1979

di Aleena
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I – L’UOMO NELLA NEVE ***
Capitolo 2: *** 25 DICEMBRE 1970 ***
Capitolo 3: *** 1979 ***



Capitolo 1
*** I – L’UOMO NELLA NEVE ***


 


L’UOMO NELLA NEVE

 

 Credits: Maymercedes

 

 Ci fu una lieve vibrazione dell’aria quasi che, all’improvviso, una corrente di vapore caldo si fosse materializzata nella cristallina immobilità di quella notte d’inverno inoltrato con l’intenzione di scuoterla, di donarle calore.
Poi una detonazione, fragorosa come se il ghiaccio stesso che ammantava il tetro sobborgo scarsamente illuminato avesse deciso di frantumarsi tutto d’un colpo.
Infine la quiete, granelli di neve gelata non più grandi di uno spillo che cadevano placidi quasi che nulla fosse successo, librandosi in pigre volute che andavano ad accrescere le pile già voluminose.
Quando il primo fiocco toccò la sua pelle gelata, l’uomo apparso in mezzo alla piazzetta rabbrividì violentemente, come se quel minuscolo frammento di gelido inverno avesse da solo avuto il potere di ghiacciarlo fin nelle ossa a dispetto dell’atmosfera - si pittoresca ma men che accogliente - e del vento lieve che si alzava in pigre raffiche.
L’uomo sospirò e restò fermo a osservare la nuvoletta di condensa che, lasciate le sue labbra sempre più bluastre, si sollevava al cielo con lentezza, quasi la nottata gelida volesse trattenerla al suolo, congelandola. Sorrise immaginando un fumetto ghiacciato, simile a quello delle illustrazioni sui libri di fiabe che l’elfo domestico gli leggeva da bambino, cadere a terra in una palla di gelo, rotolare di lato e rimanere così, piegato, ad attendere il primo sole per liberare nell’aria tutte le parole che conteneva.
Fu un sorriso breve il suo, smorzato da un altro brivido di freddo che gli fece muovere quasi involontariamente un passo verso la fila di edifici quadrati e lievemente decadenti che aveva dinanzi; ma si fermò, stringendo forte le mani pallide sulla bustina di carta che trattenevano e sorridendo a mezza bocca, una smorfia amara che tradiva disprezzo anziché divertimento.
«Allora è questa la tua ripicca, mammina cara?» chiese in un sussurro ironico al vento che aveva preso a soffiargli su di un fianco il suo respiro glaciale, sbatacchiando il mantello di un blu cobalto addosso alle gambe magre, scoprendo la veste ampia ed elegante – abiti troppo leggeri e lussuosi per essere adatti a una notte così fredda - facendo frusciare i capelli appena troppo lunghi del giovane.
Non ottenne risposta, ma non sembrava abbisognarne; volgendosi intorno aveva nello sguardo l’espressione di chi cerca qualcosa di cui un tempo era ricco, qualcosa che gli necessita come l’aria – eppure, se c’era, doveva essere ben nascosta sotto lo strato farinoso di neve, perché egli non parve trovarla e sul suo volto calò un’ombra di sconforto.
Con un altro sospiro ghiacciato il ragazzo si mise in moto, raggiungendo in due passi uno di quei cestini per l’immondizia che i babbani avevano disseminato nella piazza; con un moto di rassegnazione vi spinse la scatola, restando a guardarla coprirsi di fiocchi di neve per un lungo istante prima di volgersi indietro e incamminarsi verso la parete che divideva due edifici dalle luci quasi totalmente spente, fra i quali la porta di una villetta ben tenuta si stava aprendo un varco lentamente.
Quando Regulus chiuse la porta alle sue spalle, nella chiesetta vicina la campana suonò la mezzanotte del giorno di Natale. 


 


Piccolo Spazio-MePremetto che questa era la mia prima esperienza col Fluff: non è il mio genere è non l’ho mai trattato, quindi non sapevo molto bene come gestirlo.
Le date sono tratte interamente da Potterpedia (che reputo la fonte più attendibile e fornita reperibile al momento); questo per dare coerenza generale al racconto.
Alla fine c’è una descrizione di Regulus: io l’ho immaginato così, esattamente con lo stesso sguardo malinconico e la stessa faccia da ragazzo ;)
QUI è riportato il giudizio ricevuto al "The Fluff Contest". 
 
 

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Capitolo 2
*** 25 DICEMBRE 1970 ***


25 DICEMBRE 1970
 
 
Credits: Halloww

 
 Quando Sirius si era alzato in piedi, nel bel mezzo del pranzo di Natale, a Regulus era salito il cuore in gola e d’istinto aveva abbassato il capo, preparandosi alla sfuriata che sentiva nell’aria già dalla prima mattinata. 
Non che casa Black fosse nuova a questo tipo di scenate: da quando Sirius era tornato da Hogwarts, non più di tre giorni prima, la casa aveva risuonato delle grida sue e della loro madre che, coadiuvata alle volte dal loro padre – quando questi non trovava la maniera di uscire per sbrigare i suoi “affari” – riteneva ogni momento utile per biasimare il figlio e la casata alla quale “aveva scelto di appartenere”. 
Dal canto suo Sirius faceva di quest’anomalia un bel vanto, mettendo su quel cipiglio a metà fra il testardo e il superiore e, esibendo la sua migliore aria strafottente, rispondeva per le rime alla loro già troppo irritabile genitrice, il che portava puntualmente a una lite. Questo accadeva in media ogni quattro ore, triste rinnovarsi di un’abitudine già consolidata prima di Hogwarts, sebbene non fosse così accentuata. 
Eppure Regulus riteneva che quel giorno fosse stato stabilito un nuovo limite: la loro madre era diventata paonazza, compressa nel ruolo di diligente matrona purosangue che le imponeva il veto ad alzarsi e cominciare a scagliare piatti da portata contro il figlio primogenito, mentre il loro padre si era alzato di botto, dapprima imponendo il silenzio a suo figlio e poi chiamando a gran voce il servo elfo, chiedendogli la sua Gazzetta del Profeta e un bicchiere di Whisky Incendiario. Regulus era impallidito e aveva fissato a lungo le minuscole roselline d’oro incise sul bordo del piatto vuoto, cercando di farsi piccolo piccolo.
«Chi ti dice che sia io in errore? Magari siete voi, tutti voi che avete qualcosa di storto nella testa. O non ti è mai venuto in mente guardandoti allo specchio, mamma?» domandò Sirius in un soffio, tenendo il tono basso e fintamente colloquiale dell’attore collaudato che era sempre stato fin dall’età di sette anni. 
«Come osi piccolo ingrato maleducato? Giuro che delle volte non capisco come la mia carne abbia potuto generare una tale disgrazia per il nostro nome! E senza cervello, giacché…»
«Giacché non mi riesce di capire il tremendo, irreparabile errore e il fatale disonore che deriva dal non appartenere alla Casa dei Nobili» scimmiottò Sirius, sollevando la mano destra aperta a formare un becco che si muoveva al ritmo delle parole della madre. «Sei monotona mammina, lo sai?»
«Tu… sozzo, degenere! Regulus, per carità di tua madre, non crescere come lui o ti giuro, vi spedisco entrambi in mezzo ad una strada. Sirius, se almeno potessi esserne pentito, io e tuo padre potremmo intervenire, smuovere qualcuno al ministero o…» lo disse con una fredda speranza e una sicura superiorità che indissero Regulus a pensare “fa che non finisca a Grifondoro ti prego ti prego ti prego…
«Regulus? Ah, tranquilla, lui è quello bravo, vedrai. E in quanto al cambiare Casa… se anche volessi, mamma cara, la decisione è presa ed i tuoi adorati Galeoni non potrebbero cambiarla. Hai un figlio Grifondoro, che ti piaccia o no.» Sirius sorrise: non le piaceva e ne era contento, nonostante la vena di tristezza che Regulus, sollevando lo sguardo, poteva intravvedere attraverso le pieghe degli occhi. «Perdonami cara madre mia se te lo chiedo ma… mi hai fatto rientrare da Hogwarts solo per ammorbarmi il Natale delle tue stupide recriminazioni? Perché, se così è, faccio i bagagli stasera stessa e ti giuro che non mi rivedi qui neanche quest’estate. Davvero, mi faccio ospitare a Hogwarts così magari lo spirito Grifondoro mi entra meglio nelle vene. Che ne dici?» domandò Sirius, portando la sedia indietro e dondolandosi un poco sulle malferme gambe posteriori; ostentava una tranquillità invidiabile ma ora Regulus poteva vedere una vena pulsare sul suo collo a un ritmo sempre maggiore, mentre tristezza e furia gli adombravano gli occhi, riflettendosi nella piega rigida delle sopracciglia. 
«Maleducato irrispettoso!» urlò la loro madre, scattando in piedi e rovesciando una caraffa di pregiato vino elfico, cosa che riscosse il loro padre dalla lettura, ma solo il tempo necessario a chiamare l’elfo domestico perché raccogliesse il contenitore e il prezioso nettare. «Come puoi far questo a tua madre? Che genere di mostro senza decenza sei per parlarmi così?» 
La sedia di Sirius ripiombò con un tonfo sordo a terra mentre suo fratello si alzava, la faccia ora carica di tutta quella rabbia che fin a quel momento aveva represso. 
«Quello che hai generato tu, madre. Il frutto del tuo ventre. O non te lo ricordi? Distogli così spesso lo sguardo che non riesci a tenere a mente la figura di tuo figlio primogenito? Oppure ti disgusta troppo? Ah, ma io sono tuo figlio, comunque vada. E sono felice di essere una macchia nell’orgoglio per te, mammina cara, se questo mi consente di starti lontano» disse, la voce che si alzava man mano fino a diventare un urlo che sovrastava le proteste della loro madre; aveva il volto rosso e congestionato, le guance in fiamme, gli occhi lucidi.
«Vattene di sopra!» urlò lei, indicando la porta con un gesto imperioso delle lunghe dita ingioiellate. La matrona Black e Sirius erano in piedi ai capi opposti del tavolo e si guardavano come se il maggior desiderio di ognuno fosse quello di strozzare l’altro. 
«Con piacere vecchia megera!» gridò Sirius, vanificando l’effetto delle sue parole con la corsa veloce con cui lasciò la stanza. Sentirono il rumore pesante dei suoi passi riecheggiare attraverso il soffitto, poi la porta della sua stanza che sbatteva. 
Silenzio. 
«Servite il dolce» disse Walburga con stizza, cercando la compostezza che le era imposta dal suo ruolo di matrona Purosangue. 
L’elfo domestico entrò, tremolando sotto il peso dell’enorme vassoio. 
 
Quando, poco meno di due ore dopo, Regulus riuscì a sgattaiolare al piano di sopra, la casa era silenziosa. I loro genitori erano usciti, diretti a un ricevimento a casa Malfoy a cui Sirius non era stato invitato e che Regulus aveva potuto evitare adducendo come pretesto un forte dolore allo stomaco, forse a causa del poco Whisky Incendiario che il padre l’aveva convinto a bere subito dopo il dolce. Una scusa, a dire il vero: Regulus provava un genuino timore verso il figlio dei Malfoy, Lucius, che gli era sempre sembrato troppo gelido e altezzoso per i suoi gusti – ma questo non avrebbe potuto dirlo a nessuno, giacché per sua madre quello era l’esempio che entrambi i suoi figli avrebbero dovuto seguire, il modello di figlio perfetto. 
Nonostante la consapevolezza che in casa non ci fosse nessuno, Regulus saliva le scale piano, come chi si stia accingendo a compiere un’impresa blasfema o criminosa; in una mano, incastrati in bilico, aveva due bicchieri dallo stelo lungo e una piccola caraffa di succo di mele – Regulus non aveva mai potuto reggere il succo di zucca – mentre nell’altra teneva un piattino con due grosse fette di una torta al cioccolato ripiena di marmellata di castagne e guarnita di minuscoli motivetti natalizi: un capolavoro di pasticceria degno di sua madre, che non mancava di avere sempre il meglio. Per prenderla era sgattaiolato in cucina di soppiatto, sorprendendo Kreacher intento a strigliare i numerosi piatti della tavolata Black; si era intrattenuto il tempo necessario a chiedere all’elfo notizie della sua salute e a complimentarsi per l’ottimo pranzo – un vezzo gentile che avrebbe perduto negli anni a Hogwarts, per riconquistare poi una volta che si fosse trovato nuovamente in quella grande casa, solo – e infine, con voce tremante, aveva chiesto se fosse rimasta una fetta di quella grande torta che gli era piaciuta così tanto. L’elfo, compiaciuto, si era messo subito a imbandire la merenda per il suo padroncino e gli aveva rifilato due enormi fette e il succo, che sapeva piacergli. 
Così ora Regulus barcollava, le dita doloranti per il peso, verso la camera di Sirius, la porta chiusa come una sfida a entrare. Da dentro rumori sommessi di singhiozzi, piccoli tonfi, minacce sussurrate. A Sirius non doveva essere sbollita la rabbia, anzi, pareva che la solitudine l’avesse alimentata: suo fratello era un ragazzino, dopotutto, un undicenne disperato che giocava a fare il grande e finiva per risultare un gradasso arrogante, e Regulus lo sapeva. Così sollevò lentamente un piede e busso una, due volte, con la punta della scarpa. 
«Che volete ancora?» gracchiò una voce secca come una tagliola da oltre il legno. «Andatevene e lasciatemi in pace. Non dovevate uscire?» chiese Sirius, con impazienza. Regulus esitò un istante, lievemente intimorito. 
«Sono io, fratellone» disse infine, con quella sua vocina leggera ed esitante tipica del bambino riservato di nove anni che era. «Posso? Ti ho portato…»
«Entra»
«… il dolce»
«Lo vedo. Che vuoi?»
«Parlarti. È tanto che non lo faccio. Chiederti di Hogwarts… non della Casa» si affrettò ad aggiungere, perché il volto di Sirius si era oscurato. «Cioè, anche, ma non come nostra madre. Volevo sapere com’erano la scuola e le lezioni, i dormitori, le aule… insomma, cosa dovevo aspettarmi» disse con sincerità, la faccia che si apriva man mano a un sorriso di sincera ammirazione. 
«Sei proprio un bambino, lo sai?» replicò Sirius, sorprendendolo. Aveva un tono malinconico e sembrava essersi rabbonito tutto in un colpo. Regulus, incoraggiato, si mosse verso il grande letto del fratello e vi poggiò sopra piattino, bicchieri e caraffa, il tutto in bilico. Poi esitò, restando in piedi mentre il fratello si sedeva con noncuranza e continuava a osservarlo. 
«Dovrei essere qualcos’altro?» chiese Regulus, aprendo la bocca un poco, confuso. Sirius ci pensò un attimo prima di rispondere. 
«No. Così mi piaci. Ma non durerà. Non dura per nessuno» sospirò sconfortato, abbassando lo sguardo in maniera del tutto normale. Non c’era più la teatralità, tanto meno l’aria strafottente. Era il vero Sirius ora, un ragazzino di undici anni che parla col suo fratellino minore. Regulus sorrise e, senza pensare, riprese: 
«Sei fatto così, lo so. Quando ti metti in testa qualcosa poi non ti si può far cambiare idea. Dovessi decidere che il cielo è verde, continueresti a sostenere la tua tesi anche quando ti farebbero alzare gli occhi. Anzi, forse prenderesti ancora più forza dai tentativi di farti cambiare idea, credo» concluse, muovendosi di un mezzo passo indietro, quasi timoroso di vedere il fratello riaccendere la fiamma d’ira. 
Non successe. 
Sirius sgranò gli occhi, ma non rispose, limitandosi ad aprire un sorriso fra le lacrime che ancora gli bagnavano le guance. 
«Hai parlato con James di recente?» chiese suo fratello, sbottando poi in quella sua risata così simile a un latrato, alta e carica di vita, talmente coinvolgente che Regulus sorrise a sua volta. 
«E chi sarebbe?» domandò, avvicinandosi a letto e buttandovisi con forza sopra appena un istante dopo che Sirius, con mossa fulminea, ebbe spostato caraffa e compagnia sul comodino, al sicuro. 
«Lascia stare. Sei meno bambino di quanto credevo, in ogni caso» disse Sirius, continuando a sorridere in quella maniera genuina, che gli illuminava il volto di una bellezza che Regulus, lo sapeva, non avrebbe mai potuto eguagliare. 
«Perché?»
«Sei perspicace. Cerca di non diventare come loro crescendo, va bene?» disse suo fratello, accennando al piano di sotto con un colpetto della testa. Regulus annuì con decisione, forse troppa vista la smorfia di Sirius, a metà fra il fiducioso e il compatimento. «In ogni caso, che vuoi sapere?»
«Tutto. È vero che ci sono gli unicorni nella foresta? E che un drago sorveglia il cancello d’ingresso per mangiarsi i babbani che tentano di entrare e gli studenti che combinano troppo guai?»
«E questa chi te l’ha detta?»
«Kreacher. Perché, è vero? Era un segreto?»
Sirius rise, mettendosi a raccontare della scuola: dei prati e delle aule e delle scale che cambiavano posizione di giorno in giorno. Parlò della Sala Grande dal soffitto stregato e delle segrete in cui distillavano pozioni. Parlò della voliera e della professoressa McGranitt che sapeva trasformarsi in gatto e poi ancora in strega. Parlava di tutto e c’era una passione così viva e genuina che Regulus ne restò incantato, mentre nel cuore nasceva quel sentimento di gelosia verso il fratello che lo avrebbe seguito per molti anni ancora, riaffiorando nei momenti più inaspettati. A un certo punto Sirius si fermò di colpo, a metà del suo racconto del piccolo, bonario professor Vitious, e si volse al comodino con un sorriso. Regulus, che pendeva dalle sue labbra, allungato sul letto e teso come per spiccare un salto, si rilassò con un moto di delusione.
«Tranquillo fratellino. Finché i due bigotti non tornano continuo a raccontarti della scuola, ma adesso ho sete. E quella torta sembra invitante. È la mia preferita, sai? La torta al cioccolato…»
«… con la marmellata di castagne. Lo so. Cioè, so che ti piace, per questo te l’ho portata. Mi dispiaceva che tu non l’avessi potuta assaggiare perché è tanto buona. Sai, la mamma a volte esagera, ma lo fa perché ci vuole bene. Così almeno dice Kreacher.»
«E lui che ne sa? La difende perché la ama. Se fosse possibile se la sposerebbe» disse suo fratello, mimando un bacio e dando poi in una smorfia di disgusto. «Che schifo» commentò, esibendo il suo miglior cipiglio nauseato. 
Regulus non seppe cosa rispondere, così si limitò ad avvicinarsi a Sirius, sedendogli di fianco per dividere l’unico piattino assieme. Mangiarono la torta in silenzio e infine suo fratello versò a entrambi un bicchiere colmo di succo, che mandò giù tutto d’un fiato prima di fare un’ennesima smorfia.
«Ancora questa roba bevi? Ti giuro, è tremenda. Ad Hogwarts non te la daranno mai, lo sai?» sogghignò divertito, staccando l’indice dal bordo del fine cristallo del bicchiere per puntarlo sul fratello. «Solo sano succo di zucca, e guai a te se ti sento lamentarti» concluse, ammonendolo con un movimento del dito e il pericoloso oscillare del bicchiere.
«Attento, se lo rompi…»
«La mamma si arrabbierà? Andiamo, l’ha già fatto. E poi immagino si divertirebbe a comprarne di nuovi» disse Sirius con una smorfia, osservando il bicchiere con quello sguardo pericoloso e così peculiare che Regulus non ebbe difficoltà a intuire cosa passasse per la testa del fratello.
«Non romperlo, per favore. Non voglio che la mamma ti cacci via di casa» pigolò Regulus, cercando di smorzare l’ansia che era sorta nella sua voce con un calo del volume delle sue parole. 
«Non sarà un bicchiere infranto a cacciarmi, ma se me lo chiedi con quegli occhioni dolci, va bene, lo poggio qui, vedi? Sul materasso. Deve venir giù il soffitto perché si rompa» lo schermì Sirius, sbattendo le ciglia e adottando un tono infantile, quello di un adulto che parli a un bambino impaurito.
«Stupido. Non prendermi in giro!» sbottò Regulus, alzandosi sulle ginocchia e cercando di colpire il fratello e finendo con i polsi stretti fra le sue mani fredde. Restarono così a lungo prima che Sirius allungasse la lingua fuori in una boccaccia e lo lasciasse andare con un sospiro di sconforto e una teatrale alzata d’occhi, vilipendio alla forza del fratello minore. Regulus rispose con la medesima smorfia, quindi si sedette con la dignitosa calma dello sconfitto, guardandosi intorno nell’attesa che il rossore dell’imbarazzo scemasse. La stanza di Sirius era spoglia, priva dei numerosi poster della sua squadra del cuore di Quidditch, dei boccini giocattolo e delle pile di vesti ammucchiate che era solito creare suo fratello. Qua e là, tracce di MagiScotch mezzo ingiallito laddove erano appese foto o ritagli di giornale.
«Sirius, pensi di restare? Cioè, tornare qui, dopo Hogwarts… in questa casa…» chiese Regulus d’improvviso, colto da una sensazione di nostalgia e tetro vuoto alla vista di quella stanza. 
«Non lo so. Non ho idea di cosa vorrei realmente fare. Solo… sono stanco delle liti» sussurrò Sirius, d’improvviso più serio. 
«E se te lo chiedessi io?» domandò Regulus, cercando di smorzare la nota patetica che sentiva emergere nella sua voce. Quella assurda, irragionevole malinconia pareva esserglisi attaccata addosso e doveva fare qualcosa per scacciarla, anche se era sicuro di star passando per patetico.
«Fratellino, se mi guardi a quel modo non posso negarti nulla, lo sai» Sirius pareva essersi reso conto di ciò che passava per la testa a suo fratello – o forse, non era in grado di restare troppo a lungo serio – giacché il suo tono era tornato quello allegro e canzonatorio di sempre. «A quei tuoi occhi da bella cerbiatta non posso resistere. Vieni qui, fatti baciare…» senza preavviso Sirius si gettò addosso al fratello, schiacciandolo col suo peso contro il letto morbido; Regulus affondò, spostando la faccia nel tentativo di evitare le labbra del fratello, protese in maniera esagerata nella ridicola imitazione di un bacio. 
«Stupido, vattene, allontanati! Fermo!» si ribellò Regulus, cercando di spingere via Sirius – cosa assai difficile data l’altezza e la corporatura atletica del fratello maggiore. 
«Pcium, pcium. Come fa Kreacher con la foto della mamma» scherzò Sirius, stampando due grossi e sbavanti bacioni sulle guance del fratellino.
«Che schifo. Merlino, non posso pensarci!» strillò Regulus coprendosi il volto con le braccia, come a proteggersi dalla visione che Sirius aveva evocata o, piuttosto, a difendersi dal fratello maggiore che aveva preso a rialzarsi, ridendo a pieni polmoni. 
«Si, in effetti è tremendo» sentenziò infine Sirius, placando l’eccesso di ilarità e sedendosi di nuovo, pesantemente, accanto a Regulus. 
Cadde un silenzio carico di imbarazzo, come se entrambi fossero all’improvviso consci della vicinanza e di quel senso di comunanza ritrovata, così fuori posto nell’austera casa vuota. 
«Da quant’è che non stavamo più così? Insieme, intendo» disse Regulus, rompendo ancora una volta la quiete con la sua voce incerta. 
«Tanto» sussurrò Sirius, stringendosi le mani attorno al corpo snello in maniera quasi inconscia, come se cercasse di proteggersi da una corrente fredda.
«A me piaceva. Si, insomma, stare con te. Io ti voglio bene, anche se sei un Grifondoro. Sei comunque mio fratello, no?»
«Già, il tuo bellissimo e maledetto fratello maggiore, ma cambierai idea. Non subito, forse, ma dovessi finire a Serpeverde…» Sirius alzò le spalle come se quel gesto bastasse a concludere il pensiero. 
«Mamma lo vorrebbe» sentenziò Regulus, chinando la testa suo malgrado verso il pavimento. 
«Mamma e papà non capiscono. Ma io ho fiducia in te, mi sembri più sveglio di loro.»
Regulus rimase interdetto per un istante. 
«È un complimento o una sfida?»
«Non lo so» disse Sirius, enigmatico. Poi, battendosi coi palmi sulle gambe, si riscosse da quel torpore placido sfoderando il suo miglior sorriso. «Insomma, non vuoi che ti racconti di Gazza? Dovrai essere preparato ad affrontarlo quando te lo troverai davanti!» disse, improvvisamente fin troppo gioviale. 
«Gazza? E chi…» domandò Regulus, la curiosità riaccesa di colpo sul suo viso ancora delicato, segnato dalle rotondità di un’infanzia che già da tempo avrebbe dovuto abbandonare, come suo fratello. 
Fuori la neve stemperava la luce, dissolvendola e amplificandola a un tempo; riverberi dapprima grigi divennero neri e poi aranciati dalla luce dei lampioni che, sfrigolando, si accendevano lungo la via babbana innevata e solitaria. Regulus, seduto fianco a fianco con Sirius, rideva e si stupiva, per metà immerso in quel mondo fantastico che era due anni lontano da lui, per metà beato della vicinanza del fratello e della comunanza che era sorta fra loro in quel pomeriggio tetro di Natale, rinsaldata da una fetta di torta e da un bicchiere di succo. 
Sirius era a metà di una sentita discussione sull’enorme cane di Hagrid, il guardiacaccia, quando un fruscio sommesso, seguito da un richiamo imperioso, gli fece morire le parole in bocca. Dalla tromba delle scale saliva la voce tonante della loro madre che esortava Kreacher a venire a prendere i loro soprabiti bagnati e a mettere a scaldare un the. Regulus, improvvisamente spaventato, si volse verso Sirius in tempo per vedersi spingere fra le braccia i resti del loro pomeriggio assieme, la caraffa con i bicchieri incastrati alla bell’e meglio dentro e il piattino. In volto Sirius appariva trasfigurato: nulla dell’iniziale furore era scemato anzi, sembrava addirittura aumentato, come se la sola voce della loro genitrice bastasse a dargli noia.
«In camera tua, di corsa. In punta di piedi e guai a te se dici una parola di oggi pomeriggio» sussurrò Sirius, indicando con un gesto secco la porta. Regulus sgattaiolò fuori, il cuore in gola, e trasse un respiro solo quando fu al sicuro in camera sua, lontano dal possibile rimprovero di sua madre. 

 
Piccolo Spazio-Me: lo so, "la loro madre" e "il loro padre" e abbastanza ridondante e fastidioso, ma volevo che desse proprio quell'idea di ansia, distacco e estremo formalismo che, secondo me, ha Regulus verso i genitori. Ho pensato che, per fare quel che ha fatto, dovesse nutrire un profondo rispetto per loro che sfociava un po' nell'asservimento, e questo mi sembrava un buon modo per farlo vedere :D
 

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Capitolo 3
*** 1979 ***


1979
 
 
Credits: Lostknightkg

 
 Regulus si ferma sul marciapiede, lo sguardo perso fra le volute di neve che gli danzano attorno. Ha il volto arrossato, le labbra congestionate dal freddo intenso del pomeriggio, ma non vi bada. Fra le mani stringe un involto di cartone, sorretto quasi fosse di fragile cristallo: dentro, la promessa di una giornata non dissimile da quella di sette anni prima. 
Il tempo non l’ha cambiato poi molto: i tratti del volto sono sempre morbidi e le ciglia, troppo lunghe, danno un’impressione di fanciullesca malinconia e innocenza che male si sposa col marchio che gli sfigura l’avambraccio. Un accenno di barba sopra e attorno alle labbra e i capelli castano chiaro lunghi fino alle spalle - entrambi già ragnatela per i minuscoli granelli di ghiaccio che gli danzano attorno - rendono la sua figura più matura, più virile; vedendolo qualunque donna l’avrebbe definito bello, eppure non possiede che una stilla del fascino di Sirius, quel fratello lontano e grande che Regulus cerca di imitare quasi senza rendersene conto e che invidia, consapevolmente. Perfino quel giorno, perfino lì, sulla soglia della sua casa. 
Regulus non aveva mai brillato di luce propria eppure un talento l’aveva, sordido e insondabile ma talmente grande da impedirgli di rendersene appieno conto: disciplinava la sua mente, nascondeva emozioni e sensazioni dietro una coltre di servilismo schietto e un distaccato disinteresse. Perfino a Lui, perfino al suo Signore. 
L’aveva imparato a casa sua prima, giorno dopo giorno, e poi ad Hogwarts; aveva imparato a nascondere il suo affetto per Sirius e poi il suo disprezzo per i “compagni” Mangiamorte e infine l’odio, puro e ribollente, che provava verso quel padrone senza remore o pietà cui era costretto a sottostare, muto e apparentemente impotente. 
Poteva nascondere a Lord Voldemort quasi ogni cosa, schermarla dalle continue intrusioni che l’esperto Legilimens operava ai danni dei suoi sottoposti, e questo era stato il suo punto di rivalsa. Aveva impiegato anni per affinare egli stesso la Legilimanzia e, quando alfine l’aveva padroneggiata in maniera sufficientemente buona, aveva torchiato quell’idiota codardo di Peter Minus affinché gli desse informazioni sul luogo nel quale si vociferava Sirius si nascondesse; quel voltagabbana, già lieto della possibilità d’essere ammesso nella cerchia, aveva collaborato ben più mitemente di quanto si fosse aspettato Regulus il quale, sorprendentemente, ne aveva ricavate abbastanza informazioni da comprendere la necessità di cancellare parte della memoria a Minus: era pericoloso e Regulus sperava di poter arginare questa sua dannosità con un rimedio come l’Oblivion. 
Così, quando l’esatta ubicazione della casa di suo fratello gli era stata rivelata, Regulus aveva ordito il proposito di fargli visita per riferirgli del tradimento e, perché no, anche del piano che andava costruendo da quando era venuto in possesso delle informazioni sul suo Padrone. Dall’incontro con Minus erano passati poco più di quindici giorni, ma solo questa mattina Regulus aveva trovato la forza di attuare il suo proponimento: dunque aveva lasciato il sontuoso pranzo di famiglia e si era Materializzato all’incrocio della via indicatagli dal Malandrino traditore, esattamente laddove sapeva trovarsi la casa. 
Non  c’è alcun incanto Fidelius a proteggere l’abitazione, solo una basilare barriera anti babbani simile a quella della dimora dei Black e qualche incantesimo di difesa sparso per il giardino rinsecchito. 
Regulus suona il campanello e attende, ritto dinnanzi al cancelletto di legno sbeccato, che la faccia di Sirius spunti dall’uscio serrato, nella sua immaginazione così simile a quella porta chiusa del giorno di Natale di qualche anno prima, il giorno che Regulus ricorda con così tanto affetto perché li ha visti uniti per l’ultima volta. 
Eppure, la faccia che si palesa oltre la soglia non è quella irata eppure benevola del ricordo ma un volto carico di un odio così radicato che Regulus deve trattenersi dal fare un passo indietro. Deglutisce invece e, con un moto di coraggio, muove per spingere il cancelletto avanti. 
«Fermati. Se fai un altro passo ti Schianto, è una promessa» sussurra Sirius mostrando la bacchetta levata e squadrando torvo Regulus. «Che cazzo vuoi?» sussurra poi, talmente piano che pare non voglia disturbare la quiete ovattata del suo misero giardino. 
«Sirius io…» attacca Regulus ma s’accorge di non saper continuare. Cosa dire per scusarsi? Come fargli capire – meglio, credere – che non è quello che lui crede? 
«Tu. Dovresti essere con i tuoi amichetti. A leccare i piedi di quel maledetto assassino con la tua allegra compagnia. E che cazzo hai in mano?» ringhia Sirius, indicando con la mascella contratta il pacco di cartone su cui qualche fiocco di neve inizia già a posarsi.
«Sirius, permettimi di spiegare ti prego. Permettimi di… fammi entrare. Sediamoci e…» comincia Regulus, la voce che trema, le parole congelate in gola che si rifiutano di salire alle labbra restando incastrate lì, in un groppo doloroso. È convinto, ancora convinto che, se solo si siederanno l’uno di fronte all’altro nella misera cucinetta, ogni problema verrà risolto, ogni divergenza appianata. Forse perfino quei nove anni potranno essere dimenticati, spazzati via come la neve dagli abiti.
Ci crede, aggrappandosi a quel sogno con tutte le sue forze – ma non sa lottare, non è mai stato in grado. 
«Tu vorresti entrare in casa mia? Un Mangiamorte nella casa di un membro dell’Ordine?» domanda Sirius retoricamente e poi sbotta in una risata senza allegria, cupa e rombante come il latrato di un cane messo alla corda. Regulus impallidisce, improvvisamente colto dal panico.
«Non dovresti dirlo così… così apertamente. Vi stanno dando la caccia, Sirius. Se qualcuno ti sente…»
«Mi hai sentito tu, no, sporco Mangiamorte? Coraggio, vallo a riferire al tuo Padrone, digli che non ho paura, che può provare a venirmi a prendere quando vuole» dice Sirius, sfidandolo con la cieca decisione che, Regulus lo sa, altro non è che una reazione alla paura. 
«Sirius ti prego, io non…» attacca Regulus, sempre meno convinto.
«Mi fai schifo Regulus. Te l’avevo detto, no? Sei cambiato, sei come loro, come tutti loro. Un venduto, un assassino, un maledetto pezzo di merda. Ma non mi avrete, né tu né loro. Diglielo.»
«Sirius io…»
«Vaffanculo Regulus, possibilmente lontano da qui. ORA!» La voce di Sirius è un grido adesso, la bacchetta levata manda scintille di un pericoloso rosso brillante. Regulus non attende oltre; con una piroetta men che leggiadra scompare nell’aria della notte lasciandosi dietro una parte di sé.
 
Delle volte, guardandosi allo specchio, Regulus può vedere Sirius nei suoi stessi tratti: una versione più bella e forte di sé, con quel suo sguardo strafottente e la libertà negli occhi. Sono così simili fisicamente, loro due, che spesso si chiede quale caso li abbia voluti così diversi nell’animo; e sotto sotto Regulus invidia Sirius per questa sua forza, per la tenacia con cui ha saputo liberarsi dei vincoli e delle costrizioni che il loro status imponeva – e lo odia, perché è lui stesso ora a doverli portare, a dover reggere il “buon nome di famiglia”.
L’ha fatto: nonostante non sia mai stato in grado di brillare, è divenuto comunque un figlio di cui sua madre può essere fiera – o almeno così gli piace pensare, giacché Walburga pare non poter essere contenta di nulla. Ha scelto la strada che tutti si aspettavano prendesse e fatto le scelte che si reputava fossero giuste… fino ad ora.
Ha voglia di ribellarsi, voglia di fare per una volta la cosa che ritiene giusta. Per questo era andato a trovare Sirius: vuole che lui sappia perché c’è il rischio che di giustizia Regulus muoia; eppure Sirius non c’era, come non c’era da molto, molto tempo: da quando, in una tiepida giornata di settembre, il Cappello venne calato sulla sua testa e, scioccamente, Regulus pensò “ti prego no, non a Grifondoro, ti prego, o mia madre mi ucciderà”; e, nonostante avesse delle remore, il copricapo pronunciò la parola “Serpeverde” dividendoli definitivamente, in un modo che solo ad anni di distanza Regulus poté veramente capire. 
Dunque si lascia la torta alle spalle, sepolta fra le cartacce e i mozziconi di sigaretta dei Babbani e non si volta più a vedere la forma sempre meno distinta via via che la neve ne smussa i contorni, ricoprendola. 
Forse la primavera farà emergere tutte le buone intenzioni che racchiudeva; forse, una volta che la neve si sarà sciolta e il freddo dissipato, Regulus potrà trovare il coraggio di tornare davanti a quella porta e affrontare suo fratello.
È con una speranza nel cuore e la determinazione nelle membra che Regulus varca per l’ultima volta la soglia di casa sua. 
È la sera di Natale del 1979. Fra poche ore, Regulus s’immergerà negli abissi di una grotta senza nome, per non riemergerne mai più. 

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