La valle dell'altro mondo

di phoenix_esmeralda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO - La grande avventura ***
Capitolo 2: *** Lanciata nell'avventura ***
Capitolo 3: *** Incontro ***
Capitolo 4: *** Il principe Alexen ***
Capitolo 5: *** Il viaggio ***
Capitolo 6: *** Interrogatorio ***
Capitolo 7: *** Messaggi angoscianti ***
Capitolo 8: *** Il nemico ***
Capitolo 9: *** Arco d'Oriente ***
Capitolo 10: *** Occhi aperti ***
Capitolo 11: *** Appoggio ***
Capitolo 12: *** Rabbia ***
Capitolo 13: *** Anticonvenzionale ***
Capitolo 14: *** Ripensamento ***
Capitolo 15: *** Alleato ***
Capitolo 16: *** L'anima di Khail ***
Capitolo 17: *** L'anima di Alexen ***
Capitolo 18: *** Puzzle completo ***
Capitolo 19: *** Bruciata ***
Capitolo 20: *** Fiducia ***
Capitolo 21: *** Il figlio disobbediente ***
Capitolo 22: *** Coraggio ***
Capitolo 23: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 24: *** Cuori allo specchio ***
Capitolo 25: *** Sentimenti ***
Capitolo 26: *** Riverenza muta ***
Capitolo 27: *** La decisione più difficile ***
Capitolo 28: *** Affondo ***
Capitolo 29: *** Gioia ***
Capitolo 30: *** L'anima di Vera ***
Capitolo 31: *** Il Ponte delle Koralle ***
Capitolo 32: *** Cedimento ***
Capitolo 33: *** Il potere di Alexen ***
Capitolo 34: *** Compensazione ***
Capitolo 35: *** Giudizio ***
Capitolo 36: *** Sacrificio ***
Capitolo 37: *** Il mondo si ribalta ***
Capitolo 38: *** Dolore previsto ***
Capitolo 39: *** Andando a casa ***
Capitolo 40: *** -EPILOGO- Katathaylon ***
Capitolo 41: *** -EPILOGO- Nel Mondo Di Fuori ***



Capitolo 1
*** PROLOGO - La grande avventura ***


***
 
 
La notizia  che aspettavo da tutta una vita, Vera me la comunicò una sera di maggio.
Il tramonto calava sul mare come un velo di luce iridescente e negli occhi di Vera presagii avventure sconosciute.
 
 
***
 
 
 
 
 
 
 
Arrivo al nostro posto di ritrovo con un po’di anticipo.  Non era premeditato, se avessi deciso di farlo volontariamente, qualche cataclisma evocato dal nulla mi avrebbe procurato un ritardo di almeno un’ora. È Vera quella precisa e puntuale, quando dà un orario non sbaglia di un secondo, non l’ho mai vista arrivare affannata, di corsa o con un capello fuori posto.
Per questo, visto che ora sta tardando di dieci minuti, capisco che deve essere accaduto qualcosa di grave.
Quando mi ha telefonato nel pomeriggio per chiedermi di vederci, aveva un tono piuttosto serio. Ma Vera è una persona seria, per questo non ho notato nulla di strano. Il suo ritardo invece sta dichiarando allarme rosso.
Sfilo le scarpe sportive e mi siedo a gambe penzoloni sullo scoglio, esponendomi agli ultimi raggi del sole. Io e Vera veniamo spesso qui, su questo scoglio isolato a strapiombo sul mare. Qui chiacchieriamo a lungo, protette da orecchie indiscrete, nel luogo che ha sorriso ai nostri giochi di bambine, alle confidenze da adolescenti e alle riflessioni, ora, di due giovani adulte. Sempre che a 23 anni si sia adulte.
Vera arriva con venti minuti di ritardo, comparendo alle mie spalle all’improvviso. Rimane in piedi immobile e i suoi occhi azzurri appoggiano lo sguardo sul mare tinto d’oro.
Le ho già visto molte volte questa espressione grave, ma oggi sembra appesantita da un’ombra avvinghiante di preoccupazione. I lunghi riccioli castano chiaro frustati dal vento, incorniciano il suo viso perfetto. In questo momento è così bella da sembrare irreale e resto a guardarla incantata. Questo è l’aspetto di una regina delle favole. Non riesco a descriverla in altro modo quando prende questo sguardo distante che la stacca dal paesaggio, come un adesivo da ritagliare e incollare altrove.
Improvvisamente Vera si china e avvicina il viso al mio.
- È arrivato il momento, Allegra.
Impiego qualche secondo a capire. Quando aspetti qualcosa per tutta una vita, fai fatica a capacitarti che accada davvero.
Allargo la bocca e inspiro, inghiottendo ossigeno.
- Dici sul serio?
Mi trema la voce, sono così agitata che faccio fatica ad articolare l’aria attorno alle corde vocali.
Sul volto di Vera, inspiegabilmente non c’è traccia di sorriso. La nostra partenza dovrebbe essere motivo di gioia.
- Non hai deciso di lasciarmi a casa, vero? – le chiedo, sentendo affiorare il panico.
Lei scuote la testa, i suoi occhi passano da me al mare con inquietudine. Vera è sempre calma, padrona di sé, se qualcosa la turba non può essere nulla di meno di un disastro naturale.
- C’è qualcosa che non va – mi dice infatti, afferrando un pugno di ghiaia – Mia madre è stata chiamata stamattina a Katathaylon. Mio padre è ferito. Sta succedendo qualcosa di molto grave a Palazzo.
Rimango senza parole. Cosa sta accadendo al meraviglioso regno dei miei sogni?
- Aspettavo la chiamata da un momento all’altro – prosegue – Il re è gravemente ammalato, manca poco alla successione del principe Alexen. Ma sembra che a Palazzo ci sia stata una rivolta.
Spalanco gli occhi, mentre le parole di Vera cadono una a una nel mio cervello come farfalle impazzite.
- Cosa significa una rivolta? – chiedo – Cosa farai adesso?
- Vado a Katathaylon. Domattina. Sentirò ciò che ha da dirmi mio padre e poi mi recherò ad Arco D’Occidente. Il principe Alexen ha bisogno di me.
Fa una pausa, ma quando fissa i suoi occhi nei miei, capisco che ha già formulato una linea d’azione.
- Potrei aver bisogno di aiuto. Vieni con me Allegra? Non è come un matrimonio, ma tu hai sempre preferito l’avventura – stavolta un sorriso le tira leggermente gli angoli della bocca – E questa potrebbe diventare una grossa avventura.
Non esito un solo istante. Getto le braccia al collo di Vera, urlando di gioia.
- Certo che vengo! Vengo eccome! Grazie per avermelo chiesto!
Vera sorride un po’ più apertamente.
 
 
Il mondo di Vera, ovviamente non è il mio.
Lei sarà regina, molto presto. È promessa al principe Alexen da quando è nata e questa consapevolezza ha guidato interamente la sua vita, come un percorso segnato in mezzo a vie sconosciute.  Un po’ come lo stampo di una torta crea la forma del dolce che vi è contenuto.
Vera nel mio mondo acquista una consistenza quasi irreale. So che parte di questo è dovuto alla sua origine nobile, all’appartenenza alla casata delle Koralle. Ma non è solo questo.
È sottile e dritta come un fuso, flessuosa e dignitosa, si muove con leggerezza inconsistente. Pur essendo alte uguali, sembra sovrastarmi, come se la mia inferiorità si palesasse, nel confronto con lei, a insegne lampeggianti.  I suoi occhi chiari leggermente allungati brillano di una gelida superiorità, il naso sottile e la bocca perfetta completano l’immagine di una bellezza surreale, estranea all’habitat in cui si trova costretta a vivere.
Vera è come una perla in mezzo al fango, si distingue a colpo d’occhio. Non ha nulla, assolutamente nulla in comune con il resto del mondo.
La sua calma inalterabile, la sua lucidità, la sua totale capacità di autocontrollo la rendono inamalgamabile come una goccia d’olio sull’acqua. Non si scompone mai, non perde la pazienza, è superiore ad ogni emozione. Questo è il suo ruolo, così è stata educata: dovrà governare su un piccolo ma preziosissimo regno e dovrà sostenere il suo sposo. In funzione di questo, e solo di questo, è stata istruita.
Mi sono chiesta spesso se anche Vera ogni tanto ha paura, se le capita di sentirsi insicura. Lei non mostra mai debolezze, come una roccia liscia su cui s’infrange ogni assalto, su cui niente può far presa.
Ad accrescere la sua straordinarietà contribuiscono le capacità soprannaturali che ogni koralla ha dalla propria. Vera possiede un intuito eccezionale, un sesto senso molto sviluppato. È in grado di cogliere sprazzi del futuro o di parlare direttamente nella mia mente, trasmettendomi immagini o pensieri. Sono piccolezze, a suo vedere. Il principe Alexen, in qualità di erede al trono, è dotato di capacità molto più estese e questa notizia, ad avviso di Vera, dovrebbe impedirmi di percepire un grosso dislivello fra me e lei.
Precauzione totalmente sprecata.
Avete presente la bella e la bestia? Concentratevi sulla bestia, toglietele buona parte del pelo e riempitela di lentiggini. Datele una pennellata di rosso acceso ed ecco… questa sono io.
Quando in passato, invidiosa dei lunghi capelli di Vera, ho provato a far crescere i miei, ho scoperto con orrore che coltivavano la macabra tendenza a svilupparsi in orizzontale. Il temerario tentativo mi è costato parecchie occhiate attonite, che hanno finito per smorzare i miei ardori. Ho ceduto alle pressioni della mia parrucchiera di fiducia, che mi ha tagliato i capelli alle spalle, scalando e sfilando, fino a dar loro una piega accettabile. Essendo però una fanatica del rosso, ha sempre rifiutato di farmi una tinta più chiara o più scura, condannandomi ogni mattina all’immagine nello specchio del mio viso incorniciato da una criniera infuocata.
La mia pelle chiara, tipica dei rossi, non ha mai conosciuto un’abbronzatura degna di tale nome,  tendenza che io ho vissuto come un tormento e che Vera ha sempre considerato irrilevante. Anche lei ha un colorito piuttosto pallido, ma sulla sua figura il biancore tende ad accentuare la delicatezza dei suoi tratti. Vera non si copre di lentiggini. E poi ha un portamento che fa dimenticare tutto il resto.
Io quando mi muovo, trascino sul mio cammino tutto ciò che incrocio, quasi che gli oggetti nei paraggi decidessero di suicidarsi alla mia vista.
Ma, alla fine dei conti, è sull’aspetto caratteriale che mi distanzio maggiormente da Vera. Quanto lei è controllata, tanto io sono impulsiva, là dove lei è riflessiva, io mi trasformo in un modello di aggressività.
Sono sempre stata un maschiaccio, il tipo di persona che incespica nei tacchi e non sa flirtare con i ragazzi. Da ragazzina giocavo a calcio con i compagni maschi, mi arrampicavo sui muretti, mi esprimevo in modo piuttosto scurrile. Ero piccola, secca come un grissino e piatta come un’asse da stiro. Quando le mie amiche iniziavano a truccarsi e a uscire con i ragazzi, io giravo ancora in tuta, con i miei capelli rossi scarmigliati legati in una coda di cavallo, e trascorrevo il tempo in impegnative gare di atletica.
Crescendo mi sono alzata di statura, il mio fisico si è un po’ ammorbidito, ma sono rimasta sostanzialmente il maschiaccio che ero.
La cosa più buffa è che sono estetista. Conosco tutti i trucchi per migliorare l’aspetto di una ragazza, il mio lavoro mi piace… ma preferisco praticarlo sugli altri. Il mio termine di paragone è Vera… e Vera è irraggiungibile. Mi sono rassegnata ormai a non poter essere diversa da ciò che sono, conosco i miei limiti estetici e li rispetto. Ma è uno sfogo per me, cercare nel mio lavoro di rendere gli altri come io non potrò mai diventare.
Vorrei essere diversa, vorrei essere tante cose. Soprattutto vorrei riuscire a controllare le mie parole, invece dico sempre quello che penso nel momento in cui lo penso e nel modo in cui lo penso… che non è mai il modo migliore. Aggredisco le persone e salto subito alle conclusioni che, generalmente, sono sbagliate. Un vero disastro.
Mamma ride delle mie disavventure. La vicinanza con la madre di Vera le ha riempito la testa di fantasticherie. Pensa che quando accompagnerò Vera a Katathaylon, incontrerò un bel cavaliere biondo dagli occhi azzurri, che si innamorerà perdutamente di me e mi apprezzerà per tutto ciò che sono.
Mamma ha la tendenza a sognare un po’ troppo. Io e un bel cavaliere biondo… Temo sinceramente che neppure a Katathaylon potrebbe succedere.
 
 
Torno a casa volando. Porto il mio motorino scadente oltre la velocità del suono e affronto la strada come una gara del motomondiale.
La casa, come previsto, è vuota, papà è in giardino a curare le rose. È giardiniere e fa questo lavoro da così tanti anni che non riesce più a smettere. Quando finisce con le piante dei clienti, attacca con le nostre.
Mamma e Gioia invece, sono ancora in negozio. Abbiamo un istituto di bellezza che dà lavoro a tutte e tre, e oggi è una giornata piena: maggio è stagione di matrimoni.
Io sono uscita in anticipo per andare all’appuntamento con Vera, anche se la scusa ufficiale è preparare la cena. In realtà ho dimenticato di fare la spesa e dovrò improvvisare qualcosa.
Esco in giardino e vado a salutare Nuvola, la nostra cagnetta, che da poco più di due mesi ha avuto una cucciolata. La accarezzo con cautela, perché la maternità l’ha resa sospettosa, tuttavia mi lascia giochicchiare con i piccoli, supervisionando ogni mio movimento. Poi rientro in cucina e cerco di concentrarmi sul cibo, ma la testa continua a scapparsene altrove. Non vedo l’ora di raccontare a mamma le novità!
Certo, una rivolta a Katathaylon non è una buona notizia… ma da una vita aspetto di visitare questo altro mondo. Da una vita vedo questo momento come l’unica opportunità che avrò di vivere un’avventura emozionante! E la richiesta di aiuto da parte di Vera, mi ha gettata in uno stato di eccitazione fibrillante!
Vorrei finire il prima possibile di cucinare e correre a preparare i bagagli!
 
 
Il mondo di Vera, Katathaylon, è una minuscola appendice del nostro mondo. Una rientranza nella terra quasi del tutto inaccessibile, nascosta agli occhi umani e percorribile in lungo e in largo in pochi giorni. Questo non le impedisce di avere una vita propria, solitaria ma autonoma.
Fu un gruppo ristretto di antichi studiosi a scoprirne l’accesso, decine di secoli fa. Katathaylon era naturalmente disabitata eppure perfettamente vivibile, gli studiosi compresero immediatamente che poteva essere l’unica soluzione possibile a un problema ormai scottante. Da molto tempo infatti si interrogavano sul modo più adeguato di proteggere Shiarah… la minuscola e preziosissima ostrica della stabilità.
Shiarah contiene in se stessa l’equilibrio del mondo intero, rappresenta l’essenza fondamentale di ogni elemento presente in natura e ne consente il dominio e la manipolazione.
Per questo è necessario che la sua esistenza sia ignorata dal genere umano. Shiarah non deve essere toccata.
Mai.
Essa stessa si confonde agli occhi umani costituendosi in una forma innocua, di scarsa visibilità. A chiunque la veda, essa appare come una minuscola ostrica, fragile e banale nella sua interezza.
Shia è la Perla, domina sull’equilibrio e il potere dell’animo umano, dello spirito della natura, della vita animale. Rah,  l’Ostrica, rappresenta il controllo sulla struttura del mondo, sulla sua dimensione più concreta e materiale. Essa contiene in sé la ricchezza, la forza, il potere, il dominio sui popoli.
I saggi studiosi scelsero un gruppo di eletti, selezionati per la loro rettitudine e integrità morale, ed essi scesero in Katathaylon con Shiarah. Poi l’accesso all’altro mondo venne chiuso, attorno ad esso venne costruita una casa che negli anni si modificò e ristrutturò più volte perché non cadesse in rovina. Ne venne affidata la protezione a persone fidate, perché nessuno sospettasse nulla.
Passarono i secoli e gli abitanti della Terra scordarono l’esistenza di Katathaylon. Essa divenne leggenda, poi mito, infine si perse nella memoria dei popoli. Katathaylon divenne una civiltà a parte, ristretta e costituita da un numero limitato di abitanti. Si sviluppò lentamente rispetto al resto del mondo e ancora oggi non ha raggiunto la modernità, così come noi la conosciamo.
I suoi primi abitanti divisero il regno in due parti. Ad Arco d’Occidente venne assegnata la custodia di Rah, venne costruito un castello e costituita una casata reale a sua difesa. Ad Arco d’Oriente invece, venne affidata Shia. Venne eretto uno splendido palazzo dalle variegate sfumature azzurrine e al suo interno si costituì la Korallia, che coltivò abilità e qualità specifiche con l’unico obiettivo di proteggere la Perla.
Vera quindi è una koralla, mentre Alexen è il futuro re di Arco d’Occidente.
I principi di Arco d’Occidente ricevono un’educazione particolare, mirata a portare al trono sovrani retti, saggi, improntati allo spirito di sacrificio. Il loro fine è proteggere Katathaylon e con essa il mondo intero, non è contemplato che permanga nel loro cuore altra vocazione. Solo il reggente e il principe ereditario sono a conoscenza del luogo in cui si nasconde Rah, così come la koralla dirigente, chiamata la Punta, è l’unica a sapere dove si trova Shia.
Come ulteriore strumento di difesa, Shia e Rah sono sigillate da un incantesimo, cosicché se venissero sventuratamente trovate, non si potrebbe disporre di esse senza spezzarne i sigilli. E i sigilli si trovano nelle stanze personali de re e della Punta.
L’unico contatto fra Katathaylon e il resto della Terra, è rappresentato dalla promessa sposa del principe ereditario. Poiché Shiarah rappresenta l’equilibrio terrestre, i vecchi studiosi pensarono che Katathaylon non dovesse chiudere definitivamente i contatti con gli altri esseri umani. Per questo, mentre il principe ereditario viene cresciuto all’amore e allo spirito di sacrificio nei confronti del suo popolo, la futura regina, sempre scelta fra le koralle di Arco d’Oriente, viene educata sulla Terra. L’unione delle due culture diventa così un’ulteriore assicurazione al mantenimento dell’equilibrio.
Così Vera è arrivata al mio paese quando non aveva che pochi mesi, ha occupato con sua madre la grande villa azzurra che custodisce il passaggio fra i due mondi ed è cresciuta in questo luogo preservando il suo nobile spirito di koralla.
La madre di Vera in questi anni ha vigilato sulla sua educazione e ora, molto presto, sua figlia sarà regina.
 
 
- Ma hai chiesto a Vera cosa portare?
Guardo mamma smarrita e all’improvviso mi sento una perfetta idiota.
- Veramente non ci ho pensato.
Mamma guarda la mia valigia aperta con una punta di perplessità.  Effettivamente ha ragione… cosa mai posso portare nel viaggio verso un altro mondo?
- Telefona a Vera – mi suggerisce.
Sulla soglia della mia camera mi volto a guardarla. In questo momento, mamma prova certamente emozioni contrastanti. So che una missione in un mondo devastato dalla rivolta la preoccupa, come non potrebbe? Teme che sia pericoloso, che mi accada qualcosa di male.
Ma so anche che riesce a condividere la gioia che provo, ora che sono sul punto di realizzare il mio sogno. Domani vedrò finalmente Katathaylon e avrà inizio la grande avventura cui ho sempre aspirato.
Sognavo di conoscere quest’altro mondo, ma ora Vera mi ha offerto qualcosa di più. Una vera missione.
Mi rendo conto che, sotto sotto, mamma prova anche un po’ di invidia. Lo spirito avventuroso l’ho ereditato da lei, e so che se potesse verrebbe con me.
Ma c’è papà cui badare, che fra una rosa e una betulla, sente il bisogno di mangiare, di avere abiti puliti e di fare due chiacchiere con la donna che ha sposato. Chi gli spiegherebbe di Katathaylon?
Così alzo la cornetta e chiamo Vera, giusto per sentirmi dire le parole che sospettavo.
- Non portare nulla. Dovremo cambiarti anche i vestiti.
Ed ecco che alla fine sono pronta.
Allegra super-girl. Mi sono già trasformata nell’eroina dei miei sogni e sono pronta a salvare Katathaylon e tutto il mondo.
 
 
Se Vera e io siamo così amiche, non è frutto del caso. La nostra amicizia è iniziata ancora prima che fossimo in grado di parlare correttamente e di decidere con chi trascorrere il nostro tempo.
Furono le nostre madri a piantare i primi germi del nostro legame. Quando Tala, la madre di Vera, venne ad abitare nel mio paese, la mia famiglia viveva ancora accanto alla villa azzurra. Lei e mia madre si ritrovarono vicine di casa, entrambe giovani ed entrambe spaventate.
Tala era sola in quella villa enorme, alle prese con una bimba appena nata e con un mondo completamente sconosciuto. Il padre di Vera compariva poche volte all’anno, protetto dalla scusa di un lavoro che esigeva lunghi e frequenti trasferimenti all’estero. In realtà viveva a Katathaylon, a servizio del re.
Mia madre si avvicinava al termine della prima gravidanza e stava vivendo quell’esperienza con notevole ansia. Divennero amiche trovando appoggio l’una nell’altra e Tala, scoprendo in mia madre una persona schietta e priva di pregiudizi, finì con il confidarle la propria missione. Trovò in lei campo fertile, al posto della diffidenza che aveva temuto vide sbocciare un genuino entusiasmo. Come ho già detto, mamma è come me.
Così io e Vera crescemmo insieme, e vissi per anni al riflesso della meravigliosa esistenza che l’avrebbe attesa un giorno. Ero incuriosita… quasi ossessionata a dire il vero, da quel misterioso mondo delle favole. C’erano principi, castelli, incantesimi e poteri magici. Vera spalancava ai miei occhi il passaggio tra il mondo reale e la fantasia.
Questo lei rappresentava per me: la fervida autenticazione che le favole erano realtà.
Tala educava la figlia al ruolo che avrebbe ricoperto. Intere lezioni erano dedicate alla conoscenza di Katathaylon. Io partecipavo per curiosità e imparavo assieme alla mia amica. Tala insegnò a entrambe la lingua di Katathaylon ed essa divenne il codice delle nostre comunicazioni segrete. Parlavamo tra di noi in quel linguaggio indecifrabile al resto del mondo e in questo modo, gradatamente, Katathaylon prese ad appartenermi.
Desideravo vederlo, volevo tastare personalmente il magico mondo dei miei sogni. Poterlo fare sarebbe stata un’avventura meravigliosa… l’ “avventura” per eccellenza della mia monotona vita.
Eravamo in quarta elementare quando Vera mi propose di assistere al suo matrimonio, quando fosse venuta l’ora. Da quel momento non ho mai smesso di attendere questo giorno. Il giorno in cui avrei potuto vedere un mondo diverso. Quello della mia Grande Avventura.
Vera naturalmente non è stata la mia unica amica, ma io credo di essere stata per lei la sola.
Alle scuole medie i ragazzini ci prendevano in giro a causa dei nostri nomi.
Vera e Allegra. Uno spasso.
Io m’infuriavo come un ciclone, facevo a botte quotidianamente. Tornavo a casa pesta e dolorante, fumante di rabbia. Le altre ragazzine mi davano sostegno, mi circondavano e mi osannavano per la grinta che dimostravo in quelle occasioni.
Vera invece ignorava le prese in giro. Le offese scivolavano sulla sua dignitosa indifferenza come gocce di pioggia sul vetro. Lei tendeva a isolarsi, mettendomi in grosse difficoltà. Non volevo lasciarla sola, ma desideravo anche appartenere a un gruppo. Vera però era inconciliabile con le bizzose chiacchiere delle ragazzine delle medie.
Alle superiori le prese in giro cessarono. I maschietti iniziarono a percepire il fascino di Vera e questo creò una barriera ulteriore. Lei non incoraggiava il benché minimo contatto, restava indifferente ad ogni approccio. Il suo atteggiamento finiva con il mettere in soggezione i ragazzi, abituati ad avere a che fare con adolescenti ben diverse.
Divenne l’immagine della perfezione fisica, una sorta di regina di ghiaccio ammirata e tenuta a distanza. Accanto a lei io spiccavo per la mia turbolenza e la mia istintività. Le amiche mi chiedevano come potessi legare con Vera, che ai loro occhi era incompatibile con il mio carattere. La trovavano fredda e antipatica, insensibile e altezzosa. Non riuscivano a coinvolgerla nei loro discorsi, a renderla partecipe dei loro problemi. E Vera infatti era disinteressata ai loro argomenti, che trovava puerili. Educata da regina, non provava alcun coinvolgimento e alcuna affinità con le problematiche adolescenziali terrestri, era cresciuta secondo leggi diverse, con una consapevolezza completamente differente.
Ma non era fredda, io lo sapevo bene. Anche Vera sognava, anche lei sorrideva, era umana. Me ne accorgevo perché le ero cresciuta accanto e la conoscevo come nessun altro poteva.
La nostra fiducia reciproca era totale.
È totale.
E il viaggio che sto per fare ne è la riprova.
 
 
Sono le sei del mattino, ho indossato i primi vestiti che ho trovato, dovrò comunque cambiarli subito. E alla fine non ho bagaglio.
Tala è già a Katathaylon, così nella grande villa azzurra ci troviamo solo io, Vera e mamma.
La porta dell’altro mondo è perfettamente confusa con il resto del muro della camera da letto. Vera ha detto che dovremo attraversare un lungo tunnel e sono contenta di non essere claustrofobica come mia sorella. Gioia ha solo quindici anni e non sa nulla di Katathaylon, per lei e per mio padre faremo una vacanza all’estero. Decisa con poco anticipo, è vero, ma per fortuna papà è sempre così distratto da poter credere che se ne fosse già parlato in sua presenza senza che lui lo ricordi.
Come me, anche Vera non ha portato nulla. Si è fatta fagotto del coraggio, della dignità e del senso del dovere che Tala le ha trasmesso in questi anni e ora tornerà nel suo mondo, carica solo di questo onorevole bagaglio. Questo sarà il suo corredo da sposa.
Apre la porta che conduce al tunnel e poi si volta a guardarmi.
- Sei pronta?
Non c’è sorriso nel suo sguardo. So che il suo pensiero è già là, a Katathaylon, a suo padre, al principe Alexen.
- Andiamo pure!
Sono così emozionata, così impaziente, che sto quasi per buttarmi nel tunnel a testa in giù! Ma la mano di mamma mi ferma e mi volto ad abbracciarla.
So che ci sono mille raccomandazioni sulla punta della sua lingua.
Non essere imprudente.
Non cacciarti nei pasticci.
Ascolta Vera.
Rifletti prima di agire.
Riguardati.
Torna presto.
Ma ormai sono adulta. Mamma si fida di me, e si fida di Vera.
- Goditi la tua avventura! – mi dice soltanto. Poi mi indirizza verso la porta e si rivolge a Vera – Avrò vostre notizia tramite Tala. Spero che tuo padre si riprenda presto.
Vera la ringrazia e poi mi fa cenno di passare oltre la soglia. Mi consegna una torcia elettrica, unico segno di civiltà moderna che ci è consentito condurre nell’altro regno.
Il tunnel odora di terra e di umido. Faccio un ultimo cenno di saluto a mamma, poi Vera mi segue e richiude la porta dietro di sé.
Partiamo.
Ancora pochissimo e sarò a Katathaylon.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Lanciata nell'avventura ***


-Prima parte-
 
 
Khail
 
 
 
“Devi sapere che il principe azzurro
non arriva su un bel cavallo bianco
sguainando la spada,
ma arriva a piedi,
è pieno di polvere, puzza di sudore
e si è anche perso un paio di volte prima di arrivare,
ma prima o poi arriva.
Tu però devi essere molto ricettiva,
perché non ce l’ ha scritto in faccia:
Sono l’uomo per te”
 
F. Bosco
“Mi piaci da morire” 
 
  
1
 
 
La luce nella stanza era fioca e instabile, sensibile all’incerto ondeggiare delle fiammelle di poche candele. Le imposte, strettamene serrate, stroncavano le intromissioni di una giornata luminosa e impedivano a chiunque potesse passare nei paraggi, di comprendere cosa stesse accadendo fra quelle mura trasandate.
Vera soppesò con lo sguardo le presenze nella stanza: il padre, debole e ferito, sprofondato nel grosso letto; la madre, segnata di preoccupazione, seduta a fianco del marito; Tinkan e Vadga, i custodi del passaggio, ritti al centro del pavimento, concentrati nel torcersi nervosamente le mani.
Infine i suoi occhi tornarono alla porta di legno scuro oltre la quale Allegra si stava cambiando. Riusciva a percepire la sua eccitazione anche attraverso lo spessore del legno.
Il silenzio pesava già da un po’ sulla stanza, impregnandola di sensazioni sgradevoli: tutti quei pensieri non espressi ad alta voce, si trasformavano in ombre di angoscia quasi palpabile. Non era una situazione semplice.
Era una brutta, pessima faccenda.
In migliaia di anni non si era mai verificata una rivolta ad Arco d’Occidente e nessuno era veramente pronto a un’emergenza di quel tipo. Non era contemplato che un membro della famiglia reale mancasse  di integrità morale a tal punto da rivoltarsi contro tutto ciò per cui avrebbe dovuto combattere. Invece il principe Edhuar, fratello dell’erede al trono, aveva approfittato della debolezza e della malattia del padre, per impadronirsi del potere e del Palazzo. Proprio lui, a cui era stato affidato il Braccialetto del Re, aveva tradito il fratello e l’intera Katathaylon. Grazie a un gruppo di fedeli rivoltosi, era riuscito a imprigionare Alexen e l’intero Vanathà. Il resto del palazzo aveva accettato il suo dominio passivamente… non c’erano mai state guerre ad Arco d’Occidente ed Edhuar faceva parte della famiglia reale. I pochi che non avevano accettato il cambio di sovrano erano stati fatti prigionieri, solo suo padre era riuscito a fuggire e, seppur ferito, a raggiungere la capanna di Tinkan e Vadga.
Al di fuori di Arco d’Occidente non era trapelata alcuna notizia della rivolta, tolte le persone che si trovavano in quel momento nella stanza, nell’intera Katathaylon non c’era alcuno che fosse a conoscenza della rivolta in atto. Si era trattato di una sommossa rapida, silenziosa e priva di spargimenti di sangue.
Vera serrò le labbra con forza.
Silenziosa, ma non innocua: il sigillo di Rah era stato spezzato.
A cosa puntava il principe Edhuar? Al dominio?
Eppure lui, più di tutti, avrebbe dovuto sapere che la sua azione stava mettendo a repentaglio l’equilibrio del mondo intero!
La porta si aprì con uno scatto secco e Allegra ne fuoriuscì nella sua nuova veste: una maglia bianca  piuttosto pesante coperta da una tunica verde, lunga fino ai piedi, e cinta in vita da un cordoncino di cuoio. Ai piedi, scarponcini robusti.
- Come posso partire in missione con una gonna? – si lamentò subito, con una smorfia di disgusto in viso.
Vera sorrise alla reazione dell’amica, già anticipatamente prevista.
- A Katathaylon le donne non indossano pantaloni, Allegra.
- Beh, dovresti introdurre l’usanza! Quando sarai regina dovrai pensarci seriamente!
Allegra parlava la lingua di Katathaylon come la propria, senza incertezze, senza accento. Vera era orgogliosa di lei e sollevata dal poter contare sul suo aiuto. L’amica avrebbe avuto un ruolo centrale in quella missione, anche se ancora non ne era stata informata.
- Adesso cosa dobbiamo fare? – domandò infatti.
Vera si volse verso il padre, che fece loro cenno di avvicinarsi.
- La situazione è molto delicata – mormorò l’uomo, quando gli furono accanto – Siamo sull’orlo del baratro. Se il principe Edhuar trova Rah, resterà ben poco cui poter rimediare. Con il sigillo infranto potrà disporre dell’Ostrica come meglio crede.
- Non c’ è motivo di pensare che Edhuar sappia dove cercare Rah – puntualizzò Vera – Solamente il re e il principe ereditario possono localizzarla.
- Sì, questo dovrebbe assicurarci un po’ di tempo.
- Un po’ di tempo per far cosa?  - s’intromise Allegra, ansiosa di passare all’azione.
Per qualche istante, nella stanza ci fu silenzio assoluto.
- Bisogna ripristinare il sigillo – disse infine l’uomo, con la voce rauca per la spossatezza.
Allegra si voltò verso di lei, cercando delucidazioni.
- Dobbiamo procurarci Shia – le spiegò in un sussurro.
Suo padre assentì.
- Quando uno dei due sigilli viene infranto, l’equilibrio inizia a vacillare. Utilizzare Rah senza Shia, significa modificare una dimensione, senza che l’altra possa adattarsi di conseguenza. Significa creare un divario, scollare la forma dal contenuto… Questo può avere conseguenze disastrose. Una volta attivata una delle due parti, Shiarah deve assolutamente essere ricomposta e solamente allora, ripristinato l’equilibrio, i due componenti possono nuovamente venire sigillati.
- Ho capito! – Allegra si voltò verso di lei, accesa in volto – Il nostro compito sarà recarci ad Arco d’Oriente e chiedere alla Punta di consegnarci Shia!
Vera esitò. Il padre le riservò una lunga occhiata, come se fosse in attesa di qualcosa. Doveva aver capito che aveva una nuova rivelazione da fare.
Vera infatti, aveva gettato uno sguardo a quelle briciole di futuro che le era stato possibile  intravvedere e frammentati ma ben chiari segnali le avevano svelato un percorso che ora esitava a riferire all’amica.
Abbassò le palpebre e guardò all’interno dei propri occhi, in quella parte di sé capace di percepire sussurri proibiti alla maggior parte degli esseri viventi. Il futuro reagì immediatamente, inviando una risposta fugace e pulsante. Nella sua testa, a intermittenza, si accese e si spense una sequenza di brevi, incisive immagini.
Una cella, un pavimento sporco, sangue.
Allegra, Shia, la foresta.
Per ultima, una macchia di luce esplose nella sua testa e, lentamente, prese la forma di una scritta scintillante, a caratteri cubitali:
KHAIL
Poi tutto si spense.
Vera aprì gli occhi e colse su di sé lo sguardo ansioso di Allegra.
La visione non aveva fatto altro che confermare ciò che aveva già rivelato in precedenza.
- Allegra, sarai tu a portare Shia a Palazzo.
Dal silenzio che seguì, comprese che l’amica aveva bisogno di tempo per assimilare il significato della sua affermazione.
- Dovrai andare senza di me – ribadì, per non lasciare spazio ai dubbi.
- A… Arco d’Oriente da sola?
- Io devo recarmi immediatamente a Palazzo, il principe Alexen ha bisogno di me.
Tala si alzò in piedi di scatto.
- Alexen è prigioniero! Se vai ad Arco d’Occidente finirai in cella anche tu!
Vera annuì.
- Lo so, ma è quello che devo fare. Ho visto nel futuro. Mi imprigioneranno, ma devo andare. Non so ancora per quale motivo, ma il principe avrà bisogno di me.
- Ehi… aspetta un momento Vera… - balbettò Allegra, incredula – Stai dicendo che devo andare da sola? Che mi lasci andare allo sbaraglio?
Un silenzio tombale avvolse improvvisamente la stanza. Vera intuiva che ogni presente nella sala stava valutando le sue decisioni. A suo padre quella scelta doveva apparire singolare, eppure anche dopo aver riflettuto non obiettò. Akeron De Nortis non metteva mai in dubbio il giudizio della figlia.
- Ho fiducia in te Allegra – disse lei, infine.
- Sì, certo, questo è evidente! Ma non ne ho io! Non sono mai stata prima d’ora a Katathaylon, non conosco il posto, non so come muovermi! Sai perfettamente che finirò per combinare un pasticcio!
Vera dentro di sé sorrise. Allegra era così poco consapevole della sua forza!
Si considerava impulsiva, aggressiva, goffa… e lo era certe volte, indiscutibilmente. Questo però non intaccava le sue qualità. Per quanto si sottovalutasse, lei sapeva con certezza che possedeva tutta l’intelligenza e il coraggio necessari  a quell’impresa. Aveva bisogno di quella missione per poterli vedere con i suoi occhi. Forse Katathaylon, per cui tanto aveva sospirato, l’avrebbe aiutata ad avere una percezione più bilanciata delle sue capacità. Forse, una volta visto questo, avrebbe smesso di accontentarsi di uomini che non l’apprezzavano davvero, solo perché pensava di non poter ottenere di più.
- Ho bisogno del tuo aiuto – le disse con sincerità – Non sto improvvisando, ho guardato nel futuro e ho visto questa strada. Non ce ne sono altre. Non così efficaci.
Allegra si morse il labbro pensierosa.  Quell’appello accorato non poteva lasciarla indifferente.
- È la tua avventura Allegra.
- Sì… già.
Il suo sorriso nervoso le comunicò che sotto sotto si stava già abituando all’idea.
- E comunque non sarai sola – aggiunse.
Diverse paia d’occhi si levarono a scrutarla. Tinkar e Vadgar già da parecchi minuti la fissavano impietriti.
- Ho visto un nome guardando nel futuro – rivelò – Avrai un compagno di viaggio.
- Un compagno? Chi?
La macchia di luce che aveva preso forma nella sua testa poco prima, era ancora vivida dietro ai suoi occhi.
- Khail.
- Khail?
Sua madre lanciò un’occhiata ansiosa al marito, ma questi scosse la testa. Non l’aveva mai sentito nominare.
- Conoscete qualcuno con questo nome? – domandò a Tinkar e Vadga, che si affrettarono a negare.
- Ma chi è? – fece allora Allegra – Dove si trova?
- Lo incontrerai sul tuo cammino – riprese Vera – Le vostre strade si incroceranno molto presto e tu potrai riconoscerlo dal suo nome. L’ho visto splendere come una luce dorata nella tenebre. È una persona di cui ti puoi fidare, ha il nostro stesso obiettivo.
- Sta cercando Shia?
- Sì. Ho percepito con chiarezza le sue intenzioni, sta andando ad Arco d’Oriente con lo scopo di ripristinare l’equilibrio. Di lui puoi fidarti, puoi svelargli la tua identità e la tua missione. Se unirete le vostre forze, riuscirete.
- Può essere un soldato fedele ad Alexen sfuggito alle grinfie del principe Edhuar?
Vera si voltò verso il padre, girando silenziosamente la domanda a lui.
- Non conosco nessun Khail – disse lui debolmente – Ma non posso escludere che sia come dici.
- Sarà lui stesso a rispondere ai tuoi interrogativi – risolse Vera – Gli chiederai tutto quello che vorrai. Ma non dovrai parlare di quello che è accaduto a nessun altro, che non siano lui o la Punta.
A quelle parole Akeron annuì e fissò la moglie perché parlasse al suo posto.
- Il segreto sulla tua missione è molto importante – sussurrò Tala – Nessuno a Katathaylon deve scoprire che il sigillo di Rah è stato spezzato a tradimento. Nessuno deve sapere che porti con te Shia. Ci sono già troppe persone ad Arco d’Occidente che sono a conoscenza dell’accaduto.
- Il segreto serve a preservare l’equilibrio? – chiese Allegra, con sorprendente intuito.
Tala annuì.
- Se il segreto venisse svelato correrebbe subito di bocca in bocca disseminando il panico e questo a sua volta altererebbe Rah, che è già precaria a causa del sigillo spezzato ed è sensibile agli stati d’animo umani. L’instabilità di Rah a sua volta influenzerebbe gli uomini in modo negativo, perché non ci sarebbe Shia a supportarla. Se Rah cambia, Shia deve adattarsi perché l’equilibrio permanga, ma questo non può accadere se Shiarah non è unita.
- Non sono sicura di capire – confessò Allegra – Com’è possibile che il panico del popolo possa alterare Rah?
- Se il popolo scopre che Rah è priva di sigillo, inizierà a perdere fiducia nella stabilità del regno – spiegò Vera – E questo va a intaccare il principio stesso di equilibrio, rendendo Rah instabile.
- Oh – fece Allegra, illuminandosi di consapevolezza – La stabilità di Rah rende stabile il regno, ma se il regno perde fiducia in questa…
- … Rah diventa instabile – ripeté Vera – Vedo che hai compreso.
- Sì, credo di sì. Anche se mi sembra talmente…
- …poco credibile? – Tala sorrise – Non hai mai messo in discussione la verità di Katathaylon Allegra.
- Non lo farò neanche adesso. Nessuno saprà della missione che mi avete affidato eccetto la Punta e questo Khail. Manterrò il segreto più completo.
Vera si accorse che l’amica era sul punto di scoppiare a ridere. Aveva sottomano l’avventura che aveva sognato per tutta la vita. Doveva sembrarle un sogno.
- Ti ringrazio Allegra.
Lei finalmente si lasciò andare a una risata.
- Tu ringrazi me? Per aver concretizzato il mio sogno? Chissà, forse Khail è quel famoso cavaliere biondo che mia madre desidera per me!
Vera sorrise.
- Ci terremo in contatto. O, per la precisione, io mi terrò in contatto con te. Parlerò nella tua testa, ti terrò aggiornata sui miei spostamenti… purtroppo tu non potrai fare altrettanto con me.
L’espressione di Allegra divenne improvvisamente scura di tensione.
- Sei sicura di voler andare in prigione?
- Volere non è il termine che io utilizzerei – sorrise – Ma non devi preoccuparti, è semplicemente il mio dovere.
Il viso della madre le rivelò come la sua decisione le fosse poco gradita. D’altronde lei aveva spiato nel futuro ed era più che certa del cammino che avrebbero intrapreso.
Per entrambe era arrivato il momento di partire.
 
 
 

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Capitolo 3
*** Incontro ***


 
Sacco in spalla, cartina alla mano, dritta verso est. Mi avevano offerto una cavalcatura che avevo dovuto rifiutare a malincuore, a causa della mia completa ignoranza nell’ambito dell’equitazione. Così camminavo ormai da cinque ore, quasi senza sosta, attraverso un intrico di sentieri sconosciuti.
Non mi avevano proibito di mostrarmi allo scoperto, anzi…avevo con me anche un sacchetto di soldi per fermarmi a dormire nelle locande. Ma dal modo in cui me l’avevano consegnato e dalle raccomandazioni che ne erano seguite, mi era stato più che chiaro come preferissero che mi facessi vedere poco in giro.
Parlavo il thaylonese e conoscevo le usanze del luogo, non ero così facilmente identificabile… ma restavo pur sempre una straniera. E gli stranieri non transitano facilmente a Katathaylon. Se fossi stata scoperta, avrei messo il popolo in allarme.
Così eccomi ad affrontare i fruscii sotterranei e le ombre lugubri della foresta, decisamente inquietanti per una persona che aveva vissuto ventitre anni in zona marittima.
Nonostante il coraggio che mi avevano sempre imputato e nonostante io per prima evitassi di mostrare le mie debolezze, era chiaro a me stessa che per nulla al mondo avrei voluto dormire in questo posto da sola!
Se il misterioso Khail non si fosse fatto vivo prima di sera, mi sarei fermata a pernottare in un minuscolo paesino segnato sulla carta. La foresta traboccava di una solitudine che mi lambiva le ossa e mi avvelenava il cuore. Troppi rumori improvvisi mi facevano sobbalzare, senza che riuscissi mai a individuare la causa di un certo fruscio, di un tonfo, di un grido animalesco.
La fiducia che Vera e la sua famiglia mi avevano mostrato mi aveva imbaldanzita, nel momento in cui mi era stata affidata la missione ero stata trafitta da una scarica adrenalinica carica di ottimismo. La sicurezza di Vera aveva sovrastato le normali rimostranze che ogni umano cervello avrebbe avanzato. E io mi ero concentrata semplicemente sull’emozione di vivere una vera avventura, mi ero focalizzata sull’euforia di vedermi assegnare una missione importante quanto quella dei fantasy che leggevo abitualmente.
Non avevo la più pallida idea di quale stato d’animo avrebbe prevalso nel cuore dell’eroe, quando infine si fosse trovato completamente solo e senza certezze attraverso un cammino sconosciuto.
Improvvisamente stavo diventando consapevole delle spaventose responsabilità, delle difficoltà, delle possibilità di errore che avevo. Non è facile essere un eroe… gli eroi si salvavano sempre per il rotto della cuffia e arrivavano in fondo alla storia in fin di vita o, se andava proprio bene, con qualche pezzo sfasciato. E loro erano eroi seri.
Quindi, volendo fare un ragionamento lucido e sensato, io stavo andando incontro a un fallimento certo.
Nel mio intimo iniziavo a implorare la comparsa di quel misterioso Khail, che avrebbe condiviso con me le responsabilità della missione.
Dov’era finito? Non doveva incrociare il mio cammino?
Cosa stava aspettando?
Mi fidavo delle premonizioni di Vera, ma temevo che potessero non essere così precise.  Forse avrei incontrato Khail direttamente ad Arco d’Oriente, oppure addirittura lungo il viaggio di ritorno. Purtroppo non era detto che avremmo condiviso l’avventura fin dal principio.
Sospirai.
Dovevo rassegnarmi, la disposizione d’animo migliore era la tolleranza. Mi avrebbe permesso di abituarmi velocemente a quella misera e solitaria condizione.
 
 
Sul tardo pomeriggio sedetti sotto un albero sgranocchiando un pezzo di pane, mentre meditavo sul da farsi. Se volevo dormire in una locanda, questo era il momento giusto per uscire dalla foresta e riallacciarmi al sentiero principale. Tuttavia esitavo. Decidere di trascorrere la notte in un villaggio equivaleva a dichiararsi falliti in partenza e questo mi faceva sentire debole e codarda. Anche se non c’erano testimoni visibili della mia vigliaccheria, non potevo nasconderla a me stessa.
Ero sempre stata considerata una persona forte, coraggiosa, dotata di grinta… e questa era avvenuto perché era ciò che volevo. Avevo lavorato a lungo sulle mie paure, a volte affrontandole, a volte ignorandole, altre ancora negandole. Essere considerata una femminuccia era pari a un disonore per me, che non mi reputavo inferiore agli uomini in nulla, neppure fisicamente.
La situazione in cui mi trovavo ora, pungolava acutamente il mio orgoglio precipitandomi in una situazione di stallo.
Mi alzai lentamente, ancora indecisa sul da farsi, e mi nascosi dietro a un cespuglio per soddisfare un ingente bisogno corporale. Nonostante non avessi incontrato anima viva per l’intera giornata, mi sarei sentita a disagio mettendomi a far pipì in bella vista!
Tornando sui miei passi per recuperare la sacca però, venni accolta da una spiacevolissima novità. Un serpente lungo e corposo color marrone bruciato, stava strisciando sinuosamente attorno al mio zaino.
Non era già lì da prima, vero? – mi chiesi, inorridendo.
Non avevo mai visto un serpente così grosso!
Non ne avevo proprio mai visti,  volendo dirla tutta. Non sarei stata in grado di distinguere una biscia innocua da un cobra neppure nel mio mondo, figuriamoci tra le speci anomale di Katathaylon.
L’indecisione mi paralizzò. Non potevo abbandonare la mia sacca, conteneva il cibo e i soldi, i vestiti di ricambio e il rotolo di carta sigillato che Vera e Tala avevano scritto per la Punta. Allo stesso tempo però, aspettare che il serpente si allontanasse poteva diventare altrettanto sgradevole. Se non fossi uscita dalla foresta entro una mezzora, non avrei raggiunto il villaggio prima del buio. E ora che avevo un’idea più specifica delle creature che si annidavano in quei luoghi, non sarei riuscita a dormire sola in quel bosco neppure imponendomelo.
L’indecisione sfociò repentinamente in angoscia. Sapevo che sarebbe andato tutto a rotoli…lo sapevo! L’avevo capito appena avevo messo piede in quella foresta.
Il serpente, indifferente alle mie  difficoltà, strisciava amabilmente attorno al mio zaino. Non sembrava intenzionato ad allontanarsi.
Forse posso fargli paura – pensai all’improvviso. Sapevo che la mia amica Amanda, quando andava in montagna, portava con sé nelle escursioni un lungo bastone  che batteva vigorosamente a terra per spaventare le vipere. Quella era l’intenzione, per lo meno.
- Va bene, proviamo!
Il suono della mia stessa voce mi rincuorò. Mi chinai a terra e raccolsi il primo ramoscello che mi capitò sotto mano, poi tirai un lungo respiro e feci per avanzare incontro al serpente.
- Ferma, non ti muovere!
Sobbalzai come una pallina di gomma e il bastone mi scivolò di mano.  Mi guardai intorno precipitosamente, analizzando la foresta deserta e immobile. Non potevo aver immaginato quella voce, l’ avevo sentita chiara e forte.
- Ci penso io – sussurrò nuovamente all’improvviso.
Sussultai di nuovo, ma stavolta perché i rami dell’albero sotto cui giaceva il mio zaino avevano iniziato a scuotersi. Subito dopo, dalle foglie vidi sbucare un viso capovolto.
Arretrai di qualche passo, spaventata, e impiegai qualche secondo a mettere a fuoco la situazione.
C’era qualcuno appeso ai rami a testa in giù!
Si teneva aggrappato per le ginocchia, lasciando penzolare verso terra le braccia.  Rimase sospeso immobile una decisa di secondi valutando la situazione, poi all’improvviso allungò una mano e afferrò lo zaino con un gesto fluido, evitando il serpente. Lo sollevò da terra e poi, come fosse il movimento più naturale del mondo, tornò a issarsi sul ramo.
Sbigottita, rimasi con la faccia rivolta verso l’alto osservando il misterioso individuo passare da un ramo all’altro con disinvolta agilità. Infine si lasciò cadere, atterrando con leggerezza al mio fianco.
- Ecco – disse, porgendomi lo zaino con un sorriso. E mi trovai a fissare due occhi azzurri, cristallini come l’acqua del mare più pulito.
Non ci credo – pensai –È biondo e ha gli occhi azzurri! Perché  mamma non è qui?
Afferrai la sacca con un  gesto meccanico, senza mollare un secondo il suo sguardo.
- Il marho è un serpente piuttosto aggressivo, se cerchi di spaventarlo è probabile che attacchi – spiegò lui senza smorzare il sorriso.
- Oh. Grazie…
Naturalmente ero stata bloccata sul punto di mettere in atto l’azione meno indicata.
- Ma… da dove sei arrivato?
Non mi ero accorta di lui, se non nel momento in cui si era fatto notare volontariamente.
Lui sorrise di nuovo. Non era il ragazzino che mi era sembrato in principio, doveva perlomeno avere la mia età.
- Ero in cima a quell’albero – disse, indicando con il mento i rami da cui era sbucato – Salgo spesso in cima quando ho bisogno di orientarmi. Mi aiuta a non perdermi. Ma scendendo, mi sono accorto di te e ho visto che eri in difficoltà.
- Non ero in difficoltà! – ribattei, già offesa – In qualche modo me la sarei cavata!
Inaspettatamente il suo sorriso si allargò, come se non considerasse il mio puntiglio un atto di maleducazione. Sentii il bisogno di essere più gentile.
- Comunque sei molto agile – aggiunsi.
- È una cosa che faccio da quando ero bambino.
Aveva un viso gentile, vivace. Doveva essere Khail… volevo che fosse lui.
Ma per appurarlo, dovevamo passare alle presentazioni.
Allungai la mano verso di lui.
- Io sono Allegra.
Lui rimase incerto a fissare la mia mano.
Accidenti, che scema!
La ritirai velocemente. Lui continuò a fissarmi pensosamente.
- Quello è un gesto del Mondo Di Fuori – mormorò.
Brava Allegra, complimenti!
- Sì…beh… Ecco…
- Chi sei?
Non era minaccioso. Curioso, forse un po’ sulla difensiva, ma non minaccioso.
- Dimmi prima il tuo nome - contrattaccai
Lo colsi di sorpresa e per un momento esitò. Dovevo sembrargli una pazza.
- Ho bisogno di saperlo! – insistetti, pur sapendo che non poteva trovare logica nelle mie parole.
Lui spalancò gli occhi e sembrò sul punto di ribattere. Invece, sorprendendomi, mi rispose.
- Mi chiamo Khail.
Khail!
Era fatta!
Tirai un sospiro di conforto. Se fosse stata un’altra persona sarei stata nei pasticci, non avrei saputo come giustificare la mia presenza a Katathaylon.
Lui dovette cogliere il mio sollievo, perché la sua espressione si fece ancora più confusa.
- Mi conosci?
- A dire il vero ti aspettavo. Mi chiedevo quando saresti arrivato.
- Non capisco. Vieni dal Mondo Di Fuori vero?
- Sì. Sono amica di Vera, è stata lei a dirmi che ti avrei incontrato. Mi ha chiesto di aiutarla a risolvere la crisi in atto e di recarmi ad Arco d’Oriente a recuperare Shia.
Khail rimase impietrito, il suo sguardo si congelò in  un’espressione di attonita preoccupazione.
- Immagino che sarai stupito – dissi – È una situazione delicata e so che chi viene… dal Mondo Di Fuori non dovrebbe avere nulla a che fare con tutto  ciò. Ma Vera ha visto nel futuro e pensa che io possa essere d’aiuto. Ha previsto il nostro incontro e mi ha detto che anche tu intendi fermare il progetto di conquista del principe Edhuar!
- Aspetta… - Khail finalmente parve scuotersi dalla sua immobilità – Di quale Vera stai parlando? E… quale progetto di conquista?
Per un istante restai senza parole.
Che Vera si fosse sbagliata?
- Vera è la promessa sposa del principe Alexen – dissi lentamente, per dargli il tempo di capire – Ha vissuto per tutti questi anni nel Mondo Di Fuori. Siamo amiche.
- E adesso ti ha trascinata fin qui?
- Mi ha chiesto di aiutarla quando ha saputo della rivolta del principe Edhuar… Ma non puoi ignorare cosa sia successo ad Arco d’Occidente se stai cercando Shia!
- Io intendo recuperare Shia per ripristinare l’equilibrio – rispose lui, con semplicità – Non so nulla di quanto avviene a Palazzo.
- Ma se il sigillo è stato spezzato, è chiaro che qualcosa non sta funzionando ad Arco d’Occidente!
Lui si strinse nelle spalle e sedette a terra, in mezzo all’erba.
- Non sono tenuto a sapere cosa combinano i pezzi grossi. L’unica cosa che mi interessa è riunire Shiarah prima che la situazione diventi pericolosa.
La sua ignoranza non era così bizzarra, Akeron aveva detto che la rivolta era stata silenziosa e che niente era trapelato dalle mura del Palazzo.
- Allora come hai saputo di Rah? – domandai.
Khai mi lanciò un’occhiata sfuggente. Non aveva ancora deciso se poteva fidarsi di me. La sua prudenza era ragionevole, eppure m’irritò.
- Mi ha informato un amico che lavora a Palazzo…mi ha avvertito appena il sigillo è stato spezzato, Lui non poteva allontanarsi da Arco d’Occidente a lungo senza che la sua assenza venisse notata, così ha chiesto a me di agire in qualche modo, e io ho pensato di rivolgermi alla Punta.
- E questo amico non ti ha detto della rivolta? – chiesi, incredula.
Khail mi rivolse un’occhiata strana.
- Credo che di fronte al pericolo che corre il mondo intero, le magagne dei reali passino in secondo piano.
Mio malgrado arrossii. Cosa credeva, che la mia fosse passione per il gossip?
Mi chinai a terra di fronte a lui.
- Dovrebbero interessarti invece! Edhuar ha spezzato il sigillo e intende raggiungere il potere tramite Rah. Se riesce a trovarla prima del nostro arrivo saranno guai seri!
- Dici che è stato il principe a spezzare il sigillo? – fece lui, sorpreso – Come fai a sapere queste cose?
- È stato il padre di Vera a spiegarci cos’è accaduto, è riuscito a fuggire da palazzo per miracolo!
Khail rimase in silenzio per un lungo momento, non mi staccò gli occhi di dosso un istante valutando la situazione. Valutando se fidarsi o meno del cataclisma che gli era capitato senza preavviso fra capo e collo!
Se mi avesse rifiutata, non l’avrei mai perdonato!
- Sicché siamo entrambi diretti ad Arco d’Oriente… - meditò.
Assentii con un colpo secco della testa.
- Non mi è chiara una cosa – aggiunse – Perché questa Vera ti ha portata con sé? Perché ti stai accollando una responsabilità così pesante? È a Katathaylon che è stata affidata Shiarah.
La domanda mi colse alla sprovvista.
Già… perché?
- Non è una questione che riguarda solo Katathaylon, tutto il mondo sta rischiando! – ritorsi – E poi Vera mi ha parlato di questo mondo fin da quando eravamo bambine, per me è quasi un dovere aiutarla!
Khail sembrò sbalordito dalla mia risposta, dopodiché scoppiò in  una risata fresca.
- È pazzesco! – commentò, come se fosse tutto tremendamente divertente.
- Sono io che ti faccio ridere? – domandai, piuttosto irritata – Mi trovi tanto comica?
- No, non sei comica – ansimò, cercando di frenare l’accesso di risa – È… è l’intera situazione! Tu sei straordinaria!
Straordinaria?
Stava parlando di me?
- Va bene, proseguiamo il viaggio insieme! – mi disse – Come hai detto di chiamarti?
- Allegra… - risposi, ancora annichilita.
- Allegra… Nessuno si chiama in questo modo a Katathaylon. E nessuno ha capelli di quel colore, o… puntini in faccia come i tuoi!
Si avvicinò, incuriosito dalle mie lentiggini, e io arretrai.
- Mi dispiace, non riesco a coprirle in alcun modo! – ribattei d’impulso, mascherando il mio imbarazzo.
- Non passerai inosservata. Continueremo a camminare nel fitto della foresta, è più sicuro.
Annuii, considerando che anche lui stava viaggiando a piedi. Se avesse avuto un cavallo saremmo arrivati a destinazione molto prima.
Lui parve leggermi nel pensiero.
- Purtroppo ho perso il mio cavallo – si scusò – Ho avuto… un brutto incontro e sono riuscito a salvare a malapena me stesso!
- Credevo che a Katathaylon non esistessero cose come i brutti incontri!
Lui aggrottò la fronte mentre si rialzava.
- Certo che esistono. Katathaylon non è il regno delle favole!
Ah no?
Mi alzai a mia volta, ignorando la mano che aveva teso per aiutarmi.
Era importante che sapesse fin dal principio con chi aveva a che fare. In questa storia non ero la donzella debole e indifesa, ma l’eroe.
- Dove avevi in programma di trascorrere la notte? – mi domandò, mentre ci incamminavamo fianco a fianco.
- Sono attrezzata per dormire ovunque, tu dove pensavi di fermarti?
- Sono in viaggio da ieri, ho dormito all’addiaccio. Pensavo di restare nella foresta anche stanotte.
- Per me va bene.
La mia natura tendenzialmente onesta mi fece intimamente arrossire. Neppure mezzora prima ero terrorizzata all’idea che il serpente non mi permettesse di uscire dalla foresta prima del tramonto!
Camminammo ancora per un’ora. L’emozione del mio primo giorno a Katathaylon si stava mutando in stanchezza ora che la responsabilità del viaggio era divisa con Khail. L’improvviso crollo dell’adrenalina mi faceva percepire con chiarezza la rigidità alle gambe e il fastidio doloroso dello zaino sulle spalle.
Naturalmente non mi sarei mai lamentata con Khail, avrei preferito morire camminando!
Lui esaminò a lungo la zona attorno al sentiero, avevo l’impressione che fra gli alberi si trovasse bene. La cosa più saggia era lasciare a lui la scelta del luogo di sosta.
Da quando camminavamo insieme, la foresta si era trasformata in un ambiente meno estraneo, meno silenzioso e pericoloso. Questo bastonava il mio orgoglio, ma tranquillizzava quella parte della mia anima più intimorita e impressionabile.
- Possiamo fermarci qui – disse a un tratto Khail – Sembri veramente esausta!
Immediatamente raddrizzai le spalle.
- Posso camminare ancora per ore, non c’è problema!
Lui mi rilanciò quel suo sorriso radioso che sembrava abbracciare buona parte di quello che lo circondava.
- Io non posso andare avanti ancora molto a lungo invece, e questo posto è perfetto per sostare!
Accanto al sentiero si stendeva un tratto erboso con pochi alberi. Senza aspettare il mio consenso si inoltrò battendo i piedi a terra con forza, per spaventare le vipere. Infine scelse un piccolo cerchio di terra brulla delimitato da tre alberi e gettò a terra il suo sacco.
- Ora controllo la nostra posizione!
Detto ciò, lo vidi scomparire tra i rami dell’albero più vicino. Si arrampicava ad una velocità impressionante, come se nella sua vita non avesse fatto altro.
Quando mi riscossi dallo stupore, gettai il mio sacco accanto al suo e mi lasciai cadere a terra. Si era levato un vento bizzoso che  zufolava tra le foglie, facendomi rabbrividire di freddo e inquietudine. Cercai un maglione pesante nel sacco pur dubitando che sarebbe stato sufficiente a scaldarmi durante la notte. L’umidità mi stava trapanando le ossa.
All’improvviso Khail piombò di fronte a me cadendo dal cielo.
- Tutto a posto – annunciò, pulendosi le mani dalla polvere – La direzione è quella giusta. Hai freddo?
Aveva notato il maglione e le mie spalle tremanti.
- Ti accendo subito il fuoco!
Con sorpresa lo vidi radunare sul terreno tutte le pietre grosse che gli capitavano a tiro. Avrei voluto aiutarlo, ma il mio corpo non si mosse di un centimetro, ormai pesante come cemento rappreso.
Khail sistemò in cerchio le pietre, radunò la legna e si dedicò ad accendere il fuoco nel modo più antico dell’universo. E ci riuscì.
Nella penombra del crepuscolo, le fiamme si alzarono crepitanti, portandomi un’inaspettata vampata di calore.
- Va meglio? – domandò, sedendosi al mio fianco.
Assentii, mentre, al calore del fuoco, i miei occhi iniziavano già a chiudersi.
- Mangia qualcosa, prima di dormire.
La sua voce era calda, gentile. Avevo trovato pochissime persone, finora, capaci di comportarsi in modo così squisito, delicato.
Mangiammo in silenzio, assorti nei nostri personali pensieri, poi stendemmo le coperte accanto al fuoco e ci sdraiammo sospirando di soddisfazione.
- Khail? E i serpenti? O i lupi? Che rischi corriamo? – domandai assonnata, nell’ultimo barlume di lucidità.
- Non preoccuparti, nessuno ci disturberà. Se ci fossero problemi ci penserò io.
-  Non ho paura.
- Sì, lo so. Non hai paura di niente tu.
Anche senza aprire gli occhi potevo percepire il suo sorriso.
Forse mi stava prendendo in giro, ma il sonno mi travolse prima che potessi analizzare nel dettaglio la sua risposta.
 

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Capitolo 4
*** Il principe Alexen ***


Arco d’Oriente, con le sue imponenti mura bianco avorio e le sottili cupole color crema, si apriva come un piccolo sogno al limitare del bosco.
Era la prima volta che Vera lo vedeva fisicamente, ma la conoscenza che ne aveva era tanto approfondita e dettagliata che la sua magnificenza non le strappò un solo pensiero di stupore.
Molti pensieri invece, erano rivolti a quello che sarebbe accaduto una volta varcato il portone d’ingresso.
Non era meno consapevole dei suoi genitori che la scelta di gettarsi spontaneamente nelle fauci del nemico sfidasse la logica umana. Non poteva negare il brivido di apprensione che la percorreva, al pensiero della cella gelida che aveva intravisto nella sua visione.
Eppure, con la stessa certezza con cui sapeva che sarebbe stata rinchiusa in cella con Alexen, sapeva anche che proprio in quella cella  avrebbe compiuto il suo dovere. La premonizione non era un destino inconfutabile, ma nel momento in cui veniva assecondata diventava un’alleata preziosa affinché le cose si svolgessero nel miglior modo possibile.
E questo esigeva, in quel preciso istante, che lei venisse rinchiusa in cella e che il recupero di Shia fosse delegato ad Allegra e Khail.
Le guardie poste di fronte all’ingresso la fermarono e Vera diede il suo nome, chiedendo di essere ricevuta. Dovette attendere sulla soglia un quarto d’ora prima di entrare.
Venne scortata all’interno da due uomini sospettosi e guardinghi, che la fecero accomodare in un salottino dai toni chiari e uscirono dalla stanza con la palese intenzione di sorvegliarla dall’esterno. Vera non si mosse dal centro della sala e attese con pazienza.
Finalmente, dopo altri dieci minuti, fece il suo ingresso un uomo sulla cinquantina, grosso e massiccio, con capelli scuri brizzolati, troppo lunghi per la sua età, e vestiti sontuosi. Vera lo passò in rassegna da capo a piedi, nella certezza di metterlo a disagio. Mettere in soggezione la gente era forse il suo talento più accentuato e in quel momento era l’unica cosa che poteva aiutarla a stabilire un vantaggio sui suoi nemici.
L’uomo infatti diventò subito nervoso.
- Isy Veraxis?
- Sì. Con chi sto parlando?
- Non… non eravate attesa.
- Infatti.
Il tono gelido che aveva scelto di utilizzare, innervosì in maggior misura l’uomo.
- A cosa devo la vostra visita?
- Sono venuta per il principe Alexen e ho motivo di pensare che non siate voi.
L’uomo ridacchiò. Viscido, era il termine che le veniva in mente guardandolo.
- Sono il kalashà.
- Sì?
- Il nuovo kalashà – precisò con compiacimento – C’è stata una sostituzione. Immagino che non siate a conoscenza degli ultimi avvenimenti e che non siate informata del fatto che il principe Alexen sia stato destituito dalla sua posizione di erede.
- Chi ha preso questa decisione?
L’uomo raddrizzò le spalle e si schiarì la voce.
- Il principe Edhuar è passato alla direzione del Palazzo. Il re si trova in fin di vita e voi dovreste sapere in quale scompiglio cade il castello quando il sovrano è in punto di morte.
- Che ne è stato del principe Alexen?
- Alexen e il Vanathà si trovano al momento nelle celle del Palazzo. Il principe Edhuar succederà all’attuale re, e sposerà una koralla come vuole la tradizione.
- Quale koralla? – domandò Vera, sorpresa.
L’uomo rimase in silenzio per un periodo piuttosto lungo, sudando copiosamente.
- Voi siete stata cresciuta per diventare regina.
- Io sono la promessa sposa del principe Alexen.
- No. Voi siete la promessa sposa del principe ereditario. E ora è cambiato.
- Mi state proponendo di sposare Edhuar?
L’indignazione di Vera trasparì dalla sua voce come una lama di ghiaccio.
Il kalashà cercò di nascondere il disagio provocato dalla koralla, ma era chiaro che la donna di fronte a lui lo sconcertava. Come la maggior parte delle persone vissute poco a contatto con la famiglia reale, sembrava non possedere una vasta conoscenza nell’ambito delle koralle.
- Lo sappiamo entrambi isy Veraxis, che per voi un fratello vale l’altro – azzardò – Se sposerete il principe Edhuar, manterrete la vostra posizione.
- Ho sentito parlare di lui – replicò, lasciando che il disprezzo che provava trovasse eco   nelle sue parole – Le voci che mi sono arrivate in questi anni non sono state che negative.
- Le voci… - tagliò corto il Kalashà – Voi non siete certo persona da tenerne conto! Forse Edhuar non sarà intelligente e capace come il fratello, ma è riuscito a conquistare il Palazzo e ora il comando è suo.
- Non apprezzo la vostra proposta, signore.
Il kalashà sorrise fingendo disapprovazione.
- È chiaro che se non vi schiererete dalla nostra parte, dovrò considerarvi una nemica.
- Come preferite.
- Se non cambiate idea verrete imprigionata.
Vera non aprì bocca. Continuò a squadrarlo, sapendo di aver fatto arrossire, nella sua vita,  persone ben più sicure del kalashà.
- Non comprendo la vostra lealtà ad Alexen – proruppe l’uomo scrollando le spalle – Dubito persino che l’abbiate mai incontrato. Ma vi assicuro che possediamo metodi persuasivi, potreste scoprire in futuro di aver cambiato idea.
Vera  continuò a negare al kalashà la soddisfazione di una risposta.
- Molto bene isy, dal momento che nessuna argomentazione sembra toccarvi, non mi resta che ospitarvi nelle prigioni. Devo ammettere che non sarà semplice trovare una cella libera, ma dal momento che dimostrate tanta devozione per Alexen, potrete dividere lo spazio con lui. Ho motivo di credere che la sua vicinanza vi renderà consapevole dei mezzi persuasivi di cui disponiamo. Questo potrebbe aiutarvi a rivedere la vostra posizione.
Detto questo si girò a chiamare le guardie che, come Vera aveva intuito, erano rimaste appena dietro la porta.
- Isy Veraxis condividerà gli appartamenti con il principe Alexen!
Ci volle qualche istante perché le guardie cogliessero l’ironia nella voce del kalashà. Poi un sorrisino beffardo fece capolino su uno dei due volti.
- Molto bene!
Vera li seguì docilmente, senza una parola. Non abbassò le spalle né lo sguardo e il kalashà non poté trarre da quella situazione nessun tipo di soddisfazione.
Attraversarono lunghi corridoi e scesero di un piano, mentre la temperatura calava consistentemente impregnando l’aria di un pungente odore di muffa.
Vera era preparata, aveva indossato un abito comodo e pesante, adatto alla cella che aveva intravisto nella sua visione. Tuttavia, quando la porticina si aprì cigolando, nascose a fatica un moto di ribrezzo. 
L’odore di umidità, se possibile, era ancora più intenso e rendeva l’aria respirabile a fatica. La cella, piccola e buia, non aveva finestre, se non due sottili feritoie nella parete centrale. Non c’era arredamento, neppure una branda o una panca per sedersi, solo un buco in un angolo, per l’assolvimento delle funzioni corporali. Il pavimento e le pareti erano di una pietra spessa e massiccia, che manteneva la temperatura ad un livello pericolosamente basso.
Vera riuscì a varcare la soglia senza esitare e batté le palpebre per abituarsi alla penombra. Sentì la porta di ferro trascinarsi in un lento cigolio e infine richiudersi alle sue spalle con uno scatto secco.
Il silenzio calò con pesantezza sulla stanza. Solo dopo qualche istante sentì farsi più distinto il gocciolio dell’umidità lungo le pareti.
Avanzò di qualche passo nella semioscurità e in quel momento si rese conto di una massa scura accovacciata al centro della stanza. Si avvicinò con cautela mentre l’oggetto del suo interesse assumeva la sagoma di un giovane privo di sensi, sdraiato bocconi sul pavimento.
Si chinò su di lui notando gli abiti leggeri strappati e la nuca di folti capelli scompigliati. Man mano che i suoi occhi si abituavano al buio vedeva comparire sul suo corpo lividi ed escoriazioni.
Era stato trattato barbaramente, questo intendeva il kalashà per mezzi persuasivi.
Esaminando il principe, si soffermò sul braccialetto d’oro sottile che si stringeva gentilmente al suo polso. Vera lo controllò da vicino e riconobbe fuori da ogni dubbio il Braccialetto del Re.
Che lei sapesse, erano secoli che non veniva utilizzato.
La proprietà specifica che lo contraddistingueva, e per cui era stato forgiato, era quello di bloccare, una volta indossato, le capacità speciali che possedevano il re e il suo erede. Era uno strumento di sicurezza concepito nella remota eventualità che un re ingiusto salisse al trono, utilizzando i suoi poteri a discapito del benessere di Katathaylon e del mondo intero.  Il Braccialetto veniva consegnato a una persona vicina al sovrano, in grado di giudicarlo e valutarne l’operato e di bloccarne l’avanzata in caso di sovranità indegna.
Nel caso del principe Alexen, il Braccialetto era stato affidato al fratello. Se ora si trovava al polso dell’erede al trono, significava che Edhuar in persona ce l’aveva posto per ridurre il fratello all’impotenza. Alexen non era ancora re, e non esisteva motivo valido perché ricevesse un simile trattamento. Dunque Edhuar aveva usato il Braccialetto in modo arbitrario, per scopi personali.
Privare il principe dei suoi poteri senza motivo, era un reato grave quanto la rivolta.
Vera sfiorò il Braccialetto, cercando di vedere oltre il momento presente. Immediatamente un’immagine le si affacciò alla mente, nitida come la proiezione di un film.
Poté ammirare la sontuosità della sala grande di Arco d’Occidente in tutti i suoi decori e le sue rifiniture. Le incisioni dorate riflettevano il chiarore di un sole ancora alto nel cielo.
Poi l’immagine si spostò più in basso e il principe Alexen entrò nel suo campo visivo. Era immobilizzato da tre giovani robusti che gli impedivano qualsiasi reazione. Vera entrò per un istante nella sua mente, cogliendo la preoccupazione che provava per Rah e per il sigillo spezzato. Nella sala c’era confusione… la confusione di una rivolta in atto.
Poi vide Edhuar di fronte al fratello. Lo riconobbe per la somiglianza fisica con il principe, ma anche senza l’aiuto dei caratteri ereditari in comune, lo avrebbe identificato per il Braccialetto del Re che teneva in mano. Edhuar afferrò la mano del fratello e con un gesto secco gli chiuse al polso il bracciale.
Nel momento stesso in cui la serratura scattò, la visione s’infranse, esplodendo come una bolla di sapone. Vera strinse i denti.
La situazione, alla luce di quella rapida visione, era ancora peggiore di quanto l’avesse annunciata suo padre.
Si accomodò a terra accanto al principe e valutò il da farsi. Non sarebbe stato semplice accompagnare il promesso sposo in quello che sembrava un viaggio fra le diverse varietà del supplizio. Avrebbe dovuto utilizzare, per sostenerlo, ogni freccia disponibile al suo arco.
Il kalashà l’aveva rinchiusa con il principe pensando di spaventarla, ignorando con tutta probabilità che anche una koralla – la futura regina soprattutto – possedeva qualche dono speciale. Non marcati come quelli del principe, ma indubbiamente utili in quel frangente.
Appoggiò la mano sulla schiena di Alexen e chiuse gli occhi.
Non poteva salvare una vita, né guarire ferite, ma poteva recare un po’ di sollievo. Attenuare il dolore, se non farlo sparire.
Fece silenzio dentro di sé e focalizzò tutta la sua energia per creare uno scudo protettivo, una pausa di silenzio nell’oceano di dolore in cui Alexen stava annegando.
Lo sentì trasalire sotto le sue dita e scostò la mano. Il principe riuscì faticosamente a girarsi sulla schiena e rimase sdraiato a occhi chiusi respirando      a stento. Per qualche istante, il rantolo del suo respiro fu l’unico suono percepibile nella stanza.
Poi aprì gli occhi e Vera vacillò sotto il suo sguardo cristallino. Era lo sguardo di un re. Di un re di Katathaylon.
Trovò impressionante il modo in cui, in un istante, il volto di quel giovane ferito e spossato si fosse trasformato. Era come se nel suo sguardo, si potessero leggere tutti quei valori e quelle caratteristiche che facevano parte della formazione di un re.
- Chi siete? – le domandò, con una voce bassa e roca.
- Principe Alexen… - Vera si sorprese del suo tono di voce, improvvisamente esitante – Sono Veraxis, la vostra promessa sposa.
- Non è possibile… -  richiuse gli occhi raccogliendo le forze, poi li riaprì stancamente – Perché dovreste essere qui?
Vera adocchiò la porta. Difficile dire se qualcuno stesse origliando,
Abbassò volutamente il tono di voce.
- Mio padre è riuscito a fuggire da Palazzo e ci ha avvisati di quanto è accaduto.
Lentamente, Alexen si tirò a sedere.
- Se conoscevate la situazione, perché siete venuta? Era prevedibile che sareste stata imprigionata!
Lei fu tentata di abbassare lo sguardo. Per qualche motivo incomprensibile, di fronte al principe la sua imperturbabilità vacillava.
- È stata una premonizione a portarmi da voi.  Ho seguito la scia che sembrava indicarmi.
Alexen rimase in silenzio per qualche istante. La fissava e rifletteva.
- Devo assicurarmi che siate proprio chi dite.
Lei annuì e si girò di schiena. Sentì che il principe sbottonava il retro del vestito e metteva a nudo il marchio sulla sua scapola destra. Era il simbolo che veniva impresso alla nascita alla futura koralla regina, e della cui forma veniva informato solo l’erede al trono.
Alexen lo sfiorò con il dito per assicurarsi della sua consistenza, poi lentamente riabbottonò l’abito.
- Non capisco – disse infine – Sapete certamente che il sigillo di Rah è stato spezzato, in questo momento la priorità è ottenere Shia!
- La premonizione mi ha dato indicazioni anche su questo, designando qualcun altro a questo compito. Ho condotto con me un’amica dal Mondo Di Fuori che in questo momento si trova sulla strado per Arco d’Oriente.
- Avete… affidato a lei un incarico così delicato?
Alexen sembrava meravigliato.
- Anch’io all’inizio ho pensato a un errore. Ho indagato più volte il futuro, ma i segnali non sono mai cambiati… era Allegra che doveva andare.  E io dovevo raggiungervi a Palazzo.
Alexen scosse la testa, ancora scettico.
- Non è luogo per voi questo – disse, indicando la cella umida – Non dovevate venire qui spontaneamente.
- Potete raccontarmi cosa è accaduto?
Lo sguardo del principe si fece distante, come se non potesse affrontare quell’argomento senza un’adeguata corazza protettiva.
- Mio padre sta morendo… e mio fratello ha creato una sommossa a Palazzo riuscendo a prenderne il comando. Ha ricevuto aiuto da Ad’hera che già da tempo gravitava attorno a mio padre sperando di ottenere una carica importante. Ora si è eletto nuovo kalashà. Ha disposto la sorveglianza alla camera del re e si è assicurato il silenzio di chi è rimasto al suo servizio a Palazzo.
- Cosa vuole ottenere Edhuar?
Alexen abbassò improvvisamente lo sguardo, come se l’argomento lo mettesse in difficoltà.
- Vuole sapere dove si nasconde Rah.
- Per questo… siete ridotto in queste condizioni?
Gli occhi di Alexen caddero sul braccialetto che portava al polso. Lo sfiorò pensosamente con la mano sinistra.
- Se avessi i miei poteri potrei fare qualcosa, ma così purtroppo sono ridotto all’impotenza. Ad’hera si occupa del mio caso e mi interroga personalmente. – alzò lo sguardo su di lei – Questo però ha un’importanza relativa, se qualcun altro nel frattempo sta provvedendo a Shia.
- Principe, ho molta fiducia in Allegra, so che non mi deluderà.
Lui annuì e si appoggiò stancamente al muro.
- È frustante non poter agire in alcun modo.
Vera capiva perfettamente il suo stato d’animo, anche lei era rimasta contrariata in principio, quando aveva intuito di doversi rinchiudere in una cella lasciando l’azione ad Allegra.
- Qual è la vostra situazione? – osò domandare.
Lui esitò, restio a parlarne, poi scrollò le spalle.
- Niente coperte, niente cibo, acqua razionata. E gli interrogatori.
-  Quanti?
- Non so… Faccio fatica a restare lucido a volte. Uno al giorno, credo.
- Come avvengono gli interrogatori?
Lui la guardò di sfuggita.
- Preferirei non parlarne, isy Veraxis.
- Desidererei conoscere l’intera situazione. Ne ho bisogno per potervi aiutare.
Quelle parole sembrarono evocare in lui frammenti di un ricordo recente.
- Voi prima mi avete fatto qualcosa,vero? – disse all’improvviso – Per qualche istante ho sentito come se il dolore si fosse ridotto a poco più di un fastidio. Tuttora ho molte più forze di quante ne avessi prima del vostro arrivo.
- Questa è una delle cose che posso fare per voi.
Alexen chiuse gli occhi ed emise un sospiro.
- Isy Veraxis… non vi parlerò degli interrogatori, perché avrete modo di assistervi molto presto… e non sarà piacevole. Credo che le condizioni in cui mi avete trovato possano iniziare a fornirvene qualche idea.
- Principe, siate sincero… Per quanto potrete resistere?
Lui alzò la testa con uno scatto e negli occhi gli brillò un’improvvisa luce combattiva.
- Fino alla morte.
- Non credo che vi lasceranno morire.
- No, avete ragione – si riappoggiò stancamente al muro – Ma so che non posso parlare. Non posso assolutamente rivelare a quell’uomo dove si trova Rah. Quell’Ad’hera è crudele, è meschino e avido. Non riesco a capacitarmi che mio fratello si sia alleato con un uomo simile!
Anche Vera condivideva la sua valutazione.
- L’ho conosciuto. È una persona infima e viscida. Mi ha proposto di sposare il principe Edhuar.
Alexen si girò verso di lei, sorpreso.
- Avreste dovuto accettare. Al momento è lui l’erede al trono, non siete tenuta a restare legata a me.
- Non è nei miei principi accettare un re salito al trono illegalmente.
Alexen sorrise. Era il suo primo sorriso e gli trasformò il volto. Vera riuscì a percepire la persona che doveva essere Alexen in una condizione più favorevole.
- Avete il dono dell’integra lealtà isy Veraxis, avete tutto il mio rispetto – poi i suoi occhi tornarono a farsi foschi – Tuttavia la situazione è delicata e in questo momento non sono in grado di proteggervi – allargò le braccia a evidenziare la sua condizione – Anche se dovessero pensare di usarvi per farmi parlare.. io non potrei comunque cedere. Non posso per nessun motivo consegnare Rah… e quindi non ho la certezza di potervi difendere, isy!
Vera scosse la testa stupita.
- Sono in grado di badare a me stessa principe. Non sono venuta per esservi d’ostacolo, il mio compito è quello di aiutarvi a sopportare questo momento.
Gli tese una mano e dopo un momento di esitazione Alexen vi pose sopra la sua. Vera la strinse e trasformò le vibrazioni di dolore che percepiva nel suo corpo, in fluide ondate di sollievo. Alexen chiuse gli occhi e il suo corpo si rilassò.
Era già rinchiuso in cella da due giorni, Vera poteva percepire le sue energie assottigliarsi come un filo troppo teso.
Eppure sentiva chiaramente che Alexen non credeva di aver bisogno di lei.  Accettava a fatica la sua presenza nella cella, la considerava una scomoda testimone delle sue sofferenze, un ulteriore motivo di umiliazione.
Era scoraggiante che la percepisse in quei termini, annullando l’importanza della sua vicinanza e dell’aiuto che poteva offrirgli.
La verità però era un’altra.
Vera non era un optional superfluo. Aveva assecondato la premonizione, e già per questo, compiuto il passo, avvertiva con più concretezza la validità di quello che aveva concluso.
No, non era inutile la sua presenza.
Presto, anzi, sarebbe diventata cruciale.
 
 
 

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Capitolo 5
*** Il viaggio ***


Il nostro secondo giorno di viaggio fu quasi completamente privo di soste.
Per quanto Khail la sera prima avesse espresso il bisogno di riposare, ora non sembrava accusare il minimo segno di stanchezza. Spesso finiva per sorpassarmi, quasi inconsapevolmente, e io cercavo di accelerare, mi intestardivo per tenere il suo passo, e questo mi costava un’enorme fatica. Sembrava abituato al movimento, a stare all’aria aperta, a condurre una vita un po’ selvaggia… Non perdeva mai l’orientamento, accendeva il fuoco dal nulla, guadava i fiumi con abilità, riconosceva gli animali dai versi che emettevano e sapeva i nomi di quasi tutte le piante. Era un personaggio tosto per me, vista e considerata l’ aspirazione  di mantenermi l’eroina della storia.
Costeggiando il torrente, Khail mi raccontò di aver costruito una zattera anni prima e di averla usata per navigare con gli amici. Possedeva anche una casa sull’albero che lui e i suoi compagni avevano utilizzato negli anni come punto di ritrovo.
La cosa buffa era che Khail, in thaylonese, significava “albero”. Un nome profetico, che nel tempo sembrava aver agito da catalizzatore sui comportamenti e le abitudini del suo proprietario.
A metà pomeriggio, Khail si fermò, sollevò lo sguardo fra le chiome degli alberi e iniziò  a scrutare i rami per scegliere la zona migliore da cui osservare la strada. Sapevo che stava per arrampicarsi, perché lo faceva ogni due o tre ore, e io, in quelle brevi pause forzate, ne approfittavo per sedermi a riposare. Fingevo di chinarmi a rovistare nello zaino, per non fargli capire che in realtà ero stanca e sentivo bisogno di una sosta. Mi ero sempre reputata una persona atletica, nonostante negli ultimi anni, a causa del lavoro, la mia vita si fosse fatta sedentaria. Il confronto con Khail però, metteva in crisi profonda la mia autostima. Mi sentivo minacciata in quella che, finora, avevo considerato la parte meglio riuscita di me.
- Salgo un momento a controllare la situazione! – mi annunciò come previsto.
Parlai prima di rendermene conto.
- Vengo anch’io!
Lui sembrò meno sorpreso di me, da quell’affermazione.
- Ti sei già arrampicata in passato?
- Sì, certo!
“Arrampicata” forse era una parola un po’ grossa.  Quando avevo dodici anni mi era capitato di salire sui rami più bassi di un albero con alcune amiche, ma la distanza dal terreno non era mai stata superiori ai due metri.
- Vuoi andare per prima?
- Oh… No, vai tu! Io ti seguo.
Meglio averlo davanti, cosicché non potesse notare la mia goffaggine.
Khail iniziò ad arrampicarsi con la consueta perizia e io, sotto di lui, osservai con precisione i suoi movimenti, in modo da riprodurli alla lettera. Non era così difficile, potevo stargli dietro senza troppi  problemi. Quando Khail passava da un ramo all’altro con la mera forza delle braccia, io trovavo appigli intermedi cui fare riferimento. Fu faticoso, ma quando ci ritrovammo sopra al mondo ne fui veramente orgogliosa.
Circondata da un tappeto di chiome d’albero, a dieci centimetri dal’infinito, respirai a pieni polmoni ossigeno e cielo.
- È bellissimo! – esclamai emozionata. Provavo una sensazione esaltante.
Khail si fermò sul ramo accanto al mio. Chiuse gli occhi e a sua volta respirò a fondo, esponendo il volto alla brezza fresca.
- Amo il vento! – mormorò.
- Allora dovresti vivere nel mio paese.
Sorrisi, pensando al vento tiranno che infuriava sul nostro scoglio personale.
- C’è molto vento nel Mondo di Fuori?
La sua domanda mi divertì. Per una persona abituata alle misere dimensioni di Katathaylon doveva essere difficile figurarsi la vastità del mio mondo.
- Dove vivo io soffia spesso. Abito vicino al mare.
- Al mare?
Sembrava che avessi risvegliato il suo interesse.
- Lo conosci? – domandai – A Katathaylon il mare non esiste.
- L’ ho visto raffigurato – mi spiegò a bassa voce – Molti anni fa. Dunque… tu vai in barca?
- Sì, ogni tanto.
Mi guardò con rispetto, come se il fatto di navigare mi rendesse oggetto di ammirazione. La mia curiosità sulla sua reazione però, venne distratta da un fischio sottile che mi trapassò le orecchie e che divenne gradatamente più intenso.
Sapevo cosa stava per succedere e feci cenno a Khail di rimanere in silenzio. Vera stava cercando di mettersi in contatto con me e, se non si creavano interferenze, presto avrei sentito la sua voce.
Rimasi in attesa e quasi subito il fischio divenne un sibilo, sfumando infine in un mormorio pacato. Finalmente distinsi le parole.
Allegra… Allegra… Spero che tu sia già a un buon punto del cammino, non c’ è tempo da perdere!
Alle narici mi arrivò una zaffata di umidità.
Come previsto sono chiusa in cella con il principe Alexen. Edhuar lo sta facendo torturare per scoprire dove si nasconde Rah, sembra intenzionato a resistere, ma non so per quanto tempo potrà sopportare la situazione. Io sto bene, ma abbiamo bisogno di Shia al più presto. Confidiamo in te.
Di nuovo odore di muffa. Per un istante i miei occhi intravidero una cella buia e sporca e una figura sfocata, dagli abiti stracciati. Poi il silenzio soppiantò la voce nella mia testa.
- Allegra..? Allegra!
Stavolta la voce suonava più bassa… maschile. Mi resi conto che Khail mi stava stringendo un polso con forza.
- Cosa c’è? – domandai sorpresa.
- Ti stavi sbilanciando, come se non fossi in te… Pensavo che stessi per cadere!
- No… è che Vera… mi stava parlando!
Lo sguardo che mi restituì era di pura perplessità.
- Vera è in grado di mandarmi messaggi mentali, mi stava aggiornando sulla sua situazione.
- Allora puoi comunicare con lei?
- Solo lei può comunicare con me – mormorai, un po’ amareggiata – Io sono solo un comune essere umano…
- Comune? – sorrise Khail.
- Vera è in cella con il principe Alexen, ho potuto vedere un breve flash di quello che sta vivendo… è un posto orribile!
- Un posto orribile Arco d’Occidente? – ripeté lui, scettico – Hai mai visto il Palazzo?
- Anche il castello più sontuoso può avere prigioni orribili! Il posto che ho visto è invivibile. E, cosa ancora peggiore, il principe Alexen è in pessime condizioni! Edhuar lo sta torturando per avere Rah… Sono incredula! È davvero possibile che l’erede venga trattato in questo modo?
Khail sollevò le spalle.
- Faccio fatica anch’io a crederlo.
- Non possiamo permettere che Edhuar riesca a mettere le mani su Rah prima del nostro arrivo!
- Allora andiamo. Possiamo percorrere ancora un buon pezzo di tragitto prima che cali il sole, dovremmo poter arrivare fino ai piedi di quella collina!
Seguii con lo sguardo la direzione che indicava. Sarebbe stata una bella fatica, ma dopo le parole di Vera, lo stimolo ad avanzare era diventato urgenza.
Khail iniziò a ridiscendere, ma quando cercai di seguirlo mi resi conto di quanto fosse complicato. Scendendo non riuscivo a prevedere accuratamente i passi da fare né gli eventuali punti d’appoggio. Avanzai molto lentamente, a denti stretti, ponderando ogni minimo movimento. Quando l’avevo visto fare da Khail, mi era sembrato molto più semplice.
Luivolava letteralmente da un ramo all’altro, come se non possedesse un peso.
Mi incagliai sull’ultimo tratto e rimasi immobile, bloccata come il classico gattino che sale sull’albero e poi non riesce più a scendere.
Considerai attentamente la situazione, ponderando le diverse possibilità che avevo di togliermi dai guai.
Potevo saltare da quell’altezza e rischiare l’osso del collo, oppure potevo avvinghiarmi al tronco con gambe e braccia e lasciarmi scivolare, riempiendomi di escoriazioni.
- Ehi, Allegra!
Khail era a terra con la testa rivolta verso l’alto, scomodo testimone delle mie difficoltà.
- Salta! – mi gridò – Ti prendo al volo!
Fui tentata di ascoltarlo, ma a quel punto avrei fatto la figura dell’inetta imbranata.
- Non preoccuparti, me la so cavare. Tu spostati e fammi spazio!
Decisi che lasciarmi scivolare fosse l’opzione più sicura.
- Se salti ti posso prendere con facilità!
- Non ne ho bisogno, ti ho detto!
Se già al primo ostacolo mi fossi fatta aiutare, avrei perso tutta la dignità che avevo finora conservato con cura.
- Ascoltami per favore – ora la voce di Khail era più bassa e tranquilla – Non è necessario che tu faccia la dura ad ogni costo… so perfettamente che sei una persona in gamba. Farti aiutare non è una vergogna!
- Ma io posso farcela anche da sola!
- Lo so… sono sicuro che ce la faresti, ma perché faticare così tanto quando esiste una soluzione più semplice?
Sospirai, contrariata. A quel punto, ostinarmi nella mia posizione mi avrebbe solo resa ridicola.
Gli feci cenno di mettersi sotto di me e saltai.
Un istante dopo atterrai fra le sue braccia. Non vacillò sotto il mio peso, ma si limitò a stringermi forte.
- Bel tuffo!
- Bella presa. Puoi mettermi a terra ora.
- Perché? È delizioso tenerti in braccio.
Arrossii mio malgrado. In quale altra occasione un ragazzo mi si era rivolto a quel modo?
- Senti Khail…
- Il fatto è che dovresti darmi un bacio. Funziona così quando si viene salvate da un bel cavaliere!
Ci stava provando sul serio?
- Non mi hai salvata! – protestai – Ho solo scelto la soluzione più facile, come hai detto tu!
Lui scoppiò a ridere e mi depositò delicatamente a terra.
- Hai ragione!
Subito dopo però, il suo viso assunse un’espressione seria.
- Comunque non scherzavo poco fa. Non devi temere di chiedermi aiuto, non penserei mai che tu possa valere meno per questo semplice fatto. Non ho mai conosciuto una persona incredibile come te.
Stavo arrossendo di nuovo, così girai le spalle e m’incamminai per il sentiero.
Khail non poteva comprendere la lotta che, fin dalla mia infanzia, si era dibattuta senza riposo nel mio cuore.
Ero vissuta all’ombra di Vera che, per tornare degnamente alla sua patria nel ruolo di regina, aveva esercitato doti superlative. Ero stata testimone, giorno dopo giorno, della sua grazia, del suo coraggio, della sua forza, del suo autocontrollo… della sua superiorità di carattere. Del suo modo così sottile di ragionare, della sua intelligenza, della sua indiscussa maturità. E io, sempre infantile e turbolenta nel confronto con lei, ero vissuta nel terrore di non essere abbastanza per Katathaylon.
Vera era femminile totalmente, senza scivolare, malgrado ciò, nel versante più fragile e dipendente del nostro sesso.
Non potendo eguagliarla, mi ero allora accanita sul lato più focoso del mio carattere, riconoscendolo come l’origine della mia forza. L’avevo fatto diventare il mio punto d’onore.
Sarebbe stato molto più semplice e comodo nascere uomo, nelle mie condizioni invece potevo sentirmi all’altezza di Vera e di Katathaylon, solo quando mi mostravo coraggiosa e combattiva. Poco importava se il resto del mondo leggeva la mia forza come aggressività, come impulsività o caparbietà.
Mi spaventava piuttosto che Khail si fosse accorto della mia ostinazione a mostrarmi indipendente a tutti i costi. Dopo sole ventiquattrore di conoscenza, aveva già dato una grattatina alla superficie e io mi ero sentita improvvisamente scoperta… e ridicola.
Anche se, dovevo rendergliene merito, non mi aveva presa in giro per il mio atteggiamento. Piuttosto si era mostrato ancora una volta straordinariamente delicato.
Il resto della giornata trascorse rapidamente nell’affannoso tentativo di raggiungere i piedi della collina prima del tramonto.
Arrivammo trafelati e dalla mia, provavo ormai nausea per la fatica sostenuta. Aiutai Khail ad accendere il fuoco e arrostimmo qualcosa di molto simile a delle pannocchie che lui aveva estratto dal suo sacco.
Mangiammo in silenzio, osservando il crepitare  delle fiamme. Si era spontaneamente creata fra noi un’intimità che ci consentiva di sentirci a nostro agio anche nei lunghi momenti in cui non parlavamo. Khail era una presenza rilassante e rassicurante nel contempo.
Una volta conclusa la cena, rimanemmo seduti accanto al fuoco. La mia mente era invasa da pensieri esagitati sulle notizie che mi aveva passato Vera e sul nostro prossimo arrivo ad Arco d’Oriente.
- Senti Khail – chiesi a un certo punto – Hai già pensato a come ci presenteremo alle Koralle?
Il padre di Vera mi aveva consegnato uno scritto con il sigillo reale in cui spiegava dettagliatamente la situazione, ma nonostante questo, il pensiero di bussare alle porte di Arco d’Oriente m’innervosiva. Se Vera era una buona rappresentante della sua categoria, il palazzo che avremmo raggiunto sarebbe stato ricolmo di brillanti creature superiori. Non era una prospettiva che mi rilassasse.
Khail invece non sembrava considerare la cosa come un problema.
- Chiederemo di parlare direttamente a Raishanta – rispose, con tutta tranquillità.
Raishanta era l’attuale Punta e mi domandai come pensasse di arrivare a lei con tanta facilità. Le altre koralle non avrebbero chiesto spiegazioni prima di portarci da lei?
- Credi che ci daranno il permesso di incontrarla senza fare domande? – chiesi, trasformando il mio pensiero in parole.
- Meno dettagli forniamo, meglio è per noi. È importante che di questa situazione venga a conoscenza il minor numero di persone. La stabilità di Rah…
- Sì, conosco i rischi – lo interruppi – Mi chiedevo solo se fosse così semplice parlare con Raishanta.
- Oh, non preoccuparti per quello! – fece lui, con noncuranza – La conosco bene, da piccoli giocavamo spesso insieme!
- Che cosa? – trasalii sorpresa, fissandolo attraverso il baluginio delle fiamme. Ma osservando attentamente il suo volto, notai quasi subito il sorriso nei suoi occhi.
- Mi stai prendendo in giro! – gridai, stizzita.
Lui scoppiò a ridere.
- Scusami Allegra, è troppo divertente stuzzicarti. Non so resistere!
Incrociai le braccia al petto ringhiando. Non era la prima la volta che mi capitava. Secondo alcune amiche delle scuole medie ero infiammabile come una capocchia di fiammifero e questo creava nei ragazzi l’irresistibile impulso di provocarmi.
Le mie reazioni istantanee insomma, erano direttamente la causa e la conseguenza dei dispetti che mi venivano fatti… uno snervante circolo vizioso da cui, dieci anni dopo, non ero ancora uscita.
Era irritante che persino a Katathaylon riuscissi a instaurare i miei rapporti malati con il mondo!
Eppure in quel momento, il comportamento di Khail mi diede respiro. Era più semplice gestire questo tipo di atteggiamento che non la galanteria che mi aveva usato in altri momenti. Le provocazioni, le prese in giro, erano qualcosa che conoscevo e maneggiavo molto meglio.
Presi il torsolo di una pannocchia e glielo lanciai, lui si riparò ridendo e chiese perdono. Quando ci fummo calmati entrambi, prendemmo dalle sacche due coperte per avvolgercele intorno alle spalle.
Khail scrutò il cielo fra i rami degli alberi e strinse gli occhi, meditabondo.
- Domani pioverà.
- Ma il cielo è limpidissimo!
- Fidati. Probabilmente succederà nel pomeriggio.
La pioggia avrebbe rallentato il nostro cammino?
Quel pensiero mi fece scalpitare. Purtroppo essere costretti a viaggiare a piedi era un limite enorme.
- Non mi hai mai raccontato di come hai perso il cavallo – dissi all’improvviso. Khail aveva parlato molto in quei due giorni, ma non aveva più accennato al famoso brutto incontro che gli era costato la cavalcatura.
Lui fece spallucce, come se parlare dell’accaduto fosse noioso.
- Si è trattato di un semplice incidente di percorso.
- Che tipo di incidente?
Lui rise.
- Sei una vera curiosa!
- E anche piuttosto insistente – assentii.
Strappò un ciuffo d’erba e me lo gettò addosso.
- Non cercare di distrarmi! – lo rimbeccai, pulendomi dall’erba – Sei stato derubato come uno sciocco e ti vergogni ad ammetterlo?
- Peggio ancora – sorrise lui, con un velo d’imbarazzo – È stato un bambino a prendermi il cavallo!
Vedendo la mia espressione sconcertata, scoppiò a ridere.
- Ero in cima a un albero per controllare la strada – spiegò – Quando mi sono accorto di due uomini che bistrattavano un ragazzino. Erano koryonos – s’interruppe, rivolgendomi uno sguardo interrogativo – I koryonos sono guardiani nomadi che percorrono in continuazione il Paese in lungo e in largo per assicurare l’ordine interno – spiegò poi.
Feci un cenno d’assenso per comunicare che ne ero a conoscenza.
- E i koryonos se la prendono con i bambini?
- L’avevano trovato a rubacchiare in un campo. Era solo una bravata, ma esiste una vecchia legge di Katathaylon che impone l’immediata cattura di ladruncoli di questo tipo. Vengono condotti ad Arco d’Occidente e costretti a un addestramento come guardie. Era la fine che stava per fare quel ragazzino. Sia lui che i genitori strillavano e piangevano, ma i koryonos l’avrebbero comunque portato via.
- È una crudeltà – esclamai inorridita – Che legge spietata!
- Come ti ho detto, è una legge molto vecchia. Venne istituita due secoli fa, durante alcuni decenni molto duri per noi di Katathaylon. Erano anni di carestie, di siccità, di malattie e povertà, la legge aveva lo scopo di raccogliere i bambini costretti a rubare per mangiare – spesso orfani – e offrire loro l’opportunità di guadagnarsi da vivere. Per questo motivo, se il ragazzino riusciva a sfuggire alle guardie, non c’era ordine di inseguirlo e veniva dimenticato. Non era conveniente sprecare tempo ed energie per qualcuno che non sentiva bisogno di essere aiutato.
- Ma ormai questa legge non ha più senso… non fa che separare i bambini dalle loro famiglie! – obiettai.
- Hai ragione. E anch’io me ne sono reso conto sentendo le implorazioni strazianti di quei poveri genitori.
- E..? – indagai, intuendo che ci fosse un seguito.
- E… mi sono lasciato cadere dal ramo – Khail sembrò nuovamente imbarazzato – Addosso ai due koryonos.
- Vuoi dire… che ti sei buttato sulla loro testa?
- Li ho stesi tutti e due in un colpo! – ridacchiò – Nel contempo ho urlato al ragazzino di scappare… senza prevedere che per fuggire sarebbe saltato in groppa al mio cavallo! Ma era fermo a brucare pochi metri più in là e deve essergli sembrato un miracolo del cielo potersene appropriare.
- È scappato… con il tuo cavallo? E tu come hai fatto? – domandai sbalordita.
Ho ripreso la via degli alberi e sono fuggito di ramo in ramo. I koryonos erano ancora storditi e non hanno capito da che parte fossi scappato. I genitori del bambino, naturalmente non mi hanno tradito.
- Insomma… - sussurrai – Sei una specie di eroe.
Un po’ mi bruciava, fare quell’affermazione.
Khail scoppiò nuovamente a ridere.
- Non ho fatto altro che saltare da un ramo! Comunque spero di non incontrare più quelle guardie…ho fatto far loro una figuraccia tale davanti ai genitori del bambino, che temo vogliano cavarmi la pelle!
- Beh, se la sono cercata! – obiettai con rabbia – Stavano facendo una cosa orribile! Com’è possibile che il re approvi questo comportamento?
- Dubito che il re ne sia a conoscenza. Probabilmente si è dimenticato di quella vecchia legge e non sa che i suoi koryonos continuano a rispettarla. Il re è un uomo giusto, ma non è sempre a conoscenza di tutto.
- Ma se il principe Alexen sapesse che cosa accade, non lo tollererebbe vero? Una volta salito al trono cancellerebbe quella legge!
- Sì, probabilmente sì. Ma dovrebbe prima venirne a conoscenza.
- Gliene parleremo noi allora! Quando lo libereremo, lo informeremo di quello che accade nel suo Paese!
Khail mi fissò stupito e poi scoppiò a ridere.
- Va bene, d’accordo! – esclamò – Lo informeremo!
- E nel mentre faremo senza cavallo…
- Per forza.
Sbadigliai di stanchezza e sistemai le coperte per la notte. Sperai che perlomeno il ragazzino fosse riuscito a mettersi in salvo e che tutta la fatica che stavamo facendo avesse un significato.
- Buona notte Khail – mormorai, vinta dal sonno.
- Buona notte Allegra.  
 
 
 

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Capitolo 6
*** Interrogatorio ***


Il regolare tonfo di passi nel corridoio fu sufficiente a far trasalire Alexen.
Vera percepì all’istante il suo irrigidirsi, un riflesso automatico che il principe aveva acquisito istintivamente, suo malgrado.
Lui si alzò in piedi prima ancora che la chiave iniziasse a girare nella toppa, accogliendo il kalashà con le spalle dritte e tutta la dignità che la sua condizione gli consentiva. Vera si levò di fianco a lui eretta e imperturbabile. Non voleva che Ad’hera nutrisse dubbi sulla sua fedeltà al principe, che potesse credere anche solo per un momento che avesse cambiato fazione.
Il kalashà, entrando, non poté ignorare la sfida nell’aria, la sua arroganza non nascose le gocce di sudore che iniziavano a imperlargli la fronte.
- Vedo che ventiquattrore di prigionia non sono bastate a piegarvi, isy – osservò, con  una baldanza più ostentata che sentita – Ma il tempo non ci manca e sono certo che presto intenderete ridefinire la vostra posizione.
- Forse dovreste voi ridefinire la vostra – rispose lei, mettendo nel suo tono un gelo tale da poter abbassare la temperatura della cella – Né il re né il principe ereditario hanno confermato la vostra carica.
- Non scherzate isy Veraxis, la mia carica è più che sostenuta dall’attuale principe ereditario.
- Il re non ha stabilito alcun passaggio di carica.
- Il re si trova in fin di vita, non è in grado di prendere decisioni razionali. Non è saggio in questo momento affidarsi al suo giudizio.
- Badate a come parlate!
La voce di Alexen si levò nella cella per la prima volta, alta e perentoria e fece arretrare istintivamente il kalashà.
- Mio padre è perfettamente in sé, smettete di insultare il suo nome!
Come evocata dall’ira di Alexen, dietro ad Ad’hera apparve l’ombra pesante di un uomo enorme. Indossava la divisa delle guardie di corte, ma il suo sguardo non tradiva alcuna compassione per la sorte del suo principe.
- Serve aiuto signore?
Vera non nascose una smorfia di disprezzo davanti al servilismo del guardiano verso il nuovo kalashà. Ad’hera sembrava godere profondamente del potere di cui disponeva.
- Interrogheremo il principe nella stanza in fondo al corridoio. Conducilo di là.
- Sarà mio fratello a interrogarmi?
Il kalashà sorrise beffardamente.
- Avete la memoria corta principe. Forse non ricordate che il principe Edhuar vi ha consegnato a me perché vi interrogassi personalmente?
L’espressione sul volto di Alexen fece capire a Vera che sì, Alexen lo ricordava, e non era un pensiero di suo gradimento.
- Ci penseremo io e Vivor, come ogni volta!
Vera si fece violenza per non distogliere lo sguardo, colta da un’improvvisa repulsione. Per un individuo viscido e codardo come Ad’hera, era una soddisfazione intensa poter condurre quegli interrogatori, Vera poteva leggerglielo in faccia. Godeva profondamente nel rivalersi sul principe privo di difese.
Vivor si fece avanti con sguardo torvo, tuttavia Alexen non diede segno di volerlo evitare. Lasciò che gli legasse i polsi e si avviò con loro senza opporsi. Vera fu l’unica ad accorgersi della tensione che gli irrigidiva il corpo. Da quando era entrata in contatto con lui nel tentativo di portargli un po’ di sollievo, la sua sensibilità nei suoi confronti era aumentata.
Ammirò il modo in cui, nonostante la paura, tenne la testa e le spalle dritte.  Non aveva mai messo in dubbio, prima di arrivare a Katathaylon, che il principe ereditario fosse degno della sua posizione, eppure in Alexen c’era più di quanto si fosse aspettata. Un aspetto peculiare che non aveva ancora identificato e che in lui era forza e vulnerabilità allo stesso tempo.
- Isy!
Nella cella vuota fece capolino una nuova guardia, stavolta più minuta e di statura inferiore rispetto all’energumeno che aveva scortato fuori il principe. Sembrava quasi a disagio dal doversi rivolgere a lei in quel contesto.
Vera lo osservò in silenzio, chiedendosi se  dovesse sottoporsi a sua volta a un interrogatorio.
- Isy, per cortesia, seguitemi un momento.
Vera attraversò la cella e uscì nel corridoio spoglio. Nonostante l’apparente calma, i suoi sensi erano all’erta. Non poteva rischiare di perdere importanti indizi che in seguito avrebbero potuto tornarle utili.
La guardia le indicò una panchetta di legno accostata al muro e lei si sedette docilmente. Con sorpresa, si trovò fra le mani una vassoio con una scodella di zuppa e del pane.
- È il vostro pasto di oggi – spiegò l’uomo, con aria mortificata, quasi a volersi scusare per il misero cibo che le offriva.
Vera, al contrario, era stupita. Era arrivata a convincersi che l’avrebbero tenuta alla fame come Alexen. Il nervosismo le aveva contratto lo stomaco, ma si obbligò a inghiottire la zuppa per alimentare le forze. Aiutare il principe tramite il suo potere, le costava molte energie.
Infine riappoggiò il cucchiaio al vassoio e si rigirò fra le mani il pezzo di pane. La guardia la osservava attentamente.
- Devo controllare che mangiate tutto, prima di ricondurvi in cella – spiegò, sempre con l’aria di chi desiderava potersi scusare – Non posso permettere che portiate del cibo al principe.
Vera annuì e iniziò a sbocconcellare il pane. Il guardiano, nonostante l’aria intimidita, era stato ben istruito.
All’improvviso un grido lacerante spezzò il silenzio, facendo sobbalzare la guardia. Venne seguito da altri lamenti più o meno soffocati. Vera riconobbe a stento, in quei gemiti, la voce del principe Alexen, alterata dalla sofferenza.
Il guardiano sembrava incapace di distogliere lo sguardo dalla direzione da cui provenivano i lamenti. Era sbiancato e per più di un attimo, Vera credette che sarebbe svenuto. Era semplicemente impressionabile, o possedeva ancora un minimo di devozione nei confronti del suo principe?
Quando tornò a guardarla, il suo disagio si  era visibilmente accresciuto.
- Se avete finito di mangiare vi riaccompagno in cella isy – mormorò – Le grida vi arriveranno più attutite.
- Non mi spaventa il dolore del principe – obiettò lei, alzandosi – È l’inevitabile prezzo del suo valore.
Tuttavia si lasciò ricondurre nella gelida cella da un guardiano palesemente ansioso di staccarsi da lei.
Vera tornò a sedersi sul nudo pavimento, in attesa.
Le grida sembrarono durare un’eternità. Come aveva detto ad Alexen il giorno prima, era convinta che non lo avrebbero lasciato morire facilmente. Eppure iniziava a nutrire dei dubbi sulla capacità di discernimento di Ad’hera. Avrebbe potuto passare il segno senza rendersene conto e uccidere il principe.
Alexen era debole per la fame e le ferite, il freddo era inteso e il kalashà continuava a infierire. E se avesse perso troppo sangue?
Vera chiuse gli occhi e iniziò a respirare profondamente, in modo sempre più lento, come le aveva insegnato Tala.
In breve il cuore tornò a pulsare a un ritmo accettabile, i suoi muscoli si rilassarono. Quando sollevò le palpebre, era tornata perfettamente padrona di sé, preparata a ricevere il principe e a prendersi cura di lui.
 
 
Non fu in grado di quantificare i secondi, i minuti di dolore che saturarono ripetutamente l’aria. A un certo punto il portone di ferrò tornò ad aprirsi cigolando. Vivor attraversò la soglia trascinando il corpo del principe quasi di peso. Lo gettò a terra senza riguardo e senza prestare attenzione ad altro, uscì chiudendo la porta a chiave.
Il suono metallico della serratura che scattava rimbalzò per la stanza a lungo, ricadendo su se stesso più volte e coprendo i gemiti che trasudavano copiosamente dalla figura accovacciata a terra.
Vera si avvicinò cautamente, notando con apprensione gli abiti del principe a brandelli e nuovi lividi sul suo corpo uniti a bruciature dai contorni infuocati. Alexen sussultava, rannicchiato su se stesso.
- Principe…
- Non temete – la interruppe a denti stretti – Non ho parlato.
- Non ne ho mai dubitato.
Si chinò vicino a lui, cercando di inquadrare la situazione.
Alexen, con evidente sforzo si mise a sedere e i suoi occhi si fissarono con determinazione in quelli di Vera. Subito dopo però, un gemito gli sfuggì suo malgrado, facendogli abbassare lo sguardo di vergogna.
- Che spettacolo penoso – sibilò a denti stretti.
- Non abbassate lo sguardo davanti a me, maestà – lo riprese Vera, utilizzando appositamente nei suoi confronti il titolo massimo – Non potrei avere più rispetto di voi, di quanto ne provi in questo momento.
Lo spettro di un sorriso gli aleggiò sul viso.
- Anche se non sapessi chi siete, riconoscerei in voi, senza alcuna esitazione, una koralla. Una koralla regina, senza ombra di dubbio . Mi ricordate moltissimo mia madre.
Vera rimase disorientata. Cos’era quell’insinuazione sottile nel tono del principe? Non era sicura che il suo volesse essere un complimento. E forse neppure una semplice osservazione.
Il principe Alexen la metteva a disagio e lei non riusciva a spiegarsene il motivo.
Lui sembrò accorgersi del suo sconcerto.
- Non offendetevi isy Veraxis, non volevo essere sarcastico. Ho amato molto mia madre e l’ho apprezzata per tutte le sue qualità. Sono sicuro che voi a vostra volta sarete una regina appropriata… chiunque abbiate al vostro fianco come re – aggiunse infine, stancamente. Era molto debole e Vera sospettò che stesse per perdere i sensi.
- Permettetemi di aiutarvi.
Lo aiutò a stendersi e gli strinse con forza una mano. Lo sguardo che lui le rivolse era esausto, ma lucido.
- L’energia che mi date… la sottraete a voi stessa vero? Non dovete indebolirvi isy.
- A differenza di voi, ho mangiato – gli sussurrò, cercando il contatto fra loro. Avvertì il momento in cui si instaurò il legame e lo utilizzò come condotto di energia.
Ora avrebbe sostenuto Alexen con tutta la forza che di cui fosse stata capace. Dopo, avrebbe aggiornato Allegra.
 
 
 

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Capitolo 7
*** Messaggi angoscianti ***


 
La terza mattinata di cammino volò rapida come una nuvoletta in una giornata di vento. Furono ore leggere, marcate da un passo sostenuto e da chiacchiere a tempo perso. Khail parlava volentieri della sua infanzia, dei giochi avventurosi che aveva progettato con gli amici e dei rischi sconsiderati che avevano corso senza quasi rendersene conto. Raccontava ogni cosa con tono rapido e divertente, non risultava mai noioso e non faticavo a vederlo nel ruolo di buffone all’interno del suo gruppo.
Ogni tanto chiedeva di me, di come trascorrevo le mie giornate nel Mondo di Fuori, mentre molto più spesso desiderava che gli parlassi del mare. Per qualche motivo a me sconosciuto, il mare esercitava sul di lui un’irresistibile attrazione.
Non mi chiedeva mai, invece, di Vera, né della nostra amicizia o del motivo per cui mi avesse condotta a Katathaylon. Era un argomento che sorvolava, come se non suscitasse in lui il minimo interesse. Allo stesso modo non riuscivo mai a soffermarmi con lui su quanto stava accadendo a palazzo, come se al di là dell’equilibrio di Shiarah, Arco d’Occidente non avesse significato. Non riuscivo a comprendere fino in fondo se il suo disinteresse fosse genuino o non fosse piuttosto il risultato di una delusione nei confronti della famiglia reale.
In tarda mattinata affiancammo un torrente che, verso ora di pranzo, si restrinse fino ad assumere un aspetto innocuo. Con sollievo di entrambi, Khail stabilì che in quel tratto il torrente era tanto sicuro da permetterci di fare un bagno.
Ci spogliammo dandoci le spalle vicendevolmente ed entrammo tremando in acqua. Avanzai finché il livello non mi raggiunse le ginocchia, poi mi fermai esitando. L’acqua era gelida e mi mancava il coraggio di affondare.
Restai in silenzio, cercando di capire se Khail, alle mie spalle, si fosse già completamente immerso. Era strano, ma mi fidavo completamente di lui. Se mi fossi trovata a casa, nel mio gruppo di amici, non mi sarei mai infilata nuda in mare fidando sulla loro parola che non avrebbero sbirciato. Persino del mio amico più caro non mi sarei fidata! Eppure, in quel preciso momento, sarei stata pronta a giurare che Khail non si era girato neppure una volta.
Stringendo i denti mi immersi fino alla pancia e poi, con uno scatto brusco, fino al mento.
Il freddo per un momento mi mozzò il respiro, strinsi le braccia e chiusi gli occhi contando freneticamente fino a trenta. Usavo spesso quel metodo e funzionava sempre.
Quando tornai padrona delle mie sensazioni, completai l’immersione lasciandomi andare al flusso dell’acqua. Era stato un sollievo scoprire che anche Khail desiderava un bagno, già dal giorno prima mi ero domandata come formulare la mia richiesta senza imbarazzo.
L’impatto del mio fianco contro il gomito di Khail fu violento!
- Ahia! – ululai, annaspando alla ricerca della terra sotto i piedi. Mi premetti le mani sul fianco soffocando le imprecazioni che mi stavano saltellando sulla lingua.
- Scusami, non ti ho vista! – si stava scusando lui, mentre i miei mugugni saturavano l’aria.
Quando tornai in me, mi avventai contro di lui per fargliela pagare, ma Khail, con uno scatto che rasentava la paura, s’immerse fino al naso.
Il suo gesto sfilò dalla raccolta delle mie nozioni, il ricordo di una delle caratteristiche più curiose di Katathaylon. Non avrei trovato strano che il senso del pudore femminile fosse più sviluppato rispetto al mio mondo, ma a Katathaylon era profondamente  marcato anche il senso del pudore maschile. Non era solito che gli uomini si mostrassero a dorso nudo o con pantaloni corti, in questo mondo non esisteva nulla di simile all’esibizionismo cui ero abituata. Vera stessa era convinta che prima o poi avrebbe finito per scandalizzare il principe Alexen a causa della disinvolta disinibizione in cui era cresciuta sulla Terra.
Avevo riso spesso con lei, immaginando uomini imbarazzati come signorine d’altri tempi… eppure, in quel momento, la reazione di Khail mi fece tenerezza.
Non solo tenerezza, a dire il vero. La sua ritrosia mi fece venir voglia di dare un’occhiata a quello che era nascosto dall’acqua.
- Non nasconderti vigliacco! – gridai, spruzzandogli l’acqua in faccia. Lui si ritrasse, ficcò la testa sotto la superficie e iniziò a nuotare in direzione opposta alla mia. Ridendo lo inseguii. In quel frangente il vantaggio era mio, la situazione in cui ci trovavamo creava minor disagio a me che a lui. Nel centro estetico dove lavoravo vedevo in continuazione corpi quasi completamente nudi, avevo superato ben presto l’imbarazzo.
Eppure, nonostante tutto il mio impegno non riuscii a raggiungerlo. Khail era velocissimo e svicolava come un pesce nervoso, mi fermai molto prima di riuscire ad avvicinarmi a lui.
Ripresi fiato tenendo il mento appena sopra alla superficie dell’acqua.  Dov’era finito?
Lo notai più avanti, molto più vicino alla riva di quanto fossi io.  Si era alzato, uscendo dall’acqua fino a metà pancia e per un istante riuscii a soddisfare la mia curiosità.
Avevo visto giusto, era il tipo di fisico che si sposava con i miei gusti: magro ma forte, senza quei muscoli esagerati che mi procuravano un lieve senso di disgusto. Khail era tonico e ben proporzionato. Aveva una pelle dorata insolita per una persona dai capelli così chiari, che però si armonizzava alla perfezione con la sua immagine. Al collo portava una sottile catenina d’oro con un ciondolo a forma di chiave che catalizzava su di sé i raggi del sole, e sembrava spostare Khail al centro del mondo.
L’intera visione però, non durò che un istante perché appena lui si rese conto di essere osservato, si rituffò in acqua.
- Tutto bene? – mi chiese avvicinandosi.
- Sto assiderando!
- Vado ad accendere un fuoco, aspetta un momento! – fece per uscire dall’acqua, ma si voltò verso di me ridendo – Girati, sfacciata!
Mi voltai con un sorriso mentre Khail saliva a riva e si asciugava. Quando ritenni fosse passato un tempo sufficiente, raggiunsi la riva e mi avvolsi nel telo. Khail era un puntino lontano chinato sul mucchio di legna preparato in precedenza. Mi avvicinai saltellando in punta di piedi, scalza, e mi rannicchiai accanto al fuoco appena acceso. Il sollievo fu quasi istantaneo.
Cercai nella sacca gli abiti puliti, ma sollevando gli occhi incontrai il sorriso di Khail.
- È curioso che tu riesca a trovarti a tuo agio in questa situazione – mi disse divertito.
- Trovi? Di solito quando vado in spiaggia con le amiche sono molto più svestita di così - indicai il telo che mi avvolgeva.
- Dici sul serio? Lo sono… tutte le ragazze?
- Ragazze e ragazzi.
- Incredibile… - mormorò colpito – Molto bene… Allora dovrò accettare con serenità di guardare mentre ti vesti.
Per un istante non colsi il significato della sua affermazione, poi ne rimasi pietrificata e solo alla fine scoprii in lui un sorrisetto.
- Mi stai ancora prendendo in giro! – gridai.
- Per niente! Sono disposto veramente a rimanere mentre ti cambi.
Afferrai uno scarpone e glielo lanciai addosso.
- Sparisci, pervertito!
Lui balzò in piedi ridendo e si diresse verso il folto degli alberi.
- Pervertito…  - brontolò – Non sei equa!
Gli effetti rigeneranti del bagno vennero annullati nel pomeriggio dal violento acquazzone che Khail aveva previsto la sera precedente.
Ci stavamo arrampicando lungo una collina terrosa, ma in un istante il nostro cammino venne trasformato in un combattimento estenuante contro la friabilità del suolo. Non facevamo che scivolare sulla fanghiglia, inzupparci e insozzarci. Nelle zone più ripide avanzavamo quasi in ginocchio facendoci vicendevolmente da punto d’appoggio. Khail sembrava divertirsi immensamente, rideva in continuazione per le sue e le mie scivolate, sdrammatizzava gli istanti più logoranti rendendo quel momento di fatica un’avventura leggera ed emozionante.
Volevo salvare il mondo?
Avevo desiderato avventura e rischio?
Avevo ogni cosa, compreso il compagno di viaggio ideale!
Tuttavia, quando iniziò a scendere la notte sentii il mio entusiasmo smorzarsi. La pioggia si era ridimensionata in un’acquerugiola fine e insidiosa che, infiltrandosi fra i miei vestiti, faceva da veicolo a un freddo mordente. La stanchezza iniziava a farmi vacillare, mi sentivo sporca, gelata e senza alcuna possibilità di una breve sosta all’asciutto.
Queste sono le occasioni in cui si riconosce un’avventuriera!  - mi ripetevo, ma il mio corpo desiderava ormai dolorosamente un fuoco caldo.
Di punto in bianco Khail mi afferrò il mento con due dita e spostò il mio viso in una direzione ben precisa.
- Vedi là in fondo, dove gli alberi si infittiscono? – chiese – Secondo la piantina risulta essere una zona ricca di caverne. Se teniamo duro ancora un po’, potremo dormire all’asciutto!
Mi sentii come se mi avesse spostato un caravan dalle spalle. Mi raddrizzai sotto l’ondata di nuova energia.
- Andiamo, sbrighiamoci!
Istintivamente presi Khail per mano e lo trascinai lungo il sentiero, tenendo un passo sostenuto.
- Sei instancabile! – gli sentii dire, divertito – Rallenta per favore, c’è troppo buio, rischiamo di cadere!
Khail probabilmente non immaginava che il mio desiderio fosse invece aumentare il passo a dismisura per sottrarmi alle ombre sempre più fitte e avvolgenti. Così rallentai, accorciando la falcata. Lui accentuò la stretta sulla mia mano, approvando il cambiamento.
Proseguimmo a quel modo e nel frattempo la pioggerella si spense e le nuvole iniziarono pian piano ad aprirsi. La prospettiva di una caverna asciutta aveva spazzato via la mia desolazione, nonostante le tenebre e il freddo iniziavo a sentirmi al posto giusto.
- Sono contento che tu faccia questo viaggio con me – disse Khail all’improvviso, facendomi sobbalzare dalla sorpresa.
- Già, ma scommetto che all’inizio non mi volevi! – risposi, cercando di contrastare l’imbarazzo.
-  Ma ho cambiato idea nel giro di un’ora!
- Allora è vero! – esclamai – L’ho detto tanto per dire, e invece non mi volevi sul serio!
- Non ti offendere, Donna del Mondo di Fuori! – ridacchiò, stringendomi la mano – Hai conquistato la mia ammirazione!
Le sue parole, oltre a un profondo imbarazzo, suscitarono nel mio animo anche una folata di piacere.  Mi sarebbe piaciuto ricambiare con altrettanta schiettezza: Khail, che in principio avevo considerato il mio rivale, adesso non era che un compagno di viaggio. Nella nostra avventura. Ed ero felice che così fosse.
Però non dissi nulla, perché, come spesso mi capitava, ero bravissima a insultare le persone che mi facevano arrabbiare, ma ero una schiappa a sottolineare i sentimenti positivi che provavo. Così accettai in silenzio le sue parole, rodendomi interiormente della mia incapacità di lasciarmi andare.
Quando raggiungemmo la grotta, la luna piena iniziava già a rischiarare i contorni delle nuvole. L’interno della caverna era piacevolmente tiepido.  Fu piacevole anche trovare un mucchietto di rametti asciutti, rimanenza di un precedente falò.  Il mio umore sfiorò quasi l’euforia.
Khail spostò la legna sul ciglio della grotta e studiò la direzione del vento.
- Tutto a posto! – annunciò – Il fumo non invaderà la caverna!
Lasciammo che i vestiti ci asciugassero addosso al calore del fuoco, ci pulimmo viso e mani con l’acqua della borraccia. Le nuvole si erano aperte in strappi di cielo cobalto, rischiarati dal pallore lunare. Ci godemmo il momento in silenzio.
Fu Khail a rompere la pausa meditativa in cui eravamo sprofondati.
- Domani pomeriggio saremo ad Arco d’Oriente – mormorò, in tono malinconico.
- Lo dici come se fosse un dramma – osservai.
Lui sorrise, ma non perse quell’aria malinconica.
- Questi giorni mi sono sembrati un viaggio incantato – sussurrò – Mi sono sentito fuori dalla realtà, come se il mondo esterno non esistesse. Ci siamo stati solo noi e tutta la libertà che desideravamo – spaziò con lo sguardo lungo gli alberi, il cielo, la luna, indicando ciò che per lui era sinonimo di libertà -  Non avevo mai vissuto nulla di simile.
Non volevo pensare che la mia compagnia in specifico avesse contribuito a rendere così piacevole quei giorni, ma in fondo era quella che speravo. Anche il momento presente che stavamo vivendo, con la grotta, il fuoco, le cime nere degli alberi e il cielo dai contorni irregolari… era un bel momento. Delicatamente surreale, come il resto del viaggio.
Era questo che intendeva Khail?
I suoi capelli biondi, sotto il cipiglio del fuoco sembravano infiammarsi. Il calore mi faceva bruciare gli occhi, e quando cercavo di guardarlo, la sua figura perdeva definizione.
Sì…sembrava un mondo incantato, realmente.
- Domani tutto questo finirà – sospirò lui.
- Per poco – lo corressi – Abbiamo ancora il viaggio di ritorno.
Ma Khail scosse la testa e vidi tornare quell’ombra di tristezza.
- Non sarà la stessa cosa.
- E perche?
Ma prima che lui potesse rispondere, un fischio penetrante iniziò a perforarmi le orecchie. Feci un cenno a Khail scuotendo la testa, per segnalargli cosa stava accadendo. Subito dopo le immagini mi aggredirono, violentemente, come una scarica di proiettili. Una dietro l’altra.
Sangue,
sporcizia,
buio.
Una porta chiusa con il catenaccio.
Lamenti.
Freddo.
Anzi, freddo, sottolineato e in corsivo. Quello che ti fa gelare le ossa.
- Allegra, giudica tu. Io temo per Alexen. Senti.
Vera entrò in contatto con il principe e sprofondai dentro di lui.
Soffocai un grido di dolore, il gelo mi paralizzò la lingua.
La fame mi avvinghiò le viscere in un morsa ferrea, stritolandomi dall’interno.
E la debolezza… la debolezza filtrò da ogni ferita sfibrandomi... disperdendomi come sangue sul pavimento.
Poi fui di nuovo me stessa.
- Giudica tu Allegra – ripeté la voce di Vera – Forse non sono imparziale. Ma temo per la sua vita… non riesco più a essere così certa che il vero obiettivo di Edhuar non sia uccidere suo fratello.
Come una radio spenta all’improvviso, il flusso di suoni e immagini si bloccò. Tornai con uno sbalzo a sintonizzarmi sulla mia realtà, ma ora non era più una realtà di sogno. Il messaggio di Vera aveva spazzato via ogni traccia di poesia.
Balzai in piedi come un leone furente, camminando in tondo, riflettendo.
Le sensazioni che avevo provato erano… spaventose.
Quella era la realtà di Alexen?
Allora potevo comprendere la paura di Vera. Non si stava ingannando, nessuno avrebbe potuto resistere a lungo in quelle condizioni.
Davvero Edhuar voleva ucciderlo?
Non riuscivo a concepire un’idea di quel tipo… la mia testa la rifiutava categoricamente. Se Alexen era l’erede, doveva essere il fratello maggiore… come me.
Immaginai che Gioia potesse trattarmi a quel modo. Ne esplose un’immagine tanto paradossale da farmi ringhiare.
- Allegra?
Khail era ancora seduto accanto al fuoco e seguiva i miei movimenti con evidente perplessità.
- Non riesco a tollerarlo! – gridai, girando avanti e indietro in preda a un’intensa ribellione – I fratelli si vogliono bene… deve essere così! Si litiga, non ci si sopporta a volte… ma non è un legame sopra cui si può passare! Gioia non si comporterebbe mai così! Io non potrei mai farlo! È contro natura!
Fissai Khail cercando un appoggio, ma non ero sicura che riuscisse a seguire il filo dei miei pensieri. Che riuscisse a capire la mia furia.
- Perché ti sta così a cuore questa storia? – domandò infatti, esitante.
- Perché è ingiusta! – gridai – E tutto ciò che è ingiusto mi manda in bestia! Alexen è in condizioni pietose… Vera è prigioniera! Il re è in punto di morte e non può avere il sostegno dei suoi familiari! Non senti il sangue ribollirti nelle vene?
Khail scosse la testa in cenno di diniego.
- Francamente Allegra, faccio fatica a capire la tua rabbia. Le persone non sono obbligate a volersi bene a causa di un vincolo di parentela casuale. E comunque noi non conosciamo tutti i risvolti della situazione.
- Esiste una dignità umana! – esplosi – Non c’è dignità in ciò che si sta facendo ad Alexen! Non riesci davvero a capire la mia rabbia? Potrei spaccare a calci la porta della loro cella! Ho tanto veleno in corpo da uccidere Edhuar con un solo sguardo!
Khail sorrise.
- Ti invidio – mormorò – Sembra che dentro di te sia tutto molto chiaro. Sai distinguere ciò che è male da ciò che è bene. Sai in cosa credi, sai cosa difendere e cosa disprezzare.
- Tu non lo sai? – chiesi allibita.
- Non con questa chiarezza. Non con la tua… veemenza. È bello che tu sappia ciò che vuoi… vorrei assomigliarti di più.
- Non essere stupido, stiamo viaggiando insieme per lo stesso obiettivo. Anche tu sai quello che vuoi!
Lui si strinse nelle spalle
- Riportare l’equilibrio nel mondo non è un obiettivo originale. Chiunque è tenuto a sapere che è giusto… che è il proprio dovere. Ma tu vai oltre. Tu ti arrabbi, ti infervori… provi emozioni forti, arrivi a odiare.
- E lo trovi positivo? Se potessi sapere come mi sento… C’è poco da invidiare, la furia che provo mi fa star male. L’odio che provo per Edhuar non si placherà finché non gli avrò sputato in faccia il mio disprezzo.
- Cosa vorresti fare? – mi domandò, curioso.
- Sputargli in faccia – ripetei, serissima.
Lui sorrise docilmente.
- Se è questo ciò che vuoi… - disse, facendo spallucce – Aggiungiamolo alla lista. Cosa più, cosa meno…
Lo disse con una tale tranquillità che la rabbia mi abbandonò di colpo e mi ritrovai a ridere.
- Va bene – dissi, recuperando un po’ di serenità – Ci conto!
Khail annuì e mi fece cenno di tornare a sedermi.
- Mangiamo qualcosa, si sta facendo tardi.
Quando mi chinai a cercare il cibo nella sacca, scoprii che buona parte della mia rabbia si era assopita.
 

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Capitolo 8
*** Il nemico ***


All’interno delle segrete il tempo possedeva una dimensione autonoma, del tutto particolare. I minuti si trascinavano lenti come giorni interi e poi, all’improvviso, le ore acceleravano accavallandosi l’una all’altra. Così diventava difficile quantificare il tempo… e forse, dopotutto, era inutile.
Non esistevano orologi da polso a Katathaylon e Vera ne sentiva acutamente la mancanza. La luce che entrava dalle due fessure era comunque poca e rendeva impossibile comprendere se fosse mattino presto, mezzogiorno o pomeriggio inoltrato.
Né avrebbe saputo dire da quanto tempo Alexen  non parlasse.
Erano ore che si trovava in quella posizione?
Accovacciato contro la parete, un braccio attorno al ginocchio destro e lo sguardo fisso nel vuoto… sembrava assorto in pensieri dolorosi. Era combattuto, attanagliato forse da dubbi soffocanti, o forse  da ricordi impietosi. Non avrebbe saputo dire quale ipotesi fosse la più precisa, ma la certezza era che nel suo animo non vi fosse serenità.
Vera era indecisa sul da farsi. Come koralla non aveva il diritto di invadere la privacy del principe, ma provava costantemente la sensazione che da lui emanasse una vaga sensazione di vulnerabilità. Era come se lui lasciasse esposta una ferita aperta… piccola, mascherata ma comunque presente. Che lei percepiva intensamente.
Se le avessero chiesto in cosa il principe soddisfaceva i criteri di un buon sovrano di Katathaylon, lei avrebbe avuto un lungo elenco da snocciolare: onestà, lealtà, coraggio, forza, nobiltà… Non era rimasta delusa. Alexen non era un vile né  un debole.
Eppure… cosa c’era in lui che la sconcertava? Che riusciva a tenerla in soggezione? A confonderla? Agendo d’istinto aprì i suoi sensi e gli posò una mano sul braccio. Con un guizzo scivolò fra le sue sensazioni facendo suo il ricordo che si dipanava a ripetizione nell’animo del principe.
Tornò nella sala grande del Palazzo, sotto le arcate rifinite in oro sottile. Il tempo era spostato leggermente in avanti rispetto alla visione precedente, ora Alexen aveva già il Braccialetto del Re al polso, e le stesse guardie che Vera aveva visto in precedenza continuavano a stringerlo in una mossa ferrea.  Edhuar era spostato poco distante, confabulava con Ad’hera. Alexen cercò di sporgersi verso di loro, ma le guardie lo tirarono indietro con malagrazia.
- Edhuar! – si mise a gridare – Edhuar, ti devo parlare!
Il fratello non si voltò, continuò a bisbigliare con il nuovo kalashà come se non avesse sentito. Ma, a dirla tutta, non poteva non aver sentito da quella distanza.
- Edhuar! Edhuar!!
Strattonò con violenza le guardie, ottenendo solo una reazione altrettanto feroce.
Ma sembrò funzionare, perché il fratello finalmente si volse. Gli riservò uno sguardo fuggevole, che non si soffermò su di lui per più di un istante.
- Non ho tempo per te – disse, in un tono talmente indifferente da farlo gelare – Parlerai con Ad’hera.
A quel punto Edhuar uscì dalla stanza e lo lasciò in mano ai suoi aguzzini.
Vera si staccò da quel ricordo e allontanò la mano dal braccio del principe. Lui la stava fissando con aria interrogativa.
- Stavate ripensando al giorno della rivolta – disse, per renderlo partecipe di ciò che aveva fatto.
- Avete visto..?
- Ho visto.
- Da allora si è sempre fatto negare. Mi ha rifiutato. Da quando ha preso il mio posto, non mi ha più rivolto neppure una parola.
- Probabilmente vostro fratello non ha molto da dirvi.
Vera non riusciva a comprendere fino in fondo lo stato d’animo del principe. Quel ricordo, in chiunque avrebbe suscitato rabbia… perché Alexen invece era così triste?
- Di cosa volevate parlargli quel giorno? – gli domandò.
-  Di Shiarah. Volevo… che capisse l’importanza di mantenere l’equilibrio!
- Principe… - intervenne con un sospiro – Edhuar ha rotto il sigillo… temo che l’equilibrio sia l’ultimo dei suoi pensieri.
Alexen stava scuotendo la testa.
- È un principe di Katathaylon… conosce le responsabilità della casa reale!
- Conosce anche il potere di Shiarah.
Lui la fissò a occhi sbarrati, poi sprofondò il viso nelle braccia appoggiate alle ginocchia e rimase immobile come un ammasso di cemento.
Non riusciva ad accettare il tradimento del fratello, intuì Vera.
Non concepiva che un reale di Arco d’Occidente trascendesse il benessere di Katathaylon.
A Vera, la situazione non risultava improbabile. Ma lei era vissuta nel Mondo di Fuori, dove avidità e corruzione erano consuetudini. Alexen invece era stato allevato nella rigida moralità della minuscola Katathaylon, non si era mai scontrato con il lato più torbido del lato umano.
Rimase in silenzio, mentre il principe combatteva silenziosamente in se stesso.
Doveva accettare l’esistenza del male.
Doveva imparare a vedere Edhuar come un nemico, altrimenti non l’avrebbe mai sconfitto.
 
 
 

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Capitolo 9
*** Arco d'Oriente ***


L’ultimo giorno di cammino trascorse velocemente, con la compagnia di un sole limpido e di una brezza piuttosto fresca che smorzava il ricordo del gelo del giorno precedente.
Il pensiero di Arco d’Oriente continuò a innervosirmi lungo tutte le ore della giornata. Per quanto Khail la facesse facile, non potevo aspettarmi di non trovarmi in difficoltà in un palazzo pieno di koralle.
Nel mio mondo non avevo mai retto un solo confronto con Vera, tuttavia era sempre stata lei quella fuori dalla norma: quella eccezionalmente bella, intelligente e controllata.  Ad Arco d’Oriente invece, mi sarei calata io nei panni dell’eccezione: Quella Brutta. E avrei dovuto sentirmi a mio agio?
Le koralle mi avrebbero studiata con quei loro sguardi analitici, chiedendosi se veramente la futura regina Veraxis aveva stretto una qualsiasi legame con me.
Lanciai un’occhiata a Khail, che camminava spedito al mio fianco. Apparentemente per lui non esistevano problemi di sorta, come se Arco d’Oriente non fosse il luogo fuori dal comune che era. Ogni volta che accennavo al nostro arrivo a palazzo, reagiva con un sorriso divertito dal significato palese: e che sarà mai?
Mi infastidiva giocare il ruolo di quella spaventata, perché lui non sembrava trovare un motivo  legittimo alla mia ansia.
Eppure adesso la sua spavalderia iniziava a vacillare. Per quanto di fronte a me continuasse a mostrarsi tranquillo e fiducioso, avevo cominciato a percepire in lui una tensione  vibrante che andava salendo di pari passo con l’approssimarsi della nostra meta.
Khail non era più così sereno, anche se la nostra preoccupazione sembrava diramarsi in direzioni differenti. La mia era agitazione, nervosismo, la sua invece era una tensione meno manifesta, che rendeva i suoi sorrisi più tirati e la sua allegria meno spontanea.
- Ci siamo – mi disse all’improvviso – Dietro alla prossima curva c’è Arco d’Oriente.
Il cuore mi diede un guizzo tale da farmi bloccare in mezzo al sentiero.
Molto bene - mi dissi – Ora l’obiettivo è ottenere Shia. Non devo deludere Vera in alcun modo!
Khail non mi prese in giro per il panico in cui ero palesemente precipitata, improvvisamente sembrava più preoccupato di me.
- Andiamo? – lo esortai – È quasi il tramonto e per domattina vorrei ripartire.
Lui mi seguì docilmente, ma il suo passo mi sembrò meno rapido, quasi che Khail fosse restio a compiere l’ultima parte del tragitto.
Arco d’Oriente apparve, come promesso, dietro la curva e la sua bellezza mi colse impreparata, nonostante le descrizioni accurate di Tala. Le mura color avorio, le cupole arrotondate di un azzurro delicato, il portone di legno chiaro… conoscevo ogni cosa, ma vederlo dal vivo era la materializzazione di un sogno.
- È… splendido – bisbigliai, incredula.
- Trovi?
Khail, di fronte a tanta meraviglia, era rimasto completamente indifferente.
- Sembra il palazzo delle favole! Quello che ho sempre immaginato di trovare nella mia grande avventura!
- Quale grande avventura?
Lo squadrai con aria critica. Evidentemente, Khail era privo di qualsiasi senso del romanticismo.
- Niente. Su, muoviamoci!
Coprii gli ultimi metri che ci separavano dal portone prima che potesse chiedermi qualcos’altro.
Lui nel mondo delle favole ci viveva, come poteva capire?
Notai immediatamente il batacchio sulla porta, non c’erano guardie al portone e non restava che bussare.
Mi girai verso Khail, rimasto indietro. Mi guardava con un’espressione insolita, da cane bastonato.
- Allora, che ti prende?
Non riuscivo a capire il suo comportamento, non era ansioso quanto me di mettere fine a quella faccenda? L’ansia mi divorava, non sopportavo più l’attesa.
- Forza, bussiamo! – lo incitai.
Mi girai verso il portone e allungai una mano sul batacchio.
- Aspetta Allegra!
Mi fermai, stupita. Mentre mi giravo per chiedergli spiegazioni, Khail mi prese per un braccio tirandomi verso di lui. Abbassò la testa e mi baciò.
Il bacio durò un istante, giusto quei pochi secondi che permisero a una cinquantina di emozioni di attraversarmi il cuore. Quando si staccò, avevo avuto il tempo di sentirmi confusa, indignata, emozionata, felice e furibonda.
- Cosa ti viene in mente in un momento simile? -  urlai, con la voce tremante.
Lui sorrise imbarazzato, ma invece di rispondere afferrò il batacchio e bussò.
I colpi rimbombarono pesanti, propagandosi all’interno del palazzo.
- Il foglio, Allegra.
Con uno sforzo disumano m’imposi di riscuotermi dallo stordimento in cui ero precipitata e di restare concentrata sul momento presente. Mi chinai sulla sacca, in cerca del mandato con il sigillo.
Feci appena in tempo a sollevarlo, che uno sportellino si spalancò nel portone e due occhi verdi ci passarono in rassegna.
- Dobbiamo vedere isy Raishanta – disse Khail, con un’autorevolezza che non gli avevo ancora conosciuto – Abbiamo un messaggio urgente da riferire, assolutamente privato.
Gli occhi verdi passarono da Khail al foglio che tenevo alzato. Pochi attimi dopo il portone si apriva.
- Venite.
La koralla aveva capelli neri molto folti, stretti in una treccia. Era graziosa, ma non quanto Vera e non altrettanto sottile. Questo mi rincuorò.
- È fondamentale che il minor numero di persone possibile sappia della nostra presenza a palazzo – specificò Khail.
La koralla annuì facendoci strada. Doveva essere di poche parole, e in questo ricordava Vera.
Attraversammo un corridoio stretto rivestito di tappeti chiari, i muri erano tappezzati di arazzi dai complicati intrecci d’oro. Passammo poi in una stanzina che fungeva da anticamera, piccola ma fittamente decorata. Era come se in quel palazzo si fosse deciso intenzionalmente di non lasciare spazi vuoti.
La koralla si fermò davanti a una porta dipinta in bianco e oro.
- Avverto la Punta del vostro arrivo.
Scomparve silenziosamente all’interno della stanza, lasciandoci a fissare, in attesa, i ricami dorati della porta.
La Punta ci avrebbe veramente ricevuti senza indugio?
Khail ora sembrava nuovamente sulle spine, come se la sicurezza ostentata fino a un istante prima  gli fosse improvvisamente scivolata dalle tasche.
Perché mi aveva baciata?
A quel modo, in quel momento?
Scrollai la testa per scacciare i pensieri che tentavano di rompere gli argini  e tornare a ossessionarmi. Non era il momento adatto per riflettere su questioni personali.
Concentrai lo sguardo sulla porta decorata, ripetendomi che eravamo in emergenza.
La porticina tornò a spalancarsi e la koralla fece un cenno d’assenso in nostra direzione.
- Entrate.
Lasciò che varcassimo la soglia prima di uscire e richiudere la porta alle nostre spalle.
L’interno era vasto e luminoso, sui toni del giallo e dell’oro. Aveva le sembianze di uno studio, pure se riccamente adornato. Aveva poltroncine, larghi tappeti dorati, sei piccoli lampadari di cristallo e una grossa scrivania in legno chiaro, dietro la quale sedeva Raishanta.
La Punta aveva luminosi capelli biondi che bene s’intonavano all’oro della stanza, occhi azzurri indagatori, naso sottile e un viso affilato. Era un volto interessante, intrigante, ma l’insieme dei lineamenti ancora una volta non raggiungeva l’eterea perfezione di Vera.
Quindi…  forse era Vera l’eccezione, ancora una volta. Forse le koralle non venivano selezionate fra esemplari di perfezione genetica.
Raishanta si soffermò su di me per qualche istante, analizzando i miei insoliti tratti somatici. Poi i suoi occhi scivolarono su Khail e il volto le si aprì in un sorriso sincero.
Si alzò in piedi di scatto.
- Edhuar! – esclamò con gioia, venendoci incontro – Principe Edhuar!
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** Occhi aperti ***


-Seconda Parte-
 
 
I principi
 di
Katathaylon

 
 
“Quando si comprendono
i pensieri e le motivazioni dell’altra persona,
i rimproveri s’interrompono.
Si arriva a capire che la pura malvagità e la meschinità
sono rare”
(E. Giusti)
 
 
 
  
Mentre mi asciugavo vigorosamente i capelli con una salvietta, il sangue tornò a rifluirmi regolarmente nelle membra. Strofinai con ancor maggiore energia mentre la rabbia, risalendo dalle viscere con forza impetuosa, iniziava ad annebbiarmi il cervello.
Quando Raishanta aveva svelato alle mie orecchie incredule la vera identità su Khail, non ero riuscita a muovere un solo muscolo. L’improvviso disorientamento mi aveva confuso la lingua e mi aveva lasciata impietrita ad osservare Khail… Edhuar, che spiegava alla Punta quanto era accaduto.
Mi aveva sfilato delicatamente dalle mani il foglio con il sigillo per mostrargliene il contenuto e io ero rimasta lì, come una statua inebetita, a contemplare gli eventi che si spiegavano sotto il mio naso. Il fatto era semplice: c’erano talmente tante cose che avrei voluto dire, fare, gridare… talmente tante sensazioni che avrei dovuto provare… che si era annullate l’un con l’altra, come cento lacci che mi trascinassero con pari forza in cento direzioni diverse. In sostanza, non avevo fatto altro che rimanere  immobile  e muta.
Raishanta, che trattava Edhuar come un amico di vecchia data, aveva assicurato la sua collaborazione. D’accordo sulla necessità di mantenere segreta la nostra presenza, ci aveva assegnato due camere dove ci era stata offerta la possibilità di un bagno caldo e di una cena tranquilla.
Intrappolata senza sfogo fra l’incredulità, il dolore, la delusione e la rabbia, mi ero lasciata condurre nella mia stanza senza opporre resistenza. Solo più tardi, immersa nella vasca con l’acqua calda fin sopra la punta dei capelli, lo shock aveva iniziato a sciogliersi e il mio cervello aveva cominciato a rimettere ordine fra gli eventi.
Khail era Edhuar…
L’odiato principe Edhuar.
E io ero stata meschinamente ingannata.
Chiusi gli occhi aspirando il profumo del sapone, mentre assimilavo il concetto.
Sembrava che Edhuar avesse lasciato Alexen con quell’Ad’hera di cui mi parlava Vera, e fosse venuto ad Arco d’Oriente.
Sbarrai gli occhi e uscii di scatto dall’acqua, mentre il mio cervello faceva A più B.
Edhuar non era interessato solo a Rah…
Voleva Shiarah tutta intera!
E io gli avevo permesso di ottenerla, fornendogli con il foglio di Vera il sostegno di cui aveva bisogno!
La scoperta m’ inondò di sgomento.
Ero stata inviata da Vera per recuperare Rah e ripristinare l’equilibrio, per salvare Alexen… e io ero diventata complice di Edhuar!
Mi vestii in fretta e furia e passai rapidamente la salvietta sui capelli, mentre finalmente la rabbia si decideva a esplodermi in testa. Sentii l’odio irradiarsi nel mio corpo man mano che la consapevolezza di essere stata tradita si faceva più acuta.
Avevo creduto a Khail.
E… mi ero quasi presa una cotta per lui.
No, non quasi. Mi ero presa una bella cotta per lui!
E c’erano stati momenti in cui mi ero convinta di piacergli.  Di piacergli così com’ero!
Avevo quasi pensato di raccontare alla mamma che sì, a Katathaylon c’era davvero un cavaliere biondo che mi apprezzava.
Che umiliazione bruciante! Non riuscivo a tollerarla!
Divorata dall’ira gettai la salvietta su una sedia e mi precipitai in corridoio. Passai davanti a numerose porte come una furia, fermandomi davanti a quella dietro cui Raishanta aveva lasciato Edhuar. La spalancai senza bussare e lo feci sobbalzare.
Era vestito ma, come me poco prima, stava strofinando i capelli umidi con la salvietta.
Vederlo fu ancora più doloroso di quanto credessi.
- Brutto bastardo! – mi sentii gridare e mi gettai su di lui.  Che importanza poteva avere ormai, se altri scoprivano la nostra presenza?  Lo spinsi contro il muro con tutta la violenza della mia furia.
- Sei uno stronzo bugiardo! Come ti sei permesso di prendermi in giro?
Era così sorpreso che non reagì, così approfittai del suo smarrimento per fargli lo sgambetto e lui cadde a terra con un gemito. Mi buttai su di lui a cavalcioni e gli assestai un pugno nello stomaco provocandogli un ansito strozzato.
- Ti sei divertito in questi giorni? – gridai, calando un altro colpo – Hai riso abbastanza alle mie spalle, mentre fingevi di non sapere cosa stesse accadendo a Palazzo?
Edhuar non reagiva ai miei pugni, stordito dalla mia furia. E io non riuscivo più a smettere di colpirlo.
- Non sono tenuto a sapere cosa fanno i pezzi grossi! – lo scimmiottai – Non m’interessano le magagne dei reali! Sei solo uno stronzo bugiardo! Non hai fatto che mentirmi su ogni cosa! Sulla tua storia, sul tuo carattere, sul tuo vero obiettivo… persino sul tuo nome!
Gli sbattei in faccia quell’ultima affermazione con tanto odio da farlo impallidire.
- Non hai avuto il fegato di dirmi chi eri, vero? – lo provocai, mentre un mio ennesimo colpo lo faceva tossire in cerca d’aria – Hai preferito ingannarmi come un vigliacco, perché sono questi i mezzi che usa il principe Edhuar! Fa torturare il proprio fratello, inganna i compagni di viaggio, non si fa scrupoli ad usare la gente! Sono queste le tue abitudini, stronzo? Fingerti un altro per conquistare la mia fiducia e poi incastrarmi?
La rabbia che provavo m’impediva di avere pietà di Edhuar, dolorante sotto i miei colpi.
- Sei soddisfatto di te? – sbottai – Sei riuscito a farmela, hai visto?  Hai usato la mia pergamena per convincere Raishanta a darti Shia!
Mi chinai verso di lui, avvicinando il mio viso al suo.
- Mi fai schifo – sibilai, vicino al suo orecchio – Io ti disprezzo.
Le lacrime mi punsero gli occhi, così mi alzai di scatto e mi precipitai alla porta per evitare che mi vedesse piangere.
Percorsi correndo la distanza che mi separava dalla mia camera, entrai e richiusi la porta alle mie spalle, appoggiandomi di schiena contro il legno chiaro.
Lentamente scivolai a terra, mentre le lacrime iniziavano a sgorgare.
E adesso cosa avrei fatto?
Raishanta era amica di Edhuar, si fidava di lui, gli avrebbe consegnato Shia. Io come potevo farle cambiare idea?
Ero arrivata a palazzo con il principe, gli avevo lasciato usare il mio foglio con il sigillo, era la mia parola contro la sua. Sarei sembrata una pazza!
Vera! Come devo comportarmi?
Se almeno fossi stata in grado di comunicare con lei, come lei faceva con me! Avevo così tanto bisogno di parlarle!
Lasciai che le lacrime si esaurissero, poi mi rialzai e andai a sciacquarmi il viso.
Per quanto restassi del tempo a riflettere sulla situazione, non mi restava altra scelta che spiegare a Raishanta la verità. Anche se fosse stato inutile, dovevo tentare il tutto per tutto.
Attesi finché il mio viso non riprese un colorito normale, mi rassettai il vestito, spazzolai i capelli e cercai di tenere le spalle dritte.
Valevo molto poco come diplomatica e il mio aspetto ordinariamente arruffato non aiutava.  A Vera bastava raddrizzare la schiena e sollevare il mento per risultare credibile oltre ogni ragionevole dubbio. A me sarebbe sembrato un successo, quella sera, non essere presa per pazza.
Scivolai cautamente in corridoio e ripercorsi a ritroso la strada seguita poco più di un’ora prima. Per mia fortuna non incrociai nessuno, perché non avrei saputo come giustificare ad altre eventuali koralle la mia presenza. Ora che avevo recuperato un minimo di controllo, mi rendevo conto che la scenata fatta a Edhuar era stata un atto sconsiderato. Avevo urlato a voce troppo alta e fatto un mucchio di rumore, mettendo  a repentaglio il segreto della mia missione. Anche se Khail era un traditore, il mio obiettivo non cambiava… cosa avrei fatto se  tutti fossero venuti a conoscenza dei fatti accaduti ad Arco d’Occidente? Se l’equilibrio si fosse fatto instabile?
 Non impari proprio niente dal passato! – mi rimproverai rabbiosamente.
Mi soffermai di fronte alla porta bianca e oro dello studio di Raishanta e respirai a fondo.
Calma e dignitosa – mi raccomandai.
Bussai alla porta pregando che Raishanta si trovasse ancora in quella stanza.
- Avanti.
Varcai la soglia con un misto di sollievo e trepidazione.
 La Punta non sembrò sorpresa di vedermi, mi accolse con un sorriso amichevole.
- Isy Allegra! – salutò, alzandosi dalla scrivania – Spero che la camera e il bagno siano stati di vostro gradimento!
- Oh… sì, era tutto perfetto – balbettai, disorientata da tanta deferenza. Isy  a me?!?
- Venite, sedetevi con me.
Raishanta si accomodò su una poltroncina tessuta in oro scuro e mi fece segno di sistemarmi di fronte a lei.
Sedetti un po’ rigidamente, impacciata dal lungo abito a cui non ero abituata.
- È stato un viaggio duro, vero? Il principe ha detto che siete venuti a piedi e avete sempre dormito all’aperto. So che nel Mondo di Fuori siete abituati a ben altre comodità! – accennò alle candele che adornavano la stanza e al caminetto fiammeggiante – Luce elettrica, impianti di riscaldamento… Tala mi ha tenuta informata!
- Sì, è vero… Però il viaggio non mi è sembrato così duro – una morsa d’angoscia mi fece mancare la voce. La mia mente aveva velocemente ripercorso le tappe del viaggio e si era soffermata spontaneamente su alcune immagini: le risate con Khail, gli scherzi reciproci, il bagno nel fiume, il tragitto mano nella mano. Tutto ciò che in quei giorni era stato piacevole, ora si tingeva dolorosamente d’inganno.
Raishanta stava sorridendo.
- Posso immaginare quello che intendete, viaggiare con il principe deve essere un’esperienza gradevole.
Dovette accorgersi che mi ero irrigidita, perché il suo sguardo si fece dubbioso.
- Qualcosa non va, isy Allegra?
- A dire il vero, è proprio del principe che sono venuta a parlarvi.
Raishanta raddrizzò la schiena e strinse le mani in grembo in atteggiamento d’ascolto.
Come dovevo introdurre l’argomento?
- Edhuar è un traditore.
Mi maledissi ancora prima di aver finito di parlare. Alla faccia della diplomazia!
- Cosa intendete? – domandò la Punta, senza scomporsi.
- Ha fomentato una rivolta ad Arco d’Occidente e ha imprigionato suo fratello per prenderne il posto. È stato lui a spezzare il sigillo di Rah e ora è venuto a prendere Shia. Mi ha mentito sulla sua identità… ho scoperto solo oggi chi fosse, quando voi avete pronunciato il suo nome. In mia presenza aveva sempre finto di non conoscere la situazione che stanno vivendo a Palazzo. Ma la verità è che sta cercando di ottenere Shiarah per sé!
Avevo parlato così rapidamente da farmi mancare il fiato.
Zero diplomazia, zero dignità, zero autorevolezza.
Ero stata la solita Allegra su tutta la linea! Io sì che non avevo problemi ad essere me stessa.
E infatti sul viso di Raishanta traspariva ora una viva incredulità.
- Sul foglio col sigillo, Tala non faceva cenno al principe Edhuar.
- Quando sono partita, le informazioni che avevamo su Arco d’Occidente erano ancora incomplete. Isy Veraxis ha raggiunto poco dopo il Palazzo e mi ha fatto avere notizie più precise inviandomi immagini mentali.
Raishanta ora scuoteva la testa, come se non potesse accettare la notizia.
- Non credo che questa sia la realtà dei fatti – disse alla fine – Conosco Edhuar da quando eravamo bambini, mi viene difficile pensare che desideri Shiarah per sé.
- Dovrete iniziare a crederlo invece. Mentre è qui, suo fratello è crudelmente torturato su suo ordine, perché riveli il luogo dove si nasconde Rah!
Raishanta scosse di nuovo la testa.
- Isy Raishanta! – gridai esasperata – Non potete consegnare Shia a Edhuar! Sarebbe un enorme sbaglio! Tala e Vera hanno inviato me, perché la conducessi ad Arco d’Occidente!
La Punta sorrise e mi sfiorò la testa con una carezza premurosa. Era diversa da Vera: più calda, più umana.
- Isy Allegra, siete un animo focoso e vi muovete sulla base dei vostri istinti. Ma io conosco Edhuar da più tempo di voi e nutro una profonda fiducia in lui. Non gli volterò le spalle sulla base di accuse che non posso provare.
- Ma è lui che ha voltato le spalle a suo fratello! Dovete credermi!
- Vi credo – il sorriso di Raishanta non vacillò – Ma lasciate che risolvano fra loro la questione. Non dobbiamo intrometterci nei problemi della famiglia reale.
La stizza mi fece quasi boccheggiare. D’accordo, non ero stata diplomatica quanto avrei voluto, ma non stavo parlando neppure una lingua sconosciuta. Lasciate che risolvano fra loro la questione!??!!? Avevo appena detto che Alexen era sotto tortura!
- Non sono problemi unicamente loro – protestai, cercando di percorrere una nuova strada – L’erede al trono è stato spodestato, in breve la notizia farà il giro di Katathaylon! Questo non riguarda anche voi? Non riguarda tutto il popolo?
- A noi serve un re – rispose lei con calma – Chi sia dei due non ha importanza. Ascoltatemi Allegra, lasciate che Edhuar e Alexen risolvano le loro discordie come meglio credono e rimanete tranquilla. Ve lo ripeto, dubito seriamente che il principe desideri Shia per i suoi interessi personali. E in ogni caso sono tenuta a servirlo e a obbedirgli.
- Questo è un errore! Tala e Vera hanno chiesto che Shia fosse consegnata a me!
Raishanta si levò in piedi.
- Non cambierò idea. Devo rispetto e obbedienza al principe Edhuar.
Rimasi a bocca aperta per l’incredulità. Come poteva essere così cieca?
Era questo che intendeva Vera, quando mi diceva che le koralle erano tacciate di un’eccessiva rigidità?
Beh, aveva ragione. Raishanta era peggio di un mulo!  Di cento muli!
Mi alzai in piedi di scatto.
- Quando vi renderete conto del danno che avrete fatto, sarà troppo tardi! Vi pentirete di  non avermi ascoltata! Siete una donna ostinata e testarda!
Non avrei mai e poi mai immaginato di poter insultare una koralla. Di insultare… la Punta!
Ma la mia furia, a quanto pareva, poteva questo e altro ancora e me ne andai sbattendomi la porta alla spalle.
Era stato un fallimento completo, non ero riuscita a ottenere nulla.
E, beffa conclusiva, entrando nell’anticamera quasi travolsi Edhuar, fermo di spalle al muro come se mi stesse aspettando.
- Non mi darà Shia! – lo aggredii furibonda – Ma scommetto che te lo immaginavi! Ti crede un santo!
Feci per andarmene, poi mi colse il sospetto che lui fosse lì per parlarmi.
Chissenefrega, è solo uno stronzo bugiardo!
Però ero curiosa.
Mi fermai e mi girai verso di lui.
- Hai qualcosa da dirmi, stronzo bugiardo?
Lui non si era ancora mosso, il suo atteggiamento emanava calma e contrizione.
- Allora?
- Gli amici mi hanno sempre chiamato Khail – disse lui, a voce bassa ma chiara.
- Come?
Di cosa stava parlando adesso?
- Mi è sempre piaciuto arrampicarmi sugli alberi, fin da quando ero piccolo. Così gli amici mi hanno soprannominato Khail. Tutte le persone più vicine mi hanno chiamato sempre a quel modo.
Per un momento credetti che fosse impazzito, poi compresi che si riferiva a quello che gli avevo detto in camera. Gli avevo rinfacciato di avermi mentito su ogni cosa.
- Questo non cambia niente, Edhuar – ribattei, calcando la voce sul suo nome – Sai perfettamente che se mi avessi rivelato subito la tua identità, le cose sarebbero andate in modo diverso.
- Lo so – rispose calmo – Ma ora ho comunque qualcosa da chiederti.
- Cosa vuoi da me?
Era incredibile che osasse farmi una richiesta! Stava sottovalutando la mia furia?
- Fai con me il viaggio fino ad Arco d’Occidente.
Che sfacciataggine inconcepibile!
- Vuoi che viaggi con te come se tutto fosse normale? – urlai allibita – Come se tu non fossi uno sporco traditore? O vuoi darmi a bere che non è così?
- No – disse lui, staccandosi dalla parete – Ti dirò la verità. Hai ragione, in questi giorni ti ho sempre mentito.
- Questa ormai è un’ovvietà – obiettai, sarcastica.
- È vero – proseguì lui – Ho fomentato la rivolta a palazzo. E sì, ho imprigionato mio fratello. Ma non sono stato io a spezzare il sigillo di Rah. Qualcun altro deve aver approfittato della confusione a palazzo quando ho catturato Alexen. Desidero Shia solo per ripristinare l’equilibrio. In questo senso, il nostro obiettivo resta comune.
- Se è davvero come dici, lascia che sia io a tenere Shia!
Edhuar strinse le labbra.
- Shia sarà sotto la mia custodia.
- E allora come pensi che possa crederti? – esclamai stizzita – Non hai fatto altro che mentirmi e adesso pensi che due frasi dette nel tono giusto mi portino dalla tua parte?
- Ti chiedo solo di poter viaggiare insieme come abbiamo fatto finora.
- Io credo che tu sia completamente impazzito invece – dissi – Penso che tu non abbia ben chiara la situazione!
- Ho capito perfettamente invece – mormorò. I suoi occhi trasparenti non mi lasciavano un momento – Mi disprezzi. Ti faccio schifo. Vorresti sputarmi in faccia. Fallo pure, se credi, ti chiedo solo di venire con me.
Trattenni il respiro. La sua arroganza mi faceva imbestialire. Sorvolava con indifferenza sull’accaduto, come se… come se il dolore che mi aveva provocato non avesse alcuna importanza.
In tre passi gli fui di fronte e gli rivolsi uno sguardo in cui bruciava tutto il mio risentimento. Poi raccolsi la saliva e sputai.
Lo feci davvero!
Edhuar non mostrò sorpresa né repulsione, rimase immobile continuando a guardarmi con quegli occhi seri e tristi, mentre la mia saliva gli colava in faccia.
- Riflettici Allegra – sussurrò.
Girai sui tacchi e corsi via.
 
In camera cedetti a una nuova crisi di pianto. Davanti agli occhi avevo di continuo la scena appena vissuta, risentivo in testa la voce di Edhuar… un po’ triste, è vero, ma pacata, mentre mi diceva tranquillamente… “Ti ho sempre mentito, sì, ma viaggiamo insieme comunque!”
La sua totale mancanza di rimorso verso le menzogne che mi aveva rifilato, indicavano che non era affatto pentito di avermi ingannata…
… e che non era anche solo minimamente consapevole di quanto fossi ferita.
Al contempo però, era totalmente sconcertante anche la sua mancanza di reazioni alla mia aggressività. L’avevo insultato pesantemente, l’avevo picchiato e gli avevo sputato addosso, senza che lui avesse tentato una sola volta di difendersi.
Se Edhuar era così buono come lo definiva Raishanta, non avrebbe dovuto scusarsi? Non avrebbe trattato meglio il proprio fratello?
Ma se era quella bestia inumana che mi ero raffigurata durante il viaggio fino a qui, perché si lasciava maltrattare e umiliare da me senza opporsi?
Mi presi la testa fra le mani, stordita dai miei stessi pensieri.
Anche la richiesta che mi aveva fatto non aveva senso, Edhuar non aveva convenienza a tenermi con sé. Era chiaro che avrei trascorso ogni istante del viaggio cercando di trafugargli Shia.
Se aveva imparato a conoscermi, non poteva ignorare come sarebbero andate le cose.
Sarei andata con lui, naturalmente. Ero stata inviata da Vera con lo scopo di ottenere Shia e portarla ad Alexen, non avevo altra scelta se non seguirlo. E poi era Edhuar stesso a volermi con sé.
Tuttavia sospettavo che si sarebbe pentito molto presto di avermelo chiesto.
 
 
*        *        *
 
 
L’alba era di un lividore violaceo, glaciale. A Katathaylon, maggio era un mese ancora freddo.
Con gli occhi stanchi e segnati da una notte insonne seguivo Raishanta ed Edhuar come in sogno, lungo l’intreccio di vie che percorreva il giardino del palazzo.
La Punta aveva spezzato il sigillo di Shia, e ora ci stava portando da lei.
Nonostante il freddo, Raishanta indossava un vestito leggero. Camminava rapida sul sentiero ghiaioso come se i suoi passi silenziosi non avessero peso, la sua figura possedeva i colori dell’alba.
Shia era nascosta in una minuscola rientranza nella roccia completamente ricoperta da spesse coltri di edera. Quando Raishanta comparve con la Perla fra le mani, provai un brivido di aspettativa.
Shia era minuscola, una piccola sfera opalescente non perfettamente regolare. Di primo acchito sembrava di un bianco lattiginoso, ma bastava un istante per notare che raccoglieva in sé tutte le più svariate sfumature di colore. Era un oggetto delicato e affascinante, ma apparentemente innocuo. Eppure, guastarne l’equilibrio equivaleva a causare disastri incomparabili!
Raishanta la porse a Edhuar, che la prese con estrema cautela, affascinato quanto me da quel minuscolo portento.
- Isy Raishanta – dissi in un ultimo tentativo – Se fossi in voi considererei attentamente le mani in cui la state posando.
- Sono le mani del mio principe – rispose lei, impassibile - Mani che meritano fiducia, perché ad esse è stato assegnato il controllo del Braccialetto del Re.
Il Braccialetto?
Era fra le tante cose di cui ci aveva parlato Tala nel corso degli anni. Frugai nella memoria con attenzione, per recuperare tutte le informazioni che avevo al riguardo.
Toglieva i poteri al re. Veniva affidato a una persona di fiducia, che supervisionasse l’operato del sovrano.
Chi possedeva il Braccialetto del Re, lo indossava sempre, per poterlo utilizzare in qualsiasi momento fosse necessario.
Controllai le braccia di Edhuar, ma ero già sicura che fossero nude. In cinque giorni di viaggio, me ne sarei accorta.
- Il principe non porta il Bracciale! – esclamai, mentre Raishanta iniziava già a tornare verso il palazzo – Scommetto che in questo momento si trova al polso di Alexen!
Lei continuò ad allontanarsi, come se non avessi parlato, ormai rigida e ingessata nella sua posizione. Edhuar invece accusò il colpo e portò inconsciamente una mano alla gola.
Quel gesto mi riportò in un flash al bagno che avevamo fatto nel fiume… alla catena d’oro che gli avevo visto al collo, e alla chiave che avevo scambiato per un semplice ciondolo.
Che stupida ero stata… Era la chiave del Braccialetto! Se avessi avuto occhi meno ingenui, forse sarei arrivata prima alla verità!
- Allora ho ragione! – gli dissi, vedendo che era impallidito – Ho ragione, ammettilo! – mi avvicinai a lui a passi rapidi – Hai usato il Braccialetto del Re su Alexen solo per poter avere la meglio su di lui!
Edhuar reagì improvvisamente. Arretrò di un passo e i suoi occhi si fecero glaciali. Fu come se un muro spesso e invalicabile fosse calato in mezzo a noi.
- Sì, è vero – rispose, con una voce fredda che non gli avevo mai sentito – Ho imposto a mio fratello il Braccialetto anche se non se lo meritava. Io non ho i suoi poteri, non sarei riuscito a sopraffarlo in altro modo.
Il suo cambiamento improvviso mi congelò la lingua. Quando s’incamminò, lo seguii in silenzio.
Fra i miei pensieri s’insinuò vischiosamente una nuova consapevolezza.
Quello era il principe Edhuar che aveva tradito il fratello.
Avevo appena visto il suo vero volto.
 
 
Partimmo mezzora più tardi. C’incamminammo sotto un cielo che, lentamente, si faceva sempre più azzurro.
Salutai Raishanta con freddezza, io ed Edhuar ci avviammo senza dirci neppure una parola.
Il viaggio di ritorno sarebbe durato cinque giorni. Prevedevo tempi duri.
 
 
 

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Capitolo 11
*** Appoggio ***


 
Vera spezzò in due la forma di pane. Ne riappoggiò una parte sul vassoio tenendo l’altra nella mano sinistra, mentre con la destra continuò a mangiare la zuppa.
Era la quarta volta che veniva condotta fuori per il pasto e aveva l’impressione che la guardia iniziasse a rilassarsi. Pur con l’incarico di controllare che mangiasse ogni cosa, ora la sua sorveglianza si era fatta meno puntigliosa.
E poi, quell’uomo non era ostile. La trattava con gentilezza e rispetto e, come il primo giorno, ogni volta che le grida di dolore di Alexen riempivano il corridoio, assumeva un’espressione tormentata. Vera era quasi sicura che fosse ancora fedele ad Alexen.
- Come vi chiamate? – gli domandò di punto in bianco.
L’uomo sobbalzò. Sembrò sorpreso della domanda e per un momento esitò, guardandosi intorno intimorito. Vera approfittò di quei pochi secondi per nascondere nel vestito il pane che reggeva nella sinistra. Quando l’uomo tornò a guardarla, stava mangiando l’altro pezzo.
- Sono Sammel, isy.
- Ditemi Sammel, quali sono le condizioni del re? Ho saputo che giorni fa la sua salute era precaria.
Lui rifletté un momento, poi annuì fra sé, come a stabilire che poteva parlare.
- Il re è molto grave e non vivrà a lungo, i medici sono concordi.
- È a conoscenza della situazione a palazzo?
- Certamente – abbassò la voce – È stato Ad’hera in persona a comunicargli la notizia. Da quel momento la stanza del re è tenuta sotto sorveglianza, in attesa che…i suoi giorni finiscano. Né Ad’hera né Edhuar probabilmente osano assassinarlo.
Vera era sicura di aver sentito nella sua voce una nota di indignazione.
- Avete modo di incontrare il principe Edhuar? Come si sta comportando a palazzo?
- Non ho notizie in merito. Ho assistito alla rivolta, ma dopo aver visto il principe catturare suo fratello non ho più avuto modo d’incontrarlo. Le disposizioni ci vengono sempre date dal kalashà.
In quel momento un urlo più forte degli altri lo fece sobbalzare, alcune goccioline di sudore gli comparvero sulla fronte. La guardò con occhi sfuggenti.
- Isy… come fate a sopportarlo?
Vera alzò lo sguardo su di lui e disse in un sussurro.
- Forse riesco, perché io non l’ho tradito.
Questo lo fece nuovamente trasalire. Abbassò gli occhi, pieno di vergogna.
-  Però potreste apprezzare il suo coraggio, Sammel. Il principe Alexen sta affrontando una prova molto dura.
- Ne sono consapevole isy – sussurrò a occhi chiusi.
Vera si alzò dalla panca. Per quel giorno poteva bastare.
Si fece riaccompagnare in cella e dopo pochi minuti ricondussero Alexen.  Gli si avvicinò per aiutarlo, ma lui le pose una mano sul braccio.
- Diventerò dipendente da voi, se venite in mio soccorso ogni volta. Non sarò più in grado di resistere da solo – bisbigliò con voce roca.
- Non ne avrete bisogno. Non mi allontanerò da voi finché non  sarete libero.
- Isy Veraxis…
-  Non rifiutate il mio aiuto principe – lo scongiurò – La vostra vita è appesa a un filo, non potete rischiare!
Alexen le lasciò il braccio e appoggiò stancamente la nuca al muro. Chiuse gli occhi con un sospiro.
Vera gli prese una mano e si concentrò sulle sue ferite. Nella sua mente apparvero una a una, riuscì a individuare ogni zona vulnerabile, tremante. Sparse energia attorno ai suoi lividi, ai morsi della fame, ai brividi. Le bastò includerli dentro di sé, perché Alexen iniziasse a respirare meglio.
Poi la sua energia si trovò a cozzare contro un grumo di dolore ben delineato. Provò a penetrarlo, ma le fece resistenza. Era tenace e duro come pietra, ma rovente. Vera ci girò intorno a lungo prima di comprendere che era un dolore emotivo.
Aprì gli occhi e lasciò la mano di Alexen.
- C’è qualcosa che vi tormenta – disse, senza preamboli – È un dolore molto più forte delle vostre ferite. È più forte persino della vostra preoccupazione per Rah. È il tradimento di vostro fratello che non vi dà pace?       
Alexen aprì gli occhi e la guardò con curiosità.
- Non sapevo aveste questa capacità. Leggete il cuore delle persone?
- No principe. Ma quando espando la mia energia, individuo ogni fonte di dolore. E nel vostro cuore c’è una ferita così pulsante che ha richiamato la mia attenzione. Però non posso fare nulla per arginarla, se non ne conosco la natura.
- Non è il tradimento di mio fratello a rodermi – confessò lui, piano.
Vera attese in silenzio.
- È il fatto che non voglia vedermi – riprese lentamente – Dopo avermi messo il Bracciale, mi ha voltato le spalle. Non ha detto neppure una parola, non ha voluto ascoltarmi. Manda Ad’hera a interrogarmi e sebbene chieda di lui di continuo, non è mai sceso a incontrarmi. Io… non capisco.
Vera non si era aspettata quella risposta.
- Avevate un rapporto tale con lui, da aspettarvi che volesse parlarvi?
Alexen chinò la testa.
- In realtà erano anni che mi evitava. Ma in questa situazione credevo che…
Emise un gemito e si nascose la testa fra le mani.
- Se vi evita da anni, significa che da tempo non ha più interesse per voi. Potrebbe trovare una perdita di tempo dedicarvi l’ascolto che volete. Per lui è molto più comodo che sia Ad’hera a risolvere la questione. E voi dovreste farvene una ragione, non avete bisogno di altro dolore.
Lui non rispose.
- Principe…
- Chiamatemi Alexen – la interruppe – Sono inutili le formalità in questo luogo.
- Nel Mondo di Fuori mi chiamano Vera – disse lei, senza scomporsi.
Lui annuì stancamente.
- Vera… le cose sono molto più complesse di come le possiate immaginare. Io… so che voi koralle avete la tendenza a vedere il mondo in bianco e nero. Ma io non sono poi così candido e Edhuar…non è nero.
- Ma come potete…
- È così. Ed è proprio per questo che non mi capacito di quello che sta accadendo. Non parlo della rivolta, parlo… di questo rifiuto di mio fratello di vedermi.. E della crudeltà che mostra verso di voi, nell’acconsentire a tenervi prigioniera in questo luogo!
Alexen notò il suo sguardo e sospirò.
- Non potete capire – ripeté – Le cose sono ingarbugliate.
- Se non mi aiutate a comprendere, non potrò aiutarvi a stare meglio.
- Potete farlo davvero? Potete agire sui sentimenti delle persone?
- Posso calmare la paura. Posso placare la rabbia. Posso agire sul disgusto, sull’ansia, sul risentimento.
Alexen scosse la testa.
- Non ho bisogno di questo. L’unica cosa che può aiutarmi è vedere Edhuar.
Era irremovibile e lei decise di arrendersi. Estrasse dal vestito il pane che aveva nascosto.
Troppo poco per saziare il principe, ma sufficiente a ingannare il suo corpo per un po’.
Gli occhi di Alexen rimasero fermi sul pane per un istante, poi si fissarono su di lei.
- Che cosa..?
- Sono riuscita a nasconderlo alla guardia, purtroppo non è granché.
Glielo porse, ma lui non si mosse.
- Anche voi mangiate molto poco Vera. Non posso prendere il vostro cibo.
Lei afferrò la sua mano e vi pose a forza il pane.
- L’unico motivo per cui sono qui – sussurrò – è aiutarvi a sopravvivere. Non so quando riuscirò ancora a nascondere del cibo, per cui mangiate questo pane perché vi assicuro che io non lo toccherò.
Dopo averla fissata in silenzio qualche istante, Alexen strinse le dita attorno al pane.
- Dovete masticare lentamente e molto a lungo, è troppo tempo che non toccate cibo. Quanti giorni sono che non mangiate?
Lui scosse la testa disorientato.
- Da quanto tempo siete arrivata?
- Cinque giorni.
- Allora devono essere sette.
Vera annuì. Tornavano i conti.
- Mangiate un piccolo pezzo alla volta.
Alexen staccò un boccone di pane e masticò lentamente. Poi porse il resto a Vera.
- Datemene voi un pezzo alla volta – disse con  un sorriso amaro – o non riuscirò a controllarmi.
Vera fece come le aveva detto.
Avrebbe desiderato aiutarlo nel suo tormento interiore, ma il principe aveva ragione… era troppo complicato. Non riusciva a comprenderne le emozioni sotterranee, era un groviglio inestricabile di rovi e lei avrebbe dovuto risalire alle radici avviluppate in profondità.
- Vi sentite un po’ meglio? – gli domandò, quando ebbe finito di mangiare.
Lui si appoggiò al muro e chiuse gli occhi, sul viso un’espressione mortalmente stanca.
- Non ricordavo più la sensazione del cibo nello stomaco – mormorò.
- Ora cercate di dormire.
Alexen assentì. Dopo qualche minuto però, la sua voce arrochita si fece sentire.
- So bene, Vera, di essere troppo orgoglioso per ammettere che ho bisogno del vostro aiuto. Ma la verità è che avervi qui per me è un sollievo. E non saprò mai esprimervi a sufficienza la mia gratitudine.
- Esprimetemela restando in vita – bisbigliò lei di rimando.
Le parole di Alexen l’ avevano colta di sorpresa. Se lui avesse aperto gli occhi, le avrebbe letto la confusione in volto. Aiutarlo era suo preciso dovere e non si attendeva alcuna gratitudine per le sue azioni. Le parole di Alexen però, andavano a toccare una corda che, nel suo cuore, non aveva mai vibrato prima di quel momento. E, non per la prima volta da quando si trovava in quel luogo, provò una fitta di sgomento.
 

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Capitolo 12
*** Rabbia ***


Fino all’ora di pranzo non ci rivolgemmo neppure una parola.
Lasciai che Edhuar mi camminasse avanti perché, nonostante con me avesse fatto l’innocentino, non potevo fidarmi delle sue presunte buone intenzioni. Anche se, viste le mie di intenzioni, avrebbe dovuto essere lui a diffidare e temere.
L’idea di tramortirlo con una pietra per sottrargli Shia mi attraversò la mente, ma nonostante l’esubero di rabbia, non era una possibilità che mi attraesse particolarmente. Passai comunque in rassegna le rocce ai lati del sentiero: alcune mi sembrarono troppo piccole e leggere, altre terrose e friabili, altre ancora difficili persino da sollevare.
E poi, a dirla tutta, non avevo la più assoluta idea di quanto forza fosse necessaria per tramortire un uomo, né di quali fossero i punti migliori in cui colpirlo. Non ero un’assassina e non volevo diventarla a conseguenza di un colpo maldestro.
Così i miei stati d’animo passavano dalla furia della rimuginazione alla freddezza del calcolo mentale, senza tralasciare momenti di cupa tristezza, quando i miei pensieri sfioravano il ricordo di un altro tipo di viaggio.
Il silenzio e la distanza che pesavano tra noi come aria torbida, mi riempivano di angoscia a confronto delle risate  e della complicità con cui era iniziato il nostro viaggio.
Più di una volta mi trovai con gli occhi pieni di lacrime. Nonostante l’odio che provavo per Edhuar, non riuscivo a cancellare il dolore bruciante per la mancanza di Khail.
Khail mi piaceva. E mi mancava.
Non avevo avuto neppure il tempo di assaporare l’emozione del nostro unico bacio, prima che fosse avvelenata dalla verità.
Anche Edhuar non era tranquillo, camminava con le orecchie tese e spesso, di sfuggita, si voltava a controllarmi. Forse, dopotutto, si aspettava quella pietra in testa.
Quando il sole fu al centro del cielo, ci fermammo sotto gli alberi a pranzare. Edhuar divise la carne e il pane e me li porse con la consueta gentilezza che, a questo punto, non faceva che accrescere la mia irritazione. Li afferrai bruscamente, per sottolineare ancora una volta la fermezza della mia posizione, ma lui non si risentì del mio atteggiamento. Si comportava come se fra noi non fosse cambiato nulla e questo aumentava la mia ira. Sembravo io la pazza, con il mio atteggiamento scontroso, mentre lui che doveva rappresentare il cattivo, rispondeva alla mia scortesia con un sorriso.
Era tutto sbagliato, me ne rendevo conto, ma in certi momenti era veramente come se fossi io quella nettamente e totalmente dalla parte del torto!
Allora dovevo fermarmi a schiarire i pensieri, a richiamare alla memoria le parole di Vera, le immagini che mi aveva mostrato.
- Vuoi ancora della carne?
Distolsi lo sguardo con fastidio dal volto gentile di Edhuar, senza dargli risposta.
- C’è anche un po’ di frutta – insistette.
Finsi di non sentire le sue parole, sperando che si decidesse a ignorarmi a sua volta.
Ma non era quella la sua intenzione.
- Dovresti mangiare di più – intervenne, con voce divertita – O perderai anche la poca carne che hai addosso!
- Così userò le mie ossa appuntite per trapassarti da parte a parte! – ritorsi, stizzita.
Lui mi fissò un momento, sbalordito per la mia risposta. Poi esplose in una risata fresca, la risata di Khail, che mi strinse il cuore.
- Accidenti, mi piacerebbe vederla quella scena! – sogghignò.
- Io non riderei tanto! – sibilai infuriata – Gli stronzi come te finiscono sempre per avere quello che meritano!
Ma lui nuovamente non raccolse.
Proseguimmo su questi toni per tutto il pomeriggio, lui mi si rivolgeva per qualsiasi banalità e io cercavo rabbiosamente di metterlo a tacere, ma poco dopo tutto ricominciava. L’intera situazione era un tormento,  frustrante oltre ogni immaginazione. Sembrava che Edhuar fosse inattaccabile, come se nulla potesse smuoverlo, scomporlo o ferirlo. Non dava peso alla mia rabbia e di conseguenza la rendeva priva di significato, come se non avessi alcun diritto di sentirmi ferita.
Urgeva la necessità di delimitare nuovamente i confini. Le cose erano cambiate e non aveva senso che lui continuasse a comportarsi come prima. Io non potevo più credere nella sua gentilezza, nella sua semplicità. Avevo bisogno di certezze, di sentire che ero nel giusto. Di sapere che non ero una pazza visionaria assetata di sangue e che il compagno di viaggio che mi trattava con tanta galanteria era davvero il mio crudelissimo acerrimo nemico.
Così, quando all’ora di cena mi trovai ad armeggiare con un grosso ramo caduto, nel tentativo di adattarlo come ripiano per il pranzo, e Edhuar mi domandò “Hai bisogno di aiuto?”, esplosi.
- Non ho bisogno di aiuto! – gridai esasperata – Non ho bisogno di te punto e basta! Vuoi capirlo che ti detesto? Come devo dirti di starmi alla larga? Sei un essere spregevole, non voglio nulla da uno come te! Nessuno che ti conosca veramente può volerti, Edhuar! Sei tanto ignobile  che non ti vorrebbe vicino neppure tua madre sul letto di morte!
Ormai non credevo più di ottenere una reazione significativa, invece Edhuar sussultò come se l’avessi schiaffeggiato. La soddisfazione che provai nel vedere la sua reazione, venne immediatamente sostituita dalla perplessità quando vidi l’ombra di dolore nei suoi occhi.
Cosa gli prendeva? Non era mai sembrato sensibile ai miei insulti.
Si alzò e si allontanò in silenzio, lasciandomi con la triste sensazione di essermi comportata meschinamente. Sensazione che peggiorò esponenzialmente qualche secondo dopo, quando compresi cosa fosse realmente successo.
La madre del principe Alexen era morta anni prima, ricordai. E quindi anche quella di Edhuar.
Che colpo basso!
Non era stato intenzionale… non così tanto perlomeno, ma avevo comunque esagerato.
Edhuar si era chinato ad alimentare il fuoco, ma i suoi pensieri cupi lo stavano portando più che altro a trastullarsi con i rami di legno secco, senza venire a capo di nulla.
Nonostante la nostra ormai dichiarata rivalità, non ero tanto crudele da infierire volontariamente su un aspetto così doloroso della sua vita.
Ingoiai rabbia e orgoglio e mi avvicinai al fuoco.
- Senti, mi dispiace – dissi, piuttosto sostenuta.
Lui scosse la testa senza alzare lo sguardo e gettò un rametto nel fuoco.
- No, sul serio – ripresi, stavolta un po’ più sentitamente – Mi ero dimenticata che tua madre… è morta. Non è stato un riferimento intenzionale.
Edhuar lanciò un altro rametto nel fuoco, quasi distrattamente.
- Non preoccuparti – disse, con un tono improvvisamente stanco – Non hai detto altro che la verità.
- La verità? Cosa intendi?
Ma lui sorrise e si alzò in piedi.
- Il fuoco è a posto! – annunciò allegramente, ignorando la mia domanda – Andiamo a cenare!
Ci coricammo presto. Edhuar non si separava mai da Shia, la teneva in tasca e sembrava improbabile l’ipotesi di sottrargliela nel sonno senza svegliarlo.
Rimasi a occhi spalancati nell’oscurità a vagliare alcune alternative. La fantasia più allettante mi invitava a legare Edhuar come un salame nel sonno, ma avrei dovuto disporre di una corda, cosa che non era.
Potevo minacciarlo con il coltello che avevo nella sacca?
Ogni soluzione mi sembrava già a priori priva di sbocchi, ma desideravo, in quella prima notte, fare almeno un tentativo per mettere a tacere la coscienza.
In silenzio presi il coltello e mi avvicinai carponi alla figura accovacciata accanto al fuoco. Ma come mi ero aspettata, Edhuar si sollevò di scatto gettandomi a terra di schiena. Mi tenne inchiodata per le spalle.
- Ho il sonno leggero – mi sussurrò – Soprattutto adesso che conosci la mia identità.
- Lo immaginavo. Ma questo non mi impedirà di riprovarci!
Edhuar sorrise e mi lasciò andare. Con mia sorpresa non mi tolse il coltello.
- Non sei molto furbo – commentai, tornando a infilarlo nella sacca.
- Non mi piace che tu lo adoperi contro di me – ammise lui – Ma preferisco che tu abbia un’arma per difenderti, in caso di necessità.
Tornai al mio giaciglio con la coscienza a posto e finalmente concessi alle mie palpebre di chiudersi sotto l’imponente peso di quella giornata.
Ero intenzionata a rimanere all’erta a mia volta, ma la precedente notte insonne caricò la mia stanchezza a tal punto da farmi cadere addormentata in pochi istanti.
 
 
La mattina dopo attraversammo una foresta fitta, con alberi talmente alti e frastagliati da togliere luce al percorso. Il cielo nuvoloso completava l’opera e rivestiva il bosco di un lividore fosco e triste. Faceva piuttosto freddo, così pranzammo in piedi continuando ad avanzare. Il nostro obiettivo era uscire al più presto dal bosco.
Edhuar si arrampicava spesso sugli alberi per verificare il tragitto, perché la luce crepuscolare che penetrava dalle fronde compattava il paesaggio in linee monotone che rendevano di una banalità ridicola il perdersi.
Nonostante l’eccezionale altezza degli alberi, Edhuar arrivava fino in cima rapidamente, quasi senza sforzo. La rabbia non mi aveva ancora accecata al punto da evitarmi interrogativi sulla sua agilità.
Non era strano che un principe fosse avvezzo  a simili attività?
Avevo supposto che gli amici che lo chiamavano Khail fossero gli stessi dei suoi racconti d’infanzia. Quelli con cui aveva costruito la zattera nel torrente o la casa sull’albero e con cui aveva portato a compimento imprese di svariato genere.
Per il principe di Katathaylon mi sarei aspettata un’educazione rigorosa, ambienti raffinati, una libertà contenuta, una sorveglianza rigida. Spingendomi ancora più in là con la fantasia, riuscivo immaginare lezioni di equitazione e di scherma e pomeriggi interi in compagnia di libri complicati.
Ma la giovinezza di Edhuar invece parlava di una libertà assoluta e di una vita all’aperto quasi selvaggia, di amicizie semplici e senza pretese, di una quasi totale assenza di controllo da parte di figure adulte.
Nonostante mi avesse mentito su molte cose, non dubitavo che i suoi racconti corrispondessero invece a verità. Era palese che, in mezzo alla natura, Edhuar si trovava nel suo elemento più consono. Aveva dimestichezza nell’accendere il fuoco e nel costruire ripari, sceglieva i luoghi adatti al riposo, aveva sensibilità per i cambiamenti climatici, nuotava come un pesce e si arrampicava come uno scoiattolo. Accettava il freddo, la sporcizia, la fatica e la scomodità come se avessero sempre fatto parte della sua vita.
Com’era possibile che un principe si comportasse in questo modo? Nei momenti in cui la mia rabbia si acquietava, questi interrogativi stuzzicavano la mia curiosità.
Una piccola soddisfazione me la presi quando, uscendo finalmente dalla foresta attraverso un sentiero fangoso che scendeva precipitosamente verso valle, Edhuar mise un piede in fallo e ruzzolò per diversi metri, riempiendosi di melma dalla testa ai piedi. Feci fatica a non scoppiare a ridere quando si rialzò completamente marrone, ma mi trattenni perché non volevo dare l’erronea impressione di essere meno arrabbiata.
Eravamo ormai a metà pomeriggio e, non trovandoci lontano dal torrente, Edhuar propose una sosta allo scopo di ripulirsi.
Mi domandò se volessi a mia volta fare un bagno, ma rifiutai la proposta rabbrividendo. Faceva troppo freddo perché potessi anche solo prendere l’idea in considerazione. Senza il sole che riscaldava l’aria, non dovevano esserci più di dieci gradi, senza contare l’acqua gelida del torrente.
Ma proprio la riflessione sul freddo iniziò a farmi maturare una certa idea che passai attentamente in esame mentre Edhuar accendeva il fuoco.
Quando lo vidi incamminarsi per raggiungere il torrente in un punto dove non potessi vederlo, l’idea era ormai diventata un piano ben congegnato.
Avrei ottenuto Shia o, se non Shia, almeno una parte della mia vendetta.
Edhuar aveva portato la Perla con sé, guardandosi bene dal lasciarmela a portata di mano. Immaginavo che, abbandonando i vestiti a riva, se la sarebbe tenuta comunque in mano, giusto per non  lasciar la carne in mezzo ai lupi. Ma il lupo, che in questo specifico caso ero io, poteva comunque disporre del resto.
Dei vestiti lasciati incustoditi ad esempio.
Stavamo parlando degli abiti di una persona che si vergognava anche solo di mostrarsi a dorso nudo davanti a me. Di una persona nuda in mezzo a un torrente gelido in una giornata fredda.
Poteva funzionare.
Aspettai cinque minuti, poi quatta quatta  presi la sua stessa direzione.
Non tardai molto a intravvedere la sua figura sottile che nuotava rapidamente sopra e sotto l’acqua. Camminando rasoterra afferrai i suoi vestiti e il telo che aveva portato per asciugarsi e scappai via. Li passai in rassegna, ma come avevo sospettato non trovai traccia di Shia. Allora li nascosi dietro a un albero e poi tornai verso il torrente, sedendomi  poco distante dalla riva con le braccia attorno alle ginocchia.
Sogghignavo fra me al pensiero dello scherzo che avevo preparato. Edhuar stava per rimpiangere di avermi voluta con sé!
Passarono altri cinque minuti buoni prima che decidesse di tornare a riva e quando si accorse della mia presenza era già per metà fuori dall’acqua. Indietreggiò di qualche passo e, con mia sorpresa, si inginocchiò a terra perché l’acqua lo coprisse fino alle spalle.
Era anche peggio di quanto credessi! Ma tutto veniva a mio vantaggio.
- Ho preso i tuoi vestiti, principe! – dissi maliziosamente – Li ho seppelliti fra gli alberi, non sarà facile ritrovarli!
Lui incrociò lentamente le braccia al petto senza dire niente. Teneva il pugno sinistro chiuso appena fuori dal pelo dell’acqua. Lì c’era Shia.
- Dammi la Perla! – patteggiai – O non riavrai i tuoi vestiti!
Edhuar alzò un sopracciglio in un’espressione scettica.
- Sono più forte e più veloce di te – disse con un sorriso – Posso prenderti e costringerti a restituirmeli!
- È vero – ammisi – Ma per farlo dovresti prima uscire dall’acqua – la mia voce prese un’intonazione maliziosa – Avrà il coraggio il principe Edhuar di farsi vedere nudo?
Lui mi guardò in silenzio per quasi un minuto intero.
- Fai sul serio – concluse infine.
Si accomodò meglio nell’acqua continuando a tenere le braccia conserte.
- Puoi risparmiarti la fatica – aggiunse – Non ti darò mai Shia.
- Io non ho fretta, posso restare qui per tutta la notte se desideri. Ma a te conviene ricominciare a nuotare o morirai assiderato.
Edhuar però non si mosse, non mi toglieva gli occhi di dosso come se mi dovesse valutare per qualche motivo.
Apparentemente la situazione era in stallo, ma non poteva durare a lungo: doveva già essere mezzo congelato.
Non nutrivo false speranze sul fatto che mi avrebbe consegnato Shia, era mille volte più probabile che alla fine mi avrebbe assalita per farsi ridare i vestiti. O che, semplicemente, sarebbe tornato al suo zaino vicino al fuoco a prendere gli abiti di ricambio.
Però intanto sarebbe uscito nudo dall’acqua provando una terribile umiliazione, come l’avevo provata io quando avevo scoperto il suo inganno.
Era una vendetta perfida, ma irresistibile! Sentendosi umiliato, avrebbe capito finalmente un po’ della mia rabbia e avrebbe smesso di considerarla con tanta condiscendenza. Avrebbe perso quella sua insopportabile impassibilità!
Intanto però non dava segno di volersi muovere. Rimaneva fermo con l’acqua alle spalle e le braccia incrociate al petto, il pugno destro stretto risolutamente attorno a Shia.
Ma osservandolo con attenzione, iniziavo a vedere i tremiti di freddo che si facevano sensibilmente sempre più violenti.
- Dammi Shia, Edhuar – dissi tranquillamente – È assurdo pensare di poter resistere ancora a lungo.
- Non ti preoccupare.
- L’acqua è ghiacciata e l’aria intorno è gelida, ti stai raffreddando oltre il sopportabile.
- Posso resi…stere.
Quando iniziò a battere i denti, mi venne il sospetto che non sarebbe uscito dal fiume.
Assurdo. Il suo pudore non poteva arrivare a fargli rischiare la vita!
- Avanti, dammi Shia!
- N...no!
Mi alzai in piedi spazientita. Era suggestione, o la sua pelle stava assumendo davvero una colorazione azzurrognola?
- Edhuar, sei assurdo, vuoi morire?
Quando non ricevetti risposta, mi sfilai le scarpe ed entrai in acqua. Era ancora più fredda di quanto mi fossi aspettata!
Mi avvicinai a lui e cercai di prendergli Shia. Edhuar scostò la mano e strinse il pugno fino a far diventare le nocche violacee.
La sua pelle era completamente gelata. Questo mi spaventò sul serio.
- Edhuar!
Non ottenendo reazione uscii dall’acqua e mi precipitai verso gli alberi dove avevo nascosto gli indumenti. Li afferrai insieme al telo .
Stupido, stupido! Essere senza cervello!
Tornando verso il torrente, vidi che era uscito dall’acqua. Credendo che me ne fossi andata era risalito a riva ed era caduto a terra in ginocchio, boccheggiante di freddo. Vedendomi tornare però, ebbe un singulto e si ributtò nel fiume.
Nonostante  tutto, riuscii ancora a sorprendermi.
Gettai a terra i vestiti ed entrai nel torrente con il telo in mano.
- Edhuar, avanti esci!
- N..non ti d-darò Shia!
- Non te la sto chiedendo! Forza, torna a riva!
Tremava come una foglia sbattuta da un uragano.
- N..no!
- Ti coprirò con il telo, stupido!
Quando si accorse di quello che avevo in mano si alzò e lasciò che lo coprissi. Con passi barcollanti raggiunse la terraferma.
- Forza, andiamo vicino al fuoco! – ordinai, raccogliendo i suoi abiti.
Era davvero quasi assiderato, scosso con violenza dai tremiti più devastanti cui avessi mai assistito. Non fu un’impresa semplice aiutarlo a tornare al nostro piccolo accampamento.
- Forza, mettiti vicino al fuoco!
Lui mi obbedì, e sedette accanto alla fiamma. Aveva la pelle livida, gli occhi cerchiati da una linea violacea e i denti gli battevano senza controllo.
Mi attraversò il pensiero che fosse stato molto vicino alla morte. Questo mi avrebbe reso un’assassina?
Non mi era mai passato per la mente che avrebbe potuto morire davvero. Nel qual caso, lo avrei avuto sulla coscienza per tutta la vita!
Non potevo fare a meno di osservarlo attraverso una patina d’incredulità. In tutto l’arco della mia esistenza, il mio carattere focoso e impulsivo mi aveva portato spesso ad agire in modo avventato. La mia era stata un vita di rapide decisioni azzardate seguite da lunghi pentimenti, ma mai finora mi ero spinta così in là.
Avevo quasi ucciso una persona.
Il battito dei denti di Edhuar era finalmente cessato, ma il suo corpo continuava a tremare vistosamente. Non riuscivo ancora a capacitarmi delle sue scelte di comportamento.
- Sei uno stupido! – sbottai – Ancora poco e sarei venuta a sfilare Shia dal tuo cadavere!
Lui non reagì, sembrava incapace di fare altro che assorbire calore dal fuoco. Non riusciva a smettere di tremare.
- Ti rendi conto che saresti morto? – infuriai, forse più sconvolta che arrabbiata.
- Non è quello che vuoi? – mormorò lui.
La sua risposta mi fece imbestialire sul serio.
- Credi che ti voglia morto?
- Mi chiami stronzo e bastardo – mi rispose lentamente, a bassa voce – Mi sputi in faccia, mi rubi i vestiti. Dici che ti faccio schifo. Cosa devo pensare?
Le sue parole mi urtarono. L’impassibilità di Edhuar di fronte alla mia rabbia, non aveva fatto altro che amplificare la mia furia, portandomi a esasperare le mie reazioni nei suoi confronti, a caricare sempre in peggio i miei insulti. Solo ora, per la prima volta, mi rendevo conto che le mie parole e il mio atteggiamento sprezzante in realtà lo avevano raggiunto.
Edhuar dopotutto non era invulnerabile al mio disprezzo.
- Maledizione Edhuar, capiscimi! – ribattei – Sono arrabbiata! Sono furiosa! È questo che significa il mio atteggiamento, non certamente che ti voglia uccidere! Non sono un’assassina!
In tutto il nostro dialogo, lui non mi aveva mai guardata in faccia. Teneva gli occhi bassi, come se si vergognasse di qualcosa. Era così da quando l’avevo visto nudo, la cosa stava diventando ridicola.
- Edhuar, guardami! – ordinai.
Lui sussultò, ma invece di alzare lo sguardo lo girò verso il fuoco.
- Sei assurdo! – sbottai – Ti comporti così perché ti ho visto senza vestiti? Sembra quasi che ti abbia violentato!
Rimase un momento in silenzio. Poi mormorò – È così che mi sento.
Non era che un’esagerazione priva di logica! Fui sul punto di dirglielo ma un ricordo improvviso mi ammutolì, rendendomi consapevole di ciò che avevo scordato.
Non si trattava solo di un pudore estremizzato, ma del significato che aveva la nudità a Katathaylon. Era strettamente connessa alla dignità e al valore di una persona, farsi vedere nudi era pari a declassarsi, a perdere il diritto al rispetto e alla parità con l’altro. Solo fra coniugi e nel rapporto medico-paziente la nudità era accettabile.
Tala mi aveva parlato di tutto questo, ma era passato così tanto tempo che ero riuscita a scordarmene.
Non ho colpa – provai a dirmi – Non me lo ricordavo, altrimenti non mi sarei spinta così in là.
Ma sapevo che questo non poteva giustificarmi.
E io, se fossi stata al posto di Edhuar, come avrei reagito?
La risposta non mi piacque. Non avevo dubbi rispetto al fatto che sarei scappata fuori dall’acqua una volta che la situazione si fosse fatta stringente… io non sarei stata così stupida da rischiare la vita. Ma con quali sentimenti?
Dovevo ammettere che sarebbe stata un’umiliazione pesante.
No. Dovevo ammettere che, molto probabilmente, l’avrei vissuta anch’io come una violenza. E a ragion veduta: nel mio mondo avrei potuto sporgere denuncia.
E quindi? Ero al pari di un molestatore?
A questo mi ero ridotta a diventare, nella mia missione di salvatrice del mondo?
Provai un misto di vergogna e ribellione.
- Davvero ti senti svilito? – domandai e nella foga delle mie riflessioni il mio tono assunse un che di minaccioso.
- Perché ti preoccupi così tanto di come mi sento? – chiese lui per tutta risposta, soffocando un brivido – Non sei soddisfatta?
- Soddisfatta di cosa? Di averti quasi ucciso? Di averti molestato? Non sono un’assassina io! E neppure una pervertita!
Edhuar reagì con un debole sorriso.
- Sì, lo so. Ma io me lo meritavo, no?
Il suo tono non sembrava sarcastico, ma lo guardai ugualmente per capire se mi stesse prendendo in giro. Lui però teneva gli occhi bassi e sembrava avere troppo freddo per pensare di far dell’ironia. Che avesse troppo freddo anche per riuscire ad arrabbiarsi? Perché, dopotutto, anche stavolta non si era difeso né adirato. Aveva mostrato un lembo di vulnerabilità… ma nulla che potesse c’entrare con la crudele perfidia supposta nel principe Edhuar.
Qui la cattiva continuavo ad essere io… e la mia situazione peggiorava di minuto in minuto.
- Non intendo accusarti – disse Edhuar all’improvviso, facendomi sobbalzare. Sembrava pensieroso – So perfettamente che non sei un’assassina. Ma ho ferito i tuoi sentimenti. Ti ho fatto credere di essere un’altra persona, di essere diverso Mi sono avvicinato a te suscitando la tua fiducia e la tua amicizia, ho fatto in modo che ti confidassi con me… ti ho baciata. E poi hai saputo la verità. Ti sei sentita profondamente presa in giro.
Feci per aprire bocca, ma la mia coscienza mi cucì le labbra. Avrei voluto dire che la mia unica intenzione era sempre stata quella di recuperare Shia… fermare il terribile principe Edhuar che voleva usurpare il trono al fratello e controllare Shiarah. Ma sotto sotto sapevo che Edhuar aveva ragione, le mie motivazioni non avevano nulla di nobile. Avevo agito principalmente per vendicare il mio orgoglio ferito.
Così, sotto il peso di quella consapevolezza, adesso anch’io non osavo più sollevare lo sguardo.
- Allegra… - disse invece lui – Io ti apprezzo sinceramente. Mi sei piaciuta subito, fin dalla prima volta che ho messo gli occhi su di te. Mi sono piaciuti il tuo spirito selvatico, la tua caparbietà, la tenacia con cui affronti la vita. E la sicurezza che dimostri nel perseguire quello che ritieni giusto, la chiarezza che c’è nei tuoi pensieri… Ho pensato che sarebbe stato bello viaggiare con te…e mi è mancato il coraggio di dirti la verità. Mi sono detto che prima o poi mi avresti odiato comunque, per cui tanto valeva godermi la tua compagnia finché potevo. E l’ho fatto, egoisticamente, senza chiedermi come ti saresti sentita tu. Solo quando sei piombata in camera mia ad Arco d’Oriente e m’hai preso a pugni, ho capito quanto ti fossi sentita tradita.
Quando Edhuar tacque mi resi conto che da qualche minuto stavo deglutendo saliva a vuoto.
In pratica mi stava chiedendo scusa.
E io dovevo conciliare questo Edhuar con il feroce aguzzino delle visioni di Vera?
In che modo?
Lui colse la mia perplessità
- Non sto mentendo – sussurrò.
Ero stata già tradita una volta da quel ragazzo, eppure adesso gli credevo. Nudo e avvolto da un telo ruvido, accostato tremante al fuoco, non era nelle condizioni adatte ad affrontare un discorso di quel tipo mentendo.
Quello che non potevo tollerare ancora a lungo però, erano quei suoi occhi bassi, sapendo soprattutto che erano l’esito della mia sprovvedutezza.
Mi accostai a lui con decisione.
- Guardami in faccia Edhuar, mentre mi dici queste cose.
Visto che non mi dava retta, gli misi una mano sotto il mento e gli sollevai il viso.
- Io vengo dal Mondo di Fuori, ricordi? E nel mio mondo vedere un uomo nudo non è così svilente!  In spiaggia gli uomini restano solo con le mutande, e io stessa, per lavoro, ne vedo in continuazione!
Gli lasciai il mento ma lui, forse per la curiosità, non abbassò lo sguardo.
- Davvero… ti capita di vedere persone senza abiti?
- Di continuo – risposi seria.
- Ma non provano vergogna?
- Per niente.
- E tu non pensi che una persona che si mostra a quel modo… sia di poco valore?
- Mai successo.
Edhuar scosse la testa incredulo.
- È un mondo strano il tuo. D’altronde tu avevi già un’opinione pessima di me – alzò di nuovo gli occhi sul mio viso – È difficile pensare che possa aver peggiorato la situazione.
- Infatti – confermai – Ma a tuo vantaggio, ora posso dire che hai un bel corpo.
Questo lo fece sussultare e sospettai che non l’avesse preso per il complimento quale era.
Per un po’ di tempo restammo in silenzio a osservare le fiamme che crepitavano. Ormai Edhuar aveva avuto tutto il tempo di scaldarsi, eppure non smetteva di tremare.
- Sai – bisbigliò a un certo punto – Se mi avessi lasciato morire, avresti avuto Shia.
Prima però che avessi il tempo di aprire bocca, lui stava già sorridendo.
- Lo so – disse – Non sei un’assassina.
- Edhuar… - intervenni – Tutto questo… le cose che ci siamo detti… non cambiano niente, lo sai vero? Io e te siamo ancora nemici.
-  Sì, lo so – rispose lui – Lo so.
E poi passò ancora altro tempo. Dovevano essere ormai almeno le sei del pomeriggio, mancavano poco più di due ore al tramonto, ma Edhuar, nonostante la vicinanza del fuoco e gli abiti asciutti che aveva indossato, era attraversato senza sosta dai brividi. Non serviva una particolare erudizione in medicina per capire che la situazione era anomala. Non si rabbrividisce per un’ora e mezzo accanto a un fuoco acceso!
Quando mi alzai, lui si riscosse.
- Ripartiamo? – chiese. Aveva occhi lucidi e stanchi.
Il calore della sua pelle diede conferma ai miei sospetti.
- Scotti – dichiarai – Hai la febbre.
- Scotto perché sono molto vicino al fuoco.
- Questo può essere un buon posto per passare la notte? – domandai, ignorando la sua obiezione.
- Sì, ma perderemo troppo tempo se ci accampiamo ora.
- Credi che ridotto in questo stato faresti molta strada?
Lui non replicò. Dopotutto era conscio delle sue condizioni.
In silenzio gli preparai un giaciglio e gli ordinai di sdraiarsi. Il sonno e il riposo erano gli unici rimedi a nostra disposizione, così mi obbedì.
Mentre lui cadeva in un agitato dormiveglia, io alimentai il fuoco, raccolsi altra legna secca, mangiai qualcosa. Quando calò l’oscurità mi preparai per la notte. Edhuar si agitava nel sonno, gemeva e batteva i denti, sembrava che la febbre fosse ulteriormente salita.
Decisi di dormire accanto a lui e sovrapposi le nostre coperte per allontanare il freddo notturno. L’ironia della situazione mi colpì senza farmi sorridere: eccomi qui, stesa accanto al mio peggior nemico e dilaniata dal senso di colpa, perdendo oltretutto tempo prezioso e tutto a causa esclusivamente mia!
Diedi la schiena a Edhuar con un sospiro amareggiato e pregai di addormentarmi velocemente.
Stavo dormendo da due o tre ore, quando un movimento brusco al mio fianco mi svegliò. Edhuar era seduto vicino al fuoco e sulle prime pensai che stesse aggiungendo della legna, ma quando lo sentii parlottare capii che non era in sé. La febbre, evidentemente molto alta, lo stava facendo delirare.
Questo mi fece paura. La mia mente improvvisamente si affollò di drammatiche immagini di film in cui la gente aveva la febbre alta, delirava e poi moriva.
Mi sforzai di restare controllata. Stavo esagerando.
In realtà conoscevo anche un mucchio di film dove la gente aveva la febbre alta, delirava e poi guariva. Non dovevo lasciarmi prendere dal panico semplicemente perché un bruciante senso di colpa di sottofondo mi sussurrava all’orecchio, malignamente, assassina.
- Edhuar? – chiamai.
Si voltò, ma i suoi occhi azzurri, brucianti di febbre, non mi misero a fuoco sul serio.
- Voglio tornare a casa – disse.
Splendido.
Come ci si comportava in questi casi? Nel mio paese , nel mio mondo, gli avrei dato una tachipirina e gli avrei messo del ghiaccio in fronte. A Katathaylon non mi restava altro che improvvisare.
- Non è il momento adesso. Sei ammalato ed è notte fonda, vieni a dormire.
- No. Non voglio stare qui, voglio tornare a casa mia.
- Non è possibile ora. Torna a letto Khail, stai prendendo freddo.
Usai appositamente il suo soprannome nella speranza che lo trovasse rassicurante. Lui però non sembrò accorgersene.
- Khail, vieni a dormire…
- Non mi chiamo Khail! – scattò, facendomi sobbalzare – Io sono Edhuar! Il principe Edhuar!
Il suo tono violento mi paralizzò. Non l’avevo mai sentito urlare, né perdere il controllo. Era la prima volta che affrontavo la sua rabbia,
- Va bene, sei il principe Edhuar – mormorai.
- Sì, sono principe esattamente come mio fratello! Posso vivere a Palazzo e governare al posto suo! Io diventerò re e tu mi porterai rispetto!
Il sangue mi salì alla testa in un istante, ma mi morsi la lingua per non rispondere. Respirai profondamente. Non potevo discutere con un uomo delirante. Non dopo quello che avevo combinato nel pomeriggio.
- Sì, è vero – lo assecondai, inghiottendo la mia ira – Sarai re, ma ora vieni a dormire.
- Non prendermi in giro!
Sussultai un’altra volta. Non riuscivo ad abituarmi a quell’aggressività.
- Non prendermi in giro, so che cosa pensi! So cosa pensate tutti!
Tutti chi? Con chi credeva di parlare?
- Tu non sai cosa penso – replicai, stanca di quel battibecco privo di logica.
- Invece lo so. So cosa pensi, Allegra… Mi hai visto senza abiti e non volevo…. Ho cercato di evitarlo, ma non ci sono riuscito, sono uscito dall’acqua solo un minuto perché faceva freddo… e  mi hai visto.
Accidenti.
- Edhuar, ne abbiamo già parlato di questo, ricordi? È una questione risolta.
- Non volevo che mi vedessi, non volevo… adesso non mi resta più niente.
Si piegò su se stesso stringendosi le braccia al petto, triste come un ramoscello senza foglie. Tremava violentemente.
- Fa così freddo – sussurrò – L’acqua è gelida.
Afferrai la coperta e mi avvicinai cautamente.
- Non sei più in acqua Edhuar… cerca di tornare in te. Hai solo la febbre.
- Se resto al freddo ancora un po’, morirò.
- Per questo voglio coprirti!
Alzai la coperta, ma lui mi fermò.
- Non puoi coprirmi. Devi lasciarmi morire… Non mi resta più niente. Nemmeno l’ultimo briciolo di dignità.
- Lasciarti morire?!? – esclamai incredula – Edhuar, stai delirando! Non sai cosa dici!
Il suo sguardo era presente e al contempo lontano, come se i suoi occhi scrutassero contemporaneamente in due epoche differenti.
- So cosa dico… - bisbigliò – So cosa ha detto mio padre. Lui mi conosce, lui ha sempre saputo che devo morire, che sono nulla, che sono una maledizione. Per questo ha scelto Alexen – i suoi occhi  mi perforarono all’improvviso, brucianti come la follia – Ha scelto Alexen, capisci?
- No, non capisco! Non capisco niente Edhuar e mi sto innervosendo! Adesso basta per favore! – con un gesto brusco gli avvolsi la coperta attorno alle spalle e gli indicai il nostro giaciglio – Torna a sdraiarti ora, hai la febbre alta e hai bisogno di dormire! Non posso restare qui a litigare con un folle, mi stai facendo saltare i nervi!
La mia ira lo confuse e sembrò calmarlo. Lasciò che lo aiutassi a coricarsi e quando gli imposi di chiudere gli occhi mi obbedì. Era esausto e si riaddormentò quasi subito.
Per me invece non fu altrettanto semplice, l’episodio mi aveva toccata in profondità. Mi arrovellai a lungo sulla rabbia e sul dolore di Edhuar, analizzando le sue parole per distinguere cosa fosse il frutto di eventi reali e cosa della febbre. Non capivo cosa fosse precisamente successo.
Voleva morire semplicemente perché l’avevo visto nudo? E cosa c’entrava suo padre in tutta quella storia? Cosa significava che aveva scelto Alexen?
Impiegai quasi un’ora e mezzo a riprendere sonno.
 
 
Il mattino dopo tornò il sole e la temperatura si alzò. Quando mi svegliai, Edhuar stava bevendo dalla borraccia e mangiava del pane.
- Come stai? – domandai, leggermente guardinga.
- Bene direi. Mi sento stanco, ma la febbre se n’è andata.
Mi sorrise con il volto del solito Edhuar. Gli toccai la fronte e sentii che aveva ragione.
- Posso riprendere il viaggio – disse contento. Masticò un pezzo di pane e poi mi guardò pensieroso – È stata una lunga notte vero? – chiese.
- Te ne ricordi?
- Ho in testa molte immagini confuse. Non so quanto fosse sogno e quanto sia invece accaduto realmente. Ho parlato?
- Deliravi – dissi piano.
- Sì, lo immaginavo – sorrise e si alzò in piedi – Forza, rimettiamoci in viaggio!
Arrotolai la coperta e la infilai nella sacca, poi mi alzai per andare a lavarmi il viso nel torrente. Edhuar stava raccogliendo le ultime cose.
Esitai, poi m’incamminai verso il ruscello, ma dopo pochi passi tornai indietro.
- Edhuar… cosa significa che tuo padre ha dovuto scegliere fra te e Alexen?
I suoi occhi passarono dalla sorpresa alla freddezza in un istante, capii che si stava mettendo sulla difensiva. Infatti non rispose.
- Ti ho fatto una domanda.
- Non sono fatti tuoi.
Si era chiuso all’improvviso come un riccio, se avessi fatto un altro passo verso di lui mi avrebbe riempita di spine!
Ma come poteva dire che non erano fatti miei? Quando stava mettendo in serio pericolo la mia migliore amica… il mio mondo?
- Benissimo – replicai seccamente.
Tornai verso il torrente.
 

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Capitolo 13
*** Anticonvenzionale ***


- Non riuscite a dormire?
 L’oscurità era quasi completa e dissolveva Alexen in una sagoma indistinta al suo fianco, tuttavia a Vera non era sfuggita la sua inquietudine.
- Non riesco a trovare una posizione comoda – le rispose in un sussurro roco – Mi dispiace avervi svegliata.
Vera per poco non sorrise. Trovare una posizione comoda, era qualcosa che non rientrava negli optional della loro sistemazione.
- Posso fare qualcosa per voi?
- No. Non più di quanto abbiate già fatto.
- Cos’è che vi da fastidio? Posso provare ad alleviarvi il dolore.
Alexen emise un lungo sospiro.
- Ogni volta che usate la vostra energia per me, restate completamene spossata. Da quando siete arrivata non avete fatto altro che pensare a me. Voi non vi lamentate mai Vera, ma so che avete fame, che siete debole, che continuate a rabbrividire, che detestate quanto me questa cella sporca e scomoda. Vorrei che pensaste un po’ a voi stessa.
- Alexen, tutto quello che faccio è semplicemente…
- … il vostro dovere – concluse lui – Lo so, non lo dimentico.
Vera non poté non accorgersi dell’amarezza che traspariva dalla sua voce. Era anch’essa parte di quell’aspetto del principe che la confondeva e che ancora una volta la scaraventava nell’inquietudine. Un aspetto che non aveva intenzione di indagare.
- Sarei contenta se potessi aiutarvi in qualche modo – ripeté.
- C’è una cosa che potreste fare.
Alexen si accomodò meglio contro il muro.
- Parlatemi del posto in cui siete cresciuta. E di tutti i luoghi che avete visto. Fatemi conoscere con le vostre parole il Mondo di Fuori.
- Non ho avuto modo di spostarmi molto.
Nella sua vita c’erano state gite scolastiche e vacanze con Allegra, ma non più di tanto. Non aveva mai nutrito un interesse sincero per i viaggi, i suoi pensieri si erano sempre incanalati verso l’unica terra che sapeva propria: Katathaylon.
- Parlatemi comunque di ciò che avete visto. Di come si vive oltre il confine.
Così Vera iniziò a parlare. Partì dalla quotidianità della vita nel Mondo di Fuori e scoprì che da raccontare c’era molto, perché ogni cosa era diversa da Katathaylon, ogni cosa era una peculiarità.
Alexen si perse ad ascoltarla, fece molte domande, si vivacizzò. Alla fine gli raccontò dei posti più lontani che aveva visitato, dove i paesaggi erano ancora diversi, diverse le lingue e le usanze. Per Alexen era tutto stupefacente, a Katathaylon il clima era sempre uguale, le speci vegetali e animali limitate, gli spazi ben definiti. Per lui il Mondo di Fuori era quello che, per un comune umano, rappresentava l’universo.
- È stupefacente – bisbigliò alla fine, quando Vera tacque – Se fosse possibile vorrei vivere in quel mondo e girarlo in ogni suo angolo più remoto.
-  Principe Alexen! – esclamò lei turbata. Cercò di intravvedere la sua espressione, ma la luce dell’alba che filtrava dalla finestrella era fioca e confusa.
- Vi sconvolgo Vera?
- Non dite sul serio. Siete l’erede al trono, non potete vivere nel Mondo di Fuori.
- Ne sono consapevole. Ma non posso impedirmi di desiderare quel mondo. Voi non nutrite mai desideri irrealizzabili?
Vera non rispose. Intuiva che quella conversazione avrebbe preso una direzione spiacevole.
- Vera?
- Non saprei.
- Voi venite da quel mondo – sussurrò – Lì siete cresciuta, avete conosciuto tantissime persone, vi siete abituata a quello stile di vita, vi siete creata un’esistenza. E ora dovete lasciare ogni cosa per venire ad abitare in un mondo completamente diverso, arretrato, al fianco di una persona che incontrate ora per la prima volta. Non avete mai desiderato che non fosse così? Anche se è il vostro dovere a portarvi da me… non avete mai sognato di poter continuare la vostra vecchia vita?
- Io sono stata educata per diventare vostra moglie. Ho sempre saputo che questo momento sarebbe arrivato.
- Ma avete dei sentimenti Vera!
Lei chiuse gli occhi. Non voleva affrontare quel discorso. Le parole di Alexen erano come un’infiltrazione d’acqua che penetrava nelle fessure più sottili di una corazza non perfettamente suggellata.
- Non posso credere che non vi siate costruita degli affetti – continuò lui a bassa voce – Siete vissuta in mezzo ad esseri umani, avrete costruito amicizie…forse vi sarete persino innamorata! Sarebbe perfettamente naturale!
- Non per me – disse lei – Sapevo che non avrebbe avuto scopo. Nel mio futuro c’era solo Katathaylon.
- Vi siete difesa a tal punto? – bisbigliò incredulo. La sua voce era bassa, ma vibrava di calore, di sentimenti vivi.
Improvvisamente, Vera trovò l’aggettivo che descriveva quell’aspetto di Alexen che la turbava.
Anticonvenzionale.
Alexen, come futuro re di Katathaylon, era assolutamente anticonvenzionale.
Nel Mondo di Fuori, dov’era cresciuta, l’atteggiamento del principe sarebbe stato ascrivibile al resto del genere umano, ma non a Katathaylon dove l’espressione di questi sentimenti era quasi una ribellione. Il sistema di Katathaylon era fisso e immutabile, si fondava su regole rigide mai violate… e che nessun sovrano aveva mai messo in discussione. Alexen vi si piegava, ma le tollerava a malapena.
- Non mi rispondete – le sussurrò – Cosa temete Vera? Avete parlato della vostra amica Allegra con un affetto che non potete nascondere. Vi fidate di lei al punto tale da affidarle la missione ad Arco d’Oriente. Non posso credere che doverla lasciare non vi spezzi il cuore.
Vera chiuse gli occhi. Era il suo promesso sposo che le parlava. Il suo re.
Sapeva di dovergli obbedienza, ma non voleva… non riusciva a seguirlo in quel percorso!
Il suo cuore batteva già più rapidamente accorciandole il respiro. Sapeva che Alexen aveva ragione, era scontato che le causasse sofferenza cambiare vita… ma non poteva farci nulla.  Poteva solo evitare di pensarci.
Alexen le prese una mano e la strinse.
- Perdonatemi. Sono stato invadente e ho aumentato il vostro disagio.
Non le lasciò la mano. Quella di Alexen era fredda e forte, nonostante tutto.
Vera non riuscì a dire nulla. Le parole del principe avevano sfiorato un punto sensibile innescando una catena di pensieri difficile da arrestare.
Si impose di rallentare il respiro, ma l’inquietudine continuò a scorrerle nel corpo assieme ai brividi di freddo.
 

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Capitolo 14
*** Ripensamento ***


 
Considerando la realtà nuda e cruda, Edhuar mi aveva detto che gli piacevo.
Questo pensiero, all’inizio annebbiato da altre riflessioni più pregnanti – la mia impulsività, o i deliri di Edhuar per fare un esempio – cominciò pian piano ad affiorare alla mia mente.
In qualunque modo girassi il discorso di scuse che mi aveva rivolto, le sue parole non potevano assumere significati molto diversi. “Mi sei piaciuta subito, dalla prima volta che ho messo gli occhi su di te” “Ho pensato che sarebbe stato bello viaggiare con te”
Prese isolatamente, queste frasi mi avrebbero fatta avvampare come la fiamma olimpica.  Nel contesto attuale invece, non potevano far altro che rimescolare un’altra volta le mie emozioni portandomi a passare, con fulminea alternanza, dall’astio più acceso, al batticuore, all’angoscia.
Da quando Edhuar si era risvegliato dopo la notte di delirio, il mattino precedente,  i rapporti fra noi si erano mantenuti in una sorta di equilibrio barcollante. Non mi ero più lasciata andare ad espressioni di aperta ostilità, ma avevo preferito mantenere un distanza di sicurezza dignitosa a cui delegavo il ruolo di ribadire costantemente la mia posizione. Ed Edhuar, docilmente, aveva smesso di provocarmi in modo manifesto.
Non sapevo fino a quando il nostro compromesso sarebbe durato, Arco d’Occidente si avvicinava e Shia era ancora nelle mani del mio nemico. Prima o poi sarei dovuta tornare all’attacco.
Eravamo già a metà mattinata e camminavamo da tre ore e mezzo, quando Edhuar propose una sosta per uno spuntino. Mangiammo un po’ di frutta riposandoci sui massi in riva al torrente, accompagnati dal rumore ritmico dello scorrere d’acqua.
Prima di riprendere il cammino mi allontanai fra gli alberi per adempiere a una fondamentale funzione corporale ma, mentre mi trovavo acquattata fra i cespugli, venni raggiunta da una voce maschile. Sobbalzai per lo spavento, tanto mi giunse inaspettata. Io e Edhuar percorrevamo strade così appartate che, al di fuori delle koralle d’Arco d’Oriente, non avevamo mai incrociato anima viva. Probabilmente fu proprio quella disabituazione ai contatti sociali a rendermi diffidente. Rimasi immobile.
-  Ormai dovremmo averlo raggiunto – fece la voce, chiara e forte – Secondo i miei calcoli dovremmo averlo già incrociato.
- Avrà avuto dei contrattempi. La strada che gli conviene seguire è comunque questa.
Una seconda voce maschile si era aggiunta alla prima.
Le loro parole, senza un motivo palese, mi misero in allarme.
- L’idea comunque è geniale – riprese la seconda voce – Non vedo l’ora di tenere Shia nelle mie mani. Il capo diventerà potente, ma anche noi otterremo grossi vantaggi se facciamo bene il lavoro!
- Non correre troppo, prima dobbiamo ammazzare Edhuar e dobbiamo farlo senza lasciare tracce.  Non mi sentirò tranquillo senza avere prima la certezza che tutto fili liscio.
Le mie gambe si trasformarono istantaneamente in gelatina.  Con il respiro a metà fra la bocca e i polmoni, mi sporsi tra le foglie quel tanto da vedere due uomini accampati vicino al torrente.  Erano sulla quarantina, vestiti di abiti semplici, con le barbe non rasate e un equipaggiamento ridotto al minimo.
Come facevano a sapere di Shia?
Arretrai il più silenziosamente possibile e appena mi trovai a una distanza di sicurezza scattai in piedi e iniziai a correre.
Trovai Edhuar con i piedi nell’acqua, chinato verso il letto del torrente.
- È un punto strapieno di pesci! – mi disse entusiasta, vedendomi arrivare – Possiamo procurarci del pranzo fresco!
- Esci da lì – lo aggredii – Vuoi che ti torni la febbre?
Lo afferrai per un braccio trascinandolo fuori.
- Devo parlarti!
Lui notò la mia agitazione.
- Cosa succede?
- Ho visto due uomini accampati più avanti, li ho sentiti parlare fra loro. Stanno cercando te!
L’espressione di Edhuar si fece immediatamente attenta.
- Me?
- Vogliono ucciderti e prendere Shia!
- Ti hanno vista?
- No… ero nascosta. Almeno credo.
Edhuar rimase in silenzio, valutando le circostanze. Mi soppesò con lo sguardo, come se ci fosse qualcosa che non osasse domandare.
- Allegra… sei sicura? – chiese dopo un po’.
- Se sono sicura? – sbalordii. Stavo per rispondergli a tono, quando compresi.
Non si fidava.
- Credi che ti stia mentendo? – esclamai.
Lui rimase zitto. I suoi occhi passavano su di me indagatori, cercando di scoprire se stessi cercando di fregarlo. E perché no, dopo lo scherzetto che gli avevo fatto due giorni prima? Eravamo ancora nemici, e Shia restava nelle sue mani.
Stai calma Allegra, ora cerca di comportarti da adulta!
Feci un respiro profondo.
- Non è un trucco per cercare di prenderti Shia – dissi, moderando il tono di voce – Ci sono davvero due uomini che ti cercano.
Lui incrociò le braccia stringendosi i gomiti.
- Ho bisogno di potermi fidare, Allegra.
- Allora fidati.
Non distolsi lo sguardo, sperando che mi conoscesse al punto da sapere che non ero in grado di mentire così apertamente.
Il suo viso si distese leggermente.
- Hanno parlato proprio di uccidermi?
- Sì… senza lasciare tracce. Ho pensato che potessero essere uomini fedeli ad Alexen fuggiti da Palazzo, ma non agirebbero in questo modo vero?
- No, non credo. Non riesco a immaginare chi possano essere. Ma evidentemente sono a conoscenza della rivolta e del sigillo spezzato.
- Ti stanno aspettando lungo il torrente.
 - Sei sicura che non sappiano di te?
- Abbastanza.
Edhuar si guardò intorno e socchiuse gli occhi, studiando i sentieri che si dipanavano fra gli alberi.
- Cambiamo strada? – domandai.
- Ci sarebbe un’alternativa – ammise lui, riluttante – Esiste un sentiero che collega Arco d’Oriente ad Arco d’Occidente… un sentiero sicuro di cui è a conoscenza solo la famiglia reale. Ma è più lungo rispetto al percorso che stiamo seguendo ora.
- È lontano da qui?
- Non credo, ma personalmente non l’ho mai utilizzato. È riconoscibile perché è segnalato da una serie di foglioline rosse dipinte a mano.
- Allora cerchiamolo!
Lui però non si mosse.
- Cosa c’è? Non mi credi ancora?
- Prendendo quel sentiero allungheremmo la strada… voglio prima essere certo che ci sia una minaccia seria. Portami nel punto in cui hai visto quegli uomini.
- È rischioso, potrebbero accorgersi di te!
- No, mi terrò a distanza.
Il pensiero di riavvicinarmi a quei cespugli mi creò una notevole ansia, ma non volevo che Edhuar mi ritenesse una codarda. Raccolsi lo zaino e poi lo condussi fra gli alberi, nel punto in cui avevo sentito le voci. Ci acquattammo sporgendoci quel poco che serviva a mettere a fuoco le due figure lungo il fiume.
Erano ancora dove li avevo visti la prima volta, uno dei due si stava alzando, trasudante di impazienza.
- Dov’ è finito Santan? Non possiamo perdere tutto questo tempo! – sbottò.
- Ti ho detto che in ogni caso Edhuar dovrà passare di qui!
L’uomo in piedi sembrava in ansia.
- E se non fosse riuscito a prendere Shia?
- Non dire stupidaggini! È un principe, isy Raishanta gliel’avrà consegnata senza fiatare!
- E se invece lo ammazziamo e poi scopriamo che non ce l’ ha addosso?
L’altro iniziava a irritarsi.
- Prima ci facciamo dare Shia e poi lo ammazziamo! – sbottò – E ora smettila!
Si girò nella mia direzione e io arretrai di scatto. Segnalai a Edhuar che era meglio allontanarsi.
- Inoltriamoci fra quegli alberi – mi sussurrò, indicando una spessa coltre di rami ammassati.
Mi feci largo fra gli arbusti nella direzione che mi aveva suggerito, mentre lui controllava un’ultima volta la posizione dei due uomini. Ero già avanti di qualche metro, e quindi nascosta alla sua visuale, quando udii una voce nuova provenire dalla direzione da cui ero arrivata.
- E tu chi sei? – esclamò la voce sconosciuta, presumibilmente diretta a Edhuar. Vedevo solo le fronde ammassate degli alberi e non sapevo quanto lontano si trovassero. Solo una cosa mi era chiara: il nuovo arrivato doveva essere il famoso Santan.
Sentii un’esclamazione sorpresa e subito dopo le parole temute.
- Principe Edhuar!
Un tramestio rapido fece tremare gli arbusti e un istante dopo Edhuar comparve fra gli alberi facendomi cenno di correre. Partii a rotta di collo sul terreno sconnesso, con i suoi passi concitati appena dietro ai miei.
Santan chiamò i compagni, le loro voci si confusero nella mia testa. Capii in un istante che dovevano essersi fermati a prendere i cavalli per inseguirci più rapidamente.
- Ci prenderanno, Edhuar! – ansimai.
Lui con uno scatto mi sorpassò, distanziandomi. Il pensiero che potesse seminarmi lasciandomi sola e senza orientamento, mi diede una scarica di panico.
Invece si fermò all’improvviso, controllò che dietro di noi non comparisse nessuno e poi iniziò a esaminare gli alberi.
-  Se prendono i cavalli non abbiamo scampo – mi disse – Dobbiamo arrampicarci!
Ne scelse uno.
- Vieni, sbrigati, stanno per arrivare!
- Non ce la faccio! – protestai senza fiato – Io non sono in grado!
- Ti aiuto io.
Iniziò ad arrampicarsi e ogni volta che trovava un punto d’appoggio si voltava per sostenermi. I cavalli potevano sbucare dietro di noi da un momento all’altro e questo mi mise le ali ai piedi. Mi graffiai fastidiosamente braccia e gambe, ma raggiunsi il punto in cui i rami erano più folti e riuscivano a nasconderci. Mi ero appena assestata quando i cavalli scalpitarono concitatamente sotto di noi. Trattenni il respiro mentre passavano oltre, terrorizzata dalla possibilità di aver lasciato qualche traccia. Invece non si fermarono, si guardarono intorno ma non pensarono di alzare la testa a esplorare i rami degli alberi. Sparirono in breve tempo.
Aspettai un paio di minuti, poi osai finalmente muovermi per cercare una posizione più comoda. Ero senza fiato, appiccicosa, sudata fradicia e i graffi mi bruciavano come fuoco.
- Torneranno? – sussurrai.
- Forse. Non possiamo sapere dove decideranno di continuare a cercarci. Dovremo restare qui per un po’.
Cercammo una posizione più adatta, da cui potessimo controllare il sentiero senza essere visti.
- Non hai riconosciuto nessuno di loro? – domandai.
- No. E non riesco a spiegarmi come possano sapere di Shia. Non erano tra coloro che ho imprigionato a Palazzo.
Lo vidi riflettere, cercando una spiegazione, poi di punto in bianco sorrise.
- Fortunatamente non ti ho consegnato Shia quando me l’hai chiesta, altrimenti poco fa saresti scappata senza avvertirmi del pericolo, lasciandomi nelle loro mani!
Lo fissai sbalordita. L’avreifatto veramente?
Sarebbe stata certamente un’occasione d’oro per sbarazzarmi di Edhuar… però… farlo ammazzare?
Mi infastidiva che lui pensasse questo di me.
Edhuar, fra le altre cose, si era accomodato fra i rami perfettamente rilassato, come se non avesse alcun problema al mondo.
- Accidenti, ma non hai paura? – sbottai.
- Non devi preoccuparti, a te non faranno nulla. Non ti hanno neppure vista.
- Non è questo che ti ho chiesto! – replicai irritata – Ti sei reso conto che queste persone ti cercano per ammazzarti? Non ti mette paura questo?
Il suo volto all’improvviso perse il sorriso.
- Allegra. L’unica cosa che temo davvero è che Shia cada nelle loro mani… chiunque essi siano. Tu sai quanto è importante che questo non accada, vero?
- Altrimenti non sarei qui – ribattei seccata.
Lui annuì.
- È qualcosa che né tu né io dovremo mai dimenticare. Il nostro obiettivo primario, costi quel che costi, è che Shia non cada in altre mani.
Il modo in cui lo disse, mi fece capire quello che sottintendeva veramente: quell’obiettivo valeva molto più delle nostre vite. Non era importante che volessero ucciderlo. L’importante era proteggere Shia.
Questo naturalmente mi fece riflettere sulla sua buona fede, anche se non poteva essere sufficiente a dare veridicità alle sue parole.
Restammo in silenzio ad aspettare. Venne l’ora di pranzo e mangiucchiammo quello che fu possibile per la posizione in cui ci trovavamo. I nostri inseguitori non tornarono e a un certo punto divenni insofferente. Il mio osso sacro iniziava a trovare intollerabile la superficie irregolare dei rami.
- Edhuar, non possiamo stare quassù tutta la vita!
- Lo so, hai ragione. Provo a scendere in perlustrazione.
- No, vado io. Non mi conoscono e corro meno rischi, mentre tu porti addosso Shia!
Naturalmente non poteva contraddirmi, ma il sorrisetto con cui accettò la mia proposta mi fece pensare che avesse colto la mia provocazione.  Se lui voleva fare l’eroe, io non intendevo essere da meno. Il suo discorsetto di poco prima, aveva avuto l’effetto di farmi sentire stupida.
Scivolai a terra senza difficoltà ed esplorai con cautela buona parte del territorio circostante. Non trovai traccia di cavalli e cavalieri, non sembravano esserci rumori sospetti. Tornai verso il nostro albero e feci cenno a Edhuar di scendere.
Quando mi raggiunse, imboccammo la strada che, a suo parere, ci avrebbe condotti al sentiero sicuro di cui mi aveva parlato. Se fossimo riusciti a raggiungerlo, saremmo stati in salvo.
Entrambi restammo con i sensi all’erta per cogliere eventuali segnali di pericolo, mentre i nostri occhi perlustravano attentamente la vegetazione in cerca della fogliolina rossa rivelatrice. Ma passò più di un’ora senza che avvistassimo nulla. Da quando ero scesa dall’albero il cuore non aveva ancora cessato di martellarmi in gola e iniziavo a sentirmi esasperata da quel costante senso di angoscia.
- Sei sicuro della direzione? – sibilai a un certo punto, sfinita dall’ansia.
Edhuar si strinse nelle spalle e non mi diede certezze.
Io, dal mio canto, trovavo sorprendente che a Katathaylon, minuscola com’era, esistesse un sentiero segreto difficile da individuare. E nel mentre il tempo scorreva senza che avessimo il minimo presentimento di dove si trovassero i nostri nemici.
Quasi iniziavo a sperare di avvertire la loro presenza, avrei almeno saputo in quale direzione correre per evitarla. In questo modo, invece, continuavo a figurarmi attacchi a sorpresa da ogni angolazione. Erano anticipazioni così realistiche, che quando avvertii realmente un segnale di pericolo, impiegai qualche istante a districarlo dalle mie fantasie.
- Sono loro! – esclamai a quel punto, scattando all’erta.
Edhuar si stava già guardando intorno per comprendere da dove venisse il rumore.
- Di qui! – mi disse, afferrandomi per un braccio – Torniamo alla capanna abbandonata che abbiamo incrociato poco fa!
- Ma se dovessero decidere di cercarci lì, saremmo in trappola!
- Non ci sono altri nascondigli, gli alberi in questo punto hanno i rami troppo radi per poterci nascondere. Dobbiamo rischiare!
La raggiungemmo in un paio di minuti e Edhuar, dopo una veloce perlustrazione, decise per il fienile.
- Se dovessero arrivare ci nasconderemo nella paglia!
Non mi sembrava una gran trovata, ma non potendo proporre alternative evitai di dirglielo.
Edhuar trovò a terra un grosso telo consunto e mi fece segno di sedermi in mezzo alla paglia. Mi gettò il telo addosso ricoprendolo di fieno, poi lo risollevò quel tanto da potersi infilare accanto a me.
- Se dovessero entrare ci sdraieremo e saremo irriconoscibili.
- Fino a quando dobbiamo restare qui?
- Almeno mezzora. Dobbiamo essere sicuri che siano passati oltre.
- E poi torneranno indietro ancora. Non smetteranno di cercarci!
- Troveremo il sentiero sicuro, stai tranquilla.
Sbuffai esasperata.
- Senti, principe dei miei stivali! Sei proprio sicuro che esista questo sentiero? Non era magari solo una favola che ti raccontavano da bambino?
Lui sorrise.
- No. Niente favole, da bambino.
Non seppi che rispondere. Dopo il lungo appostamento sull’albero ero stanca di aspettare, stanca di quella tensione che rendeva febbrili i miei pensieri.
Edhuar teneva d’occhio la porta del fienile. L’entrata in scena di quegli sconosciuti, di punto in bianco ci aveva trasformati da nemici ad alleati e ora, indiscutibilmente, avevano un obiettivo in comune. Io e il Terribile Principe Edhuar.
Paradossale.
- Senti Edhuar – dissi piano.
- Sì?
- Cosa significa che tuo padre ha dovuto scegliere fra te e Alexen?
Mi aspettavo che s’irrigidisse come già il giorno prima, invece non successe. Scosse la testa divertito.
- Allegra, sei un assillo!
- Sì, lo sono – confermai – E non cedo facilmente.
- Ti ho già detto che non sono fatti che ti riguardino.
- Non è una risposta che posso accettare Edhuar. Mi sto nascondendo con te e rischio la vita perché delle persone vogliono uccidere te; la mia migliore amica si trova in prigione perché tu hai tradito tuo fratello, tutta la mia esistenza è condizionata da te! Ho tutti i diritti di capire che cosa sta succedendo! Ma tu non rispondi mai a nessuna domanda!
- Neanch’io dispongo di molte informazioni su di te.
- Questo non è vero! Ti ho raccontato del mio mondo, della mia amicizia con Vera, della missione che mi ha affidato! Che cosa vuoi sapere di più?
- Del tuo lavoro.
- Come?
Mi aveva presa in contropiede.
- Sì, del tuo lavoro.
- Edhuar… stiamo scappando da dei feroci assassini, e tu vuoi chiedermi… del mio lavoro?
- Hai detto che vedi continuamente uomini svestiti!
Era questo dunque.  D’altronde, dalle parole che gli erano scappate durante la febbre alta, avrei dovuto capire che la questione non era completamente risolta.
- È vero – capitolai – Vedo uomini svestiti ogni giorno.
- Ma perché?
Sembrava sinceramente interessato, ma raccontargli delle cerette al petto degli uomini, in quel contesto così anomalo, mi sembrò ridicolo e fuori luogo.
Come fai a raccontare a un principe di Katathaylon che nel Mondo di Fuori gli uomini si fanno strappare i peli?
- Vivo in un mondo stupido – borbottai.
- Cosa?
- No… niente. Vedi… lavoro in un centro estetico e gli uomini vengono per… migliorare il loro aspetto. Oppure per farsi fare dei massaggi. E allora si spogliano.
Perché era così imbarazzante parlarne con Edhuar? Non mi avevo mai avuto difficoltà a raccontare del mio lavoro! Di solito lo trovavo persino divertente!
- E tu li tocchi?
- Conosci il significato della parola massaggio? – replicai.
Edhuar scosse la testa incredulo.
- Non vi toccate mai a Katathaylon? – domandai sarcastica, cercando di mascherare l’imbarazzo. Quasi che dovessi sentirmi una poco di buono per il lavoro che facevo!
- Toccarsi è strettamente connesso al grado di intimità che c’è fra due persone – rispose lui – Qui non esistono luoghi come quello che hai descritto.  Centri.. di bellezza, hai detto?
Annuii.
- Non credevo che ti interessassero queste cose – fece, stupito – Non avrai qualche stupido complesso sul tuo aspetto fisico?
- Perché dovrei averne?
Lui si strinse nelle spalle.
- E comunque non sono stupidaggini! – dissi, accalorata – Chiunque, se dovesse vivere a confronto con Vera, avrebbe dei complessi!
- Allora ho indovinato! – rise lui.
-  Solo perché Vera è perfetta!
Edhuar scrollò le spalle con  noncuranza.
- Perfetta? Dici sul serio?
- Già.
- Com’è fatta questa Vera? Ha anche lei i capelli rossi?
- No! – lo contraddissi.
- Le lentiggini?
- Ovviamente no!
- Prende a pugni le persone che non le vanno a genio?
- Certo che no! – risposi scandalizzata – Vera è il mio esatto contrario!
- Se è il tuo esatto contrario, non può essere perfetta, Allegra.
- Perché dici queste cose? Non prendermi in giro!
- Non ti prendo in giro! – sorrise – Non lo farò mai più, è troppo rischioso!
Il suo sguardo mi fece avvampare, i suoi occhi erano espliciti. Più che espliciti.
Mi dicevano ancora una volta che gli piacevo, e io non ero pronta… per niente pronta, ad affrontarli.
Così tornai all’attacco.
- Dimmi perché tuo padre ha dovuto scegliere fra te e Alexen!
Lui sospirò, ma stavolta si trattava di un sospiro rassegnato. Infatti alzò le mani in segno di resa.
- La risposta è banale – mi fece notare con un debole sorriso – C’erano due figli per un solo erede al trono. Mio padre ha scelto di dare la carica ad Alexen.
- Non capisco. Credevo che il titolo spettasse di diritto al figlio maggiore!
Lui mi rivolse un’occhiata sorpresa.
- Non lo sai? Io e Alexen siamo gemelli.
- …Gemelli? Vuoi dire… che siete nati nello stesso momento?
Edhuar sembrò divertito dal mio impaccio.
- Beh… sì. Significa più o meno quello.
Vera non mi aveva mai fornito questa informazione. Perché?
Non la reputava importante?
- Quindi tu e Alexen…avete lo stesso aspetto?
Lui annuì.
- Sì… in effetti sì, anche se tendo a dimenticarlo.
Rise.
- La verità è che io sono sempre piuttosto trasandato. Alexen invece è un vero principe reale, ha un altro stile, un altro portamento… è più attraente, capisci?
Non molto a dire il vero.
E poi, con sommo sgomento, mi sorpresi a pensare che Edhuar era di suo già attraente. Anche così come si presentava in quel momento: sudato, spettinato e con gli abiti consunti.
Mi sforzai di indirizzare la mia attenzione su altro.
-  Quindi Alexen è stato scelto perché tuo padre ha ritenuto che fra i due fosse lui a possedere le qualità adatte ad essere re?
- Sì, esatto.
La sua risposta telegrafica mi fece capire chiaramente che era intenzionato a rivelare il meno possibile.
No, anzi – mi corressi. Mi fece capire che parlare di questo lo metteva in difficoltà.
- Quando è stata fatta questa scelta? – proseguii impietosa.
Edhuar sembrò stupito della domanda.
- Subito – mi rispose, come se fosse ovvio – Il giorno in cui siamo nati!
- Vuoi dire che Alexen già alla nascita ha manifestato i poteri dell’erede al trono?
- No, quelli gli sono stati trasmessi da mio padre al compimento del ventesimo anno d’età.
Adesso iniziavo a sentirmi perplessa.
- Allora non capisco – dissi – Su quali basi tuo padre ha stabilito che era Alexen quello più idoneo?
 Edhuar sollevò le spalle, senza sapermi dare una risposta.
- Come si può scegliere il migliore fra due bambini appena nati? – insistetti.
- Non lo so Allegra – rispose lui, con uno sguardo distante – Probabilmente la superiorità di Alexen era in qualche modo palese.
I suoi occhi sembravano frugare in un passato non più recente. E dal velo di malinconia che gli copriva il volto, non sembravano ricordi piacevoli.
- Ti rode così tanto non essere stato scelto? – sospirai.
Lui scosse la testa lentamente, i suoi occhi si posarono su di me per un solo istante prima di spostarsi nuovamente.
- Non è quello – sussurrò pianissimo – È… - s’interruppe.
- Che cosa?
- È il fatto di essere stato allontanato. Questo sì che mi è pesato.
- Allontanato? Cosa intendi?
- Non ho vissuto ad Arco d’Occidente. C’è un’ altra residenza a Katathaylon, separata dal Palazzo da alcuni chilometri di foresta. Io sono cresciuto lì.
- Da solo? – trasecolai.
- No, certo che no! C’è del personale che si occupa a tempo pieno della residenza…e che si è occupato di me. Fino ai sei anni ho avuto una governante fissa, ma quando è morta non è più stata sostituita.
- E… non vedevi mai i tuoi genitori?
- Saltuariamente. Finché sono stato piccolo le visite ad Arco d’Occidente erano più frequenti, poi pian piano si sono diradate.
Vera non mi aveva informata di nessuna di queste cose. Non avevo mai saputo che a Katathaylon ci fossero due principi gemelli!
- Ovviamente ho goduto di una libertà senza limiti – continuò Edhuar, che a quel punto aveva iniziato a parlare più apertamente – Era previsto che dedicassi un minimo di ore allo studio, ma il resto del tempo era sotto la mia personale gestione. Così ero sempre nella foresta o vicino al fiume, passavo il tempo con gli amici, spesso non tornavo neppure la notte – sorrise – Non potevo certo lamentarmi!
- Ma i tuoi amici chi erano?
- Figli del personale. È con loro che ho imparato la sopravvivenza nella foresta!
Scossi la testa confusa.
- Sembra che tu abbia avuto una vita felice… ma allora perché dici che ti è pesato essere stato allontanato?
Edhuar ammutolì all’improvviso. Aspettai che decidesse di parlare, ma era come se avesse calato nuovamente quel muro divisorio fra noi. Mi seccava che tornasse un’altra volta a chiudersi.
- Ho capito – dissi, in tono volutamente provocatorio – Ti sei sentito vittima di un’ingiustizia! Invidiavi tuo fratello e a un certo punto hai iniziato a odiarlo!
- Io non odio Alexen! – scattò lui, imprevedibilmente.
- Vuoi dire che non l’hai mai invidiato? – il mio sarcasmo era palese.
- L’ho invidiato, certo… L’ ho invidiato mortalmente. È sempre stato chiaro che i miei genitori amavano lui più di me. Le loro attenzioni erano solo per lui, solo i suoi risultati avevano valore, quelli che ottenevo io non ricevevano mai attenzione. Ma era normale che fosse così, dovevano assicurarsi che Alexen raggiungesse un livello adeguato alla sua posizione.
- E questa giustificazione ti ha impedito di odiarlo? – chiesi, scettica.
Si girò di scatto e mi fissò con un’intensità tale da ammutolirmi.
- Non potevo fargli una colpa di essere migliore di me – disse lentamente, calcando sulle parole – Smettiamo di parlarne Allegra. Tu non sai nulla di me e Alexen!
- Ma proprio per questo… - iniziai. Ma mi interruppi subito, mentre il cuore tornava a balzarmi in gola. Una delle voci che avevo temuto di sentire, si fece udire chiaramente a pochi metri dalla capanna.
- La capanna! Il fienile sembra aperto, controlliamolo!
Nello stesso momento, Edhuar mi spinse a terra facendomi cadere di schiena. Si chinò bocconi su di me, ci ricoprì con il telo facendo in modo che fossimo completamente camuffati dalla paglia.
- Non fiatare – sussurrò.
Come se ci fosse stato bisogno di precisarlo!
Quando entrarono nel fienile, il pavimento di legno tremò sotto la mia schiena. Smisi quasi di respirare, paralizzata dal terrore.
- È un nascondiglio perfetto – commentò una voce – C’è moltissima paglia, potrebbero essere nascosti ovunque!
-  Aspetta, ho un’idea! – disse un altro.
Un secondo dopo udii un suono metallico.
- Un forcone? – disse il terzo uomo.
Subito dopo rimbombò nell’aria un tonfo sordo. Seguito da altri, ritmicamente.
Quando compresi cosa stavano facendo, iniziai a sudare freddo. Uno degli uomini stava calando il forcone nella paglia a colpi ripetuti.
- Se sono qui sotto, salteranno fuori come grilli! – ridacchiò.
Sbarrai gli occhi, piena di orrore. I colpi risuonavano al lato opposto della stanza, ma piano piano si avvicinavano.
Edhuar si mosse impercettibilmente. Con spostamenti minimi, silenziosi, strisciò verso sinistra, sopra di me, fino a sovrapporre completamente il suo corpo al mio. Il suo peso mi schiacciò a terra soffocandomi, le sue gambe sopra le mie, il suo torace che mi copriva petto e braccia. Sentii il suo respiro sul viso.
- Ssh.. – mi sibilò all’orecchio.
Cosa aveva in mente? Se non ci fossimo sbrigati a uscire dal nascondiglio, saremmo morti trafitti!
Il suo corpo mi immobilizzava completamente, mi toglieva persino il fiato per parlare.
Poi udii un colpo talmente vicino, che la paglia vibrò. L’istinto mi portò a scattare fuori, ma non riuscii a muovere un solo muscolo. Lentamente Edhuar mosse la mano destra e me la schiacciò sulla bocca. Sbarrai gli occhi.
Poi un colpo cadde a pochi centimetri dalla mia testa. La mano di Edhuar m’impedì di urlare e il suo corpo di muovermi. Era come impazzire.
Un secondo colpo arrivò all’altezza della mia spalla destra. Edhuar trasalì impercettibilmente e capii che doveva essere stato sfiorato. Poi, subito dopo, il forcone fendette la paglia all’altezza del fianco. Sentii la sua mano aumentare la pressione, mentre il suo corpo iniziava a tremare. Stavolta doveva essere stato preso, anche se, a giudicare dalla sua reazione, in modo superficiale.
Questo bastò a farmi balzare il cuore in gola.
Cercai di dirgli di spostarmi, di scappare. Tentai in ogni modo di oppormi. Ma non potei emettere un solo suono. Il mio corpo era immobilizzato. Riuscii solamente a liberare parte della gamba sinistra, ma Edhuar la riprese immediatamente coprendola con la sua. Nello stesso istante in cui compiva quel gesto, il forcone calò un’altra volta. Sentii con sgomento il colpo affondare e la pressione sulla mia gamba sinistra farsi insopportabile. La punta del forcone non mi raggiunse, ma compresi perfettamente che la gamba destra di Edhuar doveva essere stata quasi trapassata da parte a parte. Lui sussultò violentemente, e la sua mano premette spasmodicamente sulla mia bocca, stroncando l’urlo che mi era già salito in gola.
Affondò la testa a fianco della mia mentre il suo respiro ansimante mi soffiava nelle orecchie. Ricacciò in gola a forza i gemiti che gli erano saliti alle labbra. La sua mano tremava, il suo corpo vibrava, ma lui non si spostò.
Con un colpo secco il forcone venne ritirato e in quel momento Edhuar svenne. Sentii il suo corpo perdere di vitalità e accasciarsi pesantemente su di me.
Rimasi immobile, annichilita.
I colpi ora risuonavano ovattati, sempre più lontani. Il sangue mi rombava nelle orecchie mentre, a occhi sbarrati, osservavo il telo nero e ruvido, soffocata dal peso inerte del principe Edhuar. L’odore ferroso del suo sangue mi salì alle narici, procurandomi una nuova fitta d’angoscia.
Poi finalmente gli uomini se ne andarono. Sentii come attraverso una patina di cotone il rumore del forcone gettato a terra. Li sentii parlottare tra loro, poi uscirono dal fienile tirandosi dietro la porta.
Non aspettai neppure un istante. Feci forza con tutta me stessa, radunai la mia energia, la mia paura e la mia disperazione e facendo leva su piedi e gomiti mi scrollai Edhuar di dosso.
Cadde sulla schiena accanto a me con un gemito. Riaprì lentamente gli occhi.
- Allegra?
- Stai fermo. Se ne sono andati.
Esaminai velocemente le sue ferite. Alla spalla c ‘era solo un graffio, quello del fianco sembrava un taglio superficiale.  Ma la coscia non smetteva di sanguinare, era stata trapassata quasi da parte a parte.
Afferrai il telo con cui ci eravamo coperti e lo ridussi in bende. Mentre fasciavo strettamente la gamba, Edhuar si tirò a sedere. Era evidente che gli girava violentemente la testa.
- Sei un pazzo! – lo incalzai – Potevamo morire infilzati come polli allo spiedo!
- Polli che..? – fece lui, confuso, stropicciandosi gli occhi annebbiati.
Le bende erano già molli di sangue, mi affrettai a sostituirle con altre. Edhuar continuava a sbattere le palpebre chiuse come se ci fosse qualcosa che non riusciva a mettere a fuoco.
- Allegra… - mormorò a un certo punto, incredulo – Guarda su quella parete!
Seguii con gli occhi il punto che indicava. Sulla parete opposta all’entrata, vicino allo spigolo destro del fienile, ad altezza occhi, spuntava dipinta una sottile fogliolina bordeaux.
- La vedi anche tu? – chiese conferma.
- Quella… è..?
- Deve essere una porta camuffata. È un’indicazione per il sentiero segreto!
Non riuscivo a credere a tanta fortuna! Finalmente le cose iniziavano a girare per il verso giusto!
- Come stai? – domandai, notando che ero riuscita a fermare il sangue.
Edhuar cercò di alzarsi in piedi, ma la gamba gli cedette. Venne colto da un intenso attacco di vertigini che lo fece ricadere a terra.
- Non ce la faccio – bisbigliò – Ho bisogno di tempo.
- Aspetteremo finché… - mi fermai a metà, raggelata da un rumore esterno estremamente minaccioso.
Scalpiccio di cavalli.
E poi di nuovo quelle voci che ormai mi erano diventate odiose.
- Sei uno stupido! Come hai fatto a non accorgerti del sangue?
- Deve trovarsi per forza ancora nel fienile! Se l’ho ferito non può essere scappato!
Stavano tornando!
Edhuar con uno scatto cercò nuovamente di sollevarsi, ma perse l’equilibrio per la debolezza.  La gamba non lo resse.
Infilò una mano in tasca e mi afferrò per il polso. Sul mio palmo aperto depose Shia.
- Vai, usa la porta segreta e scappa!
- Ma cosa..?
- Non sanno che esisti, non ti cercheranno! Corri!
- Edhuar! – esclamai allibita – Vuoi che ti lasci qui? Ti uccideranno!
- Lo faranno anche se resti! E si prenderanno Shia!
Dai rumori all’esterno capii che stavano scendendo da cavallo.
- Vai, sbrigati! Segui le foglioline rosse e arriverai ad Arco d’Occidente!
Balzai in piedi con Shia stretta in pugno e in pochi passi raggiunsi la parete con la foglia. Ci appoggiai sopra le mani e provai a spingere… e la porta si aprì. ueQQdada Uscii, me la richiusi alle spalle e mi appoggiai alla porta di schiena. Il cuore mi pulsava rumorosamente in gola.
Chiusi gli occhi e respirai profondamente.
Alle mie spalle le voci si erano fatte concitate. Gli uomini avevano trovato Edhuar, capii che lo stavano perquisendo, ma naturalmente non trovarono ciò che volevano. Divennero furenti.
Lo interrogarono ma non sentii la sua voce. Lo avrebbero ammazzato sul posto? Bastò quel pensiero a irrigidirmi braccia e gambe.
Al momento però era un timore ingiustificato, se erano interessati a Shia non lo avrebbero ucciso prima di sapere dove l’avesse nascosta.
- La capanna è abitabile – li sentii dire – Passiamo qui la notte. Intanto lo faremo parlare!
Capii che lo stavano portando fuori dal fienile per condurlo nella parte anteriore della casa.
Cadde il silenzio.
E adesso?
Shia era in mano mia, mi trovavo su una strada sicura per Arco d’Occidente, mi ero sbarazzata del mio peggior nemico. Era l’occasione migliore che mi si fosse potuta presentare!
Dovevo andare, liberare Vera e Alexen e salvare il mondo!
Staccai la schiena dal muro… ma i miei piedi non si mossero.
Vai Allegra, Vera ti sta aspettando!
Di nuovo feci per muovermi, ma mi successe qualcosa di strano. Di colpo fu ancora come se il corpo di Edhuar fosse sopra il mio, sentii la pressione delle sue gambe sulle mie nel momento in cui era stato colpito. In un flash-back rividi il suo volto sofferente, ricordai la forza con cui mi aveva impedito di muovermi e urlare… con cui l’aveva impedito a se stesso.
Allegra, devi andare!
Però non funzionava. Ogni volta che pensavo seriamente di andarmene, la mia mente si saturava delle immagini di Edhuar sotto quel telo.
Aprii il palmo della mano osservando Shia, chiedendole  una risposta.
Raishanta ti ha affidata a lui. Vuoi che lo salvi?
Shia rimandava baluginii lattiginosi, indifferente al conflitto che stavo attraversando. Eppure la sua stessa presenza nella mia mano era una risposta a tanti dubbi.
Di fronte a un pericolo serio, Edhuar non aveva esitato un solo istante a lasciare Shia nelle mie mani, seguendo quei propositi di cui mi aveva parlato solo poche ore prima.
Il nostro obiettivo primario, costi quel che costi, è che Shia non cada in altre mani.
Le mie mani invece, Edhuar le aveva giudicate sicure. Le aveva protette con il suo corpo e poi vi aveva affidato Shia. Nonostante due giorni prima fosse quasi morto assiderato pur di non cederla.
Ora potevo anche staccarmi da questo muro, seguire le foglioline rosse e raggiungere il sentiero sicuro. Ma non mi sarei mai liberata dalle immagini invadenti del corpo di Edhuar che, istintivamente, si esponeva ai colpi per proteggere me.
Non potevo ignorare la fastidiosa consapevolezza che avrebbe potuto usarmi da scudo per salvare se stesso e che invece, dovendo fare una rapida scelta, aveva deciso di tutelare me.
Aveva scelto me, perché riconducessi Shia ad Arco d’Occidente.
Prima ancora di rendermene conto rientrai nel fienile. Era deserto e desolato, lo attraversai rapidamente uscendo dalla parte opposta e iniziai a rasentare il muro fino alle finestre della facciata anteriore della casa. Da ciò che vidi la capanna era in decadenza e quasi completamente vuota.
Quando avvertii nuovamente le voci individuai la stanza da cui provenivano e sedetti sotto la finestra. Da come parlavano, sembrava che Edhuar non fosse con loro. Si stavano organizzando per la ricerca di Shia.
Due di loro furono incaricati di perlustrare la paglia del fienile e uscirono all’esterno. La mia posizione era protetta da cespugli incolti, per cui fu sufficiente che mi appiattissi al muro mentre passavano a pochi metri da me senza vedermi. L’uomo rimasto uscì a sua volta, con l’intenzione di cercare una sferza adatta a indurre Edhuar a parlare.
Io mi mossi in direzione opposta e continuai a rasentare il muro finché non trovai Edhuar.
Era nell’ennesima stanza spoglia, legato con la faccia rivolta verso al muro, i polsi ammanettati uniti a un gancio all’altezza del volto. La posizione non gli consentiva di sedersi né di mettersi in ginocchio, era pallido come un cencio e si sforzava visibilmente di bilanciare il peso sulla gamba sana. Prevedevo cosa sarebbe accaduto una volta che l’uomo avesse trovato una sferza soddisfacente, ma era importante che mi mantenessi lucida e positiva. Non potevo liberare Edhuar con il solo ausilio del mio coltello, avevo bisogno delle chiavi. E, passando davanti a tutte le finestre, non le avevo intraviste in nessuna stanza. Uno dei tre uomini doveva averle addosso.
La finestra della stanza in cui si trovava Edhuar era quasi interamente senza vetri, bastò una leggera spinta perché si aprisse.
Lo chiamai a voce bassissima e lui si voltò di scatto, visibilmente costernato.
- Allegra! Perché sei qui? È successo qualcosa a Shia?
Il suo tono preoccupato mi indispettì.
- No, è successo qualcosa a te, stupido!
Era evidente che non capiva. D’altronde neppure io mi capacitavo di trovarmi lì, piuttosto che con le ali ai piedi sul sentiero per Arco d’Occidente!
-  Passerai un brutto pomeriggio – lo avvisai – Ma devi resistere, altrimenti ti uccideranno. Tornerò a liberarti stanotte, mentre dormono.
- Sei ammattita? Ti ho dato Shia, non ti serve altro per ripristinare l’equilibrio! Devi correre prima che ti trovino!
- Metterò Shia al sicuro prima di tornare – lo rassicurai – Tu devi dare loro l’impressione che senza il tuo aiuto non potranno mai ritrovarla! Non devi rivelare la mia esistenza e neppure dar loro modo di ucciderti prima del tempo!
Edhuar mi fissava allibito.
- Mi hai capita? – incalzai, i sensi dolorosamente all’erta.
- È pericoloso – sussurrò – È troppo rischioso.
- Fidati di me! Devi fidarti!
Era la seconda volta che glielo chiedevo dall’inizio di questa giornata.
Lui annuì incerto.
- Mi fido Allegra, ma non ti capisco.
- Non devi capirmi, è sufficiente che tu faccia come ti ho chiesto.
- Va bene – sorrise e di colpo mi parve sollevato – Sono nelle tue mani.
Con quella sua assicurazione mi allontanai dalla finestra. Gli uomini stavano cercando Shia nel fienile impedendomi di tornare al sentiero sicuro, così m’incamminai verso la foresta da cui eravamo arrivati. Appena mi allontanai dalla capanna, la tensione si allentò.
Nessuno sapeva della mia esistenza, potevo essere una viandante qualsiasi, completamente ignara di quanto stesse accadendo intorno.
Mi inoltrai in una zona fitta d’alberi memorizzando il tragitto e prendendo diversi punti di riferimento. Poi sotterrai Shia ai piedi di un albero, badando che la terra che la ricopriva risultasse compatta. Infine sedetti a terra appoggiandomi a una pianta e rimasi in attesa.
Chiusi gli occhi, pregando che Edhuar non rivelasse la mia esistenza. Lui era nelle mie mani e io nelle sue. Una posizione sempre più inestricabilmente complessa.
 

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Capitolo 15
*** Alleato ***


Al grido di dolore di Alexen, Sammel sussultò per l’ennesima volta. Man mano che i giorni passavano, invece di abituarsi alla condizione del principe, sembrava tollerarla sempre meno. Istintivamente si girò verso il corridoio da cui provenivano le grida e Vera approfittò di quell’istante per spezzare in due il pane e nasconderne un pezzo nel vestito. Sammel però fu più rapido di lei e sorprese il gesto.
Vera rimase immobile. Lo fissò negli occhi e per un lungo istante il silenzio fu completo.
Sammel fu il primo a distogliere lo sguardo e con inaspettata leggerezza osservò:
- Oggi si è fatto più caldo, sta arrivando l’estate.
Vera trattenne il respiro scrutandolo guardinga. Come doveva interpretare quella reazione?
- In cella la temperatura non è cambiata – rispose, con lo stesso tono noncurante.
Nessun accenno al pane. Sammel intendeva lasciar correre quella piccola infrazione? Oppure le stava comunicando che era dalla sua parte?
Rifletté velocemente. Rischiava di perdere quel poco pane che poteva portare ad Alexen, ma preferiva fare chiarezza.
- Si scaldano mai le prigioni? – domandò, proseguendo con quel tono di blanda conversazione. Ma contemporaneamente, con deliberata lentezza, passò nel vestito anche il secondo pezzo di pane.
Sammel seguì il movimento con gli occhi, ma non vi diede un peso evidente.
- In estate la temperatura sale di qualche grado anche qui sotto – rispose tranquillamente.
Vera annuì e lo fissò con intensità. Sammel sorrise e aprì la porta della cella per farla rientrare.
Ora era certa di avere un alleato. Ed era l’uomo in possesso delle chiavi della sua prigione.
Quanto coraggio aveva Sammel? Quanto era disposto a rischiare per il suo principe?
Quando Alexen venne ricondotto in cella, usò gran parte delle sue energie per restituirgli un minimo di forza. Ora il principe non cercava più di rifiutare il suo aiuto, lo accettava passivamente. Vera ne capiva perfettamente la ragione.
Alexen sentiva le forze svanire; giorno dopo giorno gli scivolavano dal corpo come acqua corrente e lui ne era sensibilmente cosciente. Nella sua mente si era accesa la consapevolezza che avrebbe davvero potuto morire, il rischio si faceva sempre più serio. Questo lo rendeva cauto e prudente nel tentativo di preservare le forze, ma al contempo lo minava dall’interno.
Quando afferrava le sue mani, Vera toccava i suoi sentimenti e trovava il suo turbamento ogni volta accresciuto, come una nuvola grigia sempre più gonfia di pioggia. Non riusciva ad accettare che il fratello lo volesse morto.
Il conflitto fra i sentimenti che lo legavano ad Edhuar e la cupa realtà in cui si trovava gli rosicchiava l’anima lentamente, con un progredire implacabile, e lo lasciava insicuro, vacillante.
Insieme alla forza fisica, Alexen stava perdendo la fiducia in quelle che fino ad ora erano state le sue sicurezze e con esse, anche nel suo ruolo e in se stesso.
Vera decise di non parlargli di Sammel. Non voleva dargli false speranze, preferiva chiarire prima nei dettagli la loro situazione.
Estrasse dal vestito il pane e, come Alexen le aveva chiesto la volta precedente, lo spezzò e gliene porse solo un piccolo boccone. In undici giorni – otto da che Vera si trovava in cella con lui – era la seconda volta che metteva qualcosa in bocca.
Alexen la fissò sorpreso e prese il pane con un debole sorriso.
- Siete la mia buona stella Vera.
Masticò lentamente, con un certo sforzo.
- Alexen… se poteste uscire da qui, dove vorreste andare?
Sperò che il principe prendesse la domanda seriamente, aveva bisogno di sapere in che direzione spingere Sammel.
Alexen non sembrò trovare la domanda bizzarra.
- Andrei da mio padre – mormorò – Ho bisogno di sapere in quali condizioni si trova e di sapere… cosa pensa di tutta questa storia. E poi cercherei Edhuar. Devo parlargli.
- Di che cosa?
- Di Shiarah. Del rischio che stiamo correndo.
Vera scosse la testa frustrata. Sembrava che niente potesse convincere Alexen che suo fratello non avesse a cuore la sorte del mondo.
Va bene principe – pensò – Se questo è ciò che volete, vi porterò da vostro padre e da vostro fratello!
Se ora Alexen iniziava a perdere la sicurezza in sé, era necessario che lei invece si arroccasse nella determinazione. Si avvicinava il momento in cui la sua presenza sarebbe stata determinante.
 
 
 
 

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Capitolo 16
*** L'anima di Khail ***


Quando scese la sera, tornai sui miei passi. Il buio mi nascose mentre mi avvicinavo alla capanna e mi seguì dietro i cespugli incolti che usai per ripararmi da eventuali sguardi estranei.
Nonostante l’ora però, i tre uomini non avevano ancora lasciato in pace Edhuar. Non mi arrischiai a sbirciare dalla finestra, ma le provocazioni urlate e i gemiti a mezza voce di Edhuar mi diedero un sufficiente resoconto della situazione.
Sedetti sotto la finestra con il cuore in gola, cercando di distrarmi, di non ascoltare.  Quando nella mia testa iniziò a risuonare la voce di Vera ne fui quasi sollevata, ma lo scenario che mi trovai di fronte era addirittura peggiore di quello da cui mi ero sottratta. Vera era sempre più preoccupata per il principe Alexen e quando mi mostrò la sua immagine capii che non esagerava. La figura era indistinta, ma così debole e malconcia da contrarmi lo stomaco e provocarmi una fitta di nausea.
Quando la visione sparì, respirai a fondo. I gemiti di Edhuar, improvvisamente mi suscitavano meno compassione.
Non è diverso da quello che stai facendo a tuo fratello! – pensai duramente.
E poi, finalmente, gli uomini lo lasciarono solo.
Seguendoli attraverso le finestre, ne vidi due entrare in una stanza dal camino acceso e sdraiarsi a terra sopra a dei giacigli improvvisati. Il terzo rimase in cucina, seduto a un tavolo zoppo e sgangherato. Rifletteva e intanto le sue mani giocherellavano con quelle chiavi che potevano determinare il futuro mio e di Edhuar. Poi anche lui andò a coricarsi. Le mie speranze di poter accedere facilmente alle chiavi naufragarono quando, alzandosi, l’uomo le portò con sé e le depose a terra, accanto al suo giaciglio.
Tornai silenziosamente davanti alla prima finestra e sbirciai con prudenza. La stanza era illuminata da una mezza dozzina di candele che incorniciavano con un chiarore incerto la figura di Edhuar, ancora legato strettamente con la faccia rivolta al muro.
Aprii i vetri e mi infilai all’interno con movimenti misurati. Il fruscio dei miei abiti sul legno lo fece sobbalzare e voltò la testa di scatto. Mi osservò in silenzio per un lungo istante, così feci in tempo a farmi un’idea precisa del suo stato d’animo.
Era stremato, demoralizzato e ragionevolmente disperato. Ero sicura di non averlo mai visto così scoraggiato.
- Shia è al sicuro – dissi subito, per tranquillizzarlo almeno un po’ – L’ho seppellita dove solo io posso ritrovarla.
- Dovresti prenderla e andartene – mi rispose, sfinito – Non puoi fare niente per me. Ho provato in tutti i modi a forzare queste catene, ma senza le chiavi non si apriranno mai.
- Lo so Edhuar, non sono stupida. Ho visto dove le tengono, quando saranno tutti addormentati andrò a prenderle.
- È troppo rischioso, finirai per svegliarli.
Mi avvicinai di qualche passo e finalmente mi accorsi della sua schiena martoriata. Distolsi lo sguardo rapidamente.
- Hanno avuto una giornata stancante, dormiranno profondamente. Non c’è motivo per cui debbano sentirsi in pericolo, non sanno della mia esistenza – mi fermai, rendendomi conto che forse ero stata troppo precipitosa - …Non lo sanno vero?
- No, non lo sanno.
Tirai mentalmente un sospiro di sollievo. Essere realmente l’eroe di una favola era diverso dall’immaginarlo nella propria testa. In quel momento non mi sentivo né coraggiosa, né ardita, né valorosa. Provavo solamente una fifa blu, ero nervosa di tensione e impacciata nei movimenti.
La paura provata nel fienile, quando il forcone era passato a pochi centimetri dal mio viso, si era attorcigliata attorno al mio cuore e non aveva più mollato la presa. E la crudezza della condizione in cui trovavo Edhuar, mi rendeva sensibilmente consapevole del pericolo.
Mi chinai con uno scatto ed estrassi la borraccia dallo zaino.
- Tieni, bevi!
Gli versai un po’ d’acqua in bocca e Edhuar se la fece rigirare lungo il palato.
- Che schifo. Sa di sangue! – commentò con una smorfia.
- Sei ferito in bocca?
- Mi sono morso la lingua per impedirmi di parlare di te – disse serio. Alla mia espressione costernata però, rispose finalmente con  una risatina – Sto scherzando. Mi sono morso un labbro per sbaglio!
- Tieni, bevi ancora! – gli appoggiai bruscamente la borraccia alle labbra. Non mi piaceva che scherzasse sulla sua situazione, vederlo ridotto in quelle condizioni mi turbava più di quanto lo ritenessi accettabile.
Non potendo sedersi, si appoggiava stancamente alla gamba sinistra, ma era evidente che ormai era al limite delle forze. Mi costrinsi ad alzare gli occhi sulla sua schiena sanguinante, da cui pendeva la camicia a brandelli. Per un istante ebbi una chiara visione del pomeriggio che aveva trascorso, ma subito la visione indottami poco prima da Vera si sovrappose a quell’immagine.
- Non è nulla di diverso da ciò che sta passando tuo fratello! – mi sentii dire con voce quasi ostile.
Edhuar sussultò.
- Non dire sciocchezze, ho ordinato di interrogarlo, non di massacrarlo.
- E come credi che avvengano gli interrogatori?
- Non in questo modo! – ribatté lui, apparentemente infastidito.
- Stai scherzando?
- Ssh… - Edhuar mi azzittì bruscamente. Rimanemmo impietriti cinque secondi, nel terrore che il  nostro abbozzo di discussione fosse stato intercettato. Ma non udimmo alcun movimento fuori dalla stanza.
- Allegra, perché sei qui se mi detesti così tanto? – sussurrò lui allora – Non vale la pena di rischiare per me, non credi?
Lo credo?
Forse… eppure, nonostante il mio astio, i miei principi, la mia paura, tutto in me stessa si rifiutava categoricamente di abbandonare Edhuar a quel destino. Il ricordo del modo in cui mi aveva protetta nel fienile, non aveva ancora smesso di ossessionarmi.
- Mi sento in colpa – risposi, pensando che fosse la spiegazione più sensata – Se tu non mi avessi protetta, adesso sarei io quella ferita e imprigionata.
- Allora smetti di sentirti in colpa. Ti ho protetta solo perché se ti avessero colpita ci avresti fatto scoprire!
Quell’insinuazione – peraltro realistica – pungolò il mio orgoglio.
- Molto bene! – sibilai – Allora forse dovrei andarmene da qui prima di farmi scoprire e creare una situazione irreparabile!
Già mentre lo dicevo però, mi si affacciò il dubbio che fosse proprio quello che Edhuar voleva ottenere.
Lui non replicò, si limitò ad abbassare gli occhi in attesa della mia fuga.
- Non ho mai conosciuto un principe così cretino! – sbottai.  Nella mia testa i principi erano fatti in tutt’altro modo!
Ruotai su me stessa e prendendo coraggio dall’adrenalina dovuta allo scontro, mi diressi alla porta.
- Dove vai?
- A prendere le chiavi!
- Fermati!
Mi girai sfidandolo con lo sguardo.
- Qualunque cosa tu dica, non mi farai scappare!
Lui sorrise debolmente.
- Vale la pena correre questo rischio? Prima non sei riuscita a rispondere… e questo significherà qualcosa.
Sbuffai contrariata. Era davvero necessario quell’esame di coscienza?
Stavamo parlando di una vita umana in pericolo!
- Penso che ne valga la pena – risposi – Non sarei più in pace con me stessa se ti lasciassi uccidere senza tentare nulla per aiutarti.
Edhuar rimase in silenzio qualche istante, meditabondo.
- Se hai proprio deciso di andare, allora aspetta – mormorò infine – Dobbiamo essere sicuri che dormano profondamente. Lascia passare almeno una mezzora.
Mezzora mi sembrò tantissimo nello stato di tensione in cui mi trovavo, ma aveva ragione.
- Aspetterò.
Mi riavvicinai lentamente.
- Dimmi la verità - chiesi all’improvviso – Quando hai detto che mi hai protetta solo per non farci scoprire, non lo credevi sul serio vero?
Lui sembrò sorpreso.
- Credo veramente che ci avresti fatto scoprire! – ribadì – Eri terrorizzata, ho fatto fatica a tenerti immobile.
Poi vide la mia espressione indignata e il suo viso si addolcì.
- Ma ti avrei protetta comunque – concluse in un soffio.       
Quella doppia ammissione mi lasciò spiazzata.
- Non fare quella faccia – mi disse – Non sentirti offesa, anch’io stavo morendo di paura.
Peccato che la sua paura però, passasse sempre più inosservata della mia. La mia sensazione era che Edhuar, in condizione di pericolo, si attivasse, quasi che il suo cervello funzionasse più velocemente e il suo corpo rispondesse in modo più efficace. Quella che vedevo così, era una persona sicura, temeraria, addirittura quasi incosciente.
Non riuscivo a cogliere la sua paura, perché si mascherava in tutt’altre vesti. Ma forse, sotto sotto, anche lui era terrorizzato.
Forse in quel momento era sotto tensione quanto me.
Proprio mentre mi soffermavo su queste riflessioni, la gamba destra gli cedette completamente e si ritrovò appeso per i polsi, senza possibilità di sostegno. Gemette di dolore, annaspando inutilmente nel tentativo di risollevarsi.
Fortunatamente individuai uno sgabello polveroso in un angolo della stanza e glielo portai vicino, aiutandolo faticosamente a sedersi. Il suo sospiro sollevato mi fece realizzare che era rimasto quasi sei ore in piedi, mantenendo il peso sulla gamba sinistra. Mi chinai per controllare la ferita alla coscia, che sorprendentemente non aveva ripreso a sanguinare.
Edhuar appoggiò la fronte al muro e chiuse gli occhi.
- Senti molto male?
Non mi rispose e lo interpretai come una risposta positiva. Sedetti a terra accanto a lui, con la schiena contro al muro. Mi sentivo inutile e impotente e scalpitavo al pensiero di poter recuperare le chiavi. In quel momento non c’era altro con cui combattere il dolore di Edhuar.
- Dovresti pensare al mare – buttai lì – Immaginarti le onde, concentrarti sul suono dell’acqua…la new age dice che funziona.
- La… cosa? – sussurrò lui.
Naturalmente non esisteva un corrispettivo di “new age” in thaylonese, doveva essere la prima parola americana che Edhuar sentiva.
- È una… filosofia – spiegai, rendendomi conto che la cosa non era molto chiara neanche a me.
- E devo pensare al mare? – chiese lui, confuso.
- Sì, ma devi chiudere gli occhi e restare concentrato.
Edhuar obbedì e per qualche istante la stanza cadde nel silenzio più completo.
- Funziona?
Riaprì gli occhi.
- Non saprei. Ma non credo di farlo bene… ho visto il mare solo in fotografia.
Che stupida! Avevo dimenticato che a Katathaylon non c’era il mare!
Ma se  non c’era…
- Fotografia? – esclamai, rendendomi conto in quel momento che aveva pronunciato la parola nella mia lingua – Esistono fotografie a Katathaylon?
- Erano di mia madre, le aveva portate dal Mondo di Fuori. Mio padre ha una passione particolare per il mare. Per questo mia madre ha portato a Katathaylon un grosso numero di fotografie.
- Allora è stato tuo padre a trasmetterti l’entusiasmo per il mare? Durante il viaggio ad Arco d’Oriente non hai fatto che tempestarmi di domande!
Edhuar rimase zitto e i suoi occhi si fecero un attimo distanti. Per un attimo avevo scordato che non aveva vissuto con i genitori. Avevo fatto una domanda inopportuna?
- È stato Alexen a mostrarmi le foto, quando avevo dieci anni – disse poi all’improvviso – Un giorno in cui ero andato a Palazzo di nascosto per vedere mio fratello. Mio padre non voleva che io e Alexen ci frequentassimo regolarmente, così il più delle volte lo facevamo a sua insaputa. Quella volta eravamo nel giardino di Arco d’Occidente e Alexen aveva portato le fotografie del mare. Mentre le stavamo guardando è comparso nostro padre senza preavviso. Pensavo che sarebbe andato su tutte le furie trovandomi lì, ma appena viste le fotografie ha cambiato faccia. Si è seduto con noi raccontandoci tutto quello che sapeva del mare, di navi, di pesca, di pirateria. Mia madre gli aveva anche portato dei libri, così ha potuto raccontarci diverse storie. Rideva, rispondeva alle mie domande e mi teneva una mano sulla spalla…. Non mi sono mai sentito così… figlio, come in quel momento.
Edhuar fece una pausa, accorgendosi improvvisamente che quello che doveva essere una semplice risposta si era trasformato in qualcosa di molto più personale.
Mi guardò e sorrise con leggerezza, riportandosi su toni più superficiali.
- Appena tornato dai miei amici ho proposto loro di costruire una zattera. Giocavamo ai pirati, o facevo il comandante della nave. Immaginavo che mio padre mi vedesse navigare sul fiume e che si entusiasmasse… che si riempisse di orgoglio nei miei confronti. Pensavo che prima o poi gli avrei raccontato quello che facevo, ma non trovavo mai l’occasione… o il coraggio. Così continuai a giocare sul fiume con i miei amici, inventando imprese eccezionali che lo avrebbero reso fiero di me. Ci divertimmo molto… per anni. Continuai a navigare sulla zattera fino a quattordici anni – il suo tono si abbassò, poi Edhuar fece una pausa prima di aggiungere – Quando accadde qualcosa che finalmente mi fece capire che nulla mi avrebbe mai procurato l’affetto di mio padre.
Tacque all’improvviso, lo sguardo fisso rivolto al muro. La bocca gli si era piegata inconsapevolmente in una smorfia amara che non gli avevo mai visto. Capivo che aveva accennato a un episodio intimamente personale, ma non volevo che si interrompesse.
- Cosa successe?
Edhuar serrò la mascella e contrasse i pugni, colmo di tensione. Non si girò verso di me, ma intravidi nei suoi occhi un grosso carico di angoscia.
 
 
Il giorno in cui compiva quattordici anni, Edhuar si recò a Palazzo per incontrare il padre e il fratello. Era tradizione che ogni anno, il sedici giugno, il re tenesse a entrambi i figli una lunga lezione sui doveri e le responsabilità della famiglia reale e che queste lezioni si ampliassero e si arricchissero di concetti di anno in anno, proporzionalmente all’età dei principi.
Edhuar amava quel ritrovo annuale, era in quei momenti che sentiva pienamente di appartenere alla famiglia e di essere  equiparato persino al fratello.
Quell’anno era arrivato un po’ in anticipo e quando si era avvicinato alla sala in cui il re era solito incontrarli, si era reso conto che il padre stava parlando con il kalashà. A quell’epoca il kalashà era un uomo giovane, che Edhuar aveva avuto modo di conoscere per caso. Aveva parlato con lui più volte prima di sapere della sua carica e l’aveva trovato una persona ricca di calore umano.
Non volendo interrompere la loro conversazione, invece di bussare si era seduto sul divanetto dell’anticamera, aspettando l’arrivo del fratello. Ma, pur essendo lontana da lui ogni intenzione di origliare, i toni della discussione si erano fatti così alti da non poter essere ignorati.
- Ho avuto modo di parlare più volte con il principe Edhuar – stava dicendo il kalashà al re, con slancio – È sveglio, intelligente e di buon cuore, non credo che per Alexen sarebbe difficoltoso dividere il regno con lui. Dovreste prendere seriamente in considerazione l’idea.
- Cosa state dicendo? – era esploso allora  suo padre, furibondo.
- È stato il principe Alexen in persona a cercare il mio sostegno, lui stesso appoggia l’idea di una sovranità congiunta.
Edhuar si era sorpreso di quelle parole. Non aveva mai saputo che il fratello covasse quel tipo di pensieri.
- Alexen ha solo quattordici anni – ruggì il re – Non è ancora cosciente di tutte le responsabilità implicate nel governo di Katathaylon! Edhuar non ha ricevuto nessuna educazione in questa direzione, è completamente escluso che possa governare!
- Ha gli stessi diritti del fratello – mormorò il kalashà, così piano che Edhuar faticò a sentirlo – E tra di loro c’è un affetto solido…. Un governo congiunto non porterebbe che benefici a Katathaylon.
- Edhuar  non è altro che un selvaggio! Mi viene detto che non fa altro che arrampicarsi sugli alberi, giocare con gli amici e dormire di notte nella foresta! È rozzo e irresponsabile, non c’è una sola qualità in lui che ricordi quella di un sovrano!
- Le voci riportate  non sono mai attendibili maestà – tentò di nuovo il kalashà – Vi assicuro che non c’è nulla di rozzo nel principe Edhuar. È vero, passa molto tempo all’aria aperta, ma se voi gli concedeste un po’ più del vostro tempo, sono certo che sarebbe altrettanto entusiasta di imparare.
- Non voglio più sentirne parlare! Non ho intenzione di perdere il mio tempo con Edhuar, né di considerare la possibilità di dividere il regno! Non è mai accaduto nei secoli, né voglio che succeda sotto la mia responsabilità! La nascita di Edhuar è stata un errore, una sventura inaspettata! – il re riprese fiato e quando tornò a parlare, la sua voce si fece più bassa e dura. Tagliente come una pietra affilata sulla pelle, pensò Edhuar.
- Edhuar è una maledizione per Katathaylon,  una minaccia. Dovete rendervene conto anche voi! Per quanto mi riguarda, Alexen è il mio unico figlio e di conseguenza l’unico erede. Ho sempre sperato che Edhuar morisse prima di raggiungere la maggiore età e, nonostante la sua buona salute, non è detto che non accada. Per il bene di Katathaylon, la cosa migliore sarebbe che la sua esistenza avesse fine al più presto.
Queste furono le ultime parole che Edhuar riuscì a sentire. Lo avvolsero come una cappa costringente, isolandolo dal mondo esterno. Si ritrovò imprigionato in uno spesso involucro di shock e sbigottimento.
Per un momento vide solo nero, le orecchie iniziarono a sibilargli di un fischio fastidioso.
Quando Alexen entrò nell’anticamente e lo vide immobile, imbambolato, palesemente così diverso dal solito, si spaventò. Edhuar sentì a malapena la sua voce, attraverso il fischio che gli confondeva i pensieri.
- Ed, cos’ hai? Cosa ti succede?
Edhuar aprì la bocca per tranquillizzarlo, ma si accorse di non avere il respiro per parlare. Un anello invisibile gli premeva contro la gola spezzandogli il fiato. Cercò di inghiottire un po’ d’aria, di trovare la voce, ma questo lo fece tossire e poi, subito dopo, iniziò a soffocare.
Si alzò in piedi di scatto, ma le gambe gli cedettero. Rimase inginocchiato a terra, le mani strette sulla gola, in cerca del respiro.
Era il desiderio di suo padre che si stava concretizzando.
Ora  finalmente, il figlio rozzo e irresponsabile, il figlio maledetto, sarebbe morto.
Quando Alexen lo vide in quelle condizioni, si mise a gridare. La sua voce fece accorrere il re e il kalashà, che si trovarono di fronte ai due principi spaventati. Alexen, inginocchiato di fianco al fratello, sembrava fuori di sé.
- Non riesce a parlare! – stava gridando – Sembra che stia soffocando!
Il kalashà impallidì come uno straccio.
- Maestà…deve averci sentiti!
Il re, apparentemente imperturbabile, rivolse al figlio uno sguardo glaciale.
- È giusto che sappia la verità – commentò.
- La verità su cosa? – chiese Alexen allarmato.
- Questo non ti riguarda. Io e te dobbiamo parlare di altro, vieni con me – fece cenno al principe di seguirlo e rientrò nel salone.
Alexen non considerò neppure un istante la possibilità di obbedirgli.
- Aiutatemi a portarlo fuori – disse, rivolto al kalashà – Forse respirerà meglio.
Portarono Edhuar in giardino quasi completamente di forza. Più di un servitore si offrì di prendere il posto di Alexen, ma lui non mollò la presa un istante. Tutto il suo corpo fremeva di indignazione davanti all’indifferenza paterna.
In giardino cercarono una panchina e sedettero tutti e tre. Edhuar respirava ancora male, sembrava profondamente confuso.
- Morendo… - ansimò, una volta seduto – Sto morendo!
- Non stai morendo! – cercò di calmarlo Alexen – Sei solo agitato, ma adesso passerà.
- No… no, io devo morire. Ha detto che devo morire… - Edhuar alzò sul fratello due occhi spiritati per quel  dolore eccessivo che non riusciva  a tollerare – Devo morire… è quello che vuole!
- Chi l’ ha detto? – Alexen sembrava sul punto di esplodere – Chi ha detto che devi morire?
- Mantenete la calma – lo redarguì il kalashà – Siete il principe ereditario, dovete saper mantenere il sangue freddo in ogni circostanza.
- Voglio sapere cosa è successo!
Il kalashà allora glielo raccontò. Gli riferì ogni singola battuta della conversazione avuta con il re, così come era giusto che fosse.
Alexen non disse una sola parola. Rimase con Edhuar finché non fu sicuro che si fosse ripreso, poi si recò dal padre. Ma, nonostante fosse il suo compleanno, si vide negare la visita. Aveva disobbedito agli ordini del re, accompagnando Edhuar in giardino invece di entrare nel salone come gli era stato chiesto. E questo era inconcepibile.
Il padre lo ricevette solo il giorno dopo e gli vietò categoricamente di rivedere il fratello, se non nelle occasioni puramente formali. Alexen accolse l’ordine con un gelido silenzio, ma non riferì mai a Edhuar la richiesta del re. Continuò a vederlo esattamente come prima, all’insaputa del padre, raggiungendolo nella foresta, vicino al fiume. Lo fece in modo talmente discreto che per quasi tre anni il rapporto con il  fratello proseguì indisturbato.
Fu per pura sfortuna che il re li scoprì insieme un pomeriggio, mentre si trovavano seduti accanto al fiume. Nel momento in cui vide i suoi figli parlare uno accanto all’altro in perfetta sintonia, capì di essere stato ingannato. Convocò immediatamente Alexen e gli ordinò di giurare sullo stemma reale che non avrebbe più avvicinato spontaneamente il fratello. Alexen rifiutò.
Incredulo di fronte a quella disobbedienza, il re lo fece frustare duramente e lo rinchiuse nelle sue stanze a pane e acqua per un mese intero. Lo richiamò a colloquio trenta giorni dopo e lo invitò a chiedere perdono e a rispettare il suo ordine. Alexen rifiutò un’altra volta.
Venne rinchiuso nelle sue stanze a pane e acqua per un altro mese, e poi nuovamente, per la terza volta,  il re lo richiamò all’obbedienza.
E per la terza volta, Alexen respinse la richiesta del paterna..
Il re di Katathaylon aveva bisogno del principe ereditario, non poteva fare a meno della sua presenza troppo a lungo. Così liberò Alexen, ma giurò che se l’avesse trovato nuovamente con il fratello avrebbe preso provvedimenti seri.
Di tutto questo, Alexen non raccontò nulla a Edhuar. Ma la lunga assenza del fratello aveva messo Edhuar all’erta, il quale,  con una certa insistenza, riuscì a ottenere che il kalashà gli riferisse ogni cosa.
- Vostro fratello prova per voi molto affetto – concluse il kalashà, come se questo avesse potuto giustificare ogni cosa. Edhuar non aveva mai messo in dubbio la lealtà di Alexen nei suoi confronti, tuttavia  venire a conoscenza delle punizioni che gli erano state imposte lo sconvolse.
Per tre anni Alexen aveva disobbedito al padre a sua insaputa, venendolo a trovare regolarmente, Edhuar era sicuro che l’avrebbe fatto ancora. Alexen era convinto di essere nel giusto e niente l’avrebbe indotto  a separarsi dal fratello.
 
 
- Così iniziai a evitarlo io – mormorò Edhuar, con gli occhi rivolti a terra – Se avesse continuato a frequentarmi, l’ira di nostro padre sarebbe diventata devastante. Convinsi il kalashà a riferirmi gli impegni giornalieri di Alexen, in modo da intuire in quali momenti mi avrebbe cercato e di conseguenza non farmi trovare. I primi tempi Alexen cercò in ogni modo di parlarmi, ma riuscii sempre a evitarlo. Alla fine si arrese, smise di cercarmi. Quando il kalashà venne sostituito da Sasamanka, ormai io e mio fratello non avevamo altri contatti se non quelli dovuti alle pure formalità.
- Alexen ha compreso il motivo per cui hai iniziato a evitarlo?
Edhuar mi lanciò una breve occhiata.
- Non lo so. Non so cos’abbia pensato.
Calò il silenzio e il peso del suo racconto gravò improvvisamente su di noi. Edhuar teneva gli occhi fissi sui suoi polsi incatenati e di punto in bianco sembrava trovarsi molto a disagio. Entrambi eravamo consapevoli che una conversazione iniziata su toni apparentemente banali, aveva preso una piega molto… forse troppo personale. Io stessa non sapevo come reagire a quelle nuove informazioni.
- Scusami, ti ho messo a disagio – disse lui all’improvviso – Non avevo intenzione di raccontarti tutto questo… non mi ero reso conto di dove stavo arrivando. Ora sembra che stia cercando la tua pietà, ma non è così.
Mi alzai in piedi con uno scatto.
- Non mi fai pena Edhuar, stai tranquillo. Tutt’altro! – mi staccai dal muro e gli andai alle spalle – Questa storia, a dire il vero, mi fa trovare ancora più meschino il tuo tradimento nei confronti di Alexen.
Edhuar chinò la testa in silenzio e la sua tristezza si accanì sul mio senso di colpa.
Non ero stata sincera con lui…C’era stato più di un punto della sua storia che mi aveva letteralmente sconvolta, ma ora avevo bisogno di tempo per assimilare quelle informazioni. Capivo che, alla luce del suo racconto, anche il delirio di Edhuar la notte in cui aveva avuto la febbre, acquisiva significato.
- Però provo anche molta rabbia – dissi, sicura di quell’unica emozione – Mi fa una rabbia tremenda  pensare alle parole di tuo padre! Come si è permesso di dire che devi morire?
Edhuar trasalì e finalmente si girò a guardarmi.
- Ora più che mai credo che valga la pena di rischiare – gli dissi – Anche solo per fare un dispetto a tuo padre!!
Mi chinai a terra e sfilai gli scarponcini per risultare meno rumorosa. L’adrenalina si riversò a fiumi nel mio corpo.
- È arrivato il momento – dissi.
- Allegra…
Lo guardai, stupita dal suo tono accalorato.
- Ricordati che Shia è più importante di me. E…anche la tua vita.
- Le vite valgono tutte uguale – ribattei – Per quanto riguarda Shia, saprò valutare attentamente le priorità.
Mi alzai e senza indugiare uscii dalla porta, prima che Edhuar potesse dire qualcosa che mi avrebbe spaventata ancora di più. 
Mi fermai sulla soglia della stanza, osservando immobile i tre uomini addormentati a terra. Le chiavi erano accanto al giaciglio più vicino al caminetto, arroventate dai riflessi rossastri del fuoco.
Mi preoccupava il pavimento di legno, che con ogni probabilità avrebbe scricchiolato sotto i miei passi. Quante probabilità c’erano che tre persone avessero contemporaneamente adesso una fase di sonno pesante?
O che perlomeno giudicassero irrilevante lo scricchiolio del pavimento e non aprissero gli occhi per verificare?
Abbassai le palpebre e recitai mentalmente una preghiera, poi entrai nella stanza. Al terzo passo il pavimento cigolò. Poi ci fu silenzio. Tre passi muti, poi due rumorosi. L’uomo in mezzo sospirò.
Mi immobilizzai, ma risultò essere un falso allarme. Ancora due passi e poi il punto più difficile: chinarsi.
Lo spostamento di peso produsse un rumore secco sul legno del pavimento. Passai lo sguardo fulminea dall’uno all’altro, ma nessuno si mosse. Non riuscivo a credere che si trovassero tutti e tre nello stadio più profondo del sonno!
Afferrai delicatamente le chiavi e mi risollevai. Stavolta il rumore fu appena percettibile.
Ripresi il tragitto a ritroso senza mai staccare gli occhi dalle figure accovacciate a terra. Quella a cui avevo sottratto le chiavi si mosse nel sonno, ma senza svegliarsi. Quando raggiunsi la porta, le gambe mi tremavano ormai senza ritegno. Mi resi conto che, nel mio cuore, non avevo mai creduto davvero di potercela fare.
Tornai da Edhuar, che mi aspettava con il cuore in gola. Quando gli sventolai le chiavi sotto al naso, quasi svenne per il sollievo. In un momento gli liberai i polsi.
Mentre si massaggiava le braccia per ristabilire la circolazione, io mi chinai freneticamente a infilare gli scarponi: adesso che eravamo a un passo dalla libertà, non vedevo l’ora di uscire da quella casa.
Edhuar si sollevò dallo sgabello, ma non aveva fatto i conti con la sua debolezza e si ritrovò con le ginocchia a terra.
- Ti aiuto io – sussurrai, e in quello stesso momento un brivido gelato mi attraversò la schiena.
Mi girai di scatto, colta da un tetro presentimento, ed ecco sulla soglia l’uomo a cui avevo sottratto le chiavi, quello che si muoveva nel sonno e che, evidentemente,alla fine si era svegliato.
- Mi era sembrato di aver sentito dei rumori! – ringhiò, brandendo la sferza che aveva usato nel pomeriggio contro Edhuar.
Quando lui lo vide, cercò di alzarsi in piedi, ma ci riuscì solo attaccandosi faticosamente al muro.
Gli occhi dell’uomo non si staccavano da me, come se non potessero capacitarsi della mia presenza.
- E così il principe aveva una compagna di viaggio! – commentò – Una compagna alquanto insolita.
Il suo sguardo si fermò sui miei capelli rossi, poi ripiombò velocemente a inchiodare i miei occhi.
- Sei tu che hai Shia? – domandò con un ringhio.
Guardai Edhuar per vedere cos’aveva da suggerire. Cosa dovevo rispondere?
Lui non ricambiò il mio sguardo e io rimasi zitta.
L’uomo tagliò l’aria con la sferza senza mai smettere di guardarmi.
- Il tuo principe non si regge in piedi – disse – Così ora potrò dedicarmi a te. Forse sarà più semplice far parlare te!
Alzò la sferza e per un lunghissimo secondo il terrore mi paralizzò.  Mi accorsi a malapena del movimento al mio fianco e solo in ultimo mi resi conto che Edhuar si era messo davanti a me. Prese il colpo sulla clavicola e il dolore lo fece vacillare, ma riuscì a restare in piedi.
- Cosa vuoi fare? – lo aggredì l’uomo – Non riuscirai a proteggerla, ti reggi in piedi per miracolo! Se ti colpisco ancora, perderai i sensi e lei dovrà vedersela comunque con me!
Calò nuovamente la frusta, prendendolo alla spalla. Edhuar mi spinse indietro con la schiena, schiacciandomi contro il muro. Succedeva tutto così velocemente che non riuscivo neppure a pensare.
- Arrenditi! Stai per crollare!
Edhuar si girò all’improvviso porgendogli la schiena e appoggiò le mani al muro per sostenersi, una alla mia destra e una alla mia sinistra.
- Non perderò i sensi – bisbigliò vicinissimo al mio viso, anche se il colpo successivo lo fece impallidire a tal punto da farmi dubitare delle sue parole.
- Hai ancora il tuo coltello? – chiese piano.
Annuii e in quel momento mi resi conto che aveva ragione: io ero armata!
- Passami il coltello – sussurrò – Mentre io lo attacco, tu scappa. Recupera Shia e prendi il sentiero sicuro.
- Verrai con me? – chiesi, vedendolo sempre più fragile sotto i colpi.
- Non so se avrò la meglio – ammise – E presto anche i suoi compari si sveglieranno.
- Edhuar…
- Tu ci hai provato, hai fatto del tuo meglio. Ma ora il rischio si è fatto troppo alto… Dammi il coltello Allegra, sbrigati.
Lo tirai fuori, stringendolo con forza. Era quello che volevo davvero?
Edhuar staccò una mano dal muro e me la porse perché gli consegnassi l’arma.
- Avvisa Alexen che c’è un traditore a palazzo – mi sussurrò – Un altro oltre a me – aggiunse poi, ironicamente.
In quel momento pensai che no, non era quello che volevo. Anzi, non lo accettavo proprio! E più ci pensavo, più quella situazione mi faceva rabbia… così alla fine esplosi.
Ora basta! – mi dissi – Basta così!
Non ci sarei più stata a farmi proteggere come una bambina imbecille! Basta tremare, basta scappare!
Spinsi Edhuar a lato, che colto di sorpresa non riuscì a opporre resistenza. La sferzata che stava arrivando mi colpì sulla spalla sinistra e il dolore fu così bruciante che la rabbia mi accecò. Mi buttai sull’uomo all’improvviso, brandendo il coltello.
Non se lo aspettava e approfittai del suo disorientamento per infilargli la lama nel fianco. Gridò e mollò la sferza, inciampò nei suoi stessi passi e cadde a terra. Edhuar fu subito su di lui e gli mollò due pugni tali da fargli perdere i sensi.
- Corriamo! – mi disse – Gli altri due avranno sentito il rumore!
Afferrai il mio zaino e ci catapultammo fuori dalla finestra. Edhuar era debole e zoppicava vistosamente, ma l’adrenalina scatenata dallo scontro gli diede la forza di procedere a passo spedito. Lo portai fin dove avevo seppellito Shia, la dissotterrai e la infilai in tasca.
- E adesso ho una sorpresa – annunciai, fiera del modo in cui avevo impiegato il pomeriggio. Lo portai per un altro centinaio di metri attraverso il bosco, fino alla mia gloriosa scoperta: una caverna scavata nella roccia e completamente nascosta da piante rampicanti. Il nascondiglio perfetto!
- È straordinario! – rise infatti Edhuar, stupefatto. E io evitai di precisare che l’avevo fortuitamente scovata andando a fare pipì.
L’interno era asciutto e tiepido e avevo nello zaino giusto quella candela che avrebbe prodotto quel poco di luce necessaria. Edhuar si lasciò andare a terra con un sospiro esausto.
- Non credevo che sarei arrivato alla fine di questa giornata – mormorò – È stata… interminabile.
Quando riaprì gli occhi mi vide seduta contro la parete opposta e, nonostante la poca luce, si accorse del mio sguardo sostenuto.
- Che cosa c’è? – fece stupito.
Rimasi in silenzio, studiandolo attraverso la penombra.
- Allegra?
- Sono stanca Edhuar, credo di meritare un po’ di chiarezza.
-…Chiarezza?
 - Sono partita da Arco d’Oriente con la certezza che tu fossi un nemico avido e crudele, ma più andiamo avanti in questo viaggio e più mi confondi le idee. Sei ambiguo e contraddittorio, io non capisco più nulla.
- A cosa ti stai riferendo?
- A tutto ciò che ti riguarda. Sei quasi morto assiderato pur di non darmi Shia, poi però me la consegni perché la riporti a Palazzo e ti lasci qui a farti uccidere. Istighi una rivolta contro tuo fratello e poi mi racconti  di episodi fra di voi in cui è evidente un affetto profondo. Sai perfettamente che siamo nemici, ma ogni volta che corriamo un pericolo mi proteggi a tuo discapito. Niente di ciò che fai o dici ha una coerenza. Io non so cosa pensare, sono nella confusione completa!
Mi sembrava di essere stata categorica, ma lui non rispose. Abbassò gli occhi, ma feci in tempo a notare una smorfia combattuta. Più che rifiutarsi di rispondere, sembrava incapace di trovare le parole per farlo.
- Va bene – concessi – Mentre rifletti sul modo in cui dirmelo, ti pulirò le ferite.
Presi dallo zaino la borraccia, un fazzoletto e l’unguento che mi aveva consegnato Tala. All’epoca l’avevo considerato solo un inutile peso in più sulle spalle..
- Togliti la maglia, devo disinfettarti.
La sua espressione imbarazzata mi fece ricordare quel piccolo ostacolo del suo senso del pudore.
- Andiamo Edhuar, ricordati del lavoro che faccio!
- Gli…uomini nudi?
- Esatto. E comunque sulla schiena la tua maglia è già a brandelli!
Questo però sembrò aumentare il suo disagio. Era ancora convinto che quel gesto gli sarebbe costato la dignità?
Allora la perderemo tutti e due!
Senza fermarmi a riflettere, mi sfilai sia la tunica che la maglia pesante, restando con gli slip e con la fascia che, a Katathaylon, fungeva da reggiseno.
- Ora siamo pari – dissi – Puoi toglierti la maglia.
Edhuar però era rimasto pietrificato dallo stupore, avrei detto che faticasse persino a respirare. Io iniziai a preparare il fazzoletto bagnato, fingendo una disinvoltura che ero ben lungi dal provare. Al mio paese trascorrevo la maggior parte delle giornate estive in costume da bagno. E allora perché qui, di fronte a Edhuar, mi sentivo così diversa?
Era per lui. Per lui che, con quel suo pudore così marcato, dava un nuovo significato, una nuova dignità al corpo umano.
 - Allegra… non è necessario – mormorò – Prenderai freddo!
- Ho bisogno di medicarti Edhuar, ma preferibilmente senza provocarti altre crisi esistenziali. Ora sono io in svantaggio, mi sono tolta quasi tutto… credi di potercela fare a sfilarti la maglia?
Lui non replicò, ancora visibilmente sottosopra. Però si arrese e tolse finalmente la camicia.
La sua schiena era impressionante, impiegai un minuto buono per trovare il coraggio di metterci mano. Sciacquai delicatamente le ferite e asciugai la pelle, prima di cospargerla con l’unguento. Edhuar rimase immobile e silenzioso per tutto il tempo.
- Ti fa molto male?
Lui scosse la testa.
- È sopportabile. Sono segni ancora piuttosto superficiali, domani starò già meglio.
Ne dubitavo, ma era inutile starci a pensare.
- E la tua dignità si è salvata? – domandai con un sorriso.
- Mi piace il tuo tocco – mormorò lui, per tutta risposta.  Si sollevò e lo sguardo gli scivolò sulla mia spalla.
Arrossii prima di capire che stava guardando il segno della frustata. Infilò la punta del dito nell’unguento e la passò delicatamente sulla ferita. Sarei stata una bugiarda spudorata se avessi negato il brivido che ne conseguì.
- Sei stata imprudente – mi disse, senza distogliere lo sguardo dal segno rosso – È andata bene, ma hai rischiato molto.
- Credi di poter essere tu l’unico a fare l’eroe? – sbottai, innervosita dal suo tocco – Credi…
- Allegra, no! – m’interruppe ridendo – Stavo solo cercando di ringraziarti!
- Oh… - balbettai spiazzata – Non è …stato niente.
- Niente? - sorrise divertito – Mi hai salvato la vita. Letteralmente. Non ho mai visto un coraggio come il tuo.
La sua affermazione mi fece ammutolire. Ora il cuore mi batteva così forte, che lo sentivo chiaramente perfino in testa.
- Non ho nulla da offrirti come ringraziamento, se non le risposte che cerchi – sospirò – Hai ragione, te le devo. Ti racconterò ogni cosa.
La fiammella della candela tremolò gettando ombre scure sul suo viso. Ricomparve nuovamente quell’espressione travagliata.
- Non so se sarò in grado di spiegarmi – mi disse, combattuto – Non so se mi crederai.
- Tu prova.
- Te l’ ho sempre detto… che invidio la chiarezza che c’è nei tuoi pensieri e nei tuoi sentimenti. Dentro di me non è chiaro quasi nulla, le mie emozioni, buone e cattive, si sono mescolate talmente tanto negli anni da non lasciarmi più distinguere i sentimenti che provo davvero. Per cui… partirò da una delle poche certezze che mi restano.
Alzò gli occhi e mi rivolse uno sguardo caldo, pacato.
- Io non odio Alexen. Sono sicuro di non averlo mai odiato, nonostante l’invidia provata tante volte nei suoi confronti. Lui è stato l’unico membro della mia famiglia a mostrarmi affetto senza timore. Se guardo al mio passato, posso dire di essere vissuto senza padre e senza madre…ma ho avuto un fratello. Alexen si è comportato davvero da fratello con me, nonostante i lunghi periodi di separazione. È stato lui la mia vera famiglia in tutti questi anni.
S’interruppe per appoggiarsi di spalle al muro. Il dolore delle ferite lo fece trasalire, ma non si spostò.
- Quando iniziai a evitarlo a causa dell’ordine di mio padre, mi accorsi di essere rimasto completamente solo. Avevo i miei amici, il personale della villa… ma non erano quello di cui avevo bisogno. Avevo bisogno di una famiglia, e con Alexen ne avevo perso anche quell’unico pezzetto che mi era stato concesso. Mio fratello… mi mancò moltissimo. – mi rivolse uno sguardo schietto – Per questo ti dico che non odio Alexen. Sarebbe impossibile, capisci?
Assentii per farlo proseguire, ma in realtà non capivo. Gli voleva bene… ma alla fine l’ aveva imprigionato, no?
- Sarei un enorme bugiardo se negassi di aver provato, negli anni, una rabbia distruttiva. L’ho provata eccome! Ma non avrei mai potuto dirottarla contro Alexen! E neppure… contro i miei genitori. Sarebbe stato contro natura!
E allora contro chi l’ hai diretta? – mi chiesi, ma non lo dissi ad alta voce.
- Ad’hera ha fatto leva su questa rabbia – proseguì – E dall’altro lato, ha puntato sulla fame di considerazione che ho sempre covato. Mi ha offerto un futuro da re… e per me essere re significa intrinsecamente molte cose. Essere accettato, essere apprezzato, essere riconosciuto… essere amato. La prospettiva mi ha attratto quel tanto da farmi immaginare come sarebbe stato vivere a quel modo. Mi sono crogiolato un po’ nella visione di un futuro diverso e intanto Ad’hera ha continuato a espormi il suo piano e … il pensiero di ciò che avrei ottenuto si è fatto sempre più allettante. Tuttavia sapevo che non poteva funzionare, che saremmo stati scoperti ancora prima di iniziare a preparare la rivolta.
- Perché? – chiesi stupita.
- Perché Alexen riesce a percepire il pericolo in anticipo. Rientra nelle capacità speciali che gli sono state trasmesse come erede al trono. Se avessimo iniziato a progettare la sommossa, saremmo stati anticipati e catturati, e di fronte a un tradimento di quel tipo, la legge prevede una sola risposta.
- Quale?
- La condanna a morte.
Edhuar rimase in silenzio. Forse pensava che potessi trarre da sola le mie conclusioni, ma in realtà continuavo a rimanere terribilmente confusa.
- Ma… Ad’hera quindi non sapeva del potere di Alexen.
- No. E mi sono guardato bene dal riferirglielo. E a un certo punto mi sono detto… perché no?  Così ho accettato di portare avanti la sommossa.
Per i primi dieci secondi le frasi di Edhuar rimasero nella mia testa come pezzetti sconclusionati di una frase senza logica. Poi, di punto in bianco, tutto fu chiaro.
- Stai cercando di dirmi… che hai preso il comando di una rivolta sapendo che ti avrebbero scoperto? Che… ti avrebbero condannato a morte?
Lui mi guardò senza rispondere, ma lessi nei suoi occhi la verità.
- Mi stai dicendo… che l’hai fatto perché volevi morire?
Lui abbassò lo sguardo.
- Ma perché Edhuar?
- Perché? – ripeté lui – Perché no? Che senso avrebbe avuto continuare a vivere a quel modo Allegra?
Il dolore nella sua voce mi strinse il cuore. Capii di colpo dov’era finita tutta la rabbia distruttiva di cui mi aveva parlato. Non potendola scagliare contro i suoi genitori, contro suo fratello… l’aveva rivolta contro se stesso.
- Forse sarebbe stata l’unica cosa buona che avrei fatto per mio padre – commentò, con un sorriso amaro.
Mi sforzai di allentare la tensione che mi stava stritolando il corpo. Non potevo fare a meno di provare paura davanti all’istinto autodistruttivo di Edhuar. Le persone lottavano per vivere, non per morire! Secondo la mia logica, perlomeno.
- Eppure sei ancora qui – mormorai.
- Sono ancora qui – ripeté – Perché Alexen si è lasciato catturare.
- Non ha previsto il tuo tradimento – dedussi.
- L’ha previsto, ne sono certo. Non era sorpreso del mio attacco… era palese che mi stesse aspettando. È stato lui stesso a porgermi la mano perché gli mettessi il Braccialetto del Re!
- Non voleva essere costretto a ucciderti – compresi.
- Non so cos’abbia pensato della mia rivolta. Erano anni che lo evitavo, probabilmente ha creduto che l’invidia avesse prevalso sul nostro legame… Chiudergli il Braccialetto al polso è stato l’atto più vile di tutta la mia esistenza. Non mi sono mai vergognato tanto di me stesso come in quel momento… non ho avuto il coraggio di guardare Alexen negli occhi un solo istante. Subito dopo, Ad’hera ha scoperto che il sigillo di Rah era stato spezzato. Ho colto la palla al balzo… gli ho chiesto di occuparsi di Alexen e con la scusa di recuperare Shia… sono scappato da Palazzo.
L’intero racconto aveva un che di surreale.
- Edhuar, stai dicendo che non sei stato tu a spezzare il sigillo di Rah?
- Non è la prima volta che lo dico – mi fece presente.
- Io… ho bisogno di pensarci su un po’. Tutto quello che hai detto…è difficile da credere.
Se fosse stato vero, le tessere del puzzle si sarebbero rimescolate in una configurazione del tutto nuova.
Edhuar non si stupì della mia incertezza, annuì e mi porse i vestiti.
- Ora rivestiti Allegra – sorrise – Sei troppo bella per restare svestita vicino a me così a lungo!
Quello fu il colpo di grazie finale.
Bella…
Anzi: troppo bella!
Ma quando mai?
Era stata una giornata lunga, che offriva un milione di spunti su cui riflettere. Ma, prima di tutto, era stata una giornata sfiancante, fisicamente ed emotivamente.  Così preparai il giaciglio e decisi di rimandare al giorno dopo qualunque tipo di elucubrazione.
 
 

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Capitolo 17
*** L'anima di Alexen ***


- Ecco, prendete.
Vera porse ad Alexen un pezzo di pane e lui ricambiò con uno sguardo sbalordito.
- Me ne avete dato anche ieri – disse.
- Abbiamo avuto due giorni fortunati.
Fortunati non era il termine preciso, in realtà aveva nascosto il pane sotto gli occhi attenti di Sammel come già il giorno prima. Ma non aveva ancora deciso di rivelarlo al principe.
Alexen fissò il pane indeciso, sul suo volto si poteva distinguere chiaramente il combattimento che stava affrontando.
Vera era in preda ai morsi della fame, rinunciare al nutrimento stava diventando sempre più faticoso, ma non poteva fare altrimenti. Alexen era senza cibo da molto più tempo, era meno vestito, debole e ferito. Aveva bisogno di nutrimento e non solo per salvare se stesso, ma anche e soprattutto per il bene di  Katathaylon. E lo sapeva anche lui.
Per questo, vincendo se stesso, tolse il pane alla sua promessa sposa e iniziò a mangiare.
- Detesto questa situazione – disse soltanto, senza alzare gli occhi verso di lei.
- Dovete portare pazienza.
Vera non si era limitata a nascondere il pane. Con finta casualità, aveva commentato con Sammel il desiderio di Alexen di incontrare il padre.
‘Eh già, ne avrebbe il diritto’ – aveva risposto il guardiano. E l’aveva guardata in modo tale da confermare le sue speranze.
Li avrebbe aiutati, ora ne era quasi certa.
Avrebbe portato il principe da suo padre e poi, se davvero era quello che desiderava, l’avrebbe condotto dal fratello. Riteneva che presentarsi da Edhuar fosse un gesto suicida, ma aveva ormai compreso che Alexen non avrebbe trovato pace finché non avesse parlato con lui.
Pur provandoci in ogni modo, non riusciva a capire il rapporto che lo legava al fratello. Nonostante il tradimento, la prigionia e le torture, Alexen non voleva ammettere le cattive intenzioni di Edhuar.
Vera spostò lo sguardo sul Braccialetto del Re e per la centesima volta una domanda le salì alle labbra. L’aveva sempre trovata inopportuna, ma questa volta non si impedì di formularla.
- Alexen, c’è una cosa che non riesco a capire.
Gli occhi chiari del principe si posarono sui suoi, in attesa.
- Voi siete in grado di percepire il pericolo – proseguì – È tra le vostre capacità. Com’è possibile che non vi siate accorto delle intenzioni di vostro fratello?
Vide un sorriso tirato increspargli le labbra.
- Me n’ero accorto.
- E non siete riuscito ugualmente a difendervi? – domandò incredula.
- Non ci ho provato.
Vera scivolò in un silenzio sbigottito. Per un momento pensò di aver frainteso le sue parole.
- Sapevate che vi avrebbe imprigionato – disse infine, nella speranza di essere smentita.
- Esatto.
- E che avrebbe spezzato il sigillo di Rah!
- No. Quello no… Pensavo si trattasse solo di una questione in sospeso fra noi.
- Io…continuo a non capire!
- Posso comprenderlo Vera… è difficile. Ad Arco d’Occidente si è sempre parlato in termini negativi di Edhuar, eppure l’intera situazione è molto diversa da come appare. Se lui desidera davvero essere re, io mi tirerò indietro. Mio fratello sarebbe un ottimo sovrano. Pur non avendo ricevuto l’educazione adatta, ho la certezza che saprebbe governare Katathaylon nel modo migliore.
- Nessun altro, a parte voi, elogia il principe Edhuar – replicò lei.
Alexen appoggiò la nuca al muro e chiuse gli occhi.
- Edhuar ha subito una serie interminabile di ingiustizie a partire dal momento in cui è nato  - disse – Ho provato a cambiare le cose, ma non sono riuscito a ottenere nulla. Non sono riuscito ad arginare il delirio in cui era caduto mio padre. Ha costretto mio fratello a vivere come un emarginato, escluso dal palazzo, dall’educazione che gli spettava, dalla nostra famiglia. Edhuar giocava con i servi, raccoglieva mozziconi d’affetto da una famiglia avara d’amore. Mio padre era terrorizzato dalla prospettiva di dividere il regno, e il timore di sbagliare lo ha fatto rivoltare contro il figlio. Ha cercato in tutti i modi di annullare la presenza di Edhuar, ha preferito cancellare la sua paternità piuttosto che mettere a rischio Katathaylon.
Alexen aprì gli occhi e il suo sguardo cristallino colpì Vera come un proiettile.
- E mia madre, pur amando Edhuar, ha sempre obbedito al re. Come si conviene a un’impeccabile koralla.
La frase restò sospesa fra di loro come una miccia accesa. Vera si chiese se fosse una provocazione intenzionale.
Voleva che la raccogliesse?
- Non commentate – disse Alexen – Le koralle non raccolgono mai le provocazioni.
- Non è la prima volta che vi esprimete in termini negativi nei nostri confronti – mormorò infine lei.
Alexen tornò ad appoggiarsi al muro con un sospiro stanco. Quel poco di aggressività che l’aveva mosso, scemò come d’incanto.
- Perdonatemi Vera, non era un attacco diretto a voi. Non fraintendetemi. Sono convinto che le koralle siano ottime mogli e ottime regine sotto tutti i punti di vista. Fuorché uno. Obbedite sempre, indiscriminatamente, al vostro re.
- Trovate che sia un difetto?
- Sì, trovo che lo sia.
- Chiunque, a Katathaylon, deve obbedienza al re – fece presente lei – A maggior ragione, le persone a lui più vicine.
- Questo, solamente se la causa è giusta.
- Non può non esserlo.
- Vera – gli occhi azzurri del principe la traforarono – Anche il re di Katathaylon può sbagliare. Io potrei essere presto re e in quel caso voi sarete la mia regina. Se mi succederà di prendere decisioni errate, voi che farete?
- Ogni vostra decisione sarà senz’altro giusta – ribatté lei, senza scomporsi.
- Io non possiedo la risposta a tutti i problemi! – scattò – Ho bisogno di una moglie che ragioni in maniera autonoma, che mi dica se sto sbagliando! Così come un tempo ne avrebbe avuto bisogno mio padre!
Strinse i pugni per placare la rabbia e abbassò la voce.
- Mia madre avrebbe dovuto opporsi. Edhuar… era anche figlio suo, avrebbe dovuto prendere parte alle decisioni che lo riguardavano. Se si fosse fatta avanti, forse sarebbe riuscita a far ragionare mio padre, a placare i suoi timori… a rendere giustizia a mio fratello! Invece, di fronte alla decisione di mio padre – una decisione dettata dalla paura – ha chinato il capo e ha obbedito. Non si è lamentata una sola volta. Ed è morta con il rimorso di aver abbandonato un figlio.
Vera fece per aprire bocca, ma Alexen la interruppe.
- Non dite che ha fatto solo il suo dovere! Non voglio sentirlo! Sono cresciuto con un padre tormentato, una madre infelice, un fratello maltrattato. Non riesco a credere che il re di Katathaylon non possa sbagliare!
- Ma certamente vostra madre l’ha creduto! Fino alla fine!
- Mia madre è morta senza poter rivedere suo figlio! – ribatté lui dolorosamente – Solo perché mio padre aveva stabilito che io, lui e nessun altro si avvicinasse al suo capezzale!
Vera ammutolì e Alexen le lanciò un’occhiata sarcastica.
- State pensando che è una crudeltà, vero? Potete anche dirlo! Io lo feci, mi arrabbiai con mio padre come non avevo mai fatto, ma senza ottenere nulla. Mentre mia madre era in fin di vita, sentivo Edhuar urlare in fondo al corridoio perché lo facessero passare. Ma mia madre fino all’ultimo non osò contraddire gli ordini. Morì senza un segno di protesta, ma io sapevo che stava pensando a Edhuar.
 Alexen tacque e Vera non trovò nulla da dire. Non era un episodio semplice da giustificare.
- Quando mia madre morì, uscii dalla sua stanza e raggiunsi Edhuar – proseguì Alexen, con voce appena percettibile – Aveva il viso stravolto e in quel momento ebbi la piena percezione dell’ingiustizia che gli era stata fatta. E mi domandai… perché io e non lui? La scelta fatta alla nostra nascita era stata puramente casuale, poteva essere lui l’erede al trono e io al suo posto. Così non riuscii a dirgli altro che…”perdonami”. E sapete cosa mi rispose lui? Sono contento che almeno tu fossi con lei.
La voce di Alexen si spezzò. Affondò il viso nelle ginocchia in attesa di recuperare un contegno.
Vera non sapeva cosa dire. La visione di Katathaylon che le era stata prospettata era schematica, preordinata, lineare. Nel racconto e nei sentimenti di Alexen non c’era nulla di lineare.
- Sapete Vera – disse lui a un certo punto – Edhuar crede veramente di essere insignificante. Mio padre è riuscito a spezzare il suo spirito… Non ha mai creduto in lui, e ora neanche Edhuar crede più in se stesso. È convinto di non meritare nulla.
- Allora perché vi si è rivoltato contro?
- Non per farmi del male – mormorò Alexen.
- Perché vuole Rah? Perché vi tortura in questo modo?
- Non lo so – bisbigliò – Non lo so, Vera.
E in quelle parole, lei riconobbe il tarlo che ormai lo rodeva da giorni e che attaccava le sue difese, assottigliandole di ora in ora. Era quello il suo punto debole.
Se Edhuar era la brava persona che aveva descritto… perché ora agiva a quel modo?
Se Alexen riusciva a sopportare le torture fisiche, il dubbio invece lo stava devastando psicologicamente. E Vera vedeva ormai prossimo il punto di rottura.
 
 
 
 

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Capitolo 18
*** Puzzle completo ***


Riprendere il sentiero sicuro senza ripassare nei pressi della capanna non si prospettava un’impresa semplice, ma nessuno dei due se la sentiva di tornare al fienile, indipendentemente dalla presenza dei nostri aggressori. Non sapevamo dove si trovassero e questo di per sé era già motivo di ansia, in più era possibile che l’uomo che avevo ferito non si fosse allontanato dalla casa.
Edhuar studiò a lungo la cartina cercando un percorso che si ricongiungesse al sentiero sicuro, ma non riuscì ad abbreviare il nostro cammino “allo scoperto” a meno di tre ore.
Quando uscimmo alla luce del sole, dovevano essere ormai le undici del mattino. Stravolti dalle emozioni del giorno prima, avevamo finito per dormire fino a tardi. Abbandonare la grotta fu motivo di sorda inquietudine, non ci sentivamo sicuri in nessun posto, sobbalzavamo ad ogni minimo rumore. Edhuar zoppicava vistosamente rallentando il cammino, continuava a scusarsi per la sua lentezza e mi faceva innervosire. Inoltre la sua sacca era rimasta alla capanna, cosicché i nostri generi di sopravvivenza si erano dimezzati.
Dopo i fatti del giorno precedente sentivo il mio corpo svuotato di energie, trovavo a fatica la forza di trascinarmi avanti. Le mie braccia e le mie gambe pesavano dieci quintali l’una.
I miei pensieri al contrario correvano veloci e ripercorrevano ripetutamente e senza controllo gli avvenimenti del giorno prima. Rivivevo a fasi alterne tutto quanto: il momento in cui avevo scoperto i traditori e ci eravamo nascosti sull’albero, i terribili minuti  nel fienile in cui avevo sentito la morte a pochi centimetri dal mio corpo, la lotta nella capanna e il momento in cui avevo accoltellato un uomo. Quando non erano quei flash-back a riempirmi la mente, erano pensieri ancora più pungenti. In tre momenti diversi della giornata, Edhuar aveva svelato di sé più di quanto avesse fatto durante tutto il viaggio. Mi aveva rivelato che lui e Alexen erano gemelli, mi aveva raccontato della sua infanzia tempestosa, mi aveva confessato il suo tentativo di suicidio. Già queste informazioni sarebbero state troppe per poter essere elaborate tutte insieme, eppure a questo si aggiungeva altro ancora. C’era il modo in cui Edhuar mi aveva protetta per esempio, nel fienile dal forcone e nella capanna dalle frustate. C’era Shia che ballonzolava nella tasca della mia tunica e che lui non mi aveva più richiesto. C’erano quei due momenti in cui Edhuar mi aveva chiesto di abbandonarlo e portare la Perla a palazzo. E poi, infine, c’erano i miei sentimenti.
Ad esempio, quelli che mi avevano impedito di scappare senza di lui e che – inutile mentire a me stessa – avevano poco a che fare con il senso di colpa, nonostante questo avessi cercato di fargli credere.
C’era la dolorosa angoscia suscitata dal suo racconto, che non potevo far sparire semplicemente negandola. C’era la confusione in cui mi aveva gettato la sua sincera gratitudine, insieme al modo in cui mi aveva guardata dicendomi Sei troppo bella. E poi c’erano altre duemila emozioni dalle sfumature così delicate da rendermi incapace di riconoscerle.
Nella mia testa si alimentava un vero finimondo, la mia mente guizzava da una parte all’altra senza arrivare a un pensiero organico che mi permettesse di guardare il tutto attraverso una luce d’insieme. Che mi permettesse di capire se credevo o meno al principe di Katathaylon.
Alle prime ore del pomeriggio, Edhuar, visibilmente provato dalle ferite, si accasciò su una roccia a lato della strada chiedendo una pausa. Ormai non mancava molto al sentiero sicuro, ma la gamba non lo reggeva più.
Estrassi il cibo dallo zaino, accorgendomi di quanto fosse pericolosamente scarseggiante, così ci sforzammo di razionarlo, consapevoli dei  restanti tre giorni di viaggio. Poi riposammo il più possibile perché Edhuar potesse riprendere il cammino con più facilità; avevamo appena ricomposto lo zaino  quando udimmo lo scalpiccio dei cavalli. Rimasi inchiodata sul posto, senza capire da quale direzione provenisse il rumore.
- Togliamoci da qui! – urlò Edhuar.
Mi prese per un braccio, trascinandomi nel fitto del bosco. Mentre gli zoccoli dei cavalli comparivano in lontananza, si appiattì contro  una roccia coperta di foglie. Mi schiacciò contro di
sé, ma dietro di noi all’improvviso mancò il sostegno. Le piante alle nostre spalle, che avevamo creduto nascondere una parete di roccia, si aprirono in due rivelando una nuova fetta di bosco ben celata.
Cademmo a terra, mentre le piante si richiudevano nascondendoci alla vista dei misteriosi cavalieri.
Quando, dolorante, risollevai la testa, mi accorsi che non eravamo soli.
Seduti a bivaccare vicino a un fuoco c’erano due uomini, uno sulla trentina, l’altro sulla cinquantina. Indossavano scarponi alti e divise uguali, blu e bianche. Riconobbi i colori dei koryonos.
Guardie nomadi di Arco d’Occidente! Ci avrebbero aiutati?
Mentre ci rialzavamo ci fissarono sorpresi. Poi uno dei due, vedendo Edhuar, cambiò espressione.
- Ehi Tavil, non ti sembra di riconoscere una faccia nota?
Pensai che avessero riconosciuto il loro principe – non mi sembrava una possibilità tanto remota – ma quando entrambi si alzarono con aria malevola, capii che dovevano riferirsi ad altro.
- Non saprei – rispose il presunto Tavil. E poi, quasi immediatamente, il suo viso si ravvivò di consapevolezza – Ehi! Non sarà per caso quel moccioso che ci è saltato addosso facendo scappare il bambino?
- Già… è proprio lui!
Mi voltai verso Edhuar, percependo istintivamente la sua tensione. La sua espressione mi turbò, ma quando tornai a voltarmi verso i due uomini e notai il loro sguardo, seppi con precisione che eravamo caduti dalla padella nella brace.
 
 
Com’era possibile che ci fossimo cacciati in questa situazione? Davvero non me ne capacitavo!
Il mondo era in pericolo, il principe Alexen si stava progressivamente indebolendo, Rah rischiava di diventare instabile… e noi ancora una volta ci trovavamo impossibilitati a proseguire!
Io e Edhuar eravamo legati di schiena allo stesso albero, uno da un lato e uno dall’altro, seduti a terra con le corde avvolte attorno al busto.
Eravamo gli eroici salvatori di Katathaylon, eppure i koryonos ci avevano imprigionato come delinquenti! Se ci avessero portati ad Arco d’Occidente non sarebbe stato altro che positivo, ma purtroppo le loro intenzioni sembravano di altro tipo.
- Questo pomeriggio dobbiamo stare di ronda in questa zona – ci aggiornò l’uomo sulla trentina, quello che non si chiamava Tavil – Ci aspetterete qui pazientemente, e al nostro ritorno regoleremo i conti!
Edhuar non fiatò, così ritenni opportuno tacere a mia volta pur sentendomi umiliata da quella posizione forzata. Non ero mai stata legata prima di quel momento e anche se un tempo avrei considerato questo episodio come la ciliegina sulla torta della mia grande avventura, ora non mi sembrava altro che una gran scocciatura!
Gli uomini si prepararono e slegarono i cavalli.
- Non volercene a male ragazza – mi disse Tavil, con un sorriso fastidioso – Puoi ringraziare il tuo amico di questa situazione. Si è preso gioco dei tutori della legge e ha aiutato un ladruncolo a fuggire!
E soprattutto vi ha fatto fare una grossa figuraccia! – conclusi nella mia testa. Non mi facevo illusioni, era quello il nodo del problema. E, proprio per questo, temevo che avrebbero preferito vendicarsi personalmente su Edhuar piuttosto  che arrestarlo. In quel caso, non era forse tempo che il principe di Katathaylon si facesse riconoscere?
I koryonos si allontanarono al trotto, lasciandoci soli. Così legati saremmo stati una preda perfetta per i nostri inseguitori, l’unica consolazione era la scarsa visibilità del luogo in cui ci trovavamo.
Dall’altra parte del tronco sentii Edhuar sospirare.
- È il secondo giorno che passo in prigionia. È una condanna!
- Stiamo perdendo un mucchio di tempo! – brontolai a mia volta. Nei messaggi che mi inviava, Vera non mancava mai di farmi fretta e di ricordarmi che il principe Alexen si trovava in una situazione rischiosa. Ma io come potevo fare? Più cercavo di guadagnare tempo e più gli ostacoli sul mio cammino si moltiplicavano! Anche questa giornata sarebbe andata persa, e Edhuar che aveva il potere di ridurre i koryonos all’obbedienza non aveva fatto nulla per impedirlo.
- Avresti dovuto dire loro chi sei! – sbottai ad alta voce – Ci saremmo risparmiati tutto questo!
- Non possiamo dire nulla!
Il suo tono allarmato mi sorprese. I koryonos non erano popolani qualsiasi, servivano il re… …assicurare la giustizia era il loro lavoro!
- Perché? – domandai confusa.
- I koryonos non sono a conoscenza delle condizioni di Rah! Quando Ad’hera ha trovato il sigillo spezzato si è assicurato che la notizia si propagasse il meno possibile, le uniche persone a esserne informate siamo state io, Alexen, Sasamanka e il padre della tua amica Vera. Non so neppure se Ad’hera abbia messo a conoscenza dei fatti mio padre… più la notizia si estende, più l’equilibrio è in pericolo.
- Anche se stiamo parlando di tutori della legge? – trasecolai.
- Ogni persona in più è un rischio aggiuntivo.  Noi, che siamo vicini al trono, possediamo i mezzi maggiori per tentare di ripristinare lo stato di equilibrio e questo ci dà una migliore sensazione di controllo, e una minore possibilità di cadere nel panico. Ma più la notizia si allarga all’esterno, più le emozioni che suscita rischiano di incidere su Rah. È stato un rischio informare Tala e i custodi del passaggio, così come è stato un azzardo mettere a conoscenza dei fatti te e Vera. Akeron deve averlo valutato indispensabile, altrimenti non avrebbe corso un pericolo così alto… così come non l’avrei corso io informando Raishanta. È stato solo confidando nel buon controllo emotivo delle koralle che ho potuto sbilanciarmi.
Quelle parole mi fecero tornare in mente la reazione di Raishanta alle mie proteste. Non aveva dato ascolto alle mie parole e in quel momento avevo pensato che si fosse solo fidata stupidamente di Edhuar. E se invece avesse semplicemente evitato di dare adito a un disastro, assicurando il giusto credito alle mie parole? Se mi avesse dato retta, forse la sua ansia sarebbe diventata pericolosa.
E la mia, di ansia? Quanti danni stava causando?
Forse lo stesso atteggiamento sereno di Edhuar non era altro che un’imposizione di autocontrollo. Non mi ero resa conto che l’equilibrio fosse fragile a tal punto. Mi ero concentrata prevalentemente sulla prigionia di Vera e sulle condizioni fisiche di Alexen, ma la minaccia che correvamo era di dimensioni ben più macroscopiche.
E la soluzione a tutti i problemi, Shia, riposava tranquillamente nella tasca della mia tunica. Prendere coscienza dell’enormità delle mie responsabilità mi fece mancare un battito.
- Allegra… davanti agli altri chiamami sempre Khail. Nessuno deve sospettare la mia vera identità. Se si scoprisse che sono Edhuar, il fatto stesso di trovarmi in queste condizioni e in incognito desterebbe sospetti pericolosi. Qui a Katathaylon il pensiero corre facilmente a Shiarah, non dimenticarlo. Qualunque cosa accada, non devi mai rivelare la verità.
- Edhuar… - obiettai - …io credo che i koryonos più che arrestarti preferiscano regolare i conti con te personalmente.
- Lo credo anch’io.
Seguì un silenzio meditativo.
- Sei preoccupata? – domandò.
In effetti la ero.
- Non sei nelle condizioni migliori per affrontare una lezione di vita.
-  Di questo non devi tener conto. Promettimi che farai di tutto per mantenere il segreto!
- È chiaro che lo farò, non voglio che Rah diventi instabile! Ma questa alleanza fra noi non può durare ancora a lungo… Edhuar, non possiamo continuare a far finta che a Palazzo avremo lo stesso obiettivo! Per quanto ieri il tuo racconto sia stato toccante, ricordo perfettamente che l’idea di governare Katathaylon ti allettava. Ricordo ciò che significa per te essere re!.
Essere accettato, essere apprezzato, essere riconosciuto… essere amato.
Così aveva detto.
- Ora sei il principe ereditario… e per quanto arrivare a questo punto non fosse nelle tue intenzioni, qualcosa mi dice che ormai è troppo tardi perché tu possa tornare indietro.
Lo sentii sussultare.
- Ho ragione vero?
- Tornare indietro ormai mi è impossibile – confermò lui, in un mormorio.
Lo sapevo. L’avevo sempre saputo, ma la sua affermazione mi fece l’effetto di un cappio al collo.
- Quando saremo ad Arco d’Occidente dovrai fermarmi in qualche modo, perché io farò tutto il possibile per liberare Alexen e Vera. E cosa succederà allora? Non ti resterà che imprigionarmi o uccidermi.
- Allegra! – esclamò, addolorato. Sembrava quasi che l’avessi preso a pugni – Non hai nulla da temere da me…
- E invece sì. Non posso lasciare Alexen e Vera in quelle condizioni… mi adopererò in ogni modo per liberarli e tu non potrai lasciarmi fare… Sarò la tua nemica più accanita!
- Non dire così – la voce di Edhuar vibrava di tristezza.
- Sarai costretto.
Sobbalzai quando sentii le sue dita sfiorare le mie. Rimasi immobile e lui spinse il braccio indietro fino a prendermi la mano. Rimanemmo un po’ in silenzio.
- Non avere paura di me – mormorò poi – Non ti farei mai del male, per nulla al mondo. Preferirei morire.
Concluse la frase in un soffio di voce, lo sentii appena. Ma su di me ebbe l’effetto di una scarica elettrica.
Sono sciocchezze, non devo prenderlo sul serio!
Quando i ragazzi dicono cose simili sono inattendibili, giusto?
Non avevo mai creduto a smielature di quel tipo, erano quel genere di frasi con cui i ragazzi pensavano di passare per romantici, mentre finivano solo per diventare patetici. E io, invece di apprezzarli, li avrei presi a sberle.
Ma il problema, con Edhuar, era che lui diceva sul serio e questo rendeva tutto diverso.
Cercai di liberare la mano dalla sua, ma lui me lo impedì.  Rimase in silenzio stringendomi forte le dita, aspettando con me il calare del sole.
 
 
- Allora ragazzo… - sghignazzò Quello Che Non Era Tavil, girando attorno all’albero – Adesso immagino tu ci dirai che sei scivolato dal ramo e sei caduto sopra di noi per sbaglio!
- Niente affatto – rispose Edhuar in tono piatto – La mia intenzione era esattamente quella di cadervi addosso!
Seguì un silenzio stupefatto, da cui potei solo intuire le espressioni dei due koryonos. Erano entrambi di fronte a Edhuar e quindi alle mie spalle.
- Cosa credevi di fare? – ringhiò l’uomo a bassa voce, quando si fu ripreso dalla sorpresa.
- Far scappare il ragazzino.
Edhuar non si stava facilitando le cose, indubbiamente non era uno che amava i compromessi.
- Dì un po’ moccioso, le conosci le leggi del tuo paese? – ruggì infatti Tavil – Lo sai chi siamo noi?
Per un istante sperai che lui rimanesse in silenzio. Ma solo per un istante.
- Conosco le leggi e so distinguere fra leggi giuste e ingiuste. E fra soldati onesti e disonesti!
- Insomma Khail! – esplosi ad alta voce – Devi proprio provocarli? Non puoi stare zitto come una persona normale e sperare che ti vada bene?
Il koryonos che non era Tavil girò attorno al tronco e mi squadrò divertito. Visto da vicino era gradevole di aspetto, aveva occhi scuri leggermente allungati, un viso affilato e un naso sottile. I capelli neri gli scendevano dritti fino alle spalle forti.
- La ragazza è più furba! – commentò fra i denti.
Si chinò su di me e mi liberò le mani, ma prima che riuscissi anche solo a pensare di muovermi, mi aveva tirata in piedi e mi aveva girato le braccia dietro alla schiena. Aveva una presa ferrea, certamente avvezza a immobilizzare corpi ben più vigorosi del mio.
Mi legò i polsi dietro la schiena e mi spinse oltre il tronco, in modo che anche Edhuar potesse vedermi.
- Ora moccioso presta ascolto alla tua amica e smettila di farmi irritare!
La lama di un coltello luccicò davanti al mio viso. Era quello che mi aveva sottratto prima di legarmi al tronco… mi stava minacciando con il mio coltello!
- Tavil, fallo alzare!
Tavil allentò la corda quel tanto da permettere a Edhuar di mettersi in piedi, poi lo assicurò nuovamente al tronco.
- Adesso che possiamo guardarci negli occhi, vuoi ripetere quello che hai da dire?
Edhuar lanciò un’occhiata al coltello accanto al mio viso e rimase in silenzio.
- È ammutolito – commentò Tavil – Vuoi pensarci tu Kenas?
Il koryonos al mio fianco annuì, sembrava quello più propenso alla vendetta. In un istante si scambiarono di posto, così rapidamente che quasi non mi accorsi del cambio della presa sulle mie braccia, quando Tavil mi si affiancò. Il coltello però era tornato a distanza di sicurezza.
Kenas si avvicinò a Edhuar fino a essergli a un solo passo di distanza, lo sovrastava di almeno dieci centimetri.
- Stupido moccioso, ostacolando noi hai ostacolato il corso della giustizia. Non sei altro che un delinquente! – lo afferrò per il collo della camicia tirandolo verso di sé – Andando contro di noi, vai contro il re in persona!
Ora Edhuar era furibondo. Ero sicura di non averlo mai visto arrabbiato prima, ma Kenas lo stava facendo andare fuori dai gangheri.
- Se il re vedesse in che modo fate applicare le leggi, vi ridurrebbe a pascolare i porci! – sibilò.
Kenas divenne livido di rabbia. Era difficile dire chi dei due fosse più infuriato.
- Ti farò ritirare quello che hai detto!
Gli assestò due pugni violenti nello stomaco. Edhuar si piegò in avanti per quel poco che gli permettevano le corde, emettendo un gemito strozzato.
- È questo il modo in cui agiscono i koryonos? – ansimò – Non dovreste portarmi a palazzo?
- I delinquenti come te non meritano Arco d’Occidente!
Kenas lo colpì nuovamente allo stomaco, ripetutamente. Voltai la testa per non vedere.
Avevo iniziato ad afferrare il significato della sfacciataggine di Edhuar. Non era un atteggiamento studiatamente provocatorio il suo, non era arroganza, ma piuttosto un senso di giustizia difficile da mettere a tacere. Era l’educazione di un principe reale che parlava o, se vogliamo, l’inflessibilità di valori che si respirava ad Arco d’Occidente. L’educazione all’interno del Palazzo dava la priorità a una rettitudine inviolabile. Dall’integrità del re dipendeva la sicurezza di Shiarah, e quindi del mondo intero, non era qualcosa di trascurabile. Da qui la rigidità dei membri della famiglia reale e da qui l’impossibilità di Edhuar di soprassedere alla condotta negligente dei koryonos.
E, dovevo ammettere, lo loro condotta peggiorava di minuto in minuto, si stavano scavando la fossa con le proprie mani.
Quando Kenas si allontanò da Edhuar, l’aveva ridotto in pessime condizioni. Fino a che punto intendevano arrivare i koryonos, prima di ritenersi soddisfatti?
- Ora voglio che ti rimangi ogni singola parola! – sentenziò Kenas – Che tu chieda perdono e dica che sei pentito di aver aiutato un furfantello a scappare!
Pregai perché Edhuar acconsentisse e la facesse finita. Speranza assolutamente vana.
- Non me ne sono pentito – ansimò infatti, con il respiro corto.
- Devo trovare nuovi argomenti per persuaderti?- Kenas sembrava pronto a ricominciare.
- Come ad esempio la figuraccia che avete fatto di fronte ai genitori del bambino che vi è scappato? È solamente quello a preoccuparvi: esservi coperti di ridicolo!
Chiusi gli occhi rassegnata.
Era proprio l’argomento che Edhuar avrebbe dovuto evitare come una tremenda malattia contagiosa... perché lui non ci arrivava?
Fin dalla mia posizione vidi gli occhi di Kenas accendersi di furore. Se si sentiva umiliato, poteva diventare davvero pericoloso.
- Molto bene, vedremo allora chi si coprirà di ridicolo!
Dalla cintura estrasse un pugnale con il sigillo reale, lo stesso che si trovava sulla pergamena che avevo consegnato a Raishanta. Poi si chinò a terra di fronte alle gambe di Edhuar e, sotto ai miei occhi, sciolse la fasciatura alla coscia.
- Questa è un’ottima ferita – considerò. Alzò gli occhi su Edhuar con un sorriso – Mi implorerai di smettere e vedremo quanto peserà a te questa umiliazione!
Quando avvicinò il coltello alla ferita, pensai che fosse completamente impazzito.
- Fermati! – lo ripresi – È una ferita profonda, lo farai morire dissanguato!
Fu come se non avessi aperto bocca. Solo Tavil diede segno di avermi sentita, aumentando la stretta sulle mie braccia.
Kenas infilò la punta del pugnale nella ferita e premette delicatamente. Dapprima fuoriuscì solo un filo di sangue. Edhuar strinse i denti e non disse nulla. Mi guardò.
Brutto stupido – avrei voluto dirgli –Te la sei cercata!
Ma quando il pugnale affondò nella coscia, persi il filo dei pensieri. Edhuar gemette e Kenas, per tutta risposta, rigirò la lama nella ferita.
Mi si attorcigliarono le budella e quando vidi il sangue iniziare a scorrere a fiotti, venni attraversata da una fitta di terrore.
- Smettila! Smettila, lo ammazzerai! Basta!
Era come se neppure mi sentisse. Rigirò di nuovo il coltello e Edhuar gridò. Era diventato pallido come un lenzuolo e per un momento pensai che sarebbe morto dissanguato davanti ai miei occhi. Gridò di nuovo, mentre Kenas gli tormentava la ferita. C’era troppo sangue, non capiva che era un omicidio?
- Sei un assassino! – urlai senza ritegno – Non siete koryonos, siete assassini!
- È la tua parola contro la nostra – mi sussurrò Tavil all’orecchio. Lo sentii a malapena.
Kenas rigirò ancora il coltello e altro sangue si riversò dalla ferita.
- Basta! Basta, ti prego! Lascialo stare!
Ormai non vedevo altro che il sangue di Edhuar ed era un fiume intero. Era troppo, assolutamente troppo. Non riuscivo a sopportarlo, eppure non sapevo come fermare quella corsa alla morte. Volevo massacrare di pugni quei koryonos disgraziati, e invece  non potevo fare niente. Ero completamente impotente.
- Fermatevi o ve ne pentirete! – gridai, seguendo l’unica strada che mi era rimasta – Ve ne pentirete per tutta la vita, voi non sapete chi avete davanti!
Questo li fermò.
All’improvviso Kenas si voltò verso di me ed estrasse il pugnale dalla ferita.
- Cosa intendi dire?
Ammutolii, rendendomi conto di quello che avevo fatto. Evitai di guardare in faccia Edhuar.
Kenas prese un fazzoletto e lo avvolse temporaneamente attorno al taglio, poi si alzò.
- Parla ragazza, a cosa ti riferisci?
Mi morsi le labbra, quasi che la verità potesse sfuggirmi mio malgrado.
- Parla! – urlò Kenas.
Chiusi gli occhi, tentando di estraniarmi.
Non potevano obbligarmi a parlare, giusto? Solo io potevo decidere se rivelare o meno l’identità di Edhuar!
- Non preoccuparti Kenas – intervenne Tavil dietro di me – Ce lo dirà lui!
Mi afferrò per i polsi legati e mi trascinò letteralmente fino all’albero, di fronte a Edhuar. L’ombra della lama tornò a profilarsi di fianco al mio viso.
- Allora moccioso, cosa intendeva dire la tua amica?
Edhuar sembrava debolissimo e non aprì bocca.
- Forse non hai capito – disse Tavil duramente – Se non parli, la sfigurerò completamente!
Sotto quella minaccia mi si fermò il cuore. Iniziai a sudare freddo.
- Allora, chi sei?
Edhuar aveva lo sguardo fisso sul coltello. Era lancinato dai dubbi, lo si poteva facilmente intuire. Mi fissò dolorosamente e lessi nel suo sguardo le parole che mi aveva rivolto nel pomeriggio.
Qualunque cosa succeda, non dire mai la verità.
Trattenni il respiro.
Lo so che non puoi parlare Edhuar, lo so.
Non poteva cedere, l’equilibrio di Rah e del mondo erano appesi a un filo.
Chiusi gli occhi. Non dovevo parlare neanch’io. Assolutamente non dovevo.
Risollevai le palpebre. Edhuar mi guardava con un tale dolore da far star male anche me.
- Parla, ragazzo!
La lama mi sfiorò la pelle, gelidamente.
Edhuar chiuse gli occhi ed emise un sospiro. Poi chinò il capo.
- Non posso – disse – Non posso dire nulla.
- Sei tu che l’hai voluto. Te la terrai sulla coscienza per tutta la vita!
Mi dimenai, ma la presa di Tavil era irremovibile come cemento. Non c’era nulla che potessi fare per evitare quel destino. Potevo solo comportarmi come l’eroe della mia avventura, in modo da poter essere fiera di me in futuro.
Non dirò nulla. Non dirò nulla!
Mi imposi di avere coraggio e rimasi immobile a occhi chiusi, aspettando. La lama mi punse le tempie.
Sono coraggiosa! – tentai di convincermi - Io sono un’eroina coraggiosa!
- Fermati! Va bene, hai vinto.
Per un momento temetti di aver parlato. Possibile che la mi bocca potesse parlare autonomamente dalla mia volontà?
Poi mi resi conto che era stato Edhuar. La lama si allontanò di qualche millimetro.
- Allora? – fece Tavil.
Edhuar sembrava sfinito, fisicamente ed emotivamente. Aprì  la bocca, ma sembrava che le parole non volessero uscire.
- Guardate quello che porto al collo – riuscì infine a bisbigliare.
Girò la testa di lato mentre Kenas gli scostava bruscamente i lembi della camicia. Fra le pieghe del tessuto brillò la catena con la chiave.
Solo in quel momento mi resi conto che la chiave del Braccialetto del Re doveva essere il segno di riconoscimento del principe Edhuar.
Kenas infatti impietrì.  Lasciò la chiave come se scottasse e arretrò di qualche passo.
- Kenas? – domandò Tavil, che non aveva avuto modo di vedere chiaramente.
Il koryonos cadde in ginocchio.
- Tavil… questo è … il principe Edhuar.
Improvvisamente mi trovai libera. Tavil cadde in ginocchio a sua volta.
Edhuar però sembrava indifferente a quello che stava accadendo, il suo viso aveva perso le ultime tracce di colore e all’improvviso il suo corpo si accasciò a terra privo di conoscenza.
 
 
Quando riaprì gli occhi, nel suo sguardo lessi il più completo disorientamento. Sbatté le palpebre  ripetutamente per ristabilire un contatto con la realtà, era stato privo di sensi così a lungo che ormai nella foresta era sceso il buio fitto. L’oscurità era rotta solamente dai bagliori del fuoco acceso dai koryonos, che, dopo avermi fornito il necessario per aiutare Edhuar, si erano seduti a distanza di sicurezza in attesa che il loro principe riprendesse conoscenza ed emettesse un verdetto nei loro confronti.
Quando Edhuar cercò di rialzarsi, il dolore lo ricacciò a terra con un ansito di sorpresa.
- Lo so, fa male – mormorai – Ho dovuto ricucire la ferita per fermare il sangue.
- La…ferita?
Compresi che era ancora confuso, che non si era ancora reso conto di cosa era accaduto.
Lo aiutai a mettersi a sedere, ma una volta ritto venne prese da un fortissimo capogiro. Si appoggiò a me e in quell’esatto istante i fatti della giornata gli tornarono alla mente. Lessi la consapevolezza nei suoi occhi prima che li richiudesse.
- Sanno chi sono, vero? – sussurrò.
Accennai di sì con la testa, pur sapendo che, a occhi chiusi, non poteva vedermi.
- Che cosa ho fatto? Che cosa… ho combinato?
- Mi hai salvato la faccia – mormorai. Ma forse questo, a mente fredda, non aveva più molto valore.
- Rah non può reggere altra tensione, succederà un disastro!
- Non è detto che accada… non puoi esserne sicuro.
Il senso di colpa m’infiammò le viscere, perché ero stata io a mettere la pulce nell’orecchio ai koryonos. Eppure, se non lo avessi fatto forse ora Edhuar sarebbe stato un corpo senza vita… e quell’immagine mi faceva vacillare molto più dell’instabilità di Rah, che in quel momento non era più di un timore astratto.
Edhuar invece si prese il viso fra le mani, la sua angoscia diceva chiaramente che per lui il pericolo che correva il mondo era quasi una certezza.
- È stata colpa mia – mormorai – Sono stata io a cedere per prima.
- Tu volevi solo salvarmi la vita! Ma non saremmo arrivati a questo punto se io non li avessi provocati.
Come dargli torto?
- Dovevo starmene zitto… avrei dovuto cucirmi la bocca e sopportare! Invece mi sono lasciato trascinare dalla rabbia… ero così infuriato!
- Lo so. Me ne sono accorta.
- Vedere dei koryonos comportarsi a quel modo mi ha fatto mancare il lume della ragione. Io… ho perso il controllo.
- Può succedere Khail – cercai di consolarlo – A me capita di continuo!
- Invece non doveva succedere! Io non sono una persona qualunque Allegra, non sono un popolano! Sono un principe di Katathaylon e non posso perdere il controllo a questo modo. Alexen non l’avrebbe fatto, capisci? Né lui né mio padre! È per questo che sono stato allontanato da Arco d’Occidente, è per questo che mio padre non mi ha mai voluto! Io sono un pericolo per Katathaylon, aveva ragione!
Ascoltai sbigottita il suo delirio, poi, senza preavviso, la rabbia mi esplose nel cervello.
- Che sciocchezze dici? Come avrebbe fatto tuo padre a sapere queste cose quando eri nato da due minuti? Svegliati Edhuar, le tue paranoie non stanno in piedi! Non c’era nessun motivo per cui tuo padre dovesse preferire Alexen a te, ha semplicemente scelto un bambino a caso!
Le mie parole gli fecero sbarrare gli occhi.
- Non è quello che mi ha sempre detto – rispose, incredulo.
- Ciò che ha detto tuo padre per giustificare la sua scelta non è attendibile. Quello che ti dico io è attendibile! Non c’è niente in te che non vada, ho viaggiato con te per giorni ed è palese che sei una persona intelligente, coraggiosa, con un senso di responsabilità verso Katathaylon che non è certamente da meno di quello di tuo fratello! Per cui non dirmi più stronzate!
- Se dici così…è perché mi credi? Credi che non sia stato io a spezzare il sigillo di Rah?
- Certo che ti credo! Solo un’imbecille non ti crederebbe!
E io ero stata un’imbecille fino al giorno prima.
- So come ti senti – aggiunsi, sforzandomi di essere più comprensiva – Anch’io mi sento schiacciata dal senso di colpa quando faccio qualcosa impulsivamente. Come quando… ti ho quasi fatto morire assiderato. È stato orribile, non smetterò mai di pentirmene! – non abbassai lo sguardo davanti ai suoi occhi liquidi – Ma non mi pento di aver parlato – aggiunsi piano – Non mi pento di aver impedito che ti uccidessero.
- Se il mondo resterà sconvolto, te ne pentirai eccome.
- Forse.
Sorrisi, sentendolo più calmo.
- Perché l’hai fatto? – chiese.
- Che cosa?
- Tradire i tuoi principi per salvare me.
- È quello che hai fatto anche tu.
Già…
 Eccoci qui, due poveri incoscienti.
- Perché Allegra?
- Ho pensato che ne valesse la pena.
- Di nuovo? – fece lui, stavolta con un accenno di sorriso.
Annuii. Avrei voluto dirgli che le vite umane avevano un valore intrinseco inalienabile e che la sua dignità non gli derivava dalla considerazione datagli o meno dal padre.
Io sapevo che Edhuar aveva valore semplicemente in se stesso. Ma come potevo rendere il suo cuore permeabile a quella verità?
Il mio corpo agì d’istinto, trovando una sua personale soluzione. L’istante prima ero in ginocchio davanti a lui e quello dopo lo stavo baciando delicatamente. Per un secondo Edhuar rimase immobile, meravigliato, poi si lasciò trascinare e l’attimo dopo mi trovai stesa a terra, schiacciata dal suo peso. Quando si staccò, avevamo entrambi il respiro corto.
- Stai attenta a quello che fai – disse con un sorriso – È da troppo tempo che mi trattengo.
Cercai di recuperare un contegno, sbalordita dal mio stesso comportamento.
- Come sei irruente! – borbottai – Intendevo solo sottolineare le cose che ho detto!
- Cioè…  mi hai baciato per ribadire un concetto?
- Esattamente.
La baldanza della mia affermazione venne guastata dal rossore che mi salì al viso.
- Anche tu dovresti ribadire qualcosa a quei due laggiù – dissi, per depistare la sua attenzione da quello che avevo fatto. Gli indicai i koryonos, ancora seduti dall’altra parte del fuoco, in contrita attesa.
- Ah… Mi ero dimenticato di loro – mormorò Edhuar, diventando improvvisamente cupo.
Notai con sollievo che tutta la sua concentrazione si spostava su di loro, sentivo il bisogno di tempo per riprendermi dagli effetti sorprendenti che quel bacio aveva avuto su di me.
- Vuoi che vada a chiamarli? – gli chiesi.
- No. Posso andare io da loro.
Fece leva sulla gamba sana e si attaccò al tronco di un albero. Si sollevò con estrema fatica.
- Khail…
- Ce la faccio.
Non era un movimento sano per la sua ferita, ma quando iniziò a zoppicare verso i koryonos mi colpirono l’autorevolezza e la dignità del suo atteggiamento, tanto da farmi tenere a distanza. Come già al nostro arrivo ad Arco d’Oriente, il vagabondo Khail si era trasformato improvvisamente nel principe Edhuar.
Tavil e Kenas appena lo videro sopraggiungere s’inchinarono, accogliendolo a testa bassa. Non osarono alzare gli occhi neppure quando fu loro di fronte.
Edhuar li osservò in silenzio per un po’, meditabondo.
- Non sono soddisfatto – disse infine.
Un inizio piuttosto pacato tutto sommato, io li avrei presi direttamente a calci!
I due riuscirono ad abbassare ancora di più il capo, in silenzio.
- Non approvo una legge che strappa i ragazzini alle loro famiglie – proseguì – Ma mi rendo conto che non stavate facendo altro che il vostro dovere. Quello che più mi preoccupa però, è stato vedere il modo in cui mi avete trattato. Un delinquente deve essere arrestato e condotto ad Arco d’Occidente perché venga giudicato dal Vanathà. Il modo brutale con cui usate farvi giustizia da soli è crudele e riprovevole, oltre che illegale.
Se i koryonos fossero stati in grado di penetrare nel terreno, l’avrebbero sicuramente fatto. Tenevano la testa così bassa, che non vedevo altro che i loro capelli.
- Siete tutori della legge – ribadì Edhuar – E proprio per questo la vostra condotta deve essere irreprensibile. La vostra colpa è molto grave, ne siete consapevoli?
- Non abbiamo parole per giustificarci – rispose Tavil per entrambi.
- Voglio che sappiate che ciò che avete fatto non è considerato grave perché la vittima ero io.  È grave perché non avete il diritto di trattare nessun uomo come avete fatto con me oggi! Voglio che questo sia chiaro!
Kenas annuì senza alzare gli occhi.
- Ci siamo lasciati… trascinare dall’ira.
- L’ho fatto anch’io – convenne Edhuar, provocando in loro un sussulto di sorpresa – Ma ai koryonos non sono concesse vendette personali.
- Accetteremo la pena dovuta – disse Tavil, contrito.
- In questo momento preferisco affidarvi un incarico.
I due alzarono la testa di scatto, sorpresi.
- Ci sono dei traditori che mi cercano per uccidermi. Ieri sera li ho lasciati in una baita più a est, uno di loro è ferito. Voglio che li troviate, che li catturiate e che li portiate ad Arco d’Occidente per interrogarli!
- Sarà fatto.
Kenas però non riuscì a nascondere la sua agitazione.
- Principe… ci condannerete a morte?
- Non m’interessa uccidervi – replicò Edhuar, secco – Quello di cui ho veramente bisogno, è di potermi fidare di voi!
- Vi ho quasi ucciso! – esclamò, incredulo – Per il tradimento nei confronti di un membro reale, la pena è la morte!
- Kenas… - rispose lui, stanco – Niente vendette personali, vale anche per me. La legge non si applica in questo caso, non eravate a conoscenza della mia identità. Quando arriverete ad Arco d’Occidente riparleremo della vostra condotta.
- Dobbiamo partire subito?
- Ormai è notte e io e Allegra abbiamo bisogno di protezione. Aspettate il mattino… uno di voi questa notte dovrà restare di guardia.
Tavil annuì e si offrì come volontario.
- Potete alzarvi – concluse Edhuar, voltandosi.
- Principe!
Quando Edhuar si girò di nuovo verso di lui, i suoi occhi erano guardinghi.
- Se voi viaggiate in incognito e in queste condizioni, significa…
- Non c’è bisogno di parlarne. Voi non chiederete e io non vi dirò nulla. Né racconterete niente di tutto questo ad anima viva.
- Sì, signore.
- Principe.. – disse ancora Kenas – Io… desidero  ringraziarvi. Se vi foste comportato come abbiamo fatto noi…
- In realtà siete stati fortunati – disse lui brusco, ma subito dopo il suo viso si addolcì in  un sorriso – Se aveste fatto del male ad Allegra, ora non sarei così tranquillo.
Arrossii istantaneamente mentre i due si voltavano a guardarmi.
- La vostra compagna di viaggio è coraggiosa – disse Tavil – È coraggiosa quanto voi.
Chinarono entrambi la testa verso di me.
- Vi chiediamo perdono isy.
- Lasciatemi fuori da tutto questo – risposi nervosamente – Io non appartengo alla famiglia reale e non ho l’autocontrollo di Edhuar. Fosse per me, vi riempirei di pugni!
- Potete farlo – intervenne Kenas – Sarebbe poca cosa rispetto a ciò che ci meritiamo.
- Non stuzzicatela – li avvertì Edhuar sorridendo – Anche se è una donna, potreste scoprire che è in grado di colpire pesantemente.
- Mi state prendendo in giro? – esclamai – Andiamo a mangiare qualcosa piuttosto, è sera inoltrata e abbiamo tutti lo stomaco vuoto!
Così posi fine a quella scenetta assurda che sembrava volermi far precipitare nel ridicolo.
Tavil e Kenas non mangiarono con noi, si tennero a distanza, ancora piuttosto in soggezione. Edhuar era stanchissimo e non aveva appetito, ma lo costrinsi a cenare e, soprattutto, a bere; aveva perso così tanto sangue che mi stupii riuscisse anche solo a tenersi seduto. Ci coricammo vicino al fuoco uno accanto all’altra, sotto l’unica coperta che ci era rimasta. Nonostante il bruciore della ferita, Edhuar si addormentò di colpo, sprofondando in un sonno immobile e silenzioso. Per me invece non fu altrettanto semplice.
Appena mi coricai, la testa mi si affollò di immagini e pensieri che vorticarono nel mio cervello scanditi dal ritmo lento del respiro di Edhuar. Mi rigirai a destra e a sinistra senza riposo, non potevo addormentarmi finché il mio cuore correva a quella velocità, ma il mio cuore non avrebbe rallentato se prima non fossi riuscita a svuotarmi la testa.  I miei pensieri continuavano a tornare al momento in cui Edhuar aveva fermato Tavil tradendo la sua identità.
Qualunque cosa succeda, non dire mai la verità.
Non ti farei mai del male, per nulla al mondo. Preferirei morire.
Le sue parole assumevano ora una nuova autenticità. Dopo averlo visto in azione negli ultimi giorni, non avrei mai… mai creduto che avrebbe messo a rischio il mondo intero per me.
E non avevo forse fatto anch’io la stessa cosa?
Il cuore non accennava a rallentare e i minuti intanto fluivano a velocità accelerata. Tavil, di sentinella, fissava il fuoco con sguardo vacuo. Mi rendevo conto, a momenti alterni, che lanciava occhiate pensierose nella nostra direzione.
Dopo il trattamento ricevuto nel pomeriggio, io non mi sarei più fidata dei due koryonos, ma Edhuar aveva affidato loro la nostra incolumità. La sua imparzialità mi aveva stupita. È vero, li aveva provocati, ma loro avevano decisamente passato il segno. Io non sarei riuscita a perdonarli con tanta facilità.
Concentrando i miei pensieri sui koryonos, il mio respiro si fece pian piano più tranquillo e scivolai nel sonno senza rendermene conto. Era ormai l’alba quando Vera si mise in contatto con me, le sue parole si insinuarono fra i miei sogni e risuonarono amplificate nel dormiveglia.
- Allegra! – sentii urlare nella mia testa – Non c’è più tempo. Credo che il principe Alexen si sia ammalato, ha passato la notte intera tossendo. Il suo fisico è fortemente provato e ancora di più la sua anima. Ha bisogno di parlare al fratello ma lui si rifiuta di riceverlo, ogni volta che chiede di vederlo, compare Ad’hera con una tortura più pesante. La resistenza psicologica di Alexen si è ridotta a un filo sottilissimo, devi fare più in fretta che puoi!
Le parole vorticarono fra i miei pensieri confusamente, nel dormiveglia mi chiesi come facesse Vera ad avere tutta questa fiducia in me, a credere che una volta arrivata a Palazzo avrei risolto le cose. Poi, fra le immagini indistinte del sogno, suoni e significati si rimescolarono agganciandosi fra loro in forme nuove.
E capii la verità.
Balzai a sedere di scatto, improvvisamente sveglia e lucida.
- Ho capito! – gridai.
Edhuar si mosse nel sonno, infastidito dai miei spostamenti. Non sembrava ancora pronto a svegliarsi… ma io non potevo più aspettare.
- Khail, svegliati, devo parlarti!
Ero sicura che mi avesse sentita, ma fece finta di niente.
- Forza, è importante!
Gli sfilai la coperte e iniziai a strattonarlo avanti e indietro.
- Ho capito chi è il traditore ad Arco d’Occidente!
Stavolta aprì gli occhi. Era ancora assonnato, ma finalmente avevo la sua attenzione.
- L’hai capito dormendo? – chiese, con voce impastata.
- Mi ha parlato Vera, stupido! Ha detto che Alexen chiede in continuazione di vederti, ma che tu ti rifiuti di farlo!
- E come potrei vederlo? – domandò lui, disorientato – Sono qui con te!
- Ha aggiunto che ogni volta che chiede di parlarti, Ad’hera lo maltratta ancora di più.
Lasciai cadere l’affermazione come una pietra in acqua, e attesi l’impatto.
Edhuar si alzò lentamente a sedere, in un silenzio tombale.
- Questo non ha senso – disse infine.
- Credi?
Non era ancora del tutto sveglio, non aveva ancora colto quello che a me invece stava diventando sempre più chiaro.
- Khail… quando mi hai detto che non avevi dato ordine di massacrare tuo fratello… eri sincero vero?
- Certo – fece lui, sorpreso – Ho semplicemente chiesto ad Ad’hera di informarsi sul luogo in cui si trova Rah, cosicché si potesse riunire Shiarah appena io fossi rientrato.
- E se Alexen non avesse parlato? Non hai chiesto che fosse torturato?
- Torturare mio fratello? – inorridì lui – Sei impazzita? Alexen sa perfettamente che l’unico modo per ristabilire l’equilibrio è riunire Shiarah. Non c’è motivo per cui non debba collaborare!
Avevo visto bene, ora ogni elemento si collocava al proprio posto. L’ingiustificata crudeltà di Edhuar nei confronti del fratello, che stonava brutalmente con l’immagine che mi ero fatta di lui, non era altro che un’invenzione di Ad’hera.
- Evidentemente tuo fratello non si fida di Ad’hera – spiegai.
Edhuar sussultò e mi guardò come se avessi detto una follia.
- Cosa stai insinuando?
- Non insinuo nulla, ormai ne sono certa! Vera e Alexen sono convinti che tu ti trovi tuttora a palazzo e che tu abbia spezzato il sigillo di Rah per ambizione personale. Nessuno ha spiegato loro cosa è successo veramente. E Ad’hera sta torturando brutalmente tuo fratello a tuo nome.
- Che prove hai? – chiese Edhuar, mentre la sua sicurezza vacillava.
- Sono giorni che Vera mi trasmette immagini agghiaccianti!
Vidi che le mie parole avevano messo in moto il suo cervello
- Se così fosse, gli uomini che mi volevano uccidere potrebbero… essere al servizio di Ad’hera.
- Sì, avrebbe senso – dissi. Più mi soffermavo sulla situazione e più i diversi tasselli si incastravano  al proprio posto – Se Ad’hera finge che tu sia ancora a palazzo, può far passare i suoi ordini per tuoi aumentando la sua autorità. Nel frattempo può estorcere ad Alexen il nascondiglio di Rah e ucciderlo lentamente in prigione, senza un’esecuzione eclatante,  lasciando te come unico erede.
- Salvo poi farmi uccidere – aggiunse Edhuar, turbato – Se nessuno sapeva del mio viaggio ad Arco d’Oriente, nessuno avrebbe saputo per lungo tempo neppure della mia morte. Ad’hera poteva approfittare della segretezza con cui mi sono mosso per togliermi di mezzo e avere Shia.
- E diventare padrone di tutto.
Nel silenzio che seguì, mi accorsi di un’ulteriore implicazione.
- Se davvero così fosse, vorrebbe dire che Raishanta è in pericolo! Se Ad’hera vuol mantenere la segretezza, potrebbe aver ordinato ai suoi uomini di uccidere anche lei!
La faccia di Edhuar era una mescolanza di orrore, incredulità e ansia.
- Non voglio crederci – disse, sgomento – Se tutto questo fosse vero… sarebbe atroce!
- Riesci a trovare un’altra spiegazione? Se non hai dato ordine di torturare tuo fratello, perché ora è in fin di vita? Perché è convinto che tu non lo voglia vedere?
- Sei veramente sicura che siano queste le sue condizioni?
- È dall’inizio di questo viaggio che ti parlo di quello che mi comunica Vera!
- Ho creduto che esagerasse – ammise lui . Ho pensato che stesse calcando la mano per farti fretta! Non avevo motivo di credere che Ad’hera stesse facendo il doppio gioco.
- Vera non ha calcato la mano! – mi indignai – Ho visto con i miei occhi tuo fratello! Vera mi ha fatto provare le sue sensazioni… è debolissimo. Ha ferite su tutto il corpo e ora sembra che si sia ammalato. E non si capacita del tuo comportamento. Secondo lei, sta per cedere.
Gli occhi di Edhuar si erano fatti più cupi man mano che parlavo. Capivo che non volesse credermi, che si sarebbe appigliato a qualunque spiegazione alternativa. Ma non c’erano spiegazioni alternative.
- Non ti fidi di me? – lo provocai – Pensi che ti stia mentendo su quello che ho visto?
Edhuar chinò la testa e si coprì il volto con una mano.
- Come faccio a non crederti? – gemette – Ma se questa è la verità…
Non completò la frase. Rimase immobile e temetti che scoprire la verità gli avrebbe causato una nuova crisi delle sue. Invece quando abbassò la mano, la sua espressione era dura e determinata.
- Dobbiamo affrettarci! – disse – Se hai ragione non ci rimane tempo!
Istintivamente fece per alzarsi, ma ancora una volta la ferita alla gamba lo fermò.
- Maledizione! – imprecò sottovoce. E non aveva tutti i torti: come potevamo affrontare tre giorni di cammino in quello stato?
- Ci faremo dare un cavallo dai koryonos – disse lui, risolvendo brillantemente la questione – In due non potremo cavalcare velocissimi, ma entro domani pomeriggio saremo ad Arco d’Occidente. I koryonos si procureranno un altro cavallo a una locanda, poi andranno a cercare i traditori. Se li prenderanno, sarà al sicuro anche Raishanta.
Tavil e Kenas non fecero alcuna obiezione a cedere una delle loro cavalcature. Aiutarono Edhuar a salire in groppa e io montai di fronte a lui. Era la prima volta che andavo a cavallo, ma nonostante il vertiginoso senso d’instabilità,  non osai fiatare.
- Vi aspetterò a palazzo, confido che condurrete i traditori con voi – disse Edhuar, come saluto.
I koryonos s’inchinarono, quando si rialzarono noi eravamo già due puntini lontani.
A quell’andatura raggiungemmo il sentiero sicuro in un quarto d’ora, poi, a passo sostenuto, proseguimmo seguendo la scia delle foglioline rosse.
 
 
 

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Capitolo 19
*** Bruciata ***


L’ennesimo colpo di tosse spezzò nuovamente il silenzio.
 Per  un lungo istante ad Alexen mancò il respiro, poi, con un suono graffiante, l’aria tornò a scorrere nei suoi polmoni.  Era da diverse ore che la tosse non gli dava pace, il suono aspro e raschiante del suo respiro si intensificava ad ogni accesso amplificando la preoccupazione di Vera.
Si afferrò l’orlo del vestito e tirò con forza, ma il tessuto non cedette. Riprovò con maggiore energia, senza ottenere risultati migliori. Perché quando lo facevano nei film, sembrava un’operazione così semplice?
- Cosa fate? – chiese Alexen stupito.
- Il mio vestito è di tessuto pesante, se riesco a strapparne l’orlo posso ricavarne una sciarpa per voi. Per tenere almeno la gola al caldo.
- Non fatelo.
- È sufficiente una striscia minima.
- Non fatelo, Vera – ripeté, ma subito le sue parole vennero soffocate da un nuovo colpo di tosse. Si appoggiò al muro e chiuse gli occhi, respirando profondamente per calmare l’attacco.
-  Io… ho deciso di parlare – disse infine.
Vera smise di respirare. Aveva previsto che quel momento sarebbe arrivato, ma ugualmente le parole di Alexen le provocarono un brivido di panico.
Lui sollevò le palpebre per controllare la sua reazione.
- Principe… se parlate, Ad’hera avrà Rah.
- Non Ad’hera, ma Edhuar. Avrà finalmente quello che desidera – tornò lentamente a chiudere gli occhi – Io non ce la faccio più.
- Alexen… - Vera gli si avvicinò e istintivamente gli toccò  un braccio. Quel minimo contatto, unito alla sua preoccupazione, fu sufficiente a trasmettere alla sua mente un caleidoscopio di immagini.
Una girandola di orrori: picchiato, seviziato, spogliato, insultato, umiliato. Era peggio di quello che aveva pensato, molto peggio. Fece fatica a sostenere la visione.
Eppure non si trattava solo di quello, ritrovò ancora una volta quel nodo di dolore emotivo, ora amplificato e alimentato dal dubbio, dall’incomprensione, dalla confusione… dal legame profondo che, nonostante tutto, Alexen sentiva con il fratello.
Vera si staccò turbata. Alexen non aveva mentito: non ce la faceva davvero più.
Lui abbassò lo sguardo.
- Preferirei che non aveste visto – mormorò.
- Vedere mi ha dato un’idea della vostra forza… Avete sopportato più quanto avessi compreso.
- Non lusingatemi Vera, quella forza si è esaurita. Temo che non fosse poi così tanta, perché non mi resta più una sola briciola di coraggio.
In quel momento udirono entrambi un suono metallico, ormai dolorosamente noto. Avevano appreso velocemente che, una volta udito quel rumore, nel giro di un quarto d’ora si faceva vivo Ad’hera con i suoi scagnozzi.
Vera avrebbe voluto più tempo,  aveva bisogno di più tempo perché non poteva lasciare che il principe parlasse.
- Siete più forte di quelle che credete! – disse.
- No – Alexen scosse la testa con una stanchezza che non gli aveva mai visto – Sono più debole invece. Mi credevo forte Vera, ma non lo sono. Non più. – indicò con lo sguardo la direzione da cui era venuto il suono – Quando sento questo rumore il mio corpo inizia a tremare senza controllo, e io tento di fermarlo, perché mi fa vergognare… ma non mi ubbidisce. E quando vedo Ad’hera provo una nausea così forte che mi metterei a vomitare, se solo avessi qualcosa nello stomaco! Il solo pensiero di tornare nella stanza in fondo al corridoio mi paralizza dal terrore… non posso sopportare un altro interrogatorio… non posso sopportare neppure altri cinque minuti là dentro!
La tosse lo colpì in quel momento con violenza, facendolo piegare in due.
- Alexen, vi aiuterò io!
- No Vera – rispose lui, quando la tosse iniziò a calmarsi – Non sopporto più nemmeno questo! Lasciatemi parlare, così uscirete finalmente da questa cella! Potrete smettere di privarvi del cibo per me, di tremare di freddo, di strapparvi gli abiti per coprirmi o di consumare la vostra energia per darmi sollievo! Basta vi prego, non ha senso!
Alexen si accasciò contro il muro.
 - Forse, se parlo, Edhuar mi vorrà vedere.
- È questo vero? – Vera lo sentiva chiaramente – È questo che vi manda in crisi.
- Sì, mi manda in crisi. Non capisco cosa stia succedendo, cosa stia combinando mio fratello. Non so più cosa è giusto, né per cosa… sto resistendo. Ho bisogno di parlare a Edhuar, di sapere cosa gli passa per la testa. Non m’importa di lasciargli il trono Vera, può prendere il mio posto se è quello che vuole.
La crisi di Alexen la toccava per la sua profonda complessità. Non era questione di dargli coraggio né di curare le sue ferite, ciò che il principe voleva erano risposte. Ed era disposto a rischiare, perché pur non fidandosi di Ad’hera, si fidava del fratello.
- Alexen… io non sono sicura che se parlerete, il vostro segreto arriverà fino al principe Edhuar.
- Cosa intendete dire? – i suoi occhi si riempirono di confusione.
- Ho avuto modo di parlare più volte con la guardia che mi porta da mangiare Ho la sensazione che inizi lui stesso a dubitare di quanto avviene a palazzo. Non approva il trattamento che vi viene riservato e riferisce di non aver più visto vostro fratello dal giorno della rivolta.
Il volto del principe s’incupì.
- Cosa pensate che significhi?
- È sicuramente poco per fare supposizioni, ma mi domando se Ad’hera non stia cercando di ingannare anche Edhuar. Gira per il palazzo dando ordini che fa passare come volontà di vostro
fratello… eppure di lui non si è più vista traccia. A Palazzo stanno girando voci confuse. Io credo che riferire ora ad Ad’hera il nascondiglio di Rah sia un rischio da evitare.
Alexen non le staccava gli occhi di dosso. Era sfinito e le sue parole non lo stavano aiutando.
- Sammel, la guardia, ci aiuterà a scappare – gli disse, finalmente – Ormai non ho più dubbi. Ma voi dovete resistere ancora un giorno Alexen.
Vide le ombre della disperazione oscurargli gli occhi.
- So cosa vi sto chiedendo – mormorò con voce appena udibile – Ho… visto quello che avete passato e sono consapevole che sia crudele e atroce pregarvi di sottoporvi ancora a quel supplizio. Ma per il bene del vostro regno devo domandarvi di resistere ancora una volta. Un giorno solo principe, l’ultimo. Ho bisogno che siate più forte del vostro terrore, del tremito del vostro corpo… …della nausea per Ad’hera. Per il vostro popolo Alexen.
Vera trattenne il respiro in attesa della risposta del principe, ma quando lui fece per parlare un violento accesso di tosse lo fece piegare a terra. Invece delle parole, dalla sua bocca uscì solo un rantolo faticoso.
Vera gli afferrò le mani e cercò di stabilire un contatto per aiutarlo. Lentamente riuscì a farlo respirare.
- Vi prego Alexen – sussurrò – Io farò tutto ciò che posso per aiutarvi. Se avete bisogno di energia vi darò la mia, se avrete bisogno di coraggio posso provare a infondervelo, se avete…
Alexen le strinse la mano interrompendola.
- Va bene così Vera – disse in un bisbiglio – Da quando siete in questa cella avete dato tutta voi stessa per aiutarmi, sacrificandovi in tutti i modi possibili. Questa è la prima cosa che mi chiedete e non ve la negherò. Mi fido ciecamente di voi… resisterò ancora un giorno, se è ciò che ritenete giusto.
Vera ammutolì. Non si era aspettata una tale dimostrazione di fiducia, sapeva quanto sarebbe costata al principe quella concessione.
Non fece in tempo a reagire in alcun modo perché, senza preavviso, la porta si spalancò con un cigolio perforante.
Quando Ad’hera varcò la soglia, Vera comprese immediatamente che dovevano aspettarsi il peggio. Era nervoso e irritato, una pessima combinazione con cui approcciarsi al compito che lo attendeva. Lo seguiva Vivor, che questa volta teneva in mano dei catenacci e uno sgabello. Lanciò uno sguardo incuriosito a Vera, mentre depositava lo sgabello a terra.
Alexen le lasciò le mani, ma non prima che lei potesse accorgersi del loro violento tremito. Stava mandando il principe ereditario di Katathaylon al massacro, eppure non vedeva alternative.
- Principe Alexen, sono stanco! – disse Ad’hera, con tono irritato – La vostra cocciutaggine mi ha esasperato!
- Avete quindi deciso di condurmi da mio fratello?
Nonostante fosse arrochita dalla tosse, la voce di Alexen suonava ancora ferma.
- Anche vostro fratello è ormai esasperato. Oggi parlerete, a costo di sputare la verità assieme a tutto il sangue che avete in corpo!
Fece un cenno a Vivor, che afferrò Alexen per la maglia e lo trascinò in piedi senza riguardo. Gli chiuse i polsi nelle catene e li assicurò al soffitto basso.
- Isy – Ad’hera le si rivolse con un sorriso di scherno – Quest’oggi mancherete il momento del pasto in favore di uno spettacolo cui pochi hanno avuto il piacere di assistere – indicò con un gesto lo sgabello, ma Vera non si mosse.
- Che vi accade isy Veraxis? Temete che lo spettacolo vi disgusti?
- Mi disgustate voi – rispose lei freddamente, alzandosi in piedi – Ma nonostante questo, onorerò il coraggio del principe così come merita.
Sedette compostamente sullo sgabello, alzando gli occhi su Alexen.
Sapeva che se le catene non lo avessero sostenuto sarebbe crollato a terra, ma nonostante questo scoprì nei suoi occhi una luce combattiva. Le aveva dato la sua parola, e Vera era certa che non le sarebbe venuto meno. Era piuttosto la sua resistenza fisica a preoccuparla... Quanto mancava, prima che finisse ucciso?
- Principe, sono certo che la vostra promessa sposa si domandi ormai da tempo come avvengano i nostri interrogatori. Oggi le faremo l’onore di soddisfare la sua curiosità. Vivor, spoglialo!
Vera vide l’ombra dello sgomento sul volto di Alexen. Durò un istante, poi voltò il capo di lato, rassegnato, ma  il suo turbamento la trafisse.
- È così che usate comportarvi? – domandò, caricando la voce di disprezzo – Insultando a questo modo il mio senso del pudore?
L’unica carta che poteva giocare in quel momento, era la sua capacità di mettere in soggezione il prossimo. Era sporca, stanca e intirizzita, ma sapeva bene che quando posava su un essere umano i suoi occhi gelidi, tutto questo cessava di avere importanza.
Vivor infatti si bloccò gettando un’occhiata interrogativa al suo padrone, che a sua volta parve spiazzato.
- Non… non c’è l’intenzione di mancarvi di riguardo, isy… - balbettò infatti Ad’hera stupidamente, senza rendersi conto che non aveva alcun motivo di portarle rispetto.
- Allora il principe terrà indosso i suoi abiti – aggiunse lei, sollevando il mento.
- Isy…useremo la frusta, dovremo sfilargli almeno la camicia. Si ridurrebbe comunque in pezzi.
- Se non vedete alternative, sfilategli solamente la camicia.
Vera si accomodò meglio sullo sgabello, mentre Vivor si accostava al principe. Alexen non mancò di rivolgerle uno sguardo grato prima di iniziare a tossire convulsamente.
- Anche la salute vi sta abbandonando – lo provocò Ad’hera – Non credete sia meglio parlare, prima di sfidare troppo la sorte?
Alexen non rispose, concentrato nel tentativo di recuperare il respiro. Vera non lo poteva aiutare in alcun modo, senza il contatto fisico il suo potere non funzionava. Poteva offrirgli il suo sostegno solo assistendo senza vacillare all’interrogatorio. Voleva che Alexen avvertisse la sua fiducia in lui.
Tuttavia il suo sangue freddo vacillò quando Vivor estrasse una frusta sottile e tagliente e la fece schioccare a terra con un colpo secco.
- Questa non l’avete ancora provata – sentenziò Ad’hera, con gli occhi ridotti a due fessure.
Alexen gli rivolse uno sguardo indifferente, ma Vera percepì tutta la fatica che gli costava. Dopo aver sfiorato il nodo della sua disperazione, era come se il contatto emotivo fra loro non si fosse perso. Riusciva a intercettare con insolita facilità le emozioni di Alexen. Sentiva il terrore sotterraneo che gli ardeva sotto pelle, l’angoscia, il disgusto , la rabbia.
Quando la frusta si sollevò per la prima volta, s’impose di non distogliere lo sguardo dal principe, mai.
Come poteva chiedergli di sopportare quella prova, se lei per prima non era in grado di farlo?
Eppure, man mano che i colpi calavano su Alexen, Vera si rese conto di quanto fosse difficile.
Assistere di persona era molto diverso dal sentire le urla da lontano, diverso dalle sue visioni. Vedere il dolore e l’impotenza di Alexen era straziante, almeno quanto era difficile controllare l’impeto di rabbia che le saliva dal cuore. Eppure non poteva lasciarsi andare all’ira né al dolore, se si fosse messa a urlare o a supplicare avrebbe fatto il gioco di Ad’hera. Il kalashà contava sul suo crollo emotivo per destabilizzare Alexen.
Lei invece intendeva fare il gioco contrario: respirava lentamente e non lasciava mai il principe con lo sguardo, perché ogni volta la trovasse vicina e sicura che lui avrebbe resistito. Alexen avrebbe tratto forza da questo, anche se Vera si sentiva sgretolare.
I colpi si susseguirono uno dietro l’altro, senza riposo. Ad’hera infieriva a parole con insulti ed espressioni di scherno, Alexen gridava, ma nonostante tutto continuava a mantenere il prezioso segreto. Il sangue iniziò a scivolargli lungo il corpo in sottili rivoli infiammati. Ma Vera non distolse lo sguardo neanche allora.
A  un certo punto Alexen non riuscì più a urlare, il respiro gli si spezzò in una catena di ansiti strozzati che a malapena si percepivano come colpi di tosse. Sembrava che non dovessero più avere fine.
Ad’hera sollevò un braccio per fermare Vivor e attese in silenzio un paio di minuti, finché l’accesso, lentamente, non si fu calmato.
- Siete uno stupido Alexen – intervenne infine – Non potete più scherzare con la vostra vita. Se non vi decidete ad arrendervi, morirete.
Il principe non sollevò neppure la testa.
- Se perseverate in questo modo, costringerete vostro fratello a uccidervi.
Era un colpo basso e Vera temette una reazione incontrollata da parte di Alexen, ma lui si limitò a sollevare gli occhi di ghiaccio sul kalashà senza aprire bocca.
- Se non parlerete, alla fine dovrò decidermi a interrogare vostro padre!
- Mio padre è in fin di vita. Non parlerà per prolungare la sua esistenza di pochi giorni.
- Potrei rendere quei pochi giorni un inferno – minacciò Ad’hera.
- Non oserete! Nessuno vi seguirà in questa follia.
Era vero e anche Ad’era non poteva essere così sciocco da insistere in quella direzione.
- Forse avete ragione – disse infatti – Forse dovremmo invece rivolgerci alla vostra promessa sposa!
- Lei non sa nulla – sibilò Alexen.
- Non posso averne la certezza.
Ad’hera si voltò a prenderla in considerazione  e Vera capì che faceva sul serio. Le tornarono in mente le parole di Alexen il primo giorno di prigionia.
“Anche se dovessero pensare di usarvi per farmi parlare.. io non potrei comunque cedere. Non posso per nessun motivo consegnare Rah… e quindi non ho la certezza di potervi difendere
Ad’hera alla fine c’era arrivato.
Raddrizzò la schiena, pronta alla battaglia, ma Alexen la prevenne.
- Non so se prendervela con lei vi darà altrettanta soddisfazione di quanta ne proviate attaccando me! – Alexen sorrise di scherno – Io ho sempre provato molta soddisfazione nell’umiliarvi quando eravate solo un leccapiedi di mio padre. Ricordate la volta in cui il re vi negò l’accesso alla riunione di corte? Fui io a chiedergli di estromettervi. E quando faceste domanda per entrare nel Vanathà fui sempre io a sconsigliare a mio padre di concedervelo. Vi ho sempre ritenuto un inetto e come tale ho chiesto che foste trattato!
Ad’hera non era un cervello fine e seguì senza sbavature il sentiero tracciato da Alexen. Divenne rubicondo mentre la sua attenzione tornava a rivolgersi totalmente a lui.
- Come avete osato? – strillò. La rabbia gli strozzava il fiato in gola – Vi farò pagare la vostra intromissione, sputerete sangue per ogni grammo di umiliazione che mi avete fatto provare!
Strappò la frusta dalle mani di Vivor e iniziò ad abbatterla con violenza su Alexen, spinto da un’ira distruttiva.
Vera era rimasta annichilita dall’intervento del principe e si trovò a osservare la scena in uno stato di completo stordimento mentale. Si era resa conto in modo limpido della manovra di Alexen, che aveva deliberatamente provocato Ad’hera per distogliere da lei la sua attenzione.
Pagandone conseguenze amare.
Il gesto del principe era privo di logica dal punto di vista della sua sopravvivenza, era stato dettato da una irrazionalità tale da lasciarla disorientata.
Alexen ormai grondava sangue, non aveva più la forza di sollevare la testa, eppure Ad’hera non smetteva d’infierire. L’attacco del principe gli aveva fatto perdere ogni cognizione di causa.
Quando il principe perse i sensi, accasciandosi sospeso in malo modo per i polsi, il kalashà non si fermò. Era totalmente fuori di sé e infuriava su quel corpo inerte senza un metodo preciso, producendo molti più danni di quanti Vivor ne avesse fatti nel triplo del tempo.
Era un comportamento inaccettabile e Vera si alzò in piedi sdegnata.
- Smettetela immediatamente! Non otterrete nulla da una persona priva di sensi!
Il suo tono tagliente ebbe sul kalashà l’effetto sperato. All’improvviso si immobilizzò e rimase ansimante di fronte al corpo accasciato del principe. Sembrò prendere coscienza solo in quel momento delle condizioni di Alexen. Gettò la frusta con stizza e fece segno a Vivor di liberalo. Il corpo del principe cadde a terra scompostamente, macchiando di sangue il pavimento.
Quando Vera gli si avvicinò, comprese immediatamente la gravità della situazione.
- Ho bisogno di acqua – ordinò.
- Niente acqua per il principe, se non parla! - ringhiò Ad’hera.
- Se non gli do da bere morirà disidratato! Devo pulirgli le ferite e coprirlo, altrimenti non sopravvivrà! Se muore, non saprete mai dove si trova Rah!
Ad’hera, già sulla porta, scrollò le spalle e fece un gesto a qualcuno oltre la soglia.
- Dalle dell’acqua – ordinò, lasciando la stanza insieme a Vivor.
Vera si chinò su Alexen senza un’idea precisa di come comportarsi. Come koralla aveva il dovere di affrontare ogni situazione con le massime efficienza ed autocontrollo, ma nessuno l’aveva preparata a una situazione tanto estrema. Alexen respirava con un filo di fiato e sembrava appeso alla vita per la punta di un capello.
Quando la porta si riaprì, trovò Sammel sulla soglia carico di roba. La appoggiò a terra con delicatezza: un secchio d’acqua, una caraffa con un bicchiere, una spugna, una coperta. Era volontariamente andato ben oltre ciò che gli era stato richiesto.
Fissò a lungo il corpo immobile, sbigottito davanti a tanta spietatezza. Poi spostò dolorosamente lo sguardo su Vera e, nonostante il silenzio ininterrotto, riuscì a trasmetterle l’orrore e l’indignazione che provava.
Alla fine riuscì ad aprire bocca.
- Ditemi solo quando – pronunciò lentamente.
Vera non aspettava altro.
- Il prima possibile. Non voglio che lo tocchino mai più.
Sammel annuì.
- Domani, appena inizierò il mio turno.
Girò su se stesso e uscì dalla cella, lasciando dietro di sé un filo di speranza.
Vera prese il secchio e la spugna e iniziò a pulire le ferite con delicatezza. La spaventava la temperatura del principe, ineluttabilmente sotto la media. Lei stessa provava sempre freddo in quella cella, ma la sua pelle non aveva mai raggiunto quel gelo marmoreo.
Mentre gli passava la spugna sul viso, Alexen aprì gli occhi.
La sorprese con un sorriso.
- È finita – sussurrò, con un filo di voce da cui trasparivano sollievo e soddisfazione.
Vera annuì, scoprendosi un groppo in gola.
- Grazie – riuscì a bisbigliare.
- Grazie a voi per avermi chiesto di non parlare. Sono contento di non aver dato soddisfazione a quel verme infido. – il sussurro si trasformò in un rantolo convulso. Non aveva più neppure le energie per tossire.
Vera gli sollevò il capo per permettergli di respirare meglio e se lo adagiò sulle ginocchia. Poi prese la coperta e ci avvolse il corpo del principe.
- Vera… - bisbigliò lui, appena riuscì nuovamente a parlare – Quando sono stato fatto prigioniero, avevo un orgoglio tale da credere di potercela fare da solo. I primi tempi vi ho trattata con sufficienza, perdonatemi. In realtà, senza di voi avrei già ceduto da molto tempo.
Quell’ammissione la mise a disagio. Si domandò in che modo rispondere, poi si accorse che non era necessario, perché Alexen era risprofondato nell’incoscienza.
Ebbe l’impressione che la sua temperatura si stesse abbassando ulteriormente e questo le fece paura. Riusciva a percepire la sua forza vitale che pian piano si affievoliva come una fiammella incalzata da un vento troppo forte.
Era stata lei a spingerlo oltre il limite, e ora si rendeva conto che Alexen aveva saputo che un solo giorno in più di resistenza lo avrebbe ucciso. Istintivamente aveva cercato di preservarsi, salvo poi cedere alla richiesta della sua promessa sposa.
Afferrò la caraffa e versò l’acqua nel bicchiere per distanziarsi da quei pensieri pericolosi.
- Alexen, dovete bere.
In qualche modo la sentì e riaprì gli occhi. Lo fece con uno sforzo tale che Vera ne avvertì su di sé la pesantezza. Gli accostò il bicchiere alle labbra, facendolo bere lentamente, ma tutto era fatica sovrumana.
Poi Alexen rifiutò l’acqua facendo segno di voler parlare.
- Vera…  Ascoltatemi…
- Sì.
Passò un lungo momento in cui pensò che avesse nuovamente perso i sensi. Invece il principe stava raccogliendo le forze.
- A ovest del palazzo c’è una foresta – mormorò infine – Se imboccate il sentiero a sinistra e avanzate per un buon tratto, troverete una cascatella naturale che scende dalla roccia.
- Sì.. – ripeté lei senza capire. Si domandò se Alexen non fosse più lucido.
- Dietro il getto dell’acqua c’è un grosso masso instabile… – proseguì –…all’altezza delle spalle di un uomo. Dietro a quel masso si trova Rah.
Davanti a quella sorprendente rivelazione, Vera spalancò gli occhi.
- Perché? – esclamò – Perché me lo state dicendo?
- Mi fido di te… - sussurrò, così piano che Vera non fu sicura di aver sentito bene.
- Alexen, che bisogno c’è di…
S’interruppe, accorgendosi che aveva nuovamente perso conoscenza.
Ora la sua pelle era chiaramente gelata, come se l’ultimo guizzo della fiammella si fosse esaurito. Vera entrò nel panico. Per la prima volta in tutta la sua vita, lasciò che la paura prendesse il controllo del suo corpo.
Strinse Alexen stabilendo un immediato contatto con lui, ed espanse la sua energia. Diede fondo alle sue forze cercando l’origine del male, quello che stava prendendo la vita del principe. Si agganciò a tutto ciò che poté per ripristinare un guizzo di vitalità, eppure si accorse che il battito cardiaco continuava ineluttabilmente a rallentare.
Scaricò tutta la sua forza sul suo petto per restituire a quel cuore il ritmo originario, ma la presa le sfuggì. Il cuore divenne ancora più stanco.
Pochi battiti faticosi e si sarebbe definitivamente arrestato.
Vera intensificò il contatto e oscillò vicino al punto limite. In un angolo della sua mente sapeva perfettamente qual era il comportamento che avrebbe dovuto adottare una koralla. Ma nel momento in cui la vita di Alexen le sfuggì di mano, pensò solo a rincorrerla.
- Alexen, coraggio!
Afferrò per un lembo quel poco di energia rimastagli e lavorò su quello per accrescerla, ritemprarla, fortificarla.
Non funzionò, la pelle sotto le sue dita divenne ghiaccio. Il cuore del principe mancò un paio di battiti.
- Alexen!
Vera affondò le dita nella sua carne, accorgendosi che lo stava perdendo. In quel momento, senza logica, pensò al suo coraggio, alla fiducia che le aveva accordato, ai suoi occhi trasparenti, al suo animo così vivace e tumultuoso. Non voleva che tutto questo si spegnesse. Ma come poteva fermarlo?
Artigliò il suo corpo inerme.
- Alexen! – urlò, stringendolo a sé - ALEXEN!!
Superò il limite con uno scatto e l’energia scaturì da lei come una fiammata. Avvolse entrambi in un involucro bruciante e poi, lentamente, il calore iniziò a passare dal suo corpo a quello di Alexen. Scaldò, rigenerò, rinvigorì, e man mano che questo accadeva, Vera si sentì penetrare da un freddo sottile e persistente. Divenne sempre più intenso, finché fu così insopportabile da paralizzarla.
Rimase immobile, avvinghiata da una coltre di ghiaccio che la stritolava dall’interno, risucchiandole ogni energia e chiudendole il respiro.
Alla fine venne il buio.
 
 
Quando riprese conoscenza, c’erano ancora solo gelo e buio. Buio, se ne rese conto dopo, perché teneva le palpebre chiuse.
Il freddo era un manto avvolgente che le permetteva a malapena di respirare, non percepiva altro che quella morsa opprimente, ghiacciata. Ma dopotutto era ancora viva, elemento tutt’altro che scontato, considerato ciò che aveva fatto.
Aspettò in silenzio, sopportando il freddo. Non poteva muoversi, il suo corpo era pesante e inerte, privo di qualsiasi percezione esterna, anche solo restare in vita era faticoso. Per quanto tempo era rimasta incosciente? Non aveva modo di saperlo.
Il tempo trascorse lentamente in uno stato di ottuso stordimento.
Dopo un periodo sufficientemente lungo, Vera decise di fare un tentativo per aprire gli occhi. Dovette fare uno sforzo sovrumano contro le sue stesse palpebre, il gelo dentro di sé la spingeva all’immobilità completa. Ma aprì gli occhi.
La vista appannata non l’aiutò a fare chiarezza sulla sua posizione. Vide a malapena i muri sporchi della cella nella semioscurità prima di richiudere le palpebre per la stanchezza.
Piano, poco alla volta – si raccomandò – Non c’è fretta.
La prospettiva da cui aveva osservato la cella le aveva dato un’indicazione preziosa: non era sdraiata a terra. Sembrava piuttosto seduta, appoggiata a qualcosa, ma le sensazioni corporee non l’aiutavano, il freddo manteneva il suo corpo insensibile.
Riaprì lentamente gli occhi e cercò di orientarsi.
Era appoggiata ad Alexen che la sosteneva con il suo corpo, lei teneva la testa sulla sua spalla. Riuscì a spostare impercettibilmente il capo. La coperta che aveva portato Sammel li avvolgeva entrambi strettamente.
Così Alexen si era salvato. Dopotutto, c’era riuscita.
- Sei sveglia?
Si appellò a tutte le sue energie per riuscire a rispondere.
- Sì – bisbigliò.
- Stai bene?
- Ho… molto freddo.
- Sei fredda come il ghiaccio.
Vera richiuse gli occhi, sfinita. I suoi pensieri si allentarono e si assopì per qualche secondo.
- Vera, cos’è successo?
Riaprì gli occhi di scatto. Era naturale che Alexen si ponesse delle domande, ma lei non sapeva come avrebbe trovato la forza per spiegare.
- Sei stata tu a salvarmi, vero?
In qualche modo riuscì ad alzare gli occhi su di lui.
- Ti senti bene ora?
Lui scosse la testa.
- Non so come tu abbia fatto, sembra un prodigio. Quando mi sono svegliato ero pieno di forze, respiravo bene… ho smesso di tossire! E… Vera… le ferite si stanno già rimarginando. Non credevo che possedessi un potere simile.
- Mi sono bruciata.
- Bruciata? Cosa intendi dire?
Vera non rispose per un lungo istante. Sentiva il bisogno di recuperare le energie, di riordinare i pensieri.
- Le koralle possono raggiungere un livello di energia elevatissimo, ma per nostra tutela ci è vietato spingerci oltre un certo limite – bisbigliò -  Tuttavia, se superiamo il confine possiamo sprigionare un potere illimitato. È intenso e breve come una fiammata e consuma completamente le nostre energie. È un miracolo che io sia ancora viva.
- Hai rischiato di morire?
Lei annuì a occhi bassi, provando un’imprecisa sensazione di disagio.
Erano passati con naturalezza a darsi del “tu”, senza che quasi se ne rendesse conto.
Ora il freddo stava leggermente diminuendo e alcune parti del suo corpo avevano iniziato a formicolare, pungendola come migliaia di spilli.
Questo le permise di accorgersi di una sensazione insolita, un contatto del tutto particolare con il corpo di Alexen.
- C’è qualcosa di strano… - mormorò. Spostò lo sguardo sul suo corpo, ma vide solo la coperta che li avvolgeva.
- In effetti è così. Mi sono svegliato avvolto da un calore sorprendente, mentre tu eri a terra priva di sensi, così fredda da sembrare morta. Così ti ho tolto gli abiti per scaldarti.
Non si era sbagliata, quindi.
- Sono completamente nuda?
- Sì
Vera tacque, turbata.
- Non intendevo mancarti di rispetto, ma la tua temperatura mi ha fatto temere il peggio. So che nel Mondo di Fuori il senso del pudore non è così a marcato come a Katathaylon.
- Nessuno mi aveva mai vista nuda prima d’ora – mormorò, con voce incolore.
- Ti ho messa in imbarazzo?
- Sì.
Pur senza vederlo, sentì su di sé il sorriso divertito di Alexen.
- Scusami – le disse – Non voglio ridere di te, ma se tu non mi avesse rivelato il tuo disagio non l’avrei mai indovinato. Voi koralle mantenete sempre un atteggiamento imperturbabile.
“Imperturbabile” non era il termine con cui si sarebbe descritta Vera. Incapace di muoversi, senza forze e completamente nuda tra le braccia di Alexen, sperimentava una sensazione di vulnerabilità mai provata prima. Era completamente indifesa.
- Volevo solo restituirti il tuo calore – si giustificò lui.
- Sto riacquistando un po’ di sensibilità.
Lui annuì e le accarezzò distrattamente la schiena. Vera percepì il suo tocco e lo subì senza potersene difendere. Le diede ansia, e nel contempo le trasmise un conforto inaspettato.
- Stavi morendo – gli disse – Ho pensato veramente che non ci fossero più speranze. Ad’hera ha infierito su di te senza controllo, dopo le tue provocazioni. Perché l’hai fatto? Perché mi hai protetta attirando su di te la sua ira?
- Se non l’ avessi fatto, si sarebbe accanito contro di te.
- Avevamo concordato che non mi avresti protetta da lui. Ti avevo detto che avrei badato a me stessa.
- Non ricordo questa conversazione.
- È stato il primo giorno che sono arrivata.
Lui rifletté.
- Sì, ora ricordo. Ma è passato tanto tempo.
- Che differenza fa?
- Non avrei sopportato che ti toccassero. Non dopo questo periodo passato insieme.
- In quel momento avresti dovuto pensare alla tua sopravvivenza. Io avevo più forze e più salute di te, sarebbe stato logico che ti preservassi. Era un calcolo razionale.
- La gratitudine che provo per te è razionale – sorrise lui – Non ho fatto calcoli Vera. Ho agito senza riflettere, come mi suggeriva l’istinto.
Lei rifletté su quelle parole.
- È come pensavo – disse infine – C’è qualcosa di stonato in te. Per essere un principe di Katathaylon sei troppo… - cercò attentamente il termine giusto - …sentimentale.
Alexen sorrise.
- Hai ragione. Katathaylon non sa che farsene di un re come me.
- Non è quello che intendevo dire – lo corresse lei.
- Eppure è così. Katathaylon funziona da millenni secondo schemi ben precisi. C’è un ordine immutato nelle cose, regole che perdurano da… da sempre. Regole che faccio fatica ad accettare.
Era un’affermazione che,volente o nolente, riguardava anche lei.
- Alexen… tu non vuoi sposare una koralla vero?
La domanda lo fece sorridere di nuovo.
- Io non voglio sposarmi per obbligo. Semplicemente questo.
Non era un’affermazione diversa da quella di alcuni film romantici che Vera aveva visto nel mondo dov’era cresciuta. Che strano ritrovarla a Katathaylon! Katathaylon era un posto dove la famiglia reale faceva il suo dovere ed era contenta di farlo, dove gli obblighi e i desideri combaciavano senza sbavature.
- Vorrei chiarire la mia posizione una volta per tutte – disse Alexen a voce bassa – Non ho niente contro le koralle e tutto questo non ha nulla a che vedere con te. Da quando sei arrivata, non hai fatto che offrirmi il tuo aiuto… il tuo sostegno, la tua forza, il tuo coraggio… il tuo pane. Ti devo la vita. So che sei perfetta come regina di Katathaylon. Ma tutto quello che hai fatto, l’hai fatto per l’erede al trono, non per Alexen. Hai rischiato la tua vita per dovere, non per me. Io vorrei sposare semplicemente una persona che mi ha scelto. E che io ho potuto scegliere.
Vera esitò, perché c’era qualcosa che evidentemente Alexen non sapeva.
- A noi koralle è vietato bruciarsi – sussurrò.
Alexen reagì con lo stupore che si era aspettata.
- …Vietato?
- Non ci è concesso oltrepassare il limite, è una regola del nostro codice. Soprattutto nel mio caso… …soprattutto in questo caso. Di principi ereditari nel nostro specifico caso ce ne sono due. Di koralle cresciute nel Mondo di Fuori solamente una. Io. Se avessi seguito il codice alla lettera, mi sarei impegnata con tutta me stessa per aiutarti, ma vedendo che non serviva… avrei dovuto lasciarti morire, preservando me stessa. Sarebbe stata la scelta più razionale e meno costosa per Katathaylon.
Seguì un silenzio stupefatto.
- Mi stai dicendo che per salvarmi hai trasgredito al tuo codice? – mormorò Alexen.
- Sì.
- Che hai rischiato la tua vita, contro ogni logica?
- È così.
Vera non osò alzare gli occhi su Alexen, ma percepì a pelle il suo sbigottimento. Il freddo andava pian piano scemando e le sue percezioni si facevano più precise.
- Perché Vera? – sussurrò il principe – Adesso sono io a chiedertelo.
- Non lo so. Ho…agito d’istinto.
- Hai agito d’istinto? – lo sentì sorridere – E sarei io il sentimentale?
- È la prima volta che mi comporto in modo tanto sconsiderato.
Ora che ricominciava a tornare in sé, Vera si rendeva conto del peso che la sua infrazione avrebbe avuto su Katathaylon se fosse morta. Il modo in cui si era comportata era incomprensibile ai suoi stessi occhi. Per darvi una spiegazione doveva ripercorrere la sequenza di pensieri ed emozioni che l’aveva guidata in quel momento.
- Il codice di Katathaylon mi avrebbe obbligata a scegliere di salvare me stessa, per poi poter sposare il principe che fosse sopravvissuto – disse piano – Mi rendo conto che il regolamento è stabilito secondo una logica inoppugnabile, ma nel momento in cui avrei dovuto sacrificare te… non sono riuscita a pensarti semplicemente come un erede sostituibile. Conosco i tormenti che hai sopportato in questi giorni, conosco la tua forza, il tuo coraggio, i valori per cui combatti… il modo in cui ti sei fidato di me accettando di resistere ancora, la generosità con cui mi hai protetta da Ad’hera… E poi, sì… anche il modo che hai di essere così… sentimentale e anticonvenzionale. Ho ripensato alla speranza che nutrivi di rivedere tuo padre e tuo fratello, alla tua voglia di vivere, di vedere cose nuove. Ho pensato… che non era giusto. Non era giusto sacrificare questo, solo perché c’era un altro principe pronto a sostituirti.
- Ma è così che funziona Katathaylon – mormorò Alexen.
- Io non ci sono riuscita. Puoi essere contento: non ho rischiato la vita per l’erede al trono, ma per Alexen.
Vera chiuse gli occhi, sfinita. Il calore del principe stava passando poco a poco al suo corpo, dandole la sensazione di essere in un nido accogliente e protettivo. Non aveva sperimentato con nessun altro una vicinanza così intima e completa.
Alexen taceva, annichilito dalle sue parole. Lei, la koralla rigida e perfetta, era riuscita a sorprenderlo.
- Se ad Arco d’Oriente si venisse a sapere ciò che ho fatto, sarebbe uno scandalo – bisbigliò.
- Me ne ricorderò.
Avvertì sulla schiena la stretta del principe, forte, decisa.
- Dobbiamo andarcene da qui Vera, non posso più lasciarti rischiare a questo modo.
- Lo faremo domani in mattinata, Sammel ci aiuterà a raggiungere tuo padre.
- Stai dicendo sul serio? – Alexen era una volta di più sbalordito.
- Te l’avevo promesso. Ti avevo chiesto solo un giorno ancora.
- Ho pensato fosse una falsa speranza che mi davi per indurmi a resistere.
- Alexen… io non mento mai.
- Sì, dovevo capirlo.
- Il peggio è finito – sussurrò Vera – Ora non dovrai più sopportare altro.
Le parve di udire un singulto che avrebbe quasi potuto interpretare come una reazione di commozione.
Il braccio che le cingeva la schiena la strinse con più energia, come in un abbraccio confortante. E poi, e ciò la turbò profondamente, Alexen chinò il viso verso di lei e le posò un bacio lievissimo sulla fronte. Non disse una parola, ma a Vera arrivò perfettamente tutta la gratitudine che intendeva comunicarle.
 

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Capitolo 20
*** Fiducia ***


Quando vidi balenare fra gli alberi la palla arancione di un sole al tramonto, quasi piansi di sollievo. Era ormai tempo di fermarsi per la notte e scendere da quel famigerato ronzino!

Stare a cavallo era un’esperienza insolita, piacevole ed entusiasmante… la prima ora. Poi iniziava a diventare scomoda, poi apertamente fastidiosa, infine si trasformava in una tortura.

Dodici ore bloccata in quella posizione con soli trenta minuti di sosta a pranzo, avevano portato all’esasperazione la mia tolleranza al dolore. Il mio fondoschiena era attraversato da fitte lancinanti, la mia schiena era a pezzi, le mie gambe ridotte a rigidi paletti. E nonostante tutto, non osavo lamentarmi.

Edhuar aveva spinto il cavallo alla massima velocità permessa dal carico che portava, l’ansia l’aveva spronato a non decelerare neppure un istante. Alexen, Katathaylon e il mondo intero erano in pericolo e in tutto ciò il mio fondoschiena passava in fondo alla lista delle nostre priorità.

Nonostante ciò,  la mia determinazione e il mio orgoglio erano arrivati ormai a esaurimento.

Quasi stessi sognando, mi si affacciò alla mente l’immagine di un letto morbido. Un letto vero, con un materasso e delle lenzuola pulite, e poi cibo caldo, abbondante. Senza volere, emisi un sospiro sconsolato.

- Non ce la fai più, vero? – chiese Khail, appoggiandomi una mano sulla spalla.

- Scenderei volentieri – ammisi.

- Vuoi che stanotte ci fermiamo in una locanda?

Mi girai stupita.

- Mi leggi nel pensiero?

- No – rise – Ho fatto semplicemente un ragionamento logico. Il nostro cibo è praticamente finito e dopo una giornata come questa non disprezzerei un bagno caldo e un bel letto comodo.

- Non rischiamo che gli uomini di Ad’hera ci trovino?

- A quest’ora i koryonos dovrebbero averli già arrestati, e in ogni caso non verrebbero a cercarci in una locanda.

- E se tu venissi riconosciuto?

- Ridotto così? Poco plausibile. Mi terrò in disparte, a testa bassa, farai tutto tu e poi ci chiuderemo in camera.

Mentre parlava, aveva già dirottato il cavallo fuori dal sentiero sicuro, verso il diradarsi del bosco.

Non sarei stata certamente io a fermarlo!

Nonostante si sforzasse di sembrare sereno, sentivo che l’allegria di Edhuar era forzata. Il tradimento di Ad’hera era stato un duro colpo, ma non era nulla in confronto alla consapevolezza di ciò che stava passando suo fratello. La verità era caduta su di lui come un’ombra che ne aveva oscurato la vitalità.

Come si sarebbe comportato una volta giunti ad Arco d’Occidente? Il comando restava comunque suo, una volta tornato a Palazzo Ad’hera non avrebbe avuto alcun potere su di lui. Edhuar non voleva far del male ad Alexen, ma nel contempo sarebbe stata dura per lui tornare indietro. L’aveva ammesso solo il giorno prima.

Tornare indietro ormai mi è impossibile.

Avevo paura di quello che sarebbe potuto accadere. Di quello che avrei dovuto fare io.

Il villaggio  ci accerchiò all’improvviso, con le sue casette basse e addobbate di fiori, rassicurante finalmente dopo tanti giorni di foresta. La locanda era in bella vista con l’insegna gialla e verde e tendine a fiori rossi, uno squillo di vivacità in quel tramonto stanco e malinconico.

Edhuar scese cautamente da cavallo, badando di non pesare sulla gamba ferita. Quando toccò a me, mi accorsi con una fitta di panico, di non riuscire quasi a muovermi. Sollevare la gamba per portarmi da un lato, per poco non mi fece urlare di dolore.

A terra mossi i primi passi a scatti, rigida come un’asse di legno, incapace di stringere le gambe e raddrizzare le ginocchia. Edhuar consegnò il cavallo all’addetto perché se ne prendesse cura e poi mi fece cenno di seguirlo verso l’entrata.

- Cerca di darti un contegno – rise – Oppure attirerai tutta l’attenzione su di noi!

- Non sei divertente.

Il dolore lancinante si era esteso a tutto il corpo senza eccezioni. Ma non ero comunque io quella che destava più curiosità: Edhuar zoppicava vistosamente, aveva gli abiti strappati, e la maglia a brandelli non copriva a sufficienza i segni delle sferzate sulla schiena.

Cercai i soldi che mi erano stati consegnati all’inizio del viaggio e mi feci avanti, mentre Edhuar, a occhi bassi, cercava di tenere i capelli davanti al viso e le spalle al muro.

Chiesi una camera e una cena per due da consumare direttamente nella nostra stanza, e solo quando la locandiera ci mostrò una camera con un enorme letto matrimoniale, mi accorsi che non c’era motivo perché non avessi dovuto chiederne due separate.

- Accipicchia – borbottai, mentre la signora ci lasciava soli. Era da talmente tanto tempo che condividevamo gli stessi spazi, che non mi era neppure passato per la testa che potessimo dividerci.

Lui si accorse del mio disagio.

- Sei preoccupata per il letto in comune? – sorrise.

- Non dire sciocchezze, sono giorni che dormiamo insieme. Cosa cambia se è per terra o in un letto?

- Allora non farti problemi. Io sono contento della stanza doppia.

Non c’era malizia nella sua voce, aveva davvero bisogno di compagnia, quasi che, una volta solo, i  suoi pensieri avessero potuto soffocarlo.

Feci il bagno per prima e nell’acqua calda le mie giunture parvero sciogliersi insieme a tutto lo sporco accumulato. Uscii dalla vasca lustra e profumata, con membra stanche e pesanti, spazzolai i capelli e indossai una tunica pulita. Ma quando fu la volta di Edhuar, mi resi conto che non aveva un cambio d’abiti. La sua sacca era rimasta alla capanna con tutto il suo contenuto e quegli abiti stracciati e imbrattati di polvere e sangue erano tutto ciò che possedeva.

Così, mentre entrava in bagno, scesi a contrattare dei vestiti puliti con la locandiera. La mia richiesta parve insospettirla e cercò di negarmi il favore, dovetti usare tutta la mia grinta per ottenere un semplice paio di pantaloni da restituire comunque il giorno dopo. Li lasciai scivolare in bagno da una fessura e appoggiai il vassoio della cena sul letto, aspettando che Edhuar finisse di lavarsi.

Quando finalmente comparve, il suo aspetto mi fece trasalire di sorpresa: indossava i pantaloni puliti, ma era scalzo e a dorso nudo, con i capelli umidi ancora arruffati.

- Ehi! – mi lasciai sfuggire, presa dallo stupore.

Lui sorrise, sedendosi sul letto di fronte a me.

- Non ce la facevo proprio a rimettere quella camicia sporca! Voglio restare nel pulito…almeno per stanotte.

- Ma… va tutto bene?

Lui annuì. I suoi occhi chiari erano insolitamente liquidi e caldi.

- Non preoccuparti, non dovrai spogliarti anche tu questa volta! – scherzò.

Anche se stava liquidando la questione con leggerezza, capivo perfettamente che quel gesto era possibile solo grazie a una fiducia enorme che ormai Khail mi stava accordando.

Strizzai gli occhi per fermare un nodo di commozione. Era possibile sentirsi commossi perché un uomo ti stava di fronte senza maglietta?

Katathaylon confondeva i pensieri e le azioni, dando significati nuovi e nebulosi a situazioni che nel mio mondo erano perfettamente chiare… se non banali.

Mangiammo in silenzio, assaporando quel momento di intima tranquillità in cui, per una volta, non eravamo costretti a nasconderci, correre, scappare. In cui, lindi e profumati, potevamo riempirci di spezzatino caldo seduti su un letto comodo.

Dopo cena chiesi a Edhuar di arrotolare i pantaloni perché potessi controllargli la ferita, ma ai miei occhi da dilettante non apparve nulla di insolito. Il lavoro di cucitura fatto sulla ferita era degno di una professionista e notai con orgoglio che i lembi di pelle davano già segno di rimarginazione.

- Va bene – approvai – Ora voltati, fammi vedere se sulla schiena ci sono segni d’infezione.

Per risposta, Edhuar si gettò sul letto di pancia con un sospiro di stanchezza.

- I segni delle frustate non sono così gravi – mugolò, con la faccia nel cuscino – È peggio il dolore muscolare.

- Dolore muscolare? – domandai stupita. Non credevo che anche lui potesse risentire delle lunghe ore a cavallo.

- A causa della posizione scomoda in cui sono rimasto legato.

Ah, ecco…

Allungai cautamente una mano tastandogli le spalle, poi scesi fino alla scapola.

- Sì, lo sento – confermai. Seguii la tensione lungo la sua schiena con entrambe le mani, premendo i muscoli con gesti automatici.

- Va meglio in questo modo?

Edhuar sospirò.

- È questo che fai per lavoro?

- Già.

- Sugli uomini nudi.

- Sei ossessionato! – sorrisi – Allora, sono brava?

- È molto bello… ma è un tocco molto intimo. Come riesci a toccare tutti in questo modo?

Come ci riuscivo?

Era lavoro, solo lavoro. Ma nel contempo Edhuar aveva ragione, era un tocco intimo. Come avevo fatto a non accorgermene prima d’ora?

- Non mi piace l’idea che tocchi un altro in questo modo – mormorò.

Le sue parole mi fecero arrossire.

- Sembri un marito geloso! – lo punzecchiai, per nascondere l’imbarazzo.

- Mi piacerebbe esserlo.

Lo disse in un sussurro assonnato, ma lo sentii benissimo e mi mise in agitazione. Che cosa gli prendeva all’improvviso?

- Se fosse, ti renderei la vita un inferno! – rimbrottai.

- No, non sarebbe un inferno. Starei bene, tu sai essere… molto dolce.

- Dolce io? – quasi urlai. Dolce, così come troppo bella, non me l’aveva mai detto nessuno – Sei completamente fuori strada, Khail!

- Sei dolce alla tua maniera – mormorò – Come nessun altro sa esserlo.

- Di cosa stai parlando? – non capivo a cosa si riferisse.

- Di tante cose. Di quando hai rinunciato alla tua vendetta e mi hai tirato fuori dal fiume, terrorizzata al pensiero che potessi morire. Di quando sei venuta a salvarmi nonostante avessi la possibilità di scappare. Di quando hai aggredito l’uomo di Ad’hera perché non volevi abbandonarmi. Di quando ti sei spogliata per non farmi sentire in imbarazzo. O di quando ti sei lasciata sfuggire parte della verità perché i koryonos stavano per uccidermi – la sua voce a quel punto si addolcì – Quando ti hanno puntato il coltello al viso non hai aperto bocca, eppure l’hai fatto per salvare me. Hai una dolcezza che non è smielata Allegra, è schietta e diretta e mi colpisce ogni volta. Come ora, che sei scesa dall’acida signora della locanda a prendermi dei pantaloni puliti.

La sua voce, parlando, si era fatta un bisbiglio indistinto soffocato dal sonno, ma avevo compreso perfettamente ogni parola. Ero sconcertata dal modo in cui Edhuar aveva citato quegli spezzoni di episodi sottolineandoli in positivo. L’avevo quasi ucciso, con la faccenda del fiume. Nel fienile era stato catturato perché si era ferito proteggendo me, e quando mi ero lasciata sfuggire una parola di troppo con i koryonos, avevo contravvenuto alla regola principale che ci eravamo dati. Non avevo ancora smesso di sentirmi in colpa per quegli episodi.

- Stai esagerando – protestai. Ma lui non rispose, il suo corpo si era lasciato completamente andare e in pochi istanti mi raggiunse il suo respiro lento e profondo.

Due minuti di massaggio ed era caduto addormentato.

Abbandonai delusa la sua schiena, perché avrei preferito restare a parlare ancora un po’. Invece mi sdraiai accanto a lui, adagiando con cautela i muscoli indolenziti. Io sì che avrei avuto bisogno di un massaggio! Il solo pensiero di tornare a cavallo il giorno dopo, mi faceva venir voglia di piangere.

Tuttavia non lasciai che quella preoccupazione mi togliesse la soddisfazione di un buon sonno.

 

 

Mi svegliò una folata d’aria fresca. Aprii un occhio confusa e mi accorsi che era ancora notte fonda. Edhuar non era più accanto a me e la brezza trapassava dalla porta socchiusa che conduceva al balcone.

Vagliai pigramente la possibilità di girarmi dall’altro lato e continuare a dormire, ma appena la mente mi si schiarì prevalse la curiosità. Mi avvolsi la coperta attorno alle spalle e uscii sul balcone.

Edhuar era appoggiato alla balaustra e fissava un punto lontano all’orizzonte. L’unica luce proveniva dalla luna. Quando il legno scricchiolò sotto i miei passi sobbalzò, ma nel riconoscermi sorrise.

- Ti verrà un accidente, se stai fuori a questo modo – dissi.

Lui scrollò le spalle con noncuranza. Lo affiancai e allargai la coperta fino ad avvolgere anche la sua schiena.

- Sei preoccupato per domani? – domandai.

- Preoccupato è un eufemismo.

- Khail… cosa succederà?

Senza l’oscurità ad attutire le mie ansie, non avrei trovato il coraggio di domandarlo.

Lui distolse lo sguardo da me e tornò a fissar quel punto ignoto di fronte a lui. Sembrava indeciso.

- Tu cosa vuoi che faccia?

Strinsi forte la ringhiera sotto le mie dita.

- Lo sai perfettamente.

- Vuoi che liberi Alexen e Vera, e che restituisca loro il trono.

Lo disse piano, ma chiaramente. Io rimasi zitta.

È vero, volevo che li liberasse. Sulla questione del trono invece avevo le idee confuse. A conti fatti, Edhuar aveva gli stessi diritti di Alexen. Non m’importava chi sarebbe diventato re, l’importante era che Shiarah venisse ricomposta e che nessuno avesse a soffrirne.

- Va bene, lo farò.

La sua affermazione ruppe bruscamente il susseguirsi dei miei pensieri.

- Cos’hai detto? – chiesi sbalordita.

- Farò quello che desideri.

- Sei impazzito? Rinunci al trono solo perché è ciò che voglio io?

- Mi fido del tuo giudizio – sorrise – Il mio finora ha fatto acqua.

Mi accorsi che i suoi occhi si erano intristiti.

- Sono stato uno sciocco – ammise - Mi sono lasciato abbagliare dalle lusinghe di Ad’hera, così per dimostrare il mio valore alla fine mi sono rivelato doppiamente stupido, e chi ne sta facendo le spese è Alexen.

C’era molta amarezza nelle sue parole, ma non me la sentii di controbattere. Edhuar aveva bisogno di quell’esame di coscienza per poter tornare sui suoi passi e riparare al danno che aveva fatto. Sapevo che era doloroso per lui, e rispettai in silenzio quel momento di riflessione. Ora che conoscevo le sue intenzioni, il mio cuore si era alleggerito. Non saremmo stati nemici, non avrei dovuto mettere in atto gesti inconsulti per liberare Vera; Shia, che riposava ancora tranquilla nella mia tunica, avrebbe completato nella mia tasca il viaggio fino ad Arco d’Occidente.

Tutto, alla fine, si stava concludendo nel migliore dei modi.

- A che pensi Allegra?

Scrollai le spalle. Il pensiero di Shia si era agganciato, per successione logica, a un  interrogativo rimasto insoluto.

- Toglimi una curiosità Khail. Se davvero abbiamo sempre avuto lo stesso obiettivo, perché sei quasi morto congelato pur di non darmi Shia? Se poi solo due giorni dopo me l’hai consegnata spontaneamente senza più richiedermela? Mi sono chiesta più volte il senso del tuo comportamento.

Edhuar sorrise, ma distolse lo sguardo.

- Allora non ti fidavi di me – disse – Se ti avessi dato Shia, mi avresti piantato nudo nel fiume e saresti scappata via, proseguendo il viaggio senza di me.

- E allora? Pensavi che non ce l’avrei fatta? – feci, irritata.

Edhuar rise e mi diede una gomitata.

- Sapevo che avresti detto questo, sciocca!

- E allora qual è il motivo? – sbottai.

- Non volevo viaggiare solo.

Lo guardai perplessa.

- Sapevo che nel momento in cui ti avessi consegnato Shia, tu saresti scappata via. Non avrei più avuto la tua compagnia… e quello, anche mentre ero nell’acqua, mi sembrava molto… molto peggio anche del freddo che sentivo.

Distolsi lo sguardo di scatto, chinando gli occhi sulle mie dita attorcigliate alla ringhiera.

- Non hai altre domande da farmi Allegra?

Non ne avevo bisogno, avevo capito perfettamente il significato della sue parole.

Edhuar si chinò verso di me.

- Ti fanno così paura i miei sentimenti?

Rifiutai di guardarlo. Non erano tanto i suoi sentimenti a spaventarmi, peraltro da tempo piuttosto palesi, quanto i miei. Avevo deliberatamente evitato di affrontare i molteplici spunti che Edhuar mi aveva lanciato, proprio per non dovermi scoprire a mia volta.

Non avevo dubbi su ciò che sentivo per lui: non avevo mai provato sentimenti così intensi, nessun altro se non Edhuar sapeva farmi attorcigliare le budella a quel modo. Ma come potevo avere la certezza che fossero emozioni attendibili?

Avevamo vissuto a stretto contatto per giorni, rischiando la vita in continuazione, difendendoci a vicenda, lottando per un obiettivo comune. I miei sentimenti potevano essere il frutto di questa avventura surreale che avevamo attraversato insieme, nel fantastico mondo dei miei sogni che era Katathaylon. Ma nella banale vita quotidiana, quanto avrebbero retto?

Potevano essere intensi come l’esplosione di un petardo e altrettanto fugaci.

- Allegra…

- Khail, io credo che in questo momento i tuoi pensieri e i tuoi sentimenti dovrebbero andare in un’altra direzione. Hai bisogno di recuperare un po’ di equilibrio e di serenità, di ristabilire un rapporto corretto con tuo fratello – presi fiato – Preferirei che tu ricominciassi a sentirti in pace con te stesso. Non riesco a credere che la persona che ho conosciuto in questo viaggio… una persona che ama ridere, che sa godere della vita, sia la stessa che ha cercato di farsi ammazzare da suo fratello. Non voglio più che tu ripeta sciocchezze simili.

Il repentino cambiamento d’argomento lo lasciò disorientato.

- Ma io non ho più alcun desiderio di morire – si difese – Lo eviterei se avessi alternativa.

- Se avessi alternativa? Cosa stai dicendo? – feci, sorpresa.

- Non ricordi? Te l’avevo spiegato, l’unica risposta di Katathaylon al tradimento reale è la condanna a morte.

- Ma tu stai tornando spontaneamente sui tuoi passi! Sarai tu stesso a liberare Alexen!

- Allegra… - si girò e mi fissò dritto negli occhi – Ti rendi conto del pasticcio che ho combinato?

- Non era intenzionale…

- È comunque tradimento.

- Alexen non ti lascerà morire!

Edhuar mi appoggiò una mano sulla spalla.

- Alexen non può farci niente. È la legge e lui non può cambiarla a suo piacimento. Né io posso pretendere che lo faccia. Proprio perché sono un principe reale, la mia colpa è ancora più grave… scampare alla condanna sarebbe per me una vergogna.

Rimasi ammutolita.

Allora nessuno avrebbe salvato Edhuar? Nessuno avrebbe avuto pietà di lui?

A cosa serviva allora la sua redenzione? A farlo morire?

Non potevo crederci.

- Torniamo a letto Allegra, dobbiamo dormire un po’.

Ma dormire non era ormai più così semplice.

Mi rigirai nel letto come una tarantola insoddisfatta, senza trovare pace. Più ripensavo alla conversazione avuta con Edhuar e più mi rendevo conto del suo reale significato. Così lo sbigottimento aveva lasciato il passo alla ribellione e poi a un’angoscia lacerante. Ora la mia missione e i miei sentimenti erano in contraddizione fra loro e quello era un problema a cui non potevo trovare via d’uscita.

Nel buio la mano di Edhuar strinse la mia, e all’improvviso la mia angoscia si trasformò in pianto. Le lacrime mi gocciolarono mute sul viso e le lasciai cadere senza un suono, soffocando i singhiozzi. Non volevo che Edhuar se ne accorgesse e mi addormentai continuando a piangere in silenzio.

 

 

  

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Capitolo 21
*** Il figlio disobbediente ***


Ormai Sammel sarebbe arrivato da un momento all’altro e l’ansia di quell’attesa rendeva Alexen incapace di stare fermo. Percorreva il tratto dal muro alla porta e dalla porta al muro a cicli discontinui, impaziente e nervoso al tempo stesso. Vera non riusciva a spiegarsi dove potesse trovare tante energie.
Lei, dal suo canto, non era che un guscio privo di sostanza.
Alexen l’aveva tenuta abbracciata tutta la notte, rifiutandosi di lasciarla nonostante la palese scomodità della posizione. Solo a mattino inoltrato, quando ormai Vera aveva recuperato il suo calore e una certa autonomia di movimenti, le aveva permesso di staccarsi.
Si era girato mentre si rivestiva e, subito dopo, Vera aveva ricominciato ad avere freddo.  Il solito freddo che la tormentava da quando era entrata in quella cella, ma questa volta amplificato in peggio. Non aveva più forze per difendersi dalle privazione della prigionia. Bruciandosi aveva dato fondo a tutte le sue energie e non poteva ricostituirle senza consumare almeno un pasto. Dubitava persino di riuscire ad alzarsi in piedi.
La sorprendeva la vitalità di Alexen che, secondo i suoi parametri, non avrebbe dovuto avere forza nemmeno per star sveglio. È vero, gli aveva trasmesso il suo calore e insieme un po’ di energia, e aveva dato una spintarella al suo sistema immunitario. Ma questo non cancellava gli effetti della prigionia, non poneva rimedio alla denutrizione, né a tutto il sangue che aveva perso.
Stava in piedi solo grazie all’adrenalina e alla forza di volontà, ma per quanto il suo fisico avrebbe retto? Sarebbe riuscito a portare a termine la fuga?
Alexen si chinò su di lei, interrompendo le sue riflessioni. La sua fronte era segnata da rughe di tensione.
- Riesci a vedere qualcosa? – le chiese.
Vera temeva che glielo avrebbe domandato, ma nonostante la debolezza non osò opporre un diniego.
Chiuse gli occhi e si concentrò. Iniziò dal momento presente, esplorò la stanza attraverso lo sguardo della sua memoria e poi, lentamente, iniziò a sfogliare le pagine del tempo scrutando nei minuti successivi. Nella sua mente le immagini si confusero e si sovrapposero, vorticando in una spirale impazzita. Rimase il volto di Allegra davanti ai suoi occhi, immobile, sereno.
Staccò la connessione e riprese fiato.
- Oggi arriverà Allegra – sussurrò – E quando arriverà, molte cose si risolveranno. Non so perché, ma è così.
Finì la frase in un brivido di freddo e strinse le ginocchia fra le braccia cercando un po’ di calore.
Alexen l’avvolse gentilmente fra le braccia.
- Perdonami, sto di nuovo sfruttando la tua forza per la mia insicurezza.
Le strofinò la schiena con le mani, cercando di creare un lampo di calore in mezzo a quell’implacabile gabbia di ghiaccio.
- Alexen, non so se potrò venire con te.
Lui si ritrasse sorpreso.
- Non ho più forze, non so neppure se le avrò per arrivare alla porta della cella.
- Non puoi restare qui! Se entrasse Ad’hera e non mi trovasse, se la prenderebbe con te!
- Non gli rivelerò nulla.
- Non è questo il punto! – replicò con veemenza – Non voglio neppure pensare che possa arrivare a toccarti! Verrai via con me, se non riuscirai a camminare ti porterò in spalla!
- Non ce la farai, stai in piedi per miracolo.
In quel momento la serratura scattò.
Sammel entrò furtivamente, richiudendosi la porta alle spalle. Alexen si alzò con  uno scatto.
- Ho dato alcune direttive che terranno le altre guardie lontane dalle segrete per un po’ – disse Sammel rapidamente – Se andate subito, passerete indisturbati. Potete salire ai piani superiori dalle scale di servizio. Una volta arrivati agli appartamenti del re però, dovrete cavarvela da soli.
Così dicendo, allungò un coltello ad Alexen.
- Ce la faremo! – Alexen afferrò l’arma e gli appoggiò una mano sulla spalla – Sei sicuro di quello che stai facendo? Stai rischiando molto.
- Avrei dovuto trovare prima il coraggio di aiutarvi – Sammel chinò lo sguardo, a disagio – Vi  chiedo perdono per ciò che avete dovuto soffrire.
Alexen annuì.
- Non dimenticherò quello che stai facendo.
Si voltò verso Vera e le tese le mani.
- Sei pronta?
Lei afferrò le sue mani e si lasciò tirare in piedi. Con sua sorpresa, scoprì che le gambe la reggevano.
- Grazie Sammel – sussurrò.
Uscì con Alexen nel corridoio buio, sfilando lungo i muri con cautela. Sammel aveva detto il vero, era riuscito a sbarazzarsi delle poche guardie incaricate di prestare servizio nelle segrete.
Aprirono il portone cigolante e presero le scale che risalivano in superficie. Tanta era la tensione, che i loro passi sembravano rimbombare sui gradini di roccia.
Quando raggiunsero il pianterreno e varcarono la porta che conduceva nelle zone di servizio, entrambi si bloccarono. La luce del sole e il profumo di aria pulita li investirono con tanta intensità da farli quasi lacrimare.
- Che meraviglia – mormorò Alexen e Vera in cuor suo non poté che convenire. Si rendeva conto in quel momento di quanto le fosse mancata la libertà.
Alexen la guidò furtivamente verso la scala di servizio che si arrampicava a chiocciola su scalini ripidi e irregolari. Appena iniziò a salire però, le gambe le cedettero e cadde con le ginocchia sul marmo. Il principe si girò di scatto.
- Riesci ad alzarti?
Vera radunò tutte le sue forze, ma riuscì a malapena ad alzare un braccio per attaccarsi alla ringhiera.
Alexen si chinò verso di lei di schiena.
- Forza, afferra le mie spalle e tieniti stretta.
Sapeva che tentare di ribattere sarebbe servito solo a perdere altre energie, quindi decise di obbedire. Alexen la prese in spalla e ricominciò a salire, cercando di mantenersi il più possibile silenzioso.
Vera temeva che crollasse a terra da un momento all’altro com’era accaduto a lei, ma non osava fiatare. Ascoltava il respiro corto di Alexen, sentiva il battito accelerato del suo cure e i muscoli tesi allo spasimo.
Quando arrivarono al piano delle stanze reali, Alexen la depositò delicatamente a terra continuando a sostenerla, mentre lui stesso si appoggiava stancamente al muro. Aspettò di recuperare il fiato, prima di sporgere il capo oltre l’angolo.
- Ci sono due sentinelle davanti alla porta di mio padre.
Fissò Vera indeciso. Lei capì che voleva lasciarla al sicuro e provare ad affrontarle da solo.
- Ci penso io – lo anticipò.
Alexen sembrò sorpreso.
- Puoi addormentarli?
- No, senza un contatto fisico. Ma posso creare un’allucinazione uditiva per allontanarli qualche istante.
Lui soppesò la proposta dubbioso.
- Sprecherai troppe energie.
 - È meno rischioso di un attacco diretto. Sorreggimi, nel caso mi dovessero mancare le forze.
Vera chiuse gli occhi e cercò mentalmente gli uomini. L’allucinazione doveva condurli nella direzione opposta a quella in cui si trovavano loro e doveva essere abbastanza intensa da farli muovere entrambi.
Cosa doveva scegliere? Un rumore sospetto? Un gran trambusto? Voci umane?
Optò per una mescolanza delle ultime due opzioni e la proiettò nelle menti delle due sentinelle. Si accorse subito che reagivano nel modo sperato.
- Si sono allontanate! – disse infatti Alexen dopo un attimo – Presto, andiamo!
Vera però aveva esaurito le ultime energie e rimase immobile come una statua di marmo.
Alexen le passò un braccio sotto le ginocchia, sollevandola di peso, e in pochi istanti raggiunse la porta che conduceva agli appartamenti del re. Entrò velocemente e richiuse l’uscio dietro di sé, ritrovandosi nel salottino privato del sovrano.
La giovane domestica che stava riordinando la stanza, alla vista del principe sobbalzò stupefatta. Rimase immobile, a occhi sbarrati.
Alexen le lanciò un’occhiata distratta e depose delicatamente Vera su un divanetto.
- Aspettami qui e riposati. Goditi il caldo.
Vera non riuscì a rispondere.
- Resta con lei – disse Alexen, rivolto alla domestica – Se ha bisogno di qualcosa aiutala.
La ragazza annuì, ancora incapace di parlare. Poteva fidarsi di lei? Non ne aveva la certezza, ma arrivato a quel punto non gli restava che andare fino in fondo.
Attraversò le due stanze sontuosamente arredate ed entrò nella camera del sovrano. Lo trovò solo, sprofondato fra i cuscini.
Sentendo i passi nella stanza, il re voltò faticosamente il viso, ma appena riconobbe il figlio cercò di mettersi a sedere.
- Non affaticatevi padre – disse Alexen, avvicinandosi al letto.
Il re tuttavia riuscì a mettersi seduto. Rimase in silenzio studiando attentamente il figlio, con l’orrore negli occhi. Più volte sembrò sul punto di parlare, ma senza riuscire a tradurre in parole le emozioni che lo attraversavano.
- Sto bene – disse allora Alexen, cercando di prevenire la furia che, lo sapeva, non avrebbe tardato ad arrivare.
Il re infatti sembrò riscuotersi all’improvviso.
- Com’è possibile che io abbia concepito un essere a tal punto privo di onore? – sibilò, in un sussurro carico di disprezzo – Come ha potuto, tuo fratello,  trattare in questo modo l’erede di Katathaylon?
- Siete informato allora di quello che sta accadendo?
- Quel cane di Ad’hera si è premurato di farmi sapere ogni cosa. E se sei qui in queste condizioni, presumo che non sia stato lui a liberarti.
- Una guardia mi ha aiutato a scappare. Sono venuto immediatamente qui… volevo assicurarmi delle vostre condizioni.
 I lineamenti induriti del re si smussarono di stanchezza.
- Le mie condizioni sono pessime – disse burbero – Il dottore non lo dice chiaramente, ma so che mi restano pochi giorni. Proprio per questo, la situazione va risolta Alexen, non posso permettermi di morire finché la tua posizione non sarà riconfermata. Edhuar non può salire al trono.
- Lo cercherò padre, e gli parlerò. Gli raccomanderò ogni attenzione.
- Gli raccomanderai attenzione?
Gli occhi del re lo trapassarono come una lama.
- Cosa stai dicendo? La situazione è già andata troppo oltre, non percepisci lo stato di Rah?
Alexen avvertì un brivido di paura corrergli lungo la spina dorsale.
- No. Io… non posso sentire.
Istintivamente sollevò il polso, lasciando oscillare il Braccialetto del Re sotto gli occhi del sovrano.
Il re sbarrò gli occhi e l’indignazione che lo attraversò gli fece raddrizzare la schiena di scatto.
- Fino a questo punto ha osato? – esclamò, col fiato corto per l’incredulità – Tuo fratello è una maledizione Alexen, e sta rovinando il nostro paese!
- Padre, per favore!
- Stanotte Rah è diventata instabile! Sai cosa significa? Sai qual è il rischio che il mondo intero sta correndo?
Alexen sussultò.
Instabile!
- Parlerò con Edhuar! – promise – Lo farò ragionare!
- Non servirà a nulla, non capisci? Sei tu che devi ragionare! Non hai mai fatto altro che proteggere tuo fratello e ora guarda come ti trovi ridotto! Edhuar si è rivoltato contro la sua stessa famiglia, ha spezzato il sigillo di Rah, ti ha quasi ucciso! Non gli importa nulla del bene di Katathaylon, non te ne rendi conto?
Alexen non aveva mai avuto paura del padre e non c’era stata una sola occasione in cui si fosse lasciato intimidire da lui.
- Non sono certo che il responsabile di tutto questo sia Edhuar – disse, senza scomporsi – Sembra che alcuni aspetti della vicenda siano poco chiari.
- Chi è stato a metterti il Braccialetto? Non essere ridicolo! Quello che devi fare ora, è trovare il modo di riottenere il comando del Palazzo. Devi riprendere il potere e fare immediatamente giustiziare tuo fratello. È una promessa che pretendo da te in questo esatto istante!
Alexen rimase in silenzio.
- Edhuar è una minaccia costante per Katathaylon! – incalzò il re – Lo è sempre stato per il semplice fatto di essere nato! Non ci sarà pace finché non sarà giustiziato, questo è un ordine Alexen e voglio la tua parola che farai ciò che ti ho chiesto.
- No.
Il volto del re divenne livido.
- Osi disobbedirmi anche sul letto di morte?
Alexen sorrise, ironico.
- Non sono mai stato io il figlio obbediente.
- Cosa intendi dire? – ruggì il re.
- Se volevate un erede pronto ad acconsentire ad ogni vostro ordine, dovevate scegliere Edhuar. Lui avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di avere la vostra approvazione, non avrebbe mai disatteso a un vostro ordine. Era l’erede perfetto padre, avete fatto la scelta sbagliata.
- Alexen!
Il re ansimava di rabbia, si stava visibilmente agitando.
- Non voglio peggiorare il vostro stato – disse il principe, abbassando il tono – Perdonate la mia insolenza.
- Non è della tua insolenza che stiamo parlando, c’è in gioco la sorte del mondo intero!
- Ne sono consapevole. Vi prometto che troverò una soluzione e che le cose torneranno al loro posto. Farò tutto ciò che è in mio potere per ripristinare Shiarah, ma non ucciderò mio fratello.
- Allora prega che io muoia presto, perché finché sono in vita la mia parola vale più della tua. Edhuar è un traditore, così l’ho giudicato e neppure la tua ostinazione potrà salvarlo dalla mia condanna.
Alexen socchiuse gli occhi, moderando la rabbia.
- Riguardatevi padre – mormorò. Chinò leggermente la testa in segno di rispetto e poi si volse per uscire dalla stanza.
- Alexen – lo richiamò il re, mentre già si trovava sulla porta – Non correre rischi inutili.
Il principe assentì con un sorriso e si decise a lasciare il padre.
Ora che si accertato delle sue condizioni, doveva trovare il modo di raggiungere Edhuar. Sperava che Vera si fosse ripresa quel tanto da poterlo aiutare.
Ma quando, attraversate le due stanze, mise piede nel salottino, rimase paralizzato di fronte alla scena che gli si presentò do fronte.
La domestica era nascosta in  un angolo, piena di spavento, mentre Ad’hera, vicino alla porta, aspettava Alexen a braccia conserte. Di fianco a lui, Vivor stringeva Vera, semisvenuta, in una morsa ferrea, e le chiudeva la bocca con  una mano.
Istintivamente, Alexen estrasse il coltello, pur sapendo che sarebbe servito a ben poco.
- Pensavi che non me ne sarei accorto? – ghignò Ad’hera, tronfio del successo della sua imboscata – Quando ho trovato la cella vuota, questo è stato il primo posto in cui ho pensato di cercarti!
Alexen lanciò un’occhiata a Vera, nella speranza che potesse aiutarlo, ma gli sembrò così debole da respirare a malapena.
- Non c’è nulla che puoi fare – rise Ad’hera – Tranne gettare a terra quel coltello. Vivor può ammazzare la tua promessa sposa con  un solo gesto!
Impotente, Alexen fece come gli era stato detto. La lama del coltello rimbalzò a terra con un suono metallico.
- Voglio parlare a mio fratello! – esclamò, facendo appello alla poca autorità che gli era rimasta.
- Parlerai con me invece! E questa volta davvero. Mi dirai dove trovare l’Ostrica!
Ad’hera fece un cenno a Vivor e questi, togliendo la mano dalla bocca di Vera, gliela strinse attorno al collo.
Alexen si sentì inondare dal panico.
 
 
 
 
 

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Capitolo 22
*** Coraggio ***


Terza Parte
 
- Il re -
 
 
“E chissà se questo è
il segreto per vivere con me.
seduto su un grattacielo devo stare
in alto come un falco per non farmi catturare…”
 
(G. Grignani) 
 
 
 
 
“Se un uomo è capace di amare la propria compagna
senza limitazioni né condizioni,
allora rivela al mondo l’amore di Dio.
Rivelando l’amore di Dio, egli amerà il suo prossimo.
Amando il suo prossimo rovescerà il proprio amore anche su se stesso.
E così tutte le cose andranno a posto.
E la storia cambierà.”
 
P. Coelho
Lo Zahir
 
 
 
 Man mano che le ore trascorrevano, il dolore alle anche e alla schiena paradossalmente si affievoliva, soppiantato da una profonda angoscia che mi appesantiva progressivamente il cuore. La nostra avanzata verso Arco d’Occidente stava conducendo al patibolo, oltre che Edhuar, anche il mio animo, in un sofferto viaggio senza ritorno.
Avrei voluto chiedergli di rallentare, di fermarsi, di riflettere un momento su quello che stavamo facendo.
Non potevamo trovare un’altra soluzione? Non esisteva una scappatoia?
Il cavallo avanzava a passo costante, sotto la guida di un Edhuar silenzioso, insolitamente pacato. Nessuna risata oggi, nessuna battuta, provocazione o scherzo. Solo la pesante consapevolezza della nostra meta.
Stavamo attraversando una radura fiorita quando, oltre gli alberi all’orizzonte, si materializzarono le cupole spumeggianti di Arco d’Occidente. Ebbero su entrambi l’immediato effetto di uno schiaffo in viso, l’impatto fu fisicamente visibile.
Edhuar sobbalzò, tirando inconsapevolmente le redini, e il cavallo con un piccolo scarto si arrestò.
Mi voltai indietro e lui rispose al mio sguardo con un sorriso nervoso.
- È quasi ora di pranzo – mormorò – Ci fermiamo a mangiare? Non credo che una volta arrivati avremo il tempo di pensarci.
Acconsentii, nonostante avessi lo stomaco completamente chiuso. Probabilmente anche Edhuar non aveva appetito, ma quell’attimo di pausa ci avrebbe permesso di prendere respiro.
Oppure avrebbe semplicemente prolungando l’agonia, ma tutto mi sembrava preferibile al momento del nostro distacco definitivo.
Se non ci fosse stata Vera in difficoltà, se non ci fosse stato il mondo in pericolo, non avrei mai accettato che Edhuar si consegnasse. Ma nella situazione in cui eravamo finiti, il suo sacrificio sembrava inevitabile.
Ci sedemmo sotto un albero, fingendo di mangiare pane e formaggio. Edhuar rigirava il cibo fra le mani, mentre ne cadeva in terra più di quanto ne finisse in bocca.
- Hai paura? – gli domandai, di punto in bianco.
Era naturale che ne avesse, ma la prima volta che glielo avevo domandato giorni prima, sull’albero, non mi aveva risposto. Come se la sua emozione non fosse importante di fronte a tutto il resto.
- Ho una paura folle - ammise invece, immediatamente – Sono terrorizzato.
Appoggiò il cibo a terra, arrendendosi definitivamente.
- Temo che Rah si sia destabilizzata… temo che a causa mia si verifichino danni devastanti. Eppure in questo momento questo timore è insignificante di fronte al pensiero di ciò che accadrà a palazzo – abbassò gli occhi e la sua voce divenne un sussurro – Sarà un’umiliazione enorme, se mi soffermo a pensarci desidero solo scappare.
Quella confessione inaspettata fu una pugnalata di troppo per il mio spirito provato. Scattai in ginocchio quasi senza rendermene conto.
- Scappa via allora, Khail, vattene nel mio mondo! – dissi – Penserò io a tutto. Dammi la chiave, libererò al tuo posto Alexen e Vera e consegnerò loro Shia perché riportino l’equilibrio! Posso farcela da sola, non è necessario che tu venga, non sei obbligato a farti uccidere!
Vidi sul suo viso lo sbigottimento, e poi la commozione. Balenarono veloci come lampi e sfumarono in una risata, la prima della giornata.
- Grazie Allegra, davvero grazie! – disse, ancora ridendo – Ma credi che possa combinare questo pasticcio lasciandoti a risolvere i miei problemi?
- Lo faccio volentieri! – insistei. Ma quando Edhuar scosse la testa, capii che non avrebbe ceduto.
Aveva ragione dopotutto, scappare adesso gli avrebbe precluso qualunque possibilità di riscattarsi, anche solo nei confronti di se stesso.
- Inoltre, se scappassi smetterei di piacerti – aggiunse con un sorriso malizioso.
Lo guardai confusa. Gli avevo detto che mi piaceva? Non mi sembrava.
- Stanotte hai pianto per me – mormorò – O perlomeno è quello che ho pensato – aggiunse con un sorrisetto imbarazzato – Ma se non è così, lasciamelo comunque credere.
- Allora te ne sei accorto? – dissi piano.
Lui assentì.
- Mi ha fatto piacere. Moltissimo. È grazie a te che oggi posso affrontare le mie responsabilità.
- Che cosa dici?
- Da quando due giorni fa hai insinuato che mio padre avesse scelto a caso il suo erede, ho iniziato a riflettere seriamente. Le tue parole si sono fissate nella mia mente come un’ossessione e lentamente l’hanno aperta a una nuova prospettiva. È stato come se all’improvviso si fosse innescato un processo di rilettura completamente nuovo di tutti gli eventi della mia vita. Ho rivisto il mio passato attraverso altri occhi, altri significati… e a quel punto ho iniziato a domandarmi seriamente se il mio allontanamento da palazzo, più che a me stesso, non fosse dovuto ai timori e all’incertezza di mio padre.
- Non c’è una spiegazione diversa da questa, Khail – dissi.
- Quando mi consegnerò, mi starai vicina?
- Sei coraggioso – mormorai.
- No, non lo sono mai stato. Non sono mai stato capace di chiarire le questioni in sospeso con mio padre, non riuscivo ad affrontare la situazione se non attraverso sotterfugi. Fomentare la rivolta, cercare di farmi uccidere… erano tutte soluzioni di ripiego, perché sapevo che affrontare apertamente il problema mi avrebbe distrutto, avrebbe messo completamente a nudo la mia… nullità, e non sarei stato in grado di tollerarlo. Era meglio scappare, negare… morire.
Quando i suoi occhi mi attraversarono, il suo sguardo cambiò.
- Adesso non è più così – sussurrò – Perché tu hai dato valore alla mia persona. Mi hai salvato dagli uomini di Ad’hera, hai tradito i tuoi ideali per me, mi hai fatto coraggio, hai pianto per la mia vita… quante volte hai ripetuto che valeva la pena di rischiare perché non morissi? Proprio tu che mi disprezzavi! E se tu che mi odiavi puoi dar valore alla mia vita, allora so che niente può togliermelo. Nessuna umiliazione, nessun errore che abbia fatto può più negare il mio valore di essere umano… adesso sono in grado di affrontare tutto questo solo grazie a te.
Feci un respiro profondo per sciogliere il nodo di commozione che minacciava di strangolarmi. Avevo mai sentito un discorso più bello… più intenso?
- Ti starò vicino – riuscii a mormorare – Sarò con te.
 
 
Quando ci avvicinammo al portone d’ingresso, gli uomini di guardia si scostarono lasciando che Edhuar picchiasse il batacchio. Non avevo avuto il coraggio di chiedergli i dettagli di quello che stavamo per fare, seguivo passivamente i suoi movimenti, improvvisamente priva di quell’energia che mi aveva accompagnata durante tutto il viaggio.
Ad aprire fu un giovane dagli abiti semplici, ma di taglio raffinato. Aveva lunghi capelli castani, ricci, e occhi prudenti.
- Khail? – esclamò, spalancando il portone per farci entrare – Sei proprio tu? Ridotto in questo stato? Richiuse la porta alle nostre spalle senza mai distogliere lo sguardo da Edhuar. Sembrava non essersi neppure accorto della mia presenza.
- Allora non eri a palazzo? Ad’hera non ci aveva avvisati della tua partenza. Stanno succedendo cose strane, sono giorni che cerco di parlarti senza successo!
- Non potevi parlarmi, non c’ero – rispose stancamente Edhuar – Manco da tredici giorni.
- Tredici giorni? E dove sei stato?
Edhuar rimase in silenzio, indeciso. Non poteva parlare di Shiarah.
- Non posso ancora dirtelo Katos, ma più avanti ti spiegherò ogni cosa.
- Non puoi dirmelo? – il giovane sembrava costernato. Finalmente parve accorgersi di me e mi squadrò con stupore.
- Eri in giro con… una ragazza? In un momento come questo?
- Katos…
- Sai cosa sta succedendo a palazzo? Girano voci che Ad’hera stia torturando brutalmente tuo fratello… su tuo ordine! Non volevo crederci, ma più di una guardia ha confermato che Alexen si trova in pessime condizioni. Ad’hera spadroneggia avvalendosi del tuo nome, trova ogni tipo di scusa per impedirci di incontrarti… ma a quanto pare tu non ti trovavi neppure a palazzo!
C’era dolore nella voce del giovane. Era palese che fosse uno dei più fedeli amici di Edhuar, uno fra i molti che l’avevano sostenuto nella rivolta.
- Ad’hera non stava eseguendo i miei ordini, è un traditore. Ha cercato di farmi uccidere.
Katos sbarrò gli occhi, ma non sembrò poi così sorpreso.
- Hai le prove?
- Le avrò presto. Ho messo alcuni koryonos sulle tracce dei suoi sicari. Li faremo confessare.
 Lui assentì.
- Come intendi agire?
- Ho bisogno di parlare privatamente ad alcune persone coinvolte nei fatti di questi giorni. Falle condurre nella sala da ricevimento. E desidero guardie fidate fuori dalla porta.
- D’accordo. Chi ti devo portare?
- Voglio vedere Ad’hera. Libera anche Sasamanka, desidero parlare con lui, con Alexen e con la koralla che gli si trova vicino.
Katos corrugò la fronte.
- C’è una koralla con lui?
- Sì… isy Veraxis, la sua promessa sposa.
Katos trasalì-.
- Ad’hera ha osato imprigionare la futura koralla regina?
- Ha osato molto di più – sussurrò Edhuar – Puoi fare quanto ti ho detto?
Lui annuì.
- Tuo fratello è scappato di cella – lo avvisò – Credo che Ad’hera l’abbia raggiunto nelle stanze di tuo padre. Li manderò a chiamare.
Katos fece per muoversi, ma Edhuar lo fermò.
- Katos, anche se non posso ancora spiegarti… ti fidi sempre di me?
- Sempre – sorrise lui – Vai ad aspettare nella sala da ricevimento.
Edhuar mi condusse attraverso l’arzigogolato corridoio, fino a una porta azzurra incorniciata da pennellate dorate.
L’interno della stanza era vasto, ma di una sontuosità rigorosa, che perdeva parte del tipico candore zuccherino di Arco d’Occidente.
Edhuar m’indicò una sedia, ma lui rimase in piedi, girando nervosamente avanti e indietro, roso dall’inquietudine.
Invece di sedermi mi avvicinai a lui, comprendendo perfettamente la sua ansia. Il mio cuore non batteva meno rapidamente del suo.
- Alla fine ci siamo – sussurrò Edhuar, quasi fra sé.
Guardò me, alla ricerca di una nuova dose di coraggio. Mi si fece vicino, poi si fermò esitando, gli occhi puntati nei miei.
- Vuoi baciarmi – dissi all’improvviso – Perché tutta questa esitazione adesso? Davanti al portone di Arco d’Oriente non ti eri fatto scrupoli!
- Allora non avevo nulla da perdere – sorrise lui – Non pensavo avrei avuto altre occasioni. Ma adesso non voglio fare un passo falso… ho bisogno di saperti dalla mia parte.
Mi ero ripromessa di non sbilanciarmi, ma il mio sguardo fu così eloquente che Edhuar non esitò più, baciandomi con un’intensità che mi lasciò senza respiro. Era come se domandasse a me la forza e il coraggio per fare quanto doveva. Percepii la sua tensione, ormai al culmine.
Lo scatto della porta ci fece separare con un sobbalzo. Edhuar mi strinse la mano e si girò verso l’uscio.
 

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Capitolo 23
*** Faccia a faccia ***


Le dita di Vivor le strinsero la gola, diventando un ostacolo gravoso al suo respiro. Vera rimase cosciente a fatica, insieme alle forze fisiche, anche la sua lucidità stava rapidamente scemando. La vista le si era completamente oscurata e le impediva di scorgere l’espressione di Alexen.
Il principe non aveva ancora rivelato nulla, ma lei temeva il suo lato sentimentale. Non poteva giurare che Alexen l’avrebbe lasciata morire.
- Non potete uccidere una koralla! – lo sentì dire, attraverso la nebbia dei suoi pensieri – È un reato che ammette la pena di morte!
- Ma noi troveremo il modo di evitarla! – rise Ad’hera – Non dimenticate che abbiamo la protezione di vostro fratello!
- Edhuar non accetterà mai tutto questo!
- Parlate Alexen! – lo aggredì il kalashà – Avete ancora pochi istanti per salvare la vita della vostra sposa!
Le dita di Vivor premettero a fondo e stavolta Vera perdette la coerenza dei pensieri. Luci e suoni vorticarono nel suo cervello senza ordine né significato.
E poi, così come si erano fatte pressanti, allo stesso modo le dita del carceriere svanirono nel nulla. L’aria tornò a pulsarle nei polmoni e allo stesso tempo le sue orecchie si riaprirono ai suoni esterni. La prima che sentì fu una voce estranea.
- Il principe Edhuar vi attende nella sala da ricevimento immediatamente, senza porre tempo in mezzo.
- Stavamo recuperando i prigionieri fuggiti! – ruggì Ad’hera.
- Il principe desidera vedere anche loro.
- Anche loro? Ti devi essere sbagliato!
- No, signore. Vuole che gli siano immediatamente condotti il principe Alexen e isy Veraxis, assieme a voi e a Sasamanka.
- Sasamanka? Perché vuole vedere il kalashà di suo fratello?
- Devo portarvi da lui, signore.
Vivor la lasciò all’improvviso e Vera perse l’equilibrio, immediatamente sostenuta da Alexen.
- Vera, come stai?
Ora riusciva a vederlo.
- Bene – sussurrò con voce resa roca dal tentativo di strangolamento.
- Finalmente stiamo per parlare con Edhuar! – le disse, aiutandola a mettersi in piedi. L’entusiasmo nella sua voce era palese come un faro nella notte.
Vivor afferrò Alexen legandogli le mani dietro alla schiena, lasciando invece stare lei, che chiaramente si teneva in piedi a stento. Due guardie scortarono tutti e tre lungo i corridoi.
Vera era preoccupata per Alexen, concentrato con ogni fibra del suo corpo sull’incontro con il fratello. Ma lei aveva motivo di sospettare di quell’improvvisa concessione. Perché negarsi per così tanto tempo e poi far chiamare il fratello all’improvviso? Edhuar era scaltro e Vera temeva che quell’incontro fosse un escamotage per umiliare il fratello e distruggerne completamente l’immagine. Alexen, pur nella sua innata fierezza, si presentava in uno stato scabroso per un principe ereditario. I vestiti che indossava erano quasi completamente laceri e lo coprivano ben poco. I segni delle bruciature, delle frustate, delle percosse, sarebbero stati sotto gli occhi di tutti. E così pure la sporcizia e quel suo fisico ridotto ormai a pelle e ossa.
Quanta gente avrebbero trovato nella sala da ricevimento? Quanti avrebbero accolto l’ingresso di un principe ereditario ormai annientato?
Se Edhuar con quell’incontro intendeva affermare la sua superiorità, che ne sarebbe stato di Alexen?
Riponeva nel fratello una fiducia cieca e priva di logica, che con ogni probabilità stava per essere disintegrata. E Vera non poteva che tremare a quella prospettiva.
Quando si trovò accanto alla porta della sala esitò. La guardia spalancò l’uscio, facendo entrare Ad’hera e Sasamanka. Poi fece cenno ad Alexen di avanzare e Vera lo seguì trattenendo il respiro.
La prima cosa che notò fu il contrasto fra l’ampiezza della stanza e la completa assenza della folla che si era attesa. C’erano solo due persone nella sala e la prima che vide fu Allegra.
Non se l’aspettava e a quella sorpresa il suo cuore ruzzolò di gioia. Solo un istante dopo si domandò perché la trovasse in compagnia del nemico.
Ma quando spostò lo sguardo su Edhuar, lo stupore divenne completo sbigottimento. Edhuar era la fotocopia di Alexen sotto ogni aspetto: aveva abiti laceri e sporchi, un viso smunto e stanco, segni di ferite sul corpo e si teneva ritto poggiando il peso su una sola gamba sana.
Dov’era il principe arrogante, agghindato in sontuose vesti, che si era aspettata?
Tornò a fissare Allegra con costernazione.
 
 
Quando la porta si aprì, oltre al cuore di Edhuar si fermò anche il mio.
Osservai con trepidazione l’ingresso dei due kalashà e il mio sguardo volò immediatamente all’ultima figura che stava entrando.
Vera era pallida e stanca, sembrava reggersi in piedi a fatica e quella vista mi addolorò. Quando mi scorse, i suoi occhi si colorarono di stupore. Credeva che Edhuar fosse il loro aguzzino e vedermi accanto a lui doveva crearle quantomeno sgomento.
Mi sforzai di staccare gli occhi da lei, per osservare finalmente il principe Alexen.
Per quanto ormai consapevole che si trattasse del gemello di Edhuar, la loro somiglianza mi impressionò comunque. Ero impreparata a trovarmi di fronte a un altro Edhuar: stessa statura, stessa corporatura, stesso viso.  Le differenze erano a dir poco minime: Alexen aveva forse gli occhi più chiari e i capelli un po’ più lunghi, leggermente meno mossi di quelli di Edhuar, e sembrava di qualche centimetro più alto. Ma quello che colpiva in lui, rispetto al fratello, erano il portamento eretto e una fierezza dello sguardo che non avevo mai scorto in Edhuar.
La mano di Edhuar, avvinghiata spasmodicamente alla mia, mi distrasse da quelle riflessioni. Sembrava sconvolto dalle condizioni in cui ritrovava ora il fratello. Probabilmente in lui era rimasta finora la flebile speranza che le parole di Vera fossero esagerate.
Il silenzio sbigottito in cui era caduta l’intera sala, venne rotto improvvisamente da uno dei due kalashà che, da un primo esame, riconobbi come Ad’hera.
- Principe Edhuar – esordì – Vostro fratello era fuggito. È stato ripetutamente interrogato, ma non ha mai voluto rivelare la collocazione di Rah. È evidente che non ha a cuore la salvezza del mondo.
Alexen fissò il kalashà sorpreso. Aprì la bocca, ma rinunciò a parlare. Sembrava perplesso.
- Dobbiamo farlo confessare! – incalzò Ad’hera – Non resta altra soluzione che indurlo a parlare e poi ucciderlo, rappresenta per voi solamente una minaccia! È ormai palese che non ha nessuna intenzione di sottostare ai vostri ordini!
- Pare che non sia l’unico – commentò Edhuar, sarcasticamente.
Ad’hera sussultò, sospettando del significato di quell’affermazione.
Edhuar mi strinse forte la mano prima di lasciarla definitivamente. La sua tensione ora, da paura si era trasformata in rabbia.
- Principe Edhuar, non potete giustiziare vostro fratello! – intervenne a quel punto Sasamanka – Non potete macchiarvi di un reato così pesante!
Sasamanka era più vecchio di Ad’hera di almeno una decina di anni, aveva capelli lunghi e ricci, ormai ingrigiti dagli anni e un volto lucido e rossastro. Edhuar lo ignorò, dirigendosi verso Alexen,  fermandosi a una decina di passi da lui. Quando alzò gli occhi sul fratello, riuscii a sentire tutta la fatica che gli costò sostenere quello sguardo.
- Slegatelo – disse all’improvviso.
Ad’hera tentò di opporsi, attaccandosi alla probabilità che Alexen lo aggredisse all’improvviso, ma Edhuar lo fulminò con lo sguardo. Il kalashà ammutolì repentinamente.
 
Vera, seppur disorientata da una scena completamente diversa da quella attesa, non perse tempo. Nel momento in cui fu certa che Edhuar parlasse seriamente, si avvicinò ad Alexen e iniziò a sciogliere i nodi delle corde.
Impiegò quasi cinque minuti a liberarlo e per tutto il tempo la stanza rimase avvolta dal silenzio. La tensione soffocava l’ossigeno ,Vera non riusciva a spiegarsi cosa stesse accadendo.
Appena Alexen fu libero, avanzò verso il fratello.
- Principe! – ansimò Ad’hera, aspettandosi il peggio, ma Edhuar lo zittì con  un gesto.
Alexen si fermò di fronte a lui, paralizzando il respiro di tutti i presenti. I due principi si fissarono per un momento eterno. Poi Alexen si lasciò cadere in ginocchio.
Vera chiuse gli occhi, lancinata dalla paura.
- Ed, sono nelle tue mani – disse Alexen, senza sollevare lo sguardo da terra – Non ho intenzione di oppormi alla tua incoronazione e nemmeno di disobbedirti. Puoi uccidermi se lo credi necessario, ma ti supplico di ripristinare l’equilibrio di Shiarah. So che non sei una persona avida e che puoi accontentarti di Katathaylon. Ti supplico di non andare oltre.
Vera avrebbe voluto parlare, difenderlo, contraddirlo. Ma aveva combattuto perché Alexen vedesse il fratello, e queste parole erano l’obiettivo che si era proposto nell’incontrarlo. Non poteva far altro che accettare in silenzio.
 
 
Gli sguardi di tutti erano puntati su Alexen e nessuno si accorse della reazione di Edhuar. Ma io seppi perfettamente che quello per lui era il momento più duro. La sua espressione era così piena di rabbia e di vergogna che per un attimo temetti che si sarebbe messo a piangere, invece rimase fermo immobile per un lungo istante.
- Coraggio – mormorai a fior di labbra. Era il momento che aveva temuto, ma che non poteva esimersi dall’affrontare.
Strinse i pugni e poi li riaprì improvvisamente, lasciandosi cadere in ginocchio di fronte al fratello, sotto lo sguardo costernato dei presenti.
Si sfilò dal collo la catena con la chiave e afferrò delicatamente il polso di un Alexen sbalordito, aprendo il Braccialetto. Lo depose assieme alla chiave di fronte a lui, nel silenzio sbigottito che lo circondava, poi abbassò lo sguardo.
- Sei tu l’erede al trono Alexen. Non ti chiedo di perdonarmi, accetterò qualsiasi punizione. Ti domando solo di lasciare liberi gli amici che mi hanno seguito, l’hanno fatto per lealtà nei miei confronti, mi assumo per loro ogni responsabilità
La stanza precipitò nell’immobilità, Ad’hera sbiancò completamente.
- Principe… - biascicò, ma subito la voce gli morì in gola.
Il primo a riprendersi fu Sasamanka.
- La situazione si è ribaltata – esclamò – Principe Alexen, lasciatemi chiamare le guardie perché appurino che avete ripreso il vostro posto!
- No, questo non ha senso! – ribatté  Ad’hera – Ci dev’essere un errore!
- Il principe Alexen è libero! – ribadì Sasamanka – Questo è chiaro! E il principe Edhuar verrà immediatamente giustiziato come attentatore alla vita dell’erede al trono!
Quelle parole mi fecero perdere la ragione.
- No, vi prego! – urlai, prima che potessi rendermene conto. Il mio corpo si mosse di volontà propria, corsi verso Edhuar e mi gettai a terra accanto a lui, di fronte ad un Alexen attonito.
- Non fatelo condannare – scongiurai, appellandomi all’unica persona che, sapevo, avrebbe fatto qualcosa per Edhuar – Non è stato Khail a farvi torturare, in tutti questi giorni è stato in viaggio con me per portare Shia a Palazzo! Non è stato lui a spezzare il sigillo di Rah, è tutto un equivoco!
Parlai così rapidamente che smozzicai le parole e Alexen a un certo punto mi fermò.
- Voi siete isy Allegra?
- Sì, sono io. E ho Shia con me – la estrassi dalla tasca della tunica e la misi fra le mani di Alexen – È stato Edhuar a chiederla a Raishanta e per tutto il viaggio ha protetto il suo segreto, anche a costo del suo sangue! Non ha mai avuto intenzione di impadronirsi del suo potere!
Sentii la mano di Edhuar stringermi la spalla.
- Ti prego, basta. Ne avevamo parlato.
Non lo ascoltai. Ne avevamo parlato, ma non avevo mai detto di essere d’accordo con una legge che uccideva senza fare chiarezza sulle motivazione dell’imputato.
- Principe Alexen, vi prego! – supplicai.
Lui strinse Shia nel pugno sinistro e con la mano destra afferrò le mie dita.
- Isy Allegra, tranquillizzatevi. Ho intenzione di fare una lunga chiacchierata con mio fratello. Chiariremo ogni cosa.
-  Questa non è la prassi principe! – intervenne Sasamanka, che ormai era tornato nel suo legittimo ruolo – Vostro padre ordinerà certamente l’immediata esecuzione di vostro fratello! Potrebbe arrecarvi altri danni, non dovete fidarvi di lui!
Così dicendo, spalancò la porta facendo cenno alle guardie di entrare. Erano gli amici di Edhuar, ma c’erano anche guardie neutrali.
- Fermatevi! – esclamò Alexen alzandosi in piedi – Nessuno toccherà mio fratello senza il mio permesso! Intendo parlare con lui in privato, nelle mie stanze!
- Principe, state mettendo in pericolo la vostra sicurezza!
- Non siate sciocco! – lo azzittì Alexen – Alzati Edhuar, vieni con me!
Edhuar sembrava esitare, gli occhi degli amici che lo avevano sostenuto erano fissi su di lui, straripanti di domande.
- A loro non verrà fatto nulla – lo rassicurò Alexen – Più tardi potrai parlare loro con calma.
Edhuar si alzò lentamente, senza sollevare lo sguardo da terra. Mi alzai anch’io, incerta del mio ruolo. Stavo dalla parte di entrambi, cosa che poteva apparire piuttosto bizzarra.
- Isy – mi disse Alexen – Vorrete passare un po’ di tempo con Vera.
Si girò verso una delle guardie.
- Chiamate una cameriera e fate condurre isy Allegra e isy Veraxis in uno degli appartamenti del secondo piano. Hanno bisogno di cibo, di riposo e di un bagno caldo. Trattatele con gli onori che meritano!
Lo ringraziai con lo sguardo, senza poter nascondere tuttavia l’ansia che provavo per Edhuar.
- State tranquilla – mormorò Alexen, intuendo la mia preoccupazione – Non dimenticherò la vostra preghiera.
Poi si girò all’improvviso verso Ad’hera e lo scrutò pensosamente.
- Isy Allegra…Se non è stato Edhuar a spezzare il sigillo di Rah, chi può averlo fatto?
- La stessa persona che ha anche cercato di uccidervi – risposi con sicurezza.
- Sì, lo suppongo anch’io. Arrestate Ad’hera, voglio che sia tenuto sotto adeguata sorveglianza!
Detto questo, prese Edhuar per un braccio e gli fece cenno di seguirlo.
- Principe! – lo richiamò Sasamanka – Siete in condizioni precarie, avete bisogno urgente di cibo e di cure!
- Posso attendere ancora mezzora.
Sparì dietro la porta con appresso un Edhuar esitante, che non si girò neppure una volta guardarmi, come se si fosse dimenticato di me.
Mi voltai sconsolata, e mi trovai di fronte una Vera sorridente, palesemente orgogliosa del mio risultato.
- Sei una vera eroina! – mi disse come saluto.
Le gettai le braccia al collo e la strinsi fino a mozzarle il respiro.
 
 
 
 

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Capitolo 24
*** Cuori allo specchio ***


 
Alexen lo fece entrare nella stanza e chiuse la porta dietro di sé con uno scatto secco.
Edhuar si girò verso di lui e incontrò occhi furibondi.
- Quando aspettavi a dirmelo? – chiese Alexen, seccamente.
Edhuar scosse la testa senza capire.
- Sto parlando di Rah. Avresti aspettato di avere un cappio al collo, prima di dirmi che non avevi spezzato tu il sigillo?
Edhuar abbassò lo sguardo.
- Chi differenza fa?
Per quello che lo riguardava, l’iniziatore della rivolta restava comunque lui.
- Non sei stato tu a ordinare questo, vero?
Alexen indicò le ferite che aveva in corpo. Lui scosse la testa.
- Quando sei partito da Palazzo?
- Un’ora dopo la tua cattura.
Alexen si stropicciò gli occhi con una mano, stancamente.
- Ha senso…  - mormorò – Ora le cose cominciano a essere chiare.
- Non fa differenza Alex, ho dato io inizio alla rivolta!
- Non fa differenza? Che stronzate dici? Ho passato giorni interi ossessionato da quello che credevo essere il tuo comportamento, sono quasi impazzito nel tentativo di capire cosa fosse successo per farti cambiare così tanto! Tutto sembrava far credere che volessi uccidermi! E tu dici che non fa differenza?
Edhuar ammutolì, spiazzato da quel furore. Poteva capire i sentimenti del fratello, il suo stesso sangue ribolliva immaginando quello che doveva aver sopportato. Ma non voleva che Alexen si attaccasse a dei dettagli per difenderlo davanti al padre e mettersi nei guai.
- Mi dispiace – mormorò – Non volevo sminuire quello che hai passato, dev’essere stato doloroso  credere che ti volessi uccidere… ma il fatto che le cose stiano diversamente non cancella le mie azioni. Resto comunque un traditore.
- Farò tutto ciò che posso per evitarti la condanna.
- Non devi farlo! – adesso era Edhuar a essere arrabbiato – Sono anni che ti opponi a nostro padre per difendermi… adesso basta Alexen, non voglio più permettertelo! Conosco le leggi e per il mio reato è prevista la condanna a morte! Non puoi passarci sopra, non proprio tu che sei l’erede al trono! Che esempio di giustizia daresti, se coprissi gli errori di tuo fratello?
- Smettila Edhuar! – esplose Alexen – Smettila! Non sarò io a farti ammazzare! Se  vuoi morire pensaci da solo, io non ho intenzione di toccarti!
- Ma sei il futuro re! Non puoi cambiare le leggi a tuo piacimento!
- Allora fallo tu il re! – urlò lui furioso – Se è questo che comporta, io non ne voglio più sapere!
Quell’affermazione riuscì a zittire Edhuar.
- Ho passato tutta la mia esistenza a sentirmi in colpa – aggiunse Alexen – Giorno dopo giorno ho visto con i miei occhi le ingiustizie che eri costretto a subire… perché di questo si trattava: ingiustizie. Per cui non venirmi a parlare di leggi ora! Non credo più alla giustizia di Katathaylon! E preferisco essere io a morire, piuttosto che ucciderti – aggiunse, a bassa voce.
Edhuar chinò lo sguardo, improvvisamente svuotato.
- Me ne sono accorto – disse piano – E stavi per riuscirci.
- Non mi interessa Ed, se vuoi essere re. Vuoi il mio posto? Te lo cedo! Ma se mi attacchi sapendo che prevedrò le tue mosse, solo per… farla finita… io non lo accetto!
- Lo…avevi capito? – Edhuar alzò gli occhi sorpreso.
- Non sono stupido. E neanche tu.
Edhuar rimase in silenzio, colpito dall’intuito del fratello.
- Ed… - mormorò Alexen, in tono più calmo – Raccontami cos’è successo. Come hai fatto a ridurti in questo modo?
Lui sospirò, rendendosi conto che ancora una volta non era riuscito ad avere l’ultima parola con il fratello.
- Ad’hera ha cercato di farmi uccidere.
Il principe si fece attento.
- Ti ha usato per neutralizzarmi e poi ha tentato… di eliminarti?
- E di prendere Shia, che Raishanta mi aveva consegnato.
Spronato dalle richieste del fratello, Edhuar raccontò in poche parole di come avesse affidato Shia ad Allegra e di come lei fosse tornata a salvarlo. Questo gli diede lo spunto per domandare ciò che da due giorni lo angustiava.
- Dimmi per favore… in che stato si trova Rah?
Lo sguardo del fratello s’incupì.
- Ieri notte è diventata instabile.
Edhuar chiuse gli occhi davanti alla concretizzazione del suo incubo peggiore.
- È colpa mia.
Alexen ascoltò in silenzio il racconto dell’incontro con i koryonos, mentre la voce di Edhuar si faceva sempre più sottile sotto il peso della colpa.
- Quando hanno minacciato di fare del male ad Allegra ho rivelato loro la mia identità. E nelle condizioni in cui mi trovavo, non potevo non creare congetture allarmistiche.
Il principe ereditario non reagì come Edhuar si era aspettato. Prolungò il silenzio, in una pausa riflessiva.
- Alex, hai sentito cosa ho detto?
- Ho sentito – rispose lui con un sospiro stanco – Ma adesso non ha importanza di chi sia la colpa. Non so neppure se sia una colpa, Ed, aver difeso la tua compagna di viaggio! Ciò che mi serve ora, è la tua collaborazione per riportare Shiarah all’equilibrio. Nostro padre è troppo debole, dobbiamo pensarci noi.
- Nostro padre Alex… - disse lui lentamente - … non permetterà che io ti aiuti. Appena gli comunicheranno che mi sono arreso, mi farà giustiziare.
- Papà sta morendo, Ed. Ti prego, non essere così duro con lui.
- Duro? Io?
Edhuar era sorpreso da quella definizione.
- So che provi molta rabbia nei suoi confronti, e ne sei più che giustificato. Ma credo di aver capito i sentimenti che hanno mosso papà. Era terrorizzato dall’idea di mandare Katathaylon allo sfacelo e ha fatto un sacco di errori… io sono convinto che ne sia consapevole.  Credo sinceramente che nostro padre abbia bisogno del tuo perdono.
Se fosse stato dell’umore giusto, Edhuar sarebbe scoppiato a ridere.
- Del mio perdono Alex? Dopo quello che ho combinato? Quando sono arrivato a Palazzo, mi hanno detto che eri nella sua stanza… Ti ha visto ridotto in queste condizioni vero? Ora più che mai vorrà vedermi morto.
Negli occhi del fratello lesse la conferma alle sue supposizioni.
- Non preoccuparti – lo rassicurò con un’alzata di spalle – So da anni come la pensa, non può ferirmi più di così.
- Edhuar… lascia che provi a convincerlo a riceverti. Parlargli sinceramente, almeno una volta nella tua vita. Probabilmente non avrai più un’altra occasione.
Edhuar esitò. Non era sicuro che Alexen si rendesse conto di ciò che gli stava chiedendo. Affrontare il padre dopo il tradimento era molto… molto peggio di ciò che aveva fatto nella sala dei ricevimenti. Forse era più gravoso del lasciarsi semplicemente condannare a morte. Ma nel contempo sapeva che il fratello aveva ragione, probabilmente non avrebbe avuto altre occasioni di chiarirsi con il padre.
- Chiediglielo pure, se ti può far piacere, ma non credo che accetterà di vedermi.
Alexen sorrise.
- Grazie. In cambio di questa concessione, ti dirò quello che volevi sapere. Rah si trova nel parco a ovest del palazzo, dietro alle acque della cascata, nascosta da un masso semovibile.
Il fratello sussultò come sotto un colpo di frusta.
- Alex… perché me lo dici? Ti sei fatto quasi uccidere pur di non rivelarlo!
-  Pur di non rivelarlo ad Ad’hera – precisò lui.
Con quelle parole tese il braccio verso di lui,  posandogli nel palmo della mano il Braccialetto del Re e la chiave.
Edhuar lo fissò sbigottito.
-  No…Non posso più esserne il proprietario dopo il  tradimento
- Non mi risulta nessun tradimento, Ed.
- Non ti risulta?- sbottò lui -  Ho usato il Braccialetto a scopo personale, per avidità e per vendetta!
- Ricordo benissimo il momento di cui parli. Ricordo la tua faccia e non c’erano né avidità né vendetta nei tuoi occhi, solo vergogna. Non ti aspettavi di riuscire ad andare fino in fondo. Quello per me non è tradimento. Ti prego… - Alexen lo guardò con un calore che gli toccò il cuore – A differenza di te che hai avuto numerosi amici, io sono sempre stato solo. Desideravo intensamente avere vicino mio fratello, ma nostro padre ha sempre cercato di impedirlo. Ora non tirarti indietro tu.
Quelle parole ebbero l’insperato potere di farlo capitolare.
No, non era solo Allegra a dargli valore. Alexen l’aveva fatto molto prima di lei, ma lui era stato troppo intento a cercare l’approvazione del padre per accorgersi che l’affetto del fratello non aveva meno significato.
Si fece avanti d’istinto e lo strinse in un abbraccio caloroso che venne immediatamente ricambiato. Ma subito dopo il corpo di Alexen perse forza e si accasciò privo di coscienza sulle spalle del fratello.
 

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Capitolo 25
*** Sentimenti ***


In pochi minuti la situazione si era completamente capovolta e il tutto era accaduto ad una velocità tale da lasciarmi disorientata. Era come se qualcuno avesse cambiato all’improvviso la scenografia, mentre io stavo ancora terminando le battute dell’atto precedente. Nonostante l’ambiente confortevole e lussuoso e la cordialità della cameriera che ci aveva servite, il mio cuore continuava a battere a ritmo accelerato.
Un bagno caldo e abiti puliti molto più leggeri e sfarzosi di quelli usati per il viaggio, ci avevano restituito un aspetto rispettabile. Seduta davanti a un vassoio di cibo abbondante lottavo contro il mio stomaco ribelle, mentre Vera, di fronte a me, mangiava con molto più gusto.
Le avevo raccontato ogni istante del mio viaggio, guidata dall’ansia febbrile di convincerla dell’innocenza di Edhuar. Parlando, le mie emozioni avevano preso il sopravvento e Vera, con la sua precisa lucidità, non poteva non aver dato peso alla mia agitazione e al tremito della mia voce.
Nonostante l’energico tentativo di controllarmi, non ero riuscita a raccontare con distacco i nostri momenti di difficoltà… i momenti in cui Edhuar mi aveva difesa, o quelli in cui io avevo difeso lui. Pur non volendo esplicitare il sottile sentimento nato tra noi, sentivo che Vera l’aveva percepito chiaramente. La distanza fra me e Edhuar era un campo minato che mi ero rifiutata di affrontare la sera prima con lui, e che poi avevo percorso in un istante nel momento in cui aveva rischiato la condanna a morte.
Così la bomba era scoppiata sotto i miei piedi e quando Edhuar  me ne avesse chiesto ragione, non avrei più avuto scudi dietro cui barricarmi.
Mi sentivo nuda, completamente esposta davanti a lui, davanti ad Alexen, a Vera, ai kalashà. Chiunque aveva potuto leggere con chiarezza i miei sentimenti.
- Tu come stai? – domandai, per spostare finalmente l’attenzione da me – Eravate riusciti davvero a scappare?
- Per poco – Vera sorseggiava quietamente la sua tisana, apparentemente in pace con il mondo – Il tuo arrivo è stato provvidenziale – aggiunse con un sorriso.
- Avete visto il re?
- Alexen gli ha parlato, ma io sono rimasta fuori dalla stanza. Ho sentito solo qualche spezzone del loro dialogo, nel momento in cui alzavano il volume della voce. Rah è diventata instabile.
Il suo viso rimase imperturbabile mentre mi comunicava la notizia, ma per me fu ugualmente una fustigata. Il rimorso, che già da tempo stavo covando nel mio cuore, si squarciò in una ferita aperta.
Vera colse immediatamente il mio stato d’animo e iniziò a scuotere la testa.
- Non fartene una colpa – mi disse con dolcezza – Hai fatto più di quanto fosse umanamente possibile chiederti.
- Ma adesso cosa succederà?
- Finché l’instabilità di Rah resta limitata, non si verificheranno danni. Il vero problema è che, in queste condizioni, diventa impossibile ricongiungerla a Shia.
- …Impossibile?
-  Quando Rah diventa instabile, inizia a emanare una carica energetica smisurata che, associata a Shia, si amplifica con una risonanza tale da uccidere chiunque sia in contatto con lei.
Questo significava che se qualcuno avesse cercato di riunire Shiarah, sarebbe rimasto… ucciso.
- La sola vicinanza della Perla con l’Ostrica basta a scatenare una carica energetica capace di uccidere… anche prima del ricongiungimento. La probabilità che, pur sacrificando una vita, l’equilibrio venga riconquistato, è bassissima.
- Vera…tutto questo è mostruoso!
- Sì, ma come ti ho già detto, l’instabilità di Rah al momento è ancora minima. Finché si trova in queste condizioni è possibile riportarla allo stato originario. Credo che Alexen sappia come fare.
Il sollievo mi fece accasciare sulla sedia.
Quel nervosismo insensato non mi stava aiutando, dovevo cercare di rilassarmi.
- Cosa credi che succederà a Edhuar? – chiesi piano.
- Se si applicasse la legge, dovrebbe morire – disse lei, senza pietà – Ma Alexen lotterà con tutto se stesso per impedirlo.
Osservò attentamente le mie reazioni e alla fine commentò – Tu ne sarai sollevata.
Le sue parole riuscirono a farmi sentire colpevole, così istintivamente abbassai lo sguardo.
Ma colpevole di cosa? Non era mio dovere assecondare il regolamento di Katathaylon. Soprattutto se neppure il principe ereditario intendeva farlo.
Quella riflessione mi fece improvvisamente capire il disappunto di Vera.
- È questo che ti infastidisce! – intuii – Il fatto che Alexen vada contro le regole per salvare suo fratello!
- Le leggi di Katathaylon sono state formulate secondo una logica di giustizia.
- Eppure le leggi non tengono conto delle eccezioni. Non tengono conto del passato di Alexen ed Edhuar, né dei loro sentimenti!
- Sei come lui – mormorò Vera e per un istante le vidi in volta un’espressione nuova, quasi smarrita.
- Lui chi? – domandai stupita.
- Come Alexen.
L’ombra di smarrimento si estese ai suoi occhi, così estranea al volto di Vera da farmi credere di essere di fronte a una persona sconosciuta.
- Vera, cosa c’è? – chiesi allarmata – Hai avuto problemi con Alexen?
Lei chiuse gli occhi, quasi stordita. Quando li riaprì, quella strana espressione non era svanita.
- Mi è successa una cosa strana – mormorò.
Nel silenzio che seguì, il mio cervello si affollò di ipotesi bizzarre. Sperai che Vera si confidasse, erano rari i momenti in cui se lo permetteva.
- Mi sono bruciata – confessò infine – Per salvare la vita ad Alexen.
Sbarrai gli occhi per la sorpresa.
- Vera! Ti sei innamorata di lui? – esclamai incredula.
- No… Anche se mi sono affezionata ad Alexen.  – precisò senza fretta – Lui ha oltrepassato più volte il confine dell’intimità, creando fra noi… una certa vicinanza emotiva. Credo che sia stato questo a influenzarmi e a farmi… agire d’istinto nel momento in cui l’ho sentito morire.
- La tua è stata una reazione naturale, non ti sentirai in colpa vero?
- Mi sento strana. E questa sensazione aumenta ogni volta che Alexen fuoriesce dai limiti, come se i suoi comportamenti arrivassero ad avere in me una risonanza.
Le parole di Vera erano sorprendenti. Ventitre anni di vita in un ambiente libero dalle convenzioni e intriso di emotività non avevano minimamente intaccato la sua corazza. Doveva succedere invece qui a Katathaylon, faccia a faccia con un principe ereditario leggermente più flessibile del previsto, in un contesto al limite della sopravvivenza.
- Ti spaventa il pensiero di sposarlo?
- Un po’ – ammise.
Era la prima volta che la vedevo così in difficoltà. Aprii bocca per incoraggiarla, ma in quel preciso istante bussarono alla porta. La cameriera che ci aveva servite si affacciò alla soglia.
- Isy Veraxis, il principe Alexen ha perso conoscenza. Il medico è stato avvisato, ma si trova presso il re e lo raggiungerà appena possibile. Nel frattempo il principe Edhuar chiede la vostra assistenza.
Vera si alzò immediatamente, come se l’attimo di smarrimento non avesse mai avuto corso.
Mentre si avviava alla porta, fui tentata di fermarla per chiederle di portare un messaggio a Edhuar. Vinse però l’imbarazzo e mi limitai a salutarla, mentre la porta si richiudeva alle sue spalle.
 
 
 *********************************** *******Un saluto dall'autrice**********************************************************


Salve a tutti... Ormai ci stiamo avvicinando al momento clou della storia e così... se qualcuno di voi mi sta seguendo, se state leggendo... lasciatemi un commento, vi prego!
Ho bisogno di avere un riscontro!! E grazie mille!

- phoenix_esmeralda -







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Capitolo 26
*** Riverenza muta ***


 Entrando nella camera da letto, lo sguardo di Vera fu immediatamente catalizzato dal corpo di Alexen abbandonato sulle lenzuola.
Per un istante fuggevole, la visione le richiamò quella del principe in fin di vita nella gelida cella del palazzo, facendola vacillare. Si era ripetuta che buona parte delle sensazioni singolari che aveva provato erano dovute alla debolezza, ma anche ora che si era nutrita in abbondanza il malessere non accennava a svanire.
- Isy Veraxis…
La voce di Edhuar interruppe quella riflessione. Si girò verso di lui cancellando ogni traccia dei suoi pensieri.
- Desiderate il mio aiuto?
Si sorprese nel vedere che il principe non si era ancora cambiato d’abito.
- Ho pensato che nell’attesa del medico, la vostra presenza potesse essere utile. Siete stata vicino ad Alexen in tutto questo tempo, forse potete indicarmi come assisterlo. Ha perso conoscenza all’improvviso e non si è più ripreso.
Vera si avvicinò al letto e scostò i capelli dal viso del principe. Nella semioscurità della cella non si era accorta di quanto fosse scavato il suo volto. Ma alla luce del giorno i segni della prigionia erano angosciosamente evidenti.
- È solo la fame – disse gelidamente, rivolgendo a Edhuar uno dei suoi sguardi più alteri – Se non aveste mangiato nulla per due settimane, anche voi sareste debole.
Vide il senso di colpa bruciargli negli occhi e ne rimase disorientata. Le persone reagivano alle sue sferzate difendendosi con i mezzi che conoscevano, coprendo le loro debolezze per sviare altrove la sua attenzione. Non si era aspettata che Edhuar potesse mostrarsi così vulnerabile di fronte a lei.
Lui suonò il campanello e ordinò alla domestica del cibo leggero per il fratello, poi tornò a sedersi accanto al letto.
- Non è in pericolo di vita, vero? – chiese a mezza voce.
Vera esitò, indecisa su quanto rivelare.
- Se non gli avessi dato parte della mia energia, sarebbe morto – disse infine – Ma credo che adesso sia fuori pericolo.
Il tentativo di soffocare l’emozione legata a quel ricordo aveva reso il suo tono tagliente.
Edhuar tuttavia evitò nuovamente di giustificarsi, ancora una volta l’effetto delle sue parole si riflesse apertamente nel suo sguardo, facendola sentire crudele.
Allegra aveva difeso Edhuar mettendone in luce gli aspetti migliori, ma per Vera non era semplice accettare che il principe fosse realmente di buon cuore. Durante i giorni di prigionia gli aveva attribuito tutte le privazioni e le angherie inflitte ad Alexen e non riusciva a dissociarlo dalle emozioni negative di cui l’aveva impregnato. Aveva bisogno di tempo per realizzare che non era stato lui a spezzare il sigillo, a far torturare Alexen, a minacciare il mondo. E in ogni caso, non poteva ignorare le responsabilità che Edhuar aveva avuto nella situazione catastrofica in cui ora si trovavano.
Edhuar, scomparso nelle stanze a lato, stava rientrando con una bacinella d’acqua in mano e alcune salviette.
- Vorrei togliergli quella maglia lacera prima che arrivi il medico e lavarlo un po’ – le disse, cercando con lo sguardo la sua approvazione.
Vera annuì.
- Vi aiuto.
Edhuar la fissò costernato.
- Isy, non siete ancora marito e moglie. Sarebbe meglio che vi allontanaste, per Alexen potrebbe essere… poco dignitoso.
- Poco dignitoso? – Vera lo fissò con disprezzo e sentì la rabbia montarle in corpo – Questo sarebbe poco dignitoso principe? Mentre voi eravate assente, vostro fratello è stato torturato, insultato, umiliato senza alcuna misericordia. L’hanno spogliato, picchiato, deriso, frustato, provocato, ustionato! L’hanno fatto urlare…l’hanno fatto anche di fronte a me! La dignità di vostro fratello è stata calpestata brutalmente e ripetutamente, credete davvero che il fatto di aiutarvi a pulirlo possa fare la differenza?
Non riusciva a controllare la rabbia, quasi non fosse neanche se stessa. Cosa le succedeva?
A frenarla fu ancora una volta la reazione di Edhuar, che contrariamente a ciò che si era aspettata accolse la sua sfuriata a viso aperto.
-  Perdonatemi – le disse in tono pacato – Avete ragione.
Quelle parole ebbero il potere di placarla.
Come ha fatto Allegra a innamorarsi di lui?
L’amica le aveva raccontato delle sue sfuriate quando aveva scoperto la vera identità del principe. Trovarsi di fronte a una persona così arrendevole non l’aveva mandata in bestia?
- Vera, risparmia a mio fratello quello sguardo omicida!
Alexen, ora sveglio, le sorrideva dal letto. Il suo sguardo sereno fu la prima cosa che la colpì.
- Mi dispiace – rispose, piuttosto freddamente – Non gli mancherò più di rispetto.
- Avete fatto bene a essere chiara – intervenne Edhuar, sedendosi accanto al fratello.
- No, ho ceduto alla rabbia e ho detto cose  spiacevoli.
- Sono contento di scoprire che ogni tanto cedi alla rabbia – disse Alexen con un sorriso.
Lanciò un’occhiata d’intesa a Edhuar, poi lasciò che il fratello lo aiutasse a sfilarsi la maglia e a rinfrescarsi.
Osservandoli non riuscì a rilevare la minima traccia del conflitto da cui erano appena usciti, c’era fra loro una sintonia spontanea di cui Vera non poteva negare l’autenticità. Adesso poteva comprendere la confusione e l’incredulità di Alexen di fronte al presunto tradimento del fratello.
Quando la domestica entrò con il cibo, Vera depose il vassoio con la zuppa di fronte al principe, che rimase in silenzio a contemplare il piatto.
- Forse dovresti darmene un cucchiaio alla volta, come facevi in cella – suggerì con un sorriso.
Vera rimase spiazzata. Il contesto in cui si trovavano era talmente differente, che ora un simile comportamento l’avrebbe messa a disagio.
Ma quando si accorse dello sguardo divertito  negli occhi di Alexen, comprese che aveva voluto metterla intenzionalmente in difficoltà.
Da quando era diventato così indisponente?
- Forse desidererà imboccarvi vostro fratello – rispose gelidamente.
Alexen scoppiò a ridere e affondò il cucchiaio nella minestra portandolo poi alla bocca.
Chiuse gli occhi mentre inghiottiva.
- Non darò mai più nulla per scontato – disse in un sospiro – Mai più.
Quell’affermazione fece sciogliere la freddezza di Vera, permettendole di lasciarsi andare al tanto atteso sollievo. Ora che poteva vedere Alexen sereno, si accorse che era soprattutto questo che aveva desiderato. Poteva quasi godere della sua stessa leggerezza.
Mentre il fratello mangiava, Edhuar affrontò la questione più spinosa.
- Cosa vuoi fare ora, Alexen?
- Per prima cosa mi recherò da nostro padre e gli chiederò di riceverti. Dobbiamo chiarire la tua posizione di fronte a tutto il palazzo, è importante che tu non venga percepito come un nemico. Nel frattempo ti daremo una stanza e dovrò chiederti di restarvi confinato fino al momento in cui non si sarà presa una decisione definitiva.
- Forse è meglio che io stia in cella per ora, non voglio metterti in difficoltà.
-  No, se lo facessi trasmetterei il messaggio che io per primo ti considero un nemico. E sarebbe un inganno.
Alexen fece chiamare una guardia, dandole indicazioni sulle disposizioni per Edhuar.
Il fratello si alzò per seguirla, ma prima di uscire si fermò davanti a Vera e si inginocchiò di fronte a lei. Rimase immobile senza dire una parola.
Dopo qualche istante, Vera ne comprese il significato: il principe le stava rivolgendo il corrispettivo maschile della riverenza muta.
La riverenza muta era tipicamente rivolta dalle donne di palazzo alla regina, quando commettevano un errore tale da non ammettere alcun tipo di giustificazione. Inchinarsi senza proferire parola, significava dichiarare apertamente il proprio errore e rimettersi al giudizio della propria signora.
La stessa cosa stava facendo Edhuar con lei.
- Alzatevi – disse, avvertendo un fastidioso disagio.
Edhuar non si mosse e non alzò il viso. Non si sarebbe alzato senza un verdetto.
- Principe – disse, in tono formale – È vostro fratello la persona che ha risentito maggiormente delle vostre azioni, se lui è disposto a perdonarvi, io non ho motivo di fare diversamente.
- Voi rispondete solo di voi stessa – obiettò Edhuar, lentamente – E del male che ho fatto a voi.
- Allora datemi tempo – si scoprì a rispondere – Non posso darvi adesso il perdono che desiderate.
- Accetto anche una condanna – ribatté lui – Forse è proprio questo che mi attendo da voi. Le koralle hanno un rispetto profondo e completo della legge.
- Non sono io quel tipo di koralla. Non in questo momento almeno. Datemi tempo Edhuar.
Con sorpresa, Vera si era resa conto che dopo aver infranto la legge per salvare Alexen, non si sentiva più nella posizione di giudicare o condannare.
Edhuar si alzò e con un cenno rispettoso del capo la salutò, per poi seguire la guardia.
Vera lo accompagnò con lo sguardo, finché non scomparve dietro alla porta.

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Capitolo 27
*** La decisione più difficile ***


 L’oscurità era scesa da un pezzo nella camera lussuosa che mi era stata assegnata, ma nessuno era venuto a chiedere di me. La domestica che aveva portato la cena su un vassoio era stata l’unica presenza viva che avevo visto in sette ore.
Tutti quanti si erano scordati di me.
Edhuar non mi aveva mandato notizie di sé e Vera non era tornata, ero rimasta abbandonata a me stessa, a macerarmi nei dubbi e nell’apprensione. Infine l’ansia era diventata acredine. A nessuno importava di come stessi? Dovevano ben sapere che ero preoccupata.
A un certo punto ero uscita dalla stanza e, vagando nei corridoi, avevo intercettato una notizia positiva: prima di cena erano tornati i koryonos con dei prigionieri ed erano stati ricevuti da Alexen. Se gli uomini di Ad’hera avevano parlato, Khail poteva essere scagionato per lo meno dalle accuse più pesanti.
Mi domandai se Edhuar ne fosse stato informato… mi domandavo come stesse, a quali conclusioni fosse arrivato Alexen, cosa intendeva fare il re… Come potevano tenermi all’oscuro di tutto, dopo avermi coinvolta in modo così totale?
Dopo due settimane a stretto contatto con Edhuar, questa separazione e questo suo silenzio risuonavano innaturali, invece di riposarmi e lasciar cadere la tensione, stavo diventando sempre più ansiosa e impaziente.
Alla fine decisi di uscire nuovamente, con la speranza di incontrare una faccia nota e scoprire qualcosa di nuovo.
I corridoi, nell’aria calda della sera, erano bui e deserti, illuminati da poche candele appese ai muri. Arco d’Occidente, al chiarore di quelle fiammelle, perdeva parte del suo fascino zuccherino acquistando tonalità più cupe.
Seguii un brusio di voci fino a un balconcino dove, seduti sulle poltroncine, chiacchieravano alcuni giovani. Scorrendo velocemente i loro volti tesi, riconobbi il ragazzo che ci aveva accolto quel pomeriggio: Katos. Quelli dovevano essere gli amici che avevano sostenuto Edhuar nella rivolta. Dalle loro espressioni confuse, intuii che non dovevano ancora fatto chiarezza su quanto era accaduto. Neanche loro erano aggiornati sugli ultimi sviluppi?
Mi avvicinai con cautela e attesi finché Katos non mi riconobbe. Allora si alzò in piedi di scatto.
- Tu eri con Khail oggi pomeriggio, sei arrivata con lui!
- Posso sedermi con voi?
Katos m’indicò una poltroncina vuota e si mise accanto a me.
- Puoi dirci cosa sta succedendo? – mi interrogò – Noi non capiamo più niente! Di punto in bianco Khail ha restituito il trono a suo fratello e si è consegnato per farsi giustiziare. Perché?
Probabilmente non erano loro le persone più indicate a darmi risposte e oggettivamente mi stavano mettendo in difficoltà. Non sapevano nulla di Shiarah e questo rendeva complicato dare loro spiegazioni.
- Ad’hera ha cercato di far uccidere Khail – dissi, misurando le parole – E ha torturato Alexen sperando che morisse in cella per togliere di mezzo ogni erede al trono. Voleva restare l’unico a governare su Katathaylon.
- Ho sempre pensato che fosse una persona infida! – ringhiò un ragazzo riccioluto alla mia destra – Avevo detto a Khail che non dovevamo fidarci di lui!
- Alexen era in cella con la sua promessa sposa, la quale si teneva in contatto con me. Quando Khail ha saputo cosa stava passando suo fratello ha iniziato ad avere dei rimorsi…
- … ed è tornato sui suoi passi – concluse per me il riccioluto – Khail ha il cuore tenero, sapevo che non sarebbe mai riuscito ad andare fino in fondo.
- Ma ora rischia la condanna a morte! – intervenne Katos – E si è assunto la responsabilità anche per noi!
- Voi sapete… se è stato deciso qualcosa?
Un giovane con capelli lunghi e un naso vistoso scosse la testa.
- Edhuar resterà chiuso nei suoi appartamenti finché il re non si sarà pronunciato. Ho visto la guardia che lo scortava. Io non credo… che ci siano molte speranze. Suo padre lo ha sempre detestato!
Calò un silenzio doloroso su tutto il gruppo. A differenza di Vera, loro non sembravano contare molto su Alexen.
- Isy… - mormorò Katos – Perché Khail è stato via tanto a lungo? Dove siete stati?
Temevo quella domanda e scattai in piedi come se mi avesse punto uno spillo.
- Io… non sono autorizzata a dirlo. Posso sapere dov’è la stanza di Edhuar?
La mia reazione brusca provocò delle occhiate strane. Sapevo che si domandavano chi fossi e che relazione avessi con Khail, ma ebbero il buonsenso di non domandare nulla. Probabilmente percepivano il pericolo e sentivano di non dover indagare.
Mi indicarono la stanza di Edhuar e mi dileguai rapidamente, ma rimasi sorpresa quando trovai davanti alla sua porta due sentinelle di guardia. Perché sorvegliare così strettamente una persona che si era consegnata di sua spontanea volontà? Raddrizzai le spalle per assumere una camminata dignitosa. Nel bellissimo abito che mi avevano consegnato mi sentivo un’altra persona, così tentai di imitare il portamento di Vera e il suo sguardo fiero.
Non servì. Le guardie mi bloccarono appena si accorsero delle mie intenzioni.
- Nessuno può vedere il principe – mi informò una delle due, con un tono così perentorio e definitivo da farmi morire il sorriso sulle labbra.
- Sono arrivata a palazzo con Edhuar, ero con lui quando si è consegnato!
- Nessuno lo può vedere – ripeté con lo stesso tono meccanico.
Sembrava totalmente disinteressato della mia presenza.
- È assurdo,  non intendo certo farlo scappare!
Mossi un passo verso la porta, ma le due guardie, con un gesto simultaneo, si pararono di fronte all’ingresso nascondendolo completamente.
- Isy, nessuno può vedere il principe.
La rabbia mi esplose in petto a tal punto, che presi in considerazione l’idea di picchiarli. Invece mi tuffai in mezzo a loro, cercando di coglierli di sorpresa e di spingerli ai lati.
Purtroppo non avevo a che fare con dei novellini. Mi bloccarono senza alcun problema, mi girarono di spalle e mi indicarono il corridoio.
- Isy, dobbiamo chiedervi di allontanarvi.
Me ne andai a passi forzati, bruciando di rabbia.
Non era possibile che mi impedissero di vedere Khail! Non proprio a me! Avevo fatto l’intero viaggio con lui, eravamo arrivati insieme, lo avevo incoraggiato a consegnarsi… non potevano farmi questo!
Con un grido strozzato diedi un pugno contro il muro e in quell’istante colsi su di me lo sguardo sbigottito di Katos.
- Dov’è la stanza di Alexen? – chiesi bruscamente, senza badare all’immagine bizzarra che stavo dando di me.
Seguii le sue indicazioni e battei furiosamente alla porta del principe. Con mia sorpresa, venne ad aprire Vera.
- Allegra..? – domandò stupita – Cosa fai in giro a quest’ora?
Avrei voluto chiederle cosa ci facesse lei nella camera del principe a quell’ora, ma mi concentrai su un’altra urgenza.
- Non mi fanno vedere Edhuar – dissi – Dov’è Alexen?
Entrai nella stanza e mi diressi alla camera da letto. Solo quando varcai la soglia mi resi conto che l’intera situazione era sconveniente e poteva diventare molto imbarazzante.
Per mia fortuna non trovai nulla di anomalo. Alexen era coricato a letto, sostenuto da un paio di cuscini, la luce pallida delle candele sottolineava la sua stanchezza.
- Isy Allegra! – esclamò sorpreso – Ci sono problemi?
- Vorrebbe vedere Edhuar – spiegò Vera, comparendo alle mie spalle – Le guardie gliel’hanno impedito.
In quel preciso istante la mia rabbia si afflosciò come un palloncino bucato. Il tono pacato di Vera e le condizioni precarie di Alexen mi riportarono bruscamente alla realtà.
Mi stavo comportando come una bambina capricciosa, in un momento che per Katathaylon e per il mondo intero stava diventando seriamente pericoloso.
E io facevo il diavolo a quattro perché, per una sera, non potevo vedere Khail.
- Vi sentite smarrita isy?
Alexen mi stava sorridendo con una dolcezza che non mi ero aspettata.
- Allegra è sempre stata un po’ impulsiva – disse Vera, in tono preoccupato – Non hai preso a pugni le guardie vero?
Alexen scoppiò a ridere, senza prenderla sul serio. Non sapeva quanto Vera mi conoscesse a fondo.
- So come vi sentite – disse – Quando si vive a stretto contatto con una persona per un po’ di tempo, diventa difficile separarsene all’improvviso. È per questo che ho chiesto a Vera di restare a farmi compagnia.
Il fatto che Alexen mi capisse, fece svanire la vergogna che provavo.
Poi lo vidi scendere dal letto e alzarsi.
- Venite con me.
Vera cercò di fermarlo, ma lui la bloccò gentilmente.
- È questione di pochi minuti.
Uscimmo in corridoio e Alexen tirò un sospiro di sollievo.
- Prima la prigione e ora il letto. Non so quando potrò tornare a sentirmi libero isy.
- Chiamatemi Allegra…datemi del tu. Tutta questa deferenza mi fa sentire ridicola!
Lui si voltò e mi rivolse un sorriso luminoso.
- È un sollievo sapere che qualcun altro condivide le mie sensazioni – disse – Fammi anche tu lo stesso favore.
Le sue parole mi colpirono quasi quanto il suo sorriso. Mi resi conto istintivamente di aver trovato uno spirito affine al mio e nel contempo compresi lo sgomento di Vera.
La spontaneità di Alexen doveva averla spiazzata, ma quella evidente necessità di una libertà dalle convenzioni doveva averla completamente sconvolta.
Quando raggiunse la porta di Edhuar però, il suo tono tornò autoritario.
- Isy Allegra può vedere mio fratello ogni volta che lo desidera, non voglio che la ostacoliate!
La mia speranza di ottenere qualche soddisfazione dalle due guardie restò inappagata. Non parvero in alcun modo intenzionate a scusarsi e mi fecero passare con l’irriducibile sguardo impassibile.
Salutai Alexen con un sorriso, prima di sparire all’interno della stanza.
Trovai Edhuar semisdraiato su un lussuoso divanetto della sala. Vedendomi entrare, si rizzò in piedi di scatto.
- Allegra..?
Il suo volto tirato mi allarmò.
- Cosa ci fai qui? - guardò la porta alle mie spalle turbato - Sei stata tu a creare tutta quella confusione poco fa?
- Non volevano farmi entrare e mi sono innervosita… - sorrisi, ma lui non ricambiò. Sembrava teso.
- Come hai fatto a entrare?
La sua freddezza stava facendo rinascere quella sensazione di imbarazzo che Alexen aveva dissipato.
- Ho chiesto ad Alexen.. – risposi debolmente.
- Hai disturbato mio fratello? – ribatté nervosamente – Che ti prende Allegra? Alexen ha bisogno di cure per riprendere le forze! Con Rah instabile, ora ha altro a cui pensare… e tu invece ti metti a fare scenate alle guardie?
Lo shock causato dalla sua reazione mi fece perdere la voce. Mi sentii così stupida e ridicola da desiderare di riavvolgere il nastro fino al momento in cui ero uscita dalla mia camera. Con orrore sentii che i miei occhi si riempivano di lacrime.
Mi voltai di scatto e tornai verso la porta.
Edhuar mi afferrò per un braccio costringendomi a girarmi verso di lui. Tenni gli occhi bassi, ma lui si accorse che stavo per piangere.
- Scusami – disse, finalmente con una voce che riconobbi come sua – Sono un vero stronzo. Ti sto trattando come ha sempre fatto mio padre con me.
Mi lasciò e si portò una mano agli occhi, con stanchezza.
- Non volevo umiliarti… perdonami.
- Cosa… ti succede?
La mia voce rotta sembrò aumentare il peso del suo senso di colpa.
- È questo posto. Arco d’Occidente non è mai stato un luogo sereno per me. Mi fa sentire inadeguato. Ridicolo.
- E quindi cerchi di far sentire ridicola anche me?
Mi pentii di quelle parole subito dopo averle pronunciate, Edhuar era così teso che un piccolo colpo in più avrebbe potuto spezzarlo.
Andò a sedersi sul divano e si nascose il viso tra le mani. Non era più la persona che conoscevo. Che strano potere aveva Arco d’Occidente, per trasformare a questo modo il ragazzo caldo e vitale che aveva condiviso con me quegli ultimi giorni?
- Non importa Khail – dissi piano – Capisco che la tua è stata una reazione dovuta al nervosismo.
- È orribile che me la sia presa con te. Sei l’unica cosa positiva in tutto questo caos.
- Khail… - protestai dolorosamente.
-  Rah è diventata instabile per colpa della mia sprovvedutezza, mio padre mi vuole morto e Alexen si scontrerà ancora una volta con lui a causa mia! I miei compagni si sentono traditi da me… e Vera mi odia!
- Vera ti odia? – dissi, costernata.
Edhuar alzò su di me occhi addolorati.
- Sì, mi odia. Sono un disastro!
All’improvviso quella scena mi parve assurda. Non poteva essere tutto così terribile no?
- Vera non odia nessuno, è solo preoccupata per Alexen!
- Lo so… si è arrabbiata parecchio.
- Si è … arrabbiata? – questa era una novità – Vuoi dire che sei riuscito a far arrabbiare Vera?
Leggendo l’incredulità nei miei occhi, abbassò la testa sconsolato.
- Vedi? Sono un disastro.
Di fronte a quella scena scoppiai a ridere. Vera arrabbiata! Avrei voluto vederla!
Mi sedetti accanto a lui e gli circondai le spalle con un braccio.
- Sei stato in gamba invece. Oggi sei riuscito a fare tutto ciò che ti eri ripromesso. Hai visto la faccia di Ad’hera? È rimasto impietrito!
- Ho visto… - sorrise debolmente.
- Hai lasciato tutti ammutoliti, hai avuto un coraggio incredibile!
- Ce l’hai avuto anche tu – mi fece notare – Ti sei compromessa per difendermi.
Arrossii. Aveva capito i miei sentimenti?
- Ti stavi consegnando senza dare alcuna spiegazione,  non era giusto.
- Alexen ha un buon cuore, ma se ci fosse stato mio padre ti avrebbe fatta fustigare.
- Tuo padre deve essere una testa di legno!
Lo vidi incupirsi.
- Lo vedrai? – gli chiesi.
- È quello che vuole Alexen, so che insisterà con lui perché accetti di incontrarmi – sospirò con il cuore pesante – Ma mio padre non cederà. E io preferisco così.
- Tuo padre è convinto che tu abbia spezzato il sigillo, ma quando Alexen gli avrà raccontato la verità ti riceverà!
Edhuar abbassò lo sguardo scuotendo la testa.
- Tu non capisci. Non puoi capire. Non importa che io sia colpevole o meno, mio padre… è sempre riuscito a umiliarmi, a farmi sentire in colpa, sbagliato, ridicolo. Adesso che ho tradito mio fratello… mi annienterà. Il solo pensiero di doverlo affrontare mi fa preferire una morte immediata!
Si portò una mano allo stomaco come se fosse preso da un crampo.
- Se tuo padre morisse questa notte, senza che tu gli avessi parlato… senza che tu avessi mai più la possibilità di farlo, saresti più sereno? – sussurrai – Davvero non c’è nulla che hai bisogno di dirgli?
Lui non rispose.
Forse c’era qualcosa che sentiva di dovergli dire, ma non per questo reputava di riuscirci.
Gli presi una mano e la strinsi.
- Se c’è anche una sola possibilità che tuo padre revochi la condanna a morte, parlagli. Non voglio che tu muoia. Non voglio pentirmi di averti chiesto di arrenderti!
Le mie parole lo scossero. Mi fece passare una mano dietro le spalle e mi strinse.
- Perdonami se non ti ho fatto più avere mie notizie, ero completamente frastornato. Sono stato egoista.
- Ho quasi fatto a botte con le guardie qui fuori – confessai-  Ma loro sono più forti di te…non si sono fatte prendere a pugni!
Il suo sguardo sbalordito si trasformò in una risata. Finalmente. Mi acquietai, sentendo che era contento di avermi con sé.
Dopotutto i miei capricci erano serviti a qualcosa.
 
 
Quando tornai da lui l’indomani mattina, lo trovai con Alexen.
Non ci voleva un sensitivo per intuire che fra loro era in corso un diverbio, la tensione era percepibile in ogni molecola della stanza.
- Cosa succede? – domandai, studiando le loro espressioni cupe.
- Mio padre ha rifiutato di ricevermi… a breve darà ordine di giustiziarmi – spiegò Edhuar, con una calma invidiabile – Ma Alexen vuole che gli parli comunque.
- È possibile?
Alexen ne sembrava convinto.
- Non c’è ancora nessun ordine ufficiale contro Edhuar, se lo accompagno alle stanze di mio padre lo faranno passare.
- È inutile, non mi ascolterà!
- Com’è possibile che non voglia riceverlo? – sbottai – Gli hai raccontato la verità?
- Gli ho spiegato ogni cosa. E ieri l’arrivo dei koryonos con gli uomini di Ad’hera ha dato conferma alla mia versione. Hanno confessato.
- E ugualmente non vuole riceverlo?
La mia incredulità divenne tristezza, quando notai lo sguardo rassegnato di Edhuar. Non si era aspettato nulla di più.
- Nostro padre non ha il coraggio di affrontarti Ed – disse Alexen a un tratto – Se può evitare di guardarti in faccia, per lui è molto più semplice condannarti! Questo incontro mette in difficoltà lui quanto te!
- Non riesco a immaginare di poter mettere in difficoltà nostro padre.
- Non essere vigliacco quanto lui! Voi due… siete identici! State facendo di tutto pur di evitare un confronto! Papà si barrica dietro a una condanna già decretata, tu dietro alla tua rassegnazione! Siete due codardi! Papà spera forse di sentire meno il rimorso se non ti guarderà negli occhi! E tu? Tu cosa speri di evitare Ed?
- Di sentirmi  una nullità.
Le sue parole caddero fra noi con pesantezza. Per un istante la stanza fu nel silenzio completo.
- E quello che mi hai detto ieri? – sussurrai, e poi citai le sue stesse parole – “Nessuna umiliazione, nessun errore può negare il mio valore di essere umano!”
- Mio padre saprà distruggere anche questo – gemette -  Distruggerà tutto quello che ho costruito!
Si coprì il volto con la mano.
 – E io non voglio. Non posso sopportarlo.
Sentii un nodo di tristezza ostruirmi la gola. Alexen ci diede le spalle per nascondere l’effetto che quelle parole avevano avuto su di lui.
- Non puoi averne la certezza - bisbigliai.
Edhuar respirò a fondo e chiuse gli occhi.
- Non riesco neppure a rischiare.
- Non.. .riesci a rischiare? C’è una condanna a morte sulla tua testa!
Il nodo in gola si trasformò in una morsa soffocante. Se Edhuar non faceva quel tentativo, era morto!
- Khail – sussurrai – Una volta hai detto che avresti preferito morire piuttosto che farmi del male.
Alzò gli occhi su di me, aspettando il resto. Sapevo che aveva capito.
- Non puoi procurarmi un dolore più grande di quello che proverei con la tua morte.
- Anche se gli parlo, mio padre non cambierà idea.
- Cosa devo fare per farti convincerti? – sbottai. Il nodo in gola si sciolse in lacrime salate. Di fronte a Edhuar mi sentivo sempre così…impotente.
Lui osservò le mie lacrime come in trance, ma quando feci per scostarmi mi trattenne.
- Ti sto facendo male – mormorò – E ne sto facendo anche ad Alexen.
Si alzò in piedi lentamente, come se una forza opposta lo rischiacciasse a terra.
- Va bene, andiamo.
Né io né Alexen fiatammo.
- Andiamo, prima che perda completamente il coraggio! – ripeté.
Lo accompagnammo fino alle stanze del re, la presenza di Alexen fece da garante, come aveva preannunciato, e nessuno ci fermò.
- Aspetterete qua fuori?
Annuimmo, senza la forza di far udire le nostre voci. La decisione improvvisa di Edhuar ci aveva lasciati senza fiato.
Edhuar esitò, con la mano sul pomello della porta. Non l’avevo visto tanto in difficoltà neppure il giorno prima.
- Devo decidermi – disse infine.
Aprì la porta e varcò la soglia, richiudendo l’uscio alle sue spalle.
Rimasi a contemplare la porta riccamente decorata.
- Quante possibilità ci sono che vostro padre ritiri la condanna? – domandai debolmente.
Alexen si appoggiò stancamente al muro.
- Se devo stare al passato, nessuna.
Avvertii una fitta acuta al petto. Perché allora spingerlo a passare attraverso un prova così dolorosa?
- Però mio padre adesso è debole e malato – proseguì Alexen – In queste condizioni sarà costretto ad ascoltare Edhuar. Non l’hai mai ascoltato in tutta la sua vita, ha sempre badato di evitare ogni confronto alla pari con lui. Mio fratello ha ragione, nostro padre ha sempre cercato di sminuirlo, annientarlo.. distruggerlo. L’ha ridotto al silenzio e all’impotenza. Ma oggi è stanco, mentre Edhuar è forte. Ha tratto sicurezza e stabilità da questo viaggio, dall’incontro con te. Se riuscirà a farsi ascoltare… non so dire cosa succederà. Possiamo solo pregare Allegra.
Appoggiai una mano sulla porta e chiusi gli occhi.
Aveva ragione Alexen, pregare era l’unico modo che avevo per sostenere Edhuar che, dietro quello stipite, avrebbe combattuto la battaglia più ardua della sua vita.

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Capitolo 28
*** Affondo ***


 Il cuore di Edhuar non aveva mai battuto così rapidamente, neppure quando anni prima, aveva creduto di morire soffocato.
Per un lungo istante ponderò seriamente l’ipotesi di tornare sui suoi passi.  Adagiato stancamente sui cuscini, il padre non si era ancora accorto di lui.
Ma proprio nel momento in cui stava per ritirarsi, il re si voltò e i suoi occhi azzurri lo perforarono acutamente. Quasi immediatamente distolse lo sguardo e tornò a fissare il vuoto di fronte a sé, con indifferenza, come se Edhuar non fosse presente.
Lui esitò per diversi istanti, l’istinto continuava a consigliargli di ritirarsi in silenzio, di morire con un minimo di dignità. Lo fermò il pensiero di Allegra, che lo aspettava fuori con gli occhi che imploravano una speranza.
Abbassò le palpebre ascoltando il proprio cuore impazzito, poi prese un lungo respiro e si avvicinò al letto. Piegò il ginocchio sinistro e rimase chinato in silenzio.
Per molto tempo il re non disse nulla. Edhuar rimase immobile, pregando che il padre gli rivolgesse la parola. L’avrebbe lasciato lì per ore, senza dare segno di accorgersi di lui?
Passarono un paio di lunghissimi minuti. Infine il sovrano parlò.
- Osi farti vedere da me? Avevo dichiarato espressamente che non intendevo riceverti.
Edhuar strinse la mascella in silenzio.
- Cosa sei venuto a fare?
- Perdonatemi se mi sono imposto.
- Imposto è il termine esatto. Ho già spiegato ad Alexen che non revocherò la tua condanna, è inutile che tu venga a parlarmi.
- Non sono venuto per questo, non preoccupatevi. Non pretendo che violiate la legge per me, né che lo faccia mio fratello.  Per quanto Alexen vi si opponga, accetto la pena di morte come conseguenza delle mie azioni. Ho agito conoscendo la legge e sapevo cosa mi sarebbe accaduto una volta che mi fossi consegnato. Non mi sottrarrò a ciò che mi spetta.
Pensò fugacemente ad Allegra, che ancora sperava. Eppure le aveva ribadito molte volte la sua posizione.
Il re non l’aveva ancora guardato in faccia.
- Alexen mi ha raccontato cosa è successo – disse freddamente – Ad’hera voleva il potere e ti ha manipolato per i suoi scopi. Hai preso il posto di tuo fratello con l’inganno e la violenza. Un re che sale al trono in questo modo, che tipo di giustizia può vantare davanti a Katathaylon?
Edhuar chinò il capo.
- Rispondi Edhuar! Che tipo di giustizia?
Edhuar stava tremando. La sua resa del giorno prima nella sala dei ricevimenti, era nulla rispetto all’umiliazione che provava in quel momento. Le parole del padre non erano semplici suoni disarticolati che riempivano l’aria… no. Erano la realtà.  Suo padre aveva sempre ragione e bastava che parlasse con lui pochi istanti per tornare a rendersene conto.
- Nessuna giustizia – rispose in un soffio.
- Ti era stato affidato il Braccialetto del Re come atto di fiducia, perché vegliassi sull’operato di tuo fratello. Ero contrario a darti una simile responsabilità, ma Alexen ha insistito. Eppure tu sei riuscito a rivoltare quella stessa fiducia contro di lui e tuo fratello ne è quasi rimasto ucciso! Hai visto com’è ridotto? Hai visto come l’ha trattato l’uomo di cui ti sei fidato? Come posso pensare che tu abbia onore, lealtà e capacità di giudizio?
Edhuar si portò una mano alla gola, l’aria iniziava a farsi rarefatta. Sarebbe vergognosamente stramazzato al suolo davanti al padre?
Chiuse gli occhi, cercando di non lasciarsi prendere dal panico.
Posso farcela. Posso ammettere i miei errori persino davanti a mio padre.
- Avete ragione – disse e la sua voce uscì più ferma di quanto si fosse aspettato – Mi rendo conto di quello che ho fatto. Per questo non mi oppongo alla pena di morte.
- La pena di morte… - ripeté il re meditabondo – Già – di punto in bianco i suoi occhi azzurri furono su di lui – Alexen mi ha detto che la tua rivolta era un tentativo di suicidio. È vero?
Edhuar sussultò. Perché il fratello gliene aveva parlato? Non intendeva discuterne con il padre.
- Voglio una risposta Edhuar!
Lui alzò gli occhi lentamente.
- Anch’io voglio una risposta – si sentì dire – Se Alexen invece di lasciarsi imprigionare mi avesse fatto uccidere, non ne sareste rimasto soddisfatto?
Il re fu sorpreso di sentire quelle parole, quanto Edhuar di averle pronunciate.
- Cosa stai insinuando? – scattò – Sei uno sfacciato come tuo fratello! Se un principe reale si rivolta contro la propria famiglia, è lecito approvare la sua esecuzione!
- Voi l’avreste approvata in ogni caso.
Il re tacque, osservando con attenzione quel figlio che per la prima volta osava tenergli testa.
- Cosa vuoi dirmi Edhuar? Che hai cercato il suicidio per farmi un favore?
- Chissà – ribatté lui amaramente – Forse per la prima volta in tutta la mia vita, avrei avuto la vostra approvazione. Invece morirò da traditore, senza aver mai sperimentato questa soddisfazione!
Edhuar stava perdendo ogni inibizione, se ne rendeva conto. Una volta iniziato, diventava tutto più semplice.
- Sento dell’accusa nella tua voce – disse il re, irato.
- Sentite bene.
- Non parlare per enigmi! – L’accesso di rabbia gli procurò una fitta al cuore, il re si piegò in due, aspettando che il dolore calasse.
Edhuar lo osservò in un silenzio sbigottito. Poi si alzò a sistemargli i cuscini.
- Perdonatemi – mormorò – Non devo farvi agitare.
- Agitare? – disse a mezza voce, con rabbia – Non te ne andrai da qui prima di aver finito ciò che hai iniziato!
Edhuar non si era ancora ripreso dalla fitta che aveva colpito il padre. Non l’aveva mai visto ammalato, il re non aveva mai voluto riceverlo da quando si trovava in quello stato. Suo padre era sempre stato forte, in salute, un uomo energico, sicuro, al comando. La fitta al cuore aveva affinato in Edhuar la consapevolezza della sua precarietà.
La sua rabbia si placò all’improvviso. Non poteva infierire contro un uomo a terra.
E poi, subito dopo, quel pensiero lo stupì. Questo era sua padre, in effetti : un uomo. Non un dio, né un giudice assoluto. E proprio per questo, poteva continuare a vivere senza la sua approvazione.
- Non sono venuto ad accusarvi – disse in un soffio. Tornò a inginocchiarsi perché il padre non gli aveva mai detto di alzarsi.
- Se non sei qui per accusarmi né per cercare di salvarti la vita, perché sei venuto? – chiese il re con scherno.
- Per dirvi che penso di avervi finalmente capito.
- Capito? – il re era sbalordito.
- So che è per il bene di Katathaylon che avete scelto un solo erede… e sarebbe stato sufficiente dirmelo. Sarebbe bastato spiegarmelo, senza dovermi allontanare, senza la necessità di farmi sentire… un mostro. Avrei capito. L’avrei accettato.
- Che cosa stai insinuando? Cosa…
- Ho sempre vissuto come un emarginato – lo interruppe – E credevo veramente di non meritare la famiglia in cui ero nato. Voi me lo avete fatto credere. Ho trascorso la mia infanzia cercando di farmi notare da voi, di guadagnare la vostra approvazione… senza immaginare che mi era preclusa senza possibilità di appello. Non me l’avreste mai concessa, vi faceva paura il solo pensiero.
- Non intendo ascoltare oltre queste sciocchezze!
Nonostante l’ordine secco, il re stava sudando.
- Ho odiato me stesso per anni – proseguì Edhuar. Al punto in cui era, stava uscendo ogni cosa, anche quello di cui, in principio, aveva deciso di non parlare – Mi odiavo perché mi sentivo così sbagliato da non meritare neppure una mia propria dignità – alzò gli occhi verso il padre – Ma adesso non è più così.
- Adesso avresti dignità? Dopo quello che hai combinato?
Edhuar non raccolse la provocazione. Con stupore si accorse che le affermazioni del padre non avevano più quel potere misterioso. Non lo ferivano, non lo annientavano.
- Una persona mi ha aperto gli occhi. Una persona che mi detestava e che nonostante questo ha rischiato la vita per me. La stessa persona che ha insinuato il dubbio che voi aveste scelto l’erede con casualità. E quando ho capito che aveva ragione… ho provato verso di voi una rabbia cieca. Vi ho odiato profondamente.
Sotto il suo sguardo, il re parve quasi arretrare.
- Poi però ho provato a mettermi nei vostri panni – proseguì, senza distogliere gli occhi dai suoi – E sapete… è colpa mia se Rah è instabile. Al momento decisivo ho sacrificato il mondo per salvare la persona che amavo, commettendo un terribile errore. Un errore che voi non avete fatto.
 Vedendo che il padre lo ascoltava costernato, proseguì.
- A differenza di me, che ho pensato solo alla persona che amavo, voi avete immolato voi stesso per il vostro mondo – lo guardò con comprensione – Non deve essere stato semplice sacrificare vostro figlio.
Il re era ormai completamente ammutolito, il suo volto era diventato pietra immobile.
- Avete fatto la scelta più dolorosa, ma che ritenevate giusta...la scelta che io non ho avuto il coraggio di fare. Per questo vi ammiro. E per questo non vi porto rancore, padre.
- Cosa stai cercando di dirmi Edhuar? – mormorò il sovrano, scettico – Che ho il tuo perdono?
- Sì. Sono sicuro che nella situazione in cui vi trovavate, avete fatto la scelta migliore.
Il re tacque. Lo studiò a lungo in silenzio.
Edhuar trattenne il respiro attendendo, aspettandosi quasi un altro sputo in faccia, come aveva fatto Allegra solo alcuni giorni prima. Ma il re di Katathaylon non si sarebbe mai comportato in modo tanto grossolano, e infatti continuò a tacere per un tempo infinito. Il suo sguardo si fece distante.
Infine dichiarò bruscamente – Alexen mi ha detto che hai protetto Shia a costo del tuo sangue.
Di fronte a quell’affermazione improvvisa, Edhuar non seppe replicare.
- Alzati Edhuar, togliti la camicia.
Quell’ordine lo face trasalire. Obbedì lentamente, senza comprendere. Appoggiò la camicia sulla sedia accanto al letto, aspettando.
- Voltati.
Si girò, dando la schiena al padre. Capì che stava osservando i segni delle frustate.
Sotto quello sguardo inquisitorio sentì salire nuovamente la paura, ma impose a se stesso di non lasciarsi intimidire.
- Sono segni meno numerosi – mormorò il padre, quasi fra sé – Ma sono come quelli di Alexen.
Edhuar si girò a guardarlo, disorientato. Il padre lo stava valutando pensieroso.
- Smagrito, ferito, provato – commentò a bassa voce – È la prova che nelle tue vene scorre sangue reale.
Quelle parole lo fecero sussultare. Rimase immobile.
Il padre accennò alla sedia al suo fianco.
- Siediti, Edhuar.
Lui rinfilò la camicia e obbedì. L’atteggiamento del padre, diventato improvvisamente incoerente, gli impediva di farsi un’idea di cosa stesse per succedere.
Il re ancora una volta tacque a lungo, come se dovesse raccogliere le idee . Infine disse stancamente – Cosa devo fare con te, Edhuar?
Seguì una lunga pausa.
Vista l’esitazione del padre, intervenne lui.
- Padre, voi siete il re, il vostro dovere è far rispettare la legge.
Il re sorrise con ironia.
- Credi che tuo fratello mi permetterà di farti giustiziare?
- Il comando spetta ancora a voi. Non lascerò che Alexen infranga la legge per me, mi ha difeso troppo a lungo, non voglio più metterlo contro di voi.
Il sovrano scosse la testa ed emise un rapido sospiro.
- Aveva ragione tuo fratello, sei tu il figlio obbediente.
- Cosa intendete dire?
Il sovrano non rispose. Il suo sguardo si era fatto improvvisamente distante e si spostò distrattamente sulle tende che oscillavano alla finestra.
Quando parlò, la sua voce si era fatta pacata.
- So di non aver mai avuto un gesto affettuoso per te – disse – Hai ragione Edhuar, l’idea di approvarti mi ha sempre fatto terrore.
Edhuar sussultò.
- Padre…
- È così. Se tu fossi stato uno sciocco, probabilmente nel tempo ti avrei riaccolto a palazzo. Ma non lo sei, né lo sei mai stato. Nessuno avrebbe potuto negare la tua intelligenza, il tuo buon senso, il tuo cuore generoso.
S’interruppe un istante, quasi a prendere coraggio.
- Pensavo che sarei morto senza mai confessare questa verità – mormorò - E che ormai non mi restasse che toccare il fondo, arrivando a uccidere mio figlio – lo guardò con occhi velati di tristezza – Ma oggi mi hai parlato con un’onestà tale, da meritarne altrettanta da parte mia.
Edhuar attese in silenzio, senza sapere cosa attendersi.
- Non ho mai pensato che tu non fossi degno della nostra famiglia – proseguì – Né che non fossi degno del trono. Tutt’altro. Ho sempre temuto invece di aver fatto la scelta sbagliata.
- Padre, che dite?
Edhuar non riuscì a soffocare il suo turbamento.
- È così – confermò lui con un sorriso amaro – Man mano che crescevi non trovavo in te nulla di immeritevole, malgrado non ti fosse stata data un’istruzione reale non eri mai da meno di tuo fratello. Ma al contrario di Alexen, in te coglievo anche una naturale predisposizione all’obbedienza, una docilità che non trovavo in tuo fratello. Sono stato io a fomentare la ribellione di Alexen, trattandoti ingiustamente. Sapevo che tuo fratello era roso dal senso di colpa e che questo lo rendeva insofferente a quelle leggi che reputava responsabili della tua emarginazione. Al contrario, proprio quella tua fame di approvazione rendeva te estremamente sensibile ai miei ordini e, di riflesso, alle leggi di Katathaylon. Ai miei occhi eri tu, quello pronto per il trono.
Edhuar scattò in piedi all’improvviso.
- Non ditelo, voi non lo pensate! È Alexen il sovrano che avete scelto!
- Siediti Edhuar, non ti agitare. Non ho nulla da ridire su tuo fratello, si è comportato in modo impeccabile e so che sarà un ottimo sovrano, anche se in passato mi ha fatto preoccupare. E io negli anni sono stato più volte assalito dal terrore di aver sbagliato, ero già tormentato dalla consapevolezza di averti fatto torto allontanandoti… non potevo tollerare anche il pensiero di aver scelto male. Così ti sminuivo, cercavo di renderti insignificante ai miei occhi, stupido e incapace, per giustificare la mia scelta, per convincermi di aver agito bene. Ho iniziato a sperare che tu scomparissi, perché ogni volta mi ricordavi ciò che avevo fatto… e che poteva essere stato un inutile errore. Sono stato inflessibile e crudele con te, da quando sei nato fino a oggi.
- Per proteggere Katathaylon – mormorò Edhuar.
- Per proteggere me stesso dall’orrore che avevo commesso.
Edhuar non replicò. I pensieri gli danzavano in testa come note confuse, informazioni troppo discordanti per poter essere assimilate.
- Sentirti dire che mi capivi mi ha sorpreso – disse il re – E il tuo perdono è qualcosa che ho sempre ritenuto inconcepibile.
- È stato Alexen a incoraggiarmi.
- Alexen ha una sensibilità accentuata che non cessa mai di stupirmi. Edhuar… la verità è che entrambi siete degni di questo trono e in questo momento decido che sarete voi a stabilire il successore. Ora so che siete entrambi persone rette, non farete a pezzi un regno per i vostri interessi.
- Voi… state dimenticando la mia posizione!
- Non la dimentico. Ad attentare alla vita di Alexen è stato Ad’hera, la tua rivolta Edhuar è stata di poco conto e sei tornato da solo sui tuoi passi. Alexen ha bisogno di te adesso per ripristinare Shiarah.
- Ma… padre… avete detto solo poco fa che ho dimostrato di non avere giudizio!
Lui socchiuse gli occhi.
- Ammetto di non apprezzare la scelta che hai fatto del tuo kalashà. D’altronde io stesso in passato mi sono fidato di Ad’hera, Alexen fra noi tutti è quello che ha avuto maggior intuito, non ha mai sopportato quell’uomo. Tuttavia Edhuar, come tu hai perdonato il mio errore, io posso cercare di dimenticare il tuo. Il re di Katathaylon non è infallibile, ma impara dal passato.
L’espressione di Edhuar era talmente sbalordita, che il re scoppiò a ridere e in quel momento la somiglianza con Alexen fu totale. E anche con lui stesso, probabilmente.
- Capisco che il mio voltafaccia ti sorprenda, Edhuar – disse – Ma sono sincero, completamente, forse per la prima volta da anni – il suo volto si oscurò nuovamente – Bada bene però, che non sono certo di aver sbagliato tutto con te. La persona che sei adesso è il risultato della storia che hai vissuto. Se fossi cresciuto a palazzo, forse sarebbe prevalsa l’invidia, forse oggi saresti un uomo diverso. Nonostante tutto, non mi pento della scelta che ho fatto.
Alzò una mano e gli sfiorò la fronte, in un accenno di carezza.
- Vai da tuo fratello adesso, digli di mandarmi Sasamanka. Lo aggiornerò sulla tua posizione.
Edhuar si alzò con gambe tremanti e per poco non cadde in ginocchio. Fissò stordito la mano che lo aveva accarezzato e poi gli occhi del padre, ora privi di quel disprezzo che aveva sempre creduto di leggervi.
- Non mi volete morto? – riuscì a dire, perché doveva proprio accertarsene per poterci credere.
- Ti voglio vivo e sereno – sbuffò il padre e con un gesto della mano gli indicò di andarsene – Forza, sono stanco adesso.
Edhuar chinò il capo con rispetto e si costrinse a dare le spalle al padre. Mentre si dirigeva alla porta i suoi piedi non toccarono terra, fluttuò senza peso attraverso la stanza fino all’ingresso principale. Ad ogni metro il suo animo si faceva più leggero, quasi effervescente Con le zavorre finalmente abbandonate a terra, avrebbe potuto proiettarsi fin nello spazio.
Improvvisamente ebbe voglia di ridere.
Alexen era ancora nel corridoio, ma pur leggendo la sua ansia, Edhuar non riuscì a parlare. Traboccava di emozioni che gli ostruivano la gola senza trovare spazio per uscire.
- Edhuar… allora?
Lui scosse la testa, senza fiato.
- Non… non mi condanna.
- Non ti condanna?
L’incredulità di Alexen  era la stessa che ancora lui provava.
- Cosa ti ha detto?
Edhuar cedette alla debolezza delle sue gambe e si lasciò scivolare a terra, contro il muro.
- Mi perdona – sussurrò – Non mi ha mai considerato una nullità. Mi ha… fatto una carezza.  
- Ti ha fatto una carezza… - se quelle parole sarebbero sembrate enigmatiche a qualunque estraneo, Alexen invece comprese immediatamente. Si chinò sulle ginocchia e scoppiò in lacrime.
Edhuar lo fissò trasognato.
- Alex… cos’hai?
Lui continuò a scuotere la testa con la mano sul viso, senza smettere di singhiozzare. Lo fece preoccupare. Si trascinò vicino a lui appoggiandogli una mano sulla spalla.
- Cosa ti prende? – sussurrò.
- Sono così… sollevato.
- E allora piangi?
- Sì… piango.
Edhuar scoppiò a ridere.
- Ti prego Alex, basta!
Però la reazione del fratello lo commosse. Sentiva che anche Alexen, come lui,  aveva vissuto con un fardello insopportabile sulle spalle che aveva condizionato la sua intera esistenza.
Quel giorno, entrambi se n’erano liberati.
 
 

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Capitolo 29
*** Gioia ***


 Rendendomi conto che l’attesa dietro la porta degli appartamenti del re mi avrebbe schiacciata, avevo deciso di attendere il verdetto finale nel piccolo giardinetto meridionale del palazzo. Purtroppo cambiare luogo non aveva sortito l’effetto sperato, non aveva trasformato il mio stato d’animo, né aveva placato l’angoscia che mi stava riducendo in pezzi. Mi ero imposta di fermare sul nascere qualsiasi tipo di previsione catastrofica a cui, per struttura di pensiero, ero particolarmente incline, ma Edhuar ci stava impiegando troppo tempo e ormai non potevo più tenere a freno il mio pessimismo.
Questo fu il motivo per cui, appena lo vidi comparire, scattai in piedi come lanciata da una molla. Ero così agitata che impiegai più tempo del dovuto a decifrare la sua espressione, ma non potevo restare  nel dubbio a lungo, perché il sorriso di Edhuar teneva l’intero giardino.
Mi venne incontro un po’ correndo e un po’ zoppicando, mi afferrò per la vita e mi sollevò sopra la sua testa, ridendo. Mi fece roteare continuando ancora a ridere, come se non potessi fermarsi, ma la gamba gli cedette e cadde all’indietro. Finii sdraiata sopra di lui, che mi guardò con gioia spudorata e scoppiò di nuovo in una fragorosa risata. Sentivo il suo corpo sotto di me, vibrare interamente di felicità.
- Khail… - mormorai, soffocata dal suo abbraccio – Cos’ha detto tuo padre?
- È incredibile..! È incredibile Allegra! – continuava a ridere, come se dentro di lui fosse rimasta solo gioia – Sono salvo!
- Questo l’avevo capito! – lo rimbeccai, ma la sua euforia era così contagiosa che scoppiai a ridere anch’io. Sembravamo due stupidi, sdraiati a quel modo sull’erba e ridotti senza fiato.
- Voglio sapere com’è andata esattamente – precisai, quando riuscii a prendere una boccata d’ossigeno.
- Non ora, tra un po’… Ora non ci riesco, non riesco nemmeno a pensare! – mi strinse in un abbraccio stritolante – Sono felice, mi sento leggero come un palloncino. Non mi sono mai sentito così. Sono felice, felice!
Rideva come un bambino e io non riuscivo a frenare il contagio della sua gioia. Qualunque cosa fosse accaduta in quella stanza, aveva reso Edhuar una persona diversa. Libera, serena.
All’improvviso si scostò di lato, ribaltandomi sotto di lui. Sentii il suo respiro sul mio viso.
- Sono così contento, che in questo momento sento di poter affrontare qualsiasi cosa - sussurrò – Dimmelo adesso Allegra, lo voglio sapere: cosa provi per me?
- A…desso?
- Adesso. Ora è il momento giusto.
Chiusi gli occhi e il rimbombo del mio cuore venne amplificato dalla momentanea assenza della vista.
- Allegra…
Che senso aveva continuare a eludere il discorso?
Riaprii gli occhi.
- Non è palese quello che provo?
Lui si attorcigliò al dito una ciocca dei miei capelli.
- Potrebbe essere palese. Eppure continui a evitare l’argomento.
- Perché è inutile parlarne Khail. Tu resti qui, mentre io tornerò nel mio mondo. Che senso ha incoraggiare dei sentimenti senza futuro?
Lui si scostò e mi fece sedere di fronte a lui. Il suo sorriso non si era spento, in quel momento i suoi occhi erano di un azzurro trasparente, simile a quello di Alexen.
- Io ho un futuro adesso – sussurrò – Aiutami a risolvere il problema di Shiarah, ora è predominante. E dopo ci occuperemo di noi due.
Cosa intendeva per occuparci di noi? Voleva chiedermi di restare? Voleva venire via con me? Entrambe le soluzioni mi sembravano una pazzia!
Mi accarezzò il viso, giocherellò con i miei capelli. Sembrava impossibile che fra noi non restassero più rancori, dubbi, sofferenza. Quando si chinò per baciarmi, sorrisi.
- Cos’è che ti fa ridere? – mi chiese, confuso.
- Ci siamo già baciati tre volte e in tutti i casi era una situazione d’emergenza. Pensavo solo che è strano baciarti semplicemente perché ho voglia di farlo.
Lui scosse la testa divertito e poi mi sospinse a terra, cancellando la mia propensione ad ulteriori riflessioni.
 

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Capitolo 30
*** L'anima di Vera ***


  
Vera si trovava già da mezzora nell’orto degli aromi, raccogliendo le erbe mediche che il dottore le aveva indicato la sera precedente. Dalla visita, Alexen era risultato perfettamente sano, le ferite stavano guarendo velocemente e non si erano verificate complicazioni di sorta. Quando Vera aveva accennato alla tosse violenta che aveva perseguitato il principe, il dottore gli aveva ascoltato attentamente polmoni e bronchi, senza trovare nulla di anomalo. Il potere che aveva sprigionato bruciandosi, aveva realmente guarito Alexen, eppure ancora adesso faceva fatica a crederci.
Contro la denutrizione invece, non c’era altro rimedio se non che Alexen mangiasse in modo adeguato e assumesse alcune tisane ricostituenti che Vera gli avrebbe preparato, non appena raccolte le erbe.
Quando vide Alexen raggiungerla in giardino, appoggiò il cestino a terra e chinò rispettosamente il capo in segno di saluto. Vederlo finalmente ripulito e rivestito di abiti consoni al suo rango le provocava al contempo scariche di soddisfazione e di inquietudine, quasi che l’immagine sontuosa di quel principe combaciasse solo per due terzi con quella che si era costruita di lui in cella.
Alexen le venne incontro con un sorriso luminoso che le rammentò gli accadimenti delle ultime ore.
- Vostro fratello? - domandò, intuendo l’incredibile esito dell’incontro con il re.
- È stato perdonato.
Il sollievo del suo animo traspariva dalla voce quanto dagli occhi, rendendolo raggiante di felicità.
- Mi fa piacere vedervi così sereno, so quanto affetto provate per il principe Edhuar.
Nel parlare chinò gli occhi, piegandosi in una leggera riverenza. Alexen rise e le prese la mano per farla alzare. Le strinse con delicatezza le dita e improvvisamente un senso di benessere le attraversò l’animo. Fu come se una brezza fresca le avesse avvolto il cuore, spogliandolo di tutte le brutture e di tutta la pesantezza di quel periodo. Si sentì leggera come una foglia nel vento.
Quando Alexen le lasciò la mano, la sensazione scomparve com’era arrivata. Vera batté le palpebre confusa.
- Ti è piaciuto? – sorrise lui.
- È stato…gradevole maestà.
Alexen , senza il Braccialetto, aveva riottenuto i suoi poteri e questo la confondeva. Solo fino al giorno prima era stata lei l’unica a poter manipolare le sensazioni.
- Vieni, siediti.
Alexen sedette all’ombra di un albero, facendole cenno di raggiungerlo e lei si accomodò al suo fianco, aspettando.
Il principe le prese nuovamente la mano, accarezzandole pensosamente il palmo con il pollice.
- Chiudi gli occhi.
Vera obbedì e immediatamente si trovò catapultata fuori dal giardino. Con stupore, di fronte a lei vide aprirsi il mare, così come lo aveva sempre conosciuto prima di tornare a Katathaylon. Si trovava sullo scoglio dove era solita incontrarsi con Allegra, mentre le onde spumeggiavano sotto di lei, alte e irruenti. Riusciva ad avvertirne il profumo salino dilagante, mentre le goccioline vaporose le inumidivano il viso. Alexen stava attingendo dai suoi ricordi?
L’immagine era così vivida che, senza la consapevolezza di quanto le stava accadendo, non avrebbe mai intuito di trovarsi altrove.
Godette di quel momento intensamente. Era cresciuta a pochi metri dal mare, quante volte si era chiesta come avrebbe resistito a Katathaylon?
Quando l’immagine scomparve, provò un bruciante senso di rammarico.
- È durato troppo poco? – le chiese Alexen, vedendo la sua espressione.
- So che è stancante per voi. Ma vi ringrazio, è stato bello.
- Non è stancante, Vera. Lo farò ogni volta che ne avrai desiderio.
Quella delicatezza le provocò una fitta di commozione che si sforzò di ignorare.
- Siete gentile.
- Gentile? – il volto di Alexen rivelava scontentezza -  Vorrei poterti ripagare di tutto ciò che hai fatto, ma le mie non sono che piccolezze!
- Maestà, non dovete pensare a questo, piuttosto dovete rimettervi in forze il prima possibile. Sto raccogliendo le erbe per la tisana che vi ha raccomandato il dottore, ma voi dovete nutrirvi adeguatamente. State mangiando abbastanza?
- Non ho mai mangiato così tanto in vita mia! Non preoccuparti, in pochi giorni recupererò il mio peso.
S’interruppe, osservandola assorto. Quell’esame non le piacque, sapeva che Alexen stava covando qualcosa che l’avrebbe lasciata spiazzata.
- Vera, cosa ti prende? – la interrogò infatti.
- Di cosa state parlando?
- Stai allungando la distanza fra noi in modo insopportabile…Mi fai la riverenza, sei tornata a darmi del voi… mi chiami maestà. Dopo ciò che abbiamo condiviso, questa tua freddezza è inaccettabile!
- Il modo in cui… mi sono comportata in prigione era parte di una condizione eccezionale – disse lei, senza guardarlo negli occhi – Ora che le cose sono tornate alla normalità, non posso negarvi il rispetto dovuto al vostro titolo, siete l’erede al trono di questo regno.
Sapeva in anticipo che non lo avrebbe convinto e infatti lui le restituì uno sguardo contrariato.
- Puoi rispettarmi anche chiamandomi per nome. Perché all’improvviso il mio titolo dovrebbe allontanarci? Sono lo stesso Alexen che ha condiviso la prigione con te, sono sempre io! Mi hai visto soffrire, mi hai visto in fin di vita… ti sei tolta il pane di bocca per darlo a me!
- Principe, quello era…
- Quello ero io! – esplose lui – E lo sono anche adesso, nonostante tu cerchi di frapporre fra noi una sfilza di inutili formalità. Ma per me non è cambiato nulla Vera! Io…ti ho messo a parte delle mie paure, dei miei pensieri, e tu mi hai tenuto compagnia nella notti in cui il dolore e la fame mi tenevano sveglio…ti ho visto nuda, accidenti!
Vera abbassò gli occhi sotto quel colpo da maestro.
- Guarda!
Il comando di Alexen le fece nuovamente alzare lo sguardo e con stupore vide che si stava sbottonando la camicia.
- Vedi questi segni? – disse, aprendo la stoffa sulle ferite ancora recenti – Te li ricordi? Sono le ferite che tu stessa hai medicato! Riesci a riconoscermi in questo modo? Sono il tuo miserabile compagno di cella, non una fottuta venerabile maestà!
Le prese una mano e l’appoggiò sul petto, sopra una cicatrice rossastra.
- Queste sono le ferite che mi avrebbero ucciso, se tu non mi avessi dato la tua energia.
La tirò verso di sé e l’abbracciò. Vera rimase immobile, rigida come un’asse di legno mentre Alexen la teneva stretta.
- Che cosa provi? – sussurrò.
Vera chiuse gli occhi. Perché le faceva questo?
- Disagio – disse infine.
Lo sentì sorridere.
- Lo so. E non ti lascerò andare, se non mi prometti di chiamarmi per nome.
- Non posso farlo fino al matrimonio, l’etichetta non lo consente.
- Nessuno ci farà caso.
- Perché volete che infranga il codice? Che importanza può avere il modo in cui vi chiamo?
- Ha importanza – mormorò lui – Perché tu utilizzi l’etichetta per interporre un muro fra di noi. Invece io ti voglio vicina Vera, come la notte in cui ti ho scaldata. Se non mi lasci avvicinare, come potrò aiutarti quando ne avrai bisogno? Non riuscirò mai a ripagarti per ciò che hai fatto e invece è ciò che più desidero! Io non dimentico ciò che sei stata per me in prigione.
Alexen stava forzando il bastione, mettendola alle strette. Vera provò a divincolarsi, ma le braccia del principe erano una morsa ferrea. Diceva sul serio? Non intendeva lasciarla?
Lo sentiva vicino proprio come quella notte in cui si era risvegliata senza forze. Si sentiva impotente come allora. Aveva cercato con tutta se stessa di cancellare quelle sensazioni e quando finalmente Alexen era tornato in libertà, aveva creduto di poter dimenticare quel contatto nato fra loro, quell’intimità che l’aveva fatta parlare più del necessario. E invece Alexen aveva interpretato quel momento di vicinanza come un punto di partenza per un rapporto più intimo. Ma lei sarebbe stata in grado di reggerlo?
- Vera, hai riflettuto?
- Lasciatemi – sussurrò – Vi chiamerò per nome quando sarà il momento.
- E mi darai del tu?
- Questo non è previsto.
- Smettila di fare la sostenuta – sorrise – Non sei più una koralla esemplare. Mi hai già chiamato per nome, mi hai già dato del tu, ti sei bruciata per salvarmi… e non hai creduto al tuo promesso sposo quanto  ti ha detto che Edhuar non era un traditore!
Alexen stava intenzionalmente rigirando il coltello nella piaga. Vera sentiva il bisogno dell’immagine di koralla impeccabile che si era costruita nel tempo, ma lui faceva di tutto per riempirla di crepe irreversibili.
La strinse più forte e lei sentì battere il suo cuore.
- Avanti Vera, non ti sto lasciando scelta.
- Va bene, lo farò – concesse con un sospiro – Lasciatemi andare.
- Chiedimelo nel modo giusto.
Come sarebbe riuscita a vivere un’intera esistenza accanto ad Alexen? L’avrebbe fatta impazzire!
- Alexen, lasciami per favore.
Avvertì il suo sorriso, ma la stretta attorno al suo corpo non diminuì.
- Voglio da te anche un’altra promessa.
Vera s’irrigidì.
- Vorrei che ogni tanto mi mettessi a parte dei tuoi pensieri… dei tuoi sentimenti.
- I miei sentimenti sono area privata.
- Non voglio essere invadente – le mormorò, vicinissimo al suo volto – Ma vorrei che tu riuscissi a fidarti di me. Tu mi hai visto debole Vera… anche tu puoi mostrarmi le tue debolezze e dove posso ti aiuterò.
- Non ne ho bisogno.
Appena pronunciate quelle parole però, percepì una nuova energia, forte, intensissima.
Proveniva da Alexen e veniva… verso di lei.
No! – urlò nella sua testa, terrorizzata.
Cercò di divincolarsi, ma la stretta del principe era salda. Provò a opporsi con il suo potere, ma quello di lui era molto più forte.
Allora rimase immobile, pietrificata dall’orrore, assistendo al truce spettacolo di Alexen che abbatteva a una a una le sue barriere, cercando il suo cuore. Non poteva fermarlo in alcun modo, stava penetrando a fondo nel suo animo scavando una galleria là, dove nessuno era mai entrato.
- Alexen, ti prego, no! – gemette.
Invece anche l’ultima barriera cadde e lui trovò la sua solitudine. Lo sentì chiaramente mentre diventava parte delle sue stesse emozioni. Vera chiuse gli occhi mentre Alexen leggeva la sua vita dall’inizio, come un vecchio romanzo in una versione del tutto inedita.
 
 
Vera era sempre stata sola, come una bambola preziosa in un negozio d’antiquariato. Le persone la osservavano con cautela, la sfioravano a malapena nel timore di procurarle qualche danno. La lasciavano sulla mensola più alta, di modo che fosse visibile a tutti, ma da lontano. E lei, elevata al di sopra della gente comune, osservava ogni cosa come uno spettatore esterno. Sempre da lontano.
C’era una teca invisibile che la separava dal mondo e Vera la assecondava, viveva tenendosi le mani premute sugli occhi e sulle orecchie, per non vedere, non sentire.
Perché quello non era il suo mondo.
Un giorno l’avrebbe lasciato e così, per non sbagliare, aveva deciso di fare piazza pulita intorno a sé fin dal principio.
Non si era mai concessa di avvicinarsi a nessuno e nessuno aveva osato fare un passo verso di lei, perché il muro che aveva eretto, sebbene invisibile agli occhi umani, era un confine invalicabile.
La solitudine le aveva pesato sul cuore come una cappa ricolma di fumo, mentre osservava scorrere, dall’alto della sua posizione, quella vita a cui non avrebbe mai potuto partecipare. Ma lei non era fatta per quell’esistenza, viveva sul filo precario di un equilibrio fra due mondi, nessuno dei quali le apparteneva. Non era suo quello in cui viveva, perché era destinata a Katathaylon, ma non era sua Katathaylon, perché non l’aveva mai vista con i suoi occhi.
Aveva vissuto la sua infanzia come se avesse avuto una valigia sempre in mano, pronta alla partenza in ogni istante questa fosse stata necessaria, e con questa consapevolezza aveva avuto chiaro di non potersi costruire legami stabili. Aveva ignorato le possibili amicizie, aveva finto di disinteressarsi di tutto ciò che riguardava le esistenze altrui. C’erano stati persino ragazzi che l’avevano attratta e Vera era rimasta scandalizzata dal suo stesso desiderio e ne era fuggita lontano. Più il mondo in cui viveva l’attraeva, più lei approfondiva il solco fra se stessa e quel mondo. Più se ne allontanava e meno soffriva, anche se il prezzo di queste era la solitudine.
La gente attorno a lei reagiva di conseguenza: ammirava la sua bellezza, lodava la sua figura, oppure criticava la sua freddezza e il suo isolamento. Ma, in qualunque caso, non si avvicinava mai.
Nessuno aveva mai valicato il confine. Solo un’unica persona, da sempre, aveva vissuto accanto a lei, con i piedi saldi su quella linea di separazione.
Allegra.
Allegra, così vitale e spontanea, non si era lasciata scoraggiare dal suo atteggiamento solitario e non l’aveva accantonata, nonostante numerose amiche più divertenti di lei l’avessero coinvolta nelle loro vite.
Allegra era l’eccezione a quel ferreo regolamento che si era autoimposta, era la sua consolazione, l’unico lusso che si era concessa. Non le aveva mai permesso di varcare il confine fino a mostrarle appieno il suo cuore, ma questo non aveva impedito loro di essere vicine. Di volersi bene.
E ora l’avrebbe persa. Il ritorno a Katathaylon, precipitato nella sua vita senza adeguato preavviso, avrebbe bruciato quell’unico legame che si era concessa. Il pensiero della separazione era un dolore tagliente e sanguinante. Non voleva lasciare Allegra e non voleva ritornare a essere completamente sola… non voleva.
Quella prospettiva faceva male… così male che Vera iniziò a piangere.
Non ricordava quand’era accaduto l’ultima volta, dovevano essere trascorsi anni… se mai c’era stata una volta in cui avesse pianto.
Eppure adesso i suoi singhiozzi erano diventati incontrollabili, le sue lacrime bruciavano di angoscia amara come veleno.
- Mia madre non ha mai pianto – le bisbigliò Alexen all’orecchio – Forse se avesse mostrato il suo dolore, mio padre si sarebbe comportato diversamente.
Ma Vera non era disposta ad accettare giustificazioni. Si sentiva ancora una volta nuda di fronte ad Alexen, molto più di quando era accaduto davvero. Nessuno l’aveva mai vista prima, per ciò che era realmente.
La stretta del principe si era fatta meno opprimente, trasformandosi in un abbraccio accogliente in cui Vera si era accasciata.
- Perché? – gli sussurrò – Cosa te ne fai della mai vita?
- Smettila con questa guerra Vera – mormorò lui di rimando – Appoggiati a qualcuno. Sei a casa adesso.
Ma lei tremava in tutto il corpo. Quella vicinanza, quello che Alexen aveva fatto, in quel momento era troppo per lei. Aveva sconvolto il suo equilibrio, il suo intero essere, dalla punta dei piedi fino all’ultimo capello.

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Capitolo 31
*** Il Ponte delle Koralle ***


 Nel tentativo di raggiungere la saletta dove mi aspettavano gli altri, mi persi quattro volte, arrivando con un notevole ritardo.
Ero rimasta sorpresa quando mi era stato chiesto di partecipare alla riunione, ma fui ancora più stupita quando mi accorsi che oltre a me c’erano solamente Vera, Edhuar e Alexen. Mi ero aspettata perlomeno la presenza del kalashà.
Li trovai tutti e tre seduti attorno a un tavolino, Vera su una poltroncina rigida, Edhuar e Alexen appollaiati su un divanetto in atteggiamento decisamente informale.
Mi accomodai sulla poltroncina accanto a Vera, dubbiosa sul ruolo che avrei giocato e sul contributo che avrei potuto dare.
Alexen ed Edhuar mi fissavano pensosi, Vera, contrariamente al solito, mi sembrava persino più assente di loro. Teneva lo sguardo fisso in grembo, la mente chiaramente altrove.
- Abbiamo riflettuto molto Allegra – esordì Alexen, decidendosi finalmente a parlare – Io e Edhuar abbiamo parlato fino a poco fa e ci siamo interrogati a lungo su come riportare Rah alla stabilità. L’unica strada possibile sembra quella di passare attraverso Shia.
- Shia può influenzare Rah? – domandai stupita.
- Shia è sensibile all’animo umano, alla mutevolezza delle emozioni. Percepisce ogni minimo fremito nello spirito umano ed è in grado di comunicarlo a Rah. Per questo la stabilità o l’instabilità di Rah passano sempre attraverso Shia.
-  Ma Shia non rischia di diventare instabile?
- Non in questo caso. Non così facilmente almeno, il suo sigillo non è stato spezzato a tradimento – intervenne Edhuar – È stata Raishanta che ne è la custode a consegnarcela. Per questo, fra le due parti, è Rah quella più a rischio… quella su cui vanno direttamente ad agire la paura e il dubbio. Tuttavia secondo Alexen, grazie a Shia possiamo agire su di lei positivamente.
Lanciò un’occhiata al fratello cercando conferma e Alexen annuì.
- Abbiamo fatto qualche conto – intervenne – Ed entrambi siamo d’accordo sul fatto che troppe persone erano al corrente del sigillo spezzato di Rah.  Sasamanka, Ad’hera, io e Edhuar, nostro padre, tu e Vera, i suoi genitori, i custodi del passaggio, Raishanta, Vivor… e gli uomini che hanno cercato di uccidervi. Mettendo assieme le persone che entrambi sapevamo a conoscenza del fatto, ci siamo resi conto che erano un numero eccessivo. Eppure Rah, prima che i koryonos intuissero qualcosa, non era ancora diventata instabile.
- E quindi?
Mi girai verso Vera, cercando risposte anche da lei, ma non sembrava presente al discorso. Era strana, c’era qualcosa che focalizzava i suoi pensieri altrove. Con enorme stupore riuscivo a percepire in lei qualcosa che assomigliava a… nervosismo.
- Ho avanzato una teoria – disse Alexen – Credo che a mantenere stabile Rah per tutto quel tempo, siate stati tu e Edhuar. Avete tenuto sempre Shia con voi, vero?
- Sì – feci sorpresa – Edhuar l’ha sempre tenuta in tasca o in mano e così ho fatto io.
- Avete affrontato situazioni estremamente rischiose, siete stati più volte a un passo dalla morte e Shia, che era con voi, lo ha percepito chiaramente. Ma ha percepito anche la vostra determinazione. Ciò che la porta all’instabilità sono il timore di non riuscire, il senso d’impotenza, la disperazione… è questo tipo di sentimenti che inizia a creare il dubbio e a smuovere l’equilibrio. Ma l’intenso connubio fra il pericolo e la vostra determinazione ha fatto sì che Shia, a stretto contatto con voi, assorbisse emozioni di speranza, di fermezza… di stabilità, e li trasmettesse a Rah, compensando il suo stato precario.
- Ma se è davvero così, allora perché… - m’interruppi all’improvviso, ricordando il momento in cui Edhuar aveva rivelato la sua identità ai koryonos. Girai lo sguardo su di lui.
- Sei andato in crisi… quando hai confessato ai koryonos chi eri – dissi lentamente – Hai pensato che Rah sarebbe diventata instabile e sei stato preso dallo scoraggiamento.
- È esatto – convenne Alexen – Io credo che sia stato quello a minare l’equilibrio di Rah, non i sospetti dei koryonos. Shia stava vivendo le vostre emozioni e ha percepito la disperazione di Edhuar. Unita al timore di tutti coloro che erano a conoscenza del pericolo, ha esercitato una forte pressione su Rah,  che era già precaria a causa del sigillo spezzato.
Scossi la testa, piuttosto scombussolata dalla rivelazione. Controllai Edhuar nel timore che la scoperta lo avesse schiacciato, ma il suo volto era imperscrutabile.
- Quindi a cosa avete pensato? – domandai.
Alexen lanciò un’occhiata a Edhuar, come a cercare un incoraggiamento.
- Possiamo provare a riportare indietro Rah… ricostruendo quel connubio ideale di pericolo e forza d’animo – disse piano – Nella speranza che Shia le trasmetta una percezione di stabilità che la faccia tornare in equilibrio.
Se non avevo preso un abbaglio, significava andarsi a cacciare spontaneamente in una situazione ad alto rischio. Presi un bel respiro.
- Avete già in mente come fare?
Alexen esitò, ma solo un istante.
- Avevamo pensato al Ponte delle Koralle.
Quel nome mi fece gelare il sangue nelle vene. Mi voltai verso Vera allarmata, ma lei mi restituì uno sguardo distante. Che cosa le succedeva? Era come se quanto le accadesse intorno non la riguardasse.
- Dobbiamo attraversarlo tutti? – domandai cautamente.
- Nessuno è obbligato. Io e Edhuar lo faremo e Vera ha accettato di aiutarci. Più siamo numerosi, maggiore sarà l’intensità della percezione di Shia.
- Ma come facciamo a sapere che supereremo tutti la prova? Il Ponte delle Koralle non è uno scherzo!
Alle mie parole Alexen sorrise divertito.
- Non sarà peggio di quello che ciascuno di noi ha affrontato in questi giorni. Questo mi dà la certezza che possiamo farcela. Te la senti di aiutarci Allegra?
Alexen mi stava ponendo al centro di una situazione terribilmente spinosa. Il Ponte delle Koralle mi aveva terrorizzato nella mia infanzia e il timore che provavo nei suoi confronti non era diminuito negli anni. Ma potevo deludere le persone che chiedevano ora la mia collaborazione? Potevo tirarmi indietro?
- Verrò con voi.
- Non c’è certezza che funzioni. Non devi sentirti in obbligo di farlo – precisò Edhuar.
Come se avessi potuto lasciarlo andare senza di me!
- Voglio farlo anch’io!
- Molto bene – Alexen si alzò in piedi e porse la mano a Vera per aiutarla a fare altrettanto – Allora andiamo.
- Adesso?
Avevo accettato pensando che avrei avuto un po’ di tempo per prepararmi all’idea, per spezzare la tensione parlandone con Vera. Non mi ero aspettata di trovarmi catapultata all’azione un secondo dopo aver dato la mia adesione.
Ma dopotutto non potevo aspettarmi niente di diverso: che cosa dovevamo attendere? Lo stato di Rah poteva peggiorare e rendere inutile ogni sforzo di recupero.
Alexen fece sellare i cavalli, dopodiché montai agilmente dietro a Vera.  Ci inoltrammo fra gli alberi di buon passo, in quella parte di foresta che aveva visto Edhuar crescere e diventare adulto. Non mi ero aspettata un territorio così vasto e, nonostante la velocità, ci vollero ben una ventina di minuti per arrivare a destinazione.
Quando intravidi il Ponte delle Koralle, non potei però trattenere un’esclamazione di sgomento.
- È impressionante averlo di fronte agli occhi vero? – sussurrò Vera alle mie spalle, rompendo finalmente il suo muro di silenzio.
Scivolai a terra senza staccare gli occhi dalla fila colorata di mattoni che si aggrappava in bilico ai due lati di un crepaccio spaventoso. Non era necessario attraversare il ponte per arrivare dall’altra parte, una striscia di terra erbosa conduceva all’altra riva senza rischi. Il Ponte era solo per coloro che desideravano mettersi alla prova.
- Te lo immaginavi così? – domandai, in un soffio.
- C’ero andata vicina.
Non so perché avessi sempre provato angoscia al pensiero di quel ponte, come una vertigine senza controllo che faceva tremare ogni singolo neurone del mio cervello.
Pur essendo inutilizzato ormai da secoli, Tala ci aveva raccontato le numerose storie che venivano tramandate su quella che era, moltissimo tempo addietro, la prova centrale di idoneità per una koralla.
Il Ponte era un concentrato di energia imprigionata in pochi metri di mattoni, in grado di passare al vaglio chiunque si azzardasse ad attraversarlo. Non era una sciocchezza arrivare all’altro lato, l’energia si accumulava nella mente e nel cuore attaccando nelle zone più delicate, più nascoste, più deboli. Si scagliava contro la parte più sensibile dell’essere e infieriva senza riposo allo scopo di annientare, distruggere, sconfiggere. Se eri forte andavi avanti, ti lasciavi ferire, ma non crollavi. Ma se quell’esaminatore spietato stabiliva che non eri idoneo, i mattoni si spalancavano sotto i tuoi piedi, delegandoti al baratro.
Paradossalmente però, non era stato il baratro a occupare i miei incubi angosciosi di ragazzina, bensì il pensiero di quell’essere invisibile che ti penetrava il cuore e ti faceva combattere contro te stessa. La paura che ancora oggi quell’immagine mi suscitava era un boccone indigesto piantatosi a metà della gola.
Era stato un sollievo per me sapere che il Ponte era caduto in disuso da tre secoli e che Vera non vi sarebbe stata sottoposta. Erano troppo numerose le ragazze che morivano sotto quella prova, e a un certo punto la Punta aveva abolito, su vasto consenso, la pratica.
Ma io non avevo previsto, immaginando la mia grande avventura, questo risvolto inquietante.
- Alexen – domandai cautamente – Hai pensato a cosa accadrebbe se uno di noi fallisse? Non finiremmo per peggiorare la situazione?
- Escludo che possa accadere, non vedo nessuno tra noi in grado di fallire questa prova.
- Ma qui le koralle morivano – gli ricordai – E le koralle non sono persone fragili!
- Hai paura?
La provocazione mi fece aprire bocca per difendere automaticamente il mio coraggio. Ma quando incrociai gli occhi di Edhuar, mi resi conto a un tratto quanto fosse sciocco, al punto in cui eravamo, il mio atteggiamento.
- Certo che ho paura – ammisi – Ma non intendo tirarmi indietro. Mi chiedo solo se non stiamo prendendo questa prova alla leggera, rischiando di peggiorare la situazione.
Alexen sorrise.
- So che quello che stiamo facendo può sembrare  una follia, ma non devi lasciarti intimorire dal fatto che fosse una prova per koralle. Se pensassi che fosse realmente così pericolosa, non lascerei rischiare te e Vera.
Chi ero io per dubitare del suo giudizio?
- Allora andiamo – annuii.
Chissà cosa avrebbe detto la mamma, se mi avesse vista in procinto di attraversare il Ponte? Sarebbe morta di paura o di eccitazione?
Alexen mise per primo il piede sul Ponte, tenendo stretta in pugno Shia perché assorbisse energia da tutti e quattro. Edhuar gli fu subito dietro.
Sarei andata per ultima? Seguii Edhuar prima che Vera potesse passarmi avanti, per ritrovarmi fra loro, in una posizione intermedia che mi dava maggior sicurezza.
Nel momento stesso in cui saggiai il primo mattone, sperimentai una sorta di confuso torpore che si appoggiò attorno alla mia testa come un’aureola. La vicinanza di Vera, subito alle mie spalle, mi spinse a proseguire.
In pochi metri il torpore si allargò come un mantello avvinghiandomi l’intero corpo e trasformando i miei movimenti in gesti impacciati.
Le mie gambe rallentarono, le mie spalle si appesantirono.
Com’era possibile che avanzassi così lentamente?
La mia stessa goffaggine mi stizzì, con un’ondata di violenza. Provai nei confronti del mio corpo, la stessa irritazione che generalmente mi causava la lentezza altrui. Mi sforzai di accelerare, ma era come camminare nell’acqua, quasi che l’aria fosse diventata liquida.
Strinsi i pugni, intollerante di fronte a tanta incapacità.
Gli altri avrebbero notato la mia difficoltà ad avanzare. Avrebbero pensato che stessi rimanendo indietro apposta, per paura.
Ero stata una stupida ad ammettere il mio timore ed ero ancora più sciocca ad avvallare ora, con la mia lentezza, l’idea di essere terrorizzata. I principi di Katathaylon avrebbero riso alle mie spalle, avrebbero raccontato a palazzo della mia vigliaccheria.
Sarei apparsa agli occhi dell’intero regno come una ragazzetta fragile e codarda. Mi avrebbero sorriso in faccia, per poi compatirmi alle spalle.
Potevo tollerare quella prospettiva?
Mi sentii avvinghiare da una spesso coltre d’angoscia.
Potevo… vivere ancora, sapendo cosa sarebbe accaduto?  La paura e l’umiliazione che mi stritolavano il cuore, sembravano l’unica risposta che potessi ricevere.
Smisi di lottare contro l’ammasso di aria pesante che non aveva ancora mai cessato di fare resistenza. Mi fermai osservando Alexen e Edhuar come puntini sfocati all’orizzonte.
Potevo gettarmi dal Ponte e risolvere ogni cosa.
Un salto da quell’altezza non mi avrebbe lasciato scampo. Afferrai la ringhiera e guardai sotto. Morire prima del disonore era l’unica alternativa accettabile, non potevo sopravvivere all’umiliazione di sentirmi smascherata nelle mie debolezze.
Considerai un’altra volta lo strapiombo e mi preparai al salto. I mattoni sotto di me oscillarono, quasi avessero avuto vita propria. Se si fossero spalancati sotto ai miei piedi, mi avrebbero risparmiato la fatica di gettarmi.
Proprio in quell’istante però, a pensiero si agganciò pensiero, in una catena rapida di immagini e parole che si snodò fino a un ricordo preciso.
“Nessuna umiliazione, nessun errore che abbia fatto può più negare il mio valore di essere umano…”
La voce di Edhuar risuonò nella mia testa con una vibrazione limpida, quasi fosse stato realmente presente. Ricordavo con precisione di essere stata d’accordo con lui, di aver approvato ognuna di quelle parole. Perché ora invece desideravo morire?
Poi ricordai.
Il Ponte delle Koralle creava una completa identificazione della persona con i suoi pensieri. Attaccava la zona più sensibile dell’animo umano, spingendolo a produrre pensieri negativi che venivano percepiti come reali e assoluti e che, spinti al limite, portavano la persona a desiderare la morte. A quel punto, i mattoni cedevano.
Il ricordo delle parole di Edhuar aveva spezzato per un breve istante quel circolo velenoso, permettendomi il lusso di un respiro.
Io non volevo morire, ne ero certa, a dispetto dell’angoscia soffocante che mi triturava il cuore.
Anche se avessi svelato in questa impresa tutta la paura che nascondevo, non volevo comunque morire.
Controllai il ponte sotto ai miei piedi. Non si mosse più nulla.
Ricominciai a muovermi, lentamente, con difficoltà, di nuovo assalita dall’irritazione. Ma piantato al centro della mia mente, lasciai in bella vista quel pensiero:
Non voglio morire.
Sapevo che ce l’avrei fatta.
 

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Capitolo 32
*** Cedimento ***


 Vera seppe, nel momento stesso in cui mise piede sul Ponte, che quella sarebbe stata una pessima idea.
Da quando Alexen quella mattina aveva fatto violenza al suo cuore, aveva smarrito il senso della sua esistenza e si era ritrovata senza equilibrio sul filo ormai troppo sottile delle sue incontestabili certezze.
Nell’istante in cui Alexen aveva varcato la soglia proibita, aveva fatto partecipe lei stessa dei suoi tormenti. Non che Vera non fosse consapevole di ciò che nascondeva il suo cuore, ma finché riusciva a chiudere il suo dolore dietro a una porta sigillata… finché riusciva a evitarne il contatto diretto, poteva vivere con una certa serenità. Non era utile cercare soluzioni a problemi che non ne avevano, era più sano dimenticare di avere un problema.
Ma venire a contatto con se stessa, aveva infranto l’illusione e messo a nudo il dolore cui fino a quel momento non aveva prestato ascolto.
Era stata una scossa così intensa da farla uscire dai binari e ora, spaventata, si accorgeva di non essere in grado di ritrovare la strada segnata. Tutto veniva rimesso in discussione: la sua missione, i suoi desideri, i suoi doveri… la sua stessa immagine. Ogni cosa veniva passata al vaglio dei suoi pensieri, ossessivamente, tanto da renderle difficile focalizzarsi su ciò che avveniva all’esterno.
Aveva temuto che quello fosse per lei il momento più inadatto ad affrontare il Ponte delle Koralle, ma vi si era accostata per inerzia. Era stato più semplice assecondare passivamente le scelte altrui, piuttosto che palesare le sue difficoltà. E quello fu lo stesso motivo per cui, nonostante l’aumentare del dolore e dello smarrimento, non arretrò, ma continuò ad avanzare lungo il Ponte.
Non restava altro che camminare, un passo dietro l’altro, e sopportare.
Non aveva mai fatto nulla nella sua vita per proprio piacere, si era sempre affidata al sentiero che aveva trovato pronto alla sua nascita.
Eppure adesso avanzare diventava più difficile, come se la direzione che conosceva così bene non avesse più il suo caratteristico alone di sacralità. Non bastava più a giustificare il suo dolore, i suoi sacrifici, la sua solitudine.
Non bastava a giustificare la perdita di Allegra.
Vera chiuse gli occhi sotto il bombardamento inconsulto delle sue emozioni. Non era abituata ad avvertirle in superficie, scorazzavano a briglia sciolta appena sotto il velo sottile della sua pelle. Non sapeva come gestirle… Non sapeva come tollerarle.
Non posso vivere così. Non ce la posso fare.
Si fermò e respirò voracemente, invocando un granello di sollievo. Ma aveva la certezza che non avrebbe ottenuto pace… che non sarebbe mai più tornata in equilibrio.
Confusamente vide Alexen toccare l’altra riva. Il principe si voltò verso i compagni e i suoi occhi si fermarono quasi subito su lei, spalancati.
Lui ha visto dentro di me – pensò– Sa ogni cosa di me.
La sua disperazione, per quanto difficile, si fece ancora più insopportabile. Qualcosa scricchiolò sotto i suoi piedi.
Vera vide Alexen afferrare la mano di Edhuar e consegnargli Shia, poi iniziò a correre di nuovo sul Ponte, verso di lei.
Sta lontano – pensò tremando – Non avvicinarti, voglio sparire. Voglio scomparire da questo mondo.
Il Ponte le franò sotto i piedi, ma in quel preciso istante Alexen si gettò su di lei, spingendola indietro. Vera si sentì afferrare, trascinare indietro, trasportare quasi di peso.
Quando ruzzolò a terra, percepì il solleticare dell’erba sotto le dita e confusamente si accorse di non essere più sul Ponte.
- Come stai? Ti senti ancora male?
Gli occhi chiari di Alexen la scrutavano con ansia.
Lei staccò lo sguardo dal suo, riprendendo improvvisamente potere sui suoi pensieri.
Vide Allegra e Edhuar toccare l’altra riva e poi tornare correndo verso di loro, attraverso l’innocuo sentiero erboso.
La vergogna le chiuse la gola.
- Vera! – Allegra la investì come un uragano d’apprensione e lei non riuscì a reggere il suo sguardo.
- Rah? – sussurrò, in modo appena udibile.
Tutti gli occhi si puntarono su Alexen, che rimase immobile per un lunghissimo istante, senza fiatare.
Alla fine abbassò gli occhi.
- È cambiata – disse piano – È… peggiorata.
Le sue parole precipitarono sulle loro spalle come una sentenza di morte. Vera smise di respirare.
- Ti porto un po’ d’acqua fresca – le disse Alexen, muovendosi lentamente – Ti aiuterà a riprenderti.
Si diresse con passo stanco verso il ruscello che scorreva non molto distante da loro. Vera intuì lo scoraggiamento che irradiava dalla sua andatura, dal suo spirito annichilito.
- Vera… hai desiderato morire?
Non riuscì a rispondere ad Allegra, né a guardarla in faccia e fissò lo sguardo oltre la spalla dell’amica.
Fu in questo modo che vide Edhuar salire a cavallo e partire in silenzio. Pensò che ad allontanarlo fossero la tristezza e la delusione, ma un ricordo recente sussurrò sottile alla sua mente.
“A ovest del palazzo c’è una foresta. Se si imbocca il sentiero a sinistra e si avanza per un buon tratto…”
- Dov’è Shia?  - domandò, interrompendo Allegra.
Lei scosse la testa, senza capire.
- Ce l’ha Alexen. Anzi… no, l’ha passata a Edhuar prima di correre da te.
- Ce l’ha ancora lui? Sei sicura?
- Credo di sì… Cosa succede Vera?
Lei si alzò in piedi con uno scatto.
- Il principe Edhuar sta andando a riunire Shiarah.
Vide il panico dilagare sul volto dell’amica.
- Ne sei sicura? – urlò.
- So dove si trova Rah. Edhuar è appena andato in quella direzione.
- Andiamo a fermarlo! Vera, ti prego!
Vera non ascoltò il richiamo del buon senso. Il gesto di Edhuar poteva essere l’ultima speranza che rimaneva loro, ma l’angoscia di Allegra ebbe il sopravvento. Corse con lei al cavallo e solo quando furono in sella si ricordò del principe.
- Alexen! – urlò – Tuo fratello è andato da Rah!
Lui comprese in un istante e si precipitò alla sua cavalcatura.
- Presto Vera, presto! – la implorò Allegra.
Lei spronò il cavallo e prese la direzione che Alexen le aveva indicato qualche giorno prima, quando era stato sul punto di morire. Partirono a gran velocità, eppure, per qualche strana alchimia, il cuore di Allegra sembrò correre ancora più forte di loro.
 

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Capitolo 33
*** Il potere di Alexen ***


 Nonostante Vera stesse lanciando il nostro cavallo a rotta di collo, avevo la sensazione che questo non fosse sufficiente. Incitavo l’animale con voce strozzata, cercando di scorgere fra gli alberi la figura di Edhuar.
- Dai cavallo forza! Dai, dai, dai! Dai, coraggio! Forza, ti prego!
- Allegra, stai ferma! Finirai per cadere!
I richiami di Vera non sortivano alcun effetto. Non avevo mai provato un’ansia così divorante, una fretta talmente esasperata da farmi venir voglia di urlare e piangere.
Non osavo correre troppo avanti con il pensiero, ma a tratti la mente mi si riempiva di immagini angoscianti.
Quante possibilità c’erano che Edhuar riuscisse a riunire Shiarah? E che sopravvivesse all’impresa?
Non avevo bisogno di chiederlo a Vera, avevo compreso perfettamente la situazione: non c’erano possibilità. Se fossi arrivata anche con un solo secondo di ritardo, Edhuar sarebbe morto.
Ti prego cavallo, vola!
- Sbrigati, ti prego! – gridai.
Solo poche ora prima, Edhuar mi era venuto incontro nel giardino, luminoso di gioia. Non sopportavo che questo avesse fine. Non lo concepivo.
Il cavallo scartò a sinistra e uscì dagli alberi, permettendomi di vedere, come un puntino distante, il getto di una cascata.
- È là! – mi gridò Vera.
Allora vidi il cavallo fermo sull’erba e Edhuar uscire dall’acqua risalendo la riva.
- Khail! Khail fermati!
Non mi sentì, lo scroscio dell’acqua era rimbombante.
Vidi Shia nella sua mano destra e nella sinistra una piccola ostrica opalescente da cui irradiava una luce azzurrognola.
Il cuore mi esplose.
- Non farlo!
L’avevo ormai raggiunto, ma Edhuar non si accorse di nulla. Con uno scatto secco avvicinò le mani e un’energia iridescente divampò attorno al suo corpo. Lo fece urlare, ma non gli impedì di fare un ulteriore sforzo e con un ultimo gesto infilò Shia nell’Ostrica.
Quando Shiarah si ricompose, Edhuar scomparve in una nuvola di luce. Il suo grido mi perforò le orecchie trapanandomi il cuore.
- No Khail! No!
La luce si dissolse come polvere, mentre Vera fermava il cavallo accanto alla cascata. Quando vidi il corpo di Edhuar a terra immobile, scivolai dalla sella e mi gettai su di lui.
Gli toccai il petto ma non riuscii a sentire nulla, provai a individuare il suo respiro e per un istante non ce la feci. Poi avvertii un sospiro lento, debolissimo. E poi più niente.
- Khail, svegliati! Apri gli occhi!
Niente. Nessun movimento.
Stava morendo!
- Khail! – urlai di nuovo, certa di impazzire.
Il mio grido attraversò la radura mentre un fiotto di lacrime iniziava ad accecarmi lo sguardo.
Poi mani salde  mi afferrarono per le spalle.
- Lasciami il posto Allegra!
Alexen mi scostò e si chinò su Edhuar. Gli appoggiò il palmo di una mano sul cuore e una luce chiara  si liberò dal suo corpo.
Lo fissai attonita, senza capire.
- Lascia fare a lui – disse Vera alle mie spalle.
- Sta morendo. Alexen lo può aiutare?
- Non è ancora troppo tardi. C’è un potere particolare fra quelli dell’erede al trono… che può  usare una sola volta in tutta la sua esistenza.
- Può… guarire Edhuar?
Vera annuì.
- Può guarire da qualsiasi malattia, salvare da qualunque ferita, ma solo per una volta. Mi sembra che Alexen abbia scelto.
Sentii la speranza fare capolino tra le pieghe del mio dolore.
Quando Alexen si staccò dal fratello con un gemito, mi precipitai su di lui.
- È salvo – sussurrò. Sembrava sfinito, come se quell’atto l’avesse prosciugato di tutte le energie. Prese Shiarah e dopo averla osservata un istante, la chiuse nel pugno.
- Edhuar ha salvato il mondo – mormorò.
In quel momento presi pienamente coscienza di quello che era accaduto. Khail ce l’aveva fatta, con il suo sacrificio era riuscito a ripristinare interamente l’equilibrio.
- Dormirà per qualche ora – mi avvisò Alexen – Quando si risveglierà starà bene.
Lui invece non aveva nemmeno la forza di reggersi in piedi.
- Rimani qui – disse infatti Vera – Vado a chiamare qualcuno che ci aiuti a tornare a Palazzo.
Quando si allontanò, mi sedetti sull’erba accanto a Edhuar, ancora incredula di fronte a quello che era accaduto.
Alexen si era sdraiato e teneva le palpebre abbassate, nel tentativo di recuperare le forze.
- Avrai problemi? – bisbigliai.
Lui scosse la testa senza aprire gli occhi.
- Devo solo riposare.
Spostai lo sguardo da lui a Edhuar. In quel momento erano assolutamente identici.
- Non riesco a credere che Vera abbia fallito la prova – dissi piano.
- Non è stata colpa sua.
Lo guardai sorpresa.
- Non biasimarla, Allegra. Ho sbagliato io.
Avrei voluto chiedergli spiegazioni, ma capii che non voleva parlarne.
- Non mi sognerei mai di biasimarla.
Afferrai una mano di Edhuar cercando di placare la mia agitazione. Non mi era ancora resa conto del tutto che ormai era fuori pericolo, dovevo stringere le sue dita per ricreare quel contatto che avevo temuto di perdere per sempre.
- Grazie Alexen – bisbigliai.
Lui non rispose. Eppure in quel momento lo sentii profondamente vicino.
 
 

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Capitolo 34
*** Compensazione ***


 Gli amici del principe Edhuar, che Vera era riuscita a radunare perché l’aiutassero a trasportarlo a Palazzo, lo portarono fino alla sua camera  e lì lo lasciarono ancora privo di sensi all’assistenza di Allegra. Nonostante le rassicurazioni sullo stato di salute del principe, sembrava che l’amica non riuscisse a tranquillizzarsi completamente e dopo lo spavento preso si era rifiutata di allontanarsi da lui.
Vera invece accompagnò Alexen in un salottino adiacente alla camera, sostenendolo quasi totalmente. Lo aiutò a sedersi su un divanetto e a quel punto si accomodò su una sedia di fronte a lui, aspettando.       
Il fatto che lei avesse fallito la prova, non era cosa su cui il principe potesse sorvolare. Se fosse stata Allegra a non riuscire , o Edhuar…o lui stesso, sarebbe stato differente. Ma lei, lei era un koralla.
Era un dato scontato che la koralla regina riuscisse ad attraversare il Ponte a testa alta.
Il suo fallimento faceva franare le premesse più basilari del ruolo che le era stato affidato e con esse crollavano il suo stato di promessa sposa dell’erede e di regina di Katathaylon.
Gli occhi di Alexen infatti la stavano sondando, come se il principe stesse vagliando con cautela il modo in cui affrontare un argomento spinoso.
- So cosa stai pensando – le disse alla fine, con un sospiro di rassegnazione.
La tensione l’attraversò così crudamente da farle drizzare la schiena di scatto.
- Come intendi intervenire?
Alexen non rispose continuando a esaminarla con lo sguardo, finché Vera non si sentì in dovere di precisare la situazione.
- Un tempo il Ponte uccideva le koralle che non erano degne di diventare tali.
A quelle parole, lui esplose in una risata sarcastica.
- Vuoi anche tu che ti condanni a morte Vera? Perché cercate tutti di farvi ammazzare da me?
L’amarezza del suo tono non le sfuggì.
- Prendi i provvedimenti che credi. È evidente che non possiedo i presupposti per essere la regina di Katathaylon.
- Te lo dice il tuo orgoglio ferito?
- Non ho passato la prova, Alexen – lo zittì freddamente – La prova che un tempo qualunque koralla doveva superare per essere anche semplicemente degna di vivere ad Arco d’Oriente! Come… posso diventare regina?
- Sai alla perfezione che la colpa del tuo fallimento è mia – ribatté il principe.
- Questo non è vero!
- Sei rimasta sconvolta da quanto è successo stamattina. Ho voluto penetrare nei tuoi sentimenti forzandoti ed è stata… una violenza. Mi rendo conto solo ora dell’errore che ho commesso. Eri turbata per ciò che ti ho costretta a subire e questo è l’unico ostacolo che ti ha impedito di superare la prova. Mi sono comportato in modo ignobile e me ne pento profondamente.
Le parole di Alexen suonavano alle sue orecchie come sincere e ponderate, eppure non per questo meno inaccettabili.
- Non puoi assumerti questa responsabilità, avrei dovuto comunque mantenere il controllo.
- Hai ragione – ammise lui – Anch’io avrei dovuto mantenere il controllo in cella, eppure se tu non me lo avessi impedito avrei rivelato ad Ad’hera tutto ciò che desiderava sapere… provocando il peggior disastro che potremmo immaginare. E quindi, come te, anch’io non sono degno di diventare re.
Di fronte a quella logica, Vera non seppe istantaneamente replicare e questo permise ad Alexen di proseguire.
- D’altronde, Edhuar stesso non avrebbe dovuto perdere il controllo con i koryonos, mettendo a repentaglio quello stesso equilibrio che poi ha ripristinato a caro prezzo. Neanche lui è degno di diventare re.
Rimase in silenzio qualche istante, per darle il tempo di assimilare il significato di quelle parole.
- Tutti noi, Vera, abbiamo messo in pericolo il mondo – aggiunse.
Era vero. E quindi?
Adesso come dovevano comportarsi?
- Lascia che ti racconti quello che hai fatto per me in prigione – mormorò lui.
- So esattamente quello che ho fatto.
- No – la inchiodò con i suoi occhi – Non lo sai.
- Ero presente anch’io – obiettò. Non tollerava che lui la giustificasse.
- Quando ti ho trovata in cella con me, ho pensato che tu fossi una seccatura – cominciò lui.
- Questo me l’avevi già detto.
- Pensavo di non aver bisogno di nessuno – proseguì imperterrito – La tua presenza era solo una complicazione. Nel mio orgoglio ero convinto che niente sarebbe riuscito a scuotermi dalla mia posizione. Invece mi sono accorto ben presto che gli eventi mi stavano pesando addosso in modo sempre più insostenibile. Ogni volta che rientravo sfinito da un interrogatorio, disperato, la tua energia attutiva il dolore, mi dava respiro… mi trasmetteva la sensazione di non essere solo nella mia battaglia. Eri sempre vicina a me, senza lamentarti mai, sentivo il tuo rispetto per me, la tua fiducia, la tua alleanza. Quando la fame mi ha reso così debole da non riuscire a tenere gli occhi aperti, mi hai dato il tuo cibo. Avevi fame anche tu, lo sapevo, ma non ti sei fatta scrupolo dei tuoi bisogni, per sostenere me. Quando l’ansia mi ha tenuto sveglio di notte, hai tenuto occupata la mia mente parlandomi di ciò che desideravo. Pian piano sono diventato dipendente da te, dal tuo sostegno, dal sollievo che mi davi, dalla tua vicinanza. E quando questo non è stato più sufficiente… quando l’angoscia e il dubbio mi hanno fatto dichiarare la resa, mi hai chiesto di non arrendermi. Ed era tale la gratitudine che provavo nei tuoi confronti, che solo quella mi ha spronato a resistere.
- Ti ho mandato al massacro – sussurrò Vera.
- Hai salvato il mondo – ribatté lui – Mentre Ad’hera mi provocava, mi frustava, mi sfiniva, io guardavo te. E tu non abbassavi mai lo sguardo, credevi in me… sentivo che non dubitavi che sarei arrivato fino in fondo. E dopo avermi impedito di parlare, mi hai salvato la vita. Hai bruciato tutta la tua energia rischiando di morire, e non appena hai avuto di nuovo la forza di parlare, mi hai fatto scappare di prigione.
- Stai dipingendo un quadro esagerato – balbettò Vera, incredula di fronte alla sua visione delle cose. Per come l’aveva vista lei, non aveva fatto che il minimo indispensabile richiesto dai suoi doveri.
- Ti sto raccontando quello che ho vissuto – mormorò lui – E quando alla fine di tutto questo ho avuto finalmente l’occasione di ringraziarti…ti ho fatto violenza. Sono entrato a forza nel tuo cuore, senza permesso, sfondando di prepotenza le tue legittime barriere.. Ti ho turbata e subito dopo ti ho buttata in mezzo al fuoco chiedendoti di attraversare il Ponte delle Koralle senza pensare a quello che avrei scatenato. Da me ti sei lasciata usare, sfruttare, tormentare… quasi uccidere Vera, e vieni a dirmi che tu non sei degna di essere regina?
- Io..
- Che cosa potevi fare di più Vera? In cosa sei venuta meno? Che cosa un’altra regina avrebbe fatto diversamente?
- Ma se tu non fossi intervenuto, il Ponte mi avrebbe uccisa.
- Che cosa ha dimostrato quello stupido Ponte, se non le conseguenze della mia arroganza?
Alexen aveva alzato la voce e Vera si trovò senza parole. Non aveva ancora recuperato l’equilibrio, abbastanza da replicare con prontezza.
- Non sarà un momento di debolezza ad annullare tutto il bene che mi hai fatto – bisbigliò lui – Ognuno di noi ha avuto un momento di cedimento. Eppure, se ci pensi, tu mi hai impedito di confessare la verità ad Ad’hera e in prigione mi hai salvato la vita. Edhuar ha riparato al tuo cedimento ricongiungendo Shiarah, mentre io ho guarito Edhuar… e salvato te dal Ponte.
Vera non commentò, attratta dalle sue parole, ma al contempo spaventata.
- Ce l’abbiamo fatta insieme – sussurrò lui – Compensando l’uno le debolezze dell’altro.
- Stai dicendo che non è necessario che io mi dimostri infallibile?
- L’ho detto anche in prigione, un re può sbagliare e così la sua regina…dobbiamo aiutarci a vicenda, Vera.
In qualche modo sembrava avere senso.
- Alexen… su cosa ti ha attaccato il Ponte?
Lui rimase zitto e Vera comprese.
- Sulla crisi che hai avuto in prigione?
Lui annuì quasi impercettibilmente.
- Ti ha fatto… desiderare di morire?
- Sì – abbassò lo sguardo – All’improvviso ho pensato che una persona così debole e inaffidabile non fosse in grado di governare Katathaylon. Ho provato una profonda vergogna.
- E come… ti sei salvato?
- Mi sono detto che non era necessario morire. Era sufficiente lasciare il trono a Edhuar.
Vera cercò di non lasciar trapelare il suo sconcerto.
- Ed è quello che intendi fare?
- Non ho ancora deciso.
Era una scelta che l’avrebbe riguardata in prima persona… Vera cercò di raffigurarsi le conseguenze di un simile scambio.
- Vera… - la interruppe il principe – Ti chiedo perdono per quello che ho fatto stamattina. Ti prometto che non accadrà mai più.
Lei annuì.
- In realtà credo che questa esperienza mi sia stata utile… mi ha permesso di accorgermi per la prima volta del mio punto debole. Ho sempre negato i miei sentimenti credendo che mostrarli fosse un segno di debolezza insopportabile… ma così facendo ho costruito con le mie mani non una torre di difesa, bensì un bersaglio vulnerabile agli attacchi esterni.
- Ti senti meglio ora?
Lo sguardo di Alexen era colmo di calore e di preoccupazione.
- Ho bisogno di riflettere un po’.
Una serie di colpi battuti sulla porta li fece sussultare. Dalla soglia fece capolino il viso stanco del medico.
- Principe, vostro padre si è aggravato. Penso che dobbiate venire.
Alexen si alzò con la velocità permessa dalle sue poche forze. Vera fece per aiutarlo, ma lui la fermò.
- Preferisco andare da solo.
Lei rimase seduta e quando la porta si richiuse alle sue spalle, si appoggiò allo schienale e abbassò le palpebre.
C’erano molte cose su cui riflettere, eppure, sorprendentemente, in qualche modo si scopriva più serena.
 
 
*             *             *
 
 
Quando Edhuar diede i primi segni di ripresa, Vera appoggiò al caminetto il libro che stava leggendo.
La stanza, in cui il principe aveva dormito per quasi venti ore, era ormai illuminata dal rovente sole di mezzogiorno. Allegra non si era scostata dal letto di Edhuar per l’intera notte, quasi non riuscisse a credere che il suo sonno fosse benefico e riparatore piuttosto che dannoso. Solamente una mezzora prima l’amica aveva accettato di andare a rinfrescarsi e sembrava che il principe avesse scelto proprio quel momento per tornare in sé.
Mentre Vera si domandava se fosse il caso di mandare a chiamare Allegra, gli occhi chiari ancora un po’appannati di Edhuar si posarono su di lei. Il principe sbatté più volte le palpebre nel tentativo di metterla a fuoco e poi girò lo sguardo sulla camera, cercando di raccapezzarsi.
- Che ore sono? – chiese confusamente.
- È ora di pranzo principe. Dormite da ieri pomeriggio.
La posizione in cui Vera si veniva a trovare era difficile e scomoda, poiché aveva condannato a parole Edhuar e subito dopo lui aveva rischiato la vita per riparare all’errore che lei aveva commesso. L’effetto lenitivo delle parole di Alexen stava scomparendo velocemente sotto il confronto diretto con il principe.
Edhuar si sedette sul letto, ancora visibilmente intontito.
- Non posso essere sopravvissuto – le disse – Ho avvertito la scarica di Shiarah… ricordo di averla ricongiunta e questo esclude che io… possa essermi salvato.
Vera rimase in silenzio, in attesa che il principe comprendesse da solo. Lui impiegò solo pochi istanti.
- È stato Alexen vero? – chiese in un soffio – Ha usato il suo potere. Era… era vicino a me?
- Eravamo tutti lì, a pochi metri. Abbiamo cercato di fermarvi.
Gli occhi di Edhuar si accesero di una luce intensa, incomprensibile. Forse Allegra ne avrebbe afferrato il significato, ma non certamente lei.
- Ma Shiarah è a posto vero? – chiese lui all’improvviso, con un moto d’ansia.
- Sì. Il mondo intero è a posto – Vera si alzò in piedi per tributare al principe ciò che gli era dovuto. Fece una riverenza profonda, a fronte china, lunga.
- Con la vostra azione, principe, vi siete guadagnato la mia gratitudine e il mio rispetto.
- Ho guadagnato anche il vostro perdono, isy?
- È così importante per voi?
Si sorprese di averglielo domandato. Ma l’atteggiamento di Edhuar era talmente limpido, privo di difese, da facilitare anche chi gli era intorno ad esporsi.
- Non posso pretendere che dimentichiate ciò che avete sofferto… ma diventerete la moglie di mio fratello e se ci saranno attriti fra di noi, lui ne soffrirà.
Aveva ragione naturalmente.
- Non ci saranno attriti fra noi, principe. Non vi porterò rancore.
Lui annuì, e il suo volto fu attraversato per un istante dal sollievo. Per un motivo che non riusciva a comprendere, sembrava che Edhuar  non fosse intenzionato ad accennare al suo fallimento al Ponte.
- Ciò che avete fatto… è stato un tentativo di espiare le vostre colpe? – gli domandò all’improvviso – Sapevate che riunire Shiarah era un’impresa quasi impossibile, mentre le probabilità di morire erano massime. Se Alexen non fosse intervenuto non vi sareste salvato.
- Avete ragione, mi sentivo responsabile, ma non è stato questo il fattore preponderante. Avrei tentato comunque, anche se non avessi avuto alcuna responsabilità dell’instabilità di Rah.
Vera socchiuse le palpebre e lo osservò con curioso interesse.
- Riuscire a riunire Shiarah era un possibilità remota, sarebbe stato molto più plausibile che foste morto senza ottenere nulla. Non vi siete fermato a riflettere… sui sentimenti di Allegra?
Edhuar sussultò e allargò lo sguardo lungo la stanza, quasi a cercare la presenza di Allegra in un angolo nascosto.
- Vi ha vegliato tutto il giorno e tutta la notte – aggiunse Vera – Non l’ho mai vista in un tale stato di angoscia.
Edhuar chiuse gli occhi, come attraversato da una lancinante fitta alla testa.
- Non potevo fermarmi a pensare ad Allegra – disse infine – Tutto questo va ben oltre noi due.
Vide la sua espressione e aggiunse – So cosa state pensando. L’ho già fatto una volta, con i koryonos, rendendo instabile Rah pur di salvarla. Ma è stato un gesto che non ripeterò. Non posso sacrificare il mondo intero per una sola persona… per quanto sia la persona a me più cara – sorrise malinconicamente – Se ieri fossi morto, Allegra si sarebbe presto dimenticata di me, ma se Shiarah avesse perso completamente di stabilità… sarebbe diventato un grosso problema anche per lei.
Vera non poté fare a meno di approvare.
Edhuar era molto diverso da Alexen. Contrariamente al fratello, lo trovava concentrato su Katathaylon in modo più spontaneo e naturale. Era meno inquieto, meno ribellato.
Comprese cosa intendeva Alexen, dicendo che anche Edhuar poteva diventare re. Nonostante la mancanza di un’educazione mirata, Edhuar aveva sviluppato ugualmente un ammirevole senso di responsabilità verso il suo popolo.
L’improvviso spalancarsi della porta la scosse da quelle riflessioni.
Allegra, vedendo Edhuar sveglio, rimase immobile sulla porta e Vera attese l’esplosione che sarebbe seguita.
Con sua sorpresa, non venne.
Allegra non investì il principe di improperi per il gesto suicida che aveva compiuto, invece camminò in silenzio verso di lui e sedette sulla sponda del letto al suo fianco. Quando Edhuar aprì le braccia, gli si gettò al collo e lo strinse stretto, convulsamente, senza parlare.
Solo in quel momento Vera si rese conto che la sua amica non aveva inteso contestare il gesto di Edhuar. Aveva cercato di fermarlo, spinta dall’orrore delle inevitabili conseguenze della sua scelta, ma non aveva mai messo in discussione la legittimità del suo tentativo.
Allegra era veramente in gamba, si rese conto. Non aveva mai preteso che Edhuar la mettesse davanti a Katathaylon.
Vera si avviò in silenzio verso la porta. Gettò un ultimo sguardo all’amica e notò con sgomento le sue guance rigate di lacrime. Poi scivolò fuori dalla camera.
 
 

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Capitolo 35
*** Giudizio ***


 La tensione che avevo accumulato fin dal giorno prima, era esplosa senza che potessi fermarla in alcun modo. All’improvviso i miei occhi erano diventati una sorgente inesauribile di lacrime e la spalla di Edhuar era un vasto oceano che accoglieva con semplicità il mio impeto. Pensai che non sarei più riuscita a smettere di piangere, che avrei inondato di lacrime la maglia di Edhuar per il resto dei giorni a venire.
Lui mi strinse, mi accarezzò i capelli, ascoltò in silenzio i miei singhiozzi.
- Ho pensato che Alexen avesse sbagliato qualcosa – riuscii a dire, con voce rotta – Ho creduto che non ti saresti più svegliato!
- Ho dovuto correre il rischio – sussurrò lui.
- Lo so. Lo so, però io… non riuscivo ad accettare che…
Che tu fossi morto – pensai – Che non saremmo più stati insieme.
Ma non sarebbe accaduto comunque in ogni caso?
Avevo pensato di essere preparata alla nostra separazione, non mi ero mai fatta illusioni sul nostro rapporto. Eppure, di fronte alla repentina prospettiva di vivere senza Edhuar, mi ero trovata come senza respiro.
- Io non voglio – singhiozzai.
- Non vuoi che cosa? – sussurrò lui.
- Non voglio dirti addio. Non voglio… separarmi da te!
Non avevo mai calpestato il mio orgoglio al punto da arrivare a implorare un uomo, ma con Edhuar non mi sentivo umiliata. Era stata una notte troppo lunga e io volevo solo tenermelo vicino. 
- Allegra… se mi vuoi, verrò via con te.
Le sue parole scesero nella mia testa con suono incomprensibile.
- Cosa…dici?
- Voglio venire nel tuo mondo. Qui non ho più nulla da fare ormai.
Il suo viso sincero mi strinse il cuore.
 Edhuar nel mio mondo, a casa mia, con la mamma, i miei amici… era davvero possibile?
- Rinunceresti a Katathaylon? Tu ami questa terra!
- Allora non mi vuoi con te? – mormorò triste.
- Certo che ti voglio, non scherzare! Ti voglio Khail, vieni nel mio mondo!
Lo strinsi per dare forza alle mie parole e il sollievo che provai annullò all’istante l’angoscia che avevo provato fino a un attimo prima.
- Alexen come sta?- domandò lui, quietamente – Ha usato tutte le sue energie, vero?
- È molto stanco – ammisi – Purtroppo non ha più avuto modo di riposare. È stata una notte difficile per lui… Khail… - esitai. Non volevo essere io a dargli la notizia.
Lui indagò ansiosamente il mio viso.
- Cosa succede? Ci sono stati problemi? Shiarah…
- Shiarah non c’entra – lo interruppi – Si tratta di tuo padre – chiusi gli occhi – È morto stanotte.
Edhuar sobbalzò, le sue spalle si curvarono sotto il colpo.                                
Non disse nulla per quasi un minuto intero, come se stesse assorbendo lentamente il significato delle mie parole.
- Mi spiace Khail… che sia accaduto proprio adesso.
Il rumore della porta che si apriva mi fece voltare di scatto. Alexen entrò nella stanza e chiuse l’uscio alle sue spalle, sorrise vedendo il fratello sveglio, ma il suo volto era stanco, segnato da profonde occhiaie.
Non aveva ancora avuto un istante per riposare dopo aver utilizzato tutte le energie per salvare Edhuar, il pomeriggio precedente. Appariva visibilmente esausto e provato.
- Che bello riaverti tra noi – disse, con un sorriso che gli raggiunse gli occhi – È stato difficile senza di te.
- Ho saputo… di papà.
Alexen si avvicinò e sedette in fondo al letto, con un sospiro sfinito.
- È morto serenamente.
- Eri con lui?
Alexen annuì.
- Mi dispiace Ed – sussurrò – Non è giusto, lo so.
La conversazione si stava facendo troppo intima, feci per alzarmi, ma Edhuar mi prese la mano.
- Perché ti dispiace Alex?
- Anche quando è morta mamma c’ero solo io.
- Questo non vuol dir nulla – Edhuar abbassò gli occhi e giocherellò con le mie dita – Se non fosse stato per te e per Allegra, non avrei mai avuto modo di parlare con papà.
- Gli ho raccontato di quello che hai fatto, di come hai ricongiunto Shiarah.
- Gli hai detto anche che hai usato il tuo potere per salvare me? – gli occhi di Edhuar rivelarono ansia, come se nonostante tutto non credesse ancora alle parole che il padre gli aveva rivolto il giorno prima. Non fino in fondo.
- L’aveva dato per scontato Ed, ha detto che ho fatto bene.
Edhuar sorrise, un sorriso amaro, dolce e triste insieme.
- Mi ha chiesto di riferirti una cosa – aggiunse Alexen lentamente – Ha detto che con il perdono che gli hai offerto, hai salvato non solo la tua vita, ma anche la sua anima.
Edhuar non rispose, abbassò gli occhi e per un attimo sembrò incapace di parlare.
- Sei un eroe Ed.
- Smettila.
- Dico veramente. Il racconto del tuo gesto ha già fatto il giro di Katathaylon.
- Chi ne ha parlato? - scattò sorpreso.
- Una volta superato il pericolo, era giusto informare il popolo di quanto fosse accaduto. Ora tutti sanno che hai ricongiunto Shiarah e salvato l’equilibrio… il tuo nome è sulla bocca di tutti.
- Sanno anche della mia rivolta?
Alexen scosse la testa.
- Di quella è informato solo il Vanathà insieme a coloro che si trovavano a Palazzo, non è necessario che altri ne vengano a conoscenza. Invece è bene che tutti possano apprezzare il valore del tuo sacrificio, questo rende perfettamente legittimo un cambio di sovrano.
Edhuar spalancò gli occhi, colto alla sprovvista.
- Dobbiamo risolvere la questione – proseguì Alexen – Domani ci saranno i funerali e fra tre giorni l’incoronazione. Se vuoi essere re non c’è nulla che te lo impedisca. Nostro padre ha lasciato a noi la scelta, il popolo ti osanna e io non ti sarò di ostacolo. Prendi il mio posto Ed.
Se Khail rimase scosso non lo diede a vedere. Il mio cuore invece mancò un battito, mentre il mio corpo s’irrigidiva d’istinto.
Questa era l’occasione di rivalsa che Edhuar aspettava da una vita, l’apice a cui avrebbe mai potuto aspirare.
Tentai di rendermi il meno visibile possibile, perché essere presente a quel momento era quanto di più difficile potesse accadermi.
- È quello che desideri vero? – ripeté Alexen.
- Si… è quello che desideravo – rispose lui. Non mi aveva ancora lasciato la mano – Ma adesso le cose sono cambiate. Io… ho deciso di andarmene con Allegra. Ti ringrazio Alex, ma tu sei stato preparato per essere re.
- Vuoi un po’ di tempo per rifletterci?
- No, non cambierò idea.
- Khail sei sicuro? – scattai all’improvviso – Questo era il tuo sogno! Tu… saresti un ottimo re!
Lui sorrise.
- Hai appena detto che non vuoi separarti da me. Hai detto…
- Sì,  lo so! – lo interruppi, prima che rivelasse le mie debolezze di fronte al fratello – Ma questo non significa che devi sacrificare per me una cosa così importante!
- Alexen sarà  re – ripeté lui – Io voglio venire con te.
Si rivolse al fratello.
- Grazie Alex. Ti ringrazio per l’opportunità che mi hai dato, per il tuo perdono… e per avermi salvato la vita. Non insidierò più la tua posizione, sarò felice in altro modo.
- Come preferisci. Ho sperato inutilmente – fece un sorriso tirato e il suo viso apparve ancora più stanco – Mi sembra impossibile che papà non sia più qui… che non sia più lui a governare su Katathaylon.
Edhuar assentì. Non ne parlavano, ma sentivo come una corrente sotterranea il dolore che entrambi provavano per la scomparsa del padre. Un dolore che si manifestava in Alexen come la percezione di un vuoto improvviso, mentre in Khail assumeva i contorni del rimpianto.
- Oggi si riunirà il Vanathà  per giudicare Ad’hera – disse Alexen – Dovremo essere tutti presenti. Cercate di riposare, perché ci aspetta un pomeriggio estenuante.
- Devi riposare tu Alex, sembri un fantasma.
Il principe sorrise ironicamente.
- Dovresti sapere che un re non dorme mai.
Nonostante il sorriso, mentre si dirigeva alla porta ebbi la netta sensazione che le sue spalle s’incurvassero sotto un invisibile fardello.
 
 
Al Giudizio venne coinvolto un numero considerevole di persone. Nella sala blu cupo ornata di incisioni bianche e rivestite con tappeti madreperlacei, erano disposti in cerchio dei piccoli tavolini in legno massiccio cui erano seduti tutti i partecipanti al Giudizio.
C’erano Ad’hera e Vivor a un panchetto, irrigiditi in un’espressione stizzita, seguiti a pochi centimetri dagli uomini che avevano torturato Edhuar per avere Shia e dai koryonos che li avevano catturati.
A un altro lato della stanza si trovava Edhuar, assieme a tutti gli amici che lo avevano aiutato nella rivolta e Sammel, l’uomo che aveva organizzato la fuga di Alexen. Seguivamo poi io e Vera e poco più in là Alexen, Sasamanka e tutto il Vanathà.
A Katathaylon la decisione finale del Giudizio spettava al re e questo ci dava una certa tranquillità. Al momento attuale, il posto era vacante e la giornata sarebbe servita a raccogliere le testimonianze, ma dopo l’incoronazione il verdetto sarebbe spettato ad Alexen.
Tuttavia il re non poteva non tenere conto del parere del Vanathà, prendere una decisione caldamente osteggiata dal consiglio avrebbe creato fratture interne. Sapevo che Alexen avrebbe fatto tutto il possibile per difenderci, ma non potevamo tralasciare il fatto che Edhuar, durante la sua rivolta, aveva imprigionato l’intero Vanathà.
Il consiglio era costituito da cinque membri rappresentativi: un giovane delegato del popolo d’Occidente, un giovane del popolo d’Oriente, un membro eletto della schiera dei koryonos, il kalashà di Arco d’Occidente – in questo caso Sasamanka – e una koralla indicata da Arco d’Oriente: Shilada.
Il modo in cui questi cinque membri avrebbero interpretato il corso degli eventi, sarebbe stato fondamentale per Edhuar.
- Iniziamo – esordì Sasamanka, e con un cenno fece segno ad Alexen di prendere la parola.
Il principe ereditario non si fece attendere, la sua voce chiara e misurata risuonò nella stanza.
- I fatti sono piuttosto lineari: Ad’hera ha spezzato il sigillo e ha cercato d’impadronirsi dell’intera Shiarah per scopi personali. Il mondo ha sfiorato l’instabilità a causa dell’avidità di quest’uomo.
Il rappresentate dei Koryonos, Semblax, annuì, ma subito chiese la parola.
- Condivido le vostre parole, ma ritengo opportuno ricordare che Sal Ad’hera non ha agito da solo. Sappiamo con certezza che le sue azioni erano tutelate del principe Edhuar.
- Il principe Edhuar aveva diverse motivazioni per ribellarsi alla mia autorità… motivazioni personali che avevano a che fare esclusivamente con me. Non conosceva le reali intenzioni di Ad’hera.
- Eppure molti di noi lo hanno visto allacciare il Braccialetto del Re al vostro polso… un uso inappropriato su cui non è possibile sorvolare – intervenne Shilada.
Sapevo che la koralla non avrebbe mai compreso e giustificato il comportamento di Edhuar.
- Mio fratello ha già ricevuto il perdono del re… e ancora prima il mio. Mio padre ha giudicato con severità le sue azioni e tuttavia le ha stimate di importanza trascurabile. Quando Edhuar si è accorto del sigillo spezzato, si è diretto ad Arco d’Oriente per ottenere Shia. Ad’hera ha inviato dei sicari allo scopo di assassinarlo e tenere per sé la Perla; mio fratello si è salvato solo grazie all’aiuto di questa ragazza del Mondo di Fuori, condotta a Katathaylon da isy Veraxis.
Per un istante tutti gli sguardi si concentrarono su di me. Feci del mio meglio per restare impassibile.
- Desidero testimoniare a favore del racconto del principe – intervenne uno dei koryonos – I sicari, nell’interrogatorio, hanno confessato.
- Dopo aver portato Shia a Palazzo, Edhuar ha liberato me e tutti voi – proseguì Alexen – E si è rimesso al nostro giudizio. Non credo sia poi necessario ricordare come abbia riunito Shiarah con le sue sole forze, arrivando prossimo alla morte.
Bretan e Shod, i due rappresentanti del popolo, sembravano persuasi dal discorso di Alexen, anche Semblax assentiva concorde. Solo Shilada restava impenetrabile.
- Io considererei la situazione con più cautela – intervenne Sasamanka – Non dimentichiamo che il nostro principe è fratello gemello di Edhuar, e quindi incline a credergli e a proteggerlo.
Socchiusi gli occhi e studiai il kalashà. Sasamanka non aveva mai mostrato un’eccessiva simpatia per Edhuar.
- Avete ragione – disse Bretan – Ma il fatto che il principe Edhuar ci abbia fatti liberare appena rientrato a Palazzo, è un dato oggettivo. Noi tutti credevamo che aspirasse al potere, non sapevamo che si fosse mosso per ristabilire l’equilibrio. Sal Ad’hera ci ha mentito per tutto il tempo.
- Non possiamo negare neppure che il ritorno dell’equilibrio sia  dovuto al principe – aggiunse Shod
 - Il rischio di morte superava di gran lunga la probabilità di riuscita. Questo gli rende grande onore.
- Isy Shilada? – chiese Alexen, rivolto alla koralla.
- Desidero riflettere ancora, prima di esprimere un’opinione definitiva.
- È giusto che anche Sal Ad’hera esprima il suo pensiero – intervenne Sasamanka, e Alexen gli diede l’assenso.
Tutti gli sguardi si rivolsero all’uomo che fino a quel momento aveva seguito la scena in un silenzio carico di disprezzo.
- Nobile Vanathà – si appellò, con voce leggermente stridula – Devo rifarmi alle parole del kalashà Sasamanka, che ha colto il nucleo del problema. Il principe Alexen si lascia fuorviare da un affetto particolare per il fratello, che lo rende cieco alla verità.
- A cosa vi riferite? – ruggì Semblax. Sembrava poco incline ad accettare senza replica un simile insulto rivolto al principe ereditario.
- Sono vittima di un complotto, ma nessuno prende in considerazione questa possibilità.
- Spiegatevi!
Ad’hera raddrizzò le spalle ampie, in cerca di uno scampolo di autorevolezza.
- Non ho fatto altro che eseguire gli ordini del principe Edhuar, il quale, minacciandomi di morte se avessi disobbedito, mi istruiva sul modo in cui agire. Sono stato una pedina nelle sue mani, non ho mosso un solo dito di mia iniziativa.
- Ne avete mosse molte di dita, Sal Ad’hera – disse con calma glaciale Vera – Non c’era il principe Edhuar a contare le frustate sul corpo dell’erede al trono. C’eravamo solo io, lui, voi e il vostro tirapiedi.
Ad’hera divenne rubicondo.
- Eseguivo solo gli ordini! – abbaiò – Il principe Edhuar si era impadronito del palazzo, non potevo fare diversamente!
Si voltò verso il Vanathà e alzò i palmi delle mani.
- Vi rendete conto del complotto? È tutta una recita! Il principe Edhuar è in accordo con quella ragazzina rossa, me l’ha rivelato lui stesso prima di andare ad Arco d’Oriente! Non vi sembra bizzarro che in questa faccenda sia coinvolto qualcuno del Mondo di Fuori? La stessa isy Veraxis, che ora mi accusa, fa parte del complotto!
Rimasi a bocca spalancata. Come poteva sperare di salvarsi con una fandonia tanto palese?
Eppure continuava a rivolgersi al Vanathà con veemenza.
- Non sono mai andato oltre i comandi del principe Edhuar – ansimò – Infierire sul principe è stato per me un tormento. Sono certo che il principe stesso si è accorto che nelle mie intenzioni non c’erano animosità né violenza!
Vera chiuse gli occhi di scatto.
- Stai bene? – le domandai, vedendola impallidire.
- Le affermazioni di Ad’hera mi fanno ribrezzo – sputò a bassa voce.
Il suo disprezzo mi fece alzare gli occhi su Alexen. Lui sedeva immobile, il suo sguardo era impenetrabile, gli occhi chiari brillavano freddi e attenti. Cercai di immaginare la rabbia che doveva ribollirgli in gola, la violenza suscitata dalle parole di Ad’hera. Eppure dal suo atteggiamento non trapelava nulla. Non aprì bocca per attaccare né per difendersi, si limitò a osservare gli avvenimenti con distacco, come se fosse giudice di un processo che non lo riguardava. Niente vendette personali, aveva detto Edhuar ai koryonos, e lo stesso riguardava Alexen.
- Isy Veraxis, era davvero così evidente il dispiacere di sal Ad’hera nel tormentare il principe? – chiese Semblax, con un tono in cui riconobbi un sarcasmo sottile. Non doveva essergli sfuggita la reazione di Vera alle parole del kalashà.
- Se il principe avesse percepito un minimo di compassione nel suo torturatore, non l’avrebbe detestato quanto invece ha fatto.
- Forniteci dei dettagli in merito, isy.
- Cosa desiderate che vi racconti? – rispose seccamente –  Il terrore che poteva suscitare un interrogatorio di quest’uomo che si proclama tanto sensibile e compassionevole?
- Sì isy, esattamente. Voi siete stata testimone della prigionia del principe, e tutti sanno che una koralla non mente.
Vera rimase in silenzio, valutando le parole con cui rispondere.
- Il principe Alexen ha coraggio e grande forza interiore – disse infine – Non si è mai lamentato di quello che gli toccava subire, non ha tradito i suoi principi… posso testimoniare sul suo valore. Eppure è arrivato a pronunciare parole di disperazione e di disgusto tali, che solo la crudeltà di quell’uomo poteva far scaturire.
- Quali parole?
Vera abbassò gli occhi, ma solo per un istante.
- “Quando sento il rumore che indica l’arrivo di Ad’hera, il mio corpo inizia a tremare senza controllo” – sussurrò – “Quando lo vedo, provo un senso di nausea così forte che mi metterei a vomitare.”
Istintivamente guardai Alexen per studiare la sua reazione di fronte a ciò che era, per lui, l’ennesima umiliazione.
Era dovere di Vera parlare con sincerità, ma non per questo le sue parole avrebbero lasciato indenne l’orgoglio già calpestato del principe.
Alexen accusò il colpo, me ne accorsi dalla fissità dello sguardo indirizzata a un punto indefinito della stanza. Comunque non fiatò, lasciando che ciascuno di noi valutasse secondo i propri criteri il significato di ciò che Vera aveva rivelato.
- Posso parlare?
Sammel, il guardiano che aveva aiutato Vera e Alexen a scappare, si era alzato in piedi.
Semblax gli fece cenno di proseguire.
- Nobile Vanathà, ho avuto modo di vedere il principe Alexen ogni giorno da quando è stato chiuso in cella. Sal Ad’hera non ha mai avuto un gesto né una parola di compassione verso di lui, cosa che sarebbe stata impensabile se le sue affermazioni di oggi fossero vere. I segni sul corpo del principe, le urla che gli interrogatori gli strappavano, denotavano proprio quella crudeltà e quella violenza che Ad’hera cerca di negare. Non ho mai visto nessun altro soffrire a quel modo, eppure il kalashà non ha mai manifestato un solo gesto di comprensione, al contrario ha infierito sul suo corpo senza sosta. Senza il sostegno di isy Veraxis, che si privava del cibo e della propria energia per aiutare il principe, oggi l’erede al trono sarebbe morto.
Nonostante la crudezza delle parole di Sammel, non potei trattenere un sorriso di soddisfazione. Godetti profondamente dell’espressione seccata sul volto di Ad’hera.
- Vi ringrazio – disse Semblax annuendo seccamente. L’intero Vanathà aveva ascoltato attentamente.
Sasamanka richiamò il nostro interesse con un gesto della mano.
- Sal Ad’hera, la crudeltà di cui siete colpevole era naturale o piuttosto è stata imposta dal principe Edhuar?
Ad’hera non riuscì a nascondere il suo compiacimento.
- È stata imposta, naturalmente! Benché il principe fosse assente da palazzo, aveva lasciato ordine di trattare il fratello con la massima durezza, pena la mia stessa morte se fossi venuto meno alla sua richiesta. Mi ha domandato esplicitamente di torturarlo oltre le sue forze, di imporgli le condizioni più disumane, indipendentemente dalla possibilità di ricavarne guadagno. Ciò che voleva ottenere Edhuar, oltre a Shiarah… - girò lo sguardo sull’intero Vanathà - … era la morte del fratello.
Sussultai sotto quella menzogna spietata e i miei occhi scattarono su Edhuar. Lo trovarono pallido, ma perfettamente controllato.
- Siete certo di quello che dite sal Ad’hera? – chiese Shod seccamente – Una simile accusa richiede prove.
- Il principe Alexen indossava il Braccialetto del Re… di quali altre prove necessitate? È stato il fratello a imporglielo… questioni personali dice… questioni che riguardavano l’odio, l’invidia e il rancore di Edhuar per l’erede al trono!
Prima di rendermene conto, strinsi i pugni e scattai in piedi. Vera mi afferrò per il gomito e mi fece risedere.
- Controllati – bisbigliò – Se vuoi difenderlo, fallo con intelligenza.
Mi costrinsi a ricordare i danni che avevo prodotto ogni volta che avevo seguito i miei impulsi.
Presi fiato, respirai lentamente, contai fino a cinque.
- Questo non è vero – dissi con voce chiara, e considerato il tumulto che avevo in cuore, il mio tono risuonò saggiamente modulato.
- Ho fatto l’intero viaggio con il principe Edhuar e la sua unica preoccupazione è sempre stata quella di ripristinare l’equilibrio. Ho assistito con i miei occhi alle sevizie che ha dovuto subire da parte di quegli uomini – li indicai tra la folla – Loro stessi, dopotutto, hanno confessato.
- Isy Allegra, siete completamente certa di ciò che dite? – chiese Shilada, con calmo interesse.
- Sì, la sono. Come sono certa che Edhuar non abbia mai ordinato di torturare il fratello. Non aveva consapevolezza del trattamento che Alexen stava subendo, quando se n’è reso conto non ha più avuto pace!
Semblax annuì e si rivolse ad Ad’hera.
- Non ci sono prove che confermino ciò che dite, sal. Restate inoltre il maggior indiziato per quanto riguarda la rottura del sigillo di Rah.
Ad’hera sogghignò e quel suono mi mise l’inquietudine in cuore.
- Questo non è possibile. Il giorno della rivolta sono sempre rimasto sotto gli occhi di tutti. L’unico momento in cui mi sono assentato è stato quello in cui ho trovato il sigillo spezzato. E non ero solo – girò lo sguardo per la stanza e lo fermò su Katos – Lui era con me
Katos sembrò a disagio.
- Chiarite questo punto – lo incalzò Semblax – Eravate con sal Ad’hera?
- Sì – Katos lo ammise di malavoglia, chinando dispiaciuto il capo.
- Questo nega la possibilità che io abbia spezzato il sigillo – ghignò Ad’hera – Quando l’ho visto la prima volta, si trovava già in quelle condizioni.
Shilada raddrizzò la schiena e si voltò lentamente verso Edhuar.
- Confermate anche voi principe? Sal Ad’hera  è stato vicino a voi fino al momento in cui si è allontanato con sal Katos?
- Io… - Edhuar sembrò confuso, spiazzato - … Non lo so – ammise – Non ci ho fatto caso.
- Credo che per oggi sia sufficiente – intervenne improvvisamente Alexen – Io e il Vanathà rifletteremo accuratamente su quanto è stato detto oggi. Riprenderemo dopo i funerali di mio padre.
Le sue parole incrinarono la tensione che a poco a poco era diventata elemento naturale del processo.
Mi alzai con le gambe tremanti, vibrante di nervosismo e di rabbia. La faccia tosta di Ad’hera risultava quasi disarmante nella sua follia. Non riuscivo a liberarmi dal disgusto provocato dalle sue insulse affermazioni.
Uscii dalla stanza in preda all’ira e Vera, accorgendosene, mi pilotò in un salottino attiguo.
- Cerca di calmarti – mi disse piano – Purtroppo era prevedibile che Ad’hera avrebbe mentito per cercare di salvarsi. È il minimo che possa fare.
- Sì, ma le cose che ha detto! – esclamai con foga – Ti sei resa conto? Se non mi avessi fermata, quando mi sono alzata in piedi l’avrei preso a pugni! Stavo per farlo, Vera, sul serio!
- Sarebbe stato piacevole da vedere – disse una voce alle mie spalle. Mi voltai di scatto e incontrai il sorriso di Edhuar.
- È un peccato che isy Veraxis ti abbia convinta a desistere! – rise – Ti ho tenuta d’occhio e a un certo punto ho temuto che saresti implosa!
- Come puoi ridere? – sussurrai senza fiato – Non hai sentito cosa ha detto di te?
- Ho sentito – confermò, e il sorriso gli balenò ancora sulle labbra – Non è diverso da ciò che tu stessa dicevi di me fino a pochi giorni fa.
Avvampai di vergogna, rendendomi conto che aveva ragione.
- Ho apprezzato il modo in cui hai preso le mie difese – aggiunse lui – Ti ringrazio.
In quel momento anche Alexen entrò nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Quando alzò lo sguardo e ci vide, non riuscì a nascondere il suo divertimento.
- Siamo tutti qui – sorrise – Abbiamo avuto tutti la stessa idea.
- C’era bisogno di un istante di pace dopo l’ultima ora – convenne Edhuar, sedendosi su una poltrona con un sospiro di stanchezza.
- Avevo predetto che sarebbe stato pesante.
- È stato snervante invece! – sbottai – Quell’Ad’hera è insopportabile, gli sarei saltata alla gola! Come riesci a restare così controllato Alexen? Con quello che ti ha fatto? Persino Vera era turbata!
Alexen passò sulla koralla uno sguardo preoccupato.
- Non è stato semplice, ma dobbiamo sforzarci di restare calmi e di agire in modo intelligente.
- Temo di avere sbagliato – mormorò Vera – Non dovevo riferire le tue parole al Vanathà. So di averti turbato, e durante il Giudizio può diventare pericoloso. Mi dispiace Alexen.
- Credo che abbiate agito bene invece – la contraddisse Edhuar – Le vostre parole sono state le uniche a provocare un minimo di benevolenza da parte di isy Shilada.
- Edhuar ha ragione – Alexen le sorrise – So che quello che fai, lo fai sempre con criterio. Non sarà questa piccola umiliazione a distruggermi. La priorità è riunire il Vanathà in un unico consenso. Ad’hera sta tentando una mossa disperata, ma non ci sono prove di ciò che va dicendo, avrebbe bisogno di elementi più concreti. Al momento, noi restiamo in vantaggio.
- Non condanneranno Khail, vero? – domandai.
- La decisione finale spetta a me, e non manderò mai mio fratello a morte, di questo potete stare certi. Ora andiamo a riposare, fra un paio d’ore inizierà il ricevimento indetto per onorare la salma di mio padre. Gran parte del popolo verrà a rendergli omaggio, sarà una serata impegnativa.
Invece di tornare per il corridoio da cui eravamo entrati e per cui avremmo incrociato ancora tutti coloro che avevano partecipato al Giudizio, Alexen ci invitò a passare per un’altra stanza che ci avrebbe permesso di allontanarci indisturbati. Ma quando aprì la porta, al centro del salotto trovò Ad’hera.
Era solo, ritto in piedi sul tappeto con i polsi legati di fronte a sé. Era stato momentaneamente lasciato nella stanza mentre attendeva di essere ricondotto in prigione.
Alexen sussultò, impreparato alla sua vista, ma quando l’uomo gli rivolse un sorriso beffardo, scelse di ignorarlo. Attraversò la stanza diretto all’altra porta senza degnarlo di uno sguardo.
Ad’hera però, rosso in viso e ringalluzzito dalle accuse che aveva appena lanciato, non resistette dal provocarlo.
- Ho sentito le vostre parole Alexen. Solo perché ora vi siete ripulito e avete ripreso il vostro titolo, credete di potervi liberare di me? Siete solamente uno sciocco arrogante.
- I fatti parleranno da soli Ad’hera – replicò lui freddamente – State facendo lo sbruffone, ma sapete quanto me che non avete possibilità di salvarvi.
L’uomo scoppiò a ridere e scrollò la testa.
- Siete solo un ragazzino e valete poco più di niente! Io vi conosco bene Alexen… - Ad’hera abbassò il tono e la sua voce si fece insidiosa – Conosco molto bene i vostri punti deboli. Me ne avete rivelati molti, nei nostri… incontri privati – calcò volutamente sulle ultime parole.
Edhuar mi si affiancò all’improvviso, per venire in aiuto al fratello.
- Confondere le acque non vi servirà a nulla! – lo apostrofò – Non appena Alexen sarà re, non ci sarà più nessuno che potrà soccorrervi!
- Principe Edhuar… - Ad’hera lo soppesò con un accenno di sorriso – Un altro sciocco. Vi siete comportato in maniera così stupida! Una volta scampato ai miei uomini e rientrato a palazzo, avreste potuto tenere il trono per voi! Perché vi siete consegnato? Siete uno stupido!
- Pensate per voi Ad’hera.
- Siete ancora in tempo a cambiare idea Edhuar. Ve l’ho ripetuto spesso, siete migliore di vostro fratello, potete prendere il trono per voi! Il principe Alexen non è che un debole e un vigliacco!
Accennò a lui e solo in quel momento mi accorsi delle condizioni di Alexen. Era sbiancato e la sua pelle aveva assunto un pallore mortale sotto il sottile velo di sudore gelato che gli ricopriva la fronte. Le pupille gli si erano dilatate in modo allarmante. Stava male?
- Vostro fratello non è che un topolino terrorizzato! – sogghignò Ad’hera – Guardate bene Edhuar!
Con un movimento brusco avanzò verso Alexen e alzò le mani legate verso di lui, in un gesto minaccioso.
Alexen arretrò istintivamente trovandosi con le spalle al muro. Si appoggiò una mano sullo stomaco piegandosi di poco in avanti, come se fosse stato colpito da una fitta dolorosa. Il sudore iniziò a scivolargli copiosamente dal viso, mentre la sua respirazione si faceva ansante.
- Vedete? – esclamò Ad’hera trionfante – Basta la minima minaccia a farlo crollare! – si girò verso Alexen mellifluo – Avete i crampi allo stomaco principe? Temete di non riuscire a contenervi? Vi capisco! Sapete… - si voltò verso di noi - …non è una novità per lui! Durante uno degli ultimi interrogatori se l’è fatta sotto!
Inorridii di fronte a tanta crudeltà gratuita. Edhuar scattò con rabbia e si frappose fra  Ad’hera e il fratello.
- Non osate andare oltre! – sibilò.
- Avete compreso ciò che ho detto, Edhuar? Non potete lasciare il torno a un uomo così debole! Possiamo ancora ristabilire il nostro accordo!
- Uomo debole? – Edhuar vibrava di furore – Voi, nelle sue condizioni, non avreste resistito una sola ora!
Per un attimo pensai che Khail gli sarebbe saltato alla gola, percepivo un odio tale da parte sua che non mi sarei sorpresa se l’avesse strangolato a mani nude.
Ma proprio in quel momento, le guardie addette alla custodia di Ad’hera entrarono nella stanza per ricondurlo in prigione. Si accorsero del viso alterato di Edhuar ed esitarono.
- Ci sono stati problemi principe?
- Riconducetelo immediatamente in cella!
Si accostarono al prigioniero, ma ancora una volta si fermarono percependo la furia di Edhuar.
- Avete indicazioni particolari? – insistette uno dei due, accorgendosi con tutta probabilità che doveva essere accaduto qualcosa di grave.
Edhuar rimase zitto, la fronte contratta dalla rabbia, i pugni serrati. Stava lottando contro l’odio feroce che provava, e sperai che avrebbe ordinato di fustigare Ad’hera, o quanto meno di fargli saltare qualche pasto. Non avrebbe pareggiato i conti, ma mi avrebbe dato una minima parte di  soddisfazione.
Invece Edhuar aspettò finché l’accesso più violento di rabbia non si fu calmato, rilassò forzatamente le spalle e diede la schiena ad Ad’hera.
- Nessuna indicazione particolare – disse con voce gelida – Assicuratevi solo che non scappi.
Provai una fitta di delusione di fronte al suo incrollabile autocontrollo.
Non appena Ad’hera ebbe lasciato la stanza, Edhuar si voltò verso il fratello accasciato contro il muro. Gli appoggiò le mani sulle spalle per aiutarlo a sostenersi, mentre Alexen tremava come una foglia di fronte a lui.
- Cosa mi succede? – ansimò il principe, sconvolto – Che cosa succede al mio corpo?
- È una reazione normale Alex, è passato troppo poco tempo dalla tua prigionia!
- No…non è normale! Mentre Ad’hera mi parlava, la stanza era scomparsa. Mi sono ritrovato di nuovo in cella, come se fossi stato ancora prigioniero – gemette e si staccò da Edhuar premendosi le mani sullo stomaco – È stato un incubo a occhi aperti?
- Forse. Ma anche in questo caso non sarebbe strano… Sei stato prigioniero di Ad’hera per giorni, ha fatto di te… quello che voleva. Ti ha mentito, umiliato, tormentato… il tuo corpo ora reagisce di conseguenza.
- Lo so – gemette – Ma non lo accetto. Ho paura di non liberarmene più, di… di portarmelo dentro per sempre. Non sopporto quello che Ad’hera mi ha fatto conoscere… di me stesso. La mia debolezza, la mia codardia, la paura… Io non avevo mai avuto paura prima, di nessuno, mai - chiuse gli occhi, con angoscia – Quello che ha detto sul farsela sotto…è successo davvero.
Le sue parole, pulsanti di vergogna, mi fecero abbassare lo sguardo.
Vera invece si avvicinò con passo silenzioso e, generando lo stupore generale, abbracciò Alexen, brevemente.
- Non puoi fare la predica a me, e poi non seguire i tuoi stessi consigli – gli sussurrò, vicino all’orecchio.
- Alex, tutti noi in questi ultimi giorni abbiamo scoperto sgradevoli verità su noi stessi – aggiunse Edhuar -  Non è semplice per me, convivere con la consapevolezza di averti tradito.
- Allora lo stesso vale anche per me! – realizzai all’improvviso – Ho combinato talmente tanti pasticci con il mio carattere impulsivo! Ho… ho quasi ucciso Khail!
Lo sguardo stanco di Alexen ci abbracciò interamente.
- Scusatemi, non volevo lamentarmi. Avete ragione, imparerò a sopportarlo.
Chiuse gli occhi, come se stesse cercando di concentrarsi su qualcosa di importante che non riusciva a riportare alla mente.
-  Ma non è solo questo, c’è anche dell’altro. Ho un presentimento negativo di minaccia, di pericolo, ma non riesco a focalizzarlo. È la stessa sensazione che ho provato quando Edhuar ha innescato la rivolta, ma in quel caso ho compreso perfettamente in che direzione si muoveva il pericolo. Questa volta invece non riesco a definirlo e questo mi mette ansia… non so da quale parte dobbiamo difenderci.
In un certo senso riuscivo a capirlo, anch’io provavo quella stessa sensazione. Non era necessario possedere un dono speciale per accorgersene… c’era stato qualcosa quel pomeriggio che mi aveva messa in allarme. Come Alexen, non riuscivo a definirlo con precisione, eppure qualcosa aveva deviato e mi aveva lasciato in gola il sapore dell’inquietudine.
E la stessa inquietudine la provavano ora i miei compagni, lo potei intravedere dai loro occhi e dalla nota ansiosa che si era accesa nello sguardo di ciascuno.
 
 
*                *                *
 
 
Quando Vera venne a chiamarmi, mi trovò ancora in mutande. Mi ero crogiolata a lungo nel calore dell’acqua, facendo il bagno, fermandomi a rimuginare sugli eventi della giornata, con l’effetto collaterale di rallentare i preparativi per la serata.
Vera, splendida in un abito blu opaco e i capelli raccolti in un delicato chignon, osservò il mio abbigliamento ed emise un sospiro rassegnato.
- Sbrigati… Ormai i primi visitatori saranno già arrivati a rendere omaggio alla salma.
- Vai avanti, ti raggiungo tra poco.
Vera mi studiò con palese scetticismo.
- Sei sicura di riuscire a trovare la sala? Non fai che perderti in questo palazzo!
- Vera, non essere offensiva! – protestai, punta nell’orgoglio – Ormai ho imparato a orientarmi, precedimi, devi affiancare Alexen!
Se ne andò, ma con una punta di rimpianto, quasi pensasse che non sarei più apparsa alla cerimonia. Avrei quasi potuto dire che sentisse il bisogno del mio sostegno, nella sua prima apparizione in pubblico come futura regina. Ma mi era difficile immaginare una simile debolezza in Vera.
Mi vestii con cura, indossando un abito azzurro che mi era stato suggerito per l’occasione. A Katathaylon il colore del lutto era il blu, che si declinava, nell’abbigliamento, dalle tonalità più chiare alle più scure, in base al ruolo rivestito. Il mio vestito era azzurro chiaro, come quello di una qualsiasi popolana, ma il ricamo blu notte agli orli indicava posizione particolare, vicina al cuore dei sovrani.
Quando finii di acconciarmi i capelli, era trascorso almeno un quarto d’ora. Infilai le scarpette basse color zucchero e uscii in corridoio con una certa fretta. Mi diressi a colpo sicuro alla scalinata e scesi per due piani. L’ultima volta che ero salita li avevo contati, per essere sicura di non sbagliare, così, arrivata al piano giusto, svoltai a destra e percorsi il corridoio… ma mi trovai di fronte al muro.
Perplessa, ritornai sui miei passi, ricontrollai con attenzione il percorso, ma non vidi nessun indizio che mi ricordasse il tragitto che avevo memorizzato. Tornai alle scale meditabonda. Dovevo forse scendere di un altro piano?
Quando lo feci però, valutai che la situazione non era cambiata. Non riconoscevo i muri, che erano più scuri di quelli dei piani alti, né il pavimento, ora coperto da una patina di sabbia.
Feci per tornare indietro, spazientita, quando scorsi Sasamanka, in fondo al corridoio, infilarsi in una porta. D’impulso scattai verso l’uscio che si stava richiudendo, pensando di chiedergli indicazioni,ma quando attraversai la porta venni bloccata da un nauseabondo odore di muffa e di umidità.
Impiegai pochi secondi a intuire in quale luogo fossi capitata. Avevo visto le prigioni troppe volte nelle immagini che mi trasmetteva Vera, per non riconoscerle all’istante. L’istinto fu di fare dietro front, ma immediatamente un secondo pensiero rincorse il primo scavalcandolo.
Cosa ci faceva Sasamanka nelle prigioni?
In quel momento identificai con precisione la sensazione avvertita quel pomeriggio.
Sasamanka non mi era piaciuto. Per nulla.
Quel suo modo di contraddire velatamente Alexen, di attaccare Edhuar, di incoraggiare le insinuazioni di Ad’hera…
Perché?
Improvvisamente decisi che era fondamentale indagare a fondo. Forse in questa presa di posizione rientrava più il mio spirito d’avventura che non il buon senso, fatto sta che mi trovai a rasentare silenziosamente il muro e a scendere i pochi scalini che portavano nel cuore delle carceri.
Mi fermai appena prima di svoltare l’angolo, paralizzata dalla voce di Ad’hera a pochi centimetri da me.
- Sei sicuro che nessuno abbia sospetti? – stava bisbigliando.
- Nessuno farà caso alla mia assenza – ribatté Sasamanka – Tutta Katathaylon sta rendendo onore alla salma del re, non scenderà nessuno fino a notte fonda. E quando lo faranno, la situazione si sarà capovolta.
Il suo tono mi diede i brividi.
- Intendi dire che hai già agito?
Sasamanka sghignazzò.
- Ho aggiunto la Pollutia al calice reale.
Impiegai qualche istante ad afferrare la situazione, perché era quasi impensabile accettare che Sasamanka, il braccio destro di Alexen, rimasto imprigionato con lui fino a qualche giorno prima, fosse in realtà in combutta con Ad’hera.
- Non possiamo rischiare che Alexen rimanga in vita – stava dicendo Ad’hera, con la voce acutizzata dall’ansia.
- Per questo ho usato la Pollutia. Se anche il principe dovesse solo bagnarsi le labbra prima di accorgersi dell’inganno, quella quantità sarebbe sufficiente a ucciderlo. Impiegherebbe solo un po’ più di tempo, ma l’esito sarebbe comunque fatale.
- Nessuno deve sospettare di te. Sei stato attento?
- Non c’è motivo per cui debbano pensare a me. Nessuno ci ha mai visti assieme, ci credono nemici. Devi stare più tranquillo o finirai per tradirti.
- Non vedo l’ora che questa notte passi. Se Alexen cade avvelenato mentre mi trovo in carcere, le mie accuse riprenderanno valore e il primo sospettato tornerà Edhuar. A quel punto non potrà essere incoronato fino al verdetto finale e la decisione ricadrà interamente sul Vanathà.
- E io faccio parte del Vanathà – soggiunse Sasamanka, con una risatina che mi fece gelare il cuore – Riuscirò facilmente a spingere il Giudizio contro Edhuar. Shilada non lo vede già di buon occhio e anche gli altri mi seguiranno, dopo l’avvelenamento di Alexen. Lo faremo condannare e giustiziare e a quel punto a governare su Katathaylon resteremo noi.
- Non correre troppo – lo frenò Ad’hera – Può andare tutto storto. Vediamo cosa succede stasera.
Sasamanka rise, sicuro di sé.
- A quest’ora Alexen potrebbe anche essere già morto!
Solo quelle parole ebbero il potere di scuotermi dalla paralisi di orrore che mi aveva avviluppata. Indietreggiai cautamente, silenziosa com’ero arrivata e risalii gli scalini con la gola schiacciata da un nodo d’angoscia, le orecchie assordate dal rimbombo del mio cuore.
Tornai in corridoio e iniziai a correre a perdifiato per la scalinata. Forse potevo fare qualcosa, forse non era ancora così tardi!
Salii per due piani e svoltai a sinistra, corsi per tutta la lunghezza del corridoio, cercando un indizio, infilai una porticina e quando vidi una scala a chiocciola scesi ancora. Dovevo trovare il modo di uscire da quel labirinto… dovevo avvertire Vera, fermare Alexen… Aprii una porticina e mi trovai in giardino.
Per poco non scoppiai in lacrime, ma non c’era tempo neppure per quello. Era passata più di mezzora dal momento in cui Vera era venuta a cercarmi in camera!
Feci per voltarmi indietro, poi vidi un signore anziano chino fra le piante, un vecchio giardiniere che aveva aspettato l’ombra della sera per annaffiare. La sorpresa di trovare un’anima viva al di fuori del salone reale, mi fece battere le palpebre più volte. Poi mi avventai sull’uomo per chiedergli informazioni.
Scoprii di non essere così lontana e ripartii di corsa, ormai ricoperta di sudore. Seguendo le indicazioni del giardiniere arrivai in un paio di minuti, ma venni presa di nuovo dallo sconforto scorgendo la fila davanti alla porta. Avevo un abito da popolana, come avrei fatto a passare davanti a tutti, senza Vera?
Potevo contare solo sulla forza bruta, così mi buttai in mezzo alla folla spingendo, facendomi strada a gomitate. Non prestai ascolto alle proteste e ai richiami, guadagnandomi la porta centimetro dopo centimetro.
Oltrepassai la soglia con un ultimo spintone e mi schiacciai contro il muro, rasentando il lato sinistro della stanza fino a vedere la famiglia reale.
Alexen stava parlando al popolo, sentivo confusamente mozziconi di parole… la parte finale di un discorso di commiato al padre. Era in piedi, affiancato da Vera ed Edhuar, e nessuno dei tre mi vide.
C’era brusio nella stanza e io ero senza fiato, mi staccai dal muro facendomi largo fra la gente, cercando di raggiungerli.
Quando Alexen alzò il calice per il brindisi, mi si fermò il cuore. Urlai, ma la mia voce si perse fra le tante voci. Spinsi gente a destra e a sinistra, finché trovai un varco. Feci di scatto gli ultimi metri, accecata dal sudore e quando vidi che Alexen stava portando il calice alle labbra, mi sporsi con un balzo verso di lui. Afferrai il calice e lo tirai verso di me, strappandoglielo di mano.
Il suo sguardo divenne confuso.
- Allegra..?
- È avvelenato – ansimai – L’ha avvelenato Sasamanka, è d’accordo con Ad’hera! Li ho sentiti parlare!
Lo vidi sbiancare e il suo sguardo scese sulle mie labbra.
Solo in quel momento sentii sulla lingua il sapore amarognolo. Abbassai lo sguardo sul calice, con orrore. Nella foga di strapparlo dalle mani di Alexen, mi ero rovesciata il vino addosso e una parte mi era finita sul viso.
Ricordai come un’eco lontano le parole di Sasamanka.
“Anche se dovesse solo bagnarsi le labbra, quella quantità sarebbe sufficiente a ucciderlo”
Alexen si sporse verso di me, e fu l’ultima cosa che vidi. Poi venne il nero totale.
 

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Capitolo 36
*** Sacrificio ***


 Vera sedeva in silenzio davanti alla finestra, ascoltando il soffio leggero del suo stesso respiro.
Il suo posto sarebbe stato accanto ad Alexen, a congedare la folla e ad arrestare Sasamanka, ma il principe non aveva avuto cuore di allontanarla dall’amica che, nella stanza accanto, si trovava ancora priva di sensi sotto la cura del dottore.
Vedere Allegra crollare fra le braccia del principe come un sacco vuoto, l’aveva scossa in profondità. Quando si era resa conto che non avrebbe ripreso conoscenza, i suoi pensieri si erano cristallizzati in una sequenza d’orrore infinita. Non era riuscita a muoversi, né a parlare, né a decidere alcunché. Aveva lasciato tutto nelle mani di Alexen, paralizzata dallo shock. Vera chiuse gli occhi di fronte ai suoi stessi pensieri.
Perché né lei né Alexen erano stati in grado di identificare il pericolo?
L’unica risposta che le saliva alla mente le era sgradita come un odore nauseabondo. Sapeva che Alexen era stravolto, non riposava da trentasei ore.  Aveva subito l’attacco del Ponte delle Koralle, si era consumato salvando la vita al fratello, aveva vegliato il padre fino all’ultimo minuto, era rimasto provato dalla sua morte, dal processo e dalle minacce di Ad’hera. Una premonizione precisa richiedeva energia e lucidità.
Ma lei…
Lei non aveva altre scusanti se non il turbamento dato dall’invasione di Alexen e dalla sconfitta al Ponte. I suoi poteri non erano paragonabili a quelli del principe, ma se non si fosse trovata così emotivamente provata…
Strinse i pugni.
Sarebbe riuscita, in quel caso, a scoprire l’inganno di Sasamanka? Non ne era sicura. Non aveva mai avuto modo di dubitare di lui, al contrario di Allegra, che in qualche modo era riuscita a sospettare la verità.
Era stato Sasamanka a spezzare il sigillo di Rah, ora se ne rendeva conto. Era stato in combutta con Ad’hera fin dal principio. Non se n’era accorta e ora a pagarne lo scotto era la sua migliore amica, l’irruente, generosa, impulsiva Allegra, che aveva salvato Alexen a un prezzo che rischiava di diventare troppo salato. Vera era certa che l’amica non si fosse soffermata a riflettere sul rischio che stava correndo, si era limitata ad agire il più rapidamente possibile, come ogni volta.
Alzò la testa e gettò un’occhiata a Edhuar, seduto a un tavolino più distante. I capelli gli coprivano completamente il viso chino, nascosto fra le mani. Il suo dolore immobile riusciva ad avere una risonanza così estesa da rimbombare contro i muri. Se ancora le fossero rimasti dei dubbi sui sentimenti che nutriva per Allegra, in quel momento sarebbero rimasti soffocati da un’angoscia che non avrebbe potuto essere più genuina.
La porta si aprì con uno scatto, rivelando sulla soglia un Alexen ancora una volta sfinito, pallido come un foglio di carta. Sembrava che alla sua stanchezza non ci fosse limite, ogni volta che Vera lo vedeva, il principe appariva sempre più spossato.
Ma ugualmente era riuscito a contenere il panico della folla, a congedare i visitatori e a condurre la cattura del traditore.
- Come sta? – domandò per prima cosa.
Vera scosse il capo e indicò la porta ancora chiusa della stanza di Allegra.
- E tu? – sussurrò – Com’è andata?
- Sasamanka è in prigione, l’abbiamo trovato mentre risaliva dai sotterranei. Molti dei presenti hanno sentito le parole di Allegra… il Vanathà non mostrerà più indecisioni riguardo al giudizio finale.
Vera si alzò e gli scostò una sedia.
- Siediti Alexen. Se ora non riposi, avrai un collasso.
Lui obbedì, ma in quell’istante il dottore fece il suo ingresso nella stanza. La sua espressione era tale da far avvizzire le speranze più tenaci.
- È… morta? – chiese Vera, con un fil di voce.
Il dottore fece un cenno di diniego.
- Ha inghiottito una quantità ridottissima di veleno, che non l’ha ancora uccisa – il medico esitò davanti a quella platea disperata – Ma si tratta di Pollutia – gettò un’occhiata ad Alexen – Chi ha messo il veleno nel vino non voleva correre  il rischio che vi salvaste.
Edhuar era immobile, pallido come se nelle sue vene non fosse mai scorso sangue.
- Avete tentato il possibile? – chiese Alexen secco.
- Le ho somministrato tutto ciò che ho ritenuto utile, ma vi suggerisco di non farvi illusioni – fece una pausa, ma poi si decise ad aggiungere – Non arriverà all’alba.
Vera girò il volto per non mostrare il dolore che non riusciva più a controllare.
Se avesse saputo che questo era il destino a cui aveva avviato l’amica… Se l’avesse intuito… Se una premonizione le avesse rivelato che il grande sogno di Allegra l’avrebbe condotta a questo…
- Smettila di incolparti – mormorò Alexen.
Vera alzò il capo e si accorse che il medico era tornato nella stanza adiacente.
Edhuar aveva chiuso gli occhi, come non potesse accettare oltre la realtà in cui si trovava. E chi, fra loro, poteva accettarla? Il medico non aveva dato speranze. Non c’erano più soluzioni, fuorché una.
Restava una sola possibilità di guarire Allegra, ma non poteva essere lei a suggerirla. Non poteva essere lei a imporre una scelta così gravosa, che avrebbe cambiato il destino di Katathaylon.
- Un modo per salvarla esiste – disse Alexen, dando voce al suo stesso pensiero – Lo sai, Edhuar.
Lui non lo guardò, ma non poteva non aver sentito.
- Per me va bene – aggiunse Alexen – Io non ho obiezioni a farlo.
Edhuar alzò lo sguardo e i suoi occhi disperati si incisero nella mente di Vera.
- Sapete che se lo fate… - gli bisbigliò…ma s’interruppe. Era ovvio che lo sapeva.
- Non c’è altra scelta – mormorò Edhuar, con una voce che non era più la sua.
Poi si coprì il volto con una mano e scoppiò in lacrime.
 
 
Il volto di Allegra era grigio e inespressivo come una maschera di gomma priva di una sagoma su cui modellarsi. Senza la consueta vivacità, quel viso sembrava già morto.
Vera avvertiva acutamente il silenzio immobile della camera, paradossale se provava a immaginare ciò che stava avvenendo nella stanza accanto.
Fate presto – pregò Vera silenziosamente.
Sarebbe stato orribile se Allegra fosse morta in quell’istante, prima che potessero fare qualunque cosa per riportarla indietro.
Si accorgeva in quel momento di quanto fosse stato ridicolo il suo tentativo di sigillare il dolore  in fondo all’animo. Niente avrebbe potuto ripararla da quella sofferenza.
Ti prego Allegra, resisti!
Quando la porta scattò, ebbe un sussulto. Il viso di Alexen era pallido e tirato, quello di Edhuar stravolto. Apparentemente non era cambiato nulla, eppure, in quei pochi istanti, il destino di un regno si era modificato.
- Avanti, sbrighiamoci – disse Edhuar, avanzando verso il letto. La sua voce era ancora irriconoscibile.
 

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Capitolo 37
*** Il mondo si ribalta ***


 Svegliandomi, mi resi conto immediatamente che la mia situazione era insolita.
Mi sentivo riposata e intontita come se avessi dormito troppo a lungo, ma non riuscivo a ricordare il momento in cui ero andata a coricarmi, cosa che nella mia vita era capitata solo dopo una solenne ubriacatura.
Quando scostai le lenzuola, notai che indossavo ancora il vestito azzurro del lutto, lo stesso che avevo messo per andare…
I miei pensieri si fermarono a mezz’aria.
Il vestito era per la serata in cui avremmo onorato la salma del re, ma io c’ero stata?
Ricostruii pezzo per pezzo i miei movimenti, il passaggio di Vera, i preparativi, le difficoltà nel raggiungere il salone, il momento in cui avevo visto…
- Sasamanka! – pronunciai a voce alta.
La memoria dell’intera serata riapparve come un timbro lampeggiante al centro della mia testa. Il complotto, Alexen… il veleno.
Allarmata mi sfiorai le labbra con le dita, cercando indizi del veleno che avevo inghiottito, quasi il vino avesse potuto corrodermi la bocca. Invece no, era completamente intatta. Non c’era nulla in me, apparentemente, che funzionasse male.
Era evidente tuttavia che avevo perso i sensi, e dovevo aver dormito a lungo. Il sole ormai era alto.
Ero riuscita a sventare il piano di Ad’hera e Sasamanka? Alexen aveva compreso le mie parole? Mi aveva creduto?
Vera entrò nella camera, trovandomi sperduta in mezzo alla stanza.
- Sei sveglia! – gridò, venendomi incontro con una gioia che non mi era aspettata. Mi strinse le mani con calore – Ti senti bene?
- Sì, sono solo un po’ confusa. Non ricordo nulla da quando ho strappato il calice ad Alexen.
- Sei rimasta svenuta a lungo – Vera esitò appena – Hai dormito per quaranta ore.
Rimasi a  bocca aperta.
- Quaranta… ore? Quindi… - la guardai cercando conferma – Il funerale del re…
- È stato ieri mattina. E nel pomeriggio il Vanathà si è riunito. Edhuar è stato scagionato da ogni accusa di tradimento, e noi assieme a lui. Sasamanka e Ad’hera sono stati condannati – Vera sorrise compiaciuta – Hai salvato Katathaylon…questo è più di quanto avessi mai osato sognare!
La notizia andava assimilata con calma, perché alla costernazione si sostituisse l’esaltazione delle mie gesta. Ma non riuscivo a concentrarmi sulle buone notizie, c’era qualcosa che pungolava il mio animo e mi spingeva a riflettere, a cercare quello che ancora mi sfuggiva.
Se bastava una goccia di Pollutia per morire, perché ero viva?
Un rischio assoluto di morte, quaranta ore d’incoscienza, una guarigione completa. Assomigliava in modo quasi inquietante all’iter seguito da Edhuar due giorni prima, con l’eccezione che ora Alexen non possedeva più quel potere e non avrebbe potuto salvarmi.
Quindi..?
- Dimmi la verità – la esortai, provando un’inquietudine che non sapevo spiegarmi – Perché sono ancora viva? So che la quantità di veleno che ho ingerito doveva uccidermi!
Mi accorsi di averla colta alla sprovvista.
- Vera, tu non sei una persona che mente – le ricordai.
- Credo che dovresti parlarne con il principe Edhuar.
Edhuar? Cosa c’entrava Edhuar?
Quell’accenno trasformò l’inquietudine in ansia.
- Voglio saperlo da te, Vera. Subito!
- Io non penso sia il caso…
- Adesso! – ribadii e con sconcerto la vidi quasi intimidita – Cerca di capirmi.
Lei assentì, lentamente, tuttavia ancora esitava.
Quando vide che non accennavo a distogliere gli occhi dai suoi, emise un sospiro.
- Il principe Edhuar ha accettato di diventare re – disse – Alexen gli ha trasmesso i poteri dell’erede. Non avendoli mai utilizzati prima, Edhuar ha potuto usare il potere di guarigione per salvarti.
Il mio cuore accelerò all’improvviso il battito.
- Ma…è…provvisorio? Ora Alexen può riprendere i suoi poteri?
Vera chiuse gli occhi azzurri nei quali avevo intravisto un lampo di disagio.
- Non è un gioco Allegra. Una volta che il principe rinuncia al trono, non può tornare indietro.
Capivo cosa comportava la sua decisione, ma tuttavia speravo ancora di sbagliarmi.
- Intendi allora che Khail…
- Sarà il nuovo re di Katathaylon – concluse lei, in un soffio.
E non verrà via con me.
Il respiro mi si spezzò a metà della gola, impedendo a quell’ultimo pensiero di trasformarsi in parole.
Sedetti lentamente sul letto, senza forza, inebetita.
Non poteva essere vero.
Non poteva essere cambiato tutto così all’improvviso.
La pressione sul materasso mi indicò che Vera si era seduta accanto a me.
- Non può essere vero – riuscii a bisbigliare.
Lei non disse nulla. Si chinò verso di me e mi abbracciò stretta stretta, come mai aveva fatto prima.
 
 
*        *        *
 
 
I preparativi per l’incoronazione fervevano in tutto Arco d’Occidente, ma l’area più colpita dai cambiamenti era la grande sala dove si sarebbe svolta la cerimonia. Ogni angolo della stanza era un brulicare di persone che puliva, trasportava oggetti, discuteva, addobbava. Avevo la sensazione che nelle quaranta ore in cui ero rimasta priva di coscienza, il mondo avesse subito un’accelerazione improvvisa. E nessuno si era reso conto che io ero rimasta indietro, che non c’ero più… come se la mia presenza non fosse stata di alcuna importanza.
Nella moltitudine di teste, ne scorsi finalmente una bionda e provai una fitta al cuore nel riconoscere Edhuar. Solo quando si volse e venne verso di me, mi accorsi che in realtà si trattava di Alexen.
Coprì in pochi passi la distanza che ci separava, mi afferrò la mano destra e piegò un ginocchio a terra, con mia enorme costernazione.
- Ti devo la vita – disse, inserendosi nel silenzio generato dal mio imbarazzo – Non potrò mai fare abbastanza per ripagare il mio debito.
Lesse nei miei occhi il tentativo di schernirmi e scosse la testa.
- Non sminuirti Allegra. Se fossi morto senza che tu denunciassi Sasamanka, l’accusa di Ad’hera avrebbe preso piede. Il Vanathà sarebbe stato costretto a destituire Edhuar e Katathaylon sarebbe finita nelle mani sbagliate. Hai salvato il regno e tutti noi.
Le sue parole mi fecero arrossire di un piacere misto a vergogna. Più di una persona presente nella sala si era interrotta per osservare la scena.
- Alzati Alexen, ti prego… mi metti in imbarazzo!
- Quel che è dovuto è dovuto  - rispose lui. Comunque si alzò e subito mi strinse in un abbraccio caloroso – Vera ha portato a Katathaylon una perla preziosa – mi bisbigliò all’orecchio, procurandomi un brivido di orgoglio.
- Però hai dovuto rinunciare al trono – obiettai.
Lui scrollò le spalle, come se il fatto avesse tanto peso quanto una manciata di piume.
- Il mio non è un sacrificio – disse – È Edhuar che soffrirà.
Me lo indicò e finalmente lo individuai in mezzo alla folla, così concentrato nel suo compito da non avermi ancora notata.
- Non è stata una decisione facile – mi disse – Salvarti è equivalso a rinunciare a te… se ci fosse stata un’altra soluzione non avrebbe esitato.
- Lo so.
- Non l’avevo mai visto piangere prima d’ora.
Edhuar aveva pianto per me?
Quel pensiero mi morse il cuore dolorosamente.
- Vai da lui.
Seguii il suo consiglio e m’inoltrai in mezzo alla folla.
Mi vide quando ero a pochi metri da lui. S’immobilizzò e mi guardò come se mi stesse vedendo per la prima volta. Conoscevo quella sensazione, ricordavo cos’avevo provato ritrovando Edhuar sveglio dopo aver pensato di averlo perso per sempre. Sul suo viso ora rinvenivo le mie stesse emozioni.
- Hai saputo? – mormorò.
- Sì.
Nel silenzio che seguì, quel breve dialogo assunse un sapore dolceamaro.
- Non  posso mantenere la promessa che ti ho fatto – bisbigliò infine, con un sorriso triste.
Respirai a fondo per frenare quella sensazione pruriginosa agli occhi che anticipava le lacrime. Avevo deciso che non avrei pianto, ormai nulla avrebbe più potuto cambiare quella situazione. E in fondo avevo sempre saputo che Edhuar non sarebbe venuto via con me… avevo sempre saputo che sarebbe diventato re. Non c’era una strada diversa per lui, qualcosa che l’avrebbe reso felice in modo più completo. Edhuar era fatto per Katathaylon e per governare su di essa.
Però quando alzai lo sguardo sul suo viso e incrociai occhi disperatamente tristi, mi sentii straziare.
- Vieni con me – mi sussurrò. Mi prese per mano e mi condusse verso una porticina che dava sul giardino. Nascosti all’ombra di un albero mi strinse in un abbraccio stritolante, quasi che gli servisse aggrapparsi al mio corpo per sopravvivere.
- Ho capito cos’hai provato quando sono quasi morto nel tentativo di ricongiungere Shiarah – sussurrò – Perdonami.
Scossi la testa contro la sua spalla e lui accentuò la stretta.
- È un dono prezioso poterti abbracciare ancora una volta – mormorò fra i miei capelli - … Sarà un dono prezioso poterti pensare viva… anche quando non potrò più vederti.
Nonostante tutti i buoni propositi, sentii il calore delle mie lacrime sul viso.
- Khail… ora cosa succederà? – chiesi, con voce roca.
Lui mi accarezzò la schiena in un gesto confortante.
- Domani pomeriggio ci sarà il matrimonio e poi, subito dopo, l’incoronazione.
Le sue parole ebbero il potere di generare uno shock inaspettato, perché io… non mi ero resa conto completamente delle implicazioni del suo gesto.
Fino a quel momento, che Edhuar diventasse re aveva significato che sarebbe rimasto a Katathaylon. Solo ora mi rendevo conto che l’indomani… avrebbe sposato Vera.
Alzai la testa di scatto, annientata.
Vera e Khail?
Vera e Khail… sposati?
Mi staccai lentamente, con il fiato corto.
Com’ero stata stupida! Come avevo fatto a non pensarci? Credevo forse che Edhuar avrebbe governato da solo?
- Vera è bellissima… - blaterai – Sarà una moglie perfetta.
- Allegra, per favore…
La sua voce era incrinata, graffiata. Non era mia intenzione ferirlo.
Ma l’indomani lui e Vera sarebbero stati marito e moglie. L’avrebbe baciata, avrebbe fatto l’amore con lei.
Mi coprii il viso con le mani.
Ero stata sciocca a credere che la favola sarebbe durata per sempre. Sarei tornata nel mio mondo con il cuore spezzato, senza alcuna prospettiva per il futuro.
Non ci sarebbe più stata Katathaylon da sognare, non avrei avuto Vera accanto a me… non avrei neppure sopportato di pensarla, sapendola accanto a Edhuar.
E che storie avrei potuto allacciare nel mio mondo? Avrei mai più trovato qualcosa di così intenso com’era stato il mio rapporto con Edhuar? Mi sarei mai accontentata di qualcosa di meno?
Qualcosa di meno… di una favola?
Le braccia di Edhuar mi avvolsero di nuovo per consolarmi da quelle lacrime che ora mi rigavano il volto senza ritegno.
Era l’ultimo giorno della mia grande avventura… e io non ero affatto pronta.
 
 

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Capitolo 38
*** Dolore previsto ***


 Vera entrò silenziosamente nella sala da pranzo deserta, controllando con cura il modo in cui erano stati disposti i preparativi per il banchetto.
Quella sera stessa, sarebbe stata presentata ufficialmente come fidanzata di Edhuar e futura regina di Katathaylon e diversi rappresentanti di Arco d’Oriente e del popolo avrebbero presenziato per fare la sua conoscenza.
Di norma, una cena di presentazione ufficiale avrebbe preceduto il matrimonio di qualche settimana, ma nel loro specifico caso non sarebbe stato possibile. Al punto in cui si trovavano sarebbe anzi stato auspicabile venir meno a quell’impegno, ma Alexen aveva insistito, desiderando sfruttare l’evento per ufficializzare il cambio di sovrano.
Mancava ormai poco più di un’ora al banchetto e nonostante l’urgenza di dedicarsi alla propria toeletta, Vera si scoprì a indugiare nella sala indorata dai raggi obliqui del tramonto.
Era tutto pronto, tutto perfetto. E nonostante questo, non poteva negare un certo nervosismo al pensiero che stesse per compiersi ciò per cui, fino a quel momento, aveva vissuto.
Si mosse fra i tavoli, ammirando la raffinata precisione con cui ogni dettaglio era stato curato. E solo a quel punto, piuttosto tardivamente, si accorse di non essere sola.  Edhuar era in fondo al salone, accanto a una finestra, e la semplicità dei suoi abiti rivelava come anche lui si stesse attardando nei preparativi personali. La stava osservando in silenzio, probabilmente da quando era entrata nella stanza, senza cercare di manifestare né di nascondere la sua presenza.
Vera ricambiò il suo sguardo e incontrò occhi miti, tristi e consapevoli.
Se non fosse stato per il dolore atroce che stava recando ad Allegra, avrebbe accolto con maggior piacere il matrimonio con Edhuar. Provava per Alexen un profondo affetto unito a stima e rispetto, ma era consapevole che la sua irruenza l’avrebbe sempre messa in difficoltà. Edhuar al contrario era più quieto, più controllato… più simile a lei, forse. Vicino a lui non provava quella vertigine d’inquietudine che accompagnava il suo rapporto con Alexen.
E poi Edhuar l’aveva sorpresa in modo favorevole, ripetutamente. Da quando era comparso ad Arco d’Occidente non aveva compiuto che gesti degni di stima e considerazione, facendola scoprire incuriosita da quel giovane principe che non corrispondeva affatto all’immagine che di lui si era costruita.
Cosa ancora più insolita, si era ritrovata a desiderare di colpirlo favorevolmente a sua volta… di destare il suo interesse.
Vera non poteva fare a meno di interrogarsi sul significato di quelle emozioni.
Edhuar non aveva ancora smesso di osservarla, così gli si fece vicino. Già ad alcuni metri di distanza, la tristezza del principe si percepiva tangibile come gli stessi abiti che indossava. Vera non poté fare a meno di domandarsi se quella sera ogni invitato avrebbe colto lo stato d’animo del nuovo re. Se ciascuno dei presenti avrebbe capito che Edhuar non provava il minimo entusiasmo per la sua promessa sposa.
Gli si affiancò ed evitando il suo sguardo si mise ad ammirare il giardino oltre la finestra.
- Anche voi sentivate il bisogno di studiare l’ambiente prima dell’arrivo degli ospiti? – chiese il principe in tono gentile.
Lei annuì e sentì il peso di quella conversazione gravarle addosso. Per qualche motivo non sopportava di intavolare con lui una discussione superficiale e ipocrita.
Gli restituì uno sguardo diretto.
- Mi dispiace che dobbiate sposare me – disse.
Lui non sembrò sorpreso della sua schiettezza. Le rivolse un’occhiata penetrante che le affondò nell’animo.
- È un dolore separarsi da Allegra – rispose quietamente – Ma non è un dolore sposare voi.
- Principe… vostro fratello è passato con leggerezza sopra al mio fallimento, ma troverei naturale che voi voleste un’altra sposa.
- Fallimento? – ripeté lui, meravigliato.
- Per quanto Alexen non vi dia importanza, sono consapevole della gravità di non aver superato la prova.
- Vi riferite al Ponte delle Koralle?
Lei annuì.
Edhuar fece un accenno di sorriso e il suo sguardo scivolò oltre il vetro della finestra.
- Capisco che per voi sia stata dura fallire, ma esiste un motivo ben preciso per cui quella prova in passato è stata resa desueta. Non valutava ciò che era essenziale – girò il viso verso di lei e il suo sguardo fu simile a una carezza – Alexen mi ha raccontato di ciò che avete fatto per lui in prigione e non ho bisogno di altre garanzie sul vostro valore.
- Non sono sicura di essere adatta a governare questo Paese.
- È naturale che vi sentiate disorientata – convenne lui – Domani saremo i sovrani di questo regno e io stesso ne sono spaventato isy. Ma avrò bisogno di voi, perché non so nulla di come si governa un popolo.
Istintivamente lei sorrise.
- Non lo so neanch’io principe.
- Ci sono molti cambiamenti che voglio apportare – le disse – Non sarà un governo privo di polemiche, il nostro.
I suoi occhi si fermarono sulle fronde degli alberi e si fecero distanti, come se si stessero focalizzando su un futuro incerto.
Poi, come se un pensiero improvviso l’avesse distolto dalle sue riflessioni, tornò a guardarla.
- Forse siete voi, piuttosto, a essere in dubbio sul nostro matrimonio. Vi è stato cambiato lo sposo all’ultimo istante, dev’essere… sgradevole.
Tutt’altro – pensò Vera, ma non lo disse. Invece chinò gli occhi in segno di rispetto.
- Per me è un onore diventare vostra moglie. Farò del mio meglio per non dispiacervi.
Edhuar le prese una mano fra le sue e la strinse in segno di amicizia.
- Allora cerchiamo di facilitarci le cose, iniziamo a darci del tu. Dobbiamo vedere la realtà qual è Vera… in principio  non sarà semplice per nessuno dei due. Tu sei stata sradicata dal tuo mondo e dai tuoi affetti e io, dopo un’infanzia… selvaggia, mi ritrovo catapultato alla guida di un regno – le sorrise tristemente – Ed entrambi stiamo per separarci da una persona che amiamo profondamente. Domani saremo sposi, eppure siamo praticamente due estranei… L’inizio di questa nuova vita sarà spiazzante, faticoso… e doloroso. Dobbiamo aiutarci a vicenda, correggerci, sostenerci… pazientare l’uno con l’altra. Poi le cose miglioreranno.
Vera affondò lo sguardo nei suoi occhi liquidi e in essi vide la vulnerabilità del principe e nel contempo la sua forza. Edhuar metteva in conto tutto il dolore che gli sarebbe costata la scelta fatta. Non lo rifuggiva, lo accettava, sapendo che entrambi prima o poi ne sarebbero usciti.
Le piaceva quel principe. Per quanto Edhuar l’avrebbe creduto a fatica, lei era contenta di sposarlo.
- Non ti costringerò a un cambiamento drastico e totale – aggiunse lui all’improvviso – Rivedrai Allegra, potrai andarla a trovare ogni volta che lo desidererai.
Vera ne fu sbalordita.
- Questo non è possibile. Una volta rientrata a Katathaylon ho il divieto di tornare nel Mondo di Fuori.
- Non c’è nessun divieto – sorrise lui – Sei vissuta là fino ad ora, il fatto che in alcuni momenti tu vi possa tornare non crea alcune danno a Katathaylon.
- Ma la legge…
- Questa legge scomparirà nel momento stesso in cui sarò re.
Invece di restarne scandalizzata come si era aspettata, Vera provò un sollievo improvviso che si stemperò in una profonda sensazione di pace. L’inquietudine cadde dal suo corpo come un mantello rovinato, lasciandole il presentimento che ogni cosa fosse ormai collocata al posto giusto.
Dovevano solo aspettare che il tempo smussasse gli spigoli più acuti del loro dolore. Aspettare insieme, con pazienza.
 

*********************************************************************** Nota dell'Autrice *******************************************************************************

Non so perché, ma il fatto che il sacrificio di Edhuar implicasse un matrimonio fra lui e Vera è qualcosa che chiunque abbia letto finora questa storia non è riuscito a prevedere.
Lo shock del lettore di fronte a questa notizia è sempre stata pari a quello di Allegra, perché così come Allegra non "ci era arrivata prima", anche i lettori arrivano a questo momento impreparati. E anche l'autrice se per questo... perché quando Edhuar ha dato la notizia ad Allegra, anch'io mi sono detta "Cavoli, che shock!" ^^
Mi domando tuttavia, perché questo accada...Mah!

 

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Capitolo 39
*** Andando a casa ***


 Mi ero apprestata al ricevimento con entusiasmo piuttosto scarso, facevo fatica a credere, nelle condizioni in cui mi trovavo, di potermi divertire o anche solo distrarre. Il mio cuore pesava come un blocco di cemento, reclamando la necessità di solitudine, silenzio e doloroso rispetto.
Ma la serata fu molto più impegnativa e sofferta di quanto preventivato.
Avevo supposto di partecipare alla cena in vesti comuni, come un invitato anonimo di cui si coglie marginalmente la presenza. Tutto mi aspettavo fuor che Alexen mi presentasse come l’eroina che aveva sventato il complotto di Sasamanka e Ad’hera, salvando lui e Katathaylon.
Invece mi buttò alla ribalta, soddisfatto di vedermi al centro dell’ammirazione della sala, adulata e venerata da solleciti Thaylonesi colmi di gratitudine. Mi trovai avvinghiata in una spirale di chiacchiere, domande, presentazioni e ringraziamenti che suscitavano nel mio animo scombussolato brividi alternati di eccitazione e smarrimento.
Alexen mi fece sedere a capotavola con loro: lui, io, Vera e Edhuar, al vertice di una tavolata senza fondo dove risultavo essere l’invitata di maggior prestigio.
Durante la cena, molti mi intrattennero chiedendomi di raccontare le mie gesta o, con altrettanta curiosità, di parlare del mio mondo. E forse, assorbita da tanta popolarità, avrei anche potuto dimenticare per qualche ora il mio dolore. Ma l’oblio durò invece solo pochi istanti.
Alexen motivò in termini chiari il passaggio di sovrano che venne accolto con mormorii stupiti, ma privi di contrarietà. Subito dopo, presentò Vera come futura regina di Katathaylon. Quello fu il momento in cui la facciata di buon umore che ero riuscita faticosamente a erigere, si sgretolò come un castello di sabbia asciutta. La gelosia mi pugnalò con ferocia inaspettata, chiudendomi lo stomaco e la gola.
Edhuar prese Vera per mano e la condusse lungo la tavolata fermandosi tra gli ospiti, creando alla promessa sposa le basi per un buon rapporto con ciascuno dei partecipanti alla cena. Non mi degnò di un solo sguardo, come se non fossi presente. Il suo sorriso, la sua gentilezza, il suo senso dell’umorismo erano orientati al solo scopo di facilitare a Vera l’ingresso nel suo ruolo. Esattamente come Edhuar era stato in grado di farmi sentire al centro del suo universo, ora riusciva a escludermi dal suo cuore, dal suo orizzonte, e al mio posto elevava Vera come un fiore prezioso.
Non una sola persona avrebbe potuto credere che ci fosse un’altra donna nel suo cuore. Nessuno avrebbe dubitato che fosse felice e innamorato della sua sposa.
Provai a concentrarmi di nuovo sulla considerazione che mi offrivano gli invitati al ricevimento, ma più i minuti scorrevano e più il mio animo si appesantiva e la mia gola si ostruiva di lacrime trattenute. Un’indignazione acre mi pungolava il cuore facendolo grondare sangue. Divenni sempre più silenziosa e apatica e alla fine non desiderai altro che andarmene.
Fu proprio nel momento in cui il mio umore stava sfiorando l’abisso che Alexen mi si accostò e mi fece cenno di seguirlo. Scivolammo fra gli ospiti senza farci notare e quando raggiungemmo la porta-finestra, aprì la vetrata per permetterci di uscire sul balconcino color panna. Quando accostò la porta, chiuse fuori il ricevimento, Edhuar e tutti i suoi ospiti e provai un subitaneo sollievo. Era una notte nera, fitta e profumata d’estate.
- Qui puoi stare tranquilla – mi disse, appoggiandosi di schiena alla ringhiera di marmo ricurvo – Puoi piangere, nessuno ti disturberà.
- Non ho voglia di piangere – mentii – Ho solo bisogno di un momento di pace.
Quando incrociai i suoi occhi chiari, vi incontrai tanto calore che mi vergognai della mia bugia.
- Non voglio iniziare a piangere – ammisi – Ho paura che non riuscirei più a smettere e farei una figura terribile con tutte le persone nell’altra stanza!
Alexen rimase in silenzio e per un paio di minuti restammo immobili a respirare l’odore della notte. Lui, appoggiato alla balaustra, teneva d’occhio i movimenti degli ospiti al di là della vetrata. Io davo loro la schiena, fingendo che fossero scomparsi.
- Sai Allegra – mormorò lui a un certo punto, come se fosse giunto alla fine di una riflessione – Se io amassi una donna quanto Edhuar ama te, non sarei mai capace di comportarmi in modo così controllato – Parlando, i suoi occhi si staccarono dalla figura del fratello – Edhuar è un vero figlio di Katathaylon… è il re migliore che questo regno possa avere.
- Sì, è vero.
- Non so se questo possa consolarti, ma sta soffrendo quanto te, a dispetto del suo atteggiamento noncurante.
Lo sapevo. Credevo di saperlo, per lo meno. Ma questo non m’impediva di essere gelosa di ogni sguardo che rivolgeva a Vera.
Smisi di combattere contro le lacrime e lasciai che irrompessero senza controllo. Cercai di scusarmi con Alexen per quella scena penosa, ma lui mi interruppe.
- Mi piace il modo in cui sai lasciarti andare, il modo in cui esprimi le tue emozioni.
Sentii che diceva la verità e proprio per quel motivo di fianco a lui piansi liberamente, senza vergogna.
- Ho sempre desiderato poter vivere le mie emozioni con sincerità – confessò lui – Ma nella famiglia reale non è possibile. Non ci sono spontaneità, né fantasia, né flessibilità. Edhuar riesce a convivere con questa mentalità… io no. Quello che desidero veramente Allegra… è venire nel tuo mondo.
La sorpresa riuscì ad asciugarmi le lacrime.
- Ti sembra pazzesco? – chiese lui – Eppure non ho mai desiderato altro da quando ero bambino. Ho bisogno di libertà, di spazio, della possibilità… di evolvermi. Credi che sia impossibile?
Cercai di figurarmi Alexen nella mia realtà quotidiana.
- Non impossibile forse, ma certamente molto difficile. So che conosci la mia lingua e hai studiato il mio mondo attraverso il libri… ma è solo teoria. In realtà dovresti imparare ogni cosa da capo, lavorare… guadagnare e mantenerti… e tu sei stato allevato come un principe, sei abituato…ad altro.
- Pensi che non resisterei?
Non sembrava offeso, solo interessato alla mia opinione.
- Dico solo che per te sarebbe molto dura.
- Lo sarà anche per te.
Distolsi lo sguardo.
- Io non ho alternativa.
Mi girai come lui, con la schiena al muretto, e attraverso il vetro individuai il profilo di Edhuar e Vera, seduti uno di fronte all’altra. Stavano parlando fra loro e a un certo punto Vera rispose con un sorriso divertito.
- Non provi nemmeno un po’ di gelosia? – domandai. Fino al giorno prima, Vera era stata la sua promessa sposa.
Sorrise con una punta di amarezza.
- Più che gelosia, penso sia invidia – ammise – Io non sono mai riuscito a far sorridere Vera. Edhuar ce l’ha fatta in dieci minuti, guarda!
Mi indicò la sua espressione divertita.
- Vera potrebbe sentirsi in dovere di compiacerlo – azzardai.
- Non una koralla. Non Vera – sorrise – Lei non finge.
- Allora forse sono fatti l’uno per l’altra.
Quell’affermazione mi uccise già solo uscendo dalle mie labbra. Alexen, con la sua spiccata sensibilità, se ne accorse e mi passò un braccio attorno alle spalle in un delicato gesto di conforto poco usuale a Katathaylon. Per me fu al contempo una consolazione e una tortura: Alexen fisicamente era penosamente identico al fratello. 
- Non preoccuparti – mormorò lui, quasi leggendomi nel pensiero – Quando saremo nel Mondo di Fuori, non ti perseguiterò. Se vedere il mio viso ti farà soffrire, mi terrò alla larga da te.
Proprio in quel momento Edhuar, che stava salutando gli ultimi ospiti rimasti nel salone, si girò verso la finestra e vide il braccio di Alexen posato sulle mie spalle. Per un istante il suo sorriso vacillò, poi tornò a darci le spalle per rispondere alle parole di un invitato.
- Hai visto? – ridacchiò Alexen, ritirando il braccio – Anche lui è geloso!
Sì, avevo visto, e stupidamente la sua reazione mi rincuorò. Come se avesse potuto cambiare qualcosa!
- D’ora in poi avrà Vera al suo fianco – dissi, per stroncare le mie assurde speranze – Si dimenticherà ben presto di me, Vera è… il massimo a cui si possa aspirare.
- Tu e Vera siete praticamente cresciute insieme.
Quella di Alexen non era una domanda, probabilmente durante la prigionia comune avevano parlato anche di me.
- Non deve essere stato semplice per te, il continuo confronto con una koralla.
La sua osservazione mi sorprese, era confortante che qualcuno comprendesse il mio punto di vista.
- Le koralle appaiono perfette in ogni loro minimo aspetto, sempre – proseguì lui – E Vera ha in aggiunta una bellezza surreale.
Assentii.
- Eppure, molto di ciò che vediamo all’esterno è costruito a opera d’arte, pezzo dopo pezzo – aggiunse – È il frutto di un lavoro infinito e di un sacrificio di sé inestimabile. L’opera di una koralla è come il passo di una ballerina, apparentemente leggero e privo di consistenza. E meno ne intuiamo lo sforzo e maggiore è la fatica che lo sorregge.
Le sue parole mi provocarono un moto di sorpresa.
- Vera sembra inattaccabile – disse Alexen pacatamente – Ma è pari a una luna che ruotando attorno al suo mondo mostra sempre la stessa faccia. L’altra resta nascosta, come se non esistesse o non fosse nulla di diverso da ciò che già abbiamo visto. Vera per essere ciò che è, ha sofferto e sacrificato molto, nascondendo sempre con attenzione il suo dolore.
Assimilai con calma il significato di quelle frasi. Non avevo mai pensato che per Vera fosse faticoso essere ciò che era. Avevo creduto che lo fosse e basta. Così com’era bella fisicamente, semplicemente mi era apparsa perfetta in tutto, senza sforzo, spontaneamente. Non mi era mai passato per la mente che stesse mostrando anche a me solo la metà luminosa del suo essere.
- Anche Vera ti invidia, lo sai?
- Nessuno potrebbe invidiare qualcosa a me!
Ma Alexen non stava scherzando.
- Non ti sei mai accorta di quanto apprezzi la tua vitalità, la tua capacità di stare bene assieme alle persone?
Scossi la testa. Avevo sempre creduto che a lei non importasse nulla delle persone. Era stata brava a nascondere ciò che le passava per la testa, ma ora il pensiero di possedere anch’io qualcosa di invidiabile bastava a consolarmi di molte mie imperfezioni.
Nel salone erano rimaste ormai pochissime persone, Edhuar mi teneva d’occhio attraverso il vetro in modo sempre più insistente.
- Vado a liberarlo – disse Alexen, staccandosi dal muretto – È giusto che vi salutiate a dovere.
Le sue parole mi paralizzarono. Non era possibile che fossimo già agli addii, c’erano ancora l’incoronazione e il matrimonio…
Il vetro si aprì con uno scricchiolio ed Edhuar uscì nella frescura notturna. Emanava un che di solenne, nel sontuoso abito nero e oro che aveva indossato per la serata. Non era più il vagabondo delle foreste, l’uccello libero che saettava da un albero all’altro. Era un re, in ogni singola cellula del suo corpo.
- Ti donano questi vestiti.
Lui sembrò confuso, quasi si sorprendesse che avessi notato il cambiamento.
- È stata una bella cena – riprovai – Alexen aveva ragione, ormai sei un eroe per il tuo popolo.
- Lo stesso vale per te.
- Vero – sorrisi – Il mio ego si è alzato di almeno mezzo metro.
- Ne hai ragione, Katathaylon ti deve molto.
- E io devo molto a te. Mi hai salvato la vita e non ti ho neppure ringraziato.
I suoi occhi mandarono lampi, come se avessi bestemmiato.
- Non ringraziarmi per qualcosa che sta facendo male a entrambi.
Sussultai.
- Non eri obbligato a farlo! – sbottai – Se fa così male, potevi lasciare tutto com’era!
Cosa intendeva dire ora? Che era meglio che fossi morta?
- Allegra…
Nei suoi occhi ritrovai lo sguardo che conoscevo bene, quello che mi rivolgeva ogni volta che l’insicurezza mi faceva fraintendere le sue intenzioni.
-  Non intendevo questo, lo sai – rispose infatti – Avrei solo voluto… non dover scegliere. Restare semplicemente Khail e venire via con te.
- Questa è storia vecchia – mormorai, distogliendo lo sguardo.
- Lo so.
Era nervoso anche lui, come me. Stavamo recitando entrambi una parte che non ci apparteneva, nessuno dei due aveva studiato le battute per il commiato.
- Alexen verrà via con te?
Mi sorprese che l’avesse capito.
- È quello che ha detto.
- Lo supponevo. Desidera vivere nel tuo mondo da quando è nato.
Non aggiunse altro, ma intuii il resto dei suoi pensieri. Alexen sarebbe venuto via al suo posto, avrebbe continuato a vedermi, anno dopo anno. E aveva il suo stesso viso.
- Cosa stai immaginando, Khail?
Scosse la testa e sorrise, colto in fallo.
- Sono geloso, temo.
Oh. Ora lui era geloso. Lui che l’indomani avrebbe sposato la donna dalla “bellezza surreale”.
Gli diedi la schiena per non mostrargli la rabbia, la frustrazione, l’angoscia che mi divoravano.
Una mano gentile allora, mi solleticò il cuore. Conoscevo quella sensazione, era la stessa che mi suscitava Vera quando cercava di captare il mio umore.
- Stai leggendo i miei sentimenti? – dissi, voltandomi di scatto. Adesso, con i poteri che gli aveva ceduto il fratello, era in grado di farlo.
- Posso farti un regalo – mi disse, come risposta – Un regalo d’addio.
- Che genere di regalo?
- Posso darti l’oblio… fare in modo che ti dimentichi di me, come se non ci fossimo mai incontrati.
- Mi stai prendendo in giro? – iniziai a respirare più rapidamente.
- Non sarò che un nome nella tua testa, senza volto e consistenza. Non ricorderai di avermi incontrato di persona.
- Non puoi essere in grado di farlo! – esclamai – Non hai un potere simile!
- Posso farlo solo se è ciò che tu vuoi. Non potrei andare contro la tua volontà.
Questo mi rilassò e capii che avevo temuto che l’avrebbe fatto davvero, a tradimento.
- Puoi fare la stessa cosa anche su di te?
- Potrei.
- E..?
Scosse la testa.
- Non ho intenzione di dimenticarmi di te.
- E allora perché credi che lo voglia io?
Lui chiuse gli occhi.
- Perché stai soffrendo atrocemente e forse preferiresti un po’ di pace. Se ti scordassi di me, torneresti nel tuo mondo come un’eroina, potresti gloriarti della tua impresa senza fare i conti con un cuore a pezzi… e Katathaylon resterebbe per te lo splendido mondo delle favole, come è sempre stato.
Mi aspettavo che la proposta mi avrebbe allettato almeno un po’, quel tanto almeno da farmi fermare un istante a immaginare come mi sarei sentita se fosse accaduto davvero.
E invece no.
- Preferisco tenermi tutto quanto, grazie. Mi ricorderò ancora di te, quando tu mi avrai già scordato da un pezzo!
Non riuscì a nascondere il sollievo che gli diedero le mie parole. Non voleva che mi scordassi di lui!
- Allora ti farò un altro regalo e non ti permetterò di rifiutarlo.
Mi prese una mano appoggiandosela sul petto, all’altezza del cuore. E… incredibile! I suoi sentimenti, le sue emozioni cominciarono a risuonare nella mia testa come una sinfonia.
Sentii chiaramente tutto il suo amore per me, intenso, devastante, incandescente come fuoco. La sua gelosia mi pizzicò le narici, il suo dolore mi strinse la gola. E il desiderio… Come faceva a nascondere tutto questo desiderio dietro a un atteggiamento così controllato?
- Questo… - mi sussurrò – …è perché tu non creda che non ti ami, anche quando non lo dimostro.
Doveva aver capito quanto era stata male nel corso della serata.
E, comunque, era la prima volta che diceva di amarmi, in questi termini perlomeno.
- E non solo – aggiunse piano – È anche perché tu tenga un po’ più in considerazione te stessa. Perché ricordi che puoi essere amata per ciò che sei e così come sei, nel bene e nel male. Se l’ho fatto io, lo farà qualcun altro. Smettila con tutti quei pensieri catastrofici che ti girano per la testa!
- In questo momento non riesco a essere positiva Khail! Nel mio mondo non c’è nessuno come te!
Mi prese per le spalle, ma quello che doveva essere un gesto di rimprovero divenne un abbraccio e alla fine si trasformò in un bacio lento, strappacuore.
Quando si staccò, i suoi occhi erano pozzi profondi.
- Non voglio che tu venga al matrimonio. Devi andartene domattina.
Mi irrigidii.
- Non essere assurdo, come posso mancare? Ho promesso a Vera che ci sarei stata!
- Vera non sapeva che avrebbe sposato me! – pronunciò le ultime parole lentamente, come una sentenza.
- Perché non mi vuoi?
- Perché ho immaginato di essere al tuo posto. Ho immaginato di venire al tuo matrimonio con Alexen e ne sono a malapena sopravvissuto.
- Adesso sei tu che stai diventando catastrofico!
Ma sapevo che aveva ragione.
- Sei l’ultima persona che voglio al mio matrimonio! – mi disse, e per poco la sua voce non si strozzò.
- Khail… ti prego…
- Pensaci, stanotte. Capirai che è così che deve essere. Vera è intelligente, ti vuole bene, non te ne farà una colpa.
Anche questo era vero. Ma per anni avevo sognato di partecipare al matrimonio della mia migliore amica con il principe di Katathaylon. Avrei lasciato che il mio sentimento per Khail vincesse sulla promessa che avevo fatto a Vera?
- Non ti forzerò – promise – Ma, in ogni caso, domattina qualcuno ti attenderà alle stalle per riaccompagnarti al passaggio per il tuo mondo. Se avrai deciso di andare, potrai farlo.
Mi accarezzò le tempie con un dito, delicatamente.
- E in ogni caso, questo è il nostro addio Allegra. Fra poco sarà mezzanotte, sarà il giorno del mio matrimonio con Vera… e io non credo sia giusto…
Lo interruppi con un bacio. Caro vecchio Khail, intrappolato dal suo stesso animo retto… Non poteva continuare a stringermi a poche ore dal suo matrimonio.
Così smettemmo di parlare per godere invece insieme di quel poco che restava della nostra breve strada in comune.
La notte gironzolò intorno a noi mentre si consumavano, come carta in un incendio, gli ultimi istanti della mia favola.
 
 
Anche se mi sdraiai, sapevo già che non avrei dormito. Il mio cervello si trovava in quel particolare stato in cui le immagini e le parole di un istante si replicano all’infinito. Ricordi, frammenti di conversazioni, emozioni, adrenalina.
Dolore. Desiderio. Disperazione.
Eccitazione.
Dubbi.
Feci quello che Edhuar aveva sperimentato su di sé. Mi immaginai al matrimonio, seriamente. Non scappai all’insorgere delle prime emozioni, continuai a figurarmi quelle scene, realistiche quanto mi riuscivano. Non fu difficile, era bastato ciò che avevo provato quella sera a darmi l’imbeccata sulle sensazioni adatte.
E Khail naturalmente aveva avuto ragione: era insopportabile.
E io non ero mai stata masochista, né eccessivamente altruista. Era chiaro che Vera avrebbe capito.
L’alba sfiorò il mio letto vuoto, mentre affacciata al balcone seguivo il volo dei passeri al mattino.
Questo era il giorno in cui Khail, meno di ogni altro, mi avrebbe degnato della sua attenzione. Mi aveva già salutata, mi aveva dato il suo ultimo regalo. Anche con il cuore in pezzi, oggi avrebbe amato solo Vera.
E lei avrebbe avuto lui. Sapeva cosa stava guadagnando?
Vera… Khail ti basterà.
Con lentezza mi vestii, radunai quelle poche cose che non erano realmente mie.
Era tempo di tornare ormai, ero a Katathaylon da quasi tre settimane, papà presto avrebbe iniziato a porsi delle domande!
Scivolai fuori dalla stanza, imboccai il corridoio affidandomi alla fortuna e in qualche modo riuscii ad arrivare all’aperto. Imbaldanzita dal successo, presi di nuovo una direzione qualsiasi, sperando di arrivare alle stalle.
E invece trovai Vera.
Era ritta in mezzo al viottolo, pallida, i capelli sciolti sulle spalle.
- Stai tornando a casa vero? – sussurrò, senza nascondere la tristezza che provava.
Scoppiai in lacrime all’improvviso, mi coprii il viso.
- Perdonami Vera!
Lei venne verso di me e mi abbracciò stretta.
- No, è giusto così! Se non l’avessi deciso tu, te l’avrei chiesto io!
Cosa ci stava facendo Katathaylon? Non eravamo più noi stesse! Io non facevo che piangere e Vera continuava ad abbracciarmi: due alieni erano entrati nelle nostra ossa.
- Volevo essere al tuo matrimonio! – singhiozzai – Volevo esserci davvero! Ma non resisto al pensiero di vedere Edhuar che sposa un’altra!
- Lo so.
- Credimi, non avrei voluto mancare a un giorno così importante!
- Lo so – ripeté piano.
- È diventato tutto così difficile!
- Non pensarci più Allegra – si scostò leggermente – Faremo così. Sarò io a venire al tuo matrimonio, quando ti sposerai.
- Ma tu non puoi.
Un bel sorriso si allargò sul suo volto.
- Potrò invece. Edhuar ha deciso di togliere il veto.
La gola mi tremò dall’emozione. Quello era un altro regalo di Khail.
- Lui diventerà un grande re – mormorai – Di quelli che cambiano la storia.
- Sono d’accordo con te – rispose dolcemente.
Vera mi guidò verso le stalle, dove Khail aveva promesso che qualcuno mi avrebbe aspettato.
C’era un giovane, infatti, che stava sellando un cavallo, rimasi sorpresa nello scoprire che si trattava di Alexen.
- La scorterai tu? – domandò Vera, osservando la sua tenuta da viaggio.
- Sì. Edhuar voleva essere sicuro di potersi fidare.
- Ma tornerai in tempo per la cerimonia? – obiettai.
- Non preoccuparti, non impiegheremo più di un paio d’ore, sarò indietro entro mezzogiorno.
Abbracciai Vera ancora una volta, incredula davanti all’evidenza di dovermi separare anche da lei. La mia migliore amica era stata fagocitata dal regno magico in cui era nata, quel regno che avevamo condiviso per anni nei nostri sogni e che ora mi stava spuntando fuori come un sassolino fra i denti.
- Allora… ti aspetterò.
Lei annuì, stretta nel mio abbraccio.
- Lascerò passare un po’ di tempo… perché tu dimentichi un po’. Non voglio aggiungere altro dolore.
- Sarà strano senza di te.
Alexen mi aiutò a salire in sella e montò alle mie spalle. Diedi a Vera l’ultimo saluto e poi girammo la schiena ad Arco d’Occidente.
 
 
Durante il viaggio, Alexen rispettò il mio silenzio. Utilizzai quelle due ore per l’elaborazione del lutto, per passare dalla negazione di quanto stava accadendo a un dolore sordo e frastornante.
Le ultime tre settimane mi sfilarono alle mente più e più volte, come la pellicola inceppata di un film. Forse, se l’avessi guardato mille volte, alla fine ne sarei diventata insensibile.
Quando arrivammo alla casetta di Tinkar e Vadgar, vidi che ne stavano uscendo Tala e il padre di Vera, ancora piuttosto debole. Si stavano avviando a Palazzo per la cerimonia e furono sorpresi di vederci. Ma Tala, come mi sarei aspettata da lei e da qualunque koralla, non fece domande. Mi salutò con tutto l’affetto dei ventitre anni trascorsi insieme, mi inviò un messaggio caloroso per mia madre e mi lasciò andare.
In casa cambiai abito, riprendendo i vestiti che avevo abbandonato tre settimane prima. Ora eravamo a giugno ed erano diventati troppo pesanti.
Così come il mio cuore.
- Alexen... – eravamo davanti al passaggio, stavo per abbandonare definitivamente Katathaylon
- C’è una cosa che vorrei far avere a Vera ed Edhuar… non potrei darla a te?
I suoi occhi si illuminarono alla prospettiva di seguirmi e quando m’incamminai nel mio mondo, varcò il confine con me.
 
 
Erano circa le nove di lunedì mattina. Osservai dalla finestra il traffico pigro di una giornata già estiva. La villa in cui aveva vissuto Vera fino a un mese prima, aveva conservato la frescura primaverile, odorava di umidità e di chiuso. Quanto poco ci voleva, a trasformare un luogo familiare in una casa abbandonata!
Scivolammo all’aperto con circospezione, gli abiti di Alexen erano quanto mai desueti e non ero dell’umore adatto ad attirare su di noi la curiosità generale.
- Non è lontano – lo avvisai – Cerchiamo di fare in fretta!
Nonostante  la mia preoccupazione, Alexen era rallentato dalla curiosità. Si fermava a osservare qualunque particolare catturasse la sua attenzione: un autobus, un cestino dell’immondizia, una signora in bicicletta, un uomo al cellulare, un semaforo. Dovetti trascinarlo lungo il viale quasi di peso, smisi di trattenere il respiro solo quando entrammo nel giardino di casa.
Naturalmente la casa era vuota, mamma era in negozio, papà al lavoro e Gioia a scuola, avrei potuto godere ancora di qualche ora di solitudine.
Mi recai immediatamente al recinto dei cani e Nuvola mi accolse con quello scalpitio festoso che solo i veri cani affezionati sanno produrre. I cuccioli erano cresciuti, pronti a volare verso un futuro indipendente. Ne scelsi due,  un maschio e una femmina, e li presi con me. Erano caldi, scivolosi, guizzanti come serpentelli.
Alexen era rimasto in mezzo al giardino, estatico di fronte al cancello che rivelava l’andirivieni mattutino di una banalissima giornata di giugno.
Era assolutamente irreale vederlo lì.
Katathaylon a casa mia.
Misi i cuccioli in un portantino e glieli porsi.
- Questo è il regalo? – fece, stupito – Che meraviglia! Non esistono cani di questa razza a Katathaylon!
- Da oggi sì.
Un maschio e una femmina in un mondo dove i cani non vengono castrati né sterilizzati.
Sorrisi.
Tanti auguri Vera ed Edhuar, popolerete il regno!
Tornammo sui nostri passi fino alla villa, mentre lo stupore di Alexen ancora non accennava a diminuire. I cuccioli si agitavano nel portantino, sprizzando vitalità.
Vera sarebbe stata felice, aveva sempre avuto un rapporto speciale con Nuvola. E Edhuar… che faccia avrebbe fatto? Mi girai verso Alexen.
La stessa del fratello quando glieli avevo mostrati?
Alexen si fermò di fronte al passaggio spalancato e appoggiò il portantino a terra. Sapevo di cosa voleva parlarmi, ma sembrava bloccato da un improvviso imbarazzo.
Decisi di facilitargli le cose.
- Quando tornerai?
Il sollievo rese il suo sorriso luminoso.
- Domattina, se per te va bene.
- Potrai stare qui nei primi tempi, finché non potrai permetterti altro. Questa casa rimarrà vuota fino all’arrivo della prossima koralla.
Alexen incrociò le braccia al petto.
- Non ti darò fastidio, Allegra, non voglio pesare su di te. Se la mia presenza ti sarà sgradita mi trasferirò altrove. O mi renderò invisibile!
Quel discorso era troppo complicato in quel momento per me. Come potevo sapere se mi avrebbe dato fastidio?
- Ci penseremo, Alexen. Intanto resterai qui e sicuramente mamma ti vorrà conoscere – mi sforzai di sorridere – Ti verrò a prendere domattina con qualche abito un po’… meno vistoso. All’inizio avrai comunque bisogno di noi.
I cuccioli guairono e mi chinai a rassicurarli.
- Starete bene, i vostri padroni vi si affezioneranno subito.
Provai a immaginare Vera e Edhuar prendersi cura di loro. Non avrebbero avuto molto tempo da dedicare ai cani, ma li avrebbero trattati bene, ne ero certa. Nel tempo libero li avrebbero portati a passeggio, li avrebbero accarezzati e fatti giocare.
Mi alzai, barcollando leggermente. Mi si appannò la vista dietro un velo di lacrime trattenute.
Vera e Edhuar avrebbero iniziato a costruire oggi la loro vita  insieme, come sovrani.
All’inizio il distacco da me si sarebbe fatto sentire acuto come un pungolo, poi, pian piano, il dolore si sarebbe attutito, fino a restare sullo sfondo di quella loro esistenza in comune.
Infine, si sarebbero dimenticati di me.
La loro vita sarebbe andata avanti… l’intera Katathaylon si sarebbe racchiusa intorno a loro riempiendo gli spazi ancora vuoti. Io ne sarei rimasta fuori, sola.
Sola e dimenticata.
- Allegra.
Alexen mi sollevò il viso, preoccupato.
- Nessuno si dimenticherà di te – disse, con quell’insolita capacità che aveva di leggermi dentro, nonostante avesse ceduto i suoi poteri.
- Il tempo cancella anche le tracce più resistenti – obiettai debolmente.
- Nessuno si dimenticherà di te – ripeté – Non Edhuar, non Vera… né l’intera Katathaylon. Hai salvato il regno, sei entrata nella storia.
Entrata nella storia.
Era buffo.
- Vedremo – risposi, con una scrollata di spalle.
Solo il tempo che doveva venire avrebbe confermato o smentito i miei timori e le parole di Alexen.
- Vedremo – ripetei, chiudendo gli occhi per dare un freno ai miei pensieri.
Il campanile della chiesa batté le dieci.
 
 
 
 
 
 
Non so dove trovarti,
non so come cercarti,
ma sento una voce che nel vento parla di te,
quest’anima senza cuore
aspetta te
adagio.
Le notti senza pelle,
i sogni senza stelle,
immagini del tuo viso che passano all’improvviso
mi fanno sperare ancora
che ti troverò
adagio.
Chiudo gli occhi e vedo te,
trovo il cammino che
mi porta via dall’agonia,
sento battere in me questa musica che ho inventato per te.
Se sai dove trovarmi,
se sai come cercarmi,
abbracciami con la mente,
il sole mi sembra spento…
Accendi il tuo nome in cielo,
dimmi che ci sei…
…quello che vorrei…
è  vivere in te.
 
 
(Adagio – Lara Fabian)
 
 
*************************** - Nota dell'Autrice- *********************************

So che questo finale, lasciato così, è abbastanza straziante.
Per cui volevo avvisare... che ci sono ancora due capitoli di EPILOGO!! Non mollate la storia prima di averli lettiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!! Grazie! ^^'

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Capitolo 40
*** -EPILOGO- Katathaylon ***


 -Epilogo-
 
Katathaylon
 
 
 
“Ora era insieme luna e sole, sasso e nuvola,
era insieme riso e pianto,
o soltanto era un uomo che cominciava a vivere.
Ora, era il canto che riempiva
la sua grande immensa solitudine,
era quella parte vera che ogni favola d’amore
racchiude in sé per poterci credere.”
 
“Favola”- Eros Ramazzotti
 


 
Nella foresta a ovest di Arco d’Occidente, Vera viene trascinata dalla corsa frenetica di due enormi cani al guinzaglio. I due animali scodinzolano e guaiscono, seguendo una pista che solo loro sono in grado di percepire, poi si fermano sotto a un albero preciso, uggiolando.
- È qui? – domanda Vera, e i cani abbaiano impazienti. Lei ordina loro di accucciarsi e poi si china ad accarezzarli.
- Grazie per l’aiuto cuccioli, siete stati bravi.
Sorride alle sue stesse parole, perché i due cani messi assieme pesano ben più di lei e quando si alzano sulle due zampe riescono a leccarle la faccia. Non solo, hanno una forza erculea e una volta all’anno prolificano senza pudore. Eppure non riesce a fare a meno di chiamarli ancora “cuccioli”.
- Aspettatemi qui – li reguardisce. Poi alza gli occhi sull’albero.
È alto, imponente e non offre molti appigli, ma per Vera non è un problema. Quando cerca Edhuar, indossa sempre abiti adatti e negli ultimi sei anni è diventata un’esperta arrampicatrice.
Sale rapida, con poco sforzo, lo raggiunge in  un paio di minuti.
Lui è quasi in cima, accasciato contro il tronco, e il suo viso denota la fatica di una lunga giornata di lavoro. La stanchezza, nella vita che conducono, è all’ordine del giorno, ma  le sembra di notare nel suo sguardo anche una spossata esasperazione.
- Cosa succede? – gli chiede.
- Nulla – Edhuar si sforza di sorridere, ma i lineamenti del viso restano tirati per la tensione – È stata solo una giornata pesante. A est di Boralon alcuni koryonos avevano rapito due bambini per portarli a palazzo. L’ho saputo solamente perché i genitori hanno avuto il coraggio di riferirmelo di persona.
- Di nuovo? Succede in continuazione, eppure hai abolito quella legge da anni! È ingiurioso che siano i koryonos stessi a infrangerla!
Lui annuisce, condividendo la sua indignazione.
- È difficile cambiare una tradizione durata secoli – mormora – Dovremo insistere ancora a lungo, perché le cose cambino definitivamente.
I suoi occhi, dalle chiome degli alberi, si spostano su di lei e il suo volto si addolcisce.
- Tu piuttosto… non è pericoloso che tu salga fin qui nelle tue condizioni?
Il suo sguardo corre al ventre che non mostra ancora segni di cambiamento.
- Non preoccuparti, è solo il primo mese. Non mi sono stancata, sto benissimo.
Stavolta Edhuar sorride e le appoggia un braccio sulle spalle.
- Sarà un’altra principessa? – la stuzzica.
- È un maschio.
Lui è sbalordito.
- Hai avuto una visione?
- Più che vedere, ho sentito.
Ciò significa che Katathaylon avrà presto un erede. Il viso di Edhuar si apre in un sorriso, i koryonos ribelli sono al momento dimenticati.
- Lissa e Aranta lo sanno già?
- No Edhuar – sorride divertita – Pensavo di doverlo dire prima a te!
Lui ride. È sereno e lei si accorge della pace che gli scende nel cuore e diventa un riposo corroborante per il suo animo.
Nonostante la vita frenetica e i doveri pressanti, Edhuar è spesso sereno. È una pace che si è guadagnato negli anni, faticosamente, un pezzetto alla volta. Un traguardo eccelso se paragonato alle condizioni in cui era iniziata la loro vita insieme.
Senza quasi che se ne renda conto, i pensieri di Vera scivolano indietro negli anni, a cercare un ricordo che si adatti ad un confronto. E quasi automaticamente nella sua mente si apre un’immagine sigillata dal tempo.
Il loro matrimonio. La loro notte di nozze.
 
 
La sera che seguì il momento dell’incoronazione e del matrimonio, Edhuar si chiuse in bagno per rinfrescarsi e non ne uscì per molto tempo.
Dopo aver atteso un tempo più che ragionevole, Vera, preoccupata,  provò a bussare senza successo e alla fine si decise a spalancare la porta.
Trovò Edhuar seduto a terra, scosso dai singhiozzi, la faccia nascosta nelle ginocchia. Sentendola entrare cercò invano di allontanarla, ma lei gli sedette accanto, in silenzio.
Edhuar era stato perfetto per tutto il giorno, si era comportato in modo impeccabile e non aveva mostrato il minimo turbamento. Durante il matrimonio e all’incoronazione, si era comportato come se non avesse mai avuto occhi che per lei. Come se Allegra non fosse appena uscita irrevocabilmente dalla sua esistenza.
Ma ora era crollato.
Vera intuì che era insolito per lui lasciarsi andare a quel modo. Quella crisi incontrollata l’aveva colto a tradimento ed Edhuar se ne vergognava.
- Mi dispiace – provò a dire, in un singulto – Questa è la nostra notte di nozze.
- Avevi predetto che sarebbe stato difficile – lo interruppe lei – Lo sapevamo entrambi. Non ho fretta Edhuar e tu non devi fare quello che non ti senti, stanotte. Lasciamo passare il tempo, abituiamoci poco alla volta. Io devo essere l’ultimo dei tuoi pensieri, abbiamo altro di cui preoccuparci ora… del nostro rapporto ci occuperemo più avanti.
Quella notte si stesero l’uno accanto all’altra e Edhuar, nel silenzio, le prese una mano. La strinse finché non si addormentarono.
Poi iniziò la loro vita da sovrani e fu un principio intenso, privo di tempi morti. C’era un nuovo kalashà da eleggere, leggi da cambiare e altre da far rispettare. Combattevano fianco a fianco ogni giorno, discutevano e si confrontavano, approntavano miglioramenti dove era necessario. Erano entrambi perfezionisti, lavoravano fino a esaurirsi e ogni sera si stendevano nello stesso letto discutendo ancora, all’infinito, di ogni minimo problema.
Correvano nella stessa direzione, naturalmente, senza forzature. Era semplice per loro collaborare, sostenersi, condividere gli obiettivi. E alla fine di ogni giornata, Vera sentiva il suo desiderio per il marito crescere e i suoi sentimenti intensificarsi.
Passarono tre mesi senza sostanziali cambiamenti se non nei suoi sentimenti verso Edhuar, che sfumarono dall’apprezzamento all’interesse, fino a una forte attrazione. Vivere accanto a lui a quel modo, stava diventando un tormento dolceamaro. Condividere il governo del regno era un’esperienza gratificante, ma non era sufficiente a placare la voragine dei suoi desideri. Prima di allora non aveva ritenuto possibile  provare un’attrazione così forte, tanto a livello intellettivo quanto fisico. Tuttavia non poteva far nulla per modificare la loro situazione, era stata lei a suggerire di mantenere una relazione distaccata finché Edhuar non si fosse sentito meglio.
Ma lui, invece di migliorare, a un certo punto divenne cupo e insofferente. Anche se mantenne il suo zelo lavorativo, in lui crebbero la frustrazione, il nervosismo, l’irritabilità. Vera tenne d’occhio Edhuar per qualche giorno, cercando inutilmente di capire da dove provenisse quel cambiamento d’umore. Alla fine, non venendo a capo di nulla, decise di affrontarlo apertamente.
Lo trovò un pomeriggio affacciato al terrazzo, immerso in un alone di cupa riflessione e gli si affiancò.
- So che sei insoddisfatto – gli disse – Ma non capisco cosa ti tormenta.
Lui si strinse nelle spalle, cercando di restare evasivo.
- È solo stanchezza.
Vera allora usò il suo potere per avvicinarsi al suo animo, lo sfiorò delicatamente solo quel tanto necessario a capire cosa stesse accadendo. Scoprì con sollievo di non c’entrare con il malumore del marito. Edhuar desiderava solo tornare ad arrampicarsi sugli alberi, ne sentiva la nostalgia come se a mancargli fosse lo stesso ossigeno. Senza quello sfogo saltuario, Arco d’Occidente diventava per lui una prigione claustrofobica.
- Non devi rinunciarci, puoi farlo ancora – lo incoraggiò.
Edhuar però non sembrava del parere.
- Un sovrano non si comporta da selvaggio…Nessun re ha mai fatto nulla del genere.
Vera avrebbe potuto essere d’accordo con lui, ma la frustrazione del marito la addolorava. Lo prese per mano e lo condusse all’aperto, fino all’inizio della foresta.
Quando fu in mezzo agli alberi, Edhuar cercò i suoi occhi, esitante, quasi a chiederle il permesso. Poi fece un salto verso il ramo più basso, si attaccò, oscillò avanti e indietro… e si trasformò in un gatto selvatico. Vera era certa di non aver mai visto nessuno muoversi a quel modo, quasi volando da un ramo all’altro.
Poi Edhuar tornò verso di lei e le porse la mano. Lei l’accettò senza esitare, sorprendendosi di se stessa. Ma voleva vivere quel momento di inaspettata intimità con Edhuar, così lo seguì, faticosamente, fino in cima.
In alto era bellissimo, ne fu incantata.
- Penserai che sia un folle – disse lui, senza riuscire a mascherare la gioia di trovarsi in quel luogo.
Lei però era piuttosto affascinata dal modo in cui Edhuar sapeva godere di quella libertà… e glielo disse. Trovava facile parlare con lui più che con chiunque altro, l’aveva pensato fin dal principio.
Alle sue parole, lui rise. Vera percepì il suo stato d’animo euforico e gioì della sua serenità.
- Grazie per avermi convinto a farlo – le disse – Sai… non ho mai conosciuto una persona che fosse così attenta ai miei bisogni… ai miei stati d’animo come invece sai fare tu.
- Non è così difficile, quando ho un potere che mi permette di leggerti dentro.
Edhuar le restituì uno sguardo ricco di calore e fu in quel momento che lei si rese conto, piuttosto tardivamente, che anche lui poteva leggerle dentro. E dalla sua espressione capì che conosceva i suoi sentimenti.
Prima però che potesse reagire in qualunque modo, Edhuar si sporse a baciarla.
Era il primo bacio che scambiava con il marito, nonché il primo di tutta la sua esistenza, ma invece di goderselo, Vera istintivamente scandagliò le sensazioni di Edhuar. Non trovò nulla di ciò che cercava: né pietà, né disgusto, né forzature.
Allora si avvicinò al suo cuore per cercare tracce di Allegra. Edhuar non le chiudeva mai il suo animo, cosa che in realtà avrebbe potuto fare: nessuno poteva leggere nel cuore del re senza il suo accordo. Ma lui non la ostacolava mai, per quanto Vera sapesse che non gli riusciva facile lasciarsi conoscere. Aveva deciso di non difendersi davanti a lei.
Lui invece era molto discreto nei suoi confronti, sapeva di ciò che Alexen le aveva fatto e non intendeva replicare l’accaduto. Si affacciava al suo animo con delicatezza, non si spingeva mai fino alle zone più sensibili del suo cuore. Captava solo ciò che per la naturale sensibilità datagli dai suoi poteri, non poteva evitare di sentire.
Come i suoi sentimenti per lui.
Edhuar si staccò prima che lei potesse portare a termine la sua indagine.
- Sono lusingato dai tuoi sentimenti – le disse, serio – Ma non sto facendo la carità a nessuno. Specialmente non a te.
Vera s’impose di non abbassare lo sguardo, anche se si vergognava di aver cercato così spudoratamente Allegra nel cuore del marito.
- Vera… - mormorò lui – Se vuoi che ti parli di Allegra, di quello che ancora sento per lei, di quanto avverto la sua mancanza, di quanto mi ritrovo a pensarla… lo posso fare. Se è questo che vuoi, sarò io stesso a parlartene apertamente. Ma non so quanto questo ci aiuterà.
I suoi occhi chiari la studiarono con calma.
- Se cercherai Allegra nel mio cuore, la troverai sempre, anche fra cinquant’anni. Magari sarà un puntino polveroso e nascosto, ma lo troverai. Ha cambiato la mia vita, ha segnato un punto di svolta cruciale nella mia esistenza, anche volendo non potrei dimenticarla.
Vera fece un cenno d’assenso per indicare che capiva.
- Non voglio ferirti – aggiunse lui – Ma succederà se in ogni mio gesto affettuoso cercherai quanto amore mi resta per Allegra per scoprire se puoi reggere al confronto. Continuando a focalizzarti sui miei sentimenti per lei, soffrirai, diventerà un’ossessione… verrai ferita continuamente, giorno dopo giorno, anno dopo anno.
- Hai ragione – sussurrò lei.
- Allora ti chiedo una cosa. Non cercare più Allegra dentro di me, cerca solo te stessa. Concentrati sulla stima, sull’affetto, sull’attrazione che provo per te. Solo sul nostro rapporto e nient’altro.
E così Vera aveva fatto, scoprendo nel suggerimento di Edhuar una profonda saggezza. Guardando solo al loro rapporto, aveva visto crescere giorno per giorno i sentimenti del marito per lei, e quello era stato gratificante. Rassicurante. Non aveva più cercato una sola volta Allegra, nel suo cuore.
Dopo un mese circa da quell’episodio, avevano fatto l’amore per la prima volta, e dopo altri tre mesi Vera era rimasta incinta.
Ora, Lissa aveva quattro anni e mezzo e Aranta due. Lei era incinta per la terza volta, e ancora Edhuar non sapeva tutto.
 
 
L’ultima riflessione fa tornare Vera al presente.
Sa che deve radunare il coraggio per affrontare un argomento che le sta a cuore. Istintivamente si copre il ventre con una mano.
- Edhuar… cosa faresti se fossero due gemelli?
Lui si irrigidisce, perde colore in viso, come se gli avesse dato un pugno nello stomaco.
- Lo sono?
- C’è la possibilità, lo sai.
- Se hai visto il sesso, sai anche quanti sono – replica.
Vera esita. La preoccupazione di lui le martella le tempie come un mal di testa.
- Sono due – confessa alla fine – Ma conosco il sesso di uno solo dei due.
Aspetta che lui assimili il concetto.
- Potrebbero essere un maschio e una femmina – aggiunge – Oppure due maschi.
La tensione gli attraversa il corpo come corrente elettrica.
- Hai paura che possa ripetere gli errori di mio padre? – le chiede, con i nervi a fior di pelle.
- Non credo che lo farai.
- Non ho intenzione di allontanare nessuno dei miei figli – dice, rigido – Anche se fosse la soluzione più giusta per il Paese!
Vera sorride e aspetta.
Negli anni ha dovuto affrontare più volte il fantasma del vecchio re, nelle reazioni di Edhuar. I primi tempi riconosceva spesso, negli scatti del marito, l’esperienza di rifiuto vissuta nella giovinezza, così come un onnipresente complesso d’inferiorità e inadeguatezza. Poi gli episodi si sono gradualmente diradati. Edhuar è diventato lui stesso consapevole del significato del proprio comportamento, vedendosi riflesso negli occhi della moglie ha appreso un modo più equilibrato di vivere.
Anche ora, notando l’atteggiamento di Vera, Edhuar si blocca. Trattiene il respiro, riflette.
- Scusa – sospira alla fine – Che reazione assurda.
- Neanch’io sono intenzionata ad allontanare nostro figlio, e comunque nessuno può costringerti a fare ciò che non desideri.
- Eppure ho paura che il senso del dovere o la responsabilità nei confronti di Katathaylon possano obbligarmi a scelte forzate. Come… se non mi restasse la libertà di decidere. So che sembra pazzesco, eppure è questo che è accaduto a mio padre.
Alza il viso al sole e i suoi occhi si concentrano su qualcosa di distante. Vera sa che sta ripensando al suo passato e alle ripercussioni che le decisioni del padre hanno avuto sulla sua vita.
Non è stato semplice per lui rimettersi in piedi, dopo un’intera esistenza costretta in ginocchio. Ma adesso è sereno ed è un sovrano degno di nota, di quelli che la storia ricorderà, come disse un tempo Allegra. Nonostante tutto riesce a essere un padre equilibrato, che utilizza la propria esperienza per riproporre qualcosa di meglio di ciò che ha ricevuto.
Anche il rapporto fra loro è sereno, la condivisione completa degli stessi valori permette loro di lavorare fianco a fianco in sintonia, di sostenersi e incoraggiarsi a vicenda.
Edhuar per lei ha sempre un’attenzione particolare, una delicatezza costante. E poi la cerca spesso, la desidera.
La ama?
Non lo sa. Ha smesso da tempo di investigare nel cuore del marito come una moglie ossessiva.
Lei di certo si sente amata, non potrebbe immaginare nulla di più.
È felice. Entrambi sono felici ora, di questo ha la certezza.
Anche lei è cambiata negli anni, si è addolcita e ha lasciato, a poco a poco, che le sue emozioni salissero un po’ più alla superficie. È stata la maternità a cambiarla, è stato Edhuar con il suo rispetto e la sua fiducia… è stato Alexen, che molti anni prima le ha svelato il punto debole della sua corazza.
Da allora ne ha fatti di cambiamenti, Alexen stesso non smette di sottolinearlo ogni volta che viene in visita.
E le parole stesse di Alexen, quelle che le ha rivolto sei anni prima, le tornano ora in mente venendole in soccorso.
- Edhuar – mormora con dolcezza – Non aver paura per questi bambini. Non sei solo, io non ti lascerò fare nulla di sbagliato. Qualunque decisione la prenderemo insieme.
Il volto del re si distende. L’avvolge con un braccio e la stringe, mentre il momento più difficile passa.
È sicura che non abbia dimenticato Allegra, ma non ha più nessuna importanza.
Oggi è lei quella seduta in cima al mondo con il marito, e ai piedi di quell’albero c’è l’intera Katathaylon che attende la nascita di un erede.
O di due.


****************************-Nota dell'Autrice-****************************

So che la maggior parte dei lettori adorava la coppia Allegra/Khail, ma personalmente trovo questa accoppiata Vera/Edhuar assolutamente deliziosa.
Due anime delicate, bisognose di un approccio gentile, che si incontrano, si rispettano a vicenda, si avvicinano e imparano ad amarsi. Li trovo un connubio affascinante.
E spero che anche qualcun altro possa amare  come me, questo legame che nel tempo si è venuto a creare...

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 41
*** -EPILOGO- Nel Mondo Di Fuori ***


 -Epilogo-
 
Nel Mondo di Fuori
 
 
“Nelle favole
non si può evitare il lieto fine
mai,
e nonostante questa notte finirà,
la realtà sarà per me
come una favola…”
 
“Favola”- Ilaria Porceddu
 
 
 
 
 
 
Ci sono cose nella vita che sai da sempre, come se nascessi con un libretto di istruzioni al seguito. Altre invece le scopri poco alla volta, nel tempo, grazie all’esperienza e a quella particolare capacità di riflettere e di tracciare relazioni fra gli eventi che abbiamo noi esseri umani.
Che Katathaylon mi avrebbe cambiato la vita, l’avevo sempre saputo. Non si può vivere una favola per poi tornare indietro come se nulla fosse accaduto. Non puoi salvare un intero Paese e innamorarti, ricambiata, di un principe dagli occhi azzurri, e pensare che l’idea che hai di te stessa non ne resti almeno un po’ influenzata.
Le tre settimane trascorse a Katathaylon mi avevano saturata di esperienze irripetibili, rispedendomi nel mio mondo con un bagaglio variegato di riflessioni su me stessa, sugli altri e sulla vita in generale. Riflessioni che mi avrebbero accompagnata in molte scelte della mia vita, a partire da sei anni prima, quando tornai col cuore in pezzi da un mondo incantato, fino a oggi che sono qui.
Quello che invece allora non sapevo ancora, e che ho compreso nel corso degli anni, è che la mia storia con Edhuar non sarebbe comunque durata a lungo.
L’avventura vissuta insieme nei pochi giorni di missione, unita alla particolarità dei nostri caratteri, era diventata un mix vincente e aveva infiammato i nostri cuori con una vampata divorante. Nell’ardore di quegli attimi, avevamo creduto che sarebbe durata per sempre senza renderci conto di quanto le reciproche differenze ci avrebbero prima o poi esasperati.
Edhuar aveva una struttura di pensiero schematica, una concezione di vita votata interamente al dovere, che non avrei potuto tollerare all’infinito. A un certo punto mi sarei sentita soffocare e, pur amandolo, sarei diventata sempre più insofferente, evitante.
La nostra separazione, a conti fatti, ha invece trasformato la nostra storia in un frammento di fiaba, una scheggia di magia incastrata nel passato, là dove niente potrà rendere il suo ricordo meno denso di emozioni.
È bello poter ritrovare nel mio cuore l’alito struggente di quegli istanti, immutati nella loro bellezza anche oggi che il tempo ha ormai cambiato tante cose.
 
 
Sto guardando il mare.
Le onde si innalzano boriose contro il cielo, schiaffeggiano gli scogli con movimenti secchi, si sciolgono in schiuma polverosa. Il loro andamento ritmico, regolare, aiuta il mio spirito a distendersi mentre i pensieri mi si srotolano pigri nella testa.
Aspetto Vera che dovrebbe arrivare a momenti. È incinta di sei mesi di due gemelli che sposteranno a quattro il numero dei suoi figli. Sta approfittando delle visite a me, per fare regolari ecografie che la rassicurino sulla gestazione. Una gravidanza gemellare è più impegnativa e la spinge a cercare conferme da medici più competenti.
Sorrido. Stamattina Alexen l’ha presa in giro ripetutamente per le sue ansie
Non che Vera si sia trasformata in una persona apprensiva o eccessivamente emotiva, ma negli anni il cambiamento è stato comunque degno di nota. Ogni tanto mi chiedo quanto la presenza di Edhuar ne sia stata responsabile.
Che Vera sia innamorata di lui è un dato di evidenza inconfutabile, che ha cessato di sorprendermi nel momento stesso in cui ho riflettuto sull’animo del nuovo re di Katathaylon.
A far innamorare Vera sono state proprio quelle caratteristiche di cui, molto presto, io mi sarei stancata. Khail e Vera sono un connubio perfetto, una ricchezza cui Katathaylon può fortunatamente attingere. Non sarebbe stato lo stesso se il re fosse diventato Alexen, che con la sua voglia di cambiamento si è volontariamente esiliato dalla vita a palazzo  per scappare in un mondo più libero.
Alexen, nel Mondo di Fuori, ha avuto finalmente ciò che desiderava, anche se l’inizio per lui è stato veramente duro. Se cerco di tornare con la memoria a sei anni fa, mi rendo conto di quanto sia forte ora il contrasto con quel periodo e quanta strada abbiamo fatto entrambi da allora.                                                                                                                                                                                                                                                                  
Alexen ha conquistato mamma, prima del tramonto del giorno stesso in cui è arrivato.
Prima di una settimana, Gioia si era presa per lui una cotta stratosferica e papà si era bonariamente abituato alla sua presenza, pur restando confuso sul ruolo ricoperto da quel nuovo giovane che aveva preso a frequentare la sua casa.
Alexen si stabilì nella villa che era stata di Vera, si prese un paio di giorni per scoprire come funzionasse, in concreto, il suo nuovo mondo e poi cercò lavoro.
Essendo il mese di giugno, venne assunto come stagionale nei campi e per tutta l’estate si alzò all’alba e rientrò a tarda sera, sporco, sudato e sfinito.
Desiderava essere completamente autonomo e il suo orgoglio gli impediva di chiedere aiuto, ma quanto rientrava esausto a sera, si ritrovava alle prese con la lavatrice e il fornello, completamente solo in una casa enorme. Mi presentavo a casa sua per aiutarlo, lo invitavo a cenare da noi, ma lui rifiutava regolarmente. Non era solo l’orgoglio a frenarlo, ma anche un protratto scrupolo nei miei confronti di non accrescere la mia sofferenza con la sua somiglianza a Edhuar.
Allora mandavo mamma a prenderlo e lei riusciva sempre a spuntarla. Tornava in capo a mezzora con un Alexen ancora gocciolante di doccia e a quel punto Gioia correva a sistemarsi il trucco, mentre papà stappava una bottiglia di vino buono da bere con quel bravo giovane che lo ascoltava tanto attentamente  parlare delle sue piante.  
All’inizio pensai che si sarebbe arreso rapidamente. Che soddisfazione poteva ricavare un principe di Katathaylon nel restare sotto il sole dodici ore al giorno a raccogliere cipolle?
Divenne nero come un carboncino, i suoi capelli sbiancarono fino a una tonalità vicina al platino e per parecchi mesi non riacquistò completamente il peso perso durante la prigionia ad Arco d’Occidente. Soffriva la fatica, il caldo, la solitudine, lo smarrimento.
Eppure non mollò. Non si lamentò una sola volta, né fece mai mostra di essersi pentito della sua decisione. Le uniche difficoltà che condivise con me, furono le tracce lasciate dalle torture subite. Per mesi, ogni notte si svegliò in preda agli incubi, con la certezza di trovarsi ancora in cella, nelle mani di Ad’hera. E la stessa angoscia tornava anche in pieno giorno, sotto forma di visioni realistiche che lo tenevano inchiodato per minuti interi, mentre sbiancava grondando sudore gelato. Quando me ne rendevo conto cercavo di scuoterlo, ma gli incubi tornavano ancora, ripetutamente.
Sapevo che Alexen soffriva di un disturbo post traumatico, ma non era possibile prendere in considerazione l’ipotesi di consultare uno specialista. Non poteva raccontare a nessuno l’esperienza che aveva vissuto.
In sei mesi i sintomi diurni si ridussero fino a scomparire, mentre gli incubi, pur diradandosi, tornarono per anni.
Alexen giustificò le cicatrici sul corpo lasciate dalle sevizie, raccontando di essere stato preso di mira da un gruppo di sbandati del suo paese, motivo per cui avevo scelto infine di cambiare città. Lo presentai ai miei amici come il cognato di Vera, fatto che inizialmente, insieme ai segni impressionanti sul suo corpo e ben visibili durante i ritrovi in spiaggia, non giocò a suo favore.
Ma la diffidenza durò un batter di ciglia. Alexen, nonostante le numerose difficoltà, non aveva perso il buon umore e riuscì a inserirsi nella compagnia in brevissimo tempo, preso in simpatia dai ragazzi per il suo senso dell’umorismo e dalle ragazze per la sua innata galanteria.     
Nonostante venisse da un mondo differente e risultasse vagamente anomalo all’interno del gruppo, la sua adattabilità e flessibilità gli consentivano di amalgamarsi agli altri come mai era invece accaduto a Vera.
Nessuno, vedendo Alexen in spiaggia fra gli amici, avrebbe riconosciuto in lui il principe reale di un altro mondo. Nessuno avrebbe intuito i segni  atroci interiori lasciati dalla recente prigionia.
Alexen teneva ogni cosa chiusa in se stesso, lasciando trapelare all’esterno solo la gioia di conoscere posti e persone nuove, abitudini diverse e inusuali. Per lui era inebriante.
Attirava ragazze come mosche al miele e il fenomeno lo sconcertava. Restava sbigottito di fronte alla disinvoltura con cui le ragazze cercavano di portarselo a letto, e mi interrogava di continuo sulla scioccante leggerezza con cui, nel mio mondo, si affrontavano le relazioni sentimentali.
Lui respingeva le proposte con galanteria, svicolava con delicatezza, o fingeva di non capire.
Mi domandai spesso, in quel periodo, come avrei reagito quando si fosse finalmente innamorato e avessi visto una persona così identica a Edhuar uscire con un’altra ragazza.
Ma il problema in realtà non si presentò.
La grande passione di Alexen era viaggiare. Voleva conoscere il mondo intero e vederlo con i suoi occhi. Con i guadagni dell’estate andò in Svezia una settimana e tornò entusiasta come un bambino. La cosa divenne un’abitudine. Lavorava senza sosta facendo anche due o tre mestieri in contemporanea, metteva da parte i soldi e appena poteva partiva per un viaggio.
Il suo secondo giro fu in Grecia e mi chiese di accompagnarlo. Ormai era evidente che, nonostante la sua somiglianza con Edhuar, non intendevo chiudere i rapporti con lui e così accettai. Da quel momento andai sempre con lui. Alexen era una compagnia molto gradevole, divertente, brillante, mai noiosa.
Durante il primo anno fece i lavori più disparati, dal cameriere al giardiniere, dall’operaio al lavapiatti, dal manovale al baby-sitter. Tutto ciò che gli interessava era raccogliere i soldi per il viaggio successivo.
Fu grazie a questa passione che si avvicinò alla fotografia. Iniziò a immortalare e a catalogare i luoghi che visitava, affinando gradualmente la sua tecnica. Lo spronai allora a seguire dei corsi specifici e a cercare lavoro come assistente presso un fotografo, e lui fece entrambe le cose. Durante i tre anni successivi rimase nello stesso posto, si fece una buona esperienza e divenne così bravo che a un certo punto fece il salto nel buio… e si mise in proprio.
E la cosa funzionò.
 
 
Il rumore di passi alle mie spalle, mi fa voltare all’improvviso.
Vera, nell’abitino premaman estivo, mi si affianca. Al sesto mese ha già una pancia molto evidente, ma gradevole. È strano immaginarvi all’interno due piccoli esseri umani perfettamente identici.
- Tutto bene? – le chiedo.
Lei siede sullo scoglio sospirando di sollievo.
- È tutto a posto, non ci sono complicazioni. E tu?
Mi porto la mano sulla pancia dove, da circa tre mesi, una minuscola creatura che porta il cinquanta per cento dei miei geni, sta moltiplicando le sue cellule a dismisura.
- Ho solo un po’ di nausea – rispondo – Ma non c’è nulla degno di nota.
 
 
Ho detto che in principio per Alexen è stata dura, ma lo stesso si potrebbe dire per me. Tornare alla realtà di tutti i giorni, per lungo tempo mi sembrò uno scherzo assurdo. Era come se fossi diventata a tutti gli effetti un’abitante di Katathaylon e il mio mondo mi calzasse all’improvviso come una scarpa stretta, mi sentivo soffocare in ogni luogo e in compagnia di chicchessia.
Portavo dentro di me otri di lacrime che mi sforzavo di non versare, provavo a sorridere e a fingere di essere ancora me stessa, ma trascorrevo le giornate aspettando solamente che finissero. Quando scendeva l’oscurità, con una scusa mi eclissavo dal gruppo e mi sedevo su uno scoglio, avvolta dal buio, e in quell’oscurità mi veniva semplice ripensare a Edhuar e ricordare istante per istante ogni minuto trascorso insieme. Ogni sera ricordavo un episodio diverso, un momento differente del nostro intenso ma brevissimo tempo insieme.
Per quanto con gli amici fingessi, non ero più la stessa Allegra; di me erano rimaste ceneri tiepide sul punto di disperdersi, come se qualcuno avesse gettato un panno sulle fiamme, soffocandole completamente. Avevo il cuore in pezzi, e tutti se ne accorsero.
Ma con chi potevo parlare?
Eludevo le domande, fingevo di non cogliere le allusioni, mi isolavo.  In quei momenti, al mio fianco si materializzava Alexen, come evocato dai miei sospiri.
- Se peggioro la situazione dimmelo – esordiva ogni volta. Ma non lo mandai mai via.
Volevo che il tempo trascorresse in fretta perché il dolore si acquietasse, ma nel contempo tutto il mio essere si ribellava animosamente all’idea di dimenticarmi di Edhuar. Alexen era l’assicurazione vivente che non mi sarei mai scordata del suo viso. L’immagine di Edhuar sarebbe invecchiata accanto a me.
Alexen era per me una presenza riposante, era l’unica persona che conosceva l’origine del mio dolore, l’unico con cui potevo abbassare la guardia, con cui non dovevo fingere. E lo stesso ero io per lui.
Rappresentavamo l’uno per l’altra quell’angolo neutrale in cui smettevamo di trattenere il respiro. In quel periodo, ciascuno di noi due fu necessario all’altro come ossigeno. Ci cercavamo a vicenda come due calamite di segno opposto.
Quel periodo di assestamento gettò le fondamenta della nostra amicizia, che divenne nei mesi successivi sempre più stretta e intima.
Non so individuare il momento preciso in cui Alexen smise di ricordarmi Edhuar. A un certo punto fu per me come se avessero due volti differenti. Oggettivamente sapevo che erano identici, eppure ai miei occhi Alexen fu solo Alexen e Edhuar solo Edhuar. Conoscevo ormai Alexen troppo bene, per poterlo ancora sovrapporre al fratello.
Alexen era molto diverso da Edhuar, più libero, più sereno, più orgoglioso, ma anche più diretto. Più sentimentale ed emotivo, più lineare nei suoi stati d’animo.
Quando gli dissi di voler correggere il mio carattere per renderlo meno istintivo, mi aiutò a individuare i miei atteggiamenti aggressivi nel momento stesso in cui nascevano, e a controllarli. Non volevo che Katathaylon fosse passato invano. L’esperienza che avevo vissuto con Edhuar aveva rivelato apertamente la grossa falla nel mio sistema di giudizio.
Volevo migliorare e ci riuscii.  Non dico di essere diventata una donna paziente, rimango una persona prevalentemente istintiva, ma ho imparato ad ammortizzare i miei scatti impulsivi con una certa dose di riflessione. Questo, nel tempo, ha dato i suoi frutti.
Alexen si innamorò di me quasi immediatamente, ma io lo seppi solo parecchio tempo dopo. Era una persona talmente gentile e affettuosa che mi risultava difficile capire quali sentimenti guidassero il suo atteggiamento.
Per quanto riguarda me invece, il cambiamento fu graduale.
Si accumulò nel tempo una lunga serie di istanti condivisi, di confidenze, di viaggi, di risate.
Piansi più di una volta sulla spalla di Alexen, nei momenti in cui il dolore per la perdita di Edhuar riusciva a prendere il sopravvento. E io dormii molte volte nella camera accanto alla sua, per non lasciarlo solo quando gli incubi lo sorprendevano.
Per mamma, Alexen divenne un secondo figlio, e io stessa lo accolsi come un nuovo membro della famiglia. In certi momenti riuscivo a dimenticare che faceva parte di Katathaylon.
Lui non ci tornò per un anno intero, voleva avere il tempo di abituarsi alla nuova vita, prima di rivedere il suo paese. Solo dopo che Vera venne in visita la prima volta, a tredici mesi dal suo matrimonio, lui si decise a rientrare per un paio di giorni ad Arco d’Occidente.
Quando rividi Vera, pensai a Edhuar, inevitabilmente. Ma quando Alexen rientrò a Katathaylon, fu lui a mancarmi.
Mi dissi che mi ero abituata ad averlo intorno e giustificai a questo modo le mie sensazioni. Non avrei mai potuto tollerare di aver scambiato un fratello per l’altro, era un pensiero che non ero pronta ad affrontare. E neppure Alexen, che si considerava ai miei occhi come la copia di ripiego di Edhuar.
Pazientò per tre anni, restandomi vicino mentre il suo desiderio per me aumentava. E mentre anche il mio per lui germogliava. Raggiungemmo un equilibrio delicato, fatto tanto di vicinanza quanto di pericolosi “non detti”. Nessuno dei due azzardava un passo in più nel timore di incrinare la nostra amicizia. Neppure io sapevo cosa augurarmi. Dopo tre anni  non riuscivo più a ignorare i miei desideri, ma non sapendo cosa sarebbe venuto da Alexen, avrei scelto di vivere a quel modo per sempre, pur di avere la certezza di non perdere la sua amicizia.
I ragazzi della compagnia ci consideravano un caso disperato, mamma altrettanto. Ciascuno di loro vedeva con chiarezza ciò che, sia io che Alexen, temevamo fosse un’illusione a senso unico.
Ma, pur non augurandomelo, sapevo quella situazione di stallo era destinata a concludersi. Uno dei due avrebbe dovuto fare il primo passo.
Fu Alexen a esplodere per primo.
 
 
Una sera di agosto lo vidi allontanarsi dalla compagnia e andarsi a sedere da solo sugli scogli. Da poco tempo una nuova ragazza si era aggiunta al nostro gruppo e aveva iniziato a fargli una corte serrata. Pensai che si fosse stancato di eludere le sue avances insistenti, così poco dopo lo raggiunsi.
- Prima o poi i ragazzi normali cedono alle avances! – lo apostrofai, sedendomi accanto a lui. Non avrei mai ammesso il mio terrore che alla fine lui s’invaghisse di qualcuna.
- Anche le ragazze normali – obiettò lui in risposta. Mi lanciò un’occhiata intensa, scevra di quella punta d’ironia che accompagnava sempre le nostre discussioni.
- In questi tre anni sei uscita con un solo ragazzo – mi ricordò – E l’hai visto solo due volte.
Abbassai gli occhi, colta da un’improvvisa ritrosia.
- Già.
- Da allora sono passati due anni.
Mi sforzai di ricordare quel ragazzo.
- Quel tipo voleva portarmi a letto già al secondo appuntamento.
- Ha cercato di forzarti? – mi chiese, teso.
- No. Non palesemente. Ha cercato di convincermi con le lusinghe. Ha messo in mezzo l’attrazione che provava per me e quella che avrei dovuto provare io se fossi stata interessata a lui. Le sue parole non mi sembrarono che un ricatto.
Alexen rimase zitto. Capiva che non avevo finito.
- Un tempo forse avrei ceduto – aggiunsi – Mi sarebbe sembrato naturale dimostrargli il mio interesse come lui si aspettava. Per tenerlo legato a me.
Un’onda più forte delle altre si spaccò sulle rocce sotto di noi.
- Ora invece non tollero più questo comportamento. Non dopo Edhuar.
Chiusi gli occhi, tornando indietro nel tempo. Era così difficile spiegare ciò che era cambiato.
- Edhuar non mi ha mai chiesto nulla – dissi – L’ho insultato e umiliato, l’ho quasi ucciso, gli ho sputato in faccia, l’ho picchiato. Ma questo non gli ha impedito di amarmi. Ho avuto una persona che nel momento di pericolo mi ha difesa, mi affidato ciò che di più importante aveva… una persona che si è fidata delle mie parole, del mio giudizio, anche se in questo modo stava rischiando la vita. Una persona che ha tradito i suoi valori per aiutarmi… che ha cambiato il suo futuro per salvarmi. E questo senza mai rinfacciare nulla, senza imporsi, senza l’ombra di un ricatto, di un tornaconto, di una pretesa. Semplicemente perché era ciò che sentiva di voler fare.
Mi accorsi a malapena di avere gli occhi pieni di lacrime.
- Dopo aver avuto questo, dopo essere stata amata così… non riesco ad accontentarmi di niente di meno. Non ci riesco Alex… Edhuar mi ha fatto capire cosa significa veramente amare qualcuno.
Le mie parole lo ferirono profondamente, a mia insaputa. Alexen le stava interpretando come se mai fosse stato all’altezza delle mie aspettative, a dispetto di quelli che erano i miei reali pensieri.
Volevo sottolineare il modo in cui Edhuar mi aveva resa conscia della mia dignità personale, non certo sostenere che Alexen fosse da meno.
- Ho capito – rispose lui, semplicemente. Il suo tono mi fece comprendere che l’isolamento in cui si era rinchiuso aveva poco a che vedere con le avances di Lara.
- Perché sei triste? – gli domandai.
Non mi guardò. Aspettai in silenzio, ma eluse la domanda.
- A fine settembre andrò in Germania. Vieni con me? – disse invece.
La proposta mi entusiasmò al punto che dimenticai la mia domanda.
 
 
Affittammo così, per cinque giorni, una casetta nella Foresta Nera.
I primi quattro giorni filarono lisci, nonostante fra noi corresse ormai una tensione sotterranea che potevamo solo fingere di ignorare.
Vivere fianco a fianco come fratelli, stava diventando intollerabile a entrambi. Ero conscia del modo in cui lo osservavo, quando usciva dalla doccia con un solo asciugamano attorno ai fianchi e i capelli umidi, senza sapere di quanto a sua volta lui si stesse trattenendo.  Eppure, di nuovo, nessuno dei due aveva il coraggio di fare un passo fuori dal seminato.
L’ultima sera scese il freddo all’improvviso, mentre ancora rientravamo a piedi da un paese vicino. Avevamo previsto di rincasare per cena e invece in ultimo c’eravamo fermati a cenare in un ristorantino. Nel frattempo era calata una sera ammantata di freddo pungente e vedendomi rabbrividire, Alexen insistette per lasciarmi il suo maglione, rimanendo con una maglietta di cotone.
Accesi il fuoco appena entrati in casa e ci sedemmo sul tappeto davanti al caminetto. Alexen rabbrividiva e quando lo toccai trovandolo gelato, l’esperienza avuta tre anni prima nel fiume con Edhuar riaffiorò, facendomi battere il cuore di spavento.
- Sei congelato! – boccheggiai, sfregandogli le braccia per scaldargliele – Non dovevi darmi la maglia! È pericoloso Alex!
Ero così agitata che non notai il suo sguardo mutare. Quando mi sollevai in ginocchio per sfregargli anche le spalle, il mio viso sfiorò il suo e in quel momento Alexen tratteggiò quel breve passo che aveva trattenuto per tre anni.
Appoggiò la bocca alla mia, lasciando che un tempo infinito di sentimenti repressi innescasse una reazione esplosiva. Per un minuto intero non compresi nulla, drogata dalla ricerca affannosa di Alexen, dalle sue mani che si appoggiavano sempre più in basso lungo la mia schiena.
Quando venni raggiunta da un barlume di buon senso, mi staccai rapidamente, quasi di forza.
- Perché lo fai? – chiesi con il respiro corto, presa da un’improvvisa paura – Mi stai prendendo in giro?
Mi resi conto subito di averlo scioccato, si aspettava tutto fuorché quell’accusa. Sapevo bene che Alexen non era persona da comportarsi con leggerezza. Cercai le parole per scusarmi, ma la sua espressione mi disorientò. Era completamente annichilito, le braccia abbandonate lungo i fianchi come senza forza.
- Mi dispiace… - balbettò – Io… non volevo farlo, ho perso il controllo. Mi controllo da così tanto tempo che… - si interruppe deglutendo, come se la sua gola fosse diventata un deserto arido.
- Non dire che ti sto prendendo in giro – aggiunse con voce flebile – Non era mia intenzione aggredirti a quel modo, è solo che… - chiuse gli occhi e all’improvviso tutto quanto uscì fluidamente, in un fiotto di parole – È solo che ti penso in continuazione, in ogni momento. Ho voglia di sentirti…sempre, di parlarti, di toccarti… e non fa che aumentare. Ti amo così tanto che non riesco a concepire di poterti perdere, vivo nel terrore che ti possa innamorare di qualcun altro e che… - si azzittì all’improvviso, col fiato corto, accorgendosi di quanto si fosse lasciato uscire.
Io non riuscivo più a muovermi, paralizzata dalla sorpresa, dall’ansia, dalla paura di far qualcosa di sbagliato. Aveva detto che mi amava?
L’aveva detto veramente?
- Allegra… scusami. Non… non ho alcuna pretesa, so che non posso essere all’altezza di Edhuar. Non succederà più, non ti toccherò mai più, continuerò a essere il tuo migliore amico come sono stato fino ad ora, ti prego, perdonami!
Le sue ultime parole riuscirono finalmente a scuotermi. Continuerò a essere il tuo migliore amico, era qualcosa che non volevo più sentire. Dovevo impedirgli di tornare indietro, di cancellare quello che finalmente uno di noi due aveva fatto.
Mi sporsi verso di lui, riprendendo quello che aveva iniziato. Lui sussultò, la sorpresa lo fece esitare.
- Tu non sei meno di Edhuar – mormorai – Non l’ho mai detto.
Quando rientrammo dal viaggio, mamma comprese immediatamente cos’era accaduto fra di noi ed esultò. Papà, dal suo canto, era già fermamente convinto da anni che Alexen fosse il mio ragazzo.
L’intimità fra noi era sempre stata tale, che ufficializzare la nostra relazione non costruì un nuovo rapporto, ma si limitò a completare ciò che era già in atto. Per questo, dopo meno di un anno Alexen mi parlò di matrimonio. Il suo negozio era ormai avviato e io avevo un mio stipendio, considerammo di potercela fare.
L’unico scoglio da superare rimaneva Edhuar, perché Alexen non voleva affrontare questo passo senza l’approvazione del fratello. Se Edhuar avesse rinunciato a te per avere il trono, sarebbe stato diverso - mi disse – Ma lui aveva scelto di lasciare Katathaylon e se invece è diventato sovrano è stato solo per salvarti la vita. Se tu non avessi rischiato di morire, oggi ci sarebbe lui al mio posto.
Così si recò a Katathaylon per affrontare l’argomento con il fratello. Edhuar rimase turbato, ma la notizia non fu una doccia fredda. Vera aveva già capito da tempo che quel momento sarebbe arrivato e lo aveva preparato gradualmente.
Edhuar, naturalmente, spinse Alexen verso di me e anche se non avevo mai creduto che ci sarebbe stato d’ostacolo, il suo benvolere fu importante.
Così, dopo quattro anni e mezzo dalla mia partenza da Katathaylon, ne sposai quel principe ereditario che per anni era stato il promesso sposo di Vera.
Lei venne al matrimonio, così come mi aveva promesso ad Arco d’Occidente, e mi fece da testimone assieme a Gioia.
Rimasi sbalordita quando, il giorno prima delle nozze, mi consegnò una busta sigillata proveniente da Katathaylon.
La aprii pervasa da una sensazione d’irrealtà, con le mani tremanti.  Sul foglio raffinato, le parole di Edhuar si srotolavano in una calligrafia spigolosa e sottile.
 
“Allegra,
sei la persona migliore che Alexen potesse scegliere. Non potrei desiderare nessun’altra donna come moglie di mio fratello, non c’è persona migliore di Alexen che potrei immaginare come tuo marito. So che insieme costruirete qualcosa di buono,  vi auguro un matrimonio forte, felice. Spero che tu sia serena Allegra, perché io lo sono. Mi sono reso conto che questa era la vita migliore che potessi condurre e se tornassi ora indietro nel tempo, probabilmente intraprenderei questa strada a prescindere dal resto.
Volevo che lo sapessi, e voglio che tu sappia che questa mia felicità è merito tuo, perché si basa su fondamenta che tu stessa hai gettato quasi cinque anni fa.
Occupi nel mio cuore uno spazio che non sarà mai di nessun altro. Ti porterò con me, così com’è stato in questi anni, per sempre.
Ti auguro ogni felicità,
Khail”
 
Quelle poche righe scatenarono una cascata di lacrime che lavarono il mio cuore dagli ultimi rimpianti.
Consegnai a Vera un biglietto di risposta con una sola frase: “Lo stesso vale per me”.
 
 
Vera è seduta sullo scoglio accanto ai miei piedi, i gemelli pesano in pancia e la rendono lenta e stanca come non è mai stata.
- Dove hai lasciato Lissa e Aranta? – le chiedo, accorgendomi solo in questo momento che non dovrebbe essere sola.
- Sono con tua madre – sorride – Sai che la chiamano nonna?
- Mamma le adora!
La presenza delle principesse nel mio mondo, è un’altra concessione introdotta da Edhuar. Ha pensato che conoscere il Mondo di Fuori potesse essere di vantaggio alle figlie.
E le figlie di Edhuar non sono le uniche principesse… lo sarà anche mia figlia. Ed essere la moglie di Alexen non rende un po’ principessa anche me?
Sorrido all’assurdità della situazione.
Ora io e Vera siamo cognate. Sono cognata di Edhuar.
Forse non rivedrò più Katathaylon, ma una parte di quel mondo è rimasta appiccicata alla mia vita, mi ha inseguito nelle vesti di Alexen e ha prevalso.
Inconsapevolmente mi porto una mano alla pancia e Vera nota il mio gesto.
- È troppo presto per sapere il sesso? – mi chiede.
- È una bambina.
Lo dico subito e con una certa emozione.
Sì, in realtà è troppo presto per sapere il sesso, ma io sono certa che la mia sarà una figlia.
Nella vita ogni cosa ha un senso e nei fatti che stanno accadendo, colgo troppe coincidenze.
Che bambina potrà mai nascere da due scalmanati quali siamo io e Alexen? Una bimba che avrà per nonna la mia frizzantissima madre?
Sarà un’avventurosa e sognerà Katathaylon, perché non riesco a immaginare che Alexen non le parli del suo paese d’origine. Ma poi lei lo asfissierà con ogni domanda e lui si chiuderà in se stesso, perché preferisce questo mondo e desidererà che nostra figlia faccia altrettanto.
Ma a lei, se sarà come me, resterà nel cuore un desiderio proibito…il desiderio di una fiaba segreta.
Gli eventi corrono implacabilmente in una direzione inevitabile.
Vera fra tre mesi partorirà l’erede al trono di Katathaylon e questo significa che entro breve tempo una koralla neonata arriverà nella vecchia villa della nostra infanzia. Sarà accompagnata da una madre sperduta che avrà bisogno di un’amica su cui fare affidamento. E io sono pur sempre l’eroina che ha salvato Katathaylon, di me raccontano i libri, così come aveva profetizzato Alexen. Sarà naturale per noi conoscerci e sarà naturale per le nostre figlie diventare amiche e crescere insieme.
La storia si ripete.
Mia figlia farà le sue scelte, io non le imporrò nulla… ma le coincidenze sono tante.
Sospetto che mi assomiglierà.
Sorrido.
Ho avuto, nella mia vita, la Grande Avventura che desideravo.
Mia figlia, se vorrà, avrà la sua.
 
 
FINE
 
 21/11/2008


*****************************************-Nota dell'Autrice-**************************************************

Stavolta è veramente finita... Che dire? Lascio un pezzetto di cuore in queste pagine e prego con tutto il cuore che qualcuno possa
leggerle, capirle, apprezzarle o meno, ma comunque viverle. Confido che la storia di Allegra e Vera, di Edhuar e Alexen, non cada
nel dimenticatoio del sito, ma possa girare e far provare qualche emozione...
Ringrazio chi ha letto, chi ha commentato, chi ha capito. Ringrazio davvero tanto! Soprattutto te, Defy, e spero che questi ultimi capitoli
non ti abbiano delusa. Un grosso abbraccio.

phoenix_esmeralda      - 14 aprile 2012 -

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