Sogno o son desta?

di Ray Wings
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bel risveglio, certo! ***
Capitolo 2: *** Dove diavolo sono? ***
Capitolo 3: *** Certo che è proprio strana. ***
Capitolo 4: *** Non abbiamo altra scelta. Dobbiamo affrontare le lunghe tenebre di Moria. ***
Capitolo 5: *** Desideri guardare nello specchio? ***
Capitolo 6: *** Domani è già qui! ***
Capitolo 7: *** Se solo mi svegliassi! ***
Capitolo 8: *** Non ho niente da perdere. Forse. ***
Capitolo 9: *** Why is the rum gone? ***
Capitolo 10: *** Non ho intenzione di....ehi! E' un'ottima idea! ***
Capitolo 11: *** Scusami tanto, Macho Man, ma io non ce la faccio più! ***
Capitolo 12: *** "Lui più di tutti si è sentito tradito" ***
Capitolo 13: *** Un'ombra che la notte ha cancellato. ***
Capitolo 14: *** Signora della preveggenza o angelo? Nessuno dei due. ***
Capitolo 15: *** Ti sbagli, sono solo una ragazza molto egoista e fortunata. ***
Capitolo 16: *** Come diventa facile voltarsi e non guardare, come diventa facile pensare non è colpa mia. ***
Capitolo 17: *** Lacrimosa dies illa, qua resurget ex favilla judicandus homo reus. ***
Capitolo 18: *** How to save a life? ***



Capitolo 1
*** Bel risveglio, certo! ***


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<< Io ti avrei seguito, fratello mio, mio capitano…mio Re >>.
Stop.
Rewind.
<< Io ti avrei seguito, fratello mio, mio capito…mio Re >>.
Stop.
Rewind.
E ancora, stop, e ancora rewind, finchè il sonno non mi avrebbe preso di nuovo con sé, come tutte le notti. Non ne capivo bene il motivo, ma adoravo quella scena, mi commuoveva, mi rallegrava, mi rattristava. E quanti sogni facevo, forse troppi, data la mia età avrei dovuto smettere di farmi certi filmini mentali già da tempo.
“22 anni e ancora sogni di prendere parte a certe meravigliose avventure, come una bambina sogna di aspettare il suo principe azzurro, su un cavallo bianco, attendendolo in una una torre…e magari tale principe ti avrebbe anche gridato << Raperonzolo sciogli i tuoi capelli! >>”. Era ridicolo, non c’era che dire, infatti per questo che tenevo per me le mie passioni e le mie ridicole fantasie. 22 anni di fallimenti però erano stati abbastanza convincenti, le fantasie erano le uniche casupole con caminetto acceso in mezzo a boschi in piena pioggia.
Reclinai la testa all’indietro poggiando la nuca sul letto, sospirando e lasciando cadere morbidamente la mano lungo il fianco fino a toccare il caldo parquet su cui ero seduta abbastanza disordinatamente.
Insomma, a ventidue anni si spera che una si sia realizzata in qualche modo, ma per me era impossibile. Forse per colpa mia, o forse NON per colpa mia, o forse entrambe le cose. A scuola non ero mai stata una cima, non che fossi una bulletta in piena crisi adolescenziale mossa solo dall’istinto di ribellione verso qualcosa che nemmeno conoscevo, ma solo perché adoravo leggere e preferivo perdere le giornate dietro qualche bel libro fantasy anziché dietro numeri o pensieri di filosofi morti secoli prima. E poi c’è anche da dire che sono sempre stata una con…1 pelo per ogni lingua. In parole povere non pensavo prima di parlare e dicevo tutto, ma proprio tutto, e questo molte volte mi è costato un cinque in condotta. Un insieme di cose che mi hanno portato allo sfracello, a litigi in casa, e a un paio di anni in più da passare entro le mura del liceo. Solo ora mi rendo conto dell’importanza di fare un paio di nodi alla lingua e di quanto la gente potente abbia….potere su di te.
E l’università?? Non ne parliamo! Mamma mi aveva dato una sola possibilità “o entri, o vai a lavorare”, non che mi volesse male, ma non aveva le forze economiche adeguate per aiutarmi negli studi quindi o dimostravo di volermi impegnare davvero o davo una mano in casa con altri mezzi.
Forse ecco perché molti miei compagni hanno tentato il test d’ammissione a più università, ma io ero testarda! Volevo fare veterinaria e ho provato solo lì con un ottimismo che  mi ha portato maggiori delusioni quando vidi la mia posizione in graduatoria.
Inutile insistere, ero una fallita e tale sarei rimasta. Continuai allora nella mia passione di lettrice e scrittrice lavorando come barista in un pub non molto lontano da casa mia, lavoro che DETESTAVO. La maggior parte degli uomini che entravano lo facevano solo con l’intenzione di ubriacarsi e portarsi a letto la barista, l’unica del locale, IO! Ogni volta che mi allontanavo da quei bulletti temevo che all’uscita dal locale li avrei trovati con spranghe e catene tra le mani, odiavo, odiavo con tutta me stessa quella vita! Miseriaccia!
Ecco perché la fantasia, i libri e i film erano la mia unica finestrella per respirare un po’ d’aria pulita di campo dopo un’intera vita in città tra smog e odore di cassonetti pieni.
Ok, forse esageravo. Ma d’altronde che opportunità avevo di fronte a me? Nessuna!
E allora eccomi lì, davanti a un televisore mentre mi guardo per la…penso sia stata la 25esima volta, Il signore degli anelli. Storia a dir poco meravigliosa, la conoscevo tutta a memoria! E come può capitare a chiunque nell’appassionarsi a una storia ci si appassiona a un personaggio in particolare, che sia un protagonista o meno, c’è sempre qualcuno che ci affascina di più rispetto agli altri.
Per me era lui.
Incredibile, ma vero.
La sua figura di uomo fiero e valoroso, che si vuol dimostrare di ferro ma in realtà è debole tanto da arrivare a tradire i propri compagni.
Lui, l’Uomo per eccellenza, colui che pentendosi del suo errore si è sacrificato per i suoi amici, colui che è morto con valore.
Lui, la figura più tormentata di tutta la storia, quello che subisce una guerra maggiore al suo interno rispetto a quella che combatte con spada e scudo.
Lui.
Boromir.
Era incredibile come era riuscito a rendermi completamente partecipe dei suoi sentimenti nonostante l’autore e il regista non ne parlino poi in maniera troppo approfondita, ma infondo era questo il bello: il lasciar spazio alla mia immaginazione, era come per un uomo vedere una donna con una lunga gonna che le lascia scoperte solo le caviglie. Lo eccita di più che di una donna in minigonna perché lascia spazio all’immaginazione che può rendere le cose ancor più belle e interessanti di quello che in realtà siano.

Senza spostare lo sguardo da sopra il soffitto spensi il televisore e mi trascinai a peso morto sul letto, dove mi addormentai all’istante. Era stata una giornata pesante e fare le 5 per vedere di nuovo il DVD del Signore degli Anelli non era stata la cosa migliore quel giorno.
Eppure dormii beatamente, cullata dalla magnifica voce di Enya, udendo in lontananza spade che si incrociavano e scudi che si spezzavano. Un corno in richiesta di aiuto.
E poi, non contenta di ciò che avevo appena visto con gli occhi, vidi anche con la mente, nei miei sogni, quel volto da uomo rude che tanto mi affascinava e il momento della sua valorosa caduta.
A volte mi chiedevo come sarebbe proseguita la storia se lui si fosse salvato, se Aragorn fosse arrivato prima, se Merry e Pipino non fossero stati così sciocchi da attirare l’attenzione su di loro per poi lasciarsi catturare.
Cosa avrei dato per riuscire a vedere il suo volto, accarezzare, sfiorare con la punta delle dita il sangue che colava al di fuori del suo corpo, sentirne il calore, magari anche aiutarlo, salvarlo e…poter sentire sulle sue labbra il sapore della morte appena sconfitta.
Molte volte ci avevo pensato, così tante da farne diventare una vera e propria ossessione, avevo scritto tante volte su un pezzo di carta come mi sarei comportata in caso, una fan fiction  su come lo avrei salvato e come me ne sarei innamorata.
Un altro sospiro, impercettibile nella notte.
Urla.
Urla nel fuoco.
E un occhio che guarda il mondo che presto farà suo.
Non fu un sogno tranquillo quello, aveva sognato i magnifici paesaggi della Nuova Zelanda usati da Peter Jackson nel suo film, ne aveva immaginati di nuovi, aveva visto volti e baciato labbra morenti. Ma ovunque c’era morte, distruzione, la fine, l’oscurità che in un abbraccio di fiamme ingoiava quel meraviglioso mondo che era la Terra di Mezzo.
La fine.
O forse… l’inizio.

Il risveglio fu altrettanto spaventoso, forse più del sogno. Anzi, no, sicuramente più del sogno. Mi ero addormentata beata tra le fresche lenzuola, ritirate quella sera stessa dal bucato, abbracciando il mio orsetto (ebbene sì, dormivo con un orsetto) e mi ero risvegliata su un prato bagnato di rugiada, con il sole che mi abbagliava nelle sue prime ore del giorno e abbracciata a un sasso sporco di fango, muffe e muschio.
Spaventata mi alzai in piedi, eppure ero sempre in pigiama, segno che non ero giunta lì dopo una sbornia al pub con gli amici. Ero veramente andata a dormire. Che fossi sonnambula? Sì, ma anche fosse… come diavolo avevo fatto ad arrivare in quel posto sconosciuto? Non c’era l’ombra della città nemmeno se guardavo verso l’orizzonte, solo prati, boschi, sassi e colline. Un fiume scorreva poco più avanti, ai piedi di quella collinetta su cui mi ero svegliata, molto carino a vedersi ma
<< DOVE DIAVOLO SONO?? >>.
Ok, ero in preda al panico più accecante. Cercai di fare mente locale: ero in pigiama nel bel mezzo del nulla, la sera prima ero nella mia camera e adesso mi trovavo lì… nel bel mezzo del nulla!!!! Nulla!
Però in quel nulla doveva esserci per forza qualcosa, qualcosa che forse riposava beatamente e che il mio grido aveva svegliato. Sentii un urlo di uccelli dietro di me, un urlo terrificante che mi fece venire i brividi a partire dal tallone fino alla punta dei miei capelli biondi sparati verso l’alto grazie al fango che aveva fatto da gel.
Mi voltai improvvisamente sicura che quell’urlo fosse provenuto da dietro di me e non mi sbagliai. Un grosso uccello nero volò a qualche centimetro dalla mia testa urlando chissà quale maledizione contro chissà chi. Non che la cosa mi interessasse più di tanto, ma quella planata e quelle sue imprecazioni in uccellesco causarono la mia caduta giù per la collina. Rotolai come una pallina ferendomi con qualche sassolino e sporcandomi tanto da sembrare che avessi fatto una tinta ai capelli per diventare mora con meches verdi e un operazione chirurgica alla pelle per diventare marocchina.
Non ebbi purtroppo modo di constatare troppo i danni in quanto una volta arrivata in fondo e caduta nel fiume avevo già perso i sensi. Mi salvai solo grazie ad un tronco e alla forza della disperazione che prima di abbandonarmi insieme ai sensi  mi aveva portato ad abbarbicarmi come un’edera a questo mia ciambella con paperella improvvisata.

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Capitolo 2
*** Dove diavolo sono? ***


“Dove diavolo sono? Dove diavolo sono? Dove diavolo sono?”
Domanda che rimbombava nella mia testa come un urlo in cima a una montagna e che, avendo lo stesso effetto, cominciò a trasformarsi in “Ve diavolo sono?... diavolo sono?.... volo sono?....sono?”.
Mi ripresi pian piano e il sentire di nuovo delle lenzuola sotto di me mi rincuorava.
“sono?” continuava l’eco dei miei pensieri.
Riuscii anche ad avere sensibilità nelle dita dei piedi che mossi convulsamente per constatare che ci fossero ancora tutte.
“sono?”.
Ok, stavo sicuramente prendendo conoscenza.
“sono?”.
Mi ricordai dell’esperienza appena avuta.
“sono?”… “sono?”… “sono?”…
<< SONO VIVA!!! >> Urlai aprendo gli occhi all’improvviso e alzandomi a sedere. Ok, sì, ero viva veramente! Che bello! E mi ero sognata tutto perché ero in un letto e non più in mezzo al nulla.
Ma…
Quello non era il mio letto.
Quella non era la mia stanza.
E…quello non era il mio pigiama!!!
Non ci stavo più capendo niente.
<< Dove diavolo sono? >> ecco un’altra volta. Quelle parole ormai sembravano essere le uniche che fossi in grado di dire, se mi avessero chiesto il mio nome in quel momento probabilmente avrei risposto “Dove diavolo sono?” e sarei stata chiamata in quella maniera per il resto della mia vita.
Mi ammorbidii sul letto, non era il caso di irrigidirsi, anche perché stavo cominciando a perdere le speranze di capirci qualcosa. Le risposte sarebbero piovute dal cielo come aveva fatto quell’uccellaccio del malaugurio. Tanto in quel momento non c’erano colline o fiumi, quindi il massimo del pericolo che avrei corso sarebbe stato quello di cadere dal letto.
La porta alla mia sinistra si aprì e una splendida fanciulla vestita di un incantevole abito nero e rosso in velluto si fece avanti guardandomi con gli occhi pieni di allegria.
<< Siete viva allora! >>.
Lei…Possibile che…no, stavo ancora sognando!
Non poteva essere veramente Arwen! Sì, sicuramente stavo sognando, accidenti dovevo fare i complimenti a me stessa al risveglio non ero mai riuscita a sognare qualcosa di tanto realistico.
Intanto però era meglio muoversi che rimanere imbambolata con la faccia da triglia e gli occhi puntati sul vestito dell’elfa come uno scippatore punta la borsetta di una povera vecchietta.
No, forza! Dovevo parlare…dire qualcosa… anche un semplice “Arwen!” con meraviglia. Sarebbe stato già un buon inizio.
<< E bello vedervi sveglia, abbiamo temuto il peggio >> continuava a parlare lei avvicinandosi.
“Forza parla!!!” Mi imponevo “Dì, A-R-W-E-N… non è difficile. Dai su, bocca, ripeti con me AAAAAArweeeennnn”
<< Dove diavolo sono? >> Ecco era proprio quello che intendevo! Forse ero davvero diventata minorata mentale, forse davvero avevo perso la facoltà della parola…e se mischiassi le tre parole dell’unica frase che ero in grado di dire? Chissà che non avrebbero assunto un significato diverso. Magari il dire “Sono diavolo dove?” era un modo per dire “ciao, come stai?”, e se avessi fatto l’anagramma? “Lodo vove disaono?” poteva voler dire “tutto bene, grazie e tu?”.
<< Siete a Gran Burrone, vi abbiamo trovata priva di sensi nel fiume e vi abbiamo dato cure e abiti puliti. Vi sentite meglio? >>
Forza! Era il mio momento! Avevo avuto la mia risposta, ora dovevo mostrare di non aver sbattuto la testa tanto forte da aver rincoglionito quel povero cricetino che correva nella ruota all’interno del mio cervello. Dai, su! Potevo farcela! Bastava aprire la bocca e dire qualcosa che non fosse…
<< Dove diavolo sono? >> E dopo questa potevo benissimo alzarmi, aprire le finestre e provare l’ebbrezza di volare senza l’uso di un paracadute. Arwen mi guardò un po’ torva, e meno male! Io fossi stata in lei avrei reagito anche peggio.
Scossi la testa, dovevo ritornare in me! Assolutamente.
<< Sì..bene >> ehi!! Era già un enorme passo avanti! Facevo grandi progressi, se i commissari dell’Università mi avessero visto apprendere con così tanta bravura l’arte della parola mi avrebbero sicuramente preso………ma non diciamo boiate!! Avrebbero fatto riaprire i manicomi solo per me.
<< Dovete aver battuto forte la testa, penso che abbiate bisogno ancora di un po’ di riposo. Qui siete al sicuro, dormite pure >> E Arwen si impossessa della palla, scarta gli avversari, tira un calcio alla sottoscritta tiraaaa….e fa goallllll!!!! Lo stadio in delirio, stending ovation per la grandissima elfa campionessa della coppa Italia. 
<< Posso sapere solo il vostro nome, prima che vi lasci sola? >>.
Codice rosso!
Codice rosso!
Codice rosso!
Il nome?? Ehi, se mi chiedeva di spiegarle perché E=MC al quadrato sarebbe stato più semplice.
Qual’era il mio nome? Suvvia!! L’avevo ripetuto e scritto così tante volte in quei 22 anni, non poteva essere un semplice trauma da quattro soldi come quello a bloccarmi, nella vita capita di peggio che addormentarsi in camera propria e svegliarsi tra i campi di un libro fantasy e essere attaccata da un oggetto volante non identificato.
Il nome, su. Non era difficile. Una volta ne avevo uno…cominciava per…T…T…Tabaccheria? No, no quello era il nome della donna che vendeva le sigarette a mio fratello. Forse era…C…C…C…cencio? Si, c’era il 90% di possiblità che mi chiamassi Cencio, meglio conosciuta come Straccio!
Aspetta! Straccio.
S… sì!! Cominciava per S!
<< Susanna! >> dissi istintivamente, poi sgranai gli occhi << No! Sterile >> Ma che stavo dicendo?! Cosa gliene poteva importare all’elfa se ero fertile o meno!
<< No, no. S..scuderia! Sole! Stirare! Staffetta! Salmone! Sciacquetta >> No, non era proprio il caso.
<< S…S…>>
<< Non vi ricordate il vostro nome? >> Mi venne incontro Arwen, visibilmente preoccupata.
<< S..sturalavandini! Stolta!!!! >> Non mi arrendevo. Ero sicura cominciava per S, ma qual’era? Beh, forse il nome Stolta non sarebbe poi stato tanto inappropriato per una come me.
<< Sciaquone! >> niente niente! Continuavo a dire cose senza senso! << S…s…S……… Dove diavolo sono? >> ecco, finalmente ero tornata in me e dicevo cose sensate. << Ok, non preoccupatevi >> Mi sorrise Arwen, poveretta cosa le stavo facendo passare. << Riposate ancora un po’, forse più tardi ve lo ricorderete >> E si allontanò dal letto. Io mi ero arresa e mi ripromisi che mai più avrei parlato finchè non fossi tornata a casa.
La guardai andar via ancora più confusa di prima: che dovevo fare? Che stava succedendo? Ma soprattutto..
<< Dove diavolo s…>> Eccolo!!!! Era tornato! Ne ero sicura! << Sophia! >> Urlai così forte da far sobbalzare la povera elfa che entrando nuovamente in camera si guardò attorno convinta che avessi chiamato qualcuno.
<< Sophia >> Ripetei entusiasta, non osai aggiungere altro.
<< Vi chiamate Sophia? Bene, sono contenta che ve lo siate ricordato. >>
Sorrisi entusiasta e mi levai le lenzuola da di dosso. Ovunque ero, per qualsiasi motivo ero lì non osavo riaddormentarmi! Mi trovavo in una bellissima favola e anche se il cervello nella colluttazione con i sassi durante la caduta doveva aver avuto qualche danno alle manopole e ai fili tanto da farmi dire cose prive di logica e fondamento, avrei trovato il modo di passare lo stesso una bella giornata.
<< Ma no! Stendetevi, dovete riposare! >> Tentò di dirmi Arwen ma né io né il cricetino Ruphus del mio cervello l’ascoltammo e uscimmo di corsa dalla stanza ignara del fatto che ero con addosso una vestaglia da notte.
Ok, forse era meglio se rimanevo a letto. Che fossi invecchiata improvvisamente?? Mi tastai la faccia, non c’era traccia di rughe e i miei capelli…li guardai: erano sempre biondi! Ok, non ero vecchia, ma allora perché non riuscivo a stare in piedi? Le ginocchia mi tremavano tanto che dovetti aggrapparmi alla porta per non cadere a terra e sentivo una fitta di dolore partire dal ginocchio sinistro e arrivare fino alla spalla destra.
Un neonato sarebbe stato più capace di me in quel momento. Arwen mi venne incontro e mi aiutò a rimanere in piedi e a non accasciarmi a terra come un pera cotta appena lanciata contro il pavimento, atterrando con un sonoro SPLASH!
<< Dovete tornare a letto, Sophia, non vi siete ancora ripresa completamente, siete gravemente ferita. >>
Ecco risolto l’arcano, appena fossi riuscita a riacquistare il potere della parola l’avrei ringraziata, in quel momento non osavo dire assolutamente niente.
Ok, forse aveva ragione l’elfa, forse avrei fatto meglio a tornare a letto, non riuscivo nemmeno a  reggermi in piedi! Come diavolo avrei fatto a girovagare per quel luogo meraviglioso osservando i magnifici alberi, le stanze decorate in maniera divina, come avrei fatto a conoscere quegli elfi dalle movenze e dalla grazia così eleganti? Come avrei fatto ad ammirare la natura che circondava quel posto, le rocce scoscese delle montagne degne dell’Eden? Come avrei fatto a…. al diavolo!!!!! Non sapevo camminare? Perfetto! Avrei gattonato! E se non riuscivo nemmeno a gattonare avrei strisciato!
“Mettiti tu a letto, Miss Fortuna!”pensai e cercai di raccogliere in me tutte le energie impegnandomi come Goku si impegna per diventare super Sayan. Non mi sarei stupita di vedere i miei capelli rizzarsi sopra la testa e un’aura avvolgermi  rumoreggiando con uno strano “swish swish swish”.
Ok, Sophia, un passo alla volta. Non è difficile. Alzai una gamba “bravissima!!!! Continua così!” esultai dentro di me e tentai di posare la gamba a terra ma non resse il peso del corpo e caddi a terra.
SPLASH!
Ero sicura di averlo sentito.
<< Ohi ohi >> Mugolai. Incredibile!! Avevo detto altre parole.
Andiamo, Sophia!! Non potevo tradirmi proprio in quel momento, Ruphus doveva darmi una mano, poveraccio chissà com’era conciato povero criceto nella mia mente!
In quel momento sentii un rumore di zoccoli provenire da un piazzale poco lontano.
<< Devono essere arrivati i rappresentanti delle razze per il Consiglio di Elrond. >> Disse Arwen più a se stessa che a me.
Mi alzai all’improvviso! Rappresentati delle razze? Consiglio di Elrond? Ero DENTRO la storia!
Cominciai a saltellare gioiosamente andando verso il piazzale, come Heidi saltellava verso le sue pecorelle, e canticchiando la colonna sonora del film a voce così alta che non mi sarei stupita se Arwen fosse corsa da suo padre urlando “E’ posseduta!!! Chiama l’esorcista!”.
Arrivai ad un balcone che dava sul piazzale da cui si poteva accedere attraverso una scalinata fatta con della pietra così bianca da sembrare innevata.
Mi affacciai dal cornicione con gli occhi lucidi e li vidi. Stavano arrivando, uno dopo l’altro: Legolas, Gimli, Boromir e altri nani, elfi e uomini. Ma che sogno stupendo!!! Non mi sarei voluta svegliare mai più! Ma…nei sogni si può provare dolore? Evidentemente sì.
Corsi verso la scala gridando << Ommioddio, ommioddio, ommioddio, ommioddio, ommaaaaaaaaaaahhhhhhhhh >> No, l’ultimo non era un imprecazione e nemmeno un urlo di gioia, era semplicemente il risultato di un piede messo male su uno di quegli scalini assassini e di una scivolata giù. Raggiunsi il piazzale di sedere, ora ero completamente distrutta. Non mi sarei stupita se nell’alzarmi in piedi braccia, gambe e testa si fossero staccate dal resto del corpo, se fossi stata di bulloni invece che di carne e ossa sicuramente mi sarei ritrovata con la testa a pochi metri dal corpo che gridava direttive a quest’ultimo per andare a riprenderla.
<< Tutto bene? >> Un voce!!!!!!!! Spalancai gli occhi…una mano!!!! A pochi centimetri dal mio naso, una mano aperta mi stava parlando! Accidenti quanti calli! Guardai sconvolta la mano, non ricordavo che Tolkien avesse infilato anche mani parlanti nel suo racconto.
<< Sì, più o m…>> fermi tutti. Un polso. Un braccio. Una spalla. Un corpo. Un volto. Oh mamma! Un volto! Una testa! Oh mio Dio! Una testa attaccata a un corpo. Ok, no forse questo non era poi tanto strano, ma…quella testa!
Non UNA testa, ma QUELLA testa.
Boromir.
“Ok, Sophia. Mantieni la calma, hai fatto passi da gigante, puoi benissimo concludere la frase che avevi iniziato anche di fronte all’uomo che per anni hai sognato.” Insomma non era cambiato niente se non che adesso avevo di fronte un…bellissimo corpo scolpito, che si teneva in piedi fiero come uno stallone, con mani callose segno di battaglie affrontate e vinte, mani che avrebbero potuto trasmettere a una ragazza la sicurezza di cui aveva bisogno, e con un viso da uomo rude, da vero uomo! Con una barba ispida ben curata e occhi azzurri come il cielo, così belli, profondi e penetranti.
…..
Per quanto tempo ero rimasta immobile a guardarlo con lo sguardo da tartaruga in pieno orgasmo?
Forse troppo, decisamente troppo, e sicuramente non ero passata inosservata in quanto lo vidi alzare un sopracciglio imbarazzato, sicuramente nessuno gli aveva mai fatto una radiografia tanto accurata.
Bene, era ora di riprendersi. Dovevo, ahimè, parlare. Dai, c’ero riuscita fino a quel momento, sembrava mi fossi ripresa dal momento in cui Heidi era corsa incontro alle sue pecorelle, era facile! Avevo già detto metà della frase, mancava un piccolo passetto per arrivare al traguardo.
Mossi le labbra…ma non uscì suono.
Ok, Sophia, ricorda devi muovere simultaneamente labbra, lingua e far uscire aria facendo vibrare le corde vocali. Non mi era mai parso tanto difficile!
Ok, con il movimento di labbra c’ero.
Ritentai muovendo solo la lingua. Ma che brava!!!
Ok, ritenta sarai più fortunata!
Rimasi a bocca spalancata emettendo un flebile << Eeehhh >>.
“Ruphus maledizione!!! Devi far fare le tre cose contemporaneamente! Smettila di prenderti gioco di me!” Dai, le tre cose separatamente ero riuscita a farle, ora dovevo…
<< Dama Sophia! >> Sentii urlare dalle mie spalle, Arwen mi era venuta dietro…ma perché ci aveva messo tanto ad arrivare? Soffriva anche lei la sindrome del bagnino di BayWatch?
Boromir alzò la testa e guardò Arwen scendere gli scalini per venire verso di me.
<< Mia Signora, Arwen. Ho udito un urlo e ho veduto lei >> disse indicandomi con un cenno del capo << Cadere dalle scale. Temo abbia battuto la testa. >>
Sei arrivato tardi bel fusto, l’avevo già battuta prima chissà quante volte.
<< Glielo avevo detto io che era meglio se rimaneva a riposo un altro po’ nel letto, l’abbiamo trovata questa mattina nel Bruinen priva di sensi e gravemente ferita >>
<< Dove diavolo sono? >> Chi diavolo mi aveva interpellato?!?!?!
<< Credo abbia subito un grosso trauma non fa altro che ripetere questa frase >>.
Trauma? Nessun trauma, semplicemente Ruphus doveva aver esagerato  con le scorte del vino che aveva in cantina.
<< Ora capisco il perché del suo comportamento >> sorrise compassionevole Boromir guardandomi. “Non guardarmi così! Non guardarmi così! Il cuore!!! Qualcuno fermi il mio cuore, sta fuggendo!! Prendetelo!!!”.
Intanto però nessuno si degnava di aiutarmi ad alzarmi! Bah, questi elfi con manie di protagonismo, me ne sarei ricordata mia cara Arwen, avrei avuto la mia dolce e succulenta vendetta.
<< Volete che vi aiuti a riportarla in camera sua? >>, disse il galantuomo. Ma che carino, si era finalmente preoccupato di questa povera disgraziata che spelava le margherite pensando “m’ama non m’ama” mentre aspettava di essere messa in piedi.
<< No, non preoccupatevi >>
VENDETTA!!!!!
<< Elrond vi starà aspettando per cominciare il suo consiglio, non fatelo aspettare ancora >>.
Boromir fece un inchino e si allontanò.
Intanto, nella mia testa, qualcosa di strano stava accadendo. Ruphus aveva alzato la musica a palla e aveva cominciato a ballare cantando a squarciagola “consiglio di Elrond! Consiglio di Elrond!”.
Mi misi a quattro zampe e cominciai a gattonare velocemente nella stessa direzione di Boromir: non dovevo perdermelo!
<< Dama Sophia dove andate! Tornate indietro! >> Disse venendomi vicino a cercando di fermarmi. Non mi sarei stupita se mi fossi voltata di scatto verso di lei ringhiando come un cane minacciato di essere privato della sua cena. Per fortuna ciò non accadde ma mi limitai ad abbaiare
<< Elrond! Elrond >> continuando a gattonare.
<< Volete vedere mio padre? Ora lui è impegnato  in un consiglio in cui non siamo stati invitati, non possiamo avvicinarci a... >> Le impedii di continuare la frase, mi alzai in piedi (se avessi continuato a camminare a quattro zampe sarei arrivata una settimana dopo) e cominciai a correre.
<< Dama Sophia, no! Tornate indietro è proibito avvicinarsi al consiglio segreto! >> Ma inutile, di certo non mi avrebbe fermato con due paroline senza valore come quelle. Nella mia testa Ruphus non faceva altro che urlare “CORRI FOREST!!” e ciò mi bastava a darmi l’energia per continuare a muovere le gambe simultaneamente in quella maniera.
Cominciai a canticchiare la colonna sonora di Forest Gump  e senza avere la più pallida idea di come fossi riuscita, raggiunsi il misterioso consiglio.
Mi accasciai dietro una colonna a riprendere fiato e dare qualche colpo alle gambe per verificare che fossero ancora attaccate al corpo. Non m’ero mai sentita tanto male ma soprattutto non avevo mai messo la mia salute all’ultimo posto della graduatoria dei miei interessi come stavo facendo in quel momento. Arwen si era fermata poco più indietro, voleva mantenere fede al giuramento fatto di non prendere parte al Consiglio, e intanto mi faceva cenni per convincermi ad allontanarmi.
Io, da brava maleducata qual’ero, mi portai un dito al naso facendole cenno di stare zitta e mi sporsi appena appena al di là della colonna per riuscire a vedere qualcosa. Il consiglio era appena iniziato e non ricordo di aver provato mai un emozione tanto forte. Avevo l’affanno e mi tremavano braccia e gambe.
<< Stranieri di remoti paesi, amici di vecchia data. Siete stati convocati per rispondere alla minaccia di Mordor. La Terra di Mezzo è sull'orlo della distruzione. Nessuno può sfuggire. O vi unirete o crollerete. Ogni razza è obbligata a questo fato, a questa sorte drammatica. Porta qui l'Anello, Frodo. >> Cominciò il suo discorso Elrond e Frodo da bravo e obbediente hobbit posò l’anello al centro della sala su un piccolo piedistallo. Era strano ma perfino io riuscivo a percepirne la potenza, era come se sprigionasse tante piccole e invisibili scariche elettriche.
<< Allora è vero >> sentii borbottare Boromir e alzai gli occhi al cielo scuotendo la testa “No, razza di idiota, sei su Scherzi a Parte!” pensai prima di tornare ad origliare.
<< Questo è un dono. Un dono ai nemici di Mordor. Perché non usare l'Anello? A lungo mio padre, Sovrintendente di Gondor, ha tenuto le forze di Mordor a bada. Grazie al sangue del nostro popolo, tutte le vostre terre sono rimaste al sicuro. Date a Gondor l'arma del nemico. Usiamola contro di lui! >>  continuò Boromir alzandosi in piedi e io feci un’altra smorfia. Boromir vantava di saper molte cose e non sapeva che l’anello voleva solo tornare dal suo padrone? Insomma! E’ come se Einstein non avesse saputo che il fuoco se toccato brucia!
Finalmente intervenne Aragorn, l’unico con un briciolo di cervello, il vero saggio della situazione, altro che Cappello a Punta!
<< Non potete servirvene. Nessuno di noi può. L'Unico Anello risponde soltanto a Sauron. Non ha altri padroni. >> “yep, yep” pensai annuendo fiera, manco fossi stata sua madre.
<< E cosa ne sa un Ramingo di questa faccenda? >>  “Sicuramente più di te! Trottolino amoroso, dududu dadada “, è vero, non avevo una grande stima di lui in quel momento, ma solo perché si stava semplicemente rendendo un pochetto ridicolo.
<< Non è un semplice Ramingo. Lui è Aragorn, figlio di Arathorn. Si deve a lui la vostra alleanza. >> Intervenne il mitico Legolas, l’unico elfo che mai abbia ammirato e apprezzato perché era un elfo sveglio, scattante, era aggraziato e letale allo stesso tempo, ma cosa più importante era rapido! Era uno dei pochi elfi che non era caduto vittima della sindrome di Bagnino di Baywatch.
Sì, era il migliore!
<< Aragorn? Questo è l'erede di Isildur? >> Chiese Boromir “Carramba che sorpresa!”.
<< Ed erede al trono di Gondor. >> Colpito e affondato! Legolas risulta vincitore di questa prima fase di battaglia navale.
<< Havo dad, Legolas >> sussurrò Aragorn cercando di calmare i bollenti spiriti dell’amico, ma che bravo ramingo! Se un giorno avessi mai avuto l’occasione di conoscerlo meglio mi sarei messa a sedere davanti a lui pregandolo di raccontarmi qualche storia “raccontaci un’altra storia, papà Castoro”.
<< Gondor non ha un re. A Gondor non serve un re. >> Ottima uscita di scena per un povero perdente.
Il consiglio proseguì a lungo con la spiegazione di Elrond su come distruggere l’anello, col tentativo fallimentare di Gimli di distruggerlo e con una lite degna delle riunioni di condominio del mio palazzo. Il tutto si concluse con la coraggiosa iniziativa di Frodo
<< Lo porterò io! >> Gridò una prima volta, ma nessuno degnò lui di uno sguardo << Lo porterò io! >> urlò ancora e finalmente qualcuno si voltò ad ascoltarlo. Alcuni erano sorpresi, altri spaventati, altri scettici. Povero piccoletto, nessuno aveva fiducia in lui.
<< Porterò io l'Anello a Mordor. Solo... non conosco la strada. >> Disse con l’aria di un povero cerbiatto davanti a un cacciatore. Certo, il farsi vedere così timoroso non era la migliore pubblicità, ma riuscì ugualmente a convincere Elrond e gli altri 8 ad aggregarsi a lui: Gandalf, Aragorn, Gimli, Legolas, Boromir, Sam, Merry e Pipino.
Avrei tanto voluto uscire anch’io gridando “andrò anch’ioooo” come avevano fatto i tre hobbit ma avevo troppa paura di accasciarmi a terra davanti a tutti a causa della mia debolezza gridando “dove diavolo sono?”. Se quella di Frodo non era stata una gran bella pubblicità la mia sarebbe stata pessima. Così strisciai lontano dal circolo del consiglio e riavvicinandomi ad Arwen mi sorbii il suo sermone sul << Siete stata un’incosciente! Aveva trasgredito le regole, mio padre sarà furioso bla bla bla >>.  Ovviamente non ascoltai nemmeno una parola, la mia mente cercava di macchinare un piano per intrufolarmi nella compagnia. Forse il modo migliore sarebbe stato rendere al corrente Elrond, era un elfo saggio e sapevo benissimo che non sarebbe andato in giro a urlare “Questa donna sa tutto!! Vinceremo! Non abbiate timore”. Ma ovviamente per portare a termine la missione dovevo fare una cosa di estrema importanza: PARLARE!
Beh, il fatto che avessi ricominciato a pensare in maniera semirazionale poteva essere segno di un miglioramento, forse il trauma era passato. Mi voltai verso Arwen, potevo benissimo sperimentare su di lei le mie capacità.
<< Dove diavolo sono? >> ok, no, ero un caso perso.
<< Forse, sarebbe meglio che voi riposiate >> Mi disse Arwen seriamente preoccupata. Riposare?? Mai! Dovevo parlare con Elrond in quel preciso istante o non avrei più avuto modo di partire insieme alla compagnia. Perché volevo partire? Diamine! Era il mio sogno, volevo viverlo prima di risvegliarmi! E volevo provare a salvare Boromir, dovevo tirarlo fuori dalla sua condizione di rincoglionimento totale. Era peggio che vedere un drogato dopo una settimana di astinenza. 
<< No >> Avevo parlato!! Evviva! << Dove diav… >> scossi la testa “Su, su Sophia! Concentrati!” << Devo parlare con tuo padre, Arwen >> Evviva!! Su le mani!
<< Con mio padre? >> chiese in un mix di emozioni tra il sorpreso e il felice, finalmente avevo detto qualcosa di sensato. << E…conoscete il mio nome? >>
<< E non solo quello >> dissi guardando Arwen con lo stesso sguardo di uno che cerca di abbordare una bella bionda. << Allora mi porti da tuo padre sì o no? >> La formalità l’avevo buttata alle ortiche, era come una vecchia amica, ci mancava solo che prendendola sotto braccio cominciassi a dirle “Allora Arwen, dimmi un po’ come va la tua vita sessuale con Aragorn?”.
<< Sì, certo, ma non è il caso di mostrarsi a lui in queste condizioni >> Mi guardai, che avevo di sbagliato? Che non le andassero bene le macchie d’erba sul vestito?
<< Siete in veste da notte! >> Mi fece notare. La guardai in un mix tra delusione e lo scocciato, era solo quello??
<< Al diavolo la veste! Voglio vedere Bellicapelli, ora! >> Dissi cominciando a vagare per quei giardini sperando di trovarlo da sola, se avessi aspettato Arwen sarei diventata vecchia.
<< Dev’essere davvero qualcosa di importante se vi turba in questa maniera >> constatò << Vado a chiamarlo, aspettatemi qui >>
<< Fai, fai, io per ammazzare il tempo comincio a scrivere il mio testamento >>, dissi mettendomi a sedere su una panca in marmo in quel meraviglioso giardino.
“E se la mia presenza nella compagnia cambiasse il corso della storia tanto da cambiarne anche il finale?” mi chiesi cominciando a farmi seria.
“Di che devo preoccuparmi? E’ solo un sogno, anche se fosse non succederebbe niente di male. Anche se sembra tutto così reale” mi guardai le innumerevoli ferite su tutto il corpo, non ero mai stata così malconcia. Mi presi una porzione di pelle sul braccio e la tirai usando tutta la mia forza e mi feci malissimo!
<< Ommioddio sono sveglia!! >> Constatai urlando e alzandomi in piedi di scatto. Non era tutto un sogno! Ero veramente lì, ma come diavolo c’ero arrivata?
<< Ed è una bella notizia non pensate? >> disse una voce. Alzai lo sguardo, era Elrond! E aveva sentito ciò che avevo detto! Arwen ci aveva messo molto meno tempo di quanto immaginassi. Sbattei le palpebre un paio di volte, il trauma stava tornando! No! Non in quel momento! Dovevo parlare dicendo cose sensate, dovevo spiegargli che…spiegare cosa? Volevo veramente partire? E se ciò avesse causato la distruzione dell’intera Terra di Mezzo? Non potevo correre questo rischio, ma era anche vero che… se davvero ne avevo la possibilità, mai avrei rifiutato di salvare Boromir.
Sicuramente però prima avrei dovuto diminuire il tempo che mi serviva per fare certe riflessioni, ancora una volta ero rimasta imbambolata di fronte a Bellicapelli.
<< State bene? >> Mi chiese preoccupato, o forse semplicemente scocciato del fatto che fosse stato interrotto per sorbirsi le stranezze di questa ragazza caduta dal cielo, come tutte le disgrazie d’altronde.
<< Sì >> dissi, ok, era un buon primo passo, forza Ruphus non abbandonarmi proprio in questo momento!
<< Io…voglio entrare a far parte della compagnia! >> Ma che brava! Mi ammiravo da sola per le mie incredibili capacità dialogiche.
<< Avete origliato come mastro Sam e gli altri due piccoletti? >>
<< No!! >> dissi istintivamente, non avevo bisogno di origliare per sapere cosa si fossero detti, ma effettivamente…ero stata tutto il tempo dietro la colonna ad ascoltare. << Sì >> ammisi << Ma ciò non ha importanza! L’importante è che io sono…stata mandata >> piccola bugia a fin di bene << Per vegliare sulla compagnia >> L’angelo Gabriele non poteva fare annunciazione di maggior effetto.
<< No, noi vi abbiamo trovato morente nel fiume >>
<< Piccolo incidente di percorso. Messer Auron… >> eh?? Che stavo sparando! << Elrond! >> Mi corressi subito “maledizione Ruphus ti pare questo il momento di giocare a final fantasy??” << Io sono in grado di prevedere il futuro >> Ma quante cavolate stavo sparando? Non sapevo di essere così brava << E so cosa accadrà, quando accadrà e perché accadrà. Forse non dovrei farvi questa proposta perché le cose potrebbero cambiare e i miei poteri…stanno svanendo da quando sono quasi morta nel fiume. Ma so che non tutti arriveranno alla fine di quest’avventura, ci sono persone che perderanno la vita e io posso…vorrei salvarli! >>
<< Dovrei credervi? >>
<< Sì! Vi prego di farmi entrare nella compagnia, sarei in grado di evitare molte spiacevoli situazioni. Però è di estrema importanza che nessuno sappia di cosa sono capace, potrebbero approfittarsene >>.
<< Sai usare la spada? >>.
Maledizione! << No. Ma posso imparare! >>.
 << Saresti solo un peso lo sai? >>
<< Ma io so!!! >> dissi con lo stesso tono che userebbe un gran cattivone nell’urlare “conquisterò il mondo!”.
<< Dimostramelo >> Maledetto elfo dalla poca fiducia! Feci una smorfia, sicuramente i componenti della compagnia si stavano preparando per la partenza. Come potevo dimostrarglielo?
Idea!
<< Vai da Frodo e chiedigli di Pungolo e di una cotta di Mithril. Ha entrambe le cose >>
<< Pungolo? La daga di Bilbo? >>
<< Bilbo proprio in questo momento lo sta regalando a lui, ah e…ha avuto una brutta reazione nel vedere l’anello al collo di Frodo >> Elrond ci pensò su qualche secondo, era poco convinto, poi mi annunciò la sua decisione.
<< Vai a vestirti, io interrogherò Frodo per scoprire se hai detto la verità >> Sorrisi soddisfatta e pregando nel buonsenso del piccolo hobbit di dire la verità trotterellai allegramente verso la mia stanza dove avrei trovato abiti e armi. Armi, puah, come se mi fossero servite. Non sapevo usare il coltello per tagliare il pane, dovevo saper usare una spada? E se invece avessi trovato un arco? Peggio che mai! L’unica volta che ho giocato a freccette ho rischiato di cavare un occhio a un poveraccio posto a qualche passo distante dall’obbiettivo. Arrivai in stanza e trovai stesi sul letto degli abiti, una spada con tanto di fodero e una daga.
Cominciai dagli abiti e cercai di capire come metterli, erano alla fine molto semplici e molto belli. Avevo un corpetto blu a collo alto, smanicato che si chiudeva sul davanti con dei bottoni marroni. Un paio di guanti di tessuto abbastanza rigido da proteggere ma non troppo da impedire i movimenti, lunghi fino appena sotto il gomito. I pantaloni anche questi blu erano molto semplici, molto aderenti così da permettere che si infilassero dentro gli stivali neri in pelle, lunghi fino ai polpacci. Avevo anche un mantello nero bluastro con cappuccio. A questo punto mi concentrai sulle armi e feci una smorfia, sarebbero servite solo a impedirmi i movimenti ancora di più.
Però nonostante tutto erano così belle! La spada era una semplice spada a una mano, in acciaio, l’elsa era molto simile a quella di Aragorn alla fin fine solo che in fondo era lunga sì e no 90 centimetri, la guardia crociata leggermente ad arco verso la lama, l’impugnatura rivestita di pelle nera e sul pomolo incisa una croce greca. Il fodero in legno era rivestito in pelle con l’estremità di metallo. Incluso ovviamente c’era una cintura su cui era appeso il fodero. Era un po’ strano avere questo peso su un fianco, sarei sicuramente diventata gobba al lungo andare e poi…come diavolo facevano gli altri a camminare con questa cosa che picchiava sulle gambe?
Ancora una smorfia.
Povera me.
Presi a studiare invece la daga, anche questa munita di fodero e apposita cintura.
Era molto simile alla spada, anche se l’impugnatura era in legno e non aveva la croce greca incisa sul pomolo che non era tondo ma più…una semisfera. Di lunghezza non superava i 60 centimetri ma era pesante tanto quanto la spada.
<< Se metto uno da una parte e una dall’altra almeno eviterò di sbilanciarmi >> ridacchiai sistemandomi le armi addosso. Mi sentivo così ingombrante! Sul letto era stato posato anche uno scudo tondo in legno, più grande di me! Lo lasciai lì, mi rifiutavo categoricamente di portare quel peso addosso. La spada e la daga sarebbero bastati.
Uscii dalla stanza sentendomi un’eroina delle fiabe, mi sentivo una Dubhe delle Cronache del mondo emerso o perfino una sailor moon. Dovevo fare attenzione a contenermi altrimenti mi sarei messa a urlare in mezzo ai campi “potere del cristallo di luna vieni a me!!” e non sarebbe stato un bello spettacolo.
Feci due passi, stranamente avevo ritrovato le energie per camminare, forse per via dell’emozione o forse perché il trauma era passato. Ma comunque non mi sentivo ancora a mio agio, la spada mi picchiava sempre contro il polpaccio e sapevo che entro una mezz’oretta avrei avuto un grosso livido bluastro quanto il mantello.
Andai nel giardino dove avevamo parlato io e Bellicapelli, mi misi a sedere sulla solita panchina e aspettai che l’elfo mi corresse incontro urlando e pregandomi di prendere parte alla spedizione.
Ero pronta! E anche Ruphus lo era!
“Quando si parte?”

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Capitolo 3
*** Certo che è proprio strana. ***


Non dovetti aspettare molto prima di vedere comparire Elrond però non corse e tantomeno sembrò felice della scoperta. Cosa lo turbava così?
<< Incredibile come tu abbia avuto ragione, Sophia >> Mi disse una volta vicino << Ammetto che la tua presenza nella compagnia ci sarebbe di grande aiuto, ma ti devo mettere in guardia: è una missione molto pericolosa e tu sei una donna che non sa nemmeno legarsi una spada in vita >> Disse facendomi cenno di sciogliere la cinta.
Arrossii: avevo sbagliato? Dove?
Elrond si avvicinò e la legò per me. Ecco perché mi colpiva il polpaccio, stupida spada! L’avevo legata male!
<< Ok, lo ammetto sono una frana con le armi, ma di braccia mi pare ce ne siano abbastanza, ci vuole qualche mente adesso. Non che voglia offendere l’intelligenza e la saggezza di Aragorn e Gandalf, ma io posso fare cose che loro non potrebbero mai. Saprei quale via evitare di prendere, saprei quando fermarsi a riposare  per evitare i nemici, saprei accelerare il passo evitando interruzioni pericolose e inutili… e potrei salvare la vita a persone che non arriverebbero in fondo >> Dissi incupendomi un po’. Non volevo che Boromir morisse, non quando sapevo che io avrei potuto fare qualcosa per salvarlo. Mi sentivo tanto sciocca, infondo era solo una storia, frutto della fantasia di un geniaccio nato alla fine del 1800 e morto intorno al 1970. Eppure mi sentivo completamente coinvolta nella storia, non riuscivo a rendermi conto dell’assurdità della situazione, non riuscivo a rendermi conto che probabilmente stavo sognando. Ero presa completamente! Volevo arrivare alla fine e volevo arrivarci vincitrice, anche se non era reale. O almeno così credevo.
<< Dunque è questa la tua decisione? >>.
Non avevo idea del perché fossi giunta lì ma una cosa era certa, di sicuro non era perché dovessi imparare a fare la maglia insieme agli elfi! Anche se l’idea di imparare a fare quei meravigliosi vestiti non mi dispiaceva, forse avrei potuto fare un periodo di prova e…no!! No! Che diamine, dovevo partire!
<< Sì, è la mia decisione >>. Non ero mai stata tanto decisa, mi sorpresi da sola, tanto da spalancare gli occhi per un attimo e guardarmi le mani incredula. Ero veramente io? Assurdo! Ero veramente lì? “Questa è utopia! No, questa è…ARDAAAAAAA” pensai così rumorosamente, con lo stesso tono di voce di Leonida di 300, che mi fu difficile rimanere impassibile e non scoppiare a ridere in faccia a Bellicapelli. E questo sforzo sicuramente mi aveva provocato una smorfia sul volto, che chissà come l’aveva interpretata l’elfo di fronte a me.
<< Non è un gioco >> mi disse pensando che lo stessi prendendo in giro.
<< Scusa >> mi schiarii la gola, chiusi gli occhi, sospiro raccoglitore << Ok, sono pronta! >>.
Elrond mi guardò un po’ torvo, ok non avevo fatto una buona impressione, ehi non ero pazza! Ero semplicemente…molto spontanea.
<< Andiamo, la compagnia sta per mettersi in cammino >>.
<< Andiam! Andiam! Andiamo ad ammazzar orchetti e Huruk Hai, nessun si salverà a questa spada, perché…perché io son Sophia >>  e proseguii saltellando e continuando a canticchiare con un “lalalalalalala”. Incredibile, fino a qualche minuto prima non riuscivo a stare in piedi né a ricordare il mio nome, ora invece saltellavo stile Heidi cantando la canzone dei tre porcellini. Sì, mi ero proprio ripresa.
Ma una volta giunta di fronte alla compagnia. Le gambe mi si fecero mollicce, e un altro “la” della canzoncina mi morì in gola storpiandosi in un “lllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllleeeeeeeeeeeeeeee”.
Boromir appena mi vide mi guardò con aria interrogativa, sapevo cosa stava pensando “Bellicapelli non vorrà che ci portiamo dietro anche la tipa con l’hendicap”.
<< Lei è Sophia. >> mi presentò in tre balletti << Entrerà a far parte della compagnia anche se non ha partecipato, in maniera diretta almeno >> sguardo fulmineo << al consiglio, in quanto ritengo che le sue potenzialità vi possano essere utili nel vostro viaggio. >> Ma bravo, era stato vago e convincente. Forse un po’ troppo vago.
<< Già e ricordatevi che la parola ferisce più della spada >> Che razza di…Ruphus!! Sempre nei momenti meno opportuni! Avevo tutti gli occhi puntati addosso e non sapevo come uscire da quell’imbarazzatissima situazione. Non volevo dirgli che non ero in grado di tenere in mano nemmeno un coltello da cucina, temevo che mi avrebbero rifiutato nella compagnia, ma allora come ne sarei uscita?
<< Tutto a tempo debito >> dissi con diplomazia camminando stile soldatino vicino ai miei nuovi compagni di viaggio.
Ottima sviata!
<< Sophia lascia che i tuoi nuovi compagni si presentino a te >> mi disse Elrond sempre molto attento alle formalità.
<< Oh, non c’è bisogno grazie, so già tutto >> Ancora occhiatacce.
<< Sai tutto di tutti e non ricordi il nome della tua famiglia né da dove provieni? >>
<< Che strana cosa vero? Un giorno ti addormenti che credi di sapere chi sei e il giorno dopo zac!! Non ricordi nemmeno il tuo nome >> Maledetto Elrond! Dov’era il mio death note quando mi serviva? Avevo già due nomi da scrivere: Arwen, perché aveva rifiutato l’aiuto di Boromir di prendermi in braccio stile principessa e portarmi in camera, e Elrond per quella situazione. Mi stava rendendo ridicola.
<< Beh, per lo meno hai ripreso a parlare e a camminare >> Fece notare Boromir.
<< Ho fatto passi da gigante, sono stata brava eh? >> risposi senza guardarlo in volto o sarebbe stato fatale. Il cuore era già impegnato a ballare il merengue con Ruphus se poi avessi mai incrociato gli occhi di Boromir ero certa che la festa si sarebbe trasformata in un Reif Party dove a rimetterci la vita per overdose sarebbe stato proprio il mio povero cuoricino. E Ruphus avrebbe chiuso per lutto.
No, non volevo rischiare, le droghe sono una brutta bestia.
Elrond si schiarì la voce ed assunse una posizione e un tono così regale che quasi mi fece venire i brividi, cominciando il suo discorso
<< Il Portatore dell’Anello sta partendo alla ricerca del Monte Fato. Egli è l’unico ad avere degli obblighi: non gettare l’anello, non consegnarlo a nessun servitore del nemico, non darlo in mano a nessuno, salvo ai membri della  compagnia  e del consiglio, ed anche a costoro soltanto in casi estremi. Gli altri vanno con lui quali liberi compagni, per aiutarlo lungo il cammino. Potete tardare, o tornare indietro, o deviare per altri sentieri, a seconda del caso. Più avanti andrete meno facile sarà ritirarvi; ma sappiate che nessun giuramento e nessun vincolo vi costringe a fare un passo in più di quanto non vogliate: non conoscete ancora la forza dei vostri cuori, ed è impossibile prevedere ciò che ognuno di voi potrebbe incontrare per la strada. >>
Restai ad ascoltare con il cuore in gola, era qualcosa di davvero unico, incredibile, quel discorso che aveva sempre e solo ascoltato attraverso uno schermo o che avevo solo letto, ora lo udivo con le mie orecchie, provenire da una fonte distante da me di due o tre passi.
Mi voltai e guardai negli occhi uno ad uno i miei compagni. I quattro piccoli hobbit, che avrebbero dimostrato una grandezza maggiore di quella di chiunque altro. Il ramingo che per anni era scappato dal suo destino, ma che presto avrebbe capito l’importanza di andarvi incontro. Il mago che sarebbe divenuto ancora più potente. L’elfo e il nano che sarebbero diventati grandissimi amici in segno di riappacificazione tra le due razze, che erano state in astio per così tanto tempo.
E infine lui, colui che si sarebbe fatto accecare dal potere ma che sarebbe tornato a vedere troppo tardi e sarebbe morto per il bene dei suoi amici.
No.
Non sarebbe morto. Io ero lì apposta, non l’avrei mai permesso. Non sapevo ancora come, ma ero decisa, l’avrei salvato a qualunque prezzo.
Eravamo in viaggio già da qualche ora e per fortuna ci eravamo fermati a fare una pausa perché altrimenti le mie ginocchia avrebbero fatto le valige e se ne sarebbero andate a casa mandandomi a quel paese. Per dindirindina! Non ero abituata a camminare per ore su pendii tanto scoscesi e arrampicandomi su rocce del genere, non avevo mai fatto il servizio militare. Cosa avrei dato per avere le potenzialità di Legolas, sembrava volasse tanto era agile e aggraziato.
Gandalf se ne stava appartato decidendo quale strada prendere, mentre Gimli aveva cominciato a dirgli di passare dalle miniere di Moria.
<< Seguiremo questa direzione ad Ovest delle Montagne Nebbiose per quaranta giorni. Se la fortuna ci assiste, la Breccia di Rohan sarà ancora aperta, e da lì volteremo verso Est, per Mordor. >> Decretò.
Io mi ero messa a sedere poco lontana da Aragorn e guardavo Boromir insegnare ai due hobbit a usare la spada. C’erano due motivi per cui me ne stavo lì anziché guardare il paesaggio mozzafiato intorno  a me: primo credevo non ci fosse paesaggio più mozzafiato di quello, e poi mi aveva sempre intenerito vedere Boromir ridere e scherzare con quei piccoletti, come fosse un padre; secondo avevo anche io bisogno di imparare qualcosa, anche se solo in maniera teorica, non avevo il coraggio di cimentarmi anch’io nell’impresa perché sapevo che avrei fatto una figuraccia dietro l’altra a partire dalla difficoltà nell’estrarre la spada e concludendo con una perdita dei sensi dal momento in cui lui mi avrebbe rivolto la parola. No, bastava anche solo guardarli, qualcosa imparavo, avrei poi fatto pratica per conto mio o al massimo chiedendo l’aiuto di Aragorn con il quale sentivo di avere un legame esageratamente differente. Lo vedevo più come un fratello maggiore, un padre di famiglia, mi rassicurava averlo accanto, sentivo di potergli dire o chiedere qualsiasi cosa.
Nel frattempo Pipino aveva fatto finta di farsi male per distrarre Boromir che gli corse incontro preoccupatissimo chiedendogli scusa e fu allora che entrambi gli hobbit gli saltarono addosso gridando << Per la Contea!! >>. Sentii la risata di Aragorn invadere la piccola vallata e non ci misi molto a seguire il suo esempio, anche se la mia era una risata più malinconica che divertita. Mi faceva troppo tenerezza vederlo impegnato così con i due hobbit e l’idea che da lì a poco avrebbe avuto…quello che NON si meritava mi rattristava.
Forse quella fu la prima volta che la compagnia sentì la mia voce dopo la partenza da Gran Burrone, non avevo parlato molto troppo presa com’ero nel guardarmi attorno  con gli occhi che brillavano. Era un sogno, in tutti i sensi!
<< Che cos'è? >> disse Sam preoccupato voltandosi verso l’orizzonte. Non ci misi molto ad imitarlo già conscia di ciò che avremmo visto e mi alzai in piedi sussurrando << I Crebain da Duneland! >> ma a quanto pare il mio sussurro non risultò tanto silenzioso in quanto praticamente tutti mi avevano sentito.
<< Spie di Saruman >> disse Gandalf in conclusione a quanto avevo detto << Presto nascondetevi! >> disse e ci fu un fuggi fuggi generale: c’era chi spegneva il fuoco, chi raccoglieva zaini e roba varia, chi cercava un nascondiglio…e io rimasi immobile a guardarmi intorno senza sapere cosa fare. Dovevo trovare un nascondiglio, ma non era mica semplice! Non c’era niente intorno a noi!! Riuscii ad infilarmi sotto un masso e mi raggomitolai pregando di non essermi infilata nella tana di qualche animaletto poco piacevole. Gli uccelli ci passarono sopra le teste, fecero un paio di giri di ricognizione sopra di noi prima di andarsene via.
Sospirai.
Pericolo scampato. Quando ero partita non avevo la minima idea che avrei rischiato l’infarto così facilmente per così poco! E quando mi sarei trovata faccia a faccia col troll di caverna nelle miniere di Moria come avrei fatto a sopravvivere? Ok, ora l’idea di partire alla volta di Mordor non mi sembrava più così buona. Ma ormai ero lì, non potevo fare niente.
Uscimmo dai nostri nascondigli e Legolas mi venne incontro…panico! Cosa voleva da me un elfo? Cosa voleva da me QUELL’elfo?? << Sapevo che non eri una semplice umana, altrimenti Elrond non ti avrebbe mai fatto partire insieme a noi in vista del fatto che non sai difenderti e ti fai prendere dal panico troppo facilmente >> Mi disse. Io…cosa? << Eh? >> chiesi d’istinto. Certo che ero un’umana!! Cosa credeva che ero un Huruk-Hai?
<< Hai la vista lunga anche tu! Cosa sei? un mezz’elfo? >> Vista lunga? Aspetta! Si riferiva forse al fatto che avessi “visto” prima di tutti che non era una nuvola quella che ci veniva incontro? << Oh, certo! Cioè…no! Non sono un mezz’elfo però non sono nemmeno una semplice umana. E no, non ho la vista lunga, semplicemente ho un altro tipo di vista >> Dissi tagliando corto pregando che non mi facesse domande più specifiche perché non avevo la più pallida idea di cos’altro inventare.
<< Che tipo di vista? >> Maledetto! Mi leggeva nella mente? Lo faceva apposta, sì era così sicuramente!
<< Delfino curioso!!! >> dissi pizzicandogli una guancia stile nonna con i suoi nipotini << Tutto a tempo debito >>. E anche sta volta me l’ero cavata, quando avrebbero smesso di fare domande? Anche perché neppure io avrei avuto la risposta: cosa gli avrei detto? “Voi siete un mio sogno!! Io conosco questa storia a memoria, so tutto di voi anche che mutande portate!”. Per fortuna Legolas non fece altre domande, sapeva essere discreto a volte, ma che bravo!
<< Delfino? >> si limitò a chiedermi sconvolto e risposi con una risatina.
<< Il passaggio a Sud è sorvegliato. Dobbiamo prendere il Passo di Caradhras. >> Disse Gandalf. Caradhras. Ricordavo stranamente poche cose, forse troppo poche, probabilmente il mio arrivo molto frastornante aveva fatto sì che oltre al nome mi dimenticassi anche la storia dell’Anello. Maledizione, non ci voleva proprio! Per fortuna avevo una memoria molto fotografica e alcune scene del film, a differenza del libro che era vuoto assoluto, me le ricordavo.
Caradhras…era dove la neve ci avrebbe seppelliti costringendoci a passare per le miniere di Moria. << Perfetto, così avrò modo di conoscere di persona Scrat, pregando che non combini qualche guaio con la sua ghianda >> borbottai stringendomi nel mantello e seguendo il resto del gruppo.
<< Certo che è proprio strana >> Disse Merry a Pipino riferendosi ovviamente a me, non rendendosi conto che ero proprio dietro di loro.
<< Non sapete quanto, miei cari Hobbit >> dissi con aria enigmatica inchinandomi per arrivare alla loro altezza e posando una mano sulla spalla di ciascuno. Loro si fermarono guardandomi un po’ spaventati e ciò mi fece ridere << Non preoccupatevi! Non sono una mangiatrice di mezzuomini! >> dissi scompigliando i capelli a entrambi gli hobbit e li superai di qualche passo prima di voltarmi << Chi arriva per ultimo vicino a quel sasso >> e indicai un masso lontano da noi di qualche metro << E’ un orco brutto e cattivo >> e facendo la linguaccia mi voltai velocemente cominciando a correre verso il famigerato masso della vittoria. Non ebbi modo di vedere le espressioni degli hobbit dietro di me ma li sentii urlare << Ehi, non vale!! >> e ridere gioiosi e sentii i loro passetti veloci alle mie spalle. Superai l’intera compagnia ma quando tentai di superare anche Gandalf lui mi colpì in testa col bastone << Ahi!! >> brontolai fermandomi di colpo e voltandomi per guardare male Merlino. << Fai troppo baccano >> disse ridendo sotto i baffi, segno che stava scherzando. Ma allora perché diamine mi aveva colpito? Continuai a guardarlo male anche in maniera fin troppo esuberante assumendo un espressione da coniglio schiacciato sotto una macchina. Sentii poco dopo i due hobbit superarmi alle spalle e vidi solo allora il sorriso soddisfatto di Gandalf: voleva dar loro modo di superarmi! << Questa è guerra, Silente! >> dissi puntandogli un dito contro prima di voltarmi e riprendere a correre allontanandomi dalla grossa e rumorosa risata del mago. Ovviamente gli hobbit arrivarono prima di me, grazie al vantaggio regalatogli da Gandalf, e cominciarono a ridere e saltare gridando << Orco! Orco! Orco! >> indicandomi insistentemente.
<< Ah si? E sapete cosa mangiano gli orchi? >> dissi tentando di assumere uno sguardo cattivo << Gli hobbit furbi e dispettosi come voi!!! >> risposi precedendoli e cominciai a rincorrerli ma ben presto le cose si capovolsero. I due hobbit si fermarono, si guardarono in cerca di intesa e poi si voltarono verso di me gridando << Addosso!!! >>. Fui costretta a frenare di colpo, tanto da scivolare sul ghiaino e rischiare di farmi male, mi voltai di colpo e andai a sbattere contro…qualcosa…qualcuno… Alzai lo sguardo, ok era qualcuno.
“Oh cacchio” pensai sentendomi avvampare.
Boromir.
<< Scusa! >> Chiesi sentendomi così umiliata. Gli hobbit mi raggiunsero e cominciarono a farmi il solletico ai fianchi, punto debole più debole che abbia mai avuto. Mi rivoltai verso gli hobbit, senza nemmeno vedere né sentire la reazione di Boromir al mio schianto contro di lui, e cercai di contrastarli ma delle forti braccia mi bloccarono da dietro.
Sentii una risata provenire dal mio presunto aggressore.
Ok, rischiavo il collasso.
Il solletico mi impediva di respirare.
Boromir che mi stringeva contro di sé per facilitare l’azione dei due hobbit (possibile che fossero tutti contro di me?) mi impediva a maggior ragione di respirare e aumentava il mio battito cardiaco.
Diamine salvatemi!!
Non respiravo, non riuscivo a respirare.
Mi girava la testa.
Aria, avevo bisogno di aria.
Morivo!
<< Boromir lasciala, credo abbia dei problemi>> Santissima voce dalla fonte sconosciuta tu sia benedetta! “Ho una nuova fede” pensai mentre sentivo la presa dei tre allentarsi su di me. Riconobbi successivamente la voce in quella di Aragorn “santo uomo giudizioso, l’ho sempre detto che sei meglio dell’angelo Gabriele”. Mi accasciai a terra riprendendo pian piano a respirare normalmente.
<< Stai bene? >> alzai la testa e mi trovai a pochi centimetri il volto di Boromir che mi guardava preoccupato e con un velo tristezza, forse causato dai sensi di colpa, negli occhi, in quei magnifici occhi blu cielo. << Via!!! >> Dissi strisciando all’indietro per allontanarmi << Vade retro! Se volevate uccidermi potevate farlo in maniera più carina, chessò.. un cuscino sulla faccia mentre dormo la notte va benissimo! Così almeno evito dolori e sofferenze >>
<< Ci dispiace, Sophia! Non pensavamo tu fossi…tanto delicata >> Mi disse Merry venendomi accanto. Delicata? Delicata? Era un modo carino per dirmi “certo che ci vuol poco a farti fuori!”. Beh, non avevano tutti i torti alla fin fine.
Mi guardai attorno, avevo tutti gli occhi puntati addosso. Accidenti! Mi alzai di scatto << Beh che stiamo aspettando? Farò tardi all’appuntamento con Scrat se continuiamo ad indugiare e Frodo non può far tardi alla partita a scacchi con Sauron >> E senza guardare in faccia nessuno, con un sorriso ebete sulla faccia, ripresi a camminare stile soldatino aiutandomi anche con un “un due tre marsh! Un due tre marsh! “ ripetuto senza sosta come a dare la cadenza del ritmo.
Pipino mi rincorse e mi venne vicino << Sicura di stare bene? Non sei…arrabbiata? >> Ripresi a camminare morbidamente, rilassando finalmente i muscoli, il tono di Pipino mi aveva ammorbidito, si era preoccupato del fatto che fossi arrabbiata con loro.
<< Arrabbiata? Ma certo che no, piccolo hobbit biscottoso, utile nel tardo pomeriggio >> ok, stavo parlando arabo, povero piccoletto, che ne poteva sapere lui che il suo cognome Tuc mi ricordava molto i biscottini spezzafame del mio mondo? << Non sono arrabbiata, tranquillo, non ne avrei motivo. Ero solo un po’ spaventata perché ero rimasta senza fiato >> spiegai senza entrare nei particolari cosa che lasciò tranquillamente pensare a Pipino che fosse solo colpa del solletico.
Camminammo a lungo e cominciammo a intravedere la cima innevata dei monti mentre sotto i nostri piedi uno strato più sottile di neve andava a intensificarsi man mano che salivamo. E fu allora che ricordai, quasi  all’improvviso, un particolare della storia, del film più che altro. Frodo sarebbe caduto, e proprio mentre lo pensavo lo vidi rotolare giù, e l’anello sarebbe rimasto a pochi passi da lui sulla neve, e l’avrebbe preso Boromir.
Non sapevo bene il perché, infondo non era una parte determinante della storia, potevo lasciarla correre, ma l’idea che Boromir cominciasse a mostrare titubanza e cominciasse a far preoccupare i suoi compagni mi agitava, volevo aiutarlo in tutto e per tutto. Perciò scesi velocemente giù per la collinetta arrivando vicino all’anello. Mi chinai velocemente e vidi la mano di Boromir che già era calata verso la stessa direzione, se avessi ritardato di un solo secondo non avrei fatto in tempo. Lanciai uno sguardo a Boromir molto intenso, sperando che leggesse nella mia mente “scordati ogni possibilità di averlo! Io so cosa pensi”, ma credo di non aver avuto l’effetto desiderato perché nel vederlo in volto fui io quella a titubare arrossendo ancora e distogliendo il più velocemente possibile lo sguardo. Sembravo una stupida ragazzina durante la sua prima cotta! Mi mossi velocemente per non dare il sospetto che quella a desiderare l’anello fossi io anche se…era strano. Sentivo il suo potere nelle mie mani, mi sentivo come…superiore. E sentivo il desiderio di assaporare ancor di più di quel potere, infilando l’anello. Era peggio che una dipendenza da nicotina, ora sapevo quale peso doveva portare Frodo, io non ce l’avrei fatta.
Frodo intanto si era appena rialzato e già stava controllando con agitazione se l’anello fosse sempre al suo posto e quando si rese conto che mancava alzò lo sguardo. Ma il suo sguardo non andò troppo in là, si dovette fermare a pochi centimetri dal suo naso, dove avevo lasciato penzolare l’anello. Frodo lo prese quasi strappandomelo di mano e alzai un sopracciglio alzando le mani << Cerca di fare più attenzione la prossima volta, piccoletto. Potrei non essere io a raccoglierlo >> dissi e accennando un sorriso rassicurante voltai le spalle alla coppia Frodo/Aragorn e tornai sui miei passi, passando accanto a Boromir che aveva lo sguardo un po’ perso nel vuoto. L’anello aveva una forza immensa su di lui, l’attirava come una calamita.
Continuammo la nostra scarpinata fino ad arrivare in cima alle montagne, dove la neve era più alta, così tanto da arrivare al petto (beato l’elfo che ci camminava sopra senza problemi)  e il mio mantello pareva non essere abbastanza per coprirmi. Non facevo altro che tremare e sbattere i denti, diavolo! Quando si sarebbe deciso quello stolto di Saruman a maledire la montagna e farci tornare indietro? Non riuscivo più a resistere. I due uomini erano in testa al gruppo cercando di aprire un varco nella neve per noi povere creature infreddolite e debolucce.
Era troppo! Non avrei resistito un attimo di più, faceva freddo! Se Saruman non si fosse convinto a far crollare la montagna ci avrei pensato io aggrappandomi alle mie corde vocali e alla bravura della mia recitazione con un “etciùùù”.
Per fortuna non dovetti tentare un gesto tanto disperato quanto falso, l’ultima cosa che volevo era che mi scambiassero per una spia, in quanto cominciai a udire quella lagnosa cantilena che ci avrebbe sepolti vivi.
<< C’è un empia voce nell’aria >> constatò Legolas superandoci per ascoltare meglio e guardarsi attorno. Come se non bastava c’era la neve che cadeva dal cielo a peggiorare le cose. Un fulmine colpì la montagna sopra di noi facendo cadere un po’ di neve << Vuole buttare giù la montagna! Gandalf, dobbiamo tornare indietro! >>Disse Aragorn sempre appiccicato a Frodo per aiutarlo.
<< No! Losto Caradhras, sedho, hodo, nuitho i 'ruith! >> disse Gandalf alzando il suo bastone per contrastare la magia di Saruman ma come previsto fallì e una grossa coltre di neve ci cadde addosso seppellendoci. Era la prima volta che mi trovavo in quella situazione, non riuscivo a capire più dov’era il sopra e il sotto e il freddo mi penetrava nelle ossa. Sarei rimasta a tremare per settimane anche se me ne fossi andata per il resto dei miei giorni nel deserto del Sahara, anzi già mi meravigliavo del fatto che pregna com’ero di acqua e di freddo non mi fossi trasformata in un cubetto di ghiaccio.
Ma c’era un’altra difficoltà che non avevo previsto: l’ossigeno. Non c’era ossigeno sotto quell’ammasso di neve! Cavolo non respiravo! Ma dove dovevo andare? Sopra? Sotto? A destra? A sinistra? Non avevo la più pallida idea di dove fosse il cielo e dove la terra. Provai a smuovermi un po’ sperando di riuscire a capirlo ma fu impossibile. Per fortuna qualcuno venne in mio soccorso, mi sentii afferrare per un braccio da sinistra e tirare in quella direzione. Ripresi fiato e cercai di non finire di nuovo sepolta aggrappandomi con le mani alla neve, grazie a dio Elrond avevo i guanti che mi proteggevano almeno in parte, e guardai il mio salvatore ringraziandolo con gli occhi. Era Legolas! Mitico elfetto, mi era sempre stato simpatico ma mai come in quel momento. Mi sentivo priva di energie, affamata, stanca e infreddolita. Stavo cominciando a desiderare di tornare a casa, ma qualcosa mi diceva che non era poi così semplice come sembrava. Poggiai la testa sulla neve ignorando il freddo che ormai faceva parte di me e il sonno mi cadde addosso. Stavo chiudendo gli occhi, stavo addormentandomi mentre gli altri discutevano della strada da prendere, perché non riuscivo a rimanere sveglia? Forse per il freddo che mi intorpidiva? O per la stanchezza che mi stava facendo completamente vittima?
<< Solleva la testa Sophia >> Mi disse Legolas piegandosi vicino a me, era l’unico che non prendeva parte alla discussione insieme agli hobbit e probabilmente si era preoccupato nel vedermi ridotta in quelle condizioni << Non chiudere gli occhi, potresti non riuscire più a riaprirli >>
<< La cosa devo dire mi riempie di gioia >> mugolai intimorita alzando la testa. La pelle viva a contatto con il ghiaccio e la neve si stava screpolando e aveva assunto un colorito sul violaceo.
<< Tieni le braccia avvolte nel mantello >> Mi consigliò ancora vedendole in quelle condizioni.
<< Passiamo per le miniere di Moria >> sentii dire da Frodo << Sia benedetto il cielo, bravo hobbit giudizioso, andiamocene da sto posto infernale non ne posso più! >> dissi voltandomi e cercando di seguire il consiglio dell’elfo di tenere le braccia avvolte nel mantello.
<< Non ne sarei tanto contento, Sophia >> mi disse Gandalf serio raggiungendomi << Sì, penso anche io che i Bucaneve siano fiori meravigliosi ma non ho interesse ad aspettare per vederli nascere, quindi ce ne andiamo, per cortesia? >> ok, ero sembrata più pietosa che  convincente, si vedeva a distanza da un miglio che non avrei resistito un attimo in più in quel posto maledetto. La discesa miracolosamente fu più facile della salita, forse perché man mano che si andava in basso la neve diminuiva e il mio corpo riprendeva sensibilità.
<< Accidenti, avrei bisogno di un po’ di Nivea >> borbottai guardandomi la pelle secca e bruciata dal freddo, niente di grave per fortuna, ma per un paio di giorni avrei fatto pensare di essere metà donna e metà serpente e che per me era periodo della muta.
Arrivammo di fronte alle miniere che già era notte fonda, e io non mangiavo dal giorno prima! Sam aveva cucinato qualcosa mentre avevamo fatto la pausa, ma gli uccelli erano arrivati prima che io potessi addentare il mio boccone e non avevo avuto più modo di sgranocchiare qualcosa.
Guardai Pipino di traverso prima di pensare “Sophia!! Hai fame? Non mangiare la prima cosa che capita”, pensiero che provocò una risata che fu difficile reprimere e che uscì un po’ smorzata. Ma ancora nessuno mi chiese niente, ma arrivarono solo occhiatacce.
Probabilmente mi consideravano una pazza, e sapevano bene che fare domanda a una pazza era come buttarsi in una vasca piena di squali dopo essersi tagliuzzati tutti con una lametta.
Gandalf accarezzò la parete di roccia davanti a se << Dunque, vediamo... Ithildin. Riflette solo i raggi del Sole e della Luna. >> e miracolosamente le nuvole si dileguarono facendo posto alla luna << Wow, a Harry Potter gli fai un baffo, Merlino! >> sghignazzai andandogli vicino, sapevo che ci sarebbe voluto il mio aiuto in un momento come quello, più che altro ricordavo di una piovra non tanto carina e simpatica nell’acqua e se avessi avuto modo di evitarla sarebbe stato un bene per tutti. << C'è scritto: "Le porte di Durin, Signore di Moria. Dite amici ed entrate". >> Lesse Gandalf le scritte luminose che si erano create sulla parete.
<< E che cosa vorrebbe dire? >> Chiese Merry mentre Aragorn liberava il Pony di Sam e Pipino si divertiva a lanciare pietre nell’acqua << Oh, è semplice. Se uno è amico dice…>>
 << Mellon!!! >> dissi a gran voce interrompendo la frase di Gandalf che mi guardò stupefatto quando la porta si aprì << Anni e anni di allenamenti sulla Settimana Enigmistica, non sai quanto può essere noioso vivere da soli a volte >> Mi giustificai, ma ovviamente era una balla bella e grossa. Conoscevo la parola, l’avevo letta nel libro, l’avevo sentita nel film, altro che Settimana Enigmistica! Non sarei nemmeno stata in grado di portare a termine quello contente 5 parole fatto appositamente per i bambini dai 5 agli 8 anni. E poi io non vivevo da sola e anche se fosse avrei trovato altri modi per distrarmi, non di certo mettendomi a fare la Settimana Enigmistica come i nonnetti del circoletto di fronte a casa mia. Mi feci da parte per far entrare prima gli altri, volevo perlustrare la zona e vedere se qualcosa non fosse andato storto. E feci bene! Infatti la maledetta piovra si fece vedere lo stesso afferrando Frodo per un piede lo stesso. Certo un tentacolo del genere venirmi incontro non è uno spettacolo a cui ho assistito spesso, diciamo praticamente mai e la cosa mi traumatizzava non poco. Ma l’istinto fu più rapido della paura, mi sentivo un’eroina delle fiabe, non potevo certo rimanermene in disparte! Quello era il mio sogno e io ne ero la protagonista e i protagonisti non se ne stanno in disparte ma tirano fuori una padella e cominciano a combattere. E così feci io che saltai addosso a Frodo aggrappandomi a lui.
“Che hai concluso con questo, Sophia?” pensai una volta che mi ritrovai appesa sopra la testa del mostro aggrappata ai piedi di quel povero hobbit.
<< E ora? >> pensai ad alta voce dondolando come una mela matura che sta per cadere “speriamo di non tirarmi dietro nella caduta anche i piedi di Frodo!” mi preoccupai sentendolo urlare, non sapevo se di paura o di dolore o di tutto e due. Intanto sotto di noi gli uomini, gli altri due hobbit, l’elfo, il nano e il mago erano impegnati a trovare un modo per liberarci cercando di combattere contro quelle miriadi di tentacoli. Vidi proprio sotto di noi sbucare la testa del mostro dal pelo dell’acqua, era…era << Ommioddio!!! >> gridai tentando di arrampicarmi di più a Frodo, era terrificante!! Aveva i denti, da quando in qua le piovre hanno i denti e degli occhi? Che razza di creatura era?
Ma cavoli non potevo rimanere lì appesa come un grappolo d’uva, ero saltata addosso a Frodo per farmi trascinare con lui, ora dovevo agire di conseguenza. Sfoderai la spada, feci il segno della croce benché non fossi mai stata religiosa e mi lasciai cadere nel vuoto urlando come non mai. “Ti prego non in bocca! Non in bocca! Non in bocca” continuavo a ripetermi durante quei pochi attimi che era durata la caduta.
Per fortuna Dio, o i Valar, o Buddha o Santo Aragorn da Gondor sentì la mia preghiera e mi fece atterrare su un occhio molliccio della bestia dove mi ci si impiantarono le scarpe.
<< Che schifo! >> Borbottai prima di vedere un tentacolo venirmi incontro. Avere un moscerino come me in un occhio non era cosa piacevole, tentai di uscire da quelle sabbie mobili di gelatina e di mettermi al sicuro da quel colpo. Cavoli ero bravissima! Ero riuscita veramente a schivarlo. Però non ero molto stabile e caddi all’indietro rotolando verso le fauci spalancate. Mi ricordai di avere in mano una spada e la conficcai nella testa del mostro per bloccare la mia caduta e vidi uscire dalla ferita liquido bluastro << Che schifo!! >> quante volte avrò mai detto che schifo in quel momento? Bah, tentai di starne alla larga, ci mancava solo che prendessi l’HIV con sangue di mostro marino. Come l’avrei spiegato ai dottori che non avevo fatto sesso con nessuna forma aliena? Tentai di fare leva con la spada e di tirarmi in piedi, PESSIMO ERRORE! Un altro tentacolo mi venne incontro scaraventandomi nelle acque nere del lago.
<< Oh santissimo Aragorn di Gondor! Che qualcuno mi assista >> Dissi e tentai di nuotare in superficie, fu più difficile del previsto, non era mai stata tanto male a nuotare, per lo meno sapevo stare a galla, ma quelle acque erano più pesanti, trascinavano sul fondo con maggior vigore. Raggiunsi il mostro che era più impegnato a combattere contro i miei compagni e tenersi stretto la preda Frodo e non diede molto peso a me.
Perché mai nessuno mi dava importanza???
Suvvia, non era il momento adatto per queste crisi. Dovevo approfittare della cosa. Mi arrampicai nuovamente sulla testa del mostro, tirai fuori anche la daga e senza dar lui tempo di reagire saltai a braccia tese verso i suoi occhi e, non so ancora come (la fortuna girava dalla mia parte ultimamente, meno male!) riuscii a centrarli! La daga conficcata nell’occhio sinistra e la spada in quello destro. Il mostro urlò, sibilò e fece altri versi strani, mi fece accapponare la pelle, ma per fortuna il colpo inferto lo convinse a lasciare la sua preda e la lanciò verso la riva dove venne per fortuna presa al volo da Legolas.
Ok, ero riuscita nell’intento, avevo salvato Frodo ma ora…come mi sarei salvata io? La bestia si immerse nuovamente e tentai con tutte le forze che avevo di staccare le mie armi da dentro quell’orrore per poter correre a riva ed entrare nelle miniere.
Sentivo il resto della compagnia urlare il mio nome mentre Gandalf li incitava ad entrare nelle miniere per fuggire alla collera della piovra.
La daga riuscii a estrarla ma la spada fu impossibile, era conficcata troppo in profondità! Venni trascinata sott’acqua dai tentacoli, al diavolo la spada, avrei fatto anche senza, tanto non sapevo usarla, dovevo però assolutamente tornare a riva. Provai a nuotare ma fu tutto impossibile, ero stanca, le acque mi impedivano di nuotare con facilità e la piovra stava facendo di tutto per portarmi insieme a lui nel suo inferno.
Mi lasciai andare.
Se fossi morta lì probabilmente il mio sogno sarebbe finito e sarei tornata a casa, non sarei morta veramente. Anche se ne avevo forti dubbi, stavo cominciando a pensare che non fosse un sogno. Stavo cominciando a pensare che fosse tutto vero.
Dannazione no!
Dovevo salvare Boromir! Dovevo portare a termine la mia avventura! Non ero stata trascinata in quel posto per salvare Frodo dalla piovra, era ridicolo, avevo un’altra missione da compiere, non potevo arrendermi.
Una strana energia nacque dai luoghi più reconditi della mia anima e cominciai a nuotare come mai avevo fatto schivando, anche se con difficoltà, i tentacoli. Nuotavo, non vedevo niente, eppure ero certa che la direzione era giusta, la determinazione mi stava donando una forza nuova, dovevo sopravvivere, e i polmoni bruciavano in assenza di ossigeno! Soffrivo come un cane, dovevo arrivare in superficie dovevo respirare!
Finalmente…aria.
Guardai il cielo più nero delle acque dove ero stata fino ad allora, poi spostai lo sguardo alla riva sforzandomi di arrivarci prima della piovra che a quanto pare aveva avuto la mia stessa intenzione, voleva raggiungere i miei compagni.
I miei compagni.
Dov’erano?
Erano tutti spariti, tutti all’interno! Mi avevano abbandonato lì!
Ma…no. Una figura uscì dalle grotte urlando il mio nome mentre all’interno un’altra voce, la voce di Gandalf urlava << Non c’è tempo! Boromir! Rientra immediatamente è pericoloso! >>.
Maledetto vecchiaccio me l’avrebbe pagata, gli avrei strappato i peli della barba uno ad uno durante il sonno la sera stessa se fossi riuscita a sopravvivere.
Raggiunsi la riva con fatica continuando a tossire e a respirare con fatica. Mi accorsi ben presto che mi era impossibile usare le gambe per camminare, ero esausta! Non ce l’avrei fatta se…
Se Boromir non mi fosse corso incontro temerario, schivando i tentacoli furiosi della piovra che andavano un po’ alla ceca. Mi aiutò a sollevarmi in piedi e tentai di correre insieme a lui, ma le gambe non rispondevano ai comandi, non ce la facevo!
<< Dai, forza! >> Mi incitò l’uomo abbassandosi appena in tempo per non essere colpito da un tentacolo. La piovra stava raggiungendo l’entrata della caverna, se non fossimo entrati in tempo saremmo rimasto lì fuori e allora…come sarebbe proseguita la storia? Accidenti che casino avevo combinato! Maledette gambe, forza!!
Niente! Niente da fare!
Perciò l’uomo adotto il piano B, ovvero mi prese in braccio a mò di principessa e corse dentro la caverna appena in tempo, prima che l’entrata crollasse alle nostre spalle con un gran fracasso e alzando un gran polverone.

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Capitolo 4
*** Non abbiamo altra scelta. Dobbiamo affrontare le lunghe tenebre di Moria. ***


Ok, non riuscivo a capire niente. Ero sull’orlo della morte, avevo ingoiato tanta acqua che se mi avessero buttato sopra a un fuoco sarei stata capace di cuocere una spaghettata per un esercito, e ancora non smettevo di tossire sentendo i polmoni andare a fuoco e la gola grattare.
<< Sophia! >> Sentii una voce cristallina urlare e vidi venirmi incontro un piccolo hobbit che riconobbi con un po’ di fatica a causa del buio della miniera e della vista che si era un pò annebbiata. Come se non bastasse l’odore di Boromir che mi era così vicino mi faceva girare vorticosamente la testa e questo di certo non migliorava la mia situazione.
<< Pipino >> salutai con un filo di voce << Abbiamo avuto paura tu fossi morta! >> Aggiunse Merry venendomi anche lui incontro. Non potei rispondere che con un sorriso, il quale chissà se lui fosse riuscito a scorgere in quell’oscurità, mi ero affezionata a quegli hobbit birichini e a quanto pare la simpatia era reciproca.
<< Sei stata molto coraggiosa >> Si congratulò con me Aragorn da qualche metro di distanza.
Ok, decisamente troppe attenzioni!
<< Ho fatto ciò che sentivo di dover fare >> cercai di rispondere ma ancora una volta la voce si spezzò in gola un paio di volte lasciando posto ai colpi di tosse.
<< Riesci a camminare? >> mi sussurrò Boromir con tono dolce e pacato. “Per te riuscirei anche a volare” pensai sentendomi il cuore morire nel petto. << Penso di sì >> dissi e Boromir provò a mettermi con i piedi per terra molto delicatamente.
Gandalf decise di illuminarci il cammino usando il suo bastone per produrre una lieve luce bianca, luce che ci mostrò la vera natura delle miniere: una tomba.
Io lo scoprii in maniera più traumatizzante, nel momento in cui avevo toccato terra le gambe non avevano retto e mi ero accasciata a terra, proprio mentre la luce arrivava anche a me, e mi resi conto troppo tardi di dove stavo andando a cadere: sopra uno scheletro. Per attutire la caduta avevo posato una mano a terra ma invece raggiunsi il cranio di chissà quale nano.
Tentai di urlare, ma risultò solo un lieve lamento, mentre mi stringevo di più all’uomo accanto a me.
<< Non è una miniera. E’ una tomba >> constatò Boromir guardandosi attorno sconvolto prima di chinarsi su di me per vedere se stessi bene. Legolas staccò una freccia dal cranio di uno dei cadaveri, gesto a cui risposi con una smorfia di disgusto, e osservandola decretò << Goblin >>.
<< Non saremo mai dovuti venire qui >> disse l’uomo accanto a me con un tono un po’ alterato, sicuramente stava mandando tanti accidenti a quella compagnia capocciona che non aveva voluto ascoltarlo a tempo debito. Tossii ancora << Stai bene? >> mi chiese poi Boromir cambiando di nuovo tono e parlandomi con dolcezza.
<< Ho passato momenti decisamente migliori >>
<<  Non abbiamo altra scelta. Dobbiamo affrontare le lunghe tenebre di Moria. State in guardia. Ci sono cose più antiche e più malvage degli Orchi, nelle profondità della terra. Ora silenzio. È un viaggio di quattro giorni fino all'altra parte. Speriamo che la nostra presenza passi inosservata. >> Disse Gandalf cominciando a camminare verso l’interno della caverna, maledetto vecchiaccio non mi aveva ancora detto niente! Né un “come stai?” né un “brava, hai salvato Frodo”. Ok, ancora una volta necessitavo di un death note!
<< Aragorn! >> Chiamò Boromir cominciando a togliersi di spalla lo scudo e il mantello che gli erano d’intralcio, passò le sue cose al ramingo, che era appena accorso ad aiutarci, e si mise di schiena poco davanti a me << Sali sulle mie spalle >> mi disse.

Eh?
Cosa?
Io? Lì? No…non ce l’avrei fatta! E poi perché tante attenzioni? Sì, insomma, avevo già avuto modo di constatare che fosse l’uomo più gentile e amorevole di questo mondo, ma non doveva fare così con me! Sarei morta sul colpo!
<< Ma…se invece salissi sulle spalle di Aragorn? Insomma, hai già fatto tanto per me.. >> cominciai a balbettare << Non vorrei pesarti troppo, sarebbe un disturbo >> da dove mi era uscita tutta quella voce improvvisamente? Maledetto uomo! Ecco l’effetto che mi faceva, mi mandava in tilt Ruphus, poveretto.
<< Non fare la preziosa e muoviti che altrimenti perdiamo il gruppo! >> Guardai avanti a noi e Gandalf senza troppi complimenti era andato avanti senza preoccuparsi di noi poveretti infondo. Maledetto! Maledetto! Ok, quel mago da quattro soldi si era appena aggiudicato il premio di “mago più antipatico della storia”.
Mi sforzai di strisciare vicino a Boromir cercando di evitare ragnatele e ossa varie ancora ricoperte da un po’ di carne in putrefazione, gli cinsi il collo con le braccia e mi diedi la spinta necessaria per riuscire ad aggrapparmi completamente alla sua schiena. Boromir mi afferrò le gambe, si inchinò leggermente in avanti, mi sistemò meglio sulle sue spalle con un paio di scrollate e infine si alzò in piedi come se niente fosse.
<< Così contribuisci a far alzare la mia autostima di donna >> scherzai sorpresa della facilità con cui si era tirato su.
<< Come prego? >> chiese cominciando a camminare dietro la compagnia. Lanciai un occhiata ad Aragorn che camminava al nostro fianco: si era sistemato gli oggetti di Boromir addosso in modo che non gli fossero d’intralcio e prima di accelerare il passo per raggiungere Gandalf a capo della comitiva mi lanciò uno strano sguardo…compiaciuto potrei dire! Si, sembrava proprio compiaciuto e aveva anche sorriso! Che diavolo…!! Stupido ramingo che giungeva subito a conclusioni affrettate! Arrossi al suo sguardo ma feci in modo che Boromir non mi vedesse posando la testa sulla sua spalla << Mi hai alzata come fossi una piuma! Se fino a ieri imprecavo contro lo specchio perché mi vedevo in sovrappeso ora tutti i miei timori sono spariti >> Non ero riuscita a concludere la frase senza prima tossire un paio di volte, la gola ancora bruciava e grattava ogni volta che ci passava l’aria.
<< Sono abituato ad alzare pesi ben maggiori >> mi rispose con tono divertito, intanto io cullata sopra le sue spalle dai suoi passi, sentendomi finalmente al sicuro e tranquilla, e avendo modo di rilassare i muscoli, stavo cominciando a lasciarmi andare alla stanchezza. Posai la testa comodamente sulla sua spalla, chiusi gli occhi e mi ammorbidii.
<< Un vero uomo >> mormorai tra il sonno e la veglia, senza riuscire a far morire quelle parole in bocca come negli ultimi tempi mi stavo impegnando a fare.

Mi trovavo sospesa in una dimensione sconosciuta, sentendomi leggera come una piuma, nella pace dei sensi e finalmente riposata e tranquilla. Ma presto tutto questo sparì facendo sì che i sensi pian piano riprendessero ad avere contatti con la realtà. Prima l’udito, sentendo voci indistinte, soffocate, sussurrate, poi il tatto e percepii la dura e fredda roccia sotto di me, ma non sentivo freddo, ero ben coperta oltre che dal mio mantello da qualcos’altro impregnato di un profumo acre di sudore, polvere, lotte e fatica. Prima di allora lo avrei disprezzato, ma adesso faceva tutto un altro effetto, era l’odore delle grandi battaglie, di quelle vinte da anime pure, considerate fazioni del bene.
Ma laddove l’odore acre delle fatiche mi aiutavano ad abbandonare con delicatezza quella pace dei sensi che era stato il sonno, un’altra mano mi tirava con brutalità nella realtà, un odore spregevole, la puzza dei cadaveri in putrefazione impregnava l’aria che respiravo e sembrava che a ogni sospiro entrasse dentro di me facendomi marcire i polmoni.
Aprii lentamente gli occhi, la caverna era appena appena illuminata da una luce fioca dalla provenienza sconosciuta, luce che permetteva appena di vedere a pochi metri di distanza. Mi misi a sedere, avevo dolori ovunque e feci fatica a muovermi. Guardai la coperta che mi era stata messa addosso: era un mantello di lana caldo di un colore verde militare, ispido al tatto, una lavorazione di seconda mano di molti anni prima. Chissà reduce di quali avventure.
Le voci che più si facevano sentire erano quelle di Merry e Pipino, poco distanti da me, intenti a discutere sul loro grado di fame << Puoi avere tutta la fame che vuoi ma non ne avrai mai tanta quanto me >> mormorai stropicciandomi gli occhi.
<< Ti sei svegliata, dormigliona! >> brontolò Pipino << Russavi così forte che non riuscivamo mai a capire se eri tu o qualche orco nelle profondità dell’oscurità >> Sgranai gli occhi.
Io…russavo? In quella maniera?
<< Io non russo!! >> mi lamentai imbarazzatissima << No è vero >> Mi rispose Aragorn venendo a sistemare le sue cose che aveva posato vicino a me << Lascia stare i due hobbit, sei stata la più silenziosa di tutti, e a dir il vero ci siamo spesso chiesti se stessi dormendo o se era un cadavere quello che trasportava Boromir sulle spalle >>.
Che bella cosa, ero passata dall’orco al cadavere!
Mi alzai in piedi dandomi una pulita ai vestiti ancora un po’ umidi dal mio bagno in quelle acque nere: accidenti come puzzavano. Mi toccai i capelli spettinati, sporchi e disordinati. Feci una smorfia, non ero mai stata in condizioni tanto pessime! Presi uno dei laccini intorno ai miei polsi appartenenti ai guanti, tanto avevo appena constatato che erano inutili, avevano solo funzione decorativa, e lo usai per legarmi i capelli in una treccia fatta alla ben’e meglio. Mi guardai attorno per studiare la situazione: Gandalf stava parlando con Frodo probabilmente riguardo a Gollum che da giorni li seguiva. Pipino, Merry e Sam parlavano tra loro sempre sul cibo e su quanto avessero fame. Aragorn aveva raggiunto Legolas in cima a una roccia per controllare la situazione intorno a loro mentre il nano si stava sistemando le armi addosso e affilando l’ascia con un pezzo di pietra.
Seduto invece in disparte c’era Boromir con gli occhi puntati verso un  orizzonte infinito e immaginario, perso nei suoi pensieri peccaminosi e traditori. Colsi anche l’attimo in cui abbandonava il suo infinito per buttare gli occhi su qualcosa di più grande: il potere che non riusciva ad avere tra le sue mani. Guardò Frodo con astio per qualche secondo prima di tornare perso nei suoi pensieri fallaci. Odiavo vederlo ridotto a quelle condizioni ma sapevo anche che dovevo lasciarlo andare, sapevo che l’unico modo per riprendere a vedere con i suoi occhi era spingersi più in là che poteva, arrivare alla cecità totale e rendersi conto dell’errore che stava commettendo.
Mi avvicinai a Gandalf << Mago di Oz! >> Lo chiamai prima di arrivargli vicino così da permettere ai due di concludere in fretta il discorso che stavano facendo.
<< Ok, senti, tu non stai simpatico a me e io non sto simpatica a te, questo lo abbiamo capito però per favore potresti evitare di ignorarmi? Posso essere di grande aiuto se me lo concedi >>
Gandalf si tolse la pipa dalla bocca guardandomi esterrefatto << Non capisco di cosa tu stia parlando >>
<< Mi stavi mollando a ballare la macarena con la piovra fuori di qua! E ti assicuro che con tutti quei tentacoli sarebbe stato difficile starle dietro! >>
<< Dovevamo entrare dentro le miniere il prima possibile o anche noi avremmo fatto la stessa fine che credevamo tu avessi fatto >>
<< Ok, va bene, e allora perché non mi hai degnato di uno sguardo una volta entrata? Non mi hai nemmeno dato il tempo di riprendermi >> Ok, ero un po’ alterata, ma mi ero sentita una nullità, mi aveva fatto sentire inutile e solo una perdita di tempo, eppure glielo avevo dimostrato già un paio di volte che non ero inutile.
<< Avevo semplicemente fretta di allontanarmi da quel posto, è pericoloso stare troppo tempo fermi nello stesso luogo, e poi con te c’era Boromir. >>
Non avevo altre domande, l’udienza è tolta, l’imputato risulta…innocente!
<< Mh, per stavolta va bene. Mi hai convinta. Comunque la strada da prendere è quella a destra >> Dissi allontanandomi di qualche passo. Gandalf mi guardò stranito, sapevo bene cosa mi voleva chiedere e io in risposta mi indicai il naso << Segui il tuo naso >> e facendo un occhiolino ritornai dove avevo lasciato i mantelli e le mie armi che probabilmente mi erano state tolte prima di mettermi stesa a riposare.
<< Questa è inutile >> dissi guardando il fodero della spada ormai vuoto << Posso lasciarlo anche qui >> Boromir mi venne vicino per riprendersi il mantello. Allora era il suo quello che mi era stato messo addosso! Arrossii, ancora una volta si era dimostrato così dolce nei miei confronti. Se prima era una semplice cottarella da quattro soldi a lungo andare, se avesse continuato a comportarsi in quella maniera, me ne sarei innamorata completamente.
<< Ti conviene invece portarla dietro, potrebbe indicare il nostro passaggio e non è una buona idea>> Mi disse mettendosi in spalla mantello e scudo.
<< Mi tocca portarmi dietro questo peso inutile? >> mi lamentai  cercando di sistemarmi in vita quella maledetta cintola come avevo visto farlo a Elrond. “Speriamo di averla messa bene” pensai cercando di fare due passi: ok, non batteva contro la gamba, c’era il 70% di possibilità che fosse messa giusta.
Camminammo a lungo, e i vari dolori lungo tutto il corpo mi impedivano di essere rapida come avrei voluto, a volte zoppicavo a volte invece dovevo massaggiarmi una spalla altrimenti avrei perso il braccio per la via.
Arrivammo all’interno di un enorme sala con colonne gigantesche << Voglio osare un po' più di luce. Ammirate il grande reame e la città dei Nani: Nanosterro. >> Disse Gandalf illuminando di più il posto. << Ti fa spalancare gli occhi, certo. >> disse Sam togliendomi le parole da di bocca, era qualcosa di incredibile, avevo i brividi ovunque, non avevo mai visto niente di più maestoso, mi sentivo così piccola e insignificante a confronto.
Il resto del cammino lo facemmo in silenzio, tutti erano troppo colpiti dal posto così incredibile e nessuno osava proferire parola, fino a quando non arrivammo vicino a una stanza che probabilmente Gimli conosceva fin troppo bene perché lo vidi correre all’interno sussurrando << Oh >>.
<< Gimli! >> lo richiamò Gandalf inutilmente, mentre io ero già corsa all’interno, seguendolo. Sapevo bene cosa avremmo trovato all’interno: morte e guai. Ma sapevo che non potevamo scappare, perciò ci sarei andata a testa alta, come avevo fatto con la piovra.
Certo è che non riuscii a resistere all’urlo straziato di Gimli nel vedere la tomba di suo cugino, fu un colpo al cuore, era diverso vivere di prima persona quell’avventura anziché vederla alla televisione.
Era la prima volta che vedevo la morte da così vicino, ed era raccapricciante.
Anche gli altri entrarono all’interno della stanza fermandosi a guardare Gimli disperarsi sulla tomba di suo cugino, tutti non avevano la più pallida idea di cosa dire, di come comportarsi.
Gandalf prese un diario dalle mani di uno scheletro ai piedi della tomba, e ancora una volta feci una smorfia schifata “non sono per niente schizzinosi qui” constatai.
<< Hanno preso il ponte, e il secondo salone. Abbiamo sbarrato i cancelli, ma non possiamo resistere a lungo. La terra trema. Tamburi. Tamburi negli abissi. Non possiamo più uscire. Un'ombra si muove nel buio. Non possiamo più uscire.>> cominciò a leggere ad alta voce e ancora una volta mi vennero i brividi pensando a quello che ci stava per aspettare. << Arrivano >>  disse lui leggendo all’unisono con me che avevo appena appena sussurrato.
L’attimo che seguì la lettura fu il più teso mai provato prima, tutti avevamo i nervi a fior di pelle spaventati da ciò che infestava quelle miniere, l’unico che continuava a far rumore era Gimli con i suoi lamenti, ma aveva decisamente abbassato il tono di voce.
Subito dopo un rumore ci fece saltare, me compresa, nonostante avessi bene in testa cosa, o meglio: chi!, Avesse fatto rumore. Ci voltammo tutti verso Pipino che aveva fatto cadere uno scheletro in bilico all’interno di un pozzo facendo un gran fracasso, sapevamo bene che non l’aveva fatto assolutamente intenzionalmente ma ci aveva spaventati immensamente.
Gandalf gli si avvicinò furioso riprendendosi con impeto il bastone che gli aveva dato poco prima per avere le mani libere e poter leggere. << Idiota di un Tuc! Gettati tu la prossima volta e liberaci della tua stupidità. >> lo sgridò, poveretto mi fece tanta pena. Gli rivolsi un sorriso compassionevole e negai debolmente la testa facendogli capire i miei pensieri “lascia stare”.
<< Frodo! >> lo richiamò Sam spaventato guardando Pungolo. Frodo sfilò la daga dal suo fodero osservandola, era diventata blu! Era la prima volta che la vedevo dal vero diventare di quel colore, che cosa affascinante.
<< Orchi >> annunciò Legolas e a quella parola si scatenò il putiferio. Aragorn disse agli hobbit di stare dietro Gandalf e vidi Boromir scattare verso la porta al che corsi anch’io nella stessa direzione. Lo raggiunsi appena in tempo, le due frecce erano state scoccate e io afferrai Boromir per il collo della maglia e lo tirai indietro, senza nemmeno vedere le frecce arrivare con una puntualità impressionante, non che avessi paura che si potesse ferire, sapevo perfettamente che non si sarebbe fatto niente, ma in un certo senso volevo sdebitarmi, o almeno volevo dar lui quell’impressione.
Boromir mi guardò un po’ sconvolto prima di sussurrare un << Grazie >> molto incredulo.
<< Non c’è di che! >> Risposi afferrando la porta e sforzandomi per chiuderla, Boromir mi diede una mano e poi la bloccammo con delle asce trovate lì vicino.
<< È un Troll di caverna. >> disse Boromir indietreggiando tenendo gli occhi puntati sulla porta.
<< Ah! Che vengano pure. Troveranno che qui a Moria c'è ancora un Nano che respira. >>  brontolò Gimli saltando sopra la tomba di suo cugino impugnando la sua ascia: era furioso. Tirai fuori la mia daga, ma dove volevo arrivare con quello stuzzicadenti?! L’avrebbe usata il troll per pulirsi i denti dopo avermi masticato per bene!
Oh, accidenti! Le gambe!! Ma perché mamma mi aveva fatto delle gambe così mollicce? Alla prima occasione cedevano! Per fortuna ancora non ero stesa a terra come del latte versato, ma poco ci mancava. Gli orchi cominciarono a picchiare fuori dalla porta con tanta furia da romperla. Legolas e Aragorn cominciarono a sparare frecce all’interno del buco formato , ma la cosa non funzionò molto, nel giro di qualche minuto nella stanza si era riversata una quantità incredibile di orchi, con un impeto e una velocità simile a quella di un’onda sulla riva del mare.
Ok, non ero pronta per il corpo a corpo.
Com’è che diceva Boromir? Due, uno, cinque. Le posizioni!! Ok, se mantenevo le posizioni potevo farcela. Ci provai, tenendomi dritta come un soldato mentre nella mia mente ripetevo “due, uno, cinque! Forza!” Un orco mi si scaraventò contro e non diedi lui modo di colpirmi: fuggii in preda al panico urlando << Due, uno, cinque una bella sega!! !>> , ok sì, ero ridicola. Sembrava di giocare a nascondino con quel maledetto orco! Perché non mi lasciava in pace?
Mi nascosi dietro la tomba ma mi trovò subito, scappai di nuovo sfiorando l’ascia che aveva fatto cadere dall’alto e andai a mettermi dietro una colonna, mi trovò ancora. Scappai, mi misi dietro Aragorn che mi richiamò << Ma che combini? >> mentre ammazzava orchi su orchi come fossero tanti birilli da buttar giù a calci.
<< Cerco di portare a casa la pelle, tesoro mio >> dissi col sorriso sulle labbra prima di fuggire ancora, raggiunta di nuovo dal solito orco. Il troll di caverna entrò con vigore all’interno della stanza, frantumando il muro intorno alla porta in quanto la sua stazza gli impediva di passarci comodamente. Nell’entrare furioso schiacciò con un piede l’orco che mi stava dando la caccia da un buon quarto d’ora e io indicai il  suo cadavere spiaccicato al suolo ridendo istericamente e facendogli la linguaccia << Così impari, brutto orco cattivo!! >>.
Però il troll non parve apprezzare la mia reazione e si lanciò contro di me.
Dannazione di nuovo!!!!
Ripresi a scappare correndo in cerchio e urlando quanti più accidenti possibili contro tutti quelli che mi avevano fatto entrare in quella storia, me per prima.
Il troll mi lasciò perdere quasi subito andandosela a prendere con Frodo, forse perché non lo vedeva come un insettino insignificante che cercava solo di uscire dalla finestra e che continuamente andava a sbattere contro il vetro.
Credei di potermi riposare ma a quanto pare avevo la faccia di una con cui ci si può divertire. Un altro orco mi venne incontro e io piagnucolai << Basta lasciatemi in pace!! >> cominciando a dare colpi a caso con la daga chiudendo gli occhi per paura di vedere la fine che stavo facendo.
Sentii poi un lamento. Aprii gli occhi e vidi l’orco davanti a me accasciarsi a terra morto.
Esultai << Ce l’ho fatta!! >> saltellando sul posto, poi vidi Boromir sfilare la spada dall’orco appena steso ai miei piedi e la mia euforia scomparve all’improvviso lasciando il posto a un muso lungo degno di un cavallo << Oh. Tu ce l’hai fatta >> mormorai.
<< Scusa se sono intervenuto, mi sembravi un TANTINO in difficoltà >> disse Boromir ridendo sotto i baffi.
<< Ce l’avrei fatta benissimo >> Mi lamentai incrociando le braccia al petto. Un orco quasi mi colpì in pieno volto, mi abbassai appena in tempo ma mi afferrò per una spalla pronto a trafiggermi. Mi voltai di scatto e gli morsi il braccio.
Ma penso che ciò fu a mio svantaggio anziché al suo: aveva un sapore assolutamente disgustoso!! E lui non fece una piega! Mi stava per uccidere! Chiusi ancora gli occhi e portai la daga davanti a me con entrambe le mani come ultimo gesto disperato.
Incredibile.
Ce la feci.
Lo colpii in pieno cuore e lo vidi accasciarsi a terra.
Esultai ancora << Visto?? >> dissi a Boromir indicando il cadavere ai miei piedi.
Lui uccise un altro orco prima di voltarsi << Visto cosa? >>
<< Maledetto!!! Ho appena ucciso uno di quei cosi e tu non guardi! >> lo sentii ridere fragorosamente  mentre si voltava di scatto e uccideva un altro orco.
Ancora un altro!!
Ma quanti ce n’erano?
<< Basta!!! >> Mi lamentai riprendendo la mia strategia iniziale, molto efficace, di scappare.
Mi stava per prendere quando mi voltai di colpo e  guardai severa il mostro davanti a me << Fermo! >> gli ordinai. Incredibile, mi diede ascolto! << Io sono la strega Sophia, la più potente di tutto il Bosco dei 100 Acri! Se mi uccidi la tua vita e quella di tua moglie, dei tuoi figli, dei tuoi genitori, dei tuoi amici, del tuo cane e dei tuoi pesci rossi sarà maledetta per l’eternità! >> urlai in tono minaccioso puntandogli contro la daga come solo Harry Potter sa fare con la sua bacchetta. Ok, forse non era la strategia migliore, l’orco inclinò la testa di lato, mi guardò male e poi riprese a rincorrermi.
<< Maledizione! Ma metteresti davvero a repentaglio la vita dei tuoi figli, di tua moglie, dei tuoi genitori, dei tuoi nonni, dei tuoi prozii, dei tuoi cugini, dei cugini dei tuoi cugini, del tuo cane, del cane della tua vicina, della sorella del cane della tua vicina e di quello di suo nonno, dei tuoi pesci rossi e della loro famiglia? >> dissi tutto d’un fiato continuando a correre.
<< E quella della famiglia dei tuoi amici? >> chiesi ancora schivando velocemente un fendente.
<< No? Nemmeno dei fratelli del cane della prozia della nonna della madre del gatto del pesce rosso di tua moglie? >> continuai senza sosta finchè non mi ritrovai schiena contro schiena con Legolas  << Sai, Sophia, credo che loro non abbiano famiglia né amici >> Mi disse forse divertito dal mio monologo o forse scocciato perché parlavo troppo << No? Nemmeno animali domestici?  Nemmeno un conoscente? Un vecchio compagno delle scuole? >>
<< Dubito >> Rise lui. In quel momento vidi un’ascia tagliare l’aria in orizzontale in direzione delle nostre teste << Giù!!! >> urlai appena in tempo e ricevemmo entrambi appena una spuntatina di capelli. L’elfo fu rapidissimo, appena l’ascia passò sopra le nostre teste lui si rialzò in piedi, si voltò e gli sparò un paio di frecce in pieno volto. Il cadavere del mostro si accasciò a terra con la testa sui miei piedi e io schifata e terrorizzata mugolai e cominciai a tirargli calci in pieno viso. Ok, forse più che una mossa di difesa (non avevo nulla da difendermi contro un cadavere!) era un modo per sfogare i nervi, non ero mai stata tanto tesa.
<< Sophia, penso adesso che sia abbastanza morto! >> mi fece notare l’elfo sempre alle mie spalle. Mi resi conto della stupidità che stavo dimostrando così mi fermai a riprendere fiato e prima di alzarmi gli tirai un altro calcio.
Legolas corse verso il troll per dar lui il colpo di grazia mentre tutti erano corsi verso Frodo gridando il suo nome. Alzai gli occhi al cielo “quando è Frodo a rischiare la pelle tutti si preoccupano, quando sono io nemmeno mi guardano in faccia” pensai scocciata e mi avvicinai a loro a grandi passi << Frodo! Frodo! Frodo! >> mi lamentai prima di prenderlo per le spalle e tirarlo su << Ovvia, sta bene!! Su, respira piccoletto >> e gli diedi due botte sulla schiena. Frodo riprese a respirare e tutti rimasero sconcertati << E’ vivo >> mormorò Sam.
<< Carramba che sorpresa! >> dissi allargando le braccia e sorridendo scompigliai i capelli al piccolo hobbit << Dovreste imparare ad avere più fiducia in lui >> e mi avviai a prendere la daga che avevo mollato in giro  da qualche parte per mettermi in salvo. La trovai strinta tra le mani di un orco che giaceva a terra << Ehi! Quella è mia, ridammela, ladruncolo da quattro soldi! >> e tentai di togliergliela dalle mani senza toccarlo, mi facevano schifo gli orchi vivi figuriamoci quelli morti. Ma non c’era versi! Non me la voleva rendere!
<< Ma che diavolo…??>> mormorai e facendomi coraggio afferrai un suo dito con le unghie e tentai di aprirgli la mano. Niente! Ma cosa c’aveva messo la colla?
<< Ok, vuoi fare il duro eh! >> mi feci coraggio , afferrai le sue dita con entrambe le mani cercando di non vomitare e feci pressione per aprirla.
<< Ne arrivano altri! Dobbiamo andare! >> urlò Aragorn e tutti cominciarono a fuggire, mi spaventai. Mi volevano lasciare lì….di nuovo! Cominciai ad urlare e a litigare con quella maledetta mano << Aspettate, aspettate, aspettate… >> niente da fare! Maledizione!
Una spada arrivò dall’alto tagliando la mano dell’orco dal resto del corpo, alzai la testa e vidi Boromir che si stava piegando e afferrando la mano morta che ancora stringeva la mia daga me la porse << Muoviti, andiamo! >> possibile che fosse l’unico a preoccuparsi di me?
<< Non ho intenzione di andare in giro con una mano morta infilata nel fodero della daga! >> mi lamentai schifata.
<< Non c’è tempo, muoviti! >> disse e prendendomi per una spalla mi trascinò via. Fui costretta a prendere quello schifo tra le mani e mentre correvo continuavo a litigarci per cercare di aprirla. Fummo costretti a fermarci perché circondati, tutti si preparavano di nuovo a combattere e io…me ne fregavo  e continuavo a litigare con la mia mano. Finchè non fosse comparso il Balrog non c’era di che preoccuparsi.
Ecco appunto. Gli orchi fuggirono via a gambe levate << Maledizione, lascialaaa >> mormorai, mi rifiutavo di mettere la daga nel fodero con questa cosa attaccata sopra. Niente da fare << Cos'è questa nuova diavoleria? >> mormorò Boromir, sospirai affranta, misi la daga così com’era dentro il fodero e anticipai le parole di Gandalf << Un Balrog. Un demone del mondo antico. È un nemico al di là delle vostre forze.>> spiegai guardando le sale illuminate dal fuoco del mostro << Fuggiamo! >> dissi cominciando a correre ma mi accorsi ben presto che ero l’unica. Tutti mi guardavano con lo sguardo perso e insicuro << Beh? >> chiesi allargando le braccia. Avevano deciso di farsi uccidere?
<< Andiamo! Andiamo! Sophia ha ragione >> disse Gandalf correndo insieme a me e solo allora tutti seguirono il mio consiglio << Oh, certo lo dice Gandalf è legge, lo dico io e tutti a guardarmi male, grazie mill..>> fui interrotta dalla mano di Aragorn che mi afferrò per un braccio e mi trascinò via.
Corremmo, corremmo e corremmo, non ne potevo ormai più, ero distrutta. Aragorn provò a voltarsi verso la bestia, che io ancora non avevo osato guardare ma sentivo il suo calore abbrustolirmi la schiena e la terra sotto ai miei piedi tremava, ma Gandalf lo prese e lo costrinse a correre ancora << Conducili fuori, Aragorn. Il ponte è vicino. Fa' come ti dico! Ormai le spade non sono più utili! >> e Aragorn non se lo fece ripetere due volte. Arrivammo a  una scalinata di pietra molto stretta, posta su un precipizio infinito di cui non si vedeva la fine e senza il benché minimo appoggio.
<< Oh mamma mia! Ho scoperto ora di soffrire di vertigini >> dissi indugiando appena, ma appena sentii la frusta del mostro schioccare dietro di me mi passò improvvisamente la fobia del vuoto e corsi giù per quelle scale insieme agli altri fino a quando non arrivammo di fronte a un…buco. Bisognava saltare per arrivare dall’altra parte della scalinata. Ricordavo bene quella parte, Aragorn e Frodo si sarebbero salvati per un pelo.
Il primo a saltare fu Legolas, poi Gandalf, il buco si allargò, Aragorn lanciò Sam e stava per fare la stessa cosa con Gimli quando lui, orgoglioso brontolò << No, nessuno può lanciare un Nano. >> e saltò per conto suo, ma riuscì a malapena a posare i piedi sul bordo della scala, stava per cadere giù quando Legolas l’afferrò per la barba e lo tirò su ignorando le sue lamentele. Boromir afferrò Merry e Pipino e anche lui saltò riuscendo a farcela ma…Dannazione!! Ero rimasta lì io? No! Non volevo fare la stessa fine di Aragorn e Frodo, sarei caduta giù, sarei morta di paura, così saltai il più rapidamente possibile cantando per sfogare la paura << I believe i can fly!!! >> atterrai con entrambi i piedi sulle scale, anche se scivolai all’atterraggio e feci un paio di scalini giù dritta di sedere. << Ahuo >> mormorai alzandomi di nuovo in piedi. Mi voltai appena in tempo per vedere Aragorn fare l’equilibrista insieme a Frodo su quello sputo di sassolino in bilico. Ok, sapevo che ce l’avrebbero fatta…ma che ansia!!!
Riuscirono a saltare e Gandalf gridò con ansia << Al ponte! Avanti! >> e di nuovo a correre giù per quell’inferno.
Il ponte! Finalmente!
Lo attraversammo e Gandalf si fermò a metà voltandosi verso il Balrog << Tu non puoi passare! >> gridò contro il mostro. Mi fermai alla fine del ponte insieme agli altri e ci voltammo a guardare Gandalf, era la prima volta che mi voltavo a guardare quel mostro, era…terrificante! Certo non schifoso e ripugnante come gli orchi e come quella mano che ancora mi portavo a spasso come un cagnolino, ma faceva venire i brividi lo stesso. Frodo provò a chiamarlo inutilmente, Gandalf impugnò il suo bastone e fece il suo discorso, discorso che avevo imparato a memoria. Mi piaceva troppo, trasmetteva sicurezza, determinazione.
<< Sono un servitore del Fuoco Segreto, e reggo la fiamma di Anor! Il fuoco oscuro non ti servirà a nulla, fiamma di Udun! Ritorna nell'ombra! Tu non puoi passare! >> disse con rabbia e decisione e mentre io recitavo la stessa frase sottovoce, tra me e me.
Un crollo.
Il balrog cadde giù. Gandalf si voltò verso di noi stanco e soddisfatto ma non ebbe modo di raggiungerci, il Balrog l’afferro per i piedi e lo trascinò giù. Perse il suo bastone e rimase aggrappato per un po’ alla roccia. Frodo provò a raggiungerlo gridando il suo nome ma per fortuna Boromir fu più veloce e lo fermò.
<< Fuggite, sciocchi! >> disse guardandoci prima di cadere giù.
Le urla straziate di Frodo inondarono tutte le miniere fino ad arrivare ai nostri cuori, facendoli vibrare selvaggiamente. Io stessa mi sentii squarciare da quelle urla, il dolore penetrò nelle mie vene avvelenandole. Eppure sapevo perfettamente che Gandalf era vivo.
Uscimmo dalle miniere e gli hobbit si accasciarono su dei sassi sfogando il loro dolore in lacrime e lamenti più o meno forti. Era una delle scene più tristi a cui avessi mai preso parte, i miei occhi si inumidirono e decisi di andare vicino a Sam, sapendo bene che il ramingo lo avrebbe alzato con poco garbo con la fretta di andar via.
Ero quasi vicino quando la mano intorno all’ elsa della mia daga si aprì improvvisamente staccandosi e saltando via. Saltai e urlai spaventata, mi ero quasi dimenticata di quella cosa che mi portavo appresso.
Ok, era una barzelletta! Anche quando la mia priorità era di essere seria succedeva qualcosa che mi rendesse una cretina.
<< Legolas! Falli alzare! >> ordinò Aragorn sistemandosi le armi addosso.
Tirai un calcio alla mano “che tu sia maledetta della stessa maledizione che ho lanciato al tuo padrone” pensai e mi avvicinai a Sam mentre Boromir diceva a Aragorn in maniera supplichevole << Concedi loro un momento, te ne prego! >>. Alzai lo sguardo velocemente per guardarlo, e il mio sentimento nei suoi confronti crebbe ancora, non per la bellezza, non per la fierezza ma per il suo cuore, la sua bontà d’animo.
Perfino Aragorn, che  nella mia testa incamerava lo stereotipo di uomo perfetto, non aveva tutto questo cuore, non lasciava troppo spazio ai sentimenti come invece faceva Boromir, e probabilmente erano proprio queste caratteristiche che avrebbero determinato i loro destini: Boromir più sentimentale avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di salvare la sua gente, perfino rubare l’anello e usarlo, Aragorn invece, più razionale, dava più importanza alla realtà delle cose, la pericolosità dell’anello veniva prima di tutto.
Era la prima volta che facevo un ragionamento del genere, e solo allora capii la realtà delle cose: Boromir non era più debole, era semplicemente più sentimentale, più emotivo, più…più!
Era il migliore, ed era incredibile che solo in quel momento, dopo anni di film e libri, solo allora che avevo davanti agli occhi i suoi lucidi per la commozione, ero riuscita a valorizzarlo come era doveroso fare.
E solo in quel momento la mia cotta svanì completamente lasciando spazio a un intenso e profondo amore.
<< Stanotte queste colline brulicheranno di Orchi. Dobbiamo arrivare ai boschi di Lothlorien. Andiamo, Boromir. Legolas, Gimli, falli alzare. >> Comandò il nuovo capo della compagnia, mi inginocchiai immediatamente davanti a Sam prima che potesse arrivare lui e gli feci capire con lo sguardo che a Sam ci avrei pensato io.
<< Su, su, Sam! Devi essere forte! >> cercai di consolarlo scostandogli un ciuffo ribelle dalla fronte, era strano ma con gli hobbit avevo trovato una tenerezza che mai avevo scoperto di avere, sembrava di parlare con dei bambini.
<< Frodo d’ora in avanti avrà bisogno di te più di quanto abbia bisogno di se stesso. Devi essere forte per tutti e due >>
<< Non è l’unico che soffre per la morte di Gandalf >> si lamentò lui, probabilmente infastidito dalla responsabilità che gli stavo dando.
<< Non mi riferisco a Gandalf! Più ci avviciniamo a Mordor, più Frodo tiene l’anello con sé, e più questo prende il possesso della sua mente e del suo cuore. Solo tu puoi aiutarlo, Sam. Tienilo sempre d’occhio, stagli appiccicato, aiutalo in qualsiasi difficoltà anche quando lui cercherà di allontanarti da sé. Ha bisogno di te! Mi capisci? >> dissi ma lo sguardo di Sam sembrava assente e continuava a versare lacrime dagli occhi, lo scossi costringendolo a guardarmi negli occhi << Sam! Mi capisci? >> dissi seria e severa, nessuno mi aveva mai visto in quelle condizioni, ero abituata a dimostrare di essere il giullare della banda, ma più andavo avanti nella missione, più LA MIA missione si avvicinava e più mi incupivo, più la mia voglia di scherzare si affievoliva lasciando che l’ansia, la paura e la concentrazione divagasse nella mia anima. D’ora in avanti non potevo concedermi errori.
Sam annuì senza rispondermi e io sorrisi rassicurante << Bravo hobbit! >> e alzandomi in piedi mi concedetti di dargli un bacio sulla fronte, come segno d’affetto e di incoraggiamento. << Alzati adesso, non possiamo rimanere qui, non far sì che il sacrificio di Gandalf sia stato vano >> dissi molto dolcemente e gli porsi la mano per aiutarlo ad alzarsi. Lui mi prese la mano, si alzò in piedi e si asciugò le lacrime con la manica della maglia. Lo abbracciai ancora e inginocchiandomi davanti a lui lo guardai nuovamente negli occhi << Ehi >> lo richiamai << Andrà tutto bene. Segui i miei consigli e sono sicura che tutto si risolverà per il meglio, abbiamo tutti fiducia in Frodo, ce la può fare ma solo se avrà te accanto. Fidati di me. Non ho la faccia di una di cui ci si può fidare? >> dissi facendo un sorriso storpio, abbastanza idiota direi, ma volevo strappare un sorriso al povero hobbit affranto << Mica tanto >> confessò alzando un sopracciglio << Già, nemmeno io mi fiderei di un’idiota del genere >> ridacchiai rialzandomi << Andiamo >> lo incitai.

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Capitolo 5
*** Desideri guardare nello specchio? ***


Il resto del viaggio fu una desolazione totale, nessuno osava proferire parola, tutti erano silenziosi e pensierosi. L’aria tesa che girava tra noi mi irritava parecchio a dir il vero, ma non riuscivo a far a meno che alimentare con le mie paure quella fiamma che pian piano faceva capolino dal buio più profondo annunciando la catastrofe.
Di cosa avevo paura? Di tante cose. Avevo paura di morire durante l’avventura, avevo paura di ciò che si nascondeva nel buio, avevo paura di non riuscire a salvare Boromir e avevo paura di non riuscire a…rivelar lui i miei sentimenti senza esserne derisa.
Qualche volta durante il cammino spostavo lo sguardo nella sua direzione guardandolo e non vedevo altro che la follia crescere a dismisura nei suoi occhi, il potere dell’anello stava scavando sempre più a fondo dentro di lui. Odiavo vederlo in quelle condizioni, ma che potevo farci? Assolutamente niente, solo aspettare e cercare di trovare una soluzione, dovevo capire, decidere, trovare un modo per salvarlo! Insomma, non sapevo difendere me stessa come avrei potuto salvare lui? Ci fermammo a riposare poche volte e per pochi minuti, erano ormai due giorni che non mangiavo niente, bevevo a malapena quelle poche gocce d’acqua che erano rimaste nella borraccia, avevo la bocca arsa e lo stomaco vuoto, i muscoli tesi ma lacerati, gli occhi bruciavano per la stanchezza e il sonno. Non ne potevo più, ma la determinazione e il desiderio di portare a termine la mia missione mi spingeva ad andare avanti, ad andare oltre, avrei potuto attraversare le fiamme dell’inferno completamente ricoperta di benzina, mi ci sarei tuffata se necessario, purchè in cambio avessi ricevuto conferma ai miei quesiti, avessi ricevuto la salvezza e l’amore dell’uomo più fantastico di tutti i mondi.

Eravamo entrati nei boschi da ormai qualche minuto e Gimli non era tranquillo, si guardava attorno spostando gli occhi da una zona all’altra così velocemente che non ero sicura che vedesse veramente ciò che aveva intorno.
<< State vicini, giovani Hobbit! Dicono che vive una grande fattucchiera in questi boschi. Una strega-elfo con poteri straordinari. Tutti quelli che la guardano cadono sotto il suo incantesimo. >> “tu per primo, mio caro nano” pensai divertita da ciò che aveva appena detto ricordandomi del suo amore nato per Galadriel. << E non li si vede più. >> continuò << Beh, ecco un Nano che lei non intrappolerà tanto facilmente. Ho gli occhi di un'aquila e le orecchie di una volpe, io. >> e non terminò nemmeno quasi la frase che una serie di frecce ci vennero puntate contro. La mia prima reazione fu quella di lanciare un occhiataccia a Gimli sperando che leggesse nei miei pensieri il “dicevi scusa?”. << Il Nano respira così forte che potevamo colpirlo nel buio. >> disse Haldir a capo dell’esercito di elfi che ci teneva sotto tiro. Aragorn prese la parola << Haldir o Lórien. Henio aníron, boe ammen i dulu lîn. Boe ammen veriad lîn. >> ..cos…che diavolo?
<< Che???? >> dissi spalancando gli occhi. << E’…elfico, Sophia >> mi disse Aragorn stupito della mia reazione << Lo so benissimo che elfico, maledizione! >> Una volta sarei riuscita a capirlo, o per lo meno mi sarei ricordata la traduzione della frase a memoria, ma in quel momento…vuoto assoluto! Non ci avevo capito niente! Cominciai a picchiettarmi una tempia << Stupido Ruphus, dammi una mano! >> mormorai sforzandomi di ricordare. Tanto ero presa dal mio intento che non ebbi modo di notare lo sguardo a dir poco sconcertato di Haldir << Ha battuto la testa parecchie volte qualche giorno fa, è stata trovata semi cosciente nel Bruinen >> spiegò Aragorn cercando di giustificare la mia reazione, anche se sapevamo entrambi….o forse sapevo solo io! Che quel mio modo di fare non era dovuto alla testa sbattuta, ero sempre stata così, la testa sbattuta aveva solo comportato la perdita della memoria.
<< Aragorn! Questi boschi sono pericolosi! Torniamo indietro! >>borbottò Gimli terrorizzato da quelle punte così vicine al suo naso << Scordatelo!! >> sbottai guardando male il nano << Devo parlare con Barbie Raperonzolo io! >> ovviamente parlavo di Galadriel, non l’avevo mai sopportata a dir il vero, mi inquietava e mi turbava, era peggio che vedere uno spettro con i suoi enormi occhi a palla, ma sapevo anche che probabilmente mi avrebbe saputo aiutare. Lei sapeva tutto! E io…in quel momento non sapevo niente e avevo desiderio irrefrenabile di colmare le mie lacune con le sue conoscenze. In poche parole, avevo bisogno del suo aiuto.
<< Deve averla sbattuta davvero molto forte >> constatò Haldir prima di annunciare la sua sentenza << Siete entrati nel reame della Dama dei Boschi. Non potete tornare indietro. Venite. Lei aspetta. >> E ci costrinse a seguirli.
Ancora una lunga sfacchinata. Questi elfi! Nel voler essere imponenti e maestosi esageravano sempre e ci era toccato camminare a lungo prima di riuscire ad arrivare di fronte alla fata turchina e il suo sposo.
<< Otto sono qui, eppure nove si sono allontanati da Gran Burrone. Dimmi, dov'è Gandalf? Perché molto desidero parlare con lui. >> iniziò Celeborn guardandoci “ma che bravo sa contare!” pensai ironica.
La risposta arrivò per bocca di Galdriel, risposta che non ascoltai troppo impegnata a sentire invece la voce che echeggiava nella mia testa, come sicuramente stava accadendo anche agli altri miei compagni. A tutti veniva posto di fronte un bivio.
“Non è la salvezza di Arda il tuo destino, il tuo cuore ti porta verso altre vittorie. E’ al cuore del primogenito di Denethor, sovraintendente di Gondor, la meta verso il quale ti stai dirigendo. E se io ti concedessi questo grande tesoro in cambio di un altro tesoro di un valore diverso? Se ti chiedessi l’anello in cambio di Boromir?” sorrisi lievemente, abbassai la testa lanciando un fugace sguardo a Boromir che stava cominciando a sudare freddo a causa della voce di Galadriel nella sua mente, poi chiusi gli occhi e feci la mia scelta.

Ok, il mio desiderio di vedere la dama per risolvere i mie problemi non stava avendo soddisfazione, non avevo modo di parlare con lei e anche se ci fossi riuscita…cosa le avrei detto? La sua risposta alla mia scelta era stata semplicemente “Hai un’anima nobile”, non aveva aggiunto altro benché conoscesse i miei tormenti. E nel frattempo mi ero ritrovata ad ascoltare il lamento destinato a Gandalf che gli elfi gli stavano concedendo, rannicchiata vicina a un albero, dopo aver riempito lo stomaco e essermi data una pulita, non poco distante da Boromir e Aragorn che si era appena messo a sedere accanto a lui cercando di convincerlo a dormire, come una madre cerca di tranquillizzare il proprio figlio che non c’è nessun mostro nella sua stanza.
<< Non troverò riposo qui. Ho sentito la voce di lei nella mia testa. Parlava di mio padre e della caduta di Gondor. Mi ha detto: "Perfino adesso la speranza è rimasta". Ma non riesco a vederla. È da molto che non abbiamo più speranze. Mio padre è un nobile uomo, ma la sua guida si indebolisce. E... e il nostro... e il nostro popolo perde fiducia. Guarda a me per riordinare le cose, e io lo farei. Vedrei la gloria di Gondor ristabilita. Ah! Tu l'hai mai vista, Aragorn? La bianca torre di Ecthelion. Luccica come una lancia di perle e di argento. I suoi vessilli catturati dal vento del mattino. Sei mai stato accolto a casa dal chiaro suono di trombe d'argento? >> parlò Boromir con la voce che gli tremava per l’emozione, Gondor faceva parte di lui, Gondor era la sua vita, la sua casa. << Ho visto Minas Tirith. Tempo fa. >> rispose vago Aragorn prima che Boromir si perdesse nuovamente nelle sue fantasie << Un giorno, le nostre vie ci condurranno lì. E la guardia della torre leverà il grido: "I signori di Gondor sono tornati!". >> era qualcosa di straziante! Sentire i sogni e i desideri di un uomo conoscendo la sua sorte, sapendo che mai essi sarebbero divenuti realtà, i sogni e i desideri non di un uomo qualunque ma di colui che più mi stava a cuore, era qualcosa di dannato.
Mi sentii lacerare il petto, raccolsi le gambe in un triste abbraccio e nascosi la testa tra le ginocchia lasciandomi andare alla tristezza e al rammarico sfogandoli in lacrime. Lacrime che per troppo tempo avevo trattenuto, lacrime che avrebbero voluto uscire tutte le volte che avevo visto la morte negli occhi, lacrime che avrebbero voluto uscire tutte le volte che guardavo in volto Boromir e pensavo che presto non avrei più avuto modo di farlo.
Ma, no! Non potevo arrendermi in quel momento! Ero arrivata fin lì, potevo benissimo andare avanti, in un modo o nell’altro Boromir avrebbe udito le trombe d’argento suonare in suo onore e la guardia della torre annunciare il suo arrivo in un grido gioioso.
“Lo prometto” Pensai determinata. Alzai la testa, mi asciugai le lacrime e fuggii via prima che qualcuno potesse vedermi in quelle condizioni e farmi domande. Non avevo la più pallida idea di dove dirigermi ma sapevo cosa stavo cercando, o meglio chi : Galadriel.
Fu lei a trovare me.
Mi ero fermata a bere un po’ d’acqua del magnifico fiume che scorreva in quel bosco incantevole, l’Anduin, e avevo ancora una volta increspato le acqua con una mia lacrima. Solo quando le piccole onde del fiume si affievolirono vidi riflesso il volto di Galadriel, posto sopra di me. Alzai lo sguardo prima di sollevarmi in piedi.
Galadriel mi guardò torva per un attimo prima di cominciare a camminare lentamente parlandomi con un tono di voce melodioso, alla fine non era poi così terribile.
<< Hai un’anima nobile, come le tue aspirazioni più grandi. In un periodo oscuro come questo è necessario che l’amore continui ad ardere per combatterlo e ritornare alla luce. Segui il tuo destino non combattere contro di esso, solo così otterrai ciò per cui tanto hai faticato. >>
<< Ma qual è il mio destino? >> chiesi con un filo di voce.
<< Il tuo arrivo qui è già un annunciazione: qualunque sia il tuo destino è legato a Frodo e all’anello, Sophia della terra >>
Rimasi pietrificata.
<< Tu sai..da dove…io.. >> non riuscivo a formulare la frase, e non ebbi nemmeno modo di farlo, Galadriel si fermò di fronte a una piccola fontana e si voltò verso di me << Desideri guardare nello specchio? >> mi disse indicando la fontanella.
Sapevo benissimo che quello specchio non mi avrebbe portato niente di buono, mostrava solo morte e distruzione di un ipotetico futuro, non dovevo fidarmi, eppure….mi sporsi e vidi.
E lì trovai la risposta a un quesito che mai mi ero formulata prima d’ora.
Vidi un uomo in giacca e cravatta passeggiare per i boschi di Lothlorien con in mano un quadernino e una penna, annotando tutto ciò che vedeva, sentiva o percepiva, dirigendosi verso lo specchio e guardandoci svariate volte. Riconobbi con facilità l’uomo: Tolkien!
Tolkien era stato lì, e lo specchio aveva mostrato lui la storia di Frodo e dell’anello. Allora…non era tutto un sogno! Mi trovavo veramente a Arda, un mondo che veramente esisteva e che per anni era stato spacciato per la strana fantasia di un genio di Oxford. Avevo veramente rischiato la vita e avevo veramente davanti a me….il vero e unico Boromir di Gondor.
Già, Boromir.
Lo specchio mi mostrò anche lui, com’era inevitabile che facesse. Mi mostrò la sua morte, le frecce che lentamente penetravano nella sua carne ed io che venivo trascinata via da forze oscure, incapace di aiutarlo, incapace di salvarlo, potevo solo guardarlo mentre si accasciava al suolo e con gli occhi diceva addio alla sua bella terra che ormai considerava già morta.
Qualcosa increspò l’acqua.
Un’altra delle mie lacrime.
Non avevo mai pianto così tanto e ora che sapevo che era tutto dannatamente vero vivevo in un dolore maggiore e in sofferenze atroci.
Mi inginocchiai sfogando la mia rabbia sul bordo della fontanella stringendolo con tutta la forza che avevo, piangendo quante più lacrime avevo, lasciandomi sfuggire lamenti muti dalle labbra. Il tormento, il dolore, fiamme nere che ardono incessanti increspando, distruggendo, polverizzando la mia anima. La paura di essere inadatta, il terrore nel vederlo andar via.
“Rimani con me” pensai supplichevole.
Galadriel si inginocchiò accanto a me posandomi una mano sulla spalla. Non ebbi la forza di voltarmi, le braccia crollarono ammorbidendosi lungo i fianchi, e lacrime incessanti mi solcavano il viso, seguendo sempre la stessa strada, scavando una via sulla mia pelle.
<< Il tuo cuore freme desideroso di pace >> disse col suo solito tono di voce dolce e pacato << Lascia che ti doni qualcosa >> e mi mise sotto il naso la mano aperta che conteneva uno strano oggetto. Era….un braccialetto, lo riconobbi dopo. Era composto da tre filamenti argentei a cui erano attaccate piccolissime palline dorate. Era così fine e delicato, tipico degli elfi, e così affascinante, rifletteva una lieve luce bianca. Lo presi titubante << Nel vostro mondo lo avreste chiamato portafortuna >>.

Un portafortuna?
Io ero disperata perché l’uomo della mia vita stava per morire e la strega più potente di tutta Arda mi regalava un semplice portafortuna?
Mi prendeva in giro?
Ritornai a provare antipatia nei suoi confronti, però dovevo ammettere che mi piaceva da morire quel braccialetto e chissà che veramente non portasse fortuna, se me lo aveva regalato lei forse aveva qualche…potere! Così lo presi ringraziando.
Anche se cominciavo a dubitarne, in quei giorni non era risultata per niente utile. Sapevo che prima di partire ci avrebbe concesso altri doni e sperai che almeno in quell’occasione non mi avrebbe regalato un cornino da attaccare alle chiavi. 
<< Ti darà la forza di cui hai bisogno >>.
<< Grazie, grazie mille >> dissi chinando la testa. Indossai il braccialetto sopra il guanto, ci stava magnificamente. Galadriel si avviò per tornare alle sue dimore e io feci altrettanto, sperando che non si vedesse troppo il pianto a cui ero appena stata sottoposta. Mi specchiai nel fiume, avevo gli occhi rossi, maledizione! Beh, non importava, avrebbero potuto pensare che piangevo per Gandalf.
Tornai dalla mia compagnia e mi stesi, cercando di riposare, sapevo che una volta usciti da Lothlorien il cammino sarebbe stato ancora più faticoso e dovevo prepararmi a un viaggio duro ed estenuante.
Passai il giorno e la notte in piena solitudine, stesa a riposare e a riflettere, cercando una soluzione ai miei problemi, anche se sapevo perfettamente che pianificare non avrebbe aiutato.

Il giorno dopo tutti erano impegnati a preparare le barche concesse dagli elfi, così come i mantelli e il lembas, il pane degli elfi, bastava un morsetto per placare la fame.
Prima di partire però Celeborn ci richiamò chiedendoci di conceder loro un ultimo pasto assieme. Tutti fummo ben contenti di riempire la pancia prima della partenza, e il rimanere un altro po’ lì ci rassicurava, era un posto sicuro e tranquillo e i nostro cuori avevano bisogno di quella pace tanto ambita.
Bevemmo e mangiammo tutti con il sorriso sulle labbra, sorriso apparente s’intende, era la quiete prima della tempesta. Poi Galadriel fece una richiesta che mi lasciò un po’ perplessa e sorpresa << Sophia dai luoghi sconosciuti, mi piacerebbe udire una delle vostre canzoni per allietare l’animo dei presenti >>. Canzoni? Io? Scherzava? Cosa voleva che gli cantassi “noi puffi siam così, due mele o poco più” ? rimasi a bocca aperta per un po’, non avevo proprio idea di cosa cantare. Mi guardai attorno, le facce dei miei compagni, abbattute nel profondo, solcate dai dolori e dalle fatiche, prive di speranza e di gioia che si allietavano di un riposo apparente, consci della distruzione a cui sarebbero presto andati incontro, avevano bisogno di speranza…così come ne avevo bisogno anche io.
Incrociai le gambe e cominciai a battere un ritmo sul polpaccio e a cantare << Tra le nuvole e i sassi passano i sogni di tutti, passa il sole ogni giorno senza mai tardare.
Dove sarò domani? Dove sarò? 
Tra le nuvole e il mare c'è una stazione di posta, uno straccio di stella messa lì a consolare, sul sentiero infinito del maestrale.
Day by day hold me... shine... on me. Day by day... save me... shine on me. Ma domani, domani... domani, lo so, lo so che si passa il confine. E di nuovo la vita sembra fatta per te, e comincia domani.
Domani è già qui, domani è già qui.
Estraggo un foglio nella risma nascosto scrivo e non riesco forse perché il sisma m'ha scosso. Ogni vita che salvi, ogni pietra che poggi, fa pensare a domani, ma puoi farlo solo oggi. E la vita la vita si fa grande così. E comincia domani.
Tra le nuvole e il mare si può fare e rifare, con un po' di fortuna si può dimenticare. Dove sarò? Domani... Dove sarò?
Dove sarò io domani, che ne sarà dei miei sogni infranti, dei miei piani? Dove sarò io domani, devo rialzarmi, tendimi le mani, tendimi le mani. Tra le nuvole e il mare si può andare e andare sulla scia delle navi di là del temporale. E qualche volta si vede una luce di prua, e qualcuno grida: Domani!
Come l'aquila che vola libera tra il cielo e i sassi, siamo sempre diversi e siamo sempre gli stessi. Hai fatto il massimo, il massimo non è bastato, e non sapevi piangere e adesso che hai imparato, non bastano le lacrime a impastare il calcestruzzo, eccoci qua cittadini d'A..>> mi bloccai un nanosecondo prima riprendere portando una lieve modifica al testa << D’Arda. E aumentano d'intensità le lampadine, una frazione di secondo prima della fine.E la tua mamma, la tua patria,da ricostruire, comu le scole, le case, specialmente lu core e puru nu postu cu facimu l'amore. Signore e signori... noi non siamo così soli, non siamo così soli, non siamo così soli…>> e andai avanti per un po’ a ripetere “non siamo così soli” così che il concetto si infilasse ben in testa a quelle canaglie che avevo di fronte, e mi stupii di sentire dopo il secondo “non siamo così soli” Pipino ripeterlo insieme a me, poi Merry, Sam, Legolas, Gimli, Aragorn, Frodo, anche gli altri elfi presenti alla cena e infine, un po’ meno convinto, o forse stava semplicemente riflettendo sull’importanza di quelle parole, Boromir.
Conclusi il coretto facendo un ultimo “non siamo così soli” con un acuto, come era presente nella canzone e continuai << Con le nuvole e il mare si può andare, andare sulla scia delle navi di là dal temporale. E qualche volta si vede una luce di prua e qualcuno grida: domani! Non siamo così soli, non siamo così soli, non siamo così soli! >>  cominciai a ripetere e indicai pian piano ognuno dei presenti per indicargli quando attaccare con il controcoro, e di proposito indicai per terzo Frodo e per ultimo Boromir, era a loro che era dedicata più che altro la canzone, erano loro che in quel momento avevano bisogno di conforto e sostegno. Conclusi con un altro acuto prima di riprendere.
<< Domani è già qui, domani è già qui... domani. Ma domani domani, domani lo so, lo so che si passa il confine. E di nuovo la vita sembra fatta per te e comincia domani. Tra le nuvole e il mare, si può fare e rifare, con un po' di fortuna si può dimenticare. E di nuovo la vita, sembra fatta per te,
e comincia domani! Ma domani domani, domani lo so, lo so che si passa il confine. E di nuovo la vita sembra fatta per te, e comincia... domani!  >>.
Conclusi la canzone. Silenzio assoluto.
Ok, perfetto, avevo fatto schifo, gli avevo delusi tutti. Che bella cosa, e io che cercavo di tirar loro su di morale! Ma poi un applauso partì da parte di Celeborn, di Galdriel e poi da tutti gli altri. Sorrisi un po’ imbarazzata e abbassai lo sguardo prima di riprendere la mia coppa di Idromele e berne un sorso.

Ci stavamo per rimettere in marcia quando Galadriel ci fermò ancora (non ci voleva proprio lasciar andare!) e ci diede dei doni. A sam una corda elfica e un po’ di terriccio del suo frutteto, così che la terra del giardino del piccolo hobbit sarebbe stata sempre fertile, a Boromir una cinta d’oro, a Merry e Pipino delle cinture d’argento, a Aragorn un fodero nuovo per la sua spada, a Frodo la stella di Elendil, a Legolas un arco nuovo, a Gimli 3 suoi capelli mentre a me  una spada nuova, dato che la mia vecchia era rimasta alla piovra per giocare ai cavalieri, e un sacchetto contenente Athelas. Nessuno capì il significato del secondo dono, io benché meno! Sapevo benissimo che solo un re sapeva usarne gli effetti curativi, ma non mi lamentai, accettai, anche se non mi fidavo per niente di Barbie Raperonzolo decisi che forse il fatto suo lo sapeva.
Ci rimettemmo finalmente in marcia, Frodo, Sam e Aragorn in una barca, Boromir con gli altri due hobbit nella seconda e nella terza ci finii io con la coppia più bella del mondo: Legolas e Gimli.
Ammetto che fu uno dei viaggi più divertenti che avessi mai fatto, sentire i due che concorrevano per la grandiosità delle proprie razze era fantastico, non facevano altro che bisticciare chiedendomi a volte di fare da giudice imparziale.
Ma era anche vero che a volte mi lasciavo andare dall’inquietudine lanciando sguardi a Boromir e vedendo che la sua malattia era a dir poco peggiorata, troppo spesso si avvicinava alla barca di Frodo con gli occhi pieni d’odio, digrignando i denti e bisbigliando parole incomprensibili.

Era ormai fatto buio, ci accampammo sulla riva dell’Anduin decidendo di fare dei turni di guardia per non essere colti di sorpresa da qualche brutta notizia. Il primo turno toccò a me, ero considerata la debole del gruppo, perciò avevano pensato che non era il caso di svegliarmi in piena notte per qualche turno intermedio. La cosa un po’ mi lusingò ma rimasi dispiaciuta di essere considerata come…un peso. Esatto, ero un peso, qualcosa costretti a portassi appresso senza conoscerne l’utilità.
“Sarà riconosciuta la mia validità?” Pensavo guardando le fiamme del fuoco di fronte a me svanire pian piano abbandonandosi a tormentosi scoppiettii, come urla di dolore che affievoliscono di fronte all’indomabilità della morte.
La morte.
Non c’era altro nella mia mente, mai come allora avevo avuto paura della sua mano scheletrica, ma non per me, no, sarei anche morta se un qualche dio me lo avesse ordinato, sarei anche morta se la necessità di farlo avesse superato tutte le mortal priorità.
La sua morte. Quella no, non l’avrei mai accettata. Io dovevo impedirla. Ma avevo io questo potere? Gli dei mi avevano veramente concesso in dono una parte del loro potere, forte abbastanza da sovrastare quello della dama nera? Mi era concesso porle questo affronto? Mi erano state donate le armi in grado di abbatterla, o semplicemente allontanarla?
Quale dio mi aveva spinta lì?
Afferrai un pezzo di legno, un bastoncino insignificante, ancora fresco di vita manifestata in verdognole foglioline e gocce di vita linfea che ancora scorrevano dentro di lui, appiccicando la mia mano. Mi era stato donato il potere della vita? Avevo nelle mie mani l’arma?
Lanciai il legnetto nel fuoco con impeto rabbioso, ravvivando appena la fiamma.
Sì.
Mi era stata donata, dovevo solo comprendere come usarla. Avevo poco tempo, poche risorse, nessun maestro, ma determinazione, forza sufficiente.
Mi voltai scostando lo sguardo dal fuocherello di fronte a me a un fuoco maggiore, mi voltai a guardarlo mentre dormiva.
Mi trasmetteva una serenità e una pace mai avute prima, sarei morta se un qualche dio me lo avesse ordinato, sarei morta se lui me lo avesse ordinato.
Il respiro che armoniosamente usciva dalle sue labbra appena dischiuse era la ninna nanna della mia vita, niente di più dolce, niente di più bello. I capelli sporchi di una qualche fatica gli accarezzavano teneramente il volto, come avrebbe voluto fare una mia mano. Sfiorarlo, non desideravo altro. Baciarlo, non desideravo altro. Il sapore della morte sarebbe stato divino su di lui.
Mi alzai dalla mia postazione vicino al fuoco e come una madre amorevole sistemai il mantello sulle sue spalle cercando di non destarlo dai suoi sogni, chissà quali.
<< Un giorno conoscerai i miei >> sussurrai prima di ritornare davanti al fuoco e perdermi nella danza delle sue fiamme.
Una mano mi destò, il mio nome sussurrato, mi voltai.
<< Legolas >> dissi in un sospiro: mi aveva spaventata.
<< Se ti ho colta di sorpresa allora non è buon segno >> disse ma il suo tono non era affatto di rimprovero, sorrideva, come se avesse compassione di me.
<< No, io… >> non sapevo come giustificarmi, di certo non potevo dirgli che ero sicura non sarebbe successo niente quella sera <<…mi ero distratta un attimo, mi dispiace >>
<< Non preoccuparti! Può capitare, quando si è da soli, di perdersi nei propri pensieri >> disse sedendosi accanto a me << Non dormi? >> chiesi << E’..il mio turno, ricordi? >>
Di già?? Ma…quanto tempo ero stata a pensare? Così tanto? Possibile?
<< Non mi sono resa conto del tempo che passava >> confessai << Sarà meglio allora che vada a riposare >>.
<< Mi piacerebbe godere per qualche minuto della tua compagnia. >> si affrettò a dire, per impedirmi di allontanarmi << Devo ammettere che ci sono tante cose di cui vorrei conversare con te, sei una ragazza così misteriosa >>
Ridacchiai << E se tu togliessi questo velo di mistero che ho addosso perderei tutto il mio fascino, non credi? >> e gli feci un occhiolino.
<< Il mio cuore dice il contrario. >> fece una breve pausa << Non sai difenderti, non sai combattere, hai paura della tua stessa ombra, sembra che i tuoi pensieri seguano un percorso tutto loro, a cui nessuno è permesso accedere, e sei molto, molto delicata. >> Ancora un’altra pausa << Elrond non avrebbe mai concesso la tua entrata nella compagnia se non per un valido motivo, motivo che credo risieda nelle tue passate azioni, motivo che risiede nella parola per entrare a Moria che solo tu conoscevi, nelle tue conoscenze sul Balrog, nel tirare via in tempo Boromir prima che fosse colpito da frecce che tu neanche avevi sentito scoccare o nell’individuare la strada giusta da prendere nelle miniere, strada che nemmeno Gandalf ricordava. Guardi i paesaggi intorno a te con gli occhi di un bimbo appena nato, ma come se, nonostante tutto, non avessero segreti per te. E’ nelle tue conoscenze che risiede l’aiuto che Elrond voleva darci, non è così? Eppure mi chiedo da dove nascano, tu hai tanto di cui scoprire. >>
Questa volta a fare una pausa fui io, sapevo che Legolas aveva un’intelligenza straordinaria e quella ne era stata la dimostrazione e i suoi occhi di elfo erano ancora una volta riusciti a guardare oltre a ciò che a tutti era concesso vedere.
<< Da quanto mi tieni d’occhio? >> Legolas fece un sorriso un po’ imbarazzato prima di rispondermi << Da un po’. A colpirmi è stata la tua prima frase “ferisce più la parola che la spada”, sentivo che non era semplicemente l’uscita di una donna in delirio, così ho cominciato a seguirti con gli occhi per capire cosa si nascondesse dentro te >>.
<< Hai scoperto già quanto basta, per ora >> dissi avvicinandomi a lui << E sono certa che non ci metterai tanto a scoprire tutto ciò che c’è da sapere su di me, ma per il momento ti lascio il beneficio del dubbio. >> sorrisi in maniera enigmatica << Ti chiedo solo di tenere per te tutto ciò che vedrai con i tuoi occhi di elfo, agli altri rivelerò tutto io quando sarà il momento. Ora perdonami, Legolas Thranduilion, ma domani avrò bisogno di essere riposata e in forze. >> Guardai il cielo nero sopra di me pensierosa, l’indomani avrei dovuto raccogliere tutte le energie per poter portare a termine la mia missione: salvare Boromir.
<< Sarà una lunga e faticosa giornata >> commentai semplicemente  e mi voltai per andarmi a sistemare in un angolo comodo.
<< I tuoi occhi… >> riprese Legolas <<…vedono ciò che nessuno vede. >> Mi bloccai, sapevo che aveva già intuito cosa c’era da intuire.
<< Tu sai cose che nessuno sa, i Valar hanno donato a te il dono della vista nell’oscurità dei giorni avvenire. Non è così? >>
Che elfo, signori! Un Signor Elfo! Mai incontrato nessuno di più intuitivo e perspicace, peccato che ancora fosse lontano dalla realtà dei fatti, ma ero fiduciosa, avrebbe capito presto e sapevo che non avrebbe rivelato niente a nessuno, era qualcuno di cui ci si poteva fidare. Mi voltai ancora, gli feci un grosso sorriso enigmatico, che sicuramente lui avrebbe interpretato come risposta affermativa, e sussurrai << Buonanotte >> prima di stendermi, coprirmi con il mantello e chiudere gli occhi.

 

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Capitolo 6
*** Domani è già qui! ***


Il sole sorgeva lentamente su, nel cielo di Arda, ma ai suoi raggi non era concesso toccare il suolo. Le nuvole nere di Mordor si estendevano a vista d’occhio, coprendo tutto il cielo, privando quella magnifica terra di tutti i suoi colori, inondandola di un grigio cupo e grave, sentivo l’aria opprimente, le spalle schiacciate sotto il peso del male, la stanchezza di una vita mai vissuta.
Aprii gli occhi, tutti stavano già facendo colazione e stavo per lamentarmi perché nessuno aveva pensato a me, come loro solito, quando abbassando uno sguardo vidi un piatto vicino ai miei piedi con dentro un paio di salsicce e un uovo.
<< Colazione all’inglese? >> mormorai storpiando le parole con uno sbadiglio e stiracchiandomi come un gatto.
<< Buongiorno Sophia, incredibile quanto tu abbia dormito! >> Mi disse Pipino venendomi accanto col sorriso sulle labbra << La tua colazione >> disse indicandola.
<< Grazie, sei stato molto gentile a tenermi da parte qualcosa >>  dissi scompigliandogli i capelli.
<< Veramente non sono stato io, è stato Legolas >> rimasi profondamente colpita dalle sue parole, mi voltai velocemente verso l’elfo incrociando i suoi occhi e il suo sorriso sbarazzino. La chiacchierata della sera prima aveva avuto un effetto devastante nei suoi interessi, ora ero messa tra i primi posti, e questo mi convinse a rimandare il più possibile la mia confessione, mi piaceva in fin dei conti avere una certa importanza nel gruppo anche se inappropriata perché infondo ero una semplice ragazzina con la passione per la lettura e tanta fortuna.
Presi il mio piatto, mangiai con gusto anche se non ero per niente abituata a mangiare salato di prima mattina.
Prima mattina? Alzai gli occhi al cielo, chissà che ore erano.
La cosa positiva era che mi sentivo in forze, mi sentivo piena di energie, e anche se la paura mi percuoteva come un martello su una spada in piena forgiatura, ero determinata, sicura di me, decisa, irremovibile.
Pulii il piatto, avevo bisogno di energie e sapevo che non dovevo fare complimenti sul cibo, ne avremmo avuto di così abbondante ancora per poco. Mi alzai in piedi, sgranchendomi le gambe, andai vicino al fiume per darmi una pulita alle mani e viso, mi raccolsi i capelli in una treccia molto comoda, avrebbe impedito ai capelli di mettersi tra me e ciò che mi era davanti occludendomi la vista, e mi voltai ad ascoltare i discorsi dei miei compagni, indecisi sul cammino da intraprendere.
<< Il portatore dell’anello decida >> disse Aragorn voltandosi verso Frodo, poveraccio, aveva così tante responsabilità sulle spalle, io sarei impazzita al posto suo.
<< so che il tempo stringe, ma non posso decidere. È un peso assai gravoso. Dammi un’ora di tempo e ti dirò la mia scelta. Ho bisogno di essere solo. >> disse prima di allontanarsi sotto lo sguardo compassionevole di Aragorn, che, ormai avevo capito, lo guardava come un figlio non solo come un compagno.
Mentre Frodo era via gli altri si riunirono in cerchio per discutere su che strada avrebbero preso, solo Boromir era discostato, schivo, avvolto in una bolla isolante. E senza dire niente a un certo punto si alzò e si allontanò. Nessuno lo vide, troppo presi com’erano a discutere, solo io ci feci caso e sospirai pensando a ciò che da lì a pochi minuti sarebbe successo. Il momento era sempre più vicino, la paura di sbagliare era troppa, tanto da farmi tremare benché il mantello di Galadriel fosse ottimo per ripararsi dal freddo.
Legolas, l’unico che mi teneva d’occhio, fu l’unico a notare la mia inquietudine e mi lanciava occhiate interrogative a cui mi sforzavo di non rispondere. Era bene che nessuno, anche l’elfo più affidabile di questo mondo e del mio, sapesse ciò che stava per accadere, sapesse ciò che mi passava per la testa.
Sam notò l’assenza di Boromir e si preoccupò al che io commentai con un fievolissimo << Non andare a cercarlo, ti prego >>, nessuno mi udì, nessuno poteva, se non le orecchie finissime di un elfo che mi lanciò sguardi ancora più intensi e curiosi. Incrociai il suo sguardo, nascondendo i miei timori e trasmettendogli solo il lato più determinato dei miei sentimenti, quello che precludeva l’importanza degli eventi che stavano avvenendo alle nostre spalle. Ed era importante che nessuno si voltasse a guardare.
Il tempo concesso a Frodo da Aragorn terminò ma di lui ancora niente: era sparito.
L’ansia cominciò a padroneggiare nel piazzale dove eravamo accampati, Legolas mi spedì un altro dei suoi sguardi intensi, aveva intuito che io sapevo perché Frodo tardava e mi sentii in dovere di avvicinarmi a lui e sussurrargli << Abbi fiducia >>. Il mio timore era che una volta tornato Boromir lui gli si sarebbe scaraventato contro solo perché aveva intuito dalle mie parole che lui c’entrava qualcosa con questo ritardo << Va tutto bene, segui le indicazioni di Aragorn e non fare domande >>.
<< Ma Boromir… >> cominciò lui appartandosi insieme a me, per evitare che gli altri ascoltassero. Un impeto furioso mi colse nell’udire il suo nome con quell’astio, presi Legolas per la maglia e lo avvicinai al mio volto << Lascia stare Boromir! Ti ho detto di non fare domande e fa ciò che dico, non farmi pentire di averti reso partecipe dei miei pensieri! Andrà tutto bene, abbi fiducia. >> Non ero mai stata tanto aggressiva, mi era venuto spontaneo, sentir pronunciare il nome di Boromir in quella maniera, così come pronunciavano Sauron o Saruman, mi aveva fatto andare su tutte le furie. Boromir era un dei migliori uomini del regno, aveva solo commesso un piccolo errore ma non per questo andava disprezzato e considerato un traditore.
Mi resi conto dell’impeto che avevo manifestato  e che probabilmente stavo esagerando, così lo lasciai andare respirando a fondo per calmare i miei nervi ballerini << Scusa >>  dissi anche se sapevo perfettamente che né l’avevo spaventato né intimorito minimamente, chi avrebbe avuto paura di una ragazzina come me?
<< Un po’ troppo impulsiva e propendente all’ira per essere semplicemente riconoscenza nei confronti dell’uomo >>.
La doveva smettere!!! Non potevo fare vita, qualsiasi battito di ciglia rivelava all’elfo i miei pensieri.
<< La smetti di osservarmi? >>  mi lamentai imbarazzata, come minimo ero diventata viola in volto.
<< Non mi hai voluto raccontare niente, in qualche modo dovrò pur togliere le mie curiosità >>
<< Sì, ma così è… >> non riuscii a finire la frase  che sentii Aragorn chiamare Boromir. Mi voltai, era già tornato! Il cuore mi pulsava in petto freneticamente mentre vedevo l’uomo sedersi per terra con lo sguardo perso nel vuoto, perso nella disperazione.
Aveva sbagliato.
Si era pentito.
Ora toccava a me dargli un’altra possibilità.
<< dove sei stato Boromir? Hai veduto Frodo? >> chiese Aragorn, sentivo preoccupazione nella sua voce.
<< sì e no. Sì: lo incontrai alle pendici del colle e gli rivolsi la parola. Lo esortai a venire a Minas Tirith e a non recarsi ad Oriente. Mi arrabbiai, ed egli se ne andò. Scomparve, svanì. Non mi era mai capitata una cosa simile, benché le favole ne parlino. Deve aver infilato l’anello. Non sono riuscito a trovarlo e pensavo fosse tornato qui da voi. >>  disse senza sentimento nella voce, vagabondava nei ricordi confusi, probabilmente continuando a ripetersi da dove era venuta fuori tutta quella debolezza, quel mostro che non era lui.
Che voglia avevo di andargli incontro e abbracciarlo, che dolore provavo in petto, che bruciore la gola. Ero dentro lui, sentivo i suoi sentimenti, li provavo sulla mia pelle ma non ero in grado di sopportare il dolore atroce.
<< è tutto quel che hai da dire? >> Continuò Aragorn ad interrogarlo, sentivo un pizzico di ira nella sua voce, l’idea che Boromir avesse causato la fuga di Frodo era qualcosa che lo mandava su tutte le furie, chissà dov’era adesso l’Hobbit.
Sta bene.
E’ l’unico ad esserlo.
<<  sì. Non dirò altro per il momento. >> rispose Boromir.
Il delirio, la confusione, l’ansia, la preoccupazione rimbombava nell’aria come un eco lontano, infinito, ancora forte e ben udibile e che pareva non volesse dissolversi.
<< queste sono pessime notizie! Vorrei proprio sapere cos’ha combinato quest’uomo! Per quale motivo il signor Frodo si sarebbe infilato l’anello? Non doveva assolutamente farlo; ma se così è, soltanto il cielo sa quel può essergli accaduto! >> Era Sam il più agitato di tutto, era quello più legato all’Hobbit di chiunque altro e aveva ricevuto ordine da Gandalf e da me di stargli attaccato come una cozza, non voleva trasgredire la promessa.
<< comunque se lo sarebbe tolto non appena lontano dall’indesiderato visitatore, come soleva fare Bilbo >> Aggiunse Merry.
<< ma dov’è andato? Dove? È passato troppo tempo da quando ci ha lasciati. >> Intervenne Pipino.
Tante voci che si accalcavano in congetture che l’un con l’altra si elidevano e si assimilavano. Niente di reale, niente di sbagliato, solo la disperazione più totale e l’irrefrenabile bisogno di trovare l’amico fuggito.
<< quando hai veduto Frodo l’ultima volta, Boromir? >> Chiese ancora Aragorn “maledizione, lascialo in pace!” pensai assistendo a tutto in disparte.
Non avevo bisogno di aggiungere le mie opinioni, avrei evitato di intervenire a meno che non fosse stato necessario,  perché sapevo perfettamente che la mia opinione in quel momento era unica e si alienava dal resto del gruppo. Io non pensavo a Frodo, non me ne preoccupavo minimamente, aveva la pellaccia dura per fortuna, stava bene…chi aveva bisogno di aiuto in quel momento era colui che stava venendo attaccato.
Appeso con una mano su uno strapiombo senza fine e gli amici che gli schiacciavano le dita, permettendo la sua caduta mentre io, solo io, sarei intervenuta al momento giusto per afferrarlo al volo  e allora avrei avuto due possibilità: tirarlo su in salvo  o cadere giù con lui. Mai e poi mai avrei lasciato la sua mano, mai e poi mai gli avrei permesso di crollare sotto i miei occhi, finchè ero in vita lo sarebbe rimasto anche lui, era una promessa.
<< mezz’ora, forse, o forse un ora fa… ho vagabondato, poi. Non lo so! Non lo so! >> rispose l’uomo in preda alla disperazione più totale. Si afferrò i capelli e si coprì il volto con le mani.
Basta!
Basta!
Basta!!
Troppo dolore. Troppo.
Ramingo da quattro soldi corri a cercare Frodo invece di ucciderlo! Vattene!
<< un’ora da quando è scomparso? Dobbiamo trovarlo subito! Venite! >> disse Sam prima di scappare nella foresta a cercarlo, che hobbit giudizioso. Tutti gli altri lo seguirono solo Aragorn rimase fermo gridando <<  aspettate un momento! Dobbiamo dividerci a due a due, ed organizzare… ehi, venite qui, aspettate! >> e Legolas…beh era un po’ titubante sul cosa fare, voleva andare a cercare Frodo ma il vedermi immobile lì dov’ero, dimenticata da tutti, sicuramente gli faceva pensare che stando vicino a me avrebbe avuto più vantaggi.
Mi voltai e lo guardai male << Muoviti! Vai a cercare Frodo! >>
<< E tu.. >>
<< Lascia stare me! >> lo interruppi << Ho altre cose da fare io >> e anche l’elfo se ne andò, guardandomi torvo.
Aragorn si voltò ancora verso Boromir << ci confonderemo e ci perderemo. Boromir! Non so quale sia stata la tua parte in questo guaio, ma adesso aiutaci! Rincorri quei due hobbit, e custodiscili almeno, anche se non riesci a trovare Frodo. Ritorna qui, se lo rintracci, o se scorgi qualche orma. Io tornerò fra poco. >> poi si voltò verso di me << Sophia, vieni con me! >>
Cosa? Io… no!
“Pensa, Sophia, pensa!” Non dovevo andare con Aragorn, avrei perso tempo, dovevo stare vicino a Boromir, custodirlo.
<< Io è meglio se rimango qui, Aragorn. Nel caso Frodo dovesse tornare mentre siete via >>.
Ci pensò un po’ su << Giusto. >> e corse via perdendosi nella foresta.
Boromir era rimasto immobile, seduto, tremando come un bambino nel buio, abbandonato, sentendosi un traditore, sentendosi una canaglia, sentendosi in colpa. Mi avvicinai a lui, finalmente rimasti soli potevo parlargli, mi inginocchiai e gli posai una mano sulla spalla.
Questo lo destò appena e alzò gli occhi su di me, quegli occhi belli e profondi ora erano intaccati e lacerati da crepe e tremolii, un velo pacato offuscava il loro blu rendendolo dello stesso colore grigio del cielo.
Che dolore vederlo in quelle condizioni.
Ma…ora che ero lì? Che dirgli?
<< Ascoltami bene Boromir >> cominciai, sempre bene cominciare che stare in silenzio, le parole mi sarebbero venute da sole << Io… >> cosa? Io cosa? Io sapevo tutto? Io volevo aiutarlo? Io cosa?
<< Io…sono qui per aiutarti >> ok, vaga, ma confusa. Non ci capivo niente io, figuriamoci lui.
<< Con me puoi parlare, non sono qui per giudicarti o per darti colpe. >> piccola pausa riflessiva mentre lui mi guardava ancora più confuso e preoccupato, preoccupato che io fossi a conoscenza dei fatti.
Ma era arrivato il giorno, non potevo più aspettare. Dovevo usare tutte le carte che avevo per salvarlo << Io so tutto. So che hai cercato di togliere l’anello a Frodo e.. >> non riuscii a finire la frase che Boromir scattò in piedi furioso << Chi diavolo sei? Una strega? Sei qui per confonderci e dividerci, non è così? Vuoi prendere l’anello! Sei stata tu a farmi questo maleficio, nevvero? Già da tempo avevo capito che ci fosse qualcosa di strano in te, ma non immaginavo tu fossi una traditrice. Strega! >> “qualcuno lo fermi! Qualcuno lo fermi! Qualcuno lo fermi! Ok, lo fermo io!” Mi alzai e gli tirai uno schiaffo in pieno volto con tutta la forza che avevo.
Cavoli ero lì per aiutarlo e lui mi trattava in quella maniera? Metteva in dubbio la mia fedeltà, metteva in dubbio le mie buone azioni, metteva in dubbio…i miei sentimenti!
Le lacrime mi premevano contro le palpebre, desiderose di uscire, avevo gli occhi umidi e mi bruciavano.
<< Forse sì >> cominciai con la voce che mi vibrava, il colpo infertomi era stato devastante << Forse sono una strega, forse ho dei poteri magici, nessuno qui è sicuro di ciò che lo circonda, non si è nemmeno sicuri di noi stessi! Non è così? Tu stesso hai perso la fiducia che avevi di te stesso, tu stesso ti vergogni del tuo autocontrollo perduto, tu stesso non sai più chi sei! Quindi come pretendi che io sia diversa da te? Posso essere una strega oppure una semplice ragazza che ha letto nei tuoi occhi e che ora desidera con tutto il cuore aiutarti a ritrovare te stesso! >> Abbassai lo sguardo, mordendomi un labbro, stavo lottando con tutta me stessa contro le lacrime, non dovevo piangere, non in quel momento, non davanti a lui, non quel giorno! Dovevo essere forte, dovevo essere decisa e determinata, non dovevo arrendermi o cedere davanti a nessuno o non avrei trovato la forza di fare ciò per cui ero partita. Chiusi gli occhi per concentrarmi maggiormente, dovevo vincere quel dolore, non era ancora il momento.
Non ancora.
Non ancora.
Sentii la sua mano calda posarsi sul mio mento, accarezzandone appena la pelle prima di fare pressione verso l’alto costringendomi ad alzare la testa. Aprii istintivamente gli occhi e trovai il suo volto a pochi centimetri dal mio, e i suoi occhi blu, ora tornati intensi, mi studiavano nel profondo dell’anima.
Non ancora.
Non ancora.
Non potevo piangere, non…
Il cuore mai aveva battuto così forte, la testa mai aveva girato tanto, eppure mi stava semplicemente guardando negli occhi, ma era come se stesse scavando nel profondo della mia anima, cercando qualcosa di cui ancora ne ignoravo l’esistenza.
Non ancora.
Non ancora.
Il suo odore era così forte, penetrava nelle mie vene, avvelenandole di un veleno dolce e caldo, qualcosa che mi rendeva completamente vulnerabile. La sua mano delicata ancora posata sul mio mento mi trasmetteva scosse elettriche di intensità sempre maggiori. Il suo respiro calmo e regolato che sentivo su di me, tanto eravamo vicino, era una leggera brezza primaverile  di quelle che ti accarezzano, ti cullano, ti riempiono il cuore.
Non ancora.
Non ancora.
Urla. Urla in lontananza! Mi destai di colpo, tutte le emozioni caddero nel vuoto all’improvviso procurandomi un leggero calo di pressione. Mi voltai verso la foresta, riconoscevo quelle voci.
<< Merry! Pipino! >> dissi a voce non troppo alta, ma abbastanza preoccupata. Vidi Boromir cominciare a correre tra gli alberi sfoderando la spada. Mi ci volle un po’ per realizzare, quei secondi così vicino a lui mi avevano mandato su di giri, ero ancora confusa ancora semi incosciente, mi sembrava di essere tornata ai primi giorni ad Arda, quando a Gran Burrone non ricordavo nemmeno il mio  nome.
Poi qualcosa mi convinse ad agire, Boromir stava correndo verso la sua morte. Dovevo fermarlo!
Ancora non riuscivo a realizzare bene dove fossi, chi fossi, ma bastò quell’idea a farmi muovere le gambe in maniera sincronizzata e correre verso la battaglia.
Sfoderai la mia spada, la mia nuova spada, era molto più leggera di quella che mi aveva donato Elrond, questo mi avrebbe aiutato immensamente sì.
Giunsi nel campo di battaglia, Boromir aveva già cominciato a sfoderare colpi a destra e a manca, a recidere braccia e teste, e io? Mi ritrovai di nuovo spaesata con quello stupido stuzzicadenti in mano.
<< Maledetta Rapunzel! >> imprecai contro Galadriel, doveva darmi una mano e invece…ero come prima: confusa e spaesata.
Feci un profondo respiro e fui costretta da un orco a cominciare a darmi da fare. Bloccai un suo colpo con fatica, era troppo forte per me e i suoi colpi erano carichi di forza e vigore. Quasi caddi a terra ma riuscii a respingerlo e facendomi coraggio feci tagliare l’aria alla spada in orizzontale riuscendo a far saltare la sua testa.
<< Ce l’ho fatta! >> saltellai gioiosa ma non ebbi modo di consumarmi troppo nella mia euforia che altri orchi mi si lanciarono contro. Ok, non era il caso di rimanere ferma, Boromir si stava allontanando e io dovevo stargli vicina, dovevo essere pronta a bloccare le frecce…in un modo o in un altro. Scappai nella sua direzione, ma orchi mi si piazzavano davanti.
<< Lasciatemi passare, maledetti! >> sbottai dando colpi a caso in giro, prima o poi qualcosa l’avrei beccato e se non fosse stato così almeno gli avrei fatti indietreggiare e sarei riuscita a passare.
Il corno suonò, Boromir chiamava rinforzi.
<< Oh, no! >> sussurrai rammentandomi che da un momento all’altro la prima freccia l’avrebbe trafitto all’altezza del petto.
<< Levati di mezzo!!!! >> gridai lasciando che la rabbia si impadronisse completamente di me, corsi verso l’orco che mi stava davanti e lo trafissi. Estrassi la spada velocemente e mi voltai verso Boromir per potergli andare incontro e….
Stop.
Il tempo si fermò in quella frazione di secondo. La freccia aveva tagliato l’aria con un suono assordante.
Cercavo disperatamente il tasto Rewind ma sul mio telecomando non c’era. Non potevo più tornare indietro. Era stato colpito. La terra tremò sotto i miei piedi: niente. Non c’era più niente. La sua mano sudaticcia stava scivolando, non riuscivo a tirarlo su, a impedire la sua caduta nel precipizio della morte. I suoni si congelarono. Fuoco e fiamme. Oscurità. Niente. Il vuoto.
Il mio urlo nella vallata desolata non aveva aria su cui far viaggiare le sue onde sonore, un urlo muto, colmo di disperazione.
Rewind, dov’era il tasto rewind? Ne avevo bisogno.
Ora!
Lacrime incessanti sul mio viso, bruciavano più del fuoco, la terra sotto i miei piedi mi risucchiava, mi trascinava giù, dentro sé. Ero sospesa in un mondo apparente, sospesa tra la veglia e il sonno, sospesa in uno spazio indefinito, in un universo desolato. Sospesa nel nulla mentre la morte, donna ambiziosa e lussuriosa, si inebriava del sangue versato del cavaliere. La morte mi stava portando via il tesoro più prezioso, la mia vita, il mio tempo. Fatiche, desideri, pianti…  tutti doni che davo a lei. Morte che cantava in fischi prodotti da frecce nell’aria.
Colta dalla disperazione più profonda mi lanciai nel vuoto, impugnando l’elsa della mia spada, urlando angosciata, prossima alla dimenticanza, elisa da gemiti incessanti.
Ormai ero uno spettro alla volta della vendetta, attaccata alla morte più che alla vita.
Raggiunsi l’orco che scagliava le frecce e nella mia corsa ne aveva scoccate altre due, ormai era la fine, tre frecce segnavano la fine. Ma la rabbia impetuosa mi muoveva come un burattino e lanciatomi contro di lui gli tagliai la testa.
La testa vorticava, impetuosa sobbalzava, pulsavano le tempie e lingua secca non proferiva parola né lamenti. Ma orecchie ascoltavano urla che si allontanavano, gli hobbit che venivano trascinati via, e un flebile sussurro. Mi destai, il fuoco si spense dentro me, tornai nella mia consueta disperazione e corsi verso l’uomo che mi stava trascinando con sé nell’oblio. Mi inginocchiai continuando a piangere e singhiozzare, non doveva finir così, gli Dei mi avevano offerto un dono, mi avevano offerto opportunità e armi, mi avevano offerto forza e determinazione, ma me ne avevano privato un attimo prima della fine concedendo la mia caduta.
Accarezzai il suo volto sofferente, scostandogli i capelli che mi impedivano di vederlo in tutta la sua magnificenza.
<< No, no >> sussurrai scossa dai singhiozzi.
<< Ti prego… ti prego… >> non riuscivo a dire altro, cercai di guardarlo negli occhi, volevo vedere se c’era ancora speranza, se era prossimo alla morte o se fossi riuscita a fare ancora qualcosa.
Mi ricordai dell’Athelas di Galadriel, ma come l’avrei utilizzata?
Avevo bisogno di Aragorn! Presi il sacchetto tra le mani e afferrai il corno di Boromir suonando ancora con il poco fiato che avevo, non riuscivo a respirare, la disperazione mi stava facendo succube, mi stava uccidendo.
Afferrai una delle frecce che aveva addosso e la strappai via con violenza rabbrividendo sotto le urla di dolore di Boromir, mi faceva accapponare la pelle, ma non poteva rimanere lì in quelle condizioni, gridai con tutta la voce che avevo << Aiuto!!! >> e posai una mano sull’altra freccia ma fui bloccata dalla mano di Boromir << Lascia stare, è finita. Il mondo degli Uomini cadrà. Su tutto calerà il buio, e sulla mia città la rovina. >> Negai debolmente << No! No! Non succederà niente… >> un fremito mi colse, un singhiozzo mi scosse, non sapevo che fare, non sapevo che dire, sentivo solo di voler urlare, morire insieme a lui. Posai la testa sulla sua spalla << Ti prego non lasciarmi >> sussurrai come ultimo gesto disperato, il sacchetto di Athelas mi scivolò dalle mani ormai arti inermi alla fine di braccia senza vita. Era finita. Sentivo le pulsazioni del suo cuore attraverso le vene, diminuire sempre più. Sentii che aveva alzato un braccio e me lo stava per posare sulla testa, lo sentivo tremare come tremavo io. Due anime perse nell’oblio che tendono le mani per trovarsi, stringersi, abbracciarsi, rassicurarsi, ma incapaci di trovarsi.
Ma niente di tutto ciò accadde.
Un braccio mi cinse la vita, un braccio di consistenza diversa, era freddo, violento, duro al tatto. Mi trascinò via con impeto, senza darmi tempo di capire chi era e cosa stesse succedendo. Allungai le braccia verso Boromir urlando un disperato << No!! >>. Lui fece altrettanto riuscendo ad afferrarmi per un polso e tentò di tirarmi via dalla forza bruta che mi stava trascinando. Ebbi un dejavù, avevo già visto quella scena. Lui morente a terra e io, incapace di salvarlo, venivo trascinata via da forze oscure.
La visione vista nello specchio di Galadriel.
La forza di Boromir era misera e non riuscì a salvarmi, tirandomi a sè, così come a me fu impedito di raggiungerlo. L’oscurità cadde su di me, la vista si annebbiò seguita da un forte dolore alla testa, il buio assoluto, l’immagine sfocata di un Boromir morente che crollava a terra, arrendendosi, lasciandosi stringere dalle braccia della morte.
<< Aragorn!!! >> fu il mio ultimo urlo disperato, pregando affinchè giungesse in tempo per salvarlo, per riportarlo alla luce, anche se ormai…la speranza era sfumata, sgretolandosi pian piano, svanendo nel nulla, insieme alla mia coscienza.

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Capitolo 7
*** Se solo mi svegliassi! ***


Speravo di poter vivere ancora in quell’oscurità tanto ambita, ora che tutto era perduto, ora che la speranza era corsa aldilà delle colline, aldilà del mare, verso terre proibite. Gli Dei mi avevano ingannata, mi avevano concesso la loro mano per poi ritirarla nel momento in cui ne avevo più bisogno. Ero stata abbandonata. Ora non desideravo altro…che tornare a casa, laddove avrei potuto continuare a vedere il suo volto su figure stampate, su immagini scorrevoli in una scatola nera, laddove la sua voce avrebbe per sempre echeggiato nei miei sogni. Perché mi era stato dato un assaggio se poi mi era stato negato l’intero pasto? Perché mi era stato permesso sfiorare i miei sogni senza avere la possibilità di toccarli? Perché la sorte mi aveva fatto questo terribile scherzo? Avrei preferito continuare a brancolare nel buio, credendo che fosse solo un sogno e aspettare l’arrivo della mia vecchiaia su una veranda abbandonata, a pochi isolati dalla mia casa natia,  vicino a un uomo dal volto sconosciuto, con figli e nipoti che giocavano nel giardino magari con un cane. Ora sapevo che la mia vita non sarebbe più stata la stessa, ora che mi era stato permesso dare una sbirciata fuori da quella finestra, ora che avevo visto uccelli cantare, verdi montagne, terre incolte, pace e armonia, il valore degli uomini. Ora che più che mai volevo farne parte, ora che più che mai desideravo uscire, correre fuori, urlare la mia gioia nel constatare la veridicità di quel desiderio, ora che potevo toccare con mano.
La finestra si era chiusa davanti ai miei occhi.
Il buio era di nuovo calato.
Nessun suono proveniva alle mie orecchie.
Brancolavo nelle tenebre della mia sconfitta.
Desideravo aprire gli occhi e trovarmi nel mio letto, capacitandomi del fatto che era stato solo tutto un sogno. Volevo poggiare i piedi sul mio parquet, vestirmi e ritornare a lavoro, le facce consuete, la vita di sempre. Volevo dimenticare tutto.
Ero stata una fallita nella vita a casa mia, ma il fallimento nella Terra di Mezzo mi straziava ancor di più. Volevo rendermi conto che non era un vero fallimento, volevo pensare che era stato tutta colpa della mia fantasia.
Ma i Valar volevano ancora giocare con me, bambolina spogliata delle sue virtù.
Aprii gli occhi guardando sconfitta il mondo attorno a me. Non c’era il mio letto, non c’era il mio parquet, non c’era la televisione con i mille DVD sparsi in giro per il pavimento, il telecomando che finiva sempre sotto i miei piedi, non c’era il caffè e l’odore di sigarette di mio fratello, non c’erano volti consueti, non c’erano saluti apatici, non c’era lo smog delle strade o i semafori sempre rossi, non c’era niente di tutto ciò.
C’era terra, sassi e erba. Un paesaggio che correva al mio fianco, il mondo che mi veniva incontro e mi passava accanto senza notare la mia inutile presenza, la Terra di Mezzo davanti ai miei occhi devastata dal male che fuggiva verso terre selvagge, verso terre ignote, sconosciute, lugubri, in cerca di quella speranza ormai perduta.
Ero legata a qualcosa che correva incessante per le vie sotto le montagne, nascondendosi da qualcosa che pareva dar loro la caccia. Ma niente aveva più senso ormai. Feci ciondolare la testa che sobbalzava ogni qualvolta la creatura che mi portava sulle spalle saltava un masso, inerme sulle sue spalle, ormai non ero altro che un burattino del destino.
<< Sophia! >> mi sentii chiamare, reclinai appena la testa per incrociare gli occhi di Pipino, ma era vuoto il mio volto, e il corpo non aveva la forza di muoversi tanto che la testa continuava a penzolare. << Sei sveglia finalmente! Stai bene? >> Mi chiese con somma preoccupazione, ma non ebbi la forza di rispondergli. Continuai a guardarlo con espressione vuota, incapace di sentire, incapace di vedere, incapace di muovermi. Ero ormai diventata quell’involucro che tanto avevo temuto, e la farfalla che dentro di me stava compiendo la sua metamorfosi ormai era volata via, lasciandomi sola, attaccata a un ramoscello dal quale presto mi sarei staccata cadendo al suolo e frantumandomi con un suono sordo, inudibile da nessuno all’infuori di me.
<< Sophia, cos’hai? Non stai bene? Sei ferita! >> ferita? Non lo sapevo nemmeno, sentivo la testa un po’ umidiccia e un sapore ferroso all’interno della bocca, ma non ci avevo fatto caso e non m’importava.
Una lacrima solcò il mio viso, piccola ritardataria, o forse residuo rimasto all’interno dei miei occhi che finalmente aveva trovato modo di uscire. La sentii cadere al suolo e vidi il volto di Pipino svuotarsi della preoccupazione appena avuta lasciando spazio alla tristezza e allo scoraggio.
Non c’era più speranza.
Chiusi gli occhi abbandonandomi nuovamente a un ineluttabile oblio.

Non avevo la più pallida idea di quanto tempo fosse passato: ore? Giorni? Settimane? Era un mistero incomprensibile per me in quel momento, avevo aperto gli occhi a volte, colpita dai raggi del sole, ma mi ero arresa immediatamente alle tenebre, lasciandomi nuovamente cadere nel sonno. Non che avessi bisogno di riposare, ma il sonno era l’unico antidolorifico a quella realtà così affilata.
Aprii gli occhi e per la prima volta in quei giorni non era la luce del sole a colpire i miei occhi, ma quelli della luna. Ero stesa tra rocce, terra smossa e erba secca, e se solo avessi allungato un piede avrei incontrato la gamba di Merry tanto mi era vicino.
Sentivo i due hobbit parlare tra loro ma non diedi loro ascolto, gli occhi mi bruciavano come se mi ci fosse caduto dentro del sale. Mi guardai attorno con fatica, tutto era sfocato e confuso.
<< Sophia! >> Sentii sussurrare dalla mia sinistra, facevo fatica a tenere gli occhi aperti, mi sentivo così debole, la gola bruciava, la lingua secca appiccicata al palato, l’aria che penetrava nei polmoni era fuoco vivo. Feci cadere la testa di lato, così da poter vedere i due hobbit che mi guardavano  preoccupati.
<< Sophia, resisti!  >> resistere? Resistere a cosa? Alla fatica? Alla disperazione? Alla fame? Alla sete? Al dolore? Di cosa sarei morta?
<< Muoio di fame. Sono tre giorni che mangio solo pane pieno di vermi schifosi! >> Disse uno degli orchi stritolando il pezzo di pane nero che aveva tra le mani.
<< Sì! Perchè non possiamo avere carne? Perchè non loro? Eh? Sono freschi ! >> disse un altro guardando noi con ingordigia, era la prima volta che venivo guardata in quella maniera e dopo quell’esperienza avrei potuto dire di sapere cosa si prova ad essere una bistecca fresca di macello su un bancone.
<< Loro non sono da mangiare. >> brontolò quello che doveva essere il capo del gruppo, un po’ me ne dispiacque, la morte mi avrebbe alleviato quelle sofferenze atroci, sarei stata meglio nel buio assoluto anziché vivere in quell’apatia tormentata dai dolori corporei.
Che diavolo ci facevo io sulla Terra di Mezzo? Quello non era il mio posto, come diavolo c’ero arrivata? Perché ero lì, io non avevo chiesto niente. Cosa ci facevo io lì?
Un attimo!
Cosa ci facevo io lì?
Perché gli orchi avevano catturato anche me? Perché non si cibavano della mia carne? Infondo erano gli hobbit che volevano, era l’anello quello a cui ambivano, cosa volevano da me? Perché mi dovevano portare viva a Isengard?
Sotto quei dubbi così assillanti, così improvvisi, come fulmini che illuminano la via con squarci di luce improvvisa, cominciai a uscire lentamente dalla mia apatia. Cosa stava accadendo?
<< Oh... Magari le gambe? Non ne hanno bisogno. Oh... Sembrano gustose. >> disse un altro di loro lanciandosi sulle mie gambe, al che io reagii per la prima volta dopo giorni d’incoscienza, facendomi indietro, tentando di strisciare via e scalciando per proteggere la mia pelle da quei denti putrefatti e pieni di vermi marci.
L’orco capo mi salvò la vita afferrandolo e lanciandolo indietro urlando << Non ti avvicinare! >>.
<< Trinciamoli! Solo un boccone! >> mormorò il primo, non arrendendosi e provando ad avvicinarsi ma a ciò il capo Huruk rispose tagliandogli la testa che rotolò poco lontano da me. << La carne è arrivata di nuovo, amici! >> urlò il capo Huruk poco prima che tutti i suoi colleghi si azzuffassero per conquistare la parte del corpo con più carne.
<< Pipino! Sophia! Andiamo! >> ci destò Merry e cominciò a strisciare via per riuscire a mettersi in salvo, Pipino lo seguì subito, io ci misi un po’, dovevo prima capire se…le forze erano tornate, se veramente volevo fuggire. Quali vantaggi ne avrei ricavato? Altre sofferenze, ancora una vita piena di dubbi? No, sentivo che ora c’era altro. Prima di lasciare quella terra dovevo capire come ci ero arrivata, perché ci ero arrivata e perché gli Huruk volessero portarmi a Isengard con loro. Sapevo dove trovare le mie risposte, Saruman se aveva ordinato di portarmi lì voleva solo dire che sapeva dare una risposta ad alcuni del miei interrogativi, ma preferivo scegliere la via più sicura per arrivarci: la strada guidata dagli Ent. Così cominciai a strisciare seguendo i due hobbit, ma mi sentii afferrare per la caviglia e tirare via. Lanciai un urlo spaventato mentre mi voltavo a vedere chi volesse impedire la mia fuga e vidi il solito orco, con la sua faccia marcia, putrefatta, e quel macabro sorriso che tanto mi ricordava gli incubi della mia infanzia.
<< Coraggio, chiamate qualcuno! Guaite. Nessuno vi salverà, adesso. >> Ma qualcosa invece…ci salvò. Un gran fracasso, il rumore degli zoccoli dei cavalli che tamburellavano sulla terra, le urla in lontananza, spade che venivano sguainate. L’orco si distrasse e io ne approfittai per allontanarmi da lui e avvicinarmi il prima possibile agli hobbit che guardavano confusi i cavalli che stavano invadendo l’accampamento << Cavalieri di Rohan! >> spiegai ai due cercando una pietra dove tagliare le corde, pietra che non attardò a farsi vedere. << Dobbiamo muoverci! Non faranno caso alla nostra presenza, uccideranno tutti indiscriminatamente, dobbiamo entrare e nasconderci nella foresta di Fangorn >> dissi finendo di tagliare le corde mentre cavalli e cavalieri correvano ovunque, uccidendo orchi e tutto ciò che si muovesse. Pregai affinchè non notassero la nostra presenza, mi liberai i piedi dalla corda prima di aiutare i due hobbit a liberarsi.
<< Fangorn è pericolosa! Ci sono strane leggende che mettono in guardia sulla sua natura e la sua sicurezza >> Disse Merry spaventato.
<< Fidati Merry, meglio lì che rimanere qui! Muoviti corri! >>  e alzandomi in piedi cominciai a scappare per riuscire a nascondermi insieme ai miei amici. Pipino fu bloccato, uno degli orchi si aggrappò alla sua cinta << Pipino sganciati la cintura! >> gridai riuscendo a schivare appena in tempo un paio di zoccoli che stavano quasi per investirmi. Pipino obbedì e tutti e tre fuggimmo all’interno di Fangorn, cercando rifugio tra gli alberi. << Tu li vedi? Li abbiamo lasciati indietro! >> disse Pipino voltandosi a guardare, ma proprio in quel momento vedemmo che uno di quegli orchi ci aveva seguiti.
<< Sugli alberi! Presto Salite sugli alberi! >> ordinai aggrappandomi al primo tronco trovato “fa che non abbia sbagliato, dimmi che sei tu Barbalbero!” gli hobbit mi imitarono salendo su un altro albero, poco lontano dal mio. Merry si fermò a metà guardandosi attorno e sussurrando << E’ sparito >> ma non fece in tempo a finire la frase che fu preso per i piedi dall’orco e trascinato giù.
<< Merry! >> gridò Pipino mentre l’orco lanciava la sua sentenza contro l’hobbit a terra: morte.
L’albero su cui era Pipino aprì gli occhi “E diamine!! Lo sapevo che avrei sbagliato! “ brontolai mentalmente mentre mi affaccendavo per scendere, non temevo l’orco ai piedi di Merry, sarebbe stato schiacciato nel giro di….3…2…1… splat!!
Esattamente!
<< Piccoli orchi, burárum! >> disse Barbalbero prendendo entrambi nelle sue mani e stringendoli come facevo io con i vecchi pupazzi…anche se a volte saltava loro la testa.
<< Sta parlando, Merry. L'albero sta parlando! >> riuscii a scendere dal mio albero e corsi incontro a Barbalbero sbracciandomi  << Ehi!! Ci sono anch’io! >> Barbalbero mi guardò spalancando i suoi piccoli occhi incastonati nella corteggia ricoperta di muschio.
<< Un uomo nella foresta di Fangorn? >> chiese sconvolto chinandosi per guardarmi meglio in volto, al che io indietreggiai appena con la schiena, era qualcosa di davvero assurdo! Avevo di fronte a me un albero parlante!
<< Uomo…avrei da obiettare, ma lasciamo stare! Mi chiamo Sophia, e loro sono i miei amici hobbit Merry e Pipino. Non sono orchi, ok? >>
<< Non sono orchi? Mh, beh, questo sarà lo stregone bianco a deciderlo, intanto potete rivolgervi a me con il nome di Barbalbero, sì, Barbalbero mi chiamano alcuni e penso che sia il nome adatto >>
<< Lo stregone bianco? >> chiese Pipino non capendo mentre io saltellando mi avvicinavo alle gambe di Barbalbero << Sì, che bello! Finalmente, era ora si facesse vedere! Permetti? Posso salire anche io? >> chiesi accarezzando appena la corteggia, sembrava di accarezzare la pelle di un uomo vecchio mille anni tanto era nodosa e rugosa, ma ben salda.
<< Saruman >> giunse a conclusioni affrettare Merry ed entrambi cominciarono ad agitarsi per poter sfuggire alla presa di Barbalbero.
<< Oh, ma certo, accomodati pure. Reggiti forte, piccolo uomo >> disse rimanendo immobile mentre mi aggrappavo a buchi nella corteggia e ramoscelli vari pregando di non spezzare nulla per non far andare su tutte le furie quel colosso.
<< Sophia, no! Ci sta portando da Saruman! >> disse Merry per cercare di convincermi a scappare, ma ignorai le sue parole, sapevo bene dove eravamo diretti.
<< Non è Saruman che andiamo a trovare, state tranquilli. State per ricevere una piccola sorpresa >> e feci l’occhiolino mentre mi sistemavo sui rami più alti dell’Ent, proprio sulla sua testa, dove potevo vedere meglio il panorama << Mettiamo in chiaro delle cose però, Mr. Fangorn, non sono piccola tanto meno uomo >>
<< Suvvia, niente fretta! Come sarebbe a dire che non sei un uomo? >>.
<< Appartengo alla razza degli uomini ma sono una donna… un uomo femmina, capisci? >> e Barbalbero cominciò a camminare verso il famoso stregone bianco.
<< Uhm, certo. Anche noi una volta avevamo Entesse femmine, ma sono passati tanti anni dall’ultima volta che ne ho vista una purtroppo. >> e così continuando a chiacchierare delle Entesse femmine arrivammo di fronte al famoso stregone bianco.
Saltai giù dall’albero mentre lui posava ai piedi di Gandalf i due hobbit, ancora incapaci di vederlo a causa della troppa luce. Gli andai incontro a braccia aperte << E’ bello poterti di nuovo rivedere, Gandalf >> dissi senza però avvicinarmi troppo. I due hobbit si guardarono torvi prima di chiedere in coro << Gandalf? >>.
Il mago si tolse dalla luce, mostrando il suo volto e sorrise ai piccoletti che non esitarono a saltargli addosso gioiosi di vederlo.
<< Ma tu sei morto! Ti ho visto con i miei occhi! >> Disse Pipino in pieni festeggiamenti.
<< Sì, mio caro Peregrino Tuc, sono morto. E sono rinato! Avevo ancora delle faccende da sbrigare in questo mondo. Prima ero Gandalf il grigio, adesso sono Gandalf il bianco >>
“Poche parole ma chiare, bravo maghetto!”
<< Barbalbero, custodisci i miei amici hobbit e la donna. Io ho delle faccende da sbrigare >> disse all’Ent << mh uh, allora è vero, non sono orchi >>.
<< No che non lo siamo! Siamo hobbit della contea: mezzuomini>> disse Merry prima di voltarsi verso Gandalf << Già te ne vai? Ci siamo appena ritrovati >>.
<< Ci rivedremo molto presto, mio caro amico, molto presto. >> disse prima di allontanarsi e sparire così come era comparso. Barbalbero ci prese sulle sue spalle e cominciò a camminare verso casa sua, continuando a parlare. Gli piaceva parlare, e il suono della sua voce era così rilassante sembrava di sentire le storie di qualche antenato, storie di un vecchio passato che ormai non ci apparteneva più ma che echeggiava nel cuore della foresta. E i due hobbit si divertivano a conversare con lui, era una bella compagnia sicuramente, e anche loro due avevano da dire il fatto loro. Che chiacchieroni.
Io invece continuavo a stare in silenzio, avremo passato giorni a vagare nella foresta senza uno scopo ben preciso, era ancora presto per la battaglia di Isengard con gli Ent, e l’idea di passare giorni interi nell’ozio, in solitudine, in compagnia dei miei semplici pensieri, mi spaventava. Sapevo che in quei giorni sarei stata tanto fragile, l’oblio incombeva sulla mia anima, l’annebbiamento minacciava di tornare da un momento a un altro, dovevo tenere la testa occupata ma sarebbe stato difficile.  

Arrivammo alla casa dell’Ent che era quasi buio: era una piccola caverna intagliata tra le rocce delle montagne arredata con un tavolo e della paglia per terra.
L’Ent ci fece accomodare sul grosso tavolo, così grande che i nostri piedi dondolavano nel vuoto a qualche metro da terra, e ci diede qualcosa da bere, un liquido verdastro che alla vista sembrava un po’ sgradevole.
<< Sarete affamati, servitevi pure, mh >> disse Barbalbero cominciando a bere. Merry e Pipino lo imitarono subito, io mi persi per un attimo nel mio riflesso nella ciotola, strano come un liquido di quel colore fosse in grado di riflettere, ma la cosa che più stupì era di vedere il mio volto completamente…diverso. Occhiaie incidevano sotto i miei occhi gonfi, la testa era ancora sporca di sangue così tanto che i capelli, secchi, spettinati e opachi, vi si erano un po’ impiastricciati, le guance si erano un po’ ritirate probabilmente a causa della fame, sembravo uno scheletro appena uscito da una cruda battaglia.
<< Sophia, bevi è buono! >> mi disse Merry allontanandomi dai miei pensieri << Ed è molto nutriente, mh, ti farà bene >> disse Barbalbero stendendosi sulla paglia per terra << Perdonatemi se vi parlo da steso ma così evito di addormentarmi, mh >>.
Posai le labbra secche e sciupate sul bordo della ciotola e le bagnai appena. Una piccolissima dose di liquido mi scivolò in gola e mi parve di rinascere. Sentivo la vita scorrere in me ad ogni sorso, le labbra bagnate si ammorbidirono, le mani smisero pian piano di tremolare e ripresi un colore più roseo. Era una bevanda magica, ed era così buona!
Finii di bere con ingordigia, mi sentivo sempre meglio, la stanchezza non incideva più sul mio volto tirandomelo ma me lo rilassava così come rilassava tutto il resto del corpo. Posai il recipiente facendo un grosso sbadiglio.
<< Sei stanca? Mh >> mi chiese Barbalbero allungando un braccio nella mia direzione, salii sulla sua mano aggrappandomi alle sue radici << Riposa qui se vuoi >>.
Scelsi il mio posticino sulla morbida paglia come un gatto lo sceglie su un letto, e una volta trovato mi lasciai scivolare stesa e chiusi gli occhi senza nemmeno ascoltare Barbalbero che aveva ripreso a parlare con gli hobbit. Nel giro di pochi secondi ero già crollata nel mondo dei sogni, sogni cupi, pieni di fuoco e sangue, confusi, tristi e pieni di rammarico. Sogni concessi a me dagli Dei quasi a volermi rammentare qual’era il mio posto in quella terra, quasi a volermi rammentare che per me non c’era più pace lì né speranza.
Mi svegliai che il sole era già alto nel cielo, ma fu una sensazione meravigliosa. Dopo mesi di sonno inutile, sonno che non riposava, sonno in cui mi destavo ancora più stanca di prima, quella mattina mi svegliai come un giglio che si schiude in una pianura appena sfuggita al gelo dell’inverno.
Aprii gli occhi pian piano e mi spaventai a morte quando vidi l’enorme volto di Barbalbero a pochi centimetri dal mio.
<< Ehi!! Avevi intenzione di uccidermi nel sonno?! >> dissi saltando indietro.
<< Mh, uh, scusa. Sei stata agitata e rumorosa tutta la notte, mentre stamattina invece eri tanto silenziosa e immobile che ho temuto tu fossi morta >>.
<< Morta? Oh, uhm, suvvia! Niente fretta, no? >> ridacchiai sapendo che quella frase era la preferita del Mastro Ent.
<< Hai ragione, sono stato frettoloso, mh uhm >> si scusò Barbalbero allontanandosi da me, ok ora ero un po’ più tranquilla. Poteva essere buono quanto voleva, poteva essere la creatura migliore di questo mondo, ma un po’ incuteva terrore soprattutto quando ti si avvicina in quella maniera.
Mi guardai attorno e non vidi nessuno dei due hobbit << Dove sono Merry e Pipino? >> chiesi curiosa.
<< Sono fuori nella radura davanti a casa che chiacchierano e scherzano, vuoi raggiungerli? >> mi disse porgendomi la mano per aiutarmi a scendere da quell’enorme letto fatto di paglia e fieno << Oh, si! Grazie mille! >> e saltai sulle sue radici nodose. Barbalbero uscì fuori superando la “porta” fatta con edera e altre piante, superò pochi alberi e mi posò a terra, su un prato di un verdolino appena appena accennato, così opaco che mi fece pensare che fosse molto vecchio, come il resto della foresta. In quel mondo immerso dalle tenebre tutto invecchiava, niente nasceva, presto non ci sarebbe rimasto niente se non cenere e ombre. Guardai Fangorn a pochi metri da me, era triste pensare che quella distesa di verde un giorno sarebbe stato un mucchio di alberi secchi che con i loro rami si intrecciavano e si spezzavano a vicenda.
Mi sforzai di non pensare più a quelle tristezze, sapevo che Frodo ce l’avrebbe fatta, sapevo che presto quel prato sarebbe rinato dopo l’inverno di un verde intenso e non avrebbe più scricchiolato sotto i piedi a causa di radici e pianticelle morte.
Gli hobbit erano poco distanti da me, seduti su una roccia che parlavano tra loro. Alzarono la testa nel sentire i pesanti passi di Barbalbero e mi sorrisero salutandomi con vigore. Risposi al sorriso ma non li raggiunsi,mi voltai verso l’Ent e gli chiesi << C’è mica una fonte d’acqua qui da queste parti? Avrei bisogno di darmi una pulita >> dissi toccandomi i capelli sporchi di sangue e polvere. Il biondo dei miei capelli non era mai stato tanto simile al bianco.
<< Dietro quell’altura c’è un piccolo laghetto dove a volte vado a immergere le radici, l’acqua è molto fresca e limpida, penso che sia una delle pochissime rimaste, di questi tempi la terra è più calda e l’acqua evapora facilmente lasciando spazio solo a grandi buchi secchi nel terreno >> Mi spiegò e dopo aver assimilato quella triste informazione mi avviai verso la fonte << Arrivo subito >> gridai agli hobbit << Vado a darmi una rinfrescata >> cosa che a quanto pare loro avevano già fatto in quanto avevano il viso non più ricoperto di terriccio e polvere e i loro capelli avevano ripreso un po’ colore.
<< Ti aspettiamo qui! >> gridò Pipino prima di riprendere a parlare con il compagno.

Mi spogliai completamente, chi mi poteva vedere nuda in quel posto se non qualche albero? Non c’era pericolo di spioni in giro, così diedi prima una lavata agli abiti mettendoli poi sotto il sole per farli asciugare mentre mi immergevo nell’acqua fredda. Dapprima rabbrividii, cosa avrei dato per avere una vasca piena di calda acqua fumante! Mi immersi pian piano, scossa inizialmente da brividi di freddo, poi la mia pelle si abituò a quel calore così scarso e cominciai a starci di incanto. Vedevo l’acqua colorarsi appena di un colore purpureo nel momento in cui bagnai i capelli, era tutto il sangue residuo e mi sforzai di pensare che fosse solo il mio e non di qualche altra creatura.

Mi stavo pian piano rigenerando, il liquido super nutriente di Barbalbero e quella meravigliosa pozza d’acqua mi stavano aiutando a ritornare quella di prima. In più le ore di sonno di quella notte avevano aiutato a eliminare un po’ di occhiaie. La mia pelle stava tornando quella di sempre, rosea e liscia. E poi era così rilassante anche se, come si poteva immaginare, mi permetteva di pensare troppo.

Mi trovavo nella terra dei miei sogni, in un mondo che per anni avevo sognato di vedere con i miei occhi, in un mondo che credevo impossibile raggiungere. Ma ero lì! Mi stavo lavando nelle sue acque, avevo calpestato la sua terra, avevo ucciso le sue creature e…avevo amato i suoi uomini. IL suo uomo. L’unico. Colui che adesso giaceva su chissà quale fondale, privo di vita, non c’era più il respiro caldo che usciva dalle sue labbra, non c’era più il suo dolce odore, non c’erano le sue braccia forti che mi aiutavano nei momenti di pericolo, la sua risata cristallina era un giacimento dei miei pensieri, niente di più. Soffrivo nel vederlo morire nei miei sogni, soffrivo nel vederlo morire alla televisione o semplicemente leggendola in un libro. Ma vederlo morire davanti ai miei occhi, incapace di aiutarlo, perdente ancora nelle mie aspirazioni era un dolore troppo forte per una gracile creatura come me. Dove sbagliavo?  Dove avevo sbagliato?

Tornai a tremare anche se dubitavo fosse il freddo, reclinai il capo in avanti sentendo il cuore vibrare debolmente nel mio petto. << Perdonami >> sussurrai sentendomi tremendamente in colpa, avevo giurato di proteggerlo, ma come avevo temuto…ne ero stata incapace. E ora eccomi lì, sola, spersa in chissà quale angolo recondito di una terra che non mi apparteneva. Straniera nel corpo, straniera nella mente, non riuscivo a identificarmi in niente di tutto ciò che mi capitava tra le mani come mi era successo anche a casa. Non riuscivo a ritrovare me stessa. Se solo lui fosse stato lì con me, tutto si sarebbe colorato di colori nuovi, tutto avrebbe trovato un senso, la terra avrebbe cominciato a girare nel senso giusto. Era nei suoi occhi che mi ero ritrovata, e ora quegli occhi erano andati perduti portandosi dietro la mia anima. Ero vuota. Non avevo più un senso, ero qualcosa di indicibile e incomprensibile, senza scopo, senza meta, senza futuro né passato. Un punto posto tra il soggetto e il verbo, qualcosa di fastidioso, un’entità senza valore né significato, fuori luogo, fuori tempo, fuori tutto…fuori!
Se solo lui fosse stato lì con me.
Mi strinsi nelle spalle, i capelli ricadevano senza senso sul mio volto appiccicandosi bagnati, coprendomi gli occhi, incapace di vedere.
Il mio ruolo in quella storia era finita, non c’era più motivo che io rimanessi lì, volevo tornare a casa e continuare a vivere una misera esistenza nel nulla assoluto sperando solo di riuscire a dimenticare.
Posai una mano sul pelo dell’acqua e cominciando a muoverla piano feci strani suoni, come una lontana melodia. Cominciai a canticchiare perdendomi nei miei pensieri, accompagnata dal suono dell’acqua che cadeva dentro l’acqua, degli uccelli che lontano migravano, delle foglie scosse dal vento e dalla risata degli hobbit a pochi metri da me, nascosti da una parete di roccia.
<<
Ormai dovrei sapere chi sono. Cammino. Il ricordo rimane in qualche modo pensando all'inverno. Il tuo nome è la scheggia dentro di me mentre aspetto. E ricordo il suono del centro della tua città a novembre. E ricordo la verità. Un caldo dicembre con te. Ma non devo fare questo errore. E non devo stare in questo modo. Se solo mi svegliassi!
Il sentiero è stato cancellato ormai. La tua voce è tutto quello che sento in qualche modo, chiamando l'inverno. La tua voce è la scheggia dentro di me mentre aspetto.
E ricordo il suono del centro della tua città a novembre. E ricordo la verità. Un caldo dicembre con te ma non devo fare questo errore. E non devo stare in questo modo. Se solo mi svegliassi!
Potrei aver perso me stesso in grezze acque blu nei tuoi occhi, e tuttavia mi manchi.
E ricordo il suono del centro della tua città a novembre, e ricordo la verità. Un caldo dicembre con te ma non devo fare questo errore. E non devo stare in questo modo. Se solo mi svegliassi!
>>
Sospirai, mi ammorbidii nuovamente e rimasi immobile, immersa fino al collo nell’acqua tiepida, guardando il mio riflesso increspato dalle piccole onde che provocavo a ogni movimento, guardando nel riflesso dei miei occhi e cercando disperatamente i suoi, mentre la sua risata cristallina echeggiava nei miei ricordi ormai lontani e così alienanti. Ma niente di tutto ciò era lì con me. Ero sola.
Alzai la testa verso il cielo, così scuro, ricoperto di nuvole scure che impedivano di vedere il sole.
<< Se solo mi svegliassi. >> sospirai pensando alle parole della canzone e sentii la voce vibrare sottile, le corde vocali incendiarsi ancora. Chiusi gli occhi e poggiai la testa alla roccia dietro di me respirando a gran fatica, la sua assenza mi rendeva difficile respirare: lui era il mio ossigeno. Un’altra lacrima rigò il mio viso, quando avrei smesso di piangere? Quando si sarebbero concluse le mie lacrime?
Rimasi immobile per…non so quanto tempo, minuti? Ore? Mi guardai le mani, le dita erano tutte avvizzite segno che ero stata decisamente troppo immersa: era giunta l’ora di uscire. Presi i miei abiti e mi rivestii, né io né loro eravamo asciutti completamente, ma non mi preoccupai, se mi fossi ammalata poco male. Ormai più niente aveva senso, niente aveva motivo di esistere, niente mi avrebbe distrutto più di quello che già ero.
I due hobbit non si erano mossi dalla loro posizione e continuavano a parlare con vivacità guardandosi attorno, come se non fosse successo niente, come se si trovassero in vacanza e non in piena guerra. Un po’ invidiavo il loro modo di superare le difficoltà, se fossi stata così anche io in quel momento sarei riuscita a prendere parte ai loro scherzi con sincerità, sarei riuscita…a vivere.
<< Sophia, pensavamo tu ti fossi affogata! >> disse Pipino guardandomi in un mix tra il divertito e il preoccupato, ciò mi fece pensare che…lo avevano pensato davvero!! Erano folli! Suicidarmi? ….beh, però a pensarci bene…
No no no!
“Sophia non dire stupidaggini! Non ne avresti mai avuto il coraggio.”
<< Ma siete pazzi? Perché mai mi sarei dovuta affogare? >> dissi con un po’ agitazione arrampicandomi sul masso dove erano seduti e mettendomi poco lontana da loro. Avevo lasciato i capelli bagnati cadermi sulle spalle così che si sarebbero asciugati con il vento di Fangorn.
<< Ti abbiamo sentita cantare e poi… >>
<< Mi avete sentita cantare? >> chiesi imbarazzata interrompendo la frase di Merry.
<< Forte e chiaro! >> Disse con una punta di orgoglio Pipino, cosa voleva fare? Vantarsi del suo super udito? Arrossii a abbassai lo sguardo.
<< Era solo un piccolo sfogo, niente di più >> cercai di difendermi, ma sbagliai alla grande! Peggiorai le cose perché Merry scattò in avanti venendomi vicino << Allora avevo pensato bene! Sei veramente innamorata di qualcuno >>
…cavoli!
Quando avrei imparato a tenere la bocca chiusa? Tante volte mi ero ritrovata nei casini per colpa di frasi che avevo detto senza pensare, e quella era da aggiungere alla lista. Mi sentivo andare il viso in fiamme.
<< Mi pare una cosa normale, a tutti può succedere >> ok, dovevo calmarmi e riprendere a rispondere razionalmente, così come l’avevo posta sembrava una colpa! Solo che… l’amore per Boromir era sempre stato dentro di me e ora che era uscito alla scoperto mi turbava un po’, mi sembrava fosse più reale e questo non era per niente un bene, soprattutto dopo che lui non c’era più.
<< Ma la canzone era così triste! Non lo vedi da così tanto tempo? >> Chiese Pipino con la tristezza nella voce e fu quello il momento in cui smisi di arrossire, per incupirmi. Immagini, immagini nella mia testa. Urla e disperazione. Quanto tempo era passato?
<< Da qualche giorno >> ammisi rimanendo vaga sul numero di giorni preciso in quanto neppure io sapevo bene quanto tempo era passato da allora. Avevo vagato per un po’ senza vivere, non mi ero resa conto dei giorni che passavano. Merry rimase in silenzio, guardandomi serio, ma non lo notai troppo in quel momento e proseguii ammettendo con un filo di voce << Ma credo non lo rivedrò mai più >>.
Pipino si intristì ancora di più << E perché? Cos’è successo? >>
<< Pipino!! >> Lo richiamò Merry, l’unico che aveva probabilmente capito qualcosa e non voleva infierire ancora di più. Io invece sorrisi dell’innocenza del piccolo hobbit e decisi di rispondere per placare quelle sue piccole curiosità da bambino << E’…è morto >>.
Il silenzio calò nella piccola radura, nessuno sapeva cosa dire, era una situazione tanto imbarazzante quanto triste, non si sa mai come comportarsi di fronte a qualcuno che ha subito una grande perdita.
<< Mi dispiace, non volevo… >> cercò di scusarsi Pipino, poveretto! Infondo non aveva fatto niente di male e gli sorrisi << Non preoccuparti, prima o poi passerà >> non ci credevo nemmeno io, ma non volevo dar modo di far sentire in colpa Pipino. Rivolsi il mio sguardo all’orizzonte cercando in quella lotta di colori il blu dei suoi occhi, invano: tutto era grigio, tutto era scuro, opacizzato.
<< Boromir era uno degli uomini più valorosi che abbia mai conosciuto >> Interruppe il silenzio Merry, destando i pensieri miei e di Pipino. A primo impatto mi meravigliai di sentir pronunciare il suo nome, poi dopo averci pensato per qualche secondo mi resi conto che non era poi così difficile arrivarci dopo quelle mie piccole informazioni. Un brivido mi percorse la schiena. Come suonava bene il suo nome.
<< Boromir? >> chiese sconvolto Pipino prima di pensarci un po’ << Aspetta! E’ davvero lui? >>
<< Non è così difficile Pipino! Chi altro poteva aver visto pochi giorni fa sul punto di morte? >> gli disse Merry in tono quasi di rimprovero, povero hobbit, non era così veloce ad assimilare ed elaborare informazioni come l’amico.
<< E’ vero, non ci avevo pensato >>.
Com’era tenero Pipino! Sembrava proprio un bambino a volte! Gli scompigliai i capelli prima di scendere dalla roccia con un balzo << Non vi offendete vero se vi lascio soli? >> chiesi voltandomi con un sorriso, un triste sorriso.
<< Vado a fare una passeggiata, ho bisogno di…muovermi, scusate >> e senza aspettare una loro risposta cominciai a vagare per la foresta senza una meta precisa, priva di energie, mi stavo trasformando nuovamente in qualcosa di inutile, incompleto, un’ameba.

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Capitolo 8
*** Non ho niente da perdere. Forse. ***


Pagine vuote, indecifrabili, inchiostro invisibile sulla mia pelle, svuotata di tutto ciò che avevo guardo quel libro scivolarmi dalle mani, le frasi e le parole si stanno lentamente dissolvendo, lasciando solo pagine bianche.
Tutto è niente.
Ormai.
Neanche io avevo più una ragione per andare avanti, non mi interessava sapere dov’ero, perché c’ero, chi mi aveva mandata. Non aveva alcun senso scoprirlo ora che non avevo motivo di guardare la strada davanti a me. Ferma in un punto invisibile, a rischio incidente, una macchina sarebbe potuta comparire all’improvviso investendomi, ma non mi sarei spostata, non mi sarei spaventata. Ormai niente aveva più senso. Potevo morire, non ci sarebbe stata differenza.
Sarei potuta morire se un qualche Dio me lo avesse ordinato, sarei potuta morire se LUI me l’avesse ordinato. Ora ero pronta. Potevo morire.
Vedevo piante, alberi, foglie secche sotto i miei piedi risuonavano in un supplichevole addio, io stessa risuonavo alla stessa maniera sotto i piedi del mio dolore. Del mio destino. Che senso avevo? Non riuscivo a trovarlo! Potevo cercarlo in qualsiasi cosa: nel sorriso dei miei amici, nelle domande che ancora mi ponevo, nella risata di un bambino o nel pianto di un genitore sul cadavere del proprio figlio. Ma non lo trovavo.
Vuota.
Ormai.
Sola con una manciata di ricordi che mi scivolavano dalle dita come sabbia, come acqua di mare che tenta di tornare da dove proviene, come una lucertolina che catturata per la coda se ne separa per scappare via.
Sola.
Ormai.
Per giorni, pronta ad affrontare gli anni nella più completa apatia, pronta a percorrere strade sconosciute senza avere fretta di arrivare a destinazione, senza avere motivazione di guardarmi attorno, senza niente se non la voglia tremenda di voltarmi e correre per tornare indietro, tornare da lui.

Una mattina Barbalbero ci svegliò presto, ormai erano passati alcuni giorni dal nostro arrivo lì e finalmente era giunto il momento dell’Entconsulta. Ci fece salire su di lui e cominciammo a marciare verso il luogo che avrebbe ospitato tutti gli Ent di Fangorn per discutere sulla sorte della Terra di Mezzo.
Mi piaceva stare sopra Barbalbero soprattutto mentre camminava, sembrava di trovarsi sopra qualche stramba giostra: mi divertiva e poi era bello vedere come gli alberi e la terra sotto i piedi passavano velocemente senza che lui potesse fare il minimo sforzo. Mi sentivo praticamente in cima al mondo.
Durante la nostra marcia sentimmo il suono di corni provenire da lontano, mi voltai, io ero sopra la sua testa e avevo una visibilità maggiore di quella degli hobbit, e fui la prima a vedere i campi e i sentieri che andavano verso, suppongo, il fosso di Helm, ricoperti di una cupa coltre nera. L’esercito di Saruman.
<< Merry! Pipino! Venite a vedere >> dissi loro aspettando che salissero raggiungendo la mia postazione per dar modo anche a loro di vedere quell’orrore. Da quella posizione così alta sembrava di vedere i campi inondati di malefico liquido nero, catrame, veleno.
<< Che cos’è? >> chiese Pipino guardando con somma preoccupazione quell’immensa distesa di nero << È l'esercito di Saruman. La guerra è cominciata. >> Spiegò Merry.
<< Si dirigono al fosso di Helm >> spiegai guardando l’orizzonte, ricordavo che era la battaglia che più amavo di tutto il libro, mi riempiva di emozione  era davvero incredibile, anche più bella di quella davanti a Minas Tirith, ma ora che potevo toccare tutto con mano…non la ritenevo più così fantastica, ma un’orribile dispensatrice di morte. Quella era la mano nera della morte che si allungava verso gli uomini, insaziabile, incontentabile, bambina viziata.
<< Re Theoden deve aver ritenuto opportuno portare alla fortezza il suo popolo, Rohan dev’essere stata attaccata. L’ombra di Saruman si sta allungando fin troppo >>
Spiegai usando l’ipotetico anche se sapevo benissimo che era veramente così. Gli hobbit mi ascoltarono in silenzio, potevo leggere la preoccupazione e la paura nei loro occhi.
<< Guardate! C’è del fumo a sud >>  disse Pipino e a quel punto fu Barbalbero a rispondere << C'è sempre del fumo che sale da Isengard in questi giorni. >>
<< Isengard? >> disse incredulo Merry in un pensiero detto a voce troppo alta.
<< C'è stato un tempo in cui Saruman camminava nel mio bosco. Ma ora ha una mente di metallo e ingranaggi. A lui non interessano più le cose che crescono. >>
Guardai all’orizzonte, quell’immensa distesa di nero mi preoccupava, sapevo come sarebbe andata a finire ma se non fosse veramente così? Stavo cominciando a temere che il mio arrivo sulla Terra di Mezzo avesse provocato dei cambiamenti, il fatto che io fossi stata catturata insieme agli hobbit ne era una prova. Sospirai << Che la fortuna vi assista >> dissi e solo allora mi ricordai di…qualcosa…di strano.
Mi guardai il polso: il braccialetto di Galadriel era sparito! Possibile che l’avessi perso quando ero andata a lavarmi? No, impossibile, già allora non c’era ma non ci avevo fatto troppo caso.
Presi questo come messaggio di sventura, il braccialetto mi aveva abbandonato, la fortuna mi aveva abbandonata.
Beh, a dirla tutta…quello stupido braccialetto non mi aveva portato per niente fortuna! Boromir era morto, dove stava tutto questo potere? Ma forse l’avevo già perso durante la lotta, ecco perché era andato tutto storto.
Che peccato, avevo ricevuto un dono così bello e forse, dico FORSE, utile ed ero stata capace di perderlo. Sarei mai riuscita a fare qualcosa di buono nella vita! Forse ero io stessa la causa delle mie disgrazie, forse doveva essermi stato fatto qualche maleficio il giorno della mia nascita per cui sarei stata iellata tutta la vita.
Arrivammo al centro della foresta di Fangorn, dove si sarebbe tenuto il consiglio, il sole era già calato: incredibile quanto fosse grande quella foresta! Avevamo impiegato un giorno intero per arrivare.
Gli altri Ent cominciarono a uscire allo scoperto, riunendosi in cerchio << Noi Ent non siamo più coinvolti nelle guerre tra Uomini e Maghi da moltissimo tempo. Ma ora sta per accadere una cosa che non accadeva da un'era: Entaconsulta.>>
<< Cos’è? >> chiese Merry.
<< E’ una riunione >> spiegò in poche parole Barbalbero.
<< Una riunione di cosa? >> Chiese Pipino guardando gli alberi avvicinarsi a loro << Faggio, Quercia, Castagno, Frassino. Bene, bene, bene. Sono venuti in molti. Ora dobbiamo decidere se gli Ent scenderanno in guerra. >>
<< Forse è meglio se noi rimaniamo nelle vicinanze >> suggerii agli hobbit, sapevo che non era permesso a noi prendere parte a un evento tanto magnifico, ma anche se fosse ci saremmo solo annoiati, gli Ent parlavano tra loro nella loro lingua a noi incomprensibile, non aveva senso rimanere.
Barbalbero ci fece scendere con delicatezza e Merry e Pipino corsero verso l’interno della foresta << Non allontanatevi troppo, potrebbe essere pericoloso e io ho promesso a Gandalf che vi avrei tenuti sotto la mia custodia >>.
<< Grazie mille Barbalbero >> dissi con un sorriso accarezzando la sua corteccia, era così strano pensare che quell’essere così rigido, così statuario, fosse in grado di muoversi, parlare e avesse una vita propria, un cuore e dei sentimenti.
Raggiunsi gli hobbit poco distanti da noi, che si erano messi a sedere sull’erba secca ai piedi di un albero. Merry era inquieto, voleva prendere parte alla guerra, non poteva stare con le mani in mano.
<< Abbi fiducia, Merry. Ora rilassati, camminare avanti e indietro non risolverà la situazione >>
<< Sì ma almeno scarico i nervi >>.
Per tanti anni avevo provato a immaginare come si potesse svolgere un Entconsulta, ma non mi ero mai nemmeno avvicinata. Era qualcosa di assolutamente incredibile, gli alberi era immobili in cerchio, si guardavano in volto eppure non muovevano nemmeno le pupille. E le loro voci risuonavano nella foresta come il vento risuona tra le foglie, mai e poi mai avrei immaginato che quella fosse la voce degli alberi, chissà se nel giardinetto dietro casa mia c’erano degli Ent, a volte avevo udito suoni del genere ma avevo sempre creduto fosse il vento.
Probabilmente no, solo in un posto magnifico come la Terra di Mezzo queste cose potevano accadere, eppure ero convinta che qualcosa di magico esistesse anche nel mio mondo, forse un tempo anche noi avevamo maghi e streghe, elfi e nani, ma probabilmente gli uomini avevano cominciato a rifiutare di vedere e questo aveva portato alla fine di quegli esseri così speciali. Ma chissà se qualcuno ancora era sopravvissuto, magari si nascondeva tra noi senza farsi notare, mascherandosi. Il giorno che fossi riuscita a tornare a casa sento che mai più avrei vissuto come avevo sempre fatto, sarei andata in giro a naso alto, cercando la magia anche nelle più flebili nuvole, insignificanti all’apparenza. Chissà che non fossi riuscita a vedere qualcosa.
L’entconsulta durò a lungo, molto più del previsto, un intero giorno! Quando Barbalbero si riavvicinò a noi il sole era di nuovo già calato. L’attesa stava diventando estenuante, stavo cominciando ad agitarmi anche io.
<< Abbiamo raggiunto un accordo. >> disse Barbalbero prima di fare una lunga, lunghissima pausa, chiudendo gli occhi, tant’è che credemmo si fosse addormentato.
<< Sì? >> lo destò Pipino.
<< Ho riferito il vostro nome all'Entaconsulta e abbiamo convenuto che voi non siete Orchi. >> Come immaginavo, avevamo perso tempo, prima di arrivare a parlare di Saruman quanti altri giorni sarebbero dovuti passare?
<< Beh, è una buona notizia. >> sorrise Pipino e ancora una volta mi ritrovai a sorridere per la sua ingenuità.
<< E per quanto riguarda Saruman? Siete giunti a una conclusione riguardo a lui? >> Chiese Merry con una punta di nervosismo nella voce.
<< Non avere fretta, mastro Meriadoc. >> già, le manie dell’albero sulla fretta, ecco cosa significavano.
<< Fretta? Lì ci sono i nostri amici! È del nostro aiuto che hanno bisogno, non possono combattere questa guerra da soli! >> Ok, qualcuno doveva fermare Merry altrimenti avrebbe preso a pugni il gigante e non credo che ne sarebbe uscito vincitore.
<< Guerra? Sì. Ci colpisce tutti. Hmm... Ma tu devi capire, giovane Hobbit, che ci vuole molto tempo per dire qualcosa in vecchio entese, e noi non diciamo mai niente se non vale la pena di prendere molto tempo per dirla. >> Spiegò Barbalbero cercando di calmare il piccolo hobbit prima di avvicinarsi di nuovo ai suoi compagni. Merry si venne a sedere accanto a me lasciandosi cadere a terra come un sacco di patate. Non l’avevo mai visto così agitato. Anche Pipino si venne a mettere vicino a me, mi sembrava di essere la madre insieme ai suoi due figli e ancora una volta sorrisi divertita. Avere la testa occupata mi faceva bene, mi aiutava ad abbandonare momentaneamente la tristezza.
<< Penso che dovremmo aspettare molto >> affermai sospirando guardando gli Ent che avevano di nuovo cominciato a parlare.
<< Sophia, perché nell’attesa non ci racconti qualcosa? >> Mi chiese Pipino, l’unico che era rimasto con lo spirito allegro.
<< Qualcosa? Che vuoi che ti racconti, Pipino? >> Chiesi un po’ sconvolta, mi aveva veramente preso per la madre che racconta le fiabe ai figli prima di farli addormentare?
<< Qualcosa della tua città! Non sappiamo niente di te >> che…richiesta strana. In un momento come quello Pipino aveva interesse solo a sapere da dove venivo? Beh, non mi sentii però di volerli deludere.
<< Non è un posto da dove vengo io, Pipino >> cominciai e fui meravigliata di ricevere l’attenzione anche di Merry  << La mia casa  è molto molto lontana da qui, così lontana che nessuno degli abitanti conosce l’esistenza di questa terra. >>
<< Davvero ne sono all’oscuro? >> chiese Merry.
<< Non proprio, qualcuno la conosce, io ero una di quelle, ma viene vista come…una leggenda. Una favoletta da raccontare ai bambini prima di metterli a letto, nessuno ci crede veramente, questo perché a nessuno è stato permesso di arrivare qui >>
<< E’ davvero così lontano questo posto? Al di là del mare, forse? >> intervenì Pipino
<< Al di là del mare, al di là delle terre, dei monti e delle colline, al di là di boschi e pianure, al di là di tutto >> anche di spazio e tempo << E’ un posto pervaso dalla guerra e dall’ipocrisia degli uomini, uniche creature viventi, non ci sono elfi, né nani, né hobbit, né Ent, né orchi… non c’è niente, solo uomini e animali. Le strade e le case sono ricoperte di cemento, il colore viene usato con moderazione, la vegetazione sta venendo distrutta pian piano per lasciar spazio a fabbriche e macchine. Non esistono più valori, l’amore non ha più lo stesso significato di una volta, genitori che si lasciano e abbandonano i figli sono all’ordine del giorno, guerre tra uomini di terre vicine per la sovranità del posto, l’aria che si respira è impregnata di malefici e malattie, vizi e ipocrisia, non c’è altro. Sono tutti succubi di un unico potere, un potere più forte di quello dell’anello, un potere che porta alla pazzia: il denaro. Più hai denaro più sei potente e questo fa sì che la gente, accecata dal desiderio di accumulare ricchezze, ignori il vero senso della vita, crogiolandosi nel peccato. La pazzia sovrasta le menti del mio popolo. >>
<< E’ terribile! >> commentò Merry e lo vidi rabbrividire.
<< Già, ma per fortuna qualcosa si salva. Non sono tutti così gli uomini, alcune persone hanno mantenuto la testa a posto e il cuore nel petto, c’è tanta gente che vive con il solo scopo di far del bene e sta lottando per riportare il tutto alla normalità, per salvare un mondo che si sta dirigendo verso la sua fine. Peccato che il loro potere sia così debole e non riescono a rinforzarsi, a trovare aiuti, non riescono a fare tutto da soli. C’è troppo male in giro, paesi distrutti dalle malattie e dalla fame, paesi in cui l’acqua è un bene prezioso, paesi in cui si vive costantemente col terrore di essere uccisi da qualche soldato, mentre gente vive nel lusso più sfrenato, ignorando il significato della parola “moralità”. Ma come ti ho detto, Merry, non tutto è perduto. C’è ancora speranza. C’è chi sta lottando per il bene, spero solo arrivino in tempo. >>
<< Tu sei una di loro, immagino >> mi chiese Pipino vedendomi come quegli eroi imbattibili delle favole che combattono per i più deboli. Ridacchiai << No, Pipino, la mia forza non è abbastanza >>
<< Questo non vuol dire niente! Anche noi siamo deboli, eppure guardaci! Vogliamo andare a combattere >>.
<< Merry, la tua forza è immensa, come quella di Pipino, di Sam, di Frodo, di Aragorn, Gimli e Legolas >>
<< E di Boromir >> aggiunse Pipino con un sorriso. Avevo fatto di tutto per non pensarci, avevo anche evitato di nominarlo nella mia lista, non l’avevo nominato anche perché non mi sembrava l’esempio migliore, Boromir si era lasciato corrompere, si era dimostrato debole. Mi rabbuiai e mi voltai lentamente verso Pipino cercando di sorridere ma mi uscì solo una smorfia di dolore.
<< Boromir non era forte abbastanza, Pipino. Si è lasciato corrompere, ha tentato di togliere l’anello a Frodo >>.
<< Ma le sue intenzioni erano buone! >> disse Merry alzandosi in piedi con vigore << Lo sai anche tu, Sophia! Lui voleva solo usare il potere dell’anello per salvare gli uomini! Non era spinto da egoismo e sete di potere! Non si è lasciato corrompere, Boromir non era debole, lo sai anche tu Sophia! Lo sai, vero? >>.
Merry aveva ragione. Boromir…era il migliore. Boromir era un uomo buono. Boromir aveva solo seguito il cuore. Boromir era intenzionato a fare solo del bene. Boromir era…era morto.
Strinsi le gambe in un triste abbraccio, lottando contro le lacrime che premevano con forza per uscire. Basta lacrime! Basta piangere! Dovevo tirarmi su, dovevo farmene una ragione. Ma era così difficile, la ferita era ancora fresca e ben aperta.
<< Sì >> mugolai sentendo la gola in fiamme e non riuscii a trattenermi oltre, scoppiai a piangere << Sì >> ripetei ancora con la voce colma di disperazione << Lo so, lo so! >>. Mi coprii il volto con le mani cercando di calmare i singhiozzi, mi sentivo così ridicola, ero scoppiata a piangere solo sentendolo preso in causa, non avrei fatto molta strada in quelle condizioni. Pipino  e Merry mi misero una mano sulla spalla
<< Mi dispiace, scusa >> mi disse Merry rendendosi conto del tono un po’ aggressivo che aveva avuto e dispiacendosi della mia reazione, sapeva che le ferite ancora perdevano sangue, si era dispiaciuto di infierire in quella maniera.
Riuscii a calmarmi appena, fermando pian piano le lacrime, ma non i singhiozzi, sollevai la testa guardando un punto fermo nella mia testa, davanti ai miei occhi, un punto immaginario.
<< Dove sono il cavallo e il cavaliere? >> Cominciai a sussurrare ricordandomi delle parole di Theoden prima della battaglia al fosso di Helm  << Dov'è il corno che suonava? Sono passati come la pioggia sulle montagne. Come il vento nei prati. I giorni sono calati a ovest dietro le colline, nell'Ombra. Come siamo giunti a questo? >>
Sentii gli hobbit sospirare e si strinsero più a me. Allargai le braccia e li strinsi entrambi, uno per ogni lato << Abbiate fiducia nei vostri amici, miei cari hobbit. Finchè in questo mondo ci sarà speranza e amore Sauron non riuscirà mai a prendere completamente il potere. >> sussurrai deviando un po’ il discorso, non volevo più pensare  a Boromir, soprattutto in un momento come quello. Dovevo riuscire a superare quel trauma, dovevo trovare un motivo per guardare avanti, dovevo trovare una ragione di vita e non era certo guardando il passato che ci sarei riuscita.
Mi appoggiai con la schiena al tronco dietro di me e i due hobbit si lasciarono andare alla stanchezza, posando la testa sulle mie gambe e chiudendo gli occhi addormentandosi. Rimasi sveglia per un po’ ad accarezzare i loro capelli per farli sentire almeno in parte a casa, per farli star bene anche se nell’illusione di un sogno.
Poi mi addormentai.

Aprii gli occhi svegliata dalle parole di Barbalbero << Merry, Pipino, Sophia…vi comunico la decisione dell’entconsulta >> scossi Pipino e Merry così che si svegliassero anche loro. Quando anche i due ebbero aperto gli occhi Barbalbero si mise dritto sulle sue radici e sentenziò << Gli Ent non possono trattenere questa tempesta. Dobbiamo superare certe cose come abbiamo sempre fatto. >>
Merry si rizzò in piedi sbottando << Come può essere questa la vostra decisione? >>.
<< Questa non è la nostra guerra. >> Rispose Barbalbero sempre con molto garbo.
<< Ma fate parte di questo mondo! Non è così? Dovete aiutarci ! Vi prego! Dovete fare qualcosa!  >> ora il tono di Merry era più supplichevole che impositore, sembrava stesse per mettersi a piangere, non mi sarei meravigliata di vederlo inginocchiarsi e strisciare fino alle radici di Barbalbero giurando eterna fedeltà in cambio del suo aiuto.
<< Sei giovane e coraggioso, mastro Merry, ma il tuo ruolo in questa storia è finito. Tornatene a casa tua. >> rispose Barbalbero e il suo tono di voce fece capire che la sua decisione era irremovibile.
I due hobbit sospirarono, presero le loro cose e si prepararono a partire.
<< Forse Barbalbero ha ragione. Siamo fuori posto, Merry. È troppo per noi. Alla fine che possiamo fare? Abbiamo la Contea. Forse dovremmo tornarci. >> Disse Pipino.
<< Se la troverete ancora al suo posto >> mi lasciai sfuggire io mentre mi sistemavo il mantello in spalla e la spada alla vita.
<< Le fiamme di Isengard si spargeranno e i boschi di Tucboro e della Terra di Buck bruceranno. E quello che una volta era verde e bello in questo mondo sparirà. Non ci sarà più una Contea, Pipino.  >> rispose Merry seguendo la scia dei miei pensieri, e questo fece rabbrividire Pipino. Sapevamo tutti e tre che Merry aveva stramaledettamente ragione, e non c’era cosa peggiore per guardare al futuro e vedere la fine.
Barbalbero si avvicinò a noi e allungò le mani per farci salire sulle sue spalle << Vi lascerò al confine ovest della foresta. Da lì procederete a nord verso la vostra terra natia. >> disse cominciando a incamminarsi con gran velocità. Ci fu un attimo di pausa, tanto lungo che temetti che Pipino non avrebbe convinto Barbalbero ad andare a sud, che non gli sarebbe venuta in mente l’idea, così aprii la bocca per farlo io quando sentii la sua voce decisa dire << Aspetta! Fermo! Fermo! Torna indietro! Torna indietro! Portaci a sud ! >> Barbalbero rimase un po’ colpito dalla richiesta tanto che si fermò e chiese stupito << A sud? Ma così voi oltrepasserete Isengard. >>, anche Merry non capiva cosa aveva in testa il suo piccolo amico, glielo leggevo negli occhi che non capiva perché di quella richiesta. Sinceramente neppure io ho mai capito perché Pipino fosse voluto andare a sud, forse già sapeva degli alberi tagliati? Forse già sapeva della reazione di Barbalbero? O forse davvero credeva che passando sotto il naso di Saruman saremmo stati al sicuro?
Non ne avevo la più pallida idea, ma qualsiasi cosa lo avesse spinto a fare quella scelta era un’ottima motivazione, il nostro arrivo a sud era la miccia che avrebbe fatto esplodere il detonatore degli Ent portandoli in guerra.
<< Sì, esatto. Se andiamo a sud, potremo superare Saruman inosservati. Più ci avviciniamo al pericolo, più evitiamo di farci male. È l'ultima cosa che lui si aspetta. >> spiegò.
<< Questo per me non ha senso. Ma, in fondo, voi siete molto piccoli. Forse hai ragione. E allora, sud sia! Tenetevi forte, piccoli della Contea e donna dai posti sconosciuti! Mi piace sempre andare a sud. In qualche modo, sembra come andare in discesa. >> disse cominciando a parlare, come aveva sempre fatto, era un gran chiacchierone Barbalbero e ne aveva di cose da dire, le parole erano un fiume incessante all’interno della sua mente.
<< Sei impazzito? Ci cattureranno! >> disse Merry a Pipino, sconvolto della sua idea, ma Pipino rimase fermo nella sua posizione << Niente affatto. Questa volta no. >>.
Merry mi guardò sconvolto, aspettando che anch’io l’aiutassi a far capire a Pipino la pazzia che stava per commettere, ma la mia risposta fu un sorriso enigmatico e un occhiolino, facendogli capire che io ero d’accordo con il piccolo hobbit.
La camminata fu lunga e stancante, stare troppo tempo in groppa all’Ent non era poi tanto estasiante, tutti quei movimenti alla fine provocavano un forte senso di nausea, ed era stancante rimanere aggrappata tutto il tempo ai suoi rami per paura di cadere. Per fortuna giungemmo alla fine della foresta, vicinissimi a Isengard. E fu lì…che tutto ebbe inizio.
Barbalbero si lasciò sfuggire un tristissimo << Oh >> vedendo tutti quei ceppi secchi attaccati al suolo, privi del loro albero originale. Mi guardai attorno così come i due hobbit, non avevo mai visto nulla di più triste, ed era come se fossi capace di percepire i sentimenti dell’Ent su cui ero aggrappata. Sapevo fin troppo bene cosa significava perdere qualcuno a cui si vuol bene.
<< Molti di questi alberi erano amici miei. Creature che conoscevo da quando erano noce o ghianda. >> la sua voce era colma di tristezza e disperazione.
<< Mi dispiace Barbalbero >> confessò Pipino con sincerità, glielo sentivo nella voce, si sentiva quasi in colpa di averlo portato lì.
<< Avevano delle voci proprie. Saruman! >> chiamò << Uno stregone dovrebbe avere più criterio! Aaah! Non esiste una maledizione in elfico, entese o nelle lingue degli Uomini per una tale perfidia. Non mi resta che vedermela con Isengard stanotte, con sassi e pietre. >> sentenziò stringendo i pugni.
<< Sì >> esultò Merry, finalmente contento del fatto che anche noi ci mobilitassimo in aiuto della terra tanto amata.
<< Venite, amici miei. Gli Ent andranno in guerra. È probabile che andremo verso la rovina. L'ultima marcia degli Ent. >> disse e dopo aver lanciato un urlo di guerra, dopo aver convocato tutti gli Ent a rapporto, marciammo su Isengard con furore. Eravamo una valanga inarrestabile, invademmo il cerchio di Isengard in pochissimi minuti devastando, distruggendo con calci e pietre. Io, Merry e Pipino facemmo la nostra parte da sopra Barbalbero lanciando pietre, divertendoci a gareggiare su chi facesse più punti.
<< Colpito alla testa! 15 punti! >> urlò Merry dopo aver colpito talmente forte un orco da scaraventarlo giù nello strapiombo della loro fabbrica di Huruk.
<< Bel colpo >> commentò Barbalbero dopo aver calciato via un altro orco.
<< Ora tocca a me >> dissi ridendo divertita, incredibile vero? Stavo ridendo. Eppure era così, quella dolce compagnia era capace di arrivare a tanto: era magica. Lanciai un sasso contro un orco ma…feci completamente cilecca mancandolo di un paio di metri. L’orco guardò il sasso poco lontano da lui, poi si voltò verso di me e scoppiò a ridere.
Rideva!! Rideva di me!
Accidenti non era mica facile riuscire a colpire qualcosa quando si è in movimento!
Cosa aveva da divertirsi tanto?
<< Che diavolo hai da ridere, vermiciattolo!! >> brontolai sporgendomi tanto che quasi caddi se non mi avessero retto i due hobbit prendendomi appena in tempo per il mantello.
<< Ora vengo lì e ti sistemo per le feste! Lasciatemi andare! >> sbottai contro l’orco che ancora mi guardava e rideva con la stessa voce di un maiale in piena agonia. << Lasciatemi!!! >> urlai dimenandomi, quel coso osava prendersi gioco di me! Maledetto! Aveva i minuti contati, io…io…l’avrei strozzato con le mie mani! Altro che spada! A mani nude! E sarei saltata sulla sua carcassa…
…da quando ero così orgogliosa e vendicativa?
Bah, che importava?! Quel maiale continuava a deridermi!
A MORTE!!!!
Barbalbero trovò il modo di farmi calmare calpestando l’orco uccidendolo schiacciato dall’enorme peso dell’Ent. A scoppiare a ridere fui io e cominciai a indicare i suoi resti spalmati sul suolo come nutella sul pane ridendo così istericamente che quasi mi saltò fuori un polmone.
<< Ora sono io a ridere, carciofo!!! >> dissi calmandomi appena, feci un respiro profondo e mi sistemai nuovamente sui rami di Barbalbero aggrappandomi per non cadere << Guai a chi mi sfida, finisce in quella maniera >>
<< Ma veramente è stato Barbal… >>
<< Dettagli!! >> interruppi Pipino << Dettagli insignificanti. Barbalbero la diga! >> consigliai visto che l’Ent non si decideva a dare l’ordine.
<< Abbattete la diga! Liberate il fiume. >> urlò Barbalbero non con tono impositivo, ma sembrava più un consiglio, un “amici miei aiutatemi ad abbattere la diga”. E ciò era il punto di forza degli Ent, nessuno era più importante degli altri, erano tutti fratelli e come tali erano invincibili. Per distruggerne uno bisognava distruggerli tutti.
Il fiume fu liberato e vidi quest’enorme distesa d’acqua scorrere giù per il dirupo, dirigersi con forza verso di noi con impeto e un frastuono che tanto mi ricordava il mare in tempesta.
<< Reggetevi forte! >> ci consigliò Barbalbero  piegandosi lievemente in avanti per far sì che l’acqua non lo trascinasse via. Mi abbarbicai letteralmente ai suoi rami aiutandomi con mani e piedi, pronta all’impatto che non fu per niente dolce. Mi sentii dondolare avanti e indietro per un po’, altro che giostre dei luna park! Erano molto meglio a confronto! Le montagne russe? Puah, una passeggiata. Fu difficile rimanere attaccata, dovetti usare la forza della disperazione, peggio di quando una volta mi costrinsero a salire sul Tagadà ad una fiera di paese! Ero rimasta appesa come un salsicciotto reggendomi solo con una mano perché con l’altra dovevo tenere la mia amica che era scivolata via. Non sono mai riuscita a capire dove avessi trovato la forza necessaria a non cadere, le dita mi si stavano quasi per staccare. E in quel momento era più o meno la stessa cosa, trovai dentro me un energia mai vista prima e serrando le labbra riuscii a contrastare il contraccolpo.
Nel giro di pochi minuti tutta Isengard era allagata, non c’era più traccia nemmeno di un orco, c’eravamo solo noi e gli Ent.
<< Abbiamo vinto!! >> esultai da sopra Barbalbero e di nuovo rischiai di cadere a terra se i due hobbit non mi avessero presa in tempo.
<< Quella è una dispensa? >> chiese Pipino guardando in basso, verso un casolare poco lontano da noi. Non aspettò la risposta, scese giù da Barbalbero seguito da Merry e corsero all’interno << Ehi!! >> li richiamai, ma decisi di non volerli seguire, volevo stare ancora un po’ con Barbalbero.
<< Cosa farete ora, Barbalbero? Con Saruman intendo >> dissi alzando lo sguardo verso la cima della torre, verso un balconcino dove avevo appena visto sparire il mago.
<< Saruman non ha più speranze ormai, è un topolino incastrato nella trappola, la sua magia ha perso di intensità. Mh, e comunque non sono nella posizione adatta per sentenziare morte o vita, aspetteremo Gandalf, arriverà a momenti, e sarà lui a decidere ciò che si deve fare e ciò che non si deve fare. >>
<< Mi pare più che giusto, è lui il saggio della situazione, erro? >> chiesi mentre Barbalbero si fermava di fronte all’entrata di Isengard e mi porse la sua mano per aiutarmi a scendere dalle sue spalle e farmi sedere lì all’entrata, sopra una grande roccia, come una guardia.
<< Non erri affatto, mia cara amica. Ora io gli altri Ent dobbiamo tenere d’occhio la torre e sistemare i guai di Saruman, non potrò dare il giusto benvenuto a Gandalf quando arriverà, ma sento che posso fidarmi di quello che potrete dargli voi: tu e i piccoli hobbit della contea. >> Mi misi a sedere guardando il cancello di fronte a me, gli hobbit mi raggiunsero con le mani piene di roba da mangiare, da bere e da fumare. Mi voltai  e sorrisi all’Ent << Ma certo! >> e mi avvicinai ai due hobbit << Ehi, lasciate qualcosa anche a me, muoio di fame! >> ma proprio in quel momento un urlo destò tutti i nostri pensieri.
Qualcuno dall’alto urlava e chiamava il mio nome. Alzai la testa verso l’unico punto alto di Isengard: la torre di Saruman. Forse mi ero sbagliata! Forse non era il mio nome che chiamava, o forse non era da lì che proveniva, ma possibile che anche gli hobbit e Barbalbero avessero commesso il mio stesso errore voltandosi insieme a me?
<< Sophia! >> gridò ancora << Vieni qua! Ho due parole da dirti. >>
Voleva parlarmi.
Aveva ordinato di catturarmi.
Probabilmente semplicemente perché sapeva del mio “potere”, ma…
<< Uhm, vado a dirgli che è inutile che sprechi il suo fiato, mh >> disse Barbalbero voltandosi per avvicinarsi alla torre.
<< Aspetta! >> lo fermai alzandomi in piedi << Sophia, che vuoi fare? >> mi chiese Merry allarmato leggendomi probabilmente nella mente. Barbalbero si voltò a guardarmi aspettando che parlassi, ma la mia voce non arrivò subito a lui. Saltai giù dal masso bagnandomi fino ai polpacci, sentivo l’acqua entrarmi nelle scarpe, sensazione che già avevo provato nel lago nero di fronte a Moria e non mi era piaciuta. Ma avevo altre priorità << Vado a parlargli >> dissi incamminandomi.
<< Uhm, suvvia, niente fretta! >> mi fermò Barbalbero anticipando le parole dei due hobbit che già stavano per scendere per venire a fermarmi.
<< Ho molti quesiti che mi tormentano in questi giorni e…e il mio cuore mi dice che lui può aiutarmi a trovare una risposta >> L’aria fu spezzata nuovamente da un altro urlo di Saruman che invocava il mio nome.
<< Sophia, no! E’ pericoloso! >> disse Pipino << mastro Pipino ha ragione, Saruman ha ancora parte  dei suoi poteri, potrebbe farti qualche incantesimo, è pericoloso. >>
<< Non ho niente da perdere >> ammisi tristemente prima di avviarmi verso la torre. Merry e Pipino non riuscirono a trovare altre parole per obbiettare la mia decisione, la mia ultima frase, così crudelmente vera, li aveva spiazzati.
<< Hai noi! >> tentò Pipino un po’ titubante. Mi fermai e mi voltai lentamente, era l’hobbit più dolce e tenero di tutta Arda non c’era dubbio. Gli sorrisi teneramente << Tornerò sana e salva, promesso >>. Ok, non li avevo convinti, ne ero certa, ma non tentarono più di fermarmi. Giunsi all’entrata della torre e Saruman invocò ancora il mio nome << Smettila di urlare, vecchio! >> sbraitai, dovevo mostrarmi forte e decisa, non dovevo dar modo di mostrare le mie debolezze o ci avrebbe giocato come un gatto col topo << Il papa che invoca la grazia di Dio in piazza San Pietro fa molte meno scenate di te. Aprimi, piuttosto! O preferisci conversare dal balcone, mia Giulietta? >> aggiunsi ironicamente, non capivo da dove venisse fuori questa voglia di scherzare, a volte l’agitazione gioca brutti scherzi. Quello ne era la prova.
<< Allora hai deciso di venire >> realizzò entusiasta Saruman << Sì, sì son qua, forza una mossa! Rapunzel sciogli i tuoi capelli! >> Nel giro di pochi secondi l’enorme portone davanti a me cigolò e si aprì lentamente permettendomi di entrare. Sentivo l’ansia arrivare fino alla punta dei capelli, feci un sospiro e cominciai a salire le scale fin dove non so, mentre la porta alle mie spalle si chiudeva con un tonfo producendo un sinistro eco all’interno della torre.
Salii fino a che non mi trovai di fronte Saruman che mi accolse con un enorme sorriso, come un vecchio amico. Allargò le braccia e disse << Prego, accomodati pure >> prima di farsi di lato per lasciarmi entrare all’interno di una sala ancora più inquietante delle scale appena salite. Il rumore dei miei passi echeggiava come se mi trovassi in un’enorme casa abbandonata, sentivo il cuore pulsare nelle tempie. Cosa voleva da me?
Ma….cosa volevo io da lui?!
Perché ero voluta salire? Cosa mi aveva spinto a fare il mio cuore? Accidenti, dovevo imparare a controllare di più i miei impulsi e ragionare prima di agire! A cosa serve un cervello sennò?
Non lo guardai nemmeno in faccia ed entrai tenendo lo sguardo dritto di fronte a me, non dovevo dare segni di cedimento o debolezza nemmeno per un attimo, non dovevo mostrar a lui la mia vulnerabilità.
Mi fermai al centro della stanza e dopo essermi guardata un po’ attorno mi voltai verso lo stregone rimanendo ben dritta e ferma nei miei piedi e puntando lo sguardo severo verso di lui.
<< Vuoi qualcosa da bere? >> disse lui con gentilezza << Posso provare a riprodurre il caffè del tuo mondo >>
Come immaginavo! Sapeva da dove provenivo e sicuramente sapeva anche di cosa ero capace.
<< Smettila, con me non attacchi. Dimmi che vuoi, io ti dico di no, e si chiude qui la storia. >>
Saruman scoppiò a ridere << Perché allora sei salita se già sai come rispondere alla mia ipotetica richiesta? >>
<< Perché poi tu dovrai rispondere alle mie di domande >>
Saruman ci pensò un po’ su << Possiamo trovare un accordo, certo >>
<< Non scendo a patti coi contadini!!! >> Gridai con un tono che tanto sembrava una cantilena, imitando, istintivamente, quel vecchio burlone di Kuzko, protagonista delle Follie dell’Imperatore.
Saruman mi guardò per un attimo un po’ titubante poi proseguì per la sua strada.
Diavolo, anche lui sapeva che per contrastarmi bastava ignorarmi!
<< Ma quanta forza d’animo! Eppure finora non era così, fino ad ora eri una creatura senza un perché che vagava in attesa della sua morte, cos’è cambiato in questo piccolo lasso di tempo? >>
Rimasi sorpresa, il fatto che sapesse come mi sentivo voleva solo dire che mi aveva osservata, mi aveva tenuto d’occhio, perché mai? Cosa voleva da me. Rimasi in silenzio, non risposi alla sua domanda ma continuai a guardarlo dritto negli occhi decisa e determinata.
<< Immagino che tu voglia sapere perché ti ho voluta vedere >>
<< Perspicace >> dissi sarcastica.
<< Vedi, Sophia >> cominciò a parlare camminando intorno a me, come un leone intorno alla preda e io rimasi immobile, seguendolo semplicemente con lo sguardo, tenendo la mano pronta sulla spada in caso di necessità << Oh,  per carità, rilassati! Non ho nessuna intenzione di farti del male, sono ormai un vecchio che ha solo il potere della parola, lo scontro fisico non riuscirei a sostenerlo >>
Bugie. Tutte bugie, lo sapevo! Voleva trovare un buco nella mia corazza per attaccarmi.
<< Dicevo >> riprese << Vedi Sophia, so che tu stai cercando qualcosa, qualcosa che ti accende, ti brucia, ti consuma, e questo annullamento nelle fiamme ti provoca piacere. La loro assenza ti tormenta, come ha fatto in questi giorni >>
Sapevo a cosa si riferiva, il cuore stava già cominciando a cigolare stringendosi in petto, sotto la pressione del peso del dolore. Sentivo l’aria mancarmi, e cominciai a respirare in maniera più affannosa, ma non mi mossi dalla mia posizione, non feci cadere il mio sguardo, rimasi immobile come una statua mentre dentro di me si stava scatenando la Guerra Mondiale.
<< E’ la tua ragione di vita, desideri trovare quello cerchi più di ogni altra cosa, eri disposta anche ad abbandonare la Compagnia e Frodo pur di ottenerla >> era quello che avevo detto a Galadriel, sapeva anche questo! Cominciai a sudare freddo, sapevo dove voleva andare a parare e temevo di non riuscire a sostenerlo.
Ma no.
Non aveva appigli! Boromir era morto, non aveva dove aggrapparsi!
<< Il cuore del primogenito di Denethor! Boromir di Gondor, è lui che desideri più di qualunque altra cosa. Bene, mia cara, io so qui per aiutarti. Io con la mia magia e i miei poteri posso darti ciò che cerchi, non dovrai più cerc… >> interruppi il suo monologo scoppiando a ridere e mi voltai per guardarlo bene in volto e non di sbieco in quanto si trovava quasi dietro di me
<< Te ne sono molto grata, Saruman, mi avresti fatto davvero molto comodo,  non so se sarei riuscita a rifiutare questa proposta in passato ma  ora sicuramente non posso fare altro perché vedi, c’è un piccolo particolare che non hai considerato >> feci un grosso sospiro per non permettere alla voce di morirmi in gola nel pronunciare le prossime parole << Boromir è morto. E sei stato tu, con il tuo esercito di Huruk, a ucciderlo! Quindi ovunque tu voglia arrivare non avrai successo >>
<< Ti sbagli, mia cara >> mi faceva venire i brividi sentirmi chiamare in quella maniera << Boromir è vivo >>.
Stop.
Chi aveva messo stop nel lungometraggio della mia vita?
Rewind.
La voce di Saruman echeggiava nella mia testa ripetutamente, senza avere l’intenzione di placarsi. Maledizione aveva trovato il punto debole della mia corazza! Non dovevo farmi vedere tentennante neanche un momento ma come placare le ginocchia che tremavano? Come placare la testa che girava, il respiro affannoso, il cuore in procinto di esplodere in petto? Come placare quel senso di spaesamento?
<< Tu menti! >> tentai disperatamente di difendermi, anche se ormai sentivo il suo coltello penetrare nella mia carne sempre più. Stavo scendendo su un gradino nettamente più basso del suo, stavo scivolando, aggrapparmi con le unghie alla balaustra, ma era inutile, cadevo inesorabilmente.
<< No, tesoro mio, non potrei mai! Aragorn è giunto in tempo sul suo corpo, non appena uno dei miei Huruk ti ha colpito in testa facendoti perdere i sensi e lo ha salvato. Ora è in viaggio, di ritorno dal fosso di Helm, insieme agli altri. >>
Mi portai una mano tremolante alla testa, troppe idee confuse. Non poteva essere vero.
<< No! Lui non voleva essere salvato! Aveva perso la speranza e Aragorn ha rispettato la sua decisione! Era troppo tardi ormai per salvarlo, non è vivo! E’ morto, morto, morto!!! >> dissi cominciando a urlargli contro stringendo i pugni.
<< Ha trovato un motivo per andare avanti! >> disse indicandomi il polso che io guardai senza capire cosa volesse dire << Tu avevi cercato disperatamente di salvarlo nei tuoi ultimi attimi con lui, e ciò ha creato in lui un forte senso di riconoscenza che desiderava colmare il prima possibile. Si sente in debito nei tuoi confronti e voleva pagare questo debito prima di lasciare questo mondo. >>
Il braccio! Il mio braccialetto, ecco cosa voleva dire! Mi sfiorai il polso prima di alzare gli occhi di nuovo sul mago che si era fatto molto vicino a me << Galadriel non dona inutilità, il braccialetto è rimasto a lui perché ne aveva più bisogno di te in quel momento. Ed ha funzionato. Boromir è vivo e io posso donarlo a te. >> disse scandendo ogni singola parola così da dar loro più incisività.
<< Non ho bisogno del tuo aiuto! Non voglio nessuna pozione dell’amore, se anche Boromir fosse vivo come dici tu sarà lui a scegliere e qualsiasi sia la sua decisione a me sta bene. >>
<< Andiamo, Sophia, sappiamo entrambi che non è vero quello che stai dicendo! Sappiamo entrambi che desideri ardentemente riuscire ad averlo, e io POSSO farlo! Sono uno degli stregoni più potenti della Terra di Mezzo, far innamorare un uomo è un giochetto da ragazzi. >>
<< No, no, no e poi no! Non ti credo! Mi vuoi ingannare, non è vero che Boromir è vivo, è tutta una menzogna>> era l’unica cosa a cui riuscivo ad aggrapparmi, se mi abbandonavo alla consapevolezza che Boromir era davvero riuscito a sopravvivere sarebbe stata la fine, non sarei riuscita a resistere oltre e mi sarei arresa alle trattative dello stregone.
<< Non mi credi? >> ripetè Saruman allontanandosi da me e avvicinandosi a un piccolo tavolino in pietra nel centro della stanza dove era posato un telo scuro che copriva qualcosa, probabilmente il Palantir.
Tolse il velo e mostrò ciò che avevo già dedotto: una grossa palla in pietra scura, lucida, liscia e levigata, con fiamme all’interno. Il solo guardarlo mi provocò un cedimento, mi sentii nettamente inferiore, mi sentii debole, triste e abbattuta. Troppo vulnerabile.
<< Tu sai cos’è questo, nevvero? Lo sai, Sophia? >>
<< Il Palantir >> sussurrai appena.
<< Tocca il Palantir ed esso ti mostrerà la vera realtà delle cose, ti mostrerà il tuo Boromir sano e salvo che sta cavalcando verso Isengard insieme a Gandalf e agli altri suoi compagni. >>
“No, non toccarlo!” mi ripetevo continuamente ma i piedi andavano per conto loro. Allungai una mano e mi avvicinai al piccolo tavolino in pietra un po’ titubante. “No, Sophia!” continuava a urlare al voce nella mia testa, ma non riuscivo a dar lei retta! La mia forza di volontà era stata completamente schiacciata e annullata dal desiderio di scoprire. “Ti farà un incantesimo! Cadrai sotto il suo potere!” niente da fare. Non riuscivo a bloccarmi. Sospirai tremando, la mano si allungò verso la pietra nera, ormai mancavano pochi millimetri, riuscivo a sentire il suo calore e il grosso occhio infuocato apparve davanti ai miei occhi per un istante, un’immagine improvvisa, comparsa e scomparsa nel giro di pochi attimi. Arretrai un po’ con la mano, spaventata dall’immagine che mi si era appena presentata davanti, immagine che aveva provocato uno squarcio dentro di me: avevo sentito dolore.
<< Tocca il Palantir, Sophia. Scoprirai che le mie parole non erano menzogna >>.
Chiusi gli occhi, decisa a toccare quella maledetta pietra, che mai sarebbe potuto accadere? Ero sicura che nonostante tutto non sarebbe riuscito a imprigionare la mia anima, mai mi sarei venduta a Saruman.
Ma non ci fu bisogno di toccare la pietra, la mia mente trovò un’altra soluzione dal momento in cui sentii Merry dire con gioia << Benvenuti, miei signori, a Isengard! >>. Erano arrivati! Se Saruman aveva ragione allora…
Mi voltai verso il balcone che dava sull’entrata e corsi fuori. Saruman non m’impedì di correre via, anzi sentii che mi venne dietro lentamente. Mi affacciai immediatamente, impaziente di vedere chi fosse giunto e se tra loro ci fosse veramente Boromir.
Ma come immaginavo, Saruman mi aveva ingannata! Di Boromir neanche l’ombra. Sentii l’ossigeno tornare al cervello, mi misi dritta e mi voltai verso Saruman << Vedi! >> dissi poco prima di entrare, ma non ebbi modo di superare la soglia della porta che lo stregone mi prese per un braccio e mi fece voltare di scatto indicando con il suo bastone l’entrata di Isengard.
E fu lì che lo vidi.
Arrivò al galoppo in sella a un cavallo nero guardandosi attorno con i suoi occhi blu pieni di curiosità e meraviglia. Mi portai una mano alla bocca.
Non era possibile. Lui era lì veramente, i suoi occhi continuavano a vedere, i suoi polmoni continuavano a respirare, le sue labbra a far uscire parole e il suo cuore ancora batteva in petto. Vidi i due hobbit saltare giù dal masso su cui erano a fare baldoria per andare ad abbracciarlo, facendolo quasi cadere da cavallo. Merry fu il primo a voltarsi verso la torre per cercarmi con gli occhi, per annunciarmi la loro scoperta. La migliore di tutte.
Era lì! Era vivo! E presto avrei potuto abbracciarlo anche io. Le lacrime cominciarono a sgorgare dai miei occhi, ma non erano pesanti come quelle versate fino ad adesso: erano lacrime di gioia! Lacrime che evaporavano alla luce del sole rendendomi leggera come una piuma, facendomi volare verso il cielo, fino a toccare le nuvole, soffici consolatrici. Mi liberai dalla presa leggera di Saruman e corsi verso l’uscita, al diavolo i quesiti che dovevo porre allo stregone, al diavolo tutto! La mia vita era giù che mi aspettava in sella a un cavallo. Non c’era altro!
<< Sei sicura di volertene andare così? Boromir è vivo, è vero ma ricordati che tu non possiedi ancora il suo cuore! >> rallentai, sentivo la presa di Saruman su di me così potente adesso.
<< Solo io posso donartelo, devi solo accettare le mie condizioni. >> La mia mente tornò al Palantir, era ancora al suo posto. Cominciai a temere che la mia presenza in quell’assurda storia avesse causato problemi, dovevo assicurarmi che tutto sarebbe andato come previsto, e poi…Boromir era vivo, niente mi rendeva più felice, ma ciò avrebbe causato molti cambiamenti nella storia.
<< Saruman! >> chiamò Gandalf da fuori, desiderava parlare con lui ma lo stregone non sembrava intenzionato ad andare alla finestra.
<< Pensaci, Sophia. I tuoi sogni realizzati, in cambio di un aiuto a un povero vecchio. Non ti chiederò di cimentarti in grandi perigli, rimarrai qua al sicuro e quando tutto sarà finito tu e il tuo uomo potrete ritirarvi per fare la bella vita insieme. Per sempre. >>
Non era la proposta ad allettarmi, ma sentivo che non dovevo più essere così superficiale e caparbia. Sentivo sulle mie spalle un peso maggiore, non c’erano più i miei sogni, c’era qualcos’altro. Ormai ero dentro la storia e la mia mano aveva modellato così tanto quella trama che si sarebbe potuta trasformare in qualcosa di sbagliato.
<< Cosa vuoi? >> chiesi asciugandomi le lacrime e riprendendo il mio sguardo serio e determinato, anche se non ero più come prima, la gioia e l’emozione si leggevano nei miei occhi, Saruman sapeva di avermi ormai in pugno. Si avvicinò con un sorriso in volto, sorriso ingannatore, dovevo tenermene lontana ma ormai ero lì, non potevo fuggire.
<< Le tue conoscenze, Sophia. Nient’altro che le tue conoscenze >>
Come immaginavo, sapeva tutto! No, non potevo cedere! Non dovevo permettergli di raggiungere l’anello grazie a me, non glielo avrei mai permesso.
<< La radice quadrata di P greco è 1, 72, la capitale dell’Inghilterra è Londra, Marx credeva nel vero comunismo, la maieutica è una tecnica di Socrate, Il fu Mattia Pascal è un romanzo di Pirandello, Verga è il maggior esponente del Verismo italiano… >> fui interrotta dalla sonora risata di Saruman.
<< Hai senso dell’umorismo >>
<< Non so di cosa tu stia parlando >>, pessima tecnica auto difensiva, ma non avevo in mente altro.
<< Lo sai benissimo invece. Voglio che tu mi dici tutto ciò che sai su Frodo, l’anello del potere e su tutta questa storia. >>
<< So le stesse cose che sai tu, non c’è bisogno che mi metta a raccontarti ciò che è successo fin ora. >>
<< Ma io infatti non voglio sapere il passato…io voglio conoscere il presente e il futuro. >>
<< Non sono veggente >>.
<< Smettila di prendermi in giro! La mia pazienza ha un limite, Sophia! >> urlò Saruman, stava cominciando a irritarsi e la cosa non mi piaceva troppo, mi terrorizzava.
Ma perché ero entrata in quella maledetta torre? Perché non ero rimasta fuori a far baldoria con gli hobbit pronta a saltare al collo di Boromir quando l’avrei visto arrivare?
<< Puoi giocare con gli altri all’indovina, ma con me no! So bene che mastro Tolkien anni fa arrivò qui, ospite di Galadriel, e so che vide la storia dell’anello nella sua stupida fontana! >> stavo cominciando a tremare, sapeva molto più di quello che immaginassi! << E so anche che ritornato in città ha scritto tutto in alcuni libri e che TU hai letto quei libri prima di giungere qui! Quindi ora tu mi dirai cosa hai letto o non uscirai viva da questa torre e nemmeno il tuo caro Boromir riuscirà ad andarsene vivo da Isengard! >>
<< Tu non hai più poteri! Non ti temo! >>
Non feci in tempo a  finire la frase che Saruman sentitosi provocato rispose scaraventandomi contro un muro con la sua magia, il colpo fu durissimo, la schiena ne avrebbe risentito per giorni. Lanciai un urlo al momento dell’impatto così forte che riuscirono a sentire anche gli altri da fuori la torre che cominciarono a urlare il mio nome disperati.
<< Saruman! Avere un ostaggio non ti aiuterà ad avere la meglio! Libera subito la ragazza o facciamo irruzione nella torre >> Gridò Gandalf ma ancora una volta Saruman lo ignorò completamente.
<< Ti sei sbagliato, io non so niente! >> urlai in preda a dolori atroci, sembrava che il mio corpo stesse venendo schiacciato all’interno di una stanza che si stringe man mano.
<< Sophia, ti ho detto di non prenderti gioco di me! Ti ho fatta arrivare io qui, vuoi che non sappia quali sono le tue potenzialità? >>.
Un tonfo sordo.
Il rumore di un martello caduto su un incudine. Era tutto nella mia mente ovviamente, ma era così che mi sentivo: svegliata all’improvviso dal rumore di pentole cadute da uno scaffale.
<< Tu… >> riuscii solo a dire, mi pareva così inverosimile che a regalarmi quel sogno fosse stato lui, “uno dei cattivi”. Saruman ammorbidì la presa su di me permettendomi di posare i piedi per terra, anche se non mi servivano molto, non riuscivo a tenere dritte le gambe e tenendo poggiata la schiena contro il muro mi lasciai scivolare giù, fino a mettermi in ginocchio.
Saruman si avvicinò a me mentre da fuori della torre continuavano a chiamare lo stregone e a ordinargli di lasciarmi andare.
<< Ma…perché? >> riuscii solo a chiedere in preda a una confusione mentale mai avuta prima.
<< Te l’ho detto! Perché tu sai e mi puoi essere d’aiuto per riuscire ad ottenere l’anello. Volevo farti arrivare qui a Isengard ma qualcosa andò storto, magie del genere sono molto complesse e ci vuole la massima concentrazione, io feci un piccolo errore e tu finisti sperduta nei campi nei pressi del Bruinen. Ma sapevo che prima o poi sarei riuscito ad incontrarti, perciò ho aspettato. E ora quel momento è arrivato, tu sei qui e mi aiuterai. >>
<< Ma perché hai scelto me? >> chiesi riuscendo ad alzarmi in piedi tenendomi però sempre appoggiata al muro con una mano << Ci sono tantissime persone nel mio mondo che conoscono la storia di Tolkien molto meglio di me, io inoltre comincio ad avere dei vuoti di memoria! Non ti sono affatto utile! >>
<< Hai commesso un piccolo errore nella tua frase, Sophia. Non sono io ad aver scelto te >> no, certo! Era stato Sauron sicuramente, chi altro poteva dare ordini del genere a quello stregone da strapazzo? Ma la domanda non cambiava.
<< Sei stata tu a invocare il mio aiuto >>.
Ok, questo era al limite del verosimile. Io non avevo fatto proprio un bel niente!
Lo guardai storto, facendogli capire la mia incredulità: stava delirando!
<< Ogni notte per mesi hai tentato di metterti in contatto con me, ogni notte, nei tuoi sogni, per mesi mi esprimevi il tuo desiderio di salvare Boromir, supplicandomi, invocandomi, pregandomi e giurandomi fedeltà! >>
<< Non è vero!!! >> risposi io d’istinto, non avevo chiesto niente a nessuno.
<< Forse l’hai fatto involontariamente ma ti posso assicurare che i tuoi sogni mi arrivavano ben chiari, mi chiedevi di salvare Boromir e mi offrivi in cambio le tue conoscenze. Il nostro accordo è nato ben prima del tuo arrivo nella Terra di Mezzo, ora te lo sto semplicemente rammentando, Sophia! >>
No. No. No. Era inconcepibile! Non avrei mai fatto nulla del genere, nemmeno lo avrei immaginato, non mi sarei mai permessa di prendere un accordo del genere con la peggior creatura di tutti i mondi.
<< Non è vero >> dissi in un sussurro, ero così confusa, così disperata, così… vulnerabile.
<< Io ho mantenuto la mia parte di accordo, ti sto offrendo anche di più! Ti sto offrendo il cuore del figlio del sovrintendente di Gondor, cuore che ancora non ti appartiene e che non ti apparterrà mai, perché lo sai meglio di me che nella sua mente non c’è posto per l’amore! Tu portami dall’anello e avrai tutto ciò che desideri >>
<< Non potrà esserci posto per l’amore in un mondo di disperazione e odio >> risposi ancora, non volevo arrendermi, non mi sarei mai ceduta così! Mai!
<< Sei testarda! Così come ti ho portata qui ti posso riportare indietro, pensa! Tu e Boromir in una casetta in riva al mare, nella tua città, con due bambini che giocano in giardino con il cane e tu e lui che arrivati a una certa età troverete consolazione l’uno nell’altra sulla piccola veranda. E la vecchiaia non rovinerà il vostro amore come farà con la vostra pelle, vi amerete fino alla fine dei vostri giorni, aumentando di intensità in ogni singolo istante. Non vuoi questo? Erano i tuoi sogni, non è così? >>
Sì lo erano. Per anni avevo sognato di passare una vita così beata e ora mi veniva servita su un vassoio d’argento. Ma potevo tradire così i miei amici?
Gandalf aveva già lanciato da un pezzo l’ultimo avviso, ora erano passati alle maniere forti, sentivo il portone della torre cigolare sotto i colpi di…probabilmente un tronco d’albero usato come ariete. O forse era Barbalbero che sferrava calci alla porta.
<< Stanno quasi per entrare >> feci notare a Saruman.
<< Dimmi come posso fermarli. Tu lo sai! Mantieni la tua promessa >>
Avevo fatto una promessa, avevo preso un accordo, in maniera involontaria ma l’avevo fatto e io avevo sempre odiato non mantenere le promesse. Odiavo tradire gli accordi, approfittarmene solamente.
Anche se il peggiore di tutti, anche quello era un accordo. Non dovevo dimenticarmene.
<< Affacciati alla finestra, rispondi alle domande di Gandalf, sostieni il dialogo. Lasciati andare anche all’ira se ce ne sarà bisogno! >>
<< Molte bene >> mi disse sorridente prima di affacciarsi dal balcone.
<< ebbene? Perché disturbate il mio riposo? Non volete dunque accordarmi pace né di giorno né  di notte? >> cominciò Saruman affacciandosi alla finestra, dopo di che non sentii più niente. Fui presa per un braccio a sbattuta contro un muro da qualcuno che dopo riconobbi come Grima Vermilinguo.
<< Spie  nel castello del mio padrone >> sibilò il serpente a pochi centimetri dal mio volto, con fare minaccioso, ma risultò solo patetico e disgustoso.
<< Raffredda i bollenti spiriti, viscido, siamo colleghi da oggi. Non sono una spia. >>
<< Colleghi? >> chiese sconvolto Grima prima di premermi ancor più contro il muro << Non c’è da fidarsi del mio padrone! Promette e poi ti lascia con in mano un pugno di mosche, trascinandoti nel baratro insieme a lui, trascinandoti lontano da tutti e da tutto, rendendoti parte del suo male! Nessuno vorrà più stare vicino a uno come noi. Perciò ti consiglio di andartene subito, prima che Saruman prenda sotto le sue putride ali anche la tua anima rendendola parte di lui. >>
<< Lo odi proprio tanto eh? Mai pensato di ucciderlo? >>
<< Ucciderlo? Con quel suo bastone nemmeno Sauron in persona sarebbe in grado di avvicinarsi a lui, sì ci ho pensato eccome, ma ormai sono bloccato in questo mondo e lo sarai anche tu! Vattene immediatamente! >>
Disse scaraventandomi verso la porta, ma non scesi. Mi fermai e mi voltai verso lui << Tu non sei malvagio >> affermai più a me stessa che a lui. Ero sempre abituata a vederlo come lo sporco e strisciante servitore di Saruman, l’umile schiavo, invece era solo un poveraccio che non aveva altra scelta e che si era pentito degli errori fatti. Già una volta mi ero presa la libertà di salire allo stesso livello di un qualche Dio, perdonando gli errori altrui e donando loro un’altra possibilità, e ci ero riuscita. Potevo farlo una seconda volta, bastava impedire a Legolas di scoccare la freccia che lo avrebbe ucciso. Ma non ebbi modo di realizzare quel piano né di scambiare altre parole con Grima in quanto Gandalf fece esplodere proprio in quel momento il bastone di Saruman rendendolo completamente indifeso e privo di poteri. La rabbia di Saruman fu immensa e si scaraventò contro di me, invano tentai di scappare scendendo le scale per raggiungere la porta, il castello era il suo mondo e anche se privo di poteri obbediva sempre al suo padrone rendendomi difficoltosa la fuga. Saruman mi prese per i capelli e mi trascinò fino al centro della sala. Sguainai la spada pronta a combattere o in caso a tagliarmi i capelli pur di riuscire a scappare, ma ancora una volta Saruman anticipò le mie mosse lanciando via l’arma con un calcio. E fu lì che persi completamente la testa. Non capivo niente, non sentivo niente se non dolori che si accumulavano su altri dolori intorno a fianchi, braccia, gambe, testa, schiena e ventre. Ovunque.
Sentivo ferite che si aprivano e ferite che si riaprivano per la seconda, o terza o quarta volta. Sentivo l’urlo della mia voce uscire fuori dalla mia gola sempre più forte, sempre più smorzato a ogni colpo. E sentivo la voce di Saruman gridarmi << Traditrice! Mi hai ingannata! >> e altre sentenze simili. Aveva capito il mio doppio gioco: avevo finto di accettare la sua proposta per renderlo debole, per portare avanti la storia così com’era scritta per sottoscrivere la sua sconfitta. Ero rimasta fedele alla promessa fatta alla compagnia, avevo smentito la mia prima decisione fatta a Galadriel. Allora avrei anche ceduto l’anello all’elfa pur di avere Boromir con me, ma dal momento che mi ero trovata tutto davanti, dal momento che quel bivio si era concretizzato di fronte a me, avevo deciso di seguire la testa e non il cuore.
Ma forse avevo commesso un altro errore, forse avrei fatto meglio ad agire diversamente, perché non sarei sopravvissuta a quell’attacco, lo sentivo, e non avrei avuto più modo di vedere il sorriso sbarazzino di Pipino, non avrei più avuto modo di giocare all’investigatopo con Legolas, non avrei avuto più modo di ridere del senso di onnipotenza di Gimli, non avrei più avuto modo di sentirmi protetta e difesa dagli sguardi di Aragorn, non avrei avuto più modo di parlare piacevolmente con Merry come avevo fatto tante volte quei giorni, non avrei avuto più modo di vedere quel mattacchione di Sam e quell’angioletto di Frodo, non avrei avuto modo di vedere con i miei occhi la vittoria degli uomini su questa guerra ma soprattutto non avrei avuto più modo di vedere Boromir nella sua integrità, nella sua dolcezza e nella sua fierezza. Non l’avrei rivisto mai più.
E solo allora capii che quella che avevo intrapreso con il destino era una partita che avevo già perso in partenza.
Mi sentii afferrare per i capelli, la vista era annebbiata, il mio corpo immobile, mi era incapace muoverlo, e sentivo un forte gusto ferruginoso sul palato.
<< Gandalf! Hai dimenticato qualcosa qui >> disse e mi sollevò da terra tenendomi sempre per i capelli. Mi sentii sollevare completamente da terra, il mio nome ripetuto più volte da voci che non riuscivo a riconoscere in quanto mi arrivavano all’udito distorte e robotiche.
Il cielo sopra di me si oscurò ancor di più e sentii l’aria accarezzarmi il viso tagliente come un coltello, il vuoto sotto di me, la torre sopra di me che si innalzava sempre più, macchia scura dei miei pensieri.
Poi il nulla.

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Capitolo 9
*** Why is the rum gone? ***


Strani giochi fece la mia mente. Era come fluttuare e vedere il mondo dall’alto, ma non era un mondo qualunque. Era la Terra di Mezzo. Ero sospesa sopra il gioiello più bello che avessi mai visto, sopra campi, colline, città. Risa e gioia invadevano le strade.
Poi l’oscurità pervasa dalle fiamme dell’inferno.
Orchi, Troll e Mannari.
Morte, distruzione.
E l’anello. L’unico in grado di distruggere quell’abominio, l’unico in grado di farlo persistere nei secoli, fino alla fine dei tempi. Una bandiera bianca sventolava sopra a delle rovine, con sopra il marchio di un albero, l’albero di Minas Tirith, la bandiera di Minas Tirith mostrava gioiosa e orgogliosa il suo albero su Osgiliath. E un uomo gridava al suo popolo la potenza di cui tutti avevano bisogno, di cui tutti ne stavano venendo a meno. Boromir.
L’uomo migliore che abbia mai potuto incontrare. Vidi suo fratello Faramir, disprezzato da suo padre benché lo stesso Boromir cercasse di mettere pace a questa guerra a senso unico. Ma lui, Denethor, caparbio, contaminato dalle tenebre, che poteva fare se non seguire gli ordini del signore oscuro? Se non rimanere succube della sua contaminazione?
Il Palantir, lui stesso ne possedeva uno ed era proprio questo Palantir a renderlo completamente succube dell’oblio. Il Palantir gli aveva ordinato di impossessarsi dell’anello, e lui aveva passato quest’ordine a Boromir mandandolo alla morte. Il Palantir aveva ucciso Boromir, il Palantir aveva ucciso me, e presto il Palantir avrebbe ucciso anche Faramir e Denethor.
Ma i miei sogni mi mostrarono altro. Boromir non era morto! Il destino era stato battuto, era stata costruita una nuova via per l’uomo di Gondor, una via che conduceva alla vita, una via…che avrebbe cambiato il corso delle cose. Denethor non sarebbe impazzito al ritorno di Faramir da Osgiliath, avrebbe ucciso solo lui credendolo morto e volendosi liberare al più presto della sua carcassa ma lui no…lui sarebbe rimasto in vita, abbracciato al suo Palantir e avrebbe ancora fatto vittime. Non avrebbe ceduto il trono a Aragorn, gli avrebbe dichiarato guerra e benché alcuni soldati riconoscevano nel figlio di Arathorn il vero Re, altri avrebbero seguito il sovraintendente, tra cui Boromir. I due si sarebbero trovati faccia a faccia in uno scontro senza esclusioni di colpi, ed entrambi…avrebbero perso la vita.
Tutto per colpa del Palantir.
Tenebre e distruzione aspettavano Gondor, aspettavano la Terra di Mezzo. E Frodo non avendo più l’aiuto da parte di Minas Tirith, il quale non sarebbe sceso in guerra, non avrebbe attirato su di sé l’attenzione dell’occhio, sarebbe stato scoperto, catturato e anche lui avrebbe fallito la sua missione.
Tutto per colpa…mia.
Ma perché? Non volevo altro che poter godere di quel sorriso e di quegli occhi anche in vecchiaia. Non desideravo altro che farmi stringere da quelle braccia, accarezzare da quelle mani, baciare da quelle labbra. Desideravo solo la sua attenzione, la sua comprensione, il suo amore. Perché l’amore avrebbe dovuto portare alla distruzione? Perché l’amore non avrebbe trionfato ancora? Perché nella mia miserabile vita non sono mai riuscita ad ottenere ciò per cui andavo avanti?
Cominciai a pentirmi di non aver accettato la proposta di Saruman, sarei potuta tornare a casa privandomi di quel dolore, privandomi della sconfitta di una terra distrutta per mano mia, e godendo solo dell’amore di colui per cui tanto avevo aspirato.
Ma…sarebbe stato giusto? Avrei avuto la coscienza a posto?
No, non avevo agito di cuore, avevo agito di cervello, come invece non aveva fatto Boromir nel momento in cui aveva tentato di strappare l’anello a Frodo. Mi ero dimostrata più forte. Mi ero dimostrata disposta a soffrire. Il suo nome echeggiò nella mia testa come un sospiro lontano, portato via dal vento fresco di primavera. Il suo volto sorridente comparve sovrastando quel caos, e tentai disperatamente di raggiungerlo. Ma era solo un ombra lontana e io…un fantasma oramai.
<< Ti amo >>.

Incredibile.
Ero viva! Non ero morta, eppure ero convinta di essere precipitata da un’altezza spropositata, ero piena di ferite, …come avevo fatto a sopravvivere? Mi misi seduta sul letto improvvisato che avevo sotto di me: un sacco a pelo, ammucchiato ad altri sacchi a pelo, stesi per terra in una stanza che non riconoscevo.
Ero viva ed ero sempre nella Terra di Mezzo.
Ma questo voleva dire che….
Mi alzai di colpo, sentendo le ossa cigolare un po’ e notando che avevo bende su un braccio, intorno al petto e su una gamba. Mi portai una mano alla testa che pulsava e anche lì trovai una benda. Ero sopravvissuta, ma ero conciata veramente male. Ma che importava? Ero viva! E lui…l’avevo visto ne ero certa! Uscii dall’unica porta che c’era nella stanza e sentii una musica e tanto baccano provenire da una stanza posta poco lontano. Scesi le scale di corsa rischiando anche di inciampare, superai un paio di sale vuote e buie fino ad arrivare nel grande salone dove si festeggiava con canti, birra e urla. Entrai guardandomi attorno, sapevo perfettamente cosa cercavo. Mi scontrai con un paio di persone a cui chiesi uno scusa molto distratto e disinteressato.
“dove sei?” pensavo mentre cercavo tra i volti che mi si piazzavano davanti quello dell’unica persona che desideravo vedere.
Ma era tutto inutile. Avevo cercato in ogni angolo, avevo visto Legolas e Gimli impegnati nella gara di bevute, Aragorn in disparte che parlava con Gandalf e Merry e Pipino che ballavano e bevevano su un tavolo. Ma Boromir non c’era. Che fosse stata tutta un’illusione? Che fosse stato un incantesimo di Saruman? Me lo aveva mostrato, ingannando i miei occhi. Cominciavo a crederlo davvero. Il cuore mi morì nuovamente in petto e indietreggiai di qualche passo tenendo lo sguardo a terra, non poteva essere! Mi era stato di nuovo dato il contentino, ma niente di concreto. Solo illusioni che aumentavano la disperazione dentro me. Mi portai una mano al petto, stringendo gli abiti tra le dita, come se stessi stringendo il mio cuore per consolarlo, e persi tutta la voglia di far parte della festa. Solitamente non me ne perdevo una, amavo far baccano, bere, ballare e cantare fino a che non mi ritrovavo stesa sul tavolo senza più nemmeno capire chi ero. Ma non quella sera. Avevo sempre sognato prendere parte a quella festa, dopo la vittoria del Fosso di Helm, magari gareggiando con Gimli e Legolas, o ballando insieme ai due hobbit. Ma non quella sera. Vivevo immersa in illusioni. Almeno adesso ero sicura che la storia sarebbe andata avanti per la sua strada, non dovevo più preoccuparmene. Ma avrei preferito scontrarmi contro altri mille ostacoli  di fianco a lui, che trovarmi una strada spianata davanti  da percorrere completamente sola.
Indietreggiai ancora tanto da andarmi a scontrare contro qualcuno << Ehi, tutto bene? >> mi chiese una voce, proveniva dalla persona contro cui ero andata addosso <> dissi distrattamente non guardando nemmeno la persona in volto, ero un fantasma, fantasma sarei rimasta per l’eternità.
Ma…quella voce. Mi bloccai improvvisamente, ricordando. Quella voce.
Mi voltai alzando lo sguardo pian piano sulla figura imponente e fiera che avevo di fronte, mai visto niente di più nobile anche nel portamento. Finalmente..incrociai i suoi occhi. Blu come il cielo d’estate, belli come non mai e profondi come l’acqua dell’oceano. Aveva il sorriso stampato in faccia, quel sorriso che gli illuminava il volto. Mi portai entrambe le mani alle labbra in un gesto istintivo, tremavo completamente, mi sembrava tutto un sogno, un meraviglioso sogno. Neanche mi resi conto che avevo cominciato a piangere. << Sophia, stai bene? >> mi chiese incupendosi e preoccupandosi, non so se della mia reazione o delle mie condizioni fisiche dato che Tutankhamon mi avrebbe invidiato e dichiarato guerra per tutte le bende che avevo addosso. Annuii impercettibilmente e mandano al diavolo buone maniere, belle figure e quant’altro gli saltai letteralmente al collo. Lo strinsi come mai avevo fatto con qualcuno lasciandomi abbandonare alle lacrime. Strinsi i suoi abiti tra le dita e assaporai il suo profumo acre di polvere, sudore e sangue. << Adesso sì >> risposi sentendomi il cuore scoppiare in petto per la gioia. Lo sentivo un po’ titubante, non aveva risposto al mio abbraccio ma non mi aveva neanche respinta, mi aveva semplicemente accarezzato la testa. Probabilmente era imbarazzato per quella mia reazione così impulsiva e non sapeva come comportarsi. “ Grazie, grazie” continuavo a ripetermi mentalmente sicura che quel Dio o quello spiritello che mi aveva aiutata mi avrebbe sentita. Non avevo mai ricevuto un regalo più bello di quello. Mi allontanai un po’ da lui, sforzandomi di contenere la mia gioia, ma le mie attenzioni nei suoi confronti non erano cambiate affatto, anzi erano addirittura aumentate eliminando completamente la vergogna e l’imbarazzo che provavo nel stargli troppo vicino. Lo guardai dritto in volto che presi con entrambe le mani e che accarezzai ripetutamente scostandogli i capelli, come se non credessi che lui era veramente lì, come se avessi bisogno di toccarlo, di rendermi veramente conto che era vivo e di fronte a me.
<< Allora sei riuscito a salvarti! Grazie al cielo, temevo che tu fossi… >>
<< Morto? >> disse lui per me, anticipando le mie parole << C’ero quasi a dir il vero, ma Aragorn è arrivato in tempo e ha usato le tue foglie di Athelas per curarmi >>
La cosa incredibile era che si era lasciato curare, non aveva disperato, non aveva ammesso di aver perso le speranze, aveva voluto continuare a vivere.
Che Saruman non avesse poi tutti i torti? Troppe cose coincidevano, troppe verità aveva detto e adesso temevo più che mai della sua sincerità in quanto, se così fosse stato, Boromir veramente non avrebbe mai provato niente per me se non gratitudine.
<< Grazie a dio >> mi sfuggì dalle labbra appoggiando di nuovo la testa sulla sua spalla, ero finalmente rinata. Dopo un  breve periodo, che a me era parso immenso, di morte apparente, di corpo senz’anima, di vuoto assoluto, finalmente ero tornata a vivere. Vederlo in piedi, in tutta la sua fierezza, davanti a me mi donava di vita nuova: era il mio ossigeno.
<< Sophia, perché sei entrata? >> mi chiese improvvisamente Boromir con una serietà mai udita prima da lui, così imponente nella voce che mi sentii una bambina che aveva appena combinato un guaio e veniva sgridata dal padre. Alzai gli occhi terrorizzata, mai mi sarei aspettata una cosa del genere, così a freddo. Non riuscii a rispondere immediatamente, ero rimasta paralizzata, cosa inventare? Cosa raccontargli?
Boromir mi prese le spalle stringendo con severità, scuotendomi appena e guardandomi con uno sguardo di ghiaccio che dimostrava tutta la sua furia << Hai rischiato di morire! Se Barbalbero non ti avesse preso al volo durante la tua caduta a quest’ora non saresti qui! E le tue ferite erano gravi, è grazie ad Aragorn se sei riuscita a sopravvivere, hai rischiato la tua vita per cosa, si può sapere? >>.
La paura scomparve in me a quelle parole, sarei dovuta uscirne traumatizzata, mi stava quasi urlando contro, invece la sensazione che provocò in me fu decisamente piacevole. Si era preoccupato. Allora una speranza c’era ancora, allora provava affetto nei miei confronti. Il cuore mi si scaldò e mi intenerii, ammorbidendomi, lasciandomi trattare quasi con violenza perché sentivo che non c’era nulla di cattivo in quel gesto, ma tutto il contrario.
<< C’erano delle cose di cui dovevo parlare con lui. E fidati è stato meglio così >>. Adesso sapevo tutto ciò che dovevo sapere, sapevo perché ero lì, come ci ero giunta, sapevo tutto: non c’erano più punti interrogativi nella mia mente e sapevo anche quale sarebbe stato il mio scopo di lì al momento in cui Frodo avrebbe buttato l’anello. Dovevo garantire il giusto proseguimento della storia, dovevo far sì che il sogno avuto quella notte mentre ero svenuta non si avverasse, dovevo trovare il modo per riportare le cose al loro posto.
<< Non è la risposta di cui avevo bisogno. E’ pericoloso avere segreti in questo periodo, devi dirmi cosa è successo in quella torre! >>. Ancora una volta mi aveva spiazzata, sapevo che avere segreti avrebbe potuto causare dubbi nella mente degli altri, ma non mi ero mai preoccupata. Anche Gandalf era misterioso, perché io non potevo tenere per me i miei segreti? Non era il momento di rivelargli niente, era ancora troppo presto, dovevo svolgere i miei compiti, dovevo aiutare la Terra di Mezzo in quel periodo così buio, dovevo evitare che un piccolo particolare cambiato, quale la morte di Boromir, causasse la fine di Gondor e tutte le altre terre.
<< Capirai tutto a tempo debito, ora non posso… >> la mia frase fu interrotta da un urlo gioioso proveniente dalla mia sinistra. Mi voltai appena in tempo per vedere Pipino corrermi incontro con il suo boccale di birra ben stretto in mano e saltarmi praticamente addosso per abbracciarmi. Il suo abbraccio stritolatore mi fece male, ero ancora molto debole, ma dovevo un favore a quel piccolo hobbit: aveva interrotto una discussione poco piacevole e da cui non sarei uscita tanto facilmente.
<< Ti sei svegliata! Stai bene! Che bello, ho avuto tanta paura! Sei stata un’incosciente, non dovevi entrare nella torre! >> Abbracciai forte l’hobbit << Sì, devo ammettere non è stata una bella esperienza >> ridacchiai non specificando altro, non volevo cominciare a discutere anche con lui per la stessa cosa.
<< Sophia!! >> gridò Merry da sopra il tavolo alzando il suo boccale in segno di saluto. Gli corsi incontro: basta preoccupazioni! Mi trovavo a una festa e io avevo tanto da festeggiare!
Presi un boccale di birra sotto gli occhi stupiti degli uomini, chissà se avevano mai visto una donna in atteggiamenti tanto poco…consoni al loro modo di fare! Le donne erano fiori delicati, dolci e profumati, le donne erano le protettrici della casa, coloro che crescevano i figli, non si dedicavano certo ad attività mascoline come quelle di bere birra, fare baccano o andare in guerra. Ero un po’ particolare ai loro occhi, sì , dovevo riconoscerlo.
<< Allora >> dissi preparandomi a ingegnare qualcosa per divertirmi come sapevo fare << Scusa, fammi un posticino >> dissi a un tipo seduto sulla panca spingendolo un po’ e mettendomi a sedere.
<< Merry, Pipino, qui! Sedetevi tutti intorno al tavolo, birra per tutti e preparatevi a scervellarvi. Dalle mie parti si usa in feste come queste allietare il clima con qualche gioco di gruppo >> dissi facendo un occhiolino << Chi perde beve! >> Annunciai prima di spiegare le regole, non ero mai stata brava a farmi venire idee brillanti, soprattutto in mezzo a gente che non conoscevo, ma mi resi conto che era come trovarsi in mezzo a tanti bambini con tanta voglia di giocare.
<< Avanti-Indietro-Di qua-Di là-Di su -Di giù -Di qua-Di là. >> canticchiai facendo i movimenti con il corpo a ogni parola, muovendomi avanti, indietro, a destra, sinistra alzandomi in piedi o rimettendomi a sedere.
<< Tutti insieme, il primo che sbaglia beve il suo boccale per intero, tutto d’un fiato. >>  Non li vedevo molto convinti, ma per fortuna avevo i miei due hobbit che mi seguirono senza esitare e già ridendo. In pochi minuti tutti presero a muoversi senza senso, canticchiando vivacemente: sembravamo tanti polli. Alcuni urlavano talmente forte che attirarono l’attenzione anche di altri che si unirono, e ben presto divenimmo un bel gruppo sostanzioso, tutti a cantare e muoversi senza senso. Inutile dire che a bere furono in molti, io compresa dopo un po’ cominciavo a sbagliare, e come tutti gli altri più bevevo più sbagliavo.
<< Sophia, forse dovresti darti una controllata >> mi consigliò Boromir vedendo che cominciavo a barcollare un po’, la birra di Rohan era decisamente diversa da quella del mio mondo, era molto più forte, più buona, e mi erano bastati due boccali per cominciare a vederci doppio e a ridere per ogni cosa. Ma ero ostinata, mi stavo divertendo, perfino Gimli e Legolas, appena usciti dalla loro gara di bevute, si erano aggiunti.
<< Zitto e bevi! >> gli ordinai dandogli un boccale preso da chissà chi. << Non preoccuparti per me, Macho man, sono abituata anche a peggio! >> mi era già capitato altre volte di prendere la sbornia per colpa di super alcolici o di miscugli, ragazzate, niente di più, ma anche quella sera la consideravo la mia “ragazzata”.
<< Sophia hai sbagliato!! >> mi urlò Merry ridendo come un pazzo: per rispondere a Boromir avevo perso il ritmo, maledizione!
<< Accidenti di nuovo!! >> mi lamentai prima di portarmi il boccale alle labbra e bere tutto sotto incitazione dei presenti che battevano pugni sul tavolo e urlando cori peggio che allo stadio. Finii il boccale e pulendomi la bocca dalla schiuma che non era entrata e mostrai il boccale vuoto al pubblico. Boromir non sapeva se sorridere o disperarsi, ma nel dubbio si fece da parte a vedere la scenetta bevendo dal boccale che gli avevo dato con occhi visibilmente divertiti.
Dopo qualche ora si cominciavano a vedere i primi effetti devastanti dell’alcool: gente stesa per terra che mugolava e si lamentava, gente che, barcollando e lasciando la radiografia della propria faccia su ogni colonnina, cercava di andare a letto, gente collassata sul tavolo che ronfava alla grande, altri invece deliravano mostrando il perché fosse necessario riaprire i manicomi.
E io ovviamente ero nell’ultimo gruppo.
Ero stesa completamente sul tavolo canticchiando vivacemente << They’re taking the hobbits to Isengard! >> e accompagnando il tutto con un “Papparappapappaparà” completamente fuori tono ma che nella mia testa ci si addiceva divinamente.
Aragorn mi venne accanto preoccupato e mi prese per i polsi cominciando a tirarmi via << Andiamo a letto, Sophia >>.
<< A letto insieme a te! Ma come siamo diretti, non ci conosciamo nemmeno troppo bene! >> scoppiai a ridere << E va bene, basta tu abbia il guanto, non voglio avere problemi smocciosi e urlatori come le scimmie >>. Aragorn mi guardò malissimo, forse non capendo cosa stavo dicendo o forse capendo fin troppo. Risposi al suo sguardo severo prima di gridare con convinzione << Why is the Rum gone?! >>.
<< Hai decisamente superato il limite stasera. Vieni, andiamo a dormire >> disse provando a trascinarmi via ma io prontamente mi aggrappai al tavolo e cominciai a scalciare e gridare << Aramis!! Non ho rubato io la figurina di Hermione! Mi fa cagare Harry Potter come a Samgay fa cagare la patata! >>
<< Sta delirando >> disse un po’ sconvolto Boromir avvicinandosi ad Aragorn << Decisamente, aiutami a staccarla dal tavolo >>.
Boromir mi venne davanti e mi prese le mani per staccare la mia presa al bordo del tavolo e fu allora che diedi un calcio ad Aragorn e mi lanciai su Boromir << Mi porti tu a letto, pucci pucci frù frù? >> e cominciai a fare le fusa e miagolare.
<< Sì >> disse parecchio titubante prima di prendermi in braccio << Speriamo si addormenti all’istante >> disse ad Aragorn cominciando ad avviarsi verso la porta per uscire.
<< No!! Non voglio dormire! Papà è cattivo, vuole mettermi a dormire con la forza! Show must go on!! >> dissi cominciando a scalciare contro Aragorn che era a pochi metri da me. << Ferma! Mi cad..>> ecco appunto. Caddi per terra facendomi anche un gran male.
<< Ahi!! >> gridai e Boromir si piegò su di me chiedendomi scusa in tutti i modi possibili. Alzai lo sguardo verso di lui e mi allontanai gattoni guardandolo stralunata << Io…vedo la gente morta! >>.
Nessuno dei due uomini mi rispose, solo Pipino rispose con una sonora risata, tanto forte che lo fece cadere dalla panca su cui era steso.
<< El porrito! >> gli urlai contro scoppiando a ridere << Ultraman, Godo l’Highlander, Samgay l’amante di carote >> mi stesi per terra a occhi chiusi continuando a ripetere nomi e nomiglioni dello Svarione degli anelli, la miglior parodia di tutti i tempi << Sherwood con il Cantagallo,  protettore della più grande coltivazione di canapa del mondo, Condom che gira nudo, Ganjalf l’allievo di Goku >>.
<< Che dici la lasciamo qua? >> Propose Boromir allontanandosi di qualche passo << Leyla che crede di stare in Star Wars >> pronunciai ancora scoppiando a ridere ricordandomi di quella deficiente con la spada laser. Che poi sapevo io qual’era la spada laser che voleva! Quella di Aragorn aveva un certo fascino ai suoi occhi.
Porcellina.
<< La lasceresti davvero qui tutta la notte? >> gli chiese Aragorn con un tono che non seppi interpretare: non ero nelle condizioni adatte. << No,pirla! Cosa mi lasci qui sul freddo e duro pavimento! Andiamo a letto, mi devi cantare la ninnananna dei Teletubbies >> dissi cercando di alzarmi in piedi e riuscendo ad aggrapparmi ad Aragorn prima di crollare a terra, mi girava tutto, mai provata una sensazione simile.
<< La ninnananna di chi? >> e senza dargli una risposta cominciai a canticchiare << TrincaWisky, Strizzi, Nasa, Pus!! Turbotubbies, turbotubbies! FAN-NO… >> mi voltai verso Boromir e salutai con la manina concludendo la canzone << Ciao!! >>.
Aragorn riuscì a farmi camminare verso la stanza da letto e Boromir ci venne dietro tenendo in spalla i due hobbit che erano collassati completamente. Io non ero ancora arrivata a quel livello e continuavo a canticchiare, soprattutto le canzoni dei GemBoy.
Ma ormai avevo gli occhi chiusi, se Aragorn non mi avesse tenuto in piedi sarei crollata veramente sul pavimento e mi sarei addormentata lì, in mezzo al corridoio, magari con la testa penzoloni sulle scale. Incrociammo uno dei soldati ancora sobri, in rientro dalla guardia notturna, e cominciai a respirare alla Darth Vader prima di dire con serietà << Luke, io sono tuo padre! >>. Il tipo mi guardò non capendo assolutamente niente, fu Aragorn a scusarsi per me e a trascinarmi via mentre ancora gridavo e mi dimenavo verso il tipo << Passa al lato oscuro della forza!! Abbiamo i biscottini!! >>.
Aragorn mi lanciò letteralmente sul mio sacco a pelo (o forse fui io lanciarmi da sola, o a caderci sopra) e cominciai a mugolare << Dov’è il mio orsacchiotto Boromir? Non riesco a dormire senza pucci pucci! Voglio il mio orsetto di Peluche >>
<< Orsetto Boromir? >> chiese sconvolto Aragorn prima di voltarsi verso l’altro uomo che aveva aperto la porta con un piede per entrare nella stanza e posare i due hobbit nel loro letto improvvisato.
<< Farò in modo di fartelo avere >> ridacchiò in un sussurro ma le sue parole non raggiunsero mai le mie orecchie in quanto ero già crollata nel mondo dei sogni, continuando a mugolare qualche volta nel sonno << They’re taking the hobbits to Isengard >>.

Mi svegliai poco dopo, con un gran mal di testa e senza ricordarmi assolutamente niente di ciò che era successo la sera prima. Ricordavo di essermi messa a bere insieme agli hobbit, di aver cominciato a fare un giochino idiota con gli altri nella sala e poi…eccomi nel letto. Come ci ero arrivata? Possibile che…mi fossi ubriacata?
Oh mamma!
L’eventualità mi spaventava a morte, chissà cosa avevo detto! E se avessi rivelato qualcosa di me? E se avessi detto qualcosa che non dovevo dire? Maledizione, non avrei dovuto esagerare in quella maniera. Mi guardai attorno, era notte fonda, tutti dormivano alla grande gli unici a mancare erano Legolas e Aragorn che sicuramente erano fuori a parlare tra loro al chiaro di luna. Merry e Pipino dormivano sul lato opposto della stanza, poco lontano da Gandalf messo comodamente su un letto, uno dei pochi presenti. Mentre Boromir era steso su un sacco a pelo, vicino al mio. Anche col mal di testa e con la confusione mentale che avevo non riuscivo  a staccargli gli occhi di dosso e pensare sempre che fosse veramente meraviglioso. Lo vidi muoversi nel sonno e mi affrettai a richiudere gli occhi, facendo finta di dormire, per non dargli modo di pensare che lo stessi fissando. Lo sentii sospirare e poi di nuovo rimanere in silenzio, col respiro regolare e profondo del sonno. Riaprii gli occhi, rimanendo stesa su di un fianco, e rimasi a guardarlo mentre dormiva per tanto tempo. Era uno spettacolo unico. E se avessi provato a baciarlo mentre dormiva stile bella addormentata nel bosco? Avrei potuto realizzare il mio desiderio senza troppe complicazioni, ma no, avrei potuto svegliarlo e sarebbe stata la situazione più imbarazzante degli ultimi 22 anni.
Gli occhi si fecero pesanti, il martellante mal di testa non aveva intenzione di passare, così decisi di richiudere gli occhi, magari il sonno avrebbe alleviato i dolori e magari nei miei sogni sarei riuscita a compiere quel gesto che tanto mi intimoriva.
Stavo per riaddormentarmi quando un rumore di passi mi destò. Rimasi ad ascoltare finchè non mi ricordai di Pipino che avrebbe guardato dentro il palantir: era giusto lo facesse anche se era una situazione pericolosa. Così rimasi immobile a sentire solo la voce di Merry che cercava di capire che avesse intenzione di fare l’amico e quest’altro che gli rispondeva che era solo curioso. Poi qualcosa mi preoccupò. Il respiro pesante di Boromir era cessato facendosi più fine, e lo sentii muoversi un po’ troppo. Aprii gli occhi di scatto vedendo l’uomo che si stava alzando dal suo letto per poter andare dal piccolo hobbit. Lo afferrai per il colletto della maglia e lo trascinai giù, facendolo stendere nuovamente, anche se in maniera alquanto brusca.
<< Ehi! >> brontolò lui afferrandomi la mano per staccarla dal suo collo << Stai fermo. >> ordinai seria, come mai ero stata prima d’ora. Gli avevo salvato la vita, era in debito con me, e il modo più adatto per farlo era di non complicare la situazione facendo gesti sconsiderati: doveva lasciare che Pipino guardasse, non doveva mettere mani nella storia.
<< Ma…Pipino si è… >> cominciò ma io lo interruppi con un secco << So cosa sta facendo Pipino! E tu non ti muoverai da qui, lascialo fare! Non mettere il naso dove non dovresti >> Boromir mi guardò torvo, forse ero stata troppo dura, o forse si stava chiedendo chi fosse quella donna che aveva davanti, non era la solita Sophia.
In quel momento Pipino toccò il palantir, accasciandosi a terra, percosso da dolori atroci e Merry cominciò ad urlare chiedendo aiuto. Boromir si alzò di colpo, così come Gandalf, e Aragorn e Legolas entrarono facendo irruzione nella stanza. Aragorn tentò di togliere il palantir dalle mani di Pipino ma svenne non appena lo toccò lasciandolo rotolare per terra, a quel punto intervenni io che gli lanciai addosso il mio mantello, posto sopra il mio letto improvvisato.
Gandalf andò da Pipino urlandogli contro << idiota di un Tuc! >> ma il suo tono cambiò completamente quando vide Pipino immobile con gli occhi sbarrati. Gli si avvicinò accarezzandogli la fronte dolcemente per risvegliarlo da quella specie di coma << Guardami >> gli ordinò.
Pipino si destò, si guardò attorno confuso e spaventato poi posò lo sguardo su Gandalf e cominciò a piagnucolare << Gandalf, perdonami. >> e voltò la testa richiudendo gli occhi. Lo stregone lo scosse di nuovo << Guardami! Cosa hai visto? >>
<< Un albero. C'era un albero bianco in un cortile di pietra. Era morto. La città era in fiamme. >> continuò a piagnucolare, la visione l’aveva scosso terribilmente e sapevo che il Palantir aveva lui provocato dolore.
<< Minas Tirith... È questo che hai visto? >> chiese conferma Gandalf << Ho visto... Ho visto lui. Sentivo la sua voce nella mia testa. >> bisbigliò l’hobbit tremando ancora al solo ricordo.
<< E cosa gli hai detto? Parla! >> la preoccupazione di Gandalf era alle stelle, non l’avevo mai visto in quello stato << Mi ha chiesto il mio nome. Non ho risposto. Mi ha fatto male. >> mugolò.
<< Cosa gli hai detto di Frodo e dell'Anello? >>.
<< Niente >> rispose immediatamente Pipino << Assolutamente niente, te lo giuro >>.
Gandalf si tranquillizzò, gli fece un’altra carezza prima di sussurrare << Riposa adesso >>.
Pipino e Merry si rimisero a letto a riposare, così come tutti gli altri tranne Aragorn e Gandalf che si erano fermati a parlare delle visioni dell’hobbit.
Io mi stesi nuovamente sul sacco a pelo, ero la più tranquilla di tutti, beh quasi. Boromir si ristese accanto a me senza degnarmi nemmeno di uno sguardo, e lo vidi nero dalla rabbia in volto. Mi sollevai appena prima di chiamarlo con un flebile << Boromir >>, sapevo che la sua rabbia era nata dalle mie azioni: gli avevo impedito di aiutare Pipino. Ma lui non mi diede nemmeno tempo di pensare a niente che si era voltato verso di me, digrignando i denti e  guardandomi con uno sguardo di fuoco << Quali sono gli accordi tra te e Saruman? Ucciderci uno per uno? Condurre Sauron all’anello? Condurci tutti alla distruzione? E cosa ti ha promesso in cambio? Denaro? Potere? Sapevo che non dovevo fidarmi di te, sapevo che nascondevi qualcosa, sei stata tu a farmi quella maledizione! Lo so, non negare! Tu mi hai condotto alla follia quando tentai di prendere l’anello a Frodo. >>
<< No, Boromir, mi hai fraintesa! >> ma ancora una volta non potei dare ulteriori spiegazioni che la voce dell’uomo sovrastò la mia << Smettila di mentire! Non mi lascerò imbambolare un’altra volta da te, hai fatto male i tuoi calcoli, strega! >>
<< E’ stato solo un bene che Pipino abbia guardato dentro il Palantir! Adesso sappiamo quali sono i progetti di Sauron, possiamo batterlo sul tempo >>
<< E tu come fai a sapere che quelli erano i piani di Sauron? >> mi chiese con tono di sfida, certo lo aveva capito anche lui ma il mio tono così deciso gli aveva fatto capire che la mia non era una supposizione ma era qualcosa che sapevo con certezza.
Che diamine! Dovevo imparare a tenere la bocca chiusa!
Ma alla sua domanda non riuscii a trovare una risposta.
<< Ecco, appunto. >> e si stese per riaddormentarsi << Ti consiglio di andartene questa notte, o domani non potrai avere più un’opportunità per farlo >>
Che voleva fare? Arrestarmi? Beh, sapevo che Theoden avrebbe sicuramente creduto al comandante di Gondor se egli gli avesse mai detto che tra loro si nascondeva un traditore, e la galera non era poi così utopica come situazione.
<< Non capisci! Ti ho dovuto impedire di aiutarlo perché era necessario che lui vedesse! Pensa se invece non l’avesse mai fatto? A quest’ora staremo ancora brancolando nel buio in un’ipotetica situazione, senza riuscire a vedere bene quale via avremmo dovuto prendere. Desideri salvare Minas Tirith? La tua città! Tuo padre e tuo fratello! A loro non pensi? >>
<< Mi chiedo solo come tu sapessi tutto ciò! >>
<< Non… >> feci una breve pausa, mordendomi il labbro, diavolo che situazione pessima! << Non posso dirtelo. Non ancora. >>
<< Perfetto allora le tue parole sono come vento: passano e se ne vanno immediatamente, senza nessun importanza. E tu continui a essere per me una traditrice, una servitrice di Saruman. >>
<< Io ho sempre voluto il vostro bene! >>
<< Anch’io ho voluto il bene della mia gente, eppure sono stato corrotto dall’anello! I buoni propositi non aiutano, Sophia, nemmeno un po’. >> Si voltò dall’altra parte << Vattene, è un consiglio il mio >>.
Una coltellata al petto mi avrebbe fatto meno male. Rabbia e rammarico percorrevano le mie vene, perché diavolo non mi dava ascolto? Perché diavolo mi ero infilata in quella pessima situazione?  Il periodo passato nella convinzione che lui fosse morto era stato terribile, ma vivere nella consapevolezza di essere odiata da lui era ancora peggio. Mi raggomitolai come un gatto, stringendo le coperte tra le dita, mordendomi il labbro. Rimasi immobile a guardare l’uomo accanto di me che mi volgeva le spalle, non avrei più rivisto la gioia nei suoi occhi in mia presenza, quelle pietre così preziose ora erano affilate, usate solo per ferirmi, tagliarmi, accoltellarmi.
Non ce la facevo! Quella stanza era diventata troppo piccola, soffocante, mi mancava l’aria. Mi alzai, presi il mio mantello che non avvolgeva più il Palantir, ripreso da Gandalf, e uscii dalla stanza seguita da uno sguardo indagatore di Aragorn.

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Capitolo 10
*** Non ho intenzione di....ehi! E' un'ottima idea! ***


Corsi fuori, salendo in cima al castello, verso una delle torri, da dove avrei potuto ammirare il panorama. Non conoscevo quella fortezza eppure i miei passi andavano sicuri su quelle scale o in quei corridoi fino a raggiungere un terrazzino che dava su un cortile. Mi appoggiai alla balaustra e soffocandomi dei miei pensieri diedi libero sfogo alle lacrime e alla disperazione.
Ero di nuovo sola.
E nell’oscurità della notte, la fortezza venne velata da un triste canto.
<< Casa è alle spalle, il mondo avanti. Le strade da seguire tante. Nell’ombra il mio viaggio va, finché luce nel cielo sarà. Nebbia e ombra, oscurità. Tutto svanirà. Tutto svanirà. >>
Mi misi a sedere sul bordo della torre, con i piedi penzoloni nel vuoto e guardai il mondo davanti a me andare avanti nelle sue scelte, nelle sue abitudini, nella sua morte lenta e dolorosa. Avevo il cuore a pezzi, ma capii ben presto che non avevo il tempo di raccogliere i cocci e provare a rimetterlo apposto, dovevo lasciarlo là dov’era e andare avanti per la mia strada. Sarei tornata indietro da lui quando sarebbe stato il momento giusto, ora il mondo correva troppo freneticamente, dovevo riuscire a stargli dietro.
Ero sola per la mia strada, sola nella mia maratona, ma non avevo altra scelta. Sapevo che probabilmente il sogno fatto la notte prima, durante il mio “coma”, non era solo un sogno. Avevo combinato un guaio per salvare la persona che adesso più di tutti desiderava la mia rovina (bella gratitudine!). Dovevo mettere a posto le cose, dovevo trovare il modo di risolvere quelle spiacevoli situazioni. La paura più grande era però che Pipino, non sentendosi in colpa per la morte di Boromir non prestasse i suoi servigi a Denethor e non andasse a salvare Faramir dal rogo. Nell’eventualità che invece Denethor non perdesse la testa e non facesse il rogo avrei trovato un’altra soluzione per liberare la sua anima dal Palantir, per far sì che Aragorn salisse al trono senza troppi problemi. Avrei parlato con Gandalf, lui solo avrebbe potuto aiutarmi, era un uomo saggio sapeva cosa fare.
Il sole sorse su quella terra annebbiata, ma le sue luci non riuscirono a raggiungerla a causa delle nubi che costantemente sovrastavano la Terra di Mezzo in quel periodo, ma così come era nato, così come avrebbe continuato a nascere, e anch’io, tenendomi nell’ombra, sarei nata e avrei agito.
Sapevo che c’era solo un modo per portare a termine la mia missione: dovevo andare il più velocemente a Minas Tirith. Sarei partita quella mattina stessa, dietro Gandalf e Pipino, avrei corso come il vento e sarei giunta in tempo per sistemare le cose. Ancora una volta però mi sentivo disarmata, ma così come ero riuscita a salvare Boromir senza un piano ben preciso, sarei riuscita a salvare il fratello.
Incredibile come la vita mi abbia riservato un destino tanto ironico. Mi trovavo all’interno della storia che più avevo amato per anni e mi era stata donata la penna in grado di cambiare le parole incise su un libro, mi era stato donato il dono di modificare tutto, cambiare la vita di migliaia di persone, io, la persona più fallimentare e invisibile della terra, ora avevo tra le mani un potere così grande. Potere che nessuno conosceva, potere che solo Saruman aveva individuato e aveva desiderato rubarmi come voleva fare con l’anello. Ma ahimè per lui, nessuno dei due tesori era riuscito ad ottenere.
Come si suol dire: chi troppo vuole, nulla stringe.
Mi alzai in piedi sul bordo della torre, in altre occasioni avrei temuto l’altezza e la pericolosità di quella situazione, ma non quella volta. Allargai le braccia lasciando che il vento mi accarezzare il volto e mi scompigliasse i capelli. Mi sentivo padrona di tutto ciò che mi circondava, padrona di tutto…ma non del mio cuore. E, anche se ciò mi dava un dolore immenso, la notte, con i suoi venti agitati e tumultuosi, mi avevano portato la forza di cui avevo bisogno per andare avanti, per non mollare, per rendermi utile in quel mondo così meraviglioso, per smentire le speranze che erano state di Saruman, per servire quella terra anziché consegnarla in mani sbagliate, per far tornare il sole sui suoi campi…e dopodiché mi sarei ritirata in privato e avrei concentrato tutte le mie energie su quei cocci, stesi a terra, calpestati più volte da passanti distratti, e avrei cercato di aggiustarlo, anche se sapevo che mai sarebbe tornato come prima.
Corsi giù nel cortile dei cavalli, il consiglio tra Theoden, Gandalf, Aragorn e tutti gli altri sicuramente era già iniziato, stavano discutendo di ciò che aveva visto Pipino, Gandalf avrebbe deciso di partire e io mi sarei fatta trovare pronta.
<< Ho bisogno di un cavallo >> dissi a una delle guardie alle stalle.
<< I cavalli sono di proprietà del Re, solo con un suo ordine posso dartene uno >> mi disse distrattamente mentre sistemava del fieno. Lo presi per una spalla e lo costrinsi a voltarsi guardandolo con uno sguardo severo << Guarda le mie ferite, stalliere! Non sono ferite causate da una semplice caduta dalle scale! Io sono al servizio del Re come tutti voi. Ho una missione da compiere e necessito di un cavallo >>. Il tipo mi guardò dapprima intimorito, poi torno serio e disinteressato << Solo con un ordine del Re posso darvi un cavallo. >>.
Mi stava prendendo in giro?! Accidenti, avevo programmato di plasmare il mondo quella notte, mi ero sentita Dio in persona e ora venivo ostacolata da un semplice stalliere? Non avevo neanche cominciato la mia opera che già trovavo gli ostacoli!
<< Ma per dindirindina! >> sbottai cominciando a scuotere il tipo che avevo tra le mani << Mi devi dare quel stramaledetto cavallo, devo andare a salvare la vita a Denethor e suo figlio, non devo andare a distribuire caramelle! >>
<< Senti, bella! >> mi rispose a tono il tipo staccandosi dalla mia presa << Tu puoi fare quello che vuoi, per conto mio puoi anche andare a prendere il trono del Re degli elfi, ma finchè il MIO Re non mi da l’ordine io non ti do proprio un bel niente >>.
Era…incredibile! Osava ostacolarmi! Lui…lui… maledizione!
Sbuffai e mi allontanai a gran passi, voleva l’ordine del Re? Bene! Avrebbe avuto quello stramaledetto ordine, e io me ne sarei andata via in groppa a uno di quei cavalli con orgoglio e fierezza alla faccia sua!
Arrivai che il consiglio era già terminato chissà da quanto, Gandalf, Merry e Pipino non erano presenti, Boromir mi lanciò un’occhiataccia, non vedeva l’ora di liberarsi di me, beh, non ci avrebbe messo troppo tempo visto che ero veramente intenzionata ad andarmene. Anche se non meritavo tutto quell’odio visto che la mia destinazione era Minas Tirith per salvare la sua cara famigliola. Vidi invece Theoden allontanarsi in compagnia di Aragorn, Gimli e Legolas e corsi loro dietro, dovevo muovermi altrimenti avrei perso Gandalf.
<< Mio signore! >> dissi correndogli incontro << Sophia, finalmente ho l’onore di scambiare due parole con te, i tuoi compagni mi hanno tanto parlato della donna guerriero portata in loro aiuto dal Bruinen. >>
<< Immagino >> dissi sarcastica facendo una smorfia, chissà che diavolo gli avevano raccontato: che ero una pazza? Che avevo bisogno di cure? Che una padellata in testa avrebbe fatto un effetto migliore? Certo, per come l’aveva detto lui sembrava che fossi nata dalle acque del fiume come una Venere, una cosa da romanzo epico, un po’ mi piaceva, ma immaginavo che la stima dei miei compagni nei miei confronti non fosse poi così alta. Magari invece avevano semplicemente detto che ero una traditrice e che avevo combinato un sacco di guai.
<< Vedete mio Signore >> cominciai prima che potesse dire altro: avevo fretta << Mi dispiace non poter scambiare altre parole con voi, ma ho bisogno di un cavallo con urgenza. >>
<< Un cavallo? E perché mai? >>.
<< Devo raggiungere il più velocemente possibile Minas Tirith, per questo volevo aggregarmi a Gandalf ma per fare ciò devo muovermi. >> conclusi prima di alzare un dito e guardare tutti gli altri << E non chiedetemi altro, non sono intenzionata a dare spiegazioni di nessun tipo a nessuno. >> forse era colpa della sbornia della sera prima, forse del mal di testa, forse del fatto che non avevo dormito niente quella notte o forse era colpa della litigata con Boromir, ma nemmeno io mi riconoscevo più: ero furiosa.
<< Tanto sarebbero solo parole buttate al vento >> aggiunsi scocciata tra me e me prima di voltarmi verso Theoden in attesa di una sua risposta << Certo, prendi pure uno dei miei cavalli, ma penso che sia inutile ormai. >>
<< Come prego? >> chiesi intimorita e confusa dall’ultima frase.
<< Gandalf è partito già da qualche minuto, non riusciresti mai a raggiungerlo >> mi spiegò Aragorn.
Mi caddero le braccia, incredibile! Prima lo stalliere, ora questo! Non volevano proprio farmi arrivare a Minas Tirith! Me lo stavano impedendo in tutti i modi << Ho già intrapreso battaglie come questa >> bisbigliai voltandomi verso la città alle mie spalle << Ho già sfidato il destino e così come vinsi tempo fa, vincerò ancora >> continuai a parlare tra me e me.
<< Risparmiati gli incantesimi >> intervenne Boromir acidamente, mi irritava sempre più, mi voltai divorandolo con uno sguardo << Sai, volevo vedere se oltre alle maledizioni conoscevo qualcosa per teletrasportarmi! >> mi rivoltai nuovamente verso Theoden << Ok, non fa niente. Datemi comunque il cavallo e indicatemi cortesemente la via, purtroppo non ho di queste conoscenze >>.
<< Sophia >> intervenne Aragorn << Ieri hai rischiato la vita, hai sempre tutte le ferite aperte, come se non bastasse ieri sera invece di riposare hai deciso di demolirti con la birra, non hai dormito niente questa notte, la strada è lunga e pericolosa, non arriverai mai a Minas Tirith tutta intera. Te lo impedisco >>
Mi ammorbidii a quelle parole invece di aggredirlo e gli offrii un tenero sorriso << Sarai un ottimo padre >>. Non erano i postumi della sbornia, era semplicemente il mio cuore che aveva parlato. Aragorn già da tempo si comportava con me come un padre si comporta con una figlia: accudendola, aiutandola e preoccupandosi per lei, anche quando ancora non ci conoscevamo di persona ritenevo fosse una persona di grande cuore, e ancora una volta ne avevo avuto la conferma.
<< Vi prego >> chiesi a Theoden come se Aragorn non avesse detto niente, non mi avrebbe fermata, non quella volta.
<< Posso darti il cavallo, ma la via per Minas Tirith non è indicabile. E’ lunga, pericolosa e piena di deviazioni, ti perderesti anche con un’ottima indicazione. Penso Aragorn abbia ragione, è tanto importante la faccenda che devi svolgere a Minas Tirith? >>
<< E’ questione di vita o di morte! >> mai quelle parole erano risultate così vere << Se non avete intenzione di aiutarmi farò da sola, troverò per conto mio la via! >>
<< Non te lo permetterò. Ti porterai dietro qualcuno dei nostri uomini >>
Un esercito guidato da me? La cosa mi faceva gola, certamente, ma avrebbe rallentato la marcia! Troppi piedi da riposare, troppe pance da saziare e non sarei stata invisibile come desideravo.
<< Una guida! Una sola, non ho bisogno di nessun altro. >> dissi << non voglio portarmi dietro troppa gente, ho fretta e voglio muovermi nell’ombra. Basta una sola persona, qualcuno che conosca la strada più breve. >>
Boromir intervenne ancora, avanzando e venendo col volto a pochissimi centimetri dal mio, sicuramente le sue intenzioni erano quelle di incutermi terrore, a me invece provocò l’effetto opposto: il cuore sobbalzo e arrossii.
<< Cosa hai intenzione di fare a Minas Tirith? Distruggere la mia casata? Distruggere la mia patria? Non permetterò a una spia del nemico di varcare la soglia della mia terra. >>
Alzai un sopracciglio ignorando le sue parole, dovevo continuare a muovermi in quella maniera, ignorando il veleno che mi buttava addosso.
<< Vado a distribuire caramelle >> risposi semplicemente.
<< Ti prendi gioco di me? >> brontolò ma la discussione si interruppe con la voce di Aragorn che indicando l’uomo di fronte a me diceva << Ecco la tua guida. >>
Ci voltammo in contemporanea guardando il ramingo con gli occhi spalancati << Cosa?! >> chiedemmo stupefatti, e forse un po’ irritati. Dovevo portarmelo dietro per tutto il tempo? Dovevo continuare a subire le sue pugnalate per così tanto tempo senza nessuno che potesse placare la sua collera? Solo io e lui? Allora sì che non sarei sopravvissuta.
Però… non era male come idea. Senza volerlo il ramingo aveva risolto tanti problemi che invece io mi ponevo. Nella storia originale, in quel preciso istante, gli intrusi erano due e per far scivolare le cose al loro posto bisognava liberarsene: me e Boromir. E non c’era modo migliore di quello di mandarci a Minas Tirith da soli, lasciando quel luogo.
<< Ok, perfetto!  Boromir prepara le tue cose, partiamo all’istante e… >> mi bloccai per ritornare a guardare Theoden << Sire, penso che lo stalliere abbia qualche problemino con me. Potete fargli sapere che avete accettato la proposta di darmi uno dei vostri cavalli? >>
Theoden non aveva idea certamente di quale problemino fosse nato tra me e lo stalliere ma ci fece una risata su e mandò uno dei suoi uomini a parlare con lui.
<< Aspetta! Tu non mi dai ordini e io non ho intenzione di partire con te. Aragorn, voglio combattere anch’io insieme a voi per la mia terra >>
<< Sei un uomo d’onore Boromir, avrai modo di dimostrare il tuo amore per la tua terra in battaglia, ma penso che per ora sia bene che tu accompagni Sophia nel suo folle capriccio. >>
<< Ehi!! Non è un capriccio, tanto meno folle! >> mi lamentai, ma ovviamente non fui ascoltata.
<< Non ho intenzione di seguire questa traditrice! >>
Traditrice?! Allora aveva già parlato con loro di ciò che era successo quella notte. Mi incupii all’idea che fossi una traditrice per gli altri, ecco perché Aragorn aveva alla fine accettato, come gli altri, di lasciarmi andare. Probabilmente avevano solo detto che mi sarei dovuta portare una guida perché forse il loro affetto nei miei confronti non era poi così nullo. Volevano liberarsi di me.
<< Ne abbiamo già parlato, Boromir! >> rispose rudemente Aragorn e ancora una volta rimasi colpita. Mi stava…difendendo. Perché mai?
<< E’ inaudito che la tua fiducia per gli elfi sia maggiore per quelli della tua razza! Del tuo stesso sangue! Del tuo popolo! >>
Elfi? Ma che… mi voltai verso Legolas fulminandolo << Elfo!!!! Cosa hai detto a questa mandria di bufali….imbufaliti? >> ok, offesa pessima, e poco originale, ma ero furiosa e incontrollabile.
<< Assolutamente niente >> si difese lui.
<< Esatto! >> brontolò Boromir << Non ci ha detto niente, per questo non capisco il motivo di tanta fiducia!  >> non ci capivo niente, non aveva detto nulla e allora perché quella discussione? Da dove nasceva?
<< Legolas ha detto che ha compreso l’importanza di Sophia per noi e per questa terra, ha detto di aver capito perché Elrond l’ha fatta partire insieme a noi, per questo motivo non ho intenzione di saltare a conclusioni affrettate come fai tu! Se Sophia ieri sera si è comportata in quella maniera ci dev’essere stato un motivo, se Sophia è andata a parlare con Saruman ci dev’essere stato un motivo e sono certo che non sono motivi che portano a qualcosa di avverso nei nostri confronti. >>
<< Legolas può benissimo essere stato accecato dai malefici di questa strega come lo sono stato io! >>
<< Sophia non c’entra niente con i tuoi errori, Boromir, Sophia ti ha salvato la vita! >>
<< Ok, adesso basta, mi avete rotto tutti le scatole, SILENZIO!!! >> urlai interrompendo quell’inutile discussione che mi faceva solo perdere tempo. E poi non mi piaceva l’idea di essere il nocciolo della questione ma di non avere voce in capitolo, che ne sapevano loro di ciò che ero e di ciò che mi passava la testa? Non avevano nessun diritto di fare congetture di nessun tipo. Io sola sapevo chi ero, io sola sapevo ciò che dovevo fare e sapevo che in quel momento dovevo muovermi e correre a Minas Tirith!
<< Tu! >> indicai Legolas << Appena avrò modo di averti davanti parleremo, perché penso che ci siano tante cose da spiegare e tante cose da capire. Tu! >> e indicai Aragorn << Ti ringrazio molto per avermi difesa, ti ringrazio per la tua fiducia nei miei confronti, non sai quanto mi aiuta sapere che non tutti mi sono contro e che c’è qualcuno che mi capisce, ma ora come ora sto perdendo tempo, devo andare a Minas Tirith e se c’è qualcosa che vorrai sapere ti giuro che ti racconterò tutto, ma adesso non è il momento! Giuro che appena questa storia sarà conclusa tutti quanti saprete il perché delle mie azioni e saprete perché ho preso parte a questa missione nonostante io non sappia usare la spada, l’arco, lo scudo o non sappia cavalcare! >>
<< Sarà un viaggio velocissimo allora >> ironizzò Boromir alzando gli occhi al cielo << E tu! >> lo indicai facendo un sospiro che mi serviva per raccogliere la pazienza << Tu verrai con me, che lo voglia o no, o forse preferisci rimanere qui con le mani in mano pensando “chissà se sta andando a distruggere la mia casata o il mio popolo”? >>
Avevo colto nel segno, Boromir mi guardò torvo per qualche minuto rimanendo assolutamente in silenzio, poi si voltò e si allontanò.
<< Ci vediamo giù alle scuderie, Mon Amour! >> salutai ridacchiando, ero riuscito a convincerlo per fortuna, certo avevo usato una tecnica pessima, odiavo fare la parte della cattiva, ma almeno non avrei avuto di che preoccuparmi durante la mia assenza.
<< Sophia, continuo a ripetere che secondo me non dovresti salire a cavallo. Devi riposare ancora un po’ >> continuò Aragorn ammorbidendo il tono e avvicinandosi di qualche passo. Sorrisi ancora, mai nessuno si era dimostrato tanto carino con me, Aragorn mi stava proprio tanto a cuore.
<< Aragorn tu non puoi nemmeno immaginare quanto io ti sia grata per tutto ciò che stai facendo per me, me ne ricorderò sempre >> sempre se avrei avuto modo di ricordare, non ero tanto sicura che sarei uscita viva da quella situazione, ora conoscevo il significato della parola “pericolo” e lo temevo, ma non potevo fare altrimenti.
<< Ma devi cercare di essere comprensivo questa volta, anche se non posso spiegarti niente di più dettagliato, vorrei, giuro, ma davvero non posso! Devi solo fidarti di me come hai fatto fin’ora e cercare di capire che così come c’era un motivo che mi ha spinto ad andare a parlare con Saruman, così come c’era un motivo che mi ha spinto a bloccare il salvataggio di Boromir nei confronti di Pipino ieri sera, anche questa volta c’è un motivo che mi spinge ad andare a Minas Tirith. E’ molto importante, per tutti noi. >>
<< E io mi fido >> disse Aragorn con così tanta solennità e sincerità che mi riempì il cuore. Ero emozionata come non mai, ero orgogliosa di averlo conosciuto, orgogliosa di averlo come amico, come compagno d’avventura, orgogliosa che si interessasse in quella maniera a me. Aragorn era un vero Re, e questo mi spinse maggiormente a voler portare a termine la mia missione, lui doveva salire su quel trono! Se lo meritava, era suo diritto.
Ancora una volta mi lasciai guidare dall’istinto e lo abbracciai forte, con il timore di non aver avuto più una possibilità per farlo. Lo strinsi più che potevo, ignorando le mie ossa che scricchiolavano, e anche se il suo odore non era buono e inebriante come quello di Boromir mi piaceva lo stesso, mi  faceva sentire a casa.
<< Grazie, grazie mille! >> dissi con il cuore. Forse era perché non avevo mai avuto un padre, o forse semplicemente perché ero tanto, ma proprio tanto, emotiva e sentimentale, ma per me Aragorn era davvero come un padre, una guida, un protettore. Mi allontanai da lui e mi preparai a intraprendere un lungo viaggio che chissà dove mi avrebbe portata, chissà in che condizioni, chissà quando. Entravo per la prima volta dopo settimane in una galleria buia.
Rimasi immobile qualche secondo a guardare le persone davanti a me, per la prima volta non vedevo più un gruppo di amici, compagni d’avventura, desideri reconditi, personaggi epici, ma vedevo chiaramente una famiglia. La mia seconda famiglia: la migliore. Decisi di dedicare loro qualche parola di congedo, come un triste addio, infondo chissà se li avrei mai più rivisti.
<< Conducete il vostro popolo verso la vittoria, mio Signore. Sono sicura che le vostre capacità ve  lo permetteranno >> dissi facendo un leggero inchino rivolto a Theoden.
<< Gimli, racchiudi in te tutta la fierezza della tua razza e la porti con onore. >> dissi al nano e mi abbassai per abbracciare anche lui. Mi rialzai e lo vidi tenersi ben dritto con la schiena, fiero e orgoglioso di ciò che avevo appena detto. Mi voltai e incrociai di nuovo Aragorn, cosa potevo dire a uno come lui? Il mio discorso sarebbe stato decisamente troppo lungo, la mia ammirazione nei suoi confronti era immensa. << Sei stata la miglior guida che io abbia mai incontrato >> mi avvicinai posandogli una mano sulla spalla << E sono certa che saresti un ottimo Re, il migliore che Gondor abbia mai avuto >>.
<< Parli come se non dovessimo vederci mai più >> disse un po’ turbato Aragorn.
<< Beh, sai, non è che mi fidi tanto di Boromir. Secondo me farà in modo di perdermi per strada o cercherà di uccidermi nel sonno >> dissi sdrammatizzando con un sorriso, ma a dirla tutta quelle cose le pensavo davvero.
<< Non parlare così di Boromir, presto capirai tante cose di lui, sono sicuro che questo viaggio vi aiuterà a trovarvi >>
<< Cosa c’è da capire? L’ha detto chiaramente che mi disprezza e che mi crede una spia di Sauron >>.
<< Lui più di tutti si è sentito tradito, è solamente accecato dalla rabbia. Il tempo aiuterà. >> non trovai il modo di rispondergli ancora che sentii un fischio provenire dal cortile di sotto, cortile perfettamente visibile da una terrazza lì vicino. Mi affacciai e trovai Boromir già pronto con due cavalli << Se non ti muovi parto da solo >>, minacciò.
Decisi che prenderla con filosofia era il modo migliore, così poggiai i gomiti sulla ringhiera di pietra e la testa sulle mani << Oh, Romeo, Romeo, perché sei tu, Romeo? >> recitai prima di rialzarmi ridacchiando e girarmi verso l’ultimo della compagnia rimasto da salutare.
<< Orecchie a punta! Con me! >> dissi accompagnando la frase con un gesto della testa << Accompagnami di sotto devo dirti due parole >>.
E insieme ci incamminammo verso il cortile dove Boromir aspettava.
<< Dimmi >> cominciai una volta che ci fummo allontanati abbastanza dagli altri << A che conclusioni sei giunto? >>
<< Le stesse dell’ultima volta con una piccola aggiunta: penso che tu non sia della Terra di Mezzo. Hai troppe cose strane, sembri per l’appunto non appartenere a questa terra. >>
<< Sei un piccolo genietto!! >> ridacchiai dandogli una leggera pacca sulla spalla.
<< Ho indovinato? >> chiese Legolas sorridente, sentendosi orgoglioso delle sue deduzioni.
<< Sei molto intelligente, devo ammetterlo, ma ora basta con i giochetti >> diventai nuovamente seria << Una grande paura sconvolge il mio cuore, temo di non riuscire a sopravvivere a quest’ultimo viaggio per questo ho bisogno che tu faccia una cosa per me >>, Legolas mi guardò preoccupato e incuriosito. Feci una piccola pausa per riorganizzare le idee e decidere da dove cominciare << Tu hai mai sentito parlare di Jhon Ronald Reuel Tolkien? >> chiesi procedendo lentamente, avevo tante cose da raccontargli e poco tempo. Alla risposta negativa dell’elfo continuai << Tempo fa quest’uomo arrivò qui sulla Terra di Mezzo da una dimensione parallela, un altro mondo, completamente diverso da questo, a portarlo qui fu Galadriel. Tolkien trascorse molto del suo tempo a Lothlorien dove apprese la lingua elfica, le storie antiche, le leggende e tutto ciò che riguardava la Terra di Mezzo, compresa la storia dell’Anello del potere e di Frodo. A raccontargliela fu lo specchio di Galadriel: gli mostrò l’intera vicenda per esteso, comprese le lotte tra Saruman e Rohan, o tra Isengard e gli Ent e tutto ciò che è successo in questi giorni e ciò che succederà nei prossimi. >> feci un’altra piccola pausa per permettere all’elfo di assimilare tutte quelle informazioni << Tolkien però dovette tornare a casa e affascinato da quanto aveva appreso, o semplicemente per paura di dimenticare, impresse tutte le sue conoscenze in vari libri, tre di questi unicamente dedicati a Frodo e all’Anello. Io, Legolas, vivevo in quel mondo e ho letto e riletto quei libri fino alla nausea. >> mi voltai verso l’elfo fermando la mia marcia, era un argomento delicato, dovevo guardarlo negli occhi per permettergli di capire la profondità della situazione << Per questo io conosco molte cose, non prevedo il futuro, ma è tutto scritto! Capisci? Io ho avuto modo di leggere il vostro futuro. A portarmi qui sulla Terra di Mezzo fu Saruman, ma questa è una cosa che ho appreso l’altro giorno, quando sono andata nella torre da lui. Lui aveva scoperto attraverso i miei sogni che io avevo queste conoscenze e … >> mi bloccai indecisa se continuare o meno, ma sentivo che dovevo continuare! Stavo dando la verità in mano a quell’elfo così che ne avrebbe potuto fare buon uso, così abbassai lo sguardo un po’ imbarazzata da quanto stavo per dirgli << Inconsciamente ero io a mettermi in contatto con Saruman durante il mio sonno, mostrando lui le mie conoscenze, fornendogli il mio “potere” su un vassoio d’argento in cambio di…del cuore dell’uomo più meraviglioso che abbia mai conosciuto. Sono innamorata di Boromir, Legolas >> ammisi un po’ titubante << Innamorata alla follia, lo ero già prima di arrivare qui semplicemente leggendo ciò che Tolkien scriveva di lui. Quindi Saruman mi portò qui per propormi un accordo, l’anello del potere in cambio di Boromir. >> rialzai lo sguardo incrociando i suoi occhi sorpresi, stupiti e incredibilmente incuriositi << Ma non è finita qui >> ripresi a camminare << Quando sono salita sulla torre di Saruman l’altro giorno lui mi ha spiegato quest’ultime cose, cioè come ho fatto ad arrivare qui, e mi ha proposto l’accordo che ti ho appena illustrato. In altre occasioni non avrei esitato ad accettare, ma vivere queste avventure sulla pelle mi ha fatto capire che non dovevo prendere alla leggera ciò che avevo tra le mani, così ho fatto finta di accettare, e ho condotto Saruman verso la distruzione, per questo mi ha quasi uccisa. Tutto ciò che ho fatto l’ho fatto per voi, per far sì che la storia seguisse i suoi binari, la sua scia, che non cambiasse nulla e che tutto filasse dritto. Solo che…ho commesso un errore. >> confessai ancora, Legolas era rimasto per tutto il tempo in silenzio e lo era ancora, preso completamente dalla mia storia << Boromir non doveva essere qui. >> ammisi << Lui sarebbe dovuto morire quando l’avete trovate con le frecce nel petto, la sua storia sarebbe terminata in quel preciso istante, ma il mio amore nei suoi confronti è troppo accecante, tanto abbagliante da non riuscire a vedere altro. Ho salvato Boromir e ho portato un sacco di modifiche nella storia che potrebbero compromettere la sorte della Terra di Mezzo. Per questo sto andando a Minas Tirith, per correggere i miei errori, per far sì che la sopravvivenza di Boromir non comporti troppi problemi. >>
<< Cosa accadrà di preciso a Minas Tirith? >> mi chiese serio Legolas, ormai sentiva di potersi permettere anche domande di quel tipo.
<< Nella storia ufficiale, quella dove Boromir muore, Pipino sentendosi in colpa nei confronti del Sovrintendente Denethor offre a lui i suoi servigi e viene nominato guardia della cittadella. Sarà solo grazie a quel motivo che Pipino sarà presente…quel giorno. >> feci un sospiro raccoglitore << Denethor saputa la morte di Boromir andrà verso la pazzia, ignorerà completamente suo figlio Faramir e lo manderà alla morte per combattere gli orchi che hanno invaso Osgiliath. Faramir tornerà a casa gravemente ferito, ma non morto! Denethor però non darà ascolto alle parole di Pipino che tenterà di fargli capire che Faramir ha solo bisogno di cure, e credendo la fine di tutto deciderà di suicidarsi dando fuoco al suo corpo insieme a quello di Faramir che ancora è vivo. Pipino vedrà la sua follia, correrà da Gandalf e insieme riusciranno a salvare almeno Faramir. Il problema è che ora Boromir è vivo, quindi le cose sono cambiate. Nel caso Denethor non impazzisca ci sarà guerra all’arrivo di Aragorn per il trono e solo Dio sa cosa potrebbe accadere >>
<< Una guerra civile >> sussurrò Legolas inquieto << Nel caso invece impazzisca lo stesso, cosa molto probabile in quanto lui è in possesso di un Palantir e questo farà sì che la sua mente si offuschi completamente, non ci sarà Pipino a salvare Faramir perché non essendo guardia della cittadella non sarà presente al momento opportuno. Per questo devo andare, devo salvare Faramir da quest’eventualità! E’ importante. >>
<< Ora capisco tutto. Sei stata comunque un’incosciente, hai dato in pasto ai leoni il futuro della Terra di Mezzo per un uomo! >> mi brontolò quasi.
<< Tu che avresti fatto al mio posto? L’avresti lasciato morire lì, eh? Se fosse stato Gimli al suo posto? O Aragorn? Non avresti cercato di salvarli? >> risposi a tono e questo riuscì ad azzittire l’elfo, sapeva che avevo ragione.
<< Sento di poter gestire la situazione, ho cambiato il destino già una volta, posso riuscirci una seconda >> intanto arrivammo quasi al cortile << Ora però arriva la parte più importante, Legolas! Non devi assolutamente rivelare a nessuno niente di ciò che ti ho appena detto, è importante! Il conoscere il futuro fa commettere gesti sconsiderati, come è successo a me con Boromir. Nessuno deve sapere assolutamente niente, né di me, né di Boromir, né di Denethor o del Palantir che lui possiede. Niente di niente! >>
<< Hai la mia… >> cominciò lui solenne ma io lo interruppi << A meno che…>> feci un sospiro << A meno che io non perda la vita prima della fine. Se per caso dovesse succedermi qualcosa, qualsiasi cosa che mi possa impedire di rivedervi ancora e di raccontare tutto ad Aragorn, Boromir, Gimli e tutti gli altri, soprattutto a Boromir, così che capisca che tutto questo l’ho fatto solo per lui. >>
<< Vai a salvare suo fratello, anche questo è un grande gesto d’amore >>
<< Già >> dissi rendendomene conto solo in quel momento << E pensa un po’ chi è l’uomo che mi disprezza di più in questo momento? >> ridacchiai riprendendo a camminare verso il cortile.
<< La chiamano ironia della sorte >> commentò Legolas prima di tornare serio << Te lo prometto, Sophia. Non dirò niente a nessuno >> giungemmo in cortile, Boromir ci raggiunse con i cavalli e io mi concedetti un ultimo saluto anche per l’elfo abbracciandolo  anche se con meno enfasi di come avevo fatto con Aragorn. << Sei un buon amico. Mi fido di te. >> confessai e lo salutai con lo sguardo prima di avvicinarmi al cavallo per montarci su.
<< Fate buon viaggio e, Boromir, riportacela sana e salva intesi? >> chiese l’elfo cortesemente e Boromir rispose con un grugnito e una smorfia, aveva l’entusiasmo di un bradipo. Stavo per salire a cavallo quando mi sentii chiamare vivacemente. Mi voltai appena in tempo per vedere Merry saltarmi addosso e abbracciarmi << Perché te ne vai, Sophia? Non puoi abbandonarci adesso! Non puoi…abbandonarMI adesso. >> piagnucolò e io lo strinsi forte in risposta << Ci rivedremo presto, Merry, te lo prometto. Perdonami ma ci sono delle faccende che devo assolutamente sbrigare a Minas Tirith >>
<< Ma tra qualche giorno partiremo anche noi! Puoi venire con noi >> cercò di convincermi Merry.
<< No, piccoletto! Ho fretta, non posso aspettare né indugiare. Devo arrivare il prima possibile a Minas Tirith. Porterò i tuoi saluti a tuo cugino >> dissi facendogli l’occhiolino. Merry non disse altro e Legolas gli si avvicinò prendendolo per le spalle per confortarlo mentre salivo sul cavallo. Non sapevo cavalcare, ma tempo prima una mia vecchia amica che faceva equitazione mi aveva fatto provare un paio di volte. Era stato un disastro e speravo di non combinare gli stessi guai in quei giorni.
<< Namarie >> sorrisi ai due prima di cominciare a cavalcare verso nuovi orizzonti.

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Capitolo 11
*** Scusami tanto, Macho Man, ma io non ce la faccio più! ***


Ok, il viaggio che mi ero prefigurata era un po’ diverso da quello che in realtà avevo intrapreso. Ero sola con l’uomo che amavo, cavalcavo insieme a lui come nelle storie d’amore, doveva essere bellissimo sentire il vento sulla faccia e sapere che la persona accanto provava le stesse sensazioni, guardare verso lo stesso orizzonte. Ma fu tutto il contrario. Boromir non mi rivolgeva nemmeno uno sguardo, il vento, nonostante fosse primavera, era pungente e freddo, gli orizzonti oscuri e annebbiati. E nonostante mi aveva sempre affascinato l’idea di stare sulla sella di un cavallo in piena corsa mi resi conto in quel momento che era faticoso e difficoltoso.
Dovevo imparare ad aspettarmi meno dalla vita.
La sera arrivò molto lentamente, più volte mi ero chiesta se non fosse già arrivata senza che me ne fossi resa conto tanto scorreva lentamente il tempo. Boromir pareva non volesse fermarsi nemmeno per riposare la sera o per mangiare, io invece avevo i crampi allo stomaco, non mettevo nulla sotto i denti dalla sera prima durante la festa.
Arrivata a un certo punto non ce la feci veramente più e fermai il cavallo ignorando l’uomo che correva ancora veloce e gli dovetti gridare contro per fargli notare che avevo preso una decisione, altrimenti avrebbe proseguito verso Minas Tirith senza di me.
<< Scusami tanto, Macho Man, ma io non ce la faccio più! Il sole è calato, fermiamoci a mangiare un boccone e a riposare un attimo >>
<< Non avevi detto che avevi fretta di arrivare? >> chiese con una punta di ironia nella voce mentre tornava indietro e sistemava il cavallo legato a un ceppo.
<< Certo, ma vorrei arrivarci viva e in carne, se permetti! >> risposi a tono mettendomi a sedere per terra stremata. Sentivo le gambe mollicce tanto erano stanche, mi faceva male il sedere, la colonna vertebrale e lo stomaco! Presi da una delle borse legate al cavallo un pezzo di pane degli elfi, un pezzo di Lembas, che ancora mi era rimasto da Lothlorien e cominciai a mangiucchiare affamatissima. Boromir si sedette poco lontano da me e fece lo stesso.
Eravamo soli e silenziosi, maledizione Sophia! Dovevo parlare, non potevo passare tre giorni in quello stato, dovevo cercare di trovare un punto di ritrovo tra noi due, dovevo trovare il modo di riallacciare i contatti. Era stato così bello quando si preoccupava per me i primi giorni, era stato divino quando mi aveva portato in spalla nelle Miniere o mi aveva protetto dagli attacchi degli orchi. Perché ora doveva essere cambiato tutto così? Solo perché avevo deciso di fare la cosa giusta.
<< Le giornate sono sempre più buie >> commentai guardando il cielo, pessimo modo di attaccare bottone, era un classico parlare del tempo quando non si aveva argomenti e io lo detestavo perché dimostrava proprio di essere disperati. Ma in quel momento effettivamente lo ero.
Boromir rispose con un altro grugnito, non faceva altro da quando avevamo lasciato gli altri. Mi irritò a morte!
<< Senti, Mr Pig, hai intenzione di trattarmi così per tutto il viaggio? >>
<< Anche peggio. >>
<< Oh, bene, allora sono più tranquilla >> dissi ironica posando le spalle su una roccia dietro di me. Alzai di nuovo lo sguardo al cielo, quelle nubi nere che correvano veloci nel cielo mi trasmettevano emozioni così forti di paura che quasi mi faceva tremare. Poi non so quale forza misteriosa mi spinse a voltare lo sguardo e posarlo sulla roccia su cui ero poggiata, e fu allora che lo vidi. La creatura peggiore che potesse esistere! Era a pochi centimetri da me che muoveva quasi meccanicamente le sue zampette pelose, su quel corpicino tozzo e peloso anch’esso. Niente di più terribile e disgustoso! Sarei saltata in braccio a un orco piuttosto! Con uno scatto felino mi allontanai dal sasso gridando e rabbrividendo dall’orrore. Boromir spaventatosi della mia reazione d’istinto sfoderò la spada e si alzò in piedi guardandosi attorno ma rimase stupito di non vedere assolutamente niente.
<< Dico, sei impazzita? >>
<< Quella cosa raccapricciante!!! >> gridai indicando il sasso << Levala! Che schifo! Toglimela da davanti agli occhi, uccidila, squartala! Sbudellala! Seppelliscila viva! >> la parte da criminale psicopatico di me stava venendo fuori con un impeto tempestoso mentre ancora continuavo a rabbrividire e ad allontanarmi di qualche centimetro strisciando per terra.
Boromir si chinò sul sasso e guardò l’essere da troppo vicino per i miei gusti, poi si voltò verso di me guardandomi un po’ infuriato, un po’ sconvolto, un po’ deluso << Mi hai fatto buttare all’aria la mia cena >> disse indicando il Lembas che era caduto a terra nel momento in cui si era alzato << Per uno stupido ragno? >>
<< Non è uno stupido ragno! E’ un essere disgustoso, servitore del demonio! Chiama un esorcista! Estirpalo! >>
<< Tu sei tutta scema >> commentò posando la spada nel fodero e rimettendosi a sedere e lasciando il ragno lì dov’era. Ragno che pian piano si stava avvicinando alla mia borsa posata lì, vicino al masso.
<< No!!!! Che fai??? Sta andando ad infettare le mie cose! Ho tutte le mie provviste lì dentro, le mie cose! Caccialo!! Uccidilo!!! >> continuai ad agitarmi strisciando verso Boromir e cominciando a scuoterlo molto vivacemente, shakerandolo per bene.
<< E va bene! E va bene! Ma lasciami stare! >> si avvicinò al ragno e con un colpo di dito lo fece volare via. Tirai un sospiro di sollievo e mi riavvicinai al mio zaino cominciando a controllarlo come solo C.S.I. sapeva fare. 
Nessun segno di contaminazione identificato.
<< Guarda che era un ragnetto del tutto innocuo! Non penso che abbia avuto modo di infettarti la borsa >> commentò lui con il solito tono irritato, tutto ciò che facevo gli dava i nervi, perfino vedermi respirare! Non ce l’avrei fatta, lo sentivo, non sarei riuscita a sopravvivere a quel tormento.
<< Per favore >> mormorai senza voltarmi verso di lui << Invece di criticare tutto ciò che faccio, preferisco che tu stia in silenzio >> riposai la mia roba per terra con impeto, sfogando almeno un minimo i miei nervi su quell’innocuo oggetto. Mi alzai e gli voltai le spalle facendo due passi  verso l’oscurità intorno a noi << E ora dove vai? Non ho intenzione di correrti dietro per proteggerti. >>
Perché continuava? Doveva stare zitto! Doveva smetterla di ferirmi in quella maniera! Strinsi i pugni e continuando ad ignorarlo continuai a camminare verso un punto sconosciuto di fronte a me, ovunque, ma lontano da lui.
Arrivai fino a una piccola discesa, simile a quella che avevo visto quando mi ero svegliata, e mi fermai lì a guardare l’oscurità di fronte a me. Era così buio che era impossibile vedere qualcosa, ma a me andava bene lo stesso: mi immaginavo campi sconfinati, rocce e pietre, alberi e arbusti, quel meraviglioso luogo che era la Terra di Mezzo anche se contaminata e infettata dalla rabbia e dal dolore. Rabbia e dolore che in quel momento facevano parte anche di me.
Quante volte chiusa nella mia stanzetta, stesa sul mio morbido letto dal piumone blu, avevo pensato a quanto sarebbe stato bello trovarsi in una situazione simile a quella che stavo vivendo, passare giorni, settimane, mesi e anche anni, se mi era concesso, insieme all’uomo che amavo più di qualsiasi altra cosa. Ma ora che questo mi era stato donato non desideravo altro che tornare a casa a sognare: almeno lì, nei miei sogni, lui non mi disprezzava in quella maniera, i miei sentimenti non erano fiume che sfociava in un immenso mare disperdendosi. Mi piegai sulle ginocchia, incapace di sopportare quell’enorme peso sulle mie spalle, e accarezzai l’erba secca sotto di me, sentendomi come lei: abbandonata, secca, avvilita, con solo bisogno di qualche goccia d’acqua, qualche goccia d’amore.
Perché non avevo accettato la proposta di Saruman? Ormai da giorni me lo chiedevo, avevo fatto la cosa giusta, ma non immaginavo che sopravvivere in quell’inferno fosse così terribile, così doloroso.
E io stavo pure facendo quel viaggio della morte solo per andare a salvare suo fratello e il suo popolo! Era questa la riconoscenza che mi serbava per avergli salvato la vita? Perché diavolo l’avevo fatto? Non potevo lasciarlo morire lì, in mezzo al nulla, solo come un cane con compagnia solo la sua disperazione?
Le immagini di quel giorno mi sovvennero alla mente, come tante piccole fotografie messe insieme in un video musicale.
No. Non potevo lasciarlo lì, avevo fatto la cosa migliore, non dovevo essere egoista e pensare solo a me stessa. Indifferentemente che si trattasse di Boromir o di chiunque altro, salvare la vita a una persona è sempre una cosa giusta. Non dovevo pentirmene solo perché non ero ricambiata. Non dovevo nemmeno pensare a cose del genere! Che razza di essere stavo diventando? Che veramente la mia anima fosse macchiata dello stesso nero che macchiava Mordor o Isengard? No! Mai avrei dato una soddisfazione del genere a Saruman, io ero stata mandata lì per fare del bene, l’avevo sempre saputo, al diavolo le intenzioni dello stregone! Avrei portato avanti la mia vita, benché fosse più difficile del previsto, poi una volta conclusa la mia missione mi sarei potuta ritirare in solitudine, a logorare me stessa e rimettere insieme i pezzi del mio cuore, ormai ridotto a un puzzle di cui si sono persi alcuni pezzi, ma solo DOPO.
Feci un sospiro, dovevo essere forte, non dovevo arrendermi, quella era una delle prove più dure che avessi mai potuto affrontare ma dovevo andare avanti. Ignorarlo, far finta di essere sola, non sentire le sue parole avvelenate. Era questo il segreto.
Mi alzai dalla mia postazione e tornai a quella specie di accampamento improvvisato. Boromir nel frattempo aveva acceso un fuoco, e legato bene i cavalli, preparandosi per mettersi a dormire. Mi lanciò un’occhiata fugace prima di stendersi sull’erba e coprirsi con il mantello di Galadriel, un’occhiata che non seppi interpretare, non era, come mi aspettavo, impregnata d’odio, c’era qualcosa che non riuscivo a capire.
Triste abbassai lo sguardo e mi rimisi a sedere al mio solito posto, davanti al fuoco il cui calore non mi scaldava per niente, avevo bisogno d’altro per riuscire a trovare sollievo. Mi voltai verso Boromir che aveva chiuso gli occhi, anche se ovviamente ancora non dormiva.
Sospirai e mi accucciai sentendomi un cucciolo abbandonato a se stesso. Mi era capitato più volte vicino casa di trovare animali randagi ma mai avevo dato loro troppa importanza: né una carezza, né un sorriso, né una parola dolce, né delle briciole da sgranocchiare. La mia priorità era sempre stata quella di star loro lontani perché potevano avere malattie e potevano mordere, ho sempre avuto paura dei  randagi, ma ora…capivo tutto. Se avessi avuto modo di tornare a casa non avrei più cambiato marciapiede se un cane randagio mi fosse venuto incontro.
E così pensierosa, continuando ad osservare il dolce viso di Boromir rilassarsi man mano che il sonno lo prendeva, così, invidiando Morfeo come mai avevo invidiato nessuno in quanto aveva la possibilità di abbracciarlo, mi addormentai turbata dai miei sentimenti e stremata per la dura giornata.

 
La mattina dopo il mio risveglio fu alquanto turbato, Boromir mi scosse con un piede, come fosse veramente un cane rognoso e mi urlò contro << Svegliati! E’ tardi! >>. Mi svegliai, per rimanere in tema di animali, come un gatto spaventato: saltando sul posto e irrigidendomi guardandomi attorno con gli occhi spalancati. Quando mi resi conto che non era successo niente e che ero solo stata vittima della dolce delicatezza dell’uomo allora mi ripresi, mi alzai in piedi cercando di rilassarmi.
<< Comunque per domani mattina ti consiglio una padella e un mestolo >> dissi nera in volto di rabbia, odiavo essere svegliata in quella maniera, soprattutto quando avevo dormito poche ore! Era ancora buio, perché mi aveva costretta ad alzarmi? Come minimo mancava ancora un’ora dall’alba. Come faceva lui a dormire così poco? Che razza di domande, era un uomo di Gondor, era già tanto che non fosse abituato a dormire 3 ore alla settimana.
<< Come ? >> mi chiese non capendo a cosa mi riferivo << Per svegliarmi! Sei stato tanto delicato oggi! >> dissi ironica cominciando a sistemare le mie cose sul cavallo come stava facendo lui, sentivo i nervi a fior di pelle, era sempre così. Quando dormivo poco poi mi svegliavo arrabbiata come un leone.
<< Potrei prendere in considerazione la tua proposta, peccato non abbiamo né padelle né mestoli >>, risposi alla sua provocazione con un occhiataccia, occhiataccia che non gli fece nessun effetto, sembrava divertirsi tant’è che mi destinò un sorriso beffardo.
Mi fermai a riflettere: dovevo assolutamente evitare di rispondere! Non dovevo lasciarmi andare alla rabbia, dovevo respirare, rilassarmi e ignorarlo. Ignorarlo, esatto! Salii sul cavallo, pronta ad andarmene e continuare la folle corsa verso la città.
<< Genio, hai intenzione di andartene senza le armi? >> mi disse Boromir indicando la mia spada e la mia daga per terra.
<< Mannaggia! >> sbottai rendendomi conto della mia sbadataggine: ero troppo assonnata! Non capivo assolutamente niente, avevo bisogno di un caffè! Smontai da cavallo, andai a prendere le mie cose, legai la spada alla vita insieme alla daga e mi riavvicinai al cavallo, che percependo la mia irritazione si agitò un po’.
Tentai di calmarlo con delle carezze, cercando di calmare anche i miei bollori, altrimenti sarebbe stato inutile. Riuscii per fortuna a tranquillizzarlo e a salire nuovamente, ma Boromir era già partito << Ehi!! Aspettami! Devi portare me a Minas Tirith non il tuo cavallo! >> mi lamentai mettendomi in corsa. Il giorno fu duro come quello precedente, stancante e ancora una volta non ebbi modo di scambiare con l’uomo né uno sguardo né una parola, e la sera arrivò nuovamente.
<< Mi rifiuto di andare avanti a stomaco vuoto! >> brontolai per convincere Boromir a fermarsi a riposare.
<< Ci metteremo il doppio del tempo così. >> rispose lui con tono lamentoso mentre si metteva a sedere poco lontano da me e preparava di nuovo un fuocherello per scaldarci.
Decisi che era tempo di cambiare le cose, mi ero scocciata di vivere quelle giornate in maniera così turbata così tentai di nuovo di trovare un punto di incontro tra noi due, anche se in maniera ancora più disperata della precedente.
<< Senti, mi dispiace >> ammisi e Boromir si voltò a guardarmi aspettando che continuassi a parlare << Ti ho coinvolto in questa situazione mentre tu magari preferivi partire per Gondor insieme all’esercito di Rohan e combattere per il tuo popolo, ti chiedo scusa, ma ti assicuro che era necessario.  >>
<< Le tue parole non hanno più valore per me, lo sai vero? >> abbassai lo sguardo rattristata << Sì, lo so >> ammisi. Probabilmente Boromir percepì la mia tristezza e il mio disagio in quanto si ammorbidì nei toni e mi disse << Dammi delle motivazioni valide, e io tornerò a fidarmi di te >>.
Era un grande aiuto da parte sua, qualcosa che mi fece capire che c’era ancora speranza per me di riuscire ad instaurare un buon rapporto con lui, ma non era così semplice! In quel momento dovevo evitare proprio di dare motivazioni, ma non potevo lasciarmi sfuggire un’occasione del genere.
<< Pipino doveva guardare dentro il Palantir! Sapevo che così il nemico sarebbe uscito allo scoperto e noi avremmo potuto anticiparlo, non temevo per la vita di Pipino perché…sono troppo fiduciosa nel destino. E sono fiduciosa in Gandalf e in Pipino stesso! >>
<< Continui a non convincermi, ma andiamo avanti. Perché questo viaggio? >>
Maledizione, aveva proprio deciso di complicarmi la vita!
<< Perché…ho delle faccende private da svolgere >> grandissima bugia. << C’è qualcuno che mi sta aspettando a Minas Tirith, ha bisogno del mio aiuto il prima possibile. Per questo ho fretta. >> Mezza verità. Quanto odiavo ingannarlo, ma non avevo altra scelta!
Boromir rimase in silenzio, probabilmente pensando a quanto gli avevo detto e decisi di togliermi un piccolo sassolino nella scarpa, anche se forse non era il momento migliore.
<< Boromir >> lo destai dai suoi pensieri, com’era bello pronunciare il suo nome, le lettere scivolavano dalle mie labbra come una carezza << Sai che Aragorn prima o poi tornerà sul trono, vero? >> lui rispose con un “mh-mh” un po’ distratto << Se…se tuo padre non volesse cedergli il trono, se dovesse aizzarli  contro un esercito, se ci dovesse essere una guerra civile, tu come ti comporteresti? >>
<< Non succederà mai una cosa del genere, mio padre è un uomo d’onore, si farà da parte con orgoglio e fierezza.  >>
Mera illusione.
<< Ma SE mai dovesse capitare una cosa… >>
<< Ti ho detto che mai accadrà una cosa del genere! >> mi urlò contro irritato dal fatto che avessi potuto mettere in dubbio le qualità di suo padre, era incredibile la fiducia che poneva in lui, io non sapevo nemmeno che volesse dire ormai avere fiducia nel proprio padre. Sospirai prima di alzarmi e andarmi a sedere vicino a lui, spalla contro spalla, davanti al fuoco e rimasi a fissare le piccole fiamme che si sforzavano di vincere la lotta contro il freddo << Sai, nella vita ci sono poche lezioni  che mi sono state impartite, non mi sento questa grande “donna vissuta”, sento che ho ancora molto da imparare, sono ancora giovane, ma di una cosa sono certa: non bisogna mai avere fiducia di nessuno in maniera così accecante, nemmeno dei propri genitori >>
<< Stai cercando di mettermi contro mio padre, strega?! >> disse irritato ma io rimasi immobile nella mia postazione, ignorando le sue parole piene di astio e continuai << Avevo poco più di 10 anni quando ho imparato questa lezione. Prima di allora mio padre era la persona che più amavo e di cui più mi fidavo in questo mondo, era il migliore, l’avrei seguito anche in capo al mondo, mi sarei lanciata da una balconata se solo mi avesse detto di farlo, un po’ come te >> dissi accennando un piccolo sorriso carico di tristezza, Boromir rimase ad ascoltare stranamente interessato, forse perché era la prima volta che gli parlavo di me e del mio passato, o forse perché era un argomento che in qualche modo lo riguardava << Poi imparai. Lo imparai un giorno, così dal niente, svegliandomi una mattina e rendendomi conto che lui non c’era più. Se n’era andato lasciando me, mio fratello e mia madre sommerse dai debiti e dai problemi, per anni abbiamo lottato per poter continuare ad avere un tetto sopra la testa e un pezzo di pane da mangiare. >> ok, forse la rendevo troppo drastica, ma più o meno le cose erano andate veramente così << mentre lui passava ogni giorno come fosse una nuova vita, cambiando continuamente donna, mettendo al mondo figli e poi abbandonandoli come aveva fatto con me e mio fratello. Queste sono tutte notizie che mi sono arrivate per puro caso in quanto io da quel giorno non lo vidi né lo sentii più. >> abbassai lo sguardo guardandomi la punta di piedi << E non immagini nemmeno quante lacrime ho versato per questo, quante volte avrei voluto rivederlo pur sapendo che sarei stata confusa, indecisa se andarlo ad abbracciare o gridargli contro tutta la mia rabbia tramutata negli anni in odio. Tutt’ora non so più cosa provo nei suoi confronti se non rammarico. Non voglio metterti contro tuo padre, non mi sognerei mai di farlo solo che…  >> mi bloccai e mi voltai a guardarlo negli occhi e per la prima volta in tanti giorni non vidi odio, ma dispiacere, pietà, dolcezza. << … solo che >> continuai un po’ titubante, imbarazzata per quanto stavo per dire, era la prima volta che mi aprivo così tanto con lui << non ho mai incontrato una persona migliore di te e non voglio che tu patisca ciò che ho patito io. Vorrei solo metterti in guardia affinché non ti ritrovi a vivere una situazione come la mia, non lo auguro a nessuno, benché meno a te. >>
Mi sentivo morire di vergogna, non riuscivo più a sostenere il suo sguardo che si era addolcito ancor di più, contornandosi di un pizzico di sorpresa, così mi alzai immediatamente e ritornai al mio posto, stendendomi sull’erba secca, voltandogli le spalle e chiudendo gli occhi per addormentarmi. Quella sera avevo parlato anche fin troppo.

 
La mattina dopo mi svegliai stranamente di buon ora, anzi forse anche troppo presto in quanto Boromir stava ancora dormendo, o forse era lui ad essere troppo stanco: mi ero addormentata prima di lui la sera prima, chissà che ore aveva fatto.
Beh, era arrivato il momento della vendetta! Avrei potuto svegliarlo con un urlo, con una pedata o lanciandogli qualcosa addosso, così avrebbe capito cosa si provava a essere svegliati in maniera così traumatica. Mi scrocchiai le dita soddisfatta della situazione che si era posta e mi avvicinai all’uomo sogghignando, ma…non ebbi il coraggio di fare niente. Rimasi immobile a guardarlo anche fin troppo mentre dormiva: era qualcosa di meraviglioso. Avevo già avuto modo di vederlo dormire e tutte le volte mi aveva addolcito l’anima, sembrava un bambino, un dolce fanciullo. Le labbra semidischiuse, il respiro caldo che creava una leggera nuvoletta in contrasto con il freddo della mattina, gli occhi chiusi  così delicatamente, segno di una pace immensa, i capelli neri che gli accarezzavano la guancia e scendevano morbidamente lungo la nuca, le spalle che si muovevano ritmicamente al suo respiro rilassato, trasmetteva pace e serenità, era come una candelina in mezzo a tanta oscurità. Mi chinai delicatamente sul suo volto portando le labbra vicino al suo orecchio, da quella posizione il suo odore era così intenso e così ubriacante! Posai una mano sul suo braccio sempre molto delicatamente, turbata all’idea di spaventarlo o destare il suo sonno in maniera brusca, e lo scossi leggermente << Boromir >> sussurrai dolcemente << Svegliati, è ora di andare >>.
Sentii l’uomo irrigidirsi appena sotto il mio tocco, ma si rilassò quasi subito e aprì lentamente gli occhi annebbiati e stanchi dal sonno. Inclinai leggermente la testa, così da vederlo da dritto in quanto era steso su un fianco, e gli sorrisi: com’erano belli quegli occhi benché fossero opacizzati dalla stanchezza, sembravano un libro dalle mille e più pagine, pronto a illuminarti a ogni singola parola. Tanto da scoprire, tanto da leggere, tanto da ammirare ed amare.
<< Buongiorno >> dissi dolcemente prima di posare una mano sui suoi capelli, dargli una carezza leggera e alzarmi per andare a mangiare qualcosa.
Boromir si alzò lentamente, sembrava proprio distrutto. Scosse la testa per darsi una svegliata, poi alzò gli occhi al cielo << Dev’essere tardissimo. >> commentò un po’ preoccupato con una voce molto più roca del solito, ancora avvolta dal sonno. Mangiai un pezzo di pane degli elfi prima di seguire il suo sguardo lungo le nubi che correvano sopra la nostra testa << Non saprei dire, il sole è poco visibile, le giornate si fanno più scure e io non sono mai stata in grado di capire l’orario guardando semplicemente il cielo >>. Boromir si portò una mano alla fronte, chiudendo gli occhi, per riprendersi dal sonno poi si alzò in piedi e cominciò a preparare i cavalli per la partenza.
<< Non mangi qualcosa prima? >> chiesi un po’ preoccupata, non poteva certo cavalcare a stomaco vuoto! Mi sarebbe svenuto per la fame a metà strada.
<< Non c’è tempo, dev’essere molto tardi e tu hai detto di avere fretta. >>
<< O forse quello ad avere fretta sei tu. >> dissi senza controllare le parole. La mia frase colpì molto l’uomo in quanto rimase in silenzio, evidentemente avevo centrato il bersaglio. Mi alzai in piedi tenendo stretto il mio pezzo di Lembas e mi avvicinai a lui posandogli una mano su un braccio << Capisco la tua nostalgia di casa, anch’io ultimamente ne provo tanta. Non vedi l’ora di rivedere il tuo popolo e poter riabbracciare tuo fratello e tuo padre, non è così? >> Boromir mi lanciò un’occhiata piena di significato in segno affermativo ma continuò a non rispondere e a sistemare i cavalli. Gli porsi il mio pezzo di pane << Tieni, devi mangiare qualcosa. La mia scorta dev’essere bene in forze altrimenti chi mi proteggerà in caso di attacco nemico? >> dissi facendogli un occhiolino, Boromir si fermò ancora e ancora una volta si voltò a guardarmi. Rimase un po’ pensieroso guardando il pezzo di pane che gli stavo offrendo poi allungò la mano per poterlo prendere, stavo per esplodere di gioia! Dalla sera prima sentivo che qualcosa era cambiato, stava forse cominciando a fidarsi? Era magnifico, forse se avessi continuato a muovermi sulla stessa linea d’onda tutto sarebbe tornato apposto, lui mi avrebbe di nuovo sorriso e avrebbe smesso di odiarmi, e io sarei potuta vivere in pace con me stessa.
Ma avevo cantato vittoria troppo presto.
<< Stai forse cercando di incantarmi un’altra volta?! >> disse tornando a parlarmi con astio e sentii un fracasso di vetri rotti dentro di me, aveva distrutto un’altra volta le mie speranze. << Non cadrò nei tuoi tranelli, non più! Ti porterò a Minas Tirith come promesso, ma non pensare di averla vinta per questo! Ti terrò d’occhio e al primo passo falso sei finita! >>
<< Io non voglio incantare nessuno!! >> cercai di difendermi. Mi ero alzata abbastanza di buon umore, la mattina era partita a meraviglia, perché doveva distruggere tutto così?
<< L’hai già fatto una volta, puoi benissimo farlo ancora! >>
<< Ma di che parli? Io non ho fatto niente! >> e ancora una volta non ricevetti risposta ma un semplice sguardo carico di odio e irritazione, sguardo che mi fece rabbrividire e persi nei meandri dell’oscurità altri pezzi del puzzle che componevano il mio cuore, pezzi che mai più avrei ritrovato. Boromir montò a cavallo e sempre guardandomi nervoso mi incitò a fare altrettanto. Sospirai e abbassai lo sguardo rattristata, ormai era inutile, non sarei riuscita mai più a far capire a Boromir che le mie intenzioni non erano affatto malvagie, desideravo solo ricevere da parte sua un briciolo, un millesimo, dell’affetto che provavo io nei suoi confronti.
Sistemai tutto dentro le sacche appese alla sella del mio cavallo e salii preparandomi a un’altra folle corsa in completo silenzio, sentendo i minuti cadermi addosso sempre più pesanti. E così fu. L’unica cosa che mi facevano compagnia erano i nitriti dei cavalli e il vento che soffiava tra le rocce, mentre gli occhi di Boromir erano sempre fissi puntati all’orizzonte, irraggiungibili per una come me.

 
E la sera arrivò.
Smontai da cavallo sentendomi tutta intirizzita, desiderando solo sgranchirmi un po’, riposarmi e mangiare qualcosa. << Non dovremmo fermarci qui. >> disse Boromir senza scendere da cavallo, guardandosi attorno. In effetti fermarsi in mezzo a una foresta non era la cosa migliore, chissà cosa si nascondeva tra gli alberi, ma d’altronde ero troppo stanca, non sarei riuscita ad andare avanti e chissà quanto mancava prima di poter uscire da quella coltre di alberi e arbusti.
<< Cercheremo di essere il più invisibili possibile, non attireremo l’attenzione su di noi, magari evitando di accendere il fuoco per questa notte >> consigliai cominciando a sistemarmi tra le radici di un albero, solo dopo aver controllato che non ci fosse la tana di qualche strano animaletto poco piacevole.
<< Farà molto freddo questa notte, lo sai? Se non accenderemo un fuoco sarà difficile riuscire a resistere >> disse lui ma pareva già essersi convinto in quanto scese da cavallo e cominciò a sistemarsi.
<< Abbiamo i mantelli elfici a coprirci, basteranno >> o almeno speravo. Almeno Boromir aveva addosso camicia, maglia, giacca e quant’altro, io invece avevo un semplice corpetto smanicato e il mantello, perciò cominciai a pregare affinchè il forte freddo previsto non fosse poi così forte.
La serata fu terribile, il freddo cominciava a farsi sentire e neanche i manti elfici sembravano darmi sollievo, per di più la mancanza di luce mi tormentava, a ogni singolo rumore cominciavo a tremare per la paura. Forse Boromir aveva ragione, forse non era il posto adatto per accamparci.
Mi alzai e decisi di andare a fare due passi, certo senza allontanarmi troppo, ma quel tanto che bastava per riscaldarmi un po’ almeno muovendomi. << Non dovresti andare in giro da sola >> mi disse Boromir dalla sua posizione: steso a terra con gli occhi chiusi. Avevo pensato stesse dormendo e invece continuava a tenermi d’occhio!
<< Rimango qui nei paraggi, non vado lontano, giuro. Ho bisogno di muovermi o rischio di impazzire >>
<< O di congelare. >> concluse lui aprendo gli occhi e alzandosi su di un gomito per guardarmi. Aveva colto nel segno! Non gli diedi la soddisfazione di dirgli in faccia che aveva ragione, evitai di rispondergli, mi voltai e mi allontanai di qualche passo.
Ma ancora una volta Boromir aveva ragione, purtroppo. Era meglio se rimanevo lì dov’ero! Invece no! Devo lasciarmi coinvolgere dai miei capricci! E così mi ritrovai appesa su di un ramo, all’interno di una rete sbucata dal nulla da sotto i miei piedi. Lanciai istintivamente un urlo, urlo che attirò subito l’uomo nella mia zona, il quale appena arrivato mi guardò facendo trapelare i suoi pensieri “te l’avevo detto”.
<< Che ci fai là sopra? >> mi chiese con noncuranza avvicinandosi alla rete << Mi godo il panorama. >> dissi sarcastica << Secondo te?! Mi tiri giù per favore o devo mandarti un gufo postino come in Harry Potter? >> chiesi irritata della situazione, non mi piaceva stare lì anche perché chiunque avesse messo quella trappola sicuramente non era molto lontano e poteva arrivare da un momento all’altro e non sarebbe stato una bella situazione.
<< Mai sentito parlare di gufi postini, e comunque >> si fermò sotto di me << Perché dovrei? >> sghignazzò << Stai così bene lassù >>.
Cosa? Era impazzito! Voleva veramente lasciarmi lì alla mercè di orchi e chissà quali creature? Non poteva farlo! Aveva promesso! Lui…l’avrebbe fatto davvero?
Sfoderò la spada e lì cominciai ad andare nel panico. Voleva uccidermi! Sicuramente l’aveva messa lui la trappola in un momento in cui non guardavo, perché diavolo mi ero fidata? Come potevo solo immaginare che avrebbe accettato di accompagnarmi a Minas Tirith considerandomi una strega?
<< Boromir, ti prego! >> supplicai agitandomi nella mia gabbia di corde << Ti ho salvato la vita! Come puoi ripagarmi in questa maniera? Io non ho fatto niente! Volevo solo aiutarti! >>
<< Ehi!! >> brontolò lui allargando le braccia << Guarda che non ho intenzione di ucciderti! Volevo solo tagliare le corde ma se non la smetti di muoverti rischierò di colpire anche te >>.
Che sciocca. Come avevo potuto anche solo dubitare della sua buona fede, era un uomo di Gondor, dal grande cuore e dall’animo fedele. Non mi avrebbe mai fatto del male. Tirai un sospiro di sollievo, si era solo voluto prendere gioco di me, una piccola burla che mi era quasi costata un infarto. Rimasi immobile aspettando che lui mi liberasse ma la sua lama dovette aspettare un altro po’ prima di riuscire a tagliare le corde della mia galera.
Dal fitto bosco apparvero una quindicina di orchetti sghignazzando e guardandomi con l’acquolina in bocca << Bel bocconcino siamo riusciti a catturare >> commentarono << Anche meglio di quello che ci aspettavamo >> aggiunse uno di loro. Boromir fece un sospiro per raccogliere le energie, o forse semplicemente per evitare di mandarmi a cagare, e si preparò a combattere afferrando con la mano libera il suo scudo.
<< E tu chi sei, il cagnolino? Poco male, avremo carne in più >> sghignazzò quello che pareva essere il capo della combriccola << Boromir è il mio nome, sono figlio di Denethor sovrintendente di Gondor, seduto sul trono di Minas Tirith finché il Re non farà ritorno. E il vostro “bocconcino” è la mia protetta, perciò scordatevi di fare colazione con lei domani mattina >>
Ebbi dei brividi lungo la schiena nel sentirmi chiamare “la mia protetta”, brividi piacevoli, brividi che mi fecero capire che infondo, anche se mi odiava, avrebbe mantenuto fede alla sua promessa e mi avrebbe scortato a Minas Tirith sana e salva. Ma la cosa non mi tranquillizzava affatto! Ero sospesa su di un imminente campo di battaglia, dovevo rimanere immobile a guardare mentre quelle putride creature cercavano di uccidere…lui. Non un uomo qualsiasi ma LUI. Che il destino volesse fare i conti con me? Che magari la morte fosse tornata sui suoi passi per richiedere un’altra volta il suo premio? << No, no! >> mormorai agitandomi nella mia gabbia. Gli orchi si lanciarono sull’uomo furiosi e impetuosi, come un’onda che si infrange sugli scogli. Boromir era reduce di una lunga cavalcata, era stanco anche perché mi aveva rivelato che la sera prima aveva avuto difficoltà nell’addormentarsi, per questo la mattina era tanto intontito. E la sua stanchezza si notava molto bene in battaglia: era più lento e sfoderava colpi sempre con meno forza. Quegli stupidi orchi non lo lasciavano in pace! Dovevo fare qualcosa o sarebbe morto sotto i miei occhi!
<< No, no! >> urlai più forte cominciando a dimenarmi. Vidi l’uomo cadere in ginocchio dopo aver parato il colpo di uno di loro e sentii rinascere in me quella paura che credevo di aver dimenticato: la paura di perderlo per sempre. << Lasciatelo!! >> urlai disperata tentando di liberarmi come meglio potevo, cercando di rompere le corde con le mani, cercando di uscire dall’alto, dove il sacco di corde si chiudeva, ma era tutto inutile, mi era impossibile uscire.
Un altro colpo, più forte del precedente, scaraventò Boromir a terra che si lamentò  come un cane bastonato. Si voltò di spalle rispetto a me che ero in alto, posò le mani a terra cercando di rialzarsi << Voltati!!! >> gridai riuscendo a farlo girare appena in tempo per parare un altro colpo. Allontanò l’orco da lui con i piedi, si rialzò con fatica, sentivo il suo respiro affannato da là sopra. Mi sentivo responsabile di tutto. Boromir stava per essere ucciso a causa mia! Mi dimenai ancora, in preda alla disperazione più incredibile e urlando in continuazione << No! Lasciatelo stare! >>. Ma niente: ero invisibile! Gli orchi continuavano a scaraventarsi sull’uomo senza dar lui tregua, e vedevo le sue energie affievolirsi sempre più. Faceva sempre più fatica a rialzarsi, faceva sempre più fatica nel sferrare colpi di spada e la sua bocca era spalancata in cerca di aria che pareva non arrivasse ai suoi polmoni.
<< Basta! Basta, per favore! Lasciatelo stare >> gemetti un’altra volta e sentii la gola andare in fiamme mentre gli occhi avevano di nuovo ripreso a versare lacrime. Da quando mio padre se n’era andato troppo spesso avevo pianto, ma superati i 15 anni mi ero perfino dimenticata cosa fossero le lacrime. Avevo una teoria a proposito: avevo sofferto così tanto che mi ero resa immune a qualsiasi altro dolore, avevo finito le lacrime, o per lo meno ci sarebbe voluto qualcosa di decisamente più forte per farmi piangere ancora. Ed ora eccomi lì, in quei giorni non facevo altro che piangere a causa di quell’uomo che più di tutti mi disprezzava e più di tutti non si fidava di me.
<< Boromir vattene! >> gridai ancora e quelle parole penso lo colpirono  in quanto si voltò a guardarmi quasi sconvolto. Tremavo per la paura, tremavo per la rabbia e per la disperazione, mentre lacrime incessanti sgorgavano dai miei occhi come fiume in piena.
<< Lasciami qui! Vattene, mettiti in salvo! Ti prego! >> Lo sguardo di Boromir si spostò subito da me agli orchi di fronte a lui e si caricò di energia nuova, nata da chissà quale recondito punto della sua anima. Sembrava un’altra persona, con urla di sfogo sferrava colpi secchi e pesanti, colpi che andavano subito a segno e che uccidevano sul colpo.
Nel giro di pochi minuti vennero tutti uccisi e Boromir era l’unico rimasto ancora in piedi, anche se con il fiatone e un po’ chinato in avanti, esausto.  Si raddrizzò subito e tornò a posizionarsi sotto di me. Con uno zac zac degno di Zorro riuscì a tagliare le corde della mia trappola e io caddi giù, atterrando tra le sue braccia che nonostante la fatica sembravano ancora ben salde. Ogni giorno mi stupivo sempre di più della forza degli uomini di Gondor, era qualcosa che non avevo mai visto prima, qualcosa che probabilmente era stata presente anche nel mio mondo ma che da tempo era stato dimenticato, dai tempi dei grandi cavalieri e delle bellissime dame del medioevo, molto probabilmente.
Era un sollievo per me riuscire a constatare che entrambi eravamo ancora vivi, il cuore rallentò pian piano la sua corsa e le lacrime di dolore si trasformarono in lacrime di gioia. Boromir mi mise in piedi con molta delicatezza, mi scompigliò un po’ i capelli con fare affettuoso e senza dire nient’altro sistemò nel fodero la spada e tornò laddove avevamo posato le nostre cose e legati i cavalli.
<< Te l’avevo detto che non era il caso allontanarsi >> mi riproverò stendendosi nuovamente per terra e chiudendo gli occhi per riposare, ne aveva bisogno, vedevo ancora il sudore gocciolargli giù dalla fronte, sudore causato dalla fatica immane che aveva fatto per salvarmi la pelle. Non dissi niente anche se il mio “mi dispiace” echeggiava nella foresta come se lo stessi urlando. Mi sentivo un’incapace, un peso solamente e dovevo la vita all’uomo che ora dormiva a pochi metri da me. Beh, una volta per uno. Tempo prima ero stata io a salvarlo, adesso lui. Il suo debito era stato saldato.
Già.
Non aveva più niente in dovere nei miei confronti. Perché proprio in un momento come quello dovevano tornarmi alla mente le parole di Saruman? “
Tu avevi cercato disperatamente di salvarlo nei tuoi ultimi attimi con lui, e ciò ha creato in lui un forte senso di riconoscenza che desiderava colmare il prima possibile. Si sente in debito nei tuoi confronti e voleva pagare questo debito prima di lasciare questo mondo
.” Solo un forte senso di riconoscenza, solo il desiderio di pagare il debito. E se fosse stato veramente così? Se Boromir veramente mi era vicino solo per quel motivo? Allora da quella sera l’avrei perduto per sempre di vista. Ma ormai che altro poteva ferirmi? I colpi di coltello andavano a centrare sempre le stesse ferite e non sentivo più dolore ormai. Ero arrivata al limite, oltre il quale non è possibile soffrire di più.
Provai a stendermi sulla terra secca e tentai di chiudere gli occhi, ma non riuscii ad addormentarmi. Il freddo era troppo pungente e i fremiti mi impedivano di addormentarmi. Non riuscivo a smettere di tremare, se tutto fosse andato bene avrei semplicemente passato la notte in bianco, altrimenti sarei morta assiderata lì, in quel bosco abbandonato, in mezzo all’oscurità, destinata a diventare il pasto di qualche creatura, chissà quale.
Ma qualcosa accadde ancora, le sorprese parvero non voler finire quella sera. Sentii Boromir alzarsi dalla sua posizione, alle mie spalle, e nel giro di pochi secondi, giusto il tempo di voltare la testa, lo vidi stendersi accanto a me e coprire entrambi con il suo mantello << Ti avevo detto anche che avrebbe fatto molto freddo >> sussurrò cingendomi il ventre con un braccio e stringendomi a sé. Improvvisamente il freddo scomparve, anzi mi parve quasi di avere troppo caldo. Ero…troppo vicina a lui. E il suo braccio intorno al mio corpo mi faceva perdere la testa. L’emozione vorticava in me come impazzita, facendomi girare la testa come mai mi era successo. Il corpo robusto dell’uomo attaccato al mio, alle mie spalle, il suo braccio che sicuro mi teneva stretta per i fianchi e il suo mantello caldo che ci scaldava entrambi. Qualcosa di inspiegabile. Mai e poi mai mi sarei immaginata una situazione del genere, in un momento come quello soprattutto. Ma quello fu un magnifico gesto che in un attimo cancellò tutti i dubbi dalla mia testa, dentro di me, una piccola vocina sottile, continuava a ripetermi che Boromir nonostante dimostrasse di disprezzarmi in realtà una piccola parte di lui era affezionata a me. Altrimenti mai si sarebbe comportato in quella maniera. Certo, non pretendevo troppo, era sicuramente una piccolissima e sottilissima parte di lui, ma almeno c’era. Forse ecco perché Aragorn aveva detto che lui più di tutti si era sentito tradito, è più brutto quando a tradirti è una persona a cui tieni anziché uno sconosciuto. Sorrisi beata e se fino a quel momento non avevo desiderato altro che arrivare il prima possibile a Minas Tirith, porre fine a quella brutta storia, dopo quel gesto così pregno di dolcezza cominciai a pregare che tutto ciò non si avverasse, che il tempo si fermasse in quel preciso istante e che rimanesse così per sempre. Mi strinsi un po’ più a lui sentendo il suo fiato sul mio viso, provenire da dietro di me, come una dolce ninna nanna e smisi di tremare.
<< Va un po’ meglio? >> mi chiese lui sempre con quella dolcezza infinita che dai tempi di Moria non mostrava più nei miei confronti.  Annuii e tentai di mettermi più comoda, altrimenti mi sarei svegliata l’indomani senza qualche arto per colpa della circolazione che si sarebbe fermata. Anche Boromir fece altrettanto e dopo avermi chiesto di alzare la testa posò sotto il mio collo il suo braccio destro, mentre il sinistro ancora mi cingeva i fianchi. Posò la testa sulla sua spalla destra, quella a terra, e mi strinse di più a sé con entrambe le braccia. Io intanto mi ero voltata verso di lui, portando così il volto tra i suoi vestiti all’altezza del pezzo e accucciandomi tra le sue braccia.
Fu la notte più bella della mia vita.

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Capitolo 12
*** "Lui più di tutti si è sentito tradito" ***


Anche la mattina dopo fui io a svegliarmi per prima, Boromir era così stanco, aveva bisogno di dormire e di riprendere le energie che in quei giorni aveva perso così velocemente. Aprii gli occhi e quasi mi spaventai quando vidi che il suo volto era a pochissimi centimetri dal mio. Nella notte o io mi ero tirata un po’ su o lui era sceso un po’ giù, tanto da trovarci alla stessa altezza, con le fronti che quasi si toccavano. “Certo che risvegliarsi in questa maniera è pericoloso!” pensai sentendomi in forte imbarazzo: quasi avevo avuto un infarto! Ma dopo essermi concessa un paio di minuti per riprendermi tornai a rilassarmi, senza muovermi da lì, non mi era mai stata la possibilità di stargli così vicino e volevo godere ancora un po’ di quel privilegio. Da così vicino potevo vedere bene quelle piccole rughe ai margini dei suoi occhi che segnavano i suoi 40 anni e che raccontavano una vita passata nelle fatiche, fatiche che solo un uomo di valore come lui poteva sostenere. Alzai un braccio senza muovermi e muoverlo troppo per timore di svegliarlo e lo portai delicato sul suo volto scostandogli i capelli e accarezzandogli con la punta delle dita la barba pungente. Sentivo il cuore battere incessantemente, ma non riuscivo a darmi una regolata, consideravo quello un bellissimo dono e desideravo godermelo fino alla fine, anche perché…chissà se avrei mai avuto un’altra occasione. Saremo arrivati a Minas Tirith in giornata, sarei sopravvissuta all’assedio della città? Sarei riuscita a salvare Faramir? Quante domande che non trovavano sollievo in nessuna risposta, e io ero stufa di quella posizione così precaria sulla lama di quel coltello. Continuai ad accarezzare il suo volto e scostai le mie dita dalla sua pelle solo per un attimo, quando lo sentii deglutire per paura che si fosse svegliato, ma capii presto che dormiva ancora. A quanto pare aveva il sonno pesante. Aveva la pelle così ruvida, rovinata dalla polvere e dall’avventura, niente che un po’ di riposo e un buon bagno caldo avesse potuto cancellare, anche se forse non del tutto. Era bello come un Dio, ma non immortale come lui: l’età stava prendendo anche lui, granello per granello, come sabbia in una clessidra.
Portai le mie dita oltre la semplice guancia,  spingendomi un po’ più in là, per vedere fin dove mi era concesso arrivare, e sfiorai le sue labbra un po’ secche, un po’ sciupate, ma nonostante tutto non avevano perso completamente la loro morbidezza e consistenza. Boromir non si mosse di un centimetro, e questo mi incitò a non smettere di ammirare quella meraviglia che avevo davanti, e mi incitò…a spingermi ancora oltre. Forse inconsciamente o forse perché la consapevolezza che aveva il sonno pesante mi aveva accecata completamente, spinta solo dal desiderio e dalla curiosità.
Posai delicatamente le mie labbra sulle sue. Una scarica elettrica mi colpì violentemente, facendomi tremare, rendendomi debole a qualsiasi cosa, facendomi girare la testa, rischiando di farmi svenire. Nonostante le fatiche, il viaggio e l’avventura l’avessero costretto a curarsi poco, nonostante il suo odore di sudore fosse così forte, nonostante il suo sapore era così pungente, un po’ sgradevole a primo impatto, scoprii subito che amavo più di qualunque altra cosa quel suo lato da guerriero, quel suo lato rude, pungente, acre, un po’ fastidioso, quel suo lato di VERO uomo. Mi era capitato in passato di baciare altri ragazzi e avevano sicuramente avuto un sapore più piacevole del suo, ma nessuno di loro era paragonabile a quello, nessuno di loro mi aveva mai dato emozioni così forti, emozioni che quasi sfioravano il sublime.
Mi scostai da lui con così poca voglia, ma non volevo esagerare, quello che volevo fare l’avevo fatto, forse anche troppo avventatamente…no…sicuramente troppo avventatamente. Come al solito non pensavo prima di agire! Mi lasciavo trascinare dall’istinto senza pensare agli effetti collaterali, come per esempio quello che Boromir si sarebbe potuto svegliare!
<< Che idiota!! >> dissi istintivamente alzandomi di colpo da terra nell’istante in cui aprendo gli occhi avevo visto i suoi blu puntati su di me.
Ok, ero pronta per morire, all’istante! Forza! Perché non venivano fuori gli orchi quando ce n’era bisogno? Mi sarei anche scavata la fossa da sola, non avevo problemi, basta che mi avrebbero ucciso all’istante togliendomi di dosso quella vergogna così pesante.
<< Scusami, io…non so cosa mi sia preso >> tentai di giustificarmi scioccamente mentre mi voltavo di spalle, incapace di guardarlo in volto. Lo sentii muoversi dietro di me, sentivo il rumore di foglie spezzarsi sotto i suoi passi e della terra scostarsi ai suoi movimenti, segno che si stava alzando. Mi voltai lentamente, guardandolo con la coda dell’occhio, sentivo il volto bruciare come non mai! Boromir mi venne incontro con una strana luce negli occhi, ok, lo sapevo! L’avevo fatto imbestialire! Oddio, mi avrebbe uccisa! Io l’avrei fatto.
Mi voltai completamente e indietreggiando di qualche passo cercai di sorridere , tanto per sdrammatizzare << Mi dispiace immensamente! Qualche diavoletto si dev’essere impossessato di me, dimentichiamo la faccenda e mettiamoci in marcia! Altrimenti faremo tardi >> dissi un po’ balbettante più per la vergogna che per la fretta o la paura che si fosse arrabbiato. Boromir era già arrivato vicino a me e ancora non aveva detto una parola, tentai di voltarmi e solo allora mostrò la sua reazione prendendomi delicatamente per un polso << Aspetta >> mi sussurrò con un tono che mai aveva usato con me, un tono che nemmeno sapevo che aveva, un tono che…nemmeno saprei descrivere. Forse era curiosità? Forse emozione? O forse entrambe le cose mischiate con una buona dose di dolcezza. Rimasi paralizzata, probabilmente smisi di respirare, confusa e agitata com’ero. Vidi solo il suo volto avvicinarsi lentamente al mio, un po’ incerto, i suoi occhi scrutavano in continuazione il mio viso in un modo che mi fece venire i brividi. Ma niente di tutto quello che avevo provato fino a quel momento era paragonabile a ciò che provai quando sentii Boromir premere le sue labbra contro le mie, dapprima delicatamente, quasi avessero paura di far loro del male. Chiusi istintivamente gli occhi non riuscendo più nemmeno a percepire il mio cuore, probabilmente esploso, e sentii Boromir farsi più deciso in quello che divenne presto un bacio da favola. Dischiuse le labbra e istintivamente feci altrettanto, sentendomi morire quando le nostre lingue si toccarono inizialmente un po’ timide, poi lasciandosi coinvolgere da una dolce danza fatta di carezze. Boromir posò poi una mano delicata sul volto, quasi volesse impedirmi di scappare, mentre l’altra la posò dietro la mia schiena e mi premette contro il suo corpo imponente in confronto al mio tanto gracile. Il mio corpo, già. Avevo perso completamente la sensibilità dalla testa in giù, non riuscivo a capire nemmeno se avessi le braccia stese lungo i fianchi o stessi abbracciando Boromir. Non capivo. Non capivo assolutamente niente se non che quello era il più bello dei sogni.
Ma si sa, prima o poi ci si deve svegliare. E così anche quel sogno terminò, molto delicatamente, senza molta fretta, dando il tempo alle labbra di riabituarsi pian piano alla solitudine e alla lontananza delle altre. Ma capii solo dopo aver riaperto gli occhi e aver visto che anche lui faceva altrettanto che quel sogno era stato interrotto a causa mia. Io avevo dato modo a Boromir di allontanarsi dal mio volto per poterlo guardare incuriosito, un volto ora bagnato completamente dalle lacrime. Boromir non mi fece la domanda con la voce ma con gli occhi, non capiva perché io stessi DI NUOVO piangendo. Che figuraccia! Come avevo potuto rovinare tutto lasciando trasparire così palesemente la mia emozione? Ma era più forte di me.
Era una battaglia che avevo già perso molto tempo addietro.
Mi coprii la bocca con una mano e chinai la testa lasciando che alcuni lamenti uscissero dalla mia gola.
<< Non sai da quanto tempo ho sognato tutto questo >> confessai spezzando la voce dai singhiozzi e dai lamenti, facendogli così capire il perché di quel mio comportamento. Erano lacrime di gioia le mie, finalmente…tutto aveva senso.
Vedevo l’alba!
Un arcobaleno dopo la tempesta, finalmente tutto era più chiaro e colorato, finalmente quelle tenebre così opprimenti erano sparite! Finalmente non ero più sola, finalmente avevo trovato ciò che più di qualunque altra cosa desideravo, avevo raggiunto l’obiettivo che mi ero prefissata inizialmente, prima di cominciare questo viaggio. Ero riuscita, non ero una fallita. Finalmente. Lui era vivo, ed era lì davanti a me che ancora mi stringeva, cercando di asciugarmi le lacrime con le sue mani così ruvide, così sporche e piene di calli e ferite, ma così salutari per la mia anima, così rigeneranti per le ferite che avevo addosso. Erano tutto ciò che volevo, non desideravo altro. Mi sentivo finalmente realizzata.
Ma tutto ciò che era successo quella mattina non mi fece dimenticare il motivo per cui ero partita alla volta di Minas Tirith, anzi rinforzò in me il desiderio di arrivare il prima possibile. Volevo salvare Faramir, dovevo farlo non solo per la sorte della Terra di Mezzo ma anche perché non volevo che niente scalfisse quel cuore che ora batteva così vicino al mio. Boromir doveva rimanere intatto, l’avrei protetto come un fiore delicato, tenendolo tra le mani senza stringerlo troppo, offrendogli luce, donandogli acqua. Avrei fatto tutto ciò che era in mio potere. Da quando ero arrivata nella Terra di Mezzo avevo vinto così tante battaglie e niente mi impediva di riuscire a vincere anche quest’ultima missione che mi stavo prefiggendo.
Mai avrei fallito.
Mi allontanai da lui sorridendogli e asciugandomi le lacrime come potevo con le mani << Meglio andare adesso, o arriveremo troppo tardi >>. Boromir annuì, ancora non aveva parlato troppo. Strano. Che ci fosse qualcosa che lo turbava? Forse avevo sbagliato i miei calcoli, forse qualcosa non andava in quel bacio. C’era qualcosa che non lo convinceva, ma non mi diede modo di domandare. Stava preparando il suo cavallo quando cominciò a parlare << Sai cosa temo ora? >> mi voltai a guardarlo: aveva gli occhi puntati sulla sella del suo cavallo, e stringeva lacci di cui non capivo l’utilità, forse era solo un modo per sfogare i suoi turbamenti su qualcosa di materiale.
<< Sono sempre stato molto diffidente nei tuoi confronti, ho sempre cercato di starti lontano, di non darti niente di me e di non riceve niente da te, perché SAPEVO che non ne sarei uscito alla stessa maniera. Ma questa mattina tu hai rovinato tutto. >> ammise, sinceramente non riuscivo a seguire bene i suoi discorsi, non ne capivo i nessi.
Cosa avevo fatto, questa volta? Dove avevo sbagliato?
<< Se tu… >> continuò un po’ titubante e con un pizzico di irritazione negli occhi, qualsiasi cosa fosse lo faceva arrabbiare e ciò mi distruggeva emotivamente << Se tu mai dovessi tradirmi di nuovo, come temo che succederà (dopo ciò che è successo l’altra sera con Pipino non riesco più a fidarmi di te, perdonami!), il giorno che deciderai di tradirmi ancora, dimostrando la tua natura malvagia, non penso che riuscirei a resistere come ho fatto in passato. Sarebbe un duro colpo da attutire. >>
Lui più di tutti si è sentito tradito, è solamente accecato dalla rabbia.” La voce di Aragorn risuonava così forte nella mia testa che era difficile riuscire a sentire altro. Ora capivo. Boromir già da tempo aveva cominciato a vedermi con occhi diversi, aveva da subito riposto in me grande fiducia e aveva cominciato a provare affetto nei miei confronti, più degli altri. Per questo il colpo per lui era stato maggiore rispetto agli altri, per questo lui si era sentito tradito, non riusciva ad accettare il fatto che una come me potesse far parte delle forze del male, e sicuramente c’era anche un po’ di orgoglio di Gondor: l’idea di aver riposto tanta fiducia e tanto affetto nella persona sbagliata lo tormentava.
<< Ma ormai è tardi, non posso più tornare indietro, devo solo sperare che le tue parole siano vere e in caso non fosse così devo sperare di trovare la forza giusta per contrastare il colpo che mi assesterai >> concluse il suo monologo prima di prepararsi a salire, ma non lo fece subito, lo fermai afferrandogli un braccio con la mano e guardandolo seria dritto negli occhi << Non ti tradirò mai più, lo giuro. E…presto capirai che nemmeno quella sera alla fortezza di Rohan ti ho tradito, presto capirai tutto, te lo assicuro. Portami a Minas Tirith, fammi fare ciò che devo fare e dopodiché potremo sederci a parlare e saprai tutto ciò che c’è da sapere >>.  Boromir continuò a guardarmi torvo, speravo in un segno della sua fiducia invece ancora niente, sempre il solito sguardo diffidente che questa volta era anche colmo di tristezza.
<< Lo spero >> disse solamente prima di salire sul cavallo << Non posso fare altro per ora che sperare. >>
Non aggiunsi altro. Non ce n’era bisogno, i fatti avrebbero parlato al posto mio. Salii sul mio cavallo e partimmo alla volta di Minas Tirith, più veloce che mai.

 

L’arrivo a Minas Tirith fu molto diverso da come me l’ero ideato. Mi ero immaginata di arrivare davanti a questa magnifica fortezza colorata di bianco, di salire per le vie, su per i vari cerchioni, fino al quinto cerchione dove avrei trovato Denethor e Faramir, pronti ad essere salvati. Invece niente di tutto ciò c’era. La fortezza era colorata di bianco, di rosso delle fiamme e di nero della cenere, e i campi davanti a me erano completamente neri, invasi dagli orchetti in piena lotta intenti a sfondare i cancelli della città con il loro ariete. Rimasi immobile, davanti a quello scenario, ancora lontano ma che presto avrebbe risucchiato anche me nelle loro tenebre.
Non riuscivo a dire una parola, così come Boromir che si fermò accanto a me qualche secondo a guardare con dolore la sua amata casa che veniva data alle fiamme.
<< Siamo in ritardo >> commentai prima di cominciare a cavalcare verso l’entrata ma fui fermata da Boromir che mi corse davanti e mi bloccò la strada << Sei pazza? Non ce la faremo mai ad entrare per la porta principale! >>
<< Non ci sono altre vie, Boromir! E io devo raggiungere il quinto livello in… >> guardai la situazione della battaglia, la porta era quasi sfondata, segno che mancava pochissimo tempo << In meno di 10 minuti. O forse preferisci rimanere qui a guardare mentre la tua città viene distrutta? >> Sapevo come prenderlo, sapevo che l’unico modo per convincerlo era pizzicare il suo orgoglio di cavaliere, il suo orgoglio di capitano delle guardie di Gondor.
Boromir si spostò per lascarmi andare e si voltò verso i campi Pelennor pronto a buttarsi anche lui nella mischia << Moriremo sicuramente >> commentò preparandosi a cavalcare. Aveva ragione, non saremo giunti in cima tanto facilmente << Per questo >> intervenni bloccando la sua corsa << Tu rimarrai qui. Aspetterai l’arrivo di Aragorn, ti unirai alle sue truppe e insieme combatterete per la tua città. Io mi avvio immediatamente invece, ho poco tempo >>.
<< Non ti lascerò andare da sola verso la morte! >> Disse ancora Boromir ma non diedi lui ascolto, non potevo perdere altro tempo e cominciai a cavalcare verso la fine. Lui ovviamente mi venne dietro e tentai di dissuaderlo ancora, non volevo mettere a repentaglio la sua vita ora che finalmente ero riuscita a prenderla tra le mie mani, ma fu tutto inutile. Era testardo e determinato.
<< Giurami solo che non morirai >> chiesi quasi supplichevole, anche se sapevo che era un giuramento stupido, quando la morte allunga la sua mano non si può contrattare con lei. << E tu giuralo a me >> mi disse.
<< Troppe promesse mi stai chiedendo di farti >> risposi semplicemente, non ero certa della riuscita della mia missione ora che ce l’avevo davanti, anzi ero sicura che mai ci sarei riuscita, ma dovevo tentare! Non avevo altra scelta. In pochi minuti ci trovammo in mezzo a quel telo nero formato da orchi e troll, non volevo combattere, avrei perso tempo, per questo mi limitai a correre più veloce possibile evitando di trovarmi faccia a faccia col nemico.
<< Noro lim, noro lim! >> incitai il cavallo in elfico anche se non ero certa lo comprendesse in quanto era un cavallo di Rohan, ma serviva più a me per caricarmi che a lui come incitazione. Non ero sicura che Boromir mi fosse ancora dietro, ma stranamente non mi passò nemmeno per la testa di controllare. Avevo per la testa altre cose e sapevo che se mi fossi fermata per dar di conto a lui ci avrei messo più tempo del previsto. Gli orchi mi si lanciavano addosso come lupi affamati e io riuscivo miracolosamente a saltarli o a schivarli, se non fossi stata a cavallo mi avrebbero presa sicuramente.
D’un tratto qualcosa mi colpì scaraventandomi giù dalla sella. Mi ci volle un po’ per capire di che si trattava: un mannaro. Provai a indietreggiare terrorizzata mentre il mostro mostrava le sue zanne ma incontrai un ammasso di cadaveri che mi impedivano di andare troppo in là. Mi discostai un po’ disgustata, ma dall’altra parte c’era il mannaro che si stava preparando per saltarmi addosso. Il cavallo mi aveva abbandonata, scappando via da quell’inferno senza me.
<< Maledizione! >> imprecai e sfoderai la spada pronta a difendermi…in una maniera o nell’altra. Per fortuna non ce ne fu bisogno: Boromir arrivò galoppando e in un colpo secco gli tagliò la testa. Ripresi a respirare normalmente, nemmeno mi ero accorta che avevo trattenuto il respiro per tutto quel tempo. Boromir mi venne vicino a mi porse la mano da sopra il suo cavallo incitandomi a salire il prima possibile, e così feci. Mi alzai velocemente e salii in sella, dietro di lui, e cominciammo a galoppare più veloce che mai, sferrando qualche colpo contro coloro che impedivano la nostra corsa. Per fortuna la maggior parte degli orchetti erano concentrati contro la fortezza e non facevano troppo caso a noi. La porta venne sfondata e un’ondata nera si riversò nelle strade di Minas Tirith, e tra loro, un po’ nascosti un po’ no, ci infilammo anche noi riuscendo ad entrare. Il primo cerchione era in fiamme, il panico si riversava nelle strade mentre soldati e altri uomini correvano verso il secondo cerchione per mettersi in salvo e per fortificare il cancello, sperando di riuscire a impedire agli orchi di arrivare fin lì. Superammo tutti con strabiliante abilità, Boromir a cavallo era fenomenale, sapeva perfettamente come guidarlo, sembravano un tutt’uno. Mi strinsi a lui per evitare di cadere quando saltammo un paio di cadaveri e qualche orchetto, poi finalmente entrammo nel secondo livello e gli uomini chiusero dietro di noi il cancello.
Ma Boromir fermò la nostra corsa.
Che diavolo voleva fare? Io dovevo raggiungere immediatamente il quinto!
Scese da cavallo, lasciandomi lì da sola e corse verso il cancello aiutando la sua gente a barricarlo << Da qui puoi proseguire da sola! >> mi disse incitandomi con un gesto della mano, non voleva lasciare soli i suoi uomini che nel vederlo si erano illuminati e sembravano aver acquisito una forza in più, un’energia persa in chissà quale profondità abissale. << Capitano Boromir >> azzardò uno di loro con meraviglia e stupore << Bloccate il cancello! Usate sbarre di ferro, presto! >> ordinò e gli uomini l’ascoltarono pieni di orgoglio. Era la prima volta che lo vedevo in quella maniera, si era circondato di un aura azzurra, un aura regale, trasformandolo da semplice uomo di Gondor a una  divinità. Ecco perché la gente di Gondor lo venerava tanto, ecco perché avevo visto la gioia negli occhi degli uomini che avevo di fronte: Boromir era un ottimo capitano, io stessa sarei scesa e sarei corsa a eseguire i suoi ordini con orgoglio se solo avessi potuto. Ma no, io avevo altro da fare. Presi le redini del cavallo e guardai la via davanti a me in maniera confusa: la gente era come impazzita e correva senza un senso, senza una ragione. Sarei mai riuscita ad arrivare in cima? Io non conoscevo nemmeno la strada! Mi voltai verso Boromir che continuava a dare ordini e ad aiutare nel bloccare l’enorme porta << Boromir, ricorda che hai promesso! >> mi riferii alla sua promessa di non morire, lui mi rivolse uno sguardo e sorrise per poi incupirsi di nuovo << Anche tu >> mi disse severo. Sapevo che non si riferiva alla promessa di “rimanere viva” ma a quella di non tradirlo ancora, e non l’avrei fatto, ne ero certa. Annuii seria prima di incitare il cavallo e riprendere la sua corsa e a malincuore lasciai lì l’uomo da solo. Avevamo passato giorni interi insieme, senza mai dividerci, ora lasciarlo lì da solo, in mezzo al pericolo, mi faceva male. Temevo per la sua incolumità come una madre per il proprio figlio andato in guerra. Ma ero determinata: dovevo salvare la sua famiglia, dovevo impedire al suo cuore di sanguinare ancora! Potevo farcela! Avevo ancora tempo. Se solo avessi trovato Gandalf per la via sarebbe stato tutto molto più semplice, ma probabilmente lui era più in alto insieme a Pipino, e andarlo a cercare era solo una perdita di tempo. Arrivai miracolosamente al quinto livello, lo percorsi tutto alla ricerca di quella dannata porticina che portava alle tombe degli antenati di Boromir e la trovai per fortuna con facilità. Era chiusa.
<< Hanno già cominciato, no!!! >> gridai e corsi con il cavallo contro la porta che sfondò con i suoi zoccoli. Ero arrivata tardi. Il fuoco già divampava sulla legna mentre alcune guardie intorno restavano a guardare come manichini, perché non faceva niente?! Un lamento. Erano ancora vivi! Forse avevo ancora tempo. Corsi contro il falò ignorando le guardie che mi venivano incontro per impedirmi di intervenire, così come aveva chiesto Denethor. Salii in piedi sulla groppa del cavallo e mi lanciai temeraria tra le fiamme che per fortuna ancora non avevano raggiunto i corpi dei due uomini.
<< Chi diavolo sei tu? Levati dai piedi! >> mi ordinò Denethor spingendomi con una mano mentre con l’altra stringeva il suo Palantir.
<< Non questa volta!!! >> gridai furiosa, non volevo perdere, dovevo portare a termine la mia missione a tutti i costi, al diavolo le buone maniere e la gentilezza: ero un’altra. Ero una vera guerriera! Afferrai il braccio di Denethor e con la poca forza che avevo, rispetto a quella dell’uomo, riuscii ad evitare che mi spingesse giù dal falò. Tirai un calcio al Palantir che aveva tra le mani, dovevo liberarmi di quell’oggetto malefico! Il Palantir volò giù dalla catasta di legna su cui eravamo messi e Denethor, accecato dal desiderio di possederlo, accecato dal suo potere, strisciò tra le fiamme per riuscire a riprenderlo ma così facendo l’olio che aveva addosso prese fuoco e anche lui cominciò a bruciare.
Ora il panico cominciava ad assalirmi, che dovevo fare? Denethor bruciava poco distante da me, Faramir ai miei piedi.
Abbassai la testa per guardare l’uomo in volto, sembrava stesse dormendo ma si stava risvegliando, si agitava forse per il troppo caldo. Avvolsi il suo corpo con il mio mantello e stendendomi su di lui mi diedi con uno sforzo immane lo slancio per scivolare giù da quell’inferno, verso il pavimento freddo e sicuro. Tolsi rapidamente il mantello da dosso Faramir e cominciai a spegnere le piccole fiammelle che si erano accese sui suoi vestiti, riuscendo così a salvarlo. Ma ancora non era finita. Mi alzai in piedi e mi voltai verso Denethor per poter aiutare anche lui ma fu tutto inutile, avevo perso tempo dietro Faramir, ormai per Denethor non c’era niente da fare. Era steso sul freddo pavimento, l’odore di carne bruciata era insopportabile e potevo benissimo scorgere il Palantir ben stretto tra le sue dita mentre le urla di dolore pian piano cessavano.
Mi lasciai nuovamente cadere in ginocchio di fianco a Faramir senza scollare gli occhi da di dosso l’uomo che ora taceva nelle fiamme della sua follia, mentre le guardie ancora lottavano contro il cavallo imbizzarrito. Troppe volte avevo vinto le mie battaglie contro il destino, questa volta avevo perso e il cuore non lo accettava, il fallimento fu duro, certo non duro come quello che provai nei giorni successivi alla NON morte di Boromir, ma era dura lo stesso. Guardai il volto di Faramir e lo vidi aprire debolmente gli occhi, mi guardò incuriosito ancora con gli occhi semichiusi, troppo debole per riuscire ad aprirli completamente. Mi chinai su di lui e gli accarezzai la fronte con fare affettuoso, chissà quante poche carezze aveva ricevuto nella sua vita, soprattutto da suo padre. << Va tutto bene, Faramir >> sussurrai quasi non volessi destarlo dal suo sonno, anche se la mia voce tremava e non era per niente quieta << Ora sei salvo. Riposa. >> continuai cercando di sforzare la voce che mi moriva in gola tanto ero dispiaciuta e sconfitta per la morte di Denethor. Lui, nonostante non mi conoscesse, parve fidarsi di me e richiuse gli occhi. Gli diedi un bacio sulla fronte bollente, probabilmente a causa di una febbre nata dalle ferite infertigli dagli orchi a Osgiliath, e lasciai che si riaddormentasse. Certo, forse era un po’ esagerato da parte mia trattarlo in quella maniera, non mi conosceva nemmeno lui, ma negli anni vissuta da esterna, leggendo semplicemente le parole di Tolkien, mi ero immersa tanto nella storia che erano nati affetti verso i vari personaggi, come per esempio l’amore per Boromir, il profondo affetto nei confronti di Aragorn come fosse mio padre, la simpatia e un affetto da sorella maggiore verso Pipino e Merry, l’ammirazione nei confronti di Legolas e per Faramir era nato questo: un affetto materno. Forse perché leggendo di questo padre così odioso, così simile al mio, non potevo far altro che provare compassione per questo povero figlio, ed era nato in me il desiderio di dar lui ciò che gli era mancato: una madre e un padre, anche se sicuramente la sua età era maggiore della mia.
In quel preciso istante entrò di corsa nella sala Boromir e si fermò a guardare la scena con gli occhi confusi e disperati.
<< Faramir >> sussurrò vedendo suo fratello in coma sul pavimento, poi spostò lo sguardo alle fiamme << Padre >> disse ancora più sconvolto. Le guardie riuscirono a fermare il cavallo e una di loro lo portò fuori dalla sala mentre gli altri accorrevano da Boromir e si inchinavano davanti al loro capitano.
Mi voltai a guardare l’uomo e vidi i suoi occhi inumidirsi, sentivo il rumore del suo cuore spezzarsi in migliaia di pezzi. << Boromir >> piagnucolai, volevo chiedergli scusa per non essere riuscita a salvarlo, volevo cercare di consolarlo, volevo asciugare le sue lacrime.
Ma l’effetto fu diverso.
Boromir mi lanciò uno sguardo pieno d’odio, si avvicinò a me con grandi passi e si staccò dal cinturino intorno alla vita il mio braccialetto, che notai solo in quel momento. Me lo lanciò ai piedi furioso e strinse i pugni. Guardai spaventata prima il braccialetto poi lui, che gli prendeva? Possibile che credesse che…fossi stata io?
<< Sapevo che non dovevo fidarmi di te! >> sibilò prima di alzare la voce imponente << Sbattete in galera questa traditrice >>.
Cosa? In galera? No! Perché? Non avevo fatto niente!
Le guardie che erano rimaste nella sala mi vennero vicino e mi presero per le spalle sollevandomi per portarmi in galera, cominciai a dimenarmi e a puntare i piedi per terra, non volevo andare in galera solo perché avevo deciso di fare la cosa giusta! Maledizione Sophia, forse avresti dovuto smetterla di fare la cosa giusta. Forse tutto sarebbe andato meglio se mi fossi veramente alleata con Saruman!
<< Boromir >> quasi urlai cercando di contrastare le guardie che mi tiravano via << Non ho fatto niente! Gli ho salvato la vita! Ti prego, devi credermi >> il mio tono si era fatto disperato, la gola grattava come spesso aveva fatto negli ultimi giorni. Boromir mi venne a pochi centimetri con il volto il fiamme: era nero di rabbia << C’è in tutto ciò che mi hai detto UNA cosa, UNA dico, che sia vera? Una sola! Dimmi chi sei? Perché a questo punto non credo nemmeno nella verità del tuo nome. >>
<< Tutto ciò che ti ho detto di me è vero, non ti ho mai mentito >> le guardie smisero di tirarmi per permetterci di finire la discussione, anche se era qualcosa di davvero abominevole. Non avevo mai visto Boromir tanto arrabbiato, e sapere che lo era con me, per qualcosa che NON avevo fatto, mi faceva cadere a pezzi. Le lacrime cominciarono di nuovo a sgorgare dai miei occhi, percorrendo ormai un percorso segnato dalle loro predecessori.
Boromir posò una sua mano sul mio volto e con un dito mi accarezzò la guancia bagnata dalle lacrime, poi si portò questo dito davanti agli occhi, leggevo nei suoi occhi l’odio, il disprezzo ma  anche la tristezza e il dolore.
<< I tuoi giochetti con me non funzionano più. >> si allontanò da me e volse lo sguardo a suo fratello che giaceva ancora per terra << Portatela via >> ordinò. Le guardie cominciarono di nuovo a tirarmi via e io continuavo a tirarmi indietro, non poteva farmi questo! Non poteva trattarmi così, gli avevo salvato la vita, avevo salvato la vita a suo fratello! Perché?!
<< Boromir, Boromir! >> continuai a gridare e a piangere, ma lui non si voltava nemmeno a guardarmi, era tutto inutile, ormai ero stata condannata a una vita miserabile.
Sapevo che dopo aver salvato Faramir mi sarei dovuta ritirare in solitudine a raccogliere i pezzi del mio cuore per ricomporli, ma speravo che il bacio di quella mattina avesse sistemato le cose, speravo di non averne più bisogno, invece dopo quella condanna da parte sua sentii di doverlo fare nuovamente. Ma mai avrei sognato di doverlo fare all’interno di una cella buia e umida.
<< Boromir >> continuai supplichevole affievolendo sempre di più la voce, ormai stanca, ormai perdendo le speranze << Ti prego >>  riprovai a sussurrare, senza neppure lottare contro le braccia che continuavano a tirarmi via << Ti prego >> piansi ancora, accasciandomi del tutto e lasciando che mi trascinassero. Sentivo l’anima staccarsi dal corpo, sentivo le forze sparire, i miei sogni diventare bui, il mio futuro cancellato, sentivo di non essere altro ora…se non un bozzolo vuoto, privo della sua farfalla.
<< Ti amo >> dissi disperatamente prima di morire del tutto abbandonandomi al nulla assoluto. Venni portata nelle zone più oscure e arcane della fortezza, laddove il sole mai sarebbe potuto arrivare, laddove l’umidità ingobbiva le ossa e dava libero accesso ai reumatismi, laddove erano padroni topi e scarafaggi, laddove l’odore di muffa si mischiava a quello di marcio, di fogna e di cadavere, laddove l’unica luce proveniva da una piccola candela posta lontana da quella che sarebbe diventata la mia cella: la mia nuova casa.
Fui scaraventata dentro ma non opposi resistenza, mi lasciai lanciare  e mi accasciai a terra sbattendo le ginocchia contro la ruvida pietra. Ma non mi lamentai, non provai nemmeno dolore. Ormai era tutto inutile.
Ormai ero giunta alla fine di ogni cosa.
Ormai.

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Capitolo 13
*** Un'ombra che la notte ha cancellato. ***


Dal momento in cui Boromir mi aveva accusata ingiustamente sbattendomi in quel postaccio nessun pensiero attraversò la mia mente, nessun aquila si alzava in volo, tutto era immobile come in una giornata di gelo in inverno, dopo una lunga nevicata che ha lasciato dietro di sé solo morte e desolazione. Non c’era vento nel mio deserto. Non c’era acqua nel mio mare. Non c’era cuore nel mio petto.
Mi raggomitolai in un angolo della prigione, tremando di freddo in quanto il mio mantello era rimasto a Faramir e quel posto era gelido e umido. Abbracciai le gambe e posai la testa tra le ginocchia mentre le immagini della sera prima mi attraversavano la mente, memorie ormai lungi dall’essere di nuovo mie, benché vicine di poche ore. Ora non potevo più contare sul suo mantello per scaldarmi, non potevo contare sulle sue braccia, sul suo calore, non potevo più contare su di lui, non era lì con me e mai ci sarebbe stato.
Mai.
Era dunque lì che avrei dovuto passare il resto dei miei giorni? Quella sarebbe diventata la mia casa? Già, la mia casa. Quanto mi mancava. E la mia mamma, la donna più dolce e gentile che avessi mai incontrato, cosa avrei dato per poter rivedere il suo volto. Chissà come si stava disperando notando la mia scomparsa, ero sparita durante la notte nel nulla, senza salutare né avvisare. Povera la mia mamma. E mio fratello, cosa avrei dato per poterlo riabbracciare come una volta, stritolandolo come potevo. Invece ero lì, immersa nell’oscurità di una prigione, inghiottita dall’oblio del mio dolore, priva di futuro, lontana da tutto ciò che mi apparteneva e che faceva parte di me, insieme a una manciata di ricordi che non riuscivo a riconoscere né a trattenere.
<< Quale triste sorte incatena un cuore incompreso >> mormorai tra me e me e sentii la mia voce rispondermi nell’eco della montagna, mia unica compagna.
<< In cuor di donna, quanto dura amore? >> dissi a voce alta, e attesi che il mio eco rispondesse << Ore >>.
<< Ed egli non m’amò com’io l’amai? >> gridai ancora e ancora una volta attesi la risposta del mio eco << Mai >>.
<< Or chi sei tu, che sì ti lagni meco? >> e la mia stessa voce nelle profondità della grotta rispose << Eco >>.
Non era stata un’invenzione mia, avevo letto quella poesia nel libro del Fu Mattia Pascal e mi aveva sempre affascinato, ancor di più quando lessi la storia di Eco scritta nelle Metamorfosi di Ovidio. Era stato un esperimento il mio, ed era ben riuscito. Non che avessi voglia di cimentarmi in vane sperimentazioni, non desideravo niente se non rimanere sola con me stessa, ma in quel momento mi sembrava di esserci riuscita, avevo appena conversato con me stessa e mi ero ricordata quanto è vano l’amore, quant’è futile e sfuggevole, scivoloso e tagliente al tatto, accecante alla vista, stordente all’udito.
<< Che triste poesia che avete recitato, mia signora >>. Una voce. Una voce nell’ombra! Non ero sola. Mi risvegliai dal mio incanto: chi c’era lì con me? Mi alzai e andai vicino alle sbarre per poter guardare attorno alla mia cella se mai avessi visto qualcuno. Ma tutto era vuoto, buio e silenzioso.
<< Chi siete? >> chiesi con curiosità continuando a guardarmi attorno. Solo allora vidi una figura mostrarsi alla luce al di là di altre sbarre, davanti a me, due celle più a destra.
<< Chi sono? Non ricordo il mio nome, sono passati tanti anni e nessuno me l’ha mai rammentato.>> era un povero uomo dai lunghi capelli e dalla lunga barba bionda, con qualche guizzo di bianco, segno della vecchiaia incombente. Era molto magro, i suoi abiti non toccavano la sua pelle al di sotto, ma la cosa che più mi colpì furono i suoi occhi: semiaperti, quel tanto che bastava per vedere che sotto le palpebre c’era solo del bianco. Niente pupilla, niente iridi, solo un bianco un po’ opaco e velato. Vidi che volgeva lo sguardo dritto davanti a sé nonostante io non fossi lì, questo fu l’ultimo segno che mi confermò che avevo a che fare con un uomo cieco.
<< Ricordo vagamente la voce di qualcuno, qualche persona, non ricordo chi, che volgeva gli occhi verso di me pronunciando il nome Falastur, penso sia quello il mio nome, ma non ne sono certo e non ricordo la mia casata. Chiamatemi pure Falastur se desiderate, mia signora >> parlava con lentezza, con voce grave e pesante, come se facesse fatica a muovere la lingua nella bocca o addirittura a respirare. Mi ricordava un po’ Barbalbero.
<< E’ un piacere fare la tua conoscenza Falastur, il mio nome è Sophia e anch’io non ricordo la mia casata né la mia provenienza, se ciò ti può mettere a tuo agio >>.
<< Strana trovata quella del Sovrintendente Denethor di incarcerare gli smemorati >> disse ma il suo tono non sembrava divertito benché sapevo che stava ironizzando.
<< Non mi ha incarcerata il Sovrintendente Denethor, e nemmeno perché sono smemorata. E’ stato il figlio >> indugiai un po’, pronunciare il suo nome sapevo che mi avrebbe fatto crollare addosso altre macerie << Boromir, dopo avermi accusato ingiustamente dell’assassinio di suo padre e del tentato omicidio di suo fratello >>.
<< Che curiosa e singolare vicenda! >> commentò Falastur << Mi piacerebbe saperne di più >>.
Non risposi subito, infondo poteva sembrare gentile quanto voleva ma era pur sempre un carcerato, non è bene raccontare i fatti propri ai criminali, e poi non lo conoscevo nemmeno e non mi piaceva raccontare la mia vita al primo malcapitato che trovavo per la via.
<< Oh, comprendo il vostro silenzio >> intervenne lui << Perdonate la mia curiosità, ma sono stato solo e isolato per così tanto tempo che sentire una voce amica raccontarmi di un po’ di faccende provenienti dal mondo di sopra mi diletta >>.
Sorrisi, infondo anch’io avrei dovuto passare il resto dei miei giorni lì dentro, tanto valeva farsi un amico, almeno non avrei passato l’inferno completamente sola.
<< Sire Denethor è stato preso dalla follia, le tenebre del male hanno annebbiato la sua mente, e dopo aver mandato alla morte suo figlio Faramir, dopo aver visto la guerra che si sta scatenando al di fuori delle mura della sua città, la pazzia ha preso la sua mente e ha commesso un gesto sconsiderato quanto riprovevole. Ha raccolto un po’ di legna e ha cosparso di olio lui e suo figlio, deciso a dar fuoco entrambi per giungere alla casa dei suoi padri come meglio preferiva. Io ho tentato di salvarlo da questa pazzia, o quanto meno salvare suo figlio Faramir che non era morto ma solo ferito gravemente, ma ho fallito per metà. Faramir è sopravvissuto ma Denethor è morto bruciato. Boromir è giunto poco dopo sul luogo e, dato che già aveva poca fiducia in me a causa di alcuni miei gesti poco chiari commessi in passato, mi ha dato la colpa di tutto e mi ha sbattuta qua dentro con l’accusa di essere una traditrice omicida. >> raccontai lasciandomi andare alla tristezza e facendo uscire la voce dalla mia gola con difficoltà.
<< Oh >> fu dapprima il commento di Falastur << Così non vi ha voluto credere? >>
<< Mi considera una strega in grado di annebbiare la mente degli uomini, alleata con il nemico >> spiegai ancora con un filo di voce.
<< Devo credere che voi non siate semplicemente una donna della sua corte se nel raccontare di quanto è accaduto la vostra voce trema di tristezza e dolore. >>
<< Siete molto arguto >> commentai.
<< La cecità mi ha donato di un altro tipo di vista >> spiegò lui in poche parole prima di ritornare sull’argomento << Sire Boromir dev’essere una persona che vi sta molto a cuore, non è così? >>
Titubai un po’, prima di lasciarmi scivolare a terra e mettermi a sedere sulla fredda roccia, con la spalla sinistra poggiata alle sbarre << Più di quanto chiunque possa immaginare >> risposi.
<< Ed egli non m’amò com’io l’amai? >> disse lui ripetendo sovrappensiero le parole della poesia che avevo detto poco prima. Fece una pausa che io colmai rispondendo con voce sottile << Mai. >>
Un altro lungo silenzio seguì, io incapace di aggiungere altro, lui pensieroso, probabilmente chiedendosi come si possa consolare un cuore strutto che non ha speranza di vedere la luce.
<< E così Sire Denethor è morto >> interruppe quel silenzio così mortale forse con l’intenzione di cambiare argomento per continuare a parlare con me pur non facendomi soffrire.
<< Sì >> risposi semplicemente. << Forse allora c’è qualche speranza anche per questo povero vecchio >> disse sforzandosi di fare una risata che uscì come un colpo di tosse dalla sua gola. Alzai lo sguardo dal pavimento umido al suo volto, curiosa di sapere che volesse dire e aspettando che continuasse a parlare dandomi spiegazioni, cosa che fece quasi subito << La mente del nostro Sovrintendente già da tempo era annebbiata, da anni, tanti quanti io mi trovo qui. La mia colpa fu quella di disobbedire ai suoi ordini ritenuti follia. Fui accecato come punizione con olio bollente e sbattuto in prigione. Forse ora il nuovo Sire al trono capirà il suo errore e mi libererà. Chi c’è ora al trono? >>
<< Nessuno che io sappia, ma presto arriverà un valoroso Re, mio amico, figlio di una nobile casata, così com’è nobile la sua anima. Ti libererà sicuramente. >> spiegai sorridendo al ricordo del volto di Aragorn, forse avrebbe liberato anche me, infondo lui aveva sempre avuto fiducia in me e nelle mie verità.
<< Chi è costui? >> chiese Falastur e non aspettai oltre per nominarlo con orgoglio << Aragorn è il suo nome. Figlio di Arathor, discendente di Isildur >>
<< Oh, Elessar >> commentò con la voce colma di felicità e di orgoglio << Dunque sta tornando >>
<< E’ già in cammino >> spiegai.
<< Minas Tirith avrà nuova vita >> disse sempre con il suo tono fiducioso e felice.
<< L’albero bianco tornerà di nuovo in fiore. >> sorrisi anche io chiedendomi se mai sarei riuscita a godere di quello spettacolo, ma la speranza era corsa via, oltre i campi, oltre le foreste, oltre i monti e i mari, laddove era impossibile arrivare. Mi rattristai nuovamente: giorni bui mi attendevano.
<< Re Elessar libererà anche voi, mia signora, non struggetevi. >>
<< Non avrebbe motivo, non ha prove contro la mia colpevolezza. >> Stava cercando di aiutarmi, voleva tirarmi su di morale, riuscivo a capirlo, ma il suo era un tentativo inutile, le sue dita scivolavano sullo specchio su cui cercava di arrampicarsi.
<< Quindi tu non sei sempre stato cieco? >> dissi ritornando a parlare, mi ero resa conto che anch’io avevo bisogno di sentire una voce amica, qualsiasi fosse l’argomento, mi aiutava a non cadere negli abissi. Probabilmente il mio tentativo era tanto disperato da rendermi conto solo dopo aver posto la domanda che ero stata un’insensibile, ma Falastur non parve darci peso e rispose con malinconia ma volentieri.
<< I miei occhi un tempo hanno veduto cose così belle che la memoria non abbandona. Fiori e campi, cieli stellati, cavalli in corsa per le terre selvagge, colori meravigliosi, arcobaleni e il sole rosso di prima mattina. La luna, com’è bella la luna! Con il suo volto perlato e la sua espressione colma di meraviglia, come se dopo anni di sovranità in quei cieli ancora non riconoscesse il magnifico mondo che ha davanti. E donne, oh sì, ne ho vedute di donne >> rise << Ero uno a cui piaceva vederle al tempo, adoravo vederle impegnate nei loro lavori quotidiani, litigare con i capelli che impedivano loro di svolgere i comuni compiti, i loro occhi sbarazzini che curiosavano in giro. Sempre molto curiose le donne, non si lasciano sfuggire niente e adorano conoscere quante più cose, serve del loro cuore e di nient’altro. Che creature meravigliose. Capelli biondi, rossi o scuri, occhi azzurri, grigi, verdi, marroni o neri. Ne ho veduti di occhi, ne ho veduti, e tutti erano più belli dell’altro. >>
Era un Don Giovanni! Un malinconico Don Giovanni, privato della sua vita.
<< Mi dispiace. >> ammisi tristemente non sapendo che altro dire << Ma c’è sempre il lato positivo delle cose, almeno adesso non sarai costretto a vedere lo squallore di questo posto, i tuoi amati fiori appassiti, i tuoi campi bruciati, i tuoi cavalli morti o fuggiti, gli occhi delle donne colmi di terrore, i loro capelli sporchi e sbiaditi, ricoperti di cenere dalla provenienza sconosciuta, non vedrai i cieli neri dalle nubi e il volto del sole e della luna coperti quotidianamente tanto da confondersi l’un con l’altro. >>
Falastur fece una breve pausa riflettendo su quanto gli avevo detto, o semplicemente per il piacere di fare una pausa, non gli piaceva parlare d’istinto come facevo io, rifletteva e soppesava ogni singola lettera prima di farla uscire dalla bocca.
<< Mondo miserabile >> commentò con un sospiro << Però mi sarebbe piaciuto in questo momento poter avere di nuovo i miei occhi per poter vedere voi, mia signora, anche solo per poco tempo, giusto per potervi figurare nella mia mente e non avere la sensazione di parlare con uno spettro dal cuore spezzato >>.
Sorrisi, Falastur mi piaceva, aveva un’anima pura.
<< L’immaginazione in questi casi aiuta >> suggerii e Falastur rimase in silenzio ancora un altro po’ prima di domandarmi << Di che colore avete gli occhi? >>
<< Verdi ma che si colorano di un marroncino vicino alla pupilla >>.
Ancora silenzio, sembrava stesse costruendo qualcosa, stava assemblando i pezzi.
<< Capelli? >> chiese ancora e ancora una volta risposi senza timore ma con un pizzico di gioia, mi piaceva pensare che stessi aiutando qualcuno come lui a realizzare quel piccolo capriccio innocente.
<< Biondi, lunghi fino al seno ma che tengo sempre legati sopra la nuca per comodità. Pelle bianca, corpo esile, alta non più di… >> feci il calcolo mentalmente convertendo i miei 165 centimetri in piedi, la loro unità di misura << cinque piedi e mezzo >>.
Vidi Falastur sorridere dopo quelle mie indicazioni facendomi cenno di fermarmi << Basta così. Riesco a vedervi >> disse con un pizzico di emozione << Siete una bella donna, i miei occhi avrebbero sicuramente gradito la vostra immagine >>.
<< Ne sono lusingata >> sorrisi ancora, era strano ma non mi sentivo per niente in imbarazzo a fare discorsi di questo tipo con lui.
Il silenzio cadde di nuovo, ognuno perso nei propri pensieri, nelle proprie torture. Lui desiderava tornare a vedere, io desideravo tornare a trovare qualcosa da vedere.
E il tempo passò così, da soli seppur insieme, nelle consuete ore di tormento, quotidiane come pasti.
Ma il silenzio e il buio di quel luogo non mi piaceva tanto, perciò cominciai a canticchiare la melodia di una canzone, un po’ silenziosa, senza dire ad alta voce le parole solo pensandole, quasi temessi che quel luogo potesse incarcerare anche loro. Falastur udì la mia voce sottile e quasi con emozione mi disse << Sapete cantare, mia signora? >>
<< Mi piace farlo >> dissi semplicemente ma questa risposta bastò al mio compagno << Come mi piacerebbe udire una delle vostre canzoni! E’ da tempo che queste orecchie non sentono altro che il rumore dei passi provenire da fuori le celle o il litigi per il territorio degli insetti. >>
<< Stavo pensando a Sire Boromir >> ammisi un po’ imbarazzata << E’ una canzone un po’ particolare >> era la prima volta che mi sentivo in imbarazzo nel dover cantare una canzone, forse perché le altre volte nessuno capiva il senso dei miei pensieri invece ora sarebbe stato diverso. Falastur aveva in mano le carte che gli permettevano di poter cogliere ogni singola sfaccettatura della mia voce.
<< Ve ne prego >> mi supplicò e un po’ titubante esaudì il suo desiderio inondando il silenzio di quelle celle con la mia voce straziata dal dolore tanto da farla vibrare.
<< Erano pezzi di vetro sparsi sul nostro cammino, le nostre difese lasciate sospese. Fluida acqua che scorre, i nodi miei già si sciolgono come neve d’estate, ma ti guardo tornare su letti di spine. Le nostre parole lontane dal cuore, le nostre paure immotivate, congelate.  L’amore con te è come camminare in punta di piedi senza potersi fermare. Ma sento il tuo calore forte negli angoli bui delle mie stanze gelate. Appesa al tuo respiro mi vedo cadere per poi ritornare a sentirmi felice. Ma la tensione che sento verso il tuo respiro  mi distoglie dal pensiero di tutto ciò che abbiamo perso, e credo a volte di volere riparare, di poter ricostruire tutto nuovo e un po’ diverso. Ma sento il tuo calore forte negli angoli bui delle mie stanze gelate. Appesa al tuo respiro mi vedo cadere per poi ritornare a sentirmi felice. Mi fermo di fronte al tuo viso tu che dormi disteso e non sai di poterti affidare, di poterti fidare di me. >> feci una piccola pausa, fissando il pavimento, prima di sussurrare le ultime parole con un filo di voce << Puoi fidarti di me >>. Il silenzio che calò successivamente fu quasi sovraumano, sembrava quasi che Falastur avesse perfino smesso di respirare. Alzai gli occhi verso la sua cella per capire cosa stava facendo, perché era così silenzioso. Ma i miei occhi non giunsero alla sua cella, si fermarono prima, alla fine delle scale che conducevano in superficie, lontano dalle celle. Smisi anch’io di respirare e sentii un tuffo al cuore.
Immobile a fissarmi c’era lui, l’uomo dei miei tormenti, l’uomo che mi aveva strappato il cuore giocandoci a tennis, l’uomo più meraviglioso che avessi mai conosciuto ma anche il più testardo, cocciuto e orgoglioso. Boromir.
Si avvicinò alla mia cella  e nonostante la rabbia e la tristezza nei suoi confronti non potevo far a meno di ammirarlo nella sua fierezza e nella sua bellezza: brillava come una stella illuminando un cielo troppo buio. Si era cambiato con abiti puliti e più comodi, si era sicuramente lavato e sistemato, non c’era più quello strato di polvere sul suo viso che adesso brillava più bello che mai. Mi trovavo di fronte a un Dio, ma non mi era permesso avvicinarmi.
Rimasi immobile, non avendo la forza di volontà nemmeno di alzarmi, non volevo nemmeno parlargli per timore che avesse intenzione di ferirmi ancora con le sue parole affilate come lame, non volevo vederlo, sapere che mai sarei riuscita a raggiungerlo mi straziava, non volevo sentire il suo odore e cadervi di nuovo in tentazione, non volevo che fosse lì.
Nonostante tutto non riuscii a cacciarlo, né a rispondergli male, né a dire niente. Ero immobile, a guardarlo mentre si avvicinava alla mia cella e ne apriva la porta rugginosa che scricchiolò rimbombando nelle prigioni come la mia poesia aveva fatto qualche ora prima.
Mi si avvicinò lasciando la porta dietro di sé aperta, non preoccupandosi del fatto che io, prigioniera, sarei potuta fuggire. Mi venne davanti continuando a guardarmi con i suoi occhi di ghiaccio, freddi e pungenti, solo l’orgoglio bruciava dentro lui, non riuscivo a cogliere altro.
Mi porse il mio mantello e il mio braccialetto con entrambe le mani e rimase immobile aspettando che afferrassi le mie cose e che le parole gli uscissero dalle labbra. Mi alzai in piedi lentamente continuando a guardarlo in volto, non riuscivo proprio a capire cosa significasse quel gesto, cosa voleva dimostrare? Aveva forse avuto pietà di me tanto da volermi riportare le mie cose così che non avrei patito troppo il freddo in quel postaccio? Fece un sospiro e aprì le labbra per dire qualcosa, ma non uscì nessun suono. Poi ripeté la stessa azione ma sta volta parlò << Sei libera >> il mio stupore aumentò. Cosa era successo in quelle ore per fargli cambiare idea riguardo alla mia colpevolezza?
Presi il mio mantello lentamente osservandolo e toccandolo: il fuoco l’aveva rovinato parecchio, c’erano buchi e increspature un po’ ovunque.
<< Ho parlato con Legolas >> alzai di nuovo lo sguardo, ora cominciavo a capire! Lui doveva avergli raccontato tutto, ma per quale motivo? Non ero morta! Aveva mancato meno alla promessa! Ma…. forse era giusto così. Almeno non sarei più rimasta a far compagnia alle piattole << Ho riconosciuto il mio errore e sono giunto qui per porne rimedio. Ora sei libera, va’ dove credi sia giusto >>.
Nonostante tutto le cose non erano cambiate. Lui aveva capito, o almeno così diceva, eppure era così freddo e discostato con me, mi parlava con solennità come se nemmeno mi conoscesse. Tutto mi fu chiaro. Avevo compreso sempre più in quei giorni cosa stava cercando di dirmi Saruman: mai sarei riuscita a impossessarmi del cuore di Boromir con le mie sole forze, lui lo sapeva, l’aveva forse visto nel Palantir e voleva aiutarmi in cambio di una cospicua merce. Capii.
Quello non era il mio posto, la mia città, il mio mondo. Ero solo un’intrusa, non avevo ragione di essere lì, tutto mi era estraneo, compresa l’aria che respiravo. Niente di quel posto mi apparteneva né mai mi sarebbe appartenuto, che sciocca pensare che sarei potuta vivere felice in quella terra, non c’era vita per me, ero stata solo una comparsa un po’ scomoda. Saruman mi aveva portato lì, non il destino, non c’era mai stata nessuna missione per me, avevo sbagliato tutto. Mi sentivo così inappropriata in quel luogo, così fuori posto, non riconoscevo niente, nemmeno me stessa. Ero un’ombra che il sole tramontando aveva allungato, ma ora era giunta per me l’ora di sparire, ora il sole non c’era più, io ombra non venivo più proiettata su quella terra. Allungai la mano verso quella dell’uomo che ancora mi porgeva con sopra il mio braccialetto, sarei sparita, era questo che dovevo fare, abbandonare tutto e tornare ad essere il nulla, solo tracce invisibili su una terra che ben presto sarebbe cambiata e mi avrebbe cancellata dalle sue memorie. Indugiai. Forse potevo lasciare una parte di me lì, se avessi lasciato a lui il mio braccialetto si sarebbe ricordato di me e, incredibile a dirsi, mi sarebbe comunque bastato. Ma no, ormai tutto era stato scritto, troppo a lungo ero fuggita dalle mani del mio destino, troppo a lungo avevo combattuto, ora non avevo niente da vincere, ero un soldato ferito che aveva appena perso la sua guerra, niente di me lì sarebbe rimasto, inutile continuare a lottare, ormai tutto era vano. Afferrai il braccialetto sfiorando la mano calda dell’uomo, brividi lungo la schiena, gli ultimi che avrei mai provato. Boromir si fece da parte per farmi uscire dalla prigione, mi aveva offerto una liberta, vero, ma era una libertà lontana da quel posto. Solo andandomene sarei stata veramente libera, non c’era più spazio per me lì, lui stesso l’aveva capito e mi stava facendo andar via. Non mi avrebbe fermata, non mi avrebbe cercata, non mi avrebbe ricordata. Solo polvere, ecco cos’ero, polvere che stava venendo trascinata via dal vento mattutino di un nuovo giorno in una terra che più mi accettava, come una spina che col tempo viene espulsa dalla carne. Un sogno era stato, nulla più. Era giunto il momento di svegliarsi. Mi voltai e fuggii via, scappando dalla cella, senza voltarmi indietro, senza fermarmi a guardare un’ultima volta Boromir, dovevo impedire a qualsiasi cosa di bloccarmi e di farmi indugiare. Dovevo andarmene e non mi era concesso l’addio straziante dei film. Non dovevo indugiare.
Salii le scale che portavano in superficie, all’aria aperta, aria che mi scompigliò i capelli scivolati dalla coda che mi ero fatta, aria così avversa, sentivo l’eco di una voce che urlava “vattene”, ma forse era solo il mio cuore. Non conoscevo la strada ma furono i piedi a guidarmi, non sapevo dove andare, ma non me ne preoccupavo. Dovevo andarmene, non c’era più posto per me lì. Incrociai durante la mia folle corsa un piccolo hobbit che non guardai ma riconobbi Pipino dalla voce che mi chiamava incessantemente. Non indugiai, non dovevo. Non l’ascoltai e continuai a correre verso i cancelli di Minas Tirith senza voltarmi indietro. Il suono della voce di Pipino ancora arrivava alle mie orecchie, continuava a chiamarmi e forse aveva provato a inseguirmi, non saprei dirlo. Arrivai ai cancelli, spinsi delle guardie che per caso mi erano capitate sulla strada e uscii dall’enorme cancello distrutto che stavano cercando di riparare. Anche quando la pioggia cominciava a cadere incessante sui migliaia di morti che ancora giacevano sui campi Pelennor continuavo a correre, senza guardarmi attorno, mischiando la pioggia sul mio viso alle lacrime, così amare come mai lo erano state. Superai il campo di battaglia e solo allora rallentai la mia folle corsa e mi voltai indietro: avevo detto addio a tutti, compreso Boromir anche se in maniera alquanto rude, ma non a Minas Tirith, la città più bella e affascinante che abbia mai visto. Città che alla vista ora mi appariva così lontana e appannata, come un ricordo che pian piano si eclissa nella mente di chi sta per cadere in un sonno profondo. Riconobbi sopra uno dei cornicioni la piccola figura di Pipino che continuava a sbracciarsi, anche se non udivo più la sua voce, sapevo che continuava a chiamarmi non riuscendo a comprendere la mia decisione. Non aveva importanza, presto avrebbe dimenticato, come tutti gli altri.
<< Ombra mi avvolge, lo stesso timore che preclude un’addio, addio che da tempo era destinato ma che sempre ero riuscita a fuggire. Ma non ora. >> sussurrai e mi voltai nuovamente verso la foresta davanti a me, oltre i campi che quasi avevo percorso interamente << Addio >>.

 
Ormai ero dentro la foresta, la stessa foresta che il giorno prima mi aveva spaventata, la stessa foresta che il giorno prima mi aveva quasi inghiottito facendo vittima me e il mio cuore, ora mi ci ero tuffata, pronta ad essere strappata dalle mani della Terra di Mezzo. Gli alberi a me apparsi avversi ora lo erano ancor di più, tutto esprimeva odio e repulsione nei miei confronti. Dovevo andarmene, ma non sarei riuscita da sola. Mi guardai attorno terrorizzata e affranta come non mai.
<< Saruman!! >> gridai facendo echeggiare la mia voce in quella foresta ormai morta, ormai sotto il potere del male. << Fammi tornare a casa! >> gridai ancora con voce straziata e sofferente, ero disperata, stufa di quel sogno che ora più che mai era un incubo. Volevo svegliarmi, volevo andarmene.
<< Saruman!! >> gridai riprendendo a correre verso mete sconosciute, in cerca di qualsiasi cosa mi avesse fatto pensare ad un suo aiuto << Saruman! Riportami a casa, Saruman! >> sforzai tanto la  mia voce da farne uscire un grido acuto. Mi voltai di scatto, continuando a guardarmi intorno disorientata << Riportami a casa!!! Adesso! Saruman! >> , mi voltai ancora e ancora, correndo da una parte all’altra della foresta, in cerca di un segno, di un qualsiasi cosa. Desideravo più di qualsiasi cosa riuscire a toccare di nuovo l’erba del mio giardino, il mio parquet, il mio letto, stringere di nuovo i miei pupazzi, la mia mamma, mio fratello e tornare a guardare da esterno tutto quel che era successo, sorridendo alle mie illusioni infrante.
<< Saruman! >> gridai ancora disperatamente, voltandomi e tornando a correre senza vedere una radice che sporgeva dal terreno e cadendo a terra, dentro una pozzanghera fangosa. I singhiozzi ormai erano incessanti e implacabili, urla tormentose uscivano dalla mia gola, ferite che bruciavano come ferri ardenti. << Ti prego >> mi disperai ancora << Ti prego, voglio tornare a casa. >> Rimasi stesa dentro quella pozzanghera inerme. Era tutto inutile, non sarei mai riuscita a tornare a casa, Saruman non mi sentiva o forse non voleva sentirmi, o forse….era morto. Avevo dimenticato quel particolare. Le mie urla altro non erano che urla, il mio dolore fuoco, la mia anima polvere e i miei desideri ombra in una notte senza stelle.
Mossi le mani in quella fanghiglia con la quale quasi mi mischiavo, non desideravo alzarmi, mi sentivo parte di lei. Singhiozzi e lamenti. << Fammi tornare a casa >> ma ormai non c’era più speranza per me, non avevo futuro, tutto era finito, nessun posto era adatto a me, nessun luogo raggiungibile. Avevo desiderato troppo forse, quella era la mia punizione. Sentii dei passi pesanti e delle voci roche provenire da davanti a me, alzai la testa e vidi, anche se in maniera molto confusa, degli orchi venirmi incontro mormorando qualcosa. Eccolo il mio destino: a lungo aveva tentato di prendermi, ora non mi sarei più ribellata. Chinai la testa chiudendo gli occhi e lasciando che le lacrime lavassero via il fango dal mio volto mentre quelle pesanti braccia mi strappavano con violenza dalla mia pozza e mi sollevarono caricandomi sulle loro spalle. Ormai niente era recuperabile, era giunta la mia fine, come nei sogni che facevo sempre di notte a casa mia: la felicità di incontrarlo, la felicità di innamorarmene ed esser ricambiata e poi quell’addio causato dalle tre frecce d’orco. Finivano sempre così i miei sogni, con un addio, con la sua scomparsa e la mia fine. E quella volta non fu diverso.

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Capitolo 14
*** Signora della preveggenza o angelo? Nessuno dei due. ***


Appesa ad un ramo, legata mani e piedi, aspettando che la fame di qualche putrida creatura venisse placata dalla mia carne: ecco la mia sorte. Non ero nemmeno stata imbavagliata, non l’avevano ritenuto necessario, non mi ero ribellata né avevo urlato. Avevo accettato la sorte, accettato la mia fine. Il mondo davanti a me era così buio e confuso, come un sogno che sta quasi per concludersi, com’era giusto che fosse. Il tempo non scorreva, era immobile, un’eterna attesa, un eterno stop, privo del suo rewind, privo del suo play. Ferma in un istante, immobile nei secondi, minuti che sembravano anni e anni che sembravano minuti. Confusione. Niente.
Urla in lontananza, o forse era solo il vento che muoveva le foglie secche al suolo. Vento sul mio volto, o forse era solo il respiro degli orchi. Formiche sul mio braccio, o forse solo le carezze della morte.
Poi… arrivò l’addio che segnava la fine del mio sogno. Si avvicinò a me con il terrore in volto, ma mi era impossibile ricambiare il suo sguardo, ero priva di sentimenti, priva di emozioni, completamente apatica e priva di vitalità. Ero già morta.
<< Sophia >> mi sentii chiamare e un paio di mani calde  e ruvide mi toccarono le caviglie scalze, chissà quando avevo tolto gli stivali, o forse li avevo persi durante la corsa, o forse se n’erano impadroniti gli orchi che mi avevano catturata.
<< Sophia! Svegliati >> mi sentii scuotere e agitare, ma ancora nessuna reazione da parte mia. Gli occhi benché aperti non vedevano, non guardavano, non si muovevano.
<< Ma che ti prende! Reagisci! Ora ti tiro giù di lì, tranquilla >>. Tranquilla? Non avevo idea di cosa volesse dire, non ero agitata o preoccupata. Non provavo niente. Nemmeno la sua vista mi aveva provocato quel senso di turbamento che sempre avevo provato, il suo nome Boromir non mi faceva più effetto, ero priva di anima, priva di vita. << Perché sei qui? >> riuscii a dirgli con un filo di voce completamente vuoto << I miei sogni si concludono con un addio. Non dovresti essere qui >>.
<< Ma che dici? Sei impazzita? >> mi disse cercando di trovare un modo per tagliare le corde che mi tenevano appesa al ramo dell’albero. Ma rimasi appesa lì ancora per un po’ in quanto le sue mani trovarono un altro impiego: gli orchi erano tornati sulla loro preda per saziare la loro fame. Boromir si guardò attorno impugnando la sua spada e il suo scudo pronto per una nuova lotta << Non puoi salvarmi ancora, nessuno può. Ormai è finita, non perdere altro tempo >> continuai a mormorare mentre Boromir intraprendeva la battaglia. Non fu difficile per lui vincere, gli orchetti erano pochi e male organizzati.
Boromir tornò a concentrarsi sull’albero su cui ero appesa, su cui ero morta. Si arrampicò sulla corteccia fino a raggiungere il ramo su cui erano legate le corde che mi tenevano sospesa. Afferrò le corde e cominciò a sollevarmi, tirandomi su, sopra il ramo e mi mise a sedere su di esso cercando di destarmi dal mio sonno, che mi rendeva un vegetale, con carezze  e richiami. Ma fu tutto inutile, ormai tutto era perso.
<< Sophia, guardami!! >> mi incitò prendendomi il viso tra le mani e scuotendomi, ma non c’era niente da fare, mi lasciavo sballottare senza opporre resistenza ma non voltai i miei occhi verso di lui, erano diventati così pesanti.
<< Guardami! Che diavolo ti prende? >> mi scosse ancora prima di udire altri rumori di passi provenire da poco lontano << Ne stanno arrivando altri! Dobbiamo andarcene di qua, vorrei sapere cosa ti è passato per la testa >> disse prima di prendermi in braccio delicatamente e scendere abilmente da sopra l’albero. Mi prese sulle spalle ritenendo fosse più comodo per riuscire a correre via e fuggimmo.
<< Mi hai donato la libertà, lasciami marcire nella mia libertà >> sussurrai ancora come invasata da un incanto.
<< Quella non si chiama libertà! >> brontolò lui scappando senza sosta verso, supposi, Minas Tirith e io non risposi, non avevo nemmeno la forza per trovare una risposta adatta.
Riuscimmo a raggiungere i confini della foresta e ne uscimmo poco dopo, sentii Boromir cominciare a rilassarsi, sapeva che lì nei campi Pelennor saremmo stati più al sicuro in quanto i  suoi soldati erano  impegnati a tenere lontani e ad uccidere i nemici rimasti. Ma forse avrebbe fatto meglio a non rallentare, indugiare è pericoloso, l’avevo imparato a mie spese.
Una freccia volò dalla foresta colpendo Boromir dritto sulla spalla e procurandogli un dolore così atroce da farlo urlare e cadere in ginocchio. Io saltai via dalle sue spalle a causa del colpo e rotolai poco lontano. Boromir era in ginocchio per terra, il volto contratto dal dolore, la forza già gli veniva meno. Sentii dei lamenti provenire dalla sua gola mentre tentava invano di rialzarsi. I miei occhi raggiunsero involontariamente la sua figura e una scintilla si accese in me. Avevo già visto quella scena fin troppe volte, avevo già rischiato di perderlo già troppe volte. Una piccola emozione fece capolino nel mio cuore, timida e titubante, ma così ardente che ben presto lo scottò completamente: la paura. Mi alzai di colpo, trovando le forze laddove solo Dio sa, e gli corsi vicina tremolante. Nel momento in cui gli toccai il braccio lui alzò gli occhi colmi di dolore verso il mio volto impaurito e spaventato.
<< Perché sei tornato? >> sussurrai quasi colpevolizzandolo, doveva lasciarmi morire, doveva lasciarmi andare, perché era venuto a cercarmi cacciandosi in quel guaio? << Non avrei mai dovuto lasciarti andar via >> mormorò sofferente.
Che diavolo! Faceva tutte quelle sceneggiate per una freccia? Era sopravvissuto a tre!
<< Andiamo, starai bene! Ti sei salvato in momenti peggiori >>
<< Era avvelenata >> spiegò lui rapidamente tentando di nuovo di rialzarsi ma cadendo di nuovo a terra sbattendo il petto contro la dura terra secca << Maledizione >> mormorò.
<< Mi dispiace >> sussurrai in preda al terrore più profondo. Mi chinai su di lui cercando di aiutarlo a rialzarsi, ma era tutto inutile. Lo sentivo tremare dalla fatica, sentivo il suo calore abbandonare il suo braccio sinistro.
Incredibile! Avevo creduto tutto finito, invece no! Possibile che non riuscissi ad ottenere nemmeno una parte di ciò che desideravo? La sua vita. Non chiedevo altro, al mio destino mi ero abbandonata, ma perché volevano privare anche a lui della sua vita? Io non avevo futuro, ma perché lui? << No >> sussurrai abbracciandolo. Lui si lasciò andare, ormai privo di forze, e si lasciò cadere a terra. Lo afferrai sfilandogli la freccia dalla spalla e, dopo averlo voltato a pancia all’insù, feci posare la sua testa sulle mie ginocchia mentre sentivo soldati venirci incontro preoccupati e pronti ad aiutarci.
<< Ti stanno venendo ad aiutare! Ce la farai >> cercai di rassicurarlo accarezzandogli il volto madido di sudore.
<< Non ne sono certo >> si stava lasciando andare! Non doveva! Doveva lottare contro la morte, doveva vincere come aveva sempre fatto, non poteva perdere le speranze proprio ora che la sua terra aveva visto la luce della vittoria e della salvezza.
<< Andate a chiamare Aragorn! >> gridai ai soldati corsi in nostro aiuto << Ditegli di portare dell’Athelas, lui può salvarlo! Presto! >> I soldati annuirono e corsero verso la fortezza lasciandoci nuovamente soli.
<< Sta arrivando Aragorn, andrà tutto bene. Ti prego non… >> la mia voce si spezzò in gola e lo strinsi a me piegandomi tanto da arrivare a toccare la sua fronte con la mia << Non andartene. >> mormorai supplichevole.
Boromir alzò il braccio destro, quello ancora sano, e posò la mano sul mio volto accarezzandolo. << Mi dispiace >> sussurrò sforzandosi di respirare.
<< E’ tutta colpa mia. Non avrei dovuto lasciarti andare, non avrei dovuto… >> fece una pausa ma non capii mai se era per lo sforzo o perché non sapeva come dirmi ciò che stava per dirmi << Avrei dovuto crederti. Avrei dovuto fidarmi. >>
<< Hai solo seguito il tuo cuore >> cercai di giustificarlo, anche se non ero proprio nelle condizioni di farlo, ma anche in un momento come quello, dopo che mi aveva fatto patire le fiamme dell’inferno, non riuscivo a colpevolizzarlo, non riuscivo a portare rancore né odio.
Lo vidi chiudere gli occhi e la sua mano scivolò via dal mio volto lentamente, incapace di rimanere ancora alzata. << No >> mormorai vedendo la mano scheletrica della morte afferrarlo << No! Ti prego! Non lasciarmi >> piansi.
<< Ti prego, ho bisogno di te. Non capisci? Ho sempre avuto bisogno di te, fin dal principio. Ti prego! >> piansi ancora ma non ero sicura che fosse in grado di sentirmi, era immobile se non per il suo petto che continuava a muoversi sforzandosi di trovare aria per i polmoni.
<< Ti prego >> piansi ancora  << Io ti amo >>.
Mi piegai di nuovo in avanti e raggiunsi le sue labbra con le mie in un bacio disperato, quasi volessi afferrare la sua anima con le mie labbra per impedirle di volare via. Fui felicemente sorpresa di sentire che non ero l’unica a cercarlo, non ero l’unica tra i due a desiderare quel bacio, lo sentivo mentre cercava le mie labbra con le sue anche se con molto sforzo e sentii la sua mano raggiungere la mia stringendola così forte da farmi male prima di immobilizzarsi del tutto, cadendo nell’oblio.
<< No >> mormorai ancora e piansi le ultime lacrime che mi erano rimaste sul suo corpo ormai abbandonato che inutilmente stringevo a me.

 
<< Aragorn! Ti prego salvalo >> gridai appena vidi il ramingo arrivare in sella a un cavallo con un sacchetto, probabilmente contenente Athelas, una bacinella e un contenitore d’acqua che presumevo fosse pieno. Aragorn smontò da cavallo e si avvicinò a noi preoccupato, si chinò su Boromir e gli accarezzò la fronte guardandolo in viso, studiandolo << Forse possiamo ancora farcela >> disse scoprendo la spalla ferita dell’uomo che ormai era diventata violacea e fredda.
Aragorn versò l’acqua all’interno della bacinella, immerse le foglie di Athelas e bagnò un panno passandolo prima sul braccio ferito e poi sulla fronte dell’uomo.
<< Boromir >> lo chiamò con dolcezza quasi paterna. Lo chiamò ancora due, tre volte ma non c’era reazione. Ormai era inutile, non c’era più niente da fare, mi aveva abbandonata per sempre tutta per colpa mia. Ma Aragorn non si arrese e continuò ad accarezzargli la fronte, a bagnargli la ferita con l’Athelas e a chiamarlo insistentemente.
Poi il miracolo.
Boromir fece un grosso sospiro colmo di sollievo prima di riprendere a respirare normalmente e anche se non riaprì gli occhi, anche se non si svegliò, sapevo che il pericolo era scampato. Aragorn si rilassò facendo un sospiro, chiudendo gli occhi e abbassando le spalle, si era preoccupato molto anche lui, non lo dava molto a vedere ma era tanto legato a Boromir, era veramente come un fratello per lui. Forse era grazie a tutte le avventure passate insieme o forse perché provenienti dalla stessa città, appartenenti alla stessa razza, o forse entrambe le cose.
Sì voltò verso i soldati che erano rimasti in piedi a guardare sulle spine e ordinò loro << Caricatelo su un cavallo, portatelo alla fortezza: ha bisogno di riposare >> i soldati annuirono e vennero a prendere il corpo di Boromir sollevandolo delicatamente e portandolo via. Io mi alzai e lo seguii con lo sguardo, ormai tutte le paure, tutti i timori, tutte le tristezze e i rancori, tutte quelle emozioni avvelenate avevano abbandonato completamente il mio corpo, ora sentivo di potermi rilassare e preparare al premio per la mia vittoria.
<< Sali a cavallo con me, Sophia. Devi raccontarmi un po’ di cose >> mi disse Aragorn con un sorriso invitandomi a salire per prima. Mi diede una mano, anche se non ce n’era bisogno, ormai ero un’esperta in fatto di cavalcate, con tutto quello che avevo passato! Aragorn poi salì dietro di me e prese le redini del cavallo cominciando a dirigersi verso Minas Tirith.
<< Allora, si può sapere che è successo? Perché Boromir era ferito poco lontano dalla foresta quando poco fa l’avevo visto gironzolare per le strade di Minas Tirith? >>
Abbassai lo sguardo sentendomi colpevole, se mi avessero incarcerato in quel momento non avrei fiatano, l’avrei accettato, anzi io stessa mi sarei punita! << E’ stata colpa mia. Sono stata una sciocca, mi sono addentrata nella foresta non preoccupandomi dei pericoli. Lui è venuto per salvarmi ed è rimasto ferito >>.
<< Perché ti sei addentrata nella foresta? >> Voleva mettermi in imbarazzo? No, voleva semplicemente mettermi alle strette, voleva che confessassi tutto nei minimi dettagli.
<< Volevo tornare a casa >> risposi semplicemente, lui era abile a strappare le parole dalla bocca della gente ma io ero in grado di tenergli testa, mai e poi mai gli avrei rivelato il mio desiderio di morire e la causa di ciò.
<< Nessun posto è sicuro di questi tempi, casa tua sicuramente sì, ma non penso che la strada migliore fosse quella presa >>.
<< Cosa vuoi saperne tu della strada da prendere? >> chiesi un po’ stizzita, ero stanca, affamata, distrutta emotivamente e fisicamente, appena uscita da uno shock, non era proprio il momento di stuzzicare i miei nervi.
<< Gandalf ha detto che con i nuovi poteri acquisiti può essere in grado di riportarti a casa >> spalancai gli occhi e mi voltai per guardarlo in volto un po’ stupita. Lui rispose con un sorriso prima di tornare a guardare davanti a sé la fortezza che si avvicinava sempre più << Legolas ha ritenuto importante rivelarci le sue conoscenze. E penso sia stata una scelta saggia la sua, è stato questo a convincere Boromir che le tue parole erano verità, che tu avresti dovuto meritare fiducia. >>
Aveva ragione, era stata una scelta saggia nei miei confronti, ma non nei confronti di tutti gli altri! Ora sapendo che c’era una come me nella loro compagnia mi avrebbero bombardato di domande per scegliere la strada giusta o la più breve, come voleva fare Saruman, e io ero stufa di mettere mano a una storia che non mi apparteneva. Era giusto che me ne stessi in disparte a guardare lo spettacolo andare in scena e prepararmi ad applaudire agli attori meritevoli.
<< Non chiedetemi assolutamente niente >> dissi secca e decisa facendogli capire che era necessario rispettare questa regola.
<< Avete già fatto il consiglio? >> chiesi cercando di cambiare discorso << Sì e immagino tu già sappia la scelta presa, non è così? >> chiese con un sorriso.
<< Voglio solo controllare che tutto stia andando come deve andare. >>
<< Marceremo verso i cancelli di Mordor, terremo l’occhio di Sauron puntato su di noi >> spiegò e proprio in quel momento entrammo a Minas Tirith e percorremmo i viali della città per arrivare in cima dove probabilmente ci aspettavano gli altri.
<< Molto bene >> commentai semplicemente guardandomi attorno: i volti della gente erano sconvolti e straziati per la guerra appena scampata. Sorrisi nel pensare che presto, molto presto, tutto sarebbe finito.
<< Aragorn >> dissi scendendo da cavallo appena arrivammo all’ultimo livello della città, a pochi metri dall’albero bianco << Non indugiare >> lo incitai seria e lui parve cogliere ancora una volta l’importanza delle mie parole. Annuì prima di lasciare il cavallo a una delle guardie e si avviò verso la sala del trono dove probabilmente aspettavano tutti gli altri. Ma non fummo noi ad arrivare da loro, furono loro a venire da noi. Pipino fu il primo a correre verso di me dimenandosi, lanciandomi accidenti e disperandosi perché l’avevo fatto morire di paura. Mi abbassai e lo accolsi in una forte abbraccio << Mi sei mancato! >> sorrisi felice di poter di nuovo sentire una voce amica, felice di poterlo di nuovo stringere a me il mio piccolo hobbit. << Merry come sta? >> chiesi << Sta bene, si sta riprendendo nella casa di cura, vallo a trovare appena puoi, gli farà piacere! >> Annuii sempre sorridendo, sarei andata volentieri dal mio piccolo amico.
Mi alzai nuovamente e mi avvicinai a Legolas e Gimli, sempre insieme quei due! Gimli mi guardava torvo appoggiando le braccia alla sua ascia << Molto incosciente per essere una Signora della preveggenza >> commentò con il suo solito tono di sfida, mi fece molto ridere, nemmeno ricordavo più quanto fosse piacevole. << Così come è molto strano per un nano stare tanto vicino ad un elfo e andarci addirittura d’accordo >> Gimli mi guardò dapprima offeso poi fece un enorme sorriso e rise nella sua maniera beffarda, molto strana, molto simpatica. Sorrisi al nano prima di voltarmi verso Legolas che mi guardava col sorriso sulle labbra << Sapevo di potermi fidare di te >> gli dissi. Effettivamente non era stato il momento più consono per quanto riguardava il corso della storia, eravamo in un punto delicato, era stato molto pericoloso rivelare la mia identità così in fretta, ma era anche vero che gli ero riconoscente e non potevo colpevolizzarlo. Aveva fatto ciò che riteneva più giusto e io rispettavo la sua decisione. Probabilmente io avrei fatto lo stesso.
<< Fin dall’entrata a Moria >> sentii una voce gridare dalle mie spalle e mi voltai vedendo arrivare Gandalf con passo affrettato agitando il suo bastone << Sapevo che c’era qualcosa di strano in te, sapevo che nascondevi qualcosa e avevo intuito il perché Elrond ci avesse affidato un impiastro del genere! >> scoppiai a ridere divertita dall’eccesiva reazione, cosa molto strana in Gandalf in quanto era sempre stato molto pacato << Mi sei mancato anche tu, Merlino >> risi divertita.
<< Ma mai avrei creduto che sarebbe stato un elfo come Legolas a sciogliere questo nodo >>
<< Ora sono chiare tutte le cose strane che dicevi! >> intervenne Gimli entusiasta della sua nuova scoperta << Certo l’avessi saputo prima ti avrei chiesto il significato di ogni cosa, sarebbe stato interessante, invece di lasciarti parlare come un folle in delirio >> disse ancora Gimli e io risi nuovamente, quante ne avevano da dirmene! << Ti assicuro che non avresti scoperto niente di interessante >> ed era vero! Insomma cosa ci sarebbe stato di interessante nei TURBOTUBBIES?!
<< Comunque ciò non toglie che effettivamente ci sei stata di grande aiuto >> intervenne Aragorn. incredibile! L’avevano riconosciuto? Non pensavo che ci fossero mai arrivati, infondo avevo agito nell’ombra, come se fossero tutte “coincidenze”. << E ti saremmo grati se tu ci aiutassi ancora in questo momento di grande periglio >> continuò.
<< Non ho intenzione di dirvi niente. Non sarebbe la cosa giusta, è giusto che voi facciate la vostra storia così com’è scritto. Non ho più nessun diritto di interagire >>
<< Ma l’hai già fatto altre volte >> intervenne Gimli, il più impulsivo tra loro << Potresti darci solo un accenno! Qualsiasi cosa che ci possa essere d’aiuto >>
<< La tentazione di sapere qualcosa è tanta, Gimli, lo so, ti capisco, per questo motivo vi ho tenuto nascosto la verità fino ad ora, ed è giusto che continui a farlo. Se io ti venissi a dire che sei destinato a morire, cosa che non ti assicuro, sto solo ipotizzando, come reagiresti? >>
<< Cercherei di evitare la morte! >> rispose lui tenendo testa al mio tono severo.
<< Oppure ti abbandoneresti all’eventualità e non combatteresti più con la stessa forza ed energia, o ancor peggio scapperesti e ciò potrebbe essere decisivo perché magari qualche orco in meno a morire grazie alla tua ascia potrebbe significare la caduta di un intero Stato. E pensa un po’ se tutti reagissero così! Non sarebbe più la stessa cosa e la vostra caduta sarebbe imminente e in maniera anche più dolorosa e disonorante. Se io vi avessi detto all’uscita da Moria che Gandalf non era morto, che sarebbe tornato, sareste andati avanti per la stessa strada? No, assolutamente. Avreste trovato un luogo dove fermarvi ed aspettare il suo ritorno e a questo punto chissà cosa sarebbe successo. Se io avessi detto a Boromir che sarebbe morto dopo aver cercato di togliere l’anello a Frodo, se io avessi detto a tutti voi che Merry e Pipino sarebbero stati catturati, le vostre azioni sarebbero state le stesse? Se avessi detto a Boromir che avrebbe perso la testa per l’anello, che avrebbe cercato di toglierlo a Frodo, pensi che si sarebbe comportato allo stesso modo? Probabilmente avrebbe lottato per evitare di farlo, forse avrebbe vinto e forse Frodo non avrebbe deciso di proseguire da solo per la sua strada, sarebbe cambiato tutto, forse a questo punto non saremmo nemmeno qui. >> feci una piccola pausa e vidi la titubanza negli occhi del nano, segno che l’avevo convinto << La speranza, Gimli, è solo quella a cui ti devi aggrappare. Le conoscenze non aiutano ad andare avanti, anzi la maggior parte delle volte arrestano il cammino. >> << Sagge parole le tue >> commentò Aragorn intervenendo << Non dirci niente, è giusto così, ti chiedo solo di vegliare su di noi come un angelo, come hai fatto fin ora. >>
<< Su questo puoi esserne certo >> sorrisi << Non vi abbandonerò ora che ne avete più bisogno >>.
<< A proposito di angeli >> intervenne Gandalf con uno strano sorriso << C’è una persona che vorrebbe conoscere il suo. Seguimi >> e cominciò a camminare verso una meta a me sconosciuta. Dapprima rimasi stupita e titubai ma poi Aragorn mi incitò con uno sguardo e seguii Gandalf.
Non conoscendo le strade di Minas Tirith non capii dove mi stava conducendo e lui si rifiutava di dirmi qualcosa, non penso per necessità ma più per divertimento personale. Era un uomo stravagante e amava fare sorprese.
Entrammo in quella che scoprii ben presto essere la casa di cura, probabilmente mi stava portando da Merry. Ma perché essere così vaghi e misteriosi? Ci sarei andata lo stesso a trovare Merry. Ma un’altra domanda mi ponevo: io ero il suo angelo. Possibile che Merry mi considerasse il suo angelo? No, qualcosa non quadrava.
Ma tutti i dubbi sparirono quando mi trovai di fronte a un’altra persona, non Merry né chiunque potessi immaginarmi.
<< Faramir, è lei la donna di cui mi hai parlato, non è così? >> annunciò il mio arrivo Gandalf. Faramir voleva vedermi! Faramir mi voleva conoscere, voleva conoscere….il SUO angelo. Arrossii a questa nuova scoperta. Faramir mi guardò bene e si avvicinò per potermi vedere meglio poi annuì verso Gandalf << Sì, ti ringrazio molto Gandalf per averla portata qui >>.
Rimasi in silenzio, non capivo e mi sentivo così imbarazzata, ma non osai dir niente. Mi sentivo a dire il vero un po’ fuori luogo. Gandalf si allontanò e uscì dalla stanza lasciandoci soli. Faramir prese subito la parola << Non vorrei essermi sbagliato: siete stata voi a salvarmi, nevvero? >>.
Annuii non avendo la più pallida idea di come comportarmi, era diverso averlo cosciente davanti a me anziché svenuto. Avevo sempre provato nei suoi confronti questo sentimento di forte affetto materno e non mi ero vergognata nel mostrarglieli quando lo avevo salvato dalle fiamme, ma ora tutto era diverso. Mi sentivo così piccola e fuori luogo.
<< Sì, sono stata io >>.
<< Volevo ringraziarvi personalmente >> disse prima di allontanarsi colto da uno strano senso di imbarazzo, molto simile al mio, e si sedette sul letto. Si concentrò per trovare le parole adatte e aprì la bocca parlando lentamente mentre fissava un punto invisibile in un angolo della stanza.
<< Sono felice che Boromir abbia capito e vi abbia liberata >>
<< Boromir aveva tante cose da capire >> commentai avvicinandomi e mettendomi a sedere accanto a lui.
<< Come mio padre. >> disse quasi istintivamente con tono gravoso.
<< Tuo padre, Faramir, non ha mai avuto un bel carattere. Non aveva intenzione di ucciderti, cerca solo di capire questo. La nebbia e l’oscurità si erano impadroniti della sua mente, credeva ormai tutto perduto, aveva perso la speranza e ti ha creduto morto per questo ha commesso quel gesto. Voleva raggiungere la casa dei suoi padri come meglio preferiva e voleva portarti con sé perché infondo gli sei sempre stato a cuore >>
<< Questo non è vero, mi ha sempre disprezzato al contrario di Boromir, lui l’amava >>.
Non era un discorso che riuscivo a sostenere facilmente, infondo anche io avevo subito le crudeltà di un padre senza cuore e non ero certo nelle condizioni di difendere una persona spregevole come quella. Ma Faramir ne era afflitto e non potevo lasciarlo con quel dolore nel cuore.
<< Sì invece, è vero. Ti ha sempre voluto bene solo che, al contrario che con Boromir, non se n’è mai reso conto. Ma ora non pensarci più o rischi di star ancora peggio, pensa al futuro, ti aspettano grandi glorie e grandi soddisfazioni. Sei un uomo forte, forse anche più di tuo fratello, ma questo rimanga tra noi >> aggiunsi subito con un occhiolino e una risatina e riuscii a strappare un sorriso anche a lui.
Mi alzai in piedi << Ora forse è meglio che io vada, ho promesso di far visita a un altro caro amico e poi vorrei andare a vedere come sta tuo fratello >>.
<< Boromir? Perché cos’ha? >> mi bloccai, che sciocca! Lui non sapeva niente di ciò che era successo, perché non tenevo la bocca chiusa? Mi voltai tenendo lo sguardo basso.
<< Ha rischiato la vita per salvare la mia, poco fa. >> confessai rimanendo sul vago, non volevo certo entrare nei dettagli. << Beh una volta per uno non fa male a nessuno >> risi cercando di sdrammatizzare, forse anche in maniera indelicata.
<< Che volete dire? >> Possibile che non sapesse nemmeno quello? Possibile che dovevo rivelare tutto io, un’estranea?
<< Ho salvato la vita a Boromir tempo fa >> dissi cercando di non dar troppo peso alle parole, non volevo che mi ringraziasse per questo, non aveva senso perché lo avevo fatto per un mio capriccio non per lui o per Boromir stesso, ero stata un po’ egoista, non dovevo avere nessun merito né riconoscenza.
Faramir si alzò e voltandosi verso la finestra che dava sul cortile fuori sussurro << Avevo ragione allora. >>. Rimasi colpita dalle sue parole, che voleva dire? Aveva ragione di cosa? Rimasi in silenzio, immobile aspettando che mi desse spiegazioni, spiegazioni che arrivarono solo dopo una sua breve pausa riflessiva.
<< Quando ho aperto gli occhi, quando voi mi avete salvato dalle fiamme >> cominciò parlando piano un po’ imbarazzato da quanto stava per dire << Ammetto che la mia vista non era delle migliori, vedevo tutto confuso e annebbiato, ma distinsi chiaramente il vostro volto, sentivo le vostre parole leggere nell’aria e le vostre carezze erano delicate come fiori. Non vedevo bene, ma mi parve di vedere in voi… >> esitò << … un angelo. Un angelo mandato per vegliare su di me e aiutarmi, e ammetto che pensai che fosse stata mia madre a mandarvi, mi ricordate così tanto lei. Dopo essermi svegliato ho pensato che forse era solo stata tutta una mia fantasia, che mi ero lasciato trascinare dalla soggezione. Probabilmente avevo sperato così tanto di rivedere mia madre, che mi salvasse e vegliasse su di me, che mi ero convinto che voi foste un suo messaggero. >> si voltò verso di me che in quel momento lo guardavo in un misto tra l’imbarazzato, l’emozionato e lo stupito << Ma dopo questa chiacchierata con voi sono tornato sulle stesse convinzioni. Avete salvato e vegliato sulla mia famiglia come solo mia madre avrebbe avuto l’amore di fare. >>
Oddio, stava andando oltre! Io mandata da sua madre? Era un bellissimo pensiero ma assolutamente falso, non riuscivo a trovarci niente di mio.
<< Mi dispiace deluderti, ma io ho solo seguito il mio cuore. Non c’è stata nessuna forza superiore a spingermi a salvarvi, fidati. >> Avevo salvato Boromir per un capriccio e Faramir perché sennò la storia avrebbe subito troppi mutamenti, forse anche irrilevanti per quanto riguardava la storia della Terra di Mezzo, ma pur sempre troppi mutamenti e non mi sarebbe mai andata giù l’idea di aver cambiato quello splendore di storia.
<< Certe cose accadono per la maggior parte delle volte in maniera inconscia >> rispose.
Continuavo a pensare che stesse sbagliando e che si stesse solo illudendo, ma in fin dei conti che problemi c’erano? Se a lui piaceva pensarla in quella maniera e se lo rendeva felice non mi sarebbe costato niente assecondarlo. Gli sorrisi amorevolmente e mi avvicinai sentendo ancora una volta nascere dentro di me quell’affetto materno anche se inadatto.
<< Non sono tua madre, non lo sarò mai e mai le assomiglierò, sarebbe blasfemo solo pensarlo. Ma se mai un giorno tu avessi bisogno di qualcuno di vagamente simile nel comportamento, qualcuno desideroso di amarti come avrebbe fatto lei e ad accudirti nella stessa maniera, sai dove trovarmi, se ciò ti fa piacere. >> dissi alzandomi sulle punte per arrivare a baciare la sua fronte. Lo vidi sorridere soddisfatto ed emozionato.
<< Ora vado, altre persone aspettano una mia visita >> dissi avviandomi verso la porta e mi voltai a sorridergli ancora prima di uscire. << Grazie ancora >> disse lui prima di vedermi sparire del tutto.
Attraversai la casa di cura a fatica, molti erano stesi nel corridoio o ammucchiati nelle stanze, troppi feriti aveva portato questa guerra.
Riuscii a trovare Merry con un po’ di fortuna, era steso accanto ad altre persone su di una morbida coperta. Aveva gli occhi aperti e stava parlando con un suo vicino, sembrava stesse bene, era arzillo e vivace.
<< Sei solo un falso malato Meriadoc! Tutte scuse per accaparrarti l’attenzione di tutti e farci morire di preoccupazione >> scherzai avvicinandomi a lui. Merry saltò sentendo la mia voce e cominciò ad agitarsi perché voleva alzarsi e corrermi incontro, ma le ferite e le brontolate degli infermieri glielo impedivano. Mi avvicinai io a lui quel tanto che bastava per farmi assalire dal piccolo hobbit che quasi mi stritolò.
<< Ehi, vacci piano! Non sono un orco io. >> ridacchiai ricambiando il suo abbraccio. << Come stai piccolo uomo? >> chiesi mettendomi a sedere sul freddo pavimento, accanto a lui, e scompigliandogli i capelli.
<< Molto meglio, le cure di Aragorn sono state miracolose, pochi giorni e sarò di nuovo quello di sempre >> mi rispose prima di aggiungere << Ma tu invece? Dove sei stata? Cos’hai fatto? Non ho più ricevuto notizie su di te, mi sono preoccupato molto >>
<< Non hai bisogno di preoccuparti per me, come vedi sono ancora tutta intera >> “anche se ho rischiato” pensai mentre le immagini del mio salvataggio tornavano alla mente. Immagini così piene di intensità e così luminose da accecarmi per qualche secondo.
<< Sophia. >> mi richiamò Merry svegliandomi dal mio incanto << Cos’hai? >>
<< Oh, niente Merry, tranquillo. Solo…pensieri. Niente di grave, non preoccuparti. Pensa a riposare piuttosto, prima torni in forze e prima potremo passare di nuovo del tempo insieme, come nei giorni a Fangorn. >> dissi alzandomi in piedi << Te ne vai già? >> mi chiese un po’ sconsolato.
Annuii << Voglio andare a trovare un’altra persona. >> rimasi sul vago.
<< Dai, Sophia! Raccontami qualcosa, sei stata via da sola con Boromir così a lungo! Ci sono sicuramente tante cose che mi dovrai raccontare! >>
<< E te le racconterò, promesso. Ma non ora, non è il momento migliore e non è il luogo adatto. >> dissi guardandomi attorno: c’erano troppe persone e l’atmosfera non era l’ideale.
<< Riprenditi in fretta e andremo in qualche giardino di questa bellissima città a parlare, ti racconterò tutto, promesso. Ora ero solo di passaggio per vedere come stavi. >> sorrisi ancora prima di allontanarmi di qualche passo dopo aver fatto un cenno di saluto con la mano.
<< Va bene, allora mi riposerò così mi riprenderò in fretta e a quel punto non avrai più scuse! Salutami Boromir ora che vai a trovarlo >> disse pronunciando l’ultima frase senza peso, come se avesse detto una cosa ovvia. La mia reazione invece fu di sommo stupore, era riuscito a capire di chi si trattava! Rilassai il volto in un sorriso divertito, riusciva a leggere nei miei occhi come pochi riuscivano a fare, un po’ come Legolas. << Lo farò >> sorrisi prima di voltarmi e allontanarmi da lui passando accanto a malati, feriti e persone in coma sul punto di morte. La morte non era mai stata tanto vicina da impregnare l’aria con la sua puzza come faceva in quel momento.

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Capitolo 15
*** Ti sbagli, sono solo una ragazza molto egoista e fortunata. ***


Uscii dalla casa di cura e mi guardai attorno in cerca di qualcuno che potesse darmi spiegazioni, sapevo benissimo che non avrebbero mai potuto mettere il capitano Boromir di Gondor in una delle tante stanze della casa di cura, in mezzo a malati e altri “plebei”. Sicuramente gli era stato riservato un posto d’onore, ma chissà dove. Per fortuna in quel momento passò una guardia << Scusate, buon uomo >> dissi ridendo di me stessa come di un comico, era la prima volta che usavo quell’espressione e mi sembrava a dir poco esagerata e ironica, ma da quelle parti usavano così << Sapete mica indicarmi la via per arrivare alla stanza dove riposa il capitano Boromir? >> La guardia mi guardò dapprima scettica, poi si voltò a guardare la via di fronte a noi << Lungo questa via, poi a sinistra. >> ringraziai e cominciai ad avviarmi. Non era stato messo molto lontano dalla casa di cura, come immaginavo, così che se ce ne fosse stata la necessità i medici avrebbero impiegato poco tempo a raggiungerlo. Giunsi davanti alla porta e allungai una mano per bussare ma esitai. Una volta entrata come mi sarei comportata? Ora mi chiedevo addirittura perché mai fossi voluta andare a trovarlo. Non avevo niente da dirgli, e anche se avessi avuto qualcosa da dirgli non ne avrei avuto il coraggio. Abbassai il braccio decisa a rimandare la mia visita, non aveva senso entrare in quel momento, anche perché probabilmente stava riposando e aveva bisogno di essere lasciato in pace. Stavo per andarmene quando la porta si aprì di fronte a me facendomi sobbalzare e mi trovai di fronte Aragorn che come al solito sorrideva << Allora avevo veramente sentito qualcosa >>
<< Sicuro di non essere un elfo? >> quasi brontolai, come diavolo aveva fatto a sentirmi? Avevo respirato così forte? Bah.
<< Abbastanza. Sei venuta a trovarlo? >> mi chiese uscendo dalla porta e facendosi da parte per farmi passare << Beh, le mie intenzioni erano quelle ma probabilmente starà riposando quindi è meglio se lo lascio in pace >> sorrisi imbarazzata, ovviamente non era proprio quello il motivo.
<< E’ sveglio >> “Doh!” << Entra pure, gli farà piacere vederti >>
<< Ne sei certo? >> chiesi ancora esitando, chissà che invece non continuasse a disprezzarmi. Nelle prigioni era stata quella l’impressione.
<< Più che certo. >> disse prima di congedarsi con un lieve inchino regale e andarsene. Rimasi immobile di fronte alla porta aperta, ero ancora in tempo per fuggire via. Ma no, sarebbe stato da stupidi, ormai ero lì tanto valeva entrare. E così feci, chiudendomi la porta alle spalle.
La stanza era illuminata da una semplice candela posta sopra un mobiletto poco lontano dal letto su cui giaceva Boromir, con gli occhi chiusi e il respiro tranquillo. Il pavimento cigolò sotto i miei piedi e ciò destò l’uomo dal suo riposo apparente, portandolo ad aprire gli occhi e facendomi capire che non stava dormendo ma semplicemente riposando, o forse pensando. Mi guardò privo di espressione e si sollevò a sedere sul letto con fatica.
<< Ero venuta a vedere come stavi >> dissi semplicemente tenendo lo sguardo basso per la vergogna.
<< Ho avuto momenti migliori, ma Aragorn è un ottimo medico. Sono già quasi come nuovo. >> disse e non riuscii a cogliere nessun tipo di emozione nella sua voce. << Tu come stai? >> mi chiese questa volta facendo trasparire la sua dolcezza. Annuii e mi misi a sedere su una sedia vicino al letto. Gli afferrai la mano sinistra accarezzandola appena con il pollice << La tua mano è tornata calda >> constatai ricordando di come era stata gelida.
<< Sì e pian piano riesco anche a muoverla, ma temo che non tornerà mai quella di un tempo >>
<< Mi dispiace >> riuscii a trovare la forza di dirgli in un flebile sussurro, mentre i sensi di colpa mi rosicchiavano dall’interno come topi.
<< Non chiedermi scusa >> disse lui voltando i suoi occhi verso la piccola finestrella posta alla sua destra, un po’ troppo in alto per riuscire ad affacciarsi e vedere di fuori. << Sono io che devo chiederlo a te. Se solo mi fossi fidato… >> non concluse la frase ma sentii che c’era del rancore nella sua voce, rancore verso se stesso.
<< Non dire questo! Hai fatto ciò che ritenevi più giusto >>
<< Molto spesso il mio cuore mi ha condotto per via sbagliate, non riesco più a fidarmi della sua voce, non sono più sicuro di ciò che sia giusto o sbagliato. >>
<< Tutti commettono degli errori e il tuo è più che giustificato. Non colpevolizzarti inutilmente. >>
Boromir fece una pausa prima di portare gli occhi sulle lenzuola che aveva sopra le sue gambe per poi spostarlo di nuovo verso me << Mi dispiace, Sophia, per tutto ciò che ti ho fatto passare. Sono stato spregevole e cieco, terribilmente cieco. >>
Non sapevo cosa rispondergli, aveva ragione: mi aveva fatto patire le fiamme dell’inferno, non potevo mentirgli.
<< Ma adesso ti sei reso conto del tuo errore, adesso è tutto passato ed è questo che conta. Non è così? >> chiesi conferma sperando che veramente avessi detto al verità, che veramente fosse tutto passato ma non ricevetti subito risposta. Anzi, non ricevetti proprio risposta. Ciò mi preoccupò non poco, ancora portava rancore? Possibile, dopo ciò che mi aveva detto? Che uomo cocciuto e orgoglioso! Mi faceva venire una gran rabbia, perché diavolo si comportava in quella maniera? Mi alzai in piedi intenzionata a non rimanere un attimo di più in quella stanza, era inutile, potevo piangere, disperarmi e urlare , era tutto inutile, mai mi avrebbe visto e mi avrebbe dato importanza.
Stavo per voltarmi per andarmene, così senza dire nemmeno una parola, quando fu lui a parlare finalmente. Ma ciò che disse non fu esattamente ciò che mi aspettavo.
<< Il tuo amore è ingiustificato >>.
Rimasi pietrificata mentre lui ancora una volta si voltava a guardare quella piccola finestrella in alto, che puntava verso un cielo nero e cupo pronto a cadere sopra una terra ormai priva di vita. Capii che lo faceva perché incapace di rivolgere il suo sguardo a me.
<< Non sono degno di tutto ciò >> disse stringendo le lenzuola tra le dita con forza << Dopo tutto ciò che ho fatto per renderti il cammino difficile, dopo tutto l’odio che ti ho rivolto…come puoi… >> non finì la frase che aveva pronunciato con astio, strinse i denti e si portò una mano sugli occhi abbassando la testa. Nella mia testa non passava niente se non pietà verso l’uomo che davanti  a me si stava crucciando per un crimine che aveva commesso inconsapevolmente. Si può perdonare un colpevole qualora chiedesse scusa? Qualora si fosse reso conto del suo errore?
<< Riusciresti a distruggere un muro di pietra prendendolo a pugni? >> risposi con una serietà uscita da chissà quale cavità del mio cuore << Il mio amore non è ingiustificato, è una fiamma troppo alta per spegnersi con una leggera brezza mattutina >>. Feci poi un inchino come era solito fare dai soldati di fronte al loro capitano, ero risultata fredda e passionale allo stesso tempo, qualcosa di inconcepibile che mi era nato da non so bene dove. Forse dalla disperazione, o forse dalla consapevolezza ormai remota che il mio fuoco, benché alto, non avrebbe trovato alimentazione in nient’altro se non in se stesso.
Mi voltai verso la porta e mi avvicinai a quella che segnava il confine tra la speranza e la realtà. Boromir aveva riconosciuto il suo errore, si era evidentemente pentito, la cosa non poteva che farmi piacere, ma dopo mesi di lacrime e dolore mi ero stufata di continuare a sperare, la speranza mi aveva illusa troppe volte, era giunta l’ora di tornare alla realtà con freddezza e consapevolezza. Il cuore del capitano di Gondor non mi apparteneva, dopo tutto ciò che era successo non potevo certo sperare di andare avanti ignara del passato, Saruman aveva ragione. Ora riuscivo ad accettarlo con più diplomazia.
Allungai una mano verso il pomello della porta e dopo aver fatto un sospiro l’aprii per affacciarmi nella mia realtà e prendervi parte ma mi fu impossibile. La porta fu spinta in avanti tanto da richiuderla con un gran tonfo. Inizialmente non capii cosa stava succedendo, ma dopo vidi che a chiudere la porta era stata…una mano…LUI! Mi voltai completamente a guardarlo esterrefatta non capendo il significato del suo gesto, o almeno non subito in quanto lui si apprestò a darmi spiegazioni…con un bacio.

 
La piccola candela a fianco del letto stava cominciando a morire, la sua luce stava affievolendosi lasciando che la stanza cadesse nel buio della notte. Che ore erano? Non avrei saputo proprio dirlo. Da quando ero arrivata lì avevo perso completamente la concezione del tempo, riuscivo solo a capire se fosse notte o giorno, e ultimamente anche quella capacità stava svanendo. Le nubi di Mordor stavano prendendo il dominio su tutto il cielo, senza alcuna pietà. Luna e Sole si stavano alienando, non riuscivano più a vedere la terra che per anni aveva accarezzato. E questa, a sua volta, non riusciva a vedere loro, protettori di ere.
Tutti pensieri molto tristi e cupi, come quelli di ogni abitante della Terra di Mezzo probabilmente.
Ma non per me. Non quella notte.
Penso di non essermi mai sentita così bene da quando avevo scoperto di essere piombata a Gran Burrone. Infondo, dopo mille e più pericoli, dopo dolori e rammarichi, preoccupazioni e paura….finalmente era arrivato il mio lieto fine.
La fiamma si spense completamente, il buio calò, e l’unica cosa di cui mi rattristavo era di non poter più veder muoversi ritmicamente il petto nudo dell’uomo che mi giaceva accanto, avvolto nel sonno, benché la vista delle sue tre cicatrici mi riempivano il cuore di uno strano liquido nero. Così, non potendo più vedere con occhi, decisi di vedere con gli altri sensi. Mi strinsi a lui, abbracciandolo, e chiudendo gli occhi lasciai che il suono del suo respiro mi cullasse portandomi al sonno. Il calore della sua pelle a diretto contatto con la mia era un dolce tepore, che solo poche volte ero riuscita a percepire tanto piacevole.
Cosa avrei dato perché il tempo si fermasse a quel preciso istante. La gioia che provavo era tanta in quel momento da impedirmi di dormire, tanta da pulire tutte le macchie che avevo accumulato dentro me.
Niente aveva più importanza.
Finalmente ero lì, e sapevo che non era un sogno. Finalmente ero giunta in cima a quella montagna che tanto mi aveva ferito con le sue rocce, e tanto mi aveva punto con il suo freddo. Ma finalmente ero lì. E non mi sarei più mossa da quel cucuzzolo  accogliente, che mostrava a me tutte le meraviglie di un paesaggio mozzafiato, accarezzato dalle nuvole. Mai avrei smesso di allungare il braccio, avida di quel telo blu cristallino sopra di me, per poterlo toccare e accarezzare, cucciolo gioioso.
Finalmente morfeo aveva ceduto a me il suo posto, ora potevo abbracciarlo e cullare il suo sonno donandogli tutto ciò che il mio amore poteva offrirli per la sua serenità.
Lui.
La mia anima.
La mia vita.
Boromir.

 
Il mattino arrivò fin troppo presto, avevo dormito davvero molto poco, e non mi era chiaro se per la gioia di poterlo stringere a me, o per una strana ansia che testarda continuava a battermi in petto per una ragione a me oscura. Cosa avevo da essere ansiosa? Stava andando tutto bene: avevo realizzato il mio sogno, ero sulla terra più meravigliosa che uomo potesse conoscere e avevo ricevuto l’amore di un uomo altrettanto meraviglioso. Il male incombeva a pochi passi da noi, vero, ma sapevo che tutto si sarebbe risolto per il meglio. Tutto stava andando come era stato scritto. O almeno così credevo.
Sembrava quasi che avessi dovuto pagare un prezzo per quel piccolo dono: la mia memoria in cambio della felicità. Ormai stavo dimenticando tutto. Ricordavo della caduta di Sauron ma i mezzi mi erano ormai oscuri. Vuoto assoluto. Non che la cosa mi dispiacesse troppo, ormai eravamo giunti alla conclusione, avevo tutto inciso nel mio passato e non in un foglio di carta bruciacchiato. Potevo ricordare lo stesso quella magnifica avventura passata accanto a persone meravigliose. Ma l’idea di non sapere cosa ci sarebbe stato da lì a pochi giorni mi tormentava.
E se avessi commesso un errore? E se avessi sbagliato qualcosa? Se qualche particolare mi era sfuggito? Se….qualcuno fosse morto in battaglia?
Sospirai esasperata, non riuscivo più a stare ferma. Dovevo muovermi, dovevo alzarmi e fare due passi per scaricare la tensione. E poi era già mattino: se qualcuno fosse venuto a trovare il grande Capitano Boromir e mi avesse trovato nel suo letto? Non mi piaceva l’idea.
Per quanto mi dispiacesse interrompere quel meraviglioso incanto sapevo che il tempo era implacabile, non potevo più restare. Scostai appena le coperte da sopra di me per potermi alzare, cercando di fare tutto con la massima cautela per non svegliare l’angelo che riposava al mio fianco. Ma scoprii ben presto che non ce n’era bisogno.
<< Sono ben sei >> la sua voce lievitò delicatamente dentro la stanza, senza macchiare il silenzio melodioso che per tutta la notte ci aveva fatto compagnia << Sei sospiri da quando ti sei risvegliata, circa un’ora fa. Cosa turba i tuoi pensieri? >> Mi chiese scoprendo quei meravigliosi diamanti che erano i suoi occhi, puntandoli dritti contro di me, colpendomi come una freccia di cupido. Un’altra.
<< Non stavi dormendo? >> cercai di deviare il discorso, non mi piaceva parlare dei miei “poteri” con lui, non ancora. Dovevo aspettare che tutto fosse finito, mi sentivo ancora troppo vulnerabile. Una parola di troppo e tutto sarebbe crollato.
<< Sono stato più sveglio di te >> disse con un leggero sorriso e si alzò poggiandosi su un gomito, così da potermi guardare meglio in volto. << Ma mi piace tenertelo nascosto. E bello sentire i tuoi occhi puntati su di me. >>
<< I miei occhi sono puntati su di te anche quando sei sveglio >> dissi prima di stendermi su di un fianco per potermi rilassare.
<< Non è vero. Fuggi dal mio sguardo, lo hai sempre fatto. Mi temi. E non ne capisco il motivo. >> la sua voce era pregna di dolcezza, mai l’avevo sentito così. Sentivo che un grosso nodo si era sciolto, sentivo che adesso tutto sarebbe stato diverso. La lontananza che c’era stata fino a poche ore prima ora si era dissolta completamente. Io potevo vedere lui e lui poteva vedere me. O forse l’aveva sempre fatto?
Non sapevo cosa rispondergli, effettivamente aveva ragione. Ero sempre stata intimorita dal suo sguardo, mi ero sempre allontanata da lui e da tutto ciò che lo riguardava, ma non per disprezzo. Il mio era un fuggire timido. Uno di quelli da film, dove l’unica soluzione richiesta è un inseguimento da parte dell’altra persona. E lui era stato veloce abbastanza da prendermi e stringermi a sé, precludendomi l’eventualità di un ulteriore fuga. Fuga che, intimidita, continuavo a ricercare.
Ero timida, vero.
<< Allora, mi dici perché sei tanto agitata? Perfino il sonno non ti ha donato la quiete. >> Accidenti era tornato sull’argomento di prima! Non avevo intenzione di affrontarlo con lui, non adesso.
<< Temo la mia sorte. >> Risposi accennando un sorrisino divertito. Boromir rimase in silenzio a guardarmi incuriosito, probabilmente si stava chiedendo cosa volessi dire.
<< Il tuo sguardo >> cominciai a spiegare aprendo gli occhi e fissando il suo braccio a pochi centimetri di ma << Non temo il tuo sguardo, temo la mia sorte se mai dovessi incrociarlo. Ecco perché evito sempre di farlo. >> feci una piccola pausa alzandomi a sedere e voltandomi lentamente per riuscire finalmente a puntare i miei occhi verdi nei suoi azzurri. Il risultato fu quello che mi aspettavo e molto peggio. L’invisibile linea che collegava le due uniche fonti di accesso alla nostra anima era colma di energia che vibrava nell’aria, la rendeva calda e leggera. Il cuore cominciò a battere forte, decisamente troppo forte, ma non ero intenzionata ad arrendermi. Sentivo che in quel momento lui poteva benissimo toccarmi nel profondo e farne ciò che più preferiva. Ma non lo temevo, sapevo che avrebbe avuto cura della mia linfa vitale e l’avrebbe donata di nuova luce.
<< Anni fa lessi per la prima volta di un uomo. >> cominciai a parlare con la voce che tremava << Non un uomo qualunque: un grande uomo, conosciuto da tutto il suo popolo e da molti dei popoli che vivevano su una splendida terra, la quale brillava di luce propria. Il sospiro dei suoi venti erano carezze, il calore del suo sole era un abbraccio, i canti dei suoi fiumi ninna nanne per cuori affranti in cerca d’aiuto. Alberi premurosi di curare chi volesse concedersi una pausa dagli abbracci di quel caloroso amico che sopra il cielo vegliava su tutto. Una terra piena di magia, che curava le proprie creature con amore promettendo loro pace e quiete. Lessi di una terra ferita che ben presto avrebbe chiesto aiuto a nove dei suoi figli. Figli che non avrebbero tardato a curarla. Lessi di nove coraggiosi cavalieri che, percorrendo per esteso questa meraviglia, correvano verso il centro dello squarcio per impedire la fine. Attraversarono boschi in grado di allietare le loro fatiche con dei canti, attraversarono fiumi che prendendoli sulle spalle, e permettendo loro di riposare, li portarono lontani finchè potevano. Lessi di montagne amiche e nemiche. E lessi con orrore ciò che quella ferita stava portando: lessi della progressiva morte di tutto ciò. >> Ero un po’ divagata dal discorso iniziale, ma ero volata sopra quella magnifica terra di cui tanto avevo sentito parlare e che finalmente avevo potuto toccare con mano. << Ma il mio dolore trovava sollievo in quei nove cavalieri: coraggiosi, colmi di amore e speranze, leali e fedeli, dall’animo puro e un po’ burlone. Quanti sorrisi ho donato alle loro gioie, quante lacrime ho donato ai loro dolori, quanta ansia alle loro paure. Io ero lì, ero sempre stata lì con voi, spettatrice impotente. E proprio questa impotenza mi aveva portato alla follia, soprattutto laddove volevo donare a voi qualcosa di diverso. E lo trovai: il culmine della mia follia. >> feci un’altra pausa cercando di raccogliere le parole e nel frattempo chinai la testa, staccandomi un po’ dai suoi occhi che continuavano a scrutare la mia anima, bramosi di vederne tutti i significati più profondi. Feci un piccolo sorriso intenerito nel ricordare tutte le sensazioni che avevo provato nel leggere di Boromir, e rialzai lo sguardo per poter permettere all’uomo di continuare la sua caccia al tesoro dentro me << C’era un uomo tra loro. Un cavaliere, un capitano, figlio della sua terra, servitore del suo popolo, dall’animo fiero e valoroso. Lui era IL cavaliere. Il suo cuore bruciava per il suo popolo, si sarebbe gettato nelle fiamme e sarebbe morto lì se solo loro glielo avrebbero chiesto. Ma il suo cuore lo condusse troppo lontano, laddove l’amore si mischia alla follia… e non se ne fa più ritorno. >> Ricordare la sua morte non mi faceva mai bene, mi incupiva sempre, anche se sapevo che ormai il pericolo era scampato. << Lessi di un uomo anni fa. Un uomo tormentato dal profondo, un uomo il cui padre, accecato da lame avvelenate, l’aveva incitato a giungere su quella linea di confine. Lessi di un uomo dai capelli neri e gli occhi azzurri, ingrigiti dall’età e dalle fatiche, un uomo che morì percorrendo una via sbagliata in cerca della luce. E me ne innamorai follemente. >> mi sentii avvampare, non mi ero mai stata aperta tanto con lui. A dir il vero: non mi ero mai aperta tanto con nessuno. Mi sentivo spogliata di tutto, non avevo più niente con cui proteggermi. Ero così vulnerabile.
<< La notte, quando chiudevo gli occhi, dopo aver letto la sua storia, lo vedevo come fosse lì a due passi da me. Il sole fiero di battere sulla sua pelle richiamava tanto le immagini delle divinità, il suo sorriso risplendeva più del sole stesso e i suoi occhi… >> mi bloccai emozionata, la voce mi tremò << Splendide pietre preziose, incastonate su di un viso perlaceo, porte che si spalancavano verso un mondo colmo di dolore e amore per la propria terra. Un mondo che tremava sotto i piedi di chiunque tentasse di far percorrere i suoi passi. Riuscivo a vedere in quegli occhi il tormento dell’impotenza di fronte alla morte e il desiderio di tornare a sorridere. E io tremavo e cadevo, toccando quel suolo così fragile, capendo quanto ciò gli facesse male e desiderando più di qualsiasi altra cosa poterlo aiutare. Ogni singola notte vedevo quel mondo cadere nelle mani dell’oscurità, e io… >> la voce mi morì in gola, stavo andando oltre, dove mai mi ero avventurata. Abbassai di nuovo lo sguardo, incapace di continuare a guardarlo, occhi e gola bruciavano, minacciosi. << Boromir >> proseguii portando al limite del possibile la mia stabilità << Tu bruciavi dentro me già da prima che io arrivassi qui. Per anni ho sognato di poterti vedere con i miei occhi e impedire la tua caduta. Non era giusta! Tu eri stato il migliore di tutti, tu avevi sacrificato te stesso per tutto quello che amavi, non potevi concluderti così. Anche tu avevi diritto di ritrovare la serenità, era inconcepibile la tua caduta! Avrei dato qualsiasi cosa pur di donarti la felicità tanto ambita, QUALSIASI! E...e Saruman fu colto dai miei sogni, io ho raggiunto Saruman pregandogli di darmi una possibilità per aiutarti. E lui non s’è fatto scappare l’occasione e mi ha portato qua. >>
<< Conosco già la tua storia, adesso basta. >> disse dolcemente invitandomi a rimanere in silenzio, vedeva che parlare di quelle cose mi portava solo sofferenze. Mi accarezzò i capelli e tentò di tirarmi a sé per potermi abbracciare.
<< No, è giusto che tu sappia DA ME, quel che è successo. E’ giusto che tu senta le MIE parole. >> cercai di dire ma la voce mi impedì di parlare chiaro continuando a tremare, forse per vergogna dei miei errori, o forse per dolore nel ricordare la morte dell’uomo che avevo accanto a me che, nonostante fosse stata evitata, continuava  a tormentare la mia mente, mostrandomi il suo volto privo di vita. << Hai già detto abbastanza, adesso rasserenati. Non amo vederti così. >>
Mi strinse a sé e io, affondando il volto nel suo pettò, continuai singhiozzando << Quando sono giunta qui e ti ho visto con i miei occhi è stato tutto diverso, capii che non era amore quello che avevo provato fino a quel momento ma semplice compassione. Tutto è nato stando al tuo fianco. Mi sono innamorata di te una seconda volta, in maniera più decisa e significativa. Un amore vero, non illusorio. Ho fatto tutto questo per te! Perché io ti amo. >> E quelle furono le ultime parole da me pronunciate. Non avevo altro da aggiungere: mi ero aperta completamente, ormai tutte le mie cicatrici avevano un significato ai suoi occhi.
Boromir però non rispose. Si limitò a sospirare e a stringermi più forte a sé, sperando di calmare il mio animo turbato con carezze. La cosa però non mi piacque molto, non ricevere risposta mi faceva pensare che i miei sentimenti non erano ricambiati. Ma allora perché era lì con me? Perché era insieme a me in quel letto?
<< I nostri destini erano legati fin dal principio. >> disse lui con una voce profonda come poche volte avevo avuto l’onore di udire << O almeno così mi piace pensare, anche se molti lo riterrebbero sciocco e insensato. >>
Alzai lo sguardo verso i suoi occhi, curiosa di scoprire cosa stesse cercando di dirmi. Il suo sguardo, perso nel vuoto, era al contempo serio e imbarazzato. Conoscevo bene quello sguardo, capitava spesso anche a me di assumerlo quando rivelavo qualcosa che ritenevo serio, ma che temevo fosse preso alla leggera dagli altri.
<< Pochi giorni prima del tuo arrivo sulla Terra di Mezzo, una figura mi apparve in sogno. Una figuro dal volto indistinto, pareva quasi angelica, dai lunghi capelli dorati e un’aura brillante che quasi accecava il mio sguardo, privandomene la vista. Io mi trovavo nel buio più completo, sperduto in un luogo indistinto, tra ombre e oscurità. Ma quell’angelo, avvicinandosi a me, illuminò improvvisamente il mio cammino con una sua lacrima e io ripresi a vedere. E vidi cose meravigliose! Ma di lei... neanche l’ombra. Era sparita nel nulla lasciandosi dietro solo una piccola stella. >> Vidi il suo sguardo spostarsi lungo la stanza fino a raggiungere il comodino, dove vicino alla candela ormai spenta, brillava di vita propria il braccialetto regalatomi da Galadriel.
<< Boromir. >> cominciai intimorita all’idea di infrangere le sue convinzioni, ma non potevo tenere la lingua a freno << Lo sai che probabilmente era solo un incanto di Saruman, non… >>
<< Sì, lo so. >> mi interruppe privandomi della possibilità di proseguire << Ma ognuno è libero di credere a quel che vuole. E io voglio credere che sia stato il fato ad anticiparmi la tua venuta e ad avvertirmi di darti la giusta importanza. >> Abbassò lo sguardo e sorrise appena << Mi conosci, no? Quando un’idea lascia un segno nella mia testa, questo diventa indelebile. >>
<< Già, sì. >> sorrisi << Sei molto testardo. >>
<< Quando ti vidi la prima volta mi colpisti particolarmente. >> un altro sorriso si dipinse sul suo volto, ma questo fu più divertito << Eri davvero strana: non ricordavi niente (o almeno così ci facesti credere), ti guardavi attorno meravigliata anche del più insignificante sassolino, dicevi cose strane e prive di senso, non sapevi usare un’arma, eri spaventata dalla tua stessa ombra. Insomma apparentemente eri abbastanza inutile per la squadra. Ma Elrond ci aveva assicurato la tua importanza, quindi non facevo altro che studiarti (come penso tutti abbiano fatto nella compagnia) per riuscire a trovare queste potenzialità. Potenzialità che accennasti appena qualche volta: solo un occhio esperto poteva cogliere in quei piccoli segnali un grande potere. Un occhio come quello di Legolas e Gandalf, non certo il mio. Per me rimanevi inutile. >>
<< Grazie mille! >> dissi alquanto offesa, ma sapevo bene che aveva ragione. Boromir rise divertito << Inutile ma non per questo da abbandonare. Avevi bisogno di cure più di chiunque altro, io l’avevo visto. Avevi bisogno di una guida e di protezione: eri un cucciolo sperduto. E non potevo certo lasciarti lì, da sola nel tuo mondo di fantasmi e terrori. Mi intenerivi così tanto: dovevo stare al tuo fianco e aiutarti. E poi c’era l’ultimo particolare, il più rilevante a dir il vero: la tua energia. Certo, i primi tempi eri stata abbastanza silenziosa e chiusa, forse per timidezza o timore, ma ben presto vidi in te qualcosa che non vedevo anni: un sorriso. Non un sorriso come tutti gli altri: un vero sorriso! Sincero e pieno di gioia. Erano tempi bui quelli, nessuno più riusciva a sorridere, e tu sei piombata qui come….come una stella! Illuminando il viso di noi viandanti immersi nell’oscurità con la tua gioia e la tua allegria. Ricordo i giochi che facevi con i due piccoletti, come una sorella gioca con i due fratellini più piccoli: desideravo tanto prenderne parte, desideravo tanto tornare a sorridere come facevate tu, Merry e Pipino. Perfino nelle battaglie dimostravi un’allegria inconcepibile per la situazione: scherzavi con la morte, ridevi di essa, tanto da riuscire ad allontanarla. Tanti hanno visto in questo tuo atteggiamento la follia, ma non io. Io vedevo ben altro, io vedevo qualcosa che tutti da anni non vedevamo più e che probabilmente ci eravamo dimenticati cosa fosse: la gioia di vivere. Sophia, io ho riconosciuto subito in te quell’angelo che mi era parso in sogno! Tu stavi illuminando il mio cammino, il NOSTRO cammino, donando calore e luce alle nostre anime afflitte. >> Il suo sorriso trasognato, che fino a quel momento aveva preso possesso del suo viso, si trasformò in uno più malinconico e buio << E trovai ulteriore conferma quel giorno. >> Seppi subito di quale giorno stava parlando: il giorno della sua morte. << La morte che mi stava prendendo rendeva il mondo intorno a me sfocato e indecifrabile, il tuo viso era avvolto dalla nebbia, non riuscivo a coglierlo perfettamente. Ma vedevo l’aura brillante intorno a te, probabilmente era il sole alle tue spalle. E poi….la tua lacrima illuminò il mio cammino, tu sparisti, trascinata via dalle ombre, lasciandoti dietro solo una piccola stella. Un braccialetto luminoso, regalo degli elfi. I miei occhi cominciarono a vedere: capii. Dovevo sopravvivere, dovevo farlo per te e per questa magnifica terra. Tu mi avevi donato della vista. Poi, una volta ripresa conoscenza, e scoperto che eri stata trascinata via dagli orchi verso Isengard, capii che anche io avevo un ruolo in tutto questo: dovevo proteggere l’unica fonte di luce che ci fosse stata mandata. Dovevo correre a salvarti per permetterti di portare calore e luce a tutti gli altri e donare questa terra di nuova vita. >>
<< Boromir, mi stai idealizzando troppo. >>
<< No, Sophia! >> mi disse deciso, tanto che mi spaventò << No! Non ti sto affatto idealizzando! Tu sei stata mandata qui dai Valar per vegliare su tutti noi e aiutarci! Lo so! Ne sono certo! >>.
<< No! E’ stato Saruman >> dissi scandendo bene le parole << IO ho chiesto di venire qui per avere una possibilità di salvarti, SARUMAN mi ha portato qui. Non ci sono Valar di mezzo! Né tanto meno angeli! E non sono certo quel profeta che credi che sia. >>
<< Questo è quello che credi tu! Ci sono tante cose nascoste ai nostri occhi, non tutte sei in grado di vederle. >> Improvvisamente mi ricordai di Faramir. Anche lui, la sera prima, nel vedermi, mi aveva attribuito il ruolo di angelo mandato da sua madre per vegliare sulla sua famiglia. Doveva essere un vizio di famiglia quello di considerare Apostoli tutti quelli che aiutavano qualcun altro.
E se invece avessero avuto ragione?
Cosa mi aveva spinto quel giorno a comprare quel libro? Cosa mi aveva spinto a leggerlo? Cosa mi aveva spinto a sorbirmi 12 ore di film? Se veramente fosse stato tutto scritto nel destino? Mi portai una mano alla fronte e negando debolmente sghignazzai << Sciocchezze. >>
Non era possibile! Come poteva una forza invisibile guidare i miei movimenti e i miei sentimenti in un arco di tempo così lungo e variabile? No, era assolutamente impossibile. Perché proprio me, poi? Cosa avevo di così speciale? La gioia di vivere? Il mondo ne è pieno di gente come me!
<< Io credo di no. >> intervenne lui assumendo un sorriso compiaciuto, come se avesse raggiunto un traguardo (o lo stesse per raggiungere) << Non ti basta tutto ciò che ti ho detto? Non ti basta come prova l’avermi salvato la vita? Non ti basta come prova l’aver salvato la vita di mio fratello? >>
<< Chiunque l’avrebbe fatto. E poi, come ti ho già detto, mi stai idealizzando troppo. Vedi i miei successi e non i miei errori: tuo padre è morto, e io non sono riuscita a portare “luce e calore” in lui, come dici tu. >>
<< Tu invece vedi i tuoi errori e non i tuoi successi. Mio padre era già morto. Tanti anni fa. Non potevi fare niente, prima o poi il suo corpo avrebbe ceduto lo stesso. Se non oggi, domani. Era tutto scritto nel destino. >>
Quei discorsi mi stavano stufando, era impossibile riuscire a farlo ragionare. Uomini privi di speranze e spiegazioni logiche tendono ad aggrapparsi a soluzioni illusorie e fallaci, create dalla potenza dell’immaginazione. E’ il loro unico modo di sopravvivere: la loro essenza rimarrebbe schiacciata dall’oscura, pesante verità. Ognuno tende a proteggersi come può.
E così stava facendo lui: si aggrappava a ragioni insensate, dandomi una natura divina pur di nascondere l’egoismo puro che aveva portato a muovere i miei passi.
Mi alzai dal letto staccandomi dalle sue braccia: ora più che mai avevo bisogno di muovermi e camminare all’aria aperta per liberare la mente. Boromir non si oppose, mi lasciò fare guardando ogni mio singolo movimento mentre cercavo di rivestirmi. Nessuno dei due proferì parola fino a quando non afferrai la maniglia della porta per poterla aprire e poter uscire.
<< Sophia. >> mi chiamò lui attirando la mia attenzione << Tu sei stata mandata qui per vegliare su di noi, qualunque siano le ragioni a te manifeste, è questa la verità. Tutti qua la pensiamo allo stesso modo: hai rischiato la vita più volte per assicurarla a noi. Questa non è una cosa che farebbero tutti. Hai sacrificato tutto ciò che potevi sacrificare pur di garantirci un sorriso sul volto. Non è così? >>
Titubai. Aveva ragione. Aveva pienamente ragione.
<< E tutt’ora la tua anima non trova pace, benché tu abbia avuto ciò a cui più ambivi, perché non riesci a cogliere nei tuoi ricordi il sorriso di TUTTI i tuoi compagni incisi nel futuro. Non è così? >>
Come faceva a sapere? Sorpresa mi voltai e lo guardai interrogativo, ma non ebbi il tempo di parlare che lui mi anticipò.
<< Ormai posso dire di conoscerti. Ora che conosco tutti i tuoi segreti i tuoi pensieri non mi sono più così oscuri. Tu non ricordi, e temi per la vita dei tuoi compagni, non è così? >>
La mia pazienza stava raggiungendo un limite. Non che LUI mi irritasse, ma i suoi discorsi sì! Perché aveva stramaledettamente ragione! Non ricordavo e avevo una paura folle che qualcuno potesse morire.
<< Perché tu no? >>
<< Certo. Sono terrorizzato all’idea che la morte possa prendere uno di noi. >>
<< Lo vedi? Non siamo tanto diversi io e te. >> risposi risoluta, il suo discorso non aveva né capo né coda. Si stava arrampicando sugli specchi: io non ero un angelo! Ero una semplice ragazza mossa dall’egoismo, dalla bramosia di poter possedere ciò che non mi apparteneva.
<< No, Sophia. Ti sbagli ancora. Noi siamo tutti sulla stessa barca, navighiamo nell’ombra. Non sappiamo ciò che il futuro ci porterà. Tu invece no! Tu SAI e tu poi MODELLARE il futuro conoscendone gli esiti. L’hai già fatto e lo farai ancora. >>
<< Io non ricordo!! >> quasi urlai mossa dall’ira. Perché si ostinava a non credermi? Perché non capiva che io ero una come loro, non un essere angelico, non un essere divino. Io ero umana, esattamente come loro. Non avevo nessun potere, solo tanta fortuna! Fortuna che ora come ora mi stava abbandonando.
<< Cecità momentanea. Ricorderai. E allora agirai. >>
Niente, era tutto inutile.
<< Questa discussione si è conclusa molte parole fa. >> brontolai stufa e abbassai la maniglia della porta mettendo un piede fuori dalla stanza. La brezza mattutina era ancora molto fredda, nonostante tutto però sentivo il calore del Monte Fato nascosto tra i soffi gelati. Carezza presagio di morte. Poco tempo restava, e allora….sarebbe giunta la fine.
<< Sophia. >> mi richiamò ancora. Che altro voleva? << Se questa notte sei stata qui con me, in questo letto, non è stato per innalzarmi ai Valar, né tanto meno per renderti grazie. Solo questo voglio ti sia chiaro. >>
<< Molte grazie. >> dissi sarcastica e uscii a fare due passi, chiudendomi la porta alle mie spalle. Ero alquanto intrattabile quella mattina, vedere nelle mie conoscenze il buio assoluto mi aveva reso fragile di nervi e poco tollerante. A dir il vero era già da tempo che avevo perso la “luminosità” di cui parlava Boromir. Da quando avevo assistito alla sua presunta morte ero mutata completamente. Non avevo più sorriso da allora se non alla festa del fosso di Helm, ma probabilmente lì erano stati i fumi dell’alcool. Ero partita con le migliori intenzioni, ero partita con la gioia nel cuore causata da una libertà mai provata prima. Mi ero sempre sentita libera, forse ecco dov’era il segreto. Avevo il compito di salvare Boromir ma era sempre stato così lontano quel giorno ai miei occhi che non me n’ero mai preoccupata. Ora sapevo che il mio ruolo era un altro. Avevo scoperto pian piano di aver avere un certo valore e significato dentro quella storia, non ero una semplice intrusa: io ero la mano che cancellava le parole e le riscriveva.
L’avevo capito da tempo, ma mai con così tanta consapevolezza. Avevo tra le mani un tesoro inestimabile, quale la Terra di Mezzo, e potevo farne ciò che volevo. Era stata questa scoperta a cambiarmi completamente e caricarmi di un energia mai vista prima, energia che mai avevo avuto modo di conoscere dentro di me. Mi ero trasformata improvvisamente in una Signora dallo sguardo serio, dimenticando il significato della parola gioia. Ecco tutto.
Boromir aveva ragione.
E l’averlo capito, molto, molto tempo prima, mi aveva fatto perdere ciò di che avevo di più prezioso. Questa verità mi uccideva.
Per questo desideravo tanto cancellare dalla mente di tutti quella mia immagine tanto potente, preferivo di gran lunga essere “Sophia la simpatica folle imbranata” che “la Signora della preveggenza”. Il potere non mi si addiceva per niente, era un vestito che mi andava stretto.
Ma dovevo ancora aspettare. La Signora della preveggenza aveva ancora un ruolo importante in questa storia, aveva ancora del lavoro dal svolgere per garantire una vita serena a Sophia la simpatica folle imbranata.
Non era ancora tempo.

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Capitolo 16
*** Come diventa facile voltarsi e non guardare, come diventa facile pensare non è colpa mia. ***


Camminai a vuoto, giusto per il gusto di muovermi, come se camminare scaricasse la tensione sulle piastrelle di roccia che toccavo con i piedi. Dove mi stavo dirigendo? Non sapevo neanche io, volevo solo respirare un po’ di aria fresca, stavo cominciando a stufarmi di quella situazione di stasi, odiavo rimanere in bilico su un traballante “forse”. Volevo certezze.
Ma dato che le risposte che cercavo non volevano farsi vedere, una domanda sorgeva spontanea: “cosa faccio?”.
Continuai a salire per le viuzze di quella meravigliosa cittadina, fiore profumato in mezzo a una palude, fino a che non arrivai alla fine. Al di sopra di tutto, ergendosi con onore, vegliava sulla sua progenie l’albero bianco, simbolo ormai da tempi immemori di una gloriosa Minas Tirith. E, riflettendo in sé i sentimenti dei suoi protetti, giaceva ormai morto. Ma non definitivamente.
L’albero bianco sarebbe rinato, speranza e gloria sarebbero tornati nei cuori degli sconfitti, come una fenice destatosi dalle ceneri. Mi avvicinai cauta come un servitore ai piedi di un potente antenato, e chinando la testa, porsi a lui il mio più assoluto rispetto. Sapevo che era vietato, l’Albero Bianco era un tesoro intoccabile, ma sapevo anche che nessuno mi avrebbe impedito di allungare la mano e trasgredire le regole, porgendo a quell’anziano protettore una carezza di conforto. Ero la Signora della preveggenza, ogni mio gesto aveva un significato impeccabile per le sorti di tutti. Così credevano, ignorando la mia vera indole umana, non vedendo nel mio “potere” la semplice curiosità di una lettrice accanita. Ma ora le mie priorità erano altrove. Accarezzai il suo tronco secco, sentendo la morte sfiorarmi le dita.
<< Vinceremo questa guerra >> dissi con tono di rassicurazione nei suoi confronti, ma in cuor mio sapevo che non ne aveva bisogno. In cuor mio sapevo che l’unica che necessitava di quelle parole ero io.
Il cielo urlò sopra di me, era qualcosa che tanto somigliava a un ringhio e alzai la testa appena in tempo per vedere le prime goccioline di pioggia cadere verso il terreno. Ma non mi mossi di lì. Rimasi immobile, vicino all’Albero Bianco, a farmi accarezzare interrottamente da quelle gelide lacrime. Era come se, scivolando su di me, mi pulissero da tutte le macchie e, piacevolmente, disinfettassero le mie ferite, portandole alla guarigione.
Forse era strano, ma era bastato solo un po’ di pioggia ad aiutarmi. Tutto improvvisamente mi fu chiaro, l’acqua caduta dal cielo puliva quella lastra di vetro davanti ai miei occhi, permettendomi la vista. Una meravigliosa vista. Il mondo lì fuori era qualcosa di assolutamente divino: campi immensi di un verde pallido, bramosi di nuova vita; boschi colmi di vita; echi di melodie lontane, storie di antenati narrate da soavi e fruscianti voci. Com’avevo potuto essere così cieca? Come avevo potuto non vedere cosa avevo di fronte davvero? Non erano parole scritte quelle che avevo davanti, non erano frasi colmi di una soggettiva ammirazione: era tutto reale. Lì, di fronte a me. E io ne facevo parte, come tutte le creature che correvano tra case e fiumi.
Non era un libro che avevo davanti: era il vero e proprio paradiso.
Non era una penna quella che impugnavo: era una spada.
E io non ero nessuna Signora della preveggenza! Io ero una guerriera, mandata lì con il solo scopo di aiutare e salvare chi ne aveva bisogno. Io, nel mio piccolo, ero lì per fare la differenza non con parole, ma con fatti. E non mi sarei mai tirata indietro.
Mi voltai verso l’Albero Bianco e guardandolo solennemente mi inchinai di fronte a lui come un soldato davanti al suo capitano.
<< Che la tua guida non si affievolisca mai >> sussurrai. Il rumore della pioggia copriva la mia voce, ma sapevo che non c’era bisogno che lui ascoltasse. Lui semplicemente sentiva.
Mi rialzai e con un sorriso soddisfatto stampato in faccia corsi verso l’interno della fortezza, mi ero caricata di nuova energia, tanto che avevo dimenticato i miei abiti bagnati. Trovai Aragorn che usciva da quella che ricordavo essere la sala riunioni, e gli corsi incontro. Una volta raggiunto…non ebbi la dignità di fermarmi e gli saltai al collo abbracciandolo come solo la vecchia Sophie avrebbe potuto fare, immersa nella sua immaturità.
<< Sophie, cosa succede? Perché sei bagnata? >> mi chiese lui colmo di stupore.
<< Tu! >> dissi staccandomi da lui e puntandogli un dito contro << Uomo dalla forma gnomica! >> riflettei un attimo sulle mie parole << Beh, mica tanto. Comunque! Tu! Portami all’inferno insieme a te. E non è una dichiarazione d’amore. >> Aragorn mi guardò ancora più sconvolto, assurdo come in maniera così improvvisa fossi tornata la stessa pazza Sophie dei primi giorni.
<< A Mordor? >> chiese conferma che il mio “inferno” equivalesse al suo.
<< No a casa di Babbo Nachele! Certo, a Mordor! >> la cosa che più mi stupiva di ciò che avevo detto (esatto! Stupiva me stessa!) era che avessi preso d’esempio la casa di Babbo NACHELE. Il miglior amico di Jack Skeleton! Perché mai la mia mente associava l’inferno a un posto come quello? Evidentemente il mio vecchio amico Ruphus ultimamente aveva lavorato decisamente troppo, ora cominciava a stancarsi.
“Sono fiera di te, amico mio” pensai diplomatica pensando al vecchio cricetino nella mia mente, mio amico da sempre.
<< Non se ne parla nemmeno! >> disse con tono serio Aragorn. Mi aspettavo una risposta del genere, solo uno stolto avrebbe alzato le spalle e avrebbe detto “ok, fai pure”. << Perfetto, grazie! >> dissi ignorando il suo divieto << A che ora è l’incontro domani mattina? Mi venite a chiamare voi in stanza, ho capito. Ma il tempo per la colazione ci sarà? Mh, non credi, eh? Devo portarmi roba pesante dietro? Credi che farà freddo a Mordor? Ma che domande idiote! Ovvio che no, siamo su un vulcano! Allora solo manichine corte, molto chiaro. Perfetto a domani! >> dissi tutto d’un fiato senza lasciargli modo di replicare. Forse sarei potuta sembrare stranamente entusiasta (chi è tanto felice di andare verso la morte? Solo una pazza!) la verità era che avevo appena scoperto il modo di tornare a rasserenarmi, combinando insieme le due Sophie che in quei mesi si erano mostrate. Quel lungo discorso, per quanto spontaneo fosse sembrato, mi era costato molta fatica. Non ero più abituata a dire o fare quelle cose, mi stavo sforzando di tornare quella che ero una volta. Perché? Semplicemente perché mi piaceva! Finché avevo dato libero sfogo alla mia vena infantile mi ero divertita come una matta, anche di fronte alla morte quella sera nel lago nero! Da quando invece l’avevo ostruita avevo vissuto nel limbo, carica di preoccupazioni, malinconie e paure. Era giunto il momento di tornare al passato, ero nel più bel sogno della mia vita, mai me lo sarei fatto rovinare da cose così futili! Sarei tornata a ridere della morte, come avevo sempre fatto, beffeggiandomi di lei perché io avevo vinto più volte. Ed ero pronta a vincere ancora!
<< Sophie hai bevuto ancora? >> mi chiese Aragorn guardandomi storto, il che mi lasciò alquanto sconcertata. Io ubriaca? Allora non aveva imparato veramente a conoscermi in quei mesi passati insieme!
<< Dico! Ti pare che io sia la ragazza che si ubriaca il giorno prima di una grande battaglia? >>
<< Beh, la cosa non mi stupirebbe. Sei riuscita a farlo appena sveglia dopo aver subito traumi di vario genere. >>
<< Dettagli! Dettagli! >> dissi sventolando la mano sotto al suo naso.
<< Comunque la risposta rimane no. Tu rimani qui, è troppo pericoloso. >>
<< Ma papà!! >> mi lamentai con tono da bambina, ma subito mi ricomposi, decisa ad utilizzare un’altra tecnica.  << Tu! >> gli puntai un dito contro, talmente vicino al suo viso che quasi glielo infilai dentro una narice << Osi opporti alla grande e potente Signora della preveggenza? Che disgrazia e sciagura cadano sulla tua anima! >> dissi ingrossando il petto come una fattucchiera che recita il suo maleficio, poi cominciai a molleggiare sulle ginocchia recitando con tono cupo << Sciagura a te! Sciagura a te! Sciagura a te! >> . Ma Aragorn non si scompose nemmeno un pochino, anzi fece un sorriso evidentemente divertito dalla mia messa in scena.
<< Se c’è qualcosa di cui tener conto durante la marcia ai cancelli di Mordor puoi benissimo dirlo a uno di noi. Me, o Legolas o Boromir, visto che siamo le persone di cui ti fidi di più. >>
<< Chi ti dice che io mi fidi di te, eh RAMINO?  Io manco so giocare a Ramino, come posso fidarmi di te? >> dissi posando le braccia ai fianchi, poi mi affrettai a sorridere << Scherzo! Mi fido molto di te, ma vedi… >> mi bloccai di colpo. Che aveva detto? Ruphus riavvolgi il nastro! Fammi riascoltare le parole di Aragorn! << Boromir? Momento! Momento! Hai detto proprio Boromir? >>
Aragorn capì subito dove volevo andare a parare e un po’ imbarazzato annuì << Non sono riuscito a convincerlo. Vuole venire a tutti i costi. >>
Rimasi per un po’ immobile, con lo sguardo un po’ spaventato puntato sui suoi occhi. Boromir aveva deciso di andare? Scherzava! Non poteva essere vero! Boromir non era in grado di combattere, e se poi fosse morto? Possibile che l’orgoglio gondoriano fosse così pressante?
Ripresi improvvisamente a molleggiare sulle ginocchia e incurvandomi ripresi a recitare << Sciagura a te! Sciagura a te! Sciagura a te! Comunque… >> dissi poi cambiando improvvisamente umore, rizzandomi in piedi e tornando a rasserenarmi << Questo è un motivo in più per venire! E così come non hai fermato Mastrolindo non fermerai me! >> sbattei un paio di volte il piede destro per terra così da provocare un rumore che, nella mia testa, e solo in quella, ricordava un martelletto da giudice << L’imputato viene considerato…innocente! Così è deciso! La seduta è tolta! Andate in pace >> detto ciò mi voltai decisa ad allontanarmi. Ma non feci molta strada. Il mio naso andò a sbattere contro qualcosa di discretamente duro e dall’odore inebriante. << Ohi! >> mi lamentai e massaggiandomi il naso alzai lo sguardo per vedere il volto del mio ostacolo.
<< Ascolta, Batman! Devi smetterla di comparirmi alle spalle! >>  brontolai contro Boromir, che in quel momento mi guardava con un sorriso divertito. Cosa aveva da ridere tanto? Dopo essermi schiacciata il naso in quel modo sarebbe stato un miracolo se non avessi cominciato a grugnire in giro per Minas Tirith.
<< E tu dovresti guardare dove vai. >> mi rispose divertito Boromir.
Mi sentivo in netta minoranza, ero accerchiata dagli uomini, due colossi, ed entrambi avevano qualcosa da dire contro le mie posizioni! Guardai prima Aragorn, poi Boromir, poi di nuovo Aragorn, Boromir e così via per una decina di secondi fino a quando, al minimo loro segnale di voler dire qualcosa, saltai lontano dai due e puntandogli un dito contro gridai, intonando una canzone << I’m No Superman! >> e corsi via.
Ma non mi allontanai troppo. Prima di sparire dietro un colonnato mi voltai per guardare entrambi con il sorriso stampato in volto, segno che mi stavo divertendo, e dissi << Mi raccomando! Domani mattina puntuali! >>.
<< Sophie, aspetta! >> sentii la voce di Boromir chiamarmi, ma non mi voltai. Corsi via, dentro me sapevo che se voleva dirmi qualcosa, mi sarebbe venuto a cercare. Io avevo ben altro da fare.
Avevo sentito di un cortile al coperto, di un giardino colmo di fiori e piante di ogni genere. Volevo andarci.
E ci arrivai velocemente, non era molto lontano da dove mi trovavo. O forse ne avevo trovato un altro da quello che cercavo, quel posto avevo potuto constatare era pieno di giardini. Mi misi sotto un gazebo, al coperto anche se non ne avevo bisogno: ormai ero fradicia. E poggiandomi a una ringhiera guardai fuori, intorno a me, aspettando che arrivasse Boromir. Sapevo sarebbe arrivato. E lo sentii. I suoi passi pensati facevano “ciak ciak” nelle pozzanghere mentre camminava velocemente nella mia direzione. Non disse una parola, non gli permisi di farlo: lo anticipai.
<< Ascolta la pioggia >>. Dissi semplicemente con voce bassa, sussurrando, come timorosa di disturbare un bambino che dorme.
<< Come? >> chiese lui non capendo cosa stessi cercando di dirgli.
<< Hai capito bene: ascolta la pioggia >> Boromir rivolse lo sguardo nella mia stessa direzione e rimase un attimo in silenzio. Sentendo.
<< E allora? >> chiese ancora senza capire dove volessi arrivare.
<< Non stai ascoltando! >>
<< Sì, invece. >>
<< No! Tu stai sentendo, non stai ascoltando. >> lui rivolse a me uno sguardo interrogativo, ancora non capiva. << Ascolta ogni goccia di pioggia che sussurra segreti inutilmente, cercando freneticamente qualcuno da ascoltare. Questa storia è più di quanto sembra. "Per favore non lasciateci andare, non possiamo restare ancora un po'? E’ troppo difficile dirsi addio." Ascolta la pioggia. Ascolta la pioggia…. Piangere. >> Feci una piccola pausa, non stavo cantando: stavo recitando la canzone degli Evanescence, Listen to the rain, come fosse una poesia, perché per me lo era. << Sono da sola nella tempesta, improvvisamente giungono dolci parole: "Sbrigati," dicono "non hai molto tempo! Apri gli occhi e guarda l'amore che c'è intorno a te. Puoi sentirti sola, ma sono ancora con te. Puoi fare quello che sogni, solo ricorda di ascoltare la pioggia" >>.
Boromir abbassò lo sguardo pensieroso, poi trascinò nuovamente gli occhi laddove li aveva puntati prima. Ma ora era diverso: ora cercava di ascoltare. Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, ognuno immerso nei propri pensieri, ognuno che ascoltava segreti diversi concessi dalla pioggia.
<< Tu cosa senti? >> Mi chiese dopo un po’.
<< Tu cosa senti? >> ripetei la sua domanda enfatizzandola un po’ di più, facendogli capire che doveva essere prima lui a parlare.
<< Non sono bravo in queste cose. >> dissi un po’ imbarazzato, rendendosi conto della sua incapacità.
<< Ti rivelerò un segreto >> dissi sorridendo e mi avvicinai a lui sussurrando << Nemmeno io. >> e subito uscì dalle mie labbra una risatina che fu raggiunta dalla sua. Le nostre lievi risate inondavano imbarazzate il giardino di fronte a noi. Era la prima volta che provavo un’esperienza simile. Questa avventura ci aveva portato tanti pensieri e tante inquietudini, il nostre amore aveva fatto gran fatica a venir fuori, e mai eravamo riusciti a concederci un momento come quello. Mai avevamo riso assieme.
Boromir fece un sospiro pieno di emozione e allungando un braccio mi circondò le spalle e mi strinse a sé.
<< Sei fradicia. >> mi fece notare.
<< Sì, lo sono. >> mi limitai a dire e mi feci stringere da lui continuando a guardare i fiori che si piegavano sotto la forza della pioggia.
<< Io partirò. >>  disse improvvisamente, come a volersi togliere una spina. Più rapido è il movimento, meno dolore fa. Io non mi scomposi, sapevo già che voleva partire, me lo aveva detto Aragorn, e benché io non fossi per niente d’accordo sapevo che non potevo fare assolutamente niente per fermarlo.  << Anche io >> risposi nello stesso modo in cui me l’aveva detto lui, sorridendo, come se ciò non avesse nessun valore.
<< Perché? >> mi chiese voltandosi verso me e afferrandomi entrambe le spalle puntò i suoi occhi dritti nei miei. Leggevo nel suo sguardo la preoccupazione.
<< Perché se mai dovesse succedervi qualcosa io non potrei mai perdonarmelo. >>
<< Sophie, smettila di accollarti responsabilità che non hai! Se uno di noi perdesse la vita tu non avresti nessuna colpa. >>
<< Sì, invece! Perché io… >> mi bloccai e portai nuovamente gli occhi ai fiori del giardino, incupendomi << Io ho letto. >>
<< Se c’è qualcuno che perderà la vita dillo a me! Ci penserò io. Sophie tu non avresti nemmeno la forza per aiutarlo, lo sai! Hai imparato da poco a tenere una spada in mano, non sei certo pronta per una battaglia di questo calibro. Dillo a me: chi morirà? >>
<< Non lo so! >> risposi irritata da quel fiume di parole, puntandogli gli occhi severi contro. Mi resi però subito conto che non era il caso di prendersela con lui, non c’entrava niente, era un problema mio.
<< Da quando sono arrivata qua la mia memoria sulla storia  ha cominciato a sfumare. La nebbia è scesa progressivamente fino alla più completa oscurità. Non ricordo più niente. >> feci una pausa e ammorbidii il mio sguardo cercando di far leggere a lui, nei miei occhi, la supplica che stavo lanciando. << Per questo io voglio venire! Io ho sempre saputo tutto, sono sempre riuscita ad anticipare gli eventi così da poter evitare il peggio. E ora il non riuscire più a farlo mi tormenta. Io DEVO venire! Devo assicurarmi che tutto vada bene. Se rimanessi qui e al vostro ritorno vedrei mancare uno di voi io mi colpevolizzerò per il resto della mia vita. E poi chissà, magari il ritrovarmi lì, in mezzo a voi davanti ai cancelli di Mordor mi aiuterà a ricordare. >>
<< Sophie, hai già fatto tanto per noi. Non c’è bisogno che ti poni ad altri rischi inutilmente! >>
<< Ho promesso ad Aragorn che avrei continuato a vegliare su di voi fino alla fine di questa storia. >>
<< Ma se non sei più in grado? Come credi di riuscire ad esserci d’aiuto? >>
<< In quel caso sarà sempre un paio di braccia in più che avrete con voi! Io ho promesso, Boromir! Ho promesso a lui e a me stessa. >>
Il nocciolo della questione si trovava nel più profondo della mia anima, laddove Saruman continuava a ripetere le sue parole. Questa verità aveva schiacciato il mio cuore e non l’aveva più lasciato in pace. A fargli eco erano le parole scambiate con dama Galadriel a Lothloryen. Avevo scelto il cuore di Boromir, pur di averlo avrei dato a loro l’anello del potere!
La colpa.
Ecco cosa mi spingeva così lontano. Sentivo quasi di aver tradito i miei compagni, sentivo che tutto ciò in cui avevo creduto era crollato improvvisamente. E dentro me sapevo che l’unico modo per cancellare tutte le macchie della mia anima era di non abbandonare i miei amici ora. Ora che ne avevano più bisogno. Ora che il mio scopo principale era stato raggiunto. Volevo dimostrare (più a me stessa che a loro) che non ero un’egoista, che ero lì per tutti loro e che, amica qual’ero, non li avrei mai abbandonati, anche se le mie possibilità di sopravvivere erano decisamente troppo scarse. Almeno sarei morta con la pace nel cuore.
<< Capisco la tua preoccupazione, ma non posso assolutamente abbandonarvi. Ho guidato i miei passi su un sentiero tortuoso solo per potermi assicurare la vostra felicità, non posso tornare indietro proprio ora, a due passi dalla fine. >>
<< Potresti non arrivarci alla fine. >>
<< Come tutti voi! Boromir, se IO ti chiedessi di rimanere qui perché troppo pericoloso, perché non sei ancora in grado di combattere a causa delle ferite subite, tu lo faresti? >>
Boromir si sentì spiazzato da quella domanda. Abbassò lo sguardo incapace di mentirmi, incapace di dare una risposta sonora, ma urlando silenziosamente nei suoi pensieri ciò che il suo cuore desiderava. E io riuscivo a udire il suo eco.
<< Vado a trovare Merry. >> dissi con un sorriso, sentendo che la discussione era finita lì. Così come lui non avrebbe mai potuto rinunciare alla guerra per il suo popolo io non potevo farlo per i miei amici e per la meravigliosa terra in cui mi trovavo.  

Merry era già fuori dalla casa di cura, sotto un porticato a parlare con suo cugino Pipino. Li vedevo molto attivi, entrambi parlavano e gesticolavano animatamente come spesso facevano quando per la testa non avevano la guerra.
<< Io l’avevo detto che sei un finto malato, Meriadoc! >> I due hobbit si voltarono verso di me e Boromir, che aveva deciso di venire insieme a me per salutare i due piccoletti che tanto gli stavano a cuore e che da tanto non vedeva. Saltarono in piedi e ci corsero incontro urlando felici. Quanto mi piacevano quelle dimostrazioni di gioia che solo loro riuscivano ad avere anche in momenti così poco consoni, come il preludio di una fine.
Ci sedemmo insieme a loro e passammo l’intero pomeriggio a parlare di ciò che ci era successo dal momento in cui ci eravamo separati, condendo il tutto con sorrisi e divertimento.
Sentivo di non desiderare altro.

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Capitolo 17
*** Lacrimosa dies illa, qua resurget ex favilla judicandus homo reus. ***


Purtroppo l’arcobaleno non dura per sempre e ben presto finì quel meraviglioso giorno di svago e tranquillità. Il giorno della marcia sui cancelli di Mordor arrivò fin troppo in fretta, ma sapevo che presto avrei potuto dare una fine a questa lunga storia. Presto avrei potuto abbandonare tutta quell’ombra e tornare a brillare alla luce del sole. Se in questa terra o in un’altra questo ancora non lo sapevo. Partivo per assicurare la vita ai miei compagni, ma sapevo che non sarei stata in grado di fare altrettanto con la mia. Probabilmente non sarei sopravvissuta. Ma questo non mi abbatteva, sarei morta con il sorriso sul volto e la pace nel cuore.
Il viaggio durò molto più del previsto, con qualche difficoltà, ma non mi dilungherò molto su questo. Era solo una via di passaggio, la mia mente probabilmente scollegata non realizzava cosa mi stesse passando accanto. Mi stavo dirigendo passivamente verso il nostro punto di arrivo.
I cancelli di Mordor.
Non avevo mai visto niente di più terrificante, nemmeno le parole di Tolkien o le immagini di Jackson erano riuscite a rendere appieno l’immensa tenebra che li avvolgeva. Un muro così alto e imponente da far tremare l’anima, intimorita, sentendosi arrivata alla fine di tutto. L’anima guardava l’imponenza di quella struttura come i vecchi antichi guardavano le colonne d’Ercole, ai tempi in cui il mondo aveva una fine. E per Arda era quella la fine. Oltre quelle mura non vi era altro se non l’inferno governato da un oscuro Lucignolo. Quella non era solo la fine di un viaggio, era la fine del mondo.
Rimanemmo fermi in posizione davanti a quel dito inquisitore, poi Aragorn, decisosi a fare un passo per rompere quel ghiaccio che si stava formando tra noi, chiamò con sé dei rappresentanti delle varie razze. Voleva prima scambiare due parole con coloro che abitavano le fiamme. Improvvisamente una piccola lucciola si accese nella mia buia memoria, ricordandomi di cosa avrebbe trattato il loro colloquio. Sapevo che Aragorn non si sarebbe fatto convincere, ma temevo sempre che le modifiche portate alla storia avessero preso sotto la propria ala molti più aspetti di quelli che invece immaginavo.
Il così detto effetto farfalla.
Mi avvicinai velocemente a lui, lasciando la mia posizione vicino a Boromir. Aragorn mi lasciò fare e mi aspettò, probabilmente sapeva che ciò che avevo da dirgli lo avrebbe aiutato. Lui credeva ancora nel mio potere.
Mi accostai al suo cavallo sperando che a sentire fosse solo lui. Lo sguardo di Aragorn era severo e pieno di preoccupazione, lui più di tutti aveva paura. Tutti i soldati erano lì nelle vesti di loro stessi, combattevano per le proprie famiglie, nient’altro c’era nelle loro menti cupe. Aragorn invece combatteva per il suo popolo, per la sua dinastia, per la sua terra, per i suoi amici. Aveva una grossa responsabilità sulle spalle che lo schiacciava come un macigno. Ma lui era forte e non si lasciava atterrare, non ancora.
<< Aragorn. >> cominciai una volta arrivata vicino a lui << Ricorda che la menzogna è acqua dissetante per la bocca degli scellerati. >> Aragorn non colse subito il significato delle mie parole, ma sapevo che le avrebbe tenute ben a mente e ne avrebbe fatto tesoro. Annuì quasi impercettibilmente e facendo una manovra con il suo cavallo corse verso i cancelli insieme ai suoi rappresentanti, mentre io tornavo nella mia posizione, accanto all’uomo che più di tutti poteva donarmi sicurezza. Nella mia mente però sentivo che il pericolo non era ancora scampato, temevo che l’effetto farfalla fosse arrivato più lontano del previsto, portando Frodo e Sam nelle braccia di Sauron.
 “Devo avere fiducia” pensai mentre allungavo la mia mano per afferrare quella dell’uomo accanto a me. Avevo bisogno di sentire il suo calore, avevo bisogno di riscaldare quel pezzo di ghiaccio che stava ferendo la mia anima in più punti.
Boromir mi rivolse uno sguardo, sapevo bene quale domanda si stava ponendo e io, fiera di riuscire a ricordare quel particolare e felice di poterne finalmente parlare con qualcuno, lo accontentai.
<< L’orco in rappresentanza di Mordor mostrerà ad Aragorn alcuni effetti di Frodo. Lo avevano catturato, ma lui è riuscito a scappare grazie all’aiuto di Sam, per questo hanno quegli oggetti. Ma l’orco non dirà niente di tutto ciò. Mostrerà loro le cose di Frodo e dirà che l’hanno in pugno: lo lasceranno solo in cambio della Terra di Mezzo. >> Boromir volse il suo sguardo preoccupato verso il colloquio che si stava svolgendo più avanti << Aragorn non accetterà, tranquillo. Non l’avrebbe mai fatto, ma penso che dopo le mie parole a maggior ragione rifiuterà l’accordo. >>
<< Frodo sta bene? >> mi chiese lui preoccupato.  Io volsi i miei occhi alla montagna di fuoco che incessantemente riversava i suoi sospiri nebulosi fuori dalla propria  bocca. << Sì, è quasi giunto a destinazione. Noi dobbiamo tenere impegnato il più possibile l’occhio di Sauron su di noi. >>  Boromir sospirò e annuì. Poco dopo Aragorn fece ritorno, proprio mentre i cancelli si spalancavano e riversavano sulla vallata un’orde di orchi, come fiume che si spande una volta crollata la diga che lo teneva prigioniero. Il nostro misero gruppo di soldati fu ben presto circondato, i Nazgul si posizionarono sopra le mura, pronti a intervenire, l’occhio di Sauron correva su di noi come il faro di una prigione che guarda i propri prigionieri nel cortile. Mi sentii improvvisamente piccola e stretta in una scatola da cui non potevo uscire, pronta a morire soffocata. E penso che questa più o meno fu la sensazione che provammo tutti. I soldati intorno a me arretrarono spaventati, guardandosi attorno colmi di terrore, con le ginocchia che tremavano.
Aragorn colse questo terrore nei loro occhi e intervenne facendo un discorso che mai mi ero dimenticata, nonostante l’annebbiamento di quei giorni, e che sempre era stato per me fonte di profonda emozione.
<< Restate fermi! Restate fermi! Figli di Gondor, di Rohan, fratelli miei, vedo nei vostri occhi la stessa paura che potrebbe afferrare il mio cuore. Ci sarà un giorno in cui il coraggio degli Uomini cederà, in cui abbandoneremo gli amici e spezzeremo ogni legame di fratellanza. Ma non é questo il giorno! Ci sarà l'ora dei lupi e degli scudi frantumati quando l'Era degli Uomini arriverà al crollo. Ma non é questo il giorno! Quest'oggi combattiamo! Per tutto ciò che ritenete caro su questa bella terra vi invito a resistere, Uomini dell'Ovest! >> E così come riempì il mio cuore anche quello di tutte le ombre terrorizzate intorno a me cominciò a brillare improvvisamente. L’oscurità non ci avrebbe annullati, lo sapevamo. Eravamo pronti.
Per Frodo!

La battaglia cominciò spalancando le sue porte alla morte che volava intorno a noi, pronta a cogliere le anime che gli spettavano di diritto man mano che valorosi cavalieri o viscide creature cadevano nella polvere. Ma non ebbi modo di guardarmi troppo attorno per cogliere il suo volo, non c’era tempo. Dovevo impiegare tutte le mie forze, come avevo fatto il giorno della morte di Boromir, per assicurarmi la vittoria. La vittoria di chi? Non quella della Terra di Mezzo, quella sarebbe arrivata anche senza di me, ne ero certa. La mia vittoria e quella dei miei compagni. Sfoderai la spada e mi guardai attorno un po’ confusa, non avevo idea di dove andare a mettere mani. Non avevo mai preso parte a una vera e propria battaglia, l’unica volta che mi ero ritrovata a combattere era stato nelle miniere di Moria, quando gli orchi cercavano in tutti i modi di prendersi gioco di me. In quell’occasione ero stata più volte salvata dall’uomo a cui puntavo maggiormente, in quell’occasione era nata l’affinità che ci aveva portato a percorrere gli stessi passi, fino a incontrarci. Due linee parallele che l’orizzonte unisce, ma che mai si toccheranno veramente. E così eravamo stati io e lui: un effetto ottico. L'occhio ci mostrava unione nel nostro futuro, ma una volta giunti lontano l'inevitabilità della nostra costante lontananza era stata più che palese. Benché ci eravamo uniti molto durante quel periodo subito dopo le nostre strade erano state divise, fisicamente e non. Era nato il disprezzo nei miei confronti da parte sua e il dolore da parte mia.
Due linee parallele.
Due linee parallele che, guidate dall'irrazionalità dell'amore, ingannando le leggi di qualsiasi disciplina scientifica, erano riuscite a ritrovarsi nel lontano infinito.
Mi ritrovai a pensare a cosa mi avesse portato lì, se l’amore o l’orgoglio. Forse tutti e due. Ma sapevo che quello non era il momento giusto per abbandonarsi a lunghi flashback.
Un orco mi venne incontro a gran velocità, sguainata la sua spada, pronto a misurare la sua resistenza con la mia. Mi avevano sempre fatto alquanto schifo quelle bestiacce e il ricordo della mano attaccata alla mia daga, sempre nelle miniere di Moria, torturava ancora i miei sogni. Non avevo mai preso parte a niente di più disgustoso, e la cosa di certo non era migliorata. Forse ero maturata un po’, forse, e dico FORSE,  non mi abbandonavo più a stupidi giochetti infantili e mi facevo trascinare lungo il sentiero della vita da altri tipi di pensieri, ma ciò non toglieva che il mio odio e il mio disgusto verso quelle immonde creature non era per niente cambiato.
Un brivido mi percorse tutta la schiena quando fu abbastanza vicino e lo vidi sollevare la sua spada (era una spada, quella?!) pronto a tagliarmi il cranio in due.
<< Non ti azzardare! >> gridai disgustata con la spada dritta davanti a me, pronta a contrastarlo. Ma ce l’avrei fatta? Sicuramente la sua forza era decisamente maggiore della mia, sarei riuscita a non farmi schiacciare dalla sua potenza? Ma soprattutto sarei riuscita a guardarlo da così vicino senza vomitare?
No.
<< Stammi lontano, hai capito? >> gridai disgustata cominciando a correre dalla parte opposta, ma lo spazio non era molto largo come nelle miniere di Moria, lì muoversi risultava difficile: eravamo decisamente troppi. Mi ritrovai la strada bloccata da un paio di Orchi che erano appena saltati addosso a un poveraccio. Mi voltai verso il mio inseguitore giusto in tempo per vederlo calare la spada verso di me e d’istinto alzai la mia riuscendo a bloccare la sua discesa. Più o meno.
Come avevo immaginato la sua forza era nettamente maggiore alla mia, non riuscii a contrastarlo a pieno, ma l’istinto di sopravvivenza fece sì che il mio braccio non cedesse. Ma a farlo furono le ginocchia. Caddi per terra sbattendo violentemente le ginocchia al suolo che, secco com’era, non mi assicurò per niente un piacevole morbido atterraggio.   Mugolai di dolore ma rimasi ferma nella mia posizione. Incredibile cosa possa fare un uomo quando si trova di fronte alla morte: sfodera una forza e un’energia mai vista prima. L’orco alzò nuovamente la sua spada per potermi colpire in pieno e ancora l’istinto di sopravvivenza guidò le mie braccia. Non avrei resistito a un altro attacco del genere, dovevo agire prima che lo facesse lui. Perciò feci roteare la spada di fronte a me e con un colpo secco lo presi all’altezza delle ginocchia. La forza da me usata però non era sufficiente per tagliargliele e assicurarmi la sopravvivenza, riuscii solo a fargli un taglio profondo si e no 3 cm nella prima gamba incontrata. E ciò non bastò certo a fermarlo. Ma incredibilmente non scese ancora. Lo vidi contorcersi e improvvisamente accasciarsi a terra. Dietro di lui vidi materializzarsi la figura di Boromir, sudaticcia, sporca di polvere e sangue e già affaticata. Ciò nonostante non riuscì a non rivolgermi un sorriso compassionevole.
<< Mi ricorda qualcosa questo. >>
Moria. Anche a lui era venuto in mente quel giorno in cui mi seguiva come un cagnolino per farmi da guardia del corpo e proteggermi dagli orchi che mi inseguivano e tentavano di uccidermi.
<< Dici? >> dissi quasi irritata e alzandomi in piedi posai un piede disgustata sul corpo senza vita dell’orco di fronte a me e tentai di strappare dalla sua gamba la mia spada. Feci molta fatica ma riuscii a riaverla indietro, insieme a schizzi di sangue di orco.
<< Che schifo!! >> brontolai facendo un’espressione colma di disgusto. Sentii qualcosa gemere alle mie spalle e vidi un altro orco accasciarsi a terra sempre per mano di Boromir, che subito si voltò verso un altro di loro per intraprendere un’altra lotta.
<< Sophie, non ti distrarre! >> mi brontolò. << Non posso sempre guardarti le spalle! >>
Capii la gravità della situazione, non ci trovavamo a Moria. Quel posto era decisamente peggio: non avevo neanche il tempo di fare un sospiro per riprendere fiato, i nemici arrivavano da tutte le parti, dovevo sempre essere pronta a proteggermi.
Altri due orchi si fecero avanti verso di me, seguiti da un terzo proveniente da un’altra direzione.
<< Sono cambiata!! >> urlai più per convincere me stessa che gli altri e risvegliando la forza che avevo in me gli andai incontro. Sapevo che l’unico modo che avevo per assicurarmi la vittoria era puntare alla testa. La loro carne era dura, le ossa di ferro, non era facile scalfirle, soprattutto con la poca forza che avevo io. Il collo invece sarebbe stato un po’ più accessibile per i miei standard, o altrimenti puntando di punta dritto al cuore. Una cosa era certa: dovevo trovare il modo di stenderli al primo colpo, se gli avessi dato modo di difendersi non sarei riuscita a contrastarli. Dovevo fare io il primo e decisivo passo! E così feci. Usando tutta la forza che avevo nelle braccia tagliai l’aria in orizzontale e riuscii a staccare la testa a uno, girai su me stessa, per darmi ancora più spinta, e mi voltai verso il compagno che mi stava raggiungendo da destra e colpii anche lui alla base della testa. Non riuscii però a tagliargliela tutta completamente, la lama rimase a metà, garantendogli la morte ma rimanendo ancora una volta incastrata lì. Sapevo che non avevo tempo di pensarci, un altro di loro mi stava raggiungendo dalla stessa direzione. Lasciai cadere il corpo morto del primo a terra, mi sarei aiutata con i piedi ad estrarre la lama, nel frattempo estrassi una delle mie daghe, decisamente più leggera della spada in sé, e sporgendomi in avanti al momento giusto la conficcai nel cuore dell’orco. Fu più semplice estrarre la daga, forse perché le sue dimensioni erano decisamente più ridotte della spada. Nel frattempo posai un piede sul petto all’orco morto ai miei piedi e usando tutta la forza che avevo estrassi la spada dal suo collo, sbilanciandomi indietro e andando a sbattere contro uno dei soldati che accidentalmente stava combattendo proprio dietro di me. L’averlo urtato lo fece scivolare in avanti quel tanto che bastava per far sì che la spada di un orco si conficcasse nel suo petto uccidendolo. La lama, passata da parte a parte, aveva inoltre trovato il mio corpo affondandosi anche in questo, in un fianco, appena sotto le costole. Il dolore quasi non lo sentii. La spada fu estratta dai due corpi con violenza, ma ancora non percepivo niente se non confusione. Caddi carponi per terra.
Avevo ucciso un uomo.
<< Oh mio Dio! >> mormorai gattoni com’ero, alzando lo sguardo intorno a me. Non riuscivo più a capire dov’ero, cosa stavo facendo. Ero inerme. Un altro corpo, dalla provenienza ignota, cadde al mio fianco e ancora una volta spaventata mi slanciai lontano da lui, cadendo su un fianco sulla fredda roccia sotto di me. Cercai di alzarmi ma non ne ero in grado, il suolo si stava riempiendo di corpi di orchi, di uomini e di altri il cui volto sfigurato mi impediva di riconoscere. Sangue scorreva come fiumi sotto le mie mani, poggiate a terra. La polvere si mischiava alla cenere, arti recisi sparsi come piante. Mi sentii sperduta. Mi sforzai di alzarmi in piedi, ma le gambe non riuscivano a reggere il peso del mio corpo, feci un passo indietro barcollante e trovai un ostacolo, forse uno dei tanti corpi, e caddi nuovamente per terra sbattendo violentemente la schiena al suolo. Il respiro mi mancò. Sentivo dolore ovunque ma non riuscivo a capire se ero ferita o meno. Ero come estraniata dal mio corpo. Mi voltai e posando le mani al suolo tentai nuovamente di alzarmi in piedi, mi girava la testa e braccia e gambe tremavano come mai prima d’ora. L’odore della morte era così acre da penetrarmi nelle narici come tanti piccoli aghi, ferendomi. Una lacrima cadde dal mio viso, quando avevo cominciato a piangere?  Tentai nuovamente di alzarmi in piedi, dovevo riprendermi o sarei morta. Ma il destino volle colpirmi ancora: un cavallo mi saltò, passando sopra di me, riuscendo a evitarmi ma un suo zoccolo inevitabilmente si scontrò contro un mio fianco. Sentii le costole dentro di me cigolare rumorosamente e caddi nuovamente supina, rotolando su me stessa un paio di volte. Ero completamente ricoperta di sangue e polvere. Sentii un urlo agghiacciante arrivarmi alle orecchie: ero stata io a urlare? Probabile, ne sentivo il bisogno, ma il fiato mi mancava. La vista appannata non mi mostrava il mondo circostante, sentivo bruciore ovunque. Pochi secondi dopo un’ombra oscurò per un attimo il cielo, e scomparve. Una voce lontana sentenziò << I Nazgul! >> allora forse l’urlo agghiacciante proveniva da loro. Non avrei saputo dirlo. Ma improvvisamente sentì come una completa alienazione, non percepivo niente intorno a me se non echi lontani e una leggera foschia davanti ai miei occhi. Una voce cupa e profonda arrivò alle mie orecchie forte e chiara, come proveniente da chissà quale abisso, destinata a farsi udire solo da me.
<< L’orgoglio ti ha portato sull’orlo del precipizio. Avresti dovuto obbedire. >> Non avevo la più pallida idea di cosa stesse dicendo, a cosa si riferiva? Cosa voleva da me? Gli occhi girarono vorticosamente intorno a me rendendo tutto ancora più confuso. Sentivo i polmoni bruciare e il cuore esplodere dentro me, come stretto da una morsa implacabile. Una sola cosa si mostrò chiara a  me: un occhio di fuoco mi guardava. Leggevo nel suo sguardo la soddisfazione. Poi un’altra luce accecò i miei occhi. Un’immagine mi giunse alla mente veloce come una freccia lanciata da un arco elfico. Comparve per pochi istanti e poi scomparve nel buio.
Nel buio avevo distinto il corpo esile di Pipino che crollava a terra colpito in testa dalla pesate mazza di un troll. E stranamente la mia mente fu abbastanza lucida da realizzare che ciò che avevo visto era uno dei tanti ricordi che temevo di avere perso. L’ansia provata fino a quel giorno ebbe finalmente un significato: dentro me sapevo che Pipino sarebbe morto. Avevo preso una scelta saggia, partire per salvarlo era stata una grande idea, peccato che in quel momento fossi morente al suolo. Come l’avrei aiutato?
<< Pipino! >> urlai disperata. Era diventato uno dei miei migliori amici all’interno della compagnia, lui e Merry erano stati miei compagni di viaggio più di chiunque altro, a loro avevo rivelato per primi il mio amore per Boromir, loro avevano letto dentro di me più volte di chiunque altro. Non potevo abbandonarlo! Ancora una volta mi stupii della forza che stavo dimostrando di avere. Quando ripresi praticamente coscienza mi ritrovai in piedi, in mezzo a una battaglia che non vedevo più. La mia strada pareva spianata verso il mio amico che ancora non sapeva della sua fine. In mano stringevo una spada, probabilmente non la mia, chissà da dove l’avevo presa. Barcollando mi feci strada velocemente in mezzo a quei tumulti, schivando lance e spade, pregando che una qualche freccia non mi colpisse. Non vedevo niente intorno a me se non il mio obbiettivo, che ancora non si mostrava a pieno. Non avevo idea di dove fosse Pipino, dovevo trovarlo il più velocemente possibile. Provai a correre ma l’unica cosa che riuscivo a fare era camminare un po’ più velocemente zoppicando. Avevo dolore alle costole, avevo il fiato corto, avevo dolore alle gambe e alla testa. Ma concentrandomi a pieno sul mio obbiettivo riuscivo a trovare la forza necessaria per non crollare a terra. Mi guardai attorno correndo da una zona all’altra del campo di battaglia: dove diavolo si era cacciato?! Cominciai a innervosirmi. Per un attimo pensai di aver sbagliato battaglia: non trovavo nessuno dei miei amici. Ero sola in mezzo a una folla dai volti anonimi. Ad un tratto il ginocchio crollò e caddi, ritrovandomi di nuovo a gattoni. Tossii. Uscì sangue dalla mia bocca. Il fuoco bruciava dentro me. Alzai la testa. Vidi un orco davanti a me con la sua spada alta, pronto a lasciarla cadere su di me. Lanciò un urlo raccoglitore. Abbassò la sua spada. Ma non arrivò all’obbiettivo. Un troll era appena caduto, ferito, appena vicino a noi, schiacciando l’orco appena in tempo. Guardai la testa gigantesca del mostro proprio davanti a me. I suoi occhi rotearono appena e incrociarono i miei. Un brivido di terrore mi colse. Mi aveva visto! Lui con solo un dito poteva schiacciarmi, ero un moscerino ai suoi occhi. Lo vidi piegarsi di lato con la mano tesa, pronto a colpirmi. Ancora una volta chiamai in soccorso la mia forza della disperazione e riuscii a darmi una spinta tale da riuscire ad alzarmi e allontanarmi in tempo. Il troll non tornò più su di me, una folla di uomini gli era saltata addosso per riuscire ad ucciderlo colpendolo nei punti più deboli. Io barcollai ancora, la caviglia mi faceva malissimo, non riuscivo a tenermi in piedi, le forze mi stavano abbandonando. Caddi ancora e tentai di alzare le braccia in cerca di un appiglio che mi tenesse in piedi. Inutilmente.
Quella situazione mi fece tornare alla mente un elemento ricorrente dei miei incubi. Ricordo che mi capitava spesso di sognare di non riuscire a stare in piedi, come stavo facendo in quel momento. Sognavo spesso di non sentire la terra sotto i piedi, di non sentirmi stabile e di continuare a cadere in continuazione, come se le mie gambe fossero fatte di gelatina. Era uno dei peggiori incubi che facevo, odiavo quella situazione di precarietà, odiavo non riuscire a trovare un equilibrio e trovarmi costretta a stare stesa a terra. Inoltre anche la terra non mi dava la stabilità che cercavo, anche quando mi ritrovavo stesa al suolo non mi sentivo ferma: tutto tremava, la testa girava, avevo sempre l’impressione di cadere nonostante fossi bloccata lì. E questo era la migliori delle parti: alcune volte mi capitava di sognare che dovevo scappare da qualcosa, sognavo che un pericolo mi inseguiva e io non riuscivo a fuggire perché non riuscivo a stare in piedi. Erano gli incubi peggiori quelli.
E quella situazione li rappresentava appieno. Non riuscivo a tenermi in piedi, dovevo correre verso una meta ma non riuscivo ad arrivarci. Una profonda angoscia si impadronì di me, cercavo un punto fisso su cui concentrarmi per trovare la stabilità e l’equilibrio necessario per tirarmi in piedi e far smettere al mondo di girare. Ma era tutto inutile, non riuscivo a trovare niente di fermo: tutto si muoveva, tutto si agitava, tutto cadeva e si rialzava. Tutto tranne me.
<< Forza, Sophie! >> tentai di dire per farmi coraggio, dov’era la forza della disperazione che fino a quel momento mi aveva salvato? Perché aveva smesso di aiutarmi? Tentai di alzarmi, ma come succedeva nei miei incubi, perdevo l’equilibrio e cadevo di lato, aggiungendo al dolore altro dolore. Sentivo che non sarei uscita viva da quella situazione, aveva ragione Boromir, aveva ragione Aragorn, avevano ragione i piccoletti che avevano tentato di fermarmi. Non ero in grado di sostenere una lotta del genere, ero troppo debole. Ma in quel momento sentivo che non m’importava niente di come ne sarei uscita io: avevo avuto un’illuminazione, un ricordo improvviso mi era tornato alla mente, potevo ancora fare qualcosa per renderli tutti felici. Non dovevo mollare. Mi voltai verso il terreno scuro su cui ero stesa, l’odore acre del sangue e del sudore mi bruciava le narici, la polvere negli occhi li stava quasi facendo sanguinare, la bocca arida implorava per un po’ d’acqua o si sarebbe spaccata completamente, mentre dentro me bruciava un fuoco ardente che mi logorava e mi uccideva pian piano. Posai le mani al suolo.
<< Forza!! >> Urlai ancora, o forse credetti di farlo, la mia voce non riusciva ad arrivare alle mie orecchie. Mi diedi un’altra spinta e miracolosamente riuscii a mettermi in piedi. Avevo sempre in mano la spada di prima, non l’avevo mollata un attimo, non me n’ero nemmeno resa conto. Mi guardai di nuovo attorno cercando di non voltare la testa troppo velocemente o avrei perso di nuovo l’equilibrio. Un altro urlo agghiacciante raggiunse le mie orecchie, ma questa volta più forte di prima. Una folata di vento mi suggerì che il Nazgul che aveva appena lanciato il suo grido mi era appena volato sopra la testa. Il suono era stato così forte che mi avevano fatto male: avevo chiuso gli occhi e mi ero portata le mani alle orecchie urlando di dolore. Quando l’ombra fu passata oltre e il fischio alle orecchie diminuì un po’ (senza però annullarsi completamente) ritornai a guardarmi attorno.
<< Pipino! >> tentai di urlare, chissà chi aveva colto il suono della mia voce in mezzo a quel chiasso di spade incrociate, scudi infranti e urla di dolore e terrore. Ripresi a camminare zoppicando cercando disperatamente il mio amico. Il mio fiato pesante rimbombava dentro me sovrastando il rumore di tutto quello che mi stava succedendo attorno.
Un orco mi crollò davanti e l’uomo che l’aveva ucciso subito si voltò dall’altra parte pronto a contrastare l’attacco di un altro orco. Dentro me continuavo a ringraziare che i nemici mi avessero dimenticato lì e non si facessero avanti contro di me. Non sarei certo riuscita a sostenere una battaglia in quelle condizioni.
Delle solide mani mi afferrarono per il collo della maglia e mi trascinarono giù, al suolo, insieme a lui. Non capii subito di che si trattava, temetti di essere stata afferrata da un orco. Ma appena i miei occhi furono puntati sull’entità che mi aveva trascinato giù con lui vidi solo un paio di occhi uguali ai miei, immersi nel terrore. Le lacrime ammorbidivano il rosso del sangue, le pupille dilatate dimostravano solo un incontro con la mano scheletrica della morte. Le sue labbra secche mormorarono qualcosa che non raggiunse le mie orecchie, ma che potei intuire dal labiale essere un << Aiutami. >>
Non riuscii più a trovare la forza di alzarmi, mi sentii abbandonare completamente anche dall’ultimo briciolo di energia che mi trascinava sul campo di battaglia. Ripresi a tremare ma non più di dolore e fatica, ma di paura. Le pupille dell’uomo sotto di me divennero improvvisamente velate e si persero nel vuoto. Io rimasi immobile lì, colma di terrore, tremando, probabilmente piangendo anche se non udivo né percepivo le mie lacrime sul mio viso. La gola bruciava più del solito.
E in un attimo compresi la follia della guerra.
Perché mi ero voluta mischiare in quelle faccende? Perché avevo fatto una cosa tanto sconsiderata quanto folle? Quegli uomini avrebbero voluto tanto avere un posto come il mio, una casa nella pace più completa della monotonia, lontana dalla paura della fine. E io invece mi ero voluta tuffare a capofitto in quel misero e squallido universo, convinta di trovare fiori sopra le tombe degli eroi. Ma non ci sarebbero stati fiori né tombe. Solo cenere e polvere. Non vi erano eroi. Solo vittime. Mi lasciai cadere su un fianco ormai esausta, priva di energia, terrorizzata a morte, in attesa che il buio che aveva colto l’uomo al mio fianco giungesse anche a me.
Il cielo sopra la mia testa, ricoperto di nubi nere, incombeva su tutti noi come una mano avida di sorrisi, pronta a strapparli da chiunque. Eppure sembrava la cosa più dolce che avessi mai visto.
La testa mi cadde di lato, troppo stanca per continuare a guardare il cielo e fu lì che i miei occhi intravidero nella nebbia una sagoma che ben conoscevo. Pipino che piangeva sul corpo di un uomo, Beregond ricordo si chiamava. Sì, il libro diceva proprio Beregond. Era un suo nuovo amico e già l’aveva perso, e presto avrebbe perso altro quale la sua vita. Un troll comparve alle sue spalle e si preparò a sfoderare con la clava puntata che aveva in mano un colpo sull’hobbit ai suoi piedi.
<< Pipino! >> riuscii a dire in un lieve sussurro disperato. Il mondo intorno a me si mosse velocemente, barcollante e tremante davanti ai miei occhi, come scosso da un terremoto. Ma si muoveva in avanti! E in pochi istanti mi ritrovai vicino a Pipino. Un paio di mani che tanto somigliavano alle mie lo spinsero via. Vidi Pipino cadere poco lontano da me e una clava venire dalla mia parte a gran velocità, tagliando l’aria con un rumore sordo e improvvisamente….il buio.

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Capitolo 18
*** How to save a life? ***


<< E’ questa la tua scelta? >> chiese una voce cupa e profonda, roca e ruggente. Da dove provenisse non saprei dirlo, mi ritrovavo in un immenso nulla. Ero così leggera e rilassata. Non vedevo niente intorno a me, avevo gli occhi chiusi, era come essere immersi in una vasca piena d’acqua calda. Sentivo l’incessante desiderio di rimanere lì per sempre, non c’era niente che potesse scalfirmi, lo sapevo. Mi sentivo al sicuro, come un bambino nel ventre materno.
<< Apri gli occhi Sophia. E’ questo ciò che tu stai abbandonando. >>  Ancora non capivo da dove provenisse la voce, ma non potei rifiutare il suo invito e lentamente aprii gli occhi. Con mia grande meraviglia non mi trovavo immersa nel nulla, come invece immaginavo. Ma intorno a me c’erano alberi, piante ed echi lontani, voci indistinte dall’animo allegro. Mi raddrizzai senza che io facessi niente, ero come mossa da una mano invisibile, e poggiai i piedi sulla dolce erba. Non riuscivo a capire dove mi trovassi ma sentivo che c’era qualcuno in quel luogo, dietro una siepe. Mi avvicinai e spostai le piante davanti a me. Mi trovai in cima a una montagna, il vento smuoveva i miei capelli ma non lo percepivo sulla pelle. Mi voltai lentamente e mi trovai in mezzo a un accampamento improvvisato su quel cucuzzolo, in compagnia di volti che conoscevo fin troppo bene. Anche la scena a cui stavo assistendo mi era ben nota. Boromir insegnava a Merry e Pipino a usare la spada, Aragorn guardava sorridendo e dando alcuni buoni consigli, Legolas guardava il panorama tenendo d’occhio la situazione intorno a loro, Gandalf pensava tra sé e sé mentre Gimli si lamentava che nessuno desse ascolto ai suoi consigli. Le loro voci giungevano alle mie orecchie così sfumate, così lontani. Non mi sentivo appartenente a quel mondo.
Gli uccelli che ci avevano costretti a nasconderci comparvero e mi voltai, spostando lo sguardo da Boromir e dagli hobbit a dietro di me, dove credevo di vedere arrivare le spie di Saruman. E invece mi ritrovai faccia a faccia con il Balrog a Moria, sul ponte di Kazadum, dove Gandalf era impegnato a combatterlo e impedirgli di raggiungere i miei compagni. Ancora una volta non mi sentii appartenere a quel mondo, mi sentivo un fantasma che guardava da esterno ciò che succedeva. Una luce abbagliante mi costrinse a chiudere gli occhi nel momento in cui Gandalf puntò il suo bastone al suolo, facendo crollare il ponte. Quando gli riaprii mi ritrovai in piedi, in mezzo alla foresta. Un lamento giungeva alle mie orecchie. Guardai attraverso le fronde e lì vidi una macchia scura, una sagoma indecifrabile che piangeva sul corpo morto di un uomo. Sul corpo morto di Boromir. Avevo visto così tante volte quella scena e sempre aveva su di me un grande effetto emotivo, ma non quella volta. Non riuscivo a provare dolore, solo…malinconia. Una figura scura passò davanti a me, un orco mi impedì di vedere ancora quella triste scena, e quando si fu allontanato di fronte a me c’era una vasta prateria. Merry e Pipino sopra una roccia che parlavano mentre una voce sofferente cantava. La melodia finì subito e da dietro una roccia poco distante dai due hobbit comparve di nuovo la stessa macchia scura, dal volto coperto dall’ombra.
Capii dove mi trovavo.
Stavo vagando senza meta nei miei ricordi, osservando alcune delle scene più significative della mia vita. Barbalbero arrivò dalla mia destra e mi voltai a guardarlo. La prateria si trasformò improvvisamente in una vallata invasa dall’acqua. Di fronte a me una grande torre nera, ai piedi di essa dei cavalli con dei cavalieri. La solita figura oscura comparve dal balcone della torre e cadde giù nel vuoto, afferrata appena in tempo dall’Ent. Delle risa vennero dalle mie spalle e mi voltai per vedere da dove provenissero. Mi trovai in una stanza illuminata da qualche candela e invasa da uomini ubriachi che cantavano e ballavano. La maggior parte di loro era attorno a un tavolo e stavano facendo un gioco che conoscevo bene. I calici si alzarono. Urla  e risa. Una voce femminile che rideva divertita. Nell’angolo Boromir osservava la scena con la compassione e la gioia negli occhi. Mi concentrai su di lui e ancora una volta l’ambiente cambiò trasformandosi in una foresta. L’uomo si trovava sotto una rete, ai piedi di alcuni cadaveri di orchi. Si avvicinò con il solito sorriso compassionevole e tagliò le corde della rete, afferrando al volo la figura nera e confusa che gli atterrò tra le braccia piangente. Il mondo intorno a me cominciò a vorticare così velocemente da rendere tutto confuso, un insieme di macchie e colori di cui l’unica cosa distinta erano le due figure al centro, rimaste ferme per tutto il tempo, con gli occhi fissi l’uno sull’altra. Riuscii a cogliere in quegli occhi cose che prima mai avevo visto: amore.
Le due figure si annerirono pian piano, cadendo nell’ombra, mentre tutto intorno a me continuava a girare e uno ad uno comparvero altre sagome a me ben note.
Prima Gimli che severo si avvicinava alla solita sagoma nera, che ormai avevo ben capito essere io, gridargli parole che avevo già sentito “
Molto incosciente per essere una Signora della preveggenza!”.
Gimli si eclissò nella risata della figura nera e al suo posto comparve Legolas con un sorriso amichevole in volto che sussurrava alla solita figura nera “Hai la mia parola, non rivelerò a nessuno il tuo segreto”. Ancora oscuramento.
Sam fece la sua comparsa nella confusione di colori e macchie, seduto su una roccia, piangente. La figura scura si avvicinò a lui e posandogli una mano sulla spalla gli sussurrò qualcosa che non riuscii a sentire. Lo sguardo di Sam si alzò verso la figura di fronte a lui e annuì.
Oscuramento.
Frodo che guardava spaventato la figura nera che gli porgeva il suo anello, perduto lungo la via sulle montagne innevate, dopo una sua scivolata, e che gli diceva qualcosa che ancora una volta non riuscii a percepire.
Annebbiamento, ancora.
Due hobbit simpatici e giocherelloni quali Merry e Pipino comparvero dal nulla e corsero verso la solita figura, ricorrente in tutte le visioni, per abbracciarla gioiosi di rivederla.
Ancora oscuramento.
Fu il turno di un Gandalf che agitato si dirigeva verso la macchiolina nera urlandogli contro divertito “Fin dall’entrata a Moria sapevo che c’era qualcosa di strano in te!”. Una risata echeggiò nell’aria, la riconoscevo: era la mia.
Gandalf scomparve lasciando spazio all’ultimo dei miei tanti amici, uno dei più importanti, un punto di riferimento che sempre avevo sentito legato a me. Aragorn.
Sorrideva verso la macchiolina nera e quasi con tono supplichevole gli sussurrò “Continua a vegliare su di noi come hai fatto fin’ora”.
L’emozione che fino a quel momento non sentivo più appartenermi tornò impetuosa dentro me, travolgendomi come un’onda, sovrastandomi. Sentii gli occhi bruciare e le lacrime cominciare a sgorgare. Il mondo intorno a me girò così forte da diventare quasi nero, poi all’improvviso si dissolse lasciando spazio a un campo di battaglia. Aveva un altro aspetto ora che potevo osservarlo da uno spazio sicuro. Sentii una voce urlare “Pipino!”  e mi voltai in tempo per vedere la figura nera, che ora appariva decisamente meno oscurata, anche se sempre un po’ appannata, correre verso Pipino che piangeva su un corpo a terra. La figura era ferita in più punti, si reggeva in piedi a stento, era ricoperta di sangue e polvere , ma nonostante tutto riuscì a raggiungere Pipino in fretta e a spingerlo via appena in tempo, salvandogli la vita. La stessa sorte però non toccò a lei che fu presa in pieno dalla clava del troll e scaraventata lontano, verso una roccia, contro il quale sbatté la testa e lì rimase, giacendo in una pozza di sangue.
Per la prima volta mi mossi e corsi verso questa figura piangendo e disperandomi. Sapevo ciò che stavano cercando di dirmi quelle immagini.
Si dice che un attimo prima della morte ti passi davanti agli occhi tutta la tua vita.
A me era appena successo.
<< No!! >> urlai tentando di raggiungere la figura. Non volevo morire! Non volevo lasciarli tutti! Volevo continuare a vivere insieme a loro, insieme ai miei amici.
Ma non ebbi modo di raggiungere il mio corpo che giaceva a terra. Un baratro si aprì sotto i miei piedi facendomi cadere nella più completa oscurità.
Quando tornai a vedere mi ritrovavo inginocchiata nella più assoluta oscurità, circondata dal nulla, che piangevo le ultime lacrime che mi erano concesse. Mi guardai attorno. Ormai ero persa. Ormai era giunta la fine. Mi rannicchiai e singhiozzando canticchiai amaramente << Dove ho sbagliato? Ho perso un amico da qualche parte lungo un amaro sentiero. E sarei rimasta in piedi con te tutta la notte, se avessi saputo come salvare una vita. >>
Le mie parole riecheggiavano in quel posto sconosciuto, ritornando alle mie orecchie, quasi a voler ribadire il concetto.
“Dove ho sbagliato?”
Pensavo di avere tutto sotto controllo, ho sempre pensato di essere stata una specie di messia, di essere immortale ed essere potente abbastanza da salvare e garantire la felicità a tutti i miei amici. Invece non avevo mai tenuto in considerazione il fatto che tra tutti io ero quella che sarebbe morta con più facilità. Non ero affatto potente come credevo, solo tanto fortunata.
“Ho perso un amico.”
No, non erano solo amici quelli che avevo perso. Loro erano la mia famiglia, erano la mia vita. Per anni ho rincorso quei sogni così fantasiosi, per anni ho pregato di incontrarli e conoscerli. Mi era stata concessa la grazia e avevo scoperto un affetto che mai avrei immaginato. Tutta l’ammirazione provata fino a quel momento nei loro confronti si era dissolta trasformandosi in implacabile e incontenibile affetto. Erano tutti parte di me. Perché doveva finire in questa maniera?
“Da qualche parte lungo un amaro sentiero”.
La mia morte era stata così rapida e in discesa che nemmeno me n’ero resa conto. Avevo sentito la stanchezza e la pesantezza schiacciare le mie membra, ma non avrei mai immaginato di morire in quel modo. Avevo sempre visto la morte come una cosa estranea a me, certo dicevo “morirò”, ma non ero mai veramente consapevole. Per me era sempre stato un dolce e saporito sogno la cui morte rappresentava il risveglio. Ma la cosa più terribile credo sia stato il gioco che Lei aveva fatto con me prima della fine. Mi aveva mostrato i suoi lati peggiori prima di prendermi con sé, come a volermi dimostrare la sua crudeltà.
“se avessi saputo come salvare una vita.”
Se solo avessi saputo come salvare la MIA vita. Che strano scherzo quello del destino: mi aveva permesso di salvare più vite di chiunque altro. Prima Boromir, poi Faramir e infine Pipino. Li avevo salvati tutti, senza fermarmi un attimo. Ma quando mi sono trovata di fronte alla MIA morte non sono riuscita a muovere un passo.
E poi la chiamano Ironia della sorte.
E ora? Mi sarei dovuta fermare per sempre in quell’oblio, persa nel nulla, sola con me stessa fino all’esaurimento.
<< La morte non ha un sapore così dolce, Sophia. >> la voce roca di prima riapparve. Presa com’ero dagli eventi che mi erano appena successi non avevo ancora dato la giusta importanza a quella voce che fin da quando ero in vita, nei miei ultimi minuti, mi aveva accompagnato.
<< Chi sei? >> chiesi alzandomi in piedi. Chissà chi avrebbe giudicato le mie azioni: Dio? Satana? O magari i Valar?
<< Tu conosci fin troppo bene la mia identità! >> un bagliore apparve dall’oscurità che quasi mi accecò e improvvisamente vidi l’occhio di Sauron dritto puntato su di me. Rimasi quasi senza fiato, con gli occhi spalancati a guardarlo incredula.
<< Non dirmi che non riconosci colui che hai abbattuto! >> quasi brontolò. C’era dell’ira nella sua voce, ma sentivo che si stava trattenendo.
Io avevo fatto cosa?
<< Sophia. >> la voce ora proveniva dalla mia destra. Mi voltai e mi vidi venir incontro una figura nera, coperta da una spessa armatura che ormai avevo imparato a riconoscere.
<< Sauron? >> mormorai terrorizzata e al contempo emozionata di trovarmi di fronte a lui. Era come un mito. Un pericoloso mito.
<< Tu hai rifiutato di collaborare con me! Hai mandato in frantumi l’accordo con Saruman e ora guarda: per me è la fine, Frodo ha gettato l’anello nel Monte Fato. >> un guizzo di gioia si impossessò di me, ce l’avevano fatta! Tutto era andato come doveva andare! Ero riuscita in una delle mie più grandi e pericolose missioni, non ero una fallita. Quella meravigliosa terra era salva.
Ma ben presto tornai alla triste realtà << Ma dimmi, tu cosa ci hai guadagnato? >>
<< Che cosa vuoi da me? Ormai è finita! >> risposi con astio, che diavolo ci faceva lì? Ormai eravamo morti entrambi, cosa voleva da me?
<< No che non lo è! Per te, almeno. Ho dato io a Saruman i poteri necessari a portarti qui e in altrettanto modo posso rispedirti a casa. Esatto, Sophia. Non sei ANCORA morta. Avresti benissimo potuto esserlo: nessuno avrebbe resistito a un colpo del genere, eppure sei bloccata qui, in questo frangente di passaggio, né viva né morta. >> La mia confusione aveva raggiunto apici mai visti prima, non ero morta? Com’era possibile? Ma allora dove mi trovavo?
<< La morte sarebbe stata troppo dolce per te! Meriti qualcosa di più per punirti del tuo affronto! Io, usando gli ultimi guizzi di potere che avevo, ti ho salvato la vita. Ma non tornerai mai più da loro! Tornerai a casa tua, lontana da tutto ciò che ti è caro così da tormentarti, giorno dopo giorno, ricordo dopo ricordo! >> il suo tono era diventato minaccioso e tuonava in quello spazio vuoto quasi schiacciandomi sotto il suo peso.
<< Tu impertinente, arrogante e sciocca ragazzina quale risultati credevi di raggiungere costruendo il tuo sentiero verso la mia distruzione? Ti ho offerto tutta la felicità a cui ambivi, ma tu hai osato rifiutare! E per questo ti pentirai. Porterai su di te i segni del tuo percorso e ogni notte rivivrai i tuoi ricordi, come hai potuto fare poco fa, ma mai più potrai raggiungerli. Marcirai nella tua arroganza, schiacciata dai tuoi sciocchi sentimenti! >> e proclamando la sua sentenza Sauron sfoderò la sua spada e mi trafisse in pieno cuore sprigionando un lampo di luce. Sentii il dolore percorrermi tutto il corpo, mi lasciai cadere al suolo. Stavo bruciando viva ma ancora più terribile era l’idea del mio destino. Mai più li avrei potuti vedere se non attraverso una scatola meccanica, mai più avrei potuto sentire le loro parole se non nei miei ricordi. Mi portai una mano al petto trafitto e lanciai un urlo di disperazione. Cercai con lo sguardo Sauron, cercando disperatamente nella mia mente un modo per contrastarlo, ma la paura mi attanagliava e Sauron era sparito nell’oscurità che mi circondava. Una luce comparve in lontananza, un bagliore che si fece sempre più intenso e si diresse verso di me, pronto a inghiottirmi. Capii che quel bagliore mi avrebbe riportato a casa, lontano dalla mia reale vita. Cercai di alzarmi per allontanarmi, ma non avevo idea di dove andare a rifugiarmi. Non avevo più speranze, non avevo più armi per contrastare il destino.
Una lacrima cadde dai miei occhi, seguita da un ulteriore urlo di disperazione, e toccò il suolo ai miei piedi. Il rumore della lacrima caduta echeggiò amplificata dal vuoto intorno a me. Poi una voce.
<< Sophia >>.
Mi stava chiamando. La voce di un uomo mi chiamava colmo di disperazione.
<< Sophia! >> Altre voci si sovrastavano, anche loro supplichevoli e disperate.
<< Ho fatto tutto il possibile >> disse un’altra voce << Mi dispiace >> aggiunse.
Come potevano giungere a me? Potevo ben riconoscerli! Erano Merry, Pipino, Boromir e Gandalf quelli che parlavano! Come potevo sentirli? Aprii gli occhi e vidi nel punto in cui si era riversata la mia lacrima una piccola luce azzurra. Era come se la lacrima avesse aperto un foro nel telo nero in cui ero immersa. Con le mani tremanti provai a toccarlo: sì era proprio un foro! E le voci provenivano da lì! Tentai di infilarci il dito per poterlo allargare, per poter aprirlo di più, ma non riuscivo: era troppo piccolo.
<< Dai! Dai! >> dissi tra me e me attaccandomi alla forza della disperazione, come ultimamente avevo fatto più volte. Alzai lo sguardo: il bagliore di luce che mi avrebbe riportato a casa era quasi giunto a me, era come un sole che sorgeva piano su una vallata. Mi avrebbe dato un po’ di tempo, ma non abbastanza.
<< Boromir!! >> gridai disperata. Mi bagnai il dito con le lacrime che avevo sul viso e tentai di bagnare con queste il telo nero su cui ero stesa. Se una lacrima aveva aperto il foro forse così sarei riuscita ad allargarlo. Ma non funzionava.
<< Aiutatemi! >> gridai ancora cominciai a sbattere i pugni al suolo.
<< Ha parlato!! Gandalf, sono sicuro! Ha detto qualcosa! >> la voce lontana come un eco sembrò emozionarsi all’eventualità. Non avevo idea di cosa stesse succedendo dall’altra parte, ma sentivo che stavano tentando di aiutarmi. Lo sapevo, non mi avrebbero mai lasciato lì.
Il bagliore di luce era quasi arrivato a me, mancavano solo un paio di metri.
<< Aiutatemi! Tiratemi fuori di qui! >> continuai a sbattere i pugni al suolo ma non riuscii a fare niente che allargasse quel maledetto buco. Il bagliore di luce era distante da me meno di 40 cm. Non sarei mai riuscita a salvarmi. Ormai era troppo tardi. Mi lasciai cadere a terra, poggiando la fronte al pavimento, disperata e urlai un’ultima volta, sommersa dalle lacrime << Aiuto!! >>
Il mio urlo fu subito seguito da un coro di voci composto da 3 o 4 persone che disperate quanto me urlavano  << Sophia!! >>.
Improvvisamente sentii il terreno tremare sotto i miei piedi e il buco si spalancò improvvisamente inghiottendomi, nello stesso istante in cui il bagliore era giunto a me, toccandomi e bruciandomi. Mi sentii come invasata: mi girava la testa, mi faceva male, mi sentivo leggera. Il vuoto sotto di me. Mi sentivo cadere verso un infinito baratro. Dov’ero diretta?
 

Mi sentii tornare alla vita. Le dita intorpidite toccavano un morbido lenzuolo, la testa dolorante era immersa in un soffice cuscino e sul mio corpo pieno di dolori di ogni tipo sentivo solo il peso delle coperte.
Poi realizzai.
Aprii gli occhi improvvisamente guardandomi attorno. Intorno a me era tutto buio, non riuscivo a vedere dove mi trovavo ma se ero messa in un letto….probabilmente ero tornata a casa. Non ero riuscita ad allargare il buco in tempo, il bagliore mi doveva aver colto prima del tempo e io dovevo essere stata trasportata a casa. Mi alzai a sedere e mi resi conto dell’enorme fatica che facevo: ero ricoperta di dolori di ogni tipo. Mi sentivo reduce di una caduta lungo una scogliera infinita. Mi lamentai appena per il dolore fisico, quello più grande era quello che provavo nel cuore. Ero a casa. Lontano da tutto ciò che aveva fatto parte di me per così tanto tempo. Mi rannicchiai stringendo le gambe al busto e affondando il volto tra le ginocchia.
<< No >> sussurrai mentre sentivo la gola riprendere a bruciare. Ero pronta per cadere di nuovo nella disperazione. << No >> mugolai ancora cominciando a singhiozzare come avevo previsto che avrei fatto.
<< Dove sono  il cavallo e il cavaliere? Dov’è il corno che suonava? >> cominciai a recitare interrompendo le parole ogni 3 secondi, colta da un pianto logoro e profondo. Ma non volevo fermarmi, era come se recitare quelle parole mi aiutasse a sentire meno lontani quei giorni ormai distanti << Sono passati come la pioggia sulle montagne. Come il vento… come il vento nei prati. >> non riuscii a continuare, la voce mi morì in gola e lasciai spazio solo al pianto disperato. Tutto quello per cui avevo lottato fino a quel momento, tutto quello per cui mi ero sacrificata, tutto quello che avevo amato senza confine ora era sparito, lasciando solo un immenso vuoto dentro me.
Mi stesi nuovamente nel letto continuando a piangere e abbandonandomi alla tristezza. Fuori sentivo la pioggia scorrere sulla strade, accarezzando i vetri della mia stanza. Ripensai a ciò che avevo detto a Boromir il pomeriggio prima, quando insieme eravamo nel piazzare dei giardini, a guardare la pioggia accarezzare le piante di Minas Tirith.  “Ascolta la pioggia”. Tentai nuovamente di farlo, tentai di ascoltare la pioggia per cercare in quei lamenti un briciolo di conforto, magari tra i segreti che aveva da rivelarmi ce n’era uno che mi avrebbe suggerito come tornare sulla Terra di Mezzo.
Ma non udii niente. La pioggia non aveva nessun segreto da rivelarmi, eppure ascoltavo!
“ Non stai ascolando! Tu stai sentendo, non stai ascoltando” disse la voce nella mia testa e forse aveva ragione. Forse non mi stavo concentrando abbastanza: stavo sentendo, non stavo ascoltando. Chiusi gli occhi concentrandomi più che potevo sulla pioggia.
Poi lo udii.
Il segreto più bello che avessi mai sentito, il sussurro più scaldante che la pioggia avesse mai potuto suggerirmi: un rumore di zoccoli su una strada acciottolata. Spalancai gli occhi. Cavalli. C’erano cavalli fuori dalla mia stanza e la strada dal rumore pareva proprio acciottolata. Il buio intorno a me improvvisamente non parve più così buio. Udii delle voci provenire da fuori la stanza, tentai di concentrarmi per capire se erano voci che conoscevo. Una di quelle no, non l’avevo mai udita prima, ma l’altra….
<< Aragorn! >> dissi entusiasta. Mi tirai su a sedere sul letto, ignorando i cigolii delle mie ossa, ignorando i dolori che mi impedivano i movimenti fluidi. Mi tolsi le coperte da sopra le gambe e posai i piedi sulla fredda roccia del pavimento. “Camera mia ha il Parquet non la roccia! Sono a Minas Tiritrh!” pensai entusiasta e tentai di tirarmi in piedi per poter correre verso la porta e uscire ad abbracciare i miei amici.
Ovunque si trovasse la porta.
Ma non ebbi nemmeno modo di scoprirlo che le mie gambe cedettero e caddi a terra come una pera cotta. Per un attimo mi sembrò di tornare al mio primo arrivo sulla Terra di Mezzo, ero ridotta forse un po’ meglio, ma anche in quell’occasione non riuscivo a stare in piedi. Con la differenza però che almeno quel giorno ci vedevo! Nel cadere allargai le braccia a caso, alla ricerca di un qualsiasi appiglio nell’oscurità che potesse impedirmi di sbattere la faccia dritta a terra. Trovai qualcosa ma non mi aiutò a stare dritta in piedi: un braccio andò a sbattere contro il comodino, vicino al letto e, oltre a farmi un male della miseria, fece un gran fracasso perché nel cadere giù si trascinò tutto ciò che era posato lì sopra. Qualcosa di molto fragile doveva essere perché nel cadere il rumore provocato mi ricordava tanto i piatti che tempo addietro avevo rotto a casa mia.
<< Ohi!! >> Mi lamentai dolorante, ma non mi arresi! Avevo ritrovato la determinazione che avevo avuto il primo giorno nella Terra di Mezzo quando avevo percorso GranBurrone a saltelli. Cominiai a gattonare nel buio, in cerca di un qualsiasi cosa testimoniasse una porta e un’uscita. O anche una lampada. Ma ovviamente non trovai niente di tutto ciò, solo un grosso mobile di legno contro il quale sbattei violentemente la testa, che oltretutto già mi faceva male. Nel sbatterci inoltre avevo fatto cadere da sopra questo qualcosa di duro che contribuì al mal di testa.
<< Ahi!!! >> gridai ancora più forte innervosita e presi a calci quel qualcosa che mi aveva appena colpito.
Improvvisamente….luce fu! Un bagliore quasi mi accecò e mi guardai attorno: la stanza era tutta in pietra e il mobile contro il quale avevo sbattuto era probabilmente un qualcosa con le stesse funzioni di un comò, in quanto aveva la sua stessa forma. La cosa contro cui me l’ero presa era finita sotto al letto, un grosso letto a due piazze che a vederlo sembrava tanto morbido e accogliente.
<< Sophia! Che stai facendo? >> mi chiese una voce preoccupata dalle mie spalle. Mi voltai e guardai dritto negli occhi Aragorn, all’interno dei quali potevo benissimo scorgere la paura e la preoccupazione. Chissà cosa aveva pensato nel sentire tutto questo fracasso.
<< Stavo tastando le mie capacità di cane da tartufo impegnandomi nella ricerca della porta. >> guardai dove mi trovavo rispetto alla porta: dall’altra parte della stanza, con le spalle rivolta ad essa. << C’ero quasi arrivata! Hai rovinato tutto, non dovevi accendere la luce! Dovevo farcela da sola. >>  dissi sempre ferma nella mia posizione a gattoni, abbaiandogli contro.
Aragorn scoppiò a ridere come mai l’avevo sentito fare prima, l’avevo davvero fatto ridere così tanto? Eppure non avevo detto niente di divertente. Mi venne incontro e mi sollevò da terra con la grazia di un rinoceronte infuriato, facendomi lamentare dal dolore.
<< Sei tornata normale! Che bello rivederti! >> disse e mi diede una leggera pacca sulla schiena. E giù un altro lamento.
<< Papà Castoro mi fai male!!! >> gli urlai contro puntandogli gli occhi severi contro e stringendo i pugni. Aragorn mi ignorò di nuovo e mi tirò a sé stringendomi forte. << Ci hai fatti tutti morire di paura, credevamo tu fossi morta. >>
E per una volta ignorai le ossa che ancora cigolavano tormentate dal dolore e, colta da un’improvvisa emozione, circondai con le braccia il corpo dell’uomo e lo strinsi forte, affondando il volto nel suo petto. Ero scampata alla morte, ero riuscita a sopravvivere grazie a un inspiegabile miracolo ed ero tornata. Ero di nuovo lì, insieme a lui. Insieme a tutti loro. Le mani tramarono e le lacrime ripresero a sgorgare dai miei occhi, ma non erano più le lacrime pesanti e colme di dolore come qualche minuto prima, erano lacrime di gioia. Una gioia mai provata prima. Il ricordo di quel terribile momento in cui credevo di averli persi tormentava ancora il mio cuore, ed era un sollievo riuscire a placare le sue schegge con la gioia di essere tornata.
<< Gandalf ha usato tutta la magia di cui disponeva per riuscire a riportarti tra noi. Ne è uscito sfinito, ma i suoi sforzi non sono stati vani. >>
Mi spiegò Aragorn. Io non avevo idea di cosa dire, la felicità mi aveva ammutolita, riuscivo solo a dire ripetutamente << Grazie >>.
Mi allontanai dall’uomo, mi asciugai le lacrime con un braccio e prima che potesse dire o fare altro cominciai a camminare zoppicante verso l’uscita.
<< Dove vai? Devi riposare! >>
<< Sei pazzo? Ho giocato a carte con la morte per non so quanto tempo e non vedo l’ora di andare a dimostrare a tutti quanti che ho vinto! >> dissi seria mentre mi avviavo dolorante verso l’uscita della stanza. Non avevo idea di quanta strada avessi potuto fare in quelle condizioni, probabilmente mi sarei sbriciolata da un momento a un altro, ma non avevo proprio voglia di rimettermi a letto! Volevo vederli tutti, volevo riabbracciarli e ringraziarli.
<< Mettiti a letto, ti vado a chiamare io gli altri. >>
<< No, ce la faccio! >> dissi e nello stesso istante una gamba mi cedette e caddi a terra lamentandomi con un sonoro << Ahu!! >>. Aragorn si avvicinò a me e mi prese di peso riportandomi a letto mentre io mi dimenavo che volevo uscire. Non volevo rimanere in quella stupida stanza! << Mettimi giù! Maleducato che non sei altro, toglimi le mani di dosso!! Ti denuncio per violenze sui minori! >> dissi prendendomela ingiustamente con lui. Aragorn mi posò a letto e io incrociai le braccia al petto offesa, mettendo il muso e voltandomi dall’altra parte per non guardarlo.
<< Farò in un lampo. Aspettami qui. >> sorrise lui divertito e uscì dalla stanza.
Io rimasi immobile nella mia posizione per un po’, poi, una volta constatato che veramente ero sola in quella stanza, cominciai a osservarmi. Mi guardai le mani, le braccia e tutto il resto del corpo. Ero curiosa di sapere quanti e quali danni avevo riportato. Dal dolore che provavo sentivo di essere tutta, completamente rotta, dalla testa ai piedi. Però mi muovevo, quindi qualcosa si era salvato. Le ferite non potevo vederle veramente in quando erano tutte fasciate, ma potevo per l’appunto contare le fasciature. Ne avevo una intorno alla caviglia destra, intorno alla coscia sinistra, intorno alla testa, al gomito e al polso destro. Queste erano le più grandi, poi ne avevo altre anche sull’altro braccio e sulle gambe, ma di minor entità, forse a voler chiudere solo qualche piccolo graffio. Mi ricordai improvvisamente dello zoccolo di cavallo sul fianco, della spada conficcata nello stesso punto e del terribile colpo preso in pieno stomaco dalla clava del troll. Mi toccai il ventre, si effettivamente sentivo di essere un po’ “ristretta”. Qualcosa mi stringeva. Alzai il vestito che mi faceva da camicia da notte e notai un’immensa fasciatura che mi copriva tutto il busto, senza lasciarne uno spazio libero.
<< Dio Mio, sono un catorcio! >> dissi risistemandomi e ammorbidendomi sul letto. Ero ridotta davvero male, sembrava avessi fatto a botte con un bufalo. Però avevo avuto la meglio io! Ero viva, per Diana! Era questo quello che contava.
Come sia possibile poi non saprei proprio dirlo, chiunque sarebbe morto in quelle condizioni.
 La porta si spalancò all’improvviso e due piccoli hobbit fecero irruzione nella mia stanza tuffandosi sul mio letto per venirmi ad abbracciare.
<< Ahi!! Piano! >> mi lamentai vedendo le stelle mentre ricambiavo l’abbraccio di Merry e Pipino, vedendo con gioia che quest’ultimo era tutto intero. Ero riuscita a salvarlo!
<< Sei viva! >> gridavano i due saltando sul letto, lanciando sguardi a me e poi fra di loro.
<< Sì, ma così mi uccidete voi! >> mi lamentai. Diavolo mi stavano saltando addosso! Erano matti?
Un bastone bianco arrivò in mia difesa colpendoli entrambi in testa e riuscendo a placare il loro entusiasmo assassino.
<< Gandalf!! >> urlai felice di vederlo. << Mio salvatore!! Mio angelo custode, vieni qui fatti abbracciare! >> e allungai le braccia cercando di afferrare la sua veste per poterlo trascinare vicino a me. Lui mi aiutò evitando che mi lanciassi, rischiando così di morire definitivamente, e mi si avvicinò. Gli cinsi il collo con le braccia e lo stritolai tanto che mi feci male pure io << Ti devo la vita! >>
<< Noi tutti dobbiamo la vita a te. >> intervenne Aragorn seguito da Gimli e Legolas. Avevo la stanza affollata di gente, tutti a visitare me come mi capitava quando prendevo l’influenza da bambina. Mi aveva sempre fatto piacere stare al centro dell’attenzione e anche quella volta non era da meno.
<< Sophia mi dispiace tanto. E’ tutta colpa mia, avrei dovuto fare più attenzione. >> si giustificò Pipino abbassando la testa, sentendosi in colpa per ciò che era successo. Gli sorrisi amichevolmente e gli scompigliai i capelli. Che tenero che era! Non avevo mai pensato niente del genere, mai avevo dato a lui la colpa della mia quasi morte, non doveva affatto scusarsi.
All’improvviso mi venne in mente che Pipino non era l’unico ad aver rischiato la vita la sera della battaglia.
<< Frodo come sta? E Sam? >>  temevo che Gandalf non fosse andati a prenderli! Non ero stata sveglia per assicurarmi che lo avesse fatto, non l’avevo neanche avvertito e se qualcosa fosse andato storto? Se magari concentrati com’erano su di me non fossero andati a prenderli? Mi voltai verso Gandalf guardandolo supplichevole, avevo il terrore nelle vene. Il non aver avuto sotto controllo qualcosa, anche se solo per così poco, mi dava il tormento. Se avessi sbagliato qualcosa?
<< Stanno entrambi bene. Stanno riposando, adesso, reduci da grandi fatiche e pesanti dolori. >> Rispose Gandalf rizzandosi orgoglioso. Sospirai confortata dalla notizia e ora non desideravo altro che andare a vedere anche loro. Chissà com’erano ridotti i due poveretti.
<< Meno male. >>
<< Siete stati tutti e tre miracolati. >> intervenne Legolas guardandomi con i suoi soliti occhi amichevoli, sapevo che per quanto potesse non sembrare tra noi due c’era un grosso legame. Risposi al suo sorriso più che alla sua affermazione, era come se avesse cercato qualcosa da dire solo per poter attirare la mia attenzione e potermi sorridere, in segno di affetto.
<< Quelle ferite avrebbero ucciso un nano! >> intervenne Gimli con la sua voce roca avvicinandosi e dandomi una pesante pacca su una spalla, al che io risposi con un mugolio pieno di dolore. << E un nano sta tentando di uccidermi attraverso le mie ferite. >> dissi istintivamente rigirando le parole della sua frase, il che sembrò divertire molto Gongolo.
<< E’ bello vedervi di nuovo tutti quanti. Ho temuto di non riuscire più a tornare >> confessai abbattendomi un po’. Alzai lo sguardo e guardai uno ad uno tutti i miei compagni. Sapevo ora cosa ci aspettava, la parte più dolorosa: l’addio. Ci sarebbe stata a breve l’incoronazione di Aragorn dopodiché ognuno sarebbe tornato a casa propria, lontano da tutti gli altri. Chissà se avremo mai avuto modo di vederci. Sapevo che Gandalf e Frodo sarebbero partiti verso le terre immortali insieme agli elfi, sapevo che Gimli e Legolas avrebbero ripreso a viaggiare insieme, sapevo che gli altri 3 hobbit sarebbero tornati alla Contea e allora chi avrebbe potuto prevedere un nostro futuro ritrovo?
Saltai addosso a Merry, che in quel momento era quello più vicino a me, e stringendolo mi lanciai praticamente su di lui << Promettete che rimarremo amici per sempre! >> dissi come una bambina delle elementari mentre il povero hobbit si lamentava sotto il mio “leggiadro” peso. Pipino divertito dalla scena decise di volerne prendere parte e si lanciò su di me molto aggraziatamente. Lanciai un urlo di dolore << Le costole!! >> gridai dolorante. Pipino si alzò immediatamente, tanto da non controllare i movimenti, impigliarsi nelle lenzuola e cadere giù dal letto. E mentre sentivo l’imponente voce di Aragorn e di Gandalf alzarsi in una fragorosa risata, mi voltai a guardare Gimli che aiutava il poveretto a rialzarsi da terra. << Scusa! >> dissi mettendomi a sedere sul bordo del letto, a gambe incrociate e grattandomi la nuca in un evidente gesto di imbarazzo.
<< Scusami tu, ho dimenticato per un attimo i tuoi problemi. >> Già, i miei problemi. Mi venne in mente una domanda che volevo porre al maghetto curatore << Che tipo di ferite ho riportato? Qualcosa di grave? >> chiesi guardandolo ma la risposta non giunse dalla sua voce.
<< Due costole incrinate, una perforazione in un fianco che per fortuna non ha toccato punti vitali, una grossa ferita sulla nuca, una caviglia rotta, una slogatura al polso e una al gomito. >> A rispondere era stato Boromir comparso in quel istante alla porta. Avevo già notato la sua assenza ma mi ero sforzata di non pensarci, mi ero detta “probabilmente sta riposando, meglio lasciarlo stare”. E invece ora era lì, con le spalle poggiate allo stipite della porta e uno sguardo compassionevole, un po’ preoccupato, stanco e affaticato, ma perso in una gioia indescrivibile. Il mio cuore si riempì a vederlo. Ora che tutto era finito, ora che tutto era risolto e più niente minacciava la nostra tranquillità potevo guardarlo come sempre avevo desiderato farlo: concentrandomi solo esclusivamente su di lui. Non era più il valoroso guerriero da proteggere e da cui farmi proteggere. Ora era Boromir, l’uomo di cui ero innamorata. E potevo dimostrarlo senza troppi intoppi, non avevo più pensieri per la testa che potessero oscurare anche solo per un momento la sua immagine. Mi sentii improvvisamente leggera, avvertii le farfalline allo stomaco e una gioia sulla pelle tale da rilassare ogni mio nervo, rendendomi tranquilla e in pace col mondo più di quanto avessi mai fatto.
<< Niente che Gandalf e Elrond non potessero curare. Sei stata molto fortunata. E molto molto molto incosciente, saresti potuta morire! >> disse assumendo un tono severo e lanciando fulmini e saette dagli occhi. E come mi era già capitato in passato non vidi niente di brutto in quel gesto, ma solo tanta preoccupazione a dimostrazione del fatto che a me ci teneva. Avvertii come un brivido lungo la schiena mentre la gioia mi esplodeva in petto: era incredibile ma ero lì! Niente più pericoli mortali, niente più pensieri invadenti nella testa, solo io a Minas Tirith con le persone più meravigliose al mondo.
Ignorai le ferite che mi logoravano, saltai giù dal letto rimanendo in piedi per miracolo e mi avvicinai velocemente a Boromir, che mi venne incontro a sua volta anche se penso che lui lo facesse per potermi prendere al volo qualora cadessi giù a sacco di patate. Mi lanciai letteralmente tra le sue braccia, aggrappandomi a lui per evitare di sforzare ancora le gambe (non avrebbero resistito ancora) e lo strinsi forte come mai avevo fatto prima. Affondai il volto nell’incavo del suo collo e lì rimasi. Lì sarei voluta rimanere per sempre. Mi sentivo tremare di emozione, finalmente la felicità tanto ambita stava riposando tra le mie mani e più sarebbe fuggita via. Sentii le braccia di Boromir, che fino a quel momento mi avevano stretta delicatamente probabilmente per paura di farmi male, stringere un po’ di più, come a voler scaricare i nervi tesi su quel disperato abbraccio. A lungo le nostre mani si erano protese l’uno verso l’altro, ma nel buio che si era formato in quel piccolo mondo non erano mai riuscite a trovarsi veramente, più volte si erano sfiorate, ma mai toccate veramente. Ora luce era stata fatta, ora potevamo stringerci e più ci saremo lasciati. Così a lungo ci eravamo cercati anche prima di incontrarci, così a lungo occhi avevano vagato in un immensa anonima vallata, attirati dalle ombre, in cerca di un qualcosa. Chissà cosa.
Ma ora tutto era chiaro. Non più ombre. Non più oscurità. Non più posti sconosciuti agli occhi.  
Finalmente le nostre anime potevano vedersi chiaramente senza più la paura di un ostacolo o di un annebbiamento. Ora eravamo insieme e insieme esprimemmo in un sussurro ciò che per mesi il nostro cuore aveva celato con cura e premura, tesoro inestimabile. 


<< Ti amo. >>

Et Eärello Endorenna utúlien.
Sinome maruvan ar Hildinyar tenn' Ambar-metta.
[Giungo dal Grande Mare nella Terra di mezzo.
Sarà questa la mia dimora, e quella dei miei eredi,
 sino alla fine del mondo.]

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