White Christmas di Alexandra_ph (/viewuser.php?uid=165023)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Georgetown - 21 dicembre ***
Capitolo 2: *** Uffici del JAG - stessa mattina ***
Capitolo 3: *** Ospedale di Bethesda - un'ora dopo ***
Capitolo 4: *** Uffici del JAG - pomeriggio ***
Capitolo 5: *** Appartamento di Mac - 21 dicembre - sera ***
Capitolo 6: *** Uffici del JAG - 22 dicembre - mattina ***
Capitolo 7: *** Appartamento di Mac - 22 dicembre - sera ***
Capitolo 8: *** Un bar, poco distante dagli uffici del Jag - 23 dicembre - pomeriggio ***
Capitolo 9: *** Appartamento di Mac - 23 dicembre - sera ***
Capitolo 10: *** Casa Roberts - sera della Vigilia ***
Capitolo 11: *** Casa Roberts - sera della Vigilia ***
Capitolo 12: *** Piazzale della Chiesa - la notte della Vigilia ***
Capitolo 13: *** Appartamento di Mac - 24 dicembre - la notte della Vigilia ***
Capitolo 1 *** Georgetown - 21 dicembre ***
Disclaimers
: Il
marchio Jag e tutti i suoi personaggi appartengono alla Bellisarius
Production.
In questo racconto sono
stati usati senza alcuno scopo di lucro.
Vorremmo
dedicare questo racconto a tutti coloro che amano la magia del Natale e
che
sanno ritrovare ogni volta l’eterno “bambino” che c’è in ognuno di noi.
Buon Natale a tutti!
ALEX
e DESI
White
Christmas
Georgetown
21 dicembre
Le
note di White Christmas nella
versione del 24 dicembre 1944, cantata da Bing Crosby accompagnato
dalla Paul
Whiteman Orchestra, risuonarono nell’abitacolo dell’auto del colonnello
Mackenzie. L’ufficiale del Jag mise in moto, non prima d’aver alzato il
volume
della radio per sentire meglio una delle sue canzoni natalizie
preferite.
La
mattina era fredda e il cielo sereno della settimana precedente aveva
lasciato
il posto a nuvole grigie e lattiginose, presagio di tempo brutto. I
meteorologi
avevano addirittura previsto un bianco Natale… chissà, forse avrebbe
davvero
nevicato!
Prima
di andare in ufficio doveva passare a Leavenworth per interrogare un
teste e
avrebbe fatto il viaggio accompagnata dalle note musicali che sempre,
in quel
periodo dell’anno, sapevano risollevarle il morale e ritemprarle lo
spirito.
Sempre.
Tranne quell’anno.
Mentre
era incolonnata nel traffico mattutino, diretta verso l’uscita della
città,
Sarah Mackenzie lasciò vagare i suoi pensieri all’anno appena
trascorso. Molte
cose erano accadute da quando, solo il Natale precedente, l’Ammiraglio
Chegwidden aveva salutato tutti e aveva lasciato il Jag.
Clayton
Webb, l’uomo che aveva amato per un certo periodo era dapprima stato
dato per
morto e poi ricomparso all’improvviso, facendole capire quanto poco per
lui
contasse la fiducia nel loro rapporto. D’accordo! Clay era un agente
della CIA
e il suo lavoro era top-secret. Ma lei era pur sempre un avvocato e,
soprattutto, un militare! Avrebbe saputo mantenere un segreto, se solo
lui si
fosse fidato. Da allora aveva rotto i ponti con il suo ex-amante e non
aveva
più neppure voluto rivederlo.
In
ufficio aveva dovuto affrontare, come tutti, l’arrivo del nuovo capo,
il
Generale dei Marine Gordon Cresswell. Tra l’altro il superiore già la
conosceva da Okinawa e quel fatto, sebbene potesse sembrare a prima
vista
qualcosa che avrebbe potuto agevolarla, in realtà non era ben sicura
che lo fosse,
visti i suoi precedenti con Farrow.
Nel
frattempo aveva anche dovuto occuparsi della sua salute. A causa di
seri
problemi aveva subito un intervento e ancora ora non era certa se
avrebbe mai
potuto avere figli.
Non
che questo fosse nei suoi piani immediati! O meglio… a lei sarebbe
anche
piaciuto che un progetto simile potesse rientrare nei suoi piani, ma…
come si
suol dire, mancava la “materia prima”.
Ecco.
Anche questo non era del tutto esatto! Se solo avesse voluto, la
“materia
prima” l’avrebbe anche avuta. E che “materia prima”!
Sarah
sorrise all’idea di considerare il Capitano Harmon Rabb come “materia prima”,
alla stregua di un semplice insieme di cellule riproduttive! Doveva
ammettere
che non molte cellule sarebbero state di così alto livello, ma… chissà
la
faccia che avrebbe fatto Harm se gli avesse detto i pensieri che
stavano
transitando nella sua mente in quel momento! Di certo l’avrebbe
guardata come
una specie di alieno, strabuzzando i suoi occhioni chiari che sempre
l’avevano
fatta impazzire; avrebbe piegato le sue labbra anziché in uno dei suoi
affascinati sorrisi in una smorfia disgustata e avrebbe scosso il capo,
per poi
voltarsi e andarsene…
Sì,
non c’erano dubbi che avrebbe reagito così. E a ragione.
Considerare
Harmon Rabb jr solo una specie di stallone da riproduzione era
certamente
riduttivo! Meglio prenderlo in considerazione come la fantasia segreta
che
aveva sempre popolato i suoi sogni, fin dalla prima volta che lo aveva
incontrato, ormai quasi dieci anni prima.
Decisamente
molto meglio…
Abbandonando
quelle fantasie, Sarah tornò a pensieri più concreti.
Harm
si era anche proposto come possibile padre dei suoi figli, ribadendo il
patto
che avevano stretto anni prima, in occasione della nascita di AJ
Roberts. Ma
lei aveva rifiutato: la presunta morte di Clayton l’aveva spiazzata. In
più i
suoi problemi di salute avevano fatto diventare il sogno di una
maternità un
progetto irrealizzabile, o quasi.
E
poi lei non voleva da Harm solo un padre per i suoi figli, ma un uomo
che
l’amasse come lei amava lui e che volesse condividere con lei la sua
vita.
Harm
le aveva dimostrato parecchie volte di volerle bene, ma Sarah nutriva
ancora
dei dubbi sul fatto che lui fosse in grado di considerarla più di
un’amica. E
quindi, quando le aveva detto che poteva far conto su di lui, lei aveva
risposto “No, grazie”.
D’accordo,
era stata una stupida! Avrebbe potuto anche accontentarsi, no? Ma erano
già
state tante le delusioni sul piano affettivo, nella sua vita… Non
voleva
correre il rischio di perdere anche l’amicizia di Harm. E sarebbe
successo, se
si fosse legata a lui senza che Harm ricambiasse davvero il suo amore.
Meglio
lasciar perdere…
E
così il suo umore, proprio in quei giorni che di solito adorava, era a
terra…
Non riusciva neppure a sentire l’atmosfera natalizia che la circondava
e questo
le spiaceva moltissimo.
Per
questo aveva deciso, proprio il giorno precedente, di invitare i suoi
colleghi
a casa sua per la cena di Natale. Di solito si ritrovavano tutti da Bud
e
Harriet, ma ora l’amica aspettava due gemelli e non si era offesa
quando Sarah
le aveva detto che avrebbero atteso l’ora della funzione di mezzanotte
a casa
sua, anziché a villa Roberts. La casa era molto più piccola, ma lei non
avrebbe
offerto una cena: si sarebbe limitata ad un rinfresco, con tartine e
dolci, del
punch e dell’egg-nog caldi e tutto quello che serviva per ingannare
l’attesa e
passare una serata tra amici. E, soprattutto, non sentirsi troppo sola.
Sì,
aveva preso la decisione giusta. Certo, aveva ancora del lavoro da
sbrigare e
parecchio, ma domani sarebbe stato il suo ultimo giorno in ufficio e
avrebbe
avuto due giorni interi per addobbare al meglio la casa e preparare
tutto… Ce
l’avrebbe fatta. Era un Marine, dopotutto!
Immersa
in quei pensieri, non si accorse della lastra di ghiaccio che ricopriva
parte
della strada che stava percorrendo.
L’auto
sbandò all’improvviso e andò a sbattere contro un albero: il colpo fu
violento
e Sarah Mackenzie perse conoscenza mentre, nell’abitacolo, le note di I’ll be home for Christmas continuavano
a risuonare struggenti… eppure mai, come in quel momento, erano
sembrate tanto
stonate.
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Capitolo 2 *** Uffici del JAG - stessa mattina ***
Uffici
del JAG
Stessa mattina
Non
le era riuscito di bersi neppure un caffè quella mattina. Il nuovo capo
voleva
che tutto fosse finito prima della pausa natalizia, se non tutto almeno
le
pratiche che richiedevano solo qualche firma e l’archiviazione. E di
quelle
“scartoffie” ben presto il suo tavolo ne fu invaso. Non aveva fatto in
tempo a
sedersi alla sua postazione che il Generale Cresswell l’aveva
chiamata nel
suo ufficio per spiegarle ciò che avrebbe dovuto fare.
Erano
passate ormai quasi tre ore e per tutto quel tempo il Sottufficiale
Jennifer
Coates non aveva fatto altro che correre da una stanza all’altra,
consegnando i
documenti da firmare a chi di competenza, portando ad archiviare le
pratiche
completate, facendo fotocopie e rispondendo al telefono.
Era
talmente immersa in quella frenesia che non prestò attenzione
all’ultima
chiamata che inoltrò al suo superiore. Non fece neppure caso al tono
grave con
cui il Generale subito dopo le disse di convocare il Capitano Rabb
“immediatamente” nel suo studio.
Capì
che doveva essere successo qualcosa solo quando si scontrò con il viso
preoccupato del Capitano mentre si chiudeva la porta dell’ufficio alle
spalle.
“Tutto
bene, Signore?” si informò seguendolo, ansiosa di sapere cosa lo
turbasse.
“Non
lo so. Mac ha avuto un incidente, è stata ricoverata al Bethesda, sto
andando
là.” Rispose l’uomo quasi senza rendersene conto.
“Posso
fare qualcosa…”, non riuscì a finire la frase. Il Capitano non la stava
ascoltando, si diresse deciso nel suo ufficio, afferrò berretto e
cappotto e
poi svanì dietro le porte dell’ascensore, ignorando uno sbalordito
Capitano
Roberts che inutilmente gli aveva chiesto di aspettarlo e che si vide
chiudere
le porte in faccia.
Nonostante
ciò che aveva appena scoperto, la scena strappò un sorriso divertito
alle
labbra del Sottufficiale Coates.
“Ma
cosa gli è preso?”, la voce del Capitano Roberts la fece tornare alla
realtà.
“Il
Colonnello Mackenzie, Signore… ha avuto un incidente ed è ricoverata al
Bethesda.”
“E
come sta? E’ grave?”
“Non
lo so, Signore, ho passato una telefonata della polizia al Generale Cresswell
proprio pochi minuti fa, forse lui ha qualche notizia più precisa.”
Neppure
il loro superiore però seppe fornire informazioni più dettagliate,
aveva
chiesto al Capitano Rabb di andare sul posto proprio per accertarsi
delle
condizioni della loro collega.
Non
poteva scegliere persona migliore, pensò Jen, forse quell’uomo non era
poi così
male. E cominciò a sentirsi un po’ in colpa per aver inveito
mentalmente contro
di lui quella mattina, tra una corsa e l’altra. Non poteva farci nulla,
il
ricordo dell’Ammiraglio Chegwidden era ancora forte, ed anche se in
quell’ufficio era la persona che aveva lavorato con lui per minor
tempo, essere
la sua assistente le aveva dato carica, lavorare per lui l’aveva
stimolata,
voleva dare il meglio per non deluderlo. Il rispetto che quell’uomo
sapeva
infondere, il carisma che possedeva e quella sua aria severa ma al
contempo
attenta e dolce l’aveva profondamente colpita. Le mancava, avrebbe
voluto
rivederlo, semplicemente per sentirsi rassicurata dal suo sguardo
sapiente.
Aveva sempre la frase giusta, sapeva cos’era meglio per i suoi uomini e
soprattutto,
li conosceva bene, forse più di ciò che lasciava intendere. Capiva i
loro
sentimenti, ma non si era mai intromesso nelle loro faccende private, a
meno
che non intralciassero in qualche modo il lavoro. E, ne era sicura,
aveva
intuito il legame profondo che univa il Capitano Rabb ed il Colonnello
Mackenzie, per questo pensò che se ci fosse stato ancora lui a capo del
JAG si
sarebbe comportato esattamente come Cresswell, mandando Harm accanto a
Mac. In
più, però, avrebbe saputo cosa dirgli per rassicurarlo e per tenere a
bada il
fiume di emozioni che si sarebbero scatenate nel suo uomo migliore. Era
come un
papà attento ai suoi figli, che intuisce le loro preoccupazioni e sa
star loro
vicino senza fare pressioni, lasciandoli liberi di esprimersi,
intervenendo
solo laddove ne avvertisse il bisogno. In un momento come quello,
Jennifer
Coates, come il resto dello staff d’altronde, sentì proprio la mancanza
della
sua presenza rassicurante.
Ora
non si poteva far altro che aspettare notizie dal Capitano Rabb, e
tornare al
lavoro, come fece gentilmente notare il sostituto dell’Ammiraglio.
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Capitolo 3 *** Ospedale di Bethesda - un'ora dopo ***
Ospedale
di Bethesda
Un’ora dopo
Era
senza trucco, con i capelli arruffati e una vistosa benda che le
ricopriva
parte della fronte. Indossava il camice a pallini dell’ospedale, che si
intravedeva dalle lenzuola che la ricoprivano solo fino alla vita, e
aveva gli
occhi chiusi. In un braccio una flebo le iniettava lentamente qualche
farmaco…
Eppure a lui non era mai sembrata tanto bella.
Si
soffermò un attimo sulla soglia della camera ad osservarla in silenzio,
mentre
rilasciava tutta l’ansia che aveva trattenuto da quando Jennifer Coates
era
piombata nel suo ufficio per dirgli che Cresswell voleva vederlo
immediatamente: la polizia li aveva avvertiti che il Colonnello
Mackenzie aveva
avuto un incidente stradale ed era ricoverata al Bethesda.
Lasciando
il più velocemente possibile gli uffici del Jag, era arrivato in
ospedale a
tempo di record, bruciando tre semafori rossi. Appena arrivato aveva
subito
chiesto notizie sullo stato di salute di Mac al medico di turno, il
quale lo
aveva assicurato che, fortunatamente, le ferite riportate dal
Colonnello non
erano troppo gravi. Ma sarebbe dovuta rimanere in osservazione alcuni
giorni
perché aveva battuto violentemente la testa e aveva perso conoscenza
fino al
ricovero in ospedale. Ora stava riposando, ma lui avrebbe potuto
attendere il
suo risveglio in camera.
Harm
aveva ringraziato il medico e poi aveva fornito all’infermiera alcuni
dati
anagrafici che conosceva e che i poliziotti non erano riusciti a
ricavare dai
documenti, mentre aveva detto che per altre informazioni più specifiche
avrebbero dovuto parlare con il Colonnello in persona. Quindi aveva
chiamato
Jennifer per comunicare lo stato di salute di Mac ed infine aveva
raggiunto la
sua camera ed era entrato.
Lei
dormiva serenamente e lui si sedette sulla sedia accanto al letto.
Delicatamente, per non svegliarla, le prese una mano tra le sue:
com’era
piccola, al confronto. Aveva la pelle liscia e delicata, e lui si
scoprì a sfiorarle
le dita ad una ad una.
Fortunatamente
l’incidente non era stato grave. Non avrebbe sopportato di perderla.
Era
innamorato di lei.
Da
parecchio tempo si era accorto di amarla, e glielo aveva anche fatto
capire. Si
era perfino offerto di mantenere fede al patto che avevano fatto ormai
cinque
anni prima e diventare il padre dei suoi figli. Avrebbe voluto per lo
meno
tentare di avere una relazione con lei...
Ma
Sarah aveva rifiutato.
Probabilmente
non era ancora convinta del suo amore. Forse pensava che lui stesse
dicendo
quelle cose solo per la grande amicizia che li univa. Invece lui non
aveva
fatto altro che amarla in silenzio, anche per tutto il tempo in cui era
stata
legata a Webb.
“Harm…”
la voce di Mac lo distolse dai suoi pensieri. Sollevato nel sentire di
nuovo la
sua voce, le rivolse uno dei suoi più splendidi sorrisi.
“Ehilà,
Marine! Ben svegliata!”
“Dove
sono? Cosa mi è successo?”
“Sei
in ospedale. Credo che tu abbia incontrato una lastra di ghiaccio e sia
andata
a sbattere contro un albero. Hai perso conoscenza…”
“Sono
ancora confusa… ricordo che stavo guidando verso Leavenworth… e poi
niente
altro”.
“Non
hai riportato ferite gravi, Mac. Solo alcune contusioni e una leggera
ferita
alla testa. Ma hai perso conoscenza, per questo vogliono tenerti in
osservazione per qualche giorno.”.
“Quando
portò uscire? Domani?”
“Non
credo… il medico ha parlato di giorni…”
“Ma
fra quattro giorni è Natale! Non mi terranno dentro per Natale, vero?”
chiese
con aria delusa.
“Perché
sei così ansiosa di essere a casa per Natale? Hai un appuntamento?”
“Non
il giorno di Natale. Ma avevo invitato tutti per la Vigilia, prima
della
funzione…”
“Capiranno,
Mac.”
“Oh,
lo so. Solo che… “
“Cosa?”
“Sono
io che ci tenevo…”
“Come
mai?”
“Io
adoro l’atmosfera natalizia, lo sai. Anche se il Natale lo trascorro
quasi
sempre da sola, non è perché lo voglia davvero, ma…”
“Perché?
Perché, anche tu come me, non hai alcun legame?”
“Esatto,
Harm. Tuttavia ho sempre sentito un’eccitazione particolare per i
giorni che
precedono il Natale… le strade illuminate, il via vai frenetico per la
caccia
all’ultimo regalo, le canzoni tradizionali… E poi tutte le decorazioni…
Oh,
adoro le decorazioni, l’albero, il presepe!”
Il
suo viso tradiva lo stesso entusiasmo di una bimba davanti ad un pacco
dono gigantesco.
“Non
sapevo di questa tua passione. O meglio, sapevo che ti piacevano le
tradizioni
di Natale, le luci, e soprattutto i regali… ma non immaginavo fino a
questo
punto!”
“E
invece sì. Ma intanto sono sempre sola… è inutile che mi dia da fare
più di
tanto… per chi? Però quest’anno volevo fare le cose in grande…”
“Perché?”
Lei
esitò un attimo: era il caso di dirgli tutto? Magari domani se ne
sarebbe
pentita. Ma era stato bello averlo trovato al suo fianco quando si era
risvegliata. Ed era bello parlare con lui. Da tantissimo non
chiacchieravano
così.
“Mi
sento sola, Harm. E triste. Mi manca l’Ammiraglio… faccio fatica ad
ingranare
in ufficio. Mi sento in continuazione sotto il giudizio di Cresswell…”
“Ti
capisco, so cosa vuoi dire. Ma credo che dovremmo accettare che AJ non
torni
più… e cominciare a pensare a Cresswell come al nostro superiore.”
“Lo
so, ma è difficile. Con l’Ammiraglio era tutto più semplice. Anche
momenti come
questi li superavo diversamente. Lui sapeva sempre come risollevarmi il
morale…”
“Che
ti succede, Mac?
“Nulla…”
“E’
ancora per Webb?”
“No.
Lui non c’entra…”
“Allora
chi?”
Stava
per rispondergli: “Tu,
mi manchi tu”, ma non ebbe il coraggio di andare fino
in fondo. Lo guardò negli occhi per un attimo, poi distolse lo sguardo
e sollevò
le spalle.
“Nessuno,
Harm. E’ solo un momento così… passerà. Speravo che la festa di Natale,
le
decorazioni, l’albero… mi potessero aiutare a superare questo momento.
A quanto
pare non era destino.”
“Non
parlare di destino, Mac. Oggi saresti potuta morire… Credo che tu lo
debba
ringraziare, il destino.”
“Hai
ragione, sai? Ma sarà triste tornare a casa e non trovare neppure il
solito
albero che preparo ogni anno.”
“Festeggerai
lo stesso…”
“E’
vero: un bel film e una fetta di torta, come ogni Natale.”
Harm
la osservò, accorgendosi di quanto fosse davvero triste. Gli si
spezzava il
cuore a vederla così.
Entrò
il medico a visitarla e Harm approfittò per richiamare in ufficio e
comunicare
che Mac stava meglio. Dopo la telefonata scese al bar a prendere un
panino e
poi ritornò da lei.
“Cos’ha
detto il dottore?”
“Oh,
sei ancora qui? Credevo fossi andato via.”
“Senza
nemmeno salutarti? Allora, il dottore?”
“Ha
confermato che non ci sono problemi, ma che devo restare ancora qualche
giorno
sotto controllo. Pensa di dimettermi alla Vigilia di Natale, se tutto
va bene.”
“Ottima
notizia, no? Così potrai trascorrere il Natale fuori di qui.”
“Già,
a casa… davanti alla tv e ad una fetta di torta…”
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Capitolo 4 *** Uffici del JAG - pomeriggio ***
Uffici
del JAG
pomeriggio
Il Capitano Rabb aveva
telefonato qualche ora prima per informare i
colleghi preoccupati ed in attesa di avere notizie delle condizioni del
Colonnello Mackenzie. Tutti avevano tirato un sospiro di sollievo, non
era
niente di grave per fortuna. Anche Cresswell sembrò sollevato, chissà,
forse aveva
paura che rimanessero in sospeso troppi lavori… Bastò un suo sguardo,
comunque,
per far tornare tutti ai propri posti e riprendere il lavoro con il
ritmo
frenetico che era riuscito ad imporre quella mattina.
Ed ora quasi tutti erano già
andati a casa.
L’ufficio si era svuotato
prima del solito, ma non c’era da stupirsi,
il Natale era alle porte e la gente doveva sicuramente andare a fare
gli ultimi
acquisti.
E così era rimasta sola.
Anche Bud, che di solito si
fermava fino a tardi, quel pomeriggio se
n’era già andato. Dopo aver saputo che Mac sarebbe stata ricoverata per
alcuni
giorni e che le sarebbe stato impossibile preparare, come aveva in
programma,
la festa della Vigilia nel suo appartamento, aveva chiamato la moglie
ed
avevano deciso di mantenere la tradizione e di trascorrere le poche ore
prima
della funzione di mezzanotte da loro. Anche se si era optato per un
semplice
rinfresco dopo cena e non per il classico cenone, Bud con la moglie
incinta di
ben due gemelli avrebbe dovuto pensare a gran parte dell’organizzazione
ed il
tempo che rimaneva non era poi molto. E, a dire il vero, un “semplice
rinfresco” a casa Roberts era tale per cui anche le gole più esigenti
avrebbero
trovato piena soddisfazione!
Anche Jennifer sarebbe tanto
voluta uscire dall’ufficio, per
mischiarsi alle persone che affollavano le strade piene di decorazioni
e luci
colorate ed invase dalle dolci melodie di quel periodo, per entrare nei
negozi
addobbati a festa e comperare qualche regalo da mettere sotto l’albero…
ma non
aveva nessun regalo particolare da fare, nessuna persona speciale a cui
donarlo, per cui tanto valeva finire di sistemare il malloppo di
documenti che
quel giorno si era ritrovata sul tavolo. Altrimenti sarebbero andati a
sommarsi
a quelli che sicuramente le avrebbero consegnato l’indomani.
Era nella saletta
dell’archivio quando una voce alle sue spalle la
fece sussultare…
***
Finalmente!
Era riuscito a portare a
termine l’ultima missione che gli avevano
assegnato e dopo mesi poteva godere di un meritato periodo di riposo.
Quale momento migliore per
andare a trovare vecchi amici se non il
Natale?
Era elettrizzato all’idea di
rivedere i luoghi che un tempo avevano
riempito le sue giornate e soprattutto era felice di poter rivedere i
suoi ex
colleghi in tranquillità.
Già si immaginava le facce
stupite che avrebbero fatto, non aveva
avvertito nessuno del suo arrivo… fondamentalmente perché anche lui
l’aveva
deciso all’improvviso, quando all’improvviso gli avevano riferito che
il suo
lavoro laggiù poteva considerarsi pienamente ed eccellentemente
concluso.
Da quanto tempo non tornava
lì? Da moltissimo… Aveva chiesto di essere
trasferito dopo la strage di quell’11 settembre, il lavoro d’ufficio
gli andava
stretto, non che si trovasse male dov’era, ma era un uomo d’azione,
voleva
combattere in prima linea, per questo aveva chiesto ed ottenuto il
trasferimento ad un’unità combattente in concomitanza con la guerra in
Afghanistan. E da allora era stato impiegato per altre missioni della
massima
segretezza in collaborazione con la CIA.
Si sistemò nervosamente il
cravattino della divisa e fece un profondo
respiro, prima che le porte dell’ascensore si aprissero e gli
mostrassero
nuovamente gli ambienti familiari del JAG.
Non si spiegava il motivo di
quel comportamento, il Sergente
d’artiglieria Victor Galindez, “Gunny” per i colleghi, non era di certo
conosciuto come uno che mostra apertamente le sue emozioni, eppure non
poteva
farci nulla: era contento e basta.
Non si accorse neppure che
mentre percorreva il corridoio dagli
ascensori agli uffici stava sorridendo. Lo capì quando sentì il suo
sorriso
tramutarsi in un’espressione perplessa: gli uffici erano deserti! Le
scrivanie
dei suoi amici erano vuote, le porte delle stanze erano chiuse e le
luci
spente, sembrava proprio che non ci fosse nessuno… Possibile che
fossero già
andati tutti a casa? Guardò l’orologio. No, non era poi così tardi. Si
stava
osservando attorno, quando un rumore lo fece voltare. Proveniva dalla
saletta
dell’archivio. Si avvicinò.
Una donna in divisa su una
scala stava cercando di sistemare qualcosa
nei ripiani più alti.
“Scusi…”, ruppe il silenzio
Galindez per richiamarne l’attenzione.
A quel suono inaspettato la
ragazza si girò di scatto. Fu un movimento
troppo rapido, per poco non perse l’equilibrio e se il militare che
aveva
davanti non fosse stato pronto ad afferrare la scala mantenendola salda
gli
sarebbe sicuramente caduta addosso.
Esitò un po’ rimanendo
immobile per riprendere stabilità e poi fissò
l’uomo che aveva parlato per un attimo che le parve fin troppo lungo…
chi era?
Non l’aveva mai visto prima. Doveva incontrarsi con qualcuno? Gli
avvocati non
c’erano, e non le avevano lasciato detto che sarebbe potuto arrivare
qualcuno a
cercarli…
“Scusi, non volevo
spaventarla…”
Come riportata alla realtà, si
affrettò a scendere dalla scala, per
poter prendere una posizione più adatta a sostenere una conversazione.
Si
sistemò la gonna e finalmente si decise a parlare.
“No… scusi lei, non l’avevo
sentita entrare, ero talmente immersa in
quello che stavo facendo… sapevo di essere sola, non mi
aspettavo che potesse arrivare qualcuno…
mi ha colta un po’ alla sprovvista, ecco tutto…”, si fermò, prima di
poter
suonare ridicola anche alle orecchie di quell’aitante giovanotto, come
l’avrebbe definito sua nonna, ed avrebbe avuto ragione. Adesso che lo
osservava
da terra poteva verificare la prima impressione che aveva avuto…
dall’alto. Non
era niente male… La carnagione scura, gli occhi neri e profondi, lo
sguardo
penetrante e scrutatore che chissà quali misteri nascondeva, e quella
fossetta
che si formava sulla sua guancia ogni volta che abbozzava un sorriso,
come ora…
“Posso esserle utile?”, si
decise a chiedergli.
La fissò come se non riuscisse
a capire il significato di quelle
parole, cosa gli stava domandando? Quella ragazza lo aveva come
ipnotizzato. I
suoi occhi brillavano di una luce particolare, la sua espressione gli
ricordava
quella di chi è sul punto di fare uno scherzo e sta assaporando in
anteprima
l’effetto che potrebbe avere sulla vittima designata, doveva essere un
peperino, qualcuno che difficilmente si lasciava prendere in giro. Lo
sguardo
che gli stava rivolgendo era sorridente e birichino allo stesso tempo,
gli
trasmetteva allegria e per la seconda volta quel pomeriggio si ritrovò
a
sorridere senza accorgersene.
Vedendo che aspettava una
risposta, si risolse a parlare.
“Mi chiedevo dove fossero
finiti tutti quanti…”
“Sono già usciti, sa, gli
ultimi grandi acquisti prima di Natale…
cercava qualcuno in particolare?”
Già… chi cercava? Tutti e
nessuno in realtà. Voleva rivedere i suoi
vecchi colleghi… Voleva sapere come stavano andando le cose, cos’era
successo
mentre lui era via… Avrebbe voluto parlare con l’Ammiraglio per
discutere di un
suo possibile reintegro al JAG… ecco, forse questa poteva essere una
risposta
decente, più professionale, migliore senza dubbio di un farfugliamento.
“Avrei voluto parlare con
l’Ammiraglio, è fuori anche lui?”
Non si aspettava di certo una
risposta subitanea, ma neppure tutta
quella esitazione né quello sguardo sbalordito e quel sospiro…
“E’ proprio sicuro che vuole
parlare con… l’Ammiraglio?”, pose una
strana enfasi sull’ultima parola e sembrò studiarlo pensierosa.
“Sì, l’Ammiraglio Chegwidden,
mi conosce…”
“Oh, ma allora non lo sa
davvero?”
Perché continuava a guardarlo
così? Che cosa aveva chiesto di tanto
strano da farle assumere quell’espressione comprensiva, tipica di un
adulto che
sta per dare una notizia inaspettata ad un bambino, sicuro di leggerne
poi la
delusione negli occhi?
“Sapere, cosa?” non capiva.
“L’Ammiraglio Chegwidden ha
dato le dimissioni”, si fermò per
osservare la reazione dell’uomo. Rimase quasi impassibile, ma a lei non
sfuggì
il lampo sorpreso che attraversò i suoi occhi, il suo sguardo si fece
se
possibile ancora più scuro e profondo. Sembrava che volesse leggerle
dentro per
trovare le risposte che cercava. Vedendo che non parlava proseguì, “Al
suo
posto è subentrato il Generale Cresswell, per qualsiasi cosa ora deve
rivolgersi a lui. Lo può trovare in ufficio domattina, oggi pomeriggio
aveva un
impegno fuori sede.”
Dimesso. L’Ammiraglio si era
dimesso. Dire che la notizia l’aveva
sorpreso era poco. Quanto tempo prima? Come aveva fatto a non venirne a
conoscenza? Ed ora? Chi era questo Cresswell? Avrebbe anche solo preso
in
considerazione le sue richieste? Inutile continuare a porsi tutte
quelle
domande, sarebbero rimaste comunque senza risposta in quel momento.
L’indomani
sarebbe tornato ed avrebbe scoperto cosa, o chi, l’aspettava. E poi
avrebbe
avuto maggiori possibilità di incontrare i suoi amici.
“Bene, allora tornerò domani.”
Era ancora frastornato dalla
rivelazione appena avuta. “Ora è meglio che me ne vada, così lei può
finire ciò
che le ho fatto interrompere…” ed allungandole la mano la salutò,
“Grazie per
le informazioni. Buona serata.”
Strinse la mano forte di quel
militare e lo guardò intensamente ancora
una volta, lo trovava misteriosamente affascinante.
“Mi dispiace non esserle stata
granché utile. Buona serata a lei…
arrivederci.”
E lasciando la stretta pensò
che non le sarebbe dispiaciuto affatto
rivederlo, era quasi contenta che non avesse trovato nessuno.
Sistemandosi il cappello le
rivolse un ultimo sorriso, chissà magari
il giorno dopo l’avrebbe rivista davvero. Dopotutto non era venuto
invano quel
pomeriggio.
“Arrivederci”, disse prima di
voltarsi ed avviarsi verso l’uscita.
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Capitolo 5 *** Appartamento di Mac - 21 dicembre - sera ***
Appartamento
di Mac -
Georgetown
21 dicembre - sera
Aprì
la porta con la chiave che lei, in ospedale, gli aveva dato quando gli
aveva
chiesto se poteva bagnarle le piante. Entrò nell’appartamento che
conosceva
bene, perlomeno la parte che era solito vedere, ossia la cucina e il
salotto.
Ma quella sera gli sembrò diverso: senza Mac era semplicemente un
luogo, come
tanti altri. Non era quel posto accogliente e caldo che aveva sempre
trovato
quando passava da lei.
Se
la immaginò per un attimo seduta sul divano, con le gambe raccolte
sotto di lei
in una posa che le era solita, davanti alla televisione, mentre
mangiucchiava
una fetta di torta. E, improvvisamente, vide se stesso accanto a lei,
sullo stesso
divano, a mangiare la stessa fetta di torta, rubandone alcuni pezzi dal
suo
piatto, mentre guardavano il medesimo film…
Oh,
Sarah… perché non vuoi nemmeno provare?
Approfittando
del fatto che era solo in casa, gironzolò per l’appartamento, cercando
le
piante da bagnare. Finché si decise e fece quello che avrebbe voluto
fare da
tempo: entrò nella sua camera.
E
lì, nonostante fosse un’altra stanza vuota, tutto gli parlò di lei: il
letto,
con il piumone chiaro; l’armadio alto e i pochi abiti appoggiati sulla
sedia,
davanti alla piccola toelette laccata avorio, sulla quale c’erano
scatolette
d’ogni tipo, una ciotolina con pochi gioielli, carta da lettere e un
rossetto
che probabilmente aveva lasciato proprio quella mattina.
Prese
in mano proprio quello, immaginandola mentre se lo passava sulle
labbra,
guardandosi allo specchio… Quanto avrebbe voluto che la sua bocca
potesse
essere al posto di quel rossetto!
Turbato
da quei pensieri e dall’idea di aver violato la sua privacy, rimise il
cosmetico proprio dove lo aveva trovato e uscì dalla camera.
Tornato
nel salotto vide alcune scatole che non aveva notato prima. Incuriosito
si
avvicinò e le aprì, sorridendo quando vide il contenuto: palline per
l’albero
di Natale. Appoggiata su un’altra scatola c’era una lista, scritta a
mano da
Mac.
Harm
la prese e la lesse: elencava tutte le idee che aveva avuto per
decorare la
casa per la festa che voleva organizzare. Nel retro del foglio, invece,
c’era
l’elenco dei piatti che aveva in mente di preparare.
La
immaginò impegnata in quelle faccende, mentre dallo stereo si
diffondevano le
note di una melodia natalizia. Si alzò e si avvicinò al lettore di cd:
proprio
di fianco all’apparecchio c’era già una bella pila di dischi con
canzoni di
Natale, pronta per essere ascoltata.
Tipico
di Mac preparare tutto l’occorrente in anticipo!
Si
guardò attorno e prese una decisione: per la festa non c’erano
problemi, Bud e
Harriet avevano già dirottato tutti a casa loro. Niente cena,
quell’anno, visto
le condizioni di Harriet, semplicemente
un dopocena, per ingannare l’attesa prima della funzione di mezzanotte.
Ma
lui aveva in mente un’altra sorpresa.
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Capitolo 6 *** Uffici del JAG - 22 dicembre - mattina ***
Uffici
del Jag
22 dicembre - mattina
Aveva
quasi trattenuto il fiato durante tutto l'incontro col Generale Cresswell,
lui, pronto a combattere in prima linea senza esitazione, si era
agitato come
un ragazzo al suo primo importante colloquio di lavoro.
"Che
sciocco", aveva mormorato chiudendo la porta dell'ufficio e scuotendo
la
testa, ridendo per come si era sentito. Dopotutto non aveva fatto altro
che
presentare la richiesta di essere ripreso al JAG, e sebbene non avesse
ricevuto
ancora una risposta definitiva, gli parve di non aver fatto brutta
impressione
sul sostituto dell'Ammiraglio. Certo, se ci fosse stato Chegwidden
sarebbe stato
forse più facile, però era inutile rimuginarci, il Generale gli aveva
detto
che avrebbe preso in considerazione la sua domanda, ma che gli avrebbe
fatto
sapere cosa aveva deciso solo dopo Natale. Non gli restava che
aspettare.
"Galindez…
è proprio lei?", una voce familiare lo distolse dai suoi pensieri.
"Tenen…
Capitano Roberts! Mi stavo giusto chiedendo se i miei ex colleghi
lavorassero
ancora qui. Lei è il primo che incontro. Come sta?", disse stringendo
vigorosamente la mano all'amico, contento di aver finalmente incontrato
un
volto conosciuto.
"Bene,
grazie, e lei? Quando è tornato?"
"Sono
in città da un paio di giorni. Sono venuto anche ieri pomeriggio,
pensavo di
vedere almeno lei, il Capitano Rabb, o il Colonnello Mackenzie, di
solito siete
gli ultimi a lasciare le vostre scrivanie."
"Come
non lo sa?", quella domanda lo colse alla sprovvista. Cos'altro non
sapeva
ora? Prima le dimissioni dell'Ammiraglio. Adesso che altro c'era?
Quando era
tornato al JAG non si aspettava certo di trovare le cose come le aveva
lasciate, ma non credeva neppure di dover affrontare molti cambiamenti.
A
quanto pareva si era sbagliato. Bud proseguì, senza dargli il tempo di
replicare.
"Il
Colonnello ha avuto un incidente ieri mattina, niente di grave, ma
hanno
preferito ricoverarla per qualche giorno. Così non può organizzare il
rinfresco
che aveva in mente di preparare per la Vigilia nel suo appartamento ed
Harriet
ha pensato di farlo a casa nostra come gli altri anni. Ma essendo
incinta non
può fare tutto da sola, per questo ieri sono uscito prima. E il
Capitano Rabb
ora è impegnato con il caso che stava seguendo il Colonnello, per cui…"
Si
accorse che come al solito stava dando le informazioni una di seguito
all'altra, creando confusione nel suo interlocutore, che divertito, ed
anche un
po' stordito da tutte quelle parole, lo stava guardando cercando di
dare un
senso a ciò che aveva appena udito.
"Senta,
ha già mangiato? Che ne dice di pranzare assieme? Così la aggiorno sui
cambiamenti che, come avrà notato, sono avvenuti al JAG. E lei potrà raccontarmi
qualcosa della sua
esperienza in servizio attivo."
"Mi
sembra un'ottima idea, Capitano. In effetti avrei proprio bisogno di
qualche
delucidazione, mi sto trovando un po' spaesato."
"Bene,
mi dia solo un attimo che sistemo queste carte e la raggiungo."
"Aspetto
qui." rispose Galindez quasi a se stesso, dato che Bud era già sparito
dietro le porte del suo ufficio. Si guardò attorno, domandandosi
cos'era
successo mentre lui era stato via, chiedendosi cosa avrebbe scoperto di
lì a
poco parlando con Bud.
Guardò
quegli uffici con una luce nuova negli occhi e per un attimo provò come
una
sensazione di straniamento. Fu mentre esplorava con lo sguardo quegli
spazi un
tempo familiari che gli sembrò di scorgere dietro l'angolo del cucinino
la
figura della ragazza che aveva incontrato il giorno prima. Si accorse
in quel
frangente di aver nutrito nel profondo la speranza di rivederla. Non ne
capiva
il motivo, l'aveva vista solo una volta e per pochissimi minuti, ma
quel
sorriso birichino e quello sguardo vivace non lo avevano lasciato
indifferente.
Voleva sentire di nuovo la sua voce. L'avrebbe ringraziata per le
informazioni
che gli aveva dato il giorno precedente, le avrebbe detto che aveva
parlato col
Generale, non gli importava se avesse fatto la figura dello stupido,
voleva
vedere ancora una volta il brillio dei suoi occhi. Stava pensando di
raggiungerla quando sentì Bud alle sue spalle.
"Possiamo
andare, qui ho finito", si rivolse sorridente al suo ex collega,
ansioso
di poter conversare con lui dopo tanto tempo.
"Bene,
allora, che stiamo aspettando?", Galindez fece uno sforzo per non
apparire
contrariato. Povero Bud, non ne aveva colpa, ma non poteva essere un
po' più
lento nel sistemare le sue carte? Lo seguì verso gli ascensori e diede
un
ultimo sguardo, prima che le porte si chiudessero. Non era riuscito ad
avvicinarla, si sentiva come se avesse perso un'ottima occasione, ma
non poteva
certo mollare Bud su due piedi! Chissà se l'avrebbe più rivista.
***
Fu
un attimo, ma le parve di riconoscere in quei capelli dal taglio corto
e dal
colore nero corvino l'uomo che il giorno prima era entrato
nell'archivio mentre
stava sistemando dei documenti. Si rese conto che dal giorno precedente
il
pensiero di poterlo rivedere non l'aveva abbandonata, anche se era
rimasto
latente fino a quel momento. Aveva sperato di incontrarlo di nuovo,
voleva
ascoltare ancora il suono della sua voce e studiare la profondità dei
suoi
occhi. Sapeva che doveva parlare col Generale, ed aveva cercato di
restare il
più possibile al suo tavolo, ma quella mattina sembrava che tutti
avessero da
chiederle fotocopie e ricerche in archivio! Così non si era accorta del
suo
arrivo, né di quando era andato da Cresswell. Ed ora era entrato
nell'ascensore
insieme a Bud… se ne stava andando senza che lei avesse potuto
parlargli ancora
una volta. Si sentì sciocca a pensarlo, su quali fondamenti poteva
sperare che
fosse così? Le sembrò però che prima della chiusura delle porte il
militare si
guardasse intorno alla ricerca di qualcuno.
Chissà
se stava pensando a lei?
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Capitolo 7 *** Appartamento di Mac - 22 dicembre - sera ***
Appartamento
di Mac -
Georgetown
22 dicembre – sera
Per
la seconda sera di seguito varcò la soglia dell’appartamento di Mac, ma
quella
volta era carico di sacchetti e, nonostante la sua corporatura,
trascinava a
fatica un enorme abete dentro ad un vaso.
Si
richiuse la porta alle spalle e sistemò l’albero dove riteneva che
fosse la
posizione migliore, in un angolo di fianco al camino. Immediatamente
l’ambiente
si riempì di una fragranza intensa, che gli riportò alla mente spazi
aperti e
aria pulita.
Poi
si levò il giaccone, si preparò un tè bollente e, in meno di mezz’ora,
era
pronto per mettersi al lavoro.
Buttò
l’occhio verso l’impianto stereo e vide la pila di cd natalizi che
aveva scorto
la sera prima. Perché no? si disse: decise di immergersi del tutto
nell’atmosfera, scegliendo un disco dalla collezione. Scartò subito tre
cd che
gli sembrarono fin troppo melensi per i suoi gusti e optò per una
raccolta di
“chicche natalizie” come, sorridendo, gli piacque definire
quell’insieme di
brani in registrazione originale che spaziavano da Bing Crosby, Dean
Martin e
Louis Armstrong, per arrivare addirittura ad alcuni motivi natalizi
suonati
dall’orchestra di Glenn Miller, datati anni 40.
Non
immaginava che Mac avesse una collezione tanto varia!
Accese
lo stereo e si rimboccò le maniche della camicia, mentre le note di Jingle Bells, nella versione jazz di
Benny Goodman, invadevano la stanza, creando un’atmosfera rilassante e
al tempo
stesso festosa, alla quale era davvero difficile resistere.
E,
infatti, non lo fece.
Lasciò
che i pensieri vagassero attraverso i ricordi, mentre scartava ad una
ad una le
decorazioni che Mac, l’anno precedente, aveva riposto con estrema cura.
Gli
sembrò all’improvviso di tornare indietro nel tempo quando, ancora
bambino,
aiutava sua madre ad addobbare l’albero. Ricordò come l’attesa di Babbo
Natale
lo eccitava a tal punto che la notte della Vigilia non riusciva neppure
a
dormire. Ma ricordò anche, con un velo di tristezza, che quello che
attendeva
maggiormente da Babbo Natale, non erano tanto i giocattoli o i dolci:
quelli
era sempre sicuro che sarebbero arrivati.
Lui,
ad ogni Natale, chiedeva che il suo papà tornasse a casa…
Crescendo
non aveva più domandato nulla.
Si
era limitato ad accantonare la magia del Natale tra i sogni
irrealizzabili e
aveva iniziato ad essere lui ad andare da suo padre, ad ogni
anniversario della
sua scomparsa.
Ma
in quel momento, immerso in quell’atmosfera speciale creata dalla
musica e da
tutte quelle decorazioni per addobbare la casa della donna della quale
era
innamorato, non riuscì a fare a meno di tornare per un attimo ancora
fanciullo
ed esprimere il suo più grande desiderio a Babbo Natale: avere l’amore
di Sarah
Mackenzie.
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Capitolo 8 *** Un bar, poco distante dagli uffici del Jag - 23 dicembre - pomeriggio ***
Un
bar, poco distante
dagli uffici del Jag
23 dicembre - pomeriggio
Natale
era proprio dappertutto! Entrando nel locale, il Generale Cresswell si
guardò
attorno e, sorridendo alla vista di una grande renna con un berretto da
Babbo
Natale sulla testa posta al centro della sala, scrutò gli avventori
alla
ricerca della persona con cui aveva un appuntamento.
Scorse
l’uomo ad un tavolo accanto alla finestra, intento a guardar fuori in
direzione
degli uffici del Jag. Si avvicinò e lo salutò.
“Salve,
Ammiraglio”.
L’uomo
si voltò e, con un sorriso e un gesto della mano, lo invitò a sedersi.
“AJ,
Gordon. Mi chiami AJ.”
“D’accordo
AJ”.
L’ex-seal
sorrise, poi, per un breve istante, tornò ad osservare fuori.
“Mi
dica, Gordon, cosa posso fare per lei?” chiese quindi, tornando a
guardare il Generale in divisa della Procura Militare. Come gli
mancava, quell’uniforme!
“Ieri
ho ricevuto richiesta da parte di un ufficiale, che aveva lavorato per
lei, di
poter rientrare al JAG. Da alcuni anni era in servizio attivo…”
“Gunny?
Il Sergente Victor Galindez?”
“Proprio
lui.”
“Ma
guarda, non lo avrei mai detto! Era talmente entusiasta di tornare in
servizio
attivo… Cosa vuole sapere di Galindez?”
“Devo
decidere se reintegrarlo. Mi domandavo che elemento fosse. Volevo un
parere
autorevole ed imparziale, così ho pensato a lei.”
“Galindez
è un ottimo elemento. Gran lavoratore, uomo serio e molto rispettato.
Ben
integrato con i colleghi. Con un trascorso da sceriffo. Gli piaceva il
suo
lavoro… lo ha svolto sempre con il massimo impegno.”
“Ma
qualche anno fa ha deciso di andarsene…”
“Eravamo
appena dopo l’11 settembre… chi non avrebbe avuto voglia di tornare al
fronte,
a difendere la Patria? Galindez è sempre stato un valido elemento,
proprio per
il suo patriottismo. Se desidera tornare, avrà i suoi buoni motivi.
Quello che
doveva fare per il suo Paese lo ha già fatto, e in abbondanza. Ha letto
il suo
curriculum?”
“Certo.
E’ eccellente.”
“Ci
sono pochi uomini come Galindez. Non se lo lasci sfuggire…”
“Ho
capito e credo che ascolterò il suo consiglio. Ci avevo già pensato,
volevo
solo una conferma alle mie sensazioni. La ringrazio, AJ.”
“Di
nulla. Come… come vanno?” chiese, dopo un attimo di esitazione, facendo
un
cenno con la testa in direzione della Procura militare.
Cresswell
lo osservò, cogliendo un’ombra di nostalgia negli occhi del suo
predecessore.
“Se
la cavano. L’altro giorno il Colonnello Mackenzie ha avuto un incidente
in
auto, ma ora sta meglio…”
“Mac?
E com’è successo?” chiese AJ Chegwidden preoccupato.
“Una
lastra di ghiaccio mentre stava andando a Leavenwort per interrogare un
teste.
Sarebbe dovuto essere il suo ultimo giorno di lavoro prima di Natale.”
“E
come mai? Mac non chiedeva mai ferie per Natale.”
“Credo
fosse stanca… inoltre aveva invitato tutti a casa sua per la Vigilia,
ma ora…
Ora saremo dai Roberts. Hanno invitato anche me, lo sa?”
“Le
spiace?”
“No…
è solo che non mi era mai capitato che dei subalterni mi invitassero ad
una
festa per Natale… non mi aspettavo che lo facessero. E proprio io.”
“Cosa
intende, Cresswell?”
“Lei
è un uomo difficile da sostituire, Ammiraglio!”
Chegwidden
fece un sorriso triste, tornando a guardare fuori. Aveva preso una
decisione,
un anno prima, ma accidenti se era difficile! La sua nuova vita gli
piaceva,
allora perché aveva così tanta nostalgia di quando era a capo del JAG?
Non
era il lavoro a mancargli. Erano le persone. Da quando se n’era andato,
gli
erano mancati quelli che aveva sempre considerato più “la sua famiglia”
che dei
semplici uomini sotto il suo comando.
Tornò
a guardare il suo successore: “Non li consideri come semplici
subalterni e
vedrà che non le sarà difficile conquistare i loro cuori…”
Il Generale Cresswell lo
osservò incuriosito: quell’uomo era un vero enigma.
Aveva preso informazioni su di lui, per capire chi avrebbe sostituito.
Il suo
fascicolo era zeppo di commenti lusinghieri, curriculum eccellenti,
note di
merito… ma non una riga su quello che, aveva capito immediatamente, lo
rendeva
tanto amato dai suoi sottoposti.
Tutti
quei dati e quelle carte esaltavano la sua carriera, ma non dicevano
molto dell’uomo.
Glielo aveva fatto capire più l’Ammiraglio in persona con queste poche
parole
che tutti quei dossier su di lui.
“Le
mancano, vero? I suoi uomini le mancano.”
AJ
Chegwidden annuì, senza dire una sola parola. Poi, dopo qualche
secondo,
aggiunse: “Non sono solo militari. Sono uomini. E la trattano come
tale. E se
lei li rispetterà per questo, si farà benvolere. Cos’ha deciso per
quella festa
in casa Roberts? Harriet prepara torte fantastiche…”
“Non
sapevo se andarci o meno. Temo di sentirmi un pesce fuor d’acqua.
Senta… perché
non mi accompagna? Con lei sarebbe un’altra cosa…”
“Non
sono stato invitato…”
“Crede
che la cacceranno fuori?”
L’Ammiraglio
sorrise per un attimo, immaginando la faccia di Bud se avesse suonato
alla loro
porta: altro che cacciarlo fuori! Bud si sarebbe profuso in un milione
di frasi
d’accoglienza… fino a farlo congelare fuori dalla porta! E la faccia di
Rabb?
L’ultimo anno con lui era stato turbolento… chissà, forse proprio lui
era ben
contento di non averlo più tra i piedi.
“Come
sta il Capitano Rabb?”
“Perché
me lo chiede?”
“Con
il Colonnello in ospedale…”
“L’ho
mandato a chiedere notizie e le ha riferite puntualmente. Ma non mi è
sembrato
particolarmente turbato…”
“Rabb?
Neppure quando gli ha comunicato che Mac era in ospedale?”
“Bè…
non mi è parso. Si è semplicemente alzato e, senza dire una sola
parola, ha
obbedito immediatamente al mio ordine di andare ad informarsi.”
“Immediatamente,
dice? Ebbene, Gordon, imparerà presto che il capitano Rabb raramente
obbedisce
all’istante ad un ordine. Se ha obbedito all’istante, senza dire
neppure una
parola, allora sì che era turbato. E obbedisce sempre a quel modo
quando si
tratta di notizie negative che riguardano il Colonnello. A meno che i
suoi
ordini gli impediscano di raggiungerla. Allora rassegna le dimissioni!”
“Vuole
dire…”
“Esatto.
Sono anni che il Capitano Rabb è innamorato del Colonnello Mackenzie. E
lei di
lui. Solo che non lo
hanno ancora
capito. O se lo hanno capito, non se lo sono ancora detto.”
“Interessante…
ora comprendo diverse cose.”
“Del
tipo sguardi di fuoco, battutine, tensione… ?”
“Già.
Mi sono chiesto persino per quale motivo, se non si sopportavano, lei
li avesse
spesso fatti lavorare in coppia.”
“Perché
sono fenomenali, assieme! E il lavoro ne trae vantaggio. Sarebbero una
coppia
magnifica anche nella vita, se solo si decidessero! A volte sono
difficili da
gestire, ma ne vale la pena. E poi… sono anche divertenti da osservare.
Avrebbe
dovuto vedere la faccia di Mac quella volta quando Rabb sparò in aula…”
“Sparò
in aula?”
“Sì.
Doveva dimostrare una teoria. Ma si tranquillizzi, fu punito a
sufficienza e da
allora non l’ha più fatto!”
“Per
fortuna!”
“Oppure
la faccia di Rabb quando Mac si mise con l’australiano… Ah! Quello sì
che fu un
periodo divertente… Mi creda, con quei due non c’è d’annoiarsi. Sa che
fu il
Colonnello a fare in modo che le squadre di soccorso salvassero il
Capitano
disperso in mare durante una tempesta? Lui stava cercando di tornare in
tempo
per il matrimonio del Colonnello con Brumby, ed ebbe un incidente con
l’F14 che
pilotava… Rabb ha spesso incidenti con un aereo, nonostante sia un
pilota
eccellente… Ad ogni modo fu proprio Mac, tramite una delle sue ‘visioni’ –il
Colonnello a volte ne ha-, ad indicare il punto esatto dove si trovava
il Capitano,
che fu salvato per miracolo. E lei non si sposò più… Mi creda, quei due
sono
legati da un filo invisibile, ma molto tenace. Lo scorso anno Rabb
rassegnò le
dimissioni per andarla a salvare in Paraguay…“
“Sente
davvero la mancanza di tutti loro, vero?”
“Sono
stati la mia unica famiglia per anni. Sì, è vero: mi mancano. Mi
mancano tutti
quanti.”
“Perché,
allora, non mi accompagna? Saranno felici di rivederla.”
“Ci
penserò, Generale. E grazie.”
“Mi
chiami, se cambia idea. E grazie a lei per le informazioni. Ora la
saluto, AJ.
Buon Natale!”
“Buon
Natale a lei, Gordon.”
L’Ammiraglio
rimase ancora per dieci minuti al tavolo, dopo che il Generale
Cresswell se
ne fu andato. Poi si infilò il cappotto, pagò la consumazione e uscì
dal
locale. Diede un’ultima occhiata agli uffici che aveva diretto per anni
e,
prima d’incamminarsi lungo la strada illuminata a giorno da vetrine
sfavillanti
e luci natalizie, si disse mentalmente: “Perché no?”.
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Capitolo 9 *** Appartamento di Mac - 23 dicembre - sera ***
Appartamento
di Mac -
Georgetown
23 dicembre - sera
Inserì
la spina, premette l’interruttore e la stanza assunse immediatamente un
aspetto
da favola: l’albero illuminava di una soffusa luce dorata l’ambiente
circostante e le decorazioni risaltavano in tutto il loro splendore.
Alla
mensola del camino aveva appeso un festone fatto con rami di pino
intrecciati a
nastri rossi e argento, mentre sopra vi aveva posto, come in altri
punti della
casa, diverse candele; alla porta, sia all’interno che all’esterno,
aveva
appeso delle ghirlande, anche queste di pino vero e nastri colorati. Un
grande
Babbo Natale di pezza sedeva sul divano chiaro, creando un contrasto
che lo
sguardo non poteva fare a meno di approvare. Aveva decorato persino la
cesta
per la legna che Mac teneva accanto al camino con nastri argentati e
rossi.
Si
guardò attorno soddisfatto: aveva fatto un magnifico lavoro e si era
pure
divertito.
Terminò
di disporre in studiato disordine i vari pacchetti che aveva preparato,
avvolgendo singolarmente nella carta da regalo ognuno degli oggetti che
gli era
venuto in mente di regalarle: innanzitutto un libro sui fossili che
sapeva le
sarebbe piaciuto acquistare; una bottiglia del suo profumo preferito,
al quale
lui non avrebbe più potuto rinunciare. E, per dare un tocco più frivolo
all’insieme, anche un bagnoschiuma e una crema per il corpo della
medesima
fragranza. Quando la commessa della profumeria, tutta sorrisi e moine,
glieli
aveva proposti, non era riuscito a resistere, immaginando Sarah immersa
nella
vasca da bagno e mentre si spalmava la crema. O meglio ancora, mentre
lui lo
faceva per lei…
Poi
aveva acquistato anche ben cinque film in videocassetta tra i quali lei
avrebbe
potuto scegliere il giorno di Natale: una commedia, un giallo, un film
d’amore
e uno d’azione. E, proprio all’ultimo momento, aveva aggiunto un
cartone
animato della Walt Disney, sapendo quanto a lei piacessero. Per la
torta era
già d’accordo con Harriet: tra i loro regali, ci sarebbero state anche
una
torta di mele, la preferita di Mac, e una al cioccolato che lui adorava.
E
per finire, qualcosa che certamente non si sarebbe mai aspettata che
lui le
regalasse: una camicia da notte, in seta e pizzo rosso natalizio, con
spalline sottili
e lunga fino ai piedi, ma con uno spacco vertiginoso che l’avrebbe resa
molto
sexy. Era stata confezionata in una grande scatola, anch’essa di un
rosso
sfavillante e sarebbe stata il pezzo forte.
Sperava
che con quel regalo fossero chiare le sue intenzioni: avrebbe fatto il
possibile per dividere con lei quella fetta di torta, mentre guardavano
assieme
uno dei film, se non tutti, il giorno di Natale! E, se aveva fortuna,
per tutti
i Natali a venire…
Bene,
aveva terminato. Mancava solo un ultimo particolare, ma che per lui e
per il
suo piano sarebbe risultato fondamentale: un bel ramo di vischio sotto
il quale
baciarla.
Sistemato
anche quel dettaglio, spense le luci e infilò in una tasca il
telecomando dello
stereo che gli sarebbe servito l’indomani sera per creare l’atmosfera
perfetta
non appena lei fosse entrata in casa. L’avrebbe accompagnata dopo la
festa dai
Roberts e la funzione in chiesa e, non appena avesse aperto la porta,
lui
avrebbe acceso lo stereo nel quale aveva già inserito un cd con i brani
natalizi più d’atmosfera. Quello che preferiva era The
Christmas song: la voce del grande Nat King Cole sarebbe
stata
perfetta per augurarle Buon Natale.
Quando
aveva saputo che sarebbe stata dimessa appena in tempo per la festa in
casa
Roberts, Mac era stata categorica: non voleva assolutamente perdersela.
Lui le
aveva fatto notare che avrebbe potuto essere stanca e che sarebbe stato
meglio
se fosse andata direttamente a casa, ma lei aveva risposto che in quei
quattro
giorni d’ospedale non aveva fatto altro che dormire e che sarebbe stata
in
grado di reggere una serata con amici e un’ora in chiesa.
Egoisticamente
lui avrebbe preferito averla per sé tutta la sera, ma aveva capito
quanto fosse
importante per lei trascorrere alcune ore con persone amiche e l’aveva
assecondata.
Al
punto che, quando lei gli aveva chiesto se potesse farle avere in
ospedale un
abito da indossare per la festa, la sera precedente era rientrato in
camera sua
e aveva scelto tra i suoi abiti uno che potesse andare bene per
l’occasione e
glielo aveva portato proprio quel pomeriggio, assieme ad una busta
trovata in
bagno con i cosmetici per il trucco. Sarah si era piacevolmente
sorpresa che
lui avesse pensato anche a quello e lo aveva ringraziato con uno
splendido
sorriso.
Mentre
si richiudeva alle spalle la porta dell’appartamento di Mac, non poté
fare a
meno di sorridere all’immagine della sua espressione stupita quando,
entrando
in casa dopo quattro giorni d’ospedale, sarebbe stata accolta da
un’altra
sorpresa: luci, decorazioni e musica natalizia, tutto per lei!
Sperò
che in quel caso non si sarebbe limitata a ringraziarlo con un sorriso,
ma che
gli avrebbe regalato ben altro. Tutto il suo amore.
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Capitolo 10 *** Casa Roberts - sera della Vigilia ***
Casa
Roberts - Rosslyn, Virginia
sera della Vigilia
La musica natalizia si
diffondeva attraverso le casse dello stereo e
contribuiva, assieme alle luci colorate dell’albero, a rendere
l’atmosfera
allegra e festosa. Sul tavolo, apparecchiato con eleganti porcellane e
calici
di cristallo, una bella composizione di agrifoglio, candele e nastri
dorati
fungeva da centro tavola, attorniata da diversi piatti di leccornie,
dolci e
tartine. In una grande zuppiera a destra c’era del punch caldo, mentre
al lato
opposto si potevano trovare bottiglie di champagne ghiacciato.
Harriet si guardò attorno,
soddisfatta del lavoro: in poco tempo lei e
Bud erano riusciti a compiere un miracolo! I primi ospiti erano già
arrivati e
si erano già distribuiti nel salone, a chiacchierare animatamente.
Sorrise
felice: era proprio quello che più le piaceva quando riuniva gli amici
a casa
loro!
Mancavano ancora alcune
persone, tra le quali il Capitano Rabb e il
Colonnello Mackenzie, ma sapeva che sarebbero arrivati non appena Mac
fosse
stata dimessa. Harm sarebbe passato a prenderla e l’avrebbe portata lì
prima
possibile. Le aveva detto che Sarah ci teneva tantissimo a trovarsi con
gli
amici, quella sera. Ad Harriet era sembrato che lui, invece, ne avrebbe
fatto
volentieri a meno, ma che l’avrebbe accompagnata solo per
accontentarla. Le era
sembrato strano che, come regalo da parte sua e di Bud, insistesse
tanto per
avere due dolci, una torta al cioccolato, la sua passione, e quella di
mele, che
Harriet sapeva essere la preferita di Mac. Aveva detto a Bud, dopo
averle
preparate, che secondo lei il Capitano aveva in mente qualcosa di
speciale per
il Colonnello.
“Cosa?” aveva domandato suo
marito.
Lei non aveva risposto, aveva
solo ammiccato divertita. Bud l’aveva
guardata con un’aria poco convinta, scuotendo la testa. Probabilmente
aveva
ragione suo marito, non sarebbe successo nulla neanche questo Natale…
Chissà perché, ma continuava a
sperare che Babbo Natale mettesse un po’
di sale in zucca a quei due e facesse loro capire quanto sarebbero
stati bene
assieme.
Un brusio di voci la fece
voltare e vide che erano appena entrati proprio
Harm e Mac: gli altri ospiti si erano avvicinati al Colonnello, per
informarsi
sulla sua salute.
Si avvicinò anche lei e
abbracciò la sua amica.
“Mac, come ti senti?”
“Bene, Harriet. Sto bene. E
ora che sono qui, sto ancora meglio, grazie.”
“Entrate, mettetevi comodi…”
disse loro, da perfetta padrona di casa.
Dopo aver salutato tutti, i due ufficiali si misero a proprio agio e
lei li
osservò sedersi vicini sul divano accanto al camino e immergersi in una
delle
loro chiacchierate. Possibile che non si rendessero conto di quanto
stessero
bene assieme? Erano una bellissima coppia e in più erano grandi amici.
L’attrazione che c’era tra loro era sempre stata palpabile, a chiunque
li
conoscesse… come facevano a non rendersi conto che sarebbero potuti
essere
molto felici, se solo lo avessero voluto?
Il suono del campanello la
distolse dai suoi pensieri: doveva essere
Jennifer. Oltre a lei, mancava soltanto il Generale Cresswell e… no, si
era
scordata di Galindez, che Bud aveva invitato proprio il giorno prima.
Era
davvero felice di poterlo incontrare! Bud aveva fatto bene ad invitarlo.
Si avviò alla porta, per
aprire. Tutti gli altri erano impegnati in
conversazioni, mentre Bud stava servendo il punch caldo.
Non appena aprì, sulla soglia
vide Gordon Cresswell, in cappotto blu
della Marina, accompagnato da una persona che mai Harriet avrebbe
sperato di
vedere proprio quella sera. Sorpresa, non riuscì a parlare.
“Buonasera, signora Roberts…”
disse Cresswell, porgendole una bottiglia.
Lei la prese, ma continuò a
stare zitta, a fissare l’uomo alle spalle del Generale.
“Spero non le dispiaccia, mi
sono permesso di portare un ospite…” stava
dicendo Cresswell.
Ma Harriet non lo ascoltava:
l’uomo alle spalle del nuovo capo del Jag
era l’Ammiraglio Chegwidden. Con gli occhi lucidi, non riuscì ad
impedirsi di
avvicinarsi di qualche passo e di abbracciarlo. Com’era felice di
vederlo!
“Ammiraglio!”
AJ Chegwidden ricambiò
l’abbraccio, lasciando stupefatti sia il Generale
Cresswell, sia la stessa Harriet. La quale si riprese subito e disse
un: “Mi
scusi, Signore”, rivolto ad entrambi. I due uomini la guardarono e si
sorrisero.
Vedendo che il suo gesto non
aveva imbarazzato l’Ammiraglio, Harriet
finalmente si riscosse e decise a farli entrare, scusandosi di nuovo
con
Cresswell e dando un caloroso benvenuto ad entrambi.
Non appena gli ospiti si
accorsero di chi era entrato assieme al Generale
Cresswell, si alzarono per andare incontro e salutare i due arrivati.
Era evidente che tutti erano
felici di rivedere l’Ammiraglio il quale, a
sua volta, sembrava davvero contento di salutare molte delle persone
che fino
ad un anno prima erano state la sua famiglia. Cresswell stava
osservando la
scena, quando il Capitano Rabb gli si avvicinò.
“Gli abbiamo sempre voluto
bene come ad un padre” disse Harm.
“L’avevo intuito. E lui prova
lo stesso per tutti voi” rispose Cresswell.
“Come fa a dirlo, Generale?”
“E’ evidente. Basta
trascorrere mezz’ora con lui e sentirlo parlare di
voi… “
“Le ha parlato anche di me,
Generale?” chiese Rabb, con un sorriso.
“Soprattutto di lei,
Capitano!” rispose divertito Cresswell.
“Oh, povero me!” disse Rabb,
con una smorfia.
“Già, povero lei…”
Harm
guardò il suo nuovo superiore
con occhio diverso: forse non sarebbe stato così male, se solo gli
avessero
dato un’occasione. Certo, AJ sarebbe sempre stato il padre che gli era
mancato,
ma se aveva deciso di accompagnare il Generale, significava che lo
conosceva
e che aveva la sua
stima: l’Ammiraglio
non concedeva la sua fiducia tanto facilmente.
Si voltò verso l’uomo che era
stato per oltre nove anni il suo superiore:
stava parlando con Mac e lei sorrideva felice. Si scusò con Cresswell e
raggiunse i due.
“Ammiraglio, che piacere
rivederla!” disse, stringendo la mano che
Chegwidden gli porgeva.
“Harm, chiamami AJ, per
favore.”
“D’accordo, AJ. Siamo tutti
molto felici di rivederla. Come sta?”
“Bene… e vedo che anche tutti
voi state bene… come vanno le cose?”
“Senza di lei non è la stessa
cosa”, disse Mac, improvvisamente più
triste.
Nel frattempo si era
avvicinato anche Bud, che aveva salutato l’Ammiraglio.
“E, vero, Signore, non è la
stessa cosa, anche se il Generale Cresswell
è una brava persona. Ma non è come quando c’era lei, Signore” aggiunse
Bud.
“Dovreste dargli una
possibilità, non credete?” disse l’Ammiraglio, a
tutti e tre. Lo guardarono quasi sorpresi. Poi Bud rispose: “Credo che
abbia
ragione, Signore”, mentre Harm annuiva in silenzio.
“Mac?”, chiese l’Ammiraglio.
“Lo pensa davvero, Signore? Il
Generale è solo un superiore, non un
uomo come lei.”
“Chiunque è un uomo, oltre che
un militare, Mac. Basta dargli la
possibilità di esserlo e fare in modo che se ne renda conto. Con me ci
siete
riusciti… ci riuscirete anche con lui…” e così dicendo li lasciò, per
dirigersi
verso il tappeto, dove il piccolo AJ, il figlio dei Roberts che portava
il suo stesso
nome, stava giocando e facendo dei cenni in direzione dell’Ammiraglio
per farlo
avvicinare.
Harm e Mac si guardarono e si
sorrisero: con quel gesto si erano detti
tutto.
Insieme si avvicinarono al
Generale Cresswell e,
conducendolo verso il buffet, iniziarono
una conversazione dove il lavoro c’entrava ben poco.
Dal tappeto accanto al piccolo
AJ, l’ammiraglio Chegwidden sorrise
compiaciuto: era davvero felice di essere lì. Finalmente, dopo quasi un
anno,
si sentiva di nuovo a casa. Certo, non sarebbe durato molto, ma…
chissà?
Avrebbe anche potuto smetterla di rimpiangere soltanto quelle persone,
e darsi
da fare per frequentarle da amico, anziché solo come loro superiore.
Anche se…
vedere Mac e Harm conversare amabilmente con il Generale Cresswell gli
fece
pensare che, in fondo, restava sempre l’uomo che li aveva comandati per
anni: era
certo che i suoi due pupilli avrebbero capito immediatamente quello che
intendeva con le sue parole.
Dopotutto
aveva sudato sette camicie, per addestrarli bene ai suoi
ordini!
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Capitolo 11 *** Casa Roberts - sera della Vigilia ***
Casa
Roberts - Rosslyn, Virginia
sera della Vigilia
Quando alcuni giorni prima
durante il loro incontro
Bud lo aveva invitato alla festa, l’aveva già informato delle novità
accorse al
JAG. Non sapeva come definire la sensazione che aveva provato sapendo
che parte
delle persone con cui aveva lavorato se n’erano andate. Ripensò a
Tiner, il
giovane Sottufficiale attendente dell’Ammiraglio Chegwidden, l’amico
con cui si
divertiva a competere scherzosamente, e che aveva ormai intrapreso la
strada
della sua carriera di avvocato militare; al Tenente Loren Singer, la
cui morte,
sebbene come persona non gli fosse mai stata particolarmente simpatica,
lo
turbò molto; ad Harriet, la solare moglie di Bud, dimessasi per portare
a
termine una gravidanza gemellare. Si chiedeva come facessero ora la
mattina
senza i suoi sorrisi dolci e confortanti che accoglievano chiunque
entrasse
negli uffici del JAG. Ed infine ripensò alla notizia che più di tutte
l’aveva
sorpreso: il pensionamento dell’Ammiraglio. Bud gli aveva raccontato
della
festa d’addio data in suo onore, che strano effetto gli aveva fatto.
Gli
dispiacque di non esserci stato in un momento così importante. Dov’era
ora il
suo superiore? L’avrebbe più rivisto?
Suonò il campanello di casa
Roberts pensieroso, ma
al contempo felice, perché avrebbe comunque trascorso qualche ora
assieme agli
altri rimasti. Avrebbe rivisto Mac ed Harm in condizioni più favorevoli
rispetto all’ultima volta che si erano incontrati. Era stato mesi prima
in
Paraguay, dove per poco non ci rimettevano tutti la vita. Per fortuna
erano
tipi tosti, avevano portato a termine la missione ed erano tornati ai
rispettivi incarichi, se non proprio tutti sani, per lo meno salvi.
Si era messo a fissare la
decorazione che addobbava
l’ingresso quando sentì una voce gioiosa chiamarlo per nome.
“Galindez!”. Il viso allegro
di Harriet fece la sua
comparsa da dietro il portone e non ebbe neppure il tempo di abbozzare
un
saluto ché la giovane mamma lo stava già abbracciando contenta di
rivederlo. Lo
accompagnò al guardaroba e poi lo condusse nella sala dove si teneva il
rinfresco.
“Mettiti a tuo agio, sul
tavolo laggiù troverai da
bere e da mangiare. Ora scusa ma vado a vedere cosa combina Bud in
cucina…”, si
fermò a guardarlo sorridente e prima di voltarsi per andare dal marito
aggiunse, “Non potevo sperare in un regalo più gradito. Anche tu sei di
nuovo
tra noi a festeggiare il Natale!”
“Grazie, Harriet. Sono felice
anche io di
rivedervi.” E lasciato solo cominciò a guardarsi attorno. C’erano già
alcune
persone nella stanza, le loro voci si mescolavano alle dolci note delle
canzoni
natalizie. Cercò con lo sguardo qualche volto conosciuto; riconobbe il
fratello
di Bud, che si aggirava con un vassoio pieno di tartine in equilibrio
su una
mano, e vide il piccolo AJ giocare seduto sul tappeto, intento a
spiegare
qualcosa all’uomo che gli stava vicino. Si fermò, e come se avesse
avuto
un’allucinazione sbatté più volte le palpebre… E capì perché l’ultima
frase di
Harriet gli era suonata strana. Quel “anche tu sei di nuovo tra noi”
aveva un
significato ben preciso… non era l’unico ad essere tornato tra i vecchi
amici,
qualcun altro era arrivato prima di lui. L’Ammiraglio Chegwidden gli
dava le
spalle mentre si destreggiava dando attenzione al bambino e conversando
con
l’altro militare al suo fianco, che Galindez riconobbe all’istante: era
l’uomo
da cui dipendeva il suo futuro lavoro, il Generale Cresswell.
Andò verso di loro per
salutarli, un po’ timoroso in
verità di affrontare Cresswell, ma smanioso di poter stringere
nuovamente la
mano all’Ammiraglio.
I due uomini si accorsero di
lui prima ancora che li
raggiungesse e non sembrarono affatto stupiti di vederlo lì. Anzi,
pareva quasi
che lo stessero aspettando. Cercò di non far caso all’impressione che
aveva
avuto e li salutò calorosamente.
“Galindez!” proruppe
l’Ammiraglio ricambiando la
stretta di mano. “Ero stato informato del tuo ritorno, speravo proprio
di
incontrarti. Ho saputo che hai fatto richiesta di essere reintegrato al
JAG.”
“Sì, Signore. La mia
collaborazione con la CIA può
dirsi conclusa per il momento… Lei come l’ha saputo, Signore?”
“Chiamami AJ, Gunny, ora non
sono più io il tuo
diretto superiore”
“No, ha ragione…”, abbassò lo
sguardo per un attimo,
ma lo rialzò quasi subito, come se all’improvviso si fosse reso conto
che
Chegwidden gli aveva fatto una rivelazione. “Scusi? cosa intende dire?”
“Come, Gordon…” si rivolse al
suo sostituto, che nel
frattempo era andato a prendere qualcosa da bere per lasciarli parlare
da soli.
“Non gli ha ancora detto niente?”
“Detto cosa, Signore?” chiese
Galindez, che
cominciava a sentirsi nervoso.
“Ho valutato la sua richiesta,
Sergente” disse
Cresswell guardandolo negli occhi. “Le avevo detto che avrebbe avuto
una
risposta dopo Natale, ma dato che siamo tutti qui e che la mia
decisione l’ho
presa, non vedo cosa ci sia da aspettare.”
Galindez era sempre più
impaziente. Pur mantenendo
un’espressione seria e composta, dentro di sé si sentiva in subbuglio.
Il Generale proseguì. “Mi sono
informato su di
lei, ed ho avuto la conferma di ciò che avevo dedotto dal suo
curriculum, e
cioè che è un ottimo ufficiale…”
“Grazie, Signore…”, farfugliò,
sentendo che non
riusciva più a star fermo. Perché non la smetteva di girarci attorno e
non
veniva subito al dunque? E perché l’Ammiraglio sorrideva compiaciuto?
Cresswell lanciò uno sguardo
ammiccante
all’Ammiraglio, sorrise e si rivolse al giovane ufficiale che aveva
lasciato
sulle spine. “Bentornato al Jag, Sergente! Tra due giorni la voglio nel
mio
ufficio per ufficializzare il suo reintegro.”
Una mano si posò sulle sue
spalle dandogli un leggero
colpetto. L’Ammiraglio lo stava guardando soddisfatto e orgoglioso.
“Sissignore! Grazie,
Signore!”, scattò sull’attenti
pronunciando queste parole, e provocò una risata ad entrambi i suoi
superiori.
Non erano necessarie tutte quelle formalità, ma reagì d’istinto, non
sapendo in
quel momento come altro comportarsi. Era talmente contento che non si
accorse
della persona che era appena arrivata.
***
Non ci aveva impiegato molto a
prepararsi, era
andata sicura sull’elegante non troppo impegnato. Perché avrebbe dovuto
perdere
tanto tempo? Non doveva piacere a nessuno, solo a se stessa; e per se
stessa i
vestiti che aveva scelto andavano più che bene. Aveva deciso di
indossare un
paio di pantaloni di lanetta grigio topo con la piega sul davanti e di
accompagnarli
con un dolcevita nero attillato con un ricamo di brillantini sul petto.
Una
giacca elegante sempre nera e con i bottoni dorati completava il suo
abbigliamento.
Le bastò entrare nella stanza
del rinfresco e
guardarsi attorno per pentirsi della sua scelta. Perché non aveva
indossato il
tubino nero che aveva comprato qualche mese prima? Scendeva leggero
accompagnando la figura del corpo fino alle ginocchia. Semplice, ma più
elegante, più femminile. Senz’altro più adatto per far colpo su
qualcuno… per far
colpo sul giovane militare che da qualche giorno si era impossessato
dei suoi
pensieri e che ora era lì, alla stessa festa a cui era stata invitata
anche
lei, e conversava allegro con il Generale Cresswell e l’Ammiraglio
Chegwidden. Trovarlo in quel posto la sorprese più ancora della
presenza
dell’Ammiraglio. Era felice di rivedere il suo superiore, sarebbe
andata subito
a salutarlo, e perché no? anche ad abbracciarlo, desiderosa di fargli
sapere
che le mancava e che era grata di aver lavorato per lui. Ma il fatto
che con
lui ci fosse anche quel giovane ufficiale le impediva di comportarsi
nel suo
solito modo spontaneo.
Era rimasta immobile
esattamente nel punto in cui si
trovava appena lo aveva visto. Non si era accorto che era arrivata, e
comunque,
cosa le faceva pensare che si sarebbe ricordato di lei? Ed anche fosse,
perché
mai avrebbe dovuto aspettarsi di vederla lì?
La sua vista la turbava, lei
invece aveva desiderato
incontrarlo di nuovo, ma non si sarebbe mai immaginata di vederlo
proprio la
Vigilia di Natale a casa Roberts. Non era preparata. Si sentiva
sciocca, ma non
poteva farci niente, sentiva che se il suo sguardo si fosse posato su
di lei,
sarebbe inevitabilmente arrossita. Cercò di arginare i suoi pensieri e
cominciò
a chiedersi come mai anche lui fosse lì. Chi conosceva?
Lo stava ancora fissando
quando incontrò i suoi
occhi neri. Arrossì. Si sentì colta sul fatto e sorrise imbarazzata,
senza
riuscire comunque a distogliere lo sguardo.
Lo vide scusarsi con gli
uomini che erano con lui e
dirigersi nella sua direzione.
Possibile che i suoi desideri
si stessero
realizzando? Si ricordava di lei?
La raggiunse fermandosi di
fronte a lei e guadandola
intensamente negli occhi. Sentiva il cuore martellarle nel petto, e si
accorse
di trattenere il respiro. Sarebbe riuscita a parlare?
“Ciao…”, la profondità della
sua voce fece
sussultare Jennifer anche in quel momento. “Credevo che non ti avrei
più
rivista”, quel timbro dolce la avvolse e le provocò un’ondata di calore che si diffuse nel
petto. Che stava
facendo? Perché se ne restava imbambolata invece di rispondere?
“Ciao… anche io non pensavo di
vederla qui…”, non
riuscì ad evitare il leggero tremolio delle sue parole, anche se cercò
di
parlare mantenendo un tono fermo ed usando ancora, al contrario di lui,
il
pronome di cortesia, per creare una certa distanza che credeva le
avrebbe
permesso di sentirsi meno vulnerabile.
Non gli sfuggì il modo in cui
gli si era rivolta, ma
aveva deciso che voleva entrare un po’ più in confidenza con lei, per
cui non
cedette al tono formale che sembrava volesse mantenere lei.
“Non ti ho ancora ringraziata
per quel giorno, per
le informazioni che mi hai dato”. Che stava dicendo? Tra tutte le cose
che
poteva dirle, proprio una frase così banale e stupida doveva
pronunciare?
“Non ho fatto niente di
speciale. E comunque… mi
avevi già ringraziata.”
La risposta non lo stupì,
doveva aspettarsela. Certo
che non le sfuggiva nulla, non gliene avrebbe lasciata passare una.
Meglio
rimediare alla svelta, non voleva dare l’impressione dell’allocco, non
a quella
ragazza dall’aria sbarazzina e da quei meravigliosi capelli castani.
Vinse la
tentazione di sistemarle dietro l’orecchio una ciocca che le ricadeva
sulla
spalla per poter infilare le dita in quei lunghissimi fili sottili e
lucenti.
“Sì, ma sono stato comunque
maleducato. Non mi sono
neppure presentato.”
Jen sentì che l’imbarazzo
iniziale stava lasciando
posto ad una calda sensazione di benessere. “Questo è vero”, cominciò a
rilassarsi. “Perché non rimedi ora?”
Finalmente, gli parve di
percepire una maggior
apertura nella sua interlocutrice. Sorrideva complice, se lo prendeva
in giro
significava che dopotutto poteva nutrire qualche speranza.
Stava per fare il saluto e
presentarsi come avrebbe
fatto con un ufficiale di alto rango quando alle sue spalle qualcuno lo
precedette.
“Gunny! Sei proprio tu?”
Si voltò, quasi volesse
fulminare con lo sguardo la
persona che aveva interrotto la conversazione che dal giorno
dell’archivio
sperava di avere con quella ragazza, di cui ancora non sapeva il nome.
L’avrebbe mai scoperto? Il fastidio che aveva provato per l’improvvisa
interruzione sparì appena si rese conto di chi fosse quella voce.
“Capitano! Colonnello! È un
piacere rivedervi. Mi
hanno riferito del suo incidente, come sta?”
“Bene, Gunny, mi hanno dimesso
poco fa. Tu,
piuttosto, cosa ci fai qui?”
E mentre il giovane ufficiale,
che a quanto pareva
conosceva molto bene tutto lo staff del JAG, forse meglio di lei,
rispondeva
alle domande di Mac e Harm, Jennifer Coates si allontanò, delusa per
non aver
ancora saputo nulla sul suo conto. Per saziare la curiosità e
l’interesse che
provava per lui sarebbe potuta rimanere ad ascoltare la conversazione,
ma in
quel momento si sentiva di troppo, quasi un’intrusa e senza dire una
parola
andò a prendere qualcosa da bere.
Era accanto al tavolo del
rinfresco e stava
sorseggiando la bibita che si era versata senza neppure prestare
attenzione a
cosa fosse, assorta nei suoi pensieri, quando il terzetto le si
avvicinò.
Sorrise a tutti e tre, ma distolse quasi subito lo sguardo dall’uomo
che aveva
sentito chiamare “Gunny”. Quei tre dovevano conoscersi molto bene, ma
perché?
Quasi intuendo qualcosa, Harm
guardò prima l’uno e
poi l’altra.
“Voi due vi conoscete?”,
chiese, ricordando che
prima di interromperli stavano parlando tra di loro.
“A dir la verità non
proprio…”, rispose Jennifer.
“Ci siamo visti qualche giorno
fa al JAG, stavo
giusto per presentarmi poco fa”, aggiunse Gunny.
“Bè, allora direi di passare
alle presentazioni.
Gunny, lei è il Sottufficiale Jennifer Coates, l’attendente del
Generale
Cresswell, ha preso il posto di Tiner. Jen, lui e’ il Sergente
d’artiglieria
Victor Galindez, è stato un membro del nostro staff prima di far
richiesta per
entrare in servizio attivo, ma a quanto pare sarà di nuovo dei nostri.”
Harm diede un colpetto sulla
spalla del sergente e
sorrise, con l’espressione di un bambino che ha appena fatto una buona
azione.
Poi, mettendo una mano sulla schiena di Mac e sospingendola dolcemente
come se
volesse guidarla per portarla dovunque fosse andato lui e non perderla
un
istante, andò a salutare gli altri ospiti, lasciandoli di nuovo soli.
Si fissarono ancora una volta
negli occhi, senza
saper cosa dire. Tante erano le domande che si sarebbero voluti fare,
ora che
avevano scoperto i rispettivi nomi avrebbero voluto conoscere di più
l’uno
dell’altra, ma non sapevano da dove iniziare.
“Piacere”, disse Victor
abbozzando un sorriso, “puoi
chiamarmi Gunny, come fanno tutti.”
***
“Perché quel sorriso sotto i
baffi?” chiese Mac
mentre Harm la spingeva lontano da Jennifer e Galindez, “e perché mi
stai
allontanando da Gunny così rapidamente? Volevo chiacchierare ancora un
po’ con
lui…”
“Ma… non hai notato nulla?”
chiese lui, con uno
sguardo divertito.
“Cosa avrei dovuto notare?”
domandò lei con finta
aria ingenua.
“Non hai visto come Jen lo
guardava? E come Victor
se la mangiava con gli occhi?” la voce sorrideva, mentre ammiccava verso i due
giovani.
“Capitano, mi sorprendi! E da
quando sei più
perspicace di me per queste cose?” chiese lei, divertita e felice da
questo
momento di complicità che si era creato tra loro, quasi come ai vecchi
tempi.
Era bello stare con lui così… Chissà se, poco alla volta, sarebbero
riusciti a
ritrovare la loro amicizia che il suo rapporto con Webb aveva
incrinato. Lo
sperava davvero.
“Che il Natale mi abbia reso
più romantico?” disse
Harm, guardandola negli occhi. Dio, quanto era bella! Aveva voglia di
essere
solo con lei, vederla aprire la porta di casa sua e trovare la sorpresa
che le
aveva preparato. Chissà come avrebbe reagito? Si sentiva agitato, come
un
bambino all’arrivo di Babbo Natale.
“A quanto pare l’atmosfera
natalizia non rende
romantico solo te…” disse Mac, toccandolo su un braccio e indicandogli
con un
cenno Jen e Victor che si erano allontanati dal buffet ed ora, in un
angolo
appartato, sembravano assorti in una interessante conversazione, a
giudicare
dai loro sguardi. Anche se lei era convinta che le parole che si
scambiavano in
quel momento non avevano grande importanza… i sentimenti che
trasparivano dai
loro occhi erano decisamente più importanti.
Sorrise dolcemente pensando a
quanto sia bello e
speciale il momento dell’innamoramento: quel guardarsi misterioso che
fa
battere il cuore, quello scoprirsi incatenati con gli occhi e con il
desiderio
di voler andare oltre, senza ben sapere dove e quando… immaginare uno
sfioramento, il primo bacio, il primo abbraccio…
Si voltò verso Harm e sentì il
cuore batterle forte,
come la prima volta che lo aveva visto, dieci anni prima. Possibile?
Possibile
che fosse tutto ancora come allora?
Lui le sorrise, con quel
sorriso che le rubava il
cuore ogni volta e lei comprese che sì, per lei tutto era come allora:
quel
legame di sguardi che era nato tra loro fin dalla prima volta esisteva
ancora,
nonostante tutto.
“Credo sia ora di andare in
chiesa” la voce di Harm
la distolse dai suoi pensieri. Si guardò attorno e osservò che tutti si
stavano
preparando per uscire. Vide Victor mentre aiutava Jennifer ad indossare
il
cappotto e sorrise all’idea che, forse, quella notte avrebbe portato
con sé un
nuovo amore.
“Perché sorridi?” un sussurro
al suo orecchio le
fece scendere un brivido lungo la spina dorsale. Voltò appena il capo e
si
trovò le labbra di Harm talmente vicine che dovette trattenersi dallo
sfiorargliele con un bacio. Lui si spostò appena e le porse il cappotto
che
aveva recuperato, per aiutarla ad indossarlo.
“Pensavo all’amore…” rispose
infilandoselo e
ringraziando il suo cavaliere con un sorriso. Poi aiutò lui ad
indossare il suo
e gli si avvicinò un poco per sistemargli il risvolto… Quanto avrebbe
dato
perché in quel momento lui la abbracciasse e la baciasse…
Harm le sorrise e le sfiorò il
volto con una carezza
dolcissima; poi la prese per mano e uscirono assieme agli altri per
partecipare
alla funzione.
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Capitolo 12 *** Piazzale della Chiesa - la notte della Vigilia ***
Piazzale
della Chiesa
La notte della Vigilia
Erano
appena usciti dalla cappella, la funzione era terminata e le parole del
Pastore
riecheggiavano ancora nella sua mente, “È il sorriso di un bambino che
contempliamo in questa notte. Apriamo il nostro cuore alla tenerezza
che ci
suscita e lasciamo che l’Amore ci prenda per mano…”
Affondò
il viso nella morbida sciarpa fino a coprirsi la punta del naso. La
fredda aria
invernale la fece rabbrividire, mentre rimasta sola lo aspettava.
L’avrebbe
raggiunta appena terminati i saluti. Quando aveva saputo che Jennifer
abitava
nella stessa palazzina di Harm non era riuscito a mascherare la
delusione che
provò, si vide preclusa qualsiasi possibilità di prolungare il tempo da
poter
trascorrere insieme a lei. Che scusa avrebbe potuto trovare per
riaccompagnarla
a casa? Doveva escogitare qualcosa… non voleva lasciarla andare così.
Non
era ancora riuscito a pensare a nulla quando si accorse che Harm non
sarebbe
andato direttamente a casa, ma avrebbe prima portato Mac al suo
appartamento.
Non si fece sfuggire l’occasione e prima che qualcun altro potesse
farsi avanti
si propose lui di accompagnare il Sottufficiale.
“Non
si preoccupi, Capitano. La riaccompagno io a casa”, aveva detto,
sperando di
esser riuscito a mantenere un tono neutrale, anche se dentro di sé si
sentiva
emozionato e felice come un adolescente che per la prima volta
accompagna a
casa la ragazza che gli piace.
Sembrava
che in quella notte magica ogni desiderio potesse realizzarsi…
Salutò
il Colonnello e il Capitano e gli sembrò che quest’ultimo, prima di
entrare in
macchina, gli avesse fatto l’occhiolino, quasi a volergli dire “Forza!”.
Scosse
la testa e tornò da Jennifer che lo stava aspettando vicino alle scale
della
Chiesa con le mani infilate nelle tasche del cappotto ed il viso
coperto per
metà dalla sciarpa. L’aria era frizzante e gelida, ma lui non sentiva
freddo,
provava un confortante tepore al solo guardarla. Avrebbe voluto donarle
un po’
di quel calore che sentiva abbracciandola…
Le
si avvicinò.
“Andiamo?”
Lei
alzò lo sguardo, sorrise ed annuì.
Galindez
fece per andare allora verso l’auto, ma lei lo fermò toccandogli un
braccio.
“Ti
va se facciamo quattro passi?”
“Non
hai freddo?”
“Mhm”,
ammise. “Mi scalderò camminando. Voglio respirare l’aria di questa
notte…
sembra magica, non trovi?”, gli domandò innocente.
Fissò
per qualche secondo quel viso dolce, poi guardò il cielo coperto ed
inspirò
chiudendo gli occhi.
“Hai
ragione.”
Le
offrì il braccio e Jennifer vi si aggrappò infilandovi sotto la mano,
lasciandosi
scaldare da quel contatto. Provò subito una piacevole sensazione di
tepore, ma
non solo sulle sue dita infreddolite, sentì anche il cuore scaldarsi…
Si
incamminarono senza dire più una parola, semplicemente godendo l’uno
della
presenza dell’altra. Camminavano vicini, ognuno immerso nei proprio
pensieri.
Gunny ripensava a come si erano incontrati e a come da quel momento non
fosse
riuscito a smettere di immaginare il suo volto dolce e sbarazzino;
Jennifer non
riusciva a vedere altro che i suoi profondi occhi scuri e ogni tanto lo
guardava di sottecchi cercando di controllare i battiti del suo cuore.
Era
da moltissimo tempo che non si sentiva così bene in compagnia di un
uomo, se
poi pensava che lo conosceva solo da pochi giorni, anzi, praticamente
solo da
qualche ora, le sembrava ancora di più di vivere in un sogno. Gli
strinse
involontariamente il braccio, quasi per accertarsi che fosse tutto vero
e ad un
tratto si fermarono.
“Che
succede?”, chiese timorosa, con un’espressione indecifrabile sul volto.
Sembrava un bambino che non capiva perché fosse stato interrotto mentre
giocava.
“Credo
che siamo arrivati. Non è qui che abiti?” le disse, non riuscendo a
trattenersi
dal sorridere divertito.
Sorrideva…
ecco di nuovo quella fossetta sulla sua guancia… le piaceva da
impazzire,
avrebbe voluto toccargliela con un dito e baciarla…
Cos’è
che aveva detto? Erano arrivati? Dove? Si guardò intorno, e vide una
casa
dall’aspetto familiare, alzò gli occhi al primo piano e capì che erano
già
arrivati a destinazione. Come aveva fatto a non accorgersi?
Pronunciò
un mesto “Oh”, senza voltarsi, senza saper cos’altro dire. Senza sapere
cosa
fare. Sapeva solo che voleva restare ancora un po’ con lui…
All’improvviso
sentì qualcosa di freddo che le si posò su una guancia… era neve… aveva
cominciato a nevicare… Si girò verso l’uomo che non aveva smesso un
attimo di
fissarla.
Le
sfiorò con il dorso della mano il punto del viso su cui si era posato
quel
primo fiocco di neve, prolungando quel contatto incapace di
allontanarsi.
Lei
lo fissò negli occhi prima di sollevare a sua volta una mano e premere
ancora
di più sul suo viso quella di lui. Voleva sentire il calore del suo
palmo.
Rimasero
a fissarsi con un’intensità tale da far perdere loro la cognizione del
tempo e
dello spazio. Si guardavano come se fossero le uniche cose esistenti in
quel
momento ed in quel luogo.
Quegli
occhi profondi le stavano accarezzando il cuore, le sembrava che
potesse
saltarle via da un momento all’altro…
Poi
Galindez si mosse piano abbassando il viso fin quasi a sfiorare quello
di lei,
ma si trattenne ancora a contemplarla. E poco dopo si sporse
maggiormente
sfiorandole le labbra con un bacio che le sembrò una carezza. Chiuse
gli occhi
sperando di poter sentire di nuovo quel dolce tocco su di lei. Sentì le
sue
forti braccia attrarla a lui mentre le posava una mano sulla schiena
per poi
farla risalire verso la nuca e farla ridiscendere lentamente facendo
scorrere i
capelli tra le dita.
Jen
posò le sue mani sul suo torace e si abbandonò all’abbraccio.
E
di nuovo quelle calde labbra si posarono sulle sue, ma questa volta vi
indugiarono più a lungo trasformando quel delicato contatto in un bacio
che si
fece sempre più appassionato.
Si
baciarono a lungo, incuranti del dolce turbinio bianco che li
circondava.
Nell’ovattato
silenzio creato dai fiocchi di neve che scendevano ondeggiando dal
cielo, nella
notte di Natale due persone si erano lasciate prendere per mano
dall’Amore…
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Capitolo 13 *** Appartamento di Mac - 24 dicembre - la notte della Vigilia ***
Appartamento
di Mac - Georgetown
La notte della Vigilia
Avevano
salutato tutti davanti alla chiesa e poi erano saliti sulla Corvette di
Harm.
Mentre lui guidava diretto verso casa sua, Sarah gli aveva chiesto
quando
sarebbe passato a trovare suo padre.
“Ci
andrò uno dei prossimi giorni” aveva risposto lui.
Lei
lo aveva osservato sorpresa: da che lo conosceva, non era passata una
Vigilia
di Natale senza che lui andasse a portare un saluto al monumento dei
caduti,
nell’anniversario della scomparsa del Tenente Harmon Rabb sr.
“Perché
non hai lasciato che mi riaccompagnasse Sturgis? Si era persino offerto
lui.”
“Mhmm…
le tue cose erano già sulla mia macchina…”
“Se
per quello, ci sarebbero voluti due secondi a spostarle. In ospedale
avevo una
borsa, due giornali e una scatola di cioccolatini… ah, e quel mazzo di
fiori…
ma l’ho lasciato alle infermiere. Non è che ci fosse poi molto da
spostare!”
“Ti
spiace che sia io ad accompagnarti a casa? Voglio vedere se ho fatto un
buon
lavoro con le piante.”
“E
da quando ti preoccupi tanto delle mie piante?” aveva chiesto lei, con
un
sorriso.
“Da
quando sono diventato il loro zio…” aveva risposto lui, a sua volta con
un
sorriso.
“Zio?”
“Certo!
Non mi sono mica limitato a bagnarle, sai? Ho parlato con loro, le ho
pulite…
mi adorano, vedrai!”
“Che
sciocco, che sei! Parli delle mie piante come se fossero dei gattini!
Tornando
seri, credevo volessi andare da tuo padre, come ogni anno.”
“Ci
andrò. Ma non questa sera, tutto qui.”
“Sì,
ma per te è sempre stato importante andarci proprio all’anniversario
della sua
scomparsa…”
“E’
vero. Ma questa sera ci sei tu… Desidero essere io ad accompagnarti a
casa…
credo che mio padre non potrebbe che approvare che riaccompagni a casa
una
bella donna!”, aveva risposto con aria allegra, anche se l’occhiata che
le
aveva dato era stata intensa.
Sarah
si era accorta di essere rabbrividita, sotto quello sguardo. Non
riusciva a
capirlo… in quei giorni era stato tenerissimo con lei, tanto da farle
quasi
venire le lacrime agli occhi. Quando l’aveva visto arrivare in ospedale
con
l’abito che indossava proprio in quel momento e la busta dei suoi
cosmetici,
per un attimo non aveva potuto impedirsi di immaginare che fosse suo
marito…
Era una sensazione bellissima essere coccolata da lui.
Tutti
gli uomini che aveva avuto, in un modo o nell’altro, si erano profusi
in
coccole: il suo defunto marito Chris le comperava la sua bottiglia
preferita,
per bersela assieme; John Farrow era un vero gentleman e amava
regalarle dei
fiori. Dalton la ricopriva di cose costosissime, mentre Mic le
preparava ottime
cenette. Clayton… bè, Clayton le aveva regalato più che altro un bel
cesto di
menzogne.
Ma
Harm… tutto quello che Harm faceva aveva un sapore diverso. Era intimo,
e non
sembrava fatto apposta per fare colpo su di lei. Anzi, certamente non
era per
quello. Lui era spontaneo, faceva sempre quello che desiderava e non
dava mai
l’impressione di farlo apposta per conquistare una donna.
Oh,
ma che andava a pensare? Harm non aveva alcuna intenzione di
conquistarla!
Arrivarono
sotto casa sua, lui la fece scendere e scaricò dall’auto le sue cose.
“Grazie,
Harm… se vuoi, puoi andare ora. Posso salire da sola”.
“Hai
così tanta fretta di liberarti di me? Ti ho detto che da mio padre
andrò domani
o nei prossimi giorni. Ti aiuto a portare in casa la borsa…” e detto
questo
aprì con le chiavi che, lei si ricordò, aveva ancora lui.
Non
le restò che seguirlo. Sul pianerottolo del suo appartamento, lui si
fermò e gliele
consegnò.
“E’
casa tua…”
“Per
fortuna! Cominciavo a pensare che te ne fossi appropriato!” rispose lei
con un
sorriso, prendendogli le chiavi di mano. Per un attimo le loro dita si
sfiorarono ed entrambi si guardarono negli occhi, imbarazzati. O
meglio,
osservò Sarah, lei si sentì imbarazzata, mentre negli occhi di Harm
aveva
letto… cosa?
Distolse
rapidamente lo sguardo e inserì la chiave nella toppa, quindi aprì.
Cercò al
buio l’interruttore della luce e lo premette. All’improvviso, anziché
illuminarsi come al solito, nella stanza si accesero le luci di un
enorme
albero di Natale che troneggiava a fianco del camino.
Mentre
si riprendeva dalla meraviglia, le note della sua canzone preferita, The Christmas song, riempirono la
stanza, creando un’atmosfera magica che le tolse il fiato.
Si
guardò attorno: la casa era stupenda!
Era
rimasta immobile, poco oltre la soglia, ma nel frattempo Harm era
entrato e ora
stava accedendo ad una ad una tutte le candele che erano state disposte
nei
punti più strategici e, mentre tutto si illuminava di una calda luce
dorata,
Sarah realizzò che lui aveva fatto tutto quanto per lei. A quel
pensiero gli
occhi le si riempirono di lacrime…
“E’
bellissimo…” riuscì appena a sussurrare.
“Davvero?
Sono felice che ti piaccia…” disse lui, mentre, accucciato davanti al
camino,
stava accendendo il fuoco. Quando terminò si avvicinò, la prese per
mano e la
condusse dolcemente verso il punto in cui, lei si accorse, un ramo di
vischio
era stato appeso sapientemente allo stipite della porta che divideva il
soggiorno con la zona notte.
La
guardò negli occhi poi si avvicinò al suo volto e le baciò
delicatamente le
labbra.
“Buon
Natale, Sarah…” le disse in un sussurro.
Lei
ricambiò lo sguardo e si accorse che negli occhi di Harm brillava una
luce
speciale, intensa. Una luce d’amore…
Gli
sfiorò con la mano una guancia, in una carezza lenta che terminò vicino
alla
sua nuca. Gli avvicinò il viso e cercò le sue labbra…
Lui
immediatamente la strinse a sé, avvolgendola in un abbraccio
appassionato e
ricambiò il suo bacio con un’intensità che la fece gemere di piacere.
Le sue
labbra erano calde e morbide e il suo sapore così unico che Sarah si
sentì
sopraffatta. Lo assecondò permettendogli l’accesso alla sua bocca e lui
prolungò il bacio, finché entrambi non dovettero riprendere fiato.
“Buon
Natale, Harm.”
Rimase
in silenzio per un attimo, guardandosi attorno ancora stupefatta.
“Non
posso credere che tu abbia fatto tutto questo…” poi, fissandolo negli
occhi,
chiese: “Perché?”
“Per
te. Solo per te…” rispose lui, sostenendo il suo sguardo.
Alla
fine fu lei la prima ad abbassarlo: si guardò di nuovo in giro e poi
proruppe
in un’esclamazione gioiosa che lo fece sorridere.
“Oh…
ma… ci sono anche i regali!”
“Ero
certo che questa parte della sorpresa ti sarebbe piaciuta molto!” disse
lui
allegro. Poi la seguì mentre lei si accucciava ai piedi del grande
albero, dopo
essersi finalmente tolta il cappotto e averlo appoggiato ad una sedia,
nella
foga di scartare i pacchetti. Lui fece altrettanto e si sedette sul
divano ad
osservarla soddisfatto.
“Sono
tutti per me?” esclamò visibilmente eccitata. Sembrava una bambina!
“Tutti
quanti.”
Allora
lei li prese tra le braccia e li portò sul divano e si sedette accanto
a lui.
Voleva stargli vicino.
“Da
quale inizio?” chiese.
“Da
quello che preferisci… anzi, no. Inizia da questo” e le porse un pacco,
che lei
aprì immediatamente, scoprendo il libro sui fossili.
“Grazie,
Harm, me lo volevo comperare da tempo.”
Lui
sorrise e poi decise di darle il profumo, bagnoschiuma e crema, uno
dopo
l’altro. Ad ogni pacchetto che apriva, il viso di Mac si illuminava e a
lui il
cuore batteva un po’ più forte.
Quindi
fu il turno dei cinque film.
“Per
domani…” disse lui, consegnandoglieli.
Lei
aprì il primo pacchetto e scoppiò in una risata: era il cartone animato
“La
bella addormentata nel bosco” e si domandò se lui non avesse voluto
dirle
qualcosa...
Ad
uno ad uno li scartò tutti e si meravigliò della sua fantasia e del suo
acume:
aveva scelto, senza saperlo, tra i suoi film preferiti.
Quando
terminò lo ringraziò, ma lui la sorprese alzandosi e andando a frugare
in un
angolo nascosto, accanto al camino. C’era ancora una grande scatola
rossa che
non aveva notato prima. Harm gliela consegnò e lei si scoprì molto
curiosa di
conoscerne il contenuto. Doveva essere qualcosa di speciale, se lui
l’aveva
volutamente un po’ nascosta.
Aprì
la scatola ed estrasse il delicato indumento, restando senza parole.
Era
bellissimo!
“Harm…
è stupenda! Tutti i regali sono bellissimi, ma questa è davvero
stupenda! E io…
io, invece, non ho nulla per te…”
“Ti
sbagli, Sarah. Se solo tu volessi, avresti tanto per me…”, disse lui,
improvvisamente serio.
“Harm…”
“Ti
amo, Sarah. Se tu ricambiassi il mio amore, sarebbe il regalo più
bello” la
sorprese lui.
Le
sue parole la fecero restare senza fiato. Come poteva dubitarne ancora?
Non
dopo tutto quello che aveva fatto per lei. Si sorprese felice e
finalmente
serena dopo molto tempo.
“Ti
amo anch’io, Harm. Tantissimo. E da tantissimo…”
Vide
la luce negli occhi di lui farsi più intensa alle sue parole e fu
contenta
d’essersi decisa a dirglielo.
Poi
lo sguardo di Harm assunse un che di malizioso, allungò la mano a
sfiorare
l’indumento di seta e disse:
“Che
ne dici? La indosseresti per me?”
“Per
vedere se la misura è giusta?”, domandò di rimando lei, maliziosa.
“Anche,
ma non solo. Perché più tardi te la possa togliere…”
“Harmon
Rabb, lei deve avere strane idee per la testa…” rispose lei, alzandosi,
dandogli
un rapido bacio sulle labbra prima di sussurrare: “Non te ne andare,
torno fra
poco…”. Poi scomparve in camera.
Harm
raccolse le carte e le scatole dal divano, per creare un po’ di posto.
Aveva
intenzione di sedersi lì, con lei accoccolata tra le sue braccia per un
po’, a
rimirare le luci dell’albero e ad ascoltare ancora qualche brano
natalizio.
Cominciava ad apprezzare quella musica d’atmosfera… Chi l’avrebbe detto?
Ricordò
d’aver acquistato gli ingredienti per una cioccolata calda e decise di
prepararla, aspettando che Mac si sistemasse. Mentre era al fornello a
sciogliere il cacao nel latte, guardò fuori dalla finestra, attratto da
una
luce particolare e si accorse che aveva iniziato a nevicare.
Sarah
sarebbe stata entusiasta della cosa.
Portò
le cioccolate calde in soggiorno proprio mentre lei faceva la sua
apparizione
in camicia da notte rosso fuoco: era magnifica!
“Sei
bellissima…” disse emozionato. Non
riuscì a resistere e la prese tra le braccia, baciandola con desiderio.
Poi si
disse di procedere con calma e la lasciò.
Lei
vide la cioccolata calda e accolse con piacere l’idea che aveva avuto
di
trascorrere qualche altro momento in quella magica atmosfera che aveva
così ben
creato solo per lei.
Lo
aiutò a riattizzare il fuoco nel camino e poi lui, eccitato come un
bambino, la
portò alla finestra, abbracciandola da dietro, e le fece vedere che
stava
nevicando.
“Oltre
ai film e alla fetta di torta, domani potremo anche tirarci qualche
palla di
neve…” le sussurrò all’orecchio, prima di baciarle la pelle sensibile
del
collo.
“Vedo
che hai programmato tutto” rispose lei, mentre si sedevano sul divano.
Lo
stereo aveva iniziato a diffondere le magiche note di White
Chirstmas interpretata dalla voce melodiosa di Dean Martin.
“Vorrei
restare, questa notte…” le disse, dolcissimo. Poi la prese tra le
braccia e lei
si rese conto che non si era mai sentita tanto a casa come in quel
momento.
Cosa
poteva mancare ad una serata così piena d’atmosfera e d’amore, se non
la magia
di un “Bianco Natale”?
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