White Christmas

di Alexandra_ph
(/viewuser.php?uid=165023)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Georgetown - 21 dicembre ***
Capitolo 2: *** Uffici del JAG - stessa mattina ***
Capitolo 3: *** Ospedale di Bethesda - un'ora dopo ***
Capitolo 4: *** Uffici del JAG - pomeriggio ***
Capitolo 5: *** Appartamento di Mac - 21 dicembre - sera ***
Capitolo 6: *** Uffici del JAG - 22 dicembre - mattina ***
Capitolo 7: *** Appartamento di Mac - 22 dicembre - sera ***
Capitolo 8: *** Un bar, poco distante dagli uffici del Jag - 23 dicembre - pomeriggio ***
Capitolo 9: *** Appartamento di Mac - 23 dicembre - sera ***
Capitolo 10: *** Casa Roberts - sera della Vigilia ***
Capitolo 11: *** Casa Roberts - sera della Vigilia ***
Capitolo 12: *** Piazzale della Chiesa - la notte della Vigilia ***
Capitolo 13: *** Appartamento di Mac - 24 dicembre - la notte della Vigilia ***



Capitolo 1
*** Georgetown - 21 dicembre ***


Disclaimers   : Il marchio Jag e tutti i suoi personaggi appartengono alla Bellisarius Production. 
  In questo racconto sono stati usati senza alcuno scopo di lucro.


Vorremmo dedicare questo racconto a tutti coloro che amano la magia del Natale e che sanno ritrovare ogni volta l’eterno “bambino” che c’è in ognuno di noi.

Buon Natale a tutti!

ALEX e DESI


White Christmas


Georgetown
21 dicembre

Le note di White Christmas nella versione del 24 dicembre 1944, cantata da Bing Crosby accompagnato dalla Paul Whiteman Orchestra, risuonarono nell’abitacolo dell’auto del colonnello Mackenzie. L’ufficiale del Jag mise in moto, non prima d’aver alzato il volume della radio per sentire meglio una delle sue canzoni natalizie preferite.
La mattina era fredda e il cielo sereno della settimana precedente aveva lasciato il posto a nuvole grigie e lattiginose, presagio di tempo brutto. I meteorologi avevano addirittura previsto un bianco Natale… chissà, forse avrebbe davvero nevicato!

Prima di andare in ufficio doveva passare a Leavenworth per interrogare un teste e avrebbe fatto il viaggio accompagnata dalle note musicali che sempre, in quel periodo dell’anno, sapevano risollevarle il morale e ritemprarle lo spirito.
Sempre. Tranne quell’anno.

Mentre era incolonnata nel traffico mattutino, diretta verso l’uscita della città, Sarah Mackenzie lasciò vagare i suoi pensieri all’anno appena trascorso. Molte cose erano accadute da quando, solo il Natale precedente, l’Ammiraglio Chegwidden aveva salutato tutti e aveva lasciato il Jag.

Clayton Webb, l’uomo che aveva amato per un certo periodo era dapprima stato dato per morto e poi ricomparso all’improvviso, facendole capire quanto poco per lui contasse la fiducia nel loro rapporto. D’accordo! Clay era un agente della CIA e il suo lavoro era top-secret. Ma lei era pur sempre un avvocato e, soprattutto, un militare! Avrebbe saputo mantenere un segreto, se solo lui si fosse fidato. Da allora aveva rotto i ponti con il suo ex-amante e non aveva più neppure voluto rivederlo.

In ufficio aveva dovuto affrontare, come tutti, l’arrivo del nuovo capo, il Generale dei Marine Gordon Cresswell. Tra l’altro il superiore già la conosceva da Okinawa e quel fatto, sebbene potesse sembrare a prima vista qualcosa che avrebbe potuto agevolarla, in realtà non era ben sicura che lo fosse, visti i suoi precedenti con Farrow.

Nel frattempo aveva anche dovuto occuparsi della sua salute. A causa di seri problemi aveva subito un intervento e ancora ora non era certa se avrebbe mai potuto avere figli.
Non che questo fosse nei suoi piani immediati! O meglio… a lei sarebbe anche piaciuto che un progetto simile potesse rientrare nei suoi piani, ma… come si suol dire, mancava la “materia prima”.

Ecco. Anche questo non era del tutto esatto! Se solo avesse voluto, la “materia prima” l’avrebbe anche avuta. E che “materia prima”!
Sarah sorrise all’idea di considerare il Capitano Harmon Rabb come “materia prima”, alla stregua di un semplice insieme di cellule riproduttive! Doveva ammettere che non molte cellule sarebbero state di così alto livello, ma… chissà la faccia che avrebbe fatto Harm se gli avesse detto i pensieri che stavano transitando nella sua mente in quel momento! Di certo l’avrebbe guardata come una specie di alieno, strabuzzando i suoi occhioni chiari che sempre l’avevano fatta impazzire; avrebbe piegato le sue labbra anziché in uno dei suoi affascinati sorrisi in una smorfia disgustata e avrebbe scosso il capo, per poi voltarsi e andarsene…

Sì, non c’erano dubbi che avrebbe reagito così. E a ragione.

Considerare Harmon Rabb jr solo una specie di stallone da riproduzione era certamente riduttivo! Meglio prenderlo in considerazione come la fantasia segreta che aveva sempre popolato i suoi sogni, fin dalla prima volta che lo aveva incontrato, ormai quasi dieci anni prima.
Decisamente molto meglio…
Abbandonando quelle fantasie, Sarah tornò a pensieri più concreti.
Harm si era anche proposto come possibile padre dei suoi figli, ribadendo il patto che avevano stretto anni prima, in occasione della nascita di AJ Roberts. Ma lei aveva rifiutato: la presunta morte di Clayton l’aveva spiazzata. In più i suoi problemi di salute avevano fatto diventare il sogno di una maternità un progetto irrealizzabile, o quasi.
E poi lei non voleva da Harm solo un padre per i suoi figli, ma un uomo che l’amasse come lei amava lui e che volesse condividere con lei la sua vita.

Harm le aveva dimostrato parecchie volte di volerle bene, ma Sarah nutriva ancora dei dubbi sul fatto che lui fosse in grado di considerarla più di un’amica. E quindi, quando le aveva detto che poteva far conto su di lui, lei aveva risposto “No, grazie”.

D’accordo, era stata una stupida! Avrebbe potuto anche accontentarsi, no? Ma erano già state tante le delusioni sul piano affettivo, nella sua vita… Non voleva correre il rischio di perdere anche l’amicizia di Harm. E sarebbe successo, se si fosse legata a lui senza che Harm ricambiasse davvero il suo amore. Meglio lasciar perdere…

E così il suo umore, proprio in quei giorni che di solito adorava, era a terra… Non riusciva neppure a sentire l’atmosfera natalizia che la circondava e questo le spiaceva moltissimo.

Per questo aveva deciso, proprio il giorno precedente, di invitare i suoi colleghi a casa sua per la cena di Natale. Di solito si ritrovavano tutti da Bud e Harriet, ma ora l’amica aspettava due gemelli e non si era offesa quando Sarah le aveva detto che avrebbero atteso l’ora della funzione di mezzanotte a casa sua, anziché a villa Roberts. La casa era molto più piccola, ma lei non avrebbe offerto una cena: si sarebbe limitata ad un rinfresco, con tartine e dolci, del punch e dell’egg-nog caldi e tutto quello che serviva per ingannare l’attesa e passare una serata tra amici. E, soprattutto, non sentirsi troppo sola.

Sì, aveva preso la decisione giusta. Certo, aveva ancora del lavoro da sbrigare e parecchio, ma domani sarebbe stato il suo ultimo giorno in ufficio e avrebbe avuto due giorni interi per addobbare al meglio la casa e preparare tutto… Ce l’avrebbe fatta. Era un Marine, dopotutto!

Immersa in quei pensieri, non si accorse della lastra di ghiaccio che ricopriva parte della strada che stava percorrendo.
L’auto sbandò all’improvviso e andò a sbattere contro un albero: il colpo fu violento e Sarah Mackenzie perse conoscenza mentre, nell’abitacolo, le note di I’ll be home for Christmas continuavano a risuonare struggenti… eppure mai, come in quel momento, erano sembrate tanto stonate.




Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Uffici del JAG - stessa mattina ***



Uffici del JAG
Stessa mattina

Non le era riuscito di bersi neppure un caffè quella mattina. Il nuovo capo voleva che tutto fosse finito prima della pausa natalizia, se non tutto almeno le pratiche che richiedevano solo qualche firma e l’archiviazione. E di quelle “scartoffie” ben presto il suo tavolo ne fu invaso. Non aveva fatto in tempo a sedersi alla sua postazione che il Generale Cresswell l’aveva chiamata nel suo ufficio per spiegarle ciò che avrebbe dovuto fare.

Erano passate ormai quasi tre ore e per tutto quel tempo il Sottufficiale Jennifer Coates non aveva fatto altro che correre da una stanza all’altra, consegnando i documenti da firmare a chi di competenza, portando ad archiviare le pratiche completate, facendo fotocopie e rispondendo al telefono.

Era talmente immersa in quella frenesia che non prestò attenzione all’ultima chiamata che inoltrò al suo superiore. Non fece neppure caso al tono grave con cui il Generale subito dopo le disse di convocare il Capitano Rabb “immediatamente” nel suo studio.
Capì che doveva essere successo qualcosa solo quando si scontrò con il viso preoccupato del Capitano mentre si chiudeva la porta dell’ufficio alle spalle.

“Tutto bene, Signore?” si informò seguendolo, ansiosa di sapere cosa lo turbasse.

“Non lo so. Mac ha avuto un incidente, è stata ricoverata al Bethesda, sto andando là.” Rispose l’uomo quasi senza rendersene conto.

“Posso fare qualcosa…”, non riuscì a finire la frase. Il Capitano non la stava ascoltando, si diresse deciso nel suo ufficio, afferrò berretto e cappotto e poi svanì dietro le porte dell’ascensore, ignorando uno sbalordito Capitano Roberts che inutilmente gli aveva chiesto di aspettarlo e che si vide chiudere le porte in faccia.
Nonostante ciò che aveva appena scoperto, la scena strappò un sorriso divertito alle labbra del Sottufficiale Coates.

“Ma cosa gli è preso?”, la voce del Capitano Roberts la fece tornare alla realtà.

“Il Colonnello Mackenzie, Signore… ha avuto un incidente ed è ricoverata al Bethesda.”

“E come sta? E’ grave?”

“Non lo so, Signore, ho passato una telefonata della polizia al Generale Cresswell proprio pochi minuti fa, forse lui ha qualche notizia più precisa.”

Neppure il loro superiore però seppe fornire informazioni più dettagliate, aveva chiesto al Capitano Rabb di andare sul posto proprio per accertarsi delle condizioni della loro collega.

Non poteva scegliere persona migliore, pensò Jen, forse quell’uomo non era poi così male. E cominciò a sentirsi un po’ in colpa per aver inveito mentalmente contro di lui quella mattina, tra una corsa e l’altra. Non poteva farci nulla, il ricordo dell’Ammiraglio Chegwidden era ancora forte, ed anche se in quell’ufficio era la persona che aveva lavorato con lui per minor tempo, essere la sua assistente le aveva dato carica, lavorare per lui l’aveva stimolata, voleva dare il meglio per non deluderlo. Il rispetto che quell’uomo sapeva infondere, il carisma che possedeva e quella sua aria severa ma al contempo attenta e dolce l’aveva profondamente colpita. Le mancava, avrebbe voluto rivederlo, semplicemente per sentirsi rassicurata dal suo sguardo sapiente. Aveva sempre la frase giusta, sapeva cos’era meglio per i suoi uomini e soprattutto, li conosceva bene, forse più di ciò che lasciava intendere. Capiva i loro sentimenti, ma non si era mai intromesso nelle loro faccende private, a meno che non intralciassero in qualche modo il lavoro. E, ne era sicura, aveva intuito il legame profondo che univa il Capitano Rabb ed il Colonnello Mackenzie, per questo pensò che se ci fosse stato ancora lui a capo del JAG si sarebbe comportato esattamente come Cresswell, mandando Harm accanto a Mac. In più, però, avrebbe saputo cosa dirgli per rassicurarlo e per tenere a bada il fiume di emozioni che si sarebbero scatenate nel suo uomo migliore. Era come un papà attento ai suoi figli, che intuisce le loro preoccupazioni e sa star loro vicino senza fare pressioni, lasciandoli liberi di esprimersi, intervenendo solo laddove ne avvertisse il bisogno. In un momento come quello, Jennifer Coates, come il resto dello staff d’altronde, sentì proprio la mancanza della sua presenza rassicurante.

Ora non si poteva far altro che aspettare notizie dal Capitano Rabb, e tornare al lavoro, come fece gentilmente notare il sostituto dell’Ammiraglio.

 


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ospedale di Bethesda - un'ora dopo ***



Ospedale di Bethesda
Un’ora dopo

Era senza trucco, con i capelli arruffati e una vistosa benda che le ricopriva parte della fronte. Indossava il camice a pallini dell’ospedale, che si intravedeva dalle lenzuola che la ricoprivano solo fino alla vita, e aveva gli occhi chiusi. In un braccio una flebo le iniettava lentamente qualche farmaco… Eppure a lui non era mai sembrata tanto bella.

Si soffermò un attimo sulla soglia della camera ad osservarla in silenzio, mentre rilasciava tutta l’ansia che aveva trattenuto da quando Jennifer Coates era piombata nel suo ufficio per dirgli che Cresswell voleva vederlo immediatamente: la polizia li aveva avvertiti che il Colonnello Mackenzie aveva avuto un incidente stradale ed era ricoverata al Bethesda.

Lasciando il più velocemente possibile gli uffici del Jag, era arrivato in ospedale a tempo di record, bruciando tre semafori rossi. Appena arrivato aveva subito chiesto notizie sullo stato di salute di Mac al medico di turno, il quale lo aveva assicurato che, fortunatamente, le ferite riportate dal Colonnello non erano troppo gravi. Ma sarebbe dovuta rimanere in osservazione alcuni giorni perché aveva battuto violentemente la testa e aveva perso conoscenza fino al ricovero in ospedale. Ora stava riposando, ma lui avrebbe potuto attendere il suo risveglio in camera.

Harm aveva ringraziato il medico e poi aveva fornito all’infermiera alcuni dati anagrafici che conosceva e che i poliziotti non erano riusciti a ricavare dai documenti, mentre aveva detto che per altre informazioni più specifiche avrebbero dovuto parlare con il Colonnello in persona. Quindi aveva chiamato Jennifer per comunicare lo stato di salute di Mac ed infine aveva raggiunto la sua camera ed era entrato.

Lei dormiva serenamente e lui si sedette sulla sedia accanto al letto. Delicatamente, per non svegliarla, le prese una mano tra le sue: com’era piccola, al confronto. Aveva la pelle liscia e delicata, e lui si scoprì a sfiorarle le dita ad una ad una.

Fortunatamente l’incidente non era stato grave. Non avrebbe sopportato di perderla.
Era innamorato di lei.
Da parecchio tempo si era accorto di amarla, e glielo aveva anche fatto capire. Si era perfino offerto di mantenere fede al patto che avevano fatto ormai cinque anni prima e diventare il padre dei suoi figli. Avrebbe voluto per lo meno tentare di avere una relazione con lei...
Ma Sarah aveva rifiutato.

Probabilmente non era ancora convinta del suo amore. Forse pensava che lui stesse dicendo quelle cose solo per la grande amicizia che li univa. Invece lui non aveva fatto altro che amarla in silenzio, anche per tutto il tempo in cui era stata legata a Webb.

“Harm…” la voce di Mac lo distolse dai suoi pensieri. Sollevato nel sentire di nuovo la sua voce, le rivolse uno dei suoi più splendidi sorrisi.

“Ehilà, Marine! Ben svegliata!”

“Dove sono? Cosa mi è successo?” 

“Sei in ospedale. Credo che tu abbia incontrato una lastra di ghiaccio e sia andata a sbattere contro un albero. Hai perso conoscenza…”

“Sono ancora confusa… ricordo che stavo guidando verso Leavenworth… e poi niente altro”.

“Non hai riportato ferite gravi, Mac. Solo alcune contusioni e una leggera ferita alla testa. Ma hai perso conoscenza, per questo vogliono tenerti in osservazione per qualche giorno.”.

“Quando portò uscire? Domani?”

“Non credo… il medico ha parlato di giorni…”

“Ma fra quattro giorni è Natale! Non mi terranno dentro per Natale, vero?” chiese con aria delusa.

“Perché sei così ansiosa di essere a casa per Natale? Hai un appuntamento?”

“Non il giorno di Natale. Ma avevo invitato tutti per la Vigilia, prima della funzione…”

“Capiranno, Mac.”

“Oh, lo so. Solo che… “

“Cosa?”

“Sono io che ci tenevo…”

“Come mai?”

“Io adoro l’atmosfera natalizia, lo sai. Anche se il Natale lo trascorro quasi sempre da sola, non è perché lo voglia davvero, ma…”

“Perché? Perché, anche tu come me, non hai alcun legame?”

“Esatto, Harm. Tuttavia ho sempre sentito un’eccitazione particolare per i giorni che precedono il Natale… le strade illuminate, il via vai frenetico per la caccia all’ultimo regalo, le canzoni tradizionali… E poi tutte le decorazioni… Oh, adoro le decorazioni, l’albero, il presepe!”

Il suo viso tradiva lo stesso entusiasmo di una bimba davanti ad un pacco dono gigantesco.

“Non sapevo di questa tua passione. O meglio, sapevo che ti piacevano le tradizioni di Natale, le luci, e soprattutto i regali… ma non immaginavo fino a questo punto!”

“E invece sì. Ma intanto sono sempre sola… è inutile che mi dia da fare più di tanto… per chi? Però quest’anno volevo fare le cose in grande…”

“Perché?”

Lei esitò un attimo: era il caso di dirgli tutto? Magari domani se ne sarebbe pentita. Ma era stato bello averlo trovato al suo fianco quando si era risvegliata. Ed era bello parlare con lui. Da tantissimo non chiacchieravano così.

“Mi sento sola, Harm. E triste. Mi manca l’Ammiraglio… faccio fatica ad ingranare in ufficio. Mi sento in continuazione sotto il giudizio di Cresswell…”

“Ti capisco, so cosa vuoi dire. Ma credo che dovremmo accettare che AJ non torni più… e cominciare a pensare a Cresswell come al nostro superiore.”

“Lo so, ma è difficile. Con l’Ammiraglio era tutto più semplice. Anche momenti come questi li superavo diversamente. Lui sapeva sempre come risollevarmi il morale…”

“Che ti succede, Mac?

“Nulla…”

“E’ ancora per Webb?”

“No. Lui non c’entra…”

“Allora chi?”

Stava per rispondergli: “Tu, mi manchi tu”, ma non ebbe il coraggio di andare fino in fondo. Lo guardò negli occhi per un attimo, poi distolse lo sguardo e sollevò le spalle.

“Nessuno, Harm. E’ solo un momento così… passerà. Speravo che la festa di Natale, le decorazioni, l’albero… mi potessero aiutare a superare questo momento. A quanto pare non era destino.”

“Non parlare di destino, Mac. Oggi saresti potuta morire… Credo che tu lo debba ringraziare, il destino.”

“Hai ragione, sai? Ma sarà triste tornare a casa e non trovare neppure il solito albero che preparo ogni anno.”

“Festeggerai lo stesso…”

“E’ vero: un bel film e una fetta di torta, come ogni Natale.”

Harm la osservò, accorgendosi di quanto fosse davvero triste. Gli si spezzava il cuore a vederla così.

Entrò il medico a visitarla e Harm approfittò per richiamare in ufficio e comunicare che Mac stava meglio. Dopo la telefonata scese al bar a prendere un panino e poi ritornò da lei.

“Cos’ha detto il dottore?”

“Oh, sei ancora qui? Credevo fossi andato via.”

“Senza nemmeno salutarti? Allora, il dottore?”

“Ha confermato che non ci sono problemi, ma che devo restare ancora qualche giorno sotto controllo. Pensa di dimettermi alla Vigilia di Natale, se tutto va bene.”

“Ottima notizia, no? Così potrai trascorrere il Natale fuori di qui.”

“Già, a casa… davanti alla tv e ad una fetta di torta…”

 


Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Uffici del JAG - pomeriggio ***



Uffici del JAG
pomeriggio

Il Capitano Rabb aveva telefonato qualche ora prima per informare i colleghi preoccupati ed in attesa di avere notizie delle condizioni del Colonnello Mackenzie. Tutti avevano tirato un sospiro di sollievo, non era niente di grave per fortuna. Anche Cresswell sembrò sollevato, chissà, forse aveva paura che rimanessero in sospeso troppi lavori… Bastò un suo sguardo, comunque, per far tornare tutti ai propri posti e riprendere il lavoro con il ritmo frenetico che era riuscito ad imporre quella mattina.

Ed ora quasi tutti erano già andati a casa.

L’ufficio si era svuotato prima del solito, ma non c’era da stupirsi, il Natale era alle porte e la gente doveva sicuramente andare a fare gli ultimi acquisti.

E così era rimasta sola.

Anche Bud, che di solito si fermava fino a tardi, quel pomeriggio se n’era già andato. Dopo aver saputo che Mac sarebbe stata ricoverata per alcuni giorni e che le sarebbe stato impossibile preparare, come aveva in programma, la festa della Vigilia nel suo appartamento, aveva chiamato la moglie ed avevano deciso di mantenere la tradizione e di trascorrere le poche ore prima della funzione di mezzanotte da loro. Anche se si era optato per un semplice rinfresco dopo cena e non per il classico cenone, Bud con la moglie incinta di ben due gemelli avrebbe dovuto pensare a gran parte dell’organizzazione ed il tempo che rimaneva non era poi molto. E, a dire il vero, un “semplice rinfresco” a casa Roberts era tale per cui anche le gole più esigenti avrebbero trovato piena soddisfazione!

Anche Jennifer sarebbe tanto voluta uscire dall’ufficio, per mischiarsi alle persone che affollavano le strade piene di decorazioni e luci colorate ed invase dalle dolci melodie di quel periodo, per entrare nei negozi addobbati a festa e comperare qualche regalo da mettere sotto l’albero… ma non aveva nessun regalo particolare da fare, nessuna persona speciale a cui donarlo, per cui tanto valeva finire di sistemare il malloppo di documenti che quel giorno si era ritrovata sul tavolo. Altrimenti sarebbero andati a sommarsi a quelli che sicuramente le avrebbero consegnato l’indomani.

Era nella saletta dell’archivio quando una voce alle sue spalle la fece sussultare…

 

***

 

Finalmente!

Era riuscito a portare a termine l’ultima missione che gli avevano assegnato e dopo mesi poteva godere di un meritato periodo di riposo.

Quale momento migliore per andare a trovare vecchi amici se non il Natale?

Era elettrizzato all’idea di rivedere i luoghi che un tempo avevano riempito le sue giornate e soprattutto era felice di poter rivedere i suoi ex colleghi in tranquillità.

Già si immaginava le facce stupite che avrebbero fatto, non aveva avvertito nessuno del suo arrivo… fondamentalmente perché anche lui l’aveva deciso all’improvviso, quando all’improvviso gli avevano riferito che il suo lavoro laggiù poteva considerarsi pienamente ed eccellentemente concluso.

Da quanto tempo non tornava lì? Da moltissimo… Aveva chiesto di essere trasferito dopo la strage di quell’11 settembre, il lavoro d’ufficio gli andava stretto, non che si trovasse male dov’era, ma era un uomo d’azione, voleva combattere in prima linea, per questo aveva chiesto ed ottenuto il trasferimento ad un’unità combattente in concomitanza con la guerra in Afghanistan. E da allora era stato impiegato per altre missioni della massima segretezza in collaborazione con la CIA.

Si sistemò nervosamente il cravattino della divisa e fece un profondo respiro, prima che le porte dell’ascensore si aprissero e gli mostrassero nuovamente gli ambienti familiari del JAG.

Non si spiegava il motivo di quel comportamento, il Sergente d’artiglieria Victor Galindez, “Gunny” per i colleghi, non era di certo conosciuto come uno che mostra apertamente le sue emozioni, eppure non poteva farci nulla: era contento e basta.

Non si accorse neppure che mentre percorreva il corridoio dagli ascensori agli uffici stava sorridendo. Lo capì quando sentì il suo sorriso tramutarsi in un’espressione perplessa: gli uffici erano deserti! Le scrivanie dei suoi amici erano vuote, le porte delle stanze erano chiuse e le luci spente, sembrava proprio che non ci fosse nessuno… Possibile che fossero già andati tutti a casa? Guardò l’orologio. No, non era poi così tardi. Si stava osservando attorno, quando un rumore lo fece voltare. Proveniva dalla saletta dell’archivio. Si avvicinò.

Una donna in divisa su una scala stava cercando di sistemare qualcosa nei ripiani più alti.

“Scusi…”, ruppe il silenzio Galindez per richiamarne l’attenzione.

A quel suono inaspettato la ragazza si girò di scatto. Fu un movimento troppo rapido, per poco non perse l’equilibrio e se il militare che aveva davanti non fosse stato pronto ad afferrare la scala mantenendola salda gli sarebbe sicuramente caduta addosso.

Esitò un po’ rimanendo immobile per riprendere stabilità e poi fissò l’uomo che aveva parlato per un attimo che le parve fin troppo lungo… chi era? Non l’aveva mai visto prima. Doveva incontrarsi con qualcuno? Gli avvocati non c’erano, e non le avevano lasciato detto che sarebbe potuto arrivare qualcuno a cercarli…

“Scusi, non volevo spaventarla…”

Come riportata alla realtà, si affrettò a scendere dalla scala, per poter prendere una posizione più adatta a sostenere una conversazione. Si sistemò la gonna e finalmente si decise a parlare.

“No… scusi lei, non l’avevo sentita entrare, ero talmente immersa in quello che stavo facendo… sapevo di essere sola, non mi aspettavo che potesse arrivare qualcuno… mi ha colta un po’ alla sprovvista, ecco tutto…”, si fermò, prima di poter suonare ridicola anche alle orecchie di quell’aitante giovanotto, come l’avrebbe definito sua nonna, ed avrebbe avuto ragione. Adesso che lo osservava da terra poteva verificare la prima impressione che aveva avuto… dall’alto. Non era niente male… La carnagione scura, gli occhi neri e profondi, lo sguardo penetrante e scrutatore che chissà quali misteri nascondeva, e quella fossetta che si formava sulla sua guancia ogni volta che abbozzava un sorriso, come ora…

“Posso esserle utile?”, si decise a chiedergli.

La fissò come se non riuscisse a capire il significato di quelle parole, cosa gli stava domandando? Quella ragazza lo aveva come ipnotizzato. I suoi occhi brillavano di una luce particolare, la sua espressione gli ricordava quella di chi è sul punto di fare uno scherzo e sta assaporando in anteprima l’effetto che potrebbe avere sulla vittima designata, doveva essere un peperino, qualcuno che difficilmente si lasciava prendere in giro. Lo sguardo che gli stava rivolgendo era sorridente e birichino allo stesso tempo, gli trasmetteva allegria e per la seconda volta quel pomeriggio si ritrovò a sorridere senza accorgersene.

Vedendo che aspettava una risposta, si risolse a parlare.

“Mi chiedevo dove fossero finiti tutti quanti…”

“Sono già usciti, sa, gli ultimi grandi acquisti prima di Natale… cercava qualcuno in particolare?”

Già… chi cercava? Tutti e nessuno in realtà. Voleva rivedere i suoi vecchi colleghi… Voleva sapere come stavano andando le cose, cos’era successo mentre lui era via… Avrebbe voluto parlare con l’Ammiraglio per discutere di un suo possibile reintegro al JAG… ecco, forse questa poteva essere una risposta decente, più professionale, migliore senza dubbio di un farfugliamento.

“Avrei voluto parlare con l’Ammiraglio, è fuori anche lui?”

Non si aspettava di certo una risposta subitanea, ma neppure tutta quella esitazione né quello sguardo sbalordito e quel sospiro…

“E’ proprio sicuro che vuole parlare con… l’Ammiraglio?”, pose una strana enfasi sull’ultima parola e sembrò studiarlo pensierosa.

“Sì, l’Ammiraglio Chegwidden, mi conosce…”

“Oh, ma allora non lo sa davvero?”

Perché continuava a guardarlo così? Che cosa aveva chiesto di tanto strano da farle assumere quell’espressione comprensiva, tipica di un adulto che sta per dare una notizia inaspettata ad un bambino, sicuro di leggerne poi la delusione negli occhi?

“Sapere, cosa?” non capiva.

“L’Ammiraglio Chegwidden ha dato le dimissioni”, si fermò per osservare la reazione dell’uomo. Rimase quasi impassibile, ma a lei non sfuggì il lampo sorpreso che attraversò i suoi occhi, il suo sguardo si fece se possibile ancora più scuro e profondo. Sembrava che volesse leggerle dentro per trovare le risposte che cercava. Vedendo che non parlava proseguì, “Al suo posto è subentrato il Generale Cresswell, per qualsiasi cosa ora deve rivolgersi a lui. Lo può trovare in ufficio domattina, oggi pomeriggio aveva un impegno fuori sede.”

Dimesso. L’Ammiraglio si era dimesso. Dire che la notizia l’aveva sorpreso era poco. Quanto tempo prima? Come aveva fatto a non venirne a conoscenza? Ed ora? Chi era questo Cresswell? Avrebbe anche solo preso in considerazione le sue richieste? Inutile continuare a porsi tutte quelle domande, sarebbero rimaste comunque senza risposta in quel momento. L’indomani sarebbe tornato ed avrebbe scoperto cosa, o chi, l’aspettava. E poi avrebbe avuto maggiori possibilità di incontrare i suoi amici.

“Bene, allora tornerò domani.” Era ancora frastornato dalla rivelazione appena avuta. “Ora è meglio che me ne vada, così lei può finire ciò che le ho fatto interrompere…” ed allungandole la mano la salutò, “Grazie per le informazioni. Buona serata.”

Strinse la mano forte di quel militare e lo guardò intensamente ancora una volta, lo trovava misteriosamente affascinante.

“Mi dispiace non esserle stata granché utile. Buona serata a lei… arrivederci.”

E lasciando la stretta pensò che non le sarebbe dispiaciuto affatto rivederlo, era quasi contenta che non avesse trovato nessuno.

Sistemandosi il cappello le rivolse un ultimo sorriso, chissà magari il giorno dopo l’avrebbe rivista davvero. Dopotutto non era venuto invano quel pomeriggio.

“Arrivederci”, disse prima di voltarsi ed avviarsi verso l’uscita.

 

 


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Appartamento di Mac - 21 dicembre - sera ***



Appartamento di Mac - Georgetown
21 dicembre - sera

Aprì la porta con la chiave che lei, in ospedale, gli aveva dato quando gli aveva chiesto se poteva bagnarle le piante. Entrò nell’appartamento che conosceva bene, perlomeno la parte che era solito vedere, ossia la cucina e il salotto. Ma quella sera gli sembrò diverso: senza Mac era semplicemente un luogo, come tanti altri. Non era quel posto accogliente e caldo che aveva sempre trovato quando passava da lei.

Se la immaginò per un attimo seduta sul divano, con le gambe raccolte sotto di lei in una posa che le era solita, davanti alla televisione, mentre mangiucchiava una fetta di torta. E, improvvisamente, vide se stesso accanto a lei, sullo stesso divano, a mangiare la stessa fetta di torta, rubandone alcuni pezzi dal suo piatto, mentre guardavano il medesimo film…

Oh, Sarah… perché non vuoi nemmeno provare?

Approfittando del fatto che era solo in casa, gironzolò per l’appartamento, cercando le piante da bagnare. Finché si decise e fece quello che avrebbe voluto fare da tempo: entrò nella sua camera.

E lì, nonostante fosse un’altra stanza vuota, tutto gli parlò di lei: il letto, con il piumone chiaro; l’armadio alto e i pochi abiti appoggiati sulla sedia, davanti alla piccola toelette laccata avorio, sulla quale c’erano scatolette d’ogni tipo, una ciotolina con pochi gioielli, carta da lettere e un rossetto che probabilmente aveva lasciato proprio quella mattina.

Prese in mano proprio quello, immaginandola mentre se lo passava sulle labbra, guardandosi allo specchio… Quanto avrebbe voluto che la sua bocca potesse essere al posto di quel rossetto!

Turbato da quei pensieri e dall’idea di aver violato la sua privacy, rimise il cosmetico proprio dove lo aveva trovato e uscì dalla camera.

Tornato nel salotto vide alcune scatole che non aveva notato prima. Incuriosito si avvicinò e le aprì, sorridendo quando vide il contenuto: palline per l’albero di Natale. Appoggiata su un’altra scatola c’era una lista, scritta a mano da Mac.

Harm la prese e la lesse: elencava tutte le idee che aveva avuto per decorare la casa per la festa che voleva organizzare. Nel retro del foglio, invece, c’era l’elenco dei piatti che aveva in mente di preparare.

La immaginò impegnata in quelle faccende, mentre dallo stereo si diffondevano le note di una melodia natalizia. Si alzò e si avvicinò al lettore di cd: proprio di fianco all’apparecchio c’era già una bella pila di dischi con canzoni di Natale, pronta per essere ascoltata.

Tipico di Mac preparare tutto l’occorrente in anticipo!

Si guardò attorno e prese una decisione: per la festa non c’erano problemi, Bud e Harriet avevano già dirottato tutti a casa loro. Niente cena, quell’anno, visto le condizioni di Harriet,  semplicemente un dopocena, per ingannare l’attesa prima della funzione di mezzanotte.

Ma lui aveva in mente un’altra sorpresa.

 


Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Uffici del JAG - 22 dicembre - mattina ***



 

Uffici del Jag
22 dicembre - mattina

Aveva quasi trattenuto il fiato durante tutto l'incontro col Generale Cresswell, lui, pronto a combattere in prima linea senza esitazione, si era agitato come un ragazzo al suo primo importante colloquio di lavoro.

"Che sciocco", aveva mormorato chiudendo la porta dell'ufficio e scuotendo la testa, ridendo per come si era sentito. Dopotutto non aveva fatto altro che presentare la richiesta di essere ripreso al JAG, e sebbene non avesse ricevuto ancora una risposta definitiva, gli parve di non aver fatto brutta impressione sul sostituto dell'Ammiraglio. Certo, se ci fosse stato Chegwidden sarebbe stato forse più facile, però era inutile rimuginarci, il Generale gli aveva detto che avrebbe preso in considerazione la sua domanda, ma che gli avrebbe fatto sapere cosa aveva deciso solo dopo Natale. Non gli restava che aspettare.

"Galindez… è proprio lei?", una voce familiare lo distolse dai suoi pensieri.

"Tenen… Capitano Roberts! Mi stavo giusto chiedendo se i miei ex colleghi lavorassero ancora qui. Lei è il primo che incontro. Come sta?", disse stringendo vigorosamente la mano all'amico, contento di aver finalmente incontrato un volto conosciuto.

"Bene, grazie, e lei? Quando è tornato?"

"Sono in città da un paio di giorni. Sono venuto anche ieri pomeriggio, pensavo di vedere almeno lei, il Capitano Rabb, o il Colonnello Mackenzie, di solito siete gli ultimi a lasciare le vostre scrivanie."

"Come non lo sa?", quella domanda lo colse alla sprovvista. Cos'altro non sapeva ora? Prima le dimissioni dell'Ammiraglio. Adesso che altro c'era? Quando era tornato al JAG non si aspettava certo di trovare le cose come le aveva lasciate, ma non credeva neppure di dover affrontare molti cambiamenti. A quanto pareva si era sbagliato. Bud proseguì, senza dargli il tempo di replicare.

"Il Colonnello ha avuto un incidente ieri mattina, niente di grave, ma hanno preferito ricoverarla per qualche giorno. Così non può organizzare il rinfresco che aveva in mente di preparare per la Vigilia nel suo appartamento ed Harriet ha pensato di farlo a casa nostra come gli altri anni. Ma essendo incinta non può fare tutto da sola, per questo ieri sono uscito prima. E il Capitano Rabb ora è impegnato con il caso che stava seguendo il Colonnello, per cui…"

Si accorse che come al solito stava dando le informazioni una di seguito all'altra, creando confusione nel suo interlocutore, che divertito, ed anche un po' stordito da tutte quelle parole, lo stava guardando cercando di dare un senso a ciò che aveva appena udito.

"Senta, ha già mangiato? Che ne dice di pranzare assieme? Così la aggiorno sui cambiamenti che, come avrà notato, sono avvenuti al JAG.  E lei potrà raccontarmi qualcosa della sua esperienza in servizio attivo."

"Mi sembra un'ottima idea, Capitano. In effetti avrei proprio bisogno di qualche delucidazione, mi sto trovando un po' spaesato."

"Bene, mi dia solo un attimo che sistemo queste carte e la raggiungo."

"Aspetto qui." rispose Galindez quasi a se stesso, dato che Bud era già sparito dietro le porte del suo ufficio. Si guardò attorno, domandandosi cos'era successo mentre lui era stato via, chiedendosi cosa avrebbe scoperto di lì a poco parlando con Bud.

Guardò quegli uffici con una luce nuova negli occhi e per un attimo provò come una sensazione di straniamento. Fu mentre esplorava con lo sguardo quegli spazi un tempo familiari che gli sembrò di scorgere dietro l'angolo del cucinino la figura della ragazza che aveva incontrato il giorno prima. Si accorse in quel frangente di aver nutrito nel profondo la speranza di rivederla. Non ne capiva il motivo, l'aveva vista solo una volta e per pochissimi minuti, ma quel sorriso birichino e quello sguardo vivace non lo avevano lasciato indifferente. Voleva sentire di nuovo la sua voce. L'avrebbe ringraziata per le informazioni che gli aveva dato il giorno precedente, le avrebbe detto che aveva parlato col Generale, non gli importava se avesse fatto la figura dello stupido, voleva vedere ancora una volta il brillio dei suoi occhi. Stava pensando di raggiungerla quando sentì Bud alle sue spalle.

"Possiamo andare, qui ho finito", si rivolse sorridente al suo ex collega, ansioso di poter conversare con lui dopo tanto tempo.

"Bene, allora, che stiamo aspettando?", Galindez fece uno sforzo per non apparire contrariato. Povero Bud, non ne aveva colpa, ma non poteva essere un po' più lento nel sistemare le sue carte? Lo seguì verso gli ascensori e diede un ultimo sguardo, prima che le porte si chiudessero. Non era riuscito ad avvicinarla, si sentiva come se avesse perso un'ottima occasione, ma non poteva certo mollare Bud su due piedi! Chissà se l'avrebbe più rivista.

 

***

 

Fu un attimo, ma le parve di riconoscere in quei capelli dal taglio corto e dal colore nero corvino l'uomo che il giorno prima era entrato nell'archivio mentre stava sistemando dei documenti. Si rese conto che dal giorno precedente il pensiero di poterlo rivedere non l'aveva abbandonata, anche se era rimasto latente fino a quel momento. Aveva sperato di incontrarlo di nuovo, voleva ascoltare ancora il suono della sua voce e studiare la profondità dei suoi occhi. Sapeva che doveva parlare col Generale, ed aveva cercato di restare il più possibile al suo tavolo, ma quella mattina sembrava che tutti avessero da chiederle fotocopie e ricerche in archivio! Così non si era accorta del suo arrivo, né di quando era andato da Cresswell. Ed ora era entrato nell'ascensore insieme a Bud… se ne stava andando senza che lei avesse potuto parlargli ancora una volta. Si sentì sciocca a pensarlo, su quali fondamenti poteva sperare che fosse così? Le sembrò però che prima della chiusura delle porte il militare si guardasse intorno alla ricerca di qualcuno.

Chissà se stava pensando a lei?


Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Appartamento di Mac - 22 dicembre - sera ***



 

Appartamento di Mac - Georgetown
22 dicembre – sera

Per la seconda sera di seguito varcò la soglia dell’appartamento di Mac, ma quella volta era carico di sacchetti e, nonostante la sua corporatura, trascinava a fatica un enorme abete dentro ad un vaso.

Si richiuse la porta alle spalle e sistemò l’albero dove riteneva che fosse la posizione migliore, in un angolo di fianco al camino. Immediatamente l’ambiente si riempì di una fragranza intensa, che gli riportò alla mente spazi aperti e aria pulita.

Poi si levò il giaccone, si preparò un tè bollente e, in meno di mezz’ora, era pronto per mettersi al lavoro.

Buttò l’occhio verso l’impianto stereo e vide la pila di cd natalizi che aveva scorto la sera prima. Perché no? si disse: decise di immergersi del tutto nell’atmosfera, scegliendo un disco dalla collezione. Scartò subito tre cd che gli sembrarono fin troppo melensi per i suoi gusti e optò per una raccolta di “chicche natalizie” come, sorridendo, gli piacque definire quell’insieme di brani in registrazione originale che spaziavano da Bing Crosby, Dean Martin e Louis Armstrong, per arrivare addirittura ad alcuni motivi natalizi suonati dall’orchestra di Glenn Miller, datati anni 40.

Non immaginava che Mac avesse una collezione tanto varia!

Accese lo stereo e si rimboccò le maniche della camicia, mentre le note di Jingle Bells, nella versione jazz di Benny Goodman, invadevano la stanza, creando un’atmosfera rilassante e al tempo stesso festosa, alla quale era davvero difficile resistere.

E, infatti, non lo fece.

Lasciò che i pensieri vagassero attraverso i ricordi, mentre scartava ad una ad una le decorazioni che Mac, l’anno precedente, aveva riposto con estrema cura.

Gli sembrò all’improvviso di tornare indietro nel tempo quando, ancora bambino, aiutava sua madre ad addobbare l’albero. Ricordò come l’attesa di Babbo Natale lo eccitava a tal punto che la notte della Vigilia non riusciva neppure a dormire. Ma ricordò anche, con un velo di tristezza, che quello che attendeva maggiormente da Babbo Natale, non erano tanto i giocattoli o i dolci: quelli era sempre sicuro che sarebbero arrivati.

Lui, ad ogni Natale, chiedeva che il suo papà tornasse a casa…

Crescendo non aveva più domandato nulla.

Si era limitato ad accantonare la magia del Natale tra i sogni irrealizzabili e aveva iniziato ad essere lui ad andare da suo padre, ad ogni anniversario della sua scomparsa.

Ma in quel momento, immerso in quell’atmosfera speciale creata dalla musica e da tutte quelle decorazioni per addobbare la casa della donna della quale era innamorato, non riuscì a fare a meno di tornare per un attimo ancora fanciullo ed esprimere il suo più grande desiderio a Babbo Natale: avere l’amore di Sarah Mackenzie.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Un bar, poco distante dagli uffici del Jag - 23 dicembre - pomeriggio ***



 

Un bar, poco distante dagli uffici del Jag
23 dicembre - pomeriggio

Natale era proprio dappertutto! Entrando nel locale, il Generale Cresswell si guardò attorno e, sorridendo alla vista di una grande renna con un berretto da Babbo Natale sulla testa posta al centro della sala, scrutò gli avventori alla ricerca della persona con cui aveva un appuntamento.

Scorse l’uomo ad un tavolo accanto alla finestra, intento a guardar fuori in direzione degli uffici del Jag. Si avvicinò e lo salutò.

“Salve, Ammiraglio”.

L’uomo si voltò e, con un sorriso e un gesto della mano, lo invitò a sedersi.

“AJ, Gordon. Mi chiami AJ.”

“D’accordo AJ”.

L’ex-seal sorrise, poi, per un breve istante, tornò ad osservare fuori.

“Mi dica, Gordon, cosa posso fare per lei?” chiese quindi, tornando a guardare il Generale in divisa della Procura Militare. Come gli mancava, quell’uniforme!

“Ieri ho ricevuto richiesta da parte di un ufficiale, che aveva lavorato per lei, di poter rientrare al JAG. Da alcuni anni era in servizio attivo…”

“Gunny? Il Sergente Victor Galindez?”

“Proprio lui.”

“Ma guarda, non lo avrei mai detto! Era talmente entusiasta di tornare in servizio attivo… Cosa vuole sapere di Galindez?”

“Devo decidere se reintegrarlo. Mi domandavo che elemento fosse. Volevo un parere autorevole ed imparziale, così ho pensato a lei.”

“Galindez è un ottimo elemento. Gran lavoratore, uomo serio e molto rispettato. Ben integrato con i colleghi. Con un trascorso da sceriffo. Gli piaceva il suo lavoro… lo ha svolto sempre con il massimo impegno.”

“Ma qualche anno fa ha deciso di andarsene…”

“Eravamo appena dopo l’11 settembre… chi non avrebbe avuto voglia di tornare al fronte, a difendere la Patria? Galindez è sempre stato un valido elemento, proprio per il suo patriottismo. Se desidera tornare, avrà i suoi buoni motivi. Quello che doveva fare per il suo Paese lo ha già fatto, e in abbondanza. Ha letto il suo curriculum?”

“Certo. E’ eccellente.”

“Ci sono pochi uomini come Galindez. Non se lo lasci sfuggire…”

“Ho capito e credo che ascolterò il suo consiglio. Ci avevo già pensato, volevo solo una conferma alle mie sensazioni. La ringrazio, AJ.”

“Di nulla. Come… come vanno?” chiese, dopo un attimo di esitazione, facendo un cenno con la testa in direzione della Procura militare.

Cresswell lo osservò, cogliendo un’ombra di nostalgia negli occhi del suo predecessore.

“Se la cavano. L’altro giorno il Colonnello Mackenzie ha avuto un incidente in auto, ma ora sta meglio…”

“Mac? E com’è successo?” chiese AJ Chegwidden preoccupato.

“Una lastra di ghiaccio mentre stava andando a Leavenwort per interrogare un teste. Sarebbe dovuto essere il suo ultimo giorno di lavoro prima di Natale.”

“E come mai? Mac non chiedeva mai ferie per Natale.”

“Credo fosse stanca… inoltre aveva invitato tutti a casa sua per la Vigilia, ma ora… Ora saremo dai Roberts. Hanno invitato anche me, lo sa?”

“Le spiace?”

“No… è solo che non mi era mai capitato che dei subalterni mi invitassero ad una festa per Natale… non mi aspettavo che lo facessero. E proprio io.”

“Cosa intende, Cresswell?”

“Lei è un uomo difficile da sostituire, Ammiraglio!”

Chegwidden fece un sorriso triste, tornando a guardare fuori. Aveva preso una decisione, un anno prima, ma accidenti se era difficile! La sua nuova vita gli piaceva, allora perché aveva così tanta nostalgia di quando era a capo del JAG?

Non era il lavoro a mancargli. Erano le persone. Da quando se n’era andato, gli erano mancati quelli che aveva sempre considerato più “la sua famiglia” che dei semplici uomini sotto il suo comando.

Tornò a guardare il suo successore: “Non li consideri come semplici subalterni e vedrà che non le sarà difficile conquistare i loro cuori…”

Il Generale Cresswell lo osservò incuriosito: quell’uomo era un vero enigma. Aveva preso informazioni su di lui, per capire chi avrebbe sostituito. Il suo fascicolo era zeppo di commenti lusinghieri, curriculum eccellenti, note di merito… ma non una riga su quello che, aveva capito immediatamente, lo rendeva tanto amato dai suoi sottoposti.

Tutti quei dati e quelle carte esaltavano la sua carriera, ma non dicevano molto dell’uomo. Glielo aveva fatto capire più l’Ammiraglio in persona con queste poche parole che tutti quei dossier su di lui.

“Le mancano, vero? I suoi uomini le mancano.”

AJ Chegwidden annuì, senza dire una sola parola. Poi, dopo qualche secondo, aggiunse: “Non sono solo militari. Sono uomini. E la trattano come tale. E se lei li rispetterà per questo, si farà benvolere. Cos’ha deciso per quella festa in casa Roberts? Harriet prepara torte fantastiche…”

“Non sapevo se andarci o meno. Temo di sentirmi un pesce fuor d’acqua. Senta… perché non mi accompagna? Con lei sarebbe un’altra cosa…”

“Non sono stato invitato…”

“Crede che la cacceranno fuori?”

L’Ammiraglio sorrise per un attimo, immaginando la faccia di Bud se avesse suonato alla loro porta: altro che cacciarlo fuori! Bud si sarebbe profuso in un milione di frasi d’accoglienza… fino a farlo congelare fuori dalla porta! E la faccia di Rabb? L’ultimo anno con lui era stato turbolento… chissà, forse proprio lui era ben contento di non averlo più tra i piedi.

“Come sta il Capitano Rabb?”

“Perché me lo chiede?”

“Con il Colonnello in ospedale…”

“L’ho mandato a chiedere notizie e le ha riferite puntualmente. Ma non mi è sembrato particolarmente turbato…”

“Rabb? Neppure quando gli ha comunicato che Mac era in ospedale?”

“Bè… non mi è parso. Si è semplicemente alzato e, senza dire una sola parola, ha obbedito immediatamente al mio ordine di andare ad informarsi.”

“Immediatamente, dice? Ebbene, Gordon, imparerà presto che il capitano Rabb raramente obbedisce all’istante ad un ordine. Se ha obbedito all’istante, senza dire neppure una parola, allora sì che era turbato. E obbedisce sempre a quel modo quando si tratta di notizie negative che riguardano il Colonnello. A meno che i suoi ordini gli impediscano di raggiungerla. Allora rassegna le dimissioni!”

“Vuole dire…”

“Esatto. Sono anni che il Capitano Rabb è innamorato del Colonnello Mackenzie. E lei di lui. Solo che non  lo hanno ancora capito. O se lo hanno capito, non se lo sono ancora detto.”

“Interessante… ora comprendo diverse cose.”

“Del tipo sguardi di fuoco, battutine, tensione… ?”

“Già. Mi sono chiesto persino per quale motivo, se non si sopportavano, lei li avesse spesso fatti lavorare in coppia.”

“Perché sono fenomenali, assieme! E il lavoro ne trae vantaggio. Sarebbero una coppia magnifica anche nella vita, se solo si decidessero! A volte sono difficili da gestire, ma ne vale la pena. E poi… sono anche divertenti da osservare. Avrebbe dovuto vedere la faccia di Mac quella volta quando Rabb sparò in aula…”

“Sparò in aula?”

“Sì. Doveva dimostrare una teoria. Ma si tranquillizzi, fu punito a sufficienza e da allora non l’ha più fatto!”

“Per fortuna!”

“Oppure la faccia di Rabb quando Mac si mise con l’australiano… Ah! Quello sì che fu un periodo divertente… Mi creda, con quei due non c’è d’annoiarsi. Sa che fu il Colonnello a fare in modo che le squadre di soccorso salvassero il Capitano disperso in mare durante una tempesta? Lui stava cercando di tornare in tempo per il matrimonio del Colonnello con Brumby, ed ebbe un incidente con l’F14 che pilotava… Rabb ha spesso incidenti con un aereo, nonostante sia un pilota eccellente… Ad ogni modo fu proprio Mac, tramite una delle sue ‘visioni’ –il Colonnello a volte ne ha-, ad indicare il punto esatto dove si trovava il Capitano, che fu salvato per miracolo. E lei non si sposò più… Mi creda, quei due sono legati da un filo invisibile, ma molto tenace. Lo scorso anno Rabb rassegnò le dimissioni per andarla a salvare in Paraguay…“

“Sente davvero la mancanza di tutti loro, vero?”

“Sono stati la mia unica famiglia per anni. Sì, è vero: mi mancano. Mi mancano tutti quanti.”

“Perché, allora, non mi accompagna? Saranno felici di rivederla.”

“Ci penserò, Generale. E grazie.”

“Mi chiami, se cambia idea. E grazie a lei per le informazioni. Ora la saluto, AJ. Buon Natale!”

“Buon Natale a lei, Gordon.”

L’Ammiraglio rimase ancora per dieci minuti al tavolo, dopo che il Generale Cresswell se ne fu andato. Poi si infilò il cappotto, pagò la consumazione e uscì dal locale. Diede un’ultima occhiata agli uffici che aveva diretto per anni e, prima d’incamminarsi lungo la strada illuminata a giorno da vetrine sfavillanti e luci natalizie, si disse mentalmente: “Perché no?”.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Appartamento di Mac - 23 dicembre - sera ***



 

Appartamento di Mac - Georgetown
23 dicembre - sera

 

Inserì la spina, premette l’interruttore e la stanza assunse immediatamente un aspetto da favola: l’albero illuminava di una soffusa luce dorata l’ambiente circostante e le decorazioni risaltavano in tutto il loro splendore.

Alla mensola del camino aveva appeso un festone fatto con rami di pino intrecciati a nastri rossi e argento, mentre sopra vi aveva posto, come in altri punti della casa, diverse candele; alla porta, sia all’interno che all’esterno, aveva appeso delle ghirlande, anche queste di pino vero e nastri colorati. Un grande Babbo Natale di pezza sedeva sul divano chiaro, creando un contrasto che lo sguardo non poteva fare a meno di approvare. Aveva decorato persino la cesta per la legna che Mac teneva accanto al camino con nastri argentati e rossi.

Si guardò attorno soddisfatto: aveva fatto un magnifico lavoro e si era pure divertito.

Terminò di disporre in studiato disordine i vari pacchetti che aveva preparato, avvolgendo singolarmente nella carta da regalo ognuno degli oggetti che gli era venuto in mente di regalarle: innanzitutto un libro sui fossili che sapeva le sarebbe piaciuto acquistare; una bottiglia del suo profumo preferito, al quale lui non avrebbe più potuto rinunciare. E, per dare un tocco più frivolo all’insieme, anche un bagnoschiuma e una crema per il corpo della medesima fragranza. Quando la commessa della profumeria, tutta sorrisi e moine, glieli aveva proposti, non era riuscito a resistere, immaginando Sarah immersa nella vasca da bagno e mentre si spalmava la crema. O meglio ancora, mentre lui lo faceva per lei…

Poi aveva acquistato anche ben cinque film in videocassetta tra i quali lei avrebbe potuto scegliere il giorno di Natale: una commedia, un giallo, un film d’amore e uno d’azione. E, proprio all’ultimo momento, aveva aggiunto un cartone animato della Walt Disney, sapendo quanto a lei piacessero. Per la torta era già d’accordo con Harriet: tra i loro regali, ci sarebbero state anche una torta di mele, la preferita di Mac, e una al cioccolato che lui adorava.

E per finire, qualcosa che certamente non si sarebbe mai aspettata che lui le regalasse: una camicia da notte, in seta e pizzo rosso natalizio, con spalline sottili e lunga fino ai piedi, ma con uno spacco vertiginoso che l’avrebbe resa molto sexy. Era stata confezionata in una grande scatola, anch’essa di un rosso sfavillante e sarebbe stata il pezzo forte.

Sperava che con quel regalo fossero chiare le sue intenzioni: avrebbe fatto il possibile per dividere con lei quella fetta di torta, mentre guardavano assieme uno dei film, se non tutti, il giorno di Natale! E, se aveva fortuna, per tutti i Natali a venire…

Bene, aveva terminato. Mancava solo un ultimo particolare, ma che per lui e per il suo piano sarebbe risultato fondamentale: un bel ramo di vischio sotto il quale baciarla.

Sistemato anche quel dettaglio, spense le luci e infilò in una tasca il telecomando dello stereo che gli sarebbe servito l’indomani sera per creare l’atmosfera perfetta non appena lei fosse entrata in casa. L’avrebbe accompagnata dopo la festa dai Roberts e la funzione in chiesa e, non appena avesse aperto la porta, lui avrebbe acceso lo stereo nel quale aveva già inserito un cd con i brani natalizi più d’atmosfera. Quello che preferiva era The Christmas song: la voce del grande Nat King Cole sarebbe stata perfetta per augurarle Buon Natale.

Quando aveva saputo che sarebbe stata dimessa appena in tempo per la festa in casa Roberts, Mac era stata categorica: non voleva assolutamente perdersela. Lui le aveva fatto notare che avrebbe potuto essere stanca e che sarebbe stato meglio se fosse andata direttamente a casa, ma lei aveva risposto che in quei quattro giorni d’ospedale non aveva fatto altro che dormire e che sarebbe stata in grado di reggere una serata con amici e un’ora in chiesa.

Egoisticamente lui avrebbe preferito averla per sé tutta la sera, ma aveva capito quanto fosse importante per lei trascorrere alcune ore con persone amiche e l’aveva assecondata.

Al punto che, quando lei gli aveva chiesto se potesse farle avere in ospedale un abito da indossare per la festa, la sera precedente era rientrato in camera sua e aveva scelto tra i suoi abiti uno che potesse andare bene per l’occasione e glielo aveva portato proprio quel pomeriggio, assieme ad una busta trovata in bagno con i cosmetici per il trucco. Sarah si era piacevolmente sorpresa che lui avesse pensato anche a quello e lo aveva ringraziato con uno splendido sorriso.

Mentre si richiudeva alle spalle la porta dell’appartamento di Mac, non poté fare a meno di sorridere all’immagine della sua espressione stupita quando, entrando in casa dopo quattro giorni d’ospedale, sarebbe stata accolta da un’altra sorpresa: luci, decorazioni e musica natalizia, tutto per lei!

Sperò che in quel caso non si sarebbe limitata a ringraziarlo con un sorriso, ma che gli avrebbe regalato ben altro. Tutto il suo amore.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Casa Roberts - sera della Vigilia ***



 

Casa Roberts - Rosslyn, Virginia
sera della Vigilia

 

La musica natalizia si diffondeva attraverso le casse dello stereo e contribuiva, assieme alle luci colorate dell’albero, a rendere l’atmosfera allegra e festosa. Sul tavolo, apparecchiato con eleganti porcellane e calici di cristallo, una bella composizione di agrifoglio, candele e nastri dorati fungeva da centro tavola, attorniata da diversi piatti di leccornie, dolci e tartine. In una grande zuppiera a destra c’era del punch caldo, mentre al lato opposto si potevano trovare bottiglie di champagne ghiacciato.

Harriet si guardò attorno, soddisfatta del lavoro: in poco tempo lei e Bud erano riusciti a compiere un miracolo! I primi ospiti erano già arrivati e si erano già distribuiti nel salone, a chiacchierare animatamente. Sorrise felice: era proprio quello che più le piaceva quando riuniva gli amici a casa loro!

Mancavano ancora alcune persone, tra le quali il Capitano Rabb e il Colonnello Mackenzie, ma sapeva che sarebbero arrivati non appena Mac fosse stata dimessa. Harm sarebbe passato a prenderla e l’avrebbe portata lì prima possibile. Le aveva detto che Sarah ci teneva tantissimo a trovarsi con gli amici, quella sera. Ad Harriet era sembrato che lui, invece, ne avrebbe fatto volentieri a meno, ma che l’avrebbe accompagnata solo per accontentarla. Le era sembrato strano che, come regalo da parte sua e di Bud, insistesse tanto per avere due dolci, una torta al cioccolato, la sua passione, e quella di mele, che Harriet sapeva essere la preferita di Mac. Aveva detto a Bud, dopo averle preparate, che secondo lei il Capitano aveva in mente qualcosa di speciale per il Colonnello.

“Cosa?” aveva domandato suo marito.

Lei non aveva risposto, aveva solo ammiccato divertita. Bud l’aveva guardata con un’aria poco convinta, scuotendo la testa. Probabilmente aveva ragione suo marito, non sarebbe successo nulla neanche questo Natale…

Chissà perché, ma continuava a sperare che Babbo Natale mettesse un po’ di sale in zucca a quei due e facesse loro capire quanto sarebbero stati bene assieme.

Un brusio di voci la fece voltare e vide che erano appena entrati proprio Harm e Mac: gli altri ospiti si erano avvicinati al Colonnello, per informarsi sulla sua salute.

Si avvicinò anche lei e abbracciò la sua amica.

“Mac, come ti senti?”

“Bene, Harriet. Sto bene. E ora che sono qui, sto ancora meglio, grazie.”

“Entrate, mettetevi comodi…” disse loro, da perfetta padrona di casa. Dopo aver salutato tutti, i due ufficiali si misero a proprio agio e lei li osservò sedersi vicini sul divano accanto al camino e immergersi in una delle loro chiacchierate. Possibile che non si rendessero conto di quanto stessero bene assieme? Erano una bellissima coppia e in più erano grandi amici. L’attrazione che c’era tra loro era sempre stata palpabile, a chiunque li conoscesse… come facevano a non rendersi conto che sarebbero potuti essere molto felici, se solo lo avessero voluto?

Il suono del campanello la distolse dai suoi pensieri: doveva essere Jennifer. Oltre a lei, mancava soltanto il Generale Cresswell e… no, si era scordata di Galindez, che Bud aveva invitato proprio il giorno prima. Era davvero felice di poterlo incontrare! Bud aveva fatto bene ad invitarlo.

Si avviò alla porta, per aprire. Tutti gli altri erano impegnati in conversazioni, mentre Bud stava servendo il punch caldo.

Non appena aprì, sulla soglia vide Gordon Cresswell, in cappotto blu della Marina, accompagnato da una persona che mai Harriet avrebbe sperato di vedere proprio quella sera. Sorpresa, non riuscì a parlare.

“Buonasera, signora Roberts…” disse Cresswell, porgendole una bottiglia.

Lei la prese, ma continuò a stare zitta, a fissare l’uomo alle spalle del Generale.

“Spero non le dispiaccia, mi sono permesso di portare un ospite…” stava dicendo Cresswell.

Ma Harriet non lo ascoltava: l’uomo alle spalle del nuovo capo del Jag era l’Ammiraglio Chegwidden. Con gli occhi lucidi, non riuscì ad impedirsi di avvicinarsi di qualche passo e di abbracciarlo. Com’era felice di vederlo!

“Ammiraglio!”

AJ Chegwidden ricambiò l’abbraccio, lasciando stupefatti sia il Generale Cresswell, sia la stessa Harriet. La quale si riprese subito e disse un: “Mi scusi, Signore”, rivolto ad entrambi. I due uomini la guardarono e si sorrisero.

Vedendo che il suo gesto non aveva imbarazzato l’Ammiraglio, Harriet finalmente si riscosse e decise a farli entrare, scusandosi di nuovo con Cresswell e dando un caloroso benvenuto ad entrambi.

Non appena gli ospiti si accorsero di chi era entrato assieme al Generale Cresswell, si alzarono per andare incontro e salutare i due arrivati.

Era evidente che tutti erano felici di rivedere l’Ammiraglio il quale, a sua volta, sembrava davvero contento di salutare molte delle persone che fino ad un anno prima erano state la sua famiglia. Cresswell stava osservando la scena, quando il Capitano Rabb gli si avvicinò.

“Gli abbiamo sempre voluto bene come ad un padre” disse Harm.

“L’avevo intuito. E lui prova lo stesso per tutti voi” rispose Cresswell.

“Come fa a dirlo, Generale?”

“E’ evidente. Basta trascorrere mezz’ora con lui e sentirlo parlare di voi… “

“Le ha parlato anche di me, Generale?” chiese Rabb, con un sorriso.

“Soprattutto di lei, Capitano!” rispose divertito Cresswell.

“Oh, povero me!” disse Rabb, con una smorfia.

“Già, povero lei…”

Harm  guardò il suo nuovo superiore con occhio diverso: forse non sarebbe stato così male, se solo gli avessero dato un’occasione. Certo, AJ sarebbe sempre stato il padre che gli era mancato, ma se aveva deciso di accompagnare il Generale, significava che lo conosceva e che  aveva la sua stima: l’Ammiraglio non concedeva la sua fiducia tanto facilmente.

Si voltò verso l’uomo che era stato per oltre nove anni il suo superiore: stava parlando con Mac e lei sorrideva felice. Si scusò con Cresswell e raggiunse i due.

“Ammiraglio, che piacere rivederla!” disse, stringendo la mano che Chegwidden gli porgeva.

“Harm, chiamami AJ, per favore.”

“D’accordo, AJ. Siamo tutti molto felici di rivederla. Come sta?”

“Bene… e vedo che anche tutti voi state bene… come vanno le cose?”

“Senza di lei non è la stessa cosa”, disse Mac, improvvisamente più triste.

Nel frattempo si era avvicinato anche Bud, che aveva salutato l’Ammiraglio.

“E, vero, Signore, non è la stessa cosa, anche se il Generale Cresswell è una brava persona. Ma non è come quando c’era lei, Signore” aggiunse Bud.

“Dovreste dargli una possibilità, non credete?” disse l’Ammiraglio, a tutti e tre. Lo guardarono quasi sorpresi. Poi Bud rispose: “Credo che abbia ragione, Signore”, mentre Harm annuiva in silenzio.

“Mac?”, chiese l’Ammiraglio.

“Lo pensa davvero, Signore? Il Generale è solo un superiore, non un uomo come lei.”

“Chiunque è un uomo, oltre che un militare, Mac. Basta dargli la possibilità di esserlo e fare in modo che se ne renda conto. Con me ci siete riusciti… ci riuscirete anche con lui…” e così dicendo li lasciò, per dirigersi verso il tappeto, dove il piccolo AJ, il figlio dei Roberts che portava il suo stesso nome, stava giocando e facendo dei cenni in direzione dell’Ammiraglio per farlo avvicinare.

Harm e Mac si guardarono e si sorrisero: con quel gesto si erano detti tutto.

Insieme si avvicinarono al Generale Cresswell  e, conducendolo verso il buffet, iniziarono una conversazione dove il lavoro c’entrava ben poco.

Dal tappeto accanto al piccolo AJ, l’ammiraglio Chegwidden sorrise compiaciuto: era davvero felice di essere lì. Finalmente, dopo quasi un anno, si sentiva di nuovo a casa. Certo, non sarebbe durato molto, ma… chissà? Avrebbe anche potuto smetterla di rimpiangere soltanto quelle persone, e darsi da fare per frequentarle da amico, anziché solo come loro superiore. Anche se… vedere Mac e Harm conversare amabilmente con il Generale Cresswell gli fece pensare che, in fondo, restava sempre l’uomo che li aveva comandati per anni: era certo che i suoi due pupilli avrebbero capito immediatamente quello che intendeva con le sue parole.

Dopotutto aveva sudato sette camicie, per addestrarli bene ai suoi ordini!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Casa Roberts - sera della Vigilia ***



 

Casa Roberts - Rosslyn, Virginia
sera della Vigilia

 

Quando alcuni giorni prima durante il loro incontro Bud lo aveva invitato alla festa, l’aveva già informato delle novità accorse al JAG. Non sapeva come definire la sensazione che aveva provato sapendo che parte delle persone con cui aveva lavorato se n’erano andate. Ripensò a Tiner, il giovane Sottufficiale attendente dell’Ammiraglio Chegwidden, l’amico con cui si divertiva a competere scherzosamente, e che aveva ormai intrapreso la strada della sua carriera di avvocato militare; al Tenente Loren Singer, la cui morte, sebbene come persona non gli fosse mai stata particolarmente simpatica, lo turbò molto; ad Harriet, la solare moglie di Bud, dimessasi per portare a termine una gravidanza gemellare. Si chiedeva come facessero ora la mattina senza i suoi sorrisi dolci e confortanti che accoglievano chiunque entrasse negli uffici del JAG. Ed infine ripensò alla notizia che più di tutte l’aveva sorpreso: il pensionamento dell’Ammiraglio. Bud gli aveva raccontato della festa d’addio data in suo onore, che strano effetto gli aveva fatto. Gli dispiacque di non esserci stato in un momento così importante. Dov’era ora il suo superiore? L’avrebbe più rivisto?

Suonò il campanello di casa Roberts pensieroso, ma al contempo felice, perché avrebbe comunque trascorso qualche ora assieme agli altri rimasti. Avrebbe rivisto Mac ed Harm in condizioni più favorevoli rispetto all’ultima volta che si erano incontrati. Era stato mesi prima in Paraguay, dove per poco non ci rimettevano tutti la vita. Per fortuna erano tipi tosti, avevano portato a termine la missione ed erano tornati ai rispettivi incarichi, se non proprio tutti sani, per lo meno salvi.

Si era messo a fissare la decorazione che addobbava l’ingresso quando sentì una voce gioiosa chiamarlo per nome.

“Galindez!”. Il viso allegro di Harriet fece la sua comparsa da dietro il portone e non ebbe neppure il tempo di abbozzare un saluto ché la giovane mamma lo stava già abbracciando contenta di rivederlo. Lo accompagnò al guardaroba e poi lo condusse nella sala dove si teneva il rinfresco.

“Mettiti a tuo agio, sul tavolo laggiù troverai da bere e da mangiare. Ora scusa ma vado a vedere cosa combina Bud in cucina…”, si fermò a guardarlo sorridente e prima di voltarsi per andare dal marito aggiunse, “Non potevo sperare in un regalo più gradito. Anche tu sei di nuovo tra noi a festeggiare il Natale!”

“Grazie, Harriet. Sono felice anche io di rivedervi.” E lasciato solo cominciò a guardarsi attorno. C’erano già alcune persone nella stanza, le loro voci si mescolavano alle dolci note delle canzoni natalizie. Cercò con lo sguardo qualche volto conosciuto; riconobbe il fratello di Bud, che si aggirava con un vassoio pieno di tartine in equilibrio su una mano, e vide il piccolo AJ giocare seduto sul tappeto, intento a spiegare qualcosa all’uomo che gli stava vicino. Si fermò, e come se avesse avuto un’allucinazione sbatté più volte le palpebre… E capì perché l’ultima frase di Harriet gli era suonata strana. Quel “anche tu sei di nuovo tra noi” aveva un significato ben preciso… non era l’unico ad essere tornato tra i vecchi amici, qualcun altro era arrivato prima di lui. L’Ammiraglio Chegwidden gli dava le spalle mentre si destreggiava dando attenzione al bambino e conversando con l’altro militare al suo fianco, che Galindez riconobbe all’istante: era l’uomo da cui dipendeva il suo futuro lavoro, il Generale Cresswell.

Andò verso di loro per salutarli, un po’ timoroso in verità di affrontare Cresswell, ma smanioso di poter stringere nuovamente la mano all’Ammiraglio.

I due uomini si accorsero di lui prima ancora che li raggiungesse e non sembrarono affatto stupiti di vederlo lì. Anzi, pareva quasi che lo stessero aspettando. Cercò di non far caso all’impressione che aveva avuto e li salutò calorosamente.

“Galindez!” proruppe l’Ammiraglio ricambiando la stretta di mano. “Ero stato informato del tuo ritorno, speravo proprio di incontrarti. Ho saputo che hai fatto richiesta di essere reintegrato al JAG.”

“Sì, Signore. La mia collaborazione con la CIA può dirsi conclusa per il momento… Lei come l’ha saputo, Signore?”

“Chiamami AJ, Gunny, ora non sono più io il tuo diretto superiore”

“No, ha ragione…”, abbassò lo sguardo per un attimo, ma lo rialzò quasi subito, come se all’improvviso si fosse reso conto che Chegwidden gli aveva fatto una rivelazione. “Scusi? cosa intende dire?”

“Come, Gordon…” si rivolse al suo sostituto, che nel frattempo era andato a prendere qualcosa da bere per lasciarli parlare da soli. “Non gli ha ancora detto niente?”

“Detto cosa, Signore?” chiese Galindez, che cominciava a sentirsi nervoso.

“Ho valutato la sua richiesta, Sergente” disse Cresswell guardandolo negli occhi. “Le avevo detto che avrebbe avuto una risposta dopo Natale, ma dato che siamo tutti qui e che la mia decisione l’ho presa, non vedo cosa ci sia da aspettare.”

Galindez era sempre più impaziente. Pur mantenendo un’espressione seria e composta, dentro di sé si sentiva in subbuglio.

Il Generale proseguì. “Mi sono informato su di lei, ed ho avuto la conferma di ciò che avevo dedotto dal suo curriculum, e cioè che è un ottimo ufficiale…”

“Grazie, Signore…”, farfugliò, sentendo che non riusciva più a star fermo. Perché non la smetteva di girarci attorno e non veniva subito al dunque? E perché l’Ammiraglio sorrideva compiaciuto?

Cresswell lanciò uno sguardo ammiccante all’Ammiraglio, sorrise e si rivolse al giovane ufficiale che aveva lasciato sulle spine. “Bentornato al Jag, Sergente! Tra due giorni la voglio nel mio ufficio per ufficializzare il suo reintegro.”

Una mano si posò sulle sue spalle dandogli un leggero colpetto. L’Ammiraglio lo stava guardando soddisfatto e orgoglioso.

“Sissignore! Grazie, Signore!”, scattò sull’attenti pronunciando queste parole, e provocò una risata ad entrambi i suoi superiori. Non erano necessarie tutte quelle formalità, ma reagì d’istinto, non sapendo in quel momento come altro comportarsi. Era talmente contento che non si accorse della persona che era appena arrivata.

 

***

 

Non ci aveva impiegato molto a prepararsi, era andata sicura sull’elegante non troppo impegnato. Perché avrebbe dovuto perdere tanto tempo? Non doveva piacere a nessuno, solo a se stessa; e per se stessa i vestiti che aveva scelto andavano più che bene. Aveva deciso di indossare un paio di pantaloni di lanetta grigio topo con la piega sul davanti e di accompagnarli con un dolcevita nero attillato con un ricamo di brillantini sul petto. Una giacca elegante sempre nera e con i bottoni dorati completava il suo abbigliamento.

Le bastò entrare nella stanza del rinfresco e guardarsi attorno per pentirsi della sua scelta. Perché non aveva indossato il tubino nero che aveva comprato qualche mese prima? Scendeva leggero accompagnando la figura del corpo fino alle ginocchia. Semplice, ma più elegante, più femminile. Senz’altro più adatto per far colpo su qualcuno… per far colpo sul giovane militare che da qualche giorno si era impossessato dei suoi pensieri e che ora era lì, alla stessa festa a cui era stata invitata anche lei, e conversava allegro con il Generale Cresswell e l’Ammiraglio Chegwidden. Trovarlo in quel posto la sorprese più ancora della presenza dell’Ammiraglio. Era felice di rivedere il suo superiore, sarebbe andata subito a salutarlo, e perché no? anche ad abbracciarlo, desiderosa di fargli sapere che le mancava e che era grata di aver lavorato per lui. Ma il fatto che con lui ci fosse anche quel giovane ufficiale le impediva di comportarsi nel suo solito modo spontaneo.

Era rimasta immobile esattamente nel punto in cui si trovava appena lo aveva visto. Non si era accorto che era arrivata, e comunque, cosa le faceva pensare che si sarebbe ricordato di lei? Ed anche fosse, perché mai avrebbe dovuto aspettarsi di vederla lì?

La sua vista la turbava, lei invece aveva desiderato incontrarlo di nuovo, ma non si sarebbe mai immaginata di vederlo proprio la Vigilia di Natale a casa Roberts. Non era preparata. Si sentiva sciocca, ma non poteva farci niente, sentiva che se il suo sguardo si fosse posato su di lei, sarebbe inevitabilmente arrossita. Cercò di arginare i suoi pensieri e cominciò a chiedersi come mai anche lui fosse lì. Chi conosceva?

Lo stava ancora fissando quando incontrò i suoi occhi neri. Arrossì. Si sentì colta sul fatto e sorrise imbarazzata, senza riuscire comunque a distogliere lo sguardo.

Lo vide scusarsi con gli uomini che erano con lui e dirigersi nella sua direzione.

Possibile che i suoi desideri si stessero realizzando? Si ricordava di lei?

La raggiunse fermandosi di fronte a lei e guadandola intensamente negli occhi. Sentiva il cuore martellarle nel petto, e si accorse di trattenere il respiro. Sarebbe riuscita a parlare?

“Ciao…”, la profondità della sua voce fece sussultare Jennifer anche in quel momento. “Credevo che non ti avrei più rivista”, quel timbro dolce la avvolse e le provocò un’ondata di  calore che si diffuse nel petto. Che stava facendo? Perché se ne restava imbambolata invece di rispondere?

“Ciao… anche io non pensavo di vederla qui…”, non riuscì ad evitare il leggero tremolio delle sue parole, anche se cercò di parlare mantenendo un tono fermo ed usando ancora, al contrario di lui, il pronome di cortesia, per creare una certa distanza che credeva le avrebbe permesso di sentirsi meno vulnerabile.

Non gli sfuggì il modo in cui gli si era rivolta, ma aveva deciso che voleva entrare un po’ più in confidenza con lei, per cui non cedette al tono formale che sembrava volesse mantenere lei.

“Non ti ho ancora ringraziata per quel giorno, per le informazioni che mi hai dato”. Che stava dicendo? Tra tutte le cose che poteva dirle, proprio una frase così banale e stupida doveva pronunciare?

“Non ho fatto niente di speciale. E comunque… mi avevi già ringraziata.”

La risposta non lo stupì, doveva aspettarsela. Certo che non le sfuggiva nulla, non gliene avrebbe lasciata passare una. Meglio rimediare alla svelta, non voleva dare l’impressione dell’allocco, non a quella ragazza dall’aria sbarazzina e da quei meravigliosi capelli castani. Vinse la tentazione di sistemarle dietro l’orecchio una ciocca che le ricadeva sulla spalla per poter infilare le dita in quei lunghissimi fili sottili e lucenti.

“Sì, ma sono stato comunque maleducato. Non mi sono neppure presentato.”

Jen sentì che l’imbarazzo iniziale stava lasciando posto ad una calda sensazione di benessere. “Questo è vero”, cominciò a rilassarsi. “Perché non rimedi ora?”

Finalmente, gli parve di percepire una maggior apertura nella sua interlocutrice. Sorrideva complice, se lo prendeva in giro significava che dopotutto poteva nutrire qualche speranza.

Stava per fare il saluto e presentarsi come avrebbe fatto con un ufficiale di alto rango quando alle sue spalle qualcuno lo precedette.

“Gunny! Sei proprio tu?”

Si voltò, quasi volesse fulminare con lo sguardo la persona che aveva interrotto la conversazione che dal giorno dell’archivio sperava di avere con quella ragazza, di cui ancora non sapeva il nome. L’avrebbe mai scoperto? Il fastidio che aveva provato per l’improvvisa interruzione sparì appena si rese conto di chi fosse quella voce.

“Capitano! Colonnello! È un piacere rivedervi. Mi hanno riferito del suo incidente, come sta?”

“Bene, Gunny, mi hanno dimesso poco fa. Tu, piuttosto, cosa ci fai qui?”

E mentre il giovane ufficiale, che a quanto pareva conosceva molto bene tutto lo staff del JAG, forse meglio di lei, rispondeva alle domande di Mac e Harm, Jennifer Coates si allontanò, delusa per non aver ancora saputo nulla sul suo conto. Per saziare la curiosità e l’interesse che provava per lui sarebbe potuta rimanere ad ascoltare la conversazione, ma in quel momento si sentiva di troppo, quasi un’intrusa e senza dire una parola andò a prendere qualcosa da bere.

Era accanto al tavolo del rinfresco e stava sorseggiando la bibita che si era versata senza neppure prestare attenzione a cosa fosse, assorta nei suoi pensieri, quando il terzetto le si avvicinò. Sorrise a tutti e tre, ma distolse quasi subito lo sguardo dall’uomo che aveva sentito chiamare “Gunny”. Quei tre dovevano conoscersi molto bene, ma perché?

Quasi intuendo qualcosa, Harm guardò prima l’uno e poi l’altra.

“Voi due vi conoscete?”, chiese, ricordando che prima di interromperli stavano parlando tra di loro.

“A dir la verità non proprio…”, rispose Jennifer.

“Ci siamo visti qualche giorno fa al JAG, stavo giusto per presentarmi poco fa”, aggiunse Gunny.

“Bè, allora direi di passare alle presentazioni. Gunny, lei è il Sottufficiale Jennifer Coates, l’attendente del Generale Cresswell, ha preso il posto di Tiner. Jen, lui e’ il Sergente d’artiglieria Victor Galindez, è stato un membro del nostro staff prima di far richiesta per entrare in servizio attivo, ma a quanto pare sarà di nuovo dei nostri.”

Harm diede un colpetto sulla spalla del sergente e sorrise, con l’espressione di un bambino che ha appena fatto una buona azione. Poi, mettendo una mano sulla schiena di Mac e sospingendola dolcemente come se volesse guidarla per portarla dovunque fosse andato lui e non perderla un istante, andò a salutare gli altri ospiti, lasciandoli di nuovo soli.

Si fissarono ancora una volta negli occhi, senza saper cosa dire. Tante erano le domande che si sarebbero voluti fare, ora che avevano scoperto i rispettivi nomi avrebbero voluto conoscere di più l’uno dell’altra, ma non sapevano da dove iniziare.

“Piacere”, disse Victor abbozzando un sorriso, “puoi chiamarmi Gunny, come fanno tutti.”

 

***

 

“Perché quel sorriso sotto i baffi?” chiese Mac mentre Harm la spingeva lontano da Jennifer e Galindez, “e perché mi stai allontanando da Gunny così rapidamente? Volevo chiacchierare ancora un po’ con lui…”

“Ma… non hai notato nulla?” chiese lui, con uno sguardo divertito.

“Cosa avrei dovuto notare?” domandò lei con finta aria ingenua.

“Non hai visto come Jen lo guardava? E come Victor se la mangiava con gli occhi?” la voce sorrideva, mentre  ammiccava verso i due giovani.

“Capitano, mi sorprendi! E da quando sei più perspicace di me per queste cose?” chiese lei, divertita e felice da questo momento di complicità che si era creato tra loro, quasi come ai vecchi tempi. Era bello stare con lui così… Chissà se, poco alla volta, sarebbero riusciti a ritrovare la loro amicizia che il suo rapporto con Webb aveva incrinato. Lo sperava davvero.

“Che il Natale mi abbia reso più romantico?” disse Harm, guardandola negli occhi. Dio, quanto era bella! Aveva voglia di essere solo con lei, vederla aprire la porta di casa sua e trovare la sorpresa che le aveva preparato. Chissà come avrebbe reagito? Si sentiva agitato, come un bambino all’arrivo di Babbo Natale.

“A quanto pare l’atmosfera natalizia non rende romantico solo te…” disse Mac, toccandolo su un braccio e indicandogli con un cenno Jen e Victor che si erano allontanati dal buffet ed ora, in un angolo appartato, sembravano assorti in una interessante conversazione, a giudicare dai loro sguardi. Anche se lei era convinta che le parole che si scambiavano in quel momento non avevano grande importanza… i sentimenti che trasparivano dai loro occhi erano decisamente più importanti.

Sorrise dolcemente pensando a quanto sia bello e speciale il momento dell’innamoramento: quel guardarsi misterioso che fa battere il cuore, quello scoprirsi incatenati con gli occhi e con il desiderio di voler andare oltre, senza ben sapere dove e quando… immaginare uno sfioramento, il primo bacio, il primo abbraccio…

Si voltò verso Harm e sentì il cuore batterle forte, come la prima volta che lo aveva visto, dieci anni prima. Possibile? Possibile che fosse tutto ancora come allora?

Lui le sorrise, con quel sorriso che le rubava il cuore ogni volta e lei comprese che sì, per lei tutto era come allora: quel legame di sguardi che era nato tra loro fin dalla prima volta esisteva ancora, nonostante tutto.

“Credo sia ora di andare in chiesa” la voce di Harm la distolse dai suoi pensieri. Si guardò attorno e osservò che tutti si stavano preparando per uscire. Vide Victor mentre aiutava Jennifer ad indossare il cappotto e sorrise all’idea che, forse, quella notte avrebbe portato con sé un nuovo amore.

“Perché sorridi?” un sussurro al suo orecchio le fece scendere un brivido lungo la spina dorsale. Voltò appena il capo e si trovò le labbra di Harm talmente vicine che dovette trattenersi dallo sfiorargliele con un bacio. Lui si spostò appena e le porse il cappotto che aveva recuperato, per aiutarla ad indossarlo.

“Pensavo all’amore…” rispose infilandoselo e ringraziando il suo cavaliere con un sorriso. Poi aiutò lui ad indossare il suo e gli si avvicinò un poco per sistemargli il risvolto… Quanto avrebbe dato perché in quel momento lui la abbracciasse e la baciasse…

Harm le sorrise e le sfiorò il volto con una carezza dolcissima; poi la prese per mano e uscirono assieme agli altri per partecipare alla funzione.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Piazzale della Chiesa - la notte della Vigilia ***



 

Piazzale della Chiesa
La notte della Vigilia

 
Erano appena usciti dalla cappella, la funzione era terminata e le parole del Pastore riecheggiavano ancora nella sua mente, “È il sorriso di un bambino che contempliamo in questa notte. Apriamo il nostro cuore alla tenerezza che ci suscita e lasciamo che l’Amore ci prenda per mano…”

Affondò il viso nella morbida sciarpa fino a coprirsi la punta del naso. La fredda aria invernale la fece rabbrividire, mentre rimasta sola lo aspettava.

L’avrebbe raggiunta appena terminati i saluti. Quando aveva saputo che Jennifer abitava nella stessa palazzina di Harm non era riuscito a mascherare la delusione che provò, si vide preclusa qualsiasi possibilità di prolungare il tempo da poter trascorrere insieme a lei. Che scusa avrebbe potuto trovare per riaccompagnarla a casa? Doveva escogitare qualcosa… non voleva lasciarla andare così.

Non era ancora riuscito a pensare a nulla quando si accorse che Harm non sarebbe andato direttamente a casa, ma avrebbe prima portato Mac al suo appartamento. Non si fece sfuggire l’occasione e prima che qualcun altro potesse farsi avanti si propose lui di accompagnare il Sottufficiale.

“Non si preoccupi, Capitano. La riaccompagno io a casa”, aveva detto, sperando di esser riuscito a mantenere un tono neutrale, anche se dentro di sé si sentiva emozionato e felice come un adolescente che per la prima volta accompagna a casa la ragazza che gli piace.

Sembrava che in quella notte magica ogni desiderio potesse realizzarsi…

Salutò il Colonnello e il Capitano e gli sembrò che quest’ultimo, prima di entrare in macchina, gli avesse fatto l’occhiolino, quasi a volergli dire “Forza!”.

Scosse la testa e tornò da Jennifer che lo stava aspettando vicino alle scale della Chiesa con le mani infilate nelle tasche del cappotto ed il viso coperto per metà dalla sciarpa. L’aria era frizzante e gelida, ma lui non sentiva freddo, provava un confortante tepore al solo guardarla. Avrebbe voluto donarle un po’ di quel calore che sentiva abbracciandola…

Le si avvicinò.

“Andiamo?”

Lei alzò lo sguardo, sorrise ed annuì.

Galindez fece per andare allora verso l’auto, ma lei lo fermò toccandogli un braccio.

“Ti va se facciamo quattro passi?”

“Non hai freddo?”

“Mhm”, ammise. “Mi scalderò camminando. Voglio respirare l’aria di questa notte… sembra magica, non trovi?”, gli domandò innocente.

Fissò per qualche secondo quel viso dolce, poi guardò il cielo coperto ed inspirò chiudendo gli occhi.

“Hai ragione.”

Le offrì il braccio e Jennifer vi si aggrappò infilandovi sotto la mano, lasciandosi scaldare da quel contatto. Provò subito una piacevole sensazione di tepore, ma non solo sulle sue dita infreddolite, sentì anche il cuore scaldarsi…

Si incamminarono senza dire più una parola, semplicemente godendo l’uno della presenza dell’altra. Camminavano vicini, ognuno immerso nei proprio pensieri. Gunny ripensava a come si erano incontrati e a come da quel momento non fosse riuscito a smettere di immaginare il suo volto dolce e sbarazzino; Jennifer non riusciva a vedere altro che i suoi profondi occhi scuri e ogni tanto lo guardava di sottecchi cercando di controllare i battiti del suo cuore.

Era da moltissimo tempo che non si sentiva così bene in compagnia di un uomo, se poi pensava che lo conosceva solo da pochi giorni, anzi, praticamente solo da qualche ora, le sembrava ancora di più di vivere in un sogno. Gli strinse involontariamente il braccio, quasi per accertarsi che fosse tutto vero e ad un tratto si fermarono.

“Che succede?”, chiese timorosa, con un’espressione indecifrabile sul volto. Sembrava un bambino che non capiva perché fosse stato interrotto mentre giocava.

“Credo che siamo arrivati. Non è qui che abiti?” le disse, non riuscendo a trattenersi dal sorridere divertito.

Sorrideva… ecco di nuovo quella fossetta sulla sua guancia… le piaceva da impazzire, avrebbe voluto toccargliela con un dito e baciarla…

Cos’è che aveva detto? Erano arrivati? Dove? Si guardò intorno, e vide una casa dall’aspetto familiare, alzò gli occhi al primo piano e capì che erano già arrivati a destinazione. Come aveva fatto a non accorgersi?

Pronunciò un mesto “Oh”, senza voltarsi, senza saper cos’altro dire. Senza sapere cosa fare. Sapeva solo che voleva restare ancora un po’ con lui…

All’improvviso sentì qualcosa di freddo che le si posò su una guancia… era neve… aveva cominciato a nevicare… Si girò verso l’uomo che non aveva smesso un attimo di fissarla.

Le sfiorò con il dorso della mano il punto del viso su cui si era posato quel primo fiocco di neve, prolungando quel contatto incapace di allontanarsi.

Lei lo fissò negli occhi prima di sollevare a sua volta una mano e premere ancora di più sul suo viso quella di lui. Voleva sentire il calore del suo palmo.

Rimasero a fissarsi con un’intensità tale da far perdere loro la cognizione del tempo e dello spazio. Si guardavano come se fossero le uniche cose esistenti in quel momento ed in quel luogo.

Quegli occhi profondi le stavano accarezzando il cuore, le sembrava che potesse saltarle via da un momento all’altro…

Poi Galindez si mosse piano abbassando il viso fin quasi a sfiorare quello di lei, ma si trattenne ancora a contemplarla. E poco dopo si sporse maggiormente sfiorandole le labbra con un bacio che le sembrò una carezza. Chiuse gli occhi sperando di poter sentire di nuovo quel dolce tocco su di lei. Sentì le sue forti braccia attrarla a lui mentre le posava una mano sulla schiena per poi farla risalire verso la nuca e farla ridiscendere lentamente facendo scorrere i capelli tra le dita.

Jen posò le sue mani sul suo torace e si abbandonò all’abbraccio.

E di nuovo quelle calde labbra si posarono sulle sue, ma questa volta vi indugiarono più a lungo trasformando quel delicato contatto in un bacio che si fece sempre più appassionato.

Si baciarono a lungo, incuranti del dolce turbinio bianco che li circondava.

Nell’ovattato silenzio creato dai fiocchi di neve che scendevano ondeggiando dal cielo, nella notte di Natale due persone si erano lasciate prendere per mano dall’Amore…

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Appartamento di Mac - 24 dicembre - la notte della Vigilia ***



 

Appartamento di Mac - Georgetown
La notte della Vigilia

 

Avevano salutato tutti davanti alla chiesa e poi erano saliti sulla Corvette di Harm. Mentre lui guidava diretto verso casa sua, Sarah gli aveva chiesto quando sarebbe passato a trovare suo padre.

“Ci andrò uno dei prossimi giorni” aveva risposto lui.

Lei lo aveva osservato sorpresa: da che lo conosceva, non era passata una Vigilia di Natale senza che lui andasse a portare un saluto al monumento dei caduti, nell’anniversario della scomparsa del Tenente Harmon Rabb sr.

“Perché non hai lasciato che mi riaccompagnasse Sturgis? Si era persino offerto lui.”

“Mhmm… le tue cose erano già sulla mia macchina…”

“Se per quello, ci sarebbero voluti due secondi a spostarle. In ospedale avevo una borsa, due giornali e una scatola di cioccolatini… ah, e quel mazzo di fiori… ma l’ho lasciato alle infermiere. Non è che ci fosse poi molto da spostare!”

“Ti spiace che sia io ad accompagnarti a casa? Voglio vedere se ho fatto un buon lavoro con le piante.”

“E da quando ti preoccupi tanto delle mie piante?” aveva chiesto lei, con un sorriso.

“Da quando sono diventato il loro zio…” aveva risposto lui, a sua volta con un sorriso.

“Zio?”

“Certo! Non mi sono mica limitato a bagnarle, sai? Ho parlato con loro, le ho pulite… mi adorano, vedrai!”

“Che sciocco, che sei! Parli delle mie piante come se fossero dei gattini! Tornando seri, credevo volessi andare da tuo padre, come ogni anno.”

“Ci andrò. Ma non questa sera, tutto qui.”

“Sì, ma per te è sempre stato importante andarci proprio all’anniversario della sua scomparsa…”

“E’ vero. Ma questa sera ci sei tu… Desidero essere io ad accompagnarti a casa… credo che mio padre non potrebbe che approvare che riaccompagni a casa una bella donna!”, aveva risposto con aria allegra, anche se l’occhiata che le aveva dato era stata intensa.

Sarah si era accorta di essere rabbrividita, sotto quello sguardo. Non riusciva a capirlo… in quei giorni era stato tenerissimo con lei, tanto da farle quasi venire le lacrime agli occhi. Quando l’aveva visto arrivare in ospedale con l’abito che indossava proprio in quel momento e la busta dei suoi cosmetici, per un attimo non aveva potuto impedirsi di immaginare che fosse suo marito… Era una sensazione bellissima essere coccolata da lui.

Tutti gli uomini che aveva avuto, in un modo o nell’altro, si erano profusi in coccole: il suo defunto marito Chris le comperava la sua bottiglia preferita, per bersela assieme; John Farrow era un vero gentleman e amava regalarle dei fiori. Dalton la ricopriva di cose costosissime, mentre Mic le preparava ottime cenette. Clayton… bè, Clayton le aveva regalato più che altro un bel cesto di menzogne.

Ma Harm… tutto quello che Harm faceva aveva un sapore diverso. Era intimo, e non sembrava fatto apposta per fare colpo su di lei. Anzi, certamente non era per quello. Lui era spontaneo, faceva sempre quello che desiderava e non dava mai l’impressione di farlo apposta per conquistare una donna.

Oh, ma che andava a pensare? Harm non aveva alcuna intenzione di conquistarla!

Arrivarono sotto casa sua, lui la fece scendere e scaricò dall’auto le sue cose.

“Grazie, Harm… se vuoi, puoi andare ora. Posso salire da sola”.

“Hai così tanta fretta di liberarti di me? Ti ho detto che da mio padre andrò domani o nei prossimi giorni. Ti aiuto a portare in casa la borsa…” e detto questo aprì con le chiavi che, lei si ricordò, aveva ancora lui.

Non le restò che seguirlo. Sul pianerottolo del suo appartamento, lui si fermò e gliele consegnò.

“E’ casa tua…”

“Per fortuna! Cominciavo a pensare che te ne fossi appropriato!” rispose lei con un sorriso, prendendogli le chiavi di mano. Per un attimo le loro dita si sfiorarono ed entrambi si guardarono negli occhi, imbarazzati. O meglio, osservò Sarah, lei si sentì imbarazzata, mentre negli occhi di Harm aveva letto… cosa?

Distolse rapidamente lo sguardo e inserì la chiave nella toppa, quindi aprì. Cercò al buio l’interruttore della luce e lo premette. All’improvviso, anziché illuminarsi come al solito, nella stanza si accesero le luci di un enorme albero di Natale che troneggiava a fianco del camino.

Mentre si riprendeva dalla meraviglia, le note della sua canzone preferita, The Christmas song, riempirono la stanza, creando un’atmosfera magica che le tolse il fiato.

Si guardò attorno: la casa era stupenda!

Era rimasta immobile, poco oltre la soglia, ma nel frattempo Harm era entrato e ora stava accedendo ad una ad una tutte le candele che erano state disposte nei punti più strategici e, mentre tutto si illuminava di una calda luce dorata, Sarah realizzò che lui aveva fatto tutto quanto per lei. A quel pensiero gli occhi le si riempirono di lacrime…

“E’ bellissimo…” riuscì appena a sussurrare.

“Davvero? Sono felice che ti piaccia…” disse lui, mentre, accucciato davanti al camino, stava accendendo il fuoco. Quando terminò si avvicinò, la prese per mano e la condusse dolcemente verso il punto in cui, lei si accorse, un ramo di vischio era stato appeso sapientemente allo stipite della porta che divideva il soggiorno con la zona notte.

La guardò negli occhi poi si avvicinò al suo volto e le baciò delicatamente le labbra.

“Buon Natale, Sarah…” le disse in un sussurro.

Lei ricambiò lo sguardo e si accorse che negli occhi di Harm brillava una luce speciale, intensa. Una luce d’amore…

Gli sfiorò con la mano una guancia, in una carezza lenta che terminò vicino alla sua nuca. Gli avvicinò il viso e cercò le sue labbra…

Lui immediatamente la strinse a sé, avvolgendola in un abbraccio appassionato e ricambiò il suo bacio con un’intensità che la fece gemere di piacere. Le sue labbra erano calde e morbide e il suo sapore così unico che Sarah si sentì sopraffatta. Lo assecondò permettendogli l’accesso alla sua bocca e lui prolungò il bacio, finché entrambi non dovettero riprendere fiato.

“Buon Natale, Harm.”

Rimase in silenzio per un attimo, guardandosi attorno ancora stupefatta.

“Non posso credere che tu abbia fatto tutto questo…” poi, fissandolo negli occhi, chiese: “Perché?”

“Per te. Solo per te…” rispose lui, sostenendo il suo sguardo.

Alla fine fu lei la prima ad abbassarlo: si guardò di nuovo in giro e poi proruppe in un’esclamazione gioiosa che lo fece sorridere.

“Oh… ma… ci sono anche i regali!”

“Ero certo che questa parte della sorpresa ti sarebbe piaciuta molto!” disse lui allegro. Poi la seguì mentre lei si accucciava ai piedi del grande albero, dopo essersi finalmente tolta il cappotto e averlo appoggiato ad una sedia, nella foga di scartare i pacchetti. Lui fece altrettanto e si sedette sul divano ad osservarla soddisfatto.

“Sono tutti per me?” esclamò visibilmente eccitata. Sembrava una bambina!

“Tutti quanti.”

Allora lei li prese tra le braccia e li portò sul divano e si sedette accanto a lui. Voleva stargli vicino. 

“Da quale inizio?” chiese.

“Da quello che preferisci… anzi, no. Inizia da questo” e le porse un pacco, che lei aprì immediatamente, scoprendo il libro sui fossili.

“Grazie, Harm, me lo volevo comperare da tempo.”

Lui sorrise e poi decise di darle il profumo, bagnoschiuma e crema, uno dopo l’altro. Ad ogni pacchetto che apriva, il viso di Mac si illuminava e a lui il cuore batteva un po’ più forte.

Quindi fu il turno dei cinque film.

“Per domani…” disse lui, consegnandoglieli.

Lei aprì il primo pacchetto e scoppiò in una risata: era il cartone animato “La bella addormentata nel bosco” e si domandò se lui non avesse voluto dirle qualcosa...

Ad uno ad uno li scartò tutti e si meravigliò della sua fantasia e del suo acume: aveva scelto, senza saperlo, tra i suoi film preferiti.

Quando terminò lo ringraziò, ma lui la sorprese alzandosi e andando a frugare in un angolo nascosto, accanto al camino. C’era ancora una grande scatola rossa che non aveva notato prima. Harm gliela consegnò e lei si scoprì molto curiosa di conoscerne il contenuto. Doveva essere qualcosa di speciale, se lui l’aveva volutamente un po’ nascosta.

Aprì la scatola ed estrasse il delicato indumento, restando senza parole. Era bellissimo!

“Harm… è stupenda! Tutti i regali sono bellissimi, ma questa è davvero stupenda! E io… io, invece, non ho nulla per te…”

“Ti sbagli, Sarah. Se solo tu volessi, avresti tanto per me…”, disse lui, improvvisamente serio.

“Harm…”

“Ti amo, Sarah. Se tu ricambiassi il mio amore, sarebbe il regalo più bello” la sorprese lui.

Le sue parole la fecero restare senza fiato. Come poteva dubitarne ancora? Non dopo tutto quello che aveva fatto per lei. Si sorprese felice e finalmente serena dopo molto tempo.

“Ti amo anch’io, Harm. Tantissimo. E da tantissimo…”

Vide la luce negli occhi di lui farsi più intensa alle sue parole e fu contenta d’essersi decisa a dirglielo.

Poi lo sguardo di Harm assunse un che di malizioso, allungò la mano a sfiorare l’indumento di seta e disse:

“Che ne dici? La indosseresti per me?”

“Per vedere se la misura è giusta?”, domandò di rimando lei, maliziosa.

“Anche, ma non solo. Perché più tardi te la possa togliere…”

“Harmon Rabb, lei deve avere strane idee per la testa…” rispose lei, alzandosi, dandogli un rapido bacio sulle labbra prima di sussurrare: “Non te ne andare, torno fra poco…”. Poi scomparve in camera.

Harm raccolse le carte e le scatole dal divano, per creare un po’ di posto. Aveva intenzione di sedersi lì, con lei accoccolata tra le sue braccia per un po’, a rimirare le luci dell’albero e ad ascoltare ancora qualche brano natalizio. Cominciava ad apprezzare quella musica d’atmosfera… Chi l’avrebbe detto?

Ricordò d’aver acquistato gli ingredienti per una cioccolata calda e decise di prepararla, aspettando che Mac si sistemasse. Mentre era al fornello a sciogliere il cacao nel latte, guardò fuori dalla finestra, attratto da una luce particolare e si accorse che aveva iniziato a nevicare.

Sarah sarebbe stata entusiasta della cosa.

Portò le cioccolate calde in soggiorno proprio mentre lei faceva la sua apparizione in camicia da notte rosso fuoco: era magnifica!

“Sei bellissima…” disse emozionato.  Non riuscì a resistere e la prese tra le braccia, baciandola con desiderio. Poi si disse di procedere con calma e la lasciò.

Lei vide la cioccolata calda e accolse con piacere l’idea che aveva avuto di trascorrere qualche altro momento in quella magica atmosfera che aveva così ben creato solo per lei.

Lo aiutò a riattizzare il fuoco nel camino e poi lui, eccitato come un bambino, la portò alla finestra, abbracciandola da dietro, e le fece vedere che stava nevicando.

“Oltre ai film e alla fetta di torta, domani potremo anche tirarci qualche palla di neve…” le sussurrò all’orecchio, prima di baciarle la pelle sensibile del collo.

“Vedo che hai programmato tutto” rispose lei, mentre si sedevano sul divano. Lo stereo aveva iniziato a diffondere le magiche note di White Chirstmas interpretata dalla voce melodiosa di  Dean Martin.

“Vorrei restare, questa notte…” le disse, dolcissimo. Poi la prese tra le braccia e lei si rese conto che non si era mai sentita tanto a casa come in quel momento.

Cosa poteva mancare ad una serata così piena d’atmosfera e d’amore, se non la magia di un “Bianco Natale”?

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=986378