoro”, urla Jordan per l'ennesima volta. “La Hill con la Pluffa… MA NO, CHE FAI?! LE HA TIRATO UNA MAZZATA IN FACCIA, AVETE VISTO?!! È FALLO È FALLO, CHE CAVOLO!!!”, sbraita infuriato.
 “Ma che figlio di…”, urla Heloise alzandosi in piedi, mentre vediamo Georgia che sputa sangue e si porta una mano alla bocca e Hornby, con la mazza in mano, si guarda spaesato intorno.
Mi hai fatto male! Idiota!”, strilla Georgia con voce acuta scaraventandosi sopra il suo aggressore e mollandogli un ceffone.
“Adesso ci penso io”, mormora intanto Beatrice tirando fuori la bacchetta e puntandola contro la sagoma sfocata del Battitore.
“Con la mira che ti ritrovi, io lascerei stare”, commenta Remus abbassandogli il braccio.
“Se la cava da sola, guarda, sta cercando di disarcionarlo…”
In effetti, ora che guardo meglio, Georgia ed Hornby hanno cominciato a darsele di santa ragione, insultandosi a vicenda, ignari del fatto che intanto la partita sta continuando.
Anche Kenny ha lasciato perdere la cronaca della partita per aizzare l’amica. “Così… brava… Dai, dagliele! Ma buttalo giù, no? Così si ammazza…”
“Jordan”, urla la McGranitt respirando profondamente ad occhi chiusi.
Ma professoressa!”
Intanto però si sta mettendo male sul serio, Horby ha tirato fuori la bacchetta quando i fratelli McKinnon sfrecciano verso di loro.
Lasciala stare, imbecille!”
Immediatamente entrambe le squadre sfrecciano verso la rissa.
“…Ecco che arrivano anche O’Malley e Steeval… cosa credete di fare, eh? Bel gancio destro, Geo! Dai ancora… oh, guardate, stanno venendo proprio tutti! Fateli neri, dai, uccideteli! Manca solo James, che di sicuro non si è ancora accorto di niente… Guardatelo, è lassù che cerca il Boccino. Ehi, chi è stato il genio che ha tirato una mazzata a Steeval?” Georgia alza la mano, sorridendo.
Sì, brava Georgia, cont… - ma che c’è, professoressa?-” La McGranitt gli strappa il megafono di mani. “La partita è stata annullata! Ora scendete immediatamente a terra, poi farò i conti con la mia squadra”, sbraita con gli occhi che scintillano pericolosamente.
Inutile dire che nessuno l’ascolta, anche se pian piano le due squadre, sempre picchiandosi animosamente, iniziano a scendere a terra. Uno, non riesco a capire chi, ma è un Corvonero, cade dalla scopa e precipita giù, ma si rialza subito, mentre i professori corrono verso il campo. In quel momento atterra James, con il Boccino in pugno, urlando: “È per te, Evans!”, ma rimane traumatizzato perché per la prima volta nella sua vita nessuno gli da retta.
Potter, è stata annulata la partita, non hai sentito?”, abbaia la McGranitt, furiosa. “Ma come?!”, strilla James indignato, poi si accorge della rissa e con un’alzata di spalle schizza in aiuto dei suoi compagni.
“… La lotta prosegue a terra in un corpo a corpo molto emozionante”, continua a dire Jordan.
Io e Beatrice però ci guardiamo, e con un identico ghigno d’intesa corriamo giù verso il campo, immediatamente seguiti da Heloïse e Peter, con tanto di cartellone.
“Ehi, piccioncini! Voi rimanete lì?”, grida Beatrice verso Remus e Juliet.
“Insomma, Remus… tu sei un Prefetto, dovresti almeno provare a fermarli, no?”, lo sfotto, e finalmente anche loro due vengono giù. Ma non siamo gli unici a volerci buttare nella mischia, tutto il pubblico è in tumulto. Vado a sbattere contro Rookwood e un altro, che corrono nella direzione opposta e poi arrivo nel campo di battaglia, dove regna il caos più completo.
Vitious giace a terra, esanime, una ragazzina è in lacrime, la McGranitt e Madama Bumb corrono da una parte all’altra urlando, Georgia, Steeval, Hornby, O’Malley,  i McKinnon e James sono nel cuore della battaglia, ed è verso di loro che ci dirigiamo noi sei, spintonando e inciampando in mezzo alla gente. Una mia ex ne approffitta per venirmi addosso e aggrapparsi alla mia camicia in modo molto poco convincente. Me la scrollo di dosso senza tanti complimenti e sghignazzando di gusto lancio una Fattura Orcovolante contro Lawrence, solo che per sbaglio colpisco Lumacorno. Oooops.
“Ma che caz… James spostati, lo stavo finendo io!”
“Ouch, chi è stato? Adesso ti faccio vedere, brutto imbecille…”
“I miei capelli! Chi ha toccato i miei capelli?!”

“Ahahah, questo è il bello del Quidditch! Aspettatemi che vengo anch’io… Lasciatemi un pezzettino di Steeval, per favore.”
Beatrice batte il cinque a Georgia, che ha spedito un Serpeverde dritto addosso alla McGranitt, poi tira un pugno a O’Malley, a cui sono spuntate due orecchie viola grosse il doppio della sua testa. In mezzo al casino c’è anche una chioma rossa che svolazza e qualcuno che sbraita, a voce più alta di tutti gli altri.
Potter, ti sembra il momento?! Piuttosto aiutami a sistemare questa sottospecie di australopiteco…”
Qualcuno mi lancia una mazza, che prendo al volo, poi mi fiondo contro un tipo biondo e tarchiato, penso Jennacker, e con un calcio lo sposto da Frank.
“DIECI PUNTI IN MENO A TUTTI QUELLI NEL CAMPO!”, urla la McGranitt.
“Ma professoressa, rimarremmo… AHIAAA… tutte e quattro le Case senza punti… Non ha molto senso”, urla Beatrice ansimante, dimenandosi da una ragazza alta il doppio che la tiene ferma.

E poi una voce calma e autoritaria dice: “Ora basta così, ragazzi. Vi siete divertiti abbastanza” Immediatamente ci fermiamo tutti, e guardiamo verso gli spalti, dove Silente ci osserva tranquillo.
I Grifondoro, a capo chino, si mettono in fila dietro alla McGranitt, che sembra stare per esplodere, i caduti vengono rianimati, e tutti torniamo al castello.

***
 

“È stata una figata assurda, ragazzi”, mormora Beatrice con un sorriso sognante.
“Parla per te”, bofonchia Georgia, distesa in uno dei letti dell’Infermeria, con la bocca gonfia e sanguinante.
Anche Pet ha rischiato di rimanerci secco,  e ora guarda con terrore la pozione che Madama Chips cerca di fargli bere. Ghigno in direzione di Steeval, che giace su un altro letto, con la faccia ricoperta di grossi bubboni verdognoli.
“Ma io avevo preso il Boccino”, piagniucola James.
“Piantala”, sbuffo irritato.
“Secondo voi ci metteranno in punizione?”, chiede Remus preoccupato.
“Ma andiamo, vuoi che metta in punizione tutta la scuola?!”

“Guardate, sto sviluppando le foto”, esclama Beatrice armeggiando con la macchina fotografica. Ce ne mostra una, ancora fumante, in cui  si vedono solo i capelli di Georgia, una mano non identificata che gesticola e, sullo sfondo, io che mi contorco sull’erba in modo poco aristocratico.
“Mooolto carina”, commento sarcastico, e lei ride divertita. Poi smette di colpo e guarda la porta dell’infermeria ostentando un’espressione colpevole e pentita.
La McGranitt e Madama Chips vengono verso di noi, entrambe piuttosto provate.
“Signorina Rookwood, il professor Silente desidera parlarti nel suo studio”, dice la McGranitt con voce stanca e preoccupata. Tutti ci giriamo verso Juliet, che si alza confusa. 
“Oh, va bene… vengo”, borbotta lanciandoci un’occhiata interrogativa.
Appena la porta si richiude, Heloïse si torce le mani, pensierosa. “Sarà successo qualcosa? Lei non ha nemmeno fatto niente di grave… insomma, se punisce lei…”
“No, non penso che sia per punirla”, la interrompe Remus.
“Sarà per requisirle tutti i cofanetti di Grey’s Anatomy. Robaccia babbana… Oh, sarebbe splendido!”, commenta Beatrice. 
 
Juliet torna dieci minuti dopo. È agitata, e ha gli occhi umidi. Si siede in silenzio sul bordo del letto di Peter e fissa un punto imprecisato fuori dalla finestra.
“Juliet, che cosa…?”, chiede Georgia cautamente.
Juliet fa un profondo sospiro, le labbra le tremano impercettibilmente.
“Mio fratello.”, mormora alla fine, passandosi una mano sopra gli occhi. “Mio fratello è… scomparso”.
“Be’, non è questa gran perdita.”, mi lascio sfuggire senza pensarci, e Beatrice mi fulmina con lo sguardo.
“Lo so, è antipatico, odioso, è crudele… lo odierei, se non fosse mio fratello. Ma non posso fare a meno di volergli bene, mi dispiace.”, mi risponde lei seccamente. Vorrei chiederle scusa, perché la capisco. Anche lei si ritrova un fratello che è completamente l’opposto di lei, e a cui, nonostante tutto, vuole bene.
Ma Regulus non è come Rookwood…, mi consola una vocina dentro la testa. Per adesso, rispondo a me stesso, con un sorriso amaro.
“James, Sirius, non l’avrete di nuovo infilato nell’Armadio Svanitore?”, ci chiede Remus severo.
“No”, rispondiamo in coro, con sincerità.
Okay, se facessi finta di essere dispiaciuto o preoccupato sarei uno schifoso ipocrita. Odio Rookwood quasi più di Mocciosus, e sembra quasi impossibile che lui e Juliet siano fratelli. Lei Grifondoro e praticamente filobabbana, lui Serpeverde e innamorato delle Arti Oscure.
“… Pensi… che l’abbiano rapito?”, chiede Beatrice titubante.
“No, se n’è andato di sua spontanea volontà. Lo so. Lui era da un po’ che lo diceva sempre, a casa… diceva che gli scocciava dover restare ancora un anno a scuola… che voleva iniziare a lavorare.”, mormora con voce spezzata.
“E Silente?”, chiede Remus, sconvolto.
“Dice che deve aver approfittato della confusione per… per… andarsene”.
“Ma certo!”, esclamo dandomi una pacca sulla fronte. “Io l’ho visto, stava correndo verso il castello, ma non ci ho pensato, ovviamente…”
“E non ti ha lasciato qualcosa? Che ne so, un biglietto…”, domanda Beatrice, assorta.
“Ma figurati.”, risponde lei, sprezzante. “Non gliene è mai fregato niente di me, neanche quando ero piccola…”
“Secondo me potrebbe averlo rapito qualcuno.”, si inserisce Georgia.
“No, fidati, no.”, risponde Juliet con decisione. “Consco mio fratello. Non sarebbe così facile… se ne è andato lui.”
“E… dove?”, domanda Beatrice, quasi temendo la risposta. Ha una piccola ruga profonda in mezzo alle sopracciglia aggrottate e si morde l’angolo della bocca, pensierosa.
“È ovvio, no? È andato da lui. Da Voi-Sapete-Chi.” Juliet sospira, affranta. “Sapevo che sarebbe successo, prima o poi. ”
“Ma… non ha senso.”, protesta Beatrice scuotendo la testa. “Insomma, Voi-Sapete-Chi ha già i suoi seguaci… non gli farebbe più comodo qualcuno dentro Hogwarts?”
“Di sicuro ha anche qualcuno dentro Hogwarts. O l’avrà a breve.”, sbotto con freddezza, e non so perché mi viene da pensare a Regulus. O forse il perché lo so fin troppo bene.
“E allora, Rookwood… cioè, suo fratello, che bisogno aveva di lasciare Hogwarts così, quando mancano meno di tre mesi alla fine? Vuol dire che aveva qualcosa di urgente da fare.”, ribatte Beatrice ostinata.  Juliet alza le spalle. “Può darsi, non lo so… io con lui non ci parlo mai.”
“Voi dite che Voldemort abbia un piano? Che gli serva Augustus per qualcosa?”, sussurra Remus concitato.
“Sì, è possibile”, gli risponde Juliet, e lui arrossisce.
“Secondo me è comunque strano.”, ripete Beatrice. “Sì, potrebbe avere un piano per lui, è vero… però abbandonare Hogwarts proprio a pochi mesi dai M.A.G.O. non ha senso. Potrebbe benissimo lavorare per Voldemort da dentro il castello, ne sono sicura… ci dev’essere qualcos’altro.”
Rimaniamo per un po’ in silenzio a rimuginare, fino a quando James esclama con il suo solito, irritantissimo ottimismo: “Magari si è solo perso da qualche parte! Magari è nella Stanza delle Necessità e non riesce ad uscire oppure qualcuno l’ha davvero messo nell’Armadio Svanitore…” “Okay, sto zitto.”, aggiunge subito di fronte alle nostre facce incredule.
“Esatto”, annuisce Beatrice guardandolo storto.

Verso sera lasciamo l’infermeria e rimaniamo in sala comune fino a tardi. La notizia che Rookwood è scomparso è già riuscita a dilagare e Juliet, stufa di sentire supposizioni su dove si trovi suo fratello in questo momento (una delle opzioni più accreditate è “appeso ad uno degli anelli giù nel campo ”), è la prima ad andare a dormire.
Io, Beatrice e James rimaniamo per ultimi a finire di sviluppare tutte le foto e passiamo in rassegna i momenti migliori della partita. Poi andiamo a dormire anche noi, sapendo che domani ci aspetta una dura giornata di prediche.
Non penso che ce la faranno passare liscia. La McGranitt troverà di sicuro un modo per metterci tutti in punizione senza farci perdere neanche una lezione.

Note dell’autrice:
Buoooooongiorno!
E chi se lo immaginava che Roowood e Juliet erano fratelli??!! A dir la verità nemmeno io visto che è stata un’idea di Juliet stessa medesima :D Faccio schifo lo sooooo. Il capitolo non è  venuto bene come l’avevo (anzi, l’avevamo) pensato, non ero ispirata e mi hanno costretto a pubblicare troppo presto (?) però mi sono divertita a scriverlo :’D
Come sempre un grazie di cuore a tutti quelli che leggono, recensiscono e mettono nelle Preferite/Seguite/Ricordate questa ff assurda. Vi adoro <3
Trixie

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Capitolo 19
*** Tra G.U.F.O., sospetti e pianificazioni ***


Diciannovesimo capitolo: TRA G.U.F.O., SOSPETTI E PIANIFICAZIONI


È incredibile quanto passano in fretta gli ultimi mesi di scuola. Soprattutto quando ti accorgi che manca pochissimo ai G.U.F.O. e che tu anche quest’anno non hai fatto niente di niente. E soprattutto quando uno dei tuoi migliori amici non fa che ricordartelo nei momenti meno opportuni, tipo quando ti verrebbe voglia di organizzare un’imboscata a Gazza, oppure di trasfigurare la testa di Mocciosus in un vaso da notte.
G.U.F.O., maledettissimi G.U.F.O. E maledetto Remus, anche.
E poi con tutte le cose che succedono, sinceramente, anche solo aprire un libro per guardare le figure è impensabile. Per non parlare di prendere appunti a Storia della Magia, come mi consiglia caldamente di fare Remus. Come se me ne potesse fregare qualcosa, delle eterne guerre dei giganti contro i troll e delle leggi del Medioevo, o quel che è.
Stanno succedendo cose strane, ultimamente.
Rookwood, un mese dopo la famosa partita di Quidditch (se si può definire partita), è improvvisamente ricomparso. Ha detto di non ricordarsi nulla e di essersi svegliato nell’Armadio Svanitore senza sapere come ci era finito. Nel frattempo, però, sono state uccise altre due famiglie di Babbani ed è scomparso un dipendente del Ministero che lavorava all’Ufficio Misteri. Non penso che qualcuno se la sia bevuta, e comunque se anche se ne fosse rimasto dal suo capo Voldemort ero felice uguale.
Lui e sua sorella hanno litigato. È stato abbastanza terrificante. Lei gli ha dato dello “schifoso Mangiamorte” davanti a tutta la scuola e gli ha chiesto perché non le mostrava il Marchio. Faceva davvero paura, dopotutto non c’è così tanto da stupirsi che siano fratelli.
Io e James e Remus e Peter (e Beatrice, naturalmente), giurando solennemente di non avere buone intenzioni, abbiamo deciso che metteremo nel sacco quell’idiota di Rookwood. E quando i Malandrini decidono di scoprire qualcosa, vi assicuro che non c’è segreto che tenga.

***
 

“Mi stai ascoltando?!”, mi  chiede Beatrice infastidita.
“Ehm, no”, ammetto con un sorriso.
“…Trasfigurare un oggetto o un animale di dimensioni superiori a…”
“Sì, ho capito… e poi sinceramente non riesco a concentrarmi finchè mi stai seduta in braccio.”
“Oh, bene.”, sbuffa lei irritata spostando un’altra poltrona di fronte alla mia e sendendosi a braccia incrociate. “Adesso ti concentri di più?!”
“No, in effetti no.”, rispondo con un gran sorriso, e lei sbuffa ancora di più.
“Guarda che lo faccio per il tuo bene, eh? Lo sai vero che ti bocceranno in tutte le materie?”
“Mi basta Remus, grazie”, la interrompo alzando gli occhi al cielo. “… Perché non studi un po’ tu, invece che rompere le pluffe a me??”
Io studio mentre tu e James andate a far saltare in aria la gente… ”
“Lo spirito Malandrino ti ha già abbandonata.”, commento sogghignando, e lei dopo avermi guardato male si alza stiracchiandosi.
“Idiota”, bofonchia con uno sbadiglio. “Vado a dare una mano a Pet”, e fa per allontanarsi. “Ma io ho più bisogno di Peter!”, mi lamento cingendole la vita e attirandola verso di me. Lei fa un verso sprezzante e con un sorriso sghembo va a sedersi sul bracciolo della poltrona di Peter, che con le sopracciglia aggrottate e la bacchetta in mano, sta cercando di studiare Incantesimi.

Che noia. Sono sempre tutti a studiare. È triste la sala comune, con questo silenzio. Cerco con gli occhi James, e sorrido tra me e me quando lo vedo stravaccato su una poltrona sfondata, il libro di Trasfigurazione abbandonato ai suoi piedi, con gli occhi che vagano per la stanza alla ricerca di qualche svago. Gli faccio un cenno d’intesa e contemporaneamente ci alziamo, avviandoci verso il dormitorio.

“Phhhhhh. Non ti sembra tutto un po’ troppo tranquillo?”, dice James con aria depressa.
“Quand’è l’ultima volta che abbiamo fatto uno scherzo a un Serpeverde?”, gli cheido imbronciato.
“Quattro giorni fa. Mocciosus.”, borbotta lui con un guizzo di vita negli occhi.
Quattro giorni fa. Ma ti rendi conto?! Questi G.U.F.O…. ci stanno risucchiando l’anima!”, esclamo tragicamente.
“E poi noi abbiamo un’intelligenza di molto superiore alla media, non abbiamo bisogno di studiare...”
Annuisco con convinzione. “Io, soprattutto.”, puntualizzo sogghignando.
“Ma scherzi?? Io sono molto più intelligente di te!”, protesta lui indignato.
“Ma va! E quel Troll in Pozioni? L’hai già rimosso?!”
“…Solo perché ho voluto provare ad aggiungere una Piperilla ed è esploso il calderone! Era un esperimento!”
“In ogni caso io sono molto più intelligente.”, concludo con un sorriso di superiorità. “… Comunque, dobbiamo ricominciare ad applicarci.”, gli annuncio gravemente.
“Assolutamente, Felpato”, annuisce con solennità, e poi tira recupera da sotto il letto una pergamena mezza ammuffita e una piuma d’oca piuttosto malridotta.
“Mocciosus?”, mi domanda succhiando la punta della piuma e guardandomi interrogativamente.
“Naaah. Troppo facile”, rispondo con sufficienza. “Per la fine degli esami cosa facciamo?”
“Fuochi d’artificio?”
“Ramoso!”, esclamo scandalizzato. “Fuochi d’artificio?!? È da pivelli!”
“Okay”, risponde lui arrossendo lievemente. “Allaghiamo il castello?”
“Già meglio.”, annuisco io. “Anche se un po’ complicato.”
“Appendiamo Gazza al soffitto della Sala Grande e incantiamo il cibo per farlo volare??”, propone intingendo la punta della piuma in una boccetta di inchiostro.
“Non l’avevamo già fatto al terzo anno?”
“Oh, già”, s’incupisce lui. “Stiamo perdendo colpi. Non siamo neanche più capaci di pensare ad uno scherzo come si deve…”
“Perché non avveleniamo il porridge del tavolo dei professori?”, esclamo illuminandomi. “…Tanto avremo finito gli esami, non potranno bocciarci. E la Coppa delle Case è quasi sicuramente nostra.”
James annusice sovrappensiero, ghignando. “Mi immagino già la scena… Vitious e la McGranitt che… EHI!”, si interrompe James balzando in piedi.
“COSA!?”, urlo io eccitato. Conosco quel luccichio negli occhi di James.
“Filtri d’amore… Amortentia… Vitious, McGranitt… Lumacorno e la Sprite…”, balbetta sconnessamente, sghignazzando.
“Filtri d’amore… James, dici sul serio?!”, esclamo incredulo. “James… ma… è un’idea meravigliosa!”, grido estasiato.
“LO SO! Immaginati, perderanno la testa, sarà una confusione pazzesca! Ahahah…. te li vedi la McGranitt e Vitious a pomiciare?”, sghignazza James rotolandosi per terra.
“… e Lumacorno che duella con Silente per la Sprite… oh, Merlino! Sarà indimenticabile…”, sospira James rapito, scrivendo furiosamente sulla pergamena con la sua calligrafia illeggibile, fra una macchia d’inchiostro e l’altra.

“…Ehi, voi due, cosa fate? State studiando?” Sobbalziamo entrambi e guardiamo Remus, sulla soglia della porta, che a sua volta ci squadra severamente.
“Eh, ehm, ‘sera Remus! Sì… studiamo… all’incirca… cose così…”, farfugliamo cacciando sotto il letto la pila di fogli con i nostri piani per l’ultimo giorno di scuola e alzandoci dal pavimento. Lui scuote la testa sospirando esasperato e si siede sul suo letto.
“Oh, avanti... Non sarà di nuovo Mocc… cioè, Piton?”, chiede con un mezzo sorriso.
“Nono”, rispondo con un ghigno. “… Lunastorta, vecchio mio… tu non immagini fin dove ci ha spinto la nostra intelligenza, questa volta”.
Remus rabbrividisce impercettibilmente. “E non voglio immaginarlo”, puntualizza con decisione. “Già avrei dovuto denunciarvi un sacco di volte, visto che sono Prefetto…”
“Suvvia Remus, non rompere”, lo liquida James con un gesto eloquente della mano, poi, assicurandosi che Remus sia impegnato in altro (ovvero nel mangiare cioccolata), ripesca i fogli impolverati e mi fa cenno di avvicinarmi.
“Sir, una cosa”, mi chiede bisbigliando.
“Cosa?”, sussurro io di rimando.
“Come diamine la prepariamo l’Amortentia?! Io e te facciamo schifo, in Pozioni…”
“Uh?”, rispondo stolidamente grattandomi il mento. “Non ci avevo pensato.”
“Dici che da Zonko vendono i filtri d’amore?”, sussurra in tono cospiratorio.
“Troveremo un modo”, rispondo io impaziente. “Parola di Malandrino.”
“Parola di Malandrino…”, ripete James. “...e del più figo della scuola, che sarei io, ovviamente”.
E poi scoppiamo entrambi a ridere.

La sera, con il permesso del nostro Prefetto, decidiamo di prenderci una più che meritata pausa di riflessione dallo studio per dedicarci alla preparazione dei prossimi scherzi da qui alla fine dell’anno. Beatrice e Peter hanno trovato l’idea dell’Amortentia  nel porridge fantastica, però non hanno saputo darci un consiglio su come, dove e quando prendere il filtro.
“Tu cosa senti, nell’Amortentia?”, mi chiede Beatrice arrossendo furiosamente, senza riuscire a nascondere la nota speranzosa della sua voce.
“Non te lo dico!”, rispondo soffocando una risata. Quello che sento nell’Amortentia è il profumo più meraviglioso del mondo, il profumo di tutte le cose che amo mescolate nella combinazione perfetta, dalla cioccolata di Remus e le bacchette di liquirizia di Peter all’odore di animale selvatico della Stamberga Strillante, lo shampoo di Beatrice e quello strano profumo di casa che associo a Regulus, e ancora il manico di scopa di James, la neve, i fiori dell’estate… 
“E tu?”, le chiedo con un sorriso impertinente.
“Lumacorno non ce l’ha mai fatta fare… mi piacerebbe saperlo, però.”, mormora con lo sguardo perso nel vuoto.
“Te lo dico io: cane bagnato”, le rispondo sogghignando, e lei mi da un pugno sul braccio.
“Ti piacerebbe”, mormora con un ghigno. 
“Eppure vieni a stare da noi tutte le sere… ma è per vedere James, scommetto”, replico ironicamente.
“Vengo soltanto perché da me sono tutte tristi”, ribatte stizzita.
“Perché?”, chiedo incuriosito.
“Heloïse perché Luke l’ha mollata e…”
“…Stava con quel Luke? Di Corvonero?”, urla James dall’altra parte della stanza, dove sta lucidando la sua scopa.
Beatrice gli rivolge un’occhiata sdegnosa e gli volta le spalle.
 “Heloïse è depressa per quello e Juliet per suo fratello, i suoi le hanno anche mandato una Strillettera per la litigata dell’altro giorno”, riprende Beatrice.
“Poveraccia”, commento con trasporto.
“Non guardiamo neanche più Grey’s Anatomy, la sera”, sospira triste. “… Non che mi piacesse, ma era una nostra tradizione. E anche Georgia è depressa per solidarietà”.
“L’unica che se ne sbatte delle sue amiche e continua a divertirsi sei tu, quindi.”, concludo allegramente, e lei mi guarda in cagnesco. Ah, quanto mi diverto a prenderla in giro…
“Io non mi diverto, indago sul fratello di Juliet”, risponde stizzita.
“Ah, davvero? E cos’hai scoperto?”, le chiedo interessato.
“Niente, per ora. Ma lo sto pedinando”.
“Sul serio? Qualcosa di sospetto?!”, domando abbassando involontariamente la voce. Non me la immagino molto, Beatrice, a pedinare la gente.
“Niente di che. Va regolarmente alle lezioni… cioè, non proprio regolarmente ma quello è normale, lo facciamo anche noi… sta spesso in sala comune, quindi lì non posso sorvegliarlo, l’unica cosa…” Si interrompe di scatto e abbassa lo sguardo, imbarazzata.
“L’unica cosa?”, la sprono curioso.
“No, niente, era una cavolata”, borbotta arrossendo.
“Avanti, dimmelo.”
“Ecco, ho notato che passa molto tempo con tuo fratello… Regulus”.
Ammutolisco. Non Regulus, vi prego, è tutto quello che riesco a pensare.
“Ma… non significa niente, no?”, aggiunge precipitosamente notando la mia espressione. Mi affretto a richiudere la bocca e ricompormi.
“No, non significa… niente”, rispondo con un tono di voce sepolcrale.
Nella stanza cala il silenzio. Beatrice sembra essersi pentita di avermelo detto, e si dondola avanti e indietro, a disagio.
“Senti Sirius…”, mormora cautamente dopo un po’. “… Secondo me dovresti provare a parlargli. A Regulus.”
Ah, quindi è d’accordo anche lei. Perché anch’io lo penso. Anch’io penso che se lui rischia di diventare quello che ho paura che diventi, è tutto per colpa mia. Perché l’ho trascurato. L’ho trascurato tanto, in tutti questi anni. Ad Hogwarts divisi dallo Smistamento, a casa divisi dalla famiglia. E io l’ho lasciato in balia dei miei genitori, che gli inculcassero tutte le loro stupide convinzioni… Sangue puro, sangue non puro…
“Sì, hai ragione. Proverò a parlargli.”, rispondo con lentezza.
“Io non penso che sia diventato un Mangiamorte.”, dice Beatrice schiettamente, a voce alta e limpida. Mi rivolge uno sguardo serio e al tempo stesso rassicurante, e io mi sento un po’ meglio.
“No, nemmeno io. Ma penso che sia arrivato il momento di comportarmi da bravo fratello maggiore”.

***
 

Metto le mani in tasca e cerco di nascondere il nervosismo, mentre a passo spedito mi avvicino verso Regulus, che cammina dalla parte opposta del corridoio.
Quando si accorge di me si ferma di botto e spalanca gli occhi, sorpreso, per poi tornare alla solita espressione indifferente.
“Regulus”, lo saluto.
“Sirius. Che cosa ti porta da queste parti?”, mi domanda con un sorriso.
“Volevo sapere come sta il mio fratellino”, rispondo con un ghigno, scompigliandogli i capelli neri.
“Non c’è male.”, replica squadrandomi con i suoi occhi color ghiaccio, identici ai miei. Rimango un attimo in silenzio, indeciso su cosa dirgli, ma è lui il primo a parlare.
“Torni a casa, quest’estate?”
“Penso di sì”, rispondo lugubre.
“Sai, Sirius…”, mormora un po’ rigido. “… è uno strazio, senza di te.” Io lo guardo,  stupito dalla inaspettata dimostrazione di affetto, e abbozzo un sorriso. “A patto che non ti porti dietro la Nata Babbana”, aggiunge subito.
“Non chiamarla così!”, scatto immediatamente, pentito di aver pensato bene di lui anche solo per un secondo.
“Come vuoi”, replica lui scrollando le spalle con indifferenza.
“Ho saputo che passi molto tempo con Rookwood”, aggiungo dopo un attimo di silenzio. Lui inarca un sopracciglio interrogativamente.
“Ah sì?”
“Ho le mie fonti”, rispondo seccamente.
“Lo so, ho visto che… quella lo sta tenendo d’occhio”.
“Devi stare attento, Regulus”, lo ammonisco afferrandogli le spalle e guardandolo dritto negli occhi.
“So badare a me stesso, grazie”, risponde annoiato.
“È diventato un Mangiamorte?”, gli domando dopo essermi guardato attentamente intorno.
“Non penso che siano affari tuoi”, mi risponde in tono di sfida.
“Rispondimi. Sei mio fratello, e se te ne vai in giro con dei Mangiamorte, sono affari miei!”, ringhio scrollandolo con forza.
“In ogni caso, non lo so”.
“Non sai nemmeno dov’è stato, quand’è scomparso? Ti ha detto qualcosa?”, esclamo veementemente.
“Non sono una spia. E adesso lasciami”, sibila arrabbiato scostandosi con uno strattone.
Lo guardo allontanarsi verso i sotterranei, e poi, sospirando, torno anch’io in sala comune. Non ci trovo nessuno, così vado in camera. James sta ancora lucidando la sua scopa, e Beatrice sta facendo i compiti seduta sul pavimento. Remus e Peter studiano Pozioni. 

 “Secondo te sapeva qualcosa?”, mi chiede James dopo che gli racconto di Regulus. Faccio spallucce, in silenzio. Sono sicuro che non sia un Mangiamorte, e sinceramente non penso che Rookwood gli abbia detto qualcosa. Ho solo paura che lo convinca a fare qualche cazzata.
“Vorrei proprio sapere dov’è stato Rookwood.”, borbotta James corrucciato.
“La cosa più probabile è che sia andato da Voi-Sapete-Chi a chiedere di essere arruolato”, commenta Beatrice cancellando con un gesto deciso un’intera frase del suo tema. “E che ci sia riuscito”, aggiunge lugubremente.
“Chissà come”, risponde James  accigliato. “Sirius?”, mi chiama, vedendo che non prendo parte alla conversazione.
“Boh, non lo so”, rispondo svogliato. Beatrice chiude il libro e mi guarda scuotendo la testa. 
“Guarda che Regulus è un ragazzo intelligente. Non penso che si lascierà convincere tanto facilmente ”.
“Dici?”, le chiedo con una vena di sarcasmo nella voce. Non penso che Regulus non sia intelligente. Ma per compiacere gli altri e dare una buona immagine di sé alla nostra famiglia sarebbe capace di fare qualsiasi cosa.
“Sì, dico.”, risponde decisa. “Quindi smettila di preoccuparti.”
“Sentite, ragazzi.”, interviene Remus in tono severo. “Basta parlare di Rookwood, va bene?! Regulus è un bravo ragazzo, e Sirius non si deve preoccupare e non deve lasciarsi distrarre dallo studio. E nemmeno voi!”  “Ma vi rendete conto che mancano meno di ventisette giorni all’inizio dei G.U.F.O.?”, esclama con gli occhi allucinati.
“Sì, Remus”, rispondiamo in coro, docilmente.
“Bene, allora prendete i vostri libri, dimenticate Rookwood e datevi da fare!”

*Note dell’autrice*
Salve gente :D Scusate se sono un po’ in ritardo, ma mi sono fatta prendere dalla pigrizia… Scrivevo tipo una riga al giorno e poi mi stufavo XD Comunque! Questo capitolo, come avrete capito, è di transizione (si dice?? booh), nel senso che descrive un po’ i momenti più importanti del periodo che va fino all’inizio di maggio, con i G.U.F.O. che si avvicinano, come ci ricorda regolarmente Remus. Spero di non avere stufato anche voi oltre a me stessa con tutte ‘ste domande su Rookwood… però almeno ho finalmente dedicato una parte del capitolo a Regulus, visto che non l’avevo ancora mai messo! *__*
Come capitolo è un po’ incasinato, perché prima c’è Sirius che racconta cos’è successo durante il mese, poi una parte idiota in cui lui e James e Beatrice pensano a pianificare scherzi, poi ancora Rookwood e il dialogo con Regulus, che sono le uniche cose serie :) Ho paura di aver mescolato un po’ troppe cose…
Fatemi sapere cosa ne pensate!!
A presto,
Trixie

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Capitolo 20
*** Sotto il faggio ***


Dedico questo capitolo ad Eloisa,
che dopodomani compie gli anni.
 

Ventesimo capitolo: SOTTO IL FAGGIO

 

Remus, aveva ragione, almeno in parte. I G.U.F.O. sono arrivati fin troppo presto, anche se continuo a pensare di aver fatto bene a occupare il mio tempo progettando scherzi piuttosto che rovinando i miei bei libri ancora intonsi.

Oggi è il penultimo giorno di esami. L’estate è scoppiata all’improvviso, ed è un vero strazio dovere stare al chiuso, quando quelli del primo e del secondo anno passano tutte le giornate al parco, a giocare a Quidditch e a bere succhi di zucca ghiacciati all’ombra delle piante. Guardo con rimpianto fuori dalla finestra, un pezzo di parco e il Lago Nero, con la piovra che emerge placidamente ogni tanto. Dovrei essere lì anch’io, come tutti gli altri anni, a fare il bagno nell’acqua ancora gelida, con James che cerca di annegarmi, Peter che mi schizza, e Remus che ci dice di fare i bravi, oppure in qualche luogo sperduto del parco, insieme a Beatrice.
Molto di malavoglia, riporto lo sguardo sulla mia pergamena.
Sono alla domanda numero trentanove. Scrivo la risposta distrattamente, tanto sono sicuro di saperla bene, e mi stiracchio sorridendo rilassato a Vitious. Ho fatto bene a non preoccuparmi per questi stupidi G.U.F.O., sono davvero di una semplicità assurda. I cinque segni che identificano un un lupo mannaro… Ma andiamo, per chi ci hanno preso?!  Eppure Piton sta ancora scrivendo, e mi ricorda vagamente un ragno, con il gli occhi a pochi centimetri dal foglio, il naso adunco che quasi lo sfiora e la mano che si muove velocissima. Che schifo, penso distogliendo lo sguardo con una smorfia di disgusto.
Vitious inizia a passare tra i banchi, e James, dopo aver scribacchiato qualcosa sul suo foglio, si gira verso di me ghignando.
“Giù le piume!”, esclama Vitious, e il grattare delle piume si affievolisce di colpo. “Anche tu, Stebbins! Per favore, restate seduti mentre raccolgo i compiti! Accio!” Scuoto la testa divertito, mentre le nostre pergamene sfrecciano verso di lui e lo investono in pieno. Povero Vitious, dovrebbe andare in pensione…
Io, Remus e Peter, in mezzo al chiacchiericcio,  ci affrettiamo a raggiungere James e poi ci incamminiamo verso l’uscita della Sala Grande, come la maggior parte degli studenti.
“Ti è piaciuta la domanda numero dieci, Lunastorta?”, chiedo a Remus sogghignando e alzando la voce per riuscire a farmi sentire in mezzo al caos. 
“Eccome! Indicate i cinque segni che identificano un lupo mannaro… Un’ottima domanda”.
“Pensi di essere riuscito ad individuarli tutti e cinque?”, chiede James fintamente preoccupato.
“Uno: è seduto sulla mia sedia. Due: indossa i miei vestiti. Tre: si chiama Remus Lupin”. Scoppiamo tutti a ridere, a parte Pet che inizia a rosicchiarsi le unghie, ansioso.
“… Io ho indicato la forma del muso, le pupille e la coda a ciuffo, però non mi è venuto in mente altro…”
Ma quand’è che Peter si sveglierà un po’?! Alzo gli occhi al cielo, esasperato, e James sbuffa:
“Ma quanto sei zuccone, Codaliscia? Corri in giro con un lupo mannaro una volta al mese…”
“Abbassa la voce”, lo interrompe Remus, guardandosi attorno preoccupato.
Finalmente usciamo dal castello, e ci avviamo verso il lago.
“Secondo me l’esame era una sciocchezza”, esclamo con noncuranza. “Mi stupirei se non prendessi come minimo Eccezionale”.
“Anch’io”, annuisce James convinto, tirando fuori dalla tasca uno dei suoi immancabili Boccini. Ci sediamo all’ombra del nostro faggio, dove passiamo la maggior parte del tempo quando siamo nel parco, Remus si mette a ripassare Trasfigurazione. Io mi distendo contro il tronco dell’albero, e osservo distrattamente le ragazze che chiacchierano in riva al lago. Chissà Beatrice cosa sta facendo. Sarebbe tutto molto rilassante, se Peter la smettesse di cacciare quei gridolini tutte le volte che James afferra il Boccino, cioè all’incirca ogni tre secondi.
“Mettilo via, dai. Prima che se la faccia addosso”, sbotto irritato, e James docilmente rimette il Boccino in tasca. ”Se ti da fastidio”.
“Che noia”, esclamo sbuffando. “Vorrei che fosse luna piena”. Siamo tornati ad essere solo noi quattro, le sere di luna piena. Beatrice non ha neanche più chiesto di poter venire, anche se vedo che vorrebbe ancora. Penso che prima o poi, quando avremo rimosso l’incidente, tornerà all’attacco.
“Tu, forse”, borbotta Remus. “Dobbiamo ancora fare Trasfigurazione: se ti annoi, puoi interrogarmi. Tieni…”, esclama tendendomi il suo libro con espressione maniacale.
“Non ho bisogno di ripassare questa roba. So già tutto”, protesto sbuffando.
“Questo ti tirerà su, Felpato”, mormora James dandomi una gomitata nelle costole. “Guarda chi c’è”.
“Eccellente.”, mormoro con un ghigno che mi spiana il volto voltando la testa verso un cespuglio poco più in là. “Mocciosus”.
“Tutto bene, Mocciosus?”, urla James mentre io e lui ci alziamo in piedi insieme. Mocciosus alza lo sguardo e immediatamente tira fuori la bacchetta.
Expelliarmus!”, esclama James prontamente, e io scoppio a ridere vedendo la faccia distorta dalla rabbia di Mocciosus mentre la sua bacchetta vola lontano.
Impedimenta!”, dico a mia volta, muovendo la bacchetta in un gesto pigro. Mocciosus cade per terra e rimane a contorcersi come un verme, sotto lo sguardo canzonatorio di molti ragazzi che si sono avvicinati.
“Come è andato l’esame, Mocciosus?”, lo prende in giro James alzando la voce e guardando verso le ragazze in riva al lago. Sì, Ramoso, c’è anche la Evans, ma non ti guarda., penso sogghignando.
“Lo tenevo d’occhio, aveva il naso incollato alla pergamena, con tutto l’unto che ci avrà lasciato non riusciranno a leggere una parola”, sghignazzo seguito dalla piccola folla che ci circonda. Una ragazza di Corvonero molto carina mi sorride ammirata.
Mocciosus mi rivolge uno sguardo pieno d’odio e cerca di alzarsi, senza riuscirci.
“Aspetta… tu”, sibila ansimante guardando James.
“Aspettare cosa?”, gli chiedo sprezzante. “Che cosa farai, Mocciosus, ci userai per soffiarti il naso?”
“Faresti meglio a lavarti la bocca”, rincara James gelido. “Gratta e netta!”, e dalla bocca di Piton comincia ad uscire a getti una schiuma rosa piena di bolle. Grande, James. All’improvviso però una ragazza si stacca dal gruppo e viene verso di noi come una furia, i capelli rossi che mulinano come fiamme.
“LASCIALO STARE!”, urla la Evans, avvicinandosi verso James a passo spedito. Perché diamine si deve sempre impicciare in tutto?! Ah, ma già, il suo amichetto Mocciosus…
“Tutto bene, Evans?”, chiede James con un sorriso idiota stampato sulla faccia, arruffandosi i capelli. La Evans guarda disgustata i due ciuffi ribelli, simili a due cornetti di capra, che stanno sparati ai lati della testa di James. In effetti in questo momento ha un aspetto piuttosto ridicolo.
“Lascialo stare”, ripete la Evans, furiosa. “Che cosa ti ha fatto?”
“Be’… è più il fatto che esiste, non so se mi spiego…” , risponde James accarezzandosi il mento con fare meditabondo. Bravo Ramoso, è così che si fa! Non lasciarsi intimidire dalla Evans, mai.
“Ti credi divertente, Potter”, sibila la Evans, avanzando di un altro passo verso James. “…Ma sei solo un bullo arrogante e prepotente. Lascialo stare!”
“Solo se esci con me, Evans”, ghigna James senza scomporsi. “Esci con me, e non alzerò mai più la bacchetta su Mocciosus”.
“Non accetterei nemmeno se dovessi scegliere fra te e una piovra gigante”, ribatte lei sprezzante.
“Ti è andata male, Ramoso”, tento di sdrammatizzare con una pacca fraterna sulla spalla di James.
“EHI!”, grido poi voltandomi verso Piton, che è riuscito ad alzarsi e ha puntato la bacchetta contro James. Un getto di luce parte dalla punta e colpisce la guancia di James, che inizia a sanguinare. Mormorando insulti rialzo la bacchetta, ma James mi precede e con un colpetto appende Mocciosus a testa in giù, con la veste che gli scopre le magre gambe giallognole e le mutande consunte. Crollo a terra sghignazzando, seguito a ruota da James e Peter, senza staccare gli occhi dalle mutande di Mocciosus. Merlino, non mi sono mai divertito così tanto…
“Mettilo giù!”, urla la Evans con quanto fiato ha in gola. Un attimo… sbaglio o ho appena visto un lampo di… divertimento nei suoi occhi?!? No, devono essere le lacrime che mi offuscano la vista.
“Ai tuoi ordini”, esclama James muovendo la bacchetta e facendo precipitare Mocciosus giù dall’albero, fra le risate generali. Poi guarda speranzoso la Evans, come aspettandosi i complimenti per averle obbedito.
 “Petrificus Totalus!”, mormoro con un ghigno mentre Mocciosus cerca di alzarsi, per poi ricadere a terra, rigido e immobile come un palo.
“LASCIATELO STARE!”, sbraita la Evans per la miliardesima volta, tirando fuori la bacchetta. Oh, cavolo. Io e James arretriamo di parecchi passi.
“Dai, Evans, non costringermi a farti un incantesimo”, dice James fissando la bacchetta della Evans con apprensione.
“Allora liberalo!”, gli ordina lei imperiosa. Sospiro imbronciato mentre James libera Mocciosus. Ecco, per colpa della Evans, fine del divertimento.
“Ecco fatto”, bofonchia James, irritato. “Ti è andata bene che ci fosse la Evans, Mocciosus…”
Non mi serve l’aiuto di una piccola schifosa Mezzosangue!”, sbotta Piton mente lacrime di umiliazione gli appannano gli occhi.
Lily sbianca e trasale. Immediatamente attorno a noi cala un silenzio attonito. Eh no, Mocciosus. La Evans mi starà pure antipatica, ma questa proprio non dovevi dirla., penso serrando la mascella, furioso.
“Molto bene.”, sibila Lily, ripresa dallo shock. “Vuol dire che in futuro non mi prenderò la briga  di aiutarti. E se fossi in te mi laverei le mutande, Mocciosus”.
“Chiedi scusa alla Evans!”, strilla James, fuori di sé.
“Non voglio che mi chieda scusa perché l’hai costretto tu! Siete uguali, voi due!”, sbraita lei, con le labbra che tremano.
“Che cosa?”, esclama James, incredulo. “Io non ti avrei MAI chiamato una… tu-sai-come!”, protesta avvicinandosi a lei e guardandola addolorato.
“SEMPRE A SPETTINARTI I CAPELLI PERCHÉ TI SEMBRA AFFASCINANTE AVERE L’ARIA DI UNO CHE È APPENA SCESO DALLA SCOPA, SEMPRE AD ESIBIRTI CON QUELLO STUPIDO BOCCINO E CAMMINARE TRONFIO NEI CORRIDOI E LANCIARE INCANTESIMI SU CHIUNQUE TI INFASTIDISCA SOLO PERCHÉ SEI CAPACE… SEI COSÌ PIENO DI TE CHE NON SO COME FA LA TUA SCOPA A STACCARSI DA TERRA! MI DAI LA NAUSA”, urla lei con voce acutissima e spezzata, e poi si volta e corre via.
“Evans! Ehi, Evans!”, la chiama James, disperato.
“Ma che cos’ha?”, farfuglia poi amareggiato, cercando di non dar troppo a vedere quanto sia rimasto scosso.
“Leggendo fra le righe, amico, direi che secondo lei sei un po’ presuntuoso”, mormoro tentando di scherzare. In verità non mi sento bene nemmeno io. È stata tutta colpa mia, e adesso la Evans ce l’avrà con James ancora più del solito, e lui ci starà male ancora più del solito. Anzi, no, la colpa è di quel bastardo di Mocciosus, ecco di chi!
“Bene. Bene…”, esclama James, arrabbiato. “Allora… chi vuole vedermi togliere le mutande a Mocciosus?”, domanda facendo lo spavaldo.
La gente annuisce divertita, ma Remus, che è rimasto zitto fino ad adesso, chiude il suo libro con un gesto secco e si alza.
“Dai James, piantala”.  Io e James lo guardiamo stupiti, perché è la prima volta che interviene. “Smettetela”, ripete un’altra volta, più deciso. “Torniamo al castello”. James senza ribattere mette via la bacchetta, dopo aver lanciato uno sguardo disgustato a Piton, e segue Remus. Io sto per protestare, ma poi James mi sembra davvero giù, e allora forse è meglio ascoltare Rem.
Così, molto più silenziosi del solito, lasciamo lì Mocciosus e tutti i nostri ammiratori, e ce ne andiamo.

***
 

 
La Evans, per la prima volta in cinque anni, sta ignorando James. Proprio come se non esistesse. Lui sta cercando di irritarla in tutti i modi, e lei continua a guardare fuori dalla finestra, impassibile. Lo sapevo, lo sapevo che se la sarebbe presa con James. Va sempre a finire così, anche quando lui non c’entra niente. Be’, non è che non c’entrasse proprio niente… però se Mocciosus è un idiota, schifoso, lurido, rivoltante, amante delle Arti Oscure, disgustoso… non è mica colpa di James!
Alla fine, molto lentamente, lei si alza. James arretra immediatamente, con un sorriso esitante, ma lei senza nemmeno guardarlo esce dalla stanza a grandi passi, sbattendo la porta. James la guarda a bocca aperta, e poi si siede sulla poltrona che aveva occupato lei fino a pochi istanti prima, con una espressione così avvilita e così non da lui che quasi mi verrebbe voglia di andare a consolarlo. Quasi.
“Okay, dai, dillo.”, mormoro a Beatrice in tono di sfida, mentre osserviamo James da lontano.
“Okay, forse avete un po’ esagerato”, inizia  lei cauta. “Non voglio certo farti la predica, o altro… perché ci sono dentro fino al collo”, prosegue con un sorrisetto. “… Almeno Remus non lo ha mai preso apertamente in giro. Io sì, invece”.
“Be’, mai quanto me e Jamie”, ribatto. “E comunque, non sono per niente pentito”, ci tengo a precisare. Mocciosus se l’è meritato. Se lo merita sempre. “… Mi dispiace solo per la Evans. Cioè, non per la Evans, per James. Era davvero… non solo arrabbiata, sconvolta.”, dico ripensando alla faccia della Evans quando Mocciosus l’ha chiamata… in quel modo. Un’altra ondata di odio e rabbia mi investe. Sanguesporco… una persona rivoltante come lui non dovrebbe neanche permettersi di pensarla, una cosa del genere. 
“Sapevo che sarebbe andata a finire così, prima o poi…”, mormora Beatrice, sovrappensiero. “Era un’amicizia impossibile… e poi era da un po’ che le cose non andavano tanto bene, tra loro”.
“Che diamine sta facendo?!!”, esclama poi indicando con il mento James, che si è alzato con un’espressione risoluta e ottimista.
“Andrà a cercare la Evans”, rispondo con noncuranza.
“Vado a cercare la Evans”, esclama James in quel momento avviandosi verso l’uscita della Sala Comune, e Beatrice fa una risatina.
“Pensi che lei perdonerà Mocciosus?”, le chiedo quando James se n’è andato, e lei mi rivolge un sorriso incredulo.
“Lily Evans? Perdonarlo dopo che l’ha chiamata sporca Mezzosangue?!”
“Io non capisco proprio cosa ci trovasse in Mocciosus.”, borbotto perplesso. Lei fa spallucce.
“Sono sempre stati amici”. “E…”, aggiunge dopo una piccola pausa. “… penso che lui sia davvero innamorato di lei.” Quasi mi strozzo con la mia stessa saliva.
“Mocciosus?!”, esclamo ridendo. “Innamorato della Evans? Ma lo sa, vero, che non ha uno straccio di possibilità neanche… neanche… se si trasformasse nella piovra gigante?”
“È per quello che c’è l’ha sempre avuta con James, cosa credi.”, replica lei con sorriso un po’ triste. Rimaniamo un po’ in silenzio.
“Vado a cercare James”, bofonchio alla fine, di malumore. “Prima che lui trovi la Evans e si faccia uccidere”. Beatrice annuisce, in silenzio, e mi guarda sparire fuori dal ritratto della Signora Grassa.

Il primo posto in cui vado a vedere è il campo da Quidditch. Ma ci sono i Tassorosso che si allenano per l’ultima partita che sarà tra pochi giorni, e di James nemmeno l’ombra. Non ho pensato di prendere la Mappa, ma quasi di sicuro ce l’avrà lui.
Perlustro tutto il primo piano, e poi anche il secondo, senza incontrare nessuno a parte Pix, che ovviamente cerca di attacare briga, ma in questo momento non sono proprio in vena.
Dopo quasi un’ora posso dire di aver guardato proprio dappertutto, persino nello sgabuzzino delle scope dei sotterranei.
Giusto per sicurezza, vado un’altra volta a controllare nella Torre di Astronomia e, Merlino e Morgana salvatemi, ci trovo proprio la Evans.
È rannicchiata sopra il muretto, e mi vengono le vertigini anche solo a guardarla. Sto per andarmene quando noto che le sue spalle si alzano e si abbassano impercettibilmente, come se stesse... no, non ditemi che la Evans sta… piangendo? Eh sì, sta proprio piangendo. Davvero, è meglio che scappi, perché se si accorge che l’ho vista mentre piange non ne esci vivo.
Eppure… non mi muovo. O meglio, mi muovo ma per avvicinarmi. No, Sirius, cosa diamine stai facendo? Non so da dove venga tutto questo masochismo, fatto sta che le arrivo alle spalle senza che lei se ne accorga, e rimango ad ascoltare i piccoli singhiozzi strozzati che la scuotono tutta. Mi chiedo se è stato James, oppure se piange per Mocciosus.
“Ehi…”, mormoro cautamente, pronto a scappare via appena la vedrò tirare fuori la bacchetta. Lei sobbalza violentemente e si gira, con gli occhi verde giada inondati di lacrime, e un’espressione così desolata che mi lascia smarrito. Subito si affretta a ripulirsi il volto e mi guarda serrando le labbra, gelida.
“Black, smaterializzati.”, sibila stringendo i pugni. Mi chiedo perché non seguo il suo consiglio, anzi ordine, più che sensato, e rimango lì impalato a fissarla. Forse dovrei dire qualcosa, del tipo “mi dispiace ma non prendertela con James perché non è colpa sua”? No, penso di non essere capace. E allora cosa diamine sono venuto a fare?!
Alzo le spalle, e dopo averle rivolto un ultimo sguardo, me ne vado.

Faccio dietrofront fino alla sala comune, e vedo che James è tornato. È chino su quello che potrebbe sembrare un libro.
“Ramoso”, lo saluto lasciandomi cadere accanto a lui. “Che fai?”
“Studio”, risponde lui senza alzare lo sguardo. Io annuisco sovrappensiero, per poi riscuotermi all’improvviso.
Cos’hai detto che stai facendo?!
“Studio…”, ripete lui tranquillo, sventolandomi davanti agli occhi il libro di Trasfigurazione. “… il modo migliore per trasfigurare Mocciosus in un Vermicolo”, aggiunge con un ghigno.
Io faccio un larghissimo sorriso, respirando più liberamente. “Ottimo, Ramoso”, esclamo soddisfatto.
“Hai trovato la Evans?”, gli domando.
“Ovvio, l’ho cercata dappertutto”.
“Ti ignorava ancora?”
“No, non ce l’ha fatta”, risponde lui con un sorriso compiaciuto. “Mi ha detto che sono un’idiota”.
“Okay, tutto a posto allora”, commento sollevato.
“… E anche che siamo due stronzi”, aggiunge lui con leggerezza.
“Sì, naturalmente”, annuisco io, per niente colpito. “Sai, anch’io l’ho vista.”
“Davvero?”, esclama James.
“Stava piangendo…”, mormoro io esitante.
“Oh”, fa James dispiaciuto. “Quel brutto verme di Mocciosus…”, ringhia serrando la mascella.
“Che ne dici di trasformarlo in Vermicolo per la fine degli esami, quando metteremo i filtri d’amore nel porridge?”, propongo entusiasta.
James torna immediatamente a sorridere. “Perfetto! Tanto la Evans mi odia lo stesso, quindi tanto vale fargliela pagare”.
“Questo sì che è ragionare, Ramoso!”, esclamo convinto, arruffandogli i capelli.
“Lascia stare i miei capelli!”, protesta lui subito, guardandomi con aria di rimprovero e arruffandoseli di nuovo, per sistemarli.
“Se proprio insisti…”, mormoro sghignazzando, e poi gli arruffo di nuovo i capelli, con più entusiasmo.

Circa mezzo secondo dopo mi trovo scaraventato sul pavimento, con James, comodamente seduto sopra la mia schiena, che me le da di santa ragione.

Note dell’autrice:
Noooo è iniziata la scuola >.< Spero davvero di riuscire a continuare a scrivere regolarmente!! Allora, come avrete visto  per tutta la prima parte del capitolo ho usato direttamente le battute di HP5, la scena che Harry vede dal pensatoio… spero che non sia risultato noioso, ma mi sembrava il modo migliore e di certo non potevo non parlare del litigio fra Lily e Piton, no?
Al prossimo capitolo
Trixie

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Capitolo 21
*** La fine della scuola ***


Ventunesimo capitolo: LA FINE DELLA SCUOLA

Quando il giorno seguente la McGranitt, in mezzo alla Sala Grande, ci annuncia che il tempo per l’esame di Trasfigurazione è finito, un sospiro di sollievo collettivo si alza dalle quattro lunghissime file di banchi singoli.
Andata anche quest’anno, penso soddisfatto alzandomi e raccogliendo la borsa. Non so quanti G.U.F.O. in tutto potrò aver preso, di sicuro un bel Troll in Storia della Magia non me lo toglie nessuno, ma nel complesso non c’è male. E poi… oggi è un giorno troppo speciale per pensare ai G.U.F.O…. Ghigno in direzione dei Malandrini, che si sono radunati qualche fila indietro alla mia, indicando con il mento l’uscita opposta a quella verso cui si stanno dirigendo tutti i nostri compagni. Peter immediatamente sguscia in mezzo alla gente e si posiziona al lato della porta che dà verso le scale, guardandosi attorno terrorizzato.
Io e James, mani in tasca e sorriso ingenuo, ci affrettiamo a seguirlo. Qualcuno si gira a guardarci, chi divertito, chi vagamente preoccupato. Ma dai, è l’ultimo giorno di esami e pretendete pure che noi Malandrini ce ne stiamo con le mani in mano?
“Lunastorta, hai giurato”, bisbiglio minacciosamente quando vedo che Rem non si decide a venire. Lui scrolla le spalle sconfitto e trascinando i piedi ci raggiunge.
“Bene!”, sussurra James guardando il piccolo orologio babbano che gli ha prestato Beatrice. “Confido nelle amiche di Scricciolo. Sono le ore 14 e 32 minuti e 24 secondi. Abbiamo esattamente 66 secondi per arrivare al secondo piano, 4 ore e 45 minuti per finire la pozione, 6 minuti per trasformare Mocciosus in un Vermicolo, 37… ”
“Sì, Ramoso, chissenefrega”, lo interrompo impaziente. “Andiamo”.
“Via libera”, squittisce Peter  intimorito.
Trotterelliamo innocentemente su per le scale e sbuchiamo nel secondo piano, deserto come il resto del castello. Dalle finestre aperte arrivano i rumori del parco, mentre da dietro l’angolo risuonano delle voci concitate, che stanno discutendo.
No! Non va bene! Deve essere perfetta!”, bisbiglia piuttosto rumorosamente una voce femminile.
“Sono loro.”, ghigno affrettandomi a svoltare l’angolo.
Nooooo, sei impazzita?!”, strilla un’altra voce.
Apro la porta socchiusa del bagno in cui abita quella lagna di Mirtilla Malcontenta, che in tono lamentoso ci ordina di uscire, e un’ondata di vapore caldo mi offusca la vista.
“Oh, finalmente!”, esclama Beatrice sollevata spostandosi una ciocca di capelli appiccicati alla fronte sudata.
“Ha appena fatto Evanescere tutta la pozione!”, sbraita Georgia arrabbiata indicandomela.
“Era venuta un disastro”, ridacchia fastidiosamente Mirtilla volteggiando sopra le nostre teste. Okay, forse non è stata proprio un’idea brillantissima affidare a Beatrice la nostra Amortentia. Ma di sicuro se la cava meglio di noi.
“Deve essere perfetta!”, esclama Beatrice cocciuta rimboccandosi le maniche della camicia. Juliet scuote la testa, sfogliando in modo svogliato il libro di Pozioni di Remus.
“… Non capisco dove abbiamo sbagliato”, sbuffa imbronciata. “…eppure sono sicura che tutta quella puzza di bruciato non era normale…”
“Ma no, dai!”, sbotta Heloise sarcasticamente.
“Beh, potresti darci una mano anche tu invece che stare a guardare!”, la rimbecca Juliet.
“Okay, tranquille, ora ci pensiamo noi”, esclama James con un gran sorriso, avvicinandosi fiducioso al calderone.
“Jamie, non so se è il caso…”, prova a fermarlo Peter, ma James lo liquida con un gesto della mano, afferra Pozioni Avanzate e si immerge nella lettura.
“James, è al contrario”, osservo ironico guardando la copertina del libro.
“Giusto”, risponde lui sistemandosi gli occhiali. “Allora… Tu, Pet, tagli le radici di… pervinca. Tu, Remus, metti quella roba azzurra nel calderone e la mescoli finchè non ti dico di smettere. Sirius, invece, devi tritare l’Erba Lunare e poi… buttarla nel calderone. Voi quattro, mettete in ordine tutti gli ingredienti”.
Ci mettiamo tutti all’opera seguendo gli ordini che James ci impartisce seduto sulla tazza sfondata di uno dei gabinetti, e pian piano la pozione comincia a venire. Certo, più che perlacea è grigiastra, il fumo non sale per niente a spirali e sulla superficie ci sono delle bolle dall’aria sospetta, in più fa un caldo pazzesco e in otto attorno ad un calderone è piuttosto faticoso. Ma ce la stiamo facendo, penso. L’importante è non lasciarsi distrare dal profumo delizioso, come sta facendo Beatrice, che guarda il vuoto con un sorriso sognante. “Ehi, sveglia”, sogghigno tirandole la treccia, e lei sobbalza guardandomi in modo strano.

Circa due ore dopo, un Remus molto sudato e stravolto ci annuncia che abbiamo quasi finito. Tiriamo tutti un gran sospiro di sollievo e ci allontaniamo dal calderone fumante. Poi però succede una cosa inaspettata. La porta del bagno si apre di colpo, e una sagoma non identificata resta per un attimo a fissarci.
“Oh, bene bene bene”, commenta una voce sgradevole fin troppo conosciuta. “Amortentia molto mal riuscita, direi”.
“Sì, Mocciosus, lo sappiamo che ti credi il gran genio delle Pozioni”, sbotta James bellicoso avvicinandosi alla persona, che fra le volute di fumo si sta rivelando essere un Severus Piton rabbioso e compiaciuto al tempo stesso. E ti pareva che doveva arrivare Mocciosus a ficcare il suo mostruoso naso nei nostri affari…
“Ora sparisci, prima che ti faccia finire fin troppo gloriosamente a testa in giù dentro un water.”, ringhia James poco gentilmente.
“Tranquillo, Potter. Ora vado a chiamare qualcuno”, ribatte lui con voce melliflua, poi con un svolazzo del mantello e un’occhiata malevola sparisce oltre la porta.
“Svelti, fuori di qui”, ci ordina James svogliatamente. Le ragazze borbottando a denti stretti riempiono quattro ampolle, poi velocemente facciamo Evanescere il resto.
“Due di voi restino qui. Luna e Coda, andate via insieme a loro due. Io e Jamie ci nascondiamo sotto il Mantello”, dico rapidamente spingendo Peter e Georgia fuori dal bagno. Beatrice con un’occhiata d’intesa si appoggia con aria rilassata ad un lavandino, mentre io e Ramoso scompariamo sotto il Mantello. Una manciata di secondi dopo arriva la McGranitt di corsa, con le narici dilatate.
“Buongiorno, professoressa”, saluta educatamente Heloïse.
“Signorina Summerland, signorina Conrad, mi è stato riferito…”, inizia la McGranitt con la sua espressione più severa. E vi assicuro che a lei le facce severe vengono davvero bene.
“Sì?”, domanda Beatrice curiosa, senza lasciarsi intimidire. Mi viene da sorridere, se penso a quanto era incapace fino ad un anno fa. Quando cercava di dire una bugia lo capivi immediatamente, e guardala adesso… è diventata quasi più brava di me. Abbiamo fatto proprio un ottimo lavoro con la nostra bimba, io e Ramoso.
“Che voi, insieme ai signori Potter, Black, Lupin e Minus, stavare preparando una bizzara pozione per uso… extrascolastico”, prosegue la McGranitt guardandole con sospetto. Beatrice scoppia in una risatina ed Heloïse la guarda incredula.
“Pozione extrascolastica? E chi gliel’ha detto?”
“Il signor Piton…”
“Oh, sì, ora capisco”, esclama Heloïse illuminandosi. “Era passato di qui appena adesso, e gli avevamo detto di uscire dal bagno delle femmine… Probabilmente sospettava qualcosa.”
“… E poi, professoressa…”, continua Beatrice con aria ragionevole e una mezza occhiata verso la nostra direzione, “…lei sa quanto Severus odia James e Sirius. Gli avranno fatto qualche dispetto e avrà cercato di vendicarsi, giustamente.” Mi sa che le abbiamo insegnato fin troppo bene a fare la santerellina e a dare sempre la colpa agli altri…
“Mmm”, commenta la McGranitt, non troppo convinta. “Non ci sono prove, quindi… per questa volta l’avete fatta franca. Ma un altro passo falso…”
“Non si preoccupi, professoressa”, la interrompe Beatrice vagamente divertita. “Non stavamo facendo davvero niente”. La McGranitt annuisce, un po’ esasperata, e le saluta con un rigido cenno del capo.
“Bene, arrivederci, ci vediamo stasera al banchetto”.
“Sì, arrivederci a stasera”, mormora Beatrice con un ghigno appena questa sparisce del tutto. “La zuppa sarà squisita”. Io e James sghignazzando ci togliamo il Mantello.
“Che malandrina…”, le sussurro divertito dandole un rapido bacio sulla guancia. “Noi andiamo”.
“Dove?”, grida lei mentre noi ci allontaniamo.
“In cucina ad aiutare gli elfi con la cena!”, le urlo di rimando, pregustando già il banchetto delle prossime ore.

***

“Ancora niente?”
“Non mi sembra”, rispondo scrollando le spalle, con lo sguardo fisso verso il tavolo dei professori.
“Mocciosus ci guarda. Sembra implorare di esser trasformato in un Vermicolo”, sibila James.
“Che guardi”, rispondo indifferente. “A lui pensiamo dopo.”
“…GUARDATE! GUARDATE! LA STA MANGIANDO!”, strilla in quel momento Peter ad altissima voce, e tutti si girano a guardarci incuriositi.
Mangiando che cosa?”
“Eh, che succede?”

“Peter, idiota…”
“Oh, scusate…”, risponde lui diventando tutto rosso e scivolando lungo lo schienale della sedia per nascondersi. Ma nessuno gli presta attenzione. Stiamo tutti guardando il tavolo dei professori.
Il professor Vitious ha appena mandato giù un lungo sorso di ottima zuppa di cipolle, la migliore che si sia mai vista ad Hogwarts. Poi si gira con aria soddisfatta verso Pomona, e resta folgorato. Ah-ha, ci siamo… tendo le orecchie per non perdermi neanche una parola. Molto intelligentemente ci siamo messi proprio all’inizio del tavolo. O molto stupidamente, dato che l’ira della McGranitt appena si sarà ripresa dalla sua cotta per Silente non ci metterà molto a raggiungerci. Dipende dalla prospettiva. 
“Ehm… sì, Bilius? Qualcosa non va?”, domanda la Sprite.
“Pomona… Pomona…”, balbetta lui guardandola come un cieco che ha appena recuperato la vista. Poi si alza in piedi sulla sedia, arrivando così all’altezza della sua testa, e cerca di baciarla ma viene respinto da una Sprite paonazza, confusa e furibonda.
“Bilius… come osi?!”
“Direi… che… ha funzionato…”, ansima James piegato in due dalle risate, rovesciando una caraffa di succo di zucca.
Poi è il turno della McGranitt, che guarda Silente di sottecchi con un’espressione languida, di Lumacorno che declama un sonetto sulla fedeltà ad altissima voce, inginocchiato davanti alla professoressa Richards, con un tale entusiasmo che potrebbe quasi battere James. È una cosa talmente assurda e comica che in poco tempo si scatena il finimondo, un sacco di gente si accalca davanti al nostro tavolo per vedere cosa succede, i professori urlano, tutti stanno ridendo a crepapelle, e noi quattro ci godiamo allegramente la scena in prima fila.
Un unico problema. Silente non c’è cascato, no. Però sono piuttosto soddisfatto nel vedere che persino lui è vagamente perplesso, e sembra indeciso sul da farsi.
“Siamo dei geni.”, esclama Heloïse appoggiandosi a Juliet e tenendosi la pancia.
Io sono un genio!”, ribatte James. “Senza di me non ce l’avremmo mai fatta…”
“… Disse colui che riuscì a farsi dare un Troll da Lumacorno…”, si inserisce Beatrice ironica.
Sonorus” , dice il vecchio Albus in quel momento, senza mettere la parte la sua espressione di serena indifferenza e cercando gentilemente di scrollarsi di dosso la Minerva.  “Allora, qualcuno vada a prendere l’antidoto all’Amortentia, nell’ufficio del professor Lumacorno. Gli altri tornino al proprio tavolo e finiscano di cenare”. Una ragazza ricciuta di Serpeverde trotterella fuori dalla Sala Grande, e pian piano tutti si calmano. Oh, a parte i professori, ovviamente, che stanno facendo un gran casino.
“Okay, fine del divertimento”, commenta una voce aspra alle nostre spalle. “Silente sa che siete stati voi. Ve la farà pagare”, esclama Piton petulante.
“Ooooh, Mocciosus! Come mai non sei al tuo tavolo?”, esclama James raggiante balzando in piedi. “Aspettavamo proprio te!”
“Ma davvero?”, sussurra in tono provocatorio l’ignaro Mocciosus. È proprio strano che sia venuto a cercarsele di sua spontanea volontà. Niente di cui lamentarsi, ovviamente.
“Davvero, sì”, commenta James sereno, estraendo con un rapido gesto la bacchetta. Questa volta Piton non fa proprio in tempo a difendersi. Due secondi è un Vermicolo che si contorce sul pavimento. A dire il vero la trasformazione non è riuscita proprio benissimo. Dubito che i Vermicoli veri siano così grandi, e anche che siano dotati di lunghi capelli neri e unticci. Un boato di risate riecheggia dal nostro tavolo, persino Remus (Remus!), non resiste alla tentazione e con le lacrime agli occhi guarda l’orrido risultato della trasfigurazione di James. L’unica è la Evans, che si affretta a far sparire dal volto l’espressione sconvolta. Poi sorride, sincera, e si avvicina a noi.
“Sai, Potter… mi costa uno sforzo enorme dirlo, ma… ti devo fare i miei complimenti”, esclama ironica, osservando con interesse il Vermicolo deforme ai suoi piedi.
“Evans… da-davvero?”, balbetta James con un sorriso enorme sul volto e gli occhi spalancati come due Pluffe.
“Davvero”, ripete lei seccamente, alzando gli occhi al cielo.
“Evans!”, urla James, portandosi entrambe le mani ai capelli in preda alla felicità più selvaggia. “VUOI USCIRE AD HOGSMEADE CON ME?”
“Potter, non ci saranno più uscite ad Hogsmeade. Manca una settimana alla fine della scuola”, risponde lei, palesamente divertita.
“L’anno prossimo!”, grida lui saltellando da un piede all’altro e torcendosi le mani con un sorriso estasiato e le guance rosse.
“No, Potter. Non uscirò con te ne l’anno prossimo ne mai! E sai perché?”, ribatte la Evans soddisfatta.
“Perché preferiresti uscire con una piovra gigante?”, chiede James con un sorriso candido.
“Bravo, Potter…”, risponde lei, e con una limpida, malefica risata torna a sedersi, lasciando James basito e più felice che mai a borbottare fra sé: “Mi ha fatto i complimenti! Mi ha fatto i complimenti!”. Non si accorge nemmeno che Silente con un colpo di bacchetta e uno sguardo di rimprovero a fatto tornare Mocciosus alle sue normali sembianze, peraltro non più piacevoli di prima, e che quest’ultimo, con uno sguardo di profondo odio lo ha appena minacciato di fargliela pagare e se n’è andato.
“Lo sapete vero che fra pochi minuti la McGranitt tornerà in sé e ci ammazzerà?”, sussurra Georgia fra il preoccupato e il divertito.
“Probabile”, commenta Beatrice con un sorriso larghissimo, guardando James che non è ancora riuscito a riprendersi. “Ma ne è valsa la pena”, esclamiamo poi in coro io e lei.
“Non so …”, squittisce Peter.
La ragazza Serpeverde che è andata a prendere l’antidoto è appena tornata, con una bottiglia trasparente in mano.
“Non voglio guardare!”, strilla Peter coprendosi gli occhi con le mani.
La McGranitt è la prima a riprendersi. Ci mette qualche attimo a rendersi pienamente conto di quello è successo, ad arrossire furiosamente e, infine, con una capacità intuitiva davvero sorprendente, a girarsi verso di noi con uno sguardo assassino.
“Ma come fa?”, domando debomente, con un misto si sconforto e ammirazione. Se non avessi conosciuto Beatrice, forse mi sarei potuto innamorare della McGranitt.
Forse. Molto forse., penso mentre ci viene incontro minacciosamente.
“Ragazzi, questo era l’ultimo scherzo dell’anno…” , commento malinconicamente.
“Già”, risponde James sognante, arruffandosi i capelli.
“Già”, ripete Beatrice. “Forse l’ultimo in assoluto, visto che passeremo il resto della nostra vita in punizione”.

***

Ed è passata anche l’ultima settimana.
In punizione.
Però è passata.
Cerco con tutte le mie forze di non guardare, di non girarmi verso l’uomo e la donna all’angolo della stazione che, lo so, stanno tenendo d’occhio ogni mio movimento, probabilmente con quell’espressione di disgusto e rancore che mi porto dietro da quando avevo cinque anni. Di norma,  a questo punto, dovrei andare da qualche ragazza a fare il cascamorto giusto per indispettirli un po’, ma oggi proprio non mi va. E con Beatrice nei paraggi è meglio non rischiare. Oh, Beatrice. Non l’ho ancora salutata, perché volevo lasciarla per ultima. Con la coda dell’occhio la vedo abbracciata a Remus. Tanto per cambiare.
Tre mesi senza di lei. Tre mesi senza Ramoso, senza Lunastorta, senza Codaliscia, senza Hogwarts… Ma è possibile che io debba essere sempre così depresso, ogni ultimo giorno di scuola?! E dire che tutti mi credono una persona fredda e distaccata… pensavo di esserlo anch’io, prima di conoscere i Malandrini.
Tre mesi, Sirius. Solo tre mesi.
Qualcuno mi afferra per un gomito. Non ho bisogno di girarmi per sapere che è lei. Restiamo un attimo in silenzio, appoggiati ad una colonna, ignorando il resto del mondo.
“È andata anche quest’anno, eh?”, mormora sorridendo. Neanche lei sembra troppo felice, a dir la verità.
“Abbiamo perso la Coppa delle Case”, dico con un sorriso mesto.
“Grazie, siamo riusciti a farci togliere 200 punti in una volta sola…”, ribatte lei divertita.
“Però abbiamo vinto quella del Quidditch”, aggiungo soddisfatto. “Come farai senza di me per tre mesi?”, le chiedo con ghigno poco convinto.
“Oh, tirerò avanti”, sbuffa lei sarcastica. “Sai, di solito quando non ci si saluta prima di lasciarsi si dice il contrario, come farai tu senza di me…”
“Ma io sono bello, sopravviverò con me stesso”, ribatto alla James.
“Se lo dici tu…”, sospira, con lo sguardo perso nel vuoto. “… i tuoi ci stanno guardando”, aggiunge un po’ preoccupata.
“Buon per loro”, rispondo secco.
“Senti…”, mormora lei rovistando nella sua borsa. Tira fuori una piuma d’oca arruffata e mi afferra il braccio. Un piacevole brivido mi scorre dall’avambraccio in su. Anche questo per tre mesi non lo proverò più.
“… Questo… è il mio indirizzo.”, borbotta scrivendo obliquamente numero e via di casa sua. “…Mi scriverai?”, domanda mordendosi un labbro.
“Forse, se non avrò niente di meglio da fare”, rispondo sogghignando. Lei mi guarda esasperata, poi qualcosa scatta nei suoi occhi e un attimo dopo annulla la distanza che ci separa e affonda il viso nel mio petto.
“Mi mancherai”, mugola premendo il naso contro la mia clavicola.
“Ooooh, ce l’abbiamo fatta”, mormoro soddisfatto cingendole la vita. “Anche tu”, sussurro abbassandomi all’altezza del suo orecchio. Lei rialza il viso dolcemente con un piccolo sorriso invitante, e io mi piego a baciarla affondando una mano nei suoi capelli. Lontano anni luce sento qualcuno che fischia, ma lo ignoro e cerco di imprimermi bene nella memoria questo ultimo bacio per i mesi a venire. Presto, troppo presto lei dischiude le labbra e si stacca con delicatezza dal mio abbraccio.
“Buone vacanze”, sussurra intrecciando le sue dita alle mie.
“Anche a te”, rispondo al vuoto un attimo più tardi, seguendo con lo sguardo la figurina minuta che si allontana, illuminata dalla luce del tramonto.
Tre mesi. Solo tre mesi.

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Capitolo 22
*** Tartufo - parte 1 ***


Ventiduesimo capitolo: TARTUFO – parte 1

Basta, giuro che questa è l’ultima estate che passo in questo posto orribile.
Lancio un’occhiata frustrata al mucchio di lettere appoggiate sulla scrivania. Un bigliettino datato 3 agosto da parte di James, che mi propone una dozzina di scherzi che ha porgettato insieme a Dorcas e a Marlene per il prossimo anno, una lettera piena di cancellature di Peter, quella lunghissima di Remus, e il foglio da Beatrice, riempito da cima a fondo con la sua calligrafia rotonda e disordinata. Ho già risposto a tutti, immediatamente, anche se di solito mi piace far aspettare le mie lettere. È che mi sento così… chiuso, in gabbia… mi metto a girare in tondo per la stanza, a pugni stretti, per poi buttarmi sopra le coperte rosso sgargiante del mio letto. Resto a fissare immusonito la parete di fronte a me, da dove una formosa ragazza Babbana mi sorride con gli occhi vitrei. Il mio sguardo si sposta lungo il resto della stanza, sepolta nel caos più assoluto. Forse se rimettessi un po’ in ordine mi sentirei meno oppresso, ma così mi piace. E poi da fastidio a mia madre. Infine, poso gli occhi sulle due uniche foto della stanza, proprio di fianco al mio letto. Nella prima ci siamo io, Peter, James e Remus che ci spintoniamo ridendo per metterci di fronte all’obiettivo, nella seconda siamo seduti sul prato, e c’è anche Beatrice, che da un pugno amichevole nello stomaco a James, che a sua volta da per sbaglio una gomitata a Peter, che si sbilancia e mi cade addosso, mentre Remus ci guarda scuotendo la testa. Con un enorme, sconsolato sospiro mi rialzo, e riprendo a girare in tondo. È come se nelle gambe mi si fosse immagazzinata dell’energia repressa, che mi impedisce di restare immobile. Quello che mi ci vorrebbe è una bella partita a Quidditch, ma figurati se quelli mi lasciano uscire di casa.
Pensa, Sirius, pensa. Ci deve pur essere qualcosa da fare, in una casa così grande.
I miei genitori, da quando sono arrivato, fanno di tutto per evitarmi, salvo lanciarmi qualche occhiatina disgustata quando proprio non possono farne a meno. Un’interessante presa di posizione, dopo che hanno passato le estati scorse ad urlarmi contro tutte le volte che ero così avventato da uscire di camera. Quest’estate me ne resterei benissimo chiuso qui dentro ventiquattr’ore su ventiquattro, se non fosse per il disperato bisogno di cibo e bagno. Certo, potrei sempre farmi portare la cena in camera da Kreacher, ma preferisco andare io in cucina di notte piuttosto che ascoltare i suoi perenni borbottii sul cattivo comportamento di “Padron Sirius”. 
E poi, a coronare il tutto, c’è Regulus. Okay, non siamo mai andati molto d’accordo, io e lui. Però almeno quando mi sentivo in astinenza da scherzi potevo infilargli una Caccabomba nella minestra e dare una botta di vita alla casa. Regulus era l’unico con cui si poteva scherzare. E poi, quando mio padre per punizione mi mandava a letto senza cena, potevo star certo che all’una di notte sarebbe entrato di soppiatto Regulus con un po’ di avanzi della sua cena, e saremmo rimasti a chiacchierare tutta la notte.
Era sempre un inferno, ma almeno c’era Regulus. Adesso non mi è rimasto più nemmeno lui. Se ne sta chiuso in camera tutto il tempo, quasi come me, e quando qualche settimana fa gli ho infilato in camera uno Snaso non ha fatto una piega. È indifferente, come se avesse altro di meglio a cui pensare. E sì, non posso non ammetterlo: mio fratello mi manca più di tutto il resto. 

Apro la porta della camera e do un’occhiata circospetta al pianerottolo deserto, poi mi sporgo sulla tromba delle scale. Dalla cucina provengono delle voci concitate. Mi dirigo verso la porta di Regulus, da cui invece  non arriva nessun rumore. Busso tre volte, forte, e quando Regulus viene ad aprire la porta con aria seccata, svelto mi infilo dentro.
“Cosa vuoi?”, mi chiede lui infastidito, richiudendosi la porta alle spalle. Io dopo aver guardato disgustato le decorazioni verde e argento che ricoprono le pareti, mi siedo sul suo letto.
“Ehi Reg”, mormoro depresso.
“Che c’è?”, chiede lui di nuovo, sedendosi di fianco a me.
“Mi annoio così tanto…”, rispondo in tono lamentoso. Fin da quando eravamo piccoli, a volte con Regulus mi capita di sentirmi il fratello minore invece che quello maggiore. Indubbiamente, sotto certi aspetti, Regulus è molto più maturo e meno idiota di me, come non mancano di ricordarmi regolarmente i miei genitori.
“Non so che dirti”, risponde lui con una smorfia. “Non è colpa mia se passi le giornate a cercare di rendere un inferno la vita degli altri”.
Io?”, sbotto indignato. Mi mancano i tempi in cui Regulus mi dava sempre ragione, anche se poi di fronte al resto della famiglia aveva paura di ammetterlo. “Me ne sto sempre chiuso in camera, quando loro mi danno addosso ogni volta che possono…”
“E lo Snaso?”, mi interrompe lui, ironico. Io sogghigno mestamente.
“Avrò pur bisogno di una valvola di sfogo, ogni tanto”. “Reg, non ce la faccio davvero più”, aggiungo sospirando.
“Se hai deciso di essere diverso da tutta la famiglia non è colpa nostra”, mormora lui, sospirando a sua volta.
“Non mi vuoi più bene?”
Lui sbuffa, irritato. “Che domanda… stupida”.
“Mi vuoi ancora bene?”
“Suppongo di sì… ci si vuole bene tra fratelli, no?”
“Sì, penso di sì”, borbotto sorridendo. “Facciamo qualcosa?”
“Cosa?”
“Qualcosa di divertente?”
“Del tipo colorare di rosa i capelli di nostro padre? No, grazie tante”, risponde sarcastico.
“Ho capito, sei troppo vigliacco”, ribatto arrabbiato. “… Sempre attaccato alle sottane di nostra madre, sempre a frignare…”
“… Se essere coraggiosi per te vuol dire andare in giro a fare incantesimi sulla gente solo per divertirsi e far arrabbiare apposta la nostra famiglia, allora no, non sono per niente coraggioso!”, sbotta lui, infuriato. Ecco, stiamo litigando di nuovo, come sempre. E pensare che ero venuto con le migliori intenzioni di buon fratello.
“Perché invece tu e i tuoi amici, Rookwood, Mulciber e compagnia bella, voi sì che siete...”
“…Taci, Sirius, tu non sai niente di me e degli altri. Tu pensi che io sia un vigliacco, ma se sapessi… non lo diresti”, sibila Regulus.
“Ah sì?”, lo provoco sarcastico, alzandomi dal suo letto ed avviandomi verso la porta.
“Tu non capirai mai, Sirius”.
“No, è vero”, ribatto aspro, e a grandi passi esco dalla stanza. Mentre mi chiudo la porta alle spalle, mi accorgo di un pezzo di giornale che Regulus ha appeso accanto al suo letto, e che fino ad un mese fa non c’era. Non faccio in tempo a leggere cosa c’è scritto, ma non sono incuriosito più di tanto. Sto ripensando con una certa inquietudine alle parole di Regulus. Tu pensi che io sia un vigliacco, ma se sapessi… non lo diresti. Spero soltanto che non faccia niente di stupido. 
Le voci dalla cucina si sono spostate nel salotto. In condizioni normali me ne tornerei dritto filato in camera, ma sono troppo arrabbiato con Regulus, ho voglia di fare qualcosa di spregiudicato, qualcosa da Sirius.
Scendo le scale saltando i gradini due a due e facendo più fracasso che posso, finchè, puntualmente,  dal basso arriva l’urlo trapanante di mia madre: “SIRIUUUUUUS! SMETTILA IMMEDIATAMENTE E TORNA IN CAMERA TUA!”
“CERTO MAMMINA!!!”, urlo a squarciagola saltando con tutte le mie forze sopra l’ultimo gradino.
Sul divano sono elegantemente sedute Narcissa e sua madre, che appena mi vedono non possono evitare di storcere il naso con disprezzo.
“Ciao Narcissa! Ciao zietta!”, esclamo allegro, mentre dentro sento l’odio che mi ribolle nel sangue. Sì, sono sempre stato un bravo attore, io. Soprattutto quando si tratta di dar fastidio alla Antica e Nobile Casata dei Black eccetera eccetera.
“Ciao”, mormora Narcissa, guardando un punto imprecisato sopra la mia spalla.
“Beh Walburga…”, inizia mia zia lanciandole un’occhiata pietosa e alzandosi in tutta la sua temibile altezza. “…noi andiamo. Ci sentiamo presto. Per quello che ti ho detto… pensaci”.
Narcissa si alza e si allaccia il mantello sotto il mento, facendo ricadere i lunghi capelli biondi sulle spalle.
“Certo, ci sentiamo. Salutate a casa…”, esclama educatamente mia madre, lanciandomi un’occhiata minacciosa con la coda dell’occhio e accompagnandole poi alla porta d’ingresso.
“Sirius! Disgraziato d’un figlio, quante volte ti ho detto di non impicciarti negli affari di famiglia e di restare chiuso in camera tua quando c’è gente…”, esplode appena torna in salotto.
“Come vuoi, madre”, rispondo in tono di sfida stravaccandomi sul divano apposta per farla arrabbiare.
E siediti composto!”. È incredibile quanto io conosca bene mia madre, vero?
“Madre, perché non posso andare a trovare i Potter?”, le chiedo per la millesima volta in due mesi.
“Tu non vai proprio da nessuna parte! Capito?”, urla lei con gli occhi identici ai miei che scintillano crudeli.
“Ma perché no? Eh, perché?”, chiedo in tono capriccioso.
Perché non sei come tuo fratello? Perché devi essere così insopportabile, così…”, sibila lei, frustrata. Regulus, Regulus, e ancora Regulus.
“Mi lasci andare da James?”, ripeto testardo.
“Senti, Sirius, va’ a farti un giro. Non ti sopporto”, sbotta lei d’impulso, infuriata.
“Davvero?!”, esclamo io illuminandomi, e prendo al volo l’occasione per catapultarmi, prima che possa cambiare idea, fuori dalla porta di casa.
Sirius, aspetta!”, la sento urlare da dentro, mentre guardo felice la piazzetta squallida e respiro a pieni polmoni l’aria afosa. Eh no, troppo tardi, penso soddisfatto voltando le spalle alla casa.

Impiego circa due secondi a rendermi conto che sono uscito di casa senza prendere niente con me. E che non posso andare da nessuna parte senza il mio baule. E senza galeoni. E che non posso nemmeno tornare dentro, perché mia madre non mi lascerebbe certo uscire di nuovo. È un occasione troppo bella per poterla sprecare. Fortunatamente, mi accorgo di avere la bacchetta in tasca. Almeno quella. La estraggo dalla tasca, sentendomi già più sollevato, quando un improvviso SBANG! mi fa cadere sul marciapiede,con i gomiti contro l’asfalto rovente.
“Ma cosa…”, borbotto confuso e spaventato, cercando la bacchetta che è caduta accanto a me. Una grandissima ombra si staglia contro il sole, nascondendo Grimmaulde Place alla mia vista.
“Il Nottetempo!”, esclamo meravigliato, appena riesco a leggere la grande scritta d’oro di fronte a me. Un enorme autobus a tre piani, di un viola polveroso, è apparso dal nulla e si è fermato proprio davanti al marciapiede.
“…Benvenuti sul Nottetempo, mezzo di trasporto di emergenza per maghi e streghe in difficoltà. Allungate la bacchetta, salite a bordo e vi portiamo dove volete. Mi chiamo Mike Collins, e sono il vostro bigliettaio… ehi, che hai da guardarmi?”, esclama una voce annoiata che appartiene ad un ragazzo, penso di qualche anno più grande di me, con una folta chioma di capelli ricci e i denti un po’ storti. “… Sali su, no?”
Io annuisco allegro, ancora non riesco a credere alla mia fortuna, e mi affretto a salire sull’autobus. All’interno, molti tavolini sono allineati contro le finestre, e alcune sedie sono rovesciate per terra. Un po’ squallido, ma di certo non posso lamentarmi. A parte me, una vecchia strega che borbotta da sola e un folletto che legge la Gazzetta del Profeta, l’autobus è completamente vuoto.
“Ehm, devo pagare il biglietto?”, domando all’ometto che presumo sia l’autista, che porta un paio di occhialoni da vista rotondi, peggio di quelli di James, e arriva a stento all’altezza del volante.
“Nove falci”, grunisce lui indicando con il mento Mike. Io rovisto tra le tasche, e dopo aver estratto sotto lo sguardo curioso del bigliettaio un occhio di scarafaggio essiccato, la confezione vuota di una Caccabomba e una castagna, riesco a trovare una dozzina di falci e qualche zellino.
“Dove ti portiamo?”, domanda Mike dandomi il biglietto.
“A Villa Pot-...”, inizio sicuro per poi bloccarmi all’improvviso mentre un’idea fantastica mi si fa strada nella mente. “… No, a Salisbury. in Churchfields Road 13.”, mi correggo incerto. “Non so se la conoscete, è una cittadina babbana… fuori Londra.”
“Ma certo che lo conosciamo, vero Ernie?”, esclama entusiasta Micky. “Ti ricordi, Ern? Quella ragazza che ci abitava, vero? Te la ricordi, Ern? Doveva andare a Londra ma ci ha dato l’indirizzo sbagliato e si è persa, siamo dovuti andarla a riprendere tre volte, vero Ern? Abitava proprio lì, non è vero?” Ernie annuisce, mettendo in moto il grosso autobus.
Mi lascio scappare un larghissimo sorriso. Credo di sapere con certezza di chi sta parlando Mike. “Sto andando proprio da lei.”
“Davvero? Com’è che ti chiami, te?”, esclama Micky curioso.
“Sirius”, rispondo evasivo. Non vorrei che i miei genitori venissero a cercarmi. Ma no, da Beatrice non verranno di certo. Passerò a salutarla, come Felpato, ovviamente, e poi andrò da James… sarà bellissimo, lei non se l’aspetta di certo…
Nemmeno la guida folle di Ernie, che minaccia di andarsi a schiantare contro ogni superficie solida che gli si presenti davanti, riesce a distrarmi dai miei pensieri.
Guardo la Londra babbana che ci scorre di fianco ad una velocità abbastanza preoccupante, mentre il Nottetempo sguscia agilmente fra le auto, ogni volta incitato da uno strilletto di Mike.
“Madama Morris, lei è arrivata”, urla Ern con un’entusiasta frenata davanti al Paiolo Magico. Io perdo l’equilibrio e cado addosso al folletto rovesciando un tavolino e due sedie.

Il resto del viaggio trascorre così, tra curve improvvise e frontali con gli altri autobus, che però non sembrano riportare danni.
“Manca molto?”, balbetto sfinito dopo circa mezz’ora, sentendo che il mio povero stomaco non reggerà ancora molto.
“No, ci siamo quasi”, risponde Mike sicuro, indicando un paese all’orizzonte,di fianco al piccolo fiume che stiamo costeggiando.
“Ecco, Silvan, puoi scendere!”, esclama Mike. Mi preparo all’ennesima frenata aggrappandomi con tutte le mie forze a una delle maniglie, e appena le porte si aprono, barcollando salto giù.
“Arrivederci, Silvan! È stato un piacere conoscerti, vero Ern?”
“Arrivederci”, saluto flebilmente. Con un altro sonoro SBANG!, il Nottetempo scompare di nuovo, e io, raggiante, mi guardo attorno alla ricerca della casa di Beatrice. Davanti alla strada ci sono una fila di casette distanziate l’una dall’altra e circondate da un piccolo giardino, e tutt’attorno le colline. È un bel posto, forse un po’ troppo tranquillo.
Controllando che non ci sia nessuno mi nascondo dietro un cespuglio e un attimo dopo sono un grosso cane nero che trotterella lungo la strada guardandosi attorno interessato, con la lingua a penzoloni e la coda scodinzolante.
Mi lascio guidare un po’ dall’istinto e un po’ dall’olfatto, fino a che non mi ritrovo esattamente davanti al numero 13 di Churchfields Road.
Tutte le porte e le finestre della casa bianca sono spalancate, e dall’interno provengono dei rumori strani, come di pentole che sbattono. Quello che però attira la mia attenzione è la bambina seduta in mezzo al prato, con un libro in grembo, completamente assorta nella lettura. Ad occhio e croce avrà circa dieci o undici anni, una Beatrice di qualche anno più piccola, soltanto con i capelli un po’ più chiari.
Con un balzo scavalco la staccionata e le corro incontro abbaiando festoso, ma lei non sembra gradire, perché sobbalzando si alza in piedi e mi guarda terrorizzata.
“Aiuto…”, bisbiglia tremando e camminando a ritroso verso la casa. Io allora smetto di abbaiare e mi avvicino ancora, annusandola.
BEAAAAAA! VIENI SUBITO!”, strilla lei scoppiando a piangere, e da dentro la casa si sente un gran trambusto. Un attimo dopo Beatrice appare sulla porta, con la bacchetta sfoderata.

L’espressione del suo volto appena mi vede vale decisamente tutte le frenate del Nottetempo. Riesco chiaramente ad identificare ogni singola emozione che le attraversa gli occhi, a partire dalla sorpresa, poi il sollievo, per un secondo, soltanto un secondo la gioia, poi stupore, imbarazzo, un pizzico di rabbia, esasperazione, di nuovo felicità e infine ancora imbarazzo, che le rende il viso color mattone.  
Ignorandomi cammina decisa verso sua sorella, mentre io la guardo di sottecchi. Indossa soltanto una canottiera sbiadita e dei pantaloncini cortissimi, e i capelli sono legati in una coda disordinata. Osservandola più da vicino noto la spruzzatina di lentiggini sul naso, la pelle abbronzata e i capelli schiariti dal sole. Deve essere tornata da poco dall’Italia, concludo senza smettere di guardarla.
“… Non ti fa niente, è solo un… cane”, esclama esasperata alla bambina, che sembra ancora impaurita. Io mi siedo docilmente sull’erba, guardandole dal basso all’alto con un’espressione bastonata. “… Un cane che sembra essere appena scappato di casa, vero?” Io scuoto la testa con decisione, e la bambina mi rivolge un flebile sorriso.
“Ah no?”, domanda Beatrice abbassandosi per guardarmi dritto negli occhi. “Io invece dico proprio che…”, ma non fa in tempo a finire la frase perché io latrando felice le salto addosso e la faccio cadere all’indietro sull’erba.
“Aaaah, no… Sir- cioè, cane… smettila subito! Che – schifo, piantala…”, ansima ridendo mentre io le lecco la faccia centimetro per centimetro. “Ma ti sembra?! Fran, toglimelo di dosso. Subito
A fatica si rimette a sedere sull’erba, e sorridendo mi accarezza dietro le orecchie, proprio dove piace a me.
“Fran, dagli un nome!”, esclama all’improvviso. La bambina mi guarda concentrata, accarezzandomi il muso.
“Uhm… penso che gli starebbe bene… Tartufo.”, dichiara alla fine. “Perché è nero come un tartufo, e il tartufo è il mio dolce preferito”.
“Sì, Tartufo ci sta. Anche se Sacco-Di-Pulci era più carino…”, conclude Beatrice sghignazzando e avvicinando il suo viso al mio, in modo che i nostri nasi si sfiorino. “Vieni dentro”, mi sussurra alzandosi.  Io la seguo trotterellando dentro la casa.
Babbani. Che meravigliosa società., penso estasiato guardando tutti gli oggetti misteriosi che mi circondano, a partire dalla scatola nera appoggiata di fronte al divano. Vorrei proprio sapere qual è il feletono, deve essere una cosa fighissima. Sono molto tentato di partire all’esplorazione della casa e di tutti gli aggeggi babbani, ma Beatrice appena cerco di salire le scale mi richiama, e io la seguo in cucina indicando interrogativamente con il muso il fornello sporco e gli schizzi di pomodoro sui mobili.
“Ehm… mamma non tornava a casa per pranzo e così ho dovuto cucinare io.”, spiega imbarazzata pulendo senza troppa convinzione con una spugna. “… Ma adesso ho chiamato Dexter e verrà lui a darmi una mano.”
Dexter?
“È il mio amico babbano!”, risponde lei come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Sì, può darsi che me ne avesse accennato, secoli fa. “È davvero fantastico. È il mio Babbano preferito, il migliore del mondo”, afferma orgogliosa. Io alzo le sopracciglia scettico, ma non ribatto (anche perché i cani in genere non ribattono spesso) e aspetto pazientemente.
“Comunque… dopo mi dovrai spiegare cosa accidenti ci fai tu qui… e non dirmi che i tuoi ti hanno dato il permesso di venire!”, aggiunge cambiando improvvisamente tono. Io tiro fuori la lingua guardando innocentemente il pavimento.
“… Sai, mi sento molto stupida a parlare con un cane.”, borbotta ridendo e dandomi le spalle. “Siamo tornati una settimana fa dall’Italia e ho fatto un sacco di foto artistiche! Te le farò vedere, dopo”. Yuppie. In genere le foto artistiche di Beatrice sono qualcosa di orrendo, ma sorvoliamo. “…Le mie amiche sono state qui a giugno, ma Juliet non è potuta venire, i suoi non l’hanno lasciata…” Visto che a quanto pare oggi ha la parlantina facile la lascio chiacchierare  ascoltando ad occhi socchiusi il suono della sua voce, disteso sul pavimento.
“Oh, questo è Dexter”, esclama all’improvviso, quando dalla strada si sente arrivare uno strano strombazzamento. Subito dopo in giardino risuona una voce maschile, e Beatrice corre alla porta, con me alle calcagna.
Rimango piuttosto sorpreso dall’aspetto di Dexter. Io me lo immaginavo un bellimbusto tutto tronfio, invece ha proprio la faccia da Babbano, simpatica, e mio malgrado mi ispira. Ha le guance paffute, il volto lentigginoso e un buffo naso all’insù, i capelli neri e gli occhi marrone scuro. In mano tiene qualcosa, ma non capisco cosa. È un aggeggio rotondo, una specie di mezza palla vuota, con una mascherina attaccata e un gancio, quindi presumo che vada messo in testa, ma proprio non capisco a cosa serva. Mi avvicino ad annusarlo con diffidenza e curiosità, e lui, con mia grande sorpresa prima mi osserva con la fronte aggrottata, poi con un sorriso luminoso si volta verso Beatrice e alza un sopracciglio in modo allusivo e strafottente, indicandomi con il mento. Lei annuisce con un largo sorriso, e lui scuote la testa divertito.
Molto perspicaci, questi Babbani!
Assisto irritato a questo silenzioso scambio di battute, e strofino il muso contro la gamba di Beatrice per richiamare la sua attenzione. Insomma, chi è il tuo fidanzato, io o Dexter?! E chi è che è venuto a trovarti da Londra per farti una sorpresa, io o Dexter?
“Dex, lui è Sirius”, sussurra Beatrice allegra accarezzandomi la testa. “E Sirius, lui è Dexter!”
“Piacere”, sorride lui mite, e io gli abbaio in segno di riconoscimento.
“Ooooh, sono così contenta che vi siate conosciuti!”, trilla Beatrice estasiata sedendosi sul pavimento e tirando per una mano Dexter, per poi stringerci in un abbraccio mal riuscito. “Sai, Dex in teoria non dovrebbe sapere… che io sono… ecco, hai capito”, mi sussurra poi con un sorriso malandrino. “Ma proprio non sono riuscita a tenerglielo nascosto… e così sa tutto. Ma proprio tutto.” “Mi sa che potrebbero arrestarmi”, aggiunge con una risata un po’ nervosa. “Su, forza. Cosa prepariamo?”
Dexter ci pensa un attimo. “Pancakes”, risponde poi risoluto, e così io rimango a guardarli imbronciato mentre loro si affaccendano ai fornelli ridendo e chiacchierando.

Ritiro tutto: Dexter non mi ispira per niente.

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Capitolo 23
*** Tartufo - parte 2 ***


Ventitreesimo capitolo: TARTUFO – PARTE 2

Dopo pranzo Dexter chissà come mai decide di farci la cortesia di lasciarci un po’ in pace, e così passiamo il pomeriggio distesi in giardino all’ombra di un prugno, lei con la testa appoggiata alla mia schiena inspida. Stiamo in silenzio, come sempre quando ci capita di passare tanto tempo assieme, ma non ci sentiamo soli. Ognuno se ne sta per i fatti suoi, ma è consapevole della presenza dell’altro, e così le ore trascorrono, lente e piacevoli, con il ronzio pigro delle api e un tosaerba lontano di sottofondo. Piegando la testa di lato riesco a intravedere il suo profilo, la mano sopra gli occhi e le labbra incurvate in un piccolo sorriso involontario.
Di tanto in tanto si gira su un fianco e sorridendomi mi accarezza il muso, per poi tornare a fissare sognante il cielo. Quanto si sta bene, qui., penso socchiudendo gli occhi e annusando il profumo di erba e di fiori, corteccia e terra secca. Forse James può aspettare qualche giorno in più…
Ad un certo punto mi drizzo a sedere di scatto, guardando oltre la staccionata. C’è qualcosa… una cosa di un rosso fiammante, proprio davanti allo steccato, con due grosse ruote…
“Mezzo di trasporto Babbano”, risponde Beatrice con una risatina alla mia domanda silenziosa. Accidenti, questi Babbani sono davvero fantastici! Rimango  a guardare incantato la cosa. “Si chiama “moto”, è di Dexter. Lui fa motocross, una volta mi ci ha portato, ma non fa proprio per me…” “Ti piace?”, aggiunge divertita. Io scuoto la testa energicamente, tornando a distendermi sull’erba. Qualsiasi cosa che appartenga a Dexter mi fa schifo, sia chiaro. Anche se un giro su quella… come ha detto che si chiama? me lo potrei anche fare, se avessi del tempo da perdere, ecco. Lei scoppia a ridere e si sdraia accanto a me, circondandomi il collo con una mano.

***

All’ora di cena seguo Beatrice in casa, e mi siedo fedelmente accanto alla sua sedia, vicino alla gamba del tavolo.
“Bel cane”, commenta la signora Summerland, una donna sulla quarantina con il viso rotondo e i capelli biondi.
“Si chiama Tartufo”, puntualizza la sorella di Beatrice guardandomi da sotto il tavolo. Io abbaio scondinzolando. Per un po’ la cena procede molto tranquillamente. Dexter, che a quanto pare ha deciso di accamparsi in questa casa, e il signor Summerland parlano di un calcio, e se sapessi cos’è forse potrebbe vagamente interessarmi. Beatrice invece sta in silenzio, a volte mi lancia qualche sorrisetto di sottecchi e mi accarezza la schiena con un piede.
“… Sì, il Chelsea quest’anno ha fatto davvero schifo”. Parlano di questo calcio come se fosse uno sport, ma è assurdo, no? Un calcio non può essere uno sport, giusto? Anche se per me prendere a calci James è più o meno uno sport… I Babbani mi mandano in confusione. Dovrò chiedere spiegazioni a Beatrice, più tardi…
“… Assolutamente. Una vera delusione, manca solo che vendano il portiere…”
Dexter si schiarisce la voce sorridendo. “Allora, Bea… quand’è che inviti quel Sirius?” Io drizzo le orecchie e scatto sull’attenti.
“Non… so.”, borbotta lei fulminandolo.
“Aaah… allora è una cosa seria!”, esclama malizioso il signor Summerland, sporgendosi verso Dexter.
“Altrochè!”, esclama allegra Fran sogghignando a sua sorella.
“Io… smettila… non è vero”, farfuglia Beatrice arrossendo e lanciandomi un’occhiata nervosa.
“Ah no?”, la canzona lei. Certo che è sveglia, la bimba! “Dexter, dovevi sentirla, l’altra sera. Mi raccontava di una volta che…”
“Stai zitta, non è vero!”, strilla Beatrice mollando la forchetta sul tavolo con un gran fracasso, mentre io non mi perdo una parola.
“… Una volta che lui le ha…”
“…NOVANTANOVE SCIMMIE SALTAVANO SUL LETTO UNA CADDE A TERRA E SI RUPPE IL CERVELLETTO…”, urla Beatrice a pieni polmoni alzandosi in piedi e tappandosi le orecchie.
“È scema”, commenta Fran scuotendo la testa. “COMUNQUE, DEXTER, ERANO NEL PARCO DELLA SCUOLA…”, continua il racconto la bambina ridendo a crepapelle. 
“BASTA!”, grida Beatrice, ormai viola, poi mi afferra per la collottola e mi trascina con tutte le sue forze verso la porta, sotto lo sguardo perplesso dei suoi genitori. “… Non sono discorsi… adatti… ai… cani”, ansima mentre io oppongo resistenza e abbaio verso Fran. “… Fuori di qui!”, sibila spalancando la porta e buttandomi fuori di casa. Ma dai, io volevo ascoltare!
“Sparisci”, ribadisce lei, ancora molto rossa in volto, e dopodichè mi sbatte la porta in faccia.
E io cosa c’entravo?!
Mi siedo pazientemente davanti alla porta, aspettando che torni. E così Beatrice, che è sempre riservatissima, ha raccontato di me a sua sorella. Che strano… certo che mi sarebbe piaciuto sapere cosa le dice… Di sicuro che sono un gran figo, penso compiaciuto. Quindi vuol dire che per lei sono importante, se ne parla a sua sorella… non mi considera uno qualunque…
Allora, mi fai rientrare sì o no?!
“Dai, vieni”, mi chiama Beatrice una decina di minuti più tardi, riapparendo sulla porta, decisamente addolcita. Io le lancio un’occhiatina ironica, promettendomi mentalmente di sfotterla per bene appena mi sarà possibile.
“Andiamo di sopra”, mormora guardando circospetta i suoi genitori e Dexter che sparecchiano.

La camera di Beatrice ha le pareti giallo pastello, e la prima cosa che cattura il mio sguardo è il poster di un’orca assassina appeso di fianco al letto, accanto alla stampa di una ballerina sulle punte. La finestra dà direttamente sul giardino, tanto che i rami dell’albero sotto cui eravamo distesi oggi pomeriggi sembrano quasi volere entrare nella stanza. Da sopra il letto con le lenzuole blu pende uno scacciasogni, e sul comodino è appoggiata una lettera. Subito mi fiondo a leggerla, e riconosco la scrittura stretta e ordinata di Remus.
“Giù le zampe!”, esclama lei afferrando la lettera e chiudendola in un cassetto.
Alle pareti sono appese un sacco delle sue foto artistiche, tra cui l’ingrandimento di un sasso, ma lasciamo perdere. Di noi ad Hogwarts ce ne sono molte, sia con le sue amiche, sia di noi Malandrini. Ce ne sono anche un paio in cui io e lei siamo da soli, di sicuro opera di Heloïse, che l’anno scorso per un certo periodo aveva il preoccupante hobby di seguirci dappertutto e scattarci un sacco di foto ogni volte che ci trovava da soli. E poi, sulla scrivania, quelle che risalgono alla sua infanzia, quando non sapeva ancora di essere una strega, che ritraggono tutte una bambina paffutella con le guanciotte di un rosso inconfondibile.
“… Quando avrai finito di curiosare in giro, se ti va puoi trasformarti”. È appoggiata a braccia incrociate contro la porta chiusa, con un sorrisetto ironico dipinto sul volto. Io con un “bau!” di approvazione torno umano.
Per un attimo restiamo a squadrarci in silenzio, vagamente a disagio.
Io la guardo. Lei mi guarda. Come se stesse decidendo che voto darmi.
Mi sento lo stomaco vuoto. Chissà perché, non riesco a fare niente, a parte stare immobile a guardarla.
Poi il suo volto si spiana in un sorriso radioso, e contemporaneamente, quasi come se qualcuno di invisibile ci avesse dato il via, ci muoviamo l’uno verso l’altra, lei mi salta in braccio e io per non perdere l’equilibrio faccio una mezza piroetta tenendola stretta. Lei appoggia una guancia, calda e morbida, contro la mia, e un brivido di freddo mi scorre lungo la spina dorsale. Sento anche un cuore che batte, frenetico, ma non riesco a capire se sia il mio o il suo.
“Ciao…”, la saluto con la voce un po’ roca. È da quasi un giorno intero che abbaio e non parlo.
“Ciao Sirius”, ridacchia lei appoggiando il mento sull’incavo della mia clavicola.
Le accarezzo lentamente i capelli, che le ricadono disordinati sulle spalle e sulle braccia, ricoprendole parte del viso.  
“Mi piace il tuo nuovo look…”, esclamo con un ghigno malizioso giocherellando con la spallina della canottiera. “Dovremmo proporo come divisa di Hogwarts, sai?”.
“Certo”, bofonchia lei arrossendo. Poi svelta scivola giù, e un po’ barcollante si appoggia alla scrivania.
Io mi butto poco educatamente sul suo letto, fissando sereno il soffitto.
“Oh, dimenticavo: fa come se fossi a casa tua, sì”, esclama lei beffarda.
“Allora, tu e Dex ve la spassate, vero?”
“Alla grande”, sbuffa lei scuotendo la testa. “Tu geloso, questa sì che mi è nuova…”
“I Babbani sono pericolosi”, replico io con un sorriso stiracchiato, che lei ricambia alzando gli occhi al cielo.
“… Allora, che ci fai qui?”, mi domanda curiosa sedendosi ai piedi del letto.
“Lunga storia…”
“Sirius,  i tuoi genitori non sanno che sei qui, vero?”, sussurra avvicinando il suo viso al mio per guardarmi negli occhi. Mi sento improvvisamente vulnerabile, come se le bastasse uno sguardo per leggermi nel pensiero.
Io scrollo le spalle, e mi chiudo in uno dei miei soliti silenzi ostinati.
“… Sai, se non ti va di dirmelo non importa… voglio solo essere sicura che non ti cacci nei guai”, aggiunge poi dolcemente.
“E va bene”, sospiro abbattuto. “Io… non li sopportavo più. Mia madre mi ha detto di andare a farmi un giro, perché le davo fastidio... e così eccomi qua.” Lei strabuzza gli occhi, sorpresa.
“E se te la fanno pagare?”, mi domanda con un filo di voce. Mi sa tanto che i miei genitori la terrorizzano abbastanza.
 “Cosa vuoi che mi facciano?! Voglio dire, cosa vuoi che mi facciano peggio di lasciarmi tutta l’estate chiuso in camera, con Kreacher che mi porta da mangiare una volta al giorno…”
“Oh, Sirius…”, sospira dispiaciuta, abbracciandomi d’impulso. “… Potevi scrivermelo, ti avrei spedito del cibo, mi sarei trasformata e ti sarei venuta a trovare…”
“Non importa”, mormoro contro i suoi capelli. “Ora sono qui.”
“Già”, sospira lei affondando il viso nel mio petto. “Meno male che… AAAAAAARGH!” Sobbalziamo entrambi violentemente, staccandoci di colpo.
C’è qualcuno, nella stanza, oltre a noi.
Qualcuno che è entrato in silenzio, senza farsi notare.
Qualcuno che è una bambina di undici anni, e che ci fissa esterrefatta.

Nooooo”, urla Beatrice prima ancora che io faccia in tempo a rendermi conto, poi si lancia contro sua sorella e la placca sul pavimento, tappandole la bocca.
Tutto bene?? Bea? Fran?”, urla il signor Summerland salendo lentamente le scale.
“Svelto, trasformati”, mi ringhia Beatrice, senza mollare sua sorella, che ha preso a divincolarsi.
Quando il signor Summerland entra in camera e le vede sul pavimento, non sembra per niente stupito. “Massacrala, Fran”, commenta solo, prima di uscire di nuovo.
Beatrice sospira pesantemente, e si alza da sopra sua sorella lanciandole un’occhiata torva. Lei è ancora piuttosto sconvolta.
“Avanti, Sirius, falle vedere”.
Io mi trasformo in tutta la mia bellezza, sotto gli occhi sgranati della bimba.
Eh, lo so, di spettacoli così mica se ne vedono tutti i giorni!
“Non dirai niente, vero?”
Francesca scuote la testa, ma dal sorrisetto subdolo che le si dipinge sul volto penso proprio che abbia appena trovato un modo efficiente per ricattare la sorella, in futuro.
“Sei Sirius?”, mi domanda con un’occhiata penetrante. Fin troppo penetrante, per una bambina di dieci anni.
“Sì, in persona!”, rispondo sogghignando. “Sai, se ti va di riprendere il discorso di stasera a cena… io ero tutt’orecchi. Eravamo nel parco e poi?!”
“Okay, tu te ne vai immediatamente”, sbotta Beatrice afferrandola per la maglietta e pilotandola verso la porta.
“Te lo racconto un’altra volta, allora…”, ammicca lei uscendo dalla camera, seguita a ruota dalla sorella. Si sentono dei bisbigli, uno sbuffo e una risatina, e poi Beatrice torna dentro.
“Ho dimenticato di chiudere la porta a chiave, sono un’idiota”, mormora nascondendosi il viso dietro alle mani. 
“Cosa dice tua sorella?”, le domando innocentemente, stendendomi di nuovo sul suo letto.
“Che… non sei male”, sbuffa lei con un mezzo sorriso.
“Mi piace. È forte, per essere una Babbana”.
“Sì, starebbe bene insieme a Regulus, è una grandissima stronza”, ribatte lei schietta.

***

La casa è immersa nel silenzio, così come la strada buia che si intravede tra le fronde degli alberi, fuori dalla finestra spalancata.
Finalmente siamo soli, soli come non lo eravamo da un sacco di tempo. 
“… Andrò a salutare James”, bisbiglio guardando un punto imprecisato fuori dalla finestra, con un sorriso che mi va da un orecchio all’altro. “Poi vedrò se fermarmi da loro, oppure se tornare a casa”. Beatrice annuisce silenziosa, seduta sul davanzale della finestra. Il suo profilo si staglia nitido contro la pallida luce lunare, le ginocchia strette contro il petto, i capelli appena mossi dal venticello fresco che solleva le tende, le labbra socchiuse in un’espressione pensierosa. Allungo il braccio e le accarezzo una guancia, che sento scaldarsi sotto il tocco leggero delle mie dita.
“Dovresti tornare a casa, Sirius”, mormora lei dolcemente, appoggiando entrambe le mani sulle mie spalle.
“No che non devo”, rispondo io secco. “Non voglio più starci, con loro.”
“Mancano poco più di due settimane… peggioreresti solo la situazione, a non tornare”. A questo non posso ribattere, perché so che ha ragione. Ma anche solo pensare di tornare in Grimmauld Place, quando qui si sta così bene, quando James continua a ripetermi di andarlo a trovare appena posso…
“Farò così…”, bisbiglio deciso. “… Andrò da Ramoso, e poi scriverò un biglietto a mia mamma per dirle che sono lì, e che non si deve preoccupare”. La sento sospirare e sorridere nell’oscurità.
“Parliamo d’altro”, mormora scuotendo la testa.
“Okay. Parliamo di quei cosi babbani con le ruote!”
“Le moto?!”
“Esatto, proprio loro.”, confermo con un sorriso estasiato.
“Te ne regalerò una, se supererai i M.A.G.O. senza farti bocciare.”
“Sul serio?! Deve essere nera, però. Non come quella di Dexter, eh?”
“No, non come quella di Dexter, assolutamente no.”, sbuffa lei sorridendo.
“Vieni qui, Scricciolo”, mormoro attirandola verso di me per la vita. I nostri nasi cozzano l’uno contro l’altro, prima che nel buio le mie labbra riescano a trovare le loro gemelle, calde e morbide come le ricordavo. Il suo respiro accarezza le mie labbra e mi scende lungo la gola, mentre le nostre lingue si sfiorano e si inseguono in un bacio che sembra durare all’infinito, e che però viene bruscamente interrotto da un rumore al piano di sotto. Beatrice si stacca da me come se avesse preso la scossa, puntando gli occhi vigili sulla porta. Ma nella casa il silenzio è tornato a regnare sovrano, così le mordicchio scherzosamente il labbro inferiore, un piccolo spicchio di un qualche frutto dal sapore dolce e frizzante. Lei, le mani strette in due piccoli pugni contro il mio petto, strofina il naso contro la mia guancia, con un piccolo sorriso tenero che le piega le labbra. È un congedo, questo, lo capisco. Mi sta dicendo “per stasera è abbastanza”. È sempre così, con lei. Arriva sempre un momento, magari sul più bello, in cui all’improvviso mentre ci stiamo baciando si interrompe, senza motivo. Ed è inutile insistere.
Con un sospiro le bacio la pelle morbida della spalla, e sciolgo l’abbraccio allontanandomi di un passo.
Lei mi volta le spalle e afferra il pigiama da sotto il cuscino.
“Felpato può dormire con me, se vuole”, mormora con un sorriso timido.
“Perché non Sirius?!”
Ma ormai è già uscita dalla stanza, a passi silenziosi, per riapparire dopo qualche istante. Si siede sul letto, accoccolandosi in ginocchio contro il muro e facendomi spazio.
“E va bene”, sospiro con un sorriso, e immediatamente mi trasformo in Felpato. Con un balzo sono sopra il letto, accucciato contro il suo ventre morbido, il familiare odore di cocco, camomilla e lenzuola pulite che mi investe le narici. 
“Buonanotte Felpato…”, sussurra accarezzandomi la pelliccia folta. “Mamma mi ucciderà, quando troverà i peli nel letto”.

***
 

“…‘Giorno.”
“Buong-… Merlino, Sirius, non farlo mai più! Avevamo detto… avevamo detto…”
“I tuoi genitori sono usciti di casa mezz’ora fa e tua sorella dorme della grossa”, la interrompo tranquillamente.
“Che… che ora è?”, borbotta assonnata alzandosi a sedere, i capelli sparpagliati in modo caotico sulle spalle.
“Le otto e trentatrè”.
“Dovevi restare Tartufo lo stesso!”, mi sgrida stroppicciandosi gli occhi. “Pensa se venivano a controllare, pensa se…”
“… Hai un sonno molto inquieto, lo sai?” “Ti rigiri continuamente e sbatti sempre la testa contro il muro”.
“Lo so”, sbuffa lei, massaggiandosi pensierosamente la testa e alzandosi in piedi con uno sbadiglio. “Colazione?”
“Colazione”, annuisco io.

Per tutta la mattina io e Beatrice stiamo a vagabondare per la casa, chiacchierando e bisticciando, e rubando qualche biscotto dalla credenza.
A metà mattina arriva Dexter, con la sua… la sua… Uffa, è un nome corto ma proprio non riesco a ricordarmelo! Tomo? Mota?? Be’, quella, ci siamo capiti. È alquanto sospetto il fatto che passi così tanto tempo a casa Summerland, no? Insomma, non ce l’ha una casa, lui?? E non capisce che qua la gente non vuole essere disturbata?! Scommetto che nemmeno a Beatrice fa piacere che… “DEXTEEEEEEER!”
Come non detto.
“Oh ciao!”, ci saluta Dexter bonario, lanciandomi un’occhiata curiosa.
“Dexter, lui è Sirius, di nuovo…”, ridacchia Beatrice spostando lo sguardo da me a lui.
Bene. Così Dexter si renderà finalmente conto che io sono indubbiamente molto più figo e affascinante di lui.
“Salve”, lo saluto sfoggiando tutta la mia straordinaria eleganza Black , per poi rivolgere la mia attenzione al suo mezzo di trasporto Babbano con malcelato desiderio. Dexter ha di nuovo al braccio quel coso rotondo... Un momento! Ho appena avuto un’illuminazione…
“Quello serve per proteggersi la testa!”, esclamo in tono saputo puntando l’indice sul coso rotondo.
“Sì, Sirius, esattamente”, annuisce Beatrice divertita.
Cavolo, quest’anno voglio iscrivermi a Babbanologia. Ho appena scoperto un’altro dei miei moltissimi talenti naturali.
“Sai, Sirius è rimasto molto colpito dalla tua moto…”, spiega Beatrice alzando gli occhi al cielo.
“Vuoi fare un giro?”, mi chiede Dexter immediatamente.
“Davvero?, esclamo io illuminandomi.
“Non penso che sia il caso”, si intromette Beatrice. “Non è capace, si ammazzerebbe…”
“Ma sentila… mica sono tutti imbranati come te, lo sai?”, la rimbecco con un ghigno. “Allora, spiegami. Come si fa per farla volare?”

***
 

Nonostante io sia sicuramente meno goffo di Beatrice, e in genere anche molto portato per lo sport, due ore dopo ho un gomito ammaccato e sanguinante, un graffio che mi attraversa trasversalmente la guancia destra, e per completare un livido sulla spalla così grosso e doloroso che mi fa male anche solo a guardarlo.
Dexter… non è così tanto male, se proprio devo ammetterlo. Mi  ha spiegato tutto sul calcio, che effettivamente è uno sport, e anche abbastanza simile al Quidditch. Solo che ho fatto una scoperta sconvolgente.
I Babbani non volano. I Babbani non volano, capite? Né con le scope, né con le moto, niente. È una cosa così triste…

“È meglio che vada, adesso”, esclamo alla fine smontando dalla moto, esausto.
“Devi proprio?”, si lamenta Beatrice sporgendo il labbro inferiore.
“Vedi allora che ti sono mancato??”
“Non è per quello! È che… una botta di vita, sai”, sbotta lei.
“Sì, certo… Ma James mi aspetta”, spiego alzando le spalle. “Se riesco a rimanere da lui a settembre ci vediamo tutti e cinque lì, vero?”
“Sì, James mi ha detto che voleva invitarci… penso che verrò”, sorride lei.
“Certo. Allora… a presto”, la abbraccio stampandole un bacio sui capelli. “Ciao, Dexter”, saluto il Babbano più amichevolmente che riesco. 
“A presto”, mi risponde Beatrice. “Ti scrivo da James, okay?”
“Hai il suo indirizzo?”
“Certo, una volta gli ho spedito un pacco di Caccabombe”.
“Va bene… arrivederci”, sospiro pensando al viaggio che mi aspetta con il Nottetempo, un po’ spaventanto e un po’ eccitato all’idea di andare da James. Stringo in un ultimo abbraccio Beatrice, e poi mi avvio lungo la stradina solitaria.

Il viaggio fino a Godric’s Hollow dura molto di più che da Londra a Salisbury. Quando scendo davanti al maestoso edificio antico dalle ampie finestre, così diverso da Grimmauld Place, quasi svengo sul marciapiede, e impiego ben cinque minuti a strisciare contro il muro fino a trovarmi davanti al grande portone.
Lascio che il battente colpisca due volte la porta, e poi aspetto, con il cuore trepidante.
Qualche manciata di secondi dopo, ecco che la porta viene aperta da una bella donna con i capelli castano scuro e i lineamenti decisi, che riconosco come la madre di James.
“Ehm… buongiorno, signora Potter”, inizio strusciando i piedi, cercando di non dare a vedere l’imbarazzo. “Scusi se arrivo così… non so se si ricorda, io sono…”
Sirius!”, esclama lei aprendosi in un sorriso luminoso. “Vado subito a chiamare James, è tutta l’estate che ti aspetta”.

Note dell’autrice:
Scusate, sono in ritardissimo… Con la scuola e tutto ho tempo per scrivere solo la sera, e sono sempre troppo stanca, scrivo una o due righe e poi mi stufo :'D E anche l’ispirazione non è che aiuti proprio tanto. Il capitolo non è molto, ma siate clementi e scrivetemi qualche recensione, magari… Grazie a tutti, come sempre.
Trixie

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Capitolo 24
*** Grimmauld Place ***


Ventiquattresimo capitolo: GRIMMAULD PLACE

“Felpato?”
“Ramoso??”
“…Felpato?!”
“Ramoso?”
“…Perché hai un occhio nero?”
“E tu perché hai i capelli arancioni?!”

Un idiota. Ecco qual è la prima cosa che chiunque penserebbe di James  a vederlo lì, in accapatoio, con i capelli gocciolanti, sparati in aria e di un arancione fosforescente che sulle punte tende al giallo limone.
“Esperimenti”, risponde James scrollando le spalle. “E tu? Perché sei così… ammaccato?!”
“Motociclette babbane”, esalo con un sorriso estasiato, ripensando al momento in cui la moto di Dexter si è imbizzarrita ed è andata a schiantarsi contro il lampione della strada.
“Motociche??”, esclama James stolidamente.
“Mezzi. Di. Trasporto. Babbani. Straordinari.”, sillabo con lo sguardo perso del vuoto. James si arruffa la chioma arancione, la bocca schiusa in un elegante “o” di confusione.
“Felpato, sei sicuro che… va tutto bene?”, mi domanda cauto. “Vabè, andiamo in camera”, sospira alzando le spalle e avviandosi lungo le eleganti scale di marmo.
“Guarda!”, esclama eccitato appena si richiude la porta della camera alle spalle, indicando dei fogli sparpagliati sul letto. “…È stata un’idea di Dorcas… che ragazza meravigliosa, peccato che non sia più ad Hogwarts, vero?” “Questi sono i sotterranei”, mi spiega indicando lo schizzo a matita di un corridoio, con un sacco di freccette colorate  che si intersecano e si contorcono.
“Beh?”, commento con un’occhiata ironica, senza capire.
“Come sarebbe ‘beh’?!”, sbotta lui indignato. “Non capisci?! Da questo punto facciamo saltare le tubature, poi blocchiamo il sistema idraulico del terzo piano e…”
“… e allaghiamo Hogwarts”, concludo al suo posto con un ghigno come non ne facevo da tempo stampato sul volto.
Ed è questo che amo di James, che lo rende così unico, il vero fondatore dei Malandrini, il mio fratello adottivo. Piombo a casa sua all’improvviso, e l’unica cosa che mi dice è che ha trovato un modo per allagare Hogwarts. Lui non fa domande, o almeno, non fa domande serie. Accetta le cose così come sono, capisce con uno sguardo, ti fa stare bene con uno dei suoi sorrisi smisurati, con una delle sue idee idiote, con il suo ottimismo assurdo, con i suoi capelli assurdi, con il suo ego addirittura più grande del mio…
“Esatto”, annuisce James entusiasta. “L’idea era mia, ma senza Dorcas non avrei saputo come fare…”
“Bene”, esclamo sfregandomi le mani. “Direi che sono arrivato al momento giusto”.
“Ah, già”, sbotta James guardandomi stupito. “Cosa ci fai tu qui?!”

E così, mentre racconto a James del Nottetempo, delle motociclette e del calcio, e contemporaneamente disegno minuziosamente una mappa in miniatura dei corridoio principali di Hogwarts, le ore trascorrono senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Non mi sentivo così a mio agio  dalla fine della scuola. Qui finalmente mi sento bene, mi sento accettato, a casa, al posto giusto, come riesco a sentirmi solo ad Hogwarts, in mezzo ad amici che a me ci tengono sul serio, nonostante tutti i miei difetti.
 “…e poi c’è il telefono, non feletono, per ascoltare la voce delle persone… non ho capito a cosa serva, veramente…”
“… Molto ingegnosi, questi Babbani. Davvero molto ingegnosi. Spero che Scricciolo mi inviti, una volta… oh, guarda qua: basterebbe fare un buchino minuscolo e…”
Toc toc.
“Avaaaaaaaanti!”, urla James in modo infantile guardando verso la porta, che si apre mostrando il volto gentile di sua madre.
“Sirius, per favore, potrei parlarti un attimo?, mi domanda con voce dolce ma risoluta.
“Oh”, mormoro io spiazzato e leggermente impaurito. “Sì, certo”.

“Sirius, ovviamente sai che mi fa molto piacere averti qui, e fa molto piacere anche a James”, mi dice appena siamo usciti dalla camera di James. Io annuisco, impassibile. “Non voglio sapere come sei arrivato qui, se non vuoi dirmelo, ma mi sembrava di aver capito che i tuoi genitori non fossero d’accordo…”
“È così”, affermo secco.
Lei resta un momento in silenzio. “E loro sanno che sei qui?” Io scuoto la testa, fissando il pavimento. “Sono via da ieri mattina”, mormoro con un filo di voce.
“Oh”, commenta lei spiazzata.
“La prego, non glielo dica, signora Potter!”, la imploro, lasciando da parte l’espressione impassibile. È che la signora Potter è così materna, così gentile che mi viene spontaneo abbandonare subito le maniere fredde che uso con gli estranei. “Magari pensavo che potrei mandare un biglietto, sempre se qui non sono di disturbo, ovviamente…”
Lei si morde un labbro, pensierosa. “Io penso che tu debba assolutamente passare il resto dell’estate qui”, afferma con un sorriso deciso, e io alzo di scatto la testa, speranzoso. “Però è giusto che tu adesso, appena ti sei sistemato un attimo”, esclama lanciando un’occhiata critica ai numerosi graffi delle braccia e delle spalle, senza però fare domande, “torni a casa.”
Io abbasso lo sguardo con aria bastonata. “Come vuole, signora Potter. Se proprio devo…”
“Dopo potrai tornare, ovviamente”, mi accarezza in modo materno una guancia.
 “Ma non mi lasceranno tornare”, sospiro rabbiosamente.
“Come sarebbe a dire che non ti lasceranno tornare?!”, sbotta lei brusca.
“Il fatto è che loro… non mi considerano molto…”
“Sì, James mi ha spiegato tutto”, mi interrompe lei. “Ma non intendo permettere che ti rinchiudano in casa per tutta l’estate. Ho deciso che avresti passato almeno una settimana con noi, quest’estate, e non ho ancora cambiato idea”, esclama animatamente, con un’espressione quasi minacciosa.
Io mi apro in un ampio sorriso. “Davvero, signora Potter?!” Dopotutto lei è un Auror, giusto? Dovessimo anche portarmi via da Grimmuld Place con la forza, ce la farebbero…
“Scriverò un biglietto alla tua mamma”, continua lei, sorridendomi. “Ero una Black anch’io, sai? Penso di sapere come fare a convincerla.”, mormora con voce pensierosa, come persa in ricordi lontani. È vero, mi ero dimenticato che anche la mamma di James era una Black, prima di sposare Charlus… però è così diversa.
“Grazie, signora Potter!”, esclamo riconoscente.
“Figurati, Sirius. Charlus potrebbe accomapagnarti con la Metropolvere, così spiegherà…”
“…No, non ce n’è bisogno!”, mi affretto ad interromperla, pensando a quanto poco sarebbe gradita la presenza del signor Potter in Grimmauld Place 12. “La Metropolvere va benissimo, andrò da solo. Quando dovrò partire?”, aggiungo titubante.
“Quando vuoi, caro”, risponde lei. “Se vuoi mangiare qualcosa, dirò a Pip di portartelo in camera”.
“Allora… vado a salutare James”, annuisco a malincuore.

“Jamie?”, lo chiamo, entrando nella stanza.
“Cosa voleva mamma?”, mi domanda lui, assorto nella lettura di una lettera.
“Torno a casa mia”.
“Ma come?! Sei appena arrivato!”, protesta lui indignato, alzando gli occhi dal foglio.
“Tua madre ha detto che scriverà una lettera a mia madre, per convincerla…”
“Oh, la convincerà di sicuro”, commenta lui rinfrancato. “Mamma sa essere davvero convincente, quando vuole…”, mormora con un piccolo brivido. “Indovina cosa stavo facendo!”, mi urla addosso, piuttosto esaltato, sventolandomi davanti alla faccia la lettera.
“Ehm… prenotavi Cacchebombe da Zonko?”, tento un po’ perplesso. C’è una sola cosa, o meglio persona, che può rendere James così euforico. La Evans.
“Sai Sirius, può darsi che quando tornerai qui ci sarà anche la Evans…”, esclama con un sorrisone. Ecco. “Le sto scrivendo una lettera per invitarla”, sentenzia, mostrandomi di nuovo il foglio un po’ stroppicciato, e pieno zeppo di punti esclamativi che la Evans non apprezzerà di certo.
“Sul serio?”, esclamo ilare. “E come fai ad avere il suo indirizzo?”
“Alice l’ha dato a Frank che l’ha dato a Remus che l’ha dato a me”, sorride furbescamente. “Non potrà rifiutare. Non questa volta”, sospira felice.
“No, Jamie, certo che no.”, lo schernisco io con un sorriso da un orecchio all’altro. “Conoscendo la Evans, non potrà certo rifiutare. Sai com’è fatta, troppo gentile per mandarti una Strillettera che ti sbraiterà contro per un’ora quanto sei idiota e insopportabile e tronfio ed egoncentrico… ”, sghignazzo evitando con maestria una cuscinata.
Sirius, vieni, è ora!”, urla una voce parecchi piani più sotto.
“Devo andare”, sbuffo gonfiando le guance.  “Nel caso la Evans non dovesse venire, ti prometto che…”
“La Evans verrà, che ti piaccia o no!”, strilla lui, incrociando le braccia al petto.
“OKAY OKAY”, urlo fiondandomi fuori dalla stanza sghignazzando a crepapelle. “LA EVANS VERRÀ, BAMBI!”
Puoi scommeterci, Fido!”, mi urla lui di rimando.

“Sirius, sei tutto sudato!”, mi sgrida la signora Potter appena arrivo nel salone, trafelato. “Non capisco proprio perché dobbiate essere sempre così irrequieti, tu e James…”
“… Ma non siamo irrequieti, signora Potter!”, esclamo con un sorriso innocente.
“… E dimmi, che cos’hai nelle tasche, caro?”, mi chiede assottigliando gli occhi, sospettosa.
“Ehm…”, sorrido io tastando colpevolmente il pacchetto di Cacchebombe e Tazzine di Tè Mordinaso che mi ha regalato James e che di cui Regulus sarà vittima in un futuro non troppo lontano. “Allora… la Metropolvere?”
“Tieni..”, sbuffa lei porgendomi un sacchetto di stoffa e scuotendo la testa, esasperata. “Buon viaggio, mi raccomando…”
“Arrivederci, signora Potter!”, esclamo entrando nel camino, vagamente nervoso. “… Grimmauld Place numero 12, Londra!”, urlo forte e chiaro. Una potente ventata di calore mi avvolge mentre mi sento risucchiare verso l’alto. Prima di chiudere gli occhi, faccio in tempo a vedere il salone di Villa Potter e la snella figura di Dorea guizzare tra le fiamme verdi, in uno sfocato tremolio di colori. Poi tutto diventa buio.

***
 

Oh, porco Salazar.
Questo è il pensiero più intelligente che riesco formulare appena mi ritrovo seduto per terra, sul freddo pavimento scuro, a tossire come un idiota. Avverto chiaramente la cenere che mi ricopre il viso e i vestiti, così come la nuvola di polvere che si alza ad ogni colpo di tosse, e l’inquietante silenzio che mi avvolge.
Per un lungo, terrificante secondo spalanco gli occhi, e una prepotente morsa di paura e agitazione mi serra lo stomaco. Lascio lentamente scorrere lo sguardo lungo la sala, e ad ogni paio di occhi che incontro, tutti ugualmente gelidi, mi sento mancare sempre di più.
Mia madre. Regulus. Mio padre. Bellatrix e Narcissa. Zio Cygnus e zia Elladora. Zio Alphard. I Lestrange, persino.
Non manca nessuno. Sono tutti lì, al gran completo, che mi guardano, superbi e immobili come statue. Tranne Bellatrix, che si muove irrequieta, gli occhi crudeli e taglienti come due lame di ossidiana. Forse mi stavano aspettando. Forse stavano parlando proprio di me.  
Mettendo insieme tutto il coraggio che ho mi alzo lentamente in piedi, cercando di tenere gli occhi fissi davanti a me, senza però davvero guardare. Non so proprio cosa aspettarmi. Non so cosa sia meglio fare. In fondo sono sparito da più di un giorno. Saranno furiosi. Mi arrischio a lanciare un’occhiata sfuggente prima a mio padre e poi a mia madre, che mi inchiodano con un identico sguardo, duro e impassibile.
“Sirius, vai in camera tua. Adesso.” Il sibilo carezzevole e letale di mio padre mi costringe a trasalire, con il cuore in gola. Poi, aggrappandomi al coraggio Grifondoro nascosto in qualche parte remota del mio cuore, e con in mente il pensiero fisso di James e di Beatrice, mi giro a lanciargli una veloce occhiata orgogliosa. “Okay”, rispondo in tono di sfida, e con passo lento ed elegante inizio a salire le scale, un gradino dopo l’altro, a testa alta.
“Faremo i conti dopo”, aggiunge mia madre, in un sussurro appena udibile, ma ugualmente minaccioso.

Mi richiudo la porta alle spalle, con un tonfo sordo, e resto a guardare contrariato la mia camera,  esattamente in disordine come l’avevo lasciata. È incredibile come il buonumore che mi era tornato stando fuori di casa sia già scomparso nel nulla.
Dannati Serpeverde razzisti e Mangiamorte.
Mi siedo pesantemente sul letto, incenerendo con lo sguardo Sirius nella sua gabbia, che poveretto non c’entra niente ma ha la sfortuna di trovarsi qui in questo momento.
Faremo i conti dopo, scimmiotto mentalmente la voce odiosa di mia madre. Ah, se pensano di farmi paura, non sanno quanto si sbagliano. Ed è meglio che non mi provochino, perché da James ho fatto rifornimento di materie prime per qualche scherzetto niente male…
Vergogna della famiglia… brutto insolente… macchierà il nome della Nobile e Antichissima Casata dei Black…”
“Kreacher”, respiro profondamente, puntando gli occhi sulla porta. “sparisci immediatamente”.
“Padron Sirius… che piacere rivederla.”, gracchia quell’inutile sottospecie di elfo domestico lasciando comparire da dietro la porta soltanto la punta delle sue orecchie da pipistrello. “La signora padrona Black la desidera in cucina”.
“E allora?”, sbotto io bellicosamente. “Dì che non ho voglia di alzarmi dal letto.”
“Kreacher non può dirlo. Kreacher deve portare padron Sirius in cucina, o padron Sirius si pentirà amaramente di essere nato. Così ha detto la mia padrona, signora della Nobile e Anti…-”
“Oh, ma sta un po’ zitto”, lo interrompo sbuffando.  “Va bene, vengo…”

“Sirius”, mi saluta freddamente mia madre, dandomi le spalle, appena entro nell’ampia cucina buia.
“Madre”, le rispondo altrettanto freddamente.
“Spero che ti sia divertito”, esordisce lei, voltandosi con una calma che mi fa rabbrividire. Odio quando mi guarda in quel modo, odio vedermi riflesso nei suoi occhi, così ghiacciati, così impenetrabili, così irrimediabilmente identici ai miei.
“Sì, molto, in effetti”, rispondo sardonico, sostenendo con alterigia il suo sguardo. “Sei stata molto gentile a lasciarmi andare, mammina…”
Forse a volte esagero un po’. Lo capisco dal lampo che per un attimo le attraversa lo sguardo, e dalla piega che assumono le sue labbra. Ma non lo faccio apposta. Cioè, forse un pochino sì, lo faccio apposta. È che è più forte di me…
“Sai, Sirius, io e tuo padre siamo molto adirati…”, sibila lei, calma come un serpente pronto a colpire. “… Non ti conviene scherzare con il fuoco”.
“Bene.”, ribatto io, arrogante. Tanto ormai il limite da non superare, beh, l’ho superato eccome. Se devono arrabbiarsi, almeno che gli dia una buona ragione per farlo. “Vuoi mettermi in punizione? Vuoi che pulisca i pavimenti, o che resti a digiuno per una settimana, oppure preferisci che…”
“…Dove sei stato, Sirius?”, mi interrompe lei con un altro sibilo, questa volta più rabbioso.
Per un attimo temo che possa sapere di Beatrice. Ma no, che sciocchezza.
“Perché, ti interessa?”, le chiedo provocatorio. A volte mi chiedo da dove mi venga tutto questo coraggio masochista, quando potrei chiedere scusa e andarmene in camera mia senza troppi problemi.
Però non sarei io, e non sarei un Grifondoro.
“Dimmelo. Adesso”, ringhia lei con rabbia, e capisco che sta per perdere la calma, come succede sempre, alla fine.
“Da un’amica”, rispondo in tono volutamente evasivo.
“Da un’amica?”, mi risponde con gelido sarcasmo.
“Esatto”, sbotto io.
“Da quale amica?”, mi domanda in tono carezzevole e minaccioso. Io non rispondo, limitandomi a fissarla con aria di sfida. “Perché lo sai che dovessi mai scoprire che tu frequenti una Sanguesporco…”
“Sarebbe un vero peccato”, sentenzio beffardo, senza esitare. Lei mi scruta con cipiglio duro, avvicinandosi elegantemente fino a sovrastarmi in modo minaccioso.
“Voglio sapere nome, cognome, stato di sangue e casa di appartenenza”, soffia con finta dolcezza.
“Ma neanche morto!”, ribatto tranquillamente. “E comunque sono stato da James, puoi chiederlo alla signora Potter, se vuoi. Ora, con il tuo permesso, me ne torno in camera”. Faccio per girarmi, ma lei mi artiglia con forza una spalla.
“Starai in camera tua, chiuso a chiave, fino a che non avrai imparato la lezione.”, sibila con cattiveria. “E poi io e tuo padre valuteremo se mandarti ancora ad Hogwarts, l’anno prossimo…”
“Sei impazzita?”, esplodo infuriato. “Io ad Hogwarts ci vado eccome, che ti piaccia o no!”
“Vedremo”, sbotta lei con una luce di maligna soddisfazione negli occhi. “Vedremo. E ora fila in camera tua, subito”.
Io mi scosto bruscamente e lascio la cucina senza una parola.
E SE DOVESSI SCOPRIRE CHE FREQUENTI UNA SANGUESPORCO, SAPPI CHE FINIREBBE MOLTO MALE, SIRIUS, DAVVERO MOLTO MALE!”
“Sì, certo”, bofonchio su per le scale. “Tu e la tua stupida ossessione per il sangue puro… ma per favore”, fino a che, sempre borbottando a testa bassa,  vado a sbattere con forza addosso a Regulus.
“Ehi, stai attento…”, bofonchia lui. “Dove sei stato?”, aggiunge in tono diffidente.
“Affari miei”, sbotto senza nemmeno fermarmi.
“Sirius”, mi richiama lui. Io mi giro a guardarlo interrogativamente. “Io lo so che tu e la Sanguesporco state insieme”.
“Non chiamarla Sanguesporco!”, gli ringhio contro.
“… e forse i nostri genitori dovrebbero saperlo”, continua imperterrito, soltanto una punta di debole nervosismo nella voce.

Un silenzio denso e pesante si alza in mezzo a noi, mentre restiamo a fissarci, io incredulo e ferito, lui freddo e inquieto.
Grigio contro grigio, rabbia contro indifferenza, dolore contro tradimento.
Tradimento. Ecco la parola giusta. Il filo sottilissimo che ancora teneva uniti me e Regulus, il minimo di affetto che ancora ci legava, si è appena dolorosamente spezzato.
Non tutti i litigi del passato. Non i dispetti e i torti fatti e subiti.
Poche parole, appena sussurrate, ed è crollato tutto.
“Che cos’hai detto?”, mormoro flebilmente, mentre qualcosa dentro di me inizia a cadere, cadere sempre più giù, lasciandomi una strana sensazione  di vuoto all’altezza dello stomaco.
“Hai sentito benissimo”, sbotta lui, abbassando per un attimo lo sguardo.
Di nuovo qualcosa di estremamente pesante inizia a cadere, lasciandomi per un attimo incapace di reagire. Solo per un attimo.
“Lo faresti sul serio?”, gli domando con una risata poco divertita.
“… Se non lo fai tu… i nostri genitori hanno il diritto di sapere”, mormora lui, evitando il mio sguardo.
“Lo sai vero che non potrò più tornare ad Hogwarts?!”,  gli domando, con un tremito nella voce che non riesco a trattenere. “Che sarò diseredato, che andranno a cercarla, che… ”, ma poi mi si spezza la voce, e rimango a fissarlo, muto.
Lui scrolla le spalle, altrettanto muto. 
“Ho capito.”, commento alla fine, con indifferenza. “Ti avranno fatto un bel lavaggio del cervello, e visto che tu sei troppo stupido per pensare con la tua testa…”
“Non dare la colpa a me, quando sei tu combini un casino dietro l’altro…”, ribatte lui con freddezza.
“Sai cosa c’è, Regulus?”, lo interrompo. “Mi fai schifo”. E senza aggiungere altro, mi richiudo in camera mia sbattendo la porta.

Sono stanco, sono stufo marcio di dover continuamente litigare con tutti, quando la mia è una guerra persa in partenza.
Mi hanno tolto tutto, a partire dalla libertà e a finire con Regulus. Non capisco nemmeno che senso abbia rimanere ancora in questa casa, quando non mi è rimasto nemmeno mio fratello.
Fa male rendersi conto che non gliene frega più niente di me. Fa male scoprire che alla fine i miei genitori hanno avuto la meglio. E fa ancora più male sapere che in fondo, se gli avessi dedicato più attenzioni in tutti questi anni, magari non sarebbe successo.
Fa talmente male, che alla fine un bruciore che parte dal cuore mi si diffonde in gola, nel naso, dietro le palpebre, e per la prima volta dopo ormai anni, lacrime calde mi si raccolgono ai bordi degli occhi, con insistenza, offuscandomi a tratti la vista. Le ricaccio indietro con tutta la rabbia che ho accumulato, prendendomela con me stesso. Poi mi stendo sul letto, e per tutto il pomeriggio non faccio altro che guardare il soffitto, in stato comatoso. Non mi muovo neanche quando sento Kreacher armeggiare con la serratura della porta, per chiudermi dentro borbottando allegramente.

Passa un giorno.
Nessun rumore, a parte il mio stomaco che brontola ripetutamente. Nessun segno di vita.
Vogliono lasciarmi morire di fame? Che si accomodino, io non ho la minima intenzione di cedere. E se quello stronzo di Regulus prova a parlare, non me ne importa un bel niente. Dopo gli spaccherò la faccia, certo, ma adesso non me ne frega. Potrei scrivere ai miei amici, chiedere di mandarmi da mangiare, ma non ha senso metterli in mezzo a questa storia assurda.
Resto immobile tutto il giorno, ad ascoltare il mio stesso respiro e il ticchettio indifferente dell’orologio.

Passa un altro giorno.
 Comincio ad essere vagamente inquieto, ma ancora non mi muovo. Sono troppo stanco, troppo svuotato. Lascio che la rabbia e la tristezza mi scivolino addosso e mi addormentino gli arti, mentre lo stomaco mi si contrae dolorosamente per la fame.

E poi arriva il terzo giorno.
 C’è qualcosa che non va, il cielo è troppo azzurro, stride in modo insopportabile con tutto il nero che ho dentro.
Sto per scoppiare, lo sento. Quando provo ad alzarmi, le gambe mi tremano incontrollabilmente e una fitta allo stomaco mi costringe a tornare a sedermi.
Un rumore strano, profondo. Mi guardo attorno, prima di accorgermi che sono io che sto ringhiando. Quanto pensavo di resistere, ancora?
So benissimo cosa devo fare. Della fiacca tristezza che mi ha buttato giù in questi tre giorni non è rimasto più nulla. Solo una collera determinata, che mi colpisce a ondate lente e regolari, mentre con lo sguardo fermo e infiammato raccolgo alla rinfusa gli oggetti sparsi per la stanza e li butto nel baule recuperato da sotto il letto. Una dozzina di lettere, la gabbia di Sissi e un calzino. Il baule si richiude con un clic.
 Guardo la porta, per un lungo secondo. Poi con un ghigno afferro la bacchetta dalla scrivania.
Alohomora”.
Con una spallata decisa spalanco la porta, e mi fiondo all’esterno, poi giù per le scale, con il baule che mi segue a mezz’aria.
“Dove stai andando?”
La sua voce, fredda e instabile allo stesso tempo, che mi colpisce alle spalle.

Non voglio girarmi. Non voglio doverti guardare negli occhi un’ultima volta, e pensare che non ti chiamerò mai più fratello.

“È  questo che volevi, no?”, mormoro con voce apatica, fissando il muro davanti a me. “Non dovrai mai più vergognarti di me.”
“Sirius, non starai… non puoi…”
Mio malgrado, mi volto a fissarlo.
E i suoi occhi, feriti, distanti, come una nebbia cieca e opaca, mi inseguiranno per sempre.

Addio, Regulus.

Le mie dita trovano da sole la maniglia della porta. Di nuovo quella luce abbagliante, intensa, che mi colpisce come uno schiaffo. Prima che faccia in tempo ad accorgermene, sono al centro della piazzetta deserta.
Per un attimo, di fronte alla vista della mia prigione, che si erge lugubre davanti ai miei occhi, una cupa soddisfazione si contrappone al dolore pulsante che mi scuote dalla testa ai piedi.

E addio per sempre anche a te, Grimmauld Place numero 12.

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Capitolo 25
*** Per sempre ***


Venticinquesimo capitolo: PER SEMPRE

Diseredato.

Per quanto me la ripeta dentro la testa, all’infinito, questa parola mi risulta ancora strana, amara e audace allo stesso tempo. Continua ad assillarmi, in ogni momento, mentre dormo e mentre scherzo con James, quando faccio finta di essere allegro, quando mi chiudo nei miei silenzi che non scoraggiano mai la signora Potter…
Da adesso in avanti, la mia vita è soltanto un grosso, vistoso punto interrogativo. Dove vivrò? Dai Potter, spero. Rivedrò mai più i miei genitori? Spero di no.
Perché l’unica certezza che ho è che con loro ho chiuso, per sempre. 

Tutto sommato, dai Potter non sto male. A parte la continua incertezza in cui vivo, la paura, in certi momenti quasi speranza, che la mia ormai ex-famiglia mi perdoni e mi costringa a  tornare da loro per cercare ancora una volta di recuperarmi…
Nessuno più dei Potter potrebbe aiutarmi, e nessuno altro posto, a parte Hogwarts, potrebbe sembrarmi più casa.


 

***

 

“SIRIUUUUUUUUS! C’È UNA VISITA PER TE!”
“Una visita?!”, esclamo stupefatto, saltando in piedi come se mi avesse punto uno Schiopodo Sparacoda. “Per me? Ha detto proprio per me?”
James alza le spalle, grattandosi la fronte con aria molto stupida.
“…Spero solo che non sia…”
“… Regulus, perché se è lui giuro che vado giù io e gli spacco quella sua brutta faccia da Black che si ritrova, senza offesa, naturalmente”, salta su James molto candidamente.
“Figurati, vecchio mio”, gli rispondo, mentre ci scambiamo uno dei nostri sorrisi. Un sorriso di complicità, e di gratitudine da parte mia, per avermi accettato come se fossi un fratello vero, per aver ancora una volta saputo dire la cosa giusta esattamente al momento giusto. “Io non sono più un Black”, commento scrollando le spalle.
Mente scendo le lunghe scale, il più lentamente possibile, non riesco a reprimere l’agitazione. Ho paura di brutte sorprese, ho paura di dover ancora una volta fare i conti con le mie stesse azioni.
Perché questa volta so di aver fatto bene. Non si può tornare indietro. Non c’erano altre alternative, ormai.
E poi, la persona sulla porta mi distoglie da qualsiasi altro pensiero. Uan persona a cui in questi giorni non ho minimamente pensato ma che, avrei dovuto saperlo, sarebbe stata la prima ad accorrere in mio aiuto.

“Zio Alphard.”, sussurro emozionato, sbattendo le palpebre, con un sorriso incerto appena disegnato sulle labbra.
Per un attimo sono sopraffatto dall’impulso di corrergli incontro e di abbracciarlo, in cerca di quell’affetto paterno che lui è sempre stato capace di darmi. Ma poi, mentre i dolorosi ricordi di un’infanzia persa per sempre combattono dentro di me, la freddezza Black che ancora è rimasta mi inchioda al pavimento.
“Sirius!”, esclama lui prendendo l’iniziativa e avanzando fino a stringermi in un abbraccio pieno di affetto e significato. Sempre detto, io, che zio Alphard tra i Black c’entrava ancora meno di me. “Come stai?”, mi domanda apprensivo, gli occhi di un nero liquido e stranamente caldo.
“Bene”, rispondo io, rigido.
“Per Salazar, che situazione”, sbotta lui, passandosi una mano davanti agli occhi, stancamente, mentre Dorea si dilegua silenziosamente in cucina, probabilmente per lasciarci un po’ di intimità. “Avrei voluto che venissi da me, mi avresti dovuto avvertire…”
“È successo tutto molto in fretta”, mi giustifico scrollando le spalle.
“Immagino, immagino”, commenta lui con un sorriso, scompigliandomi i capelli.
“E poi qui… va bene”, continuo guardandomi attorno.
“Sì, è vero”, afferma lui. “Lo sapevo che sarebbe successo, prima o poi…”, sospira poi, afflitto. “Con la tua testa calda…”
“Pensi che abbia fatto male?”, lo interrompo.
“No, proprio no… anch’io alla tua età ho pensato parecchie volte alla fuga… mi dispiace che sia successo, solo”.
Per un attimo stiamo in silenzio, entrambi a pensare alle stessa cosa.
“Zio, mi hanno… mi hanno…” La domanda mi sale spontanea alle labbra, come se fosse stata l’unica cosa che avevo bisogno di dire, fin dall’inizio. Come se solo sentendo ripetere quella parola ancora una volta, da un’altra persona, mi sia possibile riuscire a rassegnarmi e a iniziare a dimenticare.
“Diseredato.”, sussurra lui, con una smorfia dispiaciuta.
Diseredato. Un altro colpo allo stomaco, che mi fa mancare il respiro. Eppure lo sapevo, lo sapevo già nel momento in cui mi richiudevo la porta di Grimmauld Place alle spalle.
“Orion… ti ha bruciato dall’arazzo appena l’ha saputo”.
Queste parole, se possibile, mi fanno stare anche peggio.
E di nuovo, un altro ricordo, più forte e doloroso che mai, mi riappare nitido davanti agli occhi.

Zio Cygnus, la bacchetta levata davanti al maestoso arazzo del nostro – del loro – albero genealogico, con un’espressione decisa e feroce. Il resto della famiglia, riunito alle sue spalle, in un silenzio furioso.
“Cosa state facendo?”
“Tua cugina Andromeda è scappata. Lei non merita di portare il nostro nome.”
“Dromeda… Dromeda è scappata? E dove?”
“Con quel lurido Sanguemarcio. Ora non fa più parte della famiglia. Così sarà come se non fosse mai nata.”
“Non è vero, Dromeda …”

“Incendio.”

Zio Alphard sembra capire a cosa sto pensando. “Sirius, nel tuo caso è diverso… tu sei soltanto scappato di casa, non è detto che si riesca a sistemare…”
“Io non voglio sistemare niente!”, lo interrompo, orgoglioso. “Io non voglio il loro perdono”.
“Lo so”, mi risponde lui, sconsolato, e poi mi abbraccia di nuovo. “… I miei due nipoti preferiti sono stati entrambi diseredati, sarà il destino?”
Un’altra marea di ricordi, questa volta felici, che mi travolge. Le vigilie di Natale passate a giocare a palle di neve, io, Zio Alphard e Andromeda… I pomeriggi d’autunno, quando ci leggeva le storie di fronte al camino… Le estati, le prime volte in cui ho imparato ha volare su una scopa…
“Vienimi a trovare quando vuoi, Sirius, anche se in teoria non potrei… Davvero.”, mormora lui. Io annuisco, senza guardarlo negli occhi. “Oh, quasi dimenticavo!”, esclama poi, improvvisamente allegro. Rovista per un attimo nella tasca, con un sorriso felice che gli illumina gli occhi.“Tieni”, esordisce porgendomi una piccola chiave dorata.
Io la guardo perplesso. “Che cos’è?”
“La chiave della tua nuova camera blindata alla Gringott… ho pensato che se ti avessi lasciato una parte del mio patrimonio, sarebbe stato più facile…”
“Stai scherzando, zio?”, lo interrompo allibito.
“Affatto!”, mi risponde lui allegramente. “Quando sarai maggiorenne potrai comprarti una casa. Era il minimo che potessi fare, mi sembra. L’importante è che non lo venga a sapere nessuno della famiglia, altrimenti sono nei guai.”
Io continuo a guardare sconcertato la piccola chiave lucida. È proprio matto da legare, zio Alphard…
“Ora è meglio che vada, però”, continua lui come niente fosse, guardando l’orologio. “Ci vediamo presto, te lo prometto”, sentenzia ammiccandomi. “E comunque vadano le cose”, aggiunge con un sorriso sghembo, “ricordati che… non sei solo”.
“Grazie… di tutto”, sussurro con voce spezzata, cercando disperatamente le parole per dirgli quanto gli sono grato, e quanto sia stato contento di vederlo.
Faccio in tempo a mormorare ancora uno stupefatto: “A presto…”, che lui con un debole crac si è già smaterializzato.

Con uno strano miscuglio di emozioni nel cuore, alcune piacevoli, altre più amare, resto impalato per qualche minuto davanti alla porta.
Penso a Regulus, e mi chiedo cosa stia facendo in questo momento.
Penso al gesto gentile di zio Alphard, e mi rendo conto che lui ha ragione: non sono solo.
E poi penso che, nonostante tutto, non sarà così difficile.

***


 “… Era mio zio Alphard, mi ha regalato una camera blindata alla Gringott, alla Gringott, ti rendi conto, James?! Vuol dire che adesso sono del tutto autonomo …”, inizio a parlare a raffica appena entrato nella stanza, mentre James, rigidamente seduto alla scrivania, mi volta le spalle. “…non dovrò mai più preoccuparmi, e neanche dipendere dai tuoi genitori”, esclamo euforico, senza badare alla serie di sibili e ronzii che proviene da qualche punto imprecisato della stanza. “Potrò comprarmi… James, mi stai ascoltando?!”
“È meglio se lascio che si apra da sola, vero?”, mormora lui in risposta, immobile come una statua, mentre gli sfrigolii e gli sbuffi crescono d’intensità.
“James, cosa Merlino stai…”
JAMES POTTEEEEEEER!” Sobbalzo guardandomi attorno preoccupato, prima di rendermi conto che voce minacciosa e inquietantemente familiare proviene da qualcosa sulla scrivania di James.
 RAZZA D’IMBECILLE! NEMMENO D’ESTATE SI PUÓ STAR TRANQUILLI, VERO? MA COS’HAI SOTTO QUEI CAPELLI ORRIDI, CACCHE DI GUFO?!? ORA, ESIGO SAPERE CHI, CHI TI HA MANDATO IL MIO INDIRIZZO! PERCHÉ LO ANDRÓ A CERCARE PERSONAMENTE E LO SGOZZERÓ CON QUESTE MIE STESSE MANI, HAI CAPITO?”
Durante la breve pausa che la voce si concede per riprendere fiato, James si volta verso di me con un sorrisetto rassegnato.
E NEL CASO IL TUO UNICO NEURONE NON FOSSE RIUSCITO AD ARRIVARCI: NON VERREI A CASA TUA NEANCHE SE ME LO CHIEDESSE GODRIC GRIFONDORO IN PERSONA! AH, E PER LA PRIMA USCITA AD HOGSMEADE DI QUEST’ANNO: HO DI MEGLIO DA FARE!”
E infine, con un ultimo, altisonante “IDIOTA!”, la Strillettera si accartoccia su se stessa, ancora fumante. James insipira profondamente.
“Era bella lunga, eh?”, commento ironicamente. “Mi pare di aver capito che non vuole venire. O sbaglio?”, inizio a provocarlo. In questo momento, la cosa di cui ho più bisogno in assoluto è una bella lotta alla malandrina.
“Però ha risposto”, ribatte James, sereno. “Significa che, inconsciamente, io le manco!”
“Già, non fa una grinza, Jamie!”, annuisco io, convinto. “Vuoi che ti aiuti ad appenderla sopra il letto?”, gli domando sghignazzando piuttosto gentilmente, l’indice puntato contro la Strillettera.
“Lascia perdere”, bofonchia lui guardandomi torvo
Io con un sospiro mi siedo ai piedi del letto, tornando improvvisamente serio.
“So a cosa stai pensando”, afferma lui tranquillo. “E so anche cosa ti serve”, continua, con un sorriso misterioso. Poi dà un’occhiata fugace all’orologio. “Ti va una partita a Sparaschiocco?”
“Una partita a Sparaschiocco?!”, ripeto io con una risata incredula. “James, da quanti anni è che non giochiamo a Sparaschiocco?!”
“Appunto”, replica lui, con un sorriso da un orecchio all’altro.

Con la seria convinzione che James si sia completamente bevuto il cervello, accetto di malavoglia una partita a Sparaschiocco.
James però ha cominciato a comportarsi in modo davvero strano. A parte il fatto che non sembra mostrare più di tanto interesse per qualsiasi cosa io cerchi di dirgli, continua a guardare di nascosto l’orologio, e, cosa ancora più strana, a stare in silenzio, salvo borbottare dei numeri di tanto in tanto.
In breve, si comporta esattamente come quando a Hogwarts sta per iniziare uno dei nostri scherzi, ma di quelli grossi.
E questa cosa è molto, molto preoccupante.
“Dai, smettila”, sbuffo alla fine, nervoso.
“Non sto facendo niente!”, protesta lui, con gli occhi spalancati e un sorriso enorme.
“James, non ci crederebbe nemmeno Mocciosus”, ribatto pazientemente.
“Sul serio, ti dico che…”
“...Tanto lo sai che lo scoprirò in due secondi!”
“Merlino, Sirius, davvero!”
“No Bambi, è inutile che fai gli occhi dolci con me…”
“Fottiti, Sirius, adesso ti faccio vedere…”

Siamo sul punto di passare alle mani, quando una raffica di pugni colpisce la porta.
“Vai tu!”, esclama immediatamente James.
“No, tu”, protesto con un ghigno.
“Per Morgana, vacci tu!”
“Tu!”
“È casa mia, decido io!”
“E io invece…”
“MERLINO, FATE GLI IDIOTI ANCHE QUANDO SIETE DA SOLI?! MI APRITE QUESTA MALEDETTA PORTA O LA DEVO BUTTARE GIÙ??”, sbotta una voce calda, familiare  e molto meno pacata del solito, mentre i colpi alla porta riprendono.
Io guardo prima la porta, poi di nuovo James e poi di nuovo la porta  con gli occhi spalancati, mentre lui mi sorride trionfante. Con un balzo canino scavalco il letto e mi scaravento contro la porta, per poi spalancarla di botto, sbattendola con precisione addosso ai miei due migliori amici.  
“Lunastorta!”, urlo tendendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi dal pavimento.
“Felpato!”, squittisce Peter sgusciando dentro la camera.
“Codaliscia!”, lo saluta James correndo verso di noi. 
“E Ramoso”, conclude ironicamente Remus chiudendosi la porta alle spalle.
“… e io?”, si inserisce una voce timida.
Mi giro verso la porta talmente di scatto che ci metto qualche secondo a metterla a fuoco.
E lei è davvero troppo. Troppo inaspettata, troppo bella, con quel sorriso brillante negli occhi… ma probabilmente il mio è un giudizio di parte.
“Ehi…”, mormoro senza parole, allargando le braccia e lasciando scorrere lo sguardo sulle quattro persone che amo di più al mondo.
E di lì è un attimo; senza che nessuno dica niente una frazione di secondo dopo ci troviamo a ridere, uniti in un abbraccio strettissimo.
“Vecchio Cornuto, potevi dirmelo che era questo!”, esclamo scompigliando a caso la prima chioma di capelli che mi capita sotto mano, mentre penso che, diseredato o no, la mia famiglia è questa.
E nel groviglio di braccia e mani, quasi mi avessere letto nel pensiero cinque piccole dita si stringono delicatamente attorno alle mie, più confortanti di qualsiasi parola.

Quando torno a sedermi sul letto di James, sempre sorridendo in direzione dei miei amici, un silenzio un po’ teso prende il posto delle esclamazioni e dei saluti di prima.
Si aspettano che parli, che faccia qualche discorso, che tiri in ballo l’argomento per potermi dire che a loro dispiace.
“Sentite”, mormoro passandomi una mano sopra gli occhi. “Non importa, è andata come è andata… non dovete preoccuparvi. Io… io”, poi mi blocco. Quello che vorrei dire è davvero troppo sentimentale. “beh, io… sono contento che siate venuti”.
“È stato per colpa mia!”, boccheggia Beatrice sgusciando da sotto il braccio di Remus e correndo verso di me. “I tuoi genitori… è stato per colpa mia.”, mormora nascondendo il viso contro la mia spalla. Santo cielo, lo sapevo che passare così tanto tempo con Remus le avrebbe fatto male!
“Ecco… ti pareva”, cantileno alzando gli occhi al cielo e stringendola a me. “Non cominciare, okay?”. “Lo sappiamo benissimo tutti e due che doveva succedere”. Lei si dimena, a disagio. “Quindi vedi di stare buona”, le ordino alzandole il mento e fissandola negli occhi colmi di disappunto.
“Va bene, non parliamone più”, consiglia Remus, tranquillo. “Non si piange sulla pozione versata. Sirius è in gamba, se la caverà.”
“Infatti”, concorda James. “E poi ti rende ancora più figo essere scappato di casa, lo sai?”
“Lo so”, sghignazzo io.
 “Dovresti solo diventare un po’ più maturo, non è vero, Sirius?”, considera Remus.
“Cos’ho fatto, adesso?, gemo esasperato.
“Questo”, sbotta lui prendendo dalla scrivania una delle numerose pergamene. “Non è forse la tua calligrafia, questa?”
“Ops”, commenta James guardando innocentemente il soffitto.
“Che cos’è?”, chiedono in coro Peter e Beatrice.
Remus si schiarisce la gola. “Uhm, vediamo… ‘Come sabotare i festini del Lumacone in tre semplici mosse’… ” “Sembra interessante”, aggiunge con ironia.
“Beh? Fantastico!”, esclama Beatrice entusiasta. “Ho sempre sognato di sabotare le feste del Lumaclub!!”.
“Iniziamo bene”, sospira Remus fiaccamente.
“E allora, per quanto vi fermate??”, domando felice rivolgendomi ai tre nuovi arrivati.
“Una settimana, fino alla fine delle vacanze!”, esclama Beatrice raggiante, sorridendo a James. “La signora Potter ha chiamato i miei genitori, è l’unica strega che conosco che è riuscita a capire come si usa il telefono.”
“Così abbiamo una settimana per spassarcela, prima che ricominci lo studio”, constata James allegramente.
“James, tu non hai mai studiato a scuola”, replico io scuotendo la testa.
“… Potremo fare tutto quello che ci va”, continua James con gli occhi che brillano. “Gli ultimi ritocchi ai piani miei e di Sirius…”
“… Un ripasso generale per non ricominciare impreparati”, si inserisce Remus in tono ragionevole.
“Oh, ma per favore!”, protesta James fulminandolo con lo sguardo.
“…Perché non facciamo merenda, intanto?”, propone Peter piuttosto ragionevolmente.

 ***


“Io e la Summer contro voi tre!”, esclama James con un sorriso esaltato uscendo dalla cantina con cinque vecchie scope tra le braccia.
“Io non voglio giocare a Quidditch!”, protesta flebilmente Pet, allontanandosi per precauzione da James.
 “Io devo cominciare ad allenarmi”, replica James gonfiando tronfiamente i biciti. “Scricciolo, vieni qua”, chiama Beatrice.
“Io non sono tanto brava a Quidditch, lo sai, vero?”, lo avverte lei con una risatina.
“Sciocchezze”, ribadisce lui, lanciando a ciascuno una delle scope, con il suo sorriso idiota che di solito può vuol dire due cose: Evans, oppure Quidditch.
Beatrice dandosi una leggera spintarella sui piedi  si alza immediatamente di parecchi metri, seguita a ruota da James e da Remus, un po’ titubante. Poi, con un’aggraziata piroetta a mezz’aria si gira verso me e Peter. “Cos’è, avete paura di perdere?!”, ci urla in tono canzonatorio.
“Aspetta che arrivi e poi ne riparliamo!”, la minaccio salendo a cavalcioni della mia scopa e puntando verso il cielo. Lei con una risata scende in picchiata, per poi risalire. Vola molto bene, alla pari di James, direi; sono quasi sul punto di farle i complimenti, ma poi cominciamo a giocare con la Pluffa, e vedendola andare a sbattere contro Peter e lasciarsi scappare la palla in modo vergognoso, cambio immediatamente idea.

“REMUS! PRENDI QUELLA MALEDETTA PLUFFA!”, sbraito infuriato molto tempo più tardi, dopo che Peter ha lasciato passare ingloriosamente la quattordicesima goal di Jamie.
“Eh… ci provo”, replica lui con un sorriso remissivo.
Io sospiro sconsolato, e mi libro sopra di loro, lasciando vagare lo sguardo sulle colline circostanti, con la mente di nuovo lontana. Per un attimo mi sento di nuovo triste.
Ma in fondo ero questo che volevo, no? E di sicuro sto meglio ora, a giocare a Quidditch con i miei migliori amici, che chiuso in quel posto in mezzo a gente che mi odia.
E poi ho zio Alphard. Per non parlare di di Dorea e Charlus. Sì, onestamente, non so proprio di cosa lamentarmi, penso con un sorriso, guardando i miei amici uno dopo gli altri, con il cuore che mi sembra scoppiare di affetto.
James, che anche sulla scopa si arruffa involontariamente i capelli, come se non bastasse il vento.
Peter, che si aggrappa alla scopa con tutte le sue forze, guardando sconsolato il prato sotto di lui.
Beatrice, che ridendo a crepapelle sta sperimentando una nuova tecnica di volo, a testa in giù, e che in questo preciso istante sta andando a schiantarsi contro la chioma dell’unico albero nel raggio di metri.
E Remus, che mi sta osservando attentamente. So che capisce tutto quello che penso, che riconosce il mio sorriso esitante, e tutte le contraddizioni che sento dentro. Mi sorride, gentile come sempre, per poi tornare a volare.
Sono felice, perché non potrei avere degli amici migliori di loro.
C’è solo una spina, un’ombra fugace che se ne sta nascosta da qualche parte, sempre pronta a riapparire: Regulus.
Ma pazienza, forse così è meglio per entrambi.
E imparerò.
Imparerò a smettere di volergli bene.

Pian piano scendo di nuovo verso terra, subito imitato da James e Peter, e mi stendo sotto l’albero accanto a e Remus e Beatrice.
E mentre sono lì, stretto tra Peter e Remus, tutti e cinque così vicini da riuscire a sentire ogni singolo respiro che vibra nell’aria, scopro di sentirmi davvero bene, bene come non mi sentivo da tempo.
“Rimarremo così per sempre, vero?”, chiedo a bruciapelo passando le braccia attorno spalle di Pet e Rem.
“Per sempre.”, rispondono le quattro voci insieme, tutte diverse, eppure identiche nel tono.
 È un per sempre che suona come amicizia, armonia, lealtà, fino alla fine.

In una parola, che suona come Malandrini.






Note dell’autrice:
Ciao a tutti!!!!
Aaaallora… Questo era niente di meno che l’ultimo capitolo della seconda parte della ff, quindi, udite udite, dal prossimo torna a raccontare Beatrice (grazie a Deus, non ce la facevo più). Per questo ho cercato di fare una conclusione seria (che mi è venuta davvero di merda, tra l’altro), perché non so quando tornerà Sirius, e per questo ci ho messo così tanto a pubblicare… no, non è vero  :’D è che sono pigra.
Vabè, un grazie enorme a tutti voi, come sempre <3 Spero di riuscire a pubblicare un altro capitolo prima di Natale, ma ovviamente non prometto nulla…
In ogni caso alla prossima!
Trixie

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Capitolo 26
*** Il ritorno alla normalità ***


TERZA PARTE

Ventiseiesimo capitolo: IL RITORNO ALLA NORMALITÀ

La mia vita stava prendendo una gran bella piega.

Quella sera, comodamente stravaccata su una delle tante poltrone della Sala Comune, lo sguardo perso nelle fiamme del caminetto e le gambe incrociate, dopo svariati minuti di riflessione solitaria giunsi alla conclusione che sì, ultimamente la mia vita aveva preso proprio una bella piega.
Bastava guardarmi: chiunque dall’esterno si sarebbe reso conto che io, Beatrice Summerland, ero una ragazza felice. Il mio quinto anno di scuola era iniziato da poco più di una settimana, Hogwarts non era mai stata tanto accogliente e familiare, e sembrava che qualunque cosa fosse destinata ad andare per il meglio.
E poi, avevo ancora due anni da passare insieme a James, Sirius, Peter e Remus. Due anni pieni, intensi, che avremmo occupato fino all’ultima giornata.

Ci sarebbe stato da divertirsi, come sempre.

***

La mattina del  10 settembre mi svegliai decisamente di buon’ora con il fastidiosissimo rumore delle ciabatte di Heloïse che strisciavano sul pavimento verso il bagno, come se non avesse abbastanza forza (o abbastanza intelligenza) per staccare i piedi da terra.
Nascosi la testa sotto il cuscino, maledicendo la sua pessima abitudine (che avevo completamente rimosso durante l’estate) di farsi la doccia così presto. Ma dopotutto avevo avuto più di due mesi di pace estiva, quindi era normale che quella mattina mi sentissi molto più misericordiosa del solito nei suoi confronti. Tanto misericordiosa che, senza nemmeno aver preso in considerazione l’idea di alzarmi dal letto, andare in bagno, prenderla per i capelli e ritrascinarla a dormire, mi rigirai su un fianco e decisi di riaddormentarmi.
E c’ero anche quasi riuscita, a riaddormentarmi, se non fosse che proprio nel momento in cui la porta scorrevole della doccia si stava aprendo, un rumore molto peggiore delle ciabatte che strisciano svegliò non solo me, ma l’intera casa di Grifondoro, probabilmente. Si trattava di un urlo disumano che avrebbe fatto morire d’infarto chiunque non conoscesse Georgia.
“HELOÏSE, LA DOCCIA DI MATTINA: NO, NO E NO!!!!”
La porta della doccia smise di scorrere.
“Ma brava, così adesso sei riuscita a svegliare anche me!”, sbuffò Juliet, la voce soffocata sotto le coperte. Aprii pigramente uno spiraglio delle tende a baldacchino, giusto in tempo per vedere Georgia camminare a testa bassa pestando i piedi, in posizione di attacco, con tanto di pigiama con le pecorelle.
Sapevo cosa stava per succedere. Una delle litigate mattiniere tipiche della nostra camera che si concludevano regolarmente con Emmeline Vance che veniva a controllare se stavamo tutte bene.
“Allora?!”, sbraitò Georgia, con un tono di voce che, tutto sommato, era ancora abbastanza controllato. “Non te l’ho mai detto che in questa camera non si tollera la doccia di mattina presto?! Non te l’ho mai detto, vero?”
“Oh, che rompipluffe, Georgia…”, protestò lei. “Stavo solo…”
“Stavi solo un bel niente! Se hai voglia di far casino all’alba vai a dormire dal tuo Jackuccio e lasci noi in pace!”
“Guarda che qua l’unica che sta facendo casino sei tu!”
Aprii del tutto le tende rosse del baldacchino e mi sedetti al bordo del letto, con un gran sorriso. Adoravo quando Georgia ed Heloïse litigavano per la doccia. Quando non ci finivo in mezzo io, naturalmente. Juliet sembrava pensarla allo stesso modo, o in ogni caso non era turbata dal fatto che Georgia stesse uccidendo la sua migliore amica (o almeno così pareva, a giudicare dagli strani tonfi che provenivano dal bagno).
“Secondo te cosa stanno facendo?”
Juliet si appiattì la frangia, guardando assonnata fuori dalla finestra. “Georgia sta cercando di affogarla dentro la tazza del water?”
“Può darsi”.
Siamo proprio tornati alla normalità., pensai sorridendo. Ed era talmente un bel pensiero che vinsi del tutto il sonno e andai a buttare Juliet giù dal letto, rischiando di causare la seconda lite della giornata. 

Dopo che Georgia ed Heloïse ebbero finito di litigare, urlandosi contro per circa venticinque minuti, dopo che Juliet le ebbe sgridate per altrettanto tempo adempiendo al suo nuovo compito di Prefetto, e dopo che io fui intervenuta per ricordare che mancavano venti minuti all’inizio delle lezioni, che eravamo ancora tutte e quattro in pigiama e che tra l’altro Heloïse doveva ancora farsi la doccia, finalmente riuscimmo a scendere in Sala Grande per la colazione.
Le quattro tavolate erano ormai quasi interamente vuote, soltanto pochi ritardatari arrivavano di corsa, con i capelli arruffati, afferravano al volo qualcosa dai vassoi e correvano nuovamente via. Al tavolo dei Grifondoro oltre a noi c’era soltanto un ragazzo del terzo anno che sembrava essersi addormentato direttamente dentro al piatto di bacon. 
“C’è poco cibo.”, constatò lugubremente Heloïse.
“E c’è di peggio”, aggiunse Juliet con un risolino sadico guardando l’amica. “Oggi iniziamo con Pozioni, te lo ricordi?”
“Insieme ai Serpeverde”, rincarò Georgia.
Heloïse con un gran tonfo appoggiò sul tavolo la caraffa di succo, svegliando il ragazzo del bacon. “Io non vengo”, sentenziò piccata. “Voi fate come vi pare”.

***
 

“Bene, ragazzi miei!”, tuonò giovialmente Lumacorno, uscendo dalla porta dell’aula con la sua pancia infinita.
Heloïse sbuffò piuttosto sonoramente. Era ancora più di malumore, dopo essere stata costretta da Juliet a venire lo stesso a lezione. Io mi nascosi un po’ di più dietro a Georgia, continuando a tenere gli occhi fissi al pavimento, torturandomi le mani in grembo. Per me quell’anno Pozioni con i Serpeverde era un evento particolarmente spiacevole, ancora più che per gli altri Grifondoro, Heloïse compresa. Anche se non ero un disastro completo come lei, c’era un motivo particolare per cui avrei preferito trovarmi in qualsiasi altro posto, anche a pulire la sala dei trofei con Gazza. E quel motivo era una persona che, dall’inizio della lezione, non aveva smesso neanche un attimo di fissarmi con un’espressione di odio puro, freddo e furioso. Io, da parte mia, non avevo ancora alzato gli occhi. Temevo lo sguardo di quegli occhi di ghiaccio perché, anche se non avevano niente del calore e della strafottenza di Sirius, li amavo.
“… che non è una pozione particolarmente facile. Per questo ho deciso di dividervi a coppie. Ci sono domande?”. Tornai bruscamente alla realtà con la voce fastidiosa di Lumacorno, che stava passeggiando attorno agli studenti e mi era passato particolarmente vicino.
Veramente sì, visto che non ho ascoltato mezza parola.  “Bene, nessuna domanda. Ogni coppia prenderà gli ingredienti dall’armadio delle scorte, e la prima a ottenere un buon risultato vincerà un premio.” “Bene, cominciamo!”. Esclamò battendo allegramente le mani.
Avevo già avuto modo di sperimentare fin troppe volte le coppie di Lumacorno. Aveva lo speciale dono di mettere insieme le persone secondo criteri assurdi. A volte riusciva persino a far nascere nuovi amori, con le sue strane combinazioni. Ma nella maggior parte dei casi, soprattutto quando c’ero io di mezzo, finiva sempre male.
“I Serpeverdi con le nostre graziose Grifondoro, i Grifondoro invece con le Serpeverdi”. Ecco. Chissà perché, avevo come il presentimento che questa lezione sarebbe andata a finire molto male.
“Ma io non so!”, sbuffò irritata Georgia. “Se lui lo trova divertente…”
“Non dirmelo”, mormorai depressa.
“Mulciber!”, echeggiò la voce di Lumacorno. “Insieme alla signorina Hill”. Georgia si alzò di malavoglia e andò a sedersi accanto al grosso Serpeverde. “Nott… con la signorina Conrad.” “Vi prego di fare attenzione”, aggiunse  guardando Heloïse con aria di rimprovero. “Juliet, tu vai con Albert”.
“Ma perché!?”, gemette Juliet sconsolata.
“Già, perché?”, ripetei alzando appena gli occhi, sapendo chi mi toccava. “…Regulus con la signorina Summerland, visto Beatrice sembra avere una particolare predilizione per i Black. E come darle torto?!” Io gli scoccai un’occhiata furiosa,  mentre lui scoppiava a ridere e  continuava a chiamare le sue coppie senza senso.
Vecchio tricheco obeso, con il tuo pessimo senso dell’umorismo, lo insultai mentalmente mentre portavo un calderone al nostro tavolo. Stavo disponendo ordinatamente gli ingredienti uno accanto all’altro (almeno cercare di far bella figura),  quando sentii arrivare Regulus e sedersi di fianco a me, sbattendo un pugno sul tavolo. Mi accorsi di avere le mani completamente sudate e la gola secca.
“Che pozione è?”, gli domandai con un filo di voce, senza staccare gli occhi dal tavolo.
“Sai leggere?”, mi rispose con un tono talmente freddo e sprezzante che non potei fare a meno di alzare gli occhi sul suo volto, deformato dalla rabbia. Sirius mi aveva sempre detto che Regulus era impenetrabile, non si riusciva mai a capire cosa gli passasse per la testa. Ma non era proprio vero.
Okay, è soltanto un’ora. Finisci la pozione e poi vattene., cercai mentalmente di calmarmi.
Se almeno lo avessi odiato come lui odiava me, sarebbe stato tutto molto più facile. Gli avrei risposto in malo modo come facevo con tutti gli altri Serpeverde, senza tanti problemi. Invece la somiglianza con il fratello me lo rendeva impossibile. Anzi, mi metteva in soggezione.
Cercai di ignorarlo e lessi attentamente le istruzioni alla lavagna.

Pozione del fuoco:
1. Triturare le piume di fenice in una polvere finissima.
2. Versare l’infuso di occhi si salamandra fluviale nel calderone, dopo aver acceso il fuoco a 320 gradi.
3. Aggiungere la polvere di piume di fenice.

“Stai sbagliando. Dovevi prima accendere il fuoco.”. Adesso la sua voce era priva di intonazione, annoiata.
“Va bene”, annuii nervosa e ricominciai da capo. Concentrazione, Beatrice. Concentrazione.

4. Con il pestello polverizzare 2 grammi di ossidiana.

“Intanto tu potresti andare avanti con il resto…?”, gli chiesi incerta guardandolo di sottecchi. Lui mi rivolse un’altra occhiata di disprezzo, prima di afferrare con malagrazia delle code di lucertola.
Mi guardai brevemente attorno, e mi accorsi che anche al tavolo di fianco le cose non andavano benissimo. Kenny e la sua compagna di tavolo si stavano insultando a bassa voce (lei con il volto annerito dalla cenere e sudato), senza rendersi conto che la pozione si era riversata fuori dal loro calderone, inzuppando libri e ingredienti.
“Ti vuoi sbrigare?”, esclamò aspramente Regulus.
“Non è colpa mia se Lumacorno ci ha messi insieme. Stai tranquillo che non fa piacere nemmeno a me”, trovai il coraggio di ribattere. Lui mi guardò di nuovo dall’alto in basso, con quegli occhi grigi che mi facevano rabbrividire.
“Ti ho detto di sbrigarti, stupida Sanguesporco”, ripetè, con freddezza. Rimasi a guardarlo a bocca aperta, con gli occhi che mi si appannavano di lacrime di rabbia. Era una sensazione particolarmente brutta sentirsi trattare in quel modo dal fratello del proprio fidanzato, soprattutto perché nessuno mi aveva mai insultato così cattivamente. Abbassai gli occhi mordendomi le labbra.
“Non so quali siano i tuoi problemi”, replicai con la voce che tremava. “E sinceramente non mi interessa. In ogni caso non sei nessuno per darmi della stupida Sanguesporco, prova a farlo un’altra volta e ti assicuro che finisce male”.
Come sempre quando mi arrabbiavo, avevo straparlato, esagerando. Non era vero che non mi interessavano i suoi problemi, e avrei voluto che lo sapesse. Arrossii violentemente, pentendomi già di quello che avevo detto. Mi sentivo stupida e infantile, a parlare in quel modo quando avrei soltanto stare zitta e lasciarlo in pace, perché in fondo se mi odiava non potevo proprio dargli torto. 
“Sei tu la causa di tutti i miei problemi.”, sibilò lui. “Tu e il tuo sangue marcio.” Non potei fare a meno di guardarlo. I suoi occhi erano gelidi, ma anche stranamente fragili. Mi accorsi che non avevano esattamente lo stesso colore di quelli di Sirius, ma una sfumatura appena più chiara.
 “Non hai comunque il diritto di insultarmi.”, ribattei sbattendo il pestello sul tavolo e restituendogli l’occhiata sprezzante. Anche se era il fratello di Sirius, non era proprio il caso di farsi intimidire. E cominciavo a capire come mai Sirius si trovava così male a casa sua.
“Tu meriti di venire insultata”. “Meriteresti anche di peggio. Ma stai tranquilla, non m’importa niente di te e di quello stupido di Sirius. Tu sei una Sanguesporco, lui è un traditore, siete proprio una bella coppia.”
“Hai finito?”, sibilai guardandolo in cagnesco. “Ci credo che Sirius è scappato di casa, se lo trattavi così…”, replicai cattiva.
“… Regulus, signorina Summerland, perché non lavorate?”, esclamò Lumacorno in quel momento, guardandoci bonariamente. “Non vorrai mica rubare la fidanzata a tuo fratello, vero?”, continuò ridacchiando imperturbabile.
Regulus strinse le mani in due pugni, io per la seconda volta guardai Lumacorno con un misto di disperazione e odio profondo. Ma tanto lui non capiva niente, come al solito.
Ma perché non può comportarsi come un professore normale?!, mi domandai iniziando a mescolare la pozione, senza curarmi del fatto che nelle istruzioni c’era chiaramente scritto di non farlo.
“Stai ferma!”, esclamò Regulus. “Sei proprio un’incapace, e poi dicono che…”
“… Senti, va bene”, ribattei stizzita. “Fallo tu, io non sono brava, okay?”

Per il resto della lezione restammo ostinatamente in silenzio, lui a rimediare ai miei disastri, io a fissare uno scarabeo essiccato sul tavolo. A volte sentivo che si interrompeva per lanciarmi un’occhiata irritata e sdegnosa, ma ero troppo arrabbiata per farci caso.
Infantile, arrogante e di mente chiusa, ecco com’era. Eppure, nonostante avesse passato quasi un’ora ad insultarmi bellamente, quando non ci eravamo nemmeno mai parlati prima, mi faceva un po’ pena. Doveva essere stato brutto, per lui, aver perso Sirius in quel modo.
Al suono della campanella scattai in piedi e senza nemmeno aspettare che Regulus portasse la pozione alla cattedra, scappai fuori.
Oh, grazie., pensai con sollievo respirando l’aria fresca. Un altro minuto lì dentro e sarei potuta impazzire. Corsi lungo le scale, distanziandomi il più velocemente possibile da Lumacorno, Pozioni, Regulus e i Serpeverde in generale, continuando ad insultare mentalmente la stupidità di certe persone, alias Lumacorno.
“Ehi, Bea! Bea!”
 Sirius e James mi stavano correndo dietro, gesticolando. “Bea, fermati!”, esclamò Sirius afferrandomi per un gomito e trascinandomi dietro un’armatura. “Non puoi immaginare … capiti proprio al momento giusto!”, esclamò con la sua tipica espressione da “ho appena combinato qualcosa di grosso”.
“Wow, fantastico”, risposi laconica.
“Qualcosa non va?”, mi chiese Sirius dandomi un buffetto sulla guancia.
“Qualcuno ti ha fatto arrabbiare?”, fece James con voce apprensiva. “Dì a mammina e papino chi è stato, che gli spaccano la faccia!”
Alzai gli occhi al cielo e mi lasciai scappare un sorriso. Dopotutto, che me ne importava se anche quell’arrogante di Regulus mi dava della Sanguesporco, quando finalmente ero tornata ad Hogwarts, a combinarne di tutti i colori insieme ai Malandrini? Di quella lezione disastrosa ne avrei parlato a Sirius dopo, magari la sera. In fondo era giusto che lo sapesse, rimaneva pur sempre suo fratello…
“Quindi, di che si tratta?”, domandai con un ghigno scacciando il resto dei pensieri.  
Sirius si guardò fugacemente attorno, poi estrasse dalla tasca una pergamena. Per un attimo pensai che si trattasse della Mappa.
“Sgraffignata dalla camera di Rookwood”, sussurrò James orgoglioso a mo’ di spiegazione.
“Che cosa?!”, esclamai stupefatta.
“Sssssh, leggi”.
Aprii il foglio e lo esaminai attentamente: era quasi interamente vuoto, a parte per una sequenza di numeri intervallati da alcune lettere, il tutto annotato minuziosamente con un inchiostro verde. Un angolo della pergamena era strappata. Onestamente, non avrei saputo proprio dire di cosa si trattasse. Mi morsi un labbro e continuai a studiare i numeri, scervellandomi per parecchi minuti sui possibili significati, ma alla fine mi dovetti arrendere.
“Non capisco”, ammisi alla fine con riluttanza.
“Be’, neanche noi”. Sirius scrollò le spalle. “È questo il problema. Pensavamo che tu potessi aiutarci”.
 “È strano, no?”, mormorò James scompigliandosi i capelli.
“Sì, è strano”, ripetei io sovrappensiero. “Dite che c’entra con la storia dell’anno scorso.”
“Potrebbe essere, no?”
“E non potremmo chiedere a Juliet se…”, esordì James pensieroso.
“No, meglio di no. Ha già avuto tanti problemi con lui, non voglio farle pesare anche questo”, lo interruppi decisa.
“Giusto”, disse Sirius.
“E allora”, esclamò James con un tono particolarmente malandrino, “non ci resta che arrangiarci alla nostra maniera!”
“Ben detto, Ramoso!”, concordò Sirius.
“Sì, e magari abbassate la voce, no?”, sussurrai ironicamente, accennando al Serpeverde che era appena passato dopo averci squadrato sospettosamente.
“Dacci… un mesetto di tempo”, disse James ignorandomi , “e metteremo Rookwood con le spalle al muro”.
“Non credo proprio”, lo contraddissi ridendo. “Dovevamo anche capire perché fosse scomparso l’anno scorso, e adesso ne sappiamo ancora meno”. Era una cosa divertente e un po’ esasperante il fatto che ogni giorno ci fosse una nuova sorpresa, un nuovo pasticcio in cui James e Sirius si cacciavano, e in cui poi irrimediabilmente finivamo tutti in mezzo. “Però avete ragione”, aggiunsi smettendo di sorridere. “Dobbiamo venirne a capo. Sono sicura che è una cosa seria”.
“E tu non dovresti essere a lezione?”, mi interruppe Sirius con un ghigno.
“Incantesimi, cavolo!”, esclamai io. “È colpa vostra che mi cacciate sempre in qu…”
“Sìsì, certo”, mi interruppe Sirius. “Ci vediamo stasera”, mi salutò chinandosi a stamparmi un leggero bacio sulla tempia.
“Ciao!”, li salutai con un sorriso, per poi correre via.

***
 

“Rem? Sai di quella cosa che hanno trovato James e Sirius?”, domandai quella sera a Remus, mentre lui scartava furtivamente una tavoletta di cioccolata alle nocciole. Come al solito eravamo in Sala Comune a chiacchierare. Era un po’ una nostra tradizione, quella di passare la sera insieme a raccontarci cosa ci era successo durante la giornata. Lui cercando di non dare nell’occhio, in modo che non arrivasse James ad elemosinare,   si mise in bocca un grosso pezzo di cioccolato.
“Me ne dai un po’?”, chiesi speranzosa.
“No”, rispose senza scomporsi, con un sorriso sereno. “Comunque…”, esordì poi con la bocca piena di cioccolato,“…quei due dovrebbero smetterla di andare in cerca di avventure. Alla fine non concludono mai niente….”
“Però ques’anno non ci sono più i G.U.F.O”, ribattei io. “Avranno tutto il tempo che vogliono per mettersi nei casini”.
“Però in compenso toccano a te, i G.U.F.O.”, esclamò severamente. “Dovrai impegnarti molto!”
“Ma sì, lo sai che lo farò…”, replicai con un sorriso pigro.
“Soprattutto in Pozioni”, aggiunse lui. Il sorriso mi morì sulle labbra.
“Odio Pozioni”, sbottai afflitta. “E odio Lumacorno, e odio...”
“Regulus?”, mi precedette lui in tono comprensivo.
“… Come fai a saperlo?!”
“Me l’ha detto Juliet”, mi spiegò abbassando inconsapevolemente la voce e gli occhi.
“Juliet?!”, ripetei io sbalordita. “Lei?”, gli domandai indicando la mia amica, intenta a giocare a Scacchi con James, sotto la supervisione di Heloïse. Fino a poco tempo prima, James e Juliet che giocavano a Scacchi insieme sarebbe stato uno spettacolo molto strano. Invece, fin dagli ultimi mesi dell’anno scorso non era raro vederci passare le serate tutti insieme.
“Quante altre Juliet conosci?!”, sbuffò lui.
“Perché vi siete parlati? Vi date appuntamenti clandestini? Senza dirlo a me?”, domandai a raffica assottigliando lo sguardo.
“Oh, ma smettila.”, ribattè lui guardandomi con aria di rimprovero. “Sei sempre la solita. Abbiamo solo parlato, così, e mi ha raccontato che tu e Regulus vi siete un po’…”
“…Insultati pesantemente per un’ora per colpa di quell’imbecille di Lumacorno che non ha capito proprio un bel niente?!”
“Be’, sì”, mormorò Remus, indietreggiando leggermente di fronte al mio tono non molto calmo. Io mi afflosciai sulla poltrona, incrociando le braccia.
“Mi dispiace che Regulusce  l’abbia con me.”, ammisi spostando inconsapevolmente lo sguardo sulla schiena di Sirius, assorto nella contemplazione del fuoco  nel camino, in uno dei suoi momenti cupi.
“Magari… passerà, col tempo”, Remus scrollò le spalle. Non ne sembrava molto convinto nemmeno lui.
“Pazienza”, sospirai abbozzando un sorriso. “Sirius ha avuto ragione ad andarsene”.  Di nuovo non potei fare a meno di guardarlo.
“Vuoi andare da lui?”, mi chiese Remus con un ghigno appena accennato. Io annuii arrossendo e mi alzai.
Per una manciata di secondi lo osservai, mentre mi dava le spalle, sempre concentrato in qualcosa che io non potevo vedere. Ormai mi stavo abituando a questi momenti, molto più frequenti dell’anno scorso, in cui si chiudeva completamente, per tutti, anche per James. Con un sospiro lo abbracciai da dietro, circondandogli le spalle e appoggiando una guancia contro la sua. Sentii il suo volto distendersi in un piccolissimo sorriso, mentre si girava appena a sfiorarmi le labbra. 
Avrei voluto raccontargli di Regulus, ma forse non era il momento migliore. E poi alla fine, non era così importante.
“A cosa pensi?”, gli domandai.
“Niente…”, rispose lui assorto. I riflessi delle fiamme nei suoi occhi creavano un gioco di ombre, più scure . “Solo che… i Serpeverde quest’anno sembrano più aggressivi del solito, vero?”. Be’, non potevo di certo dargli torto. “E sto pensando ad un piano per...”, abbassò la voce, “Rookwood”. Sapevo che non era del tutto vero, che stava pensando anche ad altro.
“Io invece stavo pensando alla prossima Luna piena”, lo informai in tono allegro. “Che sarà tra due settimane”.
“Quando tu ti troverai nella tua camera, insieme alle tue amiche”, affermò lui guardandomi torvo.
“Non per forza”, lo contraddissi con noncuranza.
“Oh, sì, invece”, esclamò afferrandomi per un polso. Ma dietro l’espressione seria dei suoi occhi, riuscii a scorgere un barlume di divertimento. La cosa mi rese felice. “Remus non ti lascerà mai venire, e io nemmeno”.
“Non siete i miei genitori”, ribattei sogghignando.
“Sì invece, qui ad Hogwarts siamo i tuoi genitori!”
“Ne riparleremo… ”, gli ripromisi, sedendomi sul bracciolo della sua poltrona.

Il resto della sera passò tranquillo. Verso le undici, insieme a Juliet, Georgia ed Heloïse, salii le scale che portavano al mio dormitorio, pensando, fra uno sbadiglio e l’altro, che era proprio ora di andare a dormire. 

Eppure, come avrei scoperto di lì a poco, la giornata non era ancora finita.

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Capitolo 27
*** Incontro notturno ***


Questo capitolo l’ho scritto per Kenny,
anche se lui non lo leggerà.
È che mi manchi davvero tanto…

Ventisettesimo capitolo: INCONTRO NOTTURNO
 

 
“…Qualcuno ha visto il mio pigiama?”
“Appeso alla finestra, Heloïse.”, risposi stancamente, mentre riordinavo i miei vestiti ai piedi del letto.“E non chiedermi come ci sia finito”.
Juliet per un secondo interruppe la melodia che stava intonando mentre si lavava i denti, e lanciò un sorrisetto fugace a Georgia.

Con uno sbadiglio mi inginocchiai ai piedi del letto per recuperare un libro che era caduto. Ma c’era qualcosa che spuntava, dentro il libro. Un pezzo di carta strappato.
“Spengo la luce?”, domandò Juliet.
“No”, bisbigliai con il cuore in gola e un uno strano presentimento. Sfilai velocemente il foglietto dalle pagine e mi avvicinai un po’ più alla luce per riuscire a decifrare la particolare calligrafia.

Vediamoci stanotte all’una sulla Torre d’Astronomia.

Nessuna firma. Nessuna spiegazione. Girai il foglio, ma a parte quelle poche parole scarabocchiate, non c’era scritto assolutamente nulla. Sentii le guance prendermi fuoco, come sempre quando mi succedeva qualcosa di inaspettato.
“Cosa c’è?!”, mi chiese Georgia in quel momento, con il tono di voce di chi ha appena fiutato qualcosa di sospetto. Restai un attimo indecisa, guardandola titubante e poi abbassando lo sguardo.
“Non so, ho trovato questo”, mormorai porgendole il biglietto. Georgia lesse, sgranò gli occhi e  lo passò a Juliet, che a sua volta lo fece leggere ad Heloïse.
Per un attimo restammo tutte e quattro in silenzio, a squadrarci interrogativamente.
“Quindi?”, domandai titubante.
“Ci vai”, sentenziò Heloïse con molta convinzione, proprio nello stesso istante in cui Juliet esclamava: “Non ci vai”.
“Georgia?”
“Ci vai, ma veniamo anche noi”, propose Georgia scrollando il capo.
Proposta ragionevole. Anche se forse avrei preferito sbrigare la faccenda per conto mio (c’era sempre la possibilità che si trattasse di uno scherzo di James, o di Kenny, anche se nessuno dei due si sarebbe preso la briga di alzarzi all’una di notte solo per farsi una bella risata), avere qualcuno che ti guarda le spalle faceva sempre comodo.
“Okay”, conclusi con un sorriso riconoscente.

Poco più di un’ora dopo sgattaiolavamo più o meno silenziosamente all’esterno della Sala Comune, senza preoccuparci dei grugniti infastiditi della Signora Grassa, io in testa, seguita da Georgia, poi Juliet e Heloïse, per chiudere.
Nelle mani tenevo il messaggio anonimo, continuando a stroppicciarlo senza nemmeno accorgermene. Faceva freddo. Come al solito Gazza si era dimenticato di accendere il riscaldamento.
Non era la prima volta che mi trovavo a girare per la scuola di notte. Mi piaceva farlo, era come se con il buio Hogwarts volesse mostrare tutta la sua magia e il suo fascino. C’era silenzio, ma non uno di quei silenzi che ti fanno sentire male. Era un silenzio giusto, un silenzio che sapeva di avventura e di complicità, che ti faceva sentire a casa.
Per arrivare alla Torre di Astronomia, che si trovava esattamente dalla parte opposta del castello, bisognava fare un bel pezzo di strada, e quando avevo acconsentito a farmi seguire dalle mie tre amiche non avevo proprio pensato al fatto che sarebbe potuto essere difficile non farci beccare, soprattutto con quel peso morto di Heloïse, che tra l’altro aveva paura del buio.
Guardai l’orologio e affrettai il passo.
Ma chi diamine può essere?, mi trovai a pensare, ormai al limite della curiosità. 
Non James. Lui era davvero troppo pigro. Kenny, al massimo… oppure qualcuno che non conscevo. Uno scherzo, o qualcosa di serio? Intenzioni amichevoli, oppure no?
Le scale… un altro corridoio… ancora scale… a destra…

E poi trambusto. Un’armatura che cadeva, a giudicare dal rumore metallico. E un’imprecazione di Georgia.
“Cosa. È. Successo?” , sibilai fermandomi di botto, furiosa. Possibile che non fossero capaci di camminare in silenzio, a bocca chiusa , un piede davanti all’altro? Insomma, era elementare!
Merlino, che male…”, si lamentò Heloïse, da un punto imprecisato sotto le scale.
Mi sporsi lungo la balaustra, e la vidi distesa a metà delle scale, a massaggiarsi una gamba. Se non fossi stata in ritardo di cinque minuti, se non fossi stata dannatamente agitata e se non avessi sentito Mrs Purr miagolare in lontananza (Merlino, perché non era morta quella volta che avevamo cercato di annegarla?), forse sarei scoppiata a ridere e le avrei detto malignamente di arrangiarsi. Invece ero già piuttosto arrabbiata, senza che ci si mettesse anche lei. “Heloïse, per l’amor del cielo, alzati immediatamente!”
“Non posso”, sbottò lei per risposta, alzando lo sguardo e fulminandomi.
“Oh, sì che puoi!”
“Ti ho detto che non posso!”
“Vuoi che venga a prenderti?”, la minacciai sporgendomi dalla balaustra e agitando il pugno nella sua direzione.
“Non posso!”, ripetè lei, alzando la voce. “… Ho un crampo alla gamba, e non riesco a muovermi”.
“Ecco, ti pareva…”, bofonchiò Georgia.
Heloïse e i suoi maledetti crampi nei momenti meno opportuni. “Juliet. Perché non ti fermi con Heloïse a massaggiarle la gamba, e io e Georgia andiamo?”, cantilenai trattenendo l’istinto di mettermi a sbraitare in piena notte.
“Mmm-mmm”, Juliet annuì tranquilla e ridacchiando scese di corsa le scale.
“Su, andiamo”, sospirai prendendo per mano Georgia e alzando gli occhi al soffitto buio.
Senza ulteriori complicazioni (e senza Heloïse), in poco tempo raggiungemmo la Torre.

Peccato che non ci fosse nessuno, nonostante fossero passati più di cinque minuti dall’una.
Mi appoggiai con noncuranza al muro, facendo segno a Georgia di allontanarsi. Passò un altro po’ di tempo, e cominciai a sentirmi nervosa. E anche molto infastidita.
Okay, forse si trattava di uno scherzo di qualche idiota. Molto intelligente da parte mia cascarci, soprattutto considerato che praticamente convivevo con i Malandrini. Avrei dovuto abituarmi a questo genere di bravate.
“Geo, and-…”
Successe tutto molto velocemente. Nell’attimo in cui mi girai verso Georgia, mi sembrò di avvertire un lieve rumore, che si confuse con il sussurro soffocato di Georgia: “…attenta!” Lei mi afferrò per un braccio, proprio quando un soffio tiepido mi passava accanto, sfiorandomi i capelli.
Conoscevo quel soffio, senza alcun dubbio. Era il rumore sibilante di una fattura che ti manca per un pelo.
Il tempo di portare la mano alla tasca, di sfoderare la bacchetta, di girarmi verso le scale sentendo il rumore di qualcuno che correva silenziosamente, e io e Georgia ci ritrovammo completamente sole, fra lo stupito e lo spaventato.
L-lumos”, sussurrai puntando la bacchetta verso le scale. Non c’era nessuno.
“Chi era?”, mormorò Georgia.
“Non ne ho idea”. Il cuore mi batteva all’impazzata, peggio di dopo una corsa. Rimanemmo paralizzate ancora una manciata di minuti, ma chiunque fosse stato, ora non era più con noi. “Dai, torniamocene a dormire”, sussurrai alla fine cercando di nascondere la preoccupazione.
Era ovvio che qualcuno, pochi minuti prima, era rimasto appostato nell’ombra e mi aveva lanciato un incantesimo. E sinceramente, dubitavo che si trattasse di qualcosa di amichevole. Solo non capivo perché fosse scappato così all’improvviso. Forse aveva paura di farsi riconoscere…
Georgia annuì, mi prese per mano e guardandosi attorno si avventurò giù dalle scale.
“Qualcuno ha cercato di affatturarti!” La voce di Georgia, quando ci trovammo di tre piani più al sicuro, esplose con spavento e indignazione.
“Lo so”, borbottai, tendendo le orecchie ad eventuali rumori.
“Ma perché?!”
Alzai le spalle, anche se non poteva vedermi. Per quanto cercassi di non darlo a vedere, la cosa mi aveva shockato più di quanto fosse lecito per la Grifondoro coraggiosa che avrei dovuto essere.
C’era qualcuno che ce l’aveva con me.
Beh, questo non era un mistero. Non erano poche le persone che non mi avevano esattamente in simpatia. E buona parte di loro era ricambiata, a dir la verità. Praticamente tutta la casa di Serpeverde, per esempio. A partire da Regulus… ma Regulus potevo escluderlo subito. Sapevo che non era per niente nel suo stile. Lui feriva con le parole, come mi aveva dimostrato appena la mattina prima, e come aveva fatto con Sirius. Non era di sicuro stato lui. Poi c’era Piton. Ma anche lui non era il tipo da andarsele a cercare così spontaneamente. E poi, da dopo il suo litigio con Lily, non avevo più partecipato a nessuno degli scherzi di James e Sirius a suo sfavore. Remus aveva ragione, quei due avevano passato il limite, con Piton. Continuai a passare in rassegna tutti i miei potenziali nemici ad Hogwarts (ormai ero convinta che non poteva trattarsi di uno scherzo), senza nemmeno accorgermi che Georgia mi stava guidando nel punto dove avevamo lasciato Juliet e Heloïse, da cui proveniva un chiacchiericcio sommesso.
“Allora?”, ci domandò Heloïse avida. “…Era un ammiratore segreto? Perché ho scommesso cinque Galeoni con Juliet, sai.”
“Be’ allora mi sa che hai perso.”, mugugnai in tono monocorde. “Ti è passato il crampo?”
Lei annuì alzandosi in piedi con un saltello.
“Vi prego, allora, andiamo a dormire…”, mormorai stancamente.
La giornata era stata davvero troppo lunga, e avevo come il presentimento che quell’anno sarebbe stato pieno di sorprese: non erano passate nemmeno due settimane dall’inizio della scuola e già facevo fatico a contare sulle dita quante cose fossero successe. E forse non era solo colpa dei Malandrini. Forse ero io.
O forse, più probabilmente, era semplicemente Hogwarts, e le cose andavano prese così come accadevano.

Quando finalmente riuscii a coricarmi, al sicuro sotto le coperte rosso rubino, mi resi conto quella notte non avrei dormito per niente. L’adrenalina nel sangue restava alle stelle, sudavo e avevo freddo al tempo stesso, mi sembrava continuamente di sentire fruscii.
Così decisi di fare la cosa migliore. Recuperai dai meandri del mio baule un bel libro Babbano, uno degli acquisti dell’estate, e scesi in punta di piedi in Sala Comune. Spostai la mia poltrona preferita proprio di fronte al fuoco, lo riaccesi, e con il crepitio rassicurante delle fiamme, mi misi a leggere in santa pace.

La mattina dopo, quando il sole sorse e qualche rumore ovattato cominciò a provenire dai dormitori, avevo letto 324 pagine, ero esausta e il ricordo della sera prima non mi sembrava per niente sconvolgente.

***
 

“Ma che belle occhiaie, Scarabea!”
“Non chiamarmi Scarabea.”
“Hai proprio delle belle occhiaie, lo sai? Cosa avete combinato tu e Felpato stanotte?!”
Non degnai James di una risposta e buttai giù in un unico sorso una tazza di caffè bollente.
“Pulisciti i baffi, non è buona educazione”, mi rimproverò lui con un ghigno. Io gli scoccai un’occhiata truce e mi passai una mano sulla bocca.
“Con il tovagliolo, intendevo...”, puntualizzò ancora ridacchiando in modo stupido. “Tre mesi senza me e Sirius e sei tornata ad essere un animale!” Sì, certo, perché lui e Sirius mi avevano sempre dato un buon esempio a tavola.  
Troppo stanca per dargli retta e sentendomi vagamente in colpa per quello che stavo per fare, gli indicai qualche posto più in là nella tavola, esclamando fiocamente: “Oh, guarda, c’è la Evans”
“EHI, EVANS!”
Benedetta Evans, grazie di esistere.
“Potter, alla larga”, rispose lei senza staccare gli occhi dalla Gazzetta del Profeta.
“Evans, lo sai che stamattina sei davvero bellissima??”
Silenzio.
“Evans, sai che sabato c’è la prima uscita ad Hogsmeade dell’anno?”
Lily mugugnò qualcosa, voltando la pagina del giornale con un gesto talmente brusco che la strappò. Le cose fra lei e James erano decisamente peggiorate, dopo l’estate e dopo la rottura con Piton.
“Non pensi che sarebbe un’idea fantastica inaugurare insieme le uscite ad Hogsmeade?!”
Lily alzò lentamente lo sguardo e lo posò su James. “Oh, Potter, non ti avevo visto. Parlavi con me?”, esclamò abbastanza sarcasticamente. Ma, cosa abbastanza risaputa, il sarcasmo di Lily Evans aveva la bizzarra particolarità di non toccare minimamente James Potter. O forse era solo troppo stupido per rendersi conto che non era esattamente gentilezza.
“Ma come, non mi avevi visto?! Impossibile, l’intera Sala Grande risplende della mia bellezza. Hai notato che i miei capelli hanno una piega assolutamente impareggiabile, stamattina?” Lily gli lanciò una breve occhiata di disgusto.
“Allora, Evans, ci vieni ad Hogsmeade con me?”
“Perché non ti rispondi da solo?”
Sì, James, non desidero nient’altro che venire ad Hogsmeade con te questo sabato!!”, esclamò James felicissimo. “EHI, GENTE, LA EVANS MI HA APPENA DETTO CHE VUOLE VENIRE AD HOGSMEADE CON ME!!, urlò poi a squarciagola rivolto all’intera Sala Grande. Parecchie teste si voltarono a guardarlo dubbiosamente.
“Non in quel senso, Potter!”, ruggì lei sbattendo un pugno sul tavolo.
“E in quale senso, Evans?”, le domandò James confuso.
“Nel senso che sei davvero un idiota, Potter!”, sbottò lei raccogliendo la borsa e avviandosi a grandi passi fuori dalla Sala Grande.
“Ehi Evans, aspetta!”, le urlò dietro, catapultandosi al suo inseguimento. ”Non abbiamo deciso dove incontrarci sabato!”
Stupido, stupido James., pensai sospirando e incamminandomi a mia volta verso le lezioni, tra uno sbadiglio e l’altro.

***

Dalla camera dei Malandrini provenivano risate, tonfi e urla, come sempre del resto. Entrai senza nemmeno bussare, proprio nel momento in cui Sirius si scaraventava addosso a James con un urlo selvaggio, mandandogli gli occhiali in frantumi.
SIRIUS, IDIOTA DI UN RANDAGIO!”
“Ehi, Bambi, hai cominciato tu!”
“Ma per favore…
Reparo.”
“Buonasera ragazzi”, sospirai buttandomi sul letto di James, il più vicino alla porta. Era stata una giornata davvero lunghissima e pesante, ed ero stanca morta, avevo deciso di andare lo stesso a controllare a cosa di preciso fossero dovuti i rumori che si sentivano fin dalla Sala Comune. Remus  mi salutò con un cenno della mano, l’espressione distrutta di chi sta cercando da parecchio tempo di far ragionare due persone che di ragionevole avevano davvero poco; gli altri due nemmeno si accorsero della mia presenza, e continuarono serenamente a picchiarsi.
“Vedi tu se riesci a farli smettere…”, borbottò Remus in tono di profonda rassegnazione. “Vanno avanti da questo pomeriggio”.
“Ehi Sirius, ehi Jamie!”, provai a chiamarli avvicinandomi a loro.
“…Se ti ricordi, sei stato tu ad appendermi in Sala Grande al terzo anno…”
“Sì, ma perché tu avevi alzato la gonna alla Evans per guardarle le gambe…”
Moooolto interessante.
Mi schiarii la voce e diedi un calcio a Sirius, dritto nelle costole. “Oh!”, esclamò lui alzando lo sguardo e mollando momentaneamente la presa dal collo di Ramoso.
“E così alzavi la gonna per vederle le gambe alla Evans, eh?”
Sirius si lasciò scappare una risatina. “Ehm, non esattamente…”
“Oh, sì invece che lo faceva! E con un sacco di ragazze, non è vero?”, ghignò James con la faccia paonazza, mentre la pressione del mio piede sulla pancia di Sirius aumentava. “Sei un idiota”, sibilai scoppiando a ridere. Poi la lotta ricominciò, e quella volta ci presi parte anch’io.
“Ti pareva”, bofonchiò Remus. “Alla fine è lei la peggiore.”

Quando ci ritrovammo tutti e cinque distesi sul pavimento, esausti come bambini che hanno giocato fino a non poterne più (e chissà perché, anche Rem e Pet alla fine non avevano potuto farne a meno), con la voce un po’ rauca per le troppe risate esclamai: “Ieri notte mi è successa una cosa.”
Un silenzio incuriosito calò sulla stanza, e anche se non potevo vederlo, seppi che Sirius stava inarcando le sopracciglia con aria interrogativa. “E cioè?”, mormorò infatti subito dopo.
Raccontai in fretta tutta la storia (in fondo era molto breve) con tono indifferente, e prima che avessi finito Remus mi interruppe con voce isterica: “Sei impazzita, girare per Hogwarts di notte da sola?! Lo sai che è proibito, lo sai che se ti beccano…”
“Oh, andiamo…”, ribattei con un sorrisetto. “Come se tu non l’avessi mai fatto.”
Con mia grande sorpresa, Sirius si alzò a sedere per guardarmi seriamente. “No, ha ragione Remus, non farlo mai più.”
Spalancai la bocca, indignata. La predica da Sirius non me l’aspettavo proprio. “Ma insomma, tu e James uscite di notte almeno una volta a settimana!” Sirius ghignò malandrino, per poi tornare serio. “Ma io e James non abbiamo mai rischiato niente, mentre tu…”
“Non è così grave”, lo liquidai con un gesto secco della mano. Anche se in verità, a pensarci, la cosa mi turbava più di quanto fossi disposta ad ammettere. “Sarà stato qualche idiota di un Serpeverde…”
Nessuno ribattè. Ma lo sguardo fugace e accigliato che si scambiarono James e Sirius non passò inosservato, e non mi piacque per niente.

Lo sguardò mi scivolò sull’orologio che portavo al polso. Sospirai, accorgendomi che anche quella sera avevo finito per fare tardi. Improvvisamente mi sentii davvero stanca. L’unica cosa di cui avevo voglia era scappare nella mia stanza, raggomitolarmi sotto le coperte e addormentarmi ascoltando i respiri tranquilli delle mie amiche.
“Me ne torno in camera mia.”, farfugliai sbadigliando in modo piuttosto felino.
“Ti accompagno”, mormorò Sirius alzandosi agilmente in piedi. 
Mi scortò fuori dalla camera, e mentre scendevamo in silenzio le scale mi passò un braccio attorno alle spalle, stringendomi appena in uno dei suoi abbracci malriusciti, che però mi facevano sentire sempre bene.
“Fila a dormire.”, mi ordinò in tono perentorio. Se non l’avessi conosciuto bene, avrei detto che era arrabbiato. Invece affondai la testa contro il suo petto profumato, soffocando un altro sbadiglio, e annuii.  “Sì papà…”
Ci scambiammo un ultimo cenno di buonanotte, io con un sorriso pigro e lui con un ghigno malcelato, e poi scomparii lungo le scale del mio dormitorio.


Note dell’autrice:
Okay okay okay. Penso di dovervi delle scuse enormi… Intanto sono in super ritardo, non so davvero cosa mi sia preso. E poi il capitolo è corto e lo odio, non mi piace per niente. Dal prossimo mi impegnerò di più, ve lo prometto! Ho già iniziato a scriverlo mentre dovevo ancora finire questo, quindi in teoria dovrei (DOVREI!) metterci meno tempo. Sono un’idiota :D Poi basta, penso di non aver nient’altro di intelligente da dire. I commenti sul capitolo *coff coff* li lascio a voi
Alla prossima e grazie a tutti come sempre <3
Trixie

 

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Capitolo 28
*** Segreti da proteggere ***


Ventottesimo capitolo: SEGRETI DA PROTEGGERE

C’è una stanza, ad Hogwarts, la cui esistenza è ancora più segreta di quella della Stanza delle Necessità.
Non che si trovi in un punto del castello poco frequentato; anzi, è il cuore di uno dei luoghi più vissuti di Hogwarts.
Nessuno la conosce per il semplice motivo che, per chiunque non sia Grifondoro, è impossibile arrivarci. E anche tra i Grifoni, si possono contare sulla punta delle dita coloro a cui è capitato per caso di sollevare quel quadro brutto e polveroso, nel punto più alto e remoto della Torre, e di scoprirci dietro una porta.
Non sapevo se i Malandrini ci fossero mai stati; sulla Mappa non era segnata, e io non gliene avevo mai parlato. Era il mio segreto, mio e di nessunissima altra persona.
Non era molto complicato arrivarci. La difficoltà nasceva dal fatto che nessuno in genere si avventurava così in su, più in alto della Sala Comune, più in alto di tutti i dormitori. Dopo il vecchio solaio inutilizzato, proprio in cima alla Torre di Grifondoro, non c’era più niente di interessante.
In teoria.
In pratica, invece, dal solaio bastava spostare di pochi millimetri il quadro a colori spenti che rappresentava una grande barca, ed ecco che ci si trovava come per magia nella piccola saletta di pietra.
Era una specie di torretta, che si staccava dalla Torre di Grifondoro e si protendeva verso il cielo, più in alto di qualsiasi punto del castello.
Era il posto che faceva per me.

***

Quella sera la luna piena tardava a farsi vedere. Ero scivolata già da un po’ di tempo dietro il quadro consunto e la porticina segreta, e mi ero seduta in equilibrio dietro ai vetri dell’ampia finestra. Faceva freddo, ma dentro un armadio avevo trovato una pila di coperte pesanti, e me l’ero appoggiata sulle gambe. Chissà quante erano state le persone che, prima di me, avevano usato quelle coperte.
La vista era semplicemente stupenda. Peccato che fosse buio, perché da lì non solo si vedeva tutto il parco, ma anche il Lago Nero, il villaggio di Hogsmeade con le stradine bianche, e le maestose montagne circostanti. Guardare verso il basso, verso il prato, mi dava un senso di ebbrezza assolutamente fantastico. Era come avere vertigini, ma con la differenza che il mio impulso non era quello di chiudere gli occhi o andarmene. Avrei voluto sporgermi ancora di più, o magari volarmene proprio via.

C’eravamo quasi. Riconobbi con trepidazione la luce velata e perlacea della luna, ancora invisibile dietro la Foresta, in quell’attimo di silenzio in cui Remus smette di lamentarsi e crolla sul pavimento, docile, in attesa dell’inizio della trasformazione.
Perché mi trovassi lì, con lo sguardo puntato contro la Stamberga Strillante, nemmeno io lo sapevo. Come c’era stato da aspettarsi non mi avevano lasciato andare con loro. Troppo pericoloso per una bambina come me. Li avevo implorati, minacciati e seguiti di nascosto, per poi essere ritrascinata in sala comune. Avevo fatto gli occhi dolci a Sirius, avevo chiamato Pix ed era stato tutto inutile. Avevo provato con le buone e con le cattive, finchè non mi ero ritrovata  lì, nella torretta, rassegnata a seguirli attimo per attimo da lontano. Almeno quello.
Ero davvero arrabbiata. Avevo fatto di tutto per loro; ero diventata da sola un Animagus, avevo scoperto uno a uno tutti i loro segreti, eppure non mi lasciavano nemmeno seguirli, e tutto per uno stupidissimo, banale incidente. Sovrappensiero mi sollevai il maglione pesante e il pigiama, mostrando la pelle alla debole luce dell’esterno. Ecco, la cicatrice era completamente a posto. Era soltanto un segno diagonale, più chiaro del resto della pelle, unico ricordo di quella notte. Juliet aveva fatto un ottimo lavoro.
Non capivano che io volevo andare con loro non tanto per divertirmi, non per il gusto dell’avventura? Io volevo stare con Remus, essergli vicina in ogni momento delle notti di luna piena, guardarlo negli occhi di lupo, fare per lui quello che lui in tanti anni aveva sempre fatto con me: comportarmi da vera amica.
Distratta dai miei stessi pensieri, mi accorsi dell’inizio solo quando la luce della luna mi colpì in pieno volto, accecante per i miei occhi abituati al buio. Come sempre da quando avevo scoperto del segreto di Remus, mi sembrava più bella e terribile che mai.
Strizzai gli occhi con un debole sorriso, mentre nella lontananza del parco tre animali di grossa taglia partivano all’inseguimento… mi sembrava quasi di sentire i latrati di gioia di Sirius, che una volta al mese poteva dare sfogo alla sua natura canina.
Non è proprio giusto, però., pensai contrariata schiacciando di più il naso contro il vetro gelido della finestra e imbronciandomi di colpo. Io ero una persona matura e responsabile, mille volte più matura e responsabile di Sirius e James, in effetti, che dopo le notti di luna piena tornavano sempre ricoperti di graffi. Guardai con desiderio e rimpianto il cielo senza stelle e il parco scuro, avvolto in un’atmosfera fatata.
Una sola volatina…
No, Remus si sarebbe arrabbiato ancora di più. E faceva freddo, poi.
Ma a te piace tanto il freddo…
Mi avvolsi con decisione le coperte attorno alle spalle. No, non mi piaceva il freddo, invece.
Non sono i tuoi genitori, sei libera di fare quello che vuoi…
Però avevano ragione, Sirius e Remus, a preoccuparsi. Mi ero fatta male già una volta.
Ma non devi per forza andare da loro… Un volo e basta, lontano...
Non se ne parlava. Anzi, ancora dieci minuti e poi sarei andata dormire.
Ma guarda… è così bello… nessuno te lo impedisce…
Sospirai afflitta. Era proprio dura resistere alla tentazione, quando riuscivo ad intravedere chiaramente l’ombra di Felpato, che era appena saltato addosso a Ramoso e che gli stava mordendo la coda. Ramoso il Cervo se lo scrollò di torno con forza agitando il palco di corna.
Solo per respirare un po’ di aria pura… non può farti che bene!
Oh, al diavolo. Aprii la finestra con un gesto deciso, facendo scricchiolare i cardini. Non ero preparata all’impatto con il freddo, e il soffio di aria gelida che mi colpì mi fece quasi ritrarre verso l’interno. Rabbrividii leggermente, pensando che l’inverno prometteva di iniziare in anticipo rispetto agli altri anni. Chiusi gli occhi concentrandomi, e una frazione di secondo dopo mi ero già trasformata.
Non persi tempo. Gonfiai il piccolo petto candido, riempiendo i polmoni di aria gelida, e mi buttai in picchiata giù per la torre, confondendomi nel nero pece della notte, con il vento che mi fischiava attorno.
Ma io ero vento. Ero vento, ero aria, ero energia allo stato puro. Mi sentivo folle e libera. Smaltita la prima ondata di adrenalina feci un giro tranquillo attorno alla mia torretta, poi iniziai a librarmi qualche metro più in basso. I miei occhi acuti non perdevano di vista il cervo, il cane e il lupo. Ma ci sarei stata alla larga, non volevo litigare con Remus.
Scesi ancora di parecchi metri, seguendo la linea dei prati in discesa che portavano verso i primi alberi del parco. Dopo qualche piroetta e giro della morte sopra il Lago Nero, mi avvicinai un po’ di più ai Malandrini. Il mio sguardo si posò su Lunastorta il Lupo Mannaro, e se fossi stata in forma umana, probabilmente avrei sentito una stretta al cuore, o una fitta allo stomaco. Ma questo era uno dei tanti vantaggi dell’essere Animagi.
È Remus, Beatrice, è Remus. Remus, il mio migliore amico, la persona più buona che conoscessi, il ragazzo gentile e sempre pronto a trovare il meglio in chiunque, tranne che in se stesso. Ed era una cosa così ingiusta, la sua maledizione, che ancora non riuscivo ad abituarmici.
Con un’ultima occhiata di rimpianto ai tre animali che correvano uno dietro l’altro, azzuffandosi giocosamente, feci dietrofront e, accelerando, puntai verso la Torre di Grifondoro.
Poi, quasi per sbaglio, il mio sguardò si posò su qualcosa che, per la prima volta da quando ero diventata Animagus, rischiò di farmi andare a sbattere contro un albero.
Era una figura, appena uscita dal castello, che scendeva attraverso il prato, il lungo mantello nero che gli svolazzava alle spalle.
Scesi in picchiata, silenziosa e più velocemente possibile, e mi fermai di botto qualche metro sopra la sua testa.
Oh no. Non c’era bisogno di avvicinarsi ulteriormente. Mi bastarono i capelli unticci che si confondevano nel nero della notte: Piton.
Non ci pensai nemmeno, non c’era tempo. Mi girai ruotando velocissima su me stessa e volai, veloce come non ero mai stata. Dovevo avvertirli immediatamente.
Il loro gioco era proprio giunto al culmine, Felpato abbaiava e scodinzolava correndo come un matto attorno a Lunastorta, mentre Codaliscia, arrampicato in mezzo alle sue orecchie, si godeva la scena al sicuro. Cercai un modo per riuscire ad attirare l’attenzione di Sirius senza avvicinarmi eccessivamente a Lunastorta, e gli sfrecciai davanti stridendo, troppo veloce perché il lupo mannaro potesse vedermi, impegnato com’era nella lotta giocosa contro Ramoso. Come previsto, invece, Felpato si accorse immediatamente della mia presenza, e alzò il muso uggiolando, prima confuso poi decisamente allarmato. Gli svolazzai di fronte e poi mi allontanai, cercando di fargli capire, e poi partii di nuovo come una scheggia, con i tonfi sordi delle sue zampe che mi inseguivano senza difficoltà pochi metri più in basso. Quando pensai di essere abbastanza al sicuro dietro ad un boschetto di alberi, mi trasformai, ansimante dopo il volo sfrenato.
“BEATRICE SUMMERLAND!”, la voce di Sirius, ancora simile ad un latrato, esplose nel silenzio. “SI PUÒ SAPERE CHE-…”
“Ssssh”, lo ammonii, tenendomi un fianco con entrambe le mani. Piton doveva essere ancora lontano, ma era meglio non rischiare. “Ho visto… ho visto… Piton…”
“Non dovresti essere qui, lo sai?”, sibilò lui guardandomi in cagnesco, probabilmente senza aver ascoltato mezza parola di quello che avevo detto. Gli restituii l’occhiataccia.
“Ascolta, è importante… Piton, sta venendo qui!”
Mi guardò per un attimo confuso.
“Stavo facendo un giro… così… è l’ho visto, sta arrivando, non deve vedere Remus, assolutamente, portatelo alla Stamberga, da qualsiasi parte…”, iniziai a parlare a macchinetta, mentre una luce febbrile si accendeva negli occhi di Sirius.
“Quel brutto verme schifoso di Mocciosus!”, ringhiò agitando minacciosamente un pugno per aria.
“Vai, veloce, io lo trattengo…”, lo interruppi spingendolo nella direzione degli ululati.
“Sei sicura?”, mi chiese dubbioso.
“Fidati, vai”, ripetei, guardandomi nervosamente intorno. Sirius non se lo fece ripetere due volte e dopo essersi trasformato schizzò via, una macchia di pelo nero dai contorni sfocati.
Io, da parte mia, mi avviai nella direzione opposta, riflettendo velocemente.
Piton non sapeva, non poteva sapere di noi Animagi illegali. Al massimo poteva sospettare della licantropia di Remus, vista la sua tendenza a ficcanasare in qualsiasi affare altrui. Non ci voleva molto, chiunque avesse collegato le influenze mensili di Remus con i cicli lunari ci sarebbe arrivato.
La cosa rassicurante era che, se anche lo avesse scoperto, non poteva fare assolutamente niente. Se Silente aveva deciso che Remus poteva frequentare Hogwarts, era così e basta. Quindi, la priorità era che non venisse a sapere di Felpato, Ramoso, Codaliscia e… me, che a parte Scricciolo io non avevo un vero e proprio soprannome. Speravo soltanto che Felpato riuscisse a trascinarli in qualche modo lontano dal parco, mentre io cercavo di distrarre in qualche modo il Serpeverde. Affrettai il passo e mi spostai verso il prato. Mi sentivo spiacevolmente esposta, in forma umana, senza il cielo a nascondermi, così illuminata dalla Luna. Non faticai molto a riconoscere Piton, che scendeva speditamente verso di me, probabilmente senza essersi accorto della mia presenza, con la bacchetta stretta in mano.

“Piton!”
“…Summerland?”

Piton si fermò di bottò, poco prima di venirmi a sbattere addosso, e immediatamente mi puntò la bacchetta contro.
“Giù quella bacchetta, Piton”, sbottai tirandola fuori a mia volta. Lui mi guardò in modo sgradevole, con un misto di sospetto e stupore. Mi sembrava quasi di sentire il suo cervello macchinare furiosamente, mentre si chiedeva cosa ci faceva l’amica dei Malandrini, una persona, fuori con la luna piena quando era molto probabile che sapesse della licantropia del suo migliore amico. Trattenni a stento un sorrisetto trionfante.
 “Cosa ci fai qui?”, sibilò freddamente assottigliando lo sguardo e senza accennare a riporre la bacchetta.
“Be’, suppongo la stessa cosa che stai facendo tu… una passeggiatina al chiaro di luna.”, replicai alzando le spalle, con quello che speravo risultasse un tono di voce ingenuo.
“Ma davvero?”, ribattè con sarcasmo lui. No, evidentemente il mio tono di voce non suonava particolarmente ingenuo. Un ululato risuonò debolmente in lontananza, e io sobbalzai nervosamente, trattenendomi a fatica dal guardarmi alle spalle. Lui se ne accorse. “Hai sentito?”, sussurrò malignamente, voltando di scatto gli occhietti neri con una sorta di eccitazione malsana.
A quel punto mi sorse un dubbio. Se Piton sospettava, cosa molto probabile, che cosa ci faceva qui, quando avrebbe potuto rischiare di venire morso?! Odiava davvero così tanto i Malandrini da arrivare a mettere a repentaglio la sua stessa vita solo per incastrarli? Piton poteva anche avere i capelli unti, ma non era di certo uno stupido.
L’ululato si fece più forte. Sperai vivamente che non si stessero avvicinando e che riuscissero a tenerlo lontano ancora per un po’.
“Dimmi, Summerland, secondo te questo che cos’era?”, mi domandò con voce melliflua.
Calma, Beatrice, calma. Conoscevo Piton abbastanza da sapere che con lui certi trucchetti non funzionavano, dovevo stare attenta ad ogni parola che mi lasciavo sfuggire.
“Un ululato, senza dubbio.”, risposi sicura.
“Un ululato…”
“… di lupo mannaro, sì.”, conclusi la frase per lui, voltandomi verso la Foresta Proibita con fare noncurante. Se riuscivo ad uscire da quella situazione e magari a portarlo via di lì, potevo davvero considerarmi degna dei Malandrini. Lui rimase un attimo in silenzio, evidentemente confuso dalle mie parole, ma non abbastanza da arrendersi.
“Quindi non lo neghi, vero?”, sibilò lui malevolo. Io deglutii.
“Che la foresta pulluli di lupi mannari? No, certo, lo sanno tutti.”, risposi scrollando le spalle. Lui mi guardò con gelido disprezzo.
“Intendevo, il tuo amichetto.”
“Non ho capito.”, ribattei semplicemente, girandomi verso il castello e facendo per incamminarmi. Lui mi seguì, proprio come desideravo.
“Sei già abbastanza stupida senza che fai finta di esserlo.”, osservò Piton sarcastico, e io gli lanciai un’occhiataccia. “Lupin”, aggiunse poi, a mo’ di spiegazione.
“Non so di cosa tu stia parlando.”, risposi tranquilla. “Se quello che stai cercando di dirmi è che Remus è un lupo mannaro…”, sbottai con una risatina, forse appena un po’ più acuta del normale.
“…Ci sono altre soluzioni?”
Non gli risposi, e giocai l’ultima carta che mi restava. Ormai eravamo quasi giunti al castello. “Pensi davvero che se ci fosse un lupo mannaro tra gli studenti, Silente e i professori lo accetterebbero? Non ti sembra un po’ pericoloso?”, gli domandai sarcasticamente, sentendomi bruciare per quello che stavo dicendo. Ma era per Remus, dovevo proteggerlo.
Piton sbuffò, alzando un sopracciglio come a dire che da Silente ci si sarebbe potuti benissimo aspettare una cosa del genere. “E soprattutto, pensi che se io lo sapessi andrei fuori a farmi sbranare?!”, aggiunsi ironicamente. Ormai eravamo arrivati di fronte al portone di Hogwarts.
“Voi Grifondoro siete tutti stupidi uguali, con la vostra mania di sembrare coraggiosi a tutti i costi”, sibilò velenosamente, mentre ci richiudevamo silenziosamente il portone di ingresso alle spalle. Solo in quel momento mi accorsi del fatto che stavo tremando dalla testa ai piedi. Non avevo nemmeno il mantello, ed ero stata immobile all’aperto per più di dieci minuti. Desiderosa di separarmi in fretta da Piton e di rifugiarmi in sala comune, mi avviai verso le scale. “Non ti conviene ficcare troppo il naso, Piton”, borbottai acida voltandogli le spalle.
“Non sta a te dirmi cosa devo fare.”, ribattè, ma ormai non lo stavo nemmeno ascoltando.
“Ah, Summerland?...”, mi richiamò all’improvviso. Io mi voltai a guardarlo con un’occhiataccia. “…Venti punti in meno a Grifondoro per essere fuori dal dormitorio a quest’ora.”, soffiò beffardo, poi con uno svolazzo del mantello scomparve verso la sua sala comune.
“Ma che razza di bastardo!”

***

Oltre a sentirmi vagamente nervosa, ero anche piuttosto soddisfatta di me stessa. James e Sirius non ne sarebbero mai stati capaci: avevo intrattenuto una conversazione quasi civile con Mocciosus, cosa praticamente impossibile per un Malandrino, ed ero anche riuscita a mentire spudoratamente. Di sicuro Piton non avrebbe smesso di sospettare, ma qualche dubbio in più, dopo quella notte, gli sarebbe rimasto. Ora non mi restava che aspettare il ritorno dei James, Sirius e Peter, e poi avrei potuto concludere quella nottata non troppo tranquilla con qualche ora di più che meritato riposo. In quel momento il buco del ritratto si aprì misteriosamente da solo, e contemporaneamente due voci familiari iniziarono a bisticciare fin troppo vivacemente.
“…Quante volte ti devo dire che la mia coda, la mia splendida, folta, lunga coda nera non la dovresti nemmeno sfiorare?!”
“Vogliamo parlare del mio pelo fulgido e castano??! Tu mi salti sempre addosso e mi strappi un sacco di peli, brutto cane pulcioso!”
“…Sì, ma tu mi hai morso la coda!”
“Eddai, era una leccatina amorevole…”
“James, che schifo!”

“In effetti…”, commentai con una risatina. “Toglietevi quel Mantello, siete ridicoli.”
“Non siamo ridicoli.”, borbottò una delle due voci in tono risentito. Un secondo dopo James comparve da sotto il Mantello, con i capelli scompigliatissimi e un’espressione imbronciata, subito seguito da un Sirius elegante come sempre nonostante le occhiate assassine che stava rivolgendo al suo migliore amico.
“Pet?”, domandai interrogativa. 
“In infermeria da Remus, o più probabilmente in cucina”, rispose James. 
“E Mocciosus?”
“Nel dormitorio di Serpeverde”, replicai gelida. O almeno, speravo vivamente che si trovasse ancora lì. Lanciai uno sguardo veloce a Sirius, che continuava a starsene zitto con un’espressione lugubre dipinta sul volto.
ODIO MOCCIOSUS!”, esplose poi all’improvviso, con una rabbia inaudita. Io e James trasalimmo di scatto, guardandolo come se fosse impazzito. Quando si infuriava in quel modo faceva sempre abbastanza paura.
“Beh anch’io, se ti consola.”, mormorò ragionevolemente James, scrollando le spalle.
“E tu adesso mi spieghi cosa ci facevi fuori.”, mi ordinò Sirius guardandomi in cagnesco.
“Che c’è, volevo solo fare un giretto per conto mio!”, mi difesi indignata. “Non stavo venendo da voi! E se non ci fossi stata io, adesso Mocciosus saprebbe tutto di Remus, quindi…”
“E pensare che una volta era una bambina così tranquilla…”, commentò James scuotendo la testa in modo melodrammatico.
Sia io che Sirius lo ignorammo.
“Tanto è inutile, vero?”, borbottò Sirius esasperato. “Farai sempre tutto di testa tua, come al solito…”
“Anche voi fate sempre tutto di testa vostra”, ribattei con un sorrisetto angelico. “Ho imparato da voi”. Sirius si lasciò scappare un piccolissimo sorriso. “E per tua informazione, ho intenzione di uscire anche il prossimo mese.”, aggiunsi con noncuranza. “E quello dopo, e quello dopo ancora…”
Il  sorriso sparì in fretta come era comparso.
“Ne dovremmo discutere ancora molto?”, commentò sardonico. “Perché sai che io non ti dirò mai di sì.”
“E quel viscido di Mocciosus?”, si inserì James immusonito. “L’unico modo per tenerlo controllato è che venga anche lei. Scommetto quanto volete che il mese prossimo sarà di nuovo fuori a spiarci…”
“Gliela faccio pagare. La smetterà di ficcare il naso nelle faccende che non lo riguardano.”, mormorò Sirius gelidamente, gli occhi color dell’acciaio. In quel momento sembrava molto più Black che Sirius… Gli appoggiai una mano sul braccio, e lui mi rivolse uno sguardo fugace.
“È meglio se andiamo tutti quanti a dormire un po’.”, proposi in tono cauto. Sirius alzò, e a vederlo così, dal basso, con quell’espressione cupa stampata sul volto, mi sembrò più bello e tenebroso che mai.
“Sir, ti aspetto su”, borbottò James. Sirius annuì, con un gesto secco della testa.
Mi alzai dalla poltrona anch’io, guardandolo vagamente intimorita. Non che avessi paura di lui, ma certe volte facevo ancora fatica a capire cosa gli passava per la testa, e allora avevo sempre paura di dire qualcosa di sbagliato, che lo facesse arrabbiare, o star male.
“Be’, buonanotte”, mormorai avvicinandomi a lui di un passo. Gli arrivavo a malapena all’altezza delle spalle. Sirius mi guardò leggermente stranito, come se si fosse ricordato all’improvviso della mia presenza. Poi mi sorrise e mi sistemò una ciocca di capelli dietro le spalle.
“Sì, buonanotte”, mi rispose. “E non preoccuparti per Piton. A Remus non può succedere nulla, finchè c’è Silente.” Poi mi diede un buffetto sul naso, abbassandosi fino ad avere gli occhi all’altezza dei miei. “Capito?”
Annuii vigorosamente e mi abbandonai quasi con sollievo al suo abbraccio, quando arrivò a stringermi, caldo e protettivo come solo lui sapeva essere.
In quel momento non avrei potuto sentirmi meno preoccupata e più al sicuro: finchè c’era Sirius, e finchè c’erano i Malandrini a prendersi cura l’uno dell’altro, io ero tranquilla.

NOTE DELL’AUTRICE:
Stavolta ho fatto in frettissima, non mi si può dire proprio niente e_e
Un po’ di commenti sul capitolo. Innanzitutto è molto riflessivo e descrittivo, quindi spero che non sia risultato troppo noioso. È che Beatrice io me la immagino una persona molto più meditativa rispetto a Sirius, che sta sempre a pensare su tutto quello che vede e che le succede. Mentre i capitoli in cui parla Sirius sono molto più immediati, come una raccolta di sensazioni, non so se mi spiego..
Poi un’altra cosa importante da dire è su Piton. Forse è un po’ strano che sia uscito così di notte, perché secondo me lui non è il tipo da andare a cacciarsi nei guai (e questo ovviamente non significa che non sia coraggioso). Però odia talmente tanto Sirius e James e i Malandrini in generale che pur di metterli nei casini e di far cacciare Remus da Hogwarts sarebbe capace anche di rischiare di farsi sbranare :D Boh, ditemi voi come la pensate.
Poi basta, direi…
Un grazie enorme alle 3 meravigliose persone che hanno lasciato una recensione  allo scorso capitolo, anche se non sono tante mi hanno fatto un gran piacere <3

Al prossimo capitolo,
Trixie! 

 

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Capitolo 29
*** Tra Zonko, berretti di lana e linguaggi in codice ***


Sta volta le metto qua in cima, le note dell’autrice, così poi potete leggervi questo capitolo in santa pace (l’ho fatto bello lungo).
Sapete che oggi questa fan fiction compie un anno? Il 10 marzo dell’anno scorso pubblicavo il primo capitolo e subito dopo già avevo la mezza idea di cancellarlo e lasciare perdere. Ma poi è arrivata una recensione, di MooneyDora penso, (e qui ringrazio tanto MooneyDora :D) e ho deciso di andare avanti.
Woow, è passato un anno e sono ancora qui, quasi non riesco a crederci *O* Sarà una cavolata, ma sono davvero emozionatissima, perché scrivere qualcosa non dico serio ma che almeno fosse più lungo di una pagina e mezza buttata lì e poi dimenticata è sempre stato il mio sogno. Mi sa che non c’è  stato un giorno in cui non ho pensato a questa storia, e all’inizio era un po’ uno scherzo, poi ho iniziato a buttarci dentro un po’ di tutto, le mie amicizie, quello che pensavo, alcuni episodi divertenti della mia vita… e a volte quando mi sembrava che la mia vita reale facesse schifo pensavo a Beatrice e ai Malandrini e progettavo capitoli futuri e mi sentivo bene :)
Per questo voglio ringraziare tutti, ma proprio TUTTI TUTTI, anche le persone che hanno cliccato per sbaglio su questa storia e poi sono scappate via. E ovviamente chi ha lasciato delle recensione, magari anche in un solo un capitolo: Sheireen Black, Piccola Stella Senza Meta, Lily Lucy Howe, Butterfly 90 che non salta nemmeno un capitolo (<3), Jullsfrapp (ma lei è un caso a parte), e anche altri che non mi vengono in mente al momento e che dovrei andare a riguardare, ma comunque vi ringrazio lo stesso.
Ho aspettato il 10 marzo a pubblicare perché mi sembrava una cosa carina. Sul capitolo non ho commenti, è una cosa leggera, abbastanza scherzoso :) Lasciate recensioni, mi raccomando, almeno oggi che è il primo compleanno della vera storia di Sirius Black (che nome del cavolo, ma vaaaabè…)
Ah, questo 29esimo capitolo penso che lo dedicherò al mio amico Diego Oscar Gaetano Pasqualino (AHAHAHHAHHA NON UCCIDERMI), perché il 10 marzo di 2 anni fa (sono passati solo due anni davvero?) è stato sorteggiato mio vicino di banco, gli ho pizzicato le guance per la prima volta e poi è diventato uno dei miei due migliori amici. Ne hai sopportate tante, eh Big D?
Ora stop, altrimenti le noti dell’autrice diventano più lunghe del capitolo.


 

Ventinovesimo capitolo: TRA ZONKO, BERRETTI DI LANA E LINGUAGGI IN CODICE

Il mese successivo passò molto pacificamente. Finalmente sembrava che ad Hogwarts e fra noi Malandrini si fosse ristabilito il giusto equilibrio, e per un po’ di tempo le escursioni notturne, i litigi con i Serpeverde e tutta la serie di piccole avventure che dall’inizio dell’anno fino ad allora avevano riempito le mie giornate, si ridussero di colpo. Ripresi a studiare con più volontà degli anni precedenti, tutti i pomeriggi in Sala Comune insieme agli altri Grifondoro del mio anno. Il tempo libero ovviamente lo dedicavo completamente a Sirius, Remus, James e Peter. Non passava nemmeno un giorno senza che ci ritirassimo nella loro camera, a progettare qualche nuovo scherzo e a bisticciare amorevolmente.
Certo, questo non significava che ad Hogwarts la vita potesse trascorrere in modo tranquillo, nemmeno lontanamente. Capitava praticamente tutti i giorni di ritrovarsi appesi a testa in giù a qualche soffitto da qualche Serpeverde privo di buongusto, oppure dagli stessi James e Sirius. Poi c’erano i continui litigi tra James e Lily, ma quelli costituivano la normalità, così come i disastri che Heloïse combinava a Pozioni, le sfuriate di Georgia e gli sproloqui di Juliet.
L’unica cosa fuori dal normale era il comportamento di Piton: dalla notte di luna piena aveva continuato a tormentare sia me che James, Sirius e Peter, cercando di farci sputare il rospo. Io semplicemente avevo deciso di ignorarlo. Per James e Sirius non era altrettanto facile. Sirius, soprattutto, sembrava essere giunto al limite della sopportazione. E in quanto a Peter, lui forse era quello che aveva più difficoltà. Piton era più intelligente di lui, per quanto mi costasse ammetterlo, e lui, ingenuo e pasticcione com’era, rischiava ogni volta di lasciarsi scappare una parola di troppo.
E Piton non demordeva, neanche dopo essere stato appeso per un’intera giornata in cima alla Torre di astronomia con la divisa trasfigurata in un bikini.

In ogni caso, quel giorno era un normalissimo sabato. Forse non proprio normalissimo,  visto che nella tarda mattinata giù allo stadio si sarebbe tenuta la prima partita di Quidditch – Grifondoro contro Serpeverde – dell’anno, e le partite di Quidditch costituivano sempre un evento eccitante e pieno di sorprese per la popolazione di Hogwarts.
Così, quando quella mattina scendendo a colazione venni travolta da un James che si era scaraventato giù dalle scale del dormitorio con tanto di scopa e divisa di Quidditch già indossata, non me ne stupii più di tanto e proseguii per la mia strada insieme a Juliet, trascinandomi dietro un grande cartellone rosso e oro.
Il tavolo di Grifondoro era in fermento, e al centro esatto della confusione si trovavano Sirius, un ragazzo che stava dando inizio alle scommesse, e Kenny Jordan, che nonostante i capelli magicamente colorati a strisce rosse e oro, aveva un’aria piuttosto triste.
Io e Juliet ci infilammo a fatica nei pochi centimetri di panca libera tra Sirius e il tipo del settimo.
“La McGranitt non vuole più farmi fare il cronista”, sbottò Kenny a mo’ di saluto, scoccando un’occhiata imbronciata al tavolo dei professori.
“Chissà perché…”, ghignai allungandomi per afferrare il bricco del latte. “E chi la fa la cronaca?
“Io!”, esclamò Sirius in tono innocente.
“Che cosa?! La McGranitt è veramente fuori…”
“La McGranitt è innamorata di me, è diverso”, ribattè lui con un ghigno.
“…Non penso proprio, signor Black”, sbottò una voce severa alle nostre spalle. “Non fare lo sciocco, e sbrigati. Tra dieci minuti devi essere allo stadio.”
“Oh, professoressa, non l’avevo vista!”, salutò candidamente Sirius voltandosi versa un’accigliata McGranitt. “La sciarpa le sta d’incanto”, commentò in tono ruffiano indicando la sciarpa rosso e oro che la McGranitt aveva legata al collo. Juliet, a cui era misteriosamente andato il succo di zucca di traverso, iniziò a ridere e a tossire come una povera demente.
“Andiamo, per favore…”, sospirai con un sorrisetto, alzandomi dalla panca assieme a Sirius.

Prima che ci separassimo, all’inizio degli spalti, lo acciuffai per un braccio e lo guardai severamente.
“Non fare il cretino.”
“Certo che no!”, esclamò Sirius con un ghigno allegro, afferrandomi il viso e lasciandomi un bacio frettoloso sulle labbra. Poi trotterellò verso il suo posto d’onore, al fianco della McGranitt, in modo così tanto canino (come sempre quando era felice o esaltato) che riuscivo quasi ad immaginare la sua coda scondinzolare ritmicamente.
Pochi secondi dopo, la sua voce amplificata risuonava nello stadio quasi completamente pieno.
Salve a tutti, signori e signore, in particolar modo…”. Sospirai afflitta. No, Sirius non si sarebbe mai comportato in modo serio. Non in un’occasione del genere. “…Sì, mi avrete riconosciuto dalla voce roca e terribilmente sensuale: sono Black, Sirius Black, il ragazzo più figo di Hogwarts. Dopo Mocciosus, ovviamente!”
Black, non cominciare.”
Cominciare che cosa, Minerva? Come stavo dicendo, il ragazzo più figo di Hogwarts è qui con voi per fare la cronaca alla prima partita di Quidditch dell’anno, Grifondoro contro ehm... non si possono dire parolacce, vero professoressa?Sì, contro Serpeverde”.
Intanto, inciampando e facendosi largo a fatica tra la folla con aria sperduta, ci raggiunse anche Heloïse. “Ed ecco che scendono in campo! Prima i Grifondoro, ovviamente – Cox, Cooper, Hill, McKinnon 1, McKinnon 2, Paciock e Potter! – Su, un applauso, fatevi sentire!”. La quasi totalità dello stadio applaudì entusiasticamente. “E poi i Serpeverde… ahah, ma guardateli, lo sanno vero che non hanno uno straccio di.. come, Minerva? Perché non possiamo avere dei cronisti normali?! Ma io sono normale! Cioè, forse un po’ più sexy del normale… okay okay, vado avanti.-  Sì, come dicevo prima che la professoressa mi interrompesse, entrano in campo i Serpeverde: Nott, Compton, Grant, Avery, Rosier, Hawks e…Cassell o Carrell, come si chiama, quello scimmione che è appena entrato nella squa-…”
BLACK!”
Ehm, bene… la professoressa è un po’ agitata stamattina… eccoli che salgono sulle scope! 3, 2, 1, VIAAAAAAA! EVVAI, SI COMINCIA, SPERO CHE CI SIA QUALCHE INFORTUNIO DA PARTE DEI SERPEVE… - ma com’è noiosa, professoressa!- ”.
Mi sedetti sulla panca ridendo, e presi a seguire le quattordici sagome che saettavano nel cielo. Non che capissi molto di Quidditch, però mi piaceva. “La pluffa ai Serpeverde… Grant, Nott, ancora Grant… ma ecco Georgia Hill che parte all’attacco, sì è pettinata con la coda di cavallo bassa, vuol dire che oggi è molto aggressiva!”
Black, non dire sciocchezze.”, lo rimproverò la McGranitt, mentre Georgia con una aggraziata piroetta rubava la pluffa al Serpeverde e si girava a salutare Sirius con la mano.
“Be’, è vero che quando ha la coda bassa è più cattiva…”, commentò Heloïse con una risatina. “Oh, ciao Lupin, ciao Minus.”
Remus, che insieme a Peter arrivava solo in quel momento, si scaraventò a sedere vicino a me (e a Juliet). “Chi vince??”, esclamò trafelatissimo alzando gli occhi verso il cielo.
“Per ora ness…-”
E GRIFONDORO SEGNA, GRANDE HILL, SEI LA BIONDA PIÙ MERAVIGLIOSA CHE CONOSCA!” Una ragazza decisamente bionda a pochi posti di distanza da me sbuffò delusa. Patetico. “10 A 0 PER GRIFONDORO!”
Sirius fa la cronaca?”, commentò Remus con un’espressione disperata. “Ma ci farà perdere un sacco di punti…”

***
 

Solo mezz’ora dopo, Grifondoro era in testa di quasi cento punti, di cui la maggior parte opera di Georgia, che era veramente in forma. Di conseguenza: i Serpeverde avevano cominciato a giocare davvero molto sporco, i giocatori di Grifondoro, pur in difficoltà, non demordevano e continuavano a tenere la Pluffa, e Sirius era sempre più esaltato ogni secondo che passava, tanto che ormai stava praticamente lottando in un corpo a corpo  con la McGranitt per il possesso del megafono.
Professoressa, mi lasci, ma insomma!”, stava piagnucolando Sirius, dimenandosi debolmente dalla presa della McGranitt.“Lo so, il mio fisico è molto attraente, più che attraente, direi, però adesso sta esagerando…”
BLACK, DAMMI QUEL MEGAFONO!”
Glielo giuro, non lo dirò mai più! Anche se sono veramente dei figli di…”
BLAAAAAAACK!”
“…Non è che potrebbe stringere un po’ meno la presa attorno al mio collo, Minerva? Ho come l’impressione che potrei morire soffocato tra qualche istante…”

Intanto io cercavo di elencarmi mentalmente i motivi per cui ero andata a trovarmi un ragazzo idiota come Sirius Black, mentre Juliet e Remus discorrevano felicemente di qualche argomento a me ignoto. Heloïse, poi, era sparita del tutto, e avevo il forte sospetto che Jack di Tassorosso ne fosse la causa.
“…Oh guardi, professoressa, James ha preso il Boccino!” La McGranitt alzò un attimo lo sguardo verso i giocatori e Sirius, approfittando del momento, si allontanò con un balzo agile portando in salvo il suo megafono.  “Aahahahh, Minerva, c’è cascata!”.
Ma intanto l’attenzione dell’intero stadio era puntata sulla figura di James (i capelli scompigliati si vedevano anche a quella distanza), appena sceso in picchiata. Sirius strabuzzò gli occhi, spalancò la bocca, guardò prima James, poi il brillio dorato che stringeva tra le dita, poi ancora James:
No, aspettate, JAMES HA DAVVERO PRESO IL BOCCINO!”
Un boato di giubilo si levò dagli spalti, e tutti i tifosi rosso e oro si alzarono in piedi contemporaneamente. “E GRIFONDORO VINCEEEEE, GRANDE CORNUTO, GIURO CHE NON LASCERÒ MAI PIÙ I MIEI CALZINI SPORCHI SUL TUO LETTO! MA VIENIIII, MA VIENIIIII!” E Sirius, euforico al massimo grado, saltò letteralmente addosso alla McGranitt, abbracciandola con entusiasmo. Quest’ultima, con la faccia stremata dopo la partita probabilmente pià difficile della sua vita, non potè tuttavia fare a meno di sorridere soddisfatta e applaudire in direzione di James.
E QUELLO SCHIFO DI SERPEVERDE HA PERSOOOO, COME SEMPRE!”
BLACK! MA COME TE LO DEVO DIRE?!”
“…E questo è tutto da Sirius Black, il più figo di Hogwarts! Grazie ragazzi, qui passo e chiudo altrimenti la Minerva mi trucida!”.
Poco dopo, eccolo che correva verso di noi con un sorriso da un orecchio all’altro. Mi sollevò in braccio e mi fece fare una giravolta, poi afferrandomi per la mano mi trascinò verso il campo.
“FATE LARGO, FATE LARGOOOOO, SONO SIRIUS BLACK!”
“Smetti di fare l’idiota?!”, gli urlai sopra il caos pizzicandogli un braccio.
“Subito, mamma!”
Ci facemmo largo a forza di spintoni verso la squadra, dove James, circondato da un numeroso gruppo di ammiratori e ammiratrici, si stava pavoneggiando in modo schifoso.
Oh, è stato piuttosto facile… sapete, ho dei riflessi davvero pronti, oltre che dei capeli corvini incredibili…”
“Ooooooh”, sospirò in coro il mucchio di ragazzine che gli stavano addosso.
“Ramoso sei stato grande!”, esultò Sirius interrompendolo senza farsi tanti problemi.“E ora dacci un taglio.”
 “Ehi, Sirius! Mi hai visto, eh, mi hai visto?! E la Evans, c’era??”
“James, lo sai che la Evans non vede una tua partita da, credo, cinque anni?”, lo informai delicatamente. James mise su il broncio. “Sì, ma pensavo che stavolta sarebbe venuta, visto che in una settimana le ho chiesto di uscire solo 13 volte…”
“Okay, Jamie”, lo liquidò Sirius. “Togliamoci dalla mischia, le tue ammiratrici mi opprimono”.
Vidi Georgia che trotterellava raggiante verso di noi, con i capelli sciolti e gli zigomi arrossati. Feci per andarle incontro, ma Sirius mi trattenne per un lembo della giacca.
“Bice?”
“Sì?”
“Visto che la McGranitt mi ha messo in punizione, e per i prossimi due mesi non potrò uscire..."
"Sì?", domandai di nuovo, senza capire.
"Ti va di venire ad Hogsmeade con me oggi pomeriggio?”
Io e Sirius non uscivamo da soli da un sacco di tempo. Mi spuntò un sorriso spontaneo sulle labbra, e annuii entusiasta. “Okay.”
“Okay”, ripetè lui, e il viso gli si spianò in uno di quei suoi rari sorrisi genuini, che non erano né ghigni né smorfie, ma soltanto sorrisi.

Fu come se tutto il rumore e la gente dello stadio sparissero: rimanemmo a guardarci e a scambiarci sorrisi, contemplando qualcosa che solo noi potevamo vedere, e per un attimo perfetto ebbi la strana sensazione di trovarmi esattamente al posto giusto, con la persona giusta.

***
 

L’ultimo  sole dell’autunno ci scaldava le spalle e ci avvolgeva, dipingendo un’atmosfera dorata che brillava tutt’attorno in piccole gocce di luce. Io e Sirius camminavamo fianco a fianco, le braccia che si sfioravano ritmicamente, beandoci di quei raggi tiepidi che sembravano voler dire addio alla bella stagione.
“Dove vuoi andare?”, mi domandò Sirius spezzando il silenzio tranquillo in cui mi ero completamente immersa.
 “Non so, dove vuoi tu”, risposi sorridendogli di sbieco e ben sapendo che di lì a due secondi mi avrebbe trascinato dentro Zonko.
“Be’, se non ti dispiace…” Attraversammo la strada, diretti verso le vetrine variopinte e caotiche del sopraccitato negozio. Al nostro ingresso i campanellini appesi alla porta suonarono piacevolmente, e il signor Zonko, un omone dallo sguardo sveglio, con le guance rubiconde e i capelli candidi, ci lanciò un sorriso di sfuggita.
“Sirius, quanto tempo!”, ridacchiò allegro sfregandosi le mani. “E c’è anche la signorina…”
“Beatrice”, mi presentai gentilmente.
“Ma certo, viene sempre a finire le mie scorte di Pistacchi Comici…”
“Ah, ecco perché me li ritrovavo sempre nella minestra!”, esclamò Sirius in tono d’accusa. “E io che pensavo fosse James!”
Io alzai le spalle con aria innocente, e Zonko riprese: “Allora, come vanno gli affari ad Hogwarts?”
“Benissimo, signor Zonko!”, rispose Sirius illuminandosi di nuovo. “Pensi che ho appena sperimentato un paio di scherzi niente male con il Disturbatore Ordinato, un successone!”
“Oh, ti prego, raccontami!”, lo implorò Zonko con gli occhi che luccicavano, diventando all’improvviso molto simile a James. Dopotutto lui era Zonko, l’uomo che aveva causato la rovina di Gazza, non ci si poteva certo aspettare che fosse una persona seria.
“È stato davvero spassoso…”, ghignò Sirius passando ad un tono molto confidenziale. “Immaginati la scena: lezione di Incantesimi, Vitious che spiega non mi ricordo cosa, tutti gli studenti concentrati sul libro, e poi…”
“…e poi???”, lo spronò Zonko protendendosi verso di noi come se dalle parole che Sirius stava per pronunciare dipendesse la sua vita.
“E poi… SQUICK!”
Squick?!”, ripetei io vagamente perplessa, ma la risata di Zonko scoppiò tanto fragorosamente da coprire del tutto la mia voce, mentre lui si teneva la pancia, piegato in due dalle risate. “Squick… oh, Merlino… non oso pensare…”, balbettò con le lacrime agli occhi. “Ragazzo mio, tu sì che sei un tipo come si deve…”
Con qualche dubbio a proposito dell’ultima affermazione di Zonko mi allontanai verso gli scaffali, pensando che avrei potuto essere amica di Sirius e James quanto volevo, ma certe loro stravaganze non le avrei capite mai.
Squadrai con aria critica un voluminoso pacchetto di Gomme Incendiarie, e poi lasciai scorrere il dito lungo la fila di prodotti appena creati, leggendo i nomi e selezionando quelli che sembravano pù interessanti.
“Basta Pistacchi, okay?”, commentò una voce ironica alle mie spalle, e Sirius mi fermò la mano, prima che facessi in tempo ad estrarre dallo scaffale un minuscolo pacchetto di Pistacchi Comici. Lo guardai imbronciata. “Ma sono così geniali…”
“Prendi questi!”, mi propose lui entusiasta, porgendomi un’altra confenzione che sibilava e si muoveva in modo inquietante. La guardai sospettosamente, poi con un’alzata di spalle la afferrai, pensando che per Georgia poteva andare benissimo.
Quando ci ritrovammo di fronte al bancone di Zonko, avevamo entrambi le braccia piene di involucri colorati e scoppiettanti, e l’aria molto soddisfatta.
“Oh oh”, ridacchiò Zonko. “Abbiamo fatto rifornimento! Se ti interessa, Sirius, qua ho le ultime novità del mese, davvero molto ingegnose…”
Sirius passò altri dieci minuti a discutere con Zonko degli ultimi modelli di fuochi d’artificio, poi finalmente uscimmo in strada.
“Zonko è uno che sa fare affari.”, commentò allegramente Sirius, che non aveva resistito alla tentazione e si era appensantito di altri tre pacchetti.
“Puoi dirlo forte…”, sospirai scuotendo la testa.

Era ancora presto, così decidemmo di passare il resto del pomeriggio a zonzo tra le vetrine, e discutendo sulla partita di Quidditch della mattina e decidendo come utilizzare al meglio i nostri acquisti recenti di Zonko.
“Sai, penso che l’anno prossimo mi prenderò un animale.”, esclamai all’improvviso mentre passavamo davanti all’Ufficio Postale.
“Tipo Sissi?”, mi domandò Sirius.
“Non so, mi piacerebbe un gatto.”
“E il povero Pet?”, considerò Sirius in tono apprensivo.
“Oh, è vero…”, esclamai senza riuscire a trattenermi dallo scoppiare a ridere. Peter aveva una paura tremenda dei gatti. “Vieni, entriamo qui”, proposi avvicinandomi al negozio di abiti per maghi e streghe. “Devo prendere il regalo di compleanno di Heloïse.”
“Ma non era a settembre, il compleanno di Heloïse? ”, domandò Sirius perplesso seguendomi all’interno del caldo negozio.
“Teoricamente sì..”, replicai con una risatina. “Ma non ho avuto tempo. Tanto lei i regali me li fa sempre con minimo sei mesi di ritardo.” “Penso che le prenderò un vestito per quando esce con Jack.”, aggiunsi con un ghigno.
Ben presto mi accorsi che scegliere un regalo per Heloïse con Sirius che mi seguiva dappertutto facendo commenti idioti oppure si piazzava davanti allo specchio provandosi cappelli buffi e altrettanto idioti non era una cosa semplice, così mi rassegnai. Tanto un mese in più di ritardo non avrebbe cambiato molto.
“Che c’è, il vestito viola non andava bene?”, mi urlò Sirius dall’altra parte del negozio. Aveva addosso un cappello da strega a punta, con un ridicolo pon pon rosso che gli ricadeva sugli occhi. Scoppiai a ridere e la signora Ponks, la padrona del negozio, che lo stava guardando da dietro il bancone vagamente irritata, mi lanciò un’occhiata non molto amichevole.
“Sembri un elfo domestico”, sghignazzò Sirius dopo avermi ficcato in testa a tradimento un cappello deforme che assomigliava lontanamente al Cappello Parlante.
“E tu una melanzana ”, lo rimbeccai.  
“Provati questo”, mi suggerì Sirius infilandomi un berretto di lana verde scuro. Me lo sistemai sopra i capelli e gli sorrisi, aspettando che mi prendesse in giro. “Ti sta bene, sai?”, esclamò invece Sirius. “Ti mette in risalto il colore degli occhi e dei capelli.” Alzai le spalle arrossendo lievemente, mentre lui rimaneva a guardarmi intensamente. “Te lo regalo”, esclamò poi di getto, e prima che potessi dire alcunchè mi trascinò verso la cassa con un sorriso luminoso. “Prendiamo questo.”, disse facendo tintinnare sulla cassa alcuni Galeoni e indicandomi la testa.
Uscii dal negozio con il berretto ancora addosso.
“Una Burrobirra?”, gli proposi. “Offro io.”
“Ma sì, dai”, annuì lui allegro, piegandosi a schioccarmi un bacio leggero sulla guancia.

***
 

“Toh, c’è James!”
L’esclamazione di Sirius mi fece andare la mia Burrobirra al malto di traverso, e mentre mi giravo verso la porta, una chioma di capelli corvini familiarmente disordinati si mosse verso di noi.
“Sirius! Scricciolo!”
“Ciao James”, borbottai un po’ scocciata, lanciandogli un’occhiata che significava chiaramente: “rompi le scatole tutti i giorni, almeno quando sono con Sirius lasciami in pace!”
“Ho scoperto… una cosa…”, balbettò James senza fiato. In effetti, sembrava che avesse corso da Hogwarts a qui senza mai fermarsi. Si guardò attorno fugacemente e poi, sedendosi tra me e Sirius, tirò fuori un foglio di carta spiegazzato e strappato. Conoscevo quel foglio. Era quello che avevano rubato dalla camera di Rookwood, che non eravamo riusciti a decifrare. Possibile che James…
“Ce l’ho fatta.”, esclamò James a metà tra il trionfante e lo stremato. “Mi ha aiutato Lovegood, avete presente?”
“Sì.”, mormorai colpita, nello stesso istante in cui Sirius rispondeva: “No.”
“Quel tipo strambo di Corvonero! Stavamo parlando della partita, è un tipo simpatico, e ho scoperto che ci sa fare con i linguaggi in codice e quelle cose lì…”
Sirius fischiò piano, in segno di ammirazione.
“Così ho pensato di mostrargli il foglio… Ci ha messo un paio d’ore, però ce l’ha fatta.”
“Quindi?”, esclamammo avidamente io e Sirius. James appoggiò con attenzione il foglio sul tavolo, spianando gli angoli.

Rilessi con anche maggiore attenzione della prima volta:


10 S            1

22 D           23

2 F             1

14 M         18

23 M         3
 

E non ci trovai nessun senso.  Avevo sempre odiato gli indovinelli.
Dopo un silenzio moderatamente lungo, in cui anche Sirius si sforzò di venire a capo delle scritte, James puntò il dito sulla prima riga.
“10 Settembre, ore 1”. E poi: “22 Dicembre, ore 23. 2 Febbraio, ore 1. 14 Marzo, ore 18. 23 Maggio, ore 3.”
Sì, ora tornava. Ma c’era altro, qualcosa che si agitava nella mia mente, qualcosa che avrebbe dato un senso al tutto e che invece non riuscivo a ricordare…
“Ne sei sicuro?”, borbottò Sirius dopo essere stato un attimo in silenzio.
“L’ha detto Lovegood”,  rispose James alzando le spalle.

E poi ricordai.
“No, è perfettamente giusto”, mormorai, e mi stupii nel sentire che la mia voce rimaneva tranquilla. Sia Sirius che James mi guardarono in modo interrogativo. “Il 10 settembre all’una… è quando sono salita sulla Torre di Astronomia, e non c’era nessuno.”
“Sì che c’era qualcuno, invece.”, mormorò gelidamente Sirius, guardandomi dritto negli occhi. “E ha cercato di farti del male”.
“Dobbiamo andare da Silente”, sentenziò James immediatamente.
“Oh, insomma… potrebbe essere uno scherzo!”, sbuffai infastidita. “Lo sapete come sono i Serpeverde.”
“No invece, Beatrice!”, ribattè Sirius arrabbiato.
“Ascolta, tu non sai come stanno andando le cose là fuori…”, sussurrò James abbassando la voce. Era straordinariamente serio, per i suoi standard. In fondo James non era così tanto cretino come sembrava. “E tu sei una-”
“Una Sanguesporco, lo so”, lo interruppi impazientemente.
Nata Babbana”, borbottò Sirius tra i denti.
 “È come se Voldemort  stesse organizzando un esercito”, riprese James. “Potrebbe scoppiare la guerra da un momento all’altro…”
“Come fai a sapere queste cose?”, lo interruppi ignorando il brivido orribile che mi aveva attraversato la schiena.
“I miei sono Auror”, rispose lui con un sorriso. Passamo un’altra manciata di secondi in silenzio.
“Ma devono far qualcosa per fermarlo!”, esplosi frustrata. “Dobbiamo!”
“Beh…”, esordì Sirius, “c’è l’Ord-…”
“Gli Auror!”, lo interruppe James scattando in piedi in modo piuttosto strano. “Gli Auror stanno facendo un sacco di cose”. Assottigliai lo sguardo, guardando sospettosamente da Sirius a James e poi di nuovo a Sirius. Avevano entrambi la faccia tesa, ma decisi di non indagare.
“E quello che possiamo fare da noi è avvertire Silente”, aggiunse con un sorriso furbo James.
“Andiamo ad avvertire Silente!”, esclamai in tono risoluto alzandomi in piedi.

Il tempo di tornare al castello, andare a recuperare in Sala Comune Remus e Peter, cercare di indovinare la parola d’ordine dello studio di Silente (“zucchero alla menta”), ed eccoci tutti e cinque di fronte al Preside, con James in testa e Peter che cercava invano di nascondersi alle mie spalle.
“Allora ragazzi?”, domandò garbatamente Silente. “Non avrete di nuovo litigato con Argus a proposito dei Frisbee Zannuti?!”
“Oh, no signore!”, rispose James con un largo ghigno. “Cioè, in effetti sì, ne abbiamo pacatamente discusso appena stamattina… ma non siamo qui per quello.”
Silente giunse le mani e fece un cenno con la testa, spronando James a continuare, con un piccolo sorriso educato.
James schiarendosi la voce appoggiò il foglio sulla scrivania. “Questo l’abbiamo… ehm… trovato un po’ di tempo fa, e appartiene a Rookwood, e pensiamo di aver capito cosa significa.”
Silente osservò con curiosità la pergamena strappata, gli occhi azzurrissimi che sembravano penetrare nell’inchiostro e capirne il significato.
Sirius, che non era una persona particolarmente paziente, vedendo che Silente non reagiva si schiarì la voce. “Potrebbero essere delle date, no? Dieci settembre, ventidue dicembre…”
“Oh sì, potrebbero esserlo, signor Black!”, esclamò con tono vivace Silente, uno scintillio allegro negli occhi.
“Il punto è che…”, fece Sirius, poi non sapendo come continuare si girò verso di me.
“Sì, il punto è che io il dieci settembre ho ricevuto un biglietto che mi chiedeva di trovarmi proprio all’una di notte sulla Torre di Astronomia… ”, farfugliai arrossendo. “E io ci sono andata. Cioè, non che di solito esca di notte!”, James tossicchiò discretamente e mi fece diventare più rossa di quanto già non fossi, “Però mi sembrava importante.” Silente mi lanciò una breve occhiata penetrante. “Suppongo che sia successo qualcosa, quella notte…?”
Gli raccontai il più in fretta possibile l’episodio, e lui tornò ad immergersi in uno dei suoi silenzi meditabondi.
Per la seconda Sirius non si trattenne ed esclamò: “Ma Preside, è ovvio che Rookwood diventato un Mangiamorte! Voldemort ha delle spie dentro il castello!”
“Suvvia, Sirius!”, lo ammonì pacatamente Silente.
“Non mi crede?”, borbottò Sirius in tono di sfida. Io gli pestai un piede con un’occhiata di rimprovero.
“Oh, ma certo che ti credo, Sirius! Tuttavia, non offenderti se ti dico che la questione non mi sembra particolarmente rilevante.”
James strabuzzò gli occhi. “Ma signore…”
“Ah, James…”, sospirò Silente. “Non ritengo saggio attaccarsi troppo a questa storia, sai?”
Ma…”
“Apprezzo che mi abbiate messo al corrente dei vostri sospetti, ma vi prego di non pensarci più.”, concluse con fermezza Silente.
Ma…”, cercò di protestare James ancora una volta.
“Me ne ricorderò, James. Se mai dovesse succedere qualcosa di strano ad Hogwarts, me ne ricorderò. Ma per adesso…”, esordì Silente, con un sorriso rilassato. “Tornate alle vostre innocenti occupazioni.”
Io feci una linguaccia a Sirius con aria di sfida, lui si imbronciò leggermente e si voltò verso la porta.
“Beh, arrivederci, Preside…”, esclamò James un po’ stranito, senza però lasciare da parte il suo solito sorriso smagliante.
“Che vecchio pazzo”, commentò Sirius scuotendo la testa incredulo appena ci richiudemmo la porta alle spalle.
“Per me è geniale!”, ribattè James. “Il più grande mago di tutti i tempi.”
 
E io davo ragione a James. Il solo fatto che Silente fosse a conoscenza di quello che avevamo scoperto, nonostante non lo ritenesse importasse, era bastato a tranquillizzarci e a lavare via la preoccupazione.
“Beatrice?” Alzai gli occhi, sentendo la voce di Sirius vicina al mio orecchio, e me lo ritrovai che mi osservava beffardamente a pochi centimetri dal mio viso.
“Che c’è?”
“Puoi togliertelo quel berretto, adesso, sai?”
“Che cosa?!”, borbottai tastandomi la testa e accorgendomi con orrore che era rimasto lì, fin dal pomeriggio, e che ero una completa idiota. “Io… non è…”, farfugliai arrossendo e nascondendolo in fretta in tasca. Sirius scoppiò a ridere fragorosamente, scompigliandomi i capelli in modo fastidioso.

“Sei assurda, Bice”, sospirò con un largo sorriso.
“Stupida”, rincarò James.
“E bassa”, commentò Remus, in uno dei suoi rari slanci da Malandrino.
“E secchiona, se mi permettete”, puntualizzò Peter.
“Grazie, ragazzi…”, commentai tra lo stizzito e il divertito passando un braccio attorno alle spalle di Sirius, e l’altro attorno a quelle di James.
“Devo parlare io? O preferite che passi direttamente alle maniere forti?!”
“No, grazie”, risposero in coro loro quattro.

 

 

 ULTIMO COMMENTINO DELL’AUTRICE, E' UNA COSA IMPORTANTE:
1) AD UN CERTO PUNTO C’E' UN MEZZO RIFERIMENTO DI SIRIUS ALL’ORDINE DELLA FENICE (CHE PENSO SIA NATO DA POCO), NON MI RICORDO DOVE. VOLEVO PRECISARE CHE SIRIUS E JAMES E I MALANDRINI OVVIAMENTE NON CI FANNO PARTE, SONO ANCORA PICCOLI, MA I GENITORI DI JAMES CHE SONO AUROR SECONDO ME SI', QUINDI JAMES E SIRIUS LO SANNO E OVVIAMENTE Più AVANTI ENTRERANNO ANCHE LORO.
2) LA FINE E' UN PO’ TRONCATA MA PAZIENZA. 

 

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Capitolo 30
*** La notte peggiore ***


Trentesimo capitolo: LA NOTTE PEGGIORE


 

Quella mattina Sirius aveva approfittato di una delle sue numerose buche per accompagnarmi alla lezione di Rune Antiche, visto che aveva un paio di cose su cui aggiornarmi.
“Pensavo… se un giorno facessimo uno scherzo a James? Del tipo, se qualcuno prendesse della Pozione Polisucco e si trasformasse nella Evans e…”
“E glielo prendi tu un capello, alla Evans?”, lo interruppi con un ghigno.
“Ehm… meglio di no. Sì, forse non è un’idea così buona…”
“Per niente”, ridacchiai affrettando il passo e guardando l’orologio.
“Però potremmo sempre scrivergli una lettera facendo finta che sia dalla Evans…”
“Perché ce l’hai tanto con Lily stamattina?!”, lo interruppi nuovamente, con sospetto.
“Ce l’ho con James, è diverso! Mi ha di nuovo trasfigurato i boxer in mutandoni di pizzo”, borbottò imbronciato.
“Ma per favore!”
 “Oppure, ancora meglio, alla prossima luna piena…”
Sì, alla prossima luna piena…?”. Una voce melliflua e irrimediabilmente sgradevole ci fece fermare di botto. Sirius sputò un’imprecazione tra i denti e si girò in modo tanto fulmineo che prima che facessi in tempo anche solo ad accorgermene, Piton si trovava già appeso al soffitto, a penzoloni.
“Non ti ho mai insegnato che non è buona educazione origliare, Mocciosus?”, esclamò Sirius con la voce alterata.
Piton dall’alto ci lanciò un’occhiata di profondo disgusto. “Fareste meglio a parlare dei vostri segreti a bassa voce, sapete? Magari ad Hogwarts ci sono delle persone che potrebbero, come dire… non apprezzare la presenza di creature…”
“Un'altra parola e sei morto, Piton”, sibilò Sirius con una voce così serpeverdesca da farmi rabbrividire. Piton fece una smorfia, guardando il piccolo ingorgo che si stava creando nel corridoio, e il suo viso smunto assunse un pallido colorito rosato. Iniziò a divincolarsi strenuamente, lanciandoci di tanto in tanto qualche occhiata di odio puro.
“Che c’è, Mocciosus, hai paura di fare la fine dell’ultima volta?”
“Sirius…”, lo ammonii appoggiandogli una mano sul braccio. Lui si allontanò con una strattone e ad un gesto pigro della bacchetta, i capelli di Piton diventarono fucsia.  Il contrasto con il colorito giallastro del suo viso era qualcosa di orrendo e pietoso.
“Sirius!”, ripetei più forte. “Adesso finiscila!” Ma Sirius non sembrava avere la minima intenzione di darci un taglio, così non mi restò che tirare fuori a mia volta la bacchetta. “Bene, l’hai voluto tu. Liberacorpus”.
Piton cadde a terra come un sacco di patate, e a vederlo lì, inerme e umiliato, nonostante tutto sentii un po’ di pena per lui.
Sirius non sembrava pensarla allo stesso modo. Mi guardò vagamente sorpreso, poi tornò a rivolgersi a Piton con disprezzo. “E con questa, è la seconda volta che una ragazza Nata Babbana ti salva la pelle, Mocciosus.”

“Sei arrabbiata?”
“Un po’.”
 Sirius mise su uno dei suoi bronci, e una ragazza che passava di lì lo guardò adorante. Io mi premurai di fulminarla con un’occhiata abbastanza eloquente, e lei si dileguò in fretta.
“E tu, sei arrabbiato?”
Un piccolo sorriso, uno scorcio di sole tra le nuvole, gli rischiarò il volto per un attimo. “Sì, ma non con te…”
“Come faremo alla prossima luna piena?”, domandai accigliata. Che ci lasciassimo incastrare da un viscido come Piton era fuori discussione.
Sirius si fece prima un po’ pensieroso, poi scosse la testa con decisione e mi sorrise malandrino. “Tu non preoccuparti, ci penseremo io e Ramoso.”
“No, voglio partecipare anch’io”, protestai incrociando le braccia al petto.
“Oh, Santo Merlino”, sospirò Sirius esasperato. “È roba da me e James!”
No, invece!”
“Sì!”
“No!”
“Sì!”
“N-…” Ma Sirius pose fine al battibecco mi zittì con un bacio così improvviso che rimasi senza fiato e la borsa piena di libri mi cadde a terra con un gran tonfo.
“Stai zitta, ora?”,  mi sussurrò ironicamente. Io tossicchiai, senza ribattere. “E fila a lezione, dai.”

***
 

Il resto della settimana trascorse senza incidenti, a parte la crescente tensione tra Sirius, James e Piton. Se James riusciva ancora a trettenersi e a comportarsi in modo decente, più che altro per non farsi odiare da Lily ancora di più, Sirius… be’, Sirius era semplicemente Sirius, e nessuno, nemmeno io o James, riusciva a tenerlo a bada.
Quanto a me, man mano che il plenilunio ero sempre più in trepidazione. Da una parte sapevo che Piton era più che mai pericoloso, dall’altra ero anche l’unica che sarebbe riuscita a controllarlo, quindi quella volta non sarei potuta mancare.

Ed era di questo che stavamo discutendo quella sera, nella camera dei Malandrini.
James stava lucidando la sua scopa da corsa disteso sul letto, guardandoci a turno e aspettando che qualcuno iniziasse a parlare. Peter in un angolino sgranocchiava le sue Cioccorane guardandoci ansioso, io, Sirius e Peter eravamo seduti sul pavimento fianco a fianco.
“Allora?”, domandai io con trepidazione.
“Allora cosa?”, fece Sirius girando la testa quel tanto che serviva per potermi osservare.
“Ci serve un piano, no?”, esclamai in tono vivace alzandomi in piedi. “Ricapitolando: Mocciosus ormai ha capito che Rem è un lupo mannaro ma non ne ha le prove, quindi alla prossima luna piena c’è da aspettarsi una dei suoi tranelli da serpe, vorrà di sicuro vedere Remus, e poi andare da Silente.”
“Se è questo che vuole.”, borbottò gelidamente Sirius. Remus teneva lo sguardo basso, con un’espressione malinconica negli occhi. Gli presi una mano e lo tirai leggermente per il braccio, in modo che mi dovesse guardare negli occhi. “Invece Lunastorta è il lupo mannaro più buono del mondo.”
“Oh, sì, e ha anche molto successo con le ragazze”, commentò James con un ghigno ironico.
“Merlino, James, sei proprio un idiota…”, sospirò Remus con le guance tinte di un tenero colore rosato.
“Juliet, poi… non è certo una dai gusti facili!”, rincarai io.
“Smettetela”, farfugliò lui, confuso e imbarazzato. “Se le ragazze sapessero cosa sono scapperebbero a gambe levate.”
“Perché, io cosa ti sembro?”, sbottai esasperata. “Remus, ti prenderei a calci quando ti comporti così.”
“Quindi ti conviene smetterla, Lunastorta”, si inserì James. “Perché guarda qua cosa mi ha fatto…”, e gli mostrò un piccolo livido bluastro sulla gamba.
“Ehi, quello non te l’ho fatto io!”, protestai indignata.
“Ah no? Hai presente quando l’altro ieri stavamo facendo quel discorsetto…”
“Quale discorsetto, James?”, ripetei guardandolo storto.
Quel discorsetto, hai presente? Riguardo a un certo qualcuno…”
“James”, ringhiai buttandomi verso di lui con uno scatto agile.
“Ma sì, dai… quando ti ho detto che secondo me avresti anche potuto…”
“JAMES!” Gli saltai addosso,tappandogli la bocca con una mano e con l’altra afferrandogli i capelli, mentre lui rideva istericamente e piagniucolava insieme.
“James, Beatrice, vi prego…”, esclamò Remus irritato. “Piantantela”.
Felpato… coff… toglimi – la tua… coff – ragazza… dalla – schiena”, ansimò James divincolandosi strenuamente. Sirius sorrise pigro, senza accennare a spostarsi di un millimetro. Sentii qualcosa di appuntito che andava in frantumi, più o meno sotto il mio gomito, e subito dopo l’urlo belluino di James: “I MIEI OCCHIALI!  E che cavolo, è la quarta volta che me li rompi dall’inizio dell’anno!”
Ops!”, commentai sadicamente. Poi mi spostai di qualche centimetro, giusto per lasciare che James stramazzasse sul pavimento e che potesse riprendere fiato. “Santo Merlino!”, boccheggiò poi, un po’ rianimato, con la faccia paonazza e i capelli sparati verso tutti i punti cardinali. “Non sono più preparato a queste cose…”
Io sorrisi soddisfatta, mi spolverai il maglione e tornai a rivolgermi a Peter, Sirius e Remus.
“No, sul serio! Dobbiamo trovare un piano, velocemente.”
“Io ce l’avrei, un piano”, borbottò Sirius.
“E sarebbe?”
“Lascia perdere”, fece lui con un ghigno.
Sospirai scuotendo la testa e lanciandogli un sorriso di sbieco. “Possibilmente non una delle vostre bravate…”
“Secondo me”, tossicchiò Peter timido. “Tu dovresti fare la guardia mentre noi andiamo con Remus.” Soppesai le parole di Peter, e poi annuii.
“Sì, Pet ha ragione. Potrei farlo senza nessuna difficoltà.”
“Non mi piace”, esclamò Sirius immediatamente in tono cocciuto.
“Ma sta zitto”, lo interruppi poco gentilmente. “Lo sapete che Peter è il capo!”
Tutti scoppiammo a ridere, Peter compreso. “Allora, io resto a controllare e poi vi do il via libera, va bene a tutti?” Peter mi sorrise affermativamente, James mi lanciò un’occhiataccia ma poi annuì, e Remus lo imitò, un po’ a malincuore. Ci voltammo tutti verso Sirius.
“Io non sono d’accordo.”
“Be’, se hai una proposta migliore…”, sospirai.

Ma Sirius non aveva una proposta migliore della mia. O almeno, non aveva una proposta migliore di “imbavagliare Mocciosus, trasfigurargli la testa in una melanzana e appenderlo per le mutande agli anelli del campo di Quidditch”, così alla fine anche lui sembrò arrendersi.
La sera del plenilunio mi liberai da Juliet, che aveva organizzato un pigiama-party a base di Grey’s Anatomy e subito dopo cena scappai nella camera dei Malandrini.
“Remus è già alla Stamberga?”, domandai con una certa ansia appena entrata. Peter annuì, un po’ nervoso.
“E Sirius dov’è?”
“L’ha accompagnato”, mi rispose James. “Ma dovrebbe tornare a momenti”.
Mi sedetti sul bordo della finestra e rimasi assorta a fissare il cielo ormai scuro. Lassù, proprio accanto al Sirio, tra poco sarebbe spuntata la luna…
“Ehi James, vieni un attimo?!” Guardai con più attenzione il parco buio, mentre James ciabattava pigramente verso di me.
“Che c’è? Non si vede un tubo…”
“Là, proprio sotto le serre”, gli indicai.
James schiacciò il naso contro il vetro, e anche Peter corse a vedere.
“Sembra… sembra Sirius!”
“Sirius e Remus?”, domandò James confuso. “Ma non dovrebbero essere già…”
“No, James, quello non è Remus.”, lo interruppi. “Quello è Piton.”
Un silenzio agghiacciato calò nella camera, mentre ognuno di noi faceva i conti, e capiva.
“Lo sta portando…”
“…da Remus!”, conclusi con un gemito terrorizzato.
Peter squittì qualcosa di indefinito, io e James ci guardammo spaventati, poi insieme ci scaraventammo  fuori dal dormitorio, giù per le scale, nella sala comune affollata (dove travolgemmo due bambini del primo anno). James era più veloce, e in breve tempo rimasi indietro. Solo a metà del terzo piano mi venne in mente che se mi fossi trasformata nel mio Animagus sarei arrivata mille volte prima, ma ormai era troppo tardi, e imprecando ripresi a correre più veloce di prima.
Sirius! Nooooo, fermati!”, urlò James con quanto fiato aveva in gola una volta fuori dal castello. Ma ormai Sirius e Piton erano due puntini, sempre pià vicini al Platano Picchiatore, e la luna si muoveva veloce dietro gli alberi. Con uno scatto James si lanciò giù per i prati, e io al seguito.
Poi fu tutto molto veloce. Sirius e Piton sparirono dentro il Platano Picchiatore, un ululato terribile risuonò nel parco, e subito dopo James, che aveva recuperato in fretta, si fece largo a fatica dentro il passaggio segreto.

Quello che successe là dentro non mi fu molto chiaro neanche in seguito.
L’unica cosa certa è che poco dopo ne uscirono James, Sirius e Piton, che Piton aveva la faccia pallida e stravolta, e che una volta all’aperto era corso via, urlando che sarebbe andato dritto da Silente.
Quella notte l’unico a fare compagnia al povero Lunastorta fu Codaliscia, e nella sala comune di Grifondoro si svolse il peggior litigio che si fosse mai visto nella nostra casa.
Fu anche il peggior litigio tra me e Sirius che si fosse mai visto. Il primo, e il peggiore.
Perché se anche avessimo passato una vita intera a litigare, non saremmo mai riusciti a insultarci, ferirci e odiarci più di quella notte.

***
 

James era ancora distrutto dalla corsa, e io camminavo avanti e indietro per la sala comune, a volte girandomi verso Sirius. Lui stava fermo, di fianco al camino, con la faccia impassibile.
“Perché l’hai fatto?” Gli occhi di James, di solito così dolci e ridenti, erano gelidi.
“Fatto cosa?”, chiese Sirius in tono di sfida.
“Lascia perdere, James”, esclamai sprezzante. “Scommetto che lui è contento di averlo fatto.”
Sirius mi guardò a lungo, senza ribattere, e nonostante il suo sguardo di ghiaccio mi facesse stare male non abbassai gli occhi neanche per un secondo.
 “Non dici niente?!”, gli domandai dopo qualche minuto di silenzio. “Ora che Piton lo andrà a dire a tutti i Serpeverde, sei contento? Hai idea di come si sentirà Remus quando domattina tornerà in sé  e si ricorderà?” Più parlavo, più la voce mi si incrinava, più aumentava la rabbia.
“Sai, non sopporto quando fai la saputella”, ribattè lui con un sorriso sarcastico. E tutta questa cattiveria, adesso, da dove veniva?!
“Io faccio la saputella?”, sibilai avvicinandomi di un passo. “Non rigirare le cose, adesso, perché questa volta hai torto marcio, e lo sai.” Sirius sbuffò, spostandosi una ciocca di  capelli neri con noncuranza. “Se lo dici tu…”
“Ma sentilo. Faresti una figura mille volte migliore ad ammettere di aver sbagliato, sai?”
“Non sapevo che ti stesse così a cuore Mocciosus”, replicò lui con finta sorpresa. “Cosa mi sono perso?”
“Sembri un bambino di cinque anni!”, esclamai incredula. “Se non fosse venuto James, Merlino sa cosa sarebbe successo!”
“Non oso immaginarlo”, ribattè lui con sarcasmo.
“Sì, continua a scherzare.”, sbottai disgustata. “Ma a Remus, il tuo migliore amico, non ci pensi vero? Secondo te come si sarebbe sentito, se a Piton fosse successo qualcosa, se…”
“…Risparmiati la predica, non mi…-”
“STA ZITTO, HAI GIA’ FATTO ABBASTANZA STASERA!”, urlai perdendo il controllo. Non sopportavo essere interrotta mentre parlavo, e non sapevo quanto mi sarei potuta trattenere ancora, di fronte alla sua aria strafottente e annoiata. James si avvicinò rapidamente, pronto ad intervenire. “Ti faccio la predica perchè voglio bene a Remus, e dovresti sentirti in colpa, se fossi  solo un po' meno egoista! Ma ti rendi conto che ne sarebbe rimasto distrutto, segnato a vita Ma M  …”
“COSA PENSI, CHE NON ME NE FREGHI NIENTE DI REMUS?!”, urlò lui cercando di sovrastare la mia voce. Ormai eravamo avanzati entrambi di parecchi passi, fino a trovarci esattamente l’uno di fronte all’altra. “Abbassate la voce…”, ci implorò James, tentando invano di separarci.
“SÌ, SEMBRA PROPRIO CHE NON TE NE FREGHI NIENTE DI REMUS!”, continuai a gridare ignorando bellamente James.
“COME TI PERMETTI, COSA CREDI DI SAPERNE…”
“COME TI PERMETTI TU! FOSSI IN TE NON MI DAREI TANTE ARIE, DOPO AVER COMBINATO UN CASINO DEL GENERE!”
“SMETTILA DI SBRAITARMI ADDOSSO!”, protestò Sirius, sbraitando peraltro ancora più forte di me.
“ANCHE TU MI STAI SBRAITANDO ADDOSSO!”
“IO LO FACCIO PERCHÉ TU HAI COMINCIATO!”
“IO HO COMINCIATO PERCHÉ TU MI HAI FATTO PERDERE LE STAFFE! NON AVEVO INTENZIONE DI URLARTI ADDOSSO, ALL’INIZIO!”
Sentii dei rumori lievi provenire da tutt’attorno, e girandomi  mi accorsi che una moltitudine di Grifondoro in pigiama, alcuni con la bacchetta in mano e l’aria molto preoccupata, erano appena accorsi a vedere da dove provenissero le urla.
Ma cosa è successo?! Perché urlano?”
“…non ci sono i Mangiamorte, vero?”
“Ma sono Black e la Summerland!”
“Perché si urlano addosso, non stavano insieme?!”
“…dite che Sirius l’ha tradita?!”

Juliet, Heloïse e Georgia si precipitarono verso di me e cominciarono a fare domande a raffica. Quasi non me ne accorsi. Sentivo in testa un ronzio che mi impediva di pensare, e vedevo solo Sirius.
“È meglio che ve ne andiate”, ordinò James in tono perentorio rivolgendosi al resto dei ragazzi, che subito si affrettarono ad ubbidire, sempre confabulando fra loro.
Ripresi fiato e tornai a guardare Sirius dritto negli occhi. “Hai rovinato tutto.”, sibilai freddamente.
“Tutto cosa?”, domandò lui in tono di sfida. 
 Tutto!”, urlai con la voce di nuovo acuta, il viso che mi andava letteralmente a fuoco per la rabbia e gli occhi che pungevano dalla voglia di piangere. Di nuovo non fui in grado di trattenermi. Non riuscivo, non potevo tollerare che lui la prendesse così alla leggera, che mi sbattesse in faccia quella sua espressione arrogante e annoiata. Era un’altra persona, un altro Sirius. “Non mi fiderò mai più di te!”, strillai con la voce sempre più acuta, sapendo che tra poco avrei perso anche quel briciolo di lucidità che mi restava.“MAI PIÙ!”
“BENE, SAI COSA ME NE IMPORTA!”, urlò lui alzando la voce.
A quel punto James si schierò di fianco a me. “Ti sei comportato da bastardo, Felpato”, constatò semplicemente. “Complessato com’è Remus sarebbe morto, anche se gli avesse fatto solo un graffietto… e Lily, come ci sarebbe rimasta?!”
Capii immediatamente che James aveva detto la cosa sbagliata.
Di fronte al suo giudizio, Sirius sembrò sgonfiarsi, la sua indifferenza crollare. I suoi occhi per un attimo apparvero feriti, prima di tornare gelidi.
“Già, la Evans”, sbottò, con la voce alterata. “La Evans di qua, la Evans di là, sempre e solo la Evans! PEnsavo che i Malandrini per te significassero qualcosa, pensavo che fossimo una famiglia, e invece... che cosa siamo noi in confronto alla splendida, mitica, adorabile Lily Evans?!? Non te ne importa più niente, non è vero?"
Dopo questo incredibile sfogo, James rimase completamente senza parole. “Detto da te…”, sbottai io, invece. “Hai anche il coraggio di parlare dei Malandrini?!”
Sirius a queste parole mi guardò con un’espressione feroce, si girò di scatto e a grandi falcate lasciò la sala comune. “MI AVETE ROTTO, DAVVERO!”, esplose ancora prima di sparire nel dormitorio.
“SÌ, SCAPPA PURE!”, gli urlai dietro. “MA NON LA PASSERAI LISCIA!”

Con un rigido scatto della testa salutai James, lanciai un’occhiata alle mie amiche, che stavano impietrite davanti al camino, e corsi a mia volta in camera mia. Mi sbattei la porta alle spalle e mi buttai sul mio letto, premendomi il cuscino contro il viso.
Mi sentivo malissimo. Non sapevo cosa fosse peggio, se quello che aveva rischiato Piton o il litigio con Sirius. Ero stata spietata, e lo sapevo bene. Stranamente, non mi sentivo nemmeno tanto in colpa. Per niente, in effetti. Forse col tempo mi sarei pentita delle cose orribili che gli avevo detto quella notte, forse avrei capito che Sirius era soltanto un ragazzo, un po’ immaturo, un po’ troppo impulsivo, ma che in fondo aveva un gran cuore, non meno grande di James, in effetti...
Ma anche io ero soltanto una ragazzina, e per il momento l’unica cosa di cui ero capace era di crogiolarmi nella mia rabbia, pensare e ripensare alle parole di Sirius, sentirmi offesa, dispiaciuta e arrabbiata. 
Sentii le mie amiche che rientravano, chiudendo piano la porta. Senza una parola, una dopo l’altra si sedettero sul mio letto.
“Lasciatemi in pace”, bofonchiai con la voce soffocata dal cuscino.
“Come no”, borbottò piano Heloïse. “Allora, che cosa hai combinato?”
Mi alzai a sedere con uno scatto repentino. “IO???”, urlai sconvolta. Poi ricaddi pesantemente sul letto, guardando il soffitto. “È tutta colpa sua”, mormorai con un filo di voce. “È uno stupido, un grandissimo, grandissimo  stupido…”
“Che cosa ti ha fatto?”, mi domandò con delicatezza Georgia, accarezzandomi i capelli.
“Mi ha fatto arrabbiare, ecco.”
“Ma va!?”, commentò Heloïse. “Più precisamente?”
“Niente, mi ha fatto arrabbiare punto.”, ripetei evasiva. Se anche non ci fosse stato da nascondere il piccolo problema peloso di Remus, non avrei avuto voglia di parlarne.
“È normale litigare con il proprio fidanzato…”, mi consolò Georgia con tono comprensivo. “E tu è Sirius siete una coppia bellissima.”
A quelle parole la morsa che mi stringeva il cuore aumentò.
“Se un giorno avrai voglia di parlarcene, noi siamo qui, eh?”, aggiunse Juliet abbracciandomi e appoggiando la testa sulla mia schiena. “E poi, guarda Meredith e Derek: quante volte si sono mollati, e poi ripresi, e poi mollati, e poi ripresi, e poi…”
“Grazie, Juliet, ho afferrato il concetto”, mormorai stancamente, senza però poter fare a meno di sentire un moto di riconoscimento nei confronti di tutte e tre. “Dormiamo, ora?”, domandai, desiderosa di potermi abbandonare a me stessa in santa pace.

E mentre mi addormentavo, nonostante il pensiero fisso di Sirius e la rabbia che ne derivava, mi ritrovai a sperare ardentemente che nulla, nemmeno quella notte, potesse riuscire a dividere i Malandrini.


Note dell’autrice
Ciao gente! Passate belle vacanze?
Lo so, ci ho messo di nuovo quasi un mese ad aggiornare, ormai sono un caso perso T_T Però stavo leggendo una fan fiction a mio parere stupenda, e allora mi è un po’ passata la voglia di scrivere, perché mi sentivo una completa idiota : )
Riguardo al capitolo ho un po’ paura di quello che penserete, perché insomma, rispetto al solito è un po’ forte.
A parte lo scherzo di Sirius, che più o meno tutti conoscono e quindi penso sia superfluo commentare, ad alcuni magari può sembrare un po’ esagerata la reazione di Beatrice, visto che finora non si era mai comportata in modo così violento ed era sempre sembrata gentile, d’accordo con Sirius in tutto e per tutto ecc., però io penso che oltre alla preoccupazione per Remus (e per Piton, nonostante tutto), l’abbia ridotta così anche la delusione per Sirius, da qui non se lo aspettava per niente. E poi l’ho fatto leggere a mia sorella e ha detto che andava bene, quindi mi fido ciecamente :D
Sirius ovviamente non mostrerebbe di essere pentito neanche se ne andasse della sua vita, soprattutto venendo attaccato in quel modo da Beatrice e James, quindi le sue battutine penso siano giustificate. Questo ovviamente non significa che  non si sentisse in colpa e non stesse malissimo anche lui, o almeno mentre scrivevo l’ho pensata così.
Okay, queste note sono le più chilometriche che abbia mai scritto in vita mia quindi BASTA.
Un grazie di cuore alle recensioni del capitolo scorso, spero che anche ai due nuovi recensori tornino a farsi sentire : )
Il resto dei commenti, a voi!
Ciao ciao
Trixie

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Capitolo 31
*** Cantami o Sfrappola l'ira funesta della Filippide Beatrice ***


 

Trentunesimo capitolo:  “Cantami o Sfrappola l’ira funesta della Filippide Beatrice”

Questo capitolo vorrei dedicarlo a molte persone.
Per prima a Jullsfrap, la mia musa ispiratrice
e il mio inesauribile pozzo di idee,
 perché senza di lei questo capitolo non sarebbe neanche cominciato.
Poi a quelle altre due pazze delle mie amiche, perché vi voglio tanto bene,
e a Clara, che è sempre così buona.
Ovviamente anche a Butterfly90 che è una grande
e a tutti quelli che leggono o recensiscono questa storia.
Ma soprattutto, questo capitolo lo dedico a Kenny,
 l’unica persona davvero intelligente
che ha smesso di leggere questa storia al capitolo 8.
Senza di te la primavera non poteva proprio cominciare.

 

I pettegolezzi ad Hogwarts hanno sempre corso veloci, fin dai tempi di Godric. La mattina dopo già mezza scuola, McGranitt inclusa, erano a conoscenza del fatto che io, James e Sirius avevamo litigato furiosamente, e che per la prima volta nella storia i Malandrini si erano trovati davvero in disaccordo su qualcosa. Ma siccome il motivo del litigio era misterioso, erano cominciate a girare voci, una più assurda dell’altra, secondo le quali io e James avevamo una tresca, e che quella notte avevamo deciso di fuggire per andarci a sposare all’estero. Ovviamente, non tutta la popolazione di Hogwarts era così stupida da crederci: Xeno Lovegood,  per esempio, era convinto che  Sirius fosse diventato pazzo dopo aver subito l’attacco di un branco di Ricciocorni Schiattosi fuggiti dalla Cornovaglia (potevano essere molto aggressivi, quando volevano), e ora andava in giro a dirlo a chiunque incontrasse.
Certo, avere l’attenzione di tutto il castello puntata addosso non era la cosa più piacevole del mondo, soprattutto considerando i sorrisetti compiaciuti che avevano cominciato a riservarmi le ammiratrici di Sirius (quindi più o meno tutte le ragazze di Hogwarts). Dopo i primi giorni però cominciai a farci l’abitudine, e anche l’interesse per il nostro litigio iniziò lentamente a scemare, nonostante rimanesse uno degli argomenti di principale discussione.

Quello che invece non accennava a diminuire era la mia rabbia nei confronti di Sirius, e a distanza di una settimana non mi sentivo ancora minimamente in colpa per avergli urlato addosso in mezzo alla sala comune in piena notte.
Tutto questo, per quanto possa sembrare assurdo, mi riempiva di grande soddisfazione.
Voleva dire che non ero meno tosta di lui, che ero capace di tenergli testa, e che quella volta, se avesse voluto che le cose si sistemassero, sarebbe stato lui a fare il primo passo. Assolutamente.
 A pensarci, era molto più probabile che Silente si rasasse la barba a zero piuttosto che io decidessi di andare a parlargli per prima. Se non per riempirlo di insulti, ovviamente.
L’unico problema, che per il momento non mi toccava minimamente, è che nemmeno Sirius aveva l’intenzione di farsi avanti, cosa che mi ero aspettata e che era tipica di lui. Quindi, niente di sconvolgente per i primi tempi.

Così avevamo iniziato a sederci da parti opposte del tavolo di Grifondoro in Sala Grande, a lasciare la sala comune quando uno dei due vi entrava, a parlare allegramente con il resto dei compagni a voce molto più alta del necessario per farsi sentire dall’altro quando era proprio impossibile evitare la sua presenza… In sintesi, a comportarci come due perfetti idioti.

***
 

“Remus, smetti di fare quella faccia.”
“Quale faccia?”
“La faccia di un idiota che si sente tremendamente in colpa per una colpa che non ha commesso lui”, e sottolineai con grande impegno quel “lui” in modo che anche qualcuno stravaccato su un divano dalla parte opposta della sala comune riuscisse a sentirmi. Remus si rabbuiò all’istante e guardò dispiaciuto nella direzione di Sirius.
Sì, dispiaciuto. Perché quell’imbecille colossale di Remus John Lupin, dopo l’incredulità iniziale e una breve, isterica sfuriata per quello che aveva combinato Sirius, aveva amorevolmente deciso di non fargli pesare niente di niente, di trattarlo con comprensione e di addossarsi tutte le colpe di quella nottata disastrosa. Sinceramente, non sapevo con chi dei due valesse la pena di arrabbiarsi di più.
“E non guardarlo in quel modo!”, sbottai infuriata dimenticandomi all’improvviso che stavo facendo finta che Sirius non esistesse da una settimana.
Anche Sirius parve dimenticarsene, perché mi rivolse un sorriso così falso da far venire la nausea e con una calma feroce ribadì: “Tesoro, quando la smetterai di essere così presuntuosa, di dare ordini a destra e a manca e di fare la moralista della situazione, magari potrei anche prendere in considerazione l’idea di riappacificarmi con te, sai?”
“Sì, sempre che questa magnifica idea la prenda in considerazione anch’io, tesoro”, ribattei stringendo i pugni con la rabbia che cominciava a rimontare repentinamente.
“Vedremo.”, fece lui, imperturbabile.
“Oh, sì, vedremo proprio.”, concordai io in tono di sfida,  poi tornai a voltargli le spalle. Peter continuava a guardare a turno me e Sirius, piuttosto impressionato, e James era evidentemente in pena. Per lui non era facile quanto per me tenere il muso a Sirius. Fino a quel momento aveva resistito abbastanza bene, dovevo ammetterlo. Ma sapevo che prima o poi, molto prima che poi, si sarebbe arreso e sarebbero tornati i soliti amiconi di sempre, i soliti idioti sbruffoni.
Remus mi guardò con aria di rimprovero, e io ero pronta ad infuriarmi di nuovo con lui quando, osservando Sirius con circospezione e avvicinandosi a me, mi sussurrò a bassissima voce: “Era un modo per farti capire che vorrebbe che le cose tra voi tornassero come prima… non te ne accorgi?”
“Eh?”, domandai guardandolo allibita. “Ti sei bevuto il cervello o cosa?!”
“Tu non lo conosci ancora abbastanza bene”, mormorò lui scrollando le spalle.
“Ma… ma… se in una sola frase è riuscito a riempirmi di tutti gli insulti che poteva trovare!”, boccheggiai profondamente indignata.
Remus sorrise tranquillo. “Nel suo modo ingarbugliato di pensare, credo proprio che intendesse che ci terrebbe a riappacificarsi con te.”
“Tu sei completamente fuori di zucca, Lunastorta”, ribattei perplessa, e poi ricominciammo a parlare d’altro.

Ma le parole di Remus, anche se non gli avevo creduto, mi lasciarono un po’ impensierita.
Nei giorni seguenti quasi senza accorgermene cominciai a smettere di insultare Sirius se non era lui a provocarmi e mi limitai ad evitarlo il più possibile.
E poi, inevitabilmente, lui e James fecero pace. Si risolse tutto con una pacca fraterna sulla spalla e un “sei un fottuto idiota, la prossima volta che ti viene in mente di fare una stronzata del genere dimmelo prima” da parte di James. Così persi anche il mio ultimo alleato, e ci rimasi talmente male che tornai ad essere cattiva con entrambi, anche perché vedere Sirius così felice di aver ritrovato il suo amico e fratello di sempre mi innervosiva. Pensava che adesso fosse tutto a posto, che fosse come se non avesse fatto niente di male?
I Malandrini erano tornati uniti, e questo li riempiva di gioia e sollievo. Peter aveva temuto seriamente che quel litigio potesse mettere fine alla loro amicizia, per non parlare di Remus, che si addossava tutte le colpe. L’unica a non essere per niente soddisfatta ero io.

“Non ti si riconosce più…”, commentò mestamente Georgia, un giorno, dopo che non avevo resistito alle insistenti provocazioni di Sirius e l’avevo  insultato malamente in mezzo a un corridoio.
“Quando fate pace?”, mi domandò per la centesima volta nella giornata Heloïse.
“Di questo passo, penso mai.”, sbottai lugubremente.
“Ma perché non cerchi di parlargli?!”, mi domandò Georgia esasperata.
“Non posso e non voglio”, risposi secca serrando la mascella. “Lui si è comportato male, lui verrà a parlarmi, se ne avrà voglia”, e  sottolineai il concetto sbattendo con violenza la borsa piena di libri sul mio banco, nell’aula di Storia della Magia.
“Bah”, fece Georgia, poco convinta. “A sapere cosa ti ha fatto, sarebbe più facile capirti.”
“Meglio non saperlo.”, bofonchiai rabbuiandomi. Ripensando a quella sera e a Piton, che quantomeno adesso ci evitava ancora più di quanto io evitassi Sirius, sentii lo stomaco attorcigliarsi.
Le mie amiche continuavano a guardarmi, molto perplesse. “Be’, se l’ha fatta davvero arrabbiare fa bene a trattarlo male!”, esclamò ragionevolmente Juliet, ignorando del tutto il professor Rüf, che era appena entrato.
“No, invece”, ribattè Georgia facendo il broncio e attaccando il suo banco al nostro per poterci parlare liberamente. “Sono troppo innamorati per non fare la pace!”
“Ehi, io non sono innamorata proprio di nessuno!”, sbottai arrossendo.
“Certo, e perché state insieme da praticamente un anno?!”
“Allora, Heloïse.”, esordii, preparandomi a spiegarle qualcosa che sapevo non avrebbe capito mai. “Primo, anche tu e Bogdan siete stati insieme quasi un anno, e di lui te ne fregava meno delle tue unghie, senza offesa eh? Secondo, non bisogna per forza amarsi alla follia per stare con qualcuno!”. Presi un profondo respiro prima di accingermi a chiarire il terzo punto, quello più complicato anche per me. “Terzo, non so nemmeno se io e Sirius stiamo ancora insieme.”
“CHE COSA?!”, esclamò Heloïse sconvolta. Rüf tossicchiò guardandola con rimprovero, e lei si nascose un po’ di più dietro a Baston. “Come sarebbe che non sai se state ancora insieme?!”
“Sai com’è, è qualcosa come due settimane che non facciamo che litigare o ignorarci…” In effetti quella era una domanda che mi frullava in testa da qualche giorno. Nessuno dei due aveva mai detto nulla al riguardo, quindi in teoria eravamo ancora fidanzati, anche se in quei giorni non andavamo proprio d’accordo. O almeno, speravo che fosse così. Perché per quanto potessi avercela con lui, sapevo che mi sarebbe dispiaciuto se ci fossimo lasciati così.
“Io vi ho fatti mettere insieme, non potete lasciarvi né adesso né mai!”
“Non essere ridicola, Heloïse.”, replicò Juliet.
“Ecco, ascolta la voce del Prefetto!”, ridacchai, desiderosa di lasciar cadere l’argomento.
Ma sia Heloïse che Georgia erano molto agguerrite, quel giorno. “Comunque”, riprese infatti Heloïse alzando il dito indice quando faceva sempre quando stava per dire una cosa che reputava particolarmente intelligente, “ho un piano geniale per farvi sistemare tutto!”
“Oh, ti prego…”, sospirai stancamente, proprio mentre Georgia e Juliet si sporgevano verso di lei esclamando: “ Che piano?!?”
“Non ve lo posso dire”, fece Heloïse con aria misteriosa. “Altrimenti questa stronza farebbe di tutto per mandarmelo a monte!”

***
 

Heloïse o non Heloïse, il tempo passava e le cose non cambiavano così tanto. Io inizavo lentamente a rasserenarmi, e vedere Sirius non mi faceva più venire il sangue al cervello, ma nonostante questo non riuscivamo proprio a mettere fine a quella specie di guerra non dichiarata, che aveva meno senso ogni giorno che passava.
O almeno. Pian piano, molto piano, avevo cominciato ad accorgermi a malincuore che il mio Malandrino fino ad allora preferito… be’, mi mancava. Inutile cercare di nasconderlo. Non così tanto da starci davvero male, non così tanto da mandare all’aria i miei testardi propositi di fare l’arrabbiata. Solo, nei rari momenti di tregua in cui nessuno dei due cercava a tutti i costi di mandare in bestia l’altro, mi capitava di pensare che avrei voluto che fosse tutto come prima e che Sirius fosse lì con me, a ridere su qualcosa di stupido o prendere in giro le corna di Ramoso. A volte la nostalgia riusciva a superare la corazza di rabbia e si faceva sentire, più forte.
Era per quel motivo che un giorno avevo cercato, seguendo un ragionamento piuttosto contorto su cui avevo riflettuto durante la notte, di dargli una possibilità di scusarsi.
Peccato che la mia idea non fosse andata molto a buon fine.

Quel giorno a pranzo la Sala Grande era meno affollata del solito. Mi ero seduta vicino a Remus e a Sirius, senza degnarlo di uno sguardo, e avevo cominciato a mangiare. Non avevo nessuna intenzione di prendere la parola per prima, volevo solo vedere come avrebbe reagito lui ai miei non-insulti. Così gli lanciavo qualche occhiata ad intervalli regolari, senza che accadesse niente. Alla fine i nostri occhi, per un brevissimo istante, si incrociarono. Alzai lo sguardo, e lui vedendo che lo stavo osservando sbottò: “Stai cercando che ti chieda scusa, non è vero? Ma non è a te che devo delle scuse”.
“Non era quello che volevo!”, ribattei piccata. Mi rialzai in fretta, rossa di umiliazione e di sdegno. “Sei prorio un imbecille arrogante!”
“Io non sono arrogante.”, ribattè lui tranquillamente. “Sono mille volte più modesto e umile di te.”
Umile?!”, esclamai io indignata. “Tu, umile? Persino Voldemort è più umile di te!”
“Bea!”, esclamò Remus scandalizzato e sconvolto dal fatto che avessi urlato il nome di Voldemort in mezzo alla Sala Grande. “Ma sei impazzita?”
“Che c’è?”, replicai con indifferenza. “È solo la verità!”
“Ah, e così Voldemort sarebbe più umile di me.”, ripetè Sirius guardandomi con superiorità.
“Sì, esatto.”, replicai con convinzione.
“E tu, quanto ti senti umile??”, mi domandò in tono di sfida.
“Più di te, e anche più di Voldemort.”, risposi senza battere ciglio.
“Andiamo, ragazzi”, esclamò Remus proprio mentre Sirius stava per ribattere. “Datevi una calmata!”
“Mi sta provocando, Remus”, constatai con estrema lentezza, in modo che quella semplice verità potesse penetrare nella testa dura di Remus. “Lui provoca, io reagisco!”
“Il contrario, Beatrice, il contrario”, commentò Sirius in tono fintamente amichevole. “Io stavo mangiando il mio pollo in santa pace e tu sei venuta a importunarmi.”
Lo guardai con estremo disprezzo. “Tu non mangi, Sirius. Tu ti ingozzi come un cane.”
“Io sono un cane, tesoro”, ribattè lui tranquillo. “E ora, con permesso, avrei di meglio da fare che stare ad ascoltarti blaterare cose a vanvera”, continuò con arroganza, sconstandosi.
“Ovvero non sei capace di tenermi testa perché hai torto marcio”, replicai io prontamente.
“Ma sicuro”, fece lui in tono annoiato. “Saprei zittirti in qualsiasi momento senza nessuna difficoltà.”
“Provaci, allora!”
“Lasciate perdere, siete ridicoli!”, tentò di fermarci Remus per la millesima volta, senza nessun successo.
“Remus, fatti gli affari tuoi”,
“Sei proprio insopportabile!”, sbottò Sirius guardandomi dall'alto in basso.
“Arrogante.”
“Antipatica”
“Egoista!”
“Egocentrica!”
Egoarchico!”
“Ego..”
“Oh Merlino!”, urlò Remus. Poi decise che le maniere forti erano l’unico modo per porre fine a quel battibecco insensato e mi afferrò con tutte le sue forze per la vita, trascinandomi via. Mi dimenai fino alla fine del corridoio del primo piano, poi mi arresi e rimasi a guardarlo in cagnesco, borbottando quanto fosse noioso e controproducente avere un amico pacifista e ragionevole come lui.

Da quel giorno, le cose divennero parecchio frustranti. Capii che anche Sirius in fondo desiderava porre fine a questo litigio, ma ogni volta che uno dei due cercava di prendere l’iniziativa, qualcosa andava storto e tornavamo a litigare, a umiliarci e ferirci nell’orgoglio proprio come il primo giorno.
Non capivo cosa stesse succedendo. Era come se io e Sirius avessimo cominciato a parlare due lingue diverse, come se non ci fossimo più capaci di prenderci per il verso giusto, come se non capissimo qual era il modo per sistemare tutto, quando invece sarebbe stata la cosa più semplice del mondo.

 

 

Troppo presa da quello che mi stava succedendo con Sirius, mi accorsi che eravamo arrivati al giorno di Halloween solo quando la sera del 31 ottobre entrai in camera mia e trovai un pacco voluminoso sul mio letto.
“Che cos’è?!”, domandai curiosa a Georgia.
“È il tuo regalo di compleanno! Da parte mia e di Heloïse.”
Da sotto lo scroscio della doccia arrivò una voce trionfante: “L’ho scelto iooooo”.
“Grazie, ma il mio compleanno era… sei mesi fa”, commentai scettica, iniziando a scartare il regalo.
“Oh, non fare storie.”
Era un vestito. Blu scuro, con le maniche corte e lo scollo a barchetta. “È bello, grazie!”, esclamai con un sorriso, avviandomi verso l’armadio. “GRAZIE, HELO!”
“No, non hai capito niente”, fece Georgia con un sorriso da un orecchio all’altro. “Lo devi mettere adesso.”
“Perché mai?!”, domandai perplessa.
“Ma stasera è Halloween!”, esclamò Heloïse, che era appena uscita dal bagno con un voluminoso accappatoio e gli occhialini da piscina (sì, gli occhialini da piscina) alla fronte.
“Uhm. E allora?”
“E allora, Marc Collenward del settimo ha organizzato una festicciola in sala comune subito dopo il banchetto, una cosa solo noi Grifondoro, molto intima”, e il tono in cui sottolineò “intima” non lasciava presagire nulla di buono. “Devi farti bella!”
La guardai sospettosamente. “Aspetta un attimo. Tu vuoi che mi faccia bella per Halloween o per Sirius, Heloïse cara??”
“Pluffa al centro…”, commentò Juliet con un risolino.
“Grazie Julls”, mormorai brevemente indirizzandole un occhiolino. “Quindi secondo te, dolce e cara Heloïse, io dovrei mettermi questo”, e le sventolai il vestito sotto il naso con aria minacciosa, “per un cretino, idiota, imbecille, stupido, testardo, arrogante, presuntuoso ragazzo come Sirius??” Sì, perché quel pomeriggio eravamo riusciti a litigare di nuovo, per un motivo talmente stupido che non lo ricordavo già più.
“Per riconquistarlo…”, mormorò Heloïse facendosi piccola piccola.
“Io non devo riconquistare proprio nessuno!”, sbottai infuriata.
“Anche Georgia era d’accordo!”, esclamò lei precipitosamente.
“Vi ringrazio della premura”, borbottai con un profondo respiro. “Ma pensò che lo metterò in un’altra occasione. Stasera non mi va proprio…”

Quando riuscii a trovare un compromesso decente su cosa avrei dovuto indossare e a scendere per la cena, il banchetto era già iniziato da un po’.
Ed era la cosa più meravigliosa che potesse esistere, come sempre.
Ormai erano passati cinque anni dal giorno in cui Hogwarts era diventata la mia casa a tutti gli effetti.
Le zucche  enormi sospese nell’aria,  il soffitto che rifletteva stelle lontane e splendenti  e le luci delle candele non riuscivano più a lasciarmi senza fiato come al primo anno, ma a farmi sorridere di felicità, sempre.
E a ogni banchetto, quando ritrovavo la scuola riunita sotto il cielo della Sala Grande, in quell’atmosfera calda, magica e profumata che solo Hogwarts poteva avere,  l’unica cosa che riuscivo a fare era sorridere, ringraziando Merlino che avesse scelto proprio me come strega.
A Natale dell’anno scorso…”
“…sì, senza dubbio il migliore!”
“Quella zuppa, io me la sogno ancora di notte…”

“Ma scherzate?!”, esclamai sedendomi tra i miei compagni di casa, che stavano discutendo animatamente sui migliori banchetti che si fossero mai visti ad Hogwarts. “Vogliamo parlare di quello del nostro Smistamento?!”
“Pienamente d’accordo, sorella.”, concordò Kenny tuffandosi letteralmente nel suo arrosto.
“C’era un tiramisù semplicemente sublime, si scioglieva in bocca…”
“Sempre la solita”, fece Remus con un gran sorriso.
“Parla lui”, lo rimbeccai ridendo, “che l’hanno scorso ha fatto indigestione di cioccolata ed è stato in Infermeria per tre giorni!”
In poco tempo il nostro tavolo divenne il più allegro di tutta la Sala Grande.
Qualcuno (e la faccia angelica di James era un chiaro indizio) aveva lanciato un incantesimo sui coltelli, che ora volteggiavano in modo sinistro per tutta la Sala Grande provocando non poca agitazione e altrettante risate, che comunque non riuscivano a superare quelle causate dal professor Silente.
Il nostro preside infatti aveva voluto essere all’altezza dei Malandrini, e per l’occasione si era agghindato con un ridicolo cappello viola, lungo almeno un metro, con un grosso ragno vivo come nappa che continuava a sbatacchiare di qua e di là, con grande irritazione della McGranitt.
Era tutto così bello e divertente che quando quasi per sbaglio incrociai lo sguardo di Sirius, gli sorrisi radiosa senza nemmeno farci caso. Appena me ne resi conto abbassai gli occhi, imbarazzata, e anche lui distolse lo sguardo.

Per i Grifondoro la serata di Halloween proseguì anche dopo il banchetto in sala comune, con qualche bottiglia di Whisky Incendiario e una moltitudine di addobbi impressionanti.
Ben presto mi ritrovai inevitabilmente abbandonata a me stessa. Georgia ed  Heloïse se ne stavano in un angolo a complottare, e qualcosa mi diceva che era meglio non disturbarle.
Juliet era con Remus, vicino al fuoco. Lui le parlava e la guardava con curiosità, lei  ascoltava tenendo gli occhi bassi e la testa leggermente inclinata di lato. Li studiai per qualche secondo, e mi ritrovai a pensare che insieme erano molto belli, e ogni giorno pian piano, senza nemmeno rendersene conto, si avvicinavano un po’ di più. Sembravano così ingenui e spontanei, in ogni sorriso. Sembravano esattamente il contrario di me e Sirius in quel momento…
“Eccolo, il lupetto.”, bofonchiò qualcuno alle mie spalle. Era Sirius, che come me stava osservando la scena,un calice di Idromele in mano. Gli lanciai un’occhiata  e poi mi allontanai alla svelta. Non avevo voglia di attacar briga, non anche quella sera.
Ma poco dopo era di nuovo lì, di fianco a me, a guardare in tutte le direzioni fuorchè la mia.
Dopo qualche attimo di silenzio, con un sorrisetto beffardo e lo sguardo puntato dalla parte opposta alla sua borbottai, ripetendo le sue stesse parole di qualche giorno prima: “Se stai cercando che ti chieda scusa…”
Sirius rimase un attimo in silenzio, tanto che pensai non mi avesse sentito. “Non era mia intenzione.”, commentò alla fine stando al gioco. Lo interpretai come un buon segno, così mi voltai con lentezza verso di lui.
“Vuoi chierdermi scusa tu?”, domandai angelica.
“Assolutamente no!”, esclamò lui indignato. “Insomma, se proprio dovessi chiedere scusa a qualcuno…” Mi guardò corrucciato, senza sapere come continuare. “A Remus potrei anche farlo.”, ammise alla fine con un immenso sforzo.
“Sei proprio superbo, Sirius”, commentai scrollando le spalle con una risata.
Lui sbuffò e sorrise debolmente. “È settimane che non mi ripeti altro.”
“Perché è vero”, risposi senza scompormi.  Poi rimasi a tentennare sul posto, fissandomi con insistenza la punta delle ballerine. Non sapevo cosa fare o cosa dire, se andarmene o aspettare. Ero ancora arrabbiata con lui, volevo esserlo, ma quella era la prima volta che riuscivamo a scambiarci due parole di fila senza perdere le staffe. Eppure il nostro litigio era stato troppo violento, troppo forte perché si potesse risolvere con qualche parola tra un bicchiere di vino  l’altro  la sera di Halloween. Sapevo che anche una sola frase sbagliata sarebbe bastata a farci esplodere come due bombe, come era successo nei giorni precedenti, ed ero così stanca di sentirmi insultare.
Rialzai lo sguardo e lui era ancora lì, immobile, con lo sguardo concentrato sul mio viso. Io arrossii e aprii la bocca per poi richiuderla subito dopo, impacciata.
“Sai, non avrei mai pensato che sapessi essere così cattiva”, mormorò lui alla fine.
“Nemmeno io”, borbottai corrucciata, e lui sorrise brevemente.
“Quasi ai livelli della Evans, non scherzo!”
Ma mentre stavo per rispondere, sorridendogli timidamente, dal centro della sala comune che fino a quel momento era rimasta insolitamente tranquilla e silenziosa arrivò un urlo davvero disumano, subito accompagnato da una fiammata di capelli rossi  che frustavano l’aria.
POOOOOTTEEEEEEEEER!”
“Ops”, commentò Sirius con un ghigno. “Come non detto.”
Io sospirai afflitta. “Questa è la volta che lo fa fuori, me lo sento.”
No Evans, scherzavo, scherzavo!!!”
Sirius restò per qualche secondo a osservare con interesse il suo migliore amico che schizzava come un Boccino da una parte all’altra della stanza urtando persone e rovesciando sedie, poi tornò a guardare me.
“Stavamo dicendo?”
“Che sono cattiva quasi ai livelli della Ev-…”
Un forte schianto mi interruppe, e io e Sirius ci voltammo contemporaneamente verso Lily che con un acutissimo: “POTTEEEEER, GIURO CHE SE TI PRENDO TI STRAPPO QUEI CAPELLI ORRIDI UNO A UNO E POI TI DECAPITO!” aveva fatto cadere un tavolo per terra.
“…dici che dovrei andare a salvarlo?” mi chiese Sirius guardando dubbioso il suo migliore amico, rimasto miseramente intrappolato nell’angolo tra il camino e la libreria.
“Forse.”, mormorai alzando le spalle con aria indifferente.
Sirius sospirò e mi lanciò un’ultima, penetrante occhiata. Poi alzò il braccio e fece come per accarezzarmi il viso. Era un gesto tanto abituale fra noi due, eppure si bloccò a metà strada e lasciò ricadere la mano lungo il fianco, in silenzio.
“Vado.”, mormorò soltanto. Poi si girò in fretta e sparì del tutto alla mia vista.

 

Note dell’autrice:

Ma ciao gente! Questa volta non sono troppo in ritardo però il capitolo  non mi convince molto. Ero partita come un treno a scrivere subito dopo aver pubblicato e mi sentivo un sacco ispirata, poi non so cosa è successo e mi sembra un sacco vuoto e noioso. C’è una specie di alternanza tra dialoghi e parti descritte da Beatrice che non so se mi piace molto… è che avevo bisogno di far capire bene com’è la situazione tra quei due, prima di andare avanti con la narrazione. In pratica dopo le prima settimane, in cui nessuno dei due ha la minima intenzione di farsi avanti e entrambi sono ancora molto arrabbiati, cominciano ad accorgersi di voler fare pace, molto lentamente.
 Però è come se ci fosse un’interferenza, cercano di venirsi incontro e non ci riescono. Non so se vi sembra un po’ surreale, io me la sono immaginata così, poi boh, fatemi sapere se non vi piace! Verso la fine come avrete notato riescono un po’ a parlare civilmente, ma la cosa finisce lì anche per colpa di Lily e James… vedremo cosa succederà nel prossimo capitolo, che sarà meno noioso di questo, lo prometto!!

Alloooora, per questo capitolo ho una sorpresa. La jullsfrap (e meno male che c'è lei, altrimenti questa storia non andrebbe avanti) ha cominciato a modificare delle foto per la storia, visto che io non sono capace. Quindi d'ora in poi, se tutto va bene e se la mia assistente collabora, per ogni capitolo metteremo una foto che c'entri con quello che succede. Ecco quella di questo capitolo:  http://i49.tinypic.com/nbp3k4.jpg Ovviamente sono Bea e Sirius.  Sirius è Ben Barnes (<3<3) e su di lui  non ho niente da dire perchè è perfetto penso che vada bene a tutti, mentre per Beatrice ho fatto un po' più fatica a trovare qualcuno adatto, e alla fine ho scelto Nastya Shmakova. Vi linko qui sotto altre sue foto particolarmente Beatriciose così mi dite se vi piace e se ve la immaginavate così o diversa:

http://i46.tinypic.com/rc4yty.jpg    http://i47.tinypic.com/5ckl0.jpg      http://i45.tinypic.com/30rl56e.jpg      http://i45.tinypic.com/2ykn7tj.jpg
 
Poi ne ho un’altra sempre modificata da Jullsfrap, che è sull’episodio del primo capitolo, quando Beatrice vede per la prima volta Sirius allo Smistamento. Io la amoooo
http://i49.tinypic.com/mt5zma.jpg

Sì, imploriamo perdono in ginocchio per Logan Lerman che con Sirius non c’entra assolutamente, ma è davvero difficile trovare qualcuno di giovane e adatto e meglio di questo non abbiamo trovato. Scusate T.T In compenso Beatrice piccola è  perfettissima : )

Poi abbiamo la bella Georgia, cioè Amber Heard: http://i49.tinypic.com/2qnukyh.jpg
http://i47.tinypic.com/2zsn1n5.jpg

e infine quella pazza di Juliet e la sua frangia (Felicity Jones): http://i48.tinypic.com/2whe334.png
http://weheartit.com/entry/21145055/via/jelllllll

Che ve ne pare??
Per Heloise invece stiamo ancora cercando, ma la metterò di sicuro nel prossimo capitolo, e poi penserò anche agli altri personaggi.


Okay, ho finito qui per stasera!
Un bacio a tutti e alla prossima, Trixie!

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Capitolo 32
*** L'ultima volta ***






















 

 

Trentaduesimo capitolo: L’ULTIMA VOLTA
 

“… Perciò l’unico incantesimo in grado di contrastare gli  effetti di un Dissennatore è l’Incanto Patronus.”
“Grazie mille, Remus”, sospirai lasciando cadere la penna sulla pergamena e stiracchiandomi. “Senza di te non avrei mai finito, Rune Antiche mi ha fatto perdere un sacco di tempo.”
“Di niente”, rispose lui sorridendo prima a me e poi, più timidamente, a Juliet.
“Avete finito?”, urlò Heloïse dall’altra parte della sala comune. “È mezz’ora che vi aspettiamo!”
“Solo perché voi siete due capre e non studiate mai”, replicò Juliet con superiorità. “Quando vi ritroverete a maggio con tutto il programma di tutte le materie da ripassare saremo noi due a giocare a Sparaschiocco spaparanzate sul pavimento!”
“Ecco, è quello che dicevo sempre a James e Sirius!”, esclamò Remus entusiasta. “Non che sia servito, ovviamente.”, aggiunse rabbuiandosi appena.
“Puoi dirlo forte, io e Sirius mica ci abbassiamo ai tuoi livelli, Lunastorta”, gli rispose James con ovvietà. “E nemmeno tu dovresti ascoltarlo, Scricciolo. Insomma, io e Felpato ti abbiamo tirata su così bene, durante questi lunghi anni… sarebbe  un peccato rovinare il nostro lavoro proprio adesso per colpa degli stupidi G.U.F.O.!”

Quel giorno era un normalissimo mercoledì sera, e la Sala Comune di Grifondoro, in un momento di studio pomeridiano come quello, e nonostante io e le mie tre amiche, insieme a Remus, James e un gruppo di bambini del primo anno fossimo le uniche persone a occupare la stanza, riusciva ad essere allegra e chiassosa come sempre.
Heloïse e Georgia erano distese sul pavimento, nel bel mezzo di una partita a Sparaschiocco molto avvincente, circondate da una marea di dolciumi e caramelle non ben identificati. Stessa cosa si poteva dire di James, che impegnato a leggere una rivista di Quidditch, occupava da solo la bellezza di un intero divano.
In tutto questo, io e Juliet cercavamo disperatamente di prenderci avanti con il pesante carico di compiti, che spettava a tutti gli studenti del quinto anno, e Remus, anima misericordiosa a cui sarei stata riconoscente per tutta la vita, si era offerto di aiutarci a concludere il tema di Difesa.

“Non sono stupidi G.U.F.O., James”. Remus guardò James con aria seccata. “Sono i primi esami importanti nell’istruzione di un mago, in base ai G.U.F.O. si decidono le materie che si seguiranno negli ultimi due anni di scuola,”
“…sì, è molto commovente, Lunastorta…”
 “…e ci si schiariscono le idee sulla carriera che si vorrà intraprendere…”, continuò Remus ignorando il profondo scetticismo di James. “E poi a quanto pare non c’è pericolo che il vostro lavoro venga rovinato”, aggiunse guardandomi con rimprovero. “Avanti, raccontagli cos’hai combinato oggi pomeriggio.”
“Che cosa???”, domandò James sporgendosi curioso verso di me.
“Niente di che”, risposi scrollando le spalle con una risata. “Solita rissa con Mulciber. Sta diventando davvero fastidioso, negli ultimi tempi… non so più cosa fare con lui.”
Distolsi lo sguardo, sentendo gli occhi di Remus che mi puntavano in modo penetrante. Avevo cercato di nascondere la leggera ansia che si celava dietro le mie parole, e lui se n’era accorto, come sempre.
Ma io non volevo che sapesse che negli ultimi Mulciber stava diventando molto più che semplicemente fastidioso. Ero sempre stata la sua nemica preferita, fin dal primo anno, e questo lo sapevano tutti. Da un po’ di tempo a quella parte, però, i suoi dispetti non si potevano più definire scherzi innocenti. Aveva cominciato a tormentarmi molto più spesso, con un accanimento quasi malsano che non capivo e che mi preoccupava.
Non avevo voluto parlarne con nessuno, nemmeno con le mie amiche, nemmeno con Remus, perché avevo sempre preferito risolvere questo genere di questioni da sola. Anche se, quando pochi giorni prima mi aveva scagliato addosso una fattura che non conoscevo e aveva l’aria di essere poco legale, avevo seriamente preso in considerazione l’idea di andare a parlarne con la McGranitt. Poi avevo lasciato perdere. In fondo con lui e con tutti gli altri Serpeverde me l’ero sempre cavata, non valeva la pena di tirare in ballo i professori per un’inimicizia che mi portavo dietro da anni. Certo, Mulciber era anche uno dei migliori amici di Rookwood, e su Rookwood i miei sospetti erano molto precisi, ma…
Mi sforzai di scacciare quei pensieri con forza, dopotutto si trattava soltanto di Mulciber, e non valeva la pena di preoccuparsi più di tanto.
“Almeno l’hai schiantato?”, mi domandò James in tono speranzoso.
“No”, risposi sinceramente dispiaciuta. “C’era un sacco di gente, e questa settimana abbiamo già perso 20 punti per colpa sua… quando l’hai colpito in testa con il broccolo, te lo ricordi?”
“È persino dovuto andare in Infermeria…”, sghignazzò James. “Ma dico, ti sembra possibile?”
“Mooolto divertente”, ribattè Remus scocciato.
“Avanti, amico, tira fuori il tuo lato malandrino, qualche volta…”
 “Julls, mi passi il vostro tema che lo copio?”, domandò Georgia candidamente allungandosi per afferrare la pergamena di Juliet, la quale borbottò sonoramente qualcosa di molto simile a “parassita”.
“Grazie, ti amo tanto, posso ricopiarlo anch’io vero?!”, aggiunse Heloïse con un sorrisino dolce.
Juliet scrollò le spalle e lanciò un’occhiata esasperata a Remus, l’unico in quella stanza in grado di capirla veramente.

Proprio in quel momento il ritratto della Signora Grassa si aprì, lasciando entrare  tre persone che stavano chiacchierando fittamente. Erano Sirius, Mary MacDonald e Emmeline Vance. Mi irrigidii immediatamente e lanciai un’occhiata nervosa a Remus, che mi restituì un sorriso tranquillo e rassicurante.
“Felpato!”, esclamò James. “Bentornato, non sapevo cosa fare senza di te! Stanno studiando, ti rendi conto!? Studiano! Scricciolo studia, la stiamo perdendo!”
Sirius mi lanciò una breve occhiata e mi indirizzò un rigido cenno di saluto con la testa, poi si rivolse a James con aria annoiata. “E lasciali studiare, Ramoso!” Si avviò verso il dormitorio con passo strascicato e si chiuse la porta alle spalle. Anche Mary e Emmeline, dopo averci salutato allegramente, se ne tornarono in camera loro.
Nella Sala Comune calò per un attimo il silenzio. Mi alzai in piedi, respirando profondamente. “Mi fa… così… incazzare, voi non potete capire, davvero!”
“Dai Bea”, mi ammonì Georgia. “Lascialo perdere.”
“No Georgia, quando fa così… io… sul serio… NON LO SOPPORTO!”, urlai sferrando un pugno sul tavolo. Remus sobbalzò e mi posò una mano sul braccio. Io mi liberai con uno strattone e presi a girare in tondo per la stanza, sbuffando come un mantice sotto lo sguardo intimorito dei ragazzini del primo anno. “Insomma… un giorno mi sorride e scherza, mi fa pensare che voglia rimettere le cose a posto… il giorno dopo mi evita, ieri a colazione mi da un bacio sulla guancia così, senza una parola, e oggi di nuovo non mi guarda nemmeno!”
Quel breve sfogo fu una sintesi perfetta del comportamento di Sirius degli ultimi giorni dopo la sera di Halloween, comportamento che la mia già carente dose di pazienza non riusciva più a tollerare. Era così maledettamente ambiguo in ogni sguardo, così sfuggente e incomprensibile… be’, se il suo obiettivo era quello di farmi disperare e di confondermi, ci stava riusciendo alla grande.

James e Remus mi guardarono in modo compassionevole, poi si scambiarono un’occhiata eloquente.
“Non capisce mai un tubo, vero Lunastorta?”
Mai, Ramoso. È testarda, davvero testarda… quasi più di Sirius, oserei dire, e non si sforza nemmeno di capirlo…”
“Io… non è vero, io ci provo, ma l’unica cosa da capire è che è un grandissimo idiota, e questo l’ho capito, fidatevi.”
I due mi ignorarono e tornarono a parlarsi come se non fossi presente.
“Certo, a sua discolpa c’è da dire che Sirius non è la persona più facile del mondo da comprendere, e non ha nemmeno un carattere particolarmente… remissivo, non so se mi spiego.”
“Ti spieghi perfettamente, compare Ramoso”, annuì Remus con aria seria, mentre io continuavo a spostare lo sguardo dall’uno all’altro, profondamente seccata. “Ma in questi cinque lunghi anni abbiamo fatto enormi passi avanti, non credi?”
“Oh, sì, compare Lunastorta! E in questo caso, mi sembra che il particolare comportamento del cane sia scientificamente e psicologicamente spiegabile…”
“…Un po’ stupido, sì, ma spiegabile.”
“Sentiamo, dai”, sbottai sarcasticamente, incrociando le braccia al petto.
“Sirius ha paura che tu possa ricominciare a trattarlo male.”, mi spiegò Remus abbandonando di colpo il tono professionale. “Quindi cerca di starti lontano il più possibile e di rimanere distaccato.”
“Esatto”, confermò James annuendo annuendo ripetutamente.
Rimasi qualche secondo a fissare Remus con sguardo vacuo, assimilando le sue parole.
“Ma è… ma è assurdo!”, boccheggiai alla fine, indecisa se scoppiare a ridere o sbattere la testa contro il muro. “È impossibile, è davvero troppo… troppo impossibile!”
“Ma no!”, replicò Georgia, che aveva ascoltato con grande attenzione le parole di Remus e ora sorrideva dolcemente. “Ha molto senso, invece!”
“No che non ne ha ”, ribattei cocciuta. “È il più grande mucchio di cavolate che sia mai uscito dalla bocca di Remus… A parte quella volta che hai detto che volevi diventare un Umpa-Lumpa per lavorare nella Fabbrica di Cioccolato”, aggiunsi con una risatina subito dopo, mentre gli altri mi guardavano confusi.
“E… Merlino, se penso a come si comporta da dopo Halloween… NON LO SOPPORTO!”, esclamai violentemente per la seconda volta, e di nuovo Remus trasalii.
La verità è che mi sentivo vulnerabile. Non sapevo più cosa aspettarmi da Sirius, come trattarlo, come reagire ai suoi improvvisi sbalzi di umore, che mi lasciavano così confusa e perplessa da non riuscire nemmeno a spiccicare due parole di fila che avessero un senso compiuto quando ero di fronte a lui. Era una cosa snervante, che mi mandava in bestia, e non sapevo proprio come venirne fuori.
“Chi è che non sopporti?”, domandò allegramente una voce dall’alto. Lily si sporse dalla ringhiera, sorridendo a tutti tranne che a James, poi scese le scale con passo rilassato.
“Sirius”, bofonchiai imbronciata, ma la mia voce venne completamente coperta da quella di James, che con un balzo felino si era lanciato verso le scale per buttarsi sul pavimento, ai piedi di Lily, urlando un appassionatissimo “Evans, luce dei miei occhi!”.
“Allontanati dai miei piedi, Potter ”, rispose lei senza scomporsi più di tanto, per poi sedersi sul bordo del tavolo su cui stavamo facendo i compiti io, Juliet e Remus.
“Ciao Remus, ciao Juliet”, li salutò per poi tornare a rivolgersi a me. “Black, eh?”, mi domandò con uno sguardo comprensivo.
“Sì”, sbottai pestando un piede sul pavimento. “Mi sta facendo davvero… impazzire, non so più cosa fare!”
“Immagino”, borbottò lei scrollando i capelli. “Io penso che l’avrei già ucciso, a quest’ora.”
“È che certe volte… non puoi capire, quando mi guarda con quella faccia da schiaffi mi verrebbe voglia di prenderlo per i capelli e… e…”
“…prenderlo a pugni?”, mi venne prontamente in aiuto Lily, con un entusiasmo quasi sadico che le brillava negli occhi.
“…, e poi ammazzarlo di fatture, e…”
“…riempirlo di insulti…”
“…prenderlo a calci…”
“…annegarlo nel Lago Nero…”
“…e buttarlo giù dalla Torre di Astronomia, sì”, conclusi abbandonandomi con aria di maligna soddisfazione contro lo schienale della sedia. “Ma Lily”, aggiunsi poi, sinceramente interessata. “Tu ti senti sempre così?”
Lei si girò con estrema lentezza verso James,  che si fece piccolo piccolo in un angolo del divano, evidentemente intimorito dal nostro dialogo. “Sì, sempre, in ogni santissimo giorno della mia vita.”, rispose spietata.
 “Be’, wow”, esclamai io con un ampio sorriso.
 Nella Sala Comune, ora che io e Lily avevamo smesso di parlare, regnava un silenzio attonito. Remus e James spostavano lo sguardo da me a Lily, entrambi abbastanza sconvolti.
“Ehm…okay, io… sì, io penso che andrò da Sirius… sì, ehm, ciao Evans, arrivederci…”, balbettò James, per poi schizzare come un fulmine verso il dormitorio.
“Vado anch’io”, sospirò Remus “Voi due, vedete di non commettere nessun, ehm… atto di cui potreste pentirvi, ecco.”, tossicchiò rivolto a me e Lily. Noi ci scambiammo un  fugace sorriso ironico e annuimmo insieme.

***
 

I giorni passavano, e io e Sirius rimanevamo in quella situazione altalenante e confusa che non riuscivo più a reggere.
“Ma va a parlargli, per Merlino!”, mi urlò una sera Juliet, anche lei al limite della sopportazione dopo aver dovuto ascoltare uno dei miei sproloqui su quanto fosse stressante non riuscire a capire cosa gli passasse per la testa e  non sapere mai cosa aspettarsi da lui. “Se non riesci a capire cos’ha e la cosa ti fa andare così fuori di testa, vai a parlargli e piantala! Perché qui non se ne può davvero più!”
Juliet, che come era noto soffriva di sdoppiamento di personalità, quando si arrabbiava diventava davvero spaventosa, l’avevo sempre pensato. E Georgia ed Heloïse sembravano dello stesso avviso, visto che smisero di chiacchierare e si spostarono nel punto più lontano da noi della camera.
“Tu dici?”, mormorai impaurita stringendomi le ginocchia al petto.
“Sì, dico!”, sbraitò lei puntandomi il dito contro. “E prova a dire un’altra parola su Sirius e tu in questa camera non ci metti più piede, sono stata chiara?!”
“Chiarissima”, balbettai annuendo. “Domani vado da lui, te lo prometto.”
“Sarà meglio”, sbottò lei avviandosi verso il bagno e sbattendosi la porta alle spalle.

Così il giorno dopo, praticamente costretta dalle ripetute minacce di Juliet, a cui si aggiunsero quelle anche quelle di Georgia e Heloïse, avevo aspettato con ansia il momento giusto per avvicinarmi a Sirius. L’occasione mi si era presentata soltanto nel tardo pomeriggio, quando l’avevo trovato in Sala Comune.
“Okay, respira.”, mi consigliò Georgia dandomi un colpo di incoraggiamento sulla spalla e una lieve spinta.
“Sì”, annuii, con la gola secca. “Certo.” Poi rimasi a tentennare sul posto per ancora qualche secondo, guardando terrorizzata il profilo di Sirius. “No, non lo posso fare!”, gemetti alla fine scuotendo la testa freneticamente.
Vai!”, mi urlarono loro tre insieme, e prima che potessero uccidermi mi scaraventai giù dalle scale, sotto lo sguardo perplesso di molti Grifondoro.
“Sirius?”, lo chiamai schiarendomi la voce.
Lui alzò lo sguardo, per un attimo i suoi occhi si dilatarono di malcelato stupore.
“Parliamo, per favore”, esordii afferrandolo per un braccio. Nella mia mente avevo formulato le parole in modo diverso, e invece la richiesta era stata schietta, quasi dura. Sirius si alzò dalla poltrona senza una parola, e mi seguì fuori dalla stanza.
A quella vista Peter, che sedeva non lontano da lì, trattenne rumorosamente il respiro e ci guardò spaventato.
“No, Pet”, sospirai esasperata. “Non lo ucciderò”.

Il corridoio era deserto. Mi appoggiai contro il muro, abbassando lo sguardo per riuscire a riordinare i pensieri, e quando lo rialzai, Sirius era lì che mi osservava, in attesa.
“Io… non ti capisco tanto, Sirius”, mormorai intrecciando i miei occhi a suoi. Aspettai che fosse lui a dire qualcosa, e quando mi resi conto che non l’avrebbe fatto, continuai a parlare con estrema difficoltà. “E vorrei che ti spiegassi... piuttosto che trattarmi così.”
“Così come?”, mi chiese lui senza scomporsi.
Giocherellai con una ciocca di capelli, nervosa. “Così… lo sai benissimo, come.”, esclamai più bruscamente di quanto non volessi. “Mi eviti, poi mi cerchi, sei gentile e un attimo dopo diventi freddo… e io… non so mai come prenderti, capisci? È così snervante… Merlino, a volte mi verrebbe voglia di sezionarti il cervello per guardarci dentro, e… sto diventando matta, credo. E, ecco, volevo solo cercare di capirti meglio, se è possibile.”
Avevo parlato senza freni, come un fiume in piena, sputando tutti i pensieri confusi che mi roteavano in testa. Respirai profondamente, accorgendomi di essere diventata rossa.
“Finito?”, mi domandò Sirius con un velo d’ironia nella voce.
“Sì”, borbottai nervosa, arrischiandomi a guardarlo.
“Beatrice, mi hai insultato pesantemente per… quante settimane?! Cosa pretendi, che io torni come sempre appena lo decidi tu?”
Aveva toccato il tasto sbagliato. Decisamente. Mi feci forza e ricacciai indietro l’ondata di rabbia che avevo sentito salire repentinamente.
“Non stiamo parlando di questo”, mormorai stringendo i pugni, resistendo all’impulso prepotente di rispondergli male, molto male. “Sono solo stufa di andare avanti così, okay? Se vuoi possiamo anche smettere di parlarci, continuare ad essere arrabbiati… oppure tornare come prima, è uguale. Solo, non così, ti prego.”
“Quindi per te è tutto uguale?”, mi domandò Sirius freddamente.
“Certo che non lo è!”, replicai con veemenza. “Ma a litigare si è sempre in due… e anche a fare la pace”, aggiunsi titubante.
Sirius rimase in silenzio, e ancora una volta mi trovai a chiedermi perché dovesse essere sempre così dannatamente difficile.
“Ma Bea”, replicò lui, e nella sua voce non c’era freddezza né sarcasmo, solo incredulità. “Hai fatto tutto da sola, non credi?”
“Vedi? È qui che sbagli.”, risposi io scuotendo la testa. Così non ce l’avremmo mai fatta, e avrei voluto dirglielo. Invece mi limitai a voltargli le spalle e andarmene, la gola seccata da una profonda amarezza.
Perché quella volta ero davvero andata lì con le migliori intenzioni. Non gli avevo nascosto nulla di quello che provavo, non gli avevo rinfacciato nemmeno una volta i suoi sbagli, e gli avevo offerto la possibilità di porre fine a tutto senza nemmeno doversi scusare. Lui non aveva voluto cogliere l’occasione, e continuava a non volere capire.
A quel punto, io non potevo fare più niente. Quella fu la prima volta in cui temetti che tra me e Sirius potesse finire così.

Da quel momento, non avevo più visto il motivo per cui avrei dovuto avvicinarmi nuovamente a lui. Avevo semplicemente lasciato che le cose andassero come volevano andare, come lui voleva che andassero, completamente rassegnata. Ferita nell’orgoglio più che mai, non avevo saputo far altro che continuare a colpirlo con le mie solite battutine pungenti, senza rendermi conto che non facevo del male solo a lui, ma anche a me stessa. Per molti giorni ancora non trovammo modo di parlarci seriamente, se non per qualche sporadico battibecco.

Fino a che non arrivò quel giorno.

***
 

“Summerland, non dovresti essere a studiare, come tutti i Grifondoro per bene?”
“Ci sto andando.”
“Oh, in questo caso… 10 punti in meno a Grifondoro”.
Mi voltai con uno scatto repentino. Mulciber mi guardava, con un sorriso compiaciuto e disgustoso sulle labbra. Ignoralo, e basta. Affrettai il passo, decisa a non dargli nessuna soddisfazione, e lui ovviamente continuò a seguirmi. Mi tastai la tasca della divisa, controllando che la bacchetta fosse al suo posto.
“Summerland, non dirmi che hai finalmente imparato a tenere la lingua a freno?”, riprese lui in tono provocatorio, notando la mia mancanza di reazione. Sì, perché quello che Mulciber cercava, continuamente, era la rissa. E io ero stufa.
“Girami alla larga”, replicai tagliente.
“Dovresti imparare ad essere più gentile, piccola Sanguesporco… altri 10 punti in meno a Grifondoro”. Mi girai con lentezza, squadrandolo con disprezzo.
“Ritira immediatamente quello che hai detto.”
“E lo dovrei fare perché sei tu a chiedermelo?”, ribattè lui con un ghigno procovatorio.
“Non te lo sto chiedendo. Te lo sto ordinando, non so se il tuo cervello coglie la sottile differenza”, lo corressi.
“Mi stai per caso dando dello stupido?”, sibilò lui avvicinandosi minaccioso. Alzai gli occhi al cielo, con un sorriso canzonatorio. “No, guarda…”
“È ora che impari a portare rispetto a quelli più puri di te, lo sai?”, ringhiò lui estraendo velocemente la bacchetta e arrivando a sovrastarmi, minaccioso. Io lo imitai immediatamente.
“Tu non sei più puro di me. E stammi lontano”, sbottai allontanandolo con una spinta. Lui mi afferrò con forza un braccio e mi puntò la bacchetta contro. Odiavo, detestavo con tutta me stessa il fatto che una persona disgustosa come lui osasse anche solo sfiorarmi. Purtroppo ormai cominciavo a farci l’abitudine. Ero convinta che ci fosse qualcosa di strano, che non tornava, nel modo in cui Mulciber continuava ad accanirsi contro di me. In fondo non ero l’unica Nata Babbana del castello, eppure ero io, sempre e solo io quella che lui cercava.
“Un’altra parola e ti faccio del male, sudicia Sanguemarcio”, continuò lui stringendo di più la presa sul mio braccio, con un sorriso di crudele divertimento dipinto sulle labbra sottili.
“Lasciami. Andare.”, sibilai con rabbia facendo di tutto per liberarmi dalla sua stretta, e contemporaneamente guardandomi attorno nella speranza che qualcuno si facesse vivo. Poi, vedendo che non aveva nessuna intenzione di piantarla, strinsi la bacchetta e gliela puntai contro con un movimento secco del polso, mormorando appena l’incantesimo. L’effetto fu immediato. Mulciber si staccò da me come se avesse preso la scossa, una mano a coprire il naso che sanguinava copiosamente. Mi spostai per impedire che gli schizzi mi colpissero. “Non impari mai, vero Mulciber? Eppure ci riduciamo tutte le volte così…”, constatai con grande disprezzo.
Mulciber si voltò a guardarmi, rabbioso, e con un gesto fulmineo della bacchetta mi lanciò quello che evidentemente era uno Stupeficium. Riuscii a schivarlo, ma alla raffica di incantesimi che seguirono mi ritrovai più in difficoltà. Una fattura mi colpì in pieno, e immediatamente mi ritrovai le braccia ricoperte di bolle che bruciavano. Mi difesi alla meglio (in fondo Mulciber sapeva essere così prevedibile…) e alla fine, con mia grande soddisfazione, un Levicorpus ben piazzato andò a segno e il Serpeverde si ritrovò appeso al soffitto, le braccia che ciondolavano sopra la testa.
“Oh, bene”, esclamai compiaciuta. “Sanguesporco batte Purosangue, di nuovo.” Gli voltai le spalle con aria sdegnosa, decisa a lasciarlo lì fino a che qualche anima misericordiosa non si fosse decisa a liberarlo, quando una voce ilare mi bloccò.
“Oh, ma guarda! Che bello spettacolo.”
Era Sirius, che si avvicinava verso di noi con le mani in tasca e l’aria rilassata. Riposi la bacchetta, scrutandolo nervosa.
“Un’altra rissa, ragazzi?”, domandò senza rivolgersi a nessuno dei due in particolare. Poi tirò fuori la bacchetta e con un gesto noncurante liberò Mulciber. Io lo guardai disorientata, ma lui sembrò non accorgersene. “Vattene, su”, ordinò al Serpeverde in tono perentorio. Quello non se lo fece ripetere due volte e, dopo avermi lanciato un’ultima occhiata minacciosa, si dileguò dietro l’angolo.

Immediatamente tra noi due calò il silenzio, mentre cercavo di capire senza successo quali fossero le sue intenzioni. Sirius si appoggiò al muro, finalmente voltandosi a guardarmi.
“E così… nemmeno tu risparmi i Serpeverde, a quanto pare.”
Lo fissai senza capire. “Cosa stai dicendo?”
“Nel senso… non eri tu che difendevi Mocciosus? E non eri sempre tu ad arrabbiarti quando lo appendevamo al soffitto?”, mi domandò in tono leggero. “E adesso fai la stessa cosa con Mulciber… non ti sembra un po’ contradditorio?”
“Sirius, cosa stai dicendo?”, ripetei, sinceramente confusa dal suo comportamento. Negli ultimi giorni non aveva fatto altro che ignorare le mie provocazioni e le mie frecciatine, quindi non capivo proprio cosa lo spingesse a tornare ad attaccare briga. “Se sei venuto qui per litigare di nuovo, puoi anche andartene.”
“Cercavo soltanto di capirti”, ribattè lui con un tono che sapeva di sfida. “Insomma, tu che sei una persona tanto corretta e giudiziosa… e te la sei presa così tanto, per Mocciosus…”
“Cos’hai, Sirius?”, gli domandai brusca. “Pensavo ne avessimo discusso abbastanza, no? Pensavo che ormai avessi capito di avere sbagliato.”
“Avrò anche sbagliato”, replicò lui guardandomi serio, “ma non mi piace farmi giudicare dalle persone che commettono i miei stessi errori.”
“Be’, se è per questo neanche a me!”, esclamai a voce alta. “Mi sono solo difesa!  Mi ha chiamato Sanguesporco, stava per colpirmi, cosa dovevo fare?!”
“Piton pensa che i lupi mannari siano feccia. Non è la stessa cosa?”, fece Sirius senza scomporsi.
“Davvero vuoi ancora tirare fuori questa storia?”, sbottai inarcando un sopracciglio. “Tanto non ho cambiato idea, quello che ti ho detto quella notte lo penso ancora adesso”. Forse non era del tutto vero, forse un po’ pentita per le cose orribili che gli avevo sputato addosso lo ero, in quel momento. In ogni caso non lo diedi a vedere, e parlai con tutta la freddezza che possedevo.
“Bene.”, replicò lui in tono feroce. “Nemmeno io ho cambiato idea!”
Bene!”, ripetei io, furiosa. “Sai cosa mi importa? Merlino, non ti sopporto, davvero!”
Non ti sopporto, non ti sopporto, non ti sopporto…”, mi scimmiottò lui. “C’è qualcos’altro che sai dire?!”
Sì!”, gridai io, ormai fuori di me dalla rabbia. “Vuoi sapere cosa ti dico?! Che sei un maledetto stupido, perché ho cercato un miliardo di volte di parlarti e di farti capire che mi dispiaceva, ma tu niente, vero? No, tu sei troppo… troppo al di sopra per poterti fermare un attimo ad ascoltarmi…”
“…anch’io ci ho provato un miliardo di volte!”, mi interruppe lui, altrettanto arrabbiato. “E tu non facevi che urlarmi addosso quanto fossi stato stupido e cattivo, ma sai, dopo un po’ uno si stufa di correrti dietro!”
Le parole di Sirius mi colpivano e poi mi scivolavano addosso. Una parte remota di me cercava di afferrarle, capiva che erano importanti, che per la prima volta entrambi stavamo ammettendo qualcosa che avevamo cercato di tenere nascosto… eppure non mi fermai.
“Be’, vorrà dire che non siamo più capaci di capirci!”, urlai tutto d’un fiato. “Meglio che ci lasciamo e la facciamo finita una volta per tutte, perché io non ne posso proprio più!”
Le mie parole fuoriscivano come lava ribollente, incontrollate, travolgenti. Solo quando uno sprazzo di lucidità riuscì a penetrare il muro di collera arrivai a sentirle davvero.
Meglio che ci lasciamo…. non ne posso più… meglio che ci lasciamo….
Avevo parlato presa dalla foga, più che per altro, e nel silenzio denso e pesante che seguì quello che avevo detto, pentirsi fu facile, doloroso, e perfettamente inutile.
La rabbia andò in frantumi lasciandomi completamente svuotata, mentre mi rendevo conto di aver combinato per l’ennesima volta uno dei miei disastri.
L’avevo detto, senza nemmeno fermarmi a prendere fiato, e ora non avevo il coraggio di guardare lui, che sentivo immobile e silenzioso al mio fianco, perché sapevo che di lì, ormai, non si poteva tornare indietro.
“Hai ragione.”, rispose infatti Sirius. E non sembrava più arrabbiato. La sua voce era intrisa di un sentimento che non riuscivo a cogliere. Sentii la necessità, fortissima, di guardarlo engli occhi, almeno per una volta ancora. “Non ha più senso, ormai.”
E di nuovo abbassai lo sguardo, temendo di non poter reggere, l’aria che si impigliava nella gola e mi impediva di respirare liberamente.
“Allora, è… noi…”, balbettai, avvicinandomi inconsapevolmente a lui. Semplicemente, non riuscivo a crederci. Sperai ardentemente che dicesse qualcosa, che mi chiedesse di fermarci e ripartire da capo, da dove avevo sbagliato, ma non serviva Remus per capire che quella volta non sarebbe andata come volevo io.
“Sei libera, sì.”, mormorò lui pianissimo. Alzai gli occhi di scatto, il respiro bloccato dalle sue parole.
Guardai la smorfia amara delle sue labbra, e sentii il bisogno di dire qualcosa, di giustificarmi, o anche solo di scapparmene via.
“Sirius, io…”, mormorai, la voce ridotta a un tremito.
Ma Sirius scosse la testa, la smorfia che si accentuava, e si fece più vicino. “Non importa”, sussurrò. “Soltanto, lasciami finire bene”. Si chinò verso il mio viso con lentezza, e mentre io non riuscivo a fare altro che tremare, le sue labbra si appoggiarono piano sulle mie, delicate e bollenti. Fu solo un secondo, ma bastò a fissare in modo indelebile la pressione leggera delle sue labbra nei miei ricordi.
Semplice, intenso, breve come un battito d’ali.
Sentii la mia mano che istintivamente andava a cercare la sua, intrecciando solo la punta delle dita, un debole tentativo di non lasciarlo andare via.
Ma lui se ne andò lo stesso. L’ultima cosa che mi lasciò fu una carezza tra i capelli. Poi si girò, e io restai a guardare la sua schiena che si allontanava.

***
 

“Bice! Ma dov’eri finita?!”
L’improvvisa domanda di Georgia mi colse del tutto impreparata e mi riportò bruscamente alla realtà.
Avevo passato un tempo infinitamente lungo accoccolata sul gelido pavimento di quel corridoio, il viso nascosto contro le ginocchia, i pensieri che vorticavano furiosamente facendomi venire la nausea.  Quando finalmente mi ero resa conto che l’unico in cui avrei potuto sentirmi meglio era la Torre di Grifondoro, mi ero avviata verso il mio dormitorio, seguendo la forza dell’abitudine più che la ragione.
“Da nessuna parte.”, risposi secca, richiudendo la porta della camera con più lentezza del necessario per non dover incrociare il suo sguardo. Quello che desideravo ardentemente, quasi fosse un bisogno fisiologico, era rifugiarmi nel mio letto, serrare per bene le tende del baldacchino e rimanere tranquilla per tutta la notte. Magari, quando tutte dormivano, avrei fatto una capatina alle cucine, a trarre un po’ di conforto dal cibo.
Ma dovetti cambiare piano quando girandomi, mi ritrovai di fronte una scena davvero singolare: Heloïse era seduta sul suo letto, scossa dai singhiozzi, e si stringeva le ginocchia al petto in modo disperato. Kenny era in piedi dietro di lei, una mano sulla sua spalle e l’altra, che impugnava la bacchetta, puntata contro la sua testa. Georgia e Juliet invece li osservavano con attenzione, in religioso silenzio.
Ma che diamine state facendo?!”
Heloïse sollevò lo sguardo e mi guardò con aria sperduta. “J-J-ack mi ha lasciata”, balbettò riprendendo a piangere più forte.
“Che cosa?!”, mormorai io sconvolta. E mentre guardavo i suoi occhi umidi, che mi chiedevano conforto, fu più forte di me. Le lacrime che fino a quel momento avevo trattenuto iniziarono a rotolare copiosamente giù dalle mie guance, mentre mi sedevo di fianco ad Heloïse e affondavo il viso contro il suo maglione.
“Ma Bea!”, esclamò Juliet, sconvolta dalla mia reazione. “Insomma, tu odiavi Jack! Eri la mia unica alleata, ti prego, non fare così!”
“Lo so.”, mormorai asciugandomi bruscamente le lacrime. “È che anche io e Sirius ci siamo lasciati.”, aggiunsi, cercando inutilmente di sembrare indifferente. “E non guardatemi con quelle facce! Sto bene, davvero, non poteva più andare avanti così”.
La mano di Kenny si spostò dalla spalla di Heloïse alla mia, e me la strinse con gentilezza. Io gli rivolsi un sorriso debole e tremolante. “E tu, cosa stai facendo?”, gli domandai indicando la sua bacchetta, ancora tesa contro Heloïse.
“Le tingo i capelli di blu”, mi rispose lui in tono professionale. “Solo le punte, però. Dicono che in questi casi i cambiamenti drastici facciano bene, quindi abbiamo optato per un mutamento fisico piuttosto importante.” “Ehi, vuoi che lo faccia anche a te?!”, aggiunse poi con entusiasmo.
Io soppesai per un attimo le sue parole. “Ma sì, dai.”, annuii alla fine con un’indifferente scrollata di spalle, lo sguardo appena un po’ più acceso di prima.
“Sì!”, esclamò Heloïse, sinceramente felice. “Sarai una figa!”
Io le sorrisi di rimando, con un velo di amarezza. “Tanto non devo più piacere a nessuno, adesso.”


Note dell’autrice:
Buonasera gente! Eccomi qui con il nuovo capitolo, e sono fiera di annunciarvi che è il più lungo che abbia mai scritto in vita mia, una vera faticaccia : ) Beh, non so cosa dire. Sirius e Bea si sono lasciati, sì. Non so se ve l’aspettavate, o se la cosa vi garba, vedremo nei prossimi capitoli come procederà la storia… come avrete capito, è successo un po’ per sbaglio, Beatrice si è pentita abbastanza in fretta delle sue parole e del suo impulso, ma ovviamente ormai è troppo tardi. A questo proposito, però, i sentimenti di Bea li spiegherò un po’ meglio nel prossimo capitolo, perché in questo non c’era davvero più spazio.
Poi ditemi voi cosa ne pensate :D Stranamente sono abbastanza soddisfatta della prima parte del capitolo, mentre la seconda… boh, è stata un po’ più difficile.
Ah, riguardo a Mulciber, per lui ho in mente grandi cose (?), almeno credo, quindi per ora non vi dico niente.
E scusatemi per la scena finale, che è davvero stupida. Però l’avevo promessa a una delle mie amiche, visto che è più o meno presa da un episodio accaduto realmente, e se l’avessi tagliata penso che mi avrebbe ucciso. (Già si era rifiutata di leggere il capitolo scorso per protesta, visto che non avevo messo la foto di Heloise).
E a proposito di Heloise, sempre per colpa della mia capricciosa amica, alias _Coquelicot (mi ha davvero fatto dannare in questo capitolo, prendetevela con lei per tutte le cose che non vanno), come Heloise avremmo trovato Sky Ferreira, che odio e trovo spaventosa, però l'ha scelta la cara Coquelicot e non sono riuscita a ribellarmi. Solo che bisogna modificarle i capelli perchè è bionda mentre Heloise ce li ha marroni, dovevo avere la foto pronta per stasera e invece non abbiamo fatto in tempo, mi dispiace :(


Okay ho finito, passo e chiudo. Un grazie e un bacione a tutti voi, alla prossima!
Trixie  

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Capitolo 33
*** Amori che finiscono, amori che nascono ***


 

Piccolo avvertimento dell’autrice (le note lunghe sono in fondo): questo capitolo è narrato prima da Sirius, poi da Beatrice e poi di nuovo da Sirius.

 

Trentatreesimo capitolo: Amori che finiscono, amori che nascono

 

Il primo sasso ad essere lanciato è tondo e levigato. Lo scaglio con tutte le mie forze nel Lago, guardando impassibile la superficie liscia e scura dell’acqua venire frantumata dalla potenza del tiro. Per un attimo il silenzio del parco viene interrotto dal tonfo cupo della pietra, poi la calma torna a regnare, indisturbata. Ne prendo un’altra, scegliendola con cura dai ciottoli ai miei piedi, e ripeto l’operazione con grande impegno.
È un’occupazione senza dubbio interessante, ma non ci metto molto ad accorgermi che, purtroppo, non serve proprio a un bel niente.

Perché continuo a pensare e ripensare a tutto, a lei, con il suo viso rosso di rabbia e i pugni stretti contro i fianchi, e non importa quanti sassi tiri nell’acqua o quanto mi isoli nel parco, la mia mente torna lì, di continuo, a quel corridoio deserto.
E mi sento così arrabbiato. Tanto arrabbiato che forse la odio, perché alla fine è stata lei a vincere la nostra guerra improvvisata, e l’ha fatto senza nemmeno accorgesene.
E mi sento anche confuso, perché per la prima volta mi rendo conto che Beatrice non è come pensavo, non è solo sorrisi gentili e qualche scherzo ingenuo. Lei è molto di più, e il fatto che abbia saputo tenermi testa, nonostante tutto, e non cedere per settimane di fila, mi manda in bestia e allo stesso tempo… mi fa sentire strano, come se in tutto questo tempo non avessi capito niente di lei e ora fosse troppo tardi.
Forse non ho mai provato una confusione così grande in vita mia. È una confusione mista a inquietudine, paura di quello che succederà domani, e dopodomani,  quando a colazione la vedrò entrare in Sala Grande insieme a Juliet come tutte le mattine, e nonostante questo il posto accanto al mio resterà inevitabilemente vuoto. Sarò triste? Sarò arrabbiato? Non riesco a immaginarlo, così come non riesco a immaginare come saremo io e lei d’ora in poi, se ci saranno ancora sorrisi complici e battibecchi affettuosi oppure solo silenzi e indifferenza, e questo mi spaventa più di tutto.
Perché in fondo io e lei, insieme, non siamo – non eravamo – niente di speciale, soltanto qualcosa di estremamente spontaneo e vero, che non ha bisogno di essere spiegato.
Beatrice è la quotidianità, una delle poche sicurezze che ho, qualcosa per il quale non è mai servito riflettere molto: lei era lì, io ero lì, e il resto veniva da solo. Noi due insieme eravamo la cosa più naturale del mondo, e ora mi rendo in conto che invece è tutto molto più complicato, a partire da lei.
Mi dispiace che sia finita così. Ma nonostante tutto è qualcosa di sopportabile, più sopportabile di quanto credessi, che pulsa appena. O forse sono solo troppo confuso e, malgrado tutto, arrabbiato con lei e con me stesso, per potermene rendere conto.
L’unica cosa che brucia davvero è la consapevolezza di non essere riuscito a spiegarle che ho capito, ho capito di aver sbagliato tutto quella notte di luna piena fin dal momento in cui ho sentito la voce di James che mi chiamava. E non gliel’ho mai potuto dire, perché trovarsi di fronte al muro della sua rabbia, per la prima volta da quando la conosco, me l’ha reso impossibile. Vorrei scusarmi con lei, riuscire ad ammettere che anch’io ho avuto paura per Piton, quella notte, ma so che non lo farò mai.
Non riesco a capire perché abbia dovuto rendere tutto così maledettamente difficile.

Ma i pensieri sono troppi, e il cielo è ormai scuro. Afferro distrattamente un’ultima manciata di sassi e la scaglio contro lo specchio nero del lago, con una strana sensazione di vuoto e solitudine dentro. E mentre prima, dopo quell’ultimo bacio, ho sentito il bisogno fortissimo di starmene un po’ per conto mio, a fare i conti con la rabbia e il rimpianto, ora la cosa che desidero davvero non è nient’altro che un po’ di sana compagnia malandrina.
Il sentiero stretto che risale al castello non mi è mai sembrato così breve, sarà che non riesco a liberarmi dal pensiero di lei. In ogni caso, riesco a riscuotermi dal mio stato di trance solo quando mi ritrovo davanti alla porta del dormitorio.
Entro senza una parola, tentando di rendere la mia espressione completamente neutra, e nonostante ciò la scena che mi si presenta davanti riesce a strapparmi un ghigno divertito.
Peter, per chissà quale motivo, è incastrato con una gamba in uno spazio angusto tra il suo letto e l’anta dell’armadio, e nonostante James e Remus lo stiano tirando disperatamente da tutte le parti, qualcosa mi dice che le sue forme rotonde non ne usciranno mai più.
Eddai, Pet… collabora, tira quella maledetta gamba, stupido ratto di fogna…”
“Amico, aiutami!”, rantola lui appena mi vede entrare. Povero, ingenuo Peter, che non ha ancora capito niente della vita, e di Sirius Black, dopo sei anni che ci condivide il dormitorio.
“Ma sicuro, Codaliscia”, infierisco senza la minima pietà andando a stendermi sul mio letto.
“Ti prego, sono incastrato qui dentro da più di due ore…”
“Trasformati, no?”, gli domando schioccando la lingua e alzando gli occhi al cielo. Sia lui che Remus e James si voltano a guardarmi a bocca aperta, come se avessi appena rivelato di essere Voldemort in incognito. Merlino, solo a me potevano capitare degli amici così idioti.
“Sirius… hai ragione!”, balbetta Remus sconvolto, poi allunga la bacchetta a Peter che si trasforma e in un attimo è libero. Mentre corre a nascondersi lontano dal suo letto, afferrando una Cioccorana, Remus e James si voltano verso di me.
“Dov’eri?”
“Parco.”, bofonchio io senza guardarli. Quando sapranno tutto starò meglio, lo so, eppure preferisco non essere io a parlare. Allungo le gambe contro la testata del letto, cercando di arrivare a toccare il soffitto del baldacchino. Ma sento lo stesso gli occhi di James, Remus e Peter puntati addosso, e aspetto quasi con trepidazione la domanda che so arriverà. Perché loro sono sempre un passo avanti, sempre.
“Sirius, con Beatrice… non va tanto bene, vero?”
Vorrà dire che non siamo più capaci di capirci… io non ne posso proprio più….
E il suo viso era maledettamente serio, forse ho sbagliato a baciarla, ma non sapevo cos’altro fare.
“Va una meraviglia.”, affermo con una scrollata di spalle. “Ci siamo lasciati.” La mia voce è piacevolmente calma, persino ironica, ma ai Malandrini non basta, lo so. Nessuno apre bocca, ma James continua a guardarmi, intensamente. Quando incontro il suo sguardo non mi sottraggo, lascio che mi legga dentro, che almeno lui, in tutto questo casino che sto provando, riesca a capirci qualcosa e possa spiegarmelo.
Remus si siede sul suo letto, passandosi una mano davanti agli occhi con aria sconsolata. “Non oso immaginare…”
“Meglio così.”, mormoro con una risata amara, perdendomi ancora un po’ nei ricordi del pomeriggio. “Non è stata davvero una bella scena, Lunasorta.”
“E… come è andata, esattamente?”, domanda cautamente James. Evidentemente ha capito lo stato confusionale in cui mi trovo, ha paura di farmi arrabbiare anche se sa che in fondo non vorrei altro che essere capace di confidarmi con i miei amici.
“Bah, è cominciata al solito…”, esordisco misurando le parole una a una, lo sguardo puntato lontano. “Lei che urla, io che urlo… Merlino, io non so cosa le abbia preso, davvero…”
Nessuno ribatte, aspettano che continui a parlare. “E niente, ci siamo lasciati.” Non me la sento di andare oltre, davvero, e guardo James perché lo possa capire. “Fine.”, continuo, in tono gelido. “Basta, chiuso. Meglio così, no?”
Peter mi guarda dubbioso, mordicchiandosi le unghie, e Remus sospira di nuovo. “Non deve essere per forza una cosa definitiva, no?”, tenta con aria titubante. “Magari…”
“Magari no, Remus”, lo interrompo seccamente. “Ed è una cosa definitiva.”
Lo penso sul serio, non ho nessuna intenzione di tornare indietro.
“Io ho un’idea”, mormora Peter timidamente.
“Spara, amico.”
“Vado in cucina a raccattare qualcosa e ci facciamo una bella cenetta alla Malandrina, noi quattro e basta.”
Gli sorrido riconoscente, perché Peter, in uno dei suoi rari lampi di genio, ha detto proprio la cosa giusta.
“Furbo, il ratto!”, esclama James compiaciuto, battendo le mani. “Su vacci subito, ho una fame da Lunastorta.”

Passiamo il resto della serata insolitamente tranquilli, a sbafarci di dolci che comunque non saranno mai dolci abbastanza da togliere il rimpianto che sento dentro.
Beatrice si divertirebbe, stasera. Ed è strano non averla qui, non sentirla ridere allegra, non vederla passare alle mani con Ramoso.
È la forza dell’abitudine, non riesco a smettere di girarmi ad intervalli regolari verso la porta, aspettandomi di sentirla sbattere con forza da un momento all’altro e vederla spuntare, con il suo solito sorriso tra il gentile e il provocatorio dipinto sul volto.
Purtroppo, Remus è il primo ad intercettare le mie continue occhiate.
“Sirius… penso che stasera non verrà.”, mormora cautamente.
“Lo so.”, ribatto gelidamente, guardandolo con rabbia. E mi dispiace prendermela anche con lui, ma non sopporto che qualcuno possa capire, mi fa sentire vulnerabile, e stupido. “Lo so, Remus, e non me ne potrebbe fregare di meno.” Ed è vero, non mi importa, devo solo imparare a farci l’abitudine.
“Scusa”, risponde lui nervoso. “Pensavo solo… sai, visto che… stavate insieme, ti dispiacesse… un po’, ecco.”
“Pensavi sbagliato”, replico freddamente. “Merlino, Remus, è una ragazza, cosa vuoi che mi cambi?! Cominciavo seriamente a non poterne più di lei, non so quanto sarebbe durata ancora, e poi non penso proprio che sia adatta a me, capisci? È così arrogante, quando ci si mette, sembra tanto carina e poi quando si arrabbia ti dà di quelle pugnalate alle spalle, e non cede, sai? Se pensa di aver ragione va dritta per la sua strada, è chiusa di mente, avrei dovuto accorgermene prima, antipatica, così, così… egocentrica e caparbia…”
Man mano che vado avanti con il mio monologo privo di senso, lo sguardo di Remus diventa sempre più compassionevole, e io mi sento sempre più ridicolo. La voce mi si affievolisce, e prima che abbia esaurito la lista di difetti di Beatrice che ho avuto modo di stilare nelle ultime settimane, si spegne del tutto. Rimango a guardare Remus, e mi sento davvero un idiota.
“Ehi Peter, quella è per caso una bottiglia di Idromele?”, esclamo con noncuranza, lieto di avere una scusa per cambiare argomento.
“Ehm, sì…”, borbotta Peter guardandomi vagamente preoccupato. “Ma non so se dovr-…”
“Passamela”.

 

***


“…Eppure lei continua a fare come se niente fosse… Se non sapessi cos’è successo, forse non mi accorgerei nemmeno che ha qualcosa che non va.”
“Ma lo sai com’è fatta, e sai com’è fatto Black. Continueranno a far finta di niente fino a quando non scoppieranno come due bombe, e vedremo cosa succederà…”

“Vi sento, sapete?”
“Oh… ehm, Bea… non ci eravamo accorte che eri entrata…”
“Ho notato.”, replicai stizzita di fronte alle espressioni imbarazzate di Georgia e Juliet. “E comunque, per vostra informazione, io non ho proprio nulla che non va. Non posso credere che siate ancora qui a parlare di me…”
“Ma tesoro”, tossichiò Georgia. “Noi vorremmo parlarne con te, sei tu che ti rifiuti di aprire bocca sull’argomento. Se solo ti lasciassi andare un po’ di più, sono sicura che ti sentiresti meglio…”
“Mai sentita meglio di così, grazie”, la interruppi seccamente. Avviandomi verso il baule e tirando fuori la sciarpa Grifondoro. “Merlino, solo perché io e Sirius Black ci siamo lasciati, ne fate tutti una questione di stato… cosa pensate, che morirò dal dolore, che  non uscirò mai più con un ragazzo per tutta la vita?!”
Se ci fosse stata Heloïse, avrebbe risposto che sì, la pensava così, e forse non avrebbe avuto tutti i torti. Ma si dava il caso che Heloïse in quel momento fosse messa anche peggio di me, a deprimersi in qualche posto sconosciuto al resto dei comuni terrestri, e Juliet e Georgia preferirono non ribattere, rimanendo a guardarmi con un’espressione tra il triste e il ferito.
“Scusate”, mormorai mortificata. “Non volevo trattarvi male, davvero… Mi dà solo fastidio parlarne.”
“Okay”, fece Georgia, mentre Juliet annuiva a sua volta. “Non ne parliamo più.” “Dove vai?”, aggiunse poi mentre mi avvolgevo la sciarpa al collo.
“Da Hagrid.”
“Da Hagrid?!”
“Da Hagrid, c’è qualcosa di male?”, e con quelle parole mi affrettai a uscire dal dormitorio, mentre Georgia borbottava qualcosa di indefinito su come non ci fosse assolutamente nulla di male.

Perché facevo così? Me lo chiedevo spesso, e l’unica risposta che ero riuscita a darmi era che ignorare tutto e continuare la mia vita in modo normale rendeva le cose infinitamente più semplici. Anche Sirius si comportava così, quindi non capivo perché io avrei dovuto fare diversamente.
Dopotutto non ero mai stata una persona che si abbatte facilmente, non amavo perdere tempo a commiserarmi da sola, né tantomeno farmi commiserare dagli altri. Preferivo raccogliere le emozioni e tenerle nascoste, sicura che prima o poi avrebbero finito per spegnersi.
Così i giorni passavano, avvolti da una malinconica tranquillità che tutto sommato non mi dispiaceva, e ormai non mi aspettavo più nessuna sorpresa da parte di Sirius. Per un brevissimo tempo avevo sperato che mi avrebbe cercata, che avrebbe provato a parlarmi, ma l’aveva detto: lui si era stufato di corrermi dietro, e ormai era troppo tardi perché potessi fare qualcosa.
C’era stata una sola volta in cui io e Sirius ci eravamo ritrovati solo, dopo quel giorno. Era stata l’unica, forse l’ultima, occasione in cui avevo avuto la possibilità di chiarire con lui e con me stessa quello che volevo davvero, di liberare i miei veri sentimenti e vedere cosa sarebbe successo. Ma avevo preferito la prudenza  al rischio di ferirmi di nuovo, avevo lasciato che anche quell’ultima occasione mi scivolasse tra le dita, lasciando nient’altro che rimpianti e rabbia immotivata.
 
Quella sera era tardi, ormai, ma andare a dormire avrebbe significato passare un’altra notte a rimuginare, in quella camera che in certi momenti mi sembrava così tanto una gabbia, così avevo trovato più piacevole rimanere in Sala Comune, a crogiolarmi nella mia solitudine, lo sguardo che si perdeva nei giochi di luce del fuoco. Sentivo il viso che a poco a poco si scaldava sotto il calore delle fiamme, e la sensazione era tanto gradevole che non riuscivo ad andarmene.
Completamente assorta in quel piacevole oblio non l’avevo nemmeno sentito arrivare. Mi ero girata solo quando un soffio d’aria, al suo passaggio, aveva sfiorato i miei capelli.
Avevo sentito il mio cuore che mancava un battito, mentre il suo sguardo si posava lentamente su di me, indecifrabile.
“Ciao”, avevo mormorato piano, modulando la voce in modo che potesse sembrare il più seccata possibile.
“Ciao”, aveva ripetuto lui, dopo qualche secondo di silenzio.
Mi ero ritrovata a domandarmi come sarebbe stato se si fosse seduto lì al mio fianco, sul divano. Saremmo rimasti a guardare il fuoco, ognuno per conto suo, senza scambiarci nemmeno una parola o uno sguardo. Lui non mi avrebbe dato fastidio, e io non avrei più sentito bisogno di solitudine.
Ma Sirius non voleva stare lì con me. Era rimasto solo a guardarmi per qualche istante, come se stesse ragionando su qualcosa di particolarmente complesso, poi aveva scrollato le spalle e se ne era andato.
La mattina dopo mi ero svegliata ritrovandomi raggomitolata su quel divano, e il fuoco si era spento.
Avevo capito così che non  restava che rassegnarsi, anche se non era quello che il mio cuore voleva. Ma d’altronde, quando mai avevo  provato ad ascoltare quello che diceva il mio cuore?

Ero tutta presa dalle mie non proprio allegre riflessioni che quando mi ritrovai di fronte a Remus quasi non me ne accorsi. Mi guardai attorno disorientata, rendendomi conto che avevo sbagliato strada e, invece che uscire dalla Sala Grande, avevo girato in tondo per tutto il castello fino a ritrovarmi davanti all’entrata della Sala Comune.
“Ehi, ciao!”, mi salutò Remus sorridendo.
“Remus, ciao…”, risposi vagamente perplessa. “In verità stavo andando da Hagrid.”
“Davvero?”, fece Remus guardando incuriosito il ritratto della Signora Grassa. “E ci si arriva da qui?”
“Lascia perdere”, mugugnai imbronciandomi.
“Andiamo da Hagrid, allora?” Remus mi sorrise in quel modo gentile che solo lui conosceva, e ne fui così felice che resistetti a stento all’impulso di saltargli al collo. Perché Remus mi era mancato così tanto, in quei giorni, e solo in quel momento mi rendevo conto di quanto fosse stato stupido e inutile evitare anche lui.
“Andiamo da Hagrid”, annuì con un gran sorriso, prendendolo a braccetto.
“Allora, Beatrice Summerland, che mi racconti? È da qualche tempo che non ti si vede in giro…”
“Oh, niente di che, Remus Lupin.”, risposi con una scrollata di spalle.
“Niente più capelli blu?”
“No, mi hanno stufato”, replicai osservandomi una ciocca di nuovo castana.
“E cosa hai fatto di bello, in questi giorni?”
“Niente di niente.”, esclamai in tono solenne.
“Ma come?”, replicò lui fintamente indignato. “Non ti credo, è impossibile che tu non abbia combinato niente di nuovo.”
“Niente di niente”, confermai in tono solenne.
“E non saresti stata tu a spaccare la finestra della Sala Comune giocando a…come si chiama…”
Pallavolo, Remus. Pallavolo babbana, e pensare che tu sei anche Mezzosangue…”,  lo corressi esasperata.  “È stato Kenny, comunque. Io non c’entravo neanche un po’.”
“Oh, capisco.”, fece Remus, sarcastico.
“Voi, piuttosto”, lo rimbeccai , “Come se la passano i Malandrini, senza di me?” La mia voce si affievolì appena, mentre lo dicevo, perché avevo parlato senza pensarci, e il riferimento a tutto quello che era successo era troppo chiaro.
“È dura.”, rispose Remus in tono fintamente melodrammatico, ma la sua occhiata sfuggente e accigliata  non mi sfuggì. “Andiamo avanti come possiamo.”
Non ribattei soltanto perché desideravo lasciare cadere l’argomento, e continuai a camminare a testa bassa.
“Posso chiederti una cosa?”, mi domandò Remus con una certa cautela.
“Certo”, risposi rigidamente.
“Hai intenzione di evitare anche me, Peter e James per tutta la vita, adesso?”
“Eh?”, replicai spiazzata.
“Insomma, capisco che  in questi giorni possa non farti piacere vedere Sirius, ma questo non significa che non puoi più passare la sera con noi, no? L’abbiamo sempre fatto, in fondo cos’è cambiato?”
“È cambiato molto, invece”, ribattei ignorando la sgradevole sensazione che mi aveva colpito al sentire nominare Sirius. “Io non voglio vedere lui, e lui non vuole vedere me. Quindi, visto che voi quattro state sempre insieme, non vedo cosa ci sia da discutere”. Detta così suonava davvero molto peggio di quanto non fosse in realtà
“Non ti sembra di esagerare?”, replicò lui prontamente. “Che ne sai che Sirius non ti vuole vedere?! Gliel’hai mai chiesto?”
“Certo che no!”
“E allora?”
E allora, io non sarei stata capace di stare lì con loro, come se non fosse successo niente. Ero brava a nascondere i sentimenti, vero, ma non così tanto. Io e Sirius, nel migliore dei casi, avremmo ricominciato a litigare, perché nessuno dei due era disposto a lasciar correre, a dimenticare quelle offese e quegli insulti. E il bacio di Sirius bruciava ancora sulle mie labbra, rendendo il tutto ancora più confuso e difficile da capire.
“Merlino, io non capisco perché dobbiate sempre essere così testardi, voi due. Magari non eravate fatti per stare insieme…”
“Non lo eravamo, infatti.”, lo interruppi stizzita.
“Ma per essere amici?”
“Per essere amici?”, ripetei confusa.
“Non pensi che potreste continuare a frequentarvi normalmente?”
Sgranai gli occhi, completamente disorientata da quella possibilità che non avevo neanche lontanamente preso in considerazione.
“No, Remus, non lo penso.”

 

***


Amo l’Idromele. Lo amo proprio, incondizionatamente, lo amo più di quanto Remus ami il suo cioccolato. E con questo ho detto tutto.
Non so che ora sia, di sicuro molto tardi, e ho perso il conto dei brindisi che abbiamo fatto io e Ramoso, sotto lo sguardo severo del nostro Johnnino Prefettino, in ogni caso mi sento stranamente bene, e Beatrice è solo un pensiero sfocato, che mi martella a intermittenza.
“Alla McGranitt!”, urlò alzando in aria il bicchiere. “La professoressa più sexy di Hogwarts!”
“Se lo dici tu, Felpato”, commenta James alzando a sua volta il bicchiere. “Alla Minerva!”
Qualcuno bussa alla porta. Bussa in modo discreto ma deciso, e per un attimo lo spero davvero, lo spero con tutte le mie forze. Spero che sia Beatrice perché voglio parlarle e voglio che sia lei a farsi avanti, ma so che non può essere lei e non voglio che nessun altro entri.
“Scusate, posso?”
“Juliet?!”, esclama James.
“Juliet??!”, ripete Remus altrettanto stupito.
Juliet, già. E sto zitto solo perché la delusione, nonostante tutto, è sempre troppo forte. La scruto con una certa diffidenza, mentre lei si guarda attorno con un misto di smarrimento e curiosità, per poi rivolgere la sua attenzione su di noi.
“Io… scusate l’ora, è tardissimo, non volevo disturbarvi”, esordisce spostandosi i capelli su una spalla e facendo un passo avanti. Io alzo il bicchiere nella sua direzione a mo’ di saluto. Perché è qui?
“Non preoccuparti”, si affretta a rispondere Remus con un sorriso che non potrebbe essere più gentile e timido allo stesso tempo. Che pivellino, Remus. Non che io sia la persona più adatta a giudicare, in questo momento…
“È che…”, continua Juliet un po’ impacciata, poi respira profondamente e si volta verso di me con espressione decisa. “Volevo sapere cos’è successo con Beatrice e perché vi siete lasciati, ecco.”
“E perché non lo chiedi alla tua amica?”, le rispondo in tono non troppo amichevole, alzandomi in piedi.
“L’ho chiesto alla mia amica, ma non vuole rispondere, e mi sembrava anche abbastanza sconvolta. Si può sapere cosa le hai fatto?”
“Lei sconvolta?!”, esclamò scoppiando a ridere. “Io non le ho fatto proprio niente, Juliet, cosa vuoi che le abbia fatto?”
“Non lo so, sono qui per chiedertelo!”, ribatte in tono alterato.
“Juliet…”, si intromette Remus, avvicinandosi e appoggiandole una mano su una spalla in segno di avvertimento. “Vieni, per favore?” La guida fuori dalla stanza e lei lo segue, voltandosi un’ultima volta a lanciarmi un’occhiata accigliata.
“Dai, su!”, bisbiglia James in tono concitato appena si richiudono la porta alle spalle. Mi guarda interrogativo, aspettando che faccia qualcosa, ma quando vede che non reagisco mi dà una gomitata e mi spinge verso la porta. “Sentiamo cosa si dicono i piccioncini, no?” Io continuo a fissarlo con sguardo vacuo. “D’altronde si sa”, aggiunge ammiccando. “per ogni amore che finisce, ce n’è un altro che nasce!”
Sia io che Peter lo guardiamo sconvolti. In certi momenti non riesco proprio a capacitarmi dei livelli di stupidità che James riesce a raggiungere.
“Questo era davvero pessima, Ramoso.”, esclamo schifato, colpendolo sulla spalla con un pugno. “Ma quanto sei idiota?”
Sia io che James che Peter ci ammassiamo contro la porta, cercando di captare i bisbigli di Remus e Juliet. Da quanto riesco a vedere dallo spioncino, cioè non molto, giusto una manica del maglione di Juliet e la spilla di Prefetto di Remus, sono appoggiati alla ringhiera delle scale, l’uno di fronte all’altra.
“Neanche Sirius ha detto molto, ma più o meno penso di aver capito cos’è successo.”
“Be’, io no.”, sbuffa Juliet contrariata. “Beatrice non ha praticamente aperto bocca,  è andata a letto e ha chiuso le tende. Brutto segno.”
Significa che le importa, che le dispiace? Guardo disorientato James, che però è troppo concentrato nella conversazione per degnarmi di un’occhiata.
“Domani vado a parlarle, stai tranquilla.”
Un attimo di silenzio, poi Juliet riprende a parlare con un tono appena più basso di prima.
“E Sirius, come l’ha presa?”
Sento Remus sospirare, e per un attimo sono tentato dall’andarmene. Non ho la minima voglia di sentirlo parlare, perché di sicuro con le sue maledettissime doti da psicanalista avrà già esaminato ogni mia singola espressione, ogni parola e ogni movimento e avrà capito, come sempre, che la cosa non mi lascia indifferente come vorrei.
“Non l’ha presa benissimo, penso. È molto arrabbiato, con lei e con se stesso, ma la rimpiange anche.”
Maledetto Remus. Abbasso lo sguardo, fortemente a disagio, e mi sento improvvisamente senza più nessuna maschera a coprirmi.
“Sono un po’ nervoso”, continua Remus a bassa voce, “di sicuro non si perdoneranno, e penso che scateneranno un inferno.”
“Tieni molto a lui, non è vero?” La domanda di Juliet mi coglie un po’ di sorpresa. Il suo tono di voce, di solito abbastanza duro, si è improvvisamente addolcito. Immagino che stia sorridendo, uno di quei sorrisi morbidi e appena accennati che non si vedono spesso.
“Beh, è Sirius”, risponde lui con naturalezza. “Ovvio che tengo a lui.”
“È molto bello che siate così legati. Non se ne trovano tante di amicizie come la vostra, sai?”, continua Juliet.
“Lo so.” Capisco che anche Remus sta sorridendo, e io faccio lo stesso, perché penso ai Malandrini. “A volte mi chiedo cosa ho fatto per meritarmi questo. James, Peter, Sirius… nei momenti più difficili, in cui credevo di non potercela fare, loro erano lì, sempre”.
Guardo James sbalordito, sicuro di aver sentito male, e lui e Peter mi restituiscono lo stesso sguardo sconvolto.
Non ci posso credere.
“Sta... parlando del suo piccolo problema peloso…”, mormora James con gli occhi sgranati.
“…a Juliet.”, concludo io per lui, scuotendo la testa altrettanto incredulo. Ed  è davvero una delle cose più strane a cui io abbia mai assistito, perché Remus non parla della sua maledizione, mai, a nessuno se non a noi. E ora è come se, involontariamente, avesse lasciato scorgere a Juliet un frammento della parte più profonda e nascosta di sé, accennando con la spontaneità più assoluta a qualcosa da cui ha sempre cercato di fuggire, almeno di fronte agli altri.
“E ovviamente continuano a esserci, in questi momenti.”, aggiunge con la voce un po’ roca. “Riescono sempre a farmi sentire meno sbagliato ed è… bello.”
E io sorrido, anche se ho il viso schiacciato contro la porta, perché in questo momento vorrei davvero dire a Remus che è bello anche per noi.
“In che senso?”, domanda Juliet ingenuamente. “Tu non sei sbagliato…”
“Non importa, Juliet.”, la interrompe lui con dolcezza. “Davvero, non importa.”
Lei sta un attimo in silenzio, come se stesse riflettendo sulle sue parole. “Beh…”, mormora alla fine, ancora un po’ confusa, “allora grazie, sei stato molto gentile.”
“Anche tu”, risponde Remus con semplicità. “Buonanotte, Juliet.”, aggiunge dopo una piccola esitazione.
“Buonanotte, Remus.”, mormora lei.
Sento il rumore delicato dei suoi passi che scendono le scale, poi un lieve sospiro di Remus, e alla fine di nuovo silenzio.

 

Note dell'autrice:
Ma buongiorno a tutti! Aaah, proprio bello tornare a pubblicare dopo così tanto tempo :D Fra scuola e tutto ho passato delle settimane infernali, come tutti, immagino. E poi ho avuto un blocco pazzesco con questo capitolo, non riuscivo proprio ad andare avanti, è stato difficilissimo e l’ho davvero odiato molto.
Come avrete notato, il capitolo è diviso in tre parti, e Sirius è narratore della prima e dell’ultima, che si riferiscono entrambe alla stessa sera, subito dopo che Sirius e Bea si sono lasciati. Mentre quella in mezzo è narrata da Beatrice, che parla più in generale dei giorni dopo. Dal prossimo capitolo tornerà Beatrice a tempo pieno, ovviamente : )
Quindi, riassumendo la situazione tra S e B: io penso che entrambi siano molto, molto arrabbiati, ma allo stesso tempo ovviamente un po’ tanto dispiaciuti per quello che è successo. Siccome nessuno dei due è molto propenso a mostrare i propri sentimenti a chicchessia, si comportano in questo modo bizzarro e cercano di evitarsi il più possibile, nonostante preferirebbero riuscire a parlarsi e chiarirsi. Ho cercato di spiegarlo il meglio possibile ma mi sono trovata davvero in difficoltà, soprattutto per la prima parte con Sirius, che è venuta davvero una cosa penosa, mi ripugna anche solo pensarci. Come sempre, se ho scritto delle cazzate che non condividete e pensate che il comportamento di Sirius o Beatrice non sia in linea con il loro carattere, sono pronta a tutte le critiche  : )
La cosa che ci tengo davvero a far capire e che non sono riuscita a spiegare per niente bene in questo capitolo è che  Sirius e Bea stavano bene insieme, è vero, ma non è che si amassero alla follia o cosa. Forse dalla prima parte del capitolo Sirius può sembrare molto innamorato, ma più che altro è confuso perché Beatrice si è rivelata diversa da come pensava di consocerla. A mio parere sono entrambi ancora abbastanza piccoli (cioè io sono ancora più piccola di loro, a dir la verità, quindi non me ne intendo proprio tanto, cooomunque), e ci vorrà del tempo perché nasca o rinasca qualcosa di più profondo, non so se mi sono spiegata. In caso contrario chiedetemi, perché ci tengo davvero a questa cosa.
Ah, in conclusione del capitolo c’è una parte tra Remus e Juliet e dei gran passi in avanti tra loro due, e questo è l’unico pezzo di cui vado fiera, anche perchè l’idea me l’ha date la Jullsfrap in risposta alla mia disperata richiesta di aiuto. Scusate se James, Sirius e Peter origliano, ma era l’unico modo perché si potesse sentire la loro conversazione, e tanto tra Malandrini si condivide tutto, no? Direi che ormai è giunta l’ora di concentrarci un po’ sulla Jupin, che Jullsfrap ama tanto. Vi metto sotto un’immagine che fa riferimento all’episodio di un paio di capitoli fa mi sembra, in cui Remus e Juliet parlano alla festa di Halloween (fate finta di non vedere la bottiglia di birra in mano a Remus, ovviamente).

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Ne ho altre di molto più belle pronte ma mi serviranno per il futuro, quindi accontentatevi per ora :’)
Remus è Andrew Garfield, magari metterò altre sue foto più avanti.

Ah, e poi la nostra Heloise (=Sky Ferrera) con tanto di capelli blu.
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Okaaay, direi che non ho più nient’altro da dire, persino le note dell’autrice fanno schifo in questo capitolo. A questo punto ci risentiamo finita la scuola, ricomincierò a scrivere a tempo pieno, che bellezza!
Un grazie enorme a tutti voi, vi voglio davvero tanto bene <3
Trixie

 

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Capitolo 34
*** Leggi di Golpalott e ronde improvvisate ***



Trentaquattresimo capitolo: LEGGI DI GOLPALOTT E RONDE IMPROVVISATE


Quel giorno erano pressochè le otto di sera, e fuori dalle finestre della Sala Comune  il buio era già sceso da un pezzo. A giudicare dal vento che tirava instancabile sopra le cime degli alberi doveva esserci anche un gran freddo, cosa che mi aveva spinto a spostare il tavolo proprio accanto al fuoco.
La maggior parte degli studenti era già scesa in Sala Grande, mentre io e Heloïse eravamo fra i pochi ad avere momentaneamente rinunciato alla cena.
Era da qualche ora che studiavamo insieme Pozioni, e i risultati fino a quel momento ottenuti erano così scarsi da farmi seriamente temere la verifica del giorno dopo.
“Non ce ne andiamo via da qui fino a che non hai capito, chiaro?”, cantilenai per l’ennesima volta sbattendo il libro sul tavolo di fronte ai suoi occhi. Lei mi restituì uno sguardo di odio puro e un calcio sotto il tavolo.
“Ti odio, Bice. Odio te, Pozioni, Lumacorno, il mondo e Jack!”
“L’hai già detto, Heloïse. Ripeti le Leggi di Golpalott, dai.”
“Che cavolo, sei peggio di Juliet!”
“Mi hai chiesto di studiare con te, lo sto facendo.”, replicai senza scompormi più di tanto. “E ora, ripeti quelle maledettissime Leggi di Golpalott!”
“La prima dice…” iniziò Heloïse guardandomi storto.
“Non la prima, amore”, la interruppi con un sorrisetto sadico. “Quella in un paio d’orette l’abbiamo imparata. Voglio la terza.”
“Merlino, come mai tu non sei a Serpeverde?!”, esclamò lei furiosa. “Sei proprio una stronza!”
“Domani mi ringrazierai, Helo. Ripeti la Terza Legge di Golpalott, prego.”
“La Terza Legge di Golpalott afferma che.”
“Sì?”
“Che l’antidoto a un veleno è…”
“A un veleno composto, Heloïse.”
“A un veleno composto, sì. L’antidoto a un veleno composto è maggiore alla somma degli antidoti.”
“L’ultima parte, dai!”
“Alla somma degli antidoti di qualcosa, uffa, ti va bene?”,e sclamò lei sbattendo la testa sul tavolo. “Alla somma degli antidoti di ognuno dei singoli comp… comp… componenti.” La voce di Heloïse si fece all’improvviso flebile, fino a spegnersi del tutto, mentre il suo sguardo, fissandosi su qualcosa alle mie spalle, si impietriva. “Componenti.”, ripetè un’altra volta con la voce sepolcrale e lo sguardo vitreo.
“Che c’è?”, esclamai girandomi stupita.
Socchiusi la bocca e sbattei le palpebre più e più volte, come ad aspettarmi che la visione davanti ai miei occhi scomparisse e che io e Heloïse potessimo tornare a studiare tranquillamente Pozioni. Invece la visione non scomparve per niente, e Sirius continuò a scendere le scale del suo dormitorio, tenendo per la vita la ragazza che se ne stava saldamente avvinghiata al suo braccio.
“Dei singoli componenti, sì…”, balbettai cercando di distogliere lo sguardo e girare la testa. Non ci riuscii, e rimasi a fissare Sirius come un’ebete per qualche secondo. Alla sorpresa prese immediatamente posto una sensazione sgradevole che mi stringeva lo stomaco e mi dava la nausea, una specie di malessere  che andava crescendo man mano li vedevo avvicinarsi ridendo forte. Sirius incrociò il mio sguardo, gli occhi gli si allargono di sorpresa e la mano che cingeva la vita della ragazza gli ricadde lungo i fianchi, mentre si allontanava brusco da lei.
Gli voltai lentamente le spalle, stringendo il  bordo del tavolo con le dita, nel tentativo di riacquistare un po’ di lucidità.
Non avrei immaginato che potesse spingersi fino a quel punto. Era vero, negli ultimi tempi, l’avevo più volte accusato di essere immaturo, senza cervello, avevo spesso pensato male di lui, ma non così tanto male.
Quella non era immaturità. L’avevo visto uscire dal suo dormitorio, ridendo abbracciato a una ragazza, e non era immaturità, era menefreghismo allo stato puro. Feci un breve calcolo, era passato poco più di una settimana da quando ci eravamo lasciati.
Un anno di amicizia e molto più, aveva contato davvero così poco per lui? Non chiedevo fedeltà da parte sua, figuriamoci, sapevo che qualsiasi sentimento avesse mai provato per me sarebbe scomparso in fretta. Avevo solo sperato che mi tenesse un po’ più in considerazione, che  aspettasse almeno qualche giorno ancora prima di buttarsi tutto alle spalle, di cancellarlo e rovinarlo per sempre. Per i momenti passati insieme ai Malandrini, almeno. Per le punizioni di Gazza, per le risate nel parco, per il bagno nel Lago, per quell’affetto sincero che mi aveva mostrata a lui per come ero veramente, senza nessuna riserva. Pensavo di meritarmelo, e mi ritrovavo delusa e amareggiata, di fronte a un Sirius che non aveva più niente in comune con quello che mi aveva così tante volte abbracciato prima di darmi la buonanotte.
Heloïse mi strinse piano la mano, e mentre quella tempesta di pensieri mi avvolgeva la mente, mi chinai per raccogliere la borsa, girandomi un’ultima volta verso Sirius. Lo vidi che mi guardava, con un’espressione davvero dispiaciuta negli occhi, e la cosa mi mandò fuori di testa. Sentii un odio estraneo annebbiarmi la mente, e se in quel momento mi avessero lasciato scegliere, avrei voluto non rivederlo mai più, non averlo mai conosciuto. Mentre lo guardavo con rabbia negli occhi, decisi con una sorta fredda razionalità che non sarebbe successo mai più, non avrei mai più lasciato che i nostri occhi si incontrassero anche solo da lontano, l’avrei evitato sempre, in ogni momento, non mi avrebbe mai più sentito pronunciare una parola rivolta a lui.
Perché mi ero stufata di quel gioco, odiavo il modo in cui lui riusciva a agitarmi e non l’avrei permesso ancora.
Respirai profondamente. “Abbiamo studiato abbastanza, no?”, esclamai con la voce stranamente fredda. “Andiamo a mangiare qualcosa?”
Mi alzai e uscii dalla stanza a grandi passi, guardando dritto, e quando gli passai accanto avvertii l’elettricità pericolosa del mio corpo che, sentendo la sua vicinanza, tremava di rabbia. Appena fuori Heloïse provò a parlare.
“No, Heloïse, non voglio sentre neanche una parola su di lui, va bene?”, la interruppi immediamente. “Da adesso, non conta più niente per me.” C’era un qualcosa di definitivo, nella mia voce, che assurdamente mi fece sentire meglio. Era un sollievo, dopo quel periodo di continui dubbi, poter avere finalmente l’assoluta certezza che di lui non ne volevo più sapere. Era stato un attimo a deciderlo, lui a farmelo capire, e forse più avanti sarebbe arrivata la nostalgia. In quel momento odiarlo era la cosa che mi riusciva meglio.
Ha già superato tutto, così, pensai serrando i pugni. Non era giusto.
“Gliela faremo pagare”, mormorò Heloïse furiosa.
Io le sorrisi mestamente. “Non voglio fargliela pagare. Non m’importa più.”
Ed era bello, per una volta, essere certa  delle proprie emozioni.

Sirius non impiegò molto tempo a capire che qualcosa era cambiato. Anche se ormai era da tanto che non andavamo più d’accordo, alle battute pungenti e ai battibecchi  non avevamo mai rinunciato, mentre ora non era rimasto nemmeno quello.
E Sirius, per quanto potesse darmi fastidio ammetterlo, mi conosceva anche molto bene, così capì immediatamente a cosa era collegato il mio comportamento.
Da quel giorno non si fece più vedere né con quella ragazza né con nessun’altra: per qualche motivo che non riuscivo a capire sembrava realmente dispiaciuto del mio silenzio indifferente, che poteva passare inosservato a molti, ma non a lui, e aveva deciso per qualche assurda ragione di mettere finalmente da parte l’orgoglio e cercare di fare il possibile per tornare indietro. Peccato che, a questa decisione estrema, ci fosse giunto troppo tardi.
Così cercò di venire a parlarmi più e più volte, e provò davvero di tutto, dall’accamparsi fuori dal mio dormitorio al bloccarmi in Sala Grande dopo i pasti, con l’unico risultato di rendermi ancora più decisa a evitarlo. Era stato lui a insegnarmi quell’orgoglio e quell’ostinazione fini a se stessi, e in quel momento niente avrebbe potuto farmi cambiare idea.
“Beatrice, ti fermi un attimo?” Il suo tono era paziente e determinato, e ancora una volta me ne stupii, mentre mi affrettavo ad accelerare il passo, chiedendomi cosa di preciso l’avesse convinto a riporre l’ascia di guerra, e a cercare a tutti i costi di avvicinarsi a me anche se ormai non c’era più niente da fare.
“Bea?”, ripetè avvicinandosi ancora, e nemmeno questa volta il modo delicato con cui pronunciò il mio nome riuscì a scalfirmi. Perché tutte le volte che me lo ritrovavo di fronte, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era lui e la ragazza bruna sulle scale del dormitorio, e la sensazione che provavo era tanto brutta che non trovavo nemmeno una parola adatta a descriverla.
Gelosia, avrei imparato più tardi.
Gelosia e nient’altro, forse un po’ immotivata, forse un po’ giusta, ma pur sempre gelosia. Dopotutto ero umana, e non potevo fingere di non provare più niente per Sirius, dopo così poco tempo. Il fatto che invece per lui fosse tutto il contrario, o almeno così credevo, bruciava molto.
Perché allora era ancora lì a seguirmi e chiamarmi? Era lui che aveva deciso per primo di voltare pagina, ora cosa si aspettava? Di lui non volevo più sapere niente, pensavo fosse giusto così, eppure lui sembrava dispiaciuto dal fatto che le cose fossero andate a finire in quel modo, così definitivamente.
“Mi ascolti?”, continuò a chiedermi appoggiandomi una mano per la spalla per indurmi a fermarmi. Non mi scansai, né rallentai il passo, né cambiai espressione del viso. Era diventato semplice, quasi spontaneo, dopo qualche giorno di allenamento. Era l’unico modo per riuscire a mantenere il controllo della situazione e delle mie emozioni, mi dava soddisfazione, sicurezza.
“Una più testarda no, vero?”, lo sentii bofonchiare tra sé e sé. “Se mi ascoltassi solo per un secondo, per favore! Voglio soltanto parlarti…”, mi implorò afferramdomi per entrambi i polsi nel tentativo di incrociare il mio sguardo. Iniziai a divincolarmi con forza, sempre cercando di sfuggire ai suoi occhi magnetici, e la presa attorno alle mie mani divenne più forte.
“Quella sera, sulle scale del dormitorio…”, continuò avvicinandosi e abbassando il suo viso all’altezza del mio. Puntai lo sguardo lontano, dietro le sue spalle. Ora che era così vicino, diventava davvero difficile riuscire a resistere alla tentazione di incrociare il suo sguardo, almeno per un attimo. “…non era successo niente, davvero, non voglio che tu pensi…”
Come se me ne importasse qualcosa, di quello che era successo. Che fosse vero o meno, volevo liberarmi di Sirius, e basta.
Eppure il modo accorato e implorante con cui cercava di parlarmi, assolutamente non da lui, avrebbe dovuto farmi riflettere, farmi capire che forse per Sirius il nostro passato insieme contava ancora qualcosa, come contava per me, che non voleva finirla così, con il silenzio.
In quel momento la cosa non mi toccò minimamente.
“Lasciami andare.”, mormorai con voce piatta, senza guardarlo. Lui si staccò da me come se si fosse scottato, e io me ne andai senza un’altra parola.

Quella fu l’ultima volta in cui Sirius cercò di parlarmi, e da lì instaurammo una specie di equilibrio, grigio e piatto, che consisteva semplicemente nel dimenticarsi dell’esistenza dell’altro e far finta di niente.
Gli altri dicevano che esageravo, io continuavo per la mia strada senza dar retta a nessuno e pian piano, un po’ dolorosamente, ritrovai la tranquillità di un tempo, senza Sirius, senza Malandrini, senza lune piene. Per un po’ di giorni ancora Sirius continuò a guardarmi speranzoso tutte le volte che ci incontravamo, ma la pazienza non era mai stata il suo forte, così dopo non molto tempo ricominciai a vederlo uscire con diverse ragazze, e fui contenta di non aver ceduto con lui neanche un attimo, di non aver creduto che gli importasse davvero di me, perché Sirius era fatto così, e prima lo imparavo, meno doloroso sarebbe stato.
Mi convinsi del fatto che Sirius non mi interessava più così tanto, e che vederlo escludermi dalla sua vita, come del resto stavo facendo io con lui, non mi faceva tanto effetto. Cominciai a pensare a lui un po’ meno, e il resto di novembre e dicembre passarono in fretta.
Con l’avvicinarsi di Natale, c’erano altre questioni ben più importanti di Sirius che mi preoccupavano, e la prima persona con cui ne parlai fu Remus.

“Sai Remus, non so se ti ricordi.”, esordii pensierosamente un pomeriggio. “Secoli fa, James aveva decifrato quel foglio…”
“Le date.”, mi interruppe lui immediatamente, per nulla sorpreso. “Ci pensavo anch’io, in questi giorni, James e Sirius hanno ritirato fuori il foglio, penso che stiano archittettando qualcosa…”
Quindi si ricordavano. Fu strano pensare che dopotutto James e Sirius erano sempre gli stessi, Ramoso e Felpato, che avrebbero continuato con le loro malefatte e le loro scorribande e che io non ci avrei più preso parte.
“È il 22 dicembre”, continuai grattandomi il capo.
“Lo so”, annuì lui.
“Dovrò tenere d’occhio Rookwood e tutta la sua combriccola… mi serve soltanto un piano.”
Dovremo, Beatrice”, mi corresse lui. “Non penserai di andarci da sola?”
“Non penserò di andarci con Sirius”, ribattei all’istante. “Non siamo più ai vecchi tempi, Rem. Io lavoro da sola.”

 

***
 

Ma lavorare da sola era difficile, e mi bastò pensare a com’era andata l’ultima volta per rendermi conto che senza qualcuno che mi facesse da spalla avrei solo finito per cacciarmi nei guai.
La soluzione, tutto sommato, non era difficile.

“Allora”, esordii impacciata. Juliet, Georgia, Heloïse e Kenny mi osservavano piuttosto incuriositi. “Vi ricordate, mesi fa, quel biglietto che mi chiedeva di trovarmi alla Torre di Astronomia?” Loro annuirono in silenzio. “Ecco…” Raccontai sintenticamente la storia del foglio in codice, di come eravamo riusciti a decifrarlo, senza inserire troppi dettagli. Non che non mi fidassi di loro, semplicemente pensavo che più quella faccenda fosse rimasta segreta, meglio sarebbe stato per tutti. Ovviamente non parlai di Rookwood, e di come fosse lui  a nascondersi dietro a tutto questo. Per Juliet, che di sicuro non l’avrebbe presa bene. Forse era una decisione codarda, ma non me la sentivo di peggiorare ulteriormente le cose tra lei e suo fratello, almeno per il momento. Se l’avesse scoperto in seguito, si sarebbe visto.
“Quindi, in conclusione, mi servirebbe il vostro aiuto…”
CI STO!”, urlarono in coro Kenny e Heloïse alzando il pugno per aria.
“Sì, anch’io”, aggiunse Juliet con decisione.
“Non possiamo andare solo noi, però”, si inserì Georgia. “Insomma, non so se Kenny riuscirebbe a difenderci tutte e quattro, in caso di necessità…” Heloïse alzò gli occhi al cielo.
“Oh, ma non ti preoccupare”, la liquidò Kenny con un gesto della mano. “Basta chiedere a Teddy e Benjy, non vedranno l’ora di aiutarci.”
“Ci si può fidare?”, gli domandai con diffidenza.
“Stiamo parlando di Theodore Baston e Benjamin Fenwick, certo che ci si può fidare”, replicò in tono sdegnoso, e io gli sorrisi dirimando.
Kenny Jordan, Theodore Baston e Benjy Fenwick, l’altro famoso trio di ribelli che, se ancora non era giunto ai livelli dei Malandrini, ci si avvicinava comunque molto. Era tutti e tre Grifondoro del mio stesso anno, eppure solo con Kenny io e le mie amiche avevamo veramente fatto amicizia; la nostra conoscenza degli altri due si limitava alle lezioni condivise e a qualche rarissima uscita di gruppo a Hogsmeade.
“Baston no…”, protestò Georgia imbronciandosi. “È antipatico, e poi…”
“… A te sta antipatico il mondo, Georgia”, la interruppe Kenny senza tanti complimenti. “Comunque non sarà necessario raccontare tutto, basta chiedere di accompagnarci.”
“Perfetto, di questo ti occupi tu.” Ci scambiammo tutti e cinque un sorriso complice, con quel misto di euforia e tensione che precedeva sempre le nostre avventure.
“A domani sera, allora.”

 

***
 


“Ci dovremmo dividere, sapete? Tutti insieme non combineremo molto…” Alla proposta di Juliet, tutti annuirono con aria seria.
Erano le nove di sera, mancavano due ore al momento segnato sul foglio, i corridoi del castello erano ormai vuoti. Quella volta non avevo ricevuto nessun messaggio anomino che mi chiedesse di presentarmi da qualche parte, e questo mi faceva pensare che forse non ero l’unica vittima dei piani di Rookwood. Motivo per cui saremmo dovuti stare doppiamente attenti.
“Giusto”, concordò Kenny. “Facciamo così. Georgia, tu vai con Teddy.”
“Sei proprio uno stronzo, Jordan!”, esplose lei all’istante, mentre Baston assumeva un’espressione esasperata.
“Oh, taci, Hill.”, replicò Kenny senza scomporsi.
“Noi due stiamo insieme”, cinguettò Heloïse afferrando la mano di Juliet.
“Bene, rimaniamo noi tre”, concluse Kenny rivolgendosi a me e Benjy.
“Siamo due coppie e un gruppo da tre”, ricapitolai. “Io, Benjy e Kenny staremo di guardia alla Torre di Astronomia, magari torneranno lì. Qualcuno dovrebbe andare subito nei sotterranei, la Sala Comune di Serpeverde è da quelle parti.”
“Andiamo noi”, propose Baston con un sorriso. “Vieni, Hill.”
“Non sono il tuo gufo!”, ribattè lei velenosamente.
“E noi due faremo un giro di tutti i piani”, mormorò Juliet quando Georgia e Teddy se ne furono andati.
“Okay, se qualcuno ha bisogno di aiuto mandi un segnale, magari un fantasma, va bene?”, e così ci dividemmo.

Lumos.” Mi appiattii contro il muro del corridoio e dopo essermi assicurata che fosse deserto, mi affrettai a svoltare in quello successivo. Il Mantello dell’Invisibilità, ecco una cosa che mi mancava di James… Lanciai una breve occhiata ai miei compari. Kenny, stranamente in silenzio, sorrideva con aria rilassata. Mi soffermai un secondo di più a osservare Benjy, quel ragazzo dall’aspetto piacevole, alto e magro, lineamenti delicati, occhi e capelli di un bel castano morbido, che per me era sempre stato un po’ un enigma. Mi ricordava vagamente Remus, con quell’aria sempre riservata e pensierosa, seria e dolce al tempo stesso, e spesso mi ero chiesta che cosa ci stesse a fare con persone indubbiamente idiote quali Kenny e Teddy. Eppure, almeno da quanto Kenny mi diceva con orgoglio, la maggior parte delle idee e dei piani per le loro malefatte venivano proprio da lui.
Benjy si accorse che lo stavo fissando e mi sorrise brevemente. “Qui non c’è nessuno.”, mormorò passandosi una mano tra i capelli e alzando la bacchetta per fare più luce.
Eravamo ai piedi della Torre di Astronomia. Restammo una ventina di minuti a ciondolare, guardandoci attorno e  aspettando che succedesse qualcosa.
“Voi restate qui”, sussurrai alla fine. “Io vado a controllare in cima.”
Se ci fosse stato Remus, di sicuro mi avrebbe fermato dicendomi che era troppo pericoloso. Ma Kenny era di tutt’altra pasta, così annuì, appoggiandosi contro il muro.
Le scale della Torre erano ancora più buie del resto del castello. Salii i gradini stretti e ripidi il più silenziosamente possibile. Arrivata in cima spensi la bacchetta e mi appostai dietro la porta, socchiudendola lentamente.
Una parte di cielo stellato illuminava flebilmente lo spazio arioso della Torre. Mi infilai all’interno, tendendo le orecchie, ma il silenzio era più che totale. Non c’era nessuno, mi bastò un secondo per capirlo; non avrei sapito dire se era più grande il sollievo o la delusione per non aver trovato nessuno. Un ultimo giro di perlustrazione, più per sicurezza che per altro, e poi mi decisi a tornare da Kenny e Benjy. Ridiscesi le scale con velocità, fermandomi con uno scivolone davanti ai due ragazzi, immobili come li avevo lasciati.
“Nessuno”, boccheggiai scuotendo la testa.
“Che ora è?”, mi domandò Kenny vagamente deluso.
“Le undici meno un quarto.” Mancava solo un quarto d’ora.
“Se il luogo fosse questo, sarebbero già qui”, mormorò Benjy. “Significa che dobbiamo cercarli da qualche altra parte.”
Un corridoio dopo l’altro tornammo verso i piani più bassi, senza incontrare anima viva o morta che fosse. Fino a che un flebile rumore di passi non ci costrinse a fermarci.
Lumos.”
Due voci avevano interrotto all’unisono il silenzio e l’oscurità: la mia e quella di Sirius. Ciascuno dei due aveva puntato la bacchetta contro il viso dell’altro, e ora rimanevamo a fissarci, impassibili.
Con la solita indifferenza distolsi in fretta lo sguardo. “Ciao, Remus”, mormorai illuminando con la bacchetta il volto dell’altro ragazzo, immobile di fianco a Sirius.
“Ehilà”, fece lui, in tono ironico. “Quanto affollamento, stasera…”
Con la coda dell’occhio vidi Sirius che spostava lo sguardo da me, a Benjy e poi a Kenny, con le sopracciglia inarcate in modo curioso.
“Hai incontrato qualcuno?”, domandai a Remus. Lui scosse la testa.
“Solo Baston e Georgia, ma… dovreste fare attenzione a quei due, si stavano urlando contro nei sotterranei, finiranno per svegliare qualcuno.”
Io e Kenny sospirammo, scambiandoci un’occhiata significativa. “Andiamo a fermarli, prima che ci mettano tutti nei guai… ci sono anche James e Peter?”
“Sì, stanno…” Ma Remus non fece in tempo a concludere la frase, perché un colpo di tosse eloquente lo interruppe.
“Guarda guarda, quanti arditi Grifondoro fuori dai loro letti, questa notte… oh, e c’è anche la piccola Summerland.”
Mulciber ci squadrò uno a uno, con un ghigno soddisfatto sulle labbra. “Che cosa ci fate qui?”
“Non perdiamo tempo con le domande idiote, Mulciber, potrei chiederti la stessa cosa.”, replicò Sirius seccamente. “Piuttosto, dove sono i tuoi amichetti? Li stavamo proprio cercando…”
Remus gli assestò una gomitata di avvertimento nelle costole, ma era troppo tardi, Mulciber era già in all’erta, e ci fissava con lo sguardo assottigliato.
“Ma davvero?”, gli domandò in tono sarcastico. “Continuate a cercarli, allora. E intanto, 20 punti in meno a testa per non essere nei vostri dormitori. 10 punti in meno a Black perché è un traditore, e 10 alla Summerland perché ha il sangue sporco.” Poi si girò e se ne andò a grandi passi, proprio mentre io e Sirius ci slanciavamo contro di lui con le bacchette tese.
“Fermi”, esclamò Benjy afferrandomi la spalla, lo sguardo puntato su Mulciber.“Se ne va troppo in fretta, nasconde qualcosa. Dobbiamo seguirlo.”
Possibile che, stupido com’era, stesse andando ad avvertire Rookwood con noi alle calcagna? Che fosse anche lui coinvolto in quella storia? Di sicuro faceva pare della cerchia più ristretta degli amici di Rookwood, quindi perché no?
“Fuori le bacchette, tutti”, ordinò Kenny, una luce esaltata che gli illuminava gli occhi.
Mulciber camminava veloce, svoltando bruscamente nei corridoi secondari, e noi cercavamo di non perderlo di vista senza che se ne accorgesse, impresa non di certo semplice, visto che eravamo in cinque.
Ero ormai sicura che ci stesse conducendo verso Rookwood, quando un clangore metallico, subito accompagnato da un urlo soffocato e lontano che suonava come “Lasciala stare!”, mi distrasse.
Ci fermammo di botto, impietriti. Mulciber aveva svoltato l’angolo prima di noi senza aver sentito niente, e ormai era scomparso. Dopo un attimo di esitazione ci lanciammo verso la fonte del rumore, senza nemmeno curarci di Mrs Purr, che era spuntata all’improvviso dal nulla, e che ora ci fissava con intensità, restando immobile.
“Di qui!”, esclamò Sirius a bassa voce, avvicinandosi in fretta al corridoio di Wilfred il Meditabondo, da cui provenivano dei sussurri concitato.
Heloïse era ferma davanti alla statua, la veste impolverata e la bacchetta tesa, mentre Juliet se ne stava rannicchiata sul pavimento, tenendosi il braccio, una evidente smorfia di dolore dipinta sul volto.
“Cos’è successo?”, balbettai impallidendo e fiondandomi su di loro.“Chi è stato?”
“Suo fratello”, mormorò Heloïse a bassissima voce. “Avevamo sentito delle voci, e… non siamo riuscite a capire cosa stesse succedendo, lui ci ha viste…”
“Era mio fratello che stavi cercando, non è vero?”,  mi domandò Juliet con voce aspra, guardandomi quasi con rancore. Io abbassai gli occhi e annuii, senza sapere cosa dire. Ero stata stupida, infinitamente stupida a chiedere proprio a lei di aiutarmi, e me ne rendevo conto solo in quel momento.
Remus si inginocchiò di fianco a lei, e dopo un attimo di esitazione fece per prenderle delicatamente il braccio e osservare il taglio fresco. Juliet si ritrasse bruscamente, aveva gli occhi lucidi ed ero sicura che non fosse dovuto alla ferita. Era un momento estremamente delicato, e il fatto che ci fosse tutta quella gente attorno a lei non aiutava. L’unica persona che avrebbe davvero saputo come prenderla era Heloïse.
Eppure Remus si avvicinò un po’ di più, cercò di incontrare il suo sguardo e le sorrise dolcemente, in qul modo semplice e assolutamente genuino che solo lui conosceva. “Juliet, ti porto in Infermeria, non preoccuparti. Madama Chips non farà troppe domande…”
Lei alzò gli occhi, esitante, e Remus allungò di nuovo la mano a sfiorarle il braccio. Juliet lo lasciò fare, e quando lui le prese la mano si alzò, senza protestare. Io e Heloïse ci scambiammo un’occhiata sbalordita perché non era possibile. Remus, che la conosceva così poco, era riuscito ad affrontarla nel modo giusto, quando io non avevo nemmeno avuto il coraggio di guardarla negli occhi, aveva capito come si sentiva, quello di cui aveva bisogno, e ora la teneva per mano, nel modo più naturale del mondo. Era vero, Remus aveva sempre saputo guardare la parte più profonda delle persone come nessun altro era in grado di fare, ma lì era qualcosa di diverso, di più grande.
Vedendo i nostri sguardi stupiti Remus si bloccò e arrossì. Poi mi guardò impacciato, come per chiedermi se stesse facendo la cosa giusta, e io annuii.
Li guardammo scomparire all’angolo del corridoio, sempre tenendosi per mano.
“Che seratina, eh?”, commentò Kenny. Heloïse annuì, con il volto teso e preoccupato, continuando a guardare nella direzione in cui Juliet era andata.
“Andrà tutto bene”, la rassicurai. “È con Remus.”

Mi addormentai con  la testa che frullava di pensieri e di domande a cui non riuscivo a rispondere, domande su Rookwood e Mulciber, su Juliet e Remus, su quello che stava succedendo…
Quella sera avevo pensato di riuscire a risolvere un mistero, invece non avevo fatto altro che aumentare i punti interrogativi, tutto sembrava così complicato, e assurdo, niente quadrava.
Cosa volevano Rookwood e la sua banda, a chi stavano mirando? Era solo un accanimento dei Serpeverde, o c’era qualcosa di più grosso dietro?… I Mangiamorte, per esempio… E io, e noi, cosa avremmo dovuto fare per fermarli? Magari si trattava solo di uno scherzo, uno scherzo stupido…
Avrei voluto discuterne con qualcuno, passare in rassegna ancora una volta tutte le ipotesi e le soluzioni possibili, ma forse con quella storia avevo già coinvolto un po’ troppe persone che non c’entravano, e pensando a Juliet non riuscivo a fare a meno di sentirmi tremendamente in colpa, e tutti quei dubbi non facevano che rendermi sempre più inquieta.

C’era una cosa di cui potevo considerarmi certa, però: quell’anno a Hogwarts stavano succedendo decisamente troppe cose.





Note dell’autrice
Ciao a tutti, state passando delle belle vacanze?
Alloooora, eccomi qui con il nuovo capitolo, non ci ho messo pochissimo ma non sono nemmeno troppo in ritardo, giusto?
Un commentino veloce su Sirius e Bea, perché cominciano a stufarmi veramente: diciamo che quando Beatrice vede Sirius uscire dal suo dormitorio con un’altra ragazza si incazza come una bestia, non perché sia particolarmente gelosa o sia il tipo di persona da fare una scenata assurda del tipo “non mi ami, non mi hai mai amata ecc ecc”, però ovviamente ci rimane male, perché pensava che per Sirius contassero un po’ di più i ricordi dei momenti passati insieme, che avrebbe avuto almeno la decenza di aspettare un po’ più tempo e che si preoccupasse un po’ di più di non ferire i suoi sentimenti, o qualcosa del genere (cosa sto dicendo? Boh) E la sua reazione è quella di cancellarlo completamente e ignorarlo del  tutto. Come sempre, se vi sembra che il suo comportamento stoni con il personaggio, dite pure!
D’altra parte Sirius non è un cattivo ragazzo (?) e probabilmente non voleva farla star male, quindi cerca in tutti i modi di farglielo capire e poi beh, vedendo che non serve a niente lascia perdere. Sì, è un po’ triste come cosa :’)
Poi, tutta la storia di Rookwood che risalta fuori. Su questo non ho molto da dire, penso sia tutto abbastanza chiaro, non si capisce bene cosa sia successo e i dubbi aumentano, quindi l’unica cosa da fare è aspettare di vedere come andranno le cose in seguito. E ci sono anche due nuovi personaggi, Benjy e Baston, penso che avranno entrambi un ruolo abbastanza importante, in futuro...
Anche su Juliet ho qualcosa da dire, scusatemi :) Diciamo che quando Juliet scopre che dietro a tutto questo c’è suo fratello Augustus, oltre a starci molto male, se la prende un po’ con Beatrice per non averglielo detto, ed è un po’ un brutto momento, se non fosse per Remus che sembra intuire come farla star meglio. In più è stato sempre Rookwood a colpirla al braccio, e penso che il fatto di sentirsi così odiata dal fratello l’abbia sempre fatta stare male, fin dall’infanzia, nonostante anche lei non gli voglia proprio bene.
Basta, ho finito! Come sempre un grazie enorme a chi legge o recensisce, e in particolare questa volta alle 48 persone dei Preferiti, alle 20 delle Seguite e alle 12 delle Ricordate, negli ultimi tempi siete aumentati, mi commovete nel profondo. Aaah, vi amo tutti, davvero.
Non so quando pubblicherò il prossimo, in teoria abbastanza presto visto che non avrò niente da fare nei prossimi 20 giorni, però potrei sempre avere il blocco della scrittrice (cosa che mi capita più o meno un capitolo sì e uno no …), quindi non vi assicuro proprio un bel niente!
Alla prossima,
Trixie

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Capitolo 35
*** Proposte di pace ***


A ClaireBu e Butterfly90,
le mie due lettrici per eccellenza
 

 

Trentacinquesimo capitolo: PROPOSTE DI PACE
 

 
“Ehi, Felpato, lo vedi anche tu? Quello non è forse un rarissimo esemplare di Scricciolo?!”
“Ciao, James, Peter…”, sospirai, sorridendogli un po’ divertita e un po’ imbarazzata.
Beh, perlomeno la loro camera non era cambiata molto. Non era cambiata per niente, in effetti. Calzini appesi alle finestre, cumuli di vestiti agli angoli, cartacce sui pavimenti, e per completare in bellezza, il baule di Remus  magicamente incollato al soffitto.
“Scricciolo, quanti mesi erano che non mettevi piede qui dentro?!”
“Eh… tanti…”, risposi fissandomi la punta delle scarpe, a disagio. Ottobre, novembre, dicembre, gennaio, febbraio, marzo… Ma era davvero passato così tanto tempo?
“Che fai, entri o stai lì sulla porta?!”, esclamò James allegramente. “Su, vieni qui da papino, fatti vedere, come sei cresciuta…” , aggiunse con voce fintamente commossa. Come se non mi vedesse tutti i giorni a colazione, pranzo e cena. “Mezzo centimetro, forse?”
“Ma taci.”, lo zittii con un’occhiataccia. “Non c’è Remus?”. Entrai nella stanza e mi avvicinai al letto di Remus, lanciando solo un’occhiata di striscio a Sirius, che seduto sul suo letto a pancia in giù, scriveva qualcosa su un pezzo di pergamena. “Mi serve un suo libro, mi serve assolutamente per il ripasso dei G.U.F.O…”
“Oh, per Godric, manca più di… ”
“Manca un mese e mezzo!”, strillai coprendomi gli occhi con entrambe le mani. “E quel libro mi serve subito, adesso, in questo istante!” Una cosa positiva (o negativa, dipendeva dai punti di vista) dell’aver smesso di passare così tanto tempo con i Malandrini era che avevo ricominciato a studiare molto più duramente di prima, soprattutto in vista degli esami del quinto anno. Ero persino diventata brava in Pozioni, tanto che quando un paio di settimane prima ero riuscita a preparare una Pozione dei Sogni quasi perfetta, Lumacorno, siceramente sbalordito dalle mie fino ad allora insospettate abilità, mi aveva invitato con trasporto a prendere parte alla cena che si sarebbe tenuta di lì a poco.
“… L’ho sempre detto che Remus ti avrebbe plagiata, prima o poi”, replicò James mestamente. “E i suoi libri li ha nascosti dopo che Peter gliene ha buttato uno nel water…”
“Ehi, io gliel’ho buttato nel water perché tu me l’avevi chiesto!” Sorrisi tra me e me. Era passato così tanto tempo, eppure i Malandrini erano sempre lì, con i loro scherzi idioti e i loro battibecchi, e sentirsi a disagio con loro era impossibile.
“Beh, questo è irrilevante, Codaliscia” , ribattè lui con un ghigno. “Il fatto è che non possiamo aiutarti, Scricciolo. E in più, sono già molto impegnato, in questo momento.”, aggiunse con un’espressione improvvisamente seria, sventolandomi un  fascio di pergamene davanti agli occhi.
“Che roba è?”, gli domandai storcendo il naso con sospetto.
“Sto studiando, non vedi? Tutti i santissimi giorni, mi impegno moltissimo, e…”
“Ma che cosa, James?”
“Sto facendo dei passi avanti enormi, ora capisco…
“Che diamine sta dicendo?!”, domandai a Peter scuotendo la testa con aria esasperata.
“Sta studiando Lily”, borbottò Peter a bassissima voce, come se anche solo il dover ammettere di avere un amico così effettivamente idiota e fuori di testa lo umiliasse nel profondo.
Mi sedetti di fianco a James e gli detti una pacca sulla spalla. “Ma veramente?”
“Certo, veramente!”, mi rispose lui guardandomi torvo. “Ti sembra una cosa stupida?”
Tossicchiai. “No, no. E… a cosa ti serve, di preciso?”
“Che cosa?!”, esclamò lui sdegnato. “A cosa mi serve?! Mi serve a TUTTO!  Ho imparato a memoria tutti i cibi che odia, tutti i suoi orari, ora conosco tutto di lei!”
“È una cosa malatissima, lo sai, vero?”
“Tu non capisci mai niente di niente, Scricciolo. Se prima ero certo di riuscire a conquistarla, ora sono certissimo!
Scoppiai a ridere, mentre Peter si schiaffava la mano sopra gli occhi e scuoteva ripetutamente la testa.
“Mi fa piacere, Jamie. Ora dovrei andare a studiare, ci vediamo…”
“No no, tu non ti muovi di qui, caro il mio Scricciolino. Ho bisogno di un consiglio!”
“Un consiglio?”,  ripetei stancamente. “Sentiamo.”
“Domani chiederò a Lily Evans, la donna della mia vita, di uscire con me.”
“Oh. Beh, questa sì che è una novità!”
“E lei, semplicemente, accetterà”, continuò lui ignorandomi.
“Ne sei proprio sicuro?”, replicai, le labbra strette nel tentativo di non scoppiargli a ridere in faccia. “No sai, perché…”
“Zitta. Non potrà rifiutare, per il semplice motivo che non le chiederò di venire ad Hogsmeade!”
A quel punto, rimasi davvero zitta. Che James si stesse effettivamente evolvendo, molto lentamente?
“E sai perché?”, continuò lui con un sorriso furbo e soddisfatto sulle labbra.
“Perché?”
“Perché, studiandola, ho scoperto che nella lista delle cose che più detesta al mondo, quando le chiedo di uscire ad Hogsmeade mi trovo al secondo posto, proprio tra i miei capelli e il razzismo contro i Nati Babbani.”
“E quando non le chiedi di uscire ad Hogsmeade ?”, gli domandai con grande interesse.
“Al quarto posto, tra il razzismo contro i Nati Babbani e i miei occhiali”, rispose lui con orgoglio. No, decisamente, James non si stava evolvendo neanche un po’.
“Notevole”, lo presi in giro con un sorrisetto ironico.
“Quindi, mi basterà chiederle di uscire da qualche altra parte, e lei mi dirà di sì!”
“Come ragionamento non sta in piedi, James”, commentai piuttosto schiettamente. Lui sembrò non aver sentito mezza parola, perché riprese, sempre con lo stesso tono risoluto e entusiasta: “Sono indeciso tra la Guferia e la serra numero 4, tu cosa ne pensi?”
“James, ma sei veramente così idiota?!”, gli domandai incredula.
“Oh, per me la Guferia…”, si inserì in quel momento la voce beffarda di Sirius. Era sempre sdraiato sul suo letto, a scrivere, e parlando non aveva nemmeno alzato gli occhi. “Sai, anch’ io sabato esco. Con Pamela Philips, settimo anno, Grifondoro. Se non mi avesse chiesto lei di andare ad Hogsmeade, di sicuro le avrei proposto la Guferia…”
Sì, vantati solo perché ci sono io, tanto sai cosa mi importa… Strinsi le labbra, con la solita smorfia di fastidio che ormai, quando mi trovavo in presenza di Sirius, veniva naturale.
“Tu dici?”, fece James, dubbioso. “Scricciolo, secondo te?”
“Io opterei per la serra.” “ Sai che romantico, con tutte quelle piante di Bubotubero. No seriamente, una volta ci sono stata con Will Grey, mi è piaciuto molto.”, aggiunsi in tono leggero. Sì, dovevo ammettere che il mio comportamento non era proprio maturo e superiore come avrei desiderato che fosse, ma perché non raccogliere certe provocazioni? E poi, era vero che c’ero stata con Will Grey. Un giorno che Madama Chips ci aveva chiesto di andare a prendere delle foglie di orchidea, ma questi erano dettagli inutili.
“Beh, non saprei”, fece Remus, entrando in quel momento e interrompendo le mie considerazioni.
Probabilmente conosceva già tutta la storia, così continuò, in tono serissimo: “Il fascino e la dolce fragranza di escrementi di gufo sono impossibili da battere.”
“Bene, se lo dice Remus, vada per la Guferia”, concluse James in tono sereno. “Del vecchio Lunastorta mi fido ciecamente. Glielo chiederò domani, a pranzo, vedete di esserci tutti, non potrete non assistere al mio trionfo!”
“Non mancherò”, gli promisi alzando i pollici con un sorriso da un orecchio all’altro.
Poi chiesi in prestito a Remus Compendio sull’Istruzione Magica in Europa , uscii dalla stanza e tornai a studiare.
 

***
 

 

Negli ultimi mesi non c’erano state grandi novità. Sommersa com’ero dai compiti avevo avuto ben poco tempo per  stare a pensare o a fare congetture di qualsiasi tipo. Per altre due volte avevo passato la sera a cercare indizi su Rookwood (e quella volta mi ero fatta  accompagnare solo da Kenny e Benjy) senza trovare niente di utile, e ormai mi ero rassegnata al fatto che, di lì a due mesi, Rookwood avrebbe finito Hogwarts e si sarebbe ritrovato fuori, con la possibilità, se ancora non l’aveva fatto, di unirsi a Voldemort.
C’erano state le lune piene, ed ero stata a lungo combattuta tra il desiderio di essere lì con Remus, a sostenerlo durante i momenti difficili, e il mio orgoglio, che non voleva condividere più niente con Sirius. Alla fine avevo deciso accompagnarlo tutte le volte alla Stamberga Strillante e restare con lui fino all’ultimo, fino a che non arrivavano James, Peter e Sirius, per poi andarlo a prendere non appena la maledizione era finita. Lo aspettavo già dentro il cunicolo che portava alla Stamberga, e  facevamo la strada per l’Infermeria insieme, lui troppo debole per parlare, io felice di potermi rendere utile in qualche modo.
E poi c’era Sirius, o meglio, non c’era, per niente. Ormai eravamo peggio che due estranei, e spesso a pensarci mi chiedevo perché, qual era il senso di quella guerra fatta di silenzio e di sguardi che sfuggivano, guerra che, peraltro, avevo iniziato io. Non che me ne fossi pentita, non che desiderassi tornare indietro. Ero sempre convinta che, dopo tutto quello che era successo, sarebbe stato impossibile anche solo riuscire ad andare d’accordo rimanendo semplici conoscenti e compagni di casa, eppure quella notte di luna piena sembrava così lontana, e pensare che fosse tutto partito da lì era assurdo.
In ogni caso, costretta come mi ritrovavo a stare al passo con il carico enorme di compiti e il programma di ripasso di tutte le materie per i G.U.F.O., era tanto se trovavo il tempo per scendere in Sala Grande a consumare un pasto veloce, quindi avevo poco di che preoccuparmi per Sirius. Per ridurre le distrazioni io e le mie amiche avevamo persino smesso di studiare in Sala Comune, preferivivamo rimanere in camera, alla scrivania davanti alla finestra, o in biblioteca.
 
Il giorno dopo, quando mi presentai a pranzo di corsa, la borsa che mi pesava sulla spalla e Juliet che mi correva dietro imprecando contro la McGranitt, mi ero completamente dimenticata di James e delle sue oscure tattiche di conquista. Così quando mi sedetti al nostro tavolo e, guardandomi velocemente intorno, lo vidi aggrappato alla spalla di Peter con un’espressione di panico negli occhi, poco ci mancò che non decidessi di fare dietro-front. Decisamente, non avevo voglia di stare ad assistere all’ennesima scenata melodrammatica di James.
“Coraggio, coraggio…”, lo incitò Peter con delle pacchette sulla spalla.
“Sto per chiedere a Lily Evans di uscire!”, strillò lui strattonandolo per il braccio.
“Ramoso, sono cinque anni che le chiedi di uscire, per favore, evita.”
“Lo so, ma questa… è la volta buona, quella in cui mi dirà di sì…”
Poverinoooo”, mi sussurrò Juliet in un’orecchio, con la voce intenerita.
“No, Juliet, è solo un idiota.”, le risposi seccamente. In quel momento arrivò in Sala Grande Lily, si avvicinò al nostro tavolo, ignara di tutto, e si sedette con la massima tranquillità di fianco a Remus. James trattenne rumorosamente il respiro, e per un attimo sembrò prendere in considerazione l’idea di buttarsi sotto il tavolo, poi guardò Peter, e annuì con aria coraggiosa. Prese un profondo respiro, si voltò verso Lily, e per un attimo rimase a fissarla. Vidi il suo sguardo che si spostava dalle onde morbide che i suoi capelli rossi formavano sul maglione scuro, alle lentiggini spruzzate su tutto il viso e agli occhi verdi come pietre preziose. Peter dovette dargli una gomitata nelle costole perché si riprendesse.
“Oh, giusto… ehi, Evans, come stai?”
Lily infilzò un tortellino con la forchetta e si mise a masticarlo, con estrema lentezza, fissando James con lo sguardo impassibile. “Non c’è male, Potter”, rispose alla fine, con aria noncurante. James, che fino a quel momento era rimasto con il fiato sospeso e le mani aggrappate al bordo del tavolo, si rilassò visibilmente e le sorrise.
“Fantastico, Evans. Pensavo… che ne dici di uscire con me?”
Lily roteò gli occhi con aria annoiata, ma prima che potesse rispondere James si affrettò a precisare “Non a Hogsmeade, non a Hogsmeade!” “In Guferia, magari…”, aggiunse sorridendole timidamente.
Lily lo guardò sgranando gli occhi. “Potter, ma ti sei completamente bevuto il cervello? Mi stai chiedendo di uscire… in Guferia?” Poi scoppiò in una fragorosa risata, e gli rivolse un minuscolo sorriso divertito.
“Accetti?”, esclamò lui, quasi urlando, e alzandosi in piedi di scatto.
“Non credo proprio, Potter”, rispose lei sempre ridendo. “Ma grazie del pensiero.”
James  si risedette, gonfiando il petto con aria orgogliosa, per niente scalfito dal fatto che avesse rifiutato la sua offerta.
Dopotutto quello era uno dei primi sorrisi (forse l’unico, a pensarci) che Lily gli avesse mai rivolto.
“Preferisci la serra numero 4?”, ritentò con un sorriso fiducioso.
“Nemmeno”, rispose lei ridendo ancora più forte.
“… Allora non ci resta che Hogsmeade, Evans, mi dispiace!”
 

 

***
 

 

“Sono così stanca…”, sospirò Heloïse affranta. Erano passate altre due settimane, la primavera era finalmente arrivata in un’esplosione di fiori, verde e api, e la stessa atmosfera irrequieta era dentro il castello dove come ogni anno, con l’avvicinarsi degli esami, una febbrile agitazione regnava sovrana.
Quel pomeriggio io, le mie amiche e Kenny eravamo seduti all’ombra di un gruppetto di alberi, a completare il tema di Trasfigurazione che la McGranitt, nonostante gli esami ormai imminenti, si era premurata lo stesso di assegnarci per il giorno seguente.
“Ditemi che non sto veramente facendo un tema, vi prego. Non è possibile”, gemette Kenny in tono depresso.
“Stai tranquillo, lo stai copiando da me.”, gli rispose Juliet con un sorrisetto.
“È la stessa cosa, io non dovrei neanche sapere cosa sia, un tema… di Trasfigurazione, poi.”
“Non ce la faccio più!”, ripetè Heloïse. “Spero che mi boccino in tutti gli esami…”
Juliet le sbattè un libro dall’aria pesante sulla testa. “Studia, idiota.”
“Non vedo l’ora che sia estate!”, cinguettò Georgia con aria felice, distesa a sonnecchiare con un libro aperto sulla pancia. Lei era sicuramente quella che si faceva meno problemi.
“Io no.”, mormorò Juliet con aria assorta. “È stato bello, quest’anno, e poi tre mesi senza Hogwarts, senza la nostra Sala Comune, senza di noi…”
“Tu sei pazza!”, esclamò Heloïse.
“Dai, alla fine anche i G.U.F.O. non sono così male, no?”
Che cosa?!? Io non vedo l’ora di andarmene.”
“Sentite, ”, esclamai raddrizzando la schiena e battendo le mani. Mi era appena venuta in mente una cosa, che mi ero dimenticata di dire nei giorni prima. “Ho scritto una lettera ai miei genitori, sapete che tutte le estati noi andiamo in Italia, no?”
Loro annuirono, spronandomi a continuare. “Perché non venite anche voi?!”
Restarono un attimo zitti, poi Heloïse cominciò a raffica: “In Italia, a casa tua, in vacanza, tutti insieme? MA È  FANTASTICO!”
“Sarebbe bellissimo”, esclamai sorridendo. “Anche tu, Kenny, ovviamente. E magari… anche Ted e Benjy, no?” Ultimamente avevo avuto modo di passare più tempo con loro due, ed erano davvero simpatici. Dopotutto finiva il nostro quinto anno, finivano i G.U.F.O., e con tutto quello che avevamo combinato insieme in quegli otto mesi, una vacanza era il minimo.
“I miei non mi lascerebbero venire”, fece Juliet con un sorriso malandrino. “Ma dirò che sono a casa di Heloïse, come sempre…”
“Io ci sono”, concordò Georgia con aria rilassata. “Anche se Baston farà una brutta fine, vi avverto.”
“E poi ci sarà anche Dexter, molto probabilmente”, aggiunsi con un gran sorriso. “Il mio amico super Babbano, sapete?”
“Evvai!”, urlò Heloïse. “Io amo i Babbani!”
“E Remus, naturalmente!”, mi ricordai all’improvviso. Il sorriso di Juliet si fece ancora più ampio.
Lei e Remusavevano legato moltissimo, negli ultimi mesi. Si era passati dalla timidezza impacciata dei primi tempi a una confidenza sempre maggiore, che era cresciuta pian piano, giorno per giorno, attraverso quei piccoli sorrisi e quelle poche parole, sempre sincere, sempre gentili.
La svolta decisiva era avvenuta dopo la serata in cui Juliet era rimasta ferita da suo fratello. Era dovuta restare in Infermeria per un po’, e il caso aveva voluto che proprio quei giorni corrispondessero al plenilunio, così si erano ritrovati insieme, e nessuno sapeva di preciso come fosse andata.
Soltanto, quando la prima mattina dopo la luna piena ero passata a salutarli, avevo trovato Juliet che rideva con la bocca piena di cioccolato, e Remus che le raccontava un episodio divertente del secondo anno, con i Malandrini come protagonisti.
Da lì avevano cominciato a passare molto più tempo insieme, e ormai ero pienamente convinta che qualcosa tra loro due sarebbe successo, prima o poi. Gli unici che non se ne rendevano conto erano proprio Remus e Juliet, che continuavano a vivere nella loro bolla di ingenuità, senza porsi tante domande. Prima o poi se ne sarebbero accorti, e allora chissà come avrebbero reagito. Remus avrebbe fatto di tutto per allontanarla, per soffocare il tutto, e Juliet, invece?
“Se inviti Lupin, inviti anche James, Minus e Black”, constatò Heloïse con aria tranquilla, riscuotendomi dai miei pensieri.
“Che cosa?”
“Bice, non puoi invitarne uno e lasciare fuori gli altri tre”, sorrise. “Sono i Malandrini, no?”
“James e Peter possono venire.”, replicai con la massima indifferenza. Dopotutto con loro due continuavamo ad essere amici.
“Black no?”, mi domandò Kenny con aria interessata.
“No, Black no.”
“Oh, andiamo, ancora per quella storia”, sbuffò lui. “Sono mesi e mesi che non gli rivolgi la parola.”
“Un po’ Kenny ha ragione…”, azzardò Heloïse quando vide l’occhiata torva che gli avevo lanciato. “Insomma, sei stata fantastica, ci hai sorpreso tutti, veramente, gliel’hai fatta pagare per bene…”
“Non lo faccio per fargliela pagare!”, protestai, “Lo faccio perché non mi va di sprecare il mio tempo anche solo parlando con uno come lui!”
“Lo so, e fai anche bene,  però…” Heloïse lasciò la frase in sospeso, guardandomi dubbiosa.
“Per me ti complichi soltanto la vita”, si inserì Georgia. “È difficile evitare una persona come stai facendo tu, soprattutto se è qualcuno che conosci così bene…”
Era difficile, sì. O comunque, lo era stato.
“…voglio dire, ogni volta che lo incontri, ogni volta che ti ritrovi nella stanza con lui te ne vai, te ne sei accorta? E guardati, hai dovuto rinunciare a James e Peter, e un po’ anche a Remus, per un sacco di tempo, solo per evitare Black…”
Ci pensai attentamente, e mi resi conto che quello che stava dicendo Georgia aveva senso. Non era uno spreco di energia, un sacrificio inutile privarmi del resto dei Malandrini, delle lune piene, di tutti quei momenti che prima avevano riempito le mie giornate solo perché quello era l’unico modo per riuscire a tenere lui fuori dalla mia vita?
Sollevai lo sguardo dal tappeto di erba ai miei piedi che ero rimasta a contemplare, e cercai di scacciare la confusione che mi era improvvisamente entrata in testa.
“Non inviterò Sirius a casa mia.”, conclusi in tono definitivo.
 
Nelle ore seguenti, pensai molto a quello che mi avevano detto Georgia ed Heloïse. E mi resi conto di quanto effettivamente fosse complicato, e continuasse ad essere complicato, tutto quello che stavo facendo. Non perché sentissi la mancanza di Sirius (o almeno, non più), ma per quello che ero costretta a rinunciare, per quanto ero diversa quando c’era lui, più silenziosa, più rigida. Stare in sua presenza mi richiedeva uno sforzo continuo, significava cancellarlo brutalmente dalla mia testa, impedire ai miei occhi di voltarsi nella sua direzione, stare attenta a quello che dicevo, a come parlavo… e non era una cosa assurda? Forse mi dava più serenità e più sicurezza, ma alla fine per cosa lo facevo? Perché ero ancora arrabbiata con lui, perché pensare a lui e a tutte le ragazze con cui usciva mi faceva male? No, dava solo fastidio. Lo facevo per abitudine, ormai, perché avevo deciso così e non avevo mai nemmeno pensato che avrei potuto cambiare idea, un giorno.
E ne era valsa la pena?
Insomma, sei stata fantastica, ci hai sorpreso tutti, veramente, gliel’hai fatta pagare per bene…
Sì, ero convinta di sì.
La domanda era se ne valeva ancora la pena, e fu a quel punto che mi venne l’idea. Forse era arrivato il momento di provare qualcosa di diverso.
 

 

***
 

 

Quella sera la cena era già cominciata. Ero scesa in Sala Grande un po’ in ritardo, e al tavolo della mia casa mi ero soffermata a osservare un attimo i miei compagni del quinto e del sesto anno, già  tutti seduti. Juliet tra Remus e Benjy, Heloïse vicino a Kenny e Georgia, Teddy di fianco a Sirius, il resto dei Malandrini subito accanto, e di fronte Lily con le sue amiche.
Presi posto nello spazio di panca libera vicino a Georgia,  mi versai della zuppa nel piatto e ne mangiai lentamente due cucchiai.
Poi mi girai verso l’altro lato della tavolata, dove Baston, Sirius e James stavano discutendo animatamente.
“Sirius, mi passi il sale?”
Sirius fece per prendere la saliera, sempre parlando con Baston, poi fermò la mano a mezz’aria e si girò con lentezza verso di me. Contemporaneamente, quasi tutta la tavolata si zittì. Una decina di paia di occhi mi fissava con grande sconcerto. Sirius mi guardò con espressione vacua per qualche secondo ancora, fino a che non esclamai, a voce più alta, scandendo le parole: “Black, passami il sale.”
Lui si riprese velocemente, e mi rivolse un ghigno pronunciato. “Ma certo, Summerland, ecco.” Poi si allungò verso di me con la saliera in mano, ne svitò il tappo e versò l’intero contenuto dentro la mia zuppa. Ora una montagna bianca di sale si ergeva dal fondo del piatto, come un’isola. Fissai Sirius per un attimo, respirando profondamente, poi senza una parola presi il piatto di zuppa, andai verso di lui, e glielo rovesciai con malagrazia sui pantaloni. “Ecco fatto, Black.”, mormorai con un sorriso soddisfatto. Sirius mi guardò in cagnesco e cominciò a pulirsi i pantaloni con la bacchetta senza una parola, io intanto me ne tornai al mio posto e mi riempii un altro piatto.
Ci fu un attimo ancora di silenzio, poi tutti ripresero a mangiare, piuttosto straniti.
 
“Beh? Questa me la devi spiegare.” Remus mi raggiunse mentre camminavo verso la Sala Comune, con un gran sorriso stampato in faccia.
“Che cosa?”
“Andiamo, non fare l’idiota.”, replicò lui, sempre sorridendo. In quel momento arrivò di corsa anche Juliet e mi passò un braccio attorno alla spalla, ridendo come una matta. “Sorella, io un giorno o l’altro ti sposerò, lo sai?”
“Allora?”, continuò Remus. “Si può sapere cosa ti è passato per la testa?!”
“Oh, insomma!”, sbuffai, un po’ infastidita. “Ho solo chiesto di passarmi il sale, non mi sembra così straordinario.” Remus fece un verso sprezzante. “E questo non cambia le cose, sappiatelo.”
Era vero, quello non cambiava le cose. Se avevo più o meno deciso di ricominciare a considerare Sirius, era solo perché mi ero resa conto che non aveva senso dovermi sforzare in quel modo ogni giorno, e che quello che volevo era semplicemente lasciarmi andare senza pensarci, per vedere cosa sarebbe successo. E l’avevo fatto.
“Quindi significa che lo inviterai in Italia?”, domandò Juliet speranzosa.
“Certo che no!”
“In Italia?”, domandò Remus confuso.
“Ah già, mi ero dimenticata di chiedertelo!”, esclamai, quindi gli esposi il mio progetto di vacanza.
“A giugno? Mi dispiace, ma sono da Lily, mi aveva invitato da un sacco di tempo…”
“Come?”, esclamai, delusa. “Da Lily? Ma no, non puoi mancare…”
“Infatti!”, rincarò Juliet, molto più delusa di me. “Dai, Remus, non puoi… perché non inviti anche Lily, Bea?”
Ci pensai. “Ma sì, lo chiederò  anche lei. Almeno faccio felice James.”
“Sarebbe fantastico”, esclamò Remus sollevato, rivolgendo un sorriso entusiasta a Juliet. “Vado a dirlo a Lily, poi mando subito una lettera ai miei genitori!”
 

 

***
 

 

Camminavo spedita verso l’aula di Trasfigurazione, quando all’improvviso un tonfo spaventoso mi avvertì del fatto che la mia borsa aveva appena ceduto, rovesciando sul pavimento tutti i libri.
“Ma che cavolo…”, borbottai piegandomi a raccoglierli in modo frettoloso.
“Ehilà, Summerland!” Sirius camminava verso di me, con un sorriso ilare e poco innocente stampato sulle labbra. Aveva appena riposto la bacchetta dentro la manica della divisa, l’avevo visto chiaramente.
Brutto idiota.
Lo fulminai con lo sguardo, mentre lui si piegava di fianco a me e mi aiutava a raccogliere i libri. “Ce la faccio da sola, grazie.”, sibilai strappandogli il libro di mano.
“Come sei carina, tesoro…”
Aveva poco da ridere, ce l’avevo ancora a morte con lui e il fatto che gli avessi chiesto di passarmi il sale non gli dava il permesso di tormentarmi o darmi fastidio in nessun modo, questo mi sarei premurata di farglielo capire il prima possibile. Forse avevo sbagliato a ricominciare a parlargli; dopotutto ero stata bene, senza di lui e i suoi ghigni insopportabili.
Mi chiusi in un silenzio ostinato, e dopo aver rimesso tutti i libri al loro posto  richiusi le cinghie della borsa con un gesto secco, senza guardarlo, e riparai la borsa con un colpo di bacchetta.
“Che c’è, ora fai di nuovo la sordomuta?”, mi domandò Sirius in tono provocatorio. Non risposi, ma lui non sembrò farci caso.“E della tua proposta di pace di ieri sera cosa mi dici?”
“Non era una proposta di pace, idiota, e ora devo andare…”, risposi seccata, alzandomi in fretta.
“Andiamo, Summerland, lo sai che ti conosco come le mie tasche.”
“Ma taci”, sbottai facendo per allontanarmi.
Eravamo davvero io e Sirius, quelli? Sembrava così strano, stare a battibeccare con lui in quel modo… Non che non desse soddisfazione, chiaro. Era molto più spontaneo e semplice che ignorarlo, mi veniva maledettamente bene.
“Ci si vede, Summerland!”, mi salutò Sirius, girandosi per andarsene.
Mi girai a guardarlo, mentre si allontanava, con la stessa aria rilassata con cui era venuto.
“Ci si vede, Black…”, mormorai con un sorrisetto, colta da un’ispirazione improvvisa. Tirai di nuovo fuori la bacchetta e puntandola contro la sua schiena sussurrai l’incantesimo. Feci solo in tempo a vedere la sua divisa che da nera si tramutava in un bell’azzurro scintillante, poi mi girai, pronta ad allontanarmi.
“Summerland. Che. Cosa.”, lo sentii borbottare tra i denti.
“Sì, Sirius?”, esclamai, rimirando i risultati del mio incantesimo. Mi era venuto veramente bene, dovevo ammetterlo. Un paio di ragazze a braccetto che passavano di lì squadrarono Sirius dalla testa ai piedi, poi scoppiarono a ridere.
“Summerland.”, mi chiamò Sirius, guardando le ragazze che si allontanavano. “Hai idea di chi fossero quelle due?”
 “No, non ce l’ho.”
“Sophia e Caroline Grant, e io devo uscire conentrambe sabato prossimo prossimo”, mi spiegò furioso.
“Oh, mi dispiace, non lo sapevo…”
“E allora vieni qui immediatamente e fai andare via questa roba, mi hai sentito? SUMMERLAND BEATRICE, MI HAI SENTITO?! NO, TORNA QUI SUBITO, BRUTTA… IO… IO TI ODIO!”
“Anch’io, Sirius, anch’io!”, gli urlai dietro svoltando l’angolo.
 
E odiavo anche Heloïse, avrei deciso la sera stessa. Dopo aver osservato con aria indagatoria le occhiate furiose che Sirius mi lanciava a intervalli frequenti, e i sorrisi gelidi con cui io rispondevo, mi prese per un braccio e mi trascinò in un angolo, con un sorriso che non prometteva nulla di buono. “Visto che tu e Black avete fatto pace…”, esordì in modo allusivo.
“Non abbiamo fatto pace, Heloïse!”
“… possiamo invitarlo in Italia, no?”
“No che non lo…”
“Okay, grazie!”, esclamò lei interrompendomi, poi si avvicinò in fretta a Sirius.
“Heloïse non provarci, non azzardarti…”
“Ciao Sirius, Beatrice voleva invitarti in vacanza con noi in Italia, quest’estate…”
“Heloïse, no… ”, gemetti disperata, afflosciandomi contro il muro, mentre lei continuava ad esporre nei minimi dettagli la vacanza. Sirius si voltò a guardarmi con aria inquisitoria.
“Allora, vieni?”, lo spronò Heloïse, sbrigativa.
“Le darei molto fastidio, vero?”, domandò lui con un ghigno poco rassicurante, avvicinandosi a Heloïse.
Molto”, rispose lei in modo altrettanto malefico.
Sirius mi lanciò un’occhiata, poi con una pacca d’intesa sulla spalla di Heloïse esclamò: “Okay, vengo.” “Grazie, amore mio!”, urlò poi nella mia direzione, sorridendo soddisfatto.
Al momento ero semplicemente troppo indignata per potermi arrabbiare, ma mi ripromisi che avrei riparato quel danno enorme il primo possibile, e che sarebbe arrivata una vendetta adeguata per entrambi, potevano starne certi.
 
Heloïse mi guardò sorridendo, mi inviò un bacio sulla punta delle dita e poi trotterellò via, i capelli blu che le svolazzavano sulle spalle.
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
Buongiorno a tutti, ditemi se non sono un super fulmine!
Partiamo subito con i commenti al capitolo, che non abbiamo tempo da perdere. Come avrete notato Beatrice ha deciso di ricominciare a più o meno rivolgere la parola a Sirius, forse penserete che sia successo troppo in fretta, però considerando che sono passati un sacco di mesi (dovremmo essere a metà aprile, credo) penso che vada bene. Scusate se ho fatto passare così tanto tempo, ma in teoria il quinto anno doveva essere raccontato solo sinteticamente, e mi sono resa conto che se vogliamo arrivare al dunque di questa storia devo un po’ accorciare i tempi, quindi spero che non vi dispiaccia.
La scena del sale è un po’ strana, forse, e non so se riuscite ad immaginarvela bene, però a me sembra perfettamente nello stile di Bea comportarsi così e decidere di cominciare a parlargli all’improvviso e in modo del tutto casuale, proprio come quando aveva deciso di ignorarlo.
Da qui cominciano a battibeccare, ma non come due innamoratini (cioè  sì, un po’ da innamoratini, ma considerando che sono stati insieme è normale, no?). Ormai non c’è quasi più niente dei sentimenti che li legavano prima, a Sirius non interessa più cercare di riconquistarla e per Beatrice è la stessa cosa, per questo penso che si senta pronta a ricominciare senza farsi tanti problemi, proprio perché non le interessa più e quindi non ha davvero senso ignorarlo in quel modo. Aaah, che casino, non riesco mai a spiegarmi bene, comunque chiedete se avete bisogno di delucidazioni :)
Per adesso è davvero un po’ tutto incasinato, spero che si sistemi un po’ nei prossimi capitoli. (Il prossimo capitolo sarà sulla vacanza in Italia, a proposito, mi sembrava una cosa carina riunirli tutti ma proprio tutti insieme in vacanza…)
Poooi, la parte iniziale del capitolo è finalmente su James e Lily, che mi mancavano davvero troppo troppo, e su di loro non ho niente, James è sempre il solito.
Ultima cosa, sto cercando dei prestavolto adatti ai due nuovi personaggi, Benjy e Baston; per ora non ho ancora trovato niente, ma spero di poterveli mostrare presto, se qualcuno dovesse avere un’idea si faccia avanti :) Poi mancherebbe ancora un po’ di gente, tipo Kenny (introvabile), Peter e il vecchio Dexter, per chi se lo ricordasse ancora, con calma penserò a tutti.
A presto e grazie a tutti!
Trixie 

 

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Capitolo 36
*** Vacanze in Italia ***


 

 


 


A _Coquelicot, Gio98, Jullsfrap,
Pig, Huggies, Giulio (e anche Edoardo).


 

Trentaseiesimo capitolo: VACANZE IN ITALIA


 E così la scuola era finita, i G.U.F.O. erano passati (neanche tanto male), la vacanza in Italia organizzata e i permessi di tutti accordati.
A metà giugno eravamo partiti, di nuovo tutti insieme, dall’aeroporto di Londra (James era quasi svenuto dall’emozione quando aveva scoperto che avremmo viaggiato su un aereo babbano), e non avevo impiegato più di dieci minuti a capire che sarebbero state due settimane a dir poco faticose.
Innanzitutto, c’era Sirius. E questo era già un motivo più che valido per presupporre che avrei rischiato un esaurimento nervoso prima ancora che l’aereo atterrasse in Italia. Avevo cercato di ritirare l’invito di Heloïse, ma i miei tentativi erano miseramente falliti, dal primo all’ultimo, così non mi era restato che rassegnarmi e iniziare a tenere da parte un’enorme dose di pazienza, che in ogni caso non sarebbe mai bastata.
E poi, tenere a bada dodici giovani maghi che non sapevano niente di Babbani non sarebbe stato facile, avevo il chiaro presentimento che nel giro di pochi giorni James e Sirius si sarebbero fatti arrestare per Uso Improprio dei Manufatti Babbani, o qualche reato simile. Inoltre, cosa che rendeva ancora più certo il mio triste presagio, era che Sirius e James, come anche Lily, erano ormai maggiorenni, e quindi avrebbero potuto, a nostra differenza, utilizzare la magia anche in vacanza. E questo avrebbe portato molti, moltissimi guai.
L’unica, mera consolazione (oltre al fatto che io, bacchetta o non bacchetta, mi sarei comunque efficientemente difesa con i mezzi babbani) era l’avere al fianco quelle anime sante di Dexter, Lily e Remus (Lily, soprattutto) che di sicuro avrebbero cercato, per quanto l’impresa fosse disperata e evidentemente impossibile, di inculcare con le buone o più probabilmente con le cattive un minimo di nozioni base su come comportarsi in presenza di Babbani nelle menti ottuse di quei due Malandrini.
Le mie lugubri previsioni erano subito state confermate quando, dopo il decollo, i due soggetti sopraccitati avevano fermato una graziosa hostess (sfoggiando il loro immancabile repertorio di ghigni seducenti e occhiolini), per chiederle dove si trovasse il carrello dei dolci, e se ci sarebbero state abbastanza Cioccorane e Camarelle Tuttigusti+1 per tutti i passeggeri. Remus aveva spiaccicato il viso contro il finestrino, con espressione disperata, per poi lasciarsi lentamente sprofondare sotto il suo sedile.
Oh, ma quello era solo l’inizio.

 

                                                                         ***


Eravamo appena arrivati, l’aria estiva era calda, molto più che in Inghilterra, tutt’attorno a noi risuonavano i rumori della campagna, il mormorio degli alberi e del vento tra i campi, il ronzio delle api, e tutto profumava di grano e di erba.
Lontana dal paese e nascosta dietro i campi di girasole, la nostra casa era circondata da un ampio giardino che, tra un vaso di fiori e l’altro, risaliva con una leggera pendenza fino alla siepe che delimitava il confine con un’altra piccola casa, quella che avevo deciso di riservare a Kenny, Benjamin, Teddy e Dexter. Di fronte a quella principale c’era invece una piccola depandance, che avremmo occupato io e le ragazze, il cortile con il canestro (“Ehi, quello sarebbe un anello per il Quidditch? Ma mi prendi in giro?!”, era stata l’esclamazione indignata di James), e più indietro la piscina, attorniata dagli alberi.
I Malandrini, come avevo sadicamente deciso, avrebbero dormito nella casa più grande, insieme ai miei genitori e a mia sorella.

Subito dopo aver sistemato le valigie radunai l’intera combriccola in piscina, per dare inizio al Discorso di Benvenuto, meticolosamente preparato con l’aiuto di Remus durante il viaggio.
“Allora”, esordii guardandomi attorno severamente, e soffermandomi con un’occhiata torva su Sirius, “stabiliamo le regole, okay? Punto primo, ci si tiene alla larga dai Babbani del paese!”
No, come?!!”, esclamarono parecchie voci indignate. “Perché?”
“Perché non sapete comportarvi da Babbani, ecco perché! E poi avete Dexter, lui è Babbano al cento per cento, divertitevi con lui.”
Dexter sorrise con la sua solita espressione bonaria.
“Punto secondo”, continuai alzando la voce nel tentativo di richiamare l’attenzione, “niente battute stupide o imbarazzanti di fronte ai miei genitori, niente scherzi o cose da Malandrini in loro presenza, sono stata chiara?”
“Cristallina.”, rispose Sirius con un ghigno di sfida che diceva chiaramente: farò tutto il contrario. Di sicuro si sarebbe vendicato per averlo sistemato in casa con i miei genitori, ma per l’espressione di puro orrore che gli era comparsa in viso quando gliel’avevo annunciato, ne valeva decisamente la pena.
Peccato che nessuno mi stesse più ascoltando: le ragazze, con una miriade di schizzi e urletti divertiti, si erano appena buttate in acqua vestite dalla testa ai piedi, Sirius, James e Kenny si erano tolti la maglietta e ora vagavano per il giardino con aria interessata (Sirius si era persino messo ad annusare le piante in modo molto canino), mentre Dexter e Peter erano misteriosamente scomparsi in cucina.
“Evans, ti va di uscire con me?”
Sospirai, rassegnata all’idea che uno dei due, o James o Lily, difficilmente sarebbe sopravvissuto a quelle due settimane. E conoscendoli, avevo qualche ipotesi su chi dei due sarebbe stato a soccombere.
“Potter, non ti conviene scherzare. Sei completamente isolato dal mondo magico, e io sono molto più esperta di te, nelle armi babbane.”
“Credo di aver capito, Evans”, dichiarò lui con un sorriso candido.

I primi giorni furono tutto sommato più tranquilli di quanto mi aspettassi.
Il caldo era troppo piacevole, l’atmosfera troppo serena e rilassante perché qualcuno desiderasse movimentarla, così ce ne stavamo sui lettini della piscina a oziare, nella pace più assoluta, Georgia a prendere il sole con il suo costume bianco, sdraiata sul coccodrillo galleggiante, io e Juliet distese sull’erba con i capelli a mollo nell’acqua.

Ovviamente, sapevo che non sarebbe potuto durare a lungo.

SIIIIIIIIIRIIIIIIIIIIIUUUUUUUUUUUUUUUS!”
Per prima cosa, lo sguardo mi cadde sull’orologio appoggiato sul comodino: le cinque e otto minuti. “Ma che diamine…”, bofonchiai alzandomi dal letto, con la netta sensazione che se non mi fossi sbrigata ad andare a controllare cosa stesse succedendo, di lì a poco qualcuno sarebbe stato vittima di un sanguinoso omicidio babbano. Heloïse gemette sconsolata, Georgia si guardò attorno con gli occhi sgranati, Lily con l’espressione più seccata che avesse mai visto fece per alzarsi, poi mi vide già in piedi e mi domandò in tono stanco: “Vai tu?”. Io annuii e mi affrettai a uscire nel cortile per poi entrare nell’altra casa, passando dalla porta della cucina sul retro. Mia madre si stava dirigendo verso la camera dei Malandrini con un’espressione di profonda disapprovazione.
“Ehm, mamma, non so se sia il caso…”, balbettai immaginando già la scena di profondo caos che avrebbe trovato all’interno. “Sistemo tutto io, okay? Tu torna a dormire.”
Sirius… porco Salazar, liberami immediatamente…” Mi fermai dietro la porta con un sorrisetto. Qualunque cosa fosse successa lì dentro, sentire Remus imprecare in quel modo era sempre un piacere. Poi mi feci il segno della croce e aprii la porta con un colpo deciso.
“Allora?”, esclamai incrociando le braccia al petto. Riconobbi all’istante il classico ma al tempo stesso originale stile tipico degli scherzi di Sirius: Remus levitava per la stanza ondeggiando e contorcendosi, con un lenzuolo fantasiosamente annodato intorno al corpo in modo che riuscisse a bloccargli in un colpo solo le gambe e le braccia. Sirius, sul pavimento sotto di lui, la bacchetta alla mano, seguiva i suoi inutili sforzi con sempre crescente ilarità, senza mostrare la minima intenzione di fare alcunchè per salvarlo. James era ancora a letto, un sorrisetto assonnato che gli piegava le labbra, e Peter, neanche a dirlo, dormiva.
“Liberalo, subito!”, ordinai a Sirius.
“Come vuoi.”, rispose lui con noncuranza, e con un unico gesto della bacchetta lo fece scendere lentamente, per poi slegare il lenzuolo. Remus era paonazzo. “Tu… tu, razza di bastardo idiota…” Poi fece per buttarsi sul suo letto ma, purtroppo per lui, un paio di Caccabombe astutamente nascoste sotto il cuscino gli esplosero dritte in faccia. Sirius cadde per terra, in preda alle risate.
“Ma perché, Sirius?”, esclamai scuotendo la testa rassegnata.
“Guardalo, non è divertente?”, sghignazzò lui indicando Remus che stava rabbiosamente cercando di pulirsi dai resti di Caccabomba.
“Questa me la paghi, bastardo di un cane.”

Da quel giorno, si scatenò l’inferno.
Innanzitutto Remus si era vendicato (e c’era da dire che quando Remus si metteva era impossibile scamparla).  Sirius aveva cercato di trasfigurarsi in un cespuglio secco, dato che James non gli aveva voluto prestare il Mantello, ma non era comunque resistito molto: in meno di mezzo secondo Remus, pur senza poter usare la magia, l’aveva trovato, immobilizzato con il solito lenzuolo (“Com’è che adesso non ridi più, brutto pulcioso di un bastardo?”), e il mattino dopo Sirius era stato trovato appeso a un albero del giardino. Infine, giusto per assicurarsi di porre fine una volta per tutte alla misera vita del suo migliore amico, aveva tentato di annegarlo in piscina.
Sì, c’era da dire che a volte Remus con le sue vendette esagerava leggermente. Non che mi dispiacesse, ovvio.
In ogni caso Sirius aveva impiegato due giorni a riprendersi fisicamente e psicologicamente, e da lì aveva deciso di tenersi costantemente a una certa distanza da Remus, e di riservare i suoi scherzi a qualcun altro.
A me, per esempio.

Domenica sera eravamo tutti riuniti a cena al grande tavolo sotto il gazebo. Avevamo passato tutta la giornata in piscina, Georgia aveva gli zigomi rossi, Dexter tutta la schiena bruciata, Benjy era così abbronzato da avere la pelle scura quasi quanto quella di Kenny.
Andava tutto bene, fino a quando mio padre e Sirius non iniziarono a parlare dello sport nel mondo della magia. Già il fatto che mio padre sembrasse mostrare così tanta simpatia per Sirius era una cosa preoccupante, e quando Sirius, vedendo che li stavo osservando con un certo sospetto, mi aveva sorriso in modo sornione, avevo capito immediatamente che non sarebbe andata a finire bene.
“E tu, Sirius, fai uno di questi sport?!”, gli domandò mio padre in tono esaltato. “Giochi a Quidditch come James?”
“Nah”, rispose Sirius in tono superiore.
“No, papà, lui ha paura delle altezze.”, mi inserii con un ghigno. “Non potrebbe giocare a Quidditch.” Sirius mi guardò malissimo e fece per ribattere, ma mio padre lo precedette.
“Sirius, ma mia figlia è sempre così simpatica anche a scuola?”
 “Preferisco non esprimermi, signor Summerland.”
“Andiamo, ragazzo, me lo puoi dire!”
Sirius alzò un attimo lo sguardo nella mia direzione, con un sorrisetto vendicativo sulle labbra. “No, signore. Ad Hogwarts è simpatica, con gli altri. Sono io il problema…”
“Questo… questo non è vero!”, boccheggiai indignata. “Sarei simpatica anche con lui, se…”
“Infatti, con me era simpatica, una volta.”, mi interruppe Sirius, rivolgendosi nuovamente a mio padre. “Quando stavamo insieme”. Arrossii, abbassando lo sguardo.
“Capisco”, commentò mio padre con un sorriso malizioso. “Si fa desiderare…”
Aprii e richiusi la bocca più volte, furibonda,  ma prima che facessi in tempo a ribattere fui di nuovo interrotta.
“Oh sì, adora farsi desiderare”, rincarò infatti Sirius in tono spietato. “Ma non ci riesce, vero?”
A quel punto, ero così furiosa che non avrei neanche saputo cosa rispondere. Sbattei la forchetta sul tavolo e mi alzai senza una parola, rossa di rabbia e umiliazione.

Mi chiusi in camera e per molto tempo, per mia grande felicità, nessuno mi venne a disturbare. Odiavo Sirius, non c’era niente da fare, e se avessi potuto l’avrei sbattuto fuori di casa seduta stante.
Un picchiettio alla porta-finestra pose fine alle mie imprecazioni mentali. Sollevai la faccia dal cuscino e feci cenno a Benjy di entrare.
“Come va?”, mi domandò con un sorriso. “Non vuoi venire?”
“No.”, risposi imbronciata. Benjy si sedette al bordo del mio letto e attese pazientemente, fino a che con uno sbuffo non mi decisi a seguirlo fuori dalla stanza.
Gli altri erano seduti nel cortile, ormai buio.
“Scusa, okay?”, sbottò Sirius irritato. “Mi dispiace per aver detto quello cose.”
“Certo”, borbottai con  sarcasmo. “Scuse accettate”.
Ormai ero così abituata ai nostri litigi quasi quotidiani da riuscire a passarci sopra ogni volta, e  non volevo rovinare a me e agli altri quell’ultima settimana di vacanza insieme solo per colpa sua. In ogni caso, le occasioni di vendicarsi non sarebbero certo mancate.

***


“Potter, cosa staresti cercando di fare?”
“Niente, Evans, niente…”
“Potter, ora tu mi spieghi che cosa diamine stavi facendo.”
James si passò una mano tra i capelli, imbarazzato, chiaramente alla ricerca di una scusa plausibile per giustificare il fatto di trovarsi accucciato dietro alla sdraio di Lily. Alla fine sembrò optare per la verità.
“Scusami Evans, io… stavo cercando di capire se quella lì è una lentiggine o un neo.”, e indicò una minuscola macchiolina sulla spalla di Lily.
Lei lo guardò a bocca aperta. “Potter, sono senza parole! Spero per la tua salute mentale che tu stia scherzando.”
“Veramente, Ramoso.”, commentò Remus schifato.
“Gli altri li ho identificati, sono tutte lentiggini a parte questi due qui…”, esclamò James convinto, sfiorando quelli che sembravano due piccoli nei sulle braccia di Lily.
“Sbagliato, Potter.”, replicò lei in tono saccente. “Questo è un neo, l’altro una lentiggine.” “E in ogni caso, non azzardarti mai più a fare una cosa del genere!”, aggiunse minacciosa.
Dopo quel breve dibattito sulla lentigginosità di Lily, Dexter riemerse dalla cucina con un enorme vassoio tra le braccia, accompagnato da Teddy.
“Sono pronti i pancakes!”, esclamò dirigendosi verso i nostri lettini. Mi affrettai a uscire dall’acqua e, dopo essermi strizzata i capelli sulle spalle di Remus, afferrai un pancake caldo e soffice dal mucchio.
Alzando gli occhi mi accorsi di un piccolo stormo di rondini che sfrecciavano come impazzite sopra le nostre teste, e per un attimo mi mancò il respiro. Avrei voluto così tanto raggiungerle… Remus si accorse del mio sguardo puntato con rimpianto verso il cielo, e mi sorrise.
“Certo che tu sei proprio un mito, Dexter”, si complimentò James gustando la sua frittella a occhi chiusi. “Ma i Babbani sono tutti così?”
“No, Dex è il migliore”, sentenziai con un sorriso, pizzicandogli affettuosamente le guance paffute. Sì, sarebbe stato impossibile non andare fieri di un amico come Dexter.  Babbano, per di più!
“Ed è anche bravo ad andare in moto!”
A quelle parole, lo sguardo di Sirius si illuminò.
Georgia, dopo aver insultato Baston perché i pancakes fatti da lui avevano tutti una forma irregolare, tornò a fare il bagno. Kenny si alzò e, saltellando sull’erba per non farsi sentire, con il suo sorriso da psicopatico sulle labbra, andò a rovesciarla dal coccodrillo.
Georgia riemerse dall’acqua sputacchiando. “KENNY, UFFA!” Un secondo dopo si era avvicinata al bordo della piscina e lo aveva afferrato per un piede trascinandolo malamente in acqua. Un’enorme quantità di schizzi arrivò ai  nostri lettini.
“Georgia, che cavolo, tu lo fai sempre!”, protestò Kenny spingendola con la testa sott’acqua.
“Sì!”, boccheggiò lei riemergendo, “Ma io stavo prendendo il sole!”
“E allora, chissenefrega!”, urlò Kenny mentre lei gli sputava dell’acqua in un orecchio. “GEORGIA, LE ORECCHIE NO, PORCO SALAZAR!”
“Andranno avanti per molto?”, mi domandò Benjy, nel lettino di fianco al mio, seguendo la scena interessato.
“Oh, sì”, replicai annuendo ripetutamente. “Lo fanno tutti gli anni. Il peggio è stato due estati fa, a casa di Heloïse…”
Un urlo acuto di Georgia, un rantolo di Kenny e poi una risata ci avvertirono del fatto che Georgia gli era appena saltata addosso, rischiando di annegarlo.
“Ora le dirà che è una testa di cazzo”, mormorai a Benjy con un sorriso. “E poi la farà a pezzi.”
“CAZZO, GEORGIA!”, urlò Kenny con quanto fiato aveva in gola, allontanandosi da lei. “Sei una testa di cazzo! Adesso ti massacro!”
“Hai cominciato tu!”, replicò Georgia, tentando di issarsi sul coccodrillo.
“Ma che cosa, Georgia!”, ribattè Kenny afferrando il coccodrillo e sbattendoglielo in testa con tutte le sue forze. “Tu lo fai sempre con tutti!”
“Ahia, mi hai fatto male, idiota!”, strillò lei ricambiando il gesto. “L’ho fatto una volta a Baston perché è uno stupido, e perché lo odio!”
“Oh no”, gemetti. “Ora attaccano con Baston.”
“Si può sapere che cosa c’entro, io?”, esclamò Teddy indignato. Nessuno dei due lo ascoltò.
“Non dovremmo fermarli?”, mi domandò Benjy dubbioso.
Io lo guardai con aria scettica.“Ma li vedi?”
 “Che strano!”, urlò Kenny schivando con abilità il coccodrillo e dirigendosi pericolosamente verso il bordo opposto della piscina. Sapevo perfettamente che cosa c’era lì dietro. “Di solito le persone ti stanno così simpatiche, non è vero?”
“Sì, mi stanno simpatiche, a parte Baston!”
Sospirai, sconfortata. “Preparati, Benjy. Ora arriva il peggio”. James e Sirius sembravano pensarla allo stesso modo, si erano appena dati una stretta di mano con un ghigno soddisfatto, segno che le scommesse sull’esito del litigio erano iniziate, e ora erano tornati a guardare i due in piscina. Kenny afferrò la pompa dell’acqua e si allungò verso il rubinetto di accensione.
“AH-HA, Georgia!”, esclamò trionfante accendendo la pompa e puntandola verso il basso. “Dì che Teddy è simpatico e ti risparmierò!”
Mai!”, urlò Georgia coraggiosamente.
“E allora, MUORI!”
Il getto d’acqua gelida della pompa disegnò un arco perfetto nel cielo, per poi ricadere con uno scroscio dritto sulla testa di Georgia, che con un paio di bracciate cercò di allontanarsi. Kenny, con un sorriso malvagio, alzò ancora di più la pompa e continuò a colpirla senza tregua, nonostante la povera Georgia non riuscisse nemmeno più a respirare.
“Smettila, deficiente!”, urlò tentando di strappargli la pompa di mano. Nella lotta furibonda che seguì, un getto d’acqua si diresse verso i lettini e colpì Juliet in pieno.
A partire dal quel momento, nessuno venne risparmiato. 

 

***


Un giorno, uno degli ultimi della vacanza, James e Sirius sparirono.
Era ormai tardo pomeriggio e, occupati in un’avvincente partita di carte babbane, c’eravamo accorti della mancanza di due membri del gruppo solo quando Peter aveva alzato timidamente la mano, mormorando: “Scusate, ma James e Sirius dove sono finiti?”
“Pet, se è una scusa per smettere la partita, continua a giocare e accetta la sconfitta in silenzio.”, gli rispose Remus senza degnarlo di un’occhiata. Lui e Juliet al momento stavano vincendo.
“Remus, in effetti Potter e Black non ci sono…”, si inserì Lily guardandosi attorno.
“Meglio.”, replicò lui pescando una carta dal mazzo. “Saranno andati a fare un giro.”
“Appunto.”, commentai con un’occhiata eloquente. “È questa la cosa preoccupante.”
Remus alzò la testa dalle sue carte, profondamente seccato. “Torneranno per cena, fidatevi del mio istinto…”
“…lupesco”, concluse Peter con una certa enfasi. Remus gli lanciò un’occhiata ammonitrice.
“Non dovremmo andare a cercarli?”, domandò Georgia, subito preoccupata.
“Ma figurati”, sbuffò Juliet infastidita. “Dai, è una così bella partita…”
“Sì, solo perché per una volta stai vincendo tu!”, la rimbeccò Heloïse.
Nel frattempo, Lily era tornata da un breve sopralluogo attorno alla casa. “Non sono da nessuna parte.”, sbuffò incrociando le braccia al petto.
“Sentite, facciamo così”, esordì Heloïse in tono sbrigativo e con una luce abbastanza pericolosa negli occhi. “Noi li andiamo a cercare. Voi due” , e puntò l’indice contro Juliet e Remus, “potete finire insieme la vostra stupida partita di carte, visto che ci tenete così tanto alla vittoria.”
“Perfetto”, concordò con naturalezza Juliet, che come al solito non si era accorta dell’occhiata maliziosa che Heloïse e Georgia si erano scambiate “Dai, Remus, pesca.”
Remus, un po’ meno ingenuo, guardò prima Juliet poi Heloïse, con un’espressione di supplica negli occhi. Heloïse scosse silenziosamente il capo, inarcando un sopracciglio in modo minaccioso.
“Oh, va bene… allora io resto.”, balbettò lui, deglutendo.
“Fantastico.”, commentò Heloïse prendendo me e Georgia a braccetto, palesemente fiera della sua brillante idea. “Noi andiamo a cercarli!”

La strada che portava al paese era larga e sterrata, si poteva seguire con lo sguardo l’ampia curva bianca che attraversava i campi fino a perdersi, in alto, nel piccolo e pittoresco agglomerato di case.
Considerando che James e Sirius non conoscevano per niente bene il posto, non potevano essere andati lontano. In effetti, non ero per niente preoccupata per loro, ma per quello che avrebbero sicuramente combinato se non ci fossimo sbrigati a riacciuffarli e riportarli al sicuro da sguardi babbani indiscreti all’interno della nostra dimora.
Lasciai scorrere lo sguardo lungo la distesa dei girasoli e poi, dall’altra parte della strada, del grano, senza riconoscere nessuno.
 “Dite che dovremmo dividerci?”, urlò Kenny, che aveva abbandonato la strada per tagliare attraverso i campi. Ben presto fu imitato da tutti. Il grano mi arrivava alla vita, e correre a perdifiato facendosi strada a fatica tra gli steli era bello e liberatorio. “No, non importa”, urlai senza voltarmi. “Tanto saranno di sicuro in paese!”
E in effetti, bastò dare un’occhiata nel primo bar del paese per trovarli.
“Vado io, voi aspettatemi qui”, sbuffai avviandomi verso il bar. “Attireremmo troppo l’attenzione”.
James e Sirius erano veramente i due ragazzi più idioti che conoscessi, mi ritrovai a pensare mentre attraversavo la strada, osservandoli attraverso la porta. Insomma, potevo capire che per un mago Purosangue abituarsi alla vita babbana potesse essere molto complicato, ma così era davvero troppo. Chiunque avrebbe capito che mettersi a fare trucchi di magia con i Favolosi Fuochi d’artificio freddi del dottor Filibuster con innesco ad acqua di fronte a una ragazza babbana e nel bel mezzo di un bar altrettanto babbano non era una buona idea.
Chiunque tranne quei due, a quanto pareva.
Sirius, infatti, completamente indifferente alle occhiate torve del barista, stava spiegando qual era il segreto per riuscire a domare i fuochi d’artificio quando si imbizzarrivano, esprimendosi in un inglese elementare per farsi capire dall’italiana, mentre James, con la stessa disinvoltura, era intento a riordinare sul tavolino i suoi prodotti di Zonko preferiti, quelli che teneva sempre, ma proprio sempre in tasca, a portata di mano. In tutto questo, la ragazza babbana, li guardava con gli occhi grandi come tazzine da tè, senza aprire bocca.
“James, Sirius...”. Arrivai a passo di marcia al loro tavolo, afferrai dalle mani di Sirius un pacchetto di fuochi d’artificio, e rivolsi alla ragazza un’occhiata di scuse. “…adesso andiamo.”
“Scricciolo!”, esclamò James. “Mi spieghi com’è possibile che nemmeno nei bar vendano Whisky Incendiario?! Insomma, anche questo… Garzellino Amabile non è male, i Babbani ci sanno fare, però noi volevamo del Whisky! Ai Tre Manici di Scopa…”
Gli rifilai uno scappellotto poco gentile sulla nuca. “James, basta.” “Scusali, non sanno quello che dicono.”, borbottai poi alla ragazza, in italiano. Afferrai James per un braccio con una mano e Sirius con l’altra, e li trascinai di peso fuori.
“Aspetta, dai!”, protestò Sirius. “Dovevo ancora insegnare a Giulia a giocare a Sparaschiocco!”

“Guardala qua, la nostra bimba.”
Stavamo ripercorrendo la strada verso casa, il sole era ormai al tramonto e le colline brillavano di una luce dorata. James e Sirius mi tenevano a braccetto, uno da una parte e uno dall’altra, e rispetto a me erano così alti che in effetti mi sentivo proprio una bambina.
“Ormai cresce a vista d’occhio, non è vero?”
“Tra poco arriveranno i fidanzati…”
“…e poi i figli…”
“…fino a che non si dimenticherà di mamma e papà, vero?”
“Ma piantantela.”, sbuffai ridendo.
James e Sirius mi guardarono con la stessa espressione di finto affetto materno sul volto. “Ormai pensa di poterci comandare a bacchetta, non è vero?”
“Ma certo, gliel’ha insegnato il papà”, dichiarò Sirius con naturalezza, indicandosi.
“Ehi, non ero io il padre?”, protestò James indignato. “Tu avevi detto che avresti fatto la mamma…”
“Schiocchezze”, lo interruppe Sirius. “Io sono sempre stato il suo paparino, non è vero, tesoruccio?”
Con un po’ di amarezza mi staccai da loro  e mi spostai sul ciglio della strada,  dove Heloïse camminava pensierosa, un papavero tra le dita.
Lanciai un’occhiata a James e Sirius, senza che loro mi vedessero. Non aveva più molto senso scherzare così con loro, anche se per un momento ci avevo creduto davvero.

Remus e Juliet erano ancora sdraiati sull’erba a giocare a carte.
“Ecco, Remus Lupin, ecco! La punizione divina, così impari…”
Remus ci vide arrivare e ci sorrise. Sembrava abbastanza stremato, ma anche divertito. “Allora, chi vince?”, domandai con un largo sorriso.
“IO!”, esclamò Juliet in tono esageratamente felice. Remus alzò gli occhi al cielo, e borbottò: “Fatela smettere, vi prego…”
“Dai, Remus, l’ultima partita!”
“Ma non se ne parla neanche!”
“Dai, ti prego ti prego ti prego…”, lo implorò Juliet congiungendo le mani, per poi scoppiare a ridere di fronte alla faccia bastonata di Remus.
“Juliet, avremo fatto venti partite… oh, e va bene, l’ultimissima.”
“Grazie, Remus!”, trillò lei, sul punto di abbracciarlo. Ma era pur sempre Juliet, e Juliet non abbracciava le persone tanto volentieri.
“Sbaglio o Juliet è un po’ competitiva?”, mi sussurrò Remus a un orecchio quando mi sedetti di fianco a lui. “Ho vinto un’unica, misera partita, e stava per mangiarmi la faccia.”
“Perché, ti dà fastidio?”, gli domandai divertita.
Remus sembrò pensarci un attimo. “No, non mi dà fastidio”, affermò alla fine con un sorriso vagamente perplesso.

***


Quella sera a qualcuno venne l’idea di dormire all’aperto, visto che era una delle poche cose che, in quelle due settimane, non avevamo ancora fatto. Era circa mezzanotte quando trasportammo in piscina un mucchio di coperte di lana molto pesanti, e sistemammo i tredici lettini in fila uno di fianco all’altro.
“Bella seratina, per dormire fuori.”, commentò Teddy alludendo al vento furioso che tormentava le cime degli alberi, l’unico rumore che interrompeva la notte.
Ognuno scelse il suo lettino e si accaparrò la coperta più grande e pesante che riuscì a trovare.
“Ora cosa si fa?”, domandò Georgia quando ci fummo tutti sistemati. “È ancora presto, per dormire…”
Stretti nelle nostre coperte, ci guardavamo a vicenda, in silenzio e sorridenti. Era infinitamente bello essere lì fuori, nel buio e nel vento, noi soli, tutti insieme.
Benjy, di fianco a me, si chinò a guardarmi e poi si illuminò in un sorriso. “Hai una lucciola nei capelli!”, mormorò prendendomi la testa con delicatezza. Poi mi mostrò il palmo della mano. Un minuscolo insetto fluorescente si illuminava e spegnava a intermittenza. Ci guardammo tutti attorno. L’aria intorno a noi, sopra la piscina e nei cespugli, pullulava di piccole luci viventi che svolazzavano e ondeggiavano nel vento, illuminando flebilemente l’erba e i nostri visi.
“Wow.”, mormorò Lily, incantata.

Alla fine Juliet propose un gioco. Me lo ricordavo, l’avevamo fatto una volta, noi quattro da sole, durante un pigiama-party al secondo anno. Ognuno doveva trovare un pregio e un difetto di una delle persone del gruppo, e a turno, tutti avrebbero parlato.
“Ma senza essere banali!”, spiegò, di fronte all’espressione profondamente scettica di Sirius. “Bisogna cercare di andare il più a fondo possibile nella persona… ci state?”
Georgia ed Heloïse annuirono subito.
“A me sembra un po’ una stronzata”, commentò Sirius schiettamente. “Ma se non abbiamo niente di meglio da fare… Comincia Juliet, okay?”
“Okay, con chi?”
“Remus.”, risposero undici voci, in coro, senza pensarci mezzo secondo.
“Oh, va bene…”, mormorò Juliet, spostandosi sul lettino di Heloïse per osservare meglio l’interessato. Remus teneva gli occhi bassi, profondamente a disagio. Juliet si mordeva un labbro, pensierosa.  E Heloïse ghignava senza sosta, pronta a godersi la scena.
“È una delle poche persone con cui riesco a parlare bene, e non solo perché è intelligente.”, esordì in tono genuino. “È come se capisse le cose prima ancora che le abbia dette, sembra di parlare direttamente con il suo cuore, ed è una cosa di lui che mi piace.” Heloïse sembrava sul punto di piangere dalla felicità. “ E poi con lui non servono tutte quelle smancerie inutili.”, aggiunse Juliet con voce sprezzante. “È dolce e gentile, ma in un modo diverso dagli altri, che non dà fastidio, perché non fa niente per mostrarlo, però lo intuisci. E come difetto…” Juliet guardò Remus dritto negli occhi, accigliata. “…a volte dà l’impressione che ci sia qualcosa che lo blocchi. Non so come spiegarlo, ma mi innervosisce, è come se non si lasciasse mai andare del tutto, e ci fosse sempre qualcos’altro dietro, che forse non conoscerò mai.” Nel silenzio che seguì, Juliet continuò a scrutare Remus, un po’ corrucciata. Quando lui ebbe il coraggio di alzare gli occhi, sembrava profondamente turbato. Decisi che era meglio distogliere l’attenzione da loro due, magari avrebbero parlato tra di loro, più tardi. Sembravano così strani e pensierosi, entrambi…
“Bene, a chi tocca?”, esclamai allegra.

Alla fine, gli ultimi rimasti erano Sirius, Lily e Teddy.
A Sirius toccai io, e per un attimo pensai che ne avrebbe approfittato per l’ennesimo dispetto. Invece mi guardò dritto negli occhi, con un’espressione molto seria. “Sei complessa.”, mormorò quasi immediatamente, con voce bassa e sicura. “Uno potrebbe starti accanto per anni, e non smetterebbe mai di imparare a conoscerti. C’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire, di totalmente diverso da quello che ti aspettavi prima… è una gran seccatura, ma sei una persona vera, e non stufi mai. ”
“Felpato?”, esclamò James. “Stai bene?”
“Certo che sì”, rispose lui con aria seccata. “Ho solo detto la verità, e questo non significa che tu mi stia meno antipatica.”
Restai in silenzio, con gli occhi bassi, frastornata e a disagio in pari misura.
Sirius riprese a parlare, con lo stesso tono di voce tranquillo, quasi annoiato. “Di difetti ce ne sono a miliardi, ovviamente. Però… penso che tu ti chiuda in te stessa troppo spesso. Sei convita che nessuno possa capirti e allora non parli, ti tieni tutto dentro e vuoi risolvere tutto da sola, sempre, come se ti sentissi superiore agli altri.”
Teddy fischiò, in segno di ammirazione, e dopo un attimo di silenzio il gioco riprese con più allegria.

Non avrei saputo decidere quale fu il momento più drammatico del gioco. Di sicuro, quando Kenny propose come pregio di Georgia il fatto che fosse un’imbecille schizzata con il cervello di uno Knarl, le cose rischiarono di non andare a finire troppo bene. Se non fosse stato per il pronto intervento di Benjy, Kenny si sarebbe ritrovato alle due di notte nella piscina, insieme al coccodrillo di gomma. Poi toccò a Remus, a cui venne assegnato Sirius, e anche lì non andò molto meglio.
Eppure si rivelò più divertente e interessante di quanto ci fossimo aspettati. Era incredibile quanto alla fine ci conoscessimo bene, anche se eravamo un gruppo così disomogeneo. Certo, c’erano i Malandrini che erano praticamente fratelli, c’eravamo io e Georgia, che ci conoscevamo dal primo giorno sull’Espresso, ed Heloïse e Juliet, amiche fin dall’infanzia… ma c’era anche Dexter, che non c’entrava praticamente niente eppure si trovava bene con tutti noi, e Teddy e Benjy, che si erano inseriti nel gruppo solo di recente. Per alcuni, come me e Sirius, ormai era troppo tardi. Per Remus e Juliet, invece, era ancora presto.
Ma forse era proprio questo il bello, mettere insieme tante persone così diverse e lasciare che legassero, ognuna a modo suo.
Mi ritrovai a pensare, mentre appoggiavo la guancia sul cuscino freddo e poi rivolgevo lo sguardo all’immensità del cielo stellato, che lì in quel paesino sperduto nelle Marche era riunita la dozzina di persona a cui volevo più bene al mondo, quelle persone che facevano tutta la mia vita. Cosa ci facessimo lì, me lo chiedevo anch’io. Perché James e Lily dormissero vicini, sereni come due bambini, non l’avrebbe saputo mai nessuno.
Eppure eravamo lì, e farsi tante domande non serviva. Insieme eravamo felici, e questo bastava.
Anche Sirius era ancora sveglio. Mi guardò per un attimo, poi indicò il cielo. “Il Sirio.”, mormorò, con lo sguardo puntato sulla miriade di stelle sopra di noi.
“Il Sirio.”, ripetei io, con un lieve sorriso sulle labbra.

 


Note dell’autrice:
Ma ciau amici di EFP, come state e come procedono le vacanze?
Ecco qua il nuovo capitolo, direi che non c’è molto da spiegare, anche se è molto denso (ne capitano una dopo l’altra), mi sembra abbastanza leggero, tutto sommato, visto che non succede niente di serio.
Di sicuro avrei potuto sfruttare un po’ meglio l’idea della vacanza tutti  insieme, che all’inizio mi era sembrata tanto carina, solo che ci troviamo un po’ in un momento di stallo, soprattutto per quanto riguarda Beatrice e Sirius, quindi non ho potuto fare molto. E anche Remus e Juliet non sono ancora pronti :)
Lo so, la parte finale è una cavolata, ma questi giochi un po’ stupidi nelle fan fiction in genere sono utili per spiegare meglio situazioni e personaggi, almeno credo. Peccato che io mi sia incasinata ancora di più, e in sostanza è il pezzo del capitolo che mi piace di meno, anche perché è organizzato male.
Comunque, ditemi voi cosa ne pensate.
Ah, e poi, come ho accennato nel capitolo James, Lily e Sirus sono maggiorenni e possono usare la bacchetta. Le date di compleanno di Lily e James sono rispettivamente il 30 gennaio e il 27 marzo, viene detto nel settimo libro, mentre Sirius dovrebbe essere il 22 febbraio, anche se non è certo. Invece per Remus e Peter ho voluto che fossero ancora minorenni, anche se me lo sono inventata di sana pianta e non so come sia in realtà :)
Ultima cosa, non pubblicherò il prossimo capitolo prima del 4 agosto perché sono via e preferisco fare con calma quando torno!

Grazie a tutti e alla prossima!
Trixie

 

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Capitolo 37
*** Di nuovo a Hogwarts ***




Trentasettesimo capitolo: DI NUOVO A HOGWARTS




King’s Cross, il solito turbinio multicolore di gufi, vapore e voci festose. Avanzai a fatica tra la folla, alla ricerca di qualche viso conosciuto, fino a individuare una familiare chioma di capelli blu marino. Heloïse si girò quasi immediatamente, e non appena mi vide afferrò Juliet per una manica  e mi corse incontro saltellando, per poi prendere la rincorsa e gettarmi le braccia al collo in un affettuosissimo abbraccio.
“BICE!”, urlò facendomi volteggiare in una piroetta sul posto. “Il mio topino, mi sei mancata!”
“Helo, Juliet!” Restituii con calore l’abbraccio, mollando per terra il baule, e quando da lontano vidi comparire Georgia, rossa e affannata mentre si trascinava dietro il pesante bagaglio, mi sbracciai per farle segno di raggiungerci.
“GEORGIA!”, la chiamò Heloïse. “Vieni qui, brutta ritardataria, sei sempre la solita…”
“Ehi, non sono in ritardo!”, replicò raggiungendoci e stringendo alla meglio tutte e tre. “Mancano esattamente sette minuti alle undici, sono quegli idioti dei miei fratelli che avevano dimenticato le scope a casa…”
“Avete sentito di Claire Lennox?”
“Sì, è terribile, non volevo crederci…”
“Belle fanciulle, è permesso?”, esclamò in quel momento Kenny, prima di unirsi all’abbraccio. Se fossimo rimasti ancora lì, ero sicura che in poco tempo un mucchio di persone sarebbero accorse ad abbracciarci, e non ci saremmo mossi mai più. Così mi separai per prima, afferrai il baule e mi guardai attorno, pensando al modo migliore per farmi strada verso il treno, possibilmente senza perdere la vita nella calca.
Il caos e l’allegria che si diffondevano nel binario nove e tre quarti erano così tanti da farmi girare la testa. Mentre gli altri continuavano a chiacchierare in un fitto miscuglio di voci eccitate, percorsi con lo sguardo tutta la banchina, esaminando a una a una tutte le facce. Dei Malandrini, neanche l’ombra. Quella era l’ultima volta che li avrei visti alla stazione, l’ultima volta che avremmo preso l’Espresso insieme. Non volevo neanche pensare a come sarebbe stato il mio settimo anno senza di loro.
“Allora, andiamo?”, mi incitò Georgia prendendomi per mano e trascinandomi verso il treno. Mi voltai un’ultima volta, sorridendo alla banchina affollata. “Certo, andiamo.”
Eravamo appena partiti quando la porta del nostro scompartimento si aprì con un tonfo.
“Ma porco Lunastorta!”, inveì Sirius, trafelatissimo. “Dove diamine si è cacciato… ehi, ciao, siete voi...”
“Black, Potter, ciao!”, li salutò Georgia cordialmente.
Dopo un’estate che non li vedevo, non erano cambiati poi molto. Le uniche differenze che riuscivo a notare in Sirius erano l’accenno di barba che gli scuriva appena il mento, e i capelli, un po’ più corti. In tutta l’estate non ci eravamo mai sentiti, mi soffermai a pensare in quel momento. Scrivergli una lettera sarebbe stato imbarazzante, e poi perché avrei dovuto, quando lo sopportavo a malapena? Per di più, nemmeno lui si era mai fatto vivo. Rimasi a scrutarlo accigliata per qualche secondo ancora, dopodichè distolsi accuratamente lo sguardo, per puntarlo su James.
“Cercate Remus?”, gli domandai.
“Doveva tenerci lo scompartimento, ma non lo troviamo…”
“Vengo con voi”, lo interruppi. “Non l’ho ancora visto e… James.”, mi bloccai poi, fissandolo con sguardo vacuo.
“Scricciolo, cosa c’è?”
“Che cos’è… quella… cosa?”, mormorai deglutendo e indicando il suo petto.
“Oh, questa”, balbettò lui, improvvisamente imbarazzato. “Non è niente, solo…”
“James. Quella è… è… Merlino Santo, non può essere!”, conclusi alla fine, scoppiando a ridere e spostando lo sguardo su Sirius, speranzosa. “Non è come sto pensando, vero?”, gli domandai, in cerca di rassicurazione. Lo sguardo di Sirius si fece più cupo, e lì cominciai a temere che non si trattasse di uno scherzo.
“Insomma, non può essere… la spilla di Caposcuola, vero?”
James annuì in silenzio, abbassando lo sguardo. “Oh, e non guardatemi con quella faccia!”, esclamò di fronte alla mia espressione sconvolta e a quella disgustata di Sirius. “Non l’ho mica voluta io, che cavolo, Sirius, io e te abbiamo lo stesso numero di punizioni, se Silente è un maledetto pazzo…”
“James, calma…”, lo interruppi, sorridendo. “Non è una brutta cosa, no? Dovresti esserne fiero, vuol dire che Silente ti considera una persona diligente e responsabile…”
“NO!”, urlò lui, spaventato. “Diglielo, Sirius, io non sono una persona diligente e responsabile…”
“Oh, non saprei”, replicò lui in tono crudele.
James lo guardò torvamente. “Bene, ridete pure, voi due!”, replicò in tono di sfida. “Intanto anche Evans è Caposcuola, passerò tutte le ronde insieme a lei! E quando l’avrò conquistata, vedremo chi riderà, non è vero, cane bastardo?”
 

***

 
Silente sorrideva scrutando benevolmente le quattro tavolate della Sala Grande, le punte delle dita congiunte sotto il mento. Lo Smistamento era appena finito, gli ultimi brusii degli studenti si stavano pian piano spegnendo, e l’attenzione della maggior parte di noi era rivolto all’alta e magra figura del Preside. Era evidente che stava aspettando il più completo silenzio prima di prendere parola. Fino ad allora aveva sempre riservato il discorso di benvenuto alla fine del banchetto, ma forse si trattava solo di una coincidenza.
“Bentornati e benvenuti ad Hogwarts.”, esordì con la sua voce profonda e serena. “Molti di voi si staranno chiedendo per quale motivo vi intrattengo prima che il banchetto abbia inizio, ma data la serietà degli annunci che devo fare, meglio sbrigare la faccenda il prima possibile.” Si prese una piccola pausa, lasciando vagare lo sguardo azzurro e scintillante per tutta la Sala, ormai sprofondata nel silenzio più assoluto. “Come molti di voi sapranno, un fatto terribile è accaduto quest’estate. Si tratta della sparizione di Claire Lennox, studentessa Tassorosso del sesto anno… Ora, non mi dilungherò sulle circostanze della sua scomparsa, ma ritengo necessario farvi sapere che Albert Lennox, il padre della ragazza, aveva già da tempo avviato delle indagini nel Wizengamot a proposito di due Mangiamorte… è molto probabile che Claire sia stata rapita come ostaggio, per porre fine  alle scomode ricerche del padre.”
Molti trattennero il respiro, scambiando sguardi spaventati con i vicini. Qualche bisbiglio agitato serpeggiò tra la Sala, altri sembravano troppo scioccati anche solo per distogliere lo sguardo da Silente. Una ragazza tra i Tassorosso scoppiò a piangere, e si affrettò a nascondere il viso dietro le mani. James e Sirius erano seduti drittissimi sulla panca, si protendevano verso Silente con i visi seri come non li avevo mai visti. Remus si passò una mano sul viso stanco, Peter sprofondò un po’ di più nella panca, spaventato.
Mi ricordavo di Claire Lennox. Era una ragazza minuta, con grandi occhi scuri e capelli ricci, sempre carina e bendisposta verso tutti, come la maggior parte dei Tassorosso. Pensarla in balia dei Mangiamorte, in un posto che nessuno conosceva, era semplicemente orribile.
Silente riprese a parlare, con serietà. “Il Ministero è contrario alla divulgazione di questo genere di notizie, ma Claire è una vostra compagna, un’amica per molti, è giusto che sappiate la verità. Inutile dire che, chiunque dovesse venire a sapere qualcosa, è invitato di mettere al corrente il corpo insegnanti. Inoltre, siete pregati di porre la massima attenzione, anche all’interno del castello, e di non allontanarvi troppo durante le uscite a Hogsmeade. Sfortunatamente, di questi tempi non si è mai troppo al sicuro… Ma ora basta!”, concluse Silente battendo le mani, come per scacciare l’atmosfera pesante che con il suo discorso era calata in Sala Grande. “I vostri stomachi ne hanno abbastanza. Che il banchetto abbia inizio, e che quest’anno possa essere ricco di insegnamenti per tutti quanti!”
 
E nonostante il banchetto fosse veramente superbo, c’era quacosa che guastava tutto. I miei pensieri continuavano a vagare senza meta da Claire Lennox, alla guerra ormai iniziata, alla mia famiglia, sola e indifesa tra i Babbani.
Per la prima volta, Hogwarts non ci accoglieva con calore e allegria, non era più un luogo a parte, felice e protetto, al sicuro dagli orrori del resto del mondo. Era come se qualcosa si fosse infiltrato all’interno, un soffio di aria gelida che non faceva che ricordarci delle persone al di fuori della mura, di quelli che ogni giorno morivano per una guerra che non avevano voluto.
 

***

 
Nella settimana seguente un altro problema, decisamente più frivolo e meno importante, ma pur sempre molto fastidioso, arrivò a occupare i miei pensieri.
Per dare il benvenuto al nuovo anno scolastico il professor Lumacorno, che non perdeva mai tempo, era già intento a organizzare la prima festicciola dell’anno,  e questa volta (dopo quattro anni e mezzo di pozioni miseramente fallite, faticavo ancora all’idea di essere considerata brava in quella materia) anch’io ero stata invitata.
A differenza delle famose cene, che avevano luogo sempre nell’ufficio di Lumacorno e che erano conosciute in tutto il castello per la loro incredibile monotonia, le feste organizzate dal professore erano considerate tutt’altro che noiose. Perciò tutto sommato sarei stata anche felice di prenderne parte, se non fosse stato che dovevo presentarmi con un accompagnatore e che, di quei tempi, gli accompagnatori per me non abbondavano di certo.
Nonostante ciò  non mi lasciai sopraffarre dalla triste situazione e, di buona lena,  mi misi a cercare qualcuno di adatto al ruolo.
 
Purtroppo, l’impresa si rivelò ancora più difficile di quanto avessi immaginato, sebbene le mie previsioni già di per sé non fossero state troppo ottimiste.
Remus l’avevo scartato immediatamente, anche se era stato il primo a cui avevo pensato. Quella volta non potevo proprio, era fuori discussione. Magari Juliet si sarebbe finalmente decisa ad invitarlo, e una festa insieme era proprio quello di cui avevano bisogno quei due. Quindi lo scartai subito e decisi di passare a Kenny, il quale mi riservò una doppia, cocente delusione.
“Kenny, non è che ti andrebbe…”, esordii quella sera avvicinandomi a lui, con un sorriso speranzoso.
“…la festa di Lumacorno?”, mi precedette lui con un ghigno divertito. “Mi dispiace, me l’ha chiesto Juliet, prima di te.”
Che cosa?! Ma…ma…”
Decisamente, così non andava. Mi appuntai mentalmente di riservare una bella sgridata a Juliet, non appena l’avessi incontrata, e di informare Heloïse di quel fatto a dir poco vergognoso, in modo che anch’essa si affrettasse a infliggerle una punizione adeguata e a spiegarle, con le buone o con le cattive, che quello non era il modo di comportarsi.
A quel punto cercai Remus, pensando che ormai tanto valeva approfittare dell’immensa stupidità di Juliet, ma ancora una volta il fato sembrava non essermi favorevole.
“Lily”, mi spiegò infatti in tono di scuse.
“Oh”, mormorai, delusa, per poi esclamare, in tono aggressivo: “Ma bene, così tu accetti gli inviti di Lily! E se Juliet fosse venuta a chiedertelo al posto mio, che cosa sarebbe successo?!”
“E perché Juliet avrebbe dovuto chiedermelo?”, borbottò lui, facendo per andarsene.
“Non finisce qui, Remus Lupin!”, gli gridai dietro, arrabbiata. “Tu e Juliet la pagherete!”
Con Remus e Kenny fuori gioco, la cosa cominciava a diventare molto più difficile, e anche parecchio snervante.
“Ehilà, James.”
Ormai ero giunta al quarto tentativo. Avevo persino preso in considerazione Peter, ma lui mi aveva confessato che Lumacorno lo intimoriva un po’, e che preferiva rimanersene tranquillo in camera sua, o nelle cucine. Quindi, quello era il turno di James. Non avevo mai pensato di poter arrivare a cadere così in basso (peraltro per colpa di Lumacorno) da chiedere a James di accompagnarmi a una festa, ma così era. La mia depressione, ormai, aveva raggiunto picchi inimmaginabili.
“Scricciolo, qual è il problema?”
“È la festa di Lumacorno, per Merlino, non so con chi andarci e sono davvero disperata…”
“…Non mi starai chiedendo di venirci con te, vero?”
“James, non mi restano alternative, è la cosa più umiliante che abbia mai fatto in vita mia .”, replicai tristemente.
“Io ci verrei anche, con te.”, soppesò James, e io rialzai la testa di scatto, speranzosa. “Ma non posso, proprio non posso, mi dispiace.”
“E perché?”, sospirai stancamente.
“Per Lily”, replicò lui con semplicità.
“Ma se ci va con Remus…”, gemetti abbandonandomi contro lo schienale della poltrona. “James, non anche stavolta.”
“Remus si è comportato proprio male.”, ribattè James, imbronciandosi. “Accettare così l’invito di Evans, quando sa benissimo che tra poco diventerà la mia fidanzata…”
“Non mi dire”, borbottai alzando gli occhi al cielo. “Sul serio, James, io ho bisogno di te…”
“Non posso, Bea.”, ripetè lui, questa volta in tono veramente serio. Mi chiesi cosa gli stesse passando per la testa. Ovvio, quando si trattava di Lily si era sempre comportato in quel modo, ma dal suo sguardo avevo capito subito che quella volta era qualcosa di diverso, non la solita stupidata che mandava avanti un po’ per scherzo, un po’ per sfida.
“Magari cambierà idea e non vorrà più andarci con Remus, e allora se le facessi capire che ci terrei ad andarci con lei, magari inviterebbe me…” In quel momento, con quel tono fiducioso e appassionato, James avrebbe persino potuto farmi tenerezza. Ma l’istinto di sopravvivenza mi suggeriva di essere spietata, e di non cedere.
“James”, gemetti con voce strozzata. “Ti prego, se Lily dovesse cambiare idea, ti prometto che potrai andarci con lei, ma altrimenti, non potresti…”
“No, Scricciolo.”, mi interruppe lui, in tono definitivo. “Se Lily sapessse che ci vado con te, ovvio che non mi inviterebbe! Questa volta ci tengo, non posso proprio.”
Evidentemente, James era tornato ad Hogwarts ancora più agguerrito, con mille tattiche più o meno intelligenti da sperimentare per raggiungere lo scopo della sua vita, e cioè Lily Evans. In ogni caso non avevo tempo per chiedermi di cosa si trattasse, così sospirai e mi alzai, completamente rassegnata. “Va bene, James. Mi spezzi davvero il cuore, ma come vuoi. Vado a cercarmi un altro accompagnatore, con permesso...”
 
Nonostante i miei sforzi, mancava un giorno alla festa e io non avevo ancora la più pallida idea di cosa fare. “Ragazzi, penso che non ci andrò.”, annunciai quella sera alle mie amiche e a Kenny, mentre eravamo riuniti nella nostra camera. “Farò finta di essermi ammalata.”
Heloïse si morse un labbro, in cerca di una soluzione. “Sirius è fuori discussione, immagino.” Non mi presi neanche la briga di replicare, tanto era ovvia la risposta, e mi limitai ad alzare le sopracciglia in modo eloquente.
Kenny, che fino a quel momento era rimasto in silenzio a giocare con Hector, il gufo di Juliet, alzò la testa e si mise a fissarmi con un’espressione a metà tra lo stupito e l’indignato. Restò zitto per qualche secondo, sempre scrutandomi in quel modo un po’ inquietante, e poi esclamò, in tono sdegnoso: “Beatrice, certo che a volte sei veramente idiota.”
“Perché?”, replicai perplessa, e anche leggermente offesa. “È una situazione piuttosto drammatica, Kenny, hai poco da insultare…”
“Vacci con Benjy, no? Perché l’hai chiesto a tutti e non a lui?”
Guardai Kenny, completamente sbalordita dall’incredibile verità che mi aveva appena messo davanti agli occhi, e non potei fare a meno di sentirmi sul serio un’idiota.
Non avevo minimamente pensato a Benjy, e non sapevo nemmeno io perché, visto che mi stava simpatico e che eravamo abbastanza amici per andare insieme a una festa. Ripensandoci, sarebbe stata la soluzione perfetta.
“Non lo so...” Risposi alla domanda di Kenny alzando le spalle e grattandomi il capo. “Non so perché non gliel’ho chiesto, ma ora che ci penso…”
“… Davvero, non ho parole.”, mi interruppe Kenny, tornando ad occuparsi del gufo di Juliet. “E come se non bastasse, lui ti muore dietro da una vita e tu non te ne sei mai accorta.”
Il silenzio che seguì fu assolutamente totale. Persino Juliet, che fino in quel momento era rimasta assorta nel suo mondo, a guardare fuori dalla finestra, girò la testa e ci fissò con estremo interesse.
“Che cosa?”, mormorai sgranando gli occhi. “È… è impossibile! Insomma, l’anno scorso era fidanzato con Emma Dickinson…”
“Santo cielo, Beatrice!”, esclamò Kenny, “Vorrei strozzarti, quando fai così! Dev’essere dal quarto anno che gli piaci, forse anche dal terzo, ma tu eri troppo occupata con il tuo Sirius per degnarlo anche solo di un’occhiata.”
“Questo… non è vero.”, ribattei, piccata. Sirius era uno degli argomenti di cui meno mi piaceva parlare, e Kenny avrebbe dovuto saperlo. “E poi nemmeno loro se ne erano accorte, altrimenti me l’avrebbero detto!”, mi difesi indicando le mie amiche.
“Beh…”, mi corresse Heloïse con un sorrisetto. “In Italia qualche sospetto mi era venuto, a essere sinceri.”
Io rimasi in silenzio, sconfitta. “Ma Kenny…”, mormorai, ancora sopraffatta dallo stupore. “Dici proprio sul serio?”
Lui sospirò con aria rassegnata, per poi tornare a ribattere, con il solito tono spazientito: “Certo che dico sul serio, scema, è il mio stramaledetto migliore amico, vuoi che non sappia che è stramaledettamente cotto di te da circa… qualche secolo?”
“Oh, allora…”, balbettai, profondamente colpita. Sentii le guance che cominciavano a tingersi di rosso fuoco, e abbassai lo sguardo. “Non posso invitarlo, allora… penserebbe di sicuro che…”
“Oh, andiamo.”, mi interruppe Kenny, sbuffando. “Non è così stupido da illudersi, ti conosce meglio di quanto pensi.”
 
C’erano volute un’intensa opera di persuasione e una grande dose di pazienza da parte di Kenny, di Heloïse e di Georgia, prima che mi lasciassi convincere a invitare Benjy. Sarebbe stato il massimo dell’imbarazzo, dopo quello che mi aveva detto Kenny, ed ero sicura che in sua presenza non sarei neanche riuscita a spiccicare due parole di fila senza arrossire, quindi non mi sembrava veramente il caso.
Eppure alla fine avevo ceduto, mi ero fatta istruire per bene da quelle anime sante delle mie amiche, che mi avevano ripetuto per due ore il modo in cui avrei dovuto esporgli il mio invito, e alla fine mi ero presentata da lui, sperando che non fosse già occupato.
Avevo un po’ balbettato, certo, ed ero anche arrossita parecchio, ma Benjy sembrava non averci fatto caso. Aveva aspettato con pazienza che arrivassi al dunque del mio ingarbugliato discorso, mi aveva sorriso, gentile e divertito, e aveva accettato l’invito senza tanti problemi.
 
Quella sera, quando scesi le scale del dormitorio, Benjy mi stava già aspettando in Sala Comune. Stetti bene attenta a non inciampare durante il breve tragitto, e avvampai  non appena mi accorsi che mi stava osservando.
“Ciao”, borbottai fermandomi di fianco a lui, e alzando appena lo sguardo per sorridergli.
“Ciao, stai bene!”, rispose lui, molto più tranquillo di me, indicando il mio vestito.
Io gli sorrisi, e con un flebile “anche tu” mi affrettai a seguirlo fuori dal passaggio del ritratto. Per i primi minuti nessuno dei due sembrava molto a proprio agio. Entrambi in silenzio, non ci guardavamo nemmeno. La situazione si sbloccò quando arrivammo nell’ufficio di Lumacorno, che ci accolse con il solito calore e ci invitò a non perdere tempo e unirci al resto degli ospiti. La stanza era stata allargata con grande abilità, e decorata con un certo stile, vivace ma elegante. Delle persone che erano già presenti – un numero considerevole – notai molti volti conosciuti, per lo più studenti della nostra età, ma anche qualche vecchio mago dall’aria saggia e autorevole. Benjy mi guidò al tavolo del buffet, un po’ in disparte dalla ressa, e si guardò attorno con aria curiosa.
“Beh, ci sarà da divertirsi, credo”, mormorò facendo spallucce.
“Lo spero”, replicai io, un po’ disorientata. “Non pensavo che ci sarebbe stata tutta questa gente…”
“Oh, un sacco sono infiltrati…”, commentò Benjy con un sorriso serafico. “Vedi quella, laggiù? È Amber Everett, ha Desolante in tutte le materie e l’intelligenza di un Troll in coma. Ha passato la scorsa settimana a cercarsi disperatamente un cavaliere, ma con quel naso che si ritrova…”
Benjy!”, esclamai in tono di rimprovero, non riuscendo però a trattenere le risate. “Poverina, sei cattivo…”
“Solo la verità”, replicò lui lanciandomi un’occhiata divertita, per poi riprendere a esaminare la folla. “E quelle due, le sorelle Grant…”
“Oh, di loro ho sentito parlare molto”, lo interruppi con un sorrisetto.
“Si fanno sempre invitare, ma all’ultimo momento danno buca e si presentano da sole. In verità non capisco che divertimento ci provino, comunque…”
“No, infatti”, concordai io con un sorriso. “Ho sempre pensato che fossero un po’ eccentriche.”
“Bellissime, sì, ma eccentriche”, convenne Benjy, annuendo ripetutamente e versandosi un primo bicchiere di idromele barricato. “E non è finita…”, continuò in tono misterioso. “George Stubbins, lo conosci?”
“Era il mio compagno di Incantesimi, al terzo anno.”, commentai, ripensando con un certo orrore a quei tempi bui. “Una delle persone più ottuse che abbia conosciuto.”
“Sì, ma non è colpa sua, o almeno, non proprio. Si dice che da piccolo abbia provato a giocare a Quidditch all’insaputa dei genitori e si sia colpito con la mazza da Battitore… quattro anni di ricovero al San Mungo. Lumacorno lo invita per compassione, suo padre è un tipo del Ministero, uno importante.”
“Benjy, ma tutte queste cose come le sai?”, esclamai ridendo a crepapelle.
Continuammo così per una buona mezz’ora, fino a quando Lumacorno, accompagnato da un signore basso e rotondetto, non si avvicinò a noi. Io e Benjy, intenti a ricordare una vecchia storiella su Eleonor Podmore che a Hogwarts andava di moda qualche anno prima, eravamo entrambi piegati in due dalle risate.
“Signorina Summerland, quanta allegria! Benjy è un’ottima compagnia, a quanto vedo…”
“Oh, sì”, convenni tentando di riacquistare un minimo di contegno davanti al professore e asciugandomi le lacrime.
“Marcus, questi sono due miei allievi del sesto anno.”, ci presentò al signore basso e rotondetto. “Beatrice Summerland e Benjy Fenwick. Non esattamente due allievi modello, ma abbastanza promettenti.”
Benjy mi lanciò di sottecchi un’occhiata divertita. “E il signore qui presente è Marcus Cheyne, illustre pozionista e amico di vecchia data…”
Io e Benjy ci presentammo, sorridendo.
“Molti dei miei studenti, una volta finiti i M.A.G.O., si rivolgono al signor Cheyne per la loro carriera lavorativa…”
A quelle parole, lo sguardo del signor Cheyne si illuminò. “Oh, sì!”, annuì vivacemente. “Ne ho sistemati molti al Ministero, e alcuni nel mio circolo…e voi, ragazzi, avete già un’idea della professione che volete intraprendere?”
“Auror, penso.”, rispose Benjy, ritornando serio.
Il signor Cheyne gli sorrise, compiaciuto. “Non è certo una carriera facile, ragazzo. Ci vuole tenacia, e anche una certa abilità in diversi campi…” Benjy alzò le spalle, per nulla impressionato. “E lei, signorina?”, mi domandò gentilmente il signor Cheyne.
“Oh, non saprei…”, mormorai timidamente. “Mi piacerebbe fare la giornalista, credo.”
“Interessante”, commentò lui con un certo distacco.
“Suvvia, Marcus, adesso lasciamo che si divertano…”, si inserì Lumacorno. “Ho un’altra studentessa da presentarsi, una promettente Guaritrice…”
“E così, vuoi fare la giornalista.”, esclamò Benjy non appena ci ritrovammo di nuovo soli. Mi sorrise, con aria incuriosita.
“È solo un’idea”, risposi scrollando le spalle. “Forse dovrei fare l’Auror anch’io…”
“Invece ti vedrei bene, come giornalista”, commentò lui. “E poi, di questi tempi, qualcuno che dica le cose come stanno sarebbe utile.”
“Mai quanto un Auror…”, replicai dubbiosa.
“Non so, ho l’impressione che gli Auror, da quando è iniziata la guerra, non stiano facendo molto… Insomma, finora non sono riusciti a prendere neanche un Mangiamorte, figuriamoci se fermeranno Voldemort.”
Benjy pronunciava il suo nome, quindi. Parlava in modo serio e maturo, come se sapesse esattamente come stessero le cose, fuori da Hogwarts. Stare con lui mi infondeva una strana sensazione di sicurezza.  Non si accorse dello sguardo che gli rivolsi, e riprese, sempre con lo stesso tono fermo: “Forse, l’unica cosa veramente utile che si può fare per sconfiggerlo è entrare nell’Ordine della Fenice.”
Alzai la testa di scatto, interessata. “Ne hai sentito parlare anche tu? Dicono che l’abbia fondata Silente in persona.”
Benjy annuì, sovrappensiero, e si passò una mano tra i capelli. Poi, quando pensavo che avrebbe aggiunto qualcosa sull’Ordine della Fenice, mi domandò, a bruciapelo: “Ti va di ballare?”
“Oh, d’accordo…”, mormorai arrossendo, completamente spiazzata.
Ci infilammo tra la piccola folla, dirigendoci verso il centro dell’ufficio dedicato alle coppie che ballavano. All’improvviso, mi ritrovai Sirius di fronte, elegantissimo nel suo completo scuro.
“Tu qui?!”, esclamammo all’unisono, squadrandoci con la stessa espressione di disappunto misto a diffidenza.
“Perché, pensi che non sia abbastanza brava in Pozioni da essere invitata?”, ribattei subito, pungente.
“Non eri tu quella che si era rovesciata la Pozione Restringente addosso?”, mi provocò lui, con un ghigno sfacciato.
“Beh, a quanto pare sono migliorata.”, lo rimbeccai in tono sprezzante. “E tu, invece?”
“Sono con Amanda.” Alzò le spalle con aria indifferente, indicando una ragazza che, poco indietro, chiacchierava con un’amica.
“Bene”, risposi, senza abbandonare l’aria scettica. “Torno da Benjy.” Mi guardai attorno, alla ricerca del mio accompagnatore. Si era allontanato di poco, e ci osservava con un calice di vino in mano. Lo raggiunsi senza degnare Sirius di un’altra parola, e lasciai che mi prendesse le mani per ballare.
“Litigate proprio tanto, voi due, eh?”
“Oh, beh, questo non era un vero litigio…”, borbottai imbarazzata.
“Eravate così anche quando stavate insieme?”
La tranquilla domanda di Benjy mi sorprese ancora di più, tanto che arrossii ulteriormente. “No, non proprio.”, ammisi dopo un attimo di esitazione, arrischiandomi ad alzare lo sguardo sui suoi occhi castani. “Andavamo d’accordo.” Ripensando ai vecchi tempi, mi scappò un sorriso un po’ triste. Benjy se ne accorse, e stette in silenzio.
“E… tu ed Emma?”, gli domandai, riscuotendomi con forza dai miei pensieri.
“Oh, Emma…”, esclamò Benjy, guardandomi con un’espressione curiosa. “Non penso che mi sia mai piaciuta, in verità.”
A quel punto, ebbi paura che la conversazione fosse giunta a un punto un po’ pericoloso, così mi affrettai a cambiare argomento. “Ci sono Kenny e Juliet, andiamo a salutarli?”
 
Io e Benjy fummo fra gli ultimi a lasciare la festa, e continuammo a parlare per tutto il tragitto verso la Torre di Grifondoro.
La Sala Comune, al contrario di quanto pensavo, non era ancora del tutto vuota. Un ragazzo era seduto di fronte al camino, dove il fuoco crepitava ancora vivacemente.
“Ehi, Remus!”, esclamai meravigliata. “È tardissimo, cosa ci fai ancora qui?”
“Bea, Benjy”, ci salutò lui con un lieve sorriso.
Benjy si spostò verso le scale, e io lo seguii. Improvvisamente, forse per la presenza di Remus, sentii una forte timidezza tingermi le guance. “Mi sono divertita, stasera.”, mormorai abbassando lo sguardo.
Benjy si scompigliò i capelli. “Anch’io, molto.”
 “Beh, allora…”, balbettai, torcendomi le mani con grande imbarazzo e lanciando un’occhiata nella direzione di Remus. “io… buonanotte.”, conclusi senza sapere cosa aggiungere.
“Buonanotte”, fece Benjy. Prima che mi girassi verso le scale, mi avvicinò a sé e mi stampò un bacio leggero sulla guancia, sorridendo appena.
In quel momento, ebbi la netta sensazione che quella notte, prima di addormentarci, io avrei pensato a lui e lui avrebbe pensato a me.
 
Mi sedetti sul bracciolo della poltrona di Remus, ancora un po’ frastornata, e mi misi a fissarlo con insistenza. Era ovvio che aveva qualcosa che gli frullava per la testa, ma se avessi aspettato che fosse il primo a parlare, non ci saremmo mossi di lì per il resto della notte.
“Non vai a dormire?”
“Non mi va.”, replicò lui seccamente.
“Sembri un po’ giù di corda”, ritentai.
Lui si imbronciò ancora di più. “È solo un po’ di lunastorta, puoi andare a letto.”
Sorrisi, alzando gli occhi al cielo. “Bene, resterò qui.”, conclusi sistemandomi più comodamente sulla poltrona. “Allora, ti sei divertito stasera?”, gli domandai dopo un lunghissimo silenzio.
Remus mi fulminò con lo sguardo. “Odio queste feste, mi sono annoiato a morte.”, ribattè in tono fin troppo feroce. “È sempre pieno di gente insopportabile, stupide oche e ragazzi idioti… Jordan, per esempio.”
Che cosa?!”, esclamai scoppiando a ridere. “Che cos’hai adesso contro Kenny?”
“Non ho niente. Dico solo che non mi sta simpatico, tutto qui.”
“Ma… ti stava simpatico, una vol-… ah.” Mi bloccai a metà frase, un lampo di comprensione che mi attraversava la testa.
Juliet.
Era strano che non ci avessi pensato prima. Lei e Kenny avevano ballato per tutta la sera come due pazzi scatenati, senza mai smettere di ridere a crepapelle. In effetti, avevano attirato parecchio l’attenzione, Remus non avrebbe potuto non notarlo. Per chi li conosceva bene, era una cosa normale. Facevano sempre così, quando erano insieme. Per altri, invece, poteva essere un comportamento  piuttosto sosopetto.
Guardai il volto scuro di Remus, trattenendo a fatica un ghigno compiaciuto. Avrei voluto evitare di stuzzicarlo, ma la tentazione era semplicemente troppo forte.
“Non saremo un po’ gelosi, Remus?”
“Gelosi?”, ripetè lui con una calma estrema,  inarcando le sopracciglia fino all’attaccatura dei capelli. “E di cosa, per la precisione?”
“Ah, non lo so…”, replicai serafica.
“Bene, allora stai zitta, okay?”
“Come vuoi.”, risposi con un sorrisetto. “Stasera Juliet era molto carina, vero?”, aggiunsi poco dopo. “Quel vestito le sta d’incanto.”
“Non saprei.”, replicò Remus con uno sbadiglio annoiato. “Non ci ho fatto caso.”
Sospirai, scuotendo la testa. “Lasciamo perdere, eh Remus?”, mormorai con un sorriso ironico. “Io vado a dormire.”
“Notte.”, fece lui senza scomporsi.
 

***

Nella stanza, l’unico rumore percebile era il respiro lento e regolare di Georgia. Come previsto, dormivano già tutte e tre. Mi sedetti sul letto, accorgendomi di non avere per niente sonno.
“Georgia?” Il suo respiro divenne ancora più profondo.
“Juliet?” Silenzio di tomba.
“Heloïse?” Un borbottio indistinto; probabilmente stava sognando.
Mi misi a girare a grandi passi per la stanza, soffermandomi a osservare il buio oltre la finestra. “Dai, vi prego”, ritentai a voce più alta, sbuffando. “Svegliatevi, ho bisogno di parlarvi!” Ancora, nessuna risposta.
Rassegnata all’idea che non si sarebbero svegliate neanche se avessi fatto esplodere una Caccabomba contro la finestra, mi preparai ad andare a letto. Ero sicura che non sarei riuscita a prendere sonno tanto facilmente, e infatti, dopo essermi rigirata in tutti i versi tra le coperte, mi misi a ripercorrere a ritroso la serata, da Remus e la sua gelosia un po’ infantile fino a Benjy, al modo in cui mi ero divertita con lui, a quanto ero stata bene.
Inaspettatamente, un’ansia improvvisa mi costrinse ad alzarmi a sedere di scatto. Heloïse, nel letto di fianco al mio, dormiva con una mano sopra gli occhi.
“Helo?”, la chiamai, piano. Lei si girò su un fianco, grugnendo qualcosa di indefinito. “Helo?”, ripetei con insistenza. Socchiuse gli occhi e sollevò appena la testa dal cuscino.
“Che vuoi?”, borbottò in tono poco accondiscendente.
“E se mi piacesse Benjy?”  
Heloïse mi fissò con sguardo vacuo per qualche secondo, sbadigliò, dopodichè si girò dalla parte opposta, ripiombando nel sonno all’istante.
Belle amiche, davvero!, fu l'ultima cosa che pensai prima di girarmi a mia volta dall'altra parte e, finalmente, addormentarmi.
 







Note dell’autrice:
(Ho appena finito di rileggere il capitolo e la conclusione fa un po' pena ma pazienza, non ne trovo un’altra.)
Ma ciao gente!
Sinceramente questo capitolo non mi sembra niente di speciale, ne ho fatti di meglio. Ma vabè, almeno c’è la parte di Silente e il suo discorso che rende il tutto un po’ più serio e interessante (?), con la scomparsa di questa Claire,cosa che probabilmente svilupperò più avanti.
Allora, se c’era ancora qualcuno che non aveva sospetti su Benjy e Beatrice, beh, penso che ora non ci siano più dubbi per nessuno. Non so cosa ne pensate, per me stanno bene insieme! Anche perché durante la festa hanno modo di avvicinarsi parecchio, si conoscono un po’ meglio e parlano di un sacco di cose, alcune stupide e altre più serie, come l’Ordine della Fenice. Siccome Benjy Fenwick viene citato in Hp5 come membro del vecchio ordine, mi piaceva l’idea che fosse lui il primo a parlarne con Bea.
Ah, vi linko un’immagine di Benjy. Non so chi sia il tipo perché ho perso la lista dei nomi dei possibili prestavolto, sono proprio un’idiota, comunque lo ritroverò, prima o poi. Ma tanto questa era l’unica foto in cui gli assomigliava, quindi pazienza:

http://i42.tinypic.com/14dd9wn.jpg
 
 (In ogni caso, Sirius rimane Sirius, e non ci sono Benjy che tengano.)
 
Okeyy, ho finito! Grazie a chiunque abbia letto, al prossimo capitolo!
Trixie

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Capitolo 38
*** Risvegli, bagni e lezioni sperimentali ***



Trentottesimo capitolo: Risvegli, bagni e lezioni sperimentali
 
Quella mattina, nel dormitorio maschile, i Malandrini dormivano ancora della grossa.
La sera prima Remus Lupin aveva sprecato gran parte delle sue energie nel tentare di mandare a letto quei tre scalmanati dei suoi migliori amici – due scalmanati, in effetti – , e ora si godeva il  meritato sonno, completamente avvolto dalle coperte scarlatte. Lo stesso valeva per Sirius Black, James Potter e Peter Minus, che pur non avendo fatto niente di meritevole per aggiudicarsi il permesso di dormire fino a quell’ora vergognosa (a parte, ovviamente, aver passato tutta la sera a duellare alla maniera dei Babbani, servendosi di pistole immaginarie per un divertimento che solo loro avevano compreso), non sembravano avere l’intenzione di svegliarsi tanto presto.
Io, da parte mia, me ne stavo comodamente seduta sul davanzale della loro finestra, con una vecchia pergamena per gli appunti in una mano e una brioche al cioccolato nell’altra, pronta a godermi uno dei fenomeni più interessanti a cui si potesse assistere quotidianamente in quella camera: Il Risveglio.
Il Risveglio era un momento fondamentale per la vita dei Malandrini; routine consolidata da ormai sette, lunghi anni, aveva il potere di mandare completamente in crisi i soggetti di quella camera, se non avveniva secondo la prassi. Il processo, lento ma costante, aveva inizio pressapoco nel momento in cui dal letto più vicino alla porta – quello di Remus Lupin – cominciavano a essere visibili lievi movimenti, segno che il soggetto, non per niente conosciuto anche come “la sveglia umana” era ormai vicino a riprendere coscienza. Dopo pochi minuti Remus aveva ormai riacquistato del tutto le sue facoltà mentali, e cominciava a scrutarsi attentamente intorno, soffermandosi con aria critica sugli altri tre individui della stanza, ancora sprofondati nel sonno. Il solo guardare i volti angelici dei compagni di stanza, beati nel sonno, bastava a rinvigorire del tutto Remus. Si alzava di scatto, e con aria risoluta iniziava la sua opera. James Potter, in ordine di vicinanza dal letto, era il primo. Uno a uno i tre Malandrini venivano privati, con gesti meccanici e concisi, di coperta e di cuscino e, per quanto riguardava Sirius Black, di peluche. Le tre vittime a quel punto iniziavano ad agitarsi nel sonno, tentando con disperazione di riappropiarsi dei preziosi oggetti. Ma Remus Lupin non si fermava, certo che no: Il Risveglio era solo all’inizio. Nel giro di pochi secondi le finestre erano aperte, e James Potter, Sirius Black e Peter Minus venivano appesi senza troppa delicatezza al soffitto. Ben presto il sangue che affluiva alla testa bastava a risvegliare del tutto i tre malcapitati, che si ritrovavano inermi a oscillare sopra la stanza. Nonostante quello fosse il triste destino a cui erano abituati da tempo immemorabile, James Potter, Sirius Black e Peter Minus di certo non si davano per vinti: il sonno veniva velocemente sostituito da un’insaziabile sete di vendetta, che li portava a liberarsi dalla trappola dell’amico attraverso le tecniche più svariate e, dopodichè, a scatenare una cruentissima rappresaglia. Dopo qualche minuto di lotta furibonda durante la quale tutto era concesso, Remus Lupin riusciva a correre al riparo chiudendosi in bagno, e dopo quindici minuti ne usciva completamente lavato e vestito. Gli altri tre, che nel frattempo avevano continuato a combattere valorosamente, si rassegnavano all’idea che fosse giunta l’ora e, uno alla volta, entravano in bagno per uscirne poi pronti per la colazione.
Il Risveglio era così concluso. Certo, qualcuno avrebbe potuto dubitare sulla validità di tale metodo, dato che portava a una completa distruzione del dormitorio maschile già di prima mattina, ma Remus Lupin, dopo anni di esperimenti vari, era convinto che non ci fosse un modo più incisivo ed efficace di quello per buttare giù dal letto i suoi compari; i tre martiri, del resto, sembravano accettare di buon grado quella soluzione, visto che dava loro l’opportunità di cominciare la giornata con una bella azzuffata.
E quando, per qualche motivo, Il Risveglio non avveniva secondo la tradizione, era scientificamente provato che la giornata fosse segnata dalla iella in modo inevitabile.
 
Perciò, quando quella mattina cominciai a individuare i primi segnali del Risveglio, stetti attenta a non compiere il minimo movimento che avrebbe potuto alterare il procedimento, e mi limitai a osservare con aria estremamente interessata ogni singola azione di Remus, per poi appuntarla meticolosamente sul foglio. Come Remus, mi fidavo ciecamente dell’efficacia del processo, e avevo una mezza idea di riproporlo alle mie compagne di camera, data la grande fatica che facevano ogni mattina quando giungeva l’ora di alzarsi.
Remus si rese conto della mia presenza solo quando accorse a passi decisi in direzione delle finestre, pronto a spalancarle in un solo gesto. Si fermò, stupito, ma prima che potesse dire alcunchè mi affrettai a sorridergli in modo incoraggiante, facendogli cenno di rimanere in silenzio, e mi spostai per lasciarlo lavorare liberamente.
Quando giunse il momento di appendere James, Sirius e Peter al soffitto, ero talmente estasiata che avevo persino smesso di prendere appunti, limitandomi a seguire  con la massima attenzione ogni passo del procedimento.
“Felpato, lo vedi anche tu? Quel bastardo di Lunastorta ci ha appesi al soffitto!”
“Certo, Ramoso, non fare l’idiota: lo fa tutte le mattine”, replicò Sirius in tono piuttosto annoiato. A differenza di James, non di dimenava nemmeno. Si limitò semplicemente a impugnare la bacchetta, che aveva astutamente nascosto… nelle mutande?! Merlino, dimmi che non è vero…, e con un gesto elegante si liberò dall’incantesimo. Peccato che non riuscì ad atterrare sul pavimento altrettanto elegantemente, e che si sfracellò al suolo sbraitando imprecazioni a tutto volume.
“Lupin, qui, immediatamente!”, urlò in tono vendicativo, preparandosi all’inseguimento.
Caricaaaa!”, lo spronò James, che seguendo le imprese dell’amico, si era completamente dimenticato di essere ancora appeso al soffitto della sua camera. “Placcalo Sirius, adesso, così! Bel colpo! La bacchetta, Felpato, te la sta buttando fuori dalla finestra!
Con un ululato selvaggio Sirius si scagliò contro il povero Remus, scaraventandolo per terra. In quel momento James decise che era giunto il momento di passare all’azione, e con un possente grido degno di Tarzan si lasciò cadere sul pavimento, rischiando di centrarmi in pieno. Lo schivai agilmente e mi spostai ancora più vicino alla porta, pensando che forse era ora di tagliare la corda e scappare da quell’inferno.
Fui però costretta a cambiare idea quando Remus, tirando fuori le sue fino ad allora sopite abilità di pugile, si liberò da entrambi i corpi che lo seppellivano, e scagliò i due aggressori contro il letto.
“Così, Remus!”, lo incitai, orgogliosa del mio migliore amico, ma la mia voce venne completamente coperta dai rantoli di James, che aveva sbattuto la testa contro il comodino e ora pretendeva di essere in punto di morte.
“Ma per piacere, James…”, lo schernì Remus in tono sprezzante. “...vieni a prendere il resto, sottospecie di cerv-… Ahiaaaa!
“GRANDE, CODALISCIA!”, esultarono James e Sirius contemporaneamente. Peter, infatti, dopo aver passato i precedenti dieci minuti a guardarsi intorno con triste rassegnazione, sembrava aver trovato il modo per liberarsi dal cappio invisibile che lo teneva legato al soffitto e, con un tempismo veramente ammirevole, era caduto con tutto il suo dolce peso proprio sopra a Remus.
“Ragazzi, l’ho ammazzato.”, borbottò in tono mortificato, dopo essersi reso conto che Remus non dava il minimo segno di vita.
“Se l’è meritato, Peter.”, scandì lentamente Sirius, guardando con aria soddisfatta il corpo inerme dell’amico. “Non farti venire i sensi di colpa.”
“Sì, sei stato grandioso, Codaliscia!”, si complimentò James, entusiasta. “Un colpo da maestro, non avrei saputo fare di meglio…”
“Bene, dobbiamo nascondere il cadavere.”, constatò Sirius con estrema tranquillità.
“Ma per favore!”, intervenni a quel punto, scandalizzata. “Siete veramente senza cuore…” I tre mi guardarono allibiti, mentre sfoderavo la bacchetta e la puntavo contro il petto di Remus. “Reinnerva.
“Ma brava, sei contenta, adesso?”, mi accusò James in tono risentito, non appena Remus cominciò a dare qualche segno di vita. “Avremmo potuto liberarcene una volta per tutte…”
“E poi da dove spunti, Summerland?”
Prima che potessi ribattere, Remus si svegliò del tutto. Lanciò una lunga occhiata gelida ai suoi tre amici, tuttavia sembrò rendersi conto di non trovarsi in condizioni tali da potersi vendicare, e con un gemito sofferente si rialzò dal pavimento. “Non finisce qui, comunque!”, precisò in tono sdegnoso, avviandosi a grandi passi (un po’ zoppicanti) verso l’uscita della stanza.
“Ehi, ma oggi è sabato!”, esclamò James in tono gioioso. “È non è solo sabato… è anche il giorno della mia prima ronda… ah, riuscite a crederci?!”, esultò chiudendo gli occhi per rendersi pienamente conto di quella meravigliosa verità. “Passerò un’intera sera con Evans, e…”
“… e lei ti insulterà e litigherete come al solito, sì, riusciamo a crederci”, lo interruppe Sirius, scocciato. “Ora, con permesso, vado a fare colazione.”
“Anch’io”, fece Peter, facendo del suo meglio per imitare il tono contrariato di Sirius.
 
Nonostante l’ora veramente tarda il tavolo dei Grifondoro, i meno mattinieri di Hogwarts, era ancora affollato. James e Sirius si sedettero con estema non-chalance vicino a Remus che, ancora profondamente scosso, era intento a raccontare le sue disavventure a una piuttosto disorientata Juliet.
“…E così me li sono tolti di dosso, no? Stavo per finire con James, quando quel sacco di patate di Peter…”
Ehi!”, protestò quest’ultimo, offeso. “Modera i termini, Remus!”
“… mi è caduto addosso. Ho perso i sensi, e questi tre psicopatici hanno cercato di farmi fuori una volta per tutte…”
“Non è andata esattamente così, amico.”, lo corresse Sirius, avvicinando a sé tutti i vassoi presenti nel raggio di cinque metri.
“…insomma, sto impazzendo!”, continuò Remus, rivolgendosi soltanto a Juliet. “Un giorno o l’altro li ucciderò tutti e mi sbatteranno ad Azkaban…”
“Dai, Remus”, cercò di confortarlo Juliet, senza però riuscire a trattenere una fragorosa risata. “Capita a tutti, no?”
“Ah sì?”, ribattè Remus, velenosamente. “Perchè scommetto che Georgia tenta di buttarti giù dalla finestra tutte le mattine, non è vero?”
Heloïse arrivò in Sala Grande in quel momento, e si sedette accanto a Juliet. “Gente,”, esclamò in tono allegro, “oggi non c’è Hogsmeade, ma possiamo uscire lo stesso, no? Il tempo è bello!” Prima che qualcuno facesse in tempo a rispondere, continuò: “Vi voglio tutti qui in Sala Grande tra un’ora!”, per poi iniziare ad abbuffarsi di uova strapazzate.
 
***

Nonostante fosse ormai settembre inoltrato il sole mattutino scaldava ancora l’aria, e camminare nel parco era estremamente piacevole. Il suolo era completamente ricoperto da uno strato di foglie secche, che scricchiolavano al passaggio dei nostri piedi, unico rumore in mezzo al silenzio confortevole della natura. Persino il lago sembrava più calmo del solito, un immenso specchio scuro e immobile. Della piovra gigante, neanche l’ombra.
James e Sirius si scambiarono uno sguardo complice, ma Remus fu abbastanza svelto da precederli: “Fa freddo, vi prenderete una polmonite se fate il bagno.”
“Remus, devo ricordarti cosa ti è successo stamattina?”, gli domandò Sirius in tono fintamente gentile. “Oppure vuoi prenderla tu, la polmonite?”
Ci sedemmo sulla poca erba della spiaggia, disposti quasi in semicerchio. Solo James e Sirius rimasero in piedi, a guardarci sorridenti. “Oh, andiamo! Nessuno vuole fare il bagno?”
“Certo che sì!”, esclamò Kenny all’istante, quasi indignato dal pensiero che si potesse dubitare di lui in quel modo. Lui e Benjy si alzarono insieme, avviandosi verso la riva a passo sicuro. Erano esattamente alti uguali, ma Benjy aveva le spalle un po’ più larghe. Se Heloïse non mi avesse riservato una gomitata nelle costole e in seguito un ghigno di approvazione, probabilmente sarei rimasta a osservarlo ancora a lungo. Arrossii, spostando in fretta lo sguardo.
“Allora, non venite?”, gridò Sirius, che stava già iniziando a togliersi la maglietta. “Summerland, nemmeno tu?”, mi provocò. “Andiamo, l’ultima volta ti era piaciuto, no?”
“Quando?”, domandarono Georgia e Juliet, curiose.
“Oh, non mi ricordo…”, fece Sirius, indirizzandomi un sorriso malizioso. “Stavano per metterci insieme, giusto amore?”
“No, Black, non stavamo per metterci insieme”, ribattei arrabbiata. Oltre che uno stronzo, Sirius era anche un gran bugiardo, e si divertiva a divulgare queste false notizie riguardo al nostro inopportuno passato insieme, passato che, per quanto mi riguardava, era da rimuovere al più presto. Mi accorsi che Benjy mi stava guardando, e andai ulteriormente nel pallone. “E comunque, non ho il costume!”
“Beh, nemmeno noi.”, replicò Sirius senza scomporsi. “Allora… Minus, Baston, su! Lupin, a te non lo chiedo nemmeno, Summerland ha già rifiutato… mentre il resto delle signore verranno di sicuro, non è vero?”
Georgia scosse freneticamente il capo, tirandosi un po’ indietro.
“Ma dai, Hill!”, protestò Teddy, e avvicinandosi in maniera fulminea l’afferrò per le spalle, portandosela dietro verso la riva e buttandola in acqua, ancora vestita.
“Banale, estremamente banale.”, commentò Heloïse osservando la scena con aria delusa. “E privo di fantasia, decisamente… a Georgia non piacerà, no.”
“Che cosa?”, le domandai confusa, senza fare troppo caso alle urla infuriate di Georgia.
“Juliet non te l’ha detto?”, esclamò lei con stupore. “Abbiamo deciso di combinare quei due, potrebbe funzionare, e poi voglio che anche Georgia si trovi qualcuno… in più Baston è un gran pezzo di ragazzo, ammettiamolo.”
In effetti, non si poteva proprio dire che Teddy fosse brutto; tra lui, Kenny e Benjy non avrei saputo decidere chi fosse il più carino.
“Dovresti smetterla con questa mania di combinare la gente, Heloïse, sta diventando un’ossessione…”
“Allora, venite sì o no?”, ci gridò Kenny, seccato.
“Sto arrivando!”, protestò Juliet, che in effetti si era già tolta gran parte degli indumenti e ora trotterellava verso l’acqua, in mutande e reggiseno. Sorrisi, scuotendo la testa. Juliet non cambiava mai. Istintivamente mi voltai a guardare Remus, senza che lui se ne accorgesse. Mentre osservava Juliet lo vidi prima impallidire, poi arrossire furiosamente. Quando Kenny le battè il cinque e le passò un braccio attorno alla vita per guidarla in acqua, tuttavia, distolse lo sguardo.
“Ah, lei sì che ha un bel fisico!”, commentò Heloïse, che come Remus aveva seguito la scena. Gli lanciò un’occhiata di striscio, sorridendo compiaciuta. “Eppure non ha mai avuto un ragazzo. È strano, vero Remus?”
“Molto.”, borbottò lui, laconico.
“Forse sta solo aspettando quello giusto, no?” Dopo qualche secondo di pausa, affinchè il criptico messaggio potesse giungere forte e chiaro alle orecchie di Remus, Heloïse aggiunse, come se niente fosse: “Bene, adesso andiamo a fare il bagno anche noi.”
“Troppo imperativa, Heloïse.”, commentai sbuffando.
Gli altri erano già tutti in acqua, e non sembravano risentire particolarmente del freddo. Mi bagnai la punta dei piedi con estrema diffidenza, e repressi a fatica un brivido. Benjy, lì accanto, scoppiò a ridere. “Poche storie, adesso vieni anche tu…” Mi prese per il polso e mi trascinò con decisione verso gli altri.
“Summerland, com’è che lui lo ascolti mentre se te lo chiedo io non ti muovi?”, mi domandò Sirius in tono fintamente  risentito. Poi mi schizzò in faccia e riprese la sua precedente occupazione, cioè cercare di annegare Peter, mentre Remus, ancora offeso per gli avvenimenti del mattino, faceva lo stesso  con James.
Mi avvicinai con un paio di bracciate a Georgia ed Heloïse, e anche se ben presto mi ritrovai ridotta a un cubetto di ghiaccio, cercai di resistere stoicamente il più a lungo possibile. Alla fine, tuttavia, dovetti arrendermi.“Voi siete pazzi.”, balbettai tremando dalla testa ai piedi. “Io esco.”
“Ma cosa?!”, mi gridò Juliet, che sguazzava in compagnia di Kenny, estremamente a suo agio. “Si sta benissimo!”
Le lanciai un’occhiata veramente esasperata e feci per avviarmi verso riva, quando all’improvviso sentii un paio di braccia circondarmi le spalle, calde e accoglienti. Sorrisi appena, girando il viso quel che bastava per riconoscere il profilo di Benjy.
“Stai tremando come una foglia…”
“Beh, non mi sembra che tu sia messo tanto meglio.”, risi sfiorando la pelle d’oca che gli ricopriva le braccia. Spontaneamente lasciai che mi stringesse di più al suo petto, abbandonando la testa contro la sua spalla.
“Vuoi che usciamo?”, mi domandò, divertito. Io annuii freneticamente, avviandomi verso la spiaggia.
“Eppure  questo non è niente,  niente in confronto a marzo di due anni fa”, mi assicurò Benjy scuotendo la testa, mentre ci sedevamo ad asciugarci poco lontano dalla riva, uno di fianco all’altra. “Ho dovuto fare il bagno per scommessa…è stato veramente terribile. C’era ancora la neve.”
Scoppiai a ridere, rabbrividendo al solo pensiero e stringendomi di più nel maglione.
“Oh, io fossi in te non la prenderei tanto alla leggera.”, replicò Benjy, in tono fintamente drammatico. “Se non fosse stato per Madama Chips, sarei sicuramente passato a miglior vita…”
Mentre ridevo mi cadde lo sguardo sulle nostre mani, appoggiate sulla roccia a pochi millimetri di distanza l’una dall’altra. Le dita di Benjy giocherellavano con le mie, ancora irrigidite dal freddo. Per qualche secondo rimasi in silenzio a contemplare le nostre mani unite, le mie piccole e chiare, le sue più grandi, abbronzate. Era strano, ma non pensai neanche per un attimo di interrompere quel contatto.
D’altronde, per quello c’era sempre Peter.
“S-s-sto morendo di fred-d-do...”
L’indistinto balbettio dell’intruso mi colse del tutto di sorpresa, tanto che sobbalzai violentemente, e la mia mano scattò verso l’alto, andando a ricongiungersi in grembo con l’altra.
“Oh… Peter, ciao.”, farfugliai arrossendo di colpo e alzandomi in fretta per fargli posto. “Asciugati, dai, prima che ti venga un malanno…”
Anche Benjy aveva allontanato la mano, e ora era tornato a guardare il resto della combriccola, ancora in acqua, in attesa che anche gli altri si decidessero a uscire. Alla fine, chi prima chi dopo, tutti dovettero desistere. Tutti, a parte Juliet e Sirius, naturalmente, che rimasero in acqua fino a quando il sole, già di per sé pallido, venne definitivamente sostituito da una coltre di nuvole, e una pioggerella leggera ma insistente iniziò a increspare la superficie del lago.
“Beh…forse ora potremmo anche tornare.”, commentò Sirius, finendo di asciugarsi in fretta e furia.
Grazie, Felpato.”, replicò Remus in tono sarcastico, incamminandosi alla volta del castello. Sirius e James avevano cercato di affogarlo almeno un miliardo di volte, nei minuti prima, di conseguenza era di umore veramente nero.
“Ma dai, Lunastorta!”, si inserì James, “Sei ancora arrabbiato? Era uno sch-… etciù.
“Salute!”, esclamarono in coro Georgia e Peter, mentre lui tirava su con il naso, guardando Remus con aria guardinga. Quest’ultimo sorrideva, estremamente compiaciuto.
“Era per caso uno starnuto, James?”
“No, non… esattamente.”,  replicò lui in tono spavaldo.
Durante il tragitto verso il castello tentò inutilmente di trattenersi, ma non ci fu niente da fare, ormai il danno era fatto. Quando avevo perso il conto del numero dei suoi starnuti, si girò verso Remus, guardandolo in cagnesco. “Non provare nemmeno a dirlo, Lupin.”, scandì con lentezza.
“Mi dispiace, James…”, replicò quest’ultimo con aria serena. “Ma io te l’avevo detto.”
“Amico, sei spacciato!”, commentò Sirius battendo una pacca di conforto sulla spalla di James. “Stasera ha la ronda, non puoi presentarti in queste condizioni!”
“Non è niente, – etciù – devo andarci, non so se comprendi… Lily Evans, Felpato, Lily Evans per una sera intera… ed è solo un po’ di raffreddore!”
 
Che fosse raffreddore o influenza, come invece aveva pronosticato Remus, quella sera James non stava affatto meglio. Si presentò a cena con gli occhi gonfi e lucidi, il naso rosso e una grande scatola di fazzoletti, continuando a ripetere, tra uno starnuto e l’altro, che non si era mai sentito così bene in vita sua.
“James, non dovresti andarci.”, tentai di dissuaderlo per l’ennesima volta, poggiandogli una mano sulla fronte. “Ti sta venendo la febbre, ne sono sicura.”
“Sciocchezze.”, mi liquidò lui in tono sprezzante, salvò poi piegarsi in due un secondo dopo a causa di un possente starnuto che l’aveva colto totalmente alla sprovvista.
 E quando fu ormai evidente che James non avrebbe ceduto per nessuna ragione al mondo, l’unica cosa che mi rimase da pensare, anche se non sapevo bene nemmeno io il perché,  fu che quella serata non sarebbe andata a finire troppo bene.
 
***

 La mattina seguente, in effetti, l’unico Malandrino che si presentò a colazione fu Peter.
“James non sta troppo bene…”, mi spiegò sedendosi di fianco a me. “Ha detto che non vuole fare colazione…”
Beh, che James non volesse fare colazione, questa sì che mi giungeva nuova. “Ha l’influenza, quindi?”
“Ehm, non proprio…”, borbottò lui lanciandomi un’occhiata eloquente. “Chiamiamolo piuttosto mal di Evans.”.
Sospirai, alzando gli occhi al cielo. “In tal caso, gli porteremo la colazione a letto e lo faremo rinsavire. Georgia, non potresti venire anche tu?”, aggiunsi pensando che affrontare James in quello stato senza un’altra presenza femminile di sostegno sarebbe stato alquanto faticoso.
 
 “Allora, Capitano, come va?”, esclamai in tono allegro appena entrata in camera, posandogli il vassoio della colazione sul comodino.
James, disteso sul suo letto a fissare il soffitto con espressione vacua, si girò a guardarci, imbronciato.
“Uno schifo. Lily mi detesta, non c’è niente da fare...”
Per lo meno, James aveva il pregio di andare dritto al punto senza che fosse necessario ricorrere a tanti giri di parole.
“Andiamo, Ramoso, piantala.”, sbuffò Sirius esasperato. “Le passerà, prima o poi.”
“Lo dici tu.”, bofonchiò lui, rabbuiandosi.
“Ma cos’è successo?”
“Niente di che”, fece lui in tono apatico. “Io… non stavo troppo bene, non ero molto lucido e in più stare con lei mi mette sempre in agitazione, e… mi sono dimenticato tutte le cose che mi avevate detto tu e Remus, e le ho chiesto di uscire e ho fatto l’idiota come al solito, anche se non volevo…”
Mi dispiaceva veramente vedere James così in pena, soprattutto perché sapevo quanto aveva tenuto a quella ronda. Avrei voluto essergli d’aiuto in qualche modo, ma sapevo che quello che diceva era la verità, e che non c’era niente con cui avrei potuto farlo sentire meglio. Lanciai un’occhiata sconsolata a Remus, che a sua volta alzò le spalle, scuotendo la testa.
 “James, non è così grave”, tentai di rassicurarlo.
“Non so veramente più cosa fare!”, ribattè lui, arrabbiato. “Più mi importa di lei e più sbaglio, continua a odiarmi come il primo giorno di scuola…”
“James, ascolta.”, intervenne Georgia, con il tono di voce più sicuro e convincente che avessi mai sentito. “Non puoi ridurti in questo stato per Lily, capito?”
“Ben detto, Hill”, approvò Sirius, annuendo con aria saputa.
 “Lei lo capirà, prima o poi, ma devi lasciare che lo faccia da sola, okay? Tu ti sei già impegnato abbastanza, in questi anni. Non pensi che ora tocchi a lei? Piantala di chiederle di uscire, lasciala un po’ perdere e si accorgerà di quello che rischia di rimetterci...”
“Sì, detto da te sembra facile, non è vero?”, la interruppe James, arrabbiato. “Come faccio a lasciarla perdere? La vedo e le chiedo di uscire, è un impulso!”
Georgia scoppiò a ridere, scuotendo la testa. “Andiamo, James, devi provarci. Sono sicura che funzionerebbe.”
James la fissò, dubbioso. Poi sospirò e si alzò dal letto. “Non penso che ce la farei.”
Senza un’altra parola uscì dalla stanza, ancora più abbacchiato di prima.
“Ma che cosa gli prende?!”, domandò Peter, guardando confuso la porta dietro alla quale James era appena scomparso.
Io e Georgia ci scambiammo un’occhiata eloquente; dal suo sguardo, era chiaro che la pensava esattamente come me. “Si sta innamorando di lei, no?”, sospirai facendo spallucce. “E questa volta per davvero.”
“Ma certo.”, esclamò Sirius, fissandomi in modo strano. Ci misi qualche secondo per capire che aveva parlato con il solito sarcasmo sprezzante. “Perché tu te ne intendi, non è vero? Tu lo conosci davvero bene, James!”
“Sirius, ti prego.”, sbuffò Remus, seccato.
“No, lascia perdere.”, lo interruppi io. Sirius mi stava ancora guardando con aria di sfida, i suoi occhi erano gelidi. “Meglio se tolgo il disturbo, evidentemente c’è ancora qualcuno che ha dei problemi con me…”
Me ne andai proprio come James, e Georgia mi seguì.
“Io Sirius non lo capisco proprio…”, commentò, stranita.
“Non lo dire a me.”, sibilai rabbiosamente. Dopo tutto il tempo che era passato, che ancora io e Sirius non riuscissimo a trattarci in maniera civile mi sembrava veramente assurdo.
 
***
 

In ogni caso, il giorno dopo feci in fretta a dimenticare i problemi di James e le stranezze di Sirius.
Quel lunedì mattina, infatti, la maggior parte dei pensieri di noi Grifondoro del sesto anno erano concentrati sulla lezione di Difesa  contro le Arti Oscure che si sarebbe tenuta di lì a poco.
Quell’anno la cattedra di quella materia era stata affidata ad Alanis Brent, una giovane Auror che aveva gentilmente accettato la proposta di Silente e che, dopo la serie di imbecilli incompetenti che si era succeduti negli anni precedenti, aveva portato un bel po’ di cambiamenti nel castello. Innanzitutto, a differenza della gran parte dei professori di Hogwarts, non aveva nemmeno trent’anni. Questo, insieme all’aspetto attraente, al modo di fare sempre vivace e all’originalità delle sue lezioni, aveva fatto sì che in breve tempo Difesa contro le Arti Oscure diventasse la materia preferita di tutta la popolazione maschile del castello. E anche le ragazze non potevano non considerare la Brent una delle migliori insegnanti di Hogwarts.
Perciò era più che certo che si sarebbe trattato di una lezione fuori dalla norma, e questa nostra convinzione era resa ancora più indiscutibile dal fatto che l’unica informazione che ci era stata data al riguardo dalla sopraccitata professoressa era il luogo in cui si sarebbe tenuta la lezione, una delle aule più grandi del castello, di solito riservate unicamente agli esami pratici dei M.A.G.O.
“Ci farà ancora duellare, è ovvio!”, esclamò quella mattina Heloïse, mentre ci avviavamo verso l’aula del settimo piano insieme ai nostri compagni.
“Ma con i duelli ci siamo già esercitati la settimana scorsa!”, la contraddisse Juliet. “Sarà sicuramente qualcosa di nuovo.”
“Beh, lo spero”, grugnì Heloïse, di cattivo umore. “Sono stufa marcia di tutti quelli Schiantesimi che volano per l’aula, non ti puoi distrarre un attimo che ti sbattono per terra… ehi, cosa ci fate voi qui?!”
Appoggiati al muro di fronte all’aula trovammo infatti i Malandrini al completo, insieme al resto dei Grifondoro del settimo anno. La cosa mi preoccupò abbastanza.
“Lezione di Difesa, suppongo.”, rispose Remus alzando le spalle.
“Insieme a noi?”
“Proprio così, Heloïse!”, esclamò in tono allegro la voce della Brent, che era appena arrivata. “Forza, entrate! Potter, Black, come è andata la punizione con Vitious?”
“Alla grande, Alanis.”, rispose Sirius riservandole uno dei suoi sorrisi più abbaglianti. Lei sospirò, scuotendo la testa, con la solita aria a metà tra il divertito e il canzonatorio, e lo spinse all’interno dell’aula.
“Molto bene”, esordì battendo le mani vivacemente appena fummo tutti sistemati dentro la grande stanza. “Per oggi ho in mente una lezione sperimentale…”
“Strano…”, bofonchiò Georgia con un sorrisetto.
“…vedremo se funzionerà. Innanzitutto,dividetevi a coppie, uno studente del settimo anno con uno del sesto…” Prima che facessi in tempo a metabolizzare le sue parole, rimasi una delle poche persone ancora sole. Mi diressi in fretta verso Lily, che come me si guardava attorno, un po’ frastornata.
“Oh, grazie al cielo!”, sospirò sollevata non appena mi disposi di fianco a lei. “Avevo paura di dover stare con Smith… poverino, mi fa tenerezza, ma è così una frana che proprio non avrei saputo…”
“Bando alle ciance!”, la interruppe la professoressa. “Vedo che vi siete tutti sistemati per bene… ottimo. Quello che chiedo agli studenti del settimo anno, oggi, è di insegnare ai più piccoli come produrre un Incanto Patronus.”
Un mormorio sorpreso si levò dalla stanza. “Che cosa?!”, esclamò James, sconvolto.
La Brent lo ignorò. “Come molti di voi sapranno, l’Incanto Patronus, uno degli incantesimi più richiesti durante i M.A.G.O., è una magia difensiva molto potente, appositamente utilizzata per respingere i Dissennatori… per maggiori informazioni, andata a pagina 455 del manuale. Il resto ve lo insegnerà il vostro partner.”
Concluse il suo discorso con un sorriso soddisfatto, poi si sedette sulla cattedra, in attesa. “Coraggio, che cosa aspettate?!”, esclamò con impazienza.
“Ma… professoressa…”, balbettò Remus. “Come dovremmo fare?”
“Remus, da te mi aspetto grandi cose.”, replicò lei, ampliando il sorriso. “Non dovete far altro che insegnare tutto ciò che sapete al riguardo al vostro piccolo… non importa come.”
“Se lo dice lei…”, borbottò Lily, facendo spallucce.
“Beh, sembra… divertente”, mormorai sedendomi sul pavimento sotto la finestra. “Voglio proprio vedere come andrà a finire.”
L’unica cosa consolante era che Remus e Juliet erano in coppia insieme, a pochi metri da noi. Remus si era già lanciato nella spiegazione e Juliet lo ascoltava attentamente, il mento appoggiato su una mano.
“Bene, penso che dovremmo cominciare.”, esordì Lily, spostandosi i capelli dietro le orecchie con aria decisa. “Vedrò di fare quello che posso… sai che cos’è un Patronus, no?”
“Una specie di guardiano che protegge dai Dissennatori”, risposi ricordandomi di un tema che avevo svolto l’anno prima sull’argomento. “Assume le sembianze di un animale…”
“Per ognuno un animale diverso, quello che più ci rappresenta”, annuì Lily, sovrappensiero. “E fin qui è facile, il punto è come evocarlo.”
Di nuovo, mi lasciai distrarre dalla voce di Remus. “La nostra arma è la felicità, l’unica cosa che riesce a fermare un Dissennatore. Devi concentrarti su un pensiero o un ricordo, il più felice che tu riesca a trovare. Più è intenso, più il Patronus sarà potente…”
“Beh, esatto.”, mormorò Lily, che come me aveva seguito la spiegazione di Remus. “Lui lo sa spiegare molto meglio, quindi… quello che bisogna fare è pronunciare la formula, Expecto Patronum, tenendo a mente qualcosa di felice, veramente felice…”
Lily impugnò la bacchetta e socchiuse gli occhi, un sorriso lieve le spianò il viso, e pochi secondi dopo un bell’uccello argenteo dal lungo becco svolazzava etereo sopra di noi. In breve tempo si dissolse, sparendo nel nulla.
“È un’upupa.”, mi spiegò Lily, orgogliosa. “Carina, no?”
 Annuii, pensando che io e Lily forse avevamo più cose in comune di quanto pensassi. Sulla forma che avrebbe assunto il mio Patronus, infatti, avevo pochissimi dubbi.
“Beh, penso che dovresti provare.”, continuò lei, alzando le spalle. “Le prime volte è difficile, anzi, impossibile…”
Chiusi gli occhi e mi premetti le tempie, rivivendo i momenti più felici della mia vita.
La prima volta che avevo visto Hogwarts, lo Smistamento… il mio primo volo come rondine… la mia famiglia, le mie amiche…
Ma la confusione nell’aula era troppa per riuscire a concentrarsi, e quando un grosso cane color argento dall’aria familiare si mise a correre attraverso la stanza seminando il caos, ci dovetti del tutto rinunciare. Lanciai un’occhiata esasperata a Sirius, che osservava con visibile orgoglio il suo Patronus scorrazzare in mezzo alla gente, mentre Heloïse, la sua compagna, rideva a crepapelle. Qualcosa mi diceva che quei due insieme non avrebbero concluso molto, in quella lezione.
Improvvisamente, un cervo enorme iniziò a galoppare per l’aula, rincorrendo il cane e causando ancora più scompiglio e risate.
“Oh, Merlino.”, sospirò Lily. “Perché devono sempre fare gli idioti?!”
“Scricciolo, scusami!”, esclamò James subito dopo avermi investito, mentre correva dietro al suo Patronus vagante. “Ora lo fermo, ora lo fermo!”
Lily lo seguì con lo sguardo, scocciata. “Che razza di sbruffone”, sibilò voltandogli le spalle. “E pretende anche che lo tratti bene…”
“Ma dai”, protestai, con il tono di voce più gentile che mi riuscì. “James non è uno sbruffone, tutto sommato.”
Lily mi lanciò un’occhiata strana, inarcando un sopracciglio. “Beh, a me sembra uno sbruffone, invece.”
“Avresti dovuto vederlo dopo la ronda di sabato sera, allora.”
“Sì, scommetto che era triste perché ho rifiutato il suo invito a Hogsmeade, non è vero?”, ribatté in tono ironico. “Come se gliene importasse qualcosa, come se non ci fossero altre decine di ragazze disposte ad andarci con lui…”
In effetti, James non aveva tutti i torti. Parlare con Lily Evans in modo ragionevole era più difficile di quanto credessi.
“Io non lo vedo uscire con una ragazza da un sacco di tempo, sai?”, replicai pensierosamente. “Come non vedo molti altri ragazzi comportarsi come lui... continuare a chiederti di uscire nonostante i tuoi rifiuti…”
“Certo, è proprio questo che lo diverte, fa parte della sua stupida sfida!”
“… incassare gli insulti e trovare mille modi diversi per avvicinarti… nessuno farebbe una cosa del genere per gioco, nemmeno James.”
Lily mi guardò con un’espressione curiosa, che le aggrottava le sopracciglia. Poi, inaspettatamente, scoppiò a ridere. “Potter non si merita un’amica premurosa come te, sai?”, esclamò scuotendo la testa e i capelli. Prima che facessi in tempo a dire alcunchè, aggiunse: “E ora penso che dovresti provare con il Patronus.”
Le sorrisi, annuendo. “Bene, proviamo!”
Per quanto mi sforzassi però, tutti i tentativi di quel giorno non portarono a un bel niente. Solo verso la fine, quando ormai avevo raggiunto il massimo della frustrazione, dalla punta della mia bacchetta fuoriuscì un piccolo sbuffo d’argento. “Brava, c’eri quasi!”, esultò Lily, mentre io mi abbandonavo esausta contro la parete. Finora, l’unico ad esserci riuscito fra quelli del sesto anno  era Kenny, che ora se la rideva con Mary MacDonald.
“Mangia questo, Juliet.”, stava dicendo Remus, porgendo una tavoletta di cioccolata alla sua compagna. “Alle nocciole, il tuo preferito, ti farà bene.” Le sorrise, con aria incoraggiante, ma Juliet non ricambiò, né accettò la cioccolata. Si scostò da lui in maniera brusca, afferrando la bacchetta e ritentando l’incantesimo.
“Juliet, dovresti riposarti un attimo…”, cercò di convincerla Remus, posandole una mano sulla spalla.
“Non devo riposarmi proprio per niente, Remus!”, esclamò con rabbia. Dopodichè raccolse la sua borsa con uno scatto fulmineo, riponendo la bacchetta nella tasca, e fece per avviarsi verso la porta dell’aula.
Remus la bloccò per il polso, alzandosi in piedi. “Ma che cosa ti prende?”, lo sentii esclamare, dispiaciuto. Nella foga del momento, entrambe le sue mani avevano stretto i polsi di Juliet, tanto che forse non li avevo mai visti così vicino l’uno all’altra. Juliet abbassò lo sguardo, inclinando il capo per sfuggire ai suoi occhi. “Scusami, Remus, io… non volevo.”, mormorò, più calma. Lui la lasciò andare, ma dal modo con cui continuava a guardarla capii che era rimasto confuso, che per una volta, forse la prima, aveva davanti una persona che non riusciva a comprendere fino in fondo, diversa e difficile, un rompicapo, ma che proprio per questo aveva bisogno di conoscere ancora di più, da più vicino.
 
All’improvviso, la professoressa Brent distolse la mia attenzione da quei pensieri che, ne ero sicura, avevano assorbito anche Remus fino a un attimo prima. “Bene, per oggi può bastare!”, esclamò raccogliendo le sue cose e sorridendoci, soddisfatta. “Continuate ad allenarvi con il vostro partner... riprenderemo la lezione lunedì prossimo.”  
 
 
 
 
 
 


Note dell’autrice:

Okay, credo di averci messo di nuovo un secolo ad aggiornare… Ciao a tutti! Sono ufficialmente un disastro, anche d’estate, lo so, ma per due settimane sono stata via senza riuscire a scrivere, poi la connessione ormai fa quello che le pare e piace, quindi si fa quel che si può!
Sul capitolo vi devo chiedere scusa per due cose: innanzitutto Remus e Lily sembrano di nuovo (o ancora) in alto mare e la sto tirando un po’ troppo per le lunghe, me ne rendo conto, però per il prossimo capitolo ho in mente un paio di idee che potrebbero farci fare parecchi passi avanti (sempre che poi riesca a metterle in atto, cosa da cui fossi in voi diffiderei), quindi dovete pazientare ancora un po’. È che essendo due personaggi un po’ particolari preferisco andare più lenta piuttosto che rischiare di trascurare aspetti della loro personalità o cose del genere.
Poooi, Sirius è presente pochissimo in questo capitolo, e mi dispiace molto, ma diciamo che avevo delle cose più urgenti di lui da sbrigare.
 
Infine, Lily e James. Mi pare abbastanza ovvio che quello che James prova per Lily sta iniziando a diventare qualcosa di più serio, e che per lui comincia a diventare più difficile sopportare i suoi rifiuti e i suoi insulti, che lo fanno stare peggio del solito. Ovviamente ci vorranno molti e molti capitoli per sviluppare meglio la cosa, e Lily ci metterà dei secoli per rendersene conto e cambiare idea su di lui (a questo proposito, non essendo ancora innamorata di James ovviamente il suo patronus non poteva essere una cerva, quindi ne ho scelto un altro).
Per quanto riguarda Sirius, sempre a proposito di James e Lily c’è un momento – non so se lo ricordate – in cui si arrabbia con Bea senza che si capisca bene perché, e immagino che vi siate chiesti il motivo. Il fatto è che anche lui si rende conto che i sentimenti di James cominciano a cambiare, e ha paura che questo li possa allontanare, rovinando il loro rapporto.  Per questo reagisce in modo così violento, anche se Bea e gli altri non c’entrano.
 
Okay, uff, spero di essere stata abbastanza chiara, e di riuscire a fare più in fretta con il prossimo capitolo!
Intanto un super grazie a tutti voi, come sempre :)
Trixie

 

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Capitolo 39
*** Temporali ***




Trentanovesimo capitolo: TEMPORALI


In Guferia, quella sera, le stilettate di pioggia fredda entravano di sbieco dalle finestre senza vetri e colpivano con forza i muri di pietra e il pavimento sudicio. Mi affrettai a concludere la lettera, scrivendo in stampatello il nome di Dexter sul davanti della busta e applicando un incantesimo in modo che l’acqua non rovinasse la pergamena. Poi la legai alla meno peggio alla zampetta del gufo postino, che mi fissava intensamente, un’ombra di rimprovero negli occhi ambrati. È proprio necessario?, sembrava chiedermi.
Scusami, bello.” ,mormorai dandogli una carezza di incoraggiamento.  Di sicuro non trovava particolarmente allettante l’idea di dover affrontare la tempesta fino a Salisbury, andata e ritorno, quando avrebbe potuto starsene tranquillo in Guferia assieme agli altri postini, e ovviamente non potevo che dargli ragione. Ma era anche vero che da quando ero tornata ad Hogwarts non avevo ancora mai sentito il mio amico Dexter, e la nostalgia cominciava a farsi sentire. Perciò gli risposi mentalmente che sì, era proprio necessario.
“Buon viaggio, eh?”
Fece schioccare il becco, in modo quasi scettico, e si avventurò fuori dalla finestra, per sparire immediatamente tra le nubi scure della notte.
Ripercorsi in fretta il tragitto verso la Torre di Grifondoro, con la mezza idea di scaraventarmi sul divano più vicino al fuoco non appena giunta in Sala Comune. Dovetti però cambiare programma quando, varcato il passaggio dietro al ritratto della Signora Grassa, mi ritrovai di fronte una scena piuttosto bizzarra.
La Sala Comune era ormai quasi del tutto spopolata, cosa che, insieme al brutto tempo che infuriava dietro alle finestre, la faceva sembrare stranamente triste e deprimente. Delle poche persone che riconobbi, due in particolare attirarono subito la mia attenzione: Remus e Juliet sedevano agli estremi opposti della stanza, dandosi le spalle, in silenzio. Il primo era sprofondato nella lettura di un vecchio libro, la seconda giocava in modo piuttosto svagato con un modellino in miniatura del Sistema Solare.
Spiazzata, mossi qualche passo verso il centro della stanza. Poi mi fermai, voltando la testa da una parte all’altra. “Ehi, ciao…”, salutai, in tono un po’ incerto.
“Ciao!”, fece Juliet, tranquilla. Remus alzò il capo e mi sorrise. Rimasi a tentennare ancora un po’, poi mi avviai verso Juliet e mi sedetti di fronte a lei, scrutandola attentamente. Non c’era niente, però, che mi lasciasse indovinare cosa fosse successo. Perché qualcosa doveva essere successo di sicuro, pensai con decisione.
“Non è una figata, questa roba?”, mi domandò Juliet in tono forse un po’ troppo entusiasta, osservando Giove e i suoi satelliti ruotare attorno al Sole.
“Proprio… da dove viene?”
“Oh, l’avevamo comprata io e Heloïse a Diagon Alley, pensavamo che potesse essere utile…”
“Sì, soprattutto ora che Heloïse ha mollato Astronomia, non è vero?”
Juliet fece spallucce, senza sorridere. Rimasi in attesa di una qualsiasi parola da parte sua, cosa che si rivelò del tutto vana. Sembrava totalmente assorbita dal suo modellino, anche se osservandola mi accorsi che qualche volta il suo sguardo si distraeva e si fissava su chissà quale pensiero. Alla fine, quando mi ero ormai rassegnata, si alzò stiracchiandosi. “Sono stanca.”, biascicò afferrando il suo modellino e avviandosi verso le scale. “Buonanotte.”
“’Notte.”, mormorai, ancora più stranita di prima. Remus le indirizzò un rigido cenno di saluto con il capo, poi tornò a leggere, come se niente fosse. Fu verso di lui che mi diressi non appena la figura di Juliet fu sparita da dietro le scale.
“Beh?”, esordii, con un sospiro. “Che cos’hai combinato?”
Quantomeno, fui felice che per una buona volta evitasse le scene da finto tonto. Chiuse il libro con un tonfo secco, lo appoggiò sul bordo del camino e mi guardò, accigliato. “Volevo proprio parlartene. Evita di farmi ramanzine, ti prego, ma… ho pensato che fosse meglio lasciarla un po’ in pace. È così nervosa, negli ultimi giorni…”
Mi sistemai meglio sul divano, fissando il fuoco. “Con quello che sta succedendo fuori da Hogwarts… lo siamo tutti, no?”
“Ma lei più degli altri.”, ribattè lui.
“Immagina se Sirius non fosse scappato di casa, e vivesse ancora con i suoi genitori, schierati apertamente con il Lato Oscuro.”, tentai di spiegarli. “Come pensi che si comporterebbe, Sirius? E per lei è la stessa identica cosa.”
Remus annuì, pensieroso. “Notizie di Rookwood?”
“Beh, Juliet mi ha detto che ora lavora al Ministero, nell’Ufficio Misteri.”
“Rookwood un Indicibile?!”, esclamò Remus, sorpreso.
Rookwood un Indicibile?!”, intervenne una terza voce. Sirius aveva appena attraversato il buco del ritratto e si stava dirigendo verso di noi, con aria profondamente interessata. “Rookwood, quel Rookwood, un Indicibile?”
“Sì, Sirius, un Indicibile, sospirai alzando gli occhi al cielo, mentre lui si sedeva nello spazio di divano libero tra me e Remus.
“Il mio amico Lunastorta…”, esclamò in tono affettuoso passandogli un braccio intorno alle spalle, “…e il mio amore.”, aggiunse sogghignando, mentre io mi ritraevo con prontezza di fronte alla sua carezza. “Ma ditemi di Rookwood, sono interessato!”
Gli raccontai brevemente quello che avevo appena detto a Remus. “È strano, no?”, conclusi, spostando lo sguardo da Sirius a Remus e poi di nuovo a Sirius. “Juliet pensa che ci debba essere qualcos’altro dietro, non era mai stato interessato a una carriera del genere, prima…”
In breve tempo la conversazione si spostò da Juliet a suo fratello e alla guerra. “E guarda”, esclamò Remus, afferrando un giornale spiegazzato che era stato appoggiato su un tavolino. “James ci ha detto che c’è stata un’altra sparizione, una Guaritrice del San Mungo, l’ha saputo da suo  padre… e la Gazzetta del Profeta non  dice niente. Niente.” Ci sventolò sotto il naso la Gazzetta, che riportava tra le notizie principali un calo nel mercato dei calderoni. “Così come non parla mai di Claire Lennox, non sappiamo nemmeno come stiano procedendo le indagini…”
“Spero che la ritrovino presto”, mormorai. Il sorriso gentile di Claire mi balenò davanti agli occhi, all’improvviso. Mi chiesi perché dovesse essere tutto così terribile.
“Non la ritroveranno.”, mi rispose Sirius. Lo guardai male, mentre lui continuava: “Potrebbe essere ovunque.”
“Io spero che la ritrovino, in un modo o nell’altro.”, ripetei, con ostinazione. “E questo cos’è?”, domandai dopo un attimo di silenzio, prendendo un altro giornale dal tavolino, nel tentativo di dissolvere la tristezza improvvisa che ci era calata addosso.
“Oh, quello… Il Cavillo”, esclamò Remus sprezzantemente. “È spazzatura, non stare a leggerlo. Xeno Lovegood ha cominciato a redarlo da qualche settimana, ma non c’è nessuno che lo legga, ovviamente. Soltanto la sua amica, Juniper Collins , gli dà corda e lo aiuta a scrivere…”
“Juniper?! Quella Juniper?”, scattò su Sirius, con un ghigno poco rassicurante. “Dio mio, che ragazza, ed è una delle uniche che non me l’abbiano ancora mai da-… ”
Sirius!”, lo interruppe Remus, spazientito. “Come sei sempre delicato, non è vero? Proprio di fronte alla tua ex ragazza!”
Scoppiai a ridere, un po’ più acidamente di quanto avessi voluto. “Ma dai Remus, cosa vuoi che me ne importi?”, esclamai, proprio mentre Sirius ripeteva le mie stesse esatte parole.
Remus sbuffò, scettico.
“E comunque, non era di questo che stavamo parlando io e Remus, prima.”, aggiunsi dopo un attimo di titubanza. Non ero disposta a lasciar cadere l’argomento Juliet così facilmente, l’unica cosa di cui avevo bisogno era trovare un modo sufficientemente cortese per far capire a Sirius come fosse necessario che si togliesse dai piedi.
“Ah, stai cercando di mandarmi via, Summerland?”
“Non importa che Sirius se ne vada”, borbottò Remus infastidito. “Non ho niente di cui vergognarmi.”
“Perciò ora non le parli più perché è nervosa?”, ripresi il vecchio discorso come se niente fosse. “Perché sinceramente, Remus, a me sembra la più grossa idiozia che il tuo cervello abbia mai partorito…”
“Indovino di chi state parlando?”, fece Sirius, ma sia io che Remus, troppo presi dalla conversazione, non lo degnammo di uno sguardo.
“Smettila”, sbuffò Remus, rivolgendomi uno sguardo seccato.  “Soltanto, preferisco non farle più pressione del necessario.”
“È per la lezione dei Patroni?”, gli domandai, con l’improvvisa consapevolezza che,  da dopo quel giorno, li avevo visti parlare molto raramente. “Lei è fatta così, Remus, a volte è un po’ imprevedibile, ma basta imparlare a conoscerla meglio…”
“E chi ti dice che io voglia conoscerla meglio?”, mi interruppe Remus, in tono brusco. “Ci frequentiamo, certo, abbiamo delle amicizie in comune, e non posso dire che non sia simpatica, ma in quanto a conoscerla meglio… no grazie.”
Il modo in cui lo disse, così tranquillo e sicuro, mi mandò ulteriormente in confusione. Anche Sirius sembrava perplesso, evidentemente Remus non aveva mai mai accennato a niene del genere nemmeno con lui.
“Ma cosa stai dicendo?”, esclamai. “Dai, non prendiamoci in giro, come se tu e Juliet vi frequentaste solo per qualche amicizia in comune! Come puoi dire una cosa del genere?”
Se Remus stava cercando di fare il disinteressato, era semplicemente troppo inverosimile perché ci si potesse credere, nonostante la recitazione piuttosto persuasiva. Ci continuò a guardare con quell’espressione di sfida, che non gli si addiceva affatto, e per un attimo sembrò non trovare nulla di convincente da ribattere. Poi si riprese ed esclamò, infastidito: “Tu non puoi sapere i motivi per cui io e Juliet ci frequentiamo, quindi evita di fare queste supposizioni stupide.”
“Non faccio nessuna supposizione, Remus.”, replicai in tono piccato. “Non capisco soltanto perché tu debba sempre rendere le cose più difficil di quanto non siano in realtà…”
“Perché tu pensi che le cose nella realtà siano semplici, giusto?”, proruppe Remus, velenosamente.  Il suo modo di fare sempre pacato aveva velocemente lasciato il posto a quello più violento, segno che, senza rendermene conto,  mi ero spinta troppo oltre. Succedeva sempre così, quando discutevo con Remus. Non capivo mai quando era il momento di fermarmi, dov’era posto quel limite invisibile che, se superato, portava immancabilmente guai. E a un certo punto lui esplodeva, senza che riuscissi a capire cos’avessi detto di tanto sbagliato, senza che ci fosse un modo per rimediare. “Tu vedi sempre tutto rose e fiori, non è vero?”, continuò, infuriato.
“Andiamo, ragazzi, è tardi…”, si intromise Sirius, in tono cauto.
“Io non…”
“Per te è sempre tutto meravigliosamente perfetto!”, gridò Remus ignorandolo, gli occhi che scintillavano di rabbia, più scuri del temporale che imperversava fuori dai vetri.“Come se non esistessero complicazioni, e fosse stupido preoccuparsene… Ma non è così, okay? Non è così, e smettila una buona volta con i tuoi discorsi su quanto io sia complessato e quanto invece sia bella la vita, e quanto…”
“Ma Remus!”, esclamai, tentando di sovrastare la sua voce. “Io non sto dicendo niente di tutto questo, io volevo solo…”
“Certo, volevi solo capire come mai io e Juliet non ci parliamo più!” Si alzò in piedi di scatto, immediatamente seguito da Sirius, e prese a girare per la stanza come un’anima in pena. “Beh, se proprio vuoi saperlo, non lo so nemmeno io, il perché! So solo che avrei dovuto farlo già da molto tempo, e sono stato uno stupido, e un illuso, a non prendere prima questa decisione!” Trasse un profondo respiro e si fermò, guardandomi con ferocia. I suoi occhi sembravano quasi allucinati, non l’avevo mai visto così stravolto. “Non voglio più avere niente a che fare con lei, capito? Niente.
Ammutolii, sconvolta dalle sue parole. “Ma Remus, come puoi dire…”
“Non cominciare di nuovo, ti prego!”, esplose lui, la faccia distorta dalla rabbia e dalla disperazione. “Non puoi capire, è inutile che ti sforzi!”
“No che non è inutile, invece!”, mi ribellai, alzandomi in piedi a mia volta. A quel punto, Sirius mi afferrò per una spalla, tentando di fermarmi. “Sirius, è meglio che te ne vai.”, gli consigliai, scrollandomi la sua mano di dosso. “Davvero.”, aggiunsi quando vidi che non sembrava intenzionato a schiodarsi. Lui annuì, lanciando un’occhiata preoccupata all’amico, e poi se ne andò.
“Sei il mio migliore amico, Remus.”, esclamai, con forza dopo aver visto Sirius sparire in cima alle scale a chiocciola. “Purtroppo sei il mio migliore amico, e scusa se mi interesso di te e cerco di parlarti! E tu non fai che respingermi, tutte le volte…”
Remus sembrò sgonfiarsi all’improvviso. Si lasciò cadere sul divano, il volto stanco, gli occhi cupi, e sospirò. “C’è una cosa, Beatrice.”, mormorò in un soffio. “ Se faccio così, è solo perché non voglio che lei inizi a provare quello che… quello che penso di provare per lei. E non lo vorrei mai. Scusami.”
 
E così era quello.
 
L’aveva riconosciuto, alla fine, non aveva più potuto nasconderlo, nemmeno a se stesso, e da lì erano nate tutte le complicazioni. Remus aveva ragione, in fondo, io vedevo tutto rose e fiori, quando invece tra lui e Juliet era sempre stato tremendamente complicato. E mi rendevo conto che prima di allora non ero mai riuscita a capirlo davvero, né lui, né la sua paura di non essere accettato dalla vita, di attaccarsi a qualcuno in modo irreversibile, con il rischio di essere rifiutato per quello che era.
 “Da quanto lo sai, Remus?”, mormorai. Mi sedetti di fianco a lui, e tutto quello che avrei voluto era abbracciarlo e stare in silenzio. “Quando l’hai capito?”
“Non lo so.”, farfugliò, la voce spezzata. “Non credo che ci sia stato un momento preciso, forse l’ho sempre saputo, forse…”
“Juliet non ti respingerebbe mai per… per la licantropia, te lo assicuro, Remus.”, affermai con decisione.
“Non lo so, Beatrice, davvero non lo so…” Sospirò pesantemente, coprendosi gli occhi. “E in ogni caso non ne sono sicuro, non so cosa pensi lei di me, non so se potrei mai confessarle quello che sono… dovrei ingannarla, e non me lo perdonerei mai.”
“Potresti aspettare, e dirglielo quando sarete entrambi pronti…”, replicai con dolcezza. “Remus, ti sei sacrificato per anni, hai rinunciato a così tanto… non anche a lei, non puoi.”
“Ma ci proverò.”, rispose con fermezza. “Le starò lontano, finchè posso, così sarà impossibile che lei… che lei…” Poi arrossì e rimase in silenzio, guardando tristemente il fuoco. “Insomma, hai capito.”
Scossi la testa, sospirando. “Io spero che cambierai idea, Remus.”
Lo speravo davvero, e lo credevo anche, perché sapevo che ormai era troppo tardi, Remus non sarebbe riuscito a separarsi da Juliet,  avrebbe ceduto per forza, più prima che poi. E sapevo che allontanandosene non avrebbe potuto ostacolare quello che anche lei, ne ero sicura, provava per lui.
Avrei parlato con Juliet al più presto, decisi in quel momento.
“Cambiamo argomento, per favore…”, mi chiese Remus, in tono definitivo.
Pensai che a quel punto, la cosa migliore che avrei potuto fare per lui era distrarlo un po’ da quei pensieri che tanto lo opprimevano, così annuii con un sorriso. “Di cosa?”
“Parliamo un po’ di te, che ne dici?”
“Di me?”, ripetei diffidenza. “Su di me non c’è niente di interessante da dire…”
“Oh, no, non direi proprio!”, replicò lui, in tono più vivace. Mi squadrò attentamente per qualche istante, e poi mormorò: “Ho notato che tu e Benjy passato molto tempo insieme, ultimamente.”
Ah, ecco. “È così.”, replicai dopo un attimo di incertezza.
“Lui… è molto diverso da Sirius.”
Lo guardai scandalizzata. “Certo che lo è! E allora?”, esclamai enfatizzando ogni sillaba.
“Oh, niente… ti piace?”
A quella domanda, mi rifiutai assolutamente di rispondere. Incrociai le braccia al petto e puntai lo sguardo sul pavimento.
“E tu piaci a lui?”
Rimasi ostinatamente in silenzio, aspettando che Remus cambiasse discorso.
“Hai ragione, non c’è bisogno di rispondere.”, commentò lui con un ghigno appena accennato. “È già abbastanza evidente di per sé.”
Ehi!”, protestai colpendolo sul braccio con un pugno. Si mise a ridere, e fui contenta di vedere che l’ombra di tristezza nei suoi occhi era quasi scomparsa. Anche della discussione accesa che avevamo avuto poco prima non era rimasta traccia. “Come ti permetti?!”
“Ah, e sarei io il tuo migliore amico? Oppure soltanto quando ti fa comodo?”
 
***

 
Era un rumore talmente spaventoso che per i primi attimi restai semplicemente paralizzata, senza capire né dove fossi, né quando, come o perché. Molto probabilmente stavo sognando, così cercai con tutte le mie forze di scrollarmi di dosso quell’incubo assordante e alla fine, quando cominciai a capire dove si trovassero le mie gambe, la testa e le braccia, mi alzai a sedere di scatto.
Dormitorio. Mattina. Partita di Quidditch.
Sospirai con sollievo, rimettendo a posto la bacchetta che senza nemmeno accorgermi avevo stretto tra le dita, e concentrai la mia attenzione su Georgia. Era lei, infatti, la fonte di quel suono terrificante che mi aveva ridestato di soprassalto. O meglio, la sua sveglia. Una volta che ebbi riacquistato del tutto la lucidità, mi resi conto che si trattava del ruggito incessante di un leone, così potente e realistico che se non avessi visto la sveglia vibrare, a un centimetro dalla faccia di Georgia, avrei seriamente creduto alla presenza di un qualche felino nella stanza.
E quel ruggito poteva significare una cosa soltanto: Grifondoro, quella mattina, aveva una partita di Quidditch da vincere.
Come a confermare la mia consapevolezza, Georgia era balzata giù dal letto in modo – neanche a dirlo – leonino, e aveva preso a girare per la stanza come una trottola, raccogliendo i suoi vestiti sparsi per terra.
“Ma che cavolo di ore sono?”, domandai, ributtandomi di peso sopra le coperte.
“Presto. Troppo. Presto.”, sibilò in risposta Heloïse.
“Ma c’è la partita!”, strillò Georgia. “E noi dobbiamo vincere, dobbiamo vincere, dobbiam-…”
“SPEGNI IMMEDIATAMENTE QUEL DANNATO COSO!
Il grido di Juliet la zittì nel bel mezzo della sua cantilena. “Oh.”, commentò, andando a zittire la sveglia che, fino a quel momento, aveva continuato a ruggire entusiasticamente dal suo comodino. “Vado a farmi la doccia.”
Juliet grugnì qualcosa, in tono irritato, e si alzò a sua volta. Cosa piuttosto strana, visto che nessuno l’aveva costretta a farlo, e che non eravamo nemmeno in ritardo. “Quidditch, maledetto Quidditch…”, la sentii borbottare. “Sarebbe da sopprimere…”
“Ma se è il tuo sport preferito.”, sbadigliò Heloïse. “Dai, sbrighiamoci, dobbiamo aiutare Georgia a prepararsi… oh, spero che gli elfi abbiano lavato la mia sciarpa!”
 
In breve tempo, nella nostra camera si accese una febbrile agitazione. Georgia inscenò una sfuriata perché non riusciva a trovare uno dei calzini della divisa, Heloïse, di buonumore, chiacchierava senza sosta mentre Juliet, profondamente irritata per qualche motivo che solo lei conosceva – e che io, in verità, sospettavo – se  ne stava zitta e imbronciata, salvo per qualche sporadico borbottio che ci riservava ogni qualvolta una di noi alzava troppo la voce.
Quando Georgia ebbe finito di infilarsi la divisa, Heloïse, come da tradizione prima di ogni partita, la portò davanti allo specchio e le spazzolò i lunghi capelli biondi, per poi pettinarglieli con cura in una coda di cavallo strettissima. “E con questa, segnerai a tutto spiano!”
“Lo spero!”, esclamò Georgia afferrando la sua scopa e avviandosi a passo deciso fuori dalla stanza. La scortammo fino in Sala Grande, doveva ad accoglierla ci fu il solito miscuglio di applausi, urla di incitazione e insulti che precedevano sempre le partite.
E in quel caso, non si trattava di una semplice partita. Era il primo match del campionato scolastico, Grifondoro contro Serpeverde: i soli nomi delle due Case, messi vicini, lasciavano prevedere come sarebbe andata a finire la giornata.
Al tavolo dei Grifondoro, la confusione regnava sovrana. Lasciando da parte James che continuava a urlare consigli alla sua squadra da un estremo all’altro, Kenny che intavolava scommesse a tutto spiano e Sirius, che stava istruendo un gruppo di bambini del primo anno su quanto i Serpeverde fossero delle schiappe e su come andassero annientati uno per uno, mi ritagliai un posto a sedere accanto a Peter, trangugiai in fretta quel poco di colazione che i miei compagni di casa mi avevano lasciato, e partii alla volta dello stadio insieme alle mie amiche.
 
Proprio come la sera prima, fuori dalle mura del castello il vento infuriava senza sosta, accompagnato dalla pioggia fredda e tagliente. Georgia si staccò per avviarsi agli spogliatoi, mentre noi prendemmo posto sugli spalti, cercando di ripararci dall’acqua come meglio potemmo.
Presto anche la voce di Kenny risuonò amplificata per lo stadio.
Ed eccoci di nuovo qui, signori e signore, qui in questo stadio, teatro di tante vittorie per la nobile squadra di Grifondoro, che oggi sfiderà i Serpeverde nel primo match di questo sensazionale campionato…
Stringi, Jordan.”
Quanta fretta, professoressa! Sì, come stavo dicendo, le squadre che scendono in campo. Ecco James Potter l’Acchiappa-Boccini, nonché nuovo Capitano della squadra, seguito dalla fedele Georgia - che cara ragazza, lei non si immagina, professoressa… un Ippogrifo fatto persona – sì, ecco, dopo Georgia Hill, migliore Cacciatrice sul mercato, al momento, abbiamo Cooper, Cox junior, che ha rimpiazzato la sorella Isabelle, MacDonald, nuova Battritrice – anche questo un acquisto niente male, a quanto dicono –  Verney e Richards! Purtroppo il caro Paciock ha superato i M.A.G.O., e ci ha abbandonati... Scusate, ma la professoressa sta scalpitando, qui bisogna andare avanti con la cronaca! E quindi, vi presento i Serpeverde: abbiamo come sempre Nott e Compton, poi questo Polk – mai visto prima, chissà dove l’hanno trovato... – Avery, Rosier, Percival e Cassell! Oh, già il fischio di inizio partita? Mi ero un attimo preso indietro…
Ma che strano, Jordan.
Non faccia la spiritosa, professoressa! Eccoli che partono, veloci come saette…”
Strizzai gli occhi per impedire alla pioggia di offuscarmi la vista, cercando di seguire le quattordici figure che sfrecciavano attorno agli anelli. I Serpeverde erano partiti con insolita energia, tanto che si erano subito impossessati della Pluffa e non sembravano mostrare la minima intenzione di cederla agli avversari.
Pluffa alle Serpi… Compton, Nott, ancora Compton… Ma che pluffe!
Jordan…
Mi scusi, era in senso letterario!  Polk parte verso gli anelli, ma non mi sembra questo gran campione… Hill gli soffia la Pluffa da sotto il naso senza nemmeno guardarlo, e parte all’attacco. Dieci a zero per Grifondoro. Mi dispiace, la Hill è troppo forte.” Il tono modesto con cui Kenny aveva presentato il primo goal della partita fece scoppiare a ridere l’intero stadio, mentre Georgia si impossessava nuovamente della pluffa e la passava a un compagno di squadra, difficile da identificare alla mia distanza.
La pluffa passa di mano in mano… ah no, era un Bolide. Scusate, ma con questo schifo di tempo non si vede un bel niente… non capisco come facciano a tenersi in sella… ah giusto, Polk è stato appena disarcionato dalla sua stessa scopa. Io l’avevo detto, che non era un gran affare per Serpeverde!
 
La partita proseguiva con difficoltà, più lentamente del solito. Dopo parecchi minuti i Serpeverde riuscirono a strappare qualche goal al Portiere di Grifondoro, e il momentaneo vantaggio che sembravano aver guadagnato mandò letteralmente fuori di testa Kenny. Se non fosse stato per la McGranitt, che gli ricordava in continuazione  il suo ruolo di cronista, si sarebbe completamente lasciato andare al repertorio di coloriti insulti che lui e il suo megafono avevano avuto modo di collezionare nel corso di quei lunghi anni. Anche il tempo stava peggiorando, vedevo i giocatori muoversi a fatica tra gli anelli, trascinati dalle raffiche di vento gelido, e seguire la partita diventava sempre più arduo.
Le cose si aggravarono ulteriormente quando Sophie Cox, la più giovane giocatrice in campo, venne colpita da un Bolide particolarmente feroce. Venne scaraventata contro l’anello centrale e iniziò a precipitare, sotto lo sguardo terrorizzato di tutti gli spalti.
Qualcuno la fermi, presto!”, sbraitò Kenny, mentre Remus sfoderava la bacchetta e faceva per lanciarsi nel campo. La McGranitt lo precedette, e la piccola Cacciatrice riuscì ad atterrare senza troppi danni, a parte il braccio rotto e la brutta ferita sul viso.
Nell’attimo di confusione della caduta, però, i Serpeverde ne avevano approfittato per segnare un altro paio di goal.
Non è giusto, porco Salazar, non è giusto, madama Bumb, faccia qualcosa! Che cosa?! Sophie si stava sfracellando, come faceva Richards a guardare la porta? Ma che cavolo, professoressa, come può accettare una cosa del genere?
“Dacci un taglio, Jordan, e sta più attento alla partita. Non hai visto che la signorina Hill ha appena segnato?”
In effetti, dopo l’ingiustizia subita Georgia aveva afferrato rabbiosamente la pluffa e si era diretta come un fulmine verso gli anelli dalla parte opposta del campo, con una tale furia che il resto dei giocatori si era spostato per lasciarle spazio. Quando il Portiere se l’era vista venire contro, i capelli bagnati che frustavano l’aria, aveva lasciato perdere gli anelli da difendere e se l’era data a gambe.
Un ruggito di trionfo si levò dagli spalti, mentre Kenny urlava: “60 a 30 per Grifondoro, Georgia, semplicemente meravigliosa!
Georgia rivolse un sorriso fiero a Kenny e ai tifosi, si appiattì sulla scopa e ripartì come una freccia nella direzione della pluffa, sferzando la pioggia e il vento come solo lei e James riuscivano a fare.
La partita riprese con più energia, ma i Serpeverde non sembravano particolarmente felici dall’umiliazione appena subita, così i loro Bolidi cominciarono a schizzare per il campo con una violenza inaudita, e più di un giocatore della nostra squadra venne colpito. La cronaca di Kenny diventava sempre più accesa, i falli più frequenti, e Georgia sempre più pericolosa. Segnò un’altra sfilza di goal, sfidando la tempesta che infuriava senza tregua, ma dopo che Cooper fu costretto a lasciare il campo, infortunato, rimase l’unica Cacciatrice della squadra. I Serpeverde sfruttarono alla grande lo svantaggio numerico degli avversari e si ripresero in fretta. Le due squadre erano in parità, ma i Serpeverde erano molto più in forma, e Georgia sembrava ormai sull’orlo della disperazione.
Fu a quel punto che Kenny, del bel mezzo di una colorita imprecazione contro Nott, si fermò di colpo, e rimase per un attimo in silenzio, un’espressione di puro orrore dipinta sul volto. “No, non è possibile, ditemi che non vedete…”, balbettò, indicando uno dei giocatori dei Serpeverde, appena partito in picchiata. Cassell aveva – inspiegabilmente – avvistato  il Boccino, parecchi metri più sotto, ed era partito all’inseguimento, un ghigno di trionfo che gli distorceva il volto. Vidi James, che fino a quel momento aveva setacciato il cielo molto più in alto degli anelli, lanciarsi a picco verso di lui, ma la distanza era troppa, non ce l’avrebbe fatta, mi ritrovai a pensare mentre mi alzavo in punta di piedi per seguire meglio l’azione. James ce la mise tutta, tirò la scopa come non l’avevo mai visto fare, e recuperò gran parte dello svantaggio iniziale. Cassell tese la mano, ormai erano così vicini che vedevo il Boccino brillare nella pioggia. Poi successe tutto molto velocemente, qualcuno di cui riconobbi solo la chioma bionda saettò contro Cassell, si frappose tra lui e il Boccino e l’attimo dopo James ce l’aveva in pugno. Georgia lo stava abbracciando.
Incredibile, incredibile davvero!”, ruggì Kenny, commosso, mentre lo stadio esplodeva in uno tripudio di rosso e oro. “Ecco cosa succede quando due fenomeni come Potter e la Hill giocano in squadra… Grifondoro vince 250 a 60!”
“Ben detto, Jordan!”, esclamò la McGranitt, un raro sorriso che le increspava le labbra. Nott, il Capitano dei Serpeverde, atterrò schizzando fango davanti alla tribuna dei professori. Era livido. “Non mi sembra corretto, professoressa”, dichiarò in tono aggressivo. “La Hill non aveva il diritto di intervenire…”
“Oh, sì che ce l’avevo!”, replicò lei, che come il resto della squadra era atterrata davanti alla tribuna dei professori. Alcuni tifosi, tra cui io e i Grifondoro degli ultimi anni, ci radunammo lì attorno. “Ripassati le regole del Quidditch, Nott!”, continuò Georgia in tono estremamente soddisfatto, poi strinse me, Heloïse e l’enorme ombrello rosso con cui cercavamo di evitare la pioggia in un abbraccio stritolante, sporcandoci entrambe di fango.
“Beh, sei stata bravissima!”, ci complimentammo.
“Come sempre!”, aggiunse James, abbracciandola a sua volta con calore. “Se non fosse stato per lei…”
“Già, Ramoso, questa volta hai giocato veramente da schifo”, commentò Sirius passandogli un braccio attorno alle spalle. “Meno male che c’era la Hill!”
Georgia rise, mentre James borbottava qualche scusa guardando per terra, imbarazzato.
“Già, meno male che c’era la Hill a giocare un po’ sporco, non è vero?”, si inserì in quel momento una voce arrogante. Avery e Rosier, insieme a un paio di altri Serpeverde, tra cui Mulciber, assistevano con scherno ai nostri festeggiamenti.
“Ma per piacere.”, esclamò James seccamente. “Perché non andate a rosicare da un’altra parte?”
“Ah, non lo so, Potter”, sibilò Rosier, “Forse perché muoio dalla voglia di spaccarti la faccia, a te e a quella Mezzosangue della Hill?”
“Piano, eh?”, ringhiò Georgia, piantandosi immediatamente al fianco di James.
“Sarebbe anche ora che imparaste a accettare le sconfitte senza fare tante storie, non vi sembra?”, commentò quest’ultimo con ironia. “Insomma, sono sette anni che perdi contro di me, Rosier, ci avrai pur fatto l’abitudine!”
“Molto divertente, Potter”, commentò lui, sprezzante. “Ti senti tanto importante, vero, in mezzo ai tuoi amichetti…”
“Ne possiamo riparlare quando vuoi, Rosier.”, replicò James senza battere ciglio. “A quattr’occhi.”
“Ma per piacere!”, esclamai, afferrando James per un braccio. “Smettila, non ne vale la pena…”
“Oh, Summerland, non ti avevo nemmeno notata. Come stai?” Mulciber si fece avanti, squadrandomi da capo a piedi con un sorriso ilare. Mi bloccai, fissandolo a mia volta con diffidenza. “Mai stata meglio, grazie.”, mormorai freddamente.
“Mamma e papà, come stanno?” Avery e Rosier risero, una smorfia di disgusto stampata sulle labbra. Sentii la mia mano correre alla tasca dei jeans, dove tenevo riposta la bacchetta. Sarebbe bastato tirarla fuori per sistemarli tutti e tre in un colpo, bruciavo dalla voglia di farlo, ma si sarebbe scatenato l’inferno. James, Georgia e tutti gli altri, attorno a me, si stavano scaldando fin troppo in fretta.
“Stanno molto bene anche loro.”, sibilai fissandolo con odio.
“Oh, ancora per poco, allora… sai, di questi tempi…”, sghignazzò lui, con crudeltà. “E la tua sorellina? Perché hai anche una sorellina, non è vero? Sta molto bene anche lei?”
Feci per scagliarmi contro di lui, ma qualcuno mi afferrò per le spalle e mi spinse indietro.
“Senti un po’, brutto muso.”, esordì Sirius, guardandolo minacciosamente e continuando a tenermi per le spalle. Anche James, Teddy, Kenny e Benjy si erano fatti avanti, seguiti dalle mie amiche. “La vedi questa?” E gli sventolò sotto il naso la propria bacchetta. Una piccolo spruzzo di scintille scaturì dalla punta, costringendo Mulciber a indietreggiare. “Molto bene. E ti ricordi anche come hai trascorso le vacanze di Natale un paio di anni fa, no? Rinfrescami la memoria, James… mi pareva che fosse stato trasfigurato in un formichiere, e che Madama Chips ci avesse messo un po’ a risistemarlo, o sbaglio, James?”
“Così mi sembra di ricordare, Felpato”, sghignazzò l’interpellato.
“Allora sai cosa devi fare, non è vero, Mulciber?”, concluse Sirius con un sorriso carezzevole.
“Lasciarla stare?”, propose quest’ultimo con ironia, nonostante alla velatissima minaccia di Sirius l’avessi visto sbiancare notevolmente.
“Esattamente.”
Mulciber ci fissò con odio per qualche secondo ancora, poi prese per le braccia i suoi compari e se ne andò.
Rimanere ancora sotto la pioggia era veramente privo di senso, così ci avviammo anche noi, chi verso il castello, chi verso gli spogliatoi. Sirius camminava al mio fianco, senza guardarmi. Lo osservai di sottecchi per qualche secondo, poi, con una certa riluttanza, mi schiarii la voce. “Senti Sirius, per quello che hai fatto prima… grazie.” Era una parola difficile, soprattutto se rivolta a lui, eppure difendermi era stato un gesto tanto gentile quanto strano, che – stupidamente – mi sarei aspettata da chiunque tranne che da lui. E gliene ero davvero grata.
Sirius si passò una mano tra i capelli bagnati e mi rivolse uno sguardo fugace. Sembrava a disagio. “Prego, anche se… non l’ho fatto apposta.”
Annuii, anche se ero ben lungi dall’aver compreso la sua risposta. Camminammo fianco a fianco ancora per un po’, in silenzio, fino a che, all’ingresso del castello, Heloïse non ci fermò. “Non riesco a trovare Juliet, avete idea di dove si sia cacciata?”
Effettivamente, era dalla fine della partita che non la vedevo. Io e Sirius volgemmo contemporaneamente lo sguardo verso il parco, e fu lui a individuarla per primo.
“È là.”, mormorò indicando un punto ai margini della foresta, le sopracciglia corrugate in modo interrogativo.
 
Juliet camminava a capo scoperto sotto la pioggia, lontana dalla vittoria appena conquistata, dal calore che avrebbe trovato in Sala Comune, da noi, in mezzo al temporale.
E se qualcuno in quel momento mi avesse chiesto di dipingere la solitudine, sarebbe stata lei.
 




Note dell’autrice:
Ma sì, odiatemi, me lo merito. Non mi ricordo quando è stata l’ultima volta che ho pubblicato, comunque era un sacco di tempo fa :D Però tra la fine delle vacanze, l’inizio della scuola e l’assenza di ispirazione… insomma, mi capite. Poi questo trentanovesimo capitolo è semplicemente osceno, vi ho fatto aspettare così tanto per una schifezza del genere. E spero di non scatenare nessuna rivolta a causa della Jupin, che mi sono divertita a maltrattare ancora più del solito, ma ci ho riflettuto per circa una settimana, prima di iniziare a scrivere (sì, ecco come riesco a perdere sempre del gran tempo) e sono arrivata alla conclusione che Remus e Juliet sono due personaggi troppo complicati, non si sarebbero potuti mettere insieme così, dal nulla, senza prima qualche complicazione. So che non mi crede più nessuno, e fate bene, ma si riavvicineranno fra non troppo, ve lo prometto. Perlomeno, Remus si è reso conto dei sentimenti che prova per Juliet, e lo considero un’enorme passo avanti :’) Abbiate fiducia in me e nelle mie assistenti, la Jupin non vi deluderà.  (?)
Poi, sul resto del capitolo non ho niente da dire. La partita, la solita zuffa con i Serpeverde, e Sirius che difende la Summerland più per istinto che per altro, quei due mi mancavano un po’… Direi che è tutto abbastanza chiaro.
OKAY, vi informo che sono piena di buoni propositi, mi impegnerò moltissimo per il prossimo capitolo e scriverò il più in fretta possibile.
Intanto vi linko qualche immagine, innanzitutto Remus e Juliet, durante lezione dei Patroni del capitolo scorso. La adoro, è una delle mie preferite, ringrazio tanto Jullsfrap :D Ne ho tantissime altre, sempre sulla Jupin, che metterò nei prossimi capitoli.
 
Pooi, il nostro Baston (Daniel Sharman)
http://i40.tinypic.com/34931hl.jpg
http://i41.tinypic.com/2dt6sut.jpg
                                                                                                                                    
E Peter Minus (Jamie Bell)
http://i42.tinypic.com/sw756w.jpg
 
Sto continuando a cercare i presta-volto dei personaggi che mancano e spero di trovarli presto, quando li avrò tutti ne scriverò una lista così potete tenerli a mente tutti quanti, se vi interessa :D
 
Grazie a tutti, e a presto (nei limiti delle mie capacità)
Trixie
 
P.s. Juniper Collins, la tizia di Corvonero amica di Xeno Lovegood, è un personaggio che diventerà abbastanza importante in futuro, quindi non dimenticatevela!
 

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Capitolo 40
*** Ridendo e scherzando ***




Quarantesimo capitolo: RIDENDO E SCHERZANDO


(Avviso: L’ultima parte del capitolo, segnata dagli asterischi rossi, è narrata in prima persona da Sirius e non da Beatrice.)
 


“È ‘Lepricano’, non è vero? Facilmente indovinabile anche questa volta…”
“Merlino, sei un mostro dell’Impiccato! Mi arrendo.”
Benjy accartocciò il foglio  che fino a quel momento era stato il campo di battaglia della nostra sfida all’ultimo sangue all’Impiccato, e me lo lanciò addosso. “Ora ti conviene seguire la lezione, Summerland.”, continuò in tono sdegnoso. “Non so se te l’hanno mai detto, ma in Divinazione sei veramente un disastro.”
“Perché, tu ti credi un gran Veggente?”, replicai mostrandogli la lingua.
“Io no. Bridget sì, invece…”, mormorò lui indicando una compagna di Tassorosso che era tutta intenta a blaterare chissà quali profezie guardando fuori dalla finestra con aria ispirata. Io e Benjy scoppiammo a ridere contemporaneamente, con poco ritegno.
“Fenwick, Summerland, è l’ultima volta che ve lo ripeto”, sbottò la professoressa, in tono profondamente seccato. “Aprite bocca un’altra volta e vi sbatto fuori.”
Con tutta la capacità di autocontrollo che possedevo abbassai la testa in modo mortificato e continuai a ridere in silenzio, cercando di non dare troppo nell’occhio.
“Dio mio, non pensavo che le Veggenti potessero essere così violente.”, mi sussurrò Benjy, senza mettere da parte l’espressione di falso rammarico che anche io avevo stampata in faccia.
“Smettila!”, bofonchiai, presa da un nuovo attacco di risa che mi costrinse a nascondere la testa sotto il tavolo.
 
Da quando io e Benjy avevamo preso la malsanissima abitudine di stare in banco insieme durante tutte le lezioni, era stata la fine. I primi giorni i professori ci avevano semplicemente ignorati, poi il fatto che Benjy avesse un’influenza davvero pessima su di me era stato così evidente da non poter essere più trascurato, e i rimproveri erano cominciati a fioccare.
Ovviamente la materia che aveva risentito di più era stata Pozioni, e dopo un paio di calderoni malamente esplosi Lumacorno non aveva potuto fare nient’altro che separarci, per la nostra stessa incolumità. La cosa non ci aveva però toccato più di tanto: nel resto delle lezioni avevamo continuato imperterriti con le nostre sfide all’Impiccato, le risate fino alle lacrime, i pettegolezzi sui compagni di classe, e ci trovavamo così tanto bene insieme che alla fine la maggior parte dei professori aveva deciso di lasciarci perdere, aspettando che quel momento di buonumore sfrenato, come l’aveva definito la McGranitt, si esaurisse da sé.
 
Quel giorno, poi, eravamo ancora più agitati del solito. Divinazione non era esattamente la nostra materia preferita, e il fatto che dopo due anni passati a fissare sfere di cristallo assolutamente noiose, la professoressa Boxway avesse deciso che eravamo abbastanza maturi per passare alla lettura delle mani, ci aveva ulteriormente rallegrato. Ovviamente erano bastati dieci minuti per appurare il fatto che il nuovo tipo di lezione sarebbe stato ancora più tedioso del precedente, e che le predizioni lette sui palmi della mani erano tanto inverosimili quanto quelle che ci inventavamo davanti alla sfera di cristallo. Perciò avevamo abbandonato immediatamente l’idea di seguire, una volta tanto, la lezione e avevamo ripreso con le nostre innocenti occupazioni.  
 
“Penso che dovremmo provare a predire qualcosa.”, gli annunciai in tono solenne dopo qualche minuto, la voce roca dalle troppe risate. Benjy mi fissò con aria profondamente scettica. “Okay, forse no.”, mi auto-corressi, di fronte al suo sorrisetto eloquente.
“Ecco, bravissima.”, si complimentò, stendendosi sulla poltroncina con aria rilassata. “Impari così in fretta…”
Purtroppo per noi, però, non facemmo in tempo a organizzare le attività con cui trascorrere il resto della lezione; la Boxway, dopo essere passata tra tutti i tavolini per verificare i progressi della giornata, arrivò anche a noi.
“Spero che vi siate dati da fare.”, esordì severamente. “Fenwick, sapresti farmi qualche predizione sulla tua compagna?”
Benjy si grattò il capo, con aria imbarazzata. “….Leggendole la mano, intende, non è vero?”
Di fronte al gelido silenzio della Boxway, Benjy mi prese la mano. “Bene, ehm…”, borbottò, lanciandomi un’occhiata interrogativa a cui risposi con un ghigno divertito. “Direi che… da questa linea un po’ storta… avrai quattro figli.”, mi annunciò gravemente, senza però arrischiarsi a guardare la professoressa. Poi riprese a fissarmi la mano con aria concentrata, gli occhi a un centimetro dal mio palmo. “Sì, quattro figli, di cui uno… Magonò. Anzi, handicappato, credo.”
“Ehi!”, saltai su, allontanando la mano. “Sei proprio simpatico!”
Benjy mi sorrise con aria di scuse. “Non puoi sfuggire al tuo destino, Beatrice. E ora ridammi la mano, devo continuare la profezia.”
“Sentiamo.”, commentò la professoressa, in tono arcigno. Aveva preso un taccuino e prendeva minuziosamente nota di ogni parola pronunciata da Benjy.
“Non mi sta mettendo un voto, non è vero? Professoressa?”
“Vai avanti, Fenwick.”
“Beh, ehm… allora… avrai una vita travagliata e piena di avventure, visto che tu e tuo marito – Lovegood –… ”
“Oh, per favore!”, esclamai cercando di riappropiarmi della mia mano.
“Tu e tuo marito Lovegood, stavo dicendo, vi dedicherete per gran parte della vostra vita alla caccia agli Kneazle, fino a che, all’età di cinquantatrè anni, non morirai per una triste indigestione di Nargilli. Però mi lascerai in eredità il tuo allevamento di Ippogrifi.” Benjy concluse con un solenne silenzio, durante il quale gli unici rumori udibili erano il brusio discreto dei compagni che chiacchieravano e lo scricchiolio della penna d’oca della professoressa. Stava incidendo con ferocia il suo taccuino con quella che, a occhio, poteva sembrare una grossa, grossissima T. Benjy mi rivolse un’occhiata mortificata.
“Molto bene, Fenwick.”, commentò la Boxway in tono stizzito. “È perfettamente perspicuo, al il mio  Occhio Interiore, che questa classe non è ancora sufficientemente matura per affrontare l’arte della lettura delle mani… Approfondiremo ancora un po’ le sfere di cristallo.”
Un lamento collettivo si levò da tutti i tavolini.
“Ma professoressa, non abbiamo fatto altro che guardare quelle sfere per due anni interi...”
Ignorando la protesta di una Tassorosso alquanto ardita, la professoressa si avviò ondeggiando verso gli scaffali e afferrò con estrema delicatezza la grossa sfera traslucida, tenendola con entrambe le mani. Si spostò al centro della stanza e la alzò sopra la testa, contemplandola in maniera mistica.
Era un’occasione semplicemente imperdibile, Benjy non se la sarebbe mai lasciata scappare. Proprio nell’istante in cui la Boxway stava per aprir bocca e metterci al corrente della sua ultima premonizione, la sfera le scivolò dalle mani e iniziò a schizzare per la stanza. Poi, semplicemente, si lanciò con precisione contro il muro, e con uno schianto secco andò in mille pezzi.
Ci fu un attimo di silenzio, durante il quale Benjy ebbe tutto il tempo di rimettere tranquillamente la bacchetta a posto, poi la Boxway proruppe in una specie di singhiozzo strozzato e spalancò gli occhi.
“Non è possibile…”, boccheggiò. “Quella sfera apparteneva alle Veggenti della mia famiglia… da almeno duecento anni… chi è stato?”
“Ma è ovvio, professoressa.”, esclamò Kenny in tono lugubre.
“… Il Fato.”, concluse per lui Teddy, gli occhi lucidi per la perdita appena subita.
 
“È stata… l’ora di Divinazione più faticosa della mia vita.”, sentenziai sospirando profondamente  mentre scendevamo le ripide scale a chiocciola, verso la lezione successiva. Mi faceva male la pancia, per colpa delle troppe risate, e avevo la netta impressione che le mie labbra sarebbero rimaste paralizzate all’insù per tutta la vita.
“Pensi di farcela?”, commentò Benjy, notando che avevo qualche difficoltà nello scendere le scale.
“Dovresti smetterla.”, sbuffai scuotendo la testa. “Non ci stiamo comportando per niente bene, lo sai?”
“Può darsi.”, replicò Benjy, senza mostrare il minimo segno di pentimento.
“Ma perché lo fai?”, gli domandai, sorridendo.
Lui mi sorrise, di rimando, e scrollò le spalle. “Non lo so, forse perché mi piace vederti ridere.”
 
Nell’ora seguente, Difesa Contro le Arti Oscure, avremmo ripreso gli allenamenti con i Patroni. A metà strada verso l’aula, però, mi accorsi che Juliet si era staccata dal gruppo di Grifondoro del sesto anno e si era diretta verso la direzione opposta.
Heloïse si fermò in mezzo al corridoio, guardandola con aria confusa. “Juliet, ma che fai?”, le gridò dietro.
“Non mi sento molto bene, torno alla Torre”, replicò lei, in tono appena udibile, senza nemmeno girarsi. “Ditelo voi alla Brent.”
“Ma…” Georgia tentò di replicare, ma Juliet si era già allontanata, in fretta, sparendo dietro l’angolo.
“Ci mancava solo questa.”, sbuffò Heloïse, contrariata.
 
Quelli del settimo anno ci aspettavano già dentro l’aula. Mi diressi verso Lily e Remus, nell’angolo vicino alla finestra, la prima intenta a ripassare qualcosa sul suo libro, il secondo che giocherellava nervosamente con la cinghia della borsa. Quando mi vide arrivare alzà gli occhi di scatto e si guardò attorno, con trepidazione.
“Juliet non è venuta.”, lo procedette, osservandolo intensamente. “Ha detto che non si sentiva bene.”
“Oh… d’accordo”, annuì lui, fissando il pavimento. Non sembrava per niente sorpreso della notizia, eppure non riuscì a nascondere la delusione e lo sconforto, nemmeno abbassando lo sguardo.
Durante le due settimane precedenti, in cui avevamo continuato, o in classe o individualmente, a esercitarci con i Patroni, non eravamo ancora riusciti a ottenere risultati soddisfacenti. Kenny rimaneva l’unico ad aver evocato Patronus del tutto corporeo – cosa che ci rinfacciava regolarmente – anche se Ted ci era arrivato abbastanza vicino. Io, per quanto mi riguardava, avevo continuato a produrre sporadici, irritantissimi sbuffi di fumo argenteo, che scomparivano senza aver prima acquisito la minima consistenza. Avevo passato in rassegna praticamente ogni istante della mia vita, tentando con i ricordi connessi alle mie amiche, ai Malandrini, alla mia famiglia, e persino – naturalmente non l’avrei ammesso nemmeno sotto maledizione Cruciatus – a qualche momento particolarmente felice e lontano passato con Sirius. Non aveva funzionato.
“I Patroni sono roba maledettamente difficile”, sbuffò Lily. “Non capisco come abbia fatto Jordan a imparare così in fretta… se non fosse stato per Remus, io da sola non avrei combinato proprio un bel niente.”
“Non ce la farò mai, è assicurato.”, replicai, in tono depresso.
Lily mi rivolse un sorriso gentile. “Ma no, non credo proprio… soltanto, focalizzarsi su un unico ricordo è difficile, e non  per tutti è il modo migliore. Forse dovresti lasciarti andare e basta…”
Mi rigirai la bacchetta tra le mani, pensierosamente. “Farlo d’istinto, intendi?”, le domandai.
Lei per risposta afferrò la bacchetta, socchiuse la bacchetta e senza un attimo di esitazione, mormorando appena l’incantesimo, evocò il suo Patronus. “Vedi? È molto più facile! Basta liberarsi, lasciare soltanto la felicità…”
Furono le sue ultime parole a farmi scattare, risvegliando in me qualcosa di già conosciuto, una sensazione più volte provata. Senza pensarci chiusi gli occhi, e fu esattamente come Lily l’aveva descritto. Non c’era nessun ricordo preciso, solo una gioia intensa e conosciuta, il vento mi sollevava, ero libera e pura. Avvertii immediatamente la sua presenza, e quando riaprii gli occhi la piccola rondine d’argento era lì, volava sopra di noi, eterea ma reale.
“Ce l’hai fatta!”, esultò Lily, battendo le mani con un sorriso entusiasta.
“Complimenti, Beatrice!”, esclamò la professoressa.“Davvero ben fatto!”
James mi fece l’occhiolino, sillabando in silenzio qualcosa che suonava come “Scricciolo”, mentre qualcuno scoppiò a ridere. Come il resto della classe Sirius stava guardando la rondine, ormai sul punto di dissolversi. Mi rivolse un sorriso divertito e vagamente beffardo. “È veramente minuscolo, Summerland!”, esclamò.“Un Dissennatore non se ne accorgerebbe nemmeno…”
“Vedremo, Black.” Mi concentrai nuovamente e la rondine riprese consistenza quasi subito, e a un gesto della mia bacchetta si diresse a tutta velocità verso Sirius, andandogli dritto addosso e costringendolo a scansarsi in fretta. Lily ridacchiò, divertita, mentre Sirius mi rivolse un’occhiata di risentimento.
“Un controllo impeccabile, Summerland!”, si complimentò ancora la professoressa Brent. “Concisa ed efficace.”
 
***
 
Soddisfatta delle mie recenti prestazioni, finita la lezione mi avviai insieme alle mie amiche e a Lily verso la Torre di Grifondoro, a lasciare le borse prima del pranzo. Juliet era nel nostro dormitorio, distesa sul suo letto a leggere un libro.
“Com’è andata?”, ci domandò con aria distratta, infilando l’indice tra le pagine per tenere il segno.
“Ci sono quasi riuscita.”, esclamò Heloïse, indispettita. “Ma poi…”
Juliet la guardò con aria profondamente scettica.
“Davvero! Era qualcosa che aveva un becco. La Summerland invece ce l’ha fatta, solo perché è una maledetta secchiona, e il suo Patronus è una maledetta rondine.”, sbuffò Heloïse rivolgendomi una linguaccia.
“E in più non fa altro che amoreggiare con Benjy.”, aggiunse Georgia, altrettanto indignata.
“Ehi, che cosa c’entra?”, replicai sulla difensiva. “Non è proprio vero,  sempre a darmi addosso…”
“Hanno ragione!”, intervenne Juliet, con aria grave. “Stai sempre e solo con Benjy, ci hai piantate tutte in asso.”
“Non è vero.”, ripetei, con l’aria più dignitosa di questo mondo.
“Per colpa vostra oggi a Divinazione non ci siamo allenati con la lettura delle mani.”, mi accusò lei, imbronciata. “Per Godric, io sono un asso, nella lettura delle mani…”
“L’abbiamo fatto per il bene superiore.”, la rimbeccai, offesa. “Per tua informazione, sei l’unica persona a cui possa piacere una materia del genere…”
“Solo perché io possiedo veramente la Vista.
“Ma per piacere…”, sbuffò Heloïse, ridendo. “Piuttosto, come stai?”
“Eh?”, replicò lei, spiazzata.
“Non stavi male? Hai saltato Difesa, no?”
“Oh.”, borbottò lei, come se se ne fosse ricordata in quel momento. “Giusto. Sto… meglio.”
Georgia mi rivolse una fugace occhiata, come a dire “che cosa ti avevo detto”. Non che avessimo avuto dubbi in proposito; era ovvio che se Juliet non era venuta a lezione un motivo c’era. In quei giorni, aveva evitato Remus ancora più di quanto Remus non avesse fatto con lei. Era arrabbiata, fredda e distante come la migliore dei Rookwood, faceva di tutto per nascondere persino le emozioni più insignificanti, le sue labbra si sigillavano ogni volta che qualcuno lo nominava, anche casualmente. Ma la scintilla ferita dei suoi occhi, quando lui le passava accanto girandosi dall’altra parte, quella era impossibile da trattenere, anche per lei. Ed era l’unica cosa che lasciasse trapelare come effettivamente fosse toccata da tutto questo.
Perché se si comportava così, significava che Remus era diventato importante, più importante di quanto l’allegra semplicità di lei non avesse mai dato a vedere.
“Andiamo a mangiare?”
Juliet sbuffò e si alzò dal letto, di malavoglia. “Se Black mi finisce ancora l’arrosto, giuro che sarà il suo ultimo pranzo.”
 
Il tavolo dei Grifondoro, in Sala Grande, si stava rapidamente popolando. I Malandrini, nella parte più lontana dal tavolo dei professori, stavamo confabulando su qualcosa di indubbiamente losco, mentre Kenny, Teddy e Benjy li ascoltavano, interessati. Lily fu la prima a sedersi, premurandosi di mantenere una certa distanza di sicurezza da persone decisamente poco raccomandabili quali Sirius, James e Kenny, mentre io mi diressi verso Remus, salvando in extremis un piatto di peperonata e portandolo al sicuro il più lontano possibile dalle grinfie di Peter, sotto il suo sguardo addolorato.“Mi dispiace, Pet, ma sei a dieta, non ricordi?”
“Esatto, Peter, non ricordi?”, sogghignò James, ostendando una certa soddisfazione nell’addentare la sua bistecca.
“Antipatici.”, bofonchiò il povero Peter, fissando con aria desolata l’assenza di cibo attorno a sé. 
Heloïse si sedette tra Kenny e James, prendendo subito parte al loro fitto conciliabolo.
“Gente, avete visto in bacheca?”, esclamò sventolando la forchetta che aveva preso in mano.  “La Brent e la McGranitt hanno organizzato un Club dei Duellanti pomeridiano!”
“Veramente? Potrebbe essere interessante…”
È interessante, o almeno, io ho un bisogno disperato di andarci.”, replicò Heloïse. “Ieri Georgia a momenti non mi uccideva con un Expelliarmus, le mie prestazioni in Difesa stanno diventando sempre più disastrose…”
Georgia si lasciò scappare un risolino poco pentito. “Ti giuro che non l’ho fatto apposta.”
“Certo, come no!”, bofonchiò Heloïse. “E comunque, sabato c’è l’uscita ad Hogsmeade. Avete programmi?”
James sbuffò, proprio mentre una dozzina di teste si girava verso di lui con estrema naturalezza, aspettando che, come da copione, si facesse avanti. “Sabato non mi va di uscire”, replicò lui. “La sera ho la ronda.”
Lily sbuffò ancora più forte di lui, tenendo la testa rigidamente dritta per non guardarlo. “Potter, sabato non c’è nessuna ronda.  È la settimana prossima.”
“Purtroppo, Evans, Cristopher mi ha chiesto di fare scambio di turno, visto che loro sabato hanno la partita.”, ribattè lui, altrettanto seccato. Quella settimana non avevano fatto altro che litigare ininterrottamente, tanto che James sembrava essere arrivato al punto di perdere la pazienza, cosa che fino ad allora non era mai successa. Questo ovviamente aveva contribuito ad aumentare il malumore di Lily, con il risultato che quel giorno – cosa non troppo sorprendente – il nostro angolo di tavolo era il più burrascoso di tutta la Sala Grande. Per non parlare di Georgia e Teddy, che stavano discutendo senza darsi un secondo di pausa dall’inizio del pranzo. L’elemento positivo, in questo caso, era che Teddy a differenza di James sembrava godersela un mondo: ai continui insulti di Georgia  stava reagendo con sorrisi sempre più ampi man mano che questi diventavano più pesanti, fino a che sembrò non resistere davvero più e scoppiò in una fragorosa risata, facendo girare verso di sé tutta la tavolata. “Hill, tu sei davvero uno spasso!”, sghignazzò, asciugandosi le lacrime.
Se poi si aggiungevano Remus e Juliet, il primo muto e scuro in volto, la seconda che infilzava ogni boccone in modo tanto feroce da aver indotto un Kenny piuttosto inquietato ad allontanarsi da lei, la situazione attorno a noi diventava davvero tragica.
Finalmente, prima che il tutto degenerasse in un probabile bagno di sangue (avevo chiaramente notato Georgia tirare fuori la sua bacchetta, e vista la poca lucidità che possedeva al momento, la cosa mi aveva preoccupata non poco), qualcuno di evidentemente molto coraggioso ci interruppe.
“Il Cavillo?” Una ragazza dagli occhi chiarissimi e lunghi capelli castano scuro si era fermata al nostro tavolo, tra le mani teneva una grossa pila di giornali, ognuno di una sfumatura di colore diverso. “Qualcuno vuole il Cavillo?”
“Collins!”, esclamò Sirius, saltando su con il più seducente dei suoi ghigni. “Come stai?”
Lei si grattò la fronte, con aria perplessa. “Scusa, sei Black o Lupin? Vi confondo sempre.”
Mai offesa peggiore era giunta alle orecchie di Sirius Black. Lasciò scorrere lo sguardo da Remus a Juniper, e poi di nuovo a Remus con aria profondamente disgustata. “Stai scherzando, spero, Juniper.”, mormorò, allontanandosi il più possibile da Remus. “Sono Black, ovviamente.
“Okay.”, annuì Juniper, con l’aria più indifferente di questo mondo. “Sto bene, comunque. Desideri una copia del Cavillo?”
“No, però questo sabato sono libero.”, replicò Sirius, con una logica veramente degna di James. La mia faccia doveva aver assunto un’espressione parecchio schifata, perché Juliet mi riservò una pacca solidale sulla spalla.
“E allora?”, fece Juniper, inarcando entrambe le sopracciglia. “Qualcuno di voi vuole il Cavillo, insomma?”
“Io, grazie.”, fece Heloïse, allungandosi sulla tavola per sporgerle alcuni spiccioli.
Juniper si illuminò tutta e le rivolse un ampio sorriso. “Veramente?”, esclamò, estasiata. “Sai, è la prima copia che riusciamo a vendere…”
“Ne prendo una anch’io, allora, se la cosa ti rende felice.”, intervenne Sirius con nonchalance. “Forse non te l’avevo mai detto, ma sono appassionato di Sprizzogorghi, io.”
Juniper gli sorrise in modo compassionevole. “Si chiamano Gorgosprizzi. Tieni il tuo Cavillo, comunque, spero che ti svegli un po’.”
Per un attimo Sirius sembrò offendersi, poi decise di passarci sopra.
“Collins, perché non usciamo insieme, sabato?”, le urlò dietro, ma lei ormai si era allontanata, ondeggiando leggermente insieme ai suoi lunghi capelli, e io non riuscii a trattenere l’ampio sorriso vendicativo che mi era salito spontaneamente alle labbra.
Sirius ritornò al suo pranzo, con aria bastonata. Heloïse gli scoppiò a ridere in faccia. “Vedi, Black? Non ci sai fare. Scommetto che se le avessi chiesto io di uscire, avrebbe accettato.”
Sirius la guardò in cagnesco. “Non dire stronzate, Conrad... Vorrei proprio vedere.”
 
***
 
Era venerdì pomeriggio e, complice la completa assenza di compiti, avevo sentito il desiderio improvviso di una passeggiata nel parco. Georgia, Juliet e Heloïse erano impegnate altrove, così avevo pensato di andarci da sola. Dopotutto era da tanto che non passavo un po’ di tempo per conto mio, ed era esattamente quello che volevo. Godere del debole raggio di sole che aveva momentaneamente schiarito il cielo, farmi colorare le guance dal freddo già pungente e lasciare che i pensieri vagassero a zonzo insieme ai piedi, magari trasformarmi e prendere il volo all’improvviso, d’istinto, era tutto quello che desideravo in quel momento.
 
I ciottoli della spiaggia scricchiolavano sotto le mie scarpe, senza che riuscissi a ricordare quando di preciso avessi deciso di dirigermi verso quel punto del parco. Ero felice, una felicità tranquilla e di poche pretese, di fronte alla quale le paure e le preoccupazioni perdevano un po’ della loro importanza.
Mi trovavo nel posto dove avevamo fatto il bagno un po’ di tempo prima, tutti insieme. Mi scappò un sorriso, mentre immergevo la mano nell’acqua gelida e la ritraevo subito, ripensando al divertimento di quel giorno, alla vacanza in Italia, alla punizione che io e i Malandrini avevamo dovuto scontare insieme la settimana prima. Proseguii lungo la riva, senza una meta precisa, le mani in tasca e il mento affondato nella sciarpa. Un rumore di passi mi distrasse all’improvviso, per un attimo pensai di essermi persa, poi mi accorsi di aver semplicemente continuato a camminare avanti e indietro lungo lo stesso tratto di spiaggia. Benjy mi veniva incontro, il cappotto aperto sopra un maglione pesante. Sorrideva, ma era un sorriso che non vedevo da tanto tempo, serio e dolce insieme, era il sorriso di quando non ci conoscevamo ancora tanto bene, e qualcosa mi diceva che quel giorno non avrebbe scherzato e non mi avrebbe presa in giro per la mia scarsa predisposizione alla Divinazione.
“Te ne vai in giro tutta sola?”, mi domandò, affiancandosi e adattando il suo passo al mio.
“Non più.”, sorrisi senza guardarlo.
“Sono dovuto scappare dalla Sala Comune, sai, erano un po’ agitati.”
“Ma davvero?”, replicai, per nulla sorpresa. “Stanno diventando veramente insopportabili…”
“Insostenibili…”
“Assolutamente inaccettabili… insomma, non è umano che si comportino sempre così…” Era consolante trovare qualcuno di ancora normale.
“Ti ricordi?”, mi domandò Benjy, indicando con il mento la spiaggia e alludendo a quella mezza giornata passata tutti insieme.
“Scherzi?”, replicai con un ampio sorriso. Benjy sorrise a sua volta, e distolse lo sguardo dal lago per puntarlo su di me. Le sue iridi erano di un colore particolare, un castano morbido e caldo che sfumava in un verde chiaro vicino alle pupille. Sbattei le palpebre, rendendomi conto che se non mi ero mai soffermata con tanta attenzione sui suoi occhi era perché non eravamo mai stati così vicini. Strusciai i piedi al suolo, provando un lieve imbarazzo di fronte al silenzio improvviso che si era creato. Dopo essere rimasto a osservarmi per un altro brevissimo tempo, anche Benjy distolse lo sguardo, e riprese a camminare.
Cominciava a scendere il freddo, dal lago tirava una brezza invernale, anche se leggera, così non avendo niente di meglio da fare, decidemmo per una visita ad Hagrid.
“Ci sarà il tè…”, commentai con entusiasmo, affrettandomi dietro Benjy verso la piccola capanna del guardiacaccia.
Hagrid venne ad aprirci, ancora più enorme di quanto ricordassi. Sembrava piuttosto indaffarato, con addosso un grembiule dall’aria logora e la barba nera particolarmente crespa e ingarbugliata. Tuttavia non appena ci vide, dall’alto della sua impressionante statura, sorrise, gli occhi neri come il carbone che brillavano di simpatia.
“Chi ci abbiamo, qui?”, esclamò in tono burbero, tentando di farsi da parte – inutilmente, dato che da solo occupava ben più spazio dell’apertura della porta – per lasciarci entrare. Un calore piacevole si diffondeva dal grosso camino acceso, calderoni fumanti e altri strani oggetti pendevano dal soffitto.
“Entrate, sedetevi pure, coraggio. Stavo giusto preparando il vostro infuso preferito… era da un po’ che non venivate a trovarmi, eh, mascalzoni?”
“Come  stai, Hagrid?”, gli domandai gentilmente, mentre lui si affrettava a tirare fuori dalla credenza tre grandi tazze.
“Non c’è male, sapete. Le melanzane mi danno qualche pensiero, ma tutto sommato è una buona stagione...”
Benjy sorrise, scuotendo la testa.
“E voi che mi combinate, eh? Ragazzaci come siete, voi e i vostri amici…”
Quella volta toccò a me sorridere. “Oh, ultimamente niente di che…”
Hagrid si avvicinò al tavolo, portando tra le braccia il vassoio con le tre tazze fumanti. “Niente di che, ma guarda un po’…”, ripetè, burbero. “Sempre detto, a Silente, che di scalmanati come voialtri non se ne sarebbero più visti, a Hogwarts. Voi e i… uhm… Malandrini. Meno male che c’è James, che mi viene sempre a trovare… Gran bravo ragazzo, lui.”
Continuammo ad ascoltarlo,  nascondendo nel frattempo qualche biscotto troppo duro per poter essere considerato commestibile nelle tasche, e mettendo Hagrid al corrente delle novità di Hogwarts.
“Brutti tempi, ragazzi, ve lo dico io. Bruttissimi tempi…” Io e Benjy gli stavamo animatamente raccontando delle ultime malefatte dei Serpeverde, che in quel periodo sembravano darsi particolarmente da fare. Proprio il giorno prima Mulciber, Avery e i loro amici avevano avuto un accesissimo scontro con due ragazzi Corvonero, che si erano ritrovati in Infermieria, un paio di ossa rotte ciascuno, senza che si fosse riusciti a capire il motivo della zuffa. Hagrid sospirò pesantemente, mandando giù in un solo sorso un bel bicchierone di brandy che, una volta finito il tè, aveva misteriosamente fatto comparire dalla credenza. “Silente c’ha un bel da fare, con tutti i problemi che ci sono… e quegli incapaci del Ministero, hanno anche avuto il coraggio di dargli la colpa per la ragazza sparita! Dico io, a Silente…
“È un gran preside.”, commentò Benjy, con trasporto.
“Puoi scommetterci che lo è, Benjy!”, tuonò Hagrid con un misto di orgoglio e profondo affetto. “Il migliore preside di tutti i tempi, e senza di lui, non ti dico che fine faremmo, tutti quanti.” Hagrid fece una pausa per versarsi dell’altro brandy. “Per Diana!”, brontolò, guardando fuori dalla finestra appannata. “È già tardi, meglio che tornate, su. Non vorrete che poi vi mettono in punizione per colpa mia, eh?”
Sparecchiammo la tavola, accatastando le tazze nel lavello e continuando a chiacchierare allegramente, fino a che divenne veramente troppo tardi per restare. Io e Benjy raccogliemmo le giacche dall’attaccapanni, e Hagrid ci accompagnò fino alla porta.
“Mi ha fatto piacere che siete venuti, sapete.”, sorrise nella barba arruffata, guardandoci con burbera simpatia. “Fate i bravi, e mandatemi anche i vostri compari, qualche volta... Quel mascalzone di Sirius non si fa vedere da un bel po’...”
 
Fuori era già quasi del tutto buio, l’umidità penetrava nei vestiti pesanti  e si attaccava alla pelle. Camminammo in silenzio per un po’, nell’oscurità riconoscevo solo i contorni delle figure e il profilo distinto di Benjy, affianco a me.
Stavamo risalendo il prato, quando girò la testa nella mia direzione e rallentò il passo. “Senti…”,  esordì, e la sua voce suonò estremamente limpida nel silenzio della sera. “…so che lo sai.”
Esitai, senza sapere bene cosa volesse sentirsi dire. “Che cosa?”, domandai stringendomi di più nel cappotto.
Rallentò ancora, fino a fermarsi del tutto. “Che mi piaci.”, mormorò schiettamente, scrollando le spalle.
Fui davvero felice nel rendermi conto che con l’oscurità  intorno a noi il rossore sul mio viso era del tutto irrilevante e impossibile da notare, così come la mia espressione, un miscuglio di imbarazzo, gioia e confusione. Stetti in silenzio, mentre Benjy cercava i miei occhi nel buio, serio, quasi timoroso. “Pensavo che non te ne saresti accorta mai, ma poi… beh, l’hai capito.”
Mi sembrava maleducato non rispondere, eppure tra i miei pensieri ingarbugliati non ne trovai nemmeno uno che valesse la pena di essere detto ad alta voce. Restai in silenzio, aspettando con ansia che Benjy continuasse. “E oggi pomeriggio, al lago, c’è stato un momento in cui avrei voluto baciarti, ma ho pensato che forse… non ti avrebbe fatto piacere.”
Il silenzio che si protrasse dopo le sue parole era denso di disagio e incertezza, toccava a me parlare. “Ti sbagliavi.”, mormorai. E ridendo e scherzando, ecco dove avevamo finito per arrivare, io e lui. “Mi avrebbe fatto piacere, credo…”
Il sorriso di Benjy fu luminoso, nonostante l’oscurità. Allungò una mano ad accarezzarmi il viso e mi baciò.
 
 
 
***
 
 
Peter è appostato dietro la porta, gli occhietti grigi che si spostano da una parte all’altra delle scale a ritmo frenetico, pronto a dare l’allarme con tutta la rapidità di cui i suoi riflessi da topo sono sono capaci. Finisco di copiare il tema in tutta fretta, guardando nervosamente la porta e sobbalzando ad ogni rumore: l’ultima volta che Remus mi ha beccato con un suo compito in mano è stata la mia chiappa destra a rimetterci, perciò preferirei non ripetere l’esperienza. Senza contare che negli ultimi tempi la disposizione d’animo del mio amico non può essere considerata delle migliori , e detesto ammettere che Remus di cattivo umore è una delle cose che mi fanno più paura in assoluto. Soprattutto perché questa volta la luna piena non c’entra.
“Sbrigati, ti prego!”, geme Peter, molto pallido in volto.
“Ho finito, ho fin-…”
Sirius, sta arrivando!” Lo strillo improvviso di Peter mi fa ribaltare di colpo dalla sedia; contemporaneamente la boccetta di inchiostro, urtata dal mio gomito, si rovescia sul pavimento andando in frantumi, e la voce di Remus, insospettita, giunge dalle scale. “Tutto bene, ragazzi?”
Mi butto sotto il tavolo, afferro il compito di Remus con la punta delle dita per non sporcarlo o spiegazzarlo e mi lancio verso la sua borsa, rimettendolo dentro e chiudendo le cinghie in fretta e furia. Peter si è accasciato contro il muro, in preda a uno dei suoi svenimenti, ormai totalmente rassegnato all’idea di venire identificato come mio complice e punito di conseguenza.
Remus appare sulla soglia della porta proprio mentre io mi butto sul mio letto, esausto. “Cosa diamine state facendo?”, esclama.
“Io e Peter…stavamo… lottando.”, ansimo, asciugandomi il sudore dalla fronte.
“Proprio così.”, mormora Peter con un filo di voce.
“Ah, davvero?”, domanda Remus, perplesso. “Sirius, sei sporco d’inchiostro dalla testa ai piedi, per l’amor del cielo! Siete veramente impossibili!”
“Scusaci, Remus”, mormora Peter, mansueto, mentre io mi ripulisco innocentemente dall’inchiostro. “Ora rimettiamo tutto in ordine.”
Remus sospira e si siede sul suo letto. “James non è ancora tornato?”
“Oggi aveva allenamento.” Mi stiracchio, improvvisamente più rilassato, avviandomi verso la porta. “Penso che andrò a farmi un giro. Se avete bisogno di me… beh, fatene a meno.”
Grazie, Sirius.”, sento sbottare Remus.
 
La Sala Comune questa sera sembra particolarmente festosa.  La gran parte dei Grifondoro è riunita tra divani e poltrone, nella solita atmosfera di familiare accoglienza, gli scoppi di risa e il chiacchiericcio allegro riempiono la stanza. Nel punto più movimentato della sala individuo Georgia e James, insieme alla squadra di Quidditch, ancora accaldati dopo l’allenamento e impegnati in un’accesa discussione. Mi dirigo verso di loro a passo sicuro, lasciando vagare lo sguardo da una parte all’altra della stanza. Un ammasso di primini è riunito a confabulare attorno a una poltrona, Baston e Jordan giocano a scacchi, un tizio studia tenendosi le orecchie tappate e un gruppetto di ragazzine confabulano ridacchiando.
Inevitabilmente il mio sguardo viene attratto verso l’angolo più lontano, il divano davanti alla finestra, ma solo dopo esserci ripassato più e più volte mi rendo veramente conto di cosa vedo e mi ci soffermo, esterrefatto.
La Summerland, Beatrice Summerland, quella Beatrice Summerland. Tengo lo sguardo fisso su di lei per parecchi secondi, registrando ogni dettaglio. È sdraiata sul divano con aria rilassata,  i capelli sparsi sul bracciolo e un bel sorriso sulle labbra, anche se non è questo a turbarmi. Si tratta  di Fenwick, Benjy Fenwick, quel Benjy Fenwick, seduto sullo stesso divano. La guarda e le sorride e le parla, lei ride e si alza a sedere di scatto, guardandolo un po’ storto.
Beh, non c’è niente di male, no? Sono amici, giusto? Quante volte l’ho vista stare seduta a chiacchierare con Remus?
Ma poi mi accorgo che è cambiato qualcosa, Benjy le si è fatto più vicino, e non riesco a capire perché lei non si allontani ma resti a guardarlo, tranquilla. Sempre più sconcertato osservo il rosso vivo delle sue guance e la carezza delicata con cui Benjy le sfiora i capelli.
Mi costringo a distogliere lo sguardo, e in fretta.  È disgustoso, e non saprei spiegare il malumore improvviso la scenetta appena vista mi ispira.
Mi guardo brevemente attorno, Mary MacDonald sta attraversando la Sala Comune, dirigendosi verso il dormitorio.
“Mary!”, la chiamo, ad alta voce. “Vieni qui.”
Mary mi raggiunge, la prendo per la vita e la faccio sedere sulla poltrona di fianco a me, forse un po’ bruscamente.
Lei alza le sopracciglia, confusa. “Black, va tutto…” Poi vedo il suo sguardo soffermarsi su qualcosa dietro di noi, il volto le si spiana in un ghigno estremamente divertito. “Oh, ma come siamo gelosi…”, mi provoca, sorridendo maliziosamente. Senza riuscire ad impedirmelo, mi giro un’altra volta verso Beatrice. Possibile che… Okay, sono geloso.
“Andiamo, non dirmi che ti piace ancora, dopo tutto questo…”
Mary.”, la interrompo, esasperato. “Ovvio che non piace…”
“E allora?”
“È solo che… non sapevo che tra lei e Fenwick…”
Mary scoppia a ridere, sempre più divertita. “Tu non ti accorgi mai di niente, non è vero?”
Vedendo che non ribatto, Mary continua: “Beh, suppongo che sia normale che tu sia geloso… dopotutto è l’unica storia seria che tu abbia mai avuto…”
“Non è vero”, replico prontamente, sorridendole in modo allusivo. “La nostra era una storia più che seria…”
Mary scoppia di nuovo a ridere a crepapelle, piegandosi in due. “Sirius… una settimana e mezza… al terzo anno…”
“E allora?”, ribatto, cercando di rimanere serio. “Io ti amavo veramente, MacDonald.”
 Mary è stata la mia prima ragazza, e anche una delle migliori. Ci siamo lasciati praticamente subito, certo, ma senza troppe tragedie, e da allora siamo sempre rimasti buoni amici.
“Anche io, Black, te lo giuro.”, sorride lei, portandosi la mano al cuore. “In ogni caso… mi sembra che quei due si trovino bene, insieme, no?” Lancia un’occhiata incuriosita a Fenwick e la Summerland, poi mi sorride di sbieco, un po’ perfidamente.
“Non lo so, suppongo di sì…”, biascico. E veramente non ho idea di cosa pensare, li guardo e non riesco a capire da dove venga questo fastidio eccessivo, perché so che non è dovuto a Beatrice in sé, e che ormai è davvero acqua passata, con lei.
“Sirius, è una reazione perfettamente normale.” Mary interrompe il flusso dei miei pensieri, un po’ addolcita.  “È normale che tu ti senta ancora un po’ possessivo nei suoi confronti…”
“Ma io…”
“Fidati, è così.”
Mary ha ragione, deve essere proprio così. Beatrice non era mai stata con nessun altro, prima o dopo di me, e non può che farmi quest’effetto, per quanto mi sforzi non riesco ad arginare questa sorta di sconfortante malinconia, arrivatata così all’improvviso per colpa sua.
Non stacco lo sguardo, rimango a osservarli come in trance, le teste vicine e le mani quasi intrecciate, fino a che i suoi occhi non incrociano i miei. Restano immobili solo un attimo, interrogativi e chiari, e poi scivolano via di nuovo, indifferenti come acqua che scorre.
 
 
 
 
 


Note dell’autrice:
Dite che sono in ritardo? Ma no, per me non se ne è accorto nessuno. Beh  l’importante è che io e il nuovo capitolo CI SIAMO e ce l’abbiamo fatta, anche se con qualche  difficoltà (parecchie).
Spero di non avervi deluso troppo, perché non so tanto cosa pensare di questo capitolo. Sono successe un po’ di cose, direi, anche se commenti particolari non ne ho. Non so se il modo in cui ho sviluppato la Benjatrice (?) vi piaccia, penso che si capisca che si tratta di una cosa abbastanza leggera, che non porterà nessun tipo di problemi, (o almeno, lo spero.) Il prestavolto di Benjy che abbiamo usato nell’immagine a inizio capitolo e che ho intenzione di usare anche in futuro è Robert Sheehan, spero che lo troviate adatto perché è stata una scelta un po’ difficile.
 
 Ovviamente l’ultima parte è narrata dal punto di vista di Sirius, e anche qui spero che si sia spiegato abbastanza, riguardo ai suoi sentimenti e alla sua gelosia, e che non l’abbiate trovata una cosa un po’ troppo banale, come forse in effetti è. Tra lui e la Summerland è acqua passata, ormai, però naturalmente sarebbe impossibile che non provasse il minimo fastidio nei confronti di lei e Benjy, e quindi ho voluto descrivere i suoi pensieri a proposito della nuova situazione.
Per il resto è tutto a posto, mi sembra :)
Niente, lo so che questa volta sono stata veramente imperdonabile e ho ritardato in modo spaventoso, ma l’inizio della scuola è stato un po’ duro e l’unico tempo che mi resta per scrivere è un’oretta la sera. Cercherò di darmi da fare il più possibile, ma in ogni caso non aspettatevi aggiornamenti in meno di un mese.
Detto questo vi ringrazio moltissimo, tutti quanti, siete voi che mi tenete costantemente accesa la voglia di scrivere e andare avanti. <3
Alla prossima,
Trixie
 
p.s. Nello scorso capitolo avrei dovuto mettere un’immagine sulla Jupin durante la lezione con i Patroni e poi invece mi sono dimenticata di copiare il link, quindi lo faccio ora:
http://i44.tinypic.com/2yz0nbo.jpg

 

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Capitolo 41
*** L'inizio ***



Al mio fennec

Quarantesimo capitolo: L’INIZIO
 

Novembre arrivò, portando con sé un freddo tagliente e una nebbia soffusa e persistente, un silenzio immobile che avvolgeva gli scheletri degli alberi, spegneva i colori e diffondeva una dolce malinconia. Il lago era interamente celato da quella bruma sottile e opaca, e solo in alcuni punti lo scintillio nero dell’acqua si lasciava intravedere, misterioso.
Tutto in quella quiete profonda e indifferente dava l’illusione di una nuova tranquillità, tranquillità che tuttavia, a Hogwarts, sarebbe sempre stato impossibile trovare.
 
Quella sera io e Heloïse tornavamo a passo spedito dalle cucine, i vassoi tra le braccia stracolmi delle migliori prelibatezze che avevamo accuratamente selezionato tra le riserve degli elfi domestici. C’era davvero un po’ di tutto, ciambelle spruzzate di zucchero a velo, qualche fetta di torta al cioccolato, biscotti appena sfornati e persino, in magico – magico davvero – equilibrio, quattro fumanti tazze di cioccolata calda con panna. Juliet e Georgia sarebbero state fiere di noi, poco ma sicuro.
Il programma della serata era un semplice pigiama-party tra compagne di dormitorio e migliori amiche, un’abitudine a noi familiare fin dal secondo anno che ultimamente avevamo un po’ lasciato andare. Heloïse quella volta aveva insistito e si era impegnata perché tutto fosse perfetto, proponendosi persino di riordinare la stanza e facendo in modo che Kenny riuscisse a procurarci – non importava in quale maniera illegale – qualche leccornia dalle cantine di Mielandia. Perciò non mi stupii più di tanto quando, dopo sette piani di scale, aprendo la porta della camera mi ritrovai di fronte a uno spettacolo piuttosto insolito: i due letti centrali, quelli di Heloïse e Georgia, erano stati uniti in modo da formare un’unica, immensa isola scarlatta, sopra la quale regnavano cumuli di caramelle di tutti i tipi, dalle forme più disparate e i colori accesi. Se lo scopo di Heloïse era quello di renderci entusiaste di fronte alla prospettiva di una serata di pettegolezzi  e stupidaggini, potevamo dire che ci stesse quasi riuscendo.
“Perfetto!”, esclamò Heloïse, soddisfatta, proprio mentre Juliet usciva dal bagno nel suo accappatoio verdino, i capelli sgocciolanti e un asciugamano in mano.
“Ma che roba è?”, borbottò, scrutando con aria diffidente l’ordine decisamente poco naturale che dominava la stanza. Poi però si accorse dei vassoi e delle caramelle, e si illuminò tutta.
“Ah, vi amo.”, esultò, buttandosi di pancia sopra il letto e afferrando dal mucchio la prima ciambella. Georgia la seguiì senza farsi invitare, appropriandosi di una manciata di di Api Frizzole, le sue preferite. Mentre le due bisticciavano su cosa spettasse di diritto all’una o all’altra, Heloïse si munì del suo cuscino panciuto e si installò in una posizione strategica, da dove riusciva a tenere sotto controllo sia le scorte alimentari sia noi tre, e contemporaneamente tempestarci di notizie a proposito di un concerto delle Sorelle Stravagarie, gruppo allora ancora poco conosciuto, a cui voleva assolutamente portarci durante le vacanze di Natale. Dovette arrendersi del tutto, però, quando si rese conto che io mi ero completamente estraniata dalla conversazione e che Georgia e Juliet si stavano dedicando con trasporto all’esaminazione di un pacchetto di gomme da masticare dall’aria evidentemente sospetta. “Uffa, mi ascoltate?”, si lamentò. “Ho un sacco di cose da dirvi!”
“Io queste non le ho mai viste, a Mielandia.”
“Nemmeno io. E ti assicuro che conosco a memoria tutte le varietà di Bolle Bollenti, tutte…”
Heloïse sbuffò rumorosamente, e Georgia alzò gli occhi su di lei, mentre Juliet continuava ad analizzare il pacchetto con circospezione. “Tu ne sai qualcosa, Heloïse?”
“Ha preso tutto Kenny, io non c’entro niente…”
“Bene, allora è evidente che non dobbiamo fidarci.”, concluse Georgia in tono definitivo, allontanandosi frettolosamente dal pericoloso oggetto.
Juliet annuì, con aria rassegnata.  “Peccato, sembravano buone.”
“Certo, come minimo saranno piene di caccole di drago…”
“Tutto questo è molto interessante”, si inserì Heloïse, sgarbatamente. “Georgia, tu non eri a dieta per la prossima partita?”
“Schiocchezze, quando mai l’avrei detto?”
“Certo, quando mai l’avrebbe detto?”, si inserì Juliet, sghignazzando. “Georgia, teoricamente tu sei a dieta da quando ti conosco…”
“Ah, Juliet, stai zitta, pensa ai tuoi problemi!”
“Che cosa ho detto di male?”
“Ultimamente sei proprio insopportabile!”
“Ma non è vero, che cosa vuoi, Georgia?”
“È vero, invece.”, ribadì coraggiosamente Heloïse, mentre io, in tutto ciò, me ne stavo tranquilla in disparte a bere la mia cioccolata calda e guardarle bisticciare.
“Non è vero.”
“È vero…”
“Non è vero.”
“Se solo ti decidessi a parlare con quel maledetto Lupin, allora…”
Che cosa?! Chi dovrebbe parlare con chi, scusate? ” Dopo la sua veemente esclamazione Juliet sembrò rimanere senza parole da quanto era indignata. Perciò si limitò ad afferrare il suo cuscino e a sbatterlo addosso a Georgia, giusto in modo da assicurarsi che l’idea di una possibile riappacificazione tra lei e Remus – almeno da parte sua – uscisse in fretta dalla testa dell’amica.
“Il punto, Juliet”, si inserì Heloïse, per nulla impressionata, “è che sei sempre arrabbiata e non mi lasci nemmeno copiare i compiti, motivo per cui Lumacorno mi ha messo di nuovo in punizione…”
“Ehi, ora che ci penso, anche io sono in punizione perché Juliet non mi ha lasciato copiare i compiti…”,
“E questo cosa c’entra? Non ci vedo proprio niente di male.”, si difese lei. “E non dite sciocchezze,  ve li faccio copiare sempre! Bea, non è vero?”
“Cosa?”, domandai confusa, la bocca vergognosamente impiastricciata di cioccolata.
“Juliet, lasciala perdere.”, sbuffò Heloïse, sogghignando. “Lei pensa ad altro, non è vero, Bice? Per esempio, stasera hai qualcosa in programma?”
Arrossii in modo colpevole, mentre Georgia incrociava le braccia al petto, guardandomi severamente. “Io… in verità...”, balbettai, parecchio imbarazzata. “Benjy mi aveva chiesto…”
“Ah, lo sapevo!”, urlò Georgia, a metà tra il trionfante e l’infuriato. “Giuro che è l’ultima sera che ti lascio uscire con Benjy!”
Juliet scoppiò a ridere. “Ma Georgia, per Merlino…”
“Sì, veramente, Georgia.”, sbuffò Heloïse. “Lasciala stare e trovati qualcun altro da maltrattare, tipo Baston. Ah, già, lui lo maltratti abbastanza anche così…”
“Senti un po’, Heloïse!”, esclamò Georgia, imbronciata. “Io maltrattatto chi voglio. Perché prima di accusare me non mi spieghi come diamine è possibile che non esci con qualcuno da… dai tempi di Jack?”
“E questo che cosa c’entra?”, replicò Heloïse, sorridendo con superiorità. “Comunque, è molto semplice. I ragazzi non mi interessano più.”
A quell’assurda affermazione scoppiammo tutte tre a ridere, così fragorosamente che per un po’ fu impossibile per Heloïse aggiungere qualcosa in sua difesa.
Quando mi resi conto che era ormai si era fatto tardi mi alzai dal letto, mi rifeci lo chignon quasi del tutto sfatto e mi rassettai velocemente  i vestiti. “Sentite, io ora dovrei proprio andare…”
“Sì, corri da Benjy, brava.”, borbottò Georgia, tremendamente offesa.
“Non lo farò più, Georgia, te lo prometto.” Ridacchiai un po’ nervosamente, affrettandomi verso l’uscita e inciampando a metà strada sulla borsa di Juliet.
“Divertitevi, mi raccomando”. Heloïse mi sorrise, sorniona, mentre mi richiudevo la porta alle spalle con un sbuffo esasperato.
 
Sospirai di sollievo, poi mi ricordai di quello che mi aspettava e una nuova ondata di ansia mi investì. Mi guardai brevemente attorno, e lo individuai immediatamente: a metà delle scale, un piede che scalciava con impazienza contro la ringhiera e le braccia incrociate al petto in modo scocciato, mi aspettava Sirius.
“Ce ne hai messo!”, sbottò, rivolgendomi una smorfia che poteva sembrare un sorriso a metà tra il complice e l’esasperato. “Sei in ritardo, ti aspetto da…”
“Scusami, va bene?”, esclamai, scuotendo la testa e seguendolo mentre scendeva in fretta i gradini, senza aspettarmi.
“Hai detto che uscivi con Benjy?”
“Ovviamente.”
Sirius sogghignò, improvvisamente di buonumore. “Sai cosa penserebbero le tue amiche se si affacciassero dalla porta e ci vedessero, vero?”
“Sbrigati, dai.”, borbottai spingendolo giù dalle scale e trattenendo a stento un sorrisetto divertito. Per precauzione accelerai il passo. La sala comune non era ancora vuota, ma fortunatamente nessuno sembrò notarci troppo, mentre andavamo verso verso il passaggio dietro al ritratto. Appena al sicuro da occhi indiscreti Sirius tirò fuori dalla tasca la Mappa del Malandrino e si mise a studiarla. “Bene.”, esclamò, afferrandomi per il braccio e trascinandomi in mezzo al corridoio. “Gli ultimi tre piani sono liberi, Gazza sta zoppicando verso Barnaba il Babbeo e… Mrs Purr è nelle cantine.”
Camminando in fretta rasente i muri e oltrepassando stretti passaggi in cui raramente mi ero imbattuta, scale che non stavano mai ferme e corridoi tortuosi, Sirius mi guidò con sicurezza attraverso il castello. Soltanto al secondo piano, dove Pix il Poltergeist aleggiava spostandosi di corridoio in corridoio, fummo costretti a fermarci dietro una colonna e aspettare, per poi correre via, fino alle porte della Sala Grande, buia e misteriosa nel suo completo silenzio. Le uniche cose che riuscivo a sentire erano il battito del mio cuore rimbombare violento nelle vene e il rumore dei cardini del portone, che  Sirius aveva aperto con un incantesimo.
 
Per un attimo mi soffermai sotto il cielo, incantata e timorosa  in pari misura.  Le nuvole sembravano correre veloci, allontanarsi da quel chiarore argenteo che si diffondeva piano, delineando le forme degli alberi spogli e la brina che ghiacciava i prati; gli lasciavano spazio, quasi lo temessero, e io in cuor mio, in quell’attimo di follia in cui l’angoscia mi impediva di collegare i pensieri, non potei che dare loro ragione.  Ancora una volta Sirius non mi aspettò e partì in fretta verso la figura che faceva da riferimento all’immensa desolazione di novembre, l’albero più grande di tutti, e anche il più pericoloso. Mentre gli arrancavo dietro sapevo che pensavamo entrambi alla stessa cosa, che l’ultimo plenilunio in cui ci eravamo ritrovati insieme era stato quello che aveva segnato il concludersi  di tutto, che era passato un tempo infinito e che eppure avrei saputo ripetere parola per parola quello che gli avevo gridato contro quella notte. E dallo sguardo che Sirius mi rivolse quando si girò a controllare che ci fossi ancora, seppi che quello che gli avevo detto quella notte, lo ricordava bene anche lui.
Qualcuno aveva lasciato un bastone vicino al Platano Picchiatore. Sirius lo raccolse, sempre senza parlare, lo allungò fino a toccare il tronco e i rami smisero di agitarsi, pietrificati come per magia. A separarci da quello che ci aspettava non restava che quel tunnel, e in vita mia non mi era mai sembrato così stretto, lungo e faticoso. Sirius si trasformò  in cane per passarci più facilmente e mi precedette senza esitazione. Quando ormai l’affanno e il timore per quello che avrei trovato dall’altra  parte erano aumentati fino a diventare insostenibili, Sirius spalancò la porta con il muso e atterrò scivolando sul pavimento sudicio.
Le tre figure si intravedevano appena nella penombra, nonostante l’oscurità stesse già cedendo il posto al bagliore bianco e opaco della luna, simile a quello dei Patroni e terribile nella sua purezza ingannatrice.
Ero di nuovo lì, a mesi di distanza dall’ultima volta, e spaventata come se si trattasse della prima. Guardavo Remus, tremante in ginocchio sul pavimento, e sentivo che non avrei potuto essere da nessun’altra parte se non lì a sorreggerlo, che sarei rimasta con lui nonostante i rischi, le regole infrante e le sue stesse paure, perché era tutto quello che c’era da fare, e perché speravo che un giorno anche lui avrebbe finito per accorgersi della persona che era.
James mi sorrise, scherzoso. “Nervosa, Scricciolo?” Scossi la testa con decisione, e seguendo l’esempio di Peter, iniziai a girare in tondo per la stanza angusta, facendo di tutto per distrarmi dall’immagine di Remus piegato in due dal dolore. Presto la luna sarebbe comparsa e avrebbe messo fine a tutto.
Un gemito incontrollato mi costrinse a fermarmi, nello stesso istante un raggio di luna attraversò la finestra rotta rischiarando l’intera stanza e colpendoci con violenza.
A un cenno silenzioso di James presi la forma del mio Animagus, proprio mentre Remus si tramutava in licantropo. Schizzai fuori dalla finestra prima di tutti gli altri, nella notte chiara e fredda , volando per liberarmi di quell’agitazione , un misto di timore e trepidazione che da umana non riuscivo a gestire. Cervo, cane e lupo si inseguivano sotto di me e c’era qualcosa di infinitamente bello nel guardare dall’alto le loro schiene coperte di pelo folto, che si curvavano e distendevano a ritmo di corsa. Mi abbassai fino a sentire le folate d’aria spostate dal loro passaggio agitarmi le piume, mescolando il mio volo sfrenato alla loro gara, più veloce, sempre più veloce, mentre il vento e la felicità si impossessavano di ogni centimetro del mio piccolo corpo. Senza confini e senza regole ci lanciavamo nella notte e non c’era più niente che ci spaventasse, solo una libertà illimitata che ci riempiva della gioia più pura e spazzava via tutto.
Iniziò a scendere dolcemente la pioggia, bagnando la terra e offuscando per un attimo la luna. Mentre Felpato, Ramoso e Lunastorta combattevano giocosi, con Codaliscia che saltellava frenetico da una schiena all’altra, io svolazzavo intorno a loro stuzzicando prima l’uno poi l’altro, mi appoggiavo sulle corna imponenti di Ramoso, becchettavo le orecchie di Felpato per poi allontanarmi velocemente quando dava segno di arrabbiarsi. Ramoso ne approfittava e gli mordeva la coda con insistenza, ben sapendo che per Sirius non c’era cosa più sacra di quella. Presto infatti finì per spazientirsi delle nostre ripetute provocazioni, decise di abbandonare James tra le grinfie di Remus e partì di gran carriera al mio inseguimento, abbaiando così tanto che chiunque, non conoscendolo, ne sarebbe rimasto terrorizzato a morte. Entrambi veloci e irraggiungibili ci sfidavamo in quella corsa folle come se non ci fosse mai stato nient’altro, nessun rancore e nessun battibecco, giocavamo dimenticando quanto spesso fosse difficile anche solo sopportarsi a vicenda. Quello che ci univa nelle notti di luna piena era un legame speciale, quattro Animagi e un lupo mannaro, un’amicizia strana e unica destinata a durare per sempre nel ricordo di quelle avventure straordinarie e impossibili, e di fronte all’intensità di questa magia tutto il resto non poteva che scomparire. Negli occhi di Felpato che mi inseguivano dal basso leggevo un affetto semplice e puro e non me ne stupivo, perché era la stessa cosa che sentivo io per lui, la stessa cosa che esprimevano gli occhi ambrati di Lunastorta, dietro ai quali non vedevo più nessun lupo mannaro: soltanto Remus.
 
Ma si trattava di un sogno, e come in ogni sogno eravamo destinati a svegliarci presto. Stavo salendo in alto, la pioggia gelida mi scivolava addosso facendomi sentire incredibilmente viva, e anche a quella distanza riuscivo a distinguere ogni particolare tra il prato e gli alberi.
Fu a quel punto che lo vidi.
Un movimento improvviso in un angolo del prato attirò la mia attenzione, ma quando volteggiai cambiando direzione per osservare meglio, era di nuovo tutto tranquillo. Uno scorcio di luna  si liberò delle nuvole, rischiarando per un attimo i dintorni, e a quel punto non ebbi più dubbi: immobile nell’erba, c’era qualcosa. E non avevo bisogno di abbassarmi per capire di cosa si trattasse. Continuavo a tenere lo sguardo fisso su quel fagotto bianco sdraiato sull’erba, così spaventosamente somigliante al corpo di una bambina,  e intanto il battito del mio minuscolo cuore accelerava, fino a diventare più frenetico di quello delle ali. Mi decisi a scendere in picchiata, ero sicura che, chiunque fosse, quella persona aveva bisogno di aiuto, e immediatamente. Non pensai ad avvisare qualcuno, ma Sirius, che scorrazzava lì sotto, doveva avermi visto scendere all’improvviso, perché quando mi fermai a mezz’aria me lo ritrovai di fianco, la lingua a penzoloni dopo la corsa sfiancante. Ci trasformammo nello stesso momento, inginocchiandoci di fianco al corpo inerme. Il viso guardava verso il cielo, le palpebre erano serrate e le labbra socchiuse, ma non servivano altri elementi per riconoscerla.
“Claire… Lennox?”, balbettò Sirius. Lo sguardo di terrore che mi rivolse rispecchiava esattamente il panico che mi attenagliava lo stomaco, impedendomi di respirare.
“Sirius…”, farfugliai, agghiacciata. Vedere il suo corpo abbandonato sull’erba, il viso di porcellana e i lineamenti delicati come quelli di una bambina, era quanto di più spaventoso avessi mai provato in vita mia. Sirius fece quello che io in quel momento non sarei mai stata in grado di fare, allungò la mano e gliela appoggiò sul collo, a sentire il battito del cuore. Restai a guardarla, senza riuscire a respirare.
“È viva.”, mormorò Sirius. “Stai tranquilla!”, aggiunse preoccupato, di fronte alla mia completa apatia. Mi appoggiò una mano sulla spalla, scuotendomi leggermente. “Beatrice, dobbiamo fare qualcosa, e subito…”
Sbattei le palpebre, riscuotendomi all’improvviso, e il mio cuore riprese a battere rapidissimo. Tremando estrassi la bacchetta dal mantello e la puntai sul petto di Claire. “R-reinnerva.”
Iniziò a muovere prima le gambe e le braccia, poi aprì gli occhi, il cielo si rifletteva nelle sue pupille dilatate e la pioggia leggera le scivolava sulle guance, come lacrime. Si alzò a sedere di scatto come se si fosse svegliata di soprassalto da un incubo , spostò velocemente gli occhi da me a Sirius, dischiuse le labbra e fu scossa da un tremito. “Silente…”, mormorò. La sua voce non era che un soffio, ma sembrava sicura di quello che diceva. “Devo parlare con Silente… e con l’Ordine della Fenice.”
Sentirla parlare e vederla viva mi riscosse dalla paura e mi restituì la lucidità. Solo in quel momento mi resi conto del taglio scarlatto che le attraversava il petto e della maglia leggera con cui era vestita. Io e Sirius ci togliemmo i mantelli e la coprimmo, preoccupati. Poi ci scambiammo uno sguardo di intesa e un ululato non molto lontano riecheggiò, ricordandoci del motivo per cui ci trovavamo lì. Sapevamo entrambi cosa fare.
“Devo tornare da Remus…”, iniziò Sirius, concitato. “James da solo potrebbe non farcela… dico a Peter di venire qui e di restare con lei…”
“…Appena lui arriva io volo al castello…”
“… chiedi a qualcuno di avvertire Silente, immediatamente…”
“Benjy non farà domande…”
“Intanto tu torni qui, li aspetti, io e gli altri ce ne andiamo il più lontano possibile…”
“Il Platano è troppo lontano, lei e Peter non riusciranno a tornare a Hogwarts …”
“Non importa, non c’è tempo, di’ a Benjy di portare Silente qui…”
Pianificammo tutto nel giro di pochi istanti. Fu una fortuna scoprire che dopo tutto il tempo che era passato io e lui mantenevamo ancora intatta l’intesa di un tempo, una frase spezzata bastava per capirsi alla perfezione, uniti in quel momento ci fidavamo ciecamente l’uno dell’altra, come raramente era successo prima di allora.
Quando fummo sicuri che Peter sarebbe rimasto con lei, presi il volo verso Hogwarts, sfrecciando al massimo della velocità che le mie ali mi consentivano. Raggiunsi la Torre di Grifondoro proprio quando sentivo di stare per crollare dallo sforzo, individuai una piccola finestra dimenticata aperta e pochi secondi dopo correvo a rotta di collo verso il dormitorio maschile. Feci irruzione nella camera di  Benjy senza fiato, lo svegliai con uno strattone e tirandolo per un braccio lo trascinai fuori dalla stanza con foga, senza nemmeno lasciargli il tempo di aprire gli occhi.
“Ma che cosa…”
“Ascolta.”, lo interruppi, facendo uno sforzo immenso per riuscire ad articolare le parole, mentre lui, immobile in pigiama e con i capelli scompigliati, mi guardava con un misto di apprensione e turbamento.
“Non posso spiegarti, Benjy, ma è importante, devi correre immediatamente da Silente, e dirgli…”, respirai a fondo, il cuore martellava ancora per il volo sfrenato di prima. “…dirgli che io e te abbiamo ritrovato Claire Lennox, e che… deve venire subito, nei prati vicino a Hogsmeade.”
Benjy passò dalla preoccupazione a una profonda perplessità. “Ma Beatrice, non è possibile…”
“Ti prego.”, lo interruppi di nuovo, aggrappandomi alle sue spalle. “Fai quello che ti ho detto, subito…”
Dopo un attimo di titubanza Benjy annuì, si passò una mano tra i capelli e corse giù dalle scale borbottando tra sé: “Da Silente, stavamo passeggiando vicino a Hogmseade, Claire Lennox…”. Si fermò solo un attimo e rimase a guardarmi, inquieto. “Beatrice, qualsiasi cosa stia succedendo… stai attenta.”
Lo ringraziai con un sorriso, incredibilmente grata, per poi ricordarmi che non ce ne era proprio il tempo.
 
Inutile dire che quella fu la notte più travagliata che avessi mai passato a Hogwarts. Silente arrivò, la sua figura svettava sotto la pioggia terribilmente seria e intimidatoria, tuttavia non fece domande. Claire venne portata in Infermieria, Silente rimase a parlare privatamente con lei solo una decina di minuti. Avrebbe ricostruito la storia il giorno dopo, quando Claire sarebbe stata in gradodi parlare con più facilità.
Io e Benjy, intanto, aspettavamo fuori dall’Infermieria, appoggiati al muro del corridoio. Ora che sembrava tutto finito, che Claire era al sicuro dentro al castello e Silente al corrente di quanto era successo, iniziai a ripercorrere mentalmente tutti gli eventi di quella notte nella loro enorme gravità, e un’angoscia ancora maggiore mi colse all’improvviso. Guardai Benjy di sottecchi, preoccupata. Sapevo di dovergli delle spiegazioni, e sapevo ancora meglio di non potergliele dare. Lui sembrò cogliere il significato del mio sguardo, perché sorrise, avvolgendomi le spalle con un braccio. “Mi spiegherai quando sarà il momento.”, mormorò, tranquillo. “So che hai fatto la cosa giusta.”
Avevo fatto la cosa giusta, certo, ma non avrei potuto spiegare a Silente per quale motivo mi ero trovata di notte fuori dal mio letto – fuori dai confini di  Hogwarts – e le conseguenze sarebbero state così gravi che anche solo il pensarci mi faceva star male, e cominciavo a pentirmi di aver coinvolto Benjy in tutta quella faccenda.
“Pensi che ci espelleranno?”, mormorai con un filo di voce.
“Beh, guarda Hagrid, lui non fa una brutta vita…”
Sbattei la testa contro il muro, disperata. “Mi dispiace veramente moltissimo, Benjy.”, gemetti.
In quel momento Silente uscì dalla porta dell’Infermieria. Io e Benjy sobbalzammo, ricomponendoci e guardandolo intimoriti.
“Volete seguirmi?”, ci invitò lui, senza un sorriso. Obbedimmo senza avere il coraggio di fiatare, faticando a stare dietro al suo lungo passo mentre si muoveva con sicurezza tra i corridoi bui, fino all’ingresso del suo ufficio, i due gargoyle che portavano all’ascensore di pietra.
Nargilli.
Io e Benjy ci guardammo appena, sorridendo per la parola d’ordine del Preside – evidentemente le follie di Lovegood erano arrivate anche a lui – ma quando ci ritrovammo all’interno dell’ampio studio anche quel minimo di allegria che poteva esserci rimasta svanì di colpo.
“Accomodatevi.”, ci ordinò Silente, indicando le due poltrone spaiate di fronte alla scrivania ingombra di oggetti strani. Incrociò le dita sotto il mento, gesto che era solito fare nei momenti di riflessione, e per la prima volta in quella notte ci guardò attentamente. Non l’avevo mai visto così serio e accigliato, e di fronte ai suoi occhi penetranti  che mi scrutavano a fondo temetti che non sarei mai riuscita a nascondergli la verità.
Sospirò, si alzò in piedi e prese a girare per la stanza, inquieto, per poi fermarsi di colpo. “Permettetemi, prima di parlare con voi ho bisogno di mandare un paio di messaggi urgenti.” Estrasse la bacchetta e con un gesto fluido, senza pronunciare parola, evocò un meraviglioso Patronus identico alla fenice appesa al trespolo di fianco alla scrivania, tranne che per il colore. Mormorò qualcosa, di cui riuscii a carpire soltanto le parole “quartiere generale” e “Claire Lennox”, poi il Patronus attraversò il vetro della finestra e si dissolse nella notte. Nello stesso momento un gufo, giunto da chissà dove, come se fosse stato richiamato, si intrufolò dai vetri aperti. Silente scarabocchiò un veloce biglietto e lo fece ripartire subito.
Sbrigate quelle faccende tornò a rivolgersi a noi e si sedette alla scrivania.
“Non penso che ci sia bisogno di sottolineare la gravità delle vostre azioni, questa notte.”, esordì. Il gelo della sua voce, solitamente ironica e gentile, mi atterrì tanto quanto aveva fatto il corpo privo di sensi di Claire poco tempo prima. Abbassai il capo, mordendomi le labbra.
Eri lì per Remus, glielo dovevi. Non ero pentita di quello che avevo fatto e non lo sarei stata, ma se Silente avesse saputo la realtà delle cose, a quel punto temevo che l’espulsione non sarebbe nemmeno più bastata. Ero un Animagus illegale e mi rendevo conto solo in quel momento di cosa significasse. Per la prima volta nella mia vita pensai seriamente ad Azkaban, e ne ebbi paura.
Se solo ci fossero stati James e Sirius… di sicuro ce la saremmo cavata, in un modo o nell’altro, e avremmo finito per passarla liscia come sempre. Eppure il collegamento con Remus e la sua licantropia era  così chiaro, così a portata di mano che mi sembrava impossibile riuscire a scamparla. E la luna brillava ancora fuori dalla finestra, grande e luminosa come a a voler suggerire a Silente la verità.
Mi sembrava che fosse passato un tempo infinito, quando Silente riprese a parlare. “Punizioni molto severe vengono inflitte agli studenti trovati a gironzolare per il castello dopo l’orario stabilito, ma questo va probabilmente oltre ogni limite mai superato…”
Era la prima volta che mi capitava di vederlo in collera, avrei voluto sprofondare sotto il pavimento del suo studio.
“Le conseguenze non potranno che essere molto gravi, spero che ve ne rendiate conto. Tuttavia, vorrei che prima uno di voi due mi potesse dare una giustificazione. Ammesso che ci sia giustificazione plausibile per una tale trasgressione.”
Calò un altro attimo di silenzio gelido, durante il quale annuii in direzione di Benjy, decisa a parlare. Sospirai a fondo, poi alzai gli occhi su Silente, lasciando che mi fissasse intensamente. “Signore, non penso che ci sia una giustificazione valida, e mi rendo conto che… il punto è che c’era la luna piena e ho pensato…”, arrossii fino ai capelli, pensai con forza a Remus e mi costrinsi ad andare avanti.  “Ho pensato che sarebbe stata una cosa… romantica… fare una passeggiata nel parco...”
Il passaggio segreto nel Platano Picchiatore. Mi resi conto con panico che non avrei saputo inventare una scusa per spiegare come avevamo fatto a giungere fin laggiù, e Silente non doveva assolutamente sospettare che fossimo passati da quel tunnel. Quasi mi avesse letto nel pensiero, Benjy mi venne in soccorso con prontezza.
“Siamo arrivati fino al cancello e l’abbiamo forzato con un incantesimo…”
“Che incantesimo?”
“Incantesimo di apertura avanzato, Vitious ce l’ha…”
“Il parco non era abbastanza grande per voi?”, lo interruppe Silente, freddamente.
Sia io che Benjy ammutolimmo, sconfitti. “Ci scusi, professore…”, esclamai, avvilita. “Mi dispiace così tanto… Non abbiamo pensato alle conseguenze, non lo facciamo mai, e questo è il risultato.”
“Avete rischiato molto, questa notte.”, dichiarò Silente, passandosi una mano sopra gli occhi con stanchezza. “Ho bisogno che mi raccontiate in che modo avete trovato Claire.”
A fatica gli esposi un resoconto dettagliato dell’avvenimento, fornendo più particolari che potevo e inventando dove mi sembrava che mancasse qualcosa.
“Era già priva di sensi, quando siete arrivati?”
Annuimmo entrambi.
“Non avete visto nessun altro?”
“Nessuno.”, confermammoa all’unisono. “Claire ha detto esplicitamente che doveva parlare con lei…e  con l’Ordine della Fenice.”, aggiunsi dopo un attimo di esitazione.
Silente mi rivolse un’occhiata strana e rimase in silenzio, assorto.  “È necessario che la interroghi al più presto, domani mattina…”
Si interruppe bruscamente, tornando a guardarci in modo penetrante. “Siete assolutamente certi di non aver visto nient’altro?”
“Sì, signore, ma…”, mi bloccai, colpita da un’idea. “C’erano dei rumori, nella stamberga strillante.” Non ebbi alcun bisogno di fingermi nervosa o spaventata. “Non so di cosa si trattasse, non ci siamo avvicinati…” Silente mi scrutava con estrema attenzione, così come Benjy. “Dicono che sia infestata dai fantasmi.”
“Così dicono.”, annuì Silente, serissimo. Un silenzio pesante si protrasse ancora per qualche minuto, mi chiesi se Silente si fidasse della nostra versione dei fatti, o se avesse capito che c’era qualcos’altro sotto. “Non intendo trattenervi oltre.”, aggiunse, in tono definitivo. “Cento punti ciascuno verranno sottratti alla vostra Casa per quello che avete fatto. Informerò la professoressa McGranitt dell’accaduto, e sarà lei a stabilire una punizione adeguata.”
Benjy gemette.
“È assolutamente indispensabile che non parliate a nessuno di quello che avete visto stanotte, meno particolari e pettegolezzi circoleranno, meglio sarà… pensate di poterlo fare?”
“Certo, signore.”
“Ho ragione di credere che la situazione a Hogwarts diventerà piuttosto burrascosa, a partire da domani. Arriveranno gli Auror…”
“Signore?”, lo interruppi, titubante.
Silente, mi guardò, interrogativo.
“Quindi… io e Benjy non saremo espulsi?”
Si lasciò scappare un minuscolo sorriso, per tornare subito serio. “Non la ritengo affatto un’idea saggia, Beatrice. Vi sarete accorti che le cose stanno cambiando, e di molto. Il ritrovamento di Claire non passerà certo inosservato, neanche fuori da Hogwarts, e cacciandovi dalla scuola – soprattutto lei, signorina Summerland – rischierei di mettervi in ulteriore pericolo…” “Ma è tardi.”, aggiunse, stancamente. “Tornate nei vostri dormitori, per le poche ore di sonno che vi rimangono… e restateci, preferibilmente.”
“Grazie, signore.”, esclamò Benjy, sollevato.
“Non parleremo con nessuno.”, promisi, mentre ci affrettavamo verso la porta dello studio.
“Un’ultima cosa.” Silente ci bloccò quando stavamo per chiuderci la porta alle spalle. I suoi occhi brillavano, vagamente insolenti, o forse si trattava solo di una mia impressione. “Non posso nascondere che questa notte avete dato prova di una prontezza di riflessi e una maturità – nonostante tutto – ammirevoli. Penso che vi meritiate, in ricompensa del servizio reso alla scuola e a Claire, centocinquanta punti a testa.”
Fuori dalla stanza, finalmente libera da quel peso terribile, abbracciai Benjy nascondendo il viso nella sua spalla e lasciando che mi stringesse a sé. Incapace parlare cercai le sue labbra con le mie, un silenzioso ringraziamento per tutto l’aiuto che mi aveva dato.
Quando arrivai in camera fuori dalla finestra iniziava già ad albeggiare. Esausta mi buttai sul letto, senza togliermi i vestiti, e crollai addormentata all’istante.
 
***
 

Proprio come Silente aveva previsto, quella settimana si rivelò estremamente burrascosa. Evidentemente l’incredibile notizia aveva cominciato a circolare con l’aiuto di quadri e fantasmi già la notte stessa, perché quando la mattina mi ero svegliata – o meglio, ero stata svegliata – avevo trovato le mie amiche insieme a James, Sirius e Peter, tutti  riuniti a confabulare intorno al mio letto in attesa di risposte ai loro numerosi interrogativi, risposte che con il pretesto di una fame da lupi avevo cercato rimandare al più tardi possibile.
In Sala Grande, subito dopo, non era andata certo meglio. Il via-vai continuo da un tavolo all’altro della sala e l’agitazione fuori dal comune che aleggiava tra gli studenti mi avevano lasciato subito intendere che la voce, seppur confusamente, doveva essersi già diffusa  in tutto il castello. Quando poi erano arrivati i gufi con centinaia di copie della Gazzetta del Profeta, dove la colonna principale della prima pagina era dedicata proprio alla misteriosa ricomparsa di Claire Lennox, l’effetto era stato quasi immediato: mentre un folto numero di studenti si affollava intorno al tavolo dei professori tartassandoli di domande, i Grifondoro attorno a me esplodevano in un’accesa discussione sull’inaspettata notizia. Dopo aver controllato che il nostro nome non comparisse in nessuna parte dell’articolo, io e Benjy, come anche Sirius, ci estraniammo dalla conversazione. Di quello che dicevano i miei compagni mi importava poco, sentivo ancora addosso la tensione di quella notte e l’unica cosa a cui continuavo a pensare era come avesse fatto Claire a fuggire, perché fosse stata rapita – come Silente, infatti, ero sicura che si fosse trattato di rapimento – e cosa sarebbe successo ora, insieme alle mille altre domande che avrei voluto porle e che, invece, dovevano aspettare.  
Le lezioni quel giorno passarono senza che avessi ascoltato una singola parola di una qualsiasi materia. Silente non si fece più vedere, immaginai che fosse particolarmente occupato con i due Auror che avevo visto aggirarsi per il castello, e fu soltanto la McGranitt che, subito dopo pranzo, bloccò me e Benjy per parlarci mentre ci allontanavamo dalla Sala Grande.
“Il professor Silente mi ha informato dell’accaduto.”, esordì senza tanti preamboli. “Se potete seguirmi, avrei piacere di parlarvi.”
Ci portò in un aula deserta e dall’aria abbandonata, premurandosi di chiudere la porta e controllare che anche il corridoio fosse vuoto. “Ovviamente quanto sto per dirvi è della massima segretezza, il professor Silente ha insistito perché vi mettessi al corrente, dato che… siete stati coinvolti… vi siete coinvolti…”
Così inizio a raccontare, nello stesso modo rigido e preciso con cui spiegava le sue lezioni di Trasfigurazione. Io e Benjy, sempre più sconcertati, la ascoltavamo senza fiatare.
 
Claire Lennox era sparita verso la fine dell’estate, senza lasciare tracce. Tutto era cominciato quando suo padre, Elliot Lennox,  giudice del Wizengamot, aveva iniziato a occuparsi di un processo  su due Mangiamorte coinvolti nell’aggressione di un Nato Babbano. Presto si era capito che era intenzionato ad arrivare al fondo della questione, e nonostante i  suoi colleghi l’avessero avvertito di essere più cauto, il clima del tribunale era diventato sempre più teso. Lennox aveva ricevuto delle minacce, ma aveva erroneamente pensato che, se fosse riuscito a portare a termine le indagini con successo, sarebbe riuscito a risolvere il problema alla radice. Non era stato così.
Avevano rapito Claire, e capire dove fosse e chi fosse stato il diretto responsabile era stato impossibile anche per Lennox, di solito così infallibile nel fare giustizia: semplicemente, sembravano essersi volatilizzati nel nulla.
Quella mattina Claire non aveva avuto paura di parlare a Silente.
Erano stati i due fratelli Lestrange, Rodolphus e Rabastan, insieme ad Antonin Dolohov, a prenderla e portarla via. Per tutti quei mesi era stata rinchiusa nella villa di campagna dei Lestrange, fuori Londra, insieme a una donna, Guaritrice al San Mungo. Quella stessa mattina una squadra di Auror era andata a cercarla, ma a quanto pareva i Mangiamorte erano stati più veloci, e di lei non avevano più trovato traccia.
Fortunatamente Claire, con il suo temperamento calmo e docile, tipico dei Tassorosso, durante quei mesi non aveva mai mostrato atteggiamenti ribelli, e questo aveva fatto sì che fosse sempre stata trattata in modo abbastanza tollerante. Soltanto negli ultimi giorni, quando era giunta notizia che suo padre aveva ricominciato a muoversi al Ministero, i Mangiamorte avevano pensato che forse fino ad allora erano stati fin troppo misericordiosi con lei. Avevano iniziato a torturarla in maniera più pesante, e probabilmente era stato questo che l’aveva spinta a tentare quella fuga disperata.
Silente non si era però spinto oltre. Aveva giustamente pensato che Claire, profondamente scossa per quello che aveva passato, fosse troppo fragile per sostenere un interrogatorio molto lungo, e aveva preferito rimandare le domande che ancora gli premevano a quando si fosse in parte ripresa.
Finita di raccontare tutta la storia, la McGranitt aveva tentato di rassicurarci. Dopo la notizia, ci aveva detto, il Ministero sembrava aver finalmente deciso di muoversi, e Silente era determinato a seguire la faccenda in prima persona, fino a che i Mangiamorte colpevoli non sarebbero stati trovati.
Benjy si agitò, non del tutto soddisfatto dalla spiegazione.
“Professoressa… e l’Ordine della Fenice?”
A quest’ultima domanda la McGranitt non rispose e ci accomiatò.
 
Avevamo dovuto aspettare ancora un po’ di tempo prima di poter andare a trovare Claire.
Ovviamente l’Infermieria in quei giorni era severamente sorvegliata da Madama Chips, che lascava entrare esclusivamente qualche amico stretto e il professor Silente. Tuttavia io avevo ottenuto un permesso speciale, e Sirius, James e Peter, appena se ne era presentata l’occasione, erano riusciti a intrufolarsi di nascosto insieme a me.
Claire era seduta sul suo letto, nell’Infermieria luminosa e quasi vuota. Sul comodino al suo fianco troneggiava un grande mazzo di fiori, iris, viole del pensiero e margherite, insieme a un mucchio di lettere, dolci e cioccolata di ogni tipo. I suoi genitori erano seduti in un angolo della stanza, ci guardarono entrare e sorrisero pacatamente.
Mentre James e Peter, dopo averla salutata con timidezza, si allontanarono per andare da Remus, io e Sirius ci sedemmo accanto al suo letto.
“Avremmo voluto venire prima, ma… come stai?”
Claire ci rivolse un sorriso, sedendosi più dritta sul letto e raccogliendo le gambe attorno al petto. “Sto bene.”, replicò, stringendo tra le mani il bordo delle lenzuola. “Non vi ho ancora ringraziato come si deve per quello che…”
“Non devi.”, la interruppe Sirius con calore.
“Non posso credere di essere di nuovo qui.”, mormorò, abbassando gli occhi.
Per un attimo calò il silenzio, denso e carico dei nostri pensieri, durante il quale nessuno sembrava saper trovare il modo di affrontare quelle questioni e quelle domande che stavano tanto a cuore a tutti.
“Quella notte…”, esordì alla fine Claire, proprio mentre io dicevo: “Come hai fatto…”
Ci sorridemmo, divertite. “So cosa vuoi chiedere.”, mormorai, abbassando la voce a un  sussurro e guardandomi attorno, fino a soffermarmi sul volto stanco di Remus. Claire seguì il mio sguardo, e fu a lei che mi rivolsi, seria. “È un lupo mannaro. Quello che hai visto, quella notte… siamo diventati Animagi per stare con lui. Lo facciamo ad ogni plenilunio, nessuno sa di noi.”
Avevo pensato che Claire rimanesse stupita, invece non fece che posare i suoi grandi occhi scuri su di me, pensierosa. “Dovete volergli davvero molto bene, per rischiare così tanto.” Sirius si lasciò scappare un risolino poco convinto. “Ed è una cosa davvero bellissima.” Dopo un attimo di silenzio aggiunse: “Ora, la tua domanda… come ho fatto a scappare, vero?”
Annuii. “Non è stato così difficile, in fondo.” Mi sembrava calma, mentre parlava, ma osservandola meglio mi accorsi che i suoi occhi celavano un’inquietudine profonda. “Dopo un po’ di tempo che ero lì… hanno cominciato a fidarsi di me, credo che pensassero che ero troppo buona o dolce per prendere iniziative.”  Fece una pausa, come per riflettere sulle sue stesse parole, o per ricordare meglio. “Alcune volte mi lasciavano girare per la casa, un giorno li ho sentiti parlare di una passaporta. Sono riuscita a trovarla… ho dovuto aspettare un po’ prima che si attivasse. Ma poi è successo e sono stata fortunata, portava ad Hogsmeade.”
“A Hogsmade?”, ripetè Sirius, curioso.
“Da Magie Sinester. Sapevo che non sarei resistita molto, così ho cercato di fare più in fretta che potevo, e poi… poi mi avete trovato.”
La voce di Claire si spezzò, non c’era più niente da aggiungere.
Io e Sirius ci scambiammo un lungo sguardo, cercando l’uno negli occhi dell’altra le risposte a quei dubbi per una storia troppo grande e complicata per noi.
James, Peter e Remus avevano smesso di parlare e ci guardavano con la stessa intensità.
 
Anche se non  lo sapevo ancora, in futuro avrei sempre pensato a quei giorni di novembre semplicemente come all’inizio di tutto. L’inizio degli eventi che ci  avrebbero catapultati nel mondo al di fuori di Hogwarts, mostrandocelo per la prima volta in tutta la sua durezza, l’inizio di una guerra a cui eravamo destinati a prendere parte, insieme come sempre, io e i Malandrini,  Lily, Benjy, e poco dopo le mie amiche, semplicemente perché era il nostro dovere.
L’inizio di un’amicizia, quella tra me e Claire, che sarebbe durata per tutta la vita.
 
 
 
 
 

Note dell’autrice:
Ciao a tutti, eccoci di nuovo qui. Innanzitutto mi devo scusare per la lunghezza mostruosa di questo capitolo, è davvero sproporzionato rispetto ai precedenti, anche se verso la fine ho cercato di stringere. Niente, non so cosa ne penserete, ma direi che siamo arrivati a un momento fondamentale della storia, un punto di svolta, come si dovrebbe capire dalla conclusione,  e ho cercato di renderlo il meglio possibile, anche se sono un po’ insicura su un paio di cose.
Mi dispiace di non aver proprio potuto dare spazio alle varie coppiette (soprattutto la Jupin, che è ferma da un po’) ma la storia di Claire andava sistemata e spezzarla non avrebbe avuto senso, spero che non sia risultata noiosa (e dopo aver riletto la predica di Silente, credo che sia impossibile che non l’abbiate trovata noiosa) o troppo un concentrato, e soprattutto che la ricostruzione del suo rapimento, su cui ho faticato non poco, possa sembrare credibile. Non lo so, aspetto  i vostri giudizi, se ne avrete voglia!
Ovviamente riprenderò con le solite stupidate alla malandrina e con le cose lasciate in sospeso (ah, c’è anche Regulus che non si fa vedere da un po’, cercherò di pensare anche lui) dal prossimo capitolo.
Vi auguro già buone vacanze perché naturalmente non pubblicherò prima, anzi, vi informo già ora che sarò in super ritardissimo, dato che andrò via.
Un bacione a tutti voi e buon Natale!
Trixie 

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Capitolo 42
*** La Septimana Horribilis ***




Quarantaduesimo capitolo: LA SEPTIMANA HORRIBILIS
 

Peter si sbattè la porta alle spalle, guardandosi furtivamente attorno i suoi occhietti da topo.  Si lasciò scappare un sospiro di sollievo, poi sorrise trionfalmente e si diresse verso il suo letto, sedendocisi sopra con aria di estremo compiacimento.
“E allora?”, esclamammo in coro io e Remus, a nostra volta seduti su due dei quattro letti della camera. Ma prima che l’interpellato facesse in tempo a proferir parola, la porta si aprì di nuovo e un’altra figura entrò, ripetendo l’esatta sequenza di gesti di Peter.
“E allora?”, replicammo di nuovo io e Remus, ancora più curiosi.
Sirius scambiò uno sguardo d’intesa con il compare, poi aspettò qualche secondo in silenzio. “E allora, è fatta, amici.”
“James dov’è?”, domandò Remus, alquanto scettico.
Sprangato nel bagno di Mirtilla Malcontenta.”, rispose quest’ultimo con prontezza. “Senza bacchetta e senza alcuna via di uscita per le prossime tre ore. Io e Pet siamo stati magnifici, vero amico?”
“Questo lo vedremo.”, commentò Remus, alzando gli occhi al cielo. “E allora”, aggiunse, lanciando un’altra occhiata alla porta, e poi guardandoci uno a uno, “direi che è ora di cominciare.”
 
Quel giorno i Malandrini (meno uno) si riunivano per trattare una questione di fondamentale importanza, che andava affrontata senza ulteriori indugi.
Da un po’ di tempo a quella parte, infatti, io, Remus e Sirius, insieme al meno perspicace Peter, avevamo cominciato a renderci conto che la situazione di James e la sua ossessione per Lily stavano diventando qualcosa di veramente ingestibile. Non che non fosse sempre stato così, certo, ma se fino ad allora il continuo tira e molla di battibecchi e avances aveva esasperato soltanto noi (e la povera Lily, ovviamente), adesso anche James sembrava cominciare a stancarsene, e capitava sempre più spesso di vederlo di malumore, cosa assolutamente non da lui. Sirius e Remus per un po’ di tempo avevano fatto finta di non accorgersi di niente, erano in grado di sopportare i suoi sbalzi di umore e i suoi capricci da bambino di tre anni con estrema serenità, semplicemente ignorandolo per ore intere. Poi, il giorno prima, quando un litigio tra i due aveva rischiato di concludersi in un cruento e babbanissimo bagno di sangue, avevano capito che non potevano aspettare oltre, ed erano venuti a cercarmi, terrorizzati, per chiedermi di condividere con loro un po’ del mio buonsenso femminile e aiutarli a salvare il loro amico, prima che fosse davvero troppo tardi.
C’era bisogno di un intervento alla malandrina, e subito.
 
“Bene, tutti sappiamo perché ci troviamo qui.”, esordì Remus, gravemente. Annuimmo, scrutandoci a vicenda con aria estremamente seria. “Direi che la situazione di James, al momento, è piuttosto critica. Addirittura più del solito. Avete visto anche voi…”
“Lupin, stringi.”, lo interruppe Sirius, laconico, lasciandosi cadere all’indietro sul suo letto.
Remus lo guardò in cagnesco ma non commentò, e proseguì.
“Il punto è che Lily lo odia ogni giorno di più, e non sto scherzando. Dubito che James, con il quoziente intellettivo di cui è dotato, riesca a uscire da questo disastro da solo, quindi penso che sia ora di agire e…” Ma prima che potesse finire, Sirius lo interruppe nuovamente.
“Questo lo sappiamo già, Remus.”
“MI LASCI PARLARE?!”
“Certo”, bofonchiò Sirius, facendo spallucce. “Parla pure, capo.”
“Mi hai fatto perdere il filo, idiota.”, sbuffò Remus, infastidito. “Avevo preparato questo discorso dividendolo in punti…”
“Va bene, non importa, ragazzi.”, mi inserii io, in tono pratico. “Sappiamo tutti quanto sia messo male James e sappiamo ancora meglio come andrà a finire se non ci sbrighiamo, non è vero?”
Peter annuì gravemente. “Lo ucciderà.”
“Esatto, Peter. Esatto.”
“Quindi, che si fa?”, esclamò Sirius, impaziente. “Perché io avrei un paio di idee, sapete? Del tipo, se stordiamo di Amortentia la Evans, il problema non si pone più…”
Sirius!”, esclamammo in coro io e Remus, scandalizzati. “Ma che coraggio hai?!”
“Andiamo, dai, la Evans è una stronza, se lo meriterebbe proprio…”
“Sei veramente spregevole”, sbottai alzandomi in piedi.
Sirius mi sorrise, sardonico. “Allora sentiamo qual è la tua brillante idea, genietto.”
“Mi sembra ovvio che James si sia innamorato di lei.”, replicai, piuttosto seccata. “E fin qui siete tutti d’accordo, no?” Remus assentì, lanciandomi un’occhiata come a dire “meno male che ci sei tu”, Peter si affrettò ad annuire freneticamente e Sirius si limitò a un grugnito poco entusiasta.
“Ma perché, poi?”, gemette Peter. “Ce ne sono così tante di ragazze dolci e carine, a Hogwarts…”
Sirius scoppiò a ridere fragorosamente. “E tu cosa ne sai, Pet?”
“Questo non ci importa, okay?”, ribattei pazientemente. “James si è innamorato di lei e l’unica soluzione è che lei si innamori di lui…”
Che cosa?!”, gridò Sirius, stupefatto. “Summerland, ma ti sei completamente bevuta il cervello o… come diamine puoi anche solo pensare che la Evans…”
“Lo credi davvero così improbabile, Sirius?”, domandò Remus in tono pacato.
“A meno che la Evans non cambi, certo che lo credo così improbabile…”
Seguì un attimo di pensieroso silenzio. “A meno che la Evans non cambi.”, ripetè Remus, lentamente. “Sai, Sirius, penso che tu abbia proprio ragione.”
“James sta già cambiando.”, continuò, sempre più convinto. “Un pochino.”, si corresse subito, con aria ragionevole. “Dobbiamo fare in modo che lei se ne accorga…”
“Non se ne accorgerà.”, lo interruppe per l’ennesima volta Sirius, contrariato.
“Se ne accorgerà, invece, se facciamo qualcosa di… diverso.”
“Lo farai tu, vero Remus?”, mormorò Peter, scettico.
Mi alzai in piedi e presi a camminare per la stanza riflettendo sulle parole di Remus. Mi fermai davanti alla finestra. Il cielo di dicembre era sgombro e incolore, il parco immobile.
“Qual è l’ultima cosa che Lily si aspetterebbe da James?”
Sirius mi rivolse un’occhiata penetrante, come se stesse cercando di capire dove volessi arrivare. “Che James semplicemente la smettesse? Beh, certo, è assurdo.”
Gli rivolsi un ampio sorriso. “Ma funzionerebbe, no?”
“Tu credi?”, ribattè Sirius, poco entusiasta.
Remus, al contrario, sembrava colpito. “E perché no?”, esclamò.
“Se soltanto non fosse una cosa impossibile…”
“Io penso”, esordii, tentando di ragionare alla maniera di Georgia ed Heloïse, “che James sarebbe disposto a fare qualsiasi cosa per piacere a Lily. Anche… anche smettere di considerarla, forse.”
“È contorto, ma potrebbe andare.”, commentò Remus, pensieroso.
Come idea era azzardata, ma ero più che sicura che come ragionamento potesse avere un certo senso. Che poi fosse anche realizzabile, questo era un altro discorso, ma non vedendo alternative migliori, valeva senza dubbio la pena di provare. Conoscevo la psicologia femminile, anche se forse non bene come Georgia, ed ero sicura che se James si fosse lasciato convincere, Lily non avrebbe potuto rimanere indifferente di fronte al cambiamento, e qualcosa si sarebbe smosso. Ne avrei parlato con le mie amiche al più presto, decisi in quel momento con un certo compiacimento.
“Allora, siamo tutti d’accordo?”, domandai incrociando le braccia e spostandomi al centro della stanza. Remus annuì con un gran sorriso, Peter lo imitò quasi immediatamente. “Basta che mi teniate fuori, vi prego.”
Sirius mi scrutò ancora per qualche secondo,  intensamente, e compresi che il filo dei suoi pensieri era identico al mio, aveva capito il ragionamento. Alla fine annuì e si lasciò scappare un sorrisetto divertito. “Sei furba, Summerland, sai?”
 
***
 
 “Proprio così, Evans, non ti sembra meraviglioso? Migliaia di colibrì che volavano dappertutto, la tua coroncina di fiori tra i capelli, e poi io, naturalmente, con il mio elegantissimo smoking…”
“Aggiungi un’altra parola, Potter, e giuro che non arriverai in fondo a questo corridoio.”
“Andiamo, Evans, lascia che ti racconti. Non puoi neanche lontanamente immaginare che cosa fosse la nostra torta nuziale …”
“Già, è un vero peccato, mi toccherà aspettare fino al nostro matrimonio, non è vero?”
“Fai pure la sarcastica, Evans, staremo a vedere. Non ti ricordi cosa ha detto la professoressa Boxway nell’ultima lezione? A proposito dell’interpretazione dei sogni?”
“Sei assolutamente ridicolo, Potter. Ridicolo.
“Era un sogno premonitore, te lo dico io, Evans...”
“Ma che imbecille, faresti meglio a tapparti la bocca, prima che mi arrabbi seriamente e…”
 
Sirius mi prese per un braccio e mi bloccò all’angolo del corridoio. Era circa mezz’ora che io, lui e Remus pedinavamo segretamente James per fare bene il punto della situazione e poter iniziare con la nostra missione, e le informazioni che ne avevamo ricavato erano piuttosto allarmanti. A quanto pareva James durante il week-end aveva fatto in tempo a riprendersi dallo shock del tentato omicidio di Lily, e ora era tornato agguerrito e di buonumore come sempre, come se nulla fosse, a scodinzolarle dietro tra una proposta di matrimonio e l’altra.
“Ma lo sentite? Lo sentite?”, sibilò Sirius, tirandosi uno schiaffo sopra la fronte. “E voi due pensate davvero di poterlo convincere a… a fare che cosa? A lasciarla stare?!
“Andiamo, Sirius, calmati, è solo l’inizio…”, borbottò Remus, piuttosto imbarazzato.
Perché James era imbarazzante, ecco la verità, e nonostante stessimo  aspettando da ormai sei anni un qualche segno di crescita nella sua maturità, era chiaro che eravamo lontani anni luce dall’ottenere il benchè minimo risultato.
“Black ha ragione”, borbottai, rassegnata. “Per quanto mi riguarda, possiamo anche lasciar perdere. James si arrangia.”
“Ma dai, Beatrice, l’idea è tua!”, protestò Remus, indignato. “Che razza di Tassorosso siete, a mollare così…”
Ehi!”, esclamammo io e Sirius, colpiti nell’orgoglio. “Questo non è vero, dicevo soltanto che James… beh, potrebbe… oh, andiamo.” Sbuffando afferrai Remus da una parte, Sirius dall’altra e ripresi a camminare con decisione nella direzione di James e Lily, accelerando il passo per raggiungerli.
A quanto pareva, però, James nel frattempo era riuscito a peggiorare ulteriormente la situazione, e nonostante la distanza la voce di Lily, sempre più irritata, ci raggiungeva rimbombando con forza contro le pareti.
“E io avevo detto che James stava maturando, vero?”, sbuffai, parecchio depressa. “Credo di essermi sbagliata.”
“Mi fa molto piacere che almeno tu te ne renda conto, Summerland”, commentò Sirius, altrettanto infastidito. “È necessario rincorrerli ancora per molto?”
Al risuonare di un definitivo “L’hai voluto tu, Potter. Stupeficium!”, anche Remus sembrò perdere ogni speranza, per poi rallentare il passo fino a fermarsi del tutto. “Beh, è stato… utile?”
Sirius sbuffò, lanciando al corpo inerme del migliore amico un’ultima occhiata di compatimento misto a disgusto. “Lo lasciamo qui, vero?”
Remus sembrò pensarci un attimo, poi annuì. “Gli farà bene. Se domani sarà ancora vivo, magari…”
“Magari lo uccidiamo noi per essere andato a innamorarsi di una strega come la Evans. Idea strepitosa, Lunastorta.”
Mentre Sirius continuava a borbottare tra i denti insulti più o meno pacati nei confronti del migliore amico, della mia persona, della Evans, della solita Collins che a quanto pareva continuava a rifiutarsi di uscire con lui, mi accorsi della presenza di Georgia dall’altro lato del corridoio. Camminava in fretta, a testa bassa, una catasta di libri tra le braccia, e la sua espressione imbronciata non lasciava presagire uno stato d’animo tanto migliore di quello di Sirius. Quando poi alzò lo sguardo e si accorse di me, dall’occhiata che mi rivolse capii che la fonte del suo malumore ero esattamente io.
“Ma dove diamine ti eri cacciata, Beatrice? Non dovevamo ripassare insieme prima della verifica?”
“Credo… credo di essermene dimenticata.”, bofonchiai, indietreggiando involontariamente di fronte al suo sguardo severo.
“Ciao Georgia.”, la salutò educatamente Sirius, con un sorrisetto sghembo. “Ora è tutta tua.”
“Era per una buona causa, Georgia, puoi fidarti…”, mi scusai, mortificata.
Il suo sguardo si posò su James, metri più in là, che stava iniziando a dare qualche lento segnale di ripresa. “Lo avete schiantato?”, ci domandò, scettica. “Oggi abbiamo allenamento, perciò non mi sembra affatto una buona causa. E ti ricordo che tra dieci minuti dovremmo essere a Cura delle Creature Magiche…”
“Ti spiego mentre andiamo, allora.”, sbuffai afferrandola per un braccio e raccogliendo la borsa. “Ci vediamo stasera.”, salutai Remus e Sirius, con un cenno allusivo del capo. “E tenetelo d’occhio, mi raccomando…”
“Tenere d’occhio chi?”, esclamò Georgia, curiosa.
Mentre ci affrettavamo verso l’uscita del castello, e poi di corsa lungo il prato ancora umido di pioggia, le raccontai brevemente del  nostro piano e dei provvedimenti che intendevamo prendere nei confronti di James.
“Per questo credo di potervi aiutare”, commentò alla fine, con un ampio sorriso. E subito dopo, tornando terribilmente seria: “Occamy, creatura bipede piumata con il corpo di serpente, lungo fino ai quattro metri e mezzo, diffusa in Estremo Oriente e in India, si nutre di…
“…topi e uccelli, ma a volte anche di scimmie. Proprio così, Hill.” Baston lanciò a ciascuna di noi un paio di spessi guanti di cuoio, che afferrammo al volo, e ci rivolse uno dei suoi enormi sorrisi strafottenti. “Georgia, hai veramente studiato? Sono commosso.”
“La cosa ti sorprende, Baston?”
“Beh, non dovrebbe?”
“Ah, per favore. Soltanto perché Cura è l’unica materia in cui hai dei voti decenti…”
“Io e Teddy siamo estremamente fieri dei nostri risultati scolastici, lo sai, Georgia?”, intervenne Kenny spuntando da dietro il recinto nel quale si svolgevano le lezioni all’aperto e sorridendo allegro. “Soprattutto per quanto riguarda Cura delle Creature Magiche…”
“Che materia meravigliosa.”, concluse Benjy, unendosi al gruppo per completare il trio, con un sorriso genuino e rilassato.
In effetti, nessuno era mai riuscito a capire che cosa di preciso quei tre scapestrati trovassero di tanto speciale in una materia che da tutti gli altri studenti veniva considerata una delle meno emozionanti. Al contrario del resto del castello, invece, Teddy, Benjy e Kenny nutrivano una passione smisurata per Cura delle Creature Magiche, e sembravano riversare tutto l’impegno che non avevano per le altre materie in quelle poche lezioni, applicandosi con una diligenza e un entusiasmo tanto appassionati da risultare assolutamente comici e assurdi. Probabilmente si trattava soltanto di una delle tante eccentricità che rendevano il trio così buffo e benvoluto a scuola, e di certo non potevamo negare come, grazie alla loro viva partecipazione durante quelle lezioni, Cura delle Creature Magiche, per quelli del nostro anno, fosse diventata la materia di gran lunga più divertente.
“Ho studiato dalle tre del pomeriggio alle tre di notte, senza un attimo di interruzione.”, ci informò Kenny, stringendosi orgogliosamente al petto Gli animali fantastici: dove trovarli. “Dall’Acromantula allo Yeti, non c’è bestia che tenga, ragazze, ve lo dico io. Nemmeno Lovegood è così ferrato sull’argomento.”
Kenny parlava seriamente, non ne avevamo dubbi, ed era veramente convinto di aver speso bene la sua notte di studio. Quando avrebbe ricevuto l’ennesimo Eccezionale nella materia sarebbe stato la persona più felice e realizzata del castello.
“Ridicoli.”, sibilò Georgia scuotendo la testa, per poi afferrarmi un braccio e tentare di allontanarsi dai tre.“Andiamocene, Bice, per favore.”
“Ehi, Hill, ma dove scappi?”, ci inseguì Baston, trotterellandoci dietro mentre ci dirigevamo verso l’altro lato del recinto, dove era riunito un gruppetto di Corvonero. “Sei pronta a venire battuta un’altra volta dal mio Eccezionale?”
“Non oggi, Baston, per favore.”
“Georgia ha studiato, non fare tanto il furbo, Teddy”, lo informai, sorridendogli divertita.
“Non lo metto in dubbio, Summerland.”, rispose lui, tornando a guardare Georgia con serietà. “Lo so che Georgia è una brava ragazza.” A quel punto però fu costretto a scoppiare in una nuova, travolgente risata, e persino Georgia si lasciò sfuggire una smorfia, divertita contro la sua stessa volontà. “Scusami, Hill, ma lo sai che non sei una brava ragazza… sei molto divertente, però.”
“Perché qui sono tutti pazzi, Beatrice?”, mi domandò lei, sconsolata, ma non feci in tempo a riconfortarla che la professoressa Cornwall, insegnante di Cura delle Creature Magiche da ormai molti anni, comparve al margine della Foresta Nera, trasportando due enormi casse che tremavano emanando un fumo poco rassicurante.
“Ah, lo sapevo che non sarebbe stata una verifica teorica! Ora voglio vedere come ve la cavate, voi tre!”, esultò Georgia non troppo a bassa voce, tirando fuori la bacchetta con aria entusiasta e lanciando un’occhiata cattiva a Kenny e Benjy, arrivati da poco alla nostra parte del recinto.
“State indietro, state indietro!”, sbraitò la professoressa, facendosi goffamente strada tra gli studenti, il viso rotondo ancora più rosso e sudato del solito. Guardammo con curiosità le casse che si muovevano, mentre Kenny sfogliava furiosamente il libro alla ricerca di qualche indizio. Prima che facesse in tempo a trovare qualcosa di utile, però, la Cornwall si chiuse nel recinto e depose le casse, appoggiandosi allo steccato con aria esausta.
“Molto bene”, ansimò, con voce rauca. “Ora, entrate.”
Non troppo convinti ci avvicinammo, cercando di frapporre un minimo di distanza tra noi e le misteriose creature contenute nelle casse. Gli unici che sembravano avere tanto coraggio quanta curiosità da protendersi con entusiasmo verso la preccupante fonte di quei ticchettii e sbuffi non molto gradevoli erano – inutile dirlo – Benjy, Kenny e Teddy.
“Ma prof, che roba è?”, urlò l’ultimo dei tre, in preda a un’eccitazione irrefrenabile. “Ci faccia vedere, la prego!”
“Calmati, Baston, per favore.”, ribattè lei, seccata. “Quello che dovrete fare, non appena avrò aperto le casse”, il mormorio entusiasta di Benjy e Kenny, che stavano gesticolando con foga, la interruppe per un secondo, “è dividervi in gruppi di tre. Purtroppo non ci sono abbastanza creature per tutti, svolgerete la verifica insieme e vi verrà assegnato un voto collettivo. Una volta che vi sarete divisi, dovrete essere in grado di riconoscere l’animale e completare una breve scheda di descrizione delle sue caratteristiche principali. Infine, individuerete in cosa consiste la sua pericolosità e cercherete di uscire da questo recinto incolumi.” Un sorrisetto divertito le arricciò le labbra. “Niente di troppo difficile, giusto? Avete domande?”
Io e Georgia ci scambiammo un’occhiata perplessa, facendo spallucce, e Benjy si staccò dai due compari per raggiungerci. “Sto con voi, va bene?” “Vi proteggerò”, aggiunse con un ghigno provocatorio, passandomi un braccio attorno alle spalle. “E così  per una volta potrete provare l’ebbrezza di un Eccezionale in Cura delle Creature Magiche.”
“Ma per favore, Fenwick”, sbottò Georgia, rimboccandosi le maniche e raccogliendosi i capelli nella stessa coda alta e stretta che usava per le partite di Quidditch. “Apriamo queste maledette casse, forza.”
Benjy si avvicinò con decisione a uno dei due contenitori e, insieme a un Corvonero dall’aria particolarmente intrepida, ne sollevò il coperchio.
“Ma che cosa…”
Un cumulo brulicante di piccole creature dal colore smorto si agitava sul fondo della cassa, facendo di tutto per arrampicarsi verso l’alto con le fragili zampette munite di minuscole chele.
“Ma povere bestie!”, esclamai sconvolta, con un moto di compassione per quegli esseri che – in quel momento non ci pensavo, certo – sicuramente avevano, come tutte le creature magiche che la professoressa Cornwall ci affidava, un qualche pungiglione nascosto nelle zone più impensate, pronto ad annientarci non appena ci fossimo avvicinati troppo. “Prof, non possiamo tenerli chiusi qui dentro, di qualsiasi cosa si tratti…”, protestai.
“E allora prendine uno e togliti dai piedi, Summerland.”, replicò lei, seccamente.
“Sempre gentile…”, bofonchiai risentita, allungando la mano verso la cassa con un certo disgusto.
“Ti conviene usare i guanti, sai?”, mi consigliò Benjy, in tono alquanto divertito. “Non so se ne sei consapevole, ma questi sono…”
“MALACLAW MACULATI!” L’ululato di Kenny, dall’altra parte del recinto, per un attimo sembrò zittire anche i sibili degli animali. “Sono Malaclaw Maculati!”, urlò ancora, con maggiore enfasi. “Per Godric, non ci posso credere…”
“Sei il solito pezzo di idiota, Jordan!”, lo insultò Baston, tirandogli un calcio. “Hai suggerito a tutti la risposta corretta e scommetto che non te ne sei nemmeno accorto, eh? Che imbecille…”
“Hai ragione…”, borbottò Kenny, pentito. “Ma siamo in vantaggio comunque, amico, non preoccuparti, conosco alla perfezione i consigli del vecchio Newt…”
Malaclaw Maculato… Mi ricorda vagamente qualcosa.”, sentenziai, scrutando con sospetto la specie di aragosta deforme che Benjy teneva delicatamente tra le mani. “Qualcosa di non troppo carino, a dire il vero…”
“Oh, sono bestie innocue”, esclamò lui, mentre ci posizionavamo sul vecchio tronco di un albero caduto al suolo, tirando fuori inchiostro e pergamena. “A meno che non ti mordano. Allora sei veramente fottuto.”
“In che senso?”, domandai, curiosa, cercando invano di ricordare che cosa dicesse Scamander al proposito. Georgia, dopo aver esaminato con diffidenza la piccola bestia, la passò a me.
“Ehi, stai fermo!”, bofonchiai, immobilizzando le chele mentre l’animale cercava di sgusciarmi fuori dalle mani. Peccato che, impegnata a controllare le zampe, non feci altrettanta attenzione ai microscopici denti. Me ne accorsi soltanto quando un lieve prurito iniziò a diffondersi, da sopra il polso, lungo tutto l’avambraccio. La creatura aveva allungato la parte superiore del corpo ed era riuscita ad aggirare la difesa dei guanti.
Mi voltai verso Benjy. “Che cosa dicevi che succede, quando un Malaclaw Maculato ti morde?”, gli domandai, respirando con estrema calma. Il prurito cominciava a diventare doloroso.
Benjy mi fissò sgranando gli occhi per diversi secondi. Poi proruppe in una fragorosa risata, si piegò sul tronco dell’albero e per diversi minuti rimase lì sbellicarsi, alzando di tanto in tanto lo sguardo verso di me. “Non posso crederci, Beatrice…”
“Grazie, Benjy, grazie davvero.”, commentai, inacidita, grattandomi furiosamente il braccio irritato.
“Anche io ho studiato Cura delle Creature Magiche, questa volta.”, mormorò Georgia, cautamente. Mi accorsi però che si stava evidentemente sforzando per trattenere le risate, e la cosa mi offese ancora di più. “Quello che causa il morso di Malaclaw Maculato è… beh…”
“Andiamo, Georgia, non è difficile da spiegare…” balbettò Benjy, ormai in preda al singhiozzo. “Un’intera settimana della sfortuna più nera, ecco cosa. E ti assicuro che non sarà facile, cara mia.”
“Fottiti, Fenwick.”, sibilai, tremendamente indignata dal loro poco rispetto.
Per un attimo Benjy sembrò pentirsi della sua mancanza di tatto e mi sorrise con aria compresiva, cessando di ridere. “Stai tranquilla, non è niente di gra…”
Un grosso gufo stava sorvolando i prati, pochi metri sopra di noi. Per qualche strana ragione, presentii in anticipo cosa stava per accadere. Sentii l’escremento piombare dall’alto con la velocità di un proiettile, e atterrare, spiaccicandosi come una frittata, sui miei capelli.
 
“Prova a ridere e faremo a metà della mia sfiga, Benjamin.”
“Non intend… oh, andiamo, Summerland, sei meravigliosa!”
 
***
 
Natale si avvicinava, eppure a Hogwarts eravamo tutti più tesi del normale, e non si trattava soltanto di Pix che seminava panico tra i dodici abeti addobbati della Sala Grande. Nell’ultimo periodo si erano verificate molte novità, troppe per noi, forse, e tutti ne avevamo sentito il peso. Il ritrovamento di Claire si trovava in cima alla lista, ovviamente. Dopo poco più di una settimana era stata dimessa dall’Infermeria, un po’ più tardi di Remus, e le cose per lei non erano state facili. Dopo i primi giorni di festeggiamenti generali aveva cominciato a serpeggiare un certo malcontento, difficile capire a cosa fosse dovuto. Serpeggiare, la parola giusta, dato che era una sola la Casata che non aveva accolto bene il ritorno della ragazza. Non era stata risparmiata da battute crudeli su suo padre e sulle circostanze misteriose in cui era riuscita a evadere, e la cosa peggiore era che i Serpeverde non sembravano nemmeno più ritenere necessario nascondere le proprie molestie davanti ai professori. Ormai spadroneggiavano apertamente, come se Hogwarts non avesse più alcuna autorità su di loro, e la tensione iniziava a divenire insopportabile per tutti. Anche Benjy ed io, come era facilmente prevedibile, eravamo stati presi di mira. Il nostro coinvolgimento nella vicenda era risaputo, perciò non ci stupiva più di tanto il fatto che, a quasi un mese di distanza, continuassero a venirci a chiedere di raccontare ancora una volta i dettagli di quella notte, cosa che ci rifiutavamo regolarmente di fare.
A questo si aggiungeva la solita cerchia di Serpeverde, Mulciber sempre in prima linea. Li avevo incontrati in un corridoio, una volta, mentre uscivo sola dalla biblioteca. Mi avevano fermata, e dopo la solita serie di pungenti botta e risposta, mi avevano chiesto chi, secondo me, stava dietro al rapimento di Claire Lennox. “Voldemort”, avevo detto semplicemente, cercando di tenere alto lo sguardo. “E allora stai attenta, Summerland.”, era stata la loro breve risposta.  Tra loro c’era anche Regulus, che ormai sembrava occupare un posto di un certo rilievo all’interno del piccolo gruppo. Mi aveva guardata a lungo, con odio quasi ostentato, gli occhi di ghiaccio ridotti a fessure, e non avevo potuto fare a meno di chiedermi come fosse possibile che si trattasse davvero del fratello di Sirius, che cosa fosse andato storto, perché avesse scelto anche lui quella strada. Non ne avevo parlato con nessuno.
E allora stai attenta, Summerland. Eppure quell’avvertimento, forse buttato lì soltanto per tormentarmi ancora una volta, non mi aveva lasciata indifferente. Un’ansia incerta aveva iniziato ad assalirmi spesso, un’ansia che, anche quando non ci pensavo, anche quando ero impegnata in altro, rimaneva perennemente annidata nello stomaco, guastando tutto il resto.
L’ennesima folata di gelo si era infiltrata ad Hogwarts, e questa volta non sembrava intenzionata ad uscirne. Con le notizie dal mondo esterno che arrivavano ogni mattina insieme ai gufi, la lontananza dalle famiglie, il pensiero che di lì a poco avremmo dovuto affrontare anche noi quello che c’era fuori, era impossibile conservare la tranquillità di un tempo e continuare a far finta di niente. Un’inquietudine crescente sembrava rendere l’atmosfera di Hogwarts sempre più agitata, e nonostante fosse soltanto dicembre, lo stress iniziava già a logorarci i nervi. Sempre più spesso mi capitava di svegliarmi di soprassalto la notte, una paura senza nome che mi si incollava addosso insieme al sudore gelato. Restavo a guardare il buio della stanza con gli occhi spalancati, tremando di freddo e di paura di fronte a incubi che rimanevano impalpabili, e la razionale convinzione che non poteva succedermi niente, che a Hogwarts ero al sicuro, e che non dovevo temere nemmeno per la mia famiglia, non riusciva mai a tranquillizzarmi. Avrei voluto passare più tempo con i Malandrini, sapevo che con loro sarei riuscita a tirare fuori la vecchia grinta da Grifondoro, a continuare a camminare a testa alta per i corridoi, sicura che, qualsiasi cosa sarebbe successa, insieme saremmo stati pronti ad affrontarla. E invece mi mancavano le riunioni interminabili delle nostre sere, in cui discutevamo di tutto, organizzavamo mille piani per mettere alle strette i Serpeverde, facevamo previsioni per il nostro futuro con combattivo entusiasmo.
James, Remus, Peter e Sirius sembravano non avere più tanto tempo da passare con me e, pur sapendo che i M.A.G.O. si avvicinavano, non riuscivo a togliermi di dosso la sensazione che stessero tramando anche qualcos’altro, qualcosa di più serio e importante da cui, quella volta, mi avrebbero tenuto fuori. Ero sicura che avrei finito per scoprirlo, anche se mi ci sarebbe voluto ancora molto tempo.
Per il momento, la persona di cui avevo più bisogno di occuparmi rimaneva Claire, per cui avevo sentito nascere, quella notte, uno strano legame.
Il suo ritorno era sembrato un miracolo, miracolo che, per un breve tempo, aveva riportato ottimismo e riacceso speranza. Ma lei era lì, si sedeva al nostro stesso tavolo, e quando si guardava attorno con i suoi occhi scuri sembrava di vederci riflesso quello che aveva passato, e non pensarci era impossibile. Lei era sopravvissuta, ma altri non sarebbero stati così fortunati, altri stavano vivendo le sue stesse sofferenze, magari in quello stesso momento.  
Proprio per quello, però, non appena Claire aveva ricominciato la sua vita di sempre, ci era venuto spontaneo continuare a starle vicino. Passando più tempo con lei non avevo scoperto soltanto una compagna piacevole, intelligente ed estremamente delicata, sempre buona e disponibile, ma anche una personalità diversa da quella che avevo presupposto basandomi soltanto sul suo aspetto dolce e un po’ infantile. Nonostante in lei si riscontrassero tutte le migliori qualità Tassorosso, era anche divertente e niente affatto ingenua, e per essere riuscita a destreggiarsi in una situazione simile, capivo che doveva essere dotata di un sangue freddo e una determinazione non comuni. Pur rimanendo la ragazza tranquilla e sorridente che non avevo mai veramente notato prima, era una di quelle persone interessanti, che si scoprono un pezzo alla volta e da cui poi non ci si separa facilmente. E non ero l’unica a pensarla così. Claire non aveva mostrato la minima difficoltà ad aprirsi con Benjy, Sirius e in seguito il resto dei Malandrini e delle mie amiche. Era sembrata trovarsi a suo agio con noi quanto con i suoi amici Tassorosso, e la sua presenza, prima discreta e quasi invisibile, era gradualmente diventata sempre più abituale, al nostro tavolo in Sala Grande e poco tempo dopo anche in sala comune. L’avevamo adottata senza pensarci due volte, e in breve tempo tutti ne erano rimasti conquistati, tanto che ormai era strano pensare che non fosse sempre stata con noi. Chiunque avesse bisogno di un aiuto, un consiglio di qualsiasi genere, un conforto, sapeva di potersi precipitare da lei in un qualunque momento e confidarsi senza riserve. Era affidabile, profonda e paziente come il migliore dei Tassorosso, e tuttavia, come James non si stancava di ripetere, sarebbe bastato lavorarci un po’ per darle quel briciolo di perfidia in più che era necessario per fare di lei una malandrina di tutto rispetto.
 
***
 
Era proprio Claire che, poco tempo dopo il mio fortunato approccio al Malaclaw Maculato, nel vecchio bagno deserto del terzo piano, stava cercando di aiutarmi a ripulire la mia testa dagli escrementi di gufo.
“È quasi andata via, tranquilla.”, mi rassicurò con un ampio sorriso, ben diverso da quelli di Benjy e Georgia, che avevano continuato a trattenere – o meglio, non trattenere per niente – le risate durante tutto il tragitto di ritorno al castello.
“Miseriaccia, mi ci mancava solo questa…”, bofonchiai  con stizza, osservando nello specchio opaco il mio riflesso sporco e imbronciato. “In ogni caso, Claire”, aggiunsi ancora più acidamente, “non intendo farmi mettere sotto da una stupido Malaclaw Maculato, chiaro? Ora penserò a un modo per proteggermi dalla sfortuna. Dopotutto è impossibile che mi succeda qualcosa se… prendo le dovute precauzioni… giusto?” Subito mi guardai intorno preoccupata, temendo l’improvvisa comparsa di qualche altro pennuto incontinente venuto a punire la mia temerarietà.
“Ehm… giusto”, annuì Claire, finendo di asciugarmi i capelli con un tocco delicato della bacchetta. “Quindi, cosa pensi di fare?”
“Prenderò in considerazione tutte le cose che mi potrebbero succedere durante questa settimana. Tutte, anche le più assurde. E le eviterò dalla prima all’ultima.” Come piano non stava in piedi, ma avrei fatto di tutto pur di togliere dalla faccia di Benjy quel suo sorrisetto compiaciuto.
Claire mi guardò in modo piuttosto dubbioso, ma non si tirò indietro nel compito di aiutarmi a stilare una lista più o meno completa di tutto ciò da cui sarei dovuta stare in guardia nelle settimane seguenti.
“Beh, ovviamente dovrai fare tutti i compiti. Ti interrogheranno di continuo. La Boxway, soprattutto.”
“Ah, chissenefrega della Boxway…”
“E Lumacorno, è molto probabile.”, continuò lei con un sorriso di vago rimprovero.
“Questo sì.”, concordai annuendo e affrettandomi ad annotare a grandi lettere in stampatello il nome del professore e della sua materia, sottolineando le due parole più e più volte. “Con Pozioni non si scherza, lì basta un pizzico di sfortuna e sei morto.”
“Naturalmente, alla larga dai Serpeverde.”
Mi lasciai scappare una smorfia. “Ci proverò.”
“E forse sarebbe il caso che io ti assaggiassi il cibo, prima dei pasti, non si sa mai…”
“Ma… Claire!”, esclamai scoppiando a ridere.
“E non uscire dal castello, per l’amor di Merlino!”, continuò lei, serissima. “Sarai una calamita di catastrofi metereologiche, e più generalmente naturali, ne sono sicura.”
Nel giro di mezz’ora eravamo riuscite a completare in modo soddisfacente l’elenco delle più probabili sventure che mi sarebbero potute capitare, riempiendo svariate pagine con le nostre calligrafie disordinate. Mi soffermai a rileggerle con aria critica un’ultima volta, concentrandomi su ogni voce. “Eppure ho la sensazione che manchi qualcosa di importante.”, sospirai. “Non c’è niente che mi coglierebbe di sorpresa, in questa lista, e credo proprio che il Malaclaw Maculato abbia in mente di meglio…”
“Ci penseremo, tranquilla.”, mi rassicurò Claire. “Cosa vuoi che ti succeda di così inaspettato?”
 
E certo, come avrei mai potuto immaginare, io, che nel frattempo a pochi metri di distanza da me e Claire, nel bagno quasi sempre inutilizzato proprio di fianco al nostro, gli artefici della mia prossima, imminente sfortuna, coloro che sarebbero dovuti finire al primo posto nella mia lista, e che invece, per chissà quale strano scherzo della sorte, mi ero completamente dimenticata di considerare, si erano appena riuniti per dare inizio a uno di quei piani apocalittici che avrei ricordato per il resto della mia vita?
L’unico piano in cui io, a dirla tutta, per la prima volta non c’entravo davvero nulla.
 
***
 
“A me pare esagerato.”, stava bofonchiando Peter, osservando corrucciato l’angusto spazio in cui era stato costretto a incastrarsi per lasciare posto agli altri due.
Certo che lo è!”, ribattè Sirius esasperato, mentre si affaccendava con aria laboriosa e frenetica attorno al piccolo calderone ancora freddo e al resto del materiale sparso in disordine sul pavimento.
“Okay, ma intendo… davvero troppo esagerato, amico. Questo non possiamo farlo, Sirius, non possiamo.”
“Ah, taci un po’, Codaliscia, mi deconcentri! E ci mancano moltissimi ingredienti, è stramaledettamente difficile…” Il tono sgarbato di Sirius aveva sembrato offendere parecchio il povero Peter, che incrociando le braccia al petto e stringendo le labbra si era deciso a non proferire più parola al riguardo. “Di cos’hai paura?”, lo interpellò ancora Sirius.
“Di cos’ho paura?!”, strillò Peter, dimenticandosi all’istante del suo precedente voto di silenzio. “Merlino, hai la più pallida idea di cosa ci farà Remus? Non ne usciremo vivi, questo lo sai, vero?”
Sirius sfogliava le pagine del vecchio libro con svogliatezza, scorrendo le pozioni una dopo l’altra con aria tranquilla. Alzò un attimo lo sguardo su Peter, con indifferenza. “Si chiama sacrificio, Peter, sacrificio per un amico, okay? Remus farebbe lo stesso, al nostro posto, lo sta già facendo, più o meno”. Indicò con un’occhiata eloquente la schiena di James, il quale, troppo impegnato a arruffarsi i capelli davanti allo specchio per poi appiattirli sulla fronte e ricominciare da capo, non sembrava aver ascoltato una parola del battibecco tra i due.
“Idiota, non sono due cose paragonabili.”, sbottò Peter, riferendosi alla specie di piano che stavamo mettendo in atto per risolvere le cose tra James e Lily. “Questo va veramente al di là di tutto, Amortentia, Polisucco…”
“Appunto, Pet, eddai, le abbiamo provate tutte, questa è l’unica che ci manca…”
“Tu sei pazzo, Felpato, assolutamente folle... ma fate come volete, tanto alla fine decidete sempre voi, non è vero?”
“Esattamente.”, concluse Sirius con un’allegra scrollata di spalle. “E allora, se non ti dispiace, iniziamo.”
 
Non si trattava che dell’ennesima operazione salva-amici di quei giorni, in cui ci trovavamo ormai costantemente impegnati. In quel periodo abbastanza burrascoso (litigi, pene d’amore, mancati riavvicinamenti: li avevamo visti tutti.), per la logica malandrina era assolutamente impensabile lasciare che le cose si sistemassero da sole, magari con il tempo. Decisamente troppo ragionevole. Per noi era istintivo ricorrere ai complotti più assurdi, piani complicati, organizzati in ogni dettaglio e nonostante ciò sempre pieni di falle, che nel novantacinque per cento dei casi erano destinati ai fallimenti più disastrosi, nei quali facevamo uso di espedienti e arguzie collezionati nel corso degli anni, e che alla fine non facevano altro che portare con sé guai ancora più grossi.
Ma era un vizio troppo appassionante, e nemmeno quella volta avremmo – avrebbero – imparato a non immischiarsi nei problemi degli altri. Nemmeno dopo averne visto le catastrofiche conseguenze. Perché l’idea era stata di Sirius, e questo bastava a capire come sarebbe andata a finire.
 
Però quella di Remus, ormai da tempo, era una condizione davvero troppo frustrante perché prima o poi a qualcuno non venisse in mente di trovarci una soluzione drastica e sicuramente pericolosa.
Persino Sirius, solitamente non dotato di grande sensibilità per questi argomenti (non dotato di grande sensibilità in generale, avrei aggiunto) si era reso conto che la piega che stava prendendo la situazione tra l’amico e Juliet non si sarebbe risolta senza l’aiuto di un esterno e che anzi, negli ultimi tempi non aveva fatto altro che peggiorare. Inizialmente la decisione di Remus di troncare ogni tipo di rapporto con Juliet non ci era parsa così grave, avrebbe finito per rendersi conto da solo che era stupido, non avrebbe potuto farne a meno, con lei sarebbe stato diverso. E invece non era successo. Il distacco tra i due nel corso delle settimane era aumentato fino a diventare apparentemente incolmabile, e questo, a discapito di quello che Remus cercava di dare a vedere, non l’aveva affatto reso più sereno, ma infelice in maniera così profonda che era impossibile non notarlo dietro ai suoi sguardi. Sapevo di per certo che Juliet non avrebbe fatto neanche un minuscolo passo verso di lui, non avrebbe mai mostrato dispiacere, non si sarebbe mai fermata a guardarlo. Se ne sarebbe andata e basta, e a quel punto Remus avrebbe anche potuto pentirsi della sua risoluzione. Juliet non sarebbe tornata.
Io e Sirius, come anche James e Peter, le mie amiche, e in generale chiunque si trovasse abbastanza vicino a Remus e Juliet da poterli conoscere in maniera non superficiale, eravamo d’accordo nel pensare a quanto quella distanza forzata eppure totale fosse sbagliata, assurda, e inutilmente dolorosa. Eppure io, a differenza degli altri tre Malandrini, non sarei mai stata così imprudente da poter pensare di mettermi in mezzo a loro due, senza creare ulteriori danni. Anche solo cercare di parlare con Remus in modo obiettivo e ragionevole, come avevo più volte tentato, era stato difficile e completamente infruttuoso.
A questo punto, di conseguenza, aveva deciso di entrare in azione Sirius, a quanto pareva interessato in modo piuttosto sorprendente al bene del suo amico Remus. Senza andare tanto per il sottile, senza troppo rifletterci, senza preoccuparsi delle numerose, infinite controindicazioni della sua sconsiderata idea. Senza nemmeno chiedere il mio aiuto, forse perché era il primo a sapere che in fondo sarei stata contraria.
Ma appunto per questo, se anche avessi saputo di quello che stavano tramando, in teoria avrei potuto comunque restarmene egoisticamente tranquilla: per una volta, un’unica, maledettissima volta, io ero assolutamente, incondizionatamente innocente.
Peccato però che quella fosse una settimana non del tutto ordinaria. Sette giorni che, nonostante ce l’avessi messa tutta, avrebbero finito per passare alla storia con un solenne e sgrammaticato soprannome, ideato da Benjy e in grado di dare una tinta di comicità a quello sfortunatissimo dramma: la Septimana Horribilis era solo ai suoi inizi.
 
***
 
Troppo presa dal cercare di evitare con ogni arguzia possibile tutte le iettature che si riversavano implacabili sulla mia persona, persino quando giravo per il castello nascosta sotto il Mantello dell’Invisibilità – patetico, sì, ma per qualche ora avevo veramente pensato che potesse funzionare – in quei giorni non ebbi proprio il tempo di rendermi conto che qualcosa di strano e sospetto stava accadendo tra i Malandrini. Le lunghe assenze, il continuo confabulare nei luoghi più disparati, Remus che sembrava quasi venire isolato e tenuto in disparte, le domande bizzarre che talvolta Sirius mi poneva a proposito delle mie ultime lezioni di Pozioni, erano tutti elementi che avevo inconsciamente notato, ma che non vi avevano affatto preoccupata.
 
E poi era arrivato il giorno. Io mi trovavo impegnata in un’alquanto difficoltosa ricerca di Difesa Contro le Arti Oscure, che per qualche incomprensibile ragione si stava rivelando impossibile da portare a termine, dato che tutti i libri che avevo ritirato dalla biblioteca per aiutarmi erano improvvisamente scomparsi nel nulla – mi veniva da piangere al solo pensiero di cosa sarebbe accaduto quando Madama Pince lo fosse venuta a sapere – perciò non potevo neanche lontanamente immaginare quanto la mia fine, grazie all’opera volenterosa dei miei amici James, Peter e Sirius, si stesse vertiginosamente avvicinando.
Peter invece, nel dormitorio opposto al mio, pochi metri di distanza a separarci, se la immaginava eccome, o meglio, vedeva la sua fine profilarsi sempre più minacciosa all’orizzonte, man mano che l’assenza di Sirius, partito in missione svariati minuti prima, si prolungava.
“Ormai dovrebbe aver finito, no?”, stava balbettando per l’ennesima volta, torcendosi con agitazione le mani in grembo. “Cosa ci vorrà mai, a sgraffignare qualche misero ingrediente dallo…”
“Oh, ma chiudi un po’ quella boccaccia, Peter, che se non fosse che non ti fidi di lui manderesti Sirius a rubarti persino il cibo dalle cucine…”
Mai. Questo non potrei farlo davvero mai.”, assicurò Peter, portandosi la mano al petto con dignità. “Sul cibo non si scherza, Ramoso.”
“E chi mai ci scherza…” sospirò James. In quel momento, finalmente, dopo un rumoroso pestare di passi non troppo felpati su per le scale del dormitorio, la porta si spalancò con veemenza. Un Sirius alquanto trafelato, con il viso sudaticcio e radioso, comparve in tutta la sua agitazione canina.
“Non immaginerete mai!”, esclamò. “Che colpo di fortuna…” E di fronte alle facce perplesse di James e Peter, estrasse dalla tasca una piccola fiala dal contenuto trasparente.
“L’hai trovata?!”, urlò James, incredulo. “Questo significa… niente più bagno puzzolente del terzo piano, niente più ore sprecate dietro a quella stupida pozione, niente più inutili sprechi di fatica…”
“E soprattutto…”, lo interruppe Sirius, “niente aiuto della Summerland, ed entro stasera il nostro amico Remus avrà sistemato tutto.”
 
Pareva incredibile che una tale buona sorte (senza dubbio tutta quella che era stata ingiustamente sottratta a me durante quella Septimana Horribilis) fosse accorsa in aiuto di quel piano così azzardato e traballante, le cui possibilità di riuscita sembravano veramente minime. Il Veritaserum era lì, trasparenza perfetta e quantità sufficiente, sarebbe bastato versarne una goccia nella tazza di cioccolata calda serale di Remus, fare in modo che in quel momento Juliet si trovasse nella stessa stanza, porgli le giuste domande – magari lasciarli addirittura soli, aveva proposto Sirius, in un eccesso di ottimismo e – sempre secondo Sirius – ogni complicazione si sarebbe immediatamente sciolta. Juliet avrebbe capito, Remus si sarebbe infuriato, certo, ma stare lontano da lei non avrebbe avuto più senso, e nemmeno continuare a negare i propri sentimenti.
Così i tre Malandrini, totalmente sprovvisti dell’assennatezza caratteristica del quarto assente, che si sarebbe rivelata molto utile in quella situazione, avevano lasciato la preziosa ampolla sul comodino di James, di fianco alla Mappa del Malandrino, qualche aggeggio rubato da Zonko, rimasugli di vecchie pozioni e altri trofei di malefatte passate, per poi andare a festeggiare il procedere del loro piano con una bella merenda direttamente nelle cucine.
Quello fu il primo della sequenza di eventi che avrebbe portato alla catastrofe finale.
Remus, infatti, era rientrato nel suo dormitorio poco tempo dopo, affaticato dalla lunga giornata di studio che l’aveva trattenuto in biblioteca fino a quel momento. Si era gettato sul letto, rimanendo per svariati minuti sdraiato a fissare pigramente il soffitto. Poi si era riscosso, domandandosi dove mai fossero andati a cacciarsi i suoi fedeli compagni, e girandosi verso il letto di James non aveva potuto fare a meno di notare la fiala di Veritaserum. Dopo un momento di perplessità aveva scosso la testa, sbuffando con un lieve sorriso e appuntandosi mentalmente di riservare a James e Sirius (Peter non ne aveva colpa, lo sapeva) una bella ramanzina, non appena fosse riuscito a trovarli.
Così era sceso in sala comune, ed era lì che ci eravamo visti, per la prima volta nella giornata. Intenta com’ero a un frenetico ripasso di Pozioni, materia che in quei giorni mi aveva perseguitata più di ogni altra cosa, snervata dai continui incidenti e prevenuta nei confronti di qualunque essere umano, animale o vegetale che provasse ad avvicinarsi a me durante quella settimana, al sentirlo arrivare in sala comune, prima ancora di vederlo, ero violentemente sobbalzata sulla sedia, soffocando un urletto agitato, avevo chiuso di colpo il libro e me l’ero stretta al petto angosciata. Il mio terrore non era diminuito vedendo che si trattava soltanto di Remus, dato che in quei giorni avevo imparato a guardarmi bene dai miei stessi amici, e con un filo di voce avevo balbettato: “Che cosa ci fai qui, Remus?”
Lui mi aveva guardato sorpreso. “È la mia sala comune, Beatrice… Merlino, capisco che questa storia del Malaclaw Maculato ti stia stressando, però dovresti seriamente darti una calmata. Hai visto gli altri?”
“Non li ho visti.”, avevo mormorato con un filo di voce, abbandonandomi contro lo schienale della sedia, un po’ più tranquilla. Forse davvero Remus non nascondeva nessuna Caccabomba nelle tasche della divisa.
“Ci vediamo più tardi.” 
“Sì, ci vediamo.”, avevo risposto in tono incerto. Se sarò ancora viva, avevo aggiunto mentalmente, osservando preoccupata la pergamena che avrei dovuto occupare con il mio tema di Pozioni, ancora immacolata.
 
Fino a quel momento Remus non nutriva ancora alcun sospetto nei miei confronti, né nei confronti di chiunque altro, nonostante avesse visto il Veritaserum in camera. Aveva percepito qualcosa di strano soltanto a cena conclusa, quando da lontano era rimasto a osservare me, James e Juliet che confabulavamo in disparte. Ripensandoci, nei giorni seguenti, mi resi conto che dall’esterno poteva sembrare una conversazione diversa da quella che era in realtà; mentre tentavo, in tono scherzosamente grave, di far capire a Juliet quanto il Puddlemere United fosse una squadra infinitamente più valida dei Tornados, James mi dava man forte, cercando nel frattempo un modo per fare sì che Juliet lo seguisse, così da trovarsi nel posto giusto al momento opportuno, e Remus ci osservava, con quell’insicurezza e circospezione che gli causava sempre l’avere Juliet più vicino di quanto volesse. Si chiedeva con eccessiva curiosità, quasi con ansia, di che cosa mai stessimo parlando, del perché Juliet continuasse a scuotere la testa, James apparisse così irrequieto e io seria e maliziosa al tempo stesso.
Con un po’ di malumore Remus aveva deciso di smettere di fissarci e di lasciare la Sala Grande per tornarsene alla torre di Grifondoro. Peter, che era misteriosamente scomparso e poi tornato con una grossa tazza di cioccolata fumante tra le mani, che gli tremavano visibilmente, l’aveva visto allontanarsi e aveva affrettato il passo, seguendolo preoccupato con lo sguardo e cercando al tempo stesso di identificare tra la folla i suoi due compari, affinchè gli dessero istruzioni. Purtroppo per tutti quanti, però, la cattiva stella del Malaclaw Maculato sembrava non essersi ancora stufata di perseguitarmi. In quel momento, infatti, concludendo la discussione con una teatrale alzata di spalle e un: “Juliet, parlare con te è completamente inutile. ”, avevo anch’io notato Remus avviarsi verso l’uscita, abbastanza scuro in volto, e poco dietro Peter che lo seguiva con lo cioccolata. Così, presa da un improvviso moto di compassione mista a buoni propositi sicuramente dovuti al veleno di Malaclaw che avevo ancora  in corpo, ero schizzata verso di lui.
“Dammi la tazza, Pet, gliela porto io!”
“Ma…”
“Non preoccuparti, avrà solo un po’ di lunastorta, proverò a tirarlo un po’ su.”
“In realtà…” Anche se non potevo vederlo, qualche metro dietro di noi James e Sirius avevano seguito con attenzioni le mie mosse e  si stavano sbracciando con disperazione verso Peter facendogli cenno di allontanarmi.
“Davvero, stai tranquillo, Peter!”, lo rassicurai con un sorrisone premuroso, praticamente strappandogli di mano la tazza. “Ci vediamo dopo!”
Avevo seguito Remus, mantenendomi sempre a qualche passo di distanza da lui senza che si accorgesse di me, fino alla torre. Quando il ritratto della Signora Grassa stava per richiudersi l’avevo chiamato, a gran voce. “Remus, un attimo! Ho qualcosa per te!”
Mi aveva aspettato all’interno del passaggio, sempre con la stessa espressione incupita, senza proferir parola. La sala comune era ancora deserta, la maggior parte della gente non aveva finito di cenare. Così si era diretto verso il suo dormitorio, e io dietro di lui.
“Dai, Remus, qualsiasi cosa ti passi per la testa… ho della cioccolata calda per te.”
“Scusa, non mi va, torna pure dagli altri.”
Non ti va?! Non fare l’idiota, è fatta come piace a te…”
“Magari più tardi, okay?” Stava cercando di liquidarmi in maniera non troppo offensiva, eppure, chissà perché, quella sera avevo proprio una gran voglia di rifilargli quella cioccolata, ed ero decisa a insistere ancora un po’. Remus era entrato in camera, e mentre io continuavo a inseguirlo blaterando sugli effetti benefici della cioccolata calda, guardandosi attorno aveva posato nuovamente gli occhi sul comodino di James. Il Veritaserum non c’era più. Si era così ricordato che avrebbe dovuto parlarne con James e Sirius quando li aveva visti, prima, e che invece se ne era dimenticato. Il pensiero fisso su quella misteriosa fiala di Veritaserum, si era girato verso di me. Avevo allungato un’altra volta la cioccolata verso di lui, quasi ansiosa. “Eddai, Remus, bevila! Ti farà solo bene, non è veleno…”
Avevo visto le sue sopracciglia aggrottarsi in un’espressione dapprima confusa, poi incredula, infine di nuovo tranquilla. L’idea gli era balenata in mente, ma assurda com’era l’aveva scacciata via in fretta. Purtroppo avevamo deciso di scendere di nuovo in sala comune.
Lì avevamo trovato James. E Juliet. Era stata una caduta libera verso la catastrofe, così veloce che non avevo fatto nemmeno in tempo a rendermene conto.
Non avevo capito il motivo per cui James tenesse in mano un’altra tazza di cioccolata, né perché Juliet avesse l’aria di non voler stare in quel luogo, e di non sapere perché vi si trovava.
“Vedi, Remus?”, avevo ripetuto, ancora. “Anche lui pensa che dovresti bere un po’ di cioccolata.”
E a quel punto i suoi occhi avevano incrociato quelli di James. Spaventati, colpevoli, perché James non era bravo a mentire al suo migliore amico. Poi si erano spostati su Juliet, che sfuggiva al suo sguardo, nervosa. Sulla cioccolata ormai fredda e priva della minima attrattiva. Su di me, che lo fissavo a mia volta, mordendomi le labbra, un’espressione sul viso che sembrava fatta apposta per essere fraintesa.
Remus, sbagliando tutto, aveva capito.
Smarrito, stupefatto, sconvolto. Lo sguardo ferito e confuso, l’espressione d’orrore sulle sue labbra, il silenzio attonito, io non capivo, lui non reagiva. E poi era arrivata la sua mano, improvvisa e brusca come l’onda che anticipa la tempesta, il colpo era stato violento e rabbioso, avevo visto la tazza volare davanti a me e andare a schiantarsi con un impatto fragoroso contro il muro.
Il mondo attorno a noi era sembrato riscuotersi. “Remus, per l’amor di Merlino!”, aveva esclamato James a voce alta, accorrendo verso di lui. Ancora sbalordita lo fissavo, negli occhi d’ambra c’era Remus il lupo mannaro, un’ira indescrivibile, dolorosa, tutta rivolta a me.
“Non posso crederci.”, aveva mormorato, la voce rauca e affannata, e tutti i momenti più tremendi della sua vita sembravano condensarsi in quelle parole, nei suoi pochi gesti. “Questo, tu.”
Ormai, durante quella settimana, avevo imparato a conoscere bene la sensazione che tutto mi stesse sfuggendo di mano, che il corso degli eventi venisse governato in modo che intervenirvi fosse impossibile, e che io dovessi semplicemente lasciarmi colpire, senza muovere un dito, senza nemmeno capire. Eppure mai come in quel momento, sembrava veramente troppo. Immobile e disorientata rimanevo in silenzio, lasciavo che Remus credesse alla verità evidente ed erronea che aveva scoperto, non riuscivo nemmeno a dispiacermi, perché era tutto privo di senso. Restai paralizzata anche dopo l’ultimo sguardo furente, quando mi voltò le spalle, un gesto definitivo, immutabile.
Nessuno aveva detto una parola. L’assurdità di tutto quanto era appena accaduto mi cadde addosso di colpo, mi voltai di scatto verso James, Sirius e Juliet, sconvolta. “Ma che cosa ho fatto?” Juliet sembrava altrettanto confusa, Sirius e James semplicemente distrutti.
“Vieni.”, aveva mormorato Sirius, soltanto, prendendomi per una spalla. Con un’occhiata di scuse a Juliet, mi avevano portato fuori, in corridoio. Alternandosi, interrompendosi a vicenda e bisticciando un po’ mi avevano faticosamente spiegato ogni cosa, il loro piano, i dettagli, le difficoltà. Ricostruimmo le coincidenze impossibili che si erano incastrate tra di loro, intrappolandomi in quella rete di sfortuna da cui non sarei mai riuscita a districarmi, credevo, e nel rendermi conto di quello che era realmente successo mi infuriai, con loro, con me, con tutta quell’ingiusta sfortuna, ovviamente.
“Ma perchè!?”, esclamai, affranta. “Senza nemmeno dirlo a me, avrei fatto qualcosa, vi avrei fermati…”
“Appunto!”, mi bloccò Sirius, altrettanto arrabbiato. “Per una volta avremmo sistemato le cose a modo nostro, e fidati, signorina, avrebbe funzionato, se solo non ci fossi capitata tra i piedi tu e la tua maledetta sfiga!”
“Che cosa?! Non è stata colpa mia, come puoi anche solo…”
“Ha ragione, Sirius.”, commentò seccamente James. “Era troppo rischioso, avremmo dovuto immaginarlo. Certo, questa cosa…”, e indicò con aria incerta i segni del morso ancora evidenti sul mio braccio. “Beh, non ci è stata di aiuto. Però… non avresti dovuto finirci in mezzo tu, Scricciolo.”
Sirius si afflosciò contro il muro. “Scusami.”, borbottò, rivolgendomi uno sguardo veloce. “Mi dispiace che sia successo, spiegherò a Remus che non sei stata tu.”
“Spero che ci vorrà credere…”, sospirai.  “Devo parlargli subito.”
Ferma!”, urlarono insieme James e Sirius. “Ti trascineresti addosso qualche altra catastrofe, lo sai, sì?”.
 
***
 
Era ormai notte inoltrata, seduta sui gradini duri delle scale, con la testa tra le ginocchia, continuavo a sperare che Remus prima o poi ci avrebbe aperto la porta una seconda volta, urlato contro, odiati come non aveva mai fatto in vita sua, dato la possibilità di guardarlo negli occhi e costringerlo a capire che io non gli avrei mai fatto niente di simile.
Invece per lui era così banale, così scontato e inequivocabile, che gli erano bastati pochi secondi per concludere il tutto. “Ma andiamo, Sirius.” Non mi aveva nemmeno guardata, la sua voce era priva di emozioni. “Voi non sareste mai capaci di preparare una pozione del genere, lei sì. Ecco perché era così strana, vero? Altro che Malaclaw Maculato…”
“Ma noi…”
“Voi eravate complici, certo. Me lo sarei dovuto aspettare. Gran bell’idea, comunque.”, aveva commentato, piattamente. La porta si era richiusa, noi eravamo rimasti lì, completamente disarmati.
“Dovrà capire, prima o poi…”, gemetti. “Non è mai stato veramente arrabbiato con me, e io non ho fatto niente…”
“Capirà.”, mi rassicurò James, con una pacca sulla spalla. “Vai a dormire, adesso, tu che hai la possibilità di accedere alla tua camera…”
Ero spaventata. Sicura che Remus non ci avrebbe ascoltato mai e poi mai, vedevo le cose dal suo punto di vista e mi rendevo conto che aveva tutte le ragioni per credermi colpevole. Di più: quello che avevamo fatto – avevano fatto; mi sentivo così male che in alcuni momenti dimenticavo che io non avrei dovuto c’entrare nulla in quel disastro – era così grave, così imperdonabile e di cattivo gusto che avrebbe potuto porre fine una volta per tutte alla loro amicizia. E a me cosa sarebbe successo? Non potevo immaginarmi senza Remus, e anche se sapevo che avrei fatto qualsiasi cosa perché capisse, avevo paura. Così riflettendo arrivai senza accorgermene al mio dormitorio, sprofondato nel buio e nel sonno. Per questo mi stupii nel trovare una figura ritta su uno dei quattro letti. Juliet si alzò appena mi vide entrare, venendomi incontro silenziosa come un gatto. Mi accorsi in quel momento di avere gli occhi lucidi di lacrime, la preoccupazione sul suo volto si accentuò.
“Che cosa diamine è successo?”
“Non credo che riuscirei a spiegarti.”, balbettai, rannicchiandomi sul letto, esausta.
Juliet aspettava. Stanca, triste e ancora disorientata, non avevo la forza di eludere le sue domande, né lo volevo.
“Juliet, quello che è successo… ci sono delle cose che James e Sirius volevano tu sapessi. Hanno messo del Veritaserum nella cioccolata di Remus, così sarebbe stato lui stesso a confessartele…”
“Ma…”, Juliet sembrava incredula.
“E magari avevano davvero ragione.”, continuai, incapace di porre freno al flusso di pensieri amari che mi attraversavano la mente in quel momento.“Magari vi sareste resi conto dell’enorme sbaglio che state facendo, entrambi, perché se soltanto vi foste detti un po’ più cose, invece che scappare così… Remus questo non l’ha mai capito, tu nemmeno, James e Sirius credevavano di potervi aiutare. Mi dispiace soltanto di esserci finita in mezzo in questo modo, perché Remus non mi rivolgerà più la parola.”
Juliet era turbata almeno quanto me. “Io… mi dispiace, avrei dovuto avere più coraggio e non lasciare che andasse a finire così”. Si voltò per guardarmi dritto negli occhi, con improvvisa decisione. “Gli parlerò.”
“Mi sembra un’ottima idea!”, commentai, con una punta di sarcasmo nella voce. “Avresti potuto arrivarci un po’ prima, certo, ma è ammirevole da parte tua…”
“Sistemerò tutto.”, mormorò, più a se stessa che a me. “Sono stata una stupida a perdere tutto questo tempo.”
“Sì.”, annuii, non trovando niente di più confortante da dirle. Mi rivolse un breve sorriso, tornando nel suo letto senza una parola.
Io mi raggomitolai sul bordo del materasso, senza togliermi né scarpe né vestiti, aspettando di addormentarmi per quelle poche ore di sonno che mi rimanevano.
E nonostante tutto, in quel momento sentii un gran sollievo che mi invadeva: perlomeno, non importava quanto disastrosamente, si era appena conclusa un’altra giornata della Septimana Horribilis. E in un modo o nell’altro, io ero viva.
 
 
 
 
Note dell’autrice:
Salve a tutti! Non credo di avere molti commenti da fare, dopo tutto il tempo che è passato dal mio ultimo aggiornamento. Non mi aspetto che ci siano ancora molte persone a seguire questa storia, ma ci tenevo molto a continuarla e sono davvero felice di essere riuscita a finire e pubblicare questo capitolo, spero che apprezzerete almeno lo sforzo :)
Cercherò di accelerare un po’ i ritmi ma non faccio promesse riguardo ai prossimi aggiornamenti, perché purtroppo credo che in futuro mi resterà sempre meno tempo da dedicare alla scrittura.
Intanto vi linko qui sotto un paio di immagini del nuovo personaggio, Claire (Taissa Farmiga) sperando che vi piaccia:
http://i59.tinypic.com/21zj7q.png
http://i62.tinypic.com/21jyl5c.jpg
 
Grazie mille a tutti voi
 

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