Danduly Street - Fred e Tonks

di tonksnape
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La separazione e l'addio ***
Capitolo 2: *** Qualche mese dopo... ***
Capitolo 3: *** Una serata al pub per sole donne ***
Capitolo 4: *** Vivere normalmente? ***
Capitolo 5: *** Vivere in una famiglia che non è la tua ***
Capitolo 6: *** Cercando di capire senza parlare ***
Capitolo 7: *** Trovare il coraggio di dirlo ***
Capitolo 8: *** Countdown ***



Capitolo 1
*** La separazione e l'addio ***


1.    La separazione e l’addio

 

Planger Place - notte

Fred Weasley rientrò in casa quando ormai il sole era tramontato. C’era solo la luce dei lampioni che illuminava artificialmente la strada e i giardini dei piccoli cottage che la delimitavano. A quell’ora, quando il freddo cominciava a farsi sentire, c’erano poche persone lungo la via e per la maggior parte erano precedute da un cane al guinzaglio, assetato di un po’ di movimento e qualche cespuglio. C’erano anche sporadici adolescenti che camminavano borbottando o fantasticando o cantando a voce alta, con le spalle coperte da enormi zaini pieni di tutta la vita che era possibile portarsi dietro in una giornata. Ma Fred non era interessato a nulla, non vedeva nulla se non quel vialetto d’ingresso un po’ trascurato poco distante.

Entrò nel piccolo giardino di casa e si trascinò fino alla porta d’ingresso, la aprì e la chiuse stancamente dietro di sé, lieto che le sue due figlie fossero con i nonni, almeno per quella sera. Era rimasto alla Tana, la casa dei suoi genitori, per gran parte del pomeriggio dopo aver passato tutta la notte precedente e la mattina all’Ospedale San Mungo per malattie e ferite magiche. E alla Tana aveva voluto e dovuto giocare con le sue bambine per tutto il tempo possibile, mentre i genitori, i suoceri, i fratelli, i cognati parlavano con lui o di lui. Le sue mani raccoglievano e lanciavano giocattoli e la bocca emetteva piccole grida di gioia in risposta a quelle delle bambine, ma la mente ritornava alla notte precedente quando Angelina se n’era andata.

Si erano sposati così velocemente, consapevoli della precarietà di quello che c’era attorno a loro, della lotta tra Harry Potter, il Prescelto, il ragazzino magro e ostinato che conoscevano da quando era arrivato a scuola con suo fratello Ron, e Tu-Sai-Chi, il male personificato che neppure adesso trovava qualcuno disposto a pronunciarne il nome. La battaglia tra tutto il mondo magico e i Mangiamorte. Si erano sposati non appena il negozio si era avviato con sicurezza. Il negozio di giochi e di scherzi immaginato durante gli anni della scuola e realizzato non appena se n’era offerta la possibilità. Si erano sposati poco dopo George, suo fratello gemello, e Lucinda, solo pochi mesi dopo. Angelina si era dedicata alla casa e poi al suo lavoro. E erano arrivate le loro meravigliose bambine. E avevano progettato il loro futuro non appena avevano sentito il senso di libertà che la vittoria di Harry aveva regalato a tutti.

Quattro anni di matrimonio, brevi e intensi, poi la malattia e l’addio.

Anzi non c’era stato neppure il momento dell’addio. Semplicemente si era accasciata a terra, vicino al negozio “Tiri Vispi”, dopo aver lasciato con lui le bambine per fare un colloquio di lavoro. Solo questo. Non si era resa conto delle grida dei passanti, del suo arrivo trafelato dopo che un conoscente lo aveva avvisato di quello che era accaduto, del trasporto immediato al San Mungo, delle cure intense alle quali era stata sottoposta, di quei sette lunghi giorni che aveva passato silenziosa con gli occhi chiusi, rilassata nel letto d’ospedale.

Non si era resa conto di averlo lasciato solo. Solo con due figlie ancora piccole. Solo in mezzo ai suoi genitori, ai fratelli, agli amici che erano arrivati da lui quello stesso giorno e lo avevano aiutato, ascoltato, sostenuto fino alla fine.

Sua madre aveva pianto a lungo anche per lui, aveva accolto le bambine e, con sua sorella Ginny, si era presa il pesante fardello di rispondere alle loro domande, dopo che lui aveva spiegato loro che la mamma era molto malata e le avrebbe amate in silenzio.

Suo padre, silenzioso e prezioso, lo aveva stretto contro la sua spalla, lo aveva accompagnato ad ogni colloquio con i medici, gli era rimasto vicino.

George, il suo inseparabile fratello, ora più che mai, era la sua anima. Sapeva quando doveva parlare anche per lui, sapeva cosa desiderava fare, sapeva cosa non voleva sentire. Lo proteggeva. Non si erano mai fermati a parlare tra loro, non gli aveva ai confidato il suo dolore, le sue paure. Ma George c’era indipendentemente da tutto questo. Aveva chiamato la famiglia, organizzato la cura delle sue figlie. A Fred sembrava essere sempre presente, anche quando si guardava attorno e non lo vedeva. Ma dopo pochi minuti arrivava di fianco a lui. Immancabilmente. Da solo o insieme alla moglie Lucinda, lasciando la loro piccola Ernestine, che aveva la stessa età di Maggie, la sua figlia maggiore, dai nonni o da uno zio.

Suo fratello minore Ron e il suo famoso amico Harry Potter, pur nel pieno della loro attività di Auror, erano riusciti spesso a fare da baby-sitter con le nipotine. Il suo immacolato e perfetto fratello maggiore Percy aveva smobilitato il Ministero per ottenere i migliori consulti medici per la cognata. I due fratelli più grandi, Bill e Charlie, erano più distanti, ma arrivavano per una visita ogni giorno. Persino Ninphadora Tonks, amica da tempo della famiglia Weasley e così legata ai suoi genitori, aveva passato parecchio tempo con le bambine.

Hermione Granger, l’ultimo pezzo del famoso Trio Harry-Ron-Hemione, era via con il marito per una delle sue partite a livello mondiale (Oliver Baston era ancora un nome forte del Quidditch) e proprio quella sera ci sarebbe stata la partitissima di finale. Anzi, erano stati tutti invitati. Una settimana prima erano tutti pronti ad andarci.

Fred cominciò a ridere sommessamente all’idea che potesse esistere ancora qualcosa di così normale come una partita di Quidditch. Una stupida, insignificante partita di Quidditch. Che non avrebbe mai perso fino ad una settimana prima.

Ridendo e piangendo si lasciò cadere su una delle sedie della piccola cucina di casa. Non aveva toccato quasi nulla da una settimana. Solo i vestiti e i giochi delle bambine, trasportati a casa dei nonni e qualcosa per lui e Angelina, l’indispensabile. Il resto era ancora lasciato in disordine tra la cucina e le camere. Casa… che casa poteva essere senza di lei? Avrebbe dovuto portare le bambine di nuovo lì dentro. No. Non poteva ritornare lì senza di lei. Appoggiò le braccia sul tavolo, si prese la testa tra le mani e continuò a piangere, da solo, al buio. A lungo. Solo.

 

La Tana - notte

Alla Tana Molly Weasley aveva appena finito di sistemare le due nipoti per la notte nella vecchia camera dei gemelli. Scendendo le scale sospirò. Avrebbe voluto evitare tutto questo al suo bambino, al suo Fred. Adulto, padre di famiglia, proprietario di un negozio tra i migliori di Diagon Alley, ma pur sempre il suo bambino. Quando erano nati i gemelli uno dei suoi pensieri più lieti era stato che, qualsiasi cosa fosse accaduta, in quegli anni di paura e di incertezza, loro sarebbero stati insieme. Sempre insieme. Si sarebbero sostenuti.

Ma non aveva mai pensato a questa tragedia. Quando i gemelli si erano sposati a pochi mesi di distanza uno dall’altro pensava che fosse accaduto un miracolo. Che quei due scalmanati potessero arrivare a decidere di fare una cosa così normale come sposarsi giovani le era sembrato davvero un miracolo. E con sue ragazze così “giuste” per loro. Lucinda e Angelina le erano sembrate il giusto equilibrio di buonsenso per la pazzia di quei due inventori. Non credeva che avrebbero affronto un impegno così importante e duraturo come un matrimonio con quella determinazione. Lei la considerava ancora incoscienza, ma suo marito insisteva che erano due ragazzi con la testa sulle spalle. Avevano o no aperto e gestito uno dei negozi più redditizi di Diagon Alley? Avevano o no scelto la loro carriera a 17 anni e quasi dieci anni dopo mantenevano il loro impegno?

Molly raggiunse il marito Arthur sul divano vicino al camino, sedendosi di fianco a lui che stava leggendo il giornale. Senza guardarla lui allungò un braccio a circondarle le spalle e la strinse contro di sé. Poi lasciò scivolare il giornale sul tavolino davanti a loro e le sorrise con tristezza.

“Sono a letto? Dormono?”

“Sì, sono brave bambine. Maggie mi ha chiesto dove fosse il papà. Le ho detto che andava a sistemare un po’ la casa. Abbiamo fatto bene a lasciarlo solo, Arthur?”

“Non possiamo fare altrimenti, tesoro. È da solo ora. Ma non lo abbandoneremo.” Sospirò pesantemente. “Soffre e soffrirà Molly.” Chiuse gli occhi e appoggiò la testa contro quella della moglie.

“Oh, Arthur, perché?” sussurrò lei contro la sua spalla.

“Non lo so.” La abbracciò ancora più stretta contro di sé. “Domani sarà una giornata pesante, Molly. Andiamo a letto.” Con riluttanza si alzò e diede la mano alla moglie. “Hai fatto l’incantesimo alla stanza per sentire le bambine se piangono?” Molly annuì lentamente. Salirono le scale tenendosi per mano, in silenzio.

 

Sede centrale degli Auror – notte.

Ninphadora Tonks, o meglio per tutti coloro, a parte rare eccezioni, che non volevano rischiare la sua ira, solo Tonks, piegò la testa a destra e a sinistra, sentendo la tensione dei muscoli rigidi e stanchi dopo 8 ore di guardia esterna per gli Auror, servizio del Ministero per il quale lavorava da anni. Aveva camminato per tutto il pomeriggio e aveva trascorso le ultime tre ore a controllare verbali e documenti di arresto e di interrogatorio seduta in uno degli uffici, microscopici, puzzolenti e tetri. Domani c’era il funerale di Angelina Weasley. Quanto avrebbe voluto evitarlo. Dopo la morte del suo Remus, i funerali le mettevano angoscia, tanta angoscia, più che tristezza. Ma lo doveva a Molly e Arthur innanzitutto. E anche a Fred.

Aveva trascorso parecchio tempo a casa Weasley nell’ultima settimana. Molly era distrutta dal dolore per Angelina e per suo figlio. Tonks aveva notato, già dai primi giorni, che Molly preferiva parlare con lei del suo dolore, più di quanto non facesse con la figlia minore Ginny, che pure le rimaneva accanto tutto il tempo che le era possibile. Quando stava per chiederle come mai era stata Molly a risponderle, inconsapevolmente.

“Sai tesoro,” le aveva detto guardando i punti di un lavoro a maglia che aveva iniziato per uno dei nipoti, la voce roca e triste, “a volte devo ripetermi che i miei ragazzi sono grandi… anche la stessa Ginny. È così brava con i nostri nipoti, sa cosa dire, sa essere dolce e determinata. Eppure non riesco a parlarle come faccio con te, come un adulto. È sempre la mia piccola Ginny.” Sospirò. “E Fred… vorrei che non dovesse passare tutto questo…”

“Nessuno se lo merita, Molly. Un dolore così grande. Nessuno.” Le aveva riposto sottovoce, sistemando la tovaglia sulla tavola per la cena.

Molly aveva sospirato di nuovo. Poi si era fermata, pensierosa. E l’aveva guardata, con colpevole dolcezza.

“Tu meno di tutti, Dora. Remus ti manca ancora tanto, vero?”

Lei non aveva risposto. Con le persone che le erano care parlare di Remus Lupin, di un uomo, il suo uomo, morto pochi anni prima, che aveva amato fino a stare male, era ancora una sofferenza che la portava alle lacrime, a volte. Aveva continuato a sistemare, inutilmente, la tovaglia.

“Ninphadora, ma ne parli con qualcuno, tesoro?”

“No, non molto.”

“Quando vuoi io e Arthur siamo qui.”

Lei aveva sollevato lo sguardo, luccicante di lacrime che non scendevano, e le aveva sorriso.

“Non lo dimentico mai.”

“Dora… cosa possiamo fare per Fred quando… quando tutto questo sarà finito?” La diagnosi era chiara e definitiva ormai. Fred aveva ascoltato il responso dei medici insieme al padre e a George, neppure un giorno prima. Da allora era insieme ad Angelina tutto il tempo che gli era concesso, anche solo per dormire nel letto accanto al suo qualche ora. Oppure era alla Tana con le bambine. A giocare, in attesa di dover parlare loro, per le prima volta, della morte. Almeno con Maggie . Reggie era troppo piccola.

“Io non so esattamente cosa potete fare Molly. Io non sopportavo di avere troppa gente attorno, non volevo parlare di lui. Non volevo dividere i miei ricordi con nessuno. Ma nessuno di noi due aveva una famiglia alle spalle. E non ho un fratello gemello.” Si mise seduta su una sedia, pensierosa. “Forse solo stargli accanto e aiutarlo praticamente, quello che fate adesso, Molly.”

Erano rimaste in silenzio a lungo, muovendosi solo al pianto di Reggie che si era svegliata al piano di sopra.

Tonks si riscosse dai ricordi di qualche giorno prima. Era tutto finito adesso. Apparentemente. Per Fred era il momento peggiore. Sarebbero stati mesi e anni difficili.

Si alzò dalla sedia nella quale era crollata nello spogliatoio e si preparò per una lunga doccia calda e solitaria. Aveva volutamente allungato il tempo di lavoro per evitare di incontrare chi finiva il turno con lei. Adesso aveva tutto le spazio per sé.

Quando ritornò nello spogliatoio, quasi mezz’ora più tardi, pronta a mettersi i suoi vestiti, sentì delle voci nello spogliatoio maschile accanto al suo. Erano divisi solo da una piccola parete che non raggiungeva neppure il soffitto. Nessuno aveva mai considerato di dover affrontare problemi di poco rispetto reciproco e raramente qualcuno invadeva lo spazio che non suo. Riconobbe le voci di Ron Weasley e di Harry Potter che stavano preparandosi per andare a casa. Avevano finito il loro turno di ronda a quanto pare. Oppure avevano chiesto di poter terminare in anticipo.

“Ron, non vuoi fare la doccia adesso?” Hary stava quasi sussurrando.

“No, non voglio niente.” Tonks ascoltò la voce sfinita di Ron e poi il silenzio. “Harry arrivo tra un po’, vai pure a casa.”

“No, non ti lascio così. Andiamo insieme, ti farai la doccia quando arriviamo a casa.” E la voce stanca e preoccupata di Harry.

Silenzio.

“Ron…” La voce di Harry era un insieme di tristezza, ansia e affetto. “Ron…”

Tonks sentì il suono delle lacrime di Ron. Non c’era rumore, ma sapeva che stavano scendendo. Immaginò Harry seduto di fianco a lui. Intimidita dalla loro amicizia lasciò lo spogliatoio per tornarsene a casa.

 

Ebony Route – tarda mattina

Fred era fermo in piedi davanti alla tomba appena ricoperta di terra di Angelina. Rigido, a braccia conserte, fissava un punto della terra dove un piccolo sasso bianco spuntava dalla terra rossiccia, appena sistemata. Dietro a lui, c’era George con una mano appoggiata alla sua spalla. Entrambi indossavano abiti eleganti, da cerimonia, le cravatte ben strette e allineate. Rigidi e composti. Impietriti.

Fred non riusciva a pensare. Aveva cominciato a immaginare cosa fare della casa, come organizzare le sue giornate, a chi chiedere aiuto per le figlie, ma ogni pensiero si interrompeva su quel sasso bianco. Aveva provato a chiudere gli occhi, ma non riusciva a togliersi quell’immagine. Ogni tanto si ricordava che stava respirando e lo faceva in modo controllato e profondo, poi dimenticava anche quello. Sapeva che le bambine erano al sicuro con i fratelli o gli amici. Le aveva volute al funerale, soprattutto Maggie che poteva cominciare a capire cosa stava accadendo. Nessuna delle due aveva pianto. Erano rimaste in braccio o per mano a lui. E lui si era rifiutato di piangere. Davanti a loro, mai. Se l’era ripromesso. Non avrebbe nascosto la tristezza, ma le lacrime, sì. Alla fine le aveva lasciate tra le braccia di Ron e Hermione. Sua madre piangeva tra le braccia di suo padre. Ron si era preso Maggie e aveva cominciato a parlarle delle piante e dei fiori che c’erano nel cimitero, mostrandole i colori e le forme. Era riuscito a farla sorridere dopo pochi minuti. La piccola invece si era addormentata tra le braccia di Hermione, che passeggiava vicino al marito, sussurrandosi a vicenda qualcosa che aveva spinto Oliver ad abbracciarla.

E lui era rimasto fermo lì, con George. Gli occhi di entrambi fissi sulla tomba.

“Quando vuoi traslocare?” gli chiese il fratello.

“Eh?” si riscosse dal torpore dei suoi pensieri. Prese un profondo respiro. “Appena trovo qualcosa che mi piace…, ma devo ancora parlarne con le bambine…”

“C’è una casa a McPhermont Street,” disse piano il fratello, con lo sguardo verso gli alberi di fronte a lui, “a due piani… credo ci siano almeno 3 o quattro stanze da letto al piano superiore e ha un bel giardino.”

“Già…” Fred girò la testa verso George, con un lampo di interesse. “Sai il prezzo?”

“Non è impossibile secondo me, dato il posto e la grandezza.”

“Non ti ho mai detto che volevo traslocare, comunque…” disse, pensieroso, Fred.

“Lo so,” confermò tranquillo il fratello. “Ma è quello che farei io,” gli ricordò George. “Fino a lunedì è tutto organizzato in negozio. Poi… ci sarebbero tutte le scartoffie… quelle che io odio…”

Fred accennò leggermente ad un sorriso. Amava suo fratello. Lo amava come una parte di sé. Anche adesso che parlava di lavoro e di soldi lì in cimitero e solo per scuoterlo un po’. Avevano pianto insieme troppe volte nell’ultima settimana. E adesso tentava di dargli, una volta tanto solo metaforicamente, un calcio nel sedere e farlo reagire. In silenzio prese la mano di George sulla sua spalla e la strinse. Poi cominciò a camminare verso l’uscita. Sarebbe ritornato presto e spesso da Angelina. Adesso c’erano le figlie. E un qualche futuro da imbastire.

 

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Capitolo 2
*** Qualche mese dopo... ***


2.    Qualche mese dopo…

 

McPhermont Street – tarda mattina

“Papà, i pantaloni sono sporchi… io non li voglio!” Maggie, dall’alto dei suoi tre anni si tirò via alla meglio i pantaloni e li lanciò, irritata, sul letto.

Fred, in piedi in bagno, prese un gran respiro, prima di reagire. Chiuse gli occhi, li riaprì, si prese in braccio, avvolgendola nell’asciugamano, Reggie alla quale aveva appena finito il bagno, e andò nella stanza della figlia maggiore, che trovò ferma di fianco al letto con le braccia incrociate.

Appena il padre varcò la soglia, Maggie lo affrontò a muso duro.

“Io voglio andare a casa!”

“Sei a casa, Maggie.” Tono calmo e deciso. Come da manuale. Controllato.

“No.” Il labbro inferiore stava pericolosamente tremando.

“Maggie, ne abbiamo parlato anche ieri. Questa è la nostra nuova casa. È diversa da prima, dobbiamo conoscerla bene. Ma questa è la nostra casa. Adesso dobbiamo andare dai nonni per mangiare,è domenica, quindi rimetti i pantaloni che hai indossato questa mattina e andiamo non appena ho vestito Reggie.”

“No!” Gli occhi si stavano arrossando.

“Maggie, vestiti e andiamo dai nonni. Lì ne parliamo insieme.”

“Voglio la mamma…” cominciò a singhiozzare Maggie.

Fred chiuse per un secondo gli occhi e strinse la bocca. Poi si mise Reggie appoggiata su un fianco, che osservava curiosa la sorella con le lacrime agli occhi, si avvicinò alla figlia maggiore per abbracciarla, ma venne fermato.

“Non voglio te, voglio la mamma!” lo respinse Maggie.

“La mamma non può più venire, Maggie,” le sussurrò Fred.

“Non è vero…”

“Maggie …”

Qualcuno bussò alla porta di casa al piano inferiore. Fred si sentì sull’orlo delle lacrime.

Si girò verso la porta della camera e urlò verso il basso.

“Chi è?” con tono chiaramente al limite della sopportazione.

Dopo un attimo di silenzio arrivò la risposta.

“Tonks… ripasso più…”

“Sali!” le urlò di nuovo Fred come fosse ai suoi ordini.

In pochi secondi Tonks arrivò alla porta della camera e si trovò di fronte Fred che le tendeva Reggie sul punto di piangere, mentre alle sue spalle Maggie piangeva a dirotto. Aveva lo sguardo un po’ allarmato per il tono con il quale l’aveva accolta il ragazzo.

Non era la prima volta che passava a trovare Fred. Lo aveva anche aiutato nella preparazione del trasloco poche settimane prima, lo aiutava con le bambine quando lo chiedeva.

Molly e Arthur Weasley erano per lei quanto di più vicino poteva avere dell’idea di famiglia dopo che i suoi genitori erano morti e metà della famiglia era imprigionata ad Azkaban o uccisa dai suoi colleghi perché passata dalla parte dei Mangiamorte durante la guerra. Dalla morte di Remus Lupin era sola e la famiglia Weasley era il suo appoggio per sentirsi ancora viva. A parte qualche relazione occasionale e momentanea. Andare regolarmente da Fred lo aveva preso come un impegno verso Molly, che vedeva il figlio a volte troppo orgoglioso per chiedere aiuto.

Quella mattina, sapendo che era previsto un pranzo alla Tana, era passata per salutare. E si ritrovava nel mezzo di una crisi familiare.

“Vestila per favore, io devo parlare con Maggie.”

“Io non ti voglio!” gridò l’interessata.

Fred chiuse gli occhi, mentre Tonks prendeva in braccio Reggie e si spostava nella camera della bambina più piccola parlando per tranquillizzarla. Sempre con il sorriso continuò a descriverle tutto quello che stava facendo, dalla ricerca del pannolino a quella del vestito e delle scarpine, giocando a trasformarsi il colore dei capelli e facendole il solletico così che Reggie ritrovò in breve il sorriso. A giudicare dalle grida della camera a fianco invece Fred era in seria difficoltà.

Alla fine Fred arrivò nella camera di Maggie, stravolto.

“Non ce la faccio Tonks, ho bisogno di un cambio.”

Tonks lo guardò triste. Lo preoccupava davvero quel ragazzo in quel periodo. Anche Molly le raccontava di quanto teso e preoccupato fosse per la figlia maggiore che dimostrava tutto il suo dolore per la mancanza della mamma arrabbiandosi con il padre. E inoltre si era intestardito di fare a modo suo, senza l’aiuto di nessuno.

“Provo a parlarle io…” gli propose, anche se aveva scarsa fiducia nelle sue abilità di dialogo con i bambini di tre anni.

Bussarono di nuovo alla porta.

“No!” esplose Fred, coprendosi il volto con le mani, esausto.

“Chi è?” urlò Maggie dalla camera accanto.

Fred alzò lo sguardo meravigliato.

“Lo zio Ron…” sentì rispondere.

“Zio!” esclamò la bimba e cominciò a correre giù dalle scale verso la porta.

Fred guardò sconsolato Tonks.

“Non so cosa fare…”

“Valle dietro…” disse, un po’ a caso, Tonks.

Fred sospirò e scese le scale. Tonks lo seguì con Reggie in braccio che tentava di infilarle una mano in bocca.

Ron, appena entrato, prese in braccio la nipote per salutarla.

“Ehi, abbiamo pianto qui…” le disse serio e preoccupato.

“Voglio la mamma…” gli rispose lei imbronciandosi.

“Tutti vogliamo cose che non possiamo avere,” disse Ron sbrigativo.

Maggie lo fissò perplessa e poi guardò il padre. Lo zio le sembrava poco simpatico in quel momento. Molto meno del solito. E non stava giocando con lei. Si girò verso il padre e stese le mani per farsi prendere in braccio. Sarebbe stata più al sicuro con lui. Fred la prese velocemente con sé, lieto della tregua e della possibilità di abbracciarla tranquillamente e guardò perplesso il fratello.

“Cosa è successo?” chiese Tonks, più veloce di lui.

“Ho lasciato Grimmauld Place. Per non tornarci. Harry mi ha schifato, decisamente,” affermò Ron sprezzante e irritato.

Fred e Tonks si guardarono meravigliati.

“Gran bella giornata, questa…” commentò Fred ironico.

“Papà,” disse Maggie mettendogli le braccia al collo e stringendosi a lui. “Ma la mamma non torna, vero?” gli chiese sottovoce, del tutto disinteressata alla rabbia dello zio.

Fred la strinse a sé, con forza. Lanciò uno sguardo di scusa al fratello che scosse la testa, comprensivo. Gli fece segno che ne avrebbero parlato dopo. Si allontanò dalla porta con Maggie in braccio.

“No, amore, non può. Vorrei anch’io, ma non può,” rispose alla figlia.

“Neppure tu puoi farla tornare?” gli chiese speranzosa.

“No, tesoro, neppure io,” le confermò triste il padre.

“Davvero?”

“Davvero, Maggie. Nessuno può farla tornare.” La guardò negli occhi con dolcezza.

Maggie rimase in silenzio. Fred le accarezzò i capelli.

Tonks intanto aveva messo la mano libera attorno alle spalle di Ron e lo stava accompagnando verso il divano, parlandogli a bassa voce. Reggie, incuriosita dai capelli quasi rasati dello zio tentava di afferrare quelle punte rosse che aveva in testa, senza successo.

“Papà…” cominciò seria Maggie.

“Dimmi…”

“Tu non te ne vai vero?” chiese quasi piangendo.

“No, no! Hai paura di questo?” le chiese sorpreso e ansioso. Ma perché non riusciva a seguire il filo dei pensieri di sua figlia? Aveva solo tre anni e già lo metteva in crisi.

Maggie annuì in silenzio, un po’ meno preoccupata.

Cercando le parole più semplici che trovava Fred le parlò nuovamente della mamma e di quanto amasse le sue figlie e di quanto avrebbe voluto rimanere con loro. Le ricordò che anche lui le amava tanto e non le avrebbe lasciate. Le parlò dei nonni e di tutti gli zii e le zie cercando di farle capire quante persone le volevano bene e si sarebbero presi cura di lei e della sorella. Maggie lo ascoltò appoggiata alla sua spalla. La parola “strazio” per Fred diventava ogni giorno più significativa. Poi però, dopo un po’ di silenzio, Maggie rialzò la testa sorridendo al padre.

“Non è vero che non ti voglio… ma ero come…” strinse gli occhi alla ricerca delle parole giuste. “Come lo zio prima!” concluse soddisfatta.

Fred le sorrise sentendosi un peso in meno sul cuore. Fino alla prossima battaglia.

“Ma cosa vuol dire schifato?” gli chiese curiosa.

Fred guardò Ron che strinse le spalle in segno di scusa.

 

La Tana – alcune ore dopo

Ron sedeva imbronciato sul divano a guardare Maggie e Ernestine che cercavano di prendere una bolla verde costruita con le alghe da Neville Paciock che volteggiava in aria, ma senza riuscirci, mentre l’inventore, seduto di fronte a lui, abbracciava e baciava sua sorella Ginny, trattenendosi notevolmente da ulteriori effusioni, data la presenza di Molly e Arthur poco distante.

Sembrava che fossero passati molto più di tre mesi dal loro matrimonio. Era stata una giornata piacevole e divertente, la prima dalla morte di Angelina. Tutto era stato programmato da tempo e Fred aveva rifiutato categoricamente di far posticipare l’evento. Lui e Ginny ne avevano parlato seduti davanti alla porta della nuova casa dei futuri sposi dopo aver controllato il lavoro degli idraulici e dei muratori che era stato concluso in giornata. Ginny gli aveva appoggiato la testa su una spalla e lo aveva tenuto stretto per un braccio. Lentamente aveva affrontato la data del suo matrimonio e la possibilità di spostarla, dato il lutto recente del fratello. Fred le aveva circondato le spalle con un braccio e le aveva dato un bacio in fronte. Voleva gente allegra attorno, aveva detto alla sorella, voleva vedere sorrisi e sentirsi circondato dalla famiglia. Lui e le figlie. Poi avevano continuato a guardare le stelle, parlando ogni tanto.

Adesso Ron invidiava la sorella. Notevolmente. Aveva lasciato Grimmauld Place da qualche giorno e ancora temeva di vedersi comparire davanti la faccia arrabbiata e tesa di Harry. Per parecchi mesi aveva sopportato il suo silenzio, la sua rabbia mascherata da indifferenza, il disinteresse che dimostrava verso di lui e verso il resto del mondo. Poi, una sera, se n’era tornato a casa dicendogli che lasciava gli Auror. Semplicemente.

Ron chiuse gli occhi ripensando agli anni dopo l’uscita da Hogwarts. Diventare Auror era il loro sogno comune. Avevano lavorato insieme per arrivarci. Avevano condiviso ogni momento negli ultimi sei anni… ogni momento di vita era stato insieme. Parlavano di ogni cosa, seria o meno, si confortavano a vicenda, si sostenevano a vicenda. Parlano, insomma. E quanto gli era stato vicino solo qualche mese prima quando Angelina era morta. Negli ultimi tempi il lavoro era sempre meno interessante e coinvolgente, lo riconosceva anche lui, ma lasciare la squadra senza farne parola con il suo migliore amico né prima né dopo… si era sentito tradito, abbandonato, aveva perso in poche ore tutta la sua fiducia in Harry. Pensava che la loro amicizia sarebbe arrivata prima di ogni altra cosa, prima dell’amore, prima del lavoro, prima dei problemi. Ma a quanto pare per Harry non era così. Aveva scelto da solo.

E dopo averlo tradito non si era neppure degnato di spiegargli i motivi della sua scelta, non aveva parlato con lui per giorni, gli semplicemente comunicato che aveva accettato l’incarico di Ministro della Guerra che gli era stato offerto. Ron avrebbe voluto urlargli che la guerra era finita sei anni prima e oltre, che non c’erano attacchi dei Mangiamorte da almeno quattro anni, che tutti i seguaci di Voldemort erano in prigione… che accidenti di lavoro era occuparsi della guerra in tempo di pace?

Ogni tentativo di parlare con Harry, però, cadeva nel vuoto. Non rispondeva, cambiava argomento, faceva finta di non sentire. Ron aveva avuto la tentazione di rompergli la faccia a pugni parecchie volte, ma non aveva ceduto alla rabbia, tranne quando, una sera, stanco e arrabbiato per una giornata di lavoro del tutto insignificante e inconcludente, era rientrato nella loro casa e si era ritrovato solo, con il cibo freddo nei piatti, il disordine della casa, poco curata da Harry e aveva pianto di rabbia e di delusione. Gli stava crollando tutto addosso. Ma non avrebbe aspettato di morire così. Aveva fatto velocemente le valige con poche cose e aveva lasciato un pezzo di pergamena ad Harry informandolo che se ne andava, che cercava un’altra casa. Quello che era stato il suo migliore amico stava partecipando a qualche festa, oppure era già a letto. Ma a Ron non interessava più. Voleva solo poter ricominciare a vivere senza il dolore della vicinanza di Harry che sembrava non vederlo più.

E adesso era lì. A casa dei suoi. Che cercava di pensare a come far quadrare i conti, come prendere casa e lasciare gli alloggi nel quartiere generale degli Auror, dove si era rifugiato, sicuro che Hary non vi avrebbe messo piede, per potersi ricostruire uno spazio suo, solo suo. Harry non si faceva sentire e vedere da giorni, forse settimane. A dire il vero non si erano mai più visti. E Ron non lo aveva cercato. Era arrabbiato in quel momento. Furente, per essere precisi. E guardare Ginny e Neville felici e sereni lo faceva imbestialire ancora di più. A lui quello non era stato concesso più dopo la fine della storia con Hermione. E anche se fosse proseguita si sarebbero dissanguati emotivamente a vicenda. Non si era pentito, ma a volte gli mancava la sicurezza di avere una persona al suo fianco. Adesso non aveva neppure Harry.

Sul tavolo di cucina Fred e George stavano discutendo dell’organizzazione del negozio, definendo la distribuzione delle varie attività. Fred aveva ripreso a lavorare dopo poco più di una settimana dal funerale di Angelina, dopo essersi occupato dell’organizzazione della vita sua e delle figlie. Ma era stato un lavoro un po’ disordinato. Non amava più starsene con i clienti, presentare pazientemente i prodotti o attirare la curiosità dei ragazzini provandoli con loro. Preferiva il lavoro d’ufficio, le carte da controllare, ricevere e smistare gli ordini che arrivavano.

“Allora,” puntualizzò George, dopo un sorriso veloce alla moglie che discuteva di dolci con Molly, “per quanto riguarda la vendita e la produzione siamo quasi a posto.”

“Potremmo chiedere a Lettie di lavorare in negozio,” propose Fred.

“Era brava con i clienti,” proseguì George.

“Togliendole l’amministrazione che prenderei io,” disse Fred.

“Potrebbe stare con me tutto il giorno, ma l’invenzione…” aggiunse George.

“Quella no, voglio farla,” chiarì Fred.

“Ci prendiamo del tempo per noi, per sperimentare.” Gorge si rilassò sulla sedia.

“Potremmo usare la parte del negozio di Jackson che è rimasto vuoto.”

“Lo sistemiamo come laboratorio.”

“Ci entriamo solo noi, lo proteggiamo dagli intrusi.”

“Facciamo in modo che da fuori non si veda né senta nulla.”

Si guardarono soddisfatti. Avevano fatto un buon lavoro.

“Così posso uscire dal negozio per andare dalle bambine se serve,” disse Fred rilassandosi contro la sedia. “Anche per quando dovrò cominciare a portare Maggie all’asilo.”

“Maggie può continuare a venire con noi e Ernestine al mattino. Il pomeriggio se vuoi Lucinda può tenere anche lei e Reggie.”

“Lo so. Ma vorrei che stesse a casa nostra. Voglio che si affezioni alla casa nuova. Voglio che impari ad amarla come uno spazio suo. Costa una baby sitter per il pomeriggio… tanto.”

Fred ogni tanto si chiedeva se stare troppo a lungo con le bambine lo aveva contagiato: i pensieri si rincorrevano nella sua testa senza sosta, a volte senza concludersi, oppure si contraddicevano l’un con l’altro. Era estenuante prendere una decisione in quel periodo.

“Fred, ma avete visto Tonks oggi?” gli chiese la madre, sovrastando le voci nella stanza.

“È passata questa mattina, prima che arrivassimo. Le ho chiesto di venire qui, ma era passato solo a controllare che non ci fossero troppi problemi per me. Non so dove sia andata…” Fred sapeva di non averle praticamente parlato quella mattina se non per chiederle aiuto, senza dimostrare interesse per lei, ma proprio non aveva spazio per pensare agli altri in quel periodo, nonostante Tonks fosse da sempre una persona estremamente simpatica e divertente. Vide la madre sorridere, soddisfatta. Lucinda, più pronta di lui, sorrise di riflesso e chiese: “Cosa sai Molly che noi non sappiamo?” Per tutti Tonks era parte della famiglia, anche prima della morte di Remus. E quindi era parte dell’interesse e della curiosità di tutti.

“Ha conosciuto un ragazzo…” lanciò il sasso Molly.

“Molly!” intervenne secco il marito per fermarla.

“Andiamo, Arthur è una buona notizia per lei,” rispose piccata “ed era ora che trovasse un po’ di pace, la mia ragazza.”

“Beh,” intervenne Ginny, lasciando stare per un attimo la faccia del marito che stava baciando, per sviare un po’ il discorso e salvare l’amica, “almeno adesso posso dividere lo spazio con qualche altra donna Weasley, senza essere il centro dell’attenzione di tutta la famiglia. Dovrò ringraziare Ninpha…”

“Tesoro,” disse, giocando con lei, la madre, “non provarci. Ci sono novità?” chiese con aria ingenua e ironica.

“Mamma! Siamo sposati da tre mesi!” la sgridò la figlia, pentita dello slancio fraterno verso Tonks. Neville non la aiutava ridacchiando divertito dell’imbarazzo della moglie. Il resto dei fratelli cominciò a ridere apertamente. “Chiedi a Ron di darsi da fare, invece. Lui viene prima e Percy anche!”

“Non mi mettere in mezzo!” Ron la guardò preoccupato. “Parla con Percy, mamma,” propose direttamente a Molly che rideva della sua reazione imbarazzata.

 

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Capitolo 3
*** Una serata al pub per sole donne ***


3.   Una serata al pub per sole donne

 

Elephant Route – la stessa sera

“Ciao!” disse sorridente Ginny alla faccia di Tonks che spuntava dal camino di casa sua. “Sei rientrata ora?”

“Ah, ah. Ho visto il messaggio che hai mandato,” le sorrise. “Certo che vengo a pranzo con te! Quando?”

“Pensavo di chiamare anche Hermione… ok?”

“Sì!” Tonks appariva molto felice della proposta, molto rilassata. “Non sarebbe meglio a cena? Avremmo più tempo. Con Neville a Hogwarts per le lezioni e Oliver ad allenarsi anche voi non avete orario di rientro…”

“Anche tu?” chiese ironica Ginny, lanciandole un’occhiata.

La faccia di Tonks passò dall’ilarità, alla delusione, alla felicità. “Molly ha parlato?”

“Ha solo accennato in modo molto vago… mi è rimasta la curiosità e l’ho passata a Hermione.” Ginny la guardava ridendo. Poche parole permettevano alle due di capirsi bene, dopo lunghi anni di amicizia.

Tonks sorrise. “Non ho problemi, a questo punto della faccenda. Faccio ancora quello che voglio senza rendere conto a nessuno. Quando?”

“Giovedì, direi, se i tuoi turni di lavoro lo consentono…”

“Me li sistemo. Avvisa Hermione. Sarò a vostra disposizione… Ciao” E sparì.

Ginny inviò immediatamente la conferma all’amica. Una serata tra donne ci voleva in quel periodo… Chissà se Lucinda poteva unirsi.

 

Monillouby Place - sera

Tre giorni dopo si ritrovarono a cena vicino a casa di Lucinda e George. C’era un pub, molto carino, dove spesso andavano a pranzo o cena quasi tutti i componenti della famiglia Weasley. Per quella serata le quattro donne avevano preso un tavolo un po’ riservato, lontano dall’entrata che permetteva loro di chiacchierare liberamente, anche a voce alta. Il proprietario le conosceva e aveva detto chiaramente che quando fossero state pronte per ordinare potevano fargli un cenno e sarebbe arrivato qualcuno. Fino ad allora nessuno le avrebbe disturbate. Mentre l’uomo tornava dietro il bancone, Ginny, Hermione, Lucinda e Tonks presero posto.

Ginny, neosposa con ancora scatoloni da sistemare e un lavoro da inventare, tranne qualche ora di sostituzione al’Ospedale San Mungo come aiuto guaritrice, dove indossava sempre un camice, ne aveva approfittato per tirare fuori quei vestiti che non vedeva da dopo il matrimonio. Per la precisione da quando Neville passava la maggior parte del suo tempo ad Hogwarts dove lavorava come insegnante di Erbologia, anche se la cattedra non era ancora solo sua. Questo voleva dire passare da sola le serate da lunedì a giovedì e quindi ogni occasione per sfoggiare abiti attillati e scollati era benvenuta. Aveva trovato una vecchia gonna lunga fino alla caviglia, aderente che aveva comprato ancora quando stava con Harry e che le stava decisamente bene e sopra aveva messo una “cosa”, come la chiamava Neville, intimidito dalle sue scelte, che doveva essere una camicetta, ma che era composta da un unico pezzo di stoffa che girava attorno alla vita e si allacciava davanti con un gran fiocco, alla quale erano state aggiunte le maniche. Dato che non aveva più 20 anni (se lo ripeteva per convincersi che era cresciuta anche lei), sotto c’era un top dello stesso colore che le copriva il pancino, sempre parole del marito, che di solito glielo accarezzava pronto a procedere oltre ad un suo cenno.

Lucinda, uscita con gioia dalla prima maternità, non aveva recuperato del tutto il peso che aveva in precedenza, ma questo non interessava né lei né George. Adesso che potevano lasciare la bimba alla baby-sitter senza preoccuparsi di poppate e pianti disperati, avevano occasioni per uscire di casa, in coppia oppure con Fred. Quindi il guardaroba si era aggiornato e conteneva anche quei nuovi jeans luccicanti e fintamente tagliati e quella camicetta ricamata e scollata che lasciava vedere una generosa scollatura, che George definiva “sempre molto interessante”. Nell’ultimo periodo il lavoro di casalinga si era allargato e comprendeva, oltre a casa sua, anche la nuova casa di Fred, almeno fino a quando non avrebbe trovato un aiuto per sé e le figlie. In realtà Fred le lasciava ben poco da fare dentro casa. Preferiva sapere che stava con le figlie a giocare piuttosto che saperla impegnata a pulire o rifarei letti. Il legame fortissimo tra suo marito e suo cognato l’aveva coinvolta e non riusciva più ad immaginarsi senza la presenza molto discreta di Fred nella loro vita. Ora più che mai.

Hermione viveva ancora con difficoltà la propria femminilità. Si sentiva bene con quei completi giacca e pantalone che indossava quasi ogni giorno nel suo lavoro di giornalista e che per la serata era diventato un completo giacca e gonna. Aderenti ma molto coprenti. Oliver ci provava ogni volta a convincerla a comprare qualcosa di trasparente o di quasi inesistente, ma non c’era mai riuscito. Aveva avuto più successo Ron, durante la loro intensa relazione durata qualche anno, con il quale usciva anche indossando camicette trasparenti o addirittura minigonne (e mai insieme). Ma dopo la loro rottura, voluta da entrambi, aveva preferito un guardaroba più contenuto nel quale si sentiva più sicura. Quando faceva acquisti con Ginny provava anche qualche capo un po’ più scollato, ma alla fine ci rinunciava. Forse anche perché Oliver non era mai stato molto disponibile ai complimenti e alle battute. Con Ron almeno aveva avuto più soddisfazione. Era giunta alla conclusione che ad Oliver piaceva il suo corpo e adorava il suo cervello, mentre Ron aveva adorato il suo corpo e fraternamente apprezzato il suo cervello. Per praticità era inutile sprecare tempo e soldi per qualcosa che non serviva.

Tonks era radiosa. Palestra, allentamenti, turni di sorveglianza la costringevano ad un fisico asciutto e scattante che poco aveva a che fare con femminilità e sex-appeal, ma le permetteva “cosine” attillate (per riprendere le parole di Neville) e pratiche. Per l’occasione pantaloni lunghi che delineavano le cosce e si aprivano sulle gambe e camicetta piena di pizzi sulla scollatura e sulle maniche. Gli occhi erano nuovamente luminosi. Fred non lo aveva notato durante il loro ultimo incontro e gli altri maschi Weasley non dimostravano molta curiosità, tranne forse Ron e Percy che guardavano sempre con attenzione le donne. Invece Molly l’aveva sottolineato immediatamente quando era passata da lei una settimana prima. Aveva visto il volto disteso e sorridente. Dalla morte di Remus era sempre più difficile poterla vedere così radiosa. Quella strana relazione che stava mettendo in piedi con un suo collega di una ditta di sorveglianza privata le stava a pennello. Senza alcuno scopo se non stare insieme per qualche ora, senza discussioni di sentimenti e di emozioni. Senza pensare di dover sostituire Remus. Non era sostituibile. Era il suo unico immenso amore. Morto durante il periodo di guerra con Voldemort, morto perché era un incosciente, morto perché… forse perché era più importante quella guerra dell’amore per lei. Questo pensiero aveva cominciato a serpeggiarle dentro da pochi mesi e ancora non aveva avuto il coraggio di parlarne con Molly o con Arthur. Se lo teneva chiuso in un piccolo spazio del suo cervello e controllava che non uscisse troppo spesso a disturbare il resto della sua vita.

Ma adesso erano lì per parlare di uomini. Non necessariamente di quelli che avevano spostato.

“Allora, Tonks,” iniziò Hermione con piglio direttivo, appoggiano i gomiti sul tavolo e la faccia tra le mani, “cominciamo dalle cose fondamentali. Nome, età, fisico, stipendio, letto, idee per il futuro.”

Lucinda e Ginny sorrisero, si misero comode sulla sedia e guardarono l’amica, in attesa.

Tonks alzò un sopracciglio con finta sorpresa, poi accavallò le gambe e decise di stare al gioco… era divertente la cosa.

“Elias, 34, fisico da palestra, come Ron, stipendio normale, letto in ferro battuto, idee scarse sul futuro. Nessuna idea tranne cosa fare domani.”

“Ti prego, non farmi pensare a te che vai a letto con qualcuno di simile ai miei fratelli!” buttò fuori Ginny con una smorfia.

Hermione e Lucinda spalancarono gli occhi guardandola sorprese e Tonks le indicò con le mani, con identica espressione.

“È diverso. Loro li hanno voluti e sposati o quasi, tu trovi altro paragonandolo a Ron! Almeno pensa a … Harry, piuttosto, non mi metti in difficoltà.” Ginny aveva il tono incredulo. “Ma Ron… per me è come fare il confronto con Neville. Non cambierei mai! Voglio dire… è Ron!” spiegò con il tono di chi dice una cosa ovvia.

Hermione si sentiva pronta a difendere l’amico, ma per lealtà verso il marito rimase zitta. Lucinda, che vedeva Ron come molto simile al marito, sia fisicamente sia come carattere, non era molto d’accordo, ma preferì rimanerne fuori.

Tonks invece andò dritta al punto. Aveva comunque 8 anni più dell’amica e maggiore esperienza.

“D’accordo che per te Ron è come il fratellino piccolo, ma guarda le cose in modo oggettivo. Fisicamente è o non è attraente tuo fratello?”

Ginny rimase in silenzio, un po’ sconcertata dall’osservazione. Effettivamente anni di allenamento e di lavoro come Auror avevano riempito il suo fisico lungo e mingherlino. La faccia, il naso lungo, le lentiggini, la tendenza ad arrossire c’erano ancora tutte, ma il fisico era davvero ben fatto.

“Beh… in effetti,” ammise quasi del tutto convinta. “È un bel guardare, il fratellino.”

“Hai sei fratelli niente male, Ginny. Lasciatelo dire,” disse convinta Tonks. “Chi li prende è fortunata. Io li vedo dall’esterno e ti posso assicurare che tutti insieme sono un gran bello spettacolo. Anche Bill nonostante gli effetti del passaggio di Greyback. E la loro bellezza non si ferma all’esterno.”

Ginny la guardò, cominciando a capire il punto di vista dell’amica. “Allora provaci con Ron!” le disse ridendo. “O con Percy. Sono gli unici rimasti.”

Tonks rise. “Troppo piccolo e troppo inflessibile. Nooo!” le rispose con una smorfia.

“Ritornando all’argomento principale della serata,” riprese Hermione, mentre le risate scemavano “il letto in ferro battuto è una bella scelta, lo trovo molto romantico, ma poi come viene usato?” chiese senza alcun cenno di timidezza.

“Oh, bene, bene.” Tonks sorrise al ricordo. Le altre tre sorrisero di riflesso. Erano tutte molto riservate e il discorse sarebbe finito lì. Ma qualche accenno e qualche battuta sarebbe uscito nuovamente nella serata.

“E c’è un futuro?” chiese Lucinda.

Era l’ultima entrata nel gruppo delle donne Weasley, con Angelina. Hermione era della famiglia già dai tempi di Hogwarts, indipendentemente dalla relazione con Ron. Le mogli di Bill e Charlie erano più distanti per età ed interessi, ma loro cinque si ritrovavano spesso a condividere problemi e vita quotidiana. Angelina aveva lasciato un gran vuoto anche tra di loro. Era stata molto simile a Ginny per intraprendenza e forza. Sembrava che a volte fosse lei a trainare Fred nella coppia, anche se sapevano che erano molto uniti, equilibrati e condividevano ogni scelta. Angelina aveva portato Lucinda con sé già da quando erano fidanzate con i gemelli e Lucida aveva trovato un suo posto nella famiglia, senza che nessuno invadesse il suo spazio personale. Senza Angelina si sentiva un po’ persa, le mancava una persona con cui condividere la vita di ogni giorno. Aveva perso una grande amica.

“Futuro… mah, se per futuro intendi cosa facciamo domani o il fine settimana sì, ma non oltre. Non mi interessa,” disse Tonks convinta.

“Tonks, non sarebbe il momento di cominciare a pensarci?” le chiese dolce Hermione.

“No. Non ancora.” Accettarono semplicemente la risposta.

Ginny ricordava ancora Tonks e Remus quando erano fidanzati, durante i suoi due ultimi anni di Hogwarts e la guerra con Voldemort. Harry e lei erano ancora insieme e quella coppia così strana era per loro un riferimento. Si estraniavano dal resto del gruppo per starsene soli, si guardavano negli occhi senza parlare per interi minuti, sparivano insieme per ore, litigavano ogni volta che parlavano della loro relazione e del loro futuro. Poi erano cambiati tutti, a causa della guerra oppure solo perché erano cresciuti. Ginny aveva cominciato a notare quanto Remus fosse legato al ricordo di James, Lily e Sirius e quanto la loro morte lo avesse privato di una gran parte del suo futuro, che la relazione con Tonks non riusciva a ridargli. Aveva visto Tonks accettare forzatamente la cosa, tentare di toglierlo dai pericoli e dalle battaglie, evitare che si mettesse in situazioni troppo pericolose fino al momento dello scontro con un altro Animago che lo aveva portato alla morte. E Tonks aveva sofferto moltissimo per quella perdita, aveva pianto tra le braccia di Molly e Arthur, aveva gridato il suo dolore, si era colpevolizzata di averlo lasciato solo a morire. Poi piano piano aveva risalito la china e adesso era lì, a sorridere di nuovo. Pensare al domani le sembrava già una grande vittoria.

In quel momento di silenzio Hermione fece cenno al cameriere che raccolse le ordinazioni e poi la conversazione riprese, leggera e divertita, fino a notte.

Parlarono di mariti e figli, di lavoro e di tempo libero, di case e di arredamento, di uomini e di donne, di ricordi e di vita fino a discutere della situazione di Ron ed Harry che ancora non volevano parlare tra di loro.

“Mi fate un riassunto della situazione?” chiese Lucinda. “Ho sempre sentito pezzi di storia, ma non cosa sia successo.”

“Beh,” iniziò Hermione, che aveva ancora il legame più forte con entrambi, “Harry ha scelto di lasciare gli Auror. Secondo lui il loro ruolo, per il Ministero della Magia, diventava sempre più di facciata e perdevano invece tutti i compiti di protezione e sicurezza che potevano avere. È vero che dalla fine della guerra non è più necessario un sistema di sicurezza così ampio e potente, ma Harry pensa, a ragione secondo me, che la sconfitta di Voldemort non significhi la sconfitta di tutti i suoi seguaci o delle sue idee. Né la fine della delinquenza comune o dei problemi di sicurezza. E così ha preferito lasciare. E agire dall’interno come Ministro della Guerra. Ma ha fatto tutto senza parlarne con Ron e Ron lo ha sentito come un rifiuto nei suoi confronti. Hanno sempre condiviso tutto da quando avevano 11 anni e questo Harry non ha voluto condividerlo con lui. Ma nessuno ha capito perché. E così secondo Ron l’amicizia si è rotta. E anche di questo Harry non sa perché. Ma la cosa folle è che hanno fatto tutto senza mai parlarne tra loro. Hanno deciso e hanno fatto. Hanno la stessa idea e non vogliono discuterne. Ron la pensa esattamente come Harry sugli Auror solo che preferisce pensare di usare la sua esperienza per il benessere della gente in altro modo, non proprio andandosene. Non vogliono parlarsi. Sono dei bambinoni, davvero. Ho urlato ad entrambi la mia idea.” Hermione aveva una espressione triste e un tono arrabbiato. Sembrava pronta a prenderli a schiaffi.

“Mio fratello è stupido e Harry rasenta la depressione, questa è la situazione. E nessuno dei due fa un passo per cercare una soluzione,” disse con convinzione Ginny. “Secondo me Harry non sta neppure molto bene. È spesso da solo, parla poco, sembra chiuso a riccio. Non parla neppure con me e Neville.”

Ci fu un attimo di silenzio.

“Io prendo posizione con Ron,” affermò Tonks. “E non perché penso sia più intrigante di Harry,” disse con un sorriso a Ginny che apprezzò la battuta e rise apertamente. “Credo che Harry abbia ragione nella sua valutazione della situazione degli Auror. Pienamente ragione. Rischiamo di diventare delle marionette da esposizione per le parate senza avere davvero un ruolo chiaro di sostegno al Ministero, ma lasciare così non ha senso. E dall’interno non farà nulla. Non glielo permetteranno, secondo me. Meglio cercare di utilizzare al meglio le proprie abilità per fare altro, bene e per gli altri.”

“Chi lo dice ad Harry?” domandò con tono retorico Hermione. “Credo non ascolterebbe neppure se stesso allo specchio.”

“No, se stesso no,” concordò Ginny. “Lo vedo davvero male, Hermione. Dobbiamo fare qualcosa.” E guardò l’amica sconsolata.

“Piano d’azione comune, Ginny. Lavoriamo ai fianchi. Li invitiamo a cena, parliamo, ascoltiamo e li facciamo ragionare. Come sempre abbiamo fatto, naturalmente.” Mentre lo diceva Hermione si convinceva della sua stessa proposta. A Ginny si illuminarono gli occhi.

“Neville ci aiuterà. Lo ascoltano sempre quando parla pacatamente come sa fare lui. Sono solo io che mi esaspero!” ammise con una smorfia.

“E tanto per rimettere a posto anche il resto della famiglia come vedete Fred?” chiese Tonks.

“Perché?” si incuriosì Lucinda.

“Qualche giorno fa sono passata nella nuova casa, per vedere come andavano le cose e l’ho trovato parecchio in difficoltà.” Le altre tre donne la guardarono sorprese.

“Fred dice sempre che va tutto abbastanza bene…” disse Ginny.

“Oh, forse perché per lui abbastanza bene vuol dire che riesce ad affrontare tre disastri alla volta senza uscire di testa. Stava facendo il bagno a Reggie, Maggie era in piena crisi di pianto per la mancanza della mamma, Reggie poi era sul punto di piangere anche lei ed era ancora da vestire. Io sono arrivata a questo punto e ho finito con Reggie e poi è arrivato Ron con la notizia di Harry. Fred mi ha detto almeno due volte che non ce la faceva più.” Tonks era ancora preoccupata per la tensione che aveva visto in Fred e forse anche perché non gli aveva più parlato da quella mattina.

“Ma in realtà ha le cose sotto controllo, sai?” la tranquillizzò Lucinda. “Voglio dire che si organizza molto bene nella giornata e riesce a stare molto tempo con le figlie sacrificando un po’ il lavoro.”

“Ci siete tu e George con lui. E siete una sicurezza per lui,” sottolineò Tonks.

“Sì, certamente. E non abbiamo intenzione di lasciarlo. Credo siano le situazioni impreviste che lo preoccupano. Cioè… quando lui ha organizzato le cose poi non ha problemi ha gestire le emergenze come una delle bimbe con la febbre o il dolore di Maggie, ma quando non riesce a sistemare la situazione si sente un incapace. Come George. Vogliono avere tutto sotto controllo. È per quello credo che riuscivano così bene nel fare scherzi ad Hogwarts. Sapevano il chi, il come, il quando di ogni cosa. E Fred vorrebbe questo anche per casa sua.”

“Ma cosa manca alla sua organizzazione? Non chiede mai niente…” disse Ginny. “Se mi offro per tenere le bambine so che gli faccio piacere, ma non so mai quando è meglio farlo. Mi sembra che tutti ci muoviamo, ma in modo scoordinato.”

“Credo ci sia il problema del pomeriggio. Quando le bimbe sono tutte a casa. Io le terrei con me, ma Fred vorrebbe, ed ha ragione, che passassero il tempo a casa loro, per farsi le loro abitudini, per crearsi i loro spazi. Ma diventa difficile farlo con tutte e tre.”

“È un orgoglioso. Perché non chiede?” sbottò Tonks. “Io posso farmi gli orari che voglio per le ronde. Posso avere liberi parecchi pomeriggi alla settimana. E mi piace stare con le ragazze. E so cosa vuol dire trovarsi da soli a vivere la vita che facevi in due.”

“Diglielo tu,” propose Lucinda, cercando di non essere troppo pressante. “Ne avrebbe bisogno Tonks, davvero. Ma hai ragione, non chiede. Oppure lo fa pochissimo.”

“Ma che stupido…!” lasciò scappare Tonks.

“Detto da chi non ha accettato l’aiuto di nessuno per mesi…” disse piano Ginny.

“Appunto!” ammise Tonks. “Adesso che sono passati anni ti posso dire che è stupido!” le spiegò decisa.

“Ah… autocritica, allora…” la canzonò.

Tonks pronunciò, senza voce, un gentile insulto. Ma si sentì capita fino in fondo da quella ragazzina così dolce e determinata. E lo sguardo sorridente di Hermione e di Lucinda, senza commenti o giudizi, la portarono a fare un sospiro di soddisfazione.

“Adesso devo solo convincere Fred che sono abbastanza organizzata e fidata da occuparmi di una bambina di pochi mesi e di una di tre anni,” sospirò di nuovo, ma con rassegnazione. “Non ci crederà mai… e non so se ci credo neppure io… Meglio che gli dica che intendo provarci e vedere come va, prima di impegnarmi troppo.”

“Beh,” disse in tono rassicurante Lucinda, “nessun genitore o familiare è preparato se prima non prova e si fa aiutare. Sei nella stessa situazione di tutti noi.”

“Sì, Lucinda, ma sono io,” e Tonks indicò se stessa. “Quella che rompe o fa cadere ogni oggetto con il quale entra in contatto. Oh, Merlino, vedo già il latte caldo che corre per la cucina e Maggie che ride guardando i miei capelli bruciati perché ho scaldato troppo il biberon!”

Cominciarono a ridere tutte e quattro senza ritegno, fino alle lacrime.

“In effetti,” confermò Ginny quando riuscì a parlare, “neppure a Ron è mai riuscito tanto!”

 

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Capitolo 4
*** Vivere normalmente? ***


4.    Vivere normalmente?

 

Diagon Alley – parecchi mesi dopo

 

Nel negozio “Tiri Vispi” a quell’ora della sera stava finalmente calando il silenzio. Mancavano solo pochi minuti alla chiusura, era buio e la maggior parte degli studenti era a casa per la cena oppure ad Hogwarts nel bel mezzo dell’anno scolastico. Mancavano poche settimane alle vacanze di Natale e quindi ad uno dei periodi più caotici per George e Fred che stavano finendo di elaborare nuovi scherzi per rinnovare il catalogo della loro produzione. C’erano alcuni scherzi che non sarebbero mai tramontati, ma altri avevano bisogno di qualche nuovo accorgimento, perché era stato ormai trovato il modo di neutralizzarli da parte degli insegnanti. E inoltre li aspettava l’annuale colloquio con Minerva McGrannit, Preside di Hogwarts, per valutare insieme quali giochi permettere o meno dentro la scuola. La pensione di Gazza consentiva agli studenti qualche scherzo in più, ma l’accordo che avevano trovato i gemelli Weasley direttamente con la Preside da qualche anno aveva ridotto notevolmente i rischi di esplosioni indesiderate o di odori indesiderati o di ustioni indesiderate o di mal di stomaco indesiderati durante le ore di lezione o i momenti di libertà.

Certo, l’accordo prevedeva anche che tutto quello che non era vietato era permesso e questo metteva in gioco l’abilità dei gemelli nel presentare adeguatamente i loro prodotti alla Preside, evitando di sottolineare quali sottoprodotti avevano effetti simili, senza essere esplicitamente vietati e alla Preside di allenare la propria abilità nel trovare una falla nel ragionamento dei gemelli per poter bloccare eventuali gentili raggiri nei suoi confronti. Un accordo generale basato su criteri di sicurezza e di buon senso evitava di dover discutere di giochi particolarmente pericolosi o troppo elaborati che gli stessi gemelli inserivano direttamente nella lista dei giochi vietati ad Hogwarts.

In quel preciso momento George e Fred erano impegnati nel loro laboratorio di fianco al negozio nel cercare di trovare un antidoto ad una caramella che rallentava i movimenti della lingua rendendo difficile parlare, pensata per essere offerta agli studenti particolarmente rompiscatole, e nel cercare di riprodurre in una formula, accessibile alle persone oltre i 17 anni, tutto quello che era necessario per creare una palude come quella che aveva permesso loro di tenere in scacco la Professoressa Umbridge al loro sesto anno.

Insieme a loro c’era il fratello Percy che analizzava le possibili implicazioni legali di uno scherzo del genere per evitare di dover poi seguire un iter troppo lungo con il Ministero per ottenere la legalizzazione del prodotto.

Fred e George erano seduti ad un tavolo del laboratorio e stavano osservano i singoli componenti delle caramelle per poter elencare i singoli antidoti e trovarne la modalità corretta per metterli insieme, mentre Percy studiava la formula della palude elencando i punti critici, poco lontano da loro.

Avevano dovuto attendere la fine dell’effetto di una di quelle caramelle sulla lingua di Fred che si era offerto di sperimentarle e era stato zitto per quasi tre ore nel pomeriggio, ma dato che aveva sistemato carte in ufficio non c’erano stati problemi.

L’unico inconveniente era stata una chiamata di Tonks dal camino del negozio che chiedeva se c’erano altri stracci in casa oltre quelli che di solito Fred teneva nel cassetto vicino all’acquaio perché un tubo del bagno gocciolava e lei non aveva ancora trovato la formula adatta a riparalo. Fred aveva detto a cenni di cercare nello sgabuzzino sotto le scale. Tonks, sapendo con chi aveva a che fare, non aveva chiesto spiegazioni ulteriori e l’aveva lasciato dicendogli di non preoccuparsi.

Proprio quello che Fred invece aveva fatto per i minuti successivi.

Non era preoccupato per le figlie. Aveva visto Tonks con loro in molte occasioni durante l’ultimo anno e si fidava di lei. Era attenta, dolce e decisa quando serviva, le ascoltava e giocava con loro, sapeva riconoscere quale fosse il loro bisogno. Aveva affrontato da sola crisi di pianto, tagli, bernoccoli, cadute, febbre alta, varicella e morbillo dimostrandosi all’altezza. E le bambine la adoravano. Passare il pomeriggio con Tonks per loro era come andare alle giostre. Se poi si aggiungevano Ernestine e la zia Lucinda era una festa totale.

Fred era preoccupato per la casa. Con quella Tonks era decisamente maldestra. Sembrava avere una attenzione eccezionale per tutto quello che poteva essere rotto o reso inutilizzabile. In questo caso erano i tubi del bagno. Pur ammirando Tonks e considerandola una cara amica, Fred sapeva con certezza che non si trattava di una rottura causale. Non lo erano mai…

In altre occasioni si era rotto il fornello o una sedia oppure lo specchio. E sempre perché Tonks si era mossa troppo velocemente o troppo rudemente. Beh, si trattava sempre di cose che succedono nelle case di tutti, ma nella sua e di pomeriggio, più spesso delle altre.

Una sera rientrando a casa aveva trovato Maggie che teneva per mano Reggie la quale aveva camminava ancora barcollante e stavano entrambe guardando in alto verso Tonks. Era in piedi su una sedia e guardava sopra un mobile della cucina dove di solito c’erano le pentole meno usate. Fred si era fermato dietro a loro senza che Tonks si fosse accorta del suo arrivo. Lei aveva la bacchetta tra i denti e un braccio infilato dentro il mobile. A Fred erano stati necessari alcuni secondi per capire che c’era un buco in cima al mobile e Tonks stava cercando qualcosa all’interno. Senza accorgersene aveva cominciato a guardarle anche le gambe fasciate nei jeans e su, su fino alle spalle coperte da una maglia sformata. Da quando guardava Tonks come una donna? Non aveva finito di formulare la domanda nella sua testa che si era sentito tirare i pantaloni e aveva guardato in basso verso Reggie che gli sorrideva. C’erano persone più importanti di Tonks…

“ ‘Ao.”

“ ‘Ao anche a te,” le aveva risposto facendole il solletico sotto il mento.

Maggie si era girata verso il padre, aveva lasciato la mano della sorella, ben aggrappata ai pantaloni del padre, e aveva alzato le braccia per andare da lui. Fred si era chinato, l’aveva presa in braccio stringendola a sé e baciandola. Poi si era chinato per prendere anche Reggie che stava nuovamente guardando verso Tonks. La quale sembrava non essersi accorta di nulla. Alla fine aveva alzato il braccio, tenendo ben salda una padella di acciaio. L’aveva agitata trionfante e si era girata verso di loro, meravigliandosi di vedere Fred.

“Ah, ciao…” aveva detto frettolosamente. Gli aveva passato la padella che Fred aveva afferrato con la mano con la quale sorreggeva Reggie e poi si era girata afferrando la bacchetta e aveva pronunciato velocemente un “Reparo” che, immaginò Fred, doveva servire a far sparire il buco sul tetto del mobile.

Era scesa saltando dalla sedia, gli aveva preso la padella e poi Reggie e andando verso i fornelli, gli aveva spiegato.

“Sono passata da Molly con le bambine oggi pomeriggio e abbiamo guardato l’orto e non c’era nulla, ma poi ci siamo ricordati della serra fatta da Charlie e abbiamo trovato qualche zucchina con i fiori ancora attaccati e volevo friggerli con la pastella che dovrebbe,” si era interrotta per girarsi, aprire il frigo, mentre con il gomito faceva cadere la padella, si girava la recuperava mettendola esattamente nel punto da quale era caduta e prendeva lentamente dal frigo un contenitore di vetro con del liquido dentro, “ecco… essere pronta.”

“Perché la padella è uscita da sopra il mobile?” le aveva chiesto tranquillo Fred. A volte con Tonks era necessario pensare di avere una figlia adolescente più che un’amica più grande di lui.

“Perché per errore, giocando con le bambine, ho colpito il mobile con un incantesimo che ha incollato le porte e non avevo tempo di trovare il rimedio e allora sono passata per sopra.”

“È più semplice,” aveva detto convinta Maggie.

“Decisamente,” aveva aggiunto sottovoce, perplesso, Fred. “Hai i capelli rosso ciliegia Tonks, e anche il naso. E mi sembra più grande del solito…” aveva aggiunto, con calma.

“Oh, Merlino,” aveva esclamato lei, portandosi una mano sulla faccia e brandendo con l’altra la bacchetta, nonostante tenesse in equilibrio Reggie, fino a riportare capelli e naso nelle solite condizioni. Era arrossita un po’. “Stavamo parlando di metamorfismo…” si era scusata, stringendo le labbra tra i denti.

Fred le aveva sorriso come se fosse la situazione più normale rientrare a casa e ritrovarsi in una situazione simile.

Ecco, con Tonks era normale.

 

Adesso, chiuso nel laboratorio con George a guardare gli ingredienti delle “Caramelle Tartaruga”, il pensiero di Tonks alle prese con i tubi del bagno di casa sua non era così pressante. Lo era di più capire come potevano contrastare l’effetto di una pianta che permetteva di far rallentare la lingua senza usare un antidoto che la accelerava troppo.

“Ragazzi miei, questa è una palude di tranelli!” esclamò a qualche metro da lui Percy.

“Oh?” alzò lo sguardo interrogativo George. Fred lo seguì un secondo dopo.

“Sarà un’impresa evitare che ve lo boccino.” Percy allungò le mani in alto, stirando i muscoli della schiena e guardò i fratelli, soddisfatto del loro lavoro, così accurato. “Avete creato una palude di pericoli. Si rischia di finirci dentro da tanto bene siete riusciti a mascherarla. Non potreste farla meno perfetta? Ci sarebbero più possibilità!” Percy sospirò. Erano dei geni della magia quei due, davvero. Se si fossero applicati un po’ di più sarebbero finiti a dirigere qualche laboratorio di ricerca a livello mondiale invece che ad inventare giochi in un laboratorio di Diagon Alley. Era folle dover chiedere loro di essere meno bravi per poter riuscire a vendere il loro prodotto.

Entrambi strinsero la bocca nella medesima smorfia, facendo sorridere Percy. Lo facevano anche da piccoli quando gli veniva vietato di fare qualcosa. Era il momento in cui le rotelline dei loro cervelli entravano in attivazione spasmodica. Rimasero tutti e tre in silenzio per un po’.

“Provate a parlarne con il vostro avvocato, prima di prendere una decisione. Potrei sbagliarmi comunque. Oppure brevettatela per il Ministero.”

“La lascerebbero a marcire in un sotterraneo in attesa che diventi di qualche utilità per poi ricordarsi di aver dimenticato come funziona,” sbottò Fred, irritato. Non lavoravano volentieri per il Ministero. Carte, protocolli e poca attenzione. Almeno da quando Percy ci lavorava all’interno riuscivano a far fare a lui parecchi passaggi.

Tutti e tre di rialzarono contemporaneamente dalle sedie allungando le braccia e il collo indolenziti.

“Fame,” annunciò Percy. Si passò una mano tra i capelli perfettamente pettinati e poi si sfiorò la barba che stava crescendo a fine giornata.

“Ah, ah,” concordarono i gemelli.

“Vieni da me?” gli chiese George.

“No, grazie.” Prendendo dalla sedia la giacca e la borsa di lavoro, gli sorrise. “Sono in uscita in Scozia domani per una riunione con il Ministro delle Relazioni Internazionali. Devo uscire presto per controllare che tutto sia a posto,” gli rispose Percy.

“Tu?” chiese a Fred.

“Tonks era alle prese con i tubi del bagno quattro ore fa…” disse sconsolato.

George e Percy annuirono solidali. Sapevano cosa doveva aspettarsi Fred a casa.

“Domenica dalla mamma?” chiese George dopo un po’, quando erano tutti fermi sulla porta per uscire.

Fred annuì.

“Sì,” confermò Percy. “Ci sarà Ron o Harry?” Da quando i due non si parlavano, ed era passato un anno e mezzo, le domeniche a pranzo da Molly e Arthur erano alternate.

“Che stupidi!” commentò Fred. “Ma cosa ci guadagnano a stare così? E poi quando ci parli ti dicono le stesse cose!”

“Dovresti sentire Hermione o Ginny quando raccontano i loro tentativi di farli ragionare. Si imbestialiscono come poche volte le ho viste,” disse Percy. “A volte persino Hermione assomiglia alla mamma.”

 

Pochi minuti dopo – Mc Phermont Street.

Anche se si trattava di casa sua, Fred si sentiva a disagio nel presentarsi direttamente in salotto, sapendo che Tonks era lì con le figlie e preferiva fermarsi davanti al portone e farsi sentire utilizzando le chiavi di casa. E poi c’era il momento del saluto delle figlie. Indispensabile per finire bene la giornata.

“Papà!” sentì urlare da Maggie. Il rumore di piedi felpati che raggiungevano la porta e poi un folletto dai capelli rosso scuro che gli sorrideva, pronta a farsi prendere in braccio.

“Ciao!” urlò Tonks da qualche altra parte della casa. “Maggie chiedi al papà quello che volevi sapere.”

“Perché devo andare all’asilo?” Oh, Merlino, pensò Fred, ecco il meraviglioso broncio di sua figlia. Prese tempo togliendosi il mantello e sistemandolo all’ingresso.

“Perché trovi i tuoi amici e puoi imparare cose nuove.”

“No. Non voglio amici.”

“Perché?”

“Perché sono tutti cretini.”

“Meg, quella è una parola che non mi piace. E non la voglio sentire da nessuno. Almeno sai cosa significa?”

Maggie si fermò con un dito davanti alla bocca, così inconsapevolmente simile alla madre, e ci provò. “Lo zio Harry e lo zio Ron.”

“Eh?” sfuggì a Fred, sorpreso. “Cosa c’entrano gli zii?”

“Lo zio Ron dice che lo zio Harry è un cretino e anche lo zio Harry dice che lo zio Ron è un cretino,” spiegò tranquilla la bambina.

“Io sono arrivata fino a questo…” Tonks stava arrivando al seguito di Reggie che trotterellava verso il padre per farsi abbracciare. Fred la prese in braccio, stanco. Accidenti, aveva una famiglia grande? E allora che tutti venissero coinvolti!

“Senti Maggie, quella parola non mi piace. E dato che la senti dire dagli zii, la prossima volta spiega loro che il papà non vuole sentirla e chiedi che te la spieghino, d’accordo?”

Tonks alzò un pollice per complimentarsi. “Ottimo passaggio di palla. Gran giocatore di Quidditch,” gli sussurrò. Fred sorrise, divertito.

Maggie non sembrava altrettanto convinta. “Ma io non voglio andare all’asilo.”

“Papà pappa!” esclamò contemporaneamente Reggie.

“Certo, tesoro,” Fred guardò Reggie, sorridendo. “Mangiamo tutti insieme stasera. Maggie,” disse con calma alla figlia maggiore, “può succedere di trovare antipatica qualche persona oppure di litigare con gli amici, ma è importante fare la pace e cercare di non trattare male nessuno.”

“Ma io non sono strana!” precisò.

“No, non lo sei, piccola.” Reggie gli tirò il colletto della camicia lasciandogli delle grandi macchie di colore. “Reggie, credo che dovremmo lavarci la mani prima di mangiare. Perché saresti strana, Maggie?” chiese.

“Perché faccio gli alberi rossi e il prato giallo,” si indignò, incrociando le braccia sul petto.

Tonks strizzò gli occhi e strinse i denti. Guardando Fred indicò se stessa con una smorfia di scusa. Fred le sorrise. Sapeva da dove arrivava quella sfrenata fantasia della figlia nell’uso dei colori.

“Maggie, tu sai benissimo di che colore sono gli alberi. Se poi vuoi colorarli di un colore diverso sei libera di farlo.” Maggie annuì soddisfatta e lo prese per mano. “Ho preparato io la tavola.” Reggie intanto proseguiva nel colorare la camicia del padre con stampi delle sue mani. Tonks la prese con sé e la portò a lavarsi mani e faccia.

“Maggie, vai con Ninpha e lavati anche tu. Io mi metto qualcosa da casa e vengo a tavola.”

Tonks lavò Reggie e guardò Maggie che si puliva la mani. E intanto si guardò anche nello specchio. Nessun apparente segno di stanchezza. Bene, a quanto pare aveva ancora risorse per la serata che l’aspettava.

Si spostò in cucina dove era pronta la tavola con i loro quattro posti. Ormai da mesi, quasi ogni sera, si fermava a cena con Fred e le figlie. Era una abitudine che nessuno aveva cercato, ma che era nata dalla necessità di parlare con Fred di quello che era accaduto nel pomeriggio. Cena e bicchiere di vino mentre le bambine giocavano prima di andare a letto era una piacevole routine. Si sentivano come vecchi amici che potevano raccontarsi di tutto. Parlavano delle bambine e del proprio lavoro, della famiglia e degli amici. Fred era molto più a suo agio e si permetteva anche di parlarle della sua vita sentimentale, limitata a pochissime cene con qualche donna conosciuta da poco, e persino a fare commenti sui dopo cena. Forse perché sapeva che Tonks lo capiva e non si sarebbe mai permessa di fare commenti o di avere sguardi stupidi o irritati per le sue scelte. Semplicemente lo ascoltava. Tonks invece era più a disagio a parlare con lui della sua vita privata. A volte si sentiva vicina a Molly quando diceva che per lei i figli erano sempre piccoli. Conosceva la vita di Fred in molti dettagli e lo ammirava per la sua determinazione, la serenità che aveva, ma rimaneva sempre uno dei gemelli, uno dei ragazzini di casa Weasley. Eppure non aveva niente del ragazzino ormai. Doveva rifletterci meglio, pensò Tonks sedendosi a tavola in attesa che Fred arrivasse per iniziare a mangiare.

Reggie cercando di prendere il bicchiere, fece cadere tutta l’acqua che c’era dentro. Persa nei suoi pensieri, Tonks le disse, “Tesoro non fare come me, oppure tuo padre comincerà a dubitare che tu sia figlia sua!”

Fred, dalla porta della cucina, sorrise.

Maggie lo guardò e chiese, “Ma da dove arrivano i bambini?”

Tonks si unì alla risata, stanca, di Fred.

 

La cena era finita. Le bambine erano in salotto. Fred e Tonks davanti all’acquaio a lavare i piatti. Era rilassante starsene vicini a chiacchierare facendo una cosa così babbana come quella.

Fred aveva le mani immerse nell’acqua e Tonks aspettava con uno straccio in mano. Le passò il primo piatto mentre sceglievano una strategia da tenere con Maggie e le parolacce.

“Davvero, Fred. A volte non mi trattengo neppure io.”

“Lo so, ma vorrei che riuscissi a dirne il meno possibile. Vedi che le assorbe come una spugna. Ha tempo per impararle.”

“Dovresti anche spiegarle che non si possono dire ovunque e con chiunque.”

“Quando crescerà Tonks. Per ora preferisco che non le dica del tutto.”

“Mi sembra un po’ un’utopia, Fred.” Gli prese le posate dalle mani grondanti d’acqua e cominciò ad asciugarle.

“Non credo. Con me hanno fatto così.”

“E quante ne hai dette?”

“Tante. E tutte distante dalle orecchie di mia madre. E sempre nei momenti giusti. Non ho mai preso nessuna punizione per il mio linguaggio.”

“Solo per il tuo comportamento!” Rimasero a guardarsi con un piatto tra le mani.

“Tonks, mi hai conosciuto che ero un adolescente. Non puoi fare riferimento a quello che ho fatto per un anno ad Hogwarts! Oppure durante le riunioni dell’Ordine!”

“Avevi già  17 anni, Fred!”

“E tu 22, quindi non credo che ci fosse poi questa gran differenza. Eravamo adolescenti entrambi.” Le lasciò il piatto e ributtò le mani nell’acqua.

“Sono 5 anni, Fred.”

“E Maggie ne ha 4, Tonks. Troppo pochi per sentir parlare di parolacce. E 5 anni quando siamo sulla trentina, mi sembrano decisamente pochini. Pensando a tutto quello che abbiamo passato, tra la guerra, Angelina e Remus mi sembra che si possano considerare annullati. Ti senti così più vecchia di me?” La guardò incredulo, mentre le dava in mano una pentola.

“No, solo che…” Solo che non sapeva neppure lei cosa dire. C’erano davvero cinque anni, ma… descritti così da Fred erano davvero insignificanti. “Non lo so, Fred. È solo una sensazione. Mi sembra sempre di… come se ‘dovessi’ essere più grande di te. Capisci?”

“No.” Fred la guardò ancora più incredulo. “Non ti seguo proprio.” Si scrollò l’acqua dalle mani e si girò a guardarla direttamente. “Non credevo che una donna ci tenesse a dimostrarsi più vecchia di un uomo, ma se proprio vuoi…”

“Cretino!” si lasciò scappare. Fred le lanciò un’occhiata di evidente autorità paterna. “Scusami, scusami. Ne abbiamo appena parlato, hai ragione. Ma non è questione di essere vecchia, ma di essere adulta. Mi sento in dovere di essere più adulta, con cinque anni in più.”

Fred continuò a fissarla tra l’incredulo e l’ironico. “Spiegami dove sta l’essere più adulta di me in quello che di solito fai o nel fatto che io sto crescendo due figlie da solo e tu no.” Cominciava anche ad irritarsi. Tonks sentì salire la rabbia.

“Mi pare che ti aiuto in questa cosa del crescere le figlie,” sottolineò con voce dura.

“Certo,” disse scuotendo la testa per mostrarsi d’accordo, “sei la persona più vicina all’idea di mamma che possano avere, Tonks!”

Tonks si irrigidì e lo guardò scossa da quello che aveva detto. Oh, Merlino no! Non voleva quella responsabilità. Era troppo grande. Fred vide il suo allarme e allungò una mano verso di lei, come per indicarle che era proprio quello il centro della loro pacata discussione.

“Vedi? La responsabilità di un legame così forte io l’ho ogni giorno e senza sconti o senza potermi mai sottrarre. “ Si stava infervorando. “Sono stato costretto a crescere di parecchi anni, Tonks, non solo dalla morte di Angelina, come la morte di Remus ha costretto te a fare, ma anche da quelle due meravigliose creature che sono di là e che amo alla follia” indicò la porta della cucina oltre la quale si sentiva Maggie cantare, “e che non lascerei mai ad altri. Sono costretto ad essere più adulto di te, ho due persone che dipendono da me, nonostante ci sia tutta la mia famiglia, e tu ci sei dentro, che mi aiuta. Non ho perso la voglia di fare scherzi o di essere scapestrato, l’ho solo chiusa nel laboratorio dove lavoro, in qualche uscita con gli amici.”

Tonks continuava a guardarlo con la bocca leggermente aperta dalla sorpresa. Aveva ragione, quel ragazzino che giocava ancora con gli scherzi di Hogwarts e che la stava guardando con gli occhi spalancati, aveva ragione. Ma quando era cresciuto così tanto in così poco tempo? Lo aveva sempre visto come un ragazzino… Tonks chiuse gli occhi colpita da un pensiero improvviso. Lo aveva sempre visto con gli occhi di Molly… di sua madre.

Fred le mise le mani sulle spalle, parlandole piano, con una tensione controllata, con la preoccupazione di farle capire molto bene cosa stava dicendo. “Tonks, non voglio togliere nulla a quello che stai facendo. Ho bisogno anche di te e di poter parlare così liberamente con te. Sento che i miei genitori mi ammirano e si fidano di quello che sto facendo, ma sento anche che sono sempre il figlio scapestrato, come lo sarà sempre George. È Bill quello grande e responsabile. Per favore non prendere il posto di mia madre nella tua testa. Non lo sopporterei. Ho bisogno di un’amica.”

“Non mi sento tua madre,” gli rispose di getto. Non si sentiva sua madre in effetti, ma si era fatta prendere dall’amicizia che aveva con lei e non aveva mai ragionato diversamente. Appoggiò le sue mani su quelle di Fred. “Non l’avevo mai vista così. Hai ragione, io non ho tutte le responsabilità che hai tu. Non le ho.” Tonks distolse lo sguardo da lui, pensierosa.

Fred la fissò chiedendosi se aveva esagerato.

“Devo pensarci.” Si staccò da lui e prese la bacchetta che aveva appoggiato su una mensola.

“Ninpha, ho esagerato?” La guardò dritta negli occhi. Gli serviva quell’amicizia solidale e costante.

“Hai davvero detto quello che pensi?” Lo guardò attenta anche lei. Le serviva la sicurezza di quello strano rapporto di amicizia.

“Sì.” Essere sinceri era sempre un buon consiglio tra amici.

“Allora è ok.” Tonks distese lo straccio per asciugare i piatti sul supporto sotto il lavello. “Domani c’è Ginny. Ci vediamo lunedì.”

“Domenica sei dai miei?” Fred ributtò le mani in acqua per finire il lavoro.

“No, esco con uno nuovo.”

Fred le sorrise. “Brava.”

Tonks rispose al sorriso e uscì dalla cucina per salutare le bambine.

 

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Capitolo 5
*** Vivere in una famiglia che non è la tua ***


5.    Vivere in una famiglia che non è la tua.

 

Quasi un anno dopo.

 

Tonks si alzò dal letto, intontita dal sonno. Accidenti alle ronde notturne. Cominciavo a diventare pesanti. Si stiracchiò felice di non avere nessuno vicino a lei nel letto. McKelly aveva ancora una casa propria anche se uscivano regolarmente da quasi un anno. E lei era contenta che ci tornasse ancora a dormire più spesso di quanto non si fermasse da lei. Inoltre, con la scusa che l’appartamento in cui lui abitava era piccolo e disagevole rispetto al suo, finivano per passare il loro tempo come coppia sempre a casa sua.

Gradualmente prese contatto con la realtà compresi i vestiti sparsi per la stanza (non era necessario neppure metterli in ordine prima di addormentarsi), la pila di libri a fianco del letto (dove nessuno sarebbe inciampato) e il vetro ancora scheggiato di una delle finestre (ecco, per quello essere in due le sarebbe piaciuto).

Cercò di ricordare quale giorno della settimana fosse. Sabato. Era sabato mattina. Giornata di riposo. E anche domenica. Due giorni interi di riposo. E la settimana successiva sarebbe stata ad Hogwarts per il periodo di addestramento degli studenti del sesto e settimo anno che Minerva McGrannit aveva preteso dal Ministero, ritenendola indispensabile per un completo corso di studi nella sua scuola. In barba alle opinioni di tutti i Ministri. A parte Harry che l’approvava in pieno.

Sarebbe tornata ad Hogwarts per una settimana. Sorrise felice all’idea di trascorrere cinque interi giorni a contatto con quella marea di ragazzini scalmanati. Avrebbe rivisto Neville che adesso occupava stabilmente la cattedra di Erbologia e parecchi altri professori.

Allungò nuovamente le braccia sopra la testa, sospirando di piacere.

La cena! Era la sera della cena con Ginny, Hermione e Lucinda. E prima di erano accordate per acquistare dei vestiti tutte insieme.

Calciò via la coperta e le lenzuola e si alzò scattante e pronta a dare un po’ di ordine a quella casa.

 

Sistemati i vestiti, la cucina e la camera, lavato tutto quello che era rimasto da giorni nel cesto della biancheria guardò la finestra della camera. Un semplice “Reparo” era il minimo. Ma la finestra guardava dal lato della casa più esposto alle intemperie sia del tempo sia dei ragazzini che giocavano nel campo vicino. L’aveva riparata un sacco di volte. Adesso era necessario pensare ad un supplemento di magia per potenziare l’effetto di protezione. Rimase a fissarla con le braccia conserte, chiedendosi cosa fare. Non aveva idee. E neppure incantesimi specifici. Non era un costruttore di case. E non conosceva nessuno che costruiva case. Cominciò a battere con un piede a terra. Inutile, non passava nessuna idea per la testa. McKelly forse poteva saperne qualcosa, ma da come si occupava della sua di casa, Tonks aveva dei gran dubbi. Kingsley probabilmente aveva più esperienza, ma era a casa dei suoceri per il fine settimana con la moglie e il figlio. Lucinda! Lei avrebbe saputo come fare.

Guardò fuori dalla finestra e calcolò che doveva essere quasi ora di pranzo. Non avrebbe disturbato nessuno. Si mise velocemente un tuta dopo aver inviato un messaggio a casa Weasley per annunciare il suo arrivo alla ricerca di aiuto. Se non c’era nessuno sarebbe tornata semplicemente a casa in attesa della sera.

 

Gottman Street – angolo McPhermont Street

Le finestre erano tutte aperte e mentre entrava dal cancello, attraversando il piccolo guardino fiorito di casa Weasley, la porta si aprì e uscirono correndo Maggie e Ernestine.

“Ciao, Ninpha.” Le abbracciò entrambe. “Stavamo preparando da mangiare con la mamma,” le spiegò Ernestine. “Però ti abbiamo visto e siamo venute da te.”

Ringraziandole si fece precedere in casa, dove una Lucinda sempre solare l’accolse con un grembiule da cucina macchiato di vari colori e Reggie la salutava seduta sul seggiolone.

“Ciao, Tonks.” Lucinda la baciò su una guancia, pulendole poi via la farina che era rimasta incollata alla guancia. “Sto cucinando con tutte e tre,” le spiegò indicando il campo di battaglia della cucina dietro di lei. “In cosa posso aiutarti? Mentre mi spieghi serviti qualcosa da bere. Sai dove trovare tutto.”

Tonks si guardò intorno sorridendo. Prese un bicchiere e del succo di frutta mentre Lucinda distribuiva i compiti alle bambine. Maggie era cresciuta parecchio negli ultimi mesi e aveva quasi raggiunto Ernestine. Era facile vedere quanto si assomigliassero quando erano vicine, quando fossero simili ai loro papà. Longilinee e con i capelli rossicci, si muovevano scattanti e soprattutto volevano provare ogni cosa. Ernestine era un po’ più pacata, ma insieme alla cugina sembravano la versione femminile dei gemelli. Molly spesso riconosceva gesti o comportamenti dei figli guardando le nipoti. Reggie stava assomigliando sempre più ad Angelina. Sorridente e seria allo stesso tempo. Giudiziosa per i suoi quattro anni scarsi. Anche i tratti del viso ricordavano Angelina, in particolare quando sorrideva.

Seduta su uno sgabello vicino a loro, Tonks spiegò a Lucinda quale fosse il problema con la finestra e immediatamente Lucinda prese in mano un librone di Incantesimi nel quale riuscì a trovarne uno adatto a rinforzare le difese di una finestra. Mentre ascoltava a Tonks venne un’idea.

“Sai, credo che oltre a rendere la finestra praticamente infrangibile, chiederò a Fred un suggerimento per far sì che rispedisca i palloni direttamente ai ragazzi e con una certa forza. Potrebbe essere utile.”

“Ti danno così fastidio?” obiettò Lucinda.

“A volte decisamente sì.” Prese un biscotto e cominciò a morderlo.

“Ti fermi a pranzo?” propose Lucinda.

“No, devo finire di sistemare a casa. Poi dormo un altro po’ e mi preparo per la nostra lunga serata.”

“Dick?” le chiese l’amica.

“A casa sua. Gli ho detto che ero impegnata. E se lo chiami Dick, invece di McKelly, mi confondo.”

“Può venire qui con Fred e George se vuole.” Immediatamente Tonks le fece cenno di no, masticando il biscotto.

“Lascia perdere. Non ha ancora capito che Fred non è un suo concorrente. È davvero cocciuto.”

“Perché papà è un concorrente di Dick?” chiese curiosa Maggie.

Tonks cercò una scusa veloce. “Perché… perché vorrebbe anche lui avere due belle bambine come voi.”

“Ma non sono le donne a fare i bambini?” chiese Ernestine.

“Oh, beh… comunque non è il caso,” chiuse velocemente l’argomento Tonks.

Maggie e Ernestine ripresero a lavorare l’impasto di farina che avevano di fronte.

“Ma io voglio un fratello!” piagnucolò Reggie.

“Sì, Ninpha. Anch’io!” disse battendo le mani, e la farina, Maggie.

“Ferme,” alzò le mani Tonks. “Se volete dei fratelli dovete parlare con papà non con me.”

Lucinda tratteneva a stento le risate. Ernestine ascoltava attenta.

“Ma per fare i bambini servono una mamma e un papà,” disse con sicurezza Ernestine.

“E allora Dick a cosa serve?” chiese interdetta Maggie.

“Uno zio!” spiegò Reggie.

Tonks si coprì la faccia con una mano. Lucinda ridacchiava con gli occhi lucidi. Intanto la porta di casa si aprì, scatenando le bambine, che salutarono urlando i rispettivi padri mentre entravano in cucina.

“Papà!” urlò Reggie più di tutte. “Voglio un fratellino!”

Fred sospirò. “Non posso comprarlo al supermercato, Reggie.” E le sorrise.

“Ma se tu sei il papà e poi c’è la mamma…” si fermò e guardò la cugina in cerca di aiuto. Era un po’ complicato quel ragionamento.

“Con una mamma e un papà si può avere un fratello,” concluse Ernestine. “Posso averlo anch’io?” chiese guardando George. Che guardò la moglie. La quale stava ancora ridendo e gli fece cenno che ne avrebbero parlato dopo. George spalancò gli occhi e le sorrise, con tono sensuale, “Sempre pronto.”

“Per cosa?” chiese Maggie allo zio.

“Per parlare di bambini,” rispose George.

“Anche tu e Ninpha,” spiegò Maggie a suo padre, lasciandolo senza parole. Fred guardò Tonks che era arrossita quasi quanto suo fratello Ron.

“Non l’ho voluta io questa conversazione. È nata per caso,” si giustificò, alzando le mani.

“Come sempre, con te,” sottolineò l’amico. Ricevendo come risposta una bellissima vista della lingua di Tonks. Reggie cominciò a ridere.

 

Tonks salutò dopo pochi minuti, lasciandoli ad organizzare il pranzo. Fred l’accompagnò alla porta.

“Mi dispiace, Fred. È cominciata quando ho detto a Lucinda che McKelly ti considera ancora un concorrente.”

“Un po’ ostinato, mi pare.” Le aprì la porta a si fermò sulla soglia mentre lei si girava a guardarlo.

“Non riesce a capire perché passo tutto questo tempo con te. Gli ho fatto persino il conto delle ore che passo con le ragazze e quello che passo con te, ma ha risposto che se lo faccio, deve esserci un motivo. È assurdo lo so. Ma non è sempre così.”

“Perché siamo amici, non è sufficiente come risposta?”

“Un uomo e una donna amici?” gli disse lei imitando il tono retorico di McKelly.

“Prova a chiedergli come potremmo fare qualsiasi cosa con le bambine presenti. Oppure le immobilizziamo o le facciamo dormire con un incantesimo?” propose Fred con un tono tra l’ironico e l’irritato. Non gli piaceva il nuovo compagno di Tonks, anche se non l’aveva mai visto. Proprio per niente. Da quando aveva cominciato ad uscirci insieme dopo la loro unica piccola discussione sull’importanza dell’età.

“Non ha idea di cosa significa stare con i bambini.”

“Si vede.” Fred le si avvicinò per abbracciarla. Aveva cominciato da poco a farlo.

“Buona giornata e buona serata tra donne.” Le baciò velocemente la fronte. Come faceva con Ginny, pensò subito Tonks.

“Anche a voi uomini,” e restituì l’abbraccio. “Ci vediamo tra una settimana. Sono ad Hogwarts.”

“Ah, ah. Già sistemato tutto con mia sorella e Hermione.”

Salutandolo con la mano Tonks, leggera, si Smaterializzò.

Fred rimase sulla porta a guardare il vuoto di fronte a sé. Quando si girò trovò George che lo osservava con una Burrobirra in mano. La alzò in segno di brindisi verso di lui.

“Sì,” gli disse. “La risposta è sì..”

“A quale domanda?”

“È un’amica, ma ti piace sempre di più. Ed è solo l’inizio, lo sai.”

Fred gli passò davanti.

“Adesso devo pensare come spiegare a Maggie la differenza tra sua mamma e Tonks, perché me lo chiederà prima di sera.”

“Quale è la differenza tra Tonks e Angelina per te, fratello?”

Fred rimase in silenzio. Non aveva una risposta chiara in testa.

 

Monillouby Place - sera

Lasciarono cadere tutti i pacchetti che avevano accumulato nel pomeriggio. Di sabato sera quel pub era decisamente pieno. Uno sguardo preoccupato del proprietario fece sì che sistemassero tutto nel minor spazio possibile. Riuscirono a sedersi attorno al tavolo sospirando felici perché potevano finalmente stare ferme.

Ginny e Hermione cominciarono a discutere del fatto che ancora una volta Hermione non aveva preso un maglioncino di lana leggero e morbido e molto scollato. Tonks e Lucinda di un completo di intimo che Tonks si era rifiutata di prendere ritenendolo troppo esagerato.

“Tonks era solo fatto di pizzo trasparente, andiamo. Si tratta di un completo intimo, non di qualcosa da far vedere a tutti.” Lucinda, che lo aveva acquistato al posto suo, sosteneva da almeno mezz’ora che Tonks doveva cominciare a scegliere qualcosa di diverso dai suoi soliti completi di cotone.

“Cosa ti dice McKelly?”

“Non li vede neppure, Lucinda.”

“Non li vede…? Ma almeno ti guarda oppure potresti essere chiunque in quel momento?” Il rapporto tra Tonks e Lucinda era diventato più stretto negli ultimi due anni e anche gli argomenti che affrontavano tra di loro erano diventati più personali. Ginny e Hermione a questa domanda si fermarono a guardarle.

“Lucinda! Non li guarda perché… andiamo in fretta.” Tonks buttò lì una scusa qualsiasi. Non intendeva parlare della sua vita intima in un pub con chissà chi ad ascoltare.

Lucinda non proseguì oltre. Ma Ginny decise di indagare.

“Ma cosa ci trovi in lui, Tonks? Voglio dire…” alzò una mano per fermare la risposta dell’amica. “Sei tu che ci vivi più o meno insieme e di certo non deve piacere a noi, e ti abbiamo vista tutti molto serena e felice nell’ultimo anno. Ma cominci a sembrare insofferente.” Non avevano mai affrontato l’argomento fino a quel momento, ma tutti concordavano che Tonks non sembrava proprio a suo agio, ultimamente.

Tonks rimase in silenzio. Ne aveva parlato a lungo con Molly pochi giorni prima. Si sentiva a disagio a farlo con Lucinda o Ginny o Hermione. Avrebbero individuato subito il centro del problema.

Quando aveva cominciato a pensare al rapporto tra lei e la famiglia di Fred si era resa conto sempre più che, a lei, il progetto di una famiglia piaceva. Desiderava avere un marito e dei figli suoi. Avere una casa e potersene occupare, come faceva Lucinda. A volte si era anche detta che avrebbe rinunciato al suo lavoro di Auror per una famiglia. Questo era il pensiero che l’aveva preoccupata di più. Per la prima volta c’era qualcosa di più attraente, stimolante e interessante del suo lavoro, della libertà di vivere da sola, delle sue amicizie. Il problema era crearsi una famiglia.

Per tanti motivi.

Primo: la famiglia Weasley e quella di Fred in particolare, le aveva trovate già ‘pronte’. La sua famiglia d’origine, nel bene nel male, anche. Nessuna fatica per costruirla.

Secondo: il discorso di Fred sul senso di responsabilità nell’avere altre persone che dipendono da te l’aveva spiazzata. E impaurita. Era più facile realizzare il suo sogno grazie alla presenza di Molly e Arthur come confidenti, di Ron o Ginny come fratelli, di Lucinda e George come cognati e di Maggie e Reggie come figlie. A casa la sera e non ci si pensa più. Problemi? Non erano suoi.

Terzo: in questo suo ragionamento Fred rimaneva sempre escluso. Certo era un suo amico. Ma era il padre delle bambine. E lei viveva in quella famiglia senza un ruolo molto chiaro. Per le bambine era Ninpha, per Fred era Tonks e per lei… erano un rifugio. Ma fino a quando? Effettivamente il suo ragionamento con Molly si era fermato molto prima di prendere in considerazione Fred. Avevano parlato della gioia e della difficoltà di essere genitori, del piacere e della fatica di essere coppia. Molly aveva sempre preso come riferimento McKelly.

Quarto: il problema per Tonks stava diventando anche Fred. Fred che usciva con altre donne. Fred che aveva un sacco di amici con cui uscire oltre alle donne. Fred che condivideva con lei l’educazione delle figlie. Fred che parlava liberamente di altre donne. E lei che cominciava a sentire qualcosa che, alla fine, aveva ammesso essere pura gelosia.

Quinto: lei accettava questo ruolo di amica, le piaceva, la faceva stare bene. Fino a qualche settimana prima. Poi era accaduto qualcosa, ma non capiva cosa. Forse quando avevano parlato a Maggie di come nascono i bambini oppure quando Fred l’aveva afferrata e abbracciata per la prima volta da quando si conoscevano, mentre cadeva da una sedia dove era salita per prendere un pappagallo che aveva portato alle bambine, ma che si era lasciata sfuggire. Fred aveva stretto le braccia attorno alla sua vita ridendo e l’aveva fatta scendere a terra senza esitazione e senza prolungare quel contatto oltre il minimo necessario. Lei ricordava ancora adesso la forza di quell’abbraccio e il profumo di quell’uomo. Perché ai suoi occhi era diventato un gran bell’uomo. Come aveva detto a Ginny, bello dentro e fuori.

Sesto: aveva cominciato ad osservare come Fred trattava sua sorella e si era resa conto che faceva quello che faceva con lei. E dentro di sé lo aveva insultato. Tipica reazione di una sedicenne! Non le piaceva l’idea di diventare una sorella per Fred, proprio per nulla!

“Sono un po’ confusa,” ammise alla fine quasi sottovoce. “Mi sto domandando un sacco di cose e il nome di McKelly non compare spesso nelle risposte.”

“Possiamo darti una mano nelle risposte?” si offrì Lucinda.

“No,” rispose velocemente Tonks. “No.”

“Neppure Fred può aiutarti nelle risposte?” le chiese Lucinda, con voce dolce.

Ginny e Hermione si scambiarono uno sguardo di conferma. Lo avevano pensato anche loro.

“No,” ridisse Tonks. “Lui è anche troppo presente nelle domande, Lucinda. Per favore parliamo di altro.” La sofferenza nella voce di Tonks era un chiaro segnale. Le altre tre donne cambiarono immediatamente argomento.

“Allora parliamo di nuovo di vestiti. Ripeto la questione: perché Hermione non indossa una abito scollato?” chiese Ginny guardando l’amica.

“Perché non ha motivo per farlo!” rispose piccata Hermione.

“Andiamo Hermione con tutti gli incontri importanti che fai per lavoro. E poi ti stanno benissimo le cose scollate!”

“Non indosserei qualcosa di scollato al lavoro con tutti quegli uomini che guardano. E ad Oliver non interessa,” precisò Hermione guardando Ginny con una espressione che diceva chiaramente che se continuava su quella strada l’avrebbe schiantata.

“Allora chiediamoci perché Lucinda cerca sempre completini di pizzo…” buttò lì alla cognata ridendo.

Lucinda rise con lei. “Perché tuo fratello apprezza, tesoro.”

“Tutti i miei fratelli apprezzano, Lucinda. Dev’esserci un gene che li fa attivare di fronte ai pizzi! Potresti usare lo stesso completo in ciascuna delle mie cognate e avresti lo stesso effetto: occhi da pesce incollati sulla scollatura della moglie. Oh,” disse tra le risate, “non guarderebbero quella delle altre, ma solo quella della moglie. A parte Percy. E Ron, direi. Che però in questo periodo guarda molte scollature, devo dire.”

“Neville?” chiese Tonks, decisamente più rilassata.

“Non ha preferenze. Ma si accorge di tutto. Non credevo, ma appena indosso qualcosa di nuovo, lui lo vede. È molto piacevole sentirsi guardata,” disse Ginny compiaciuta.

“Hai ancora l’aria della moglie in luna di miele,” le sorrise Hermione.

“Mi sento ancora in luna di miele,” confermò Ginny arrossendo leggermente.

 

Dopo parecchie ore, con i piedi doloranti, Tonks attraversò la soglia di casa. Accese le candele e si preparò un bagno caldo. Un ottimo posto per pensare. A dove collocare Fred nei suoi desideri. E nei suoi progetti. McKelley ne era già fuori.

A qualche chilometro Fred, disteso a letto, guardava il soffitto di fronte a sé chiedendosi cosa fare adesso che aveva capito che la situazione con Tonks non poteva andare avanti così.

 

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Capitolo 6
*** Cercando di capire senza parlare ***


6.    Cercando di capire senza parlare

 

Collina delle Querce – pochi mesi più tardi

 

Bill Weasley si guardò intorno cercando il figlio maggiore. La moglie Fleur era al suo fianco con la piccola di pochi mesi che dormiva beata tra le sue braccia, tutta avvolta nella coperta di lana. Alla fine lo vide impegnato a rincorrere una pecora insieme al cugino, figlio di Charlie. E Charlie era appena dietro a loro con la figlia minore in braccio che indicava il fratello e il cugino e rideva.

Era una giornata meravigliosa di sole e luce anche se il freddo dell’inverno non era ancora scomparso. Erano tutti ben protetti con cappotti pesanti e scarpe per camminare. L’idea era stata di Percy, l’unico insieme a Ron, ancora alla ricerca di una compagna. Ritrovarsi, come facevano loro da piccoli, in un enorme prato a giocare. Si erano organizzati in poco tempo e ci erano riusciti. Tutti i fratelli Weasley con mogli, marito e figli in quell’enorme prato verde che ricopriva la Collina delle Querce, a pochi chilometri dalla Tana. Per un pomeriggio di giochi e tranquillità. Ginny aveva allargato l’invito anche ad Hermione, che però era nei primi mesi di gravidanza e aveva nausee improvvise a tutte le ore. Aveva preferito fermarsi alla Tana con Molly e Arthur e con Harry. Oliver era impegnato da qualche parte per una partita.

Dato che Harry e Ron ancora non si parlavano erano stati divisi nei due gruppi. Senza che lo sapessero. Tonks era stata invitata direttamente da Maggie ed Ernestine.

Dopo il rientro di Tonks da Hogwarts, nonostante lei e Fred avessero passato la maggior parte del tempo a pensare l’uno all’altra, non avevano mai più affrontato argomenti riguardanti la loro relazioni. Che però si erano interrotte. McKelley era sparito dalla vita di Tonks. Fred non usciva con nessuna da mesi. Entrambi avevano ripreso il solito ritmo “familiare”. Fred preparava le figlie al mattino e le portava all’asilo, Tonks le andava a riprendere il pomeriggio e stava con loro fino a sera, si fermava per cena e per parlare un po’ con Fred e poi ritornava a casa sua. Sembravano muoversi fuori dal tempo. George e Lucinda tentavano ogni tanto di spronarli a parlare di qualcosa che non riguardasse il lavoro o le bambine, ma senza successo.

Tutti i bambini in quel momento erano impegnati a guardare o rincorrere le pecore di un enorme gregge che stavano passando sulla collina. C’erano due pastori, che le accompagnavano e quattro cani da guardia. Probabilmente erano abituati ad avere a che fare con i bambini perché si erano fermati e avevano cominciato a rispondere alle loro domande con la massima disponibilità. Mentre Bill e Fleur, rassicurati di dove fosse il figlio, riprendevano a camminare per fare addormentare il piccolo, Charlie, Percy, Ron, Neville e Ginny erano tutti insieme ai bambini. Passeggiavano tra le pecore mostrandosi a vicenda tutto quello che vedevano di interessante e chiedendo spiegazioni a chi era disposto a darle. La moglie di Charlie era seduta sul prato intenta a completare delle corone di fiori per la figlia minore. Lucinda e George se ne stavano appoggiati ad una quercia solitaria, intenti a raccontarsi chissà cosa e a baciarsi.

Fred li osservava da distante, soddisfatto. Era in piedi appoggiato ad uno dei paletti di sostegno di un passaggio tra due campi. Il passaggio era fatto di tre semplici gradini di legno sostenuti da due paletti verticali ai due lati, sistemati come una V rovesciata, tre gradini per salire e tre per scendere. A destra e a sinistra dei paletti si alzava un piccolo muro di sassi. Tonks era appoggiata all’altro sostegno, a meno di mezzo metro di distanza. Entrambi avevano i cappotti ben chiusi, Tonks color ciclamino e Fred nero, in netto contrasto con il colore dei rispettivi capelli, e le sciarpe ben strette. Inoltre si tenevano le mani in tasca, anche se avevano i guanti. Non era ancora il clima per potersene stare fermi all’aperto.

“Invidio l’amore tra George e Lucinda,” disse Fred, rivolto al vento che gli scompigliava i capelli, un po’ troppo lunghi.

Tonks seguì il suo sguardo.

“Anch’io.”

“Pensi che tu e Remus o io e Angelina ci saremmo arrivati?” Era la prima domanda veramente personale che le faceva da mesi. Tonks ci pensò un attimo prima di rispondere.

“Con Remus lo pensavamo. Di vivere insieme come eterni fidanzati.” Tonks tolse lo sguardo dalla coppia quando cominciarono a baciarsi.

“Davvero?” Fred la guardò. “Non avevate altri progetti?”

“Non era il momento migliore per fare progetti, con la guerra in corso. E con la situazione di Remus. In realtà non gli ho mai chiesto nulla di più che stargli vicino. Non ho mai affrontato argomenti come il matrimonio o diventare genitori. Era così lontano anche da me pensare di diventare una mamma.” Il suono della sua voce arrivava a malapena da Fred a causa del vento che tagliava l’aria, rendendola ancora più fredda, nonostante il calore del sole.

Rimasero in silenzio per un bel pezzo.

“Avresti voluto figli da Remus?”

“Sì, immagino di sì, adesso. Non so se lui voleva o poteva averne.”

“Credo che amasse Harry come un figlio…”

“Sì, Lo sentiva come un dovere verso James e Lily. Aveva un forte senso del dovere e dell’amicizia.” Silenzio. “Più forte dell’amore.”

Silenzio.

“Anche dell’amore per te?” sussurrò Fred al vento.

“Sì, mi sono convinta di sì, con il tempo.” Era stato doloroso, ma lo aveva accettato.

Fred continuò a guardare verso le figlie, impegnate a parlare con lo zio Percy.

“Mi ricordo che eravate una coppia molto unita. Non vedevo ostacoli tra di voi, a parte i timori di Remus quando c’era luna piena. Eravate… persi nel vostro mondo quasi sempre.” Fred sorrise. “Sarebbe morto anche per te, Tonks, non solo per i suoi amici o per Harry. Io la vedo così.”

“Davvero ci guardavi?” Tonks gli rivolse uno sguardo sorpreso, ma Fred adesso stava osservando Ron che cercava di far cavalcare a Reggie una pecora mentre Maggie gira su se stessa come una trottola al vento.

“Sì,” le rispose senza girarsi verso di lei. “Tutti vi guardavamo. Ginny e Harry vi prendevano ad esempio. Angelina una volta mi ha anche fatto notare che io non avevo per lei lo stesso sguardo che Remus aveva per te. Quando le ho riposto che doveva lasciarmi fare almeno altri 10 anni di esperienza con altre donne per poterlo fare, mi sono preso una cuscinata memorabile in faccia.” Fred ridacchiava al ricordo. “Poi abbiamo fatto pace, ed è stata la parte migliore. Ho anche ringraziato Remus per questo.” Si girò a guardala sorridente.

Rimasero a fissarsi per alcuni secondi, poi Tonks distolse lo sguardo e lo riportò su George e Lucinda. Fred la fissò ancora per un po’.

E ci fu ancora silenzio.

“Come mai tu e Angelina avete scelto di sposarvi così presto? E di avere bambini così presto?” Toks continuava a guardare il prato davanti a sé.

“Per utopia, per pazzia. Perché lo abbiamo scelto tutti e quattro, non solo in due. Perché pensavamo che una nuova generazione fosse indispensabile. Perché eravamo certi del successo di Harry e che i nostri figli avrebbero avuto un futuro sicuro. Perché… perché sono arrivate, perché amavamo entrambi una famiglia numerosa. Io per abitudine e lei perché amava la mia famiglia. Era figlia unica in realtà. Perché avevamo poco più di 20 anni, un lavoro sicuro e tanta voglia di credere in qualcosa.” Fred aveva parlato senza esitazione. “A volte penso a come sarebbe stato rimanere senza di lei e non avere loro. Non mi piace stare da solo. Non ci sono abituato. Vorrei anche altri figli se ci sarà l’occasione, se cercherò l’occasione. Non voglio rimanere da solo. E non voglio semplicemente sostituire lei. Desidero creare una nuova famiglia.” Gli sembrava di essere un fiume in piena, raccontandole tutte le sue riflessioni. Ma doveva poterle dire che non cercava un’altra Angelina, ma un’altra compagna. Non avrebbe tradito Angelina né… chiunque sarebbe stata al suo fianco.

Tonks si sentì salire le lacrime agli occhi e maledì il vento che le sferzava la faccia. Incrociò le braccia davanti a sé e alzò le spalle a proteggere la testa. Ma le lacrime non cessavano di accumularsi.

Accidenti, accidenti, accidenti. Accidenti agli uomini e a Fred, accidenti al suo desiderio di fare una famiglia, accidenti a Remus che non c’era più e che le avrebbe evitato tutto questo. Accidenti alle lacrime che stavano scendendo sulle sue guance.

Fred accolse il silenzio di Tonks e lo assecondò. Aveva parlato anche troppo. Si era esposto anche troppo. Aveva detto chiaramente cosa desiderava.

Rimasero in silenzio per parecchio tempo.

 

La Tana – due ore dopo o poco più.

Arthur si guardò attorno alla ricerca di uno spazio sufficientemente ampio da accogliere lui e quell’aggeggio babbano che gli aveva appena regalato Harry e che doveva servire ad ascoltare musica presa da un sistema chiamato Inernet o simile del quale non aveva poi capito molto. Comunque non c’erano sedie libere. E neppure spazi sul tappeto. C’erano Weasley di prima, seconda e terza generazione ovunque. Nuore e genero, amici di famiglia.

Riuscì ad individuare uno spazio in un divano prendendosi in braccio il figlio maggiore di Bill che adorava quanto lui tutti quegli strani oggetti spesso inutili. Insieme cercarono di capire il significato dei tasti, dopo che il nonno era riuscito a ricreare con un incantesimo quella cosa chiamata “elettricità”.

In pochi minuti si unì anche il figlio di Charlie. Le altre quattro nipoti erano sedute al centro del tappeto, intente a disegnare su enormi fogli di carta che Molly teneva sempre a disposizione. Il resto della tribù beveva the caldo o burrobirra per riscaldarsi dalla passeggiata all’aria aperta. Il piccolo di Bill era al piano di sopra con la mamma per essere cambiato. Hermione era seduta vicino alla porta di casa, alla ricerca di un po’ d’aria che diminuisse il senso di nausea che l’attanagliava. Ginny e Ron erano con lei e stavano chiacchierando mentre Neville stava offrendo loro il the. Fred e Percy stavano cercando di trovare un senso ad un gioco di corde che era stato inventato a Hogwarts da qualche studente, che Neville aveva requisito quando uno dei suoi allievi aveva legato, senza possibilità di liberarla, una sua compagna di Casa, e che aveva portato ai gemelli per vedere se poteva diventare un loro nuovo prodotto. George e Charlie discutevano animatamente del campionato di Quidditch in corso, Molly, Lucinda, Tonks e la moglie di Charlie si scambiavano opinioni sfogliando un nuovo magazine con le foto di alcuni maghi famosi. Bill scese dal piano superiore con il piccolo in braccio, seguito da Fleur che non aveva perso neppure un po’ del suo fascino di Veela. Si mosse leggera per la stanza, avvicinandosi ad Hermione e facendole provare una crema profumata che aveva usato durante i primi mesi delle sue gravidanze e l’aveva aiutata molto. Nonostante la scarsa fiducia di Ginny, l’effetto fu immediato e molto gratificante per l’amica che riuscì ad aggiungere un biscotto alla tazza di the.

“Beh, Molly. Non puoi dire che non sia un bell’uomo!” esclamò Lucinda indicando alla suocera la foto di un mago molto giovane che giocava a Quidditch. “Giovane, giovane, ma carino.”

“Tesoro, non mi dirai che questi sono i suoi capelli. Secondo me chi ha fatto la foto ha fatto anche qualche incantesimo per migliorarla.” Molly era decisamente scettica.

“Anche secondo me,” concordò Tonks prendendo il giornale e guardando meglio. “Un giocatore di Quidditch ha quasi sempre segni di lividi, se gioca costantemente.”

“Perché?” chiese la moglie di Charlie.

“Perché sbatti sempre contro qualcosa o qualcuno. Una Pluffa o un bolide se ti va male, un altro giocatore o qualche spalto del campo da gioco. E poi cadi spesso nelle azioni di allenamento, quando sbagli.”

“Non mi ricordo che i ragazzi avessero tutti questi lividi,” disse Molly pensierosa. George che era il più vicino le rispose, “Perché abbiamo imparato presto a curarci da soli. E poi non giocavamo così spesso come i professionisti.”

“Curarci cosa?” chiese Bill.

“I lividi del Quiddich,” intervenne Charlie. “Ricordi quando Fred ha tentato di sistemarti l’occhio viola che ti avevo fatto? Aveva sei o sette anni…” disse strizzando l’occhio al fratello maggiore.

“Merlino! Ne avevo due alla fine.” Bill spalancò gli occhi al ricordo.

“Freed… hai rovinato il mio maritoo?” intervenne Fleur guardando il cognato.

Fred stava ridacchiando. “Solo per qualche minuto, poi è intervenuto lui direttamente guardandosi allo specchio. Eri già ad Hogwarts, vero?” gli chiese Fred dall’altra parte della sala.

“E c’era Patricia Milton che lo aspettava, se non ricordo male,” completò George.

“Esatto, e voi due ci avete provato con me subito dopo, per capire dove avevate sbagliato!” intervenne Ron puntando un dito contro Fred.

“Ah, sì,” disse allora Arthur senza alzare la voce, ma ottenendo l’attenzione di tutti. “È stato quando ci siamo ritrovati a cena con Ginny che urlava perché nessuno le dava da mangiare e gli altri sei figli avevano tutti qualcosa di viola: Bill l’occhio che gli aveva fatto Charlie, Charlie un labbro per il colpo ricevuto da Bill, Ron un occhio per opera di Fred, Fred l’altro perché Ron gli aveva infilato un gomito come difesa e George… credo un occhio per simpatia con Fred. Percy aveva solo un maglione viola.”

“Mai giocato a Quiddich, io!” esclamò Percy con atteggiamento esageratamente altezzoso. “Troppo volgare e manesco. E poi non mi avrebbe permesso di studiare.”

Questo scatenò un gioco di battute tra i fratelli per sottolineare come il Quidditch avesse consentito a tutti di farsi un gran fisico, tranne Percy che, a detta di Charlie, aveva dovuto recuperare da grande per raddrizzare la gobba.

La discussione si concluse con Fred che puntando il dito verso Ron esclamò, “Hai costruito un lavoro sul tuo corpo, tu!” facendo scatenare le risate di tutti. Ron lo fissò con durezza. Ci mancava solo che per sbaglio qualcuno dei fratelli si facesse sfuggire davanti ai genitori che per mantenersi oltre alla guardia alla Gringott faceva anche l’accompagnatore per signore altolocate per conto in un’agenzia.

Per fortuna Tonks deviò l’attenzione ribattendo, “Beh, anche le guardie hanno un gran bel corpo, non solo i giocatori” ottenendo un bacio da Ron.

“Ok, allora, Hermione ha sposato un giocatore e Tonks usciva con una guardia. Discutetene un po’ e dateci un verdetto sul fisico ideale,” propose Bill indicando le due donne.

Tonks gli rispose spalancando gli occhi, “Dato che lei è ancora sposata con il giocatore e io non esco più con la guardia, credo che la scelta sia ovvia!”

“Grazie, Tonks, hai rovinato il complimento di prima,” si lamentò Ron, fingendosi arrabbiato.

“Allora chi vorresti al posto della guarrdia, Tonks?” chiese Fleur. “Un sciocatore?”

Tonks sentì chiaramente che più di qualcuno era in attesa della sua risposta. Non volle guardare verso Fred. Osservò invece lo sguardo divertito di Lucinda.

“È difficile trovare chiunque di questi tempi… e poi sono tutti impauriti dal fatto che credono che Ron sia mio fratello. Ti capisco Ginny,” sospirò, scatenando altre risate.

Ginny le si avvicinò ridendo. E sottovoce, senza farsi sentire da altri, le disse, “Gli unici a non avere paura di Ron sono i suoi fratelli, Tonks. Vedi tu cosa fare.”

 

 

Per Alektos: grazie!! Altri due e siamo arrivati all'epilogo...

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Capitolo 7
*** Trovare il coraggio di dirlo ***


7.    Trovare il coraggio di dirlo

 

La Tana – giugno

“Io vorrei sapere chi ha deciso che Neville deve arbitrare questa partita,” chiese, mani sui fianchi, Ron. Un Ron decisamente irritato. “Vorrei sottolineare che sua moglie gioca in una delle squadre.”

“Ron, non ci sono alternative,” gli rispose Harry, tranquillo. Per essere solo un mese che avevano ripreso a parlarsi se la cavavano benissimo. Zoppicavano ancora quando si trattava di dirsi chiaramente cosa era successo negli ultimi tre anni, ma sembravano essersi ripresi il loro ruolo di ‘ migliore amico ’ quasi del tutto. Sapevano che non sarebbero riusciti a stare l’uno senza l’altro. “Chi altri potrebbe arbitrare?”

Ron sbuffò poco convinto. “Papà!” esclamò.

“Già perché lui invece di una moglie, ha sette figli in squadra…” obiettò Oliver ironico.

Ron lo guardò con gli occhi socchiusi. Ogni tanto diventava irritante quell’uomo. Gran giocatore, ma irritante.

“Andiamo, Ron. Non rompere.” Bill chiuse velocemente la discussione. “Se Neville fa preferenze faremo intervenire papà come giudice inappellabile.”

“Non ho intenzione di fare preferenze per poi rischiare le ritorsioni di qualche Weasley, moglie o cognato,” annunciò serafico Neville, già a cavallo della scopa e pronto a controllare la composizione delle squadre. “Intendete giocare o preferite passare la prossima mezz’ora a discutere?” chiese indistintamente a tutti i presenti. Seguirono numerosi borbottii e parecchi assensi.

Da bordo campo Molly e la moglie di Charlie guardavano quello che stava accadendo con tutti i nipotini vicino, compresi i più piccoli e Hermione che ormai a fine gravidanza se ne stava seduta su un dondolo all’ombra di un albero insieme a tutti loro.

Arthur si prese la responsabilità di definire i capitani delle squadre di gioco, che poi avrebbero deciso i componenti di ogni singolo gruppo.

“Per evitare problemi il titolo di capitani va ai due giocato più anziani del gruppo: Bill tra gli uomini e Tonks tra le donne. Squadre semplificate con due cacciatori e non tre. Un portiere, un cercatore e due battitori. Ok?”

Il resto della tribù diede segni di assenso.

Bill e Tonks si portarono al centro del prato uno di fronte all’altra, pensierosi. La responsabilità era notevole. Una partita a Quidditch di quella portata non era un avvenimento da sottovalutare.

Arthur dava le regole.

“Portieri. Comincia Bill per anzianità.”

“Oliver. Naturalmente.” Oliver si spostò dietro di lui.

Arthur guardò Tonks.

“Ron, naturalmente.” Ron si mise dietro all’amica, appoggiandosi con noncuranza alla scopa.

“Battitori. A Tonks,” proseguì Arthur

“Charlie e… io.”

Charlie si avvicinò al fratello, mettendo una mano sulla spalla di Tonks.

“Fred e George.” I gemelli lo seguirono dando il cinque ad Oliver.

“Cacciatori, a Bill.”

“Fleur” e le sorrise. “E io.”

“A me Lucinda e Percy” disse felice Tonks. Bill la guardò meravigliato della scelta del fratello.

“Cercatore, a Tonks.”

Tonks si girò a guardare la sua squadra. Tre scattanti e due massicci. Voleva Ginny, ma l’equilibrio ne avrebbe risentito. Ma forse anche far giocare Harry con Ron. Si prese tutto il tempo per decidere. Poi la folgorò l’immagine di Ron che litigava con Ginny.

Harry e Ginny erano rimasti in piedi tra le squadre e aspettavano, tranquilli. A Ginny pareva di vedere i ragionamenti di Tonks che si muovevano nell’aria come delle gran nuvole. Lei si sarebbe messa con Bill. Per un buon equilibrio di forze. Harry aveva un sorriso ironico in faccia. Gli sarebbe piaciuto giocare con Tonks come capitano. Un pizzico di follia.

“Harry,” si decise Tonks, guardandolo. E sorridendo poi a Ginny. Che si avviò verso il fratello maggiore che l’aspettava a braccia aperte.

“Bene, adesso alcune regole generali,” annunciò Arthur. I bambini a bordo campo erano in silenzio adorante. Non era mai successo di vedere una vera partita a Quidditch con i loro genitori impegnati. E con un vero giocatore come Olvier. E con il nonno che dirigeva tutti.

“Volare basso, a parte i Cercatori e l’arbitro che avranno protezione supplementare per non essere visti dai babbani qui intorno. Non superare il punto massimo degli alberi. Neville arbitra. Lo fa anche ad Hogwarts, quindi il fatto che sua moglie giochi in una delle squadre non è decisivo. Si gioca una intera partita a meno che non arrivi prima l’ora di cena. Ma avendo pranzato da poco non dovrebbero esserci problemi. Chiaro a tutti?” e si guardò intorno. Tutti annuirono.

“Posizione,” disse risoluto Neville, aprendo il contenitore dove già si agitavano i Bolidi. Intorno a lui si alzarono dodici scope. Dai ripostigli di casa Wealsey erano usciti anche due intere divise che Molly aveva velocemente adattato a tutti dopo che le avevano indossate. Sei divise rosse e sei nere che si distinguevano bene nel cielo azzurro di giugno.

Neville prese il fischietto e diede inizio alla partita.

Nessuno dei giocatori, tranne Oliver, si allenava con costanza dai tempi di Hogwarts. Ron e i gemelli avevano a loro vantaggio notevoli giocate casuali con gli amici. Harry, a detta di Ron, non avrebbe sollevato un Bolide con la forza che si ritrovava dopo tutti quegli anni di dolce far niente al Ministero. Ginny, Fleur e Lucinda non giocavano da tempi immemorabili. Bill e Charlie da tempi lunghi. Tonks aveva un allenamento costante come Auror. Percy era un mistero per tutti, dato che nessuno lo aveva mai visto giocare seriamente.

E infatti fu Percy il primo ad individuare la Pluffa e spedirla rapido a Lucinda, che resa molto reattiva da quasi sei anni di costante attività con figlia e nipoti, riuscì ad inventarsi un passaggio a Percy che lasciò quasi immobili Fleur e Bill che non si aspettavano tanta agilità.

Percy spedì la Pluffa verso Oliver, mentre più in alto Fred cominciava a lanciare il Bolide contro Charlie che, senza pensarci troppo, lo ributtò, duro, a George.

Oliver riuscì a fermare la Pluffa con una mossa repentina che lo costrinse a rallentare notevolmente per non schiantarsi a terra.

Harry e Ginny si stavano ancora guardando in giro, alla ricerca del Boccino.

Neville, volteggiava nel campo osservando attento tutti i passaggi.

Intanto a bordo campo i bambini avevano tutti la testa rivolta al cielo e la bocca aperta dallo stupore. Mai visto uno spettacolo del genere.

“Ma il papà ha buttato quella palla contro la mamma?” chiese Ernestine, sorpresa.

“No,” la rassicurò Hermione. “Il papà deve vedersela con Ninpha e con lo zio Charlie. La mamma gioca contro lo zio Bill e la zia Fleur.” Esperta di Quidditch. Hermione doveva sottolinearlo a Ron, che ancora la prendeva in giro.

“Guarda dove sta andando zio Harry. E zia Ginny lo ha quasi raggiunto,” urlò il figlio maggiore di Bill puntando il dito verso il cielo e alzandosi in piedi.

L’urlo di Fred riportò tutti con lo sguardo alla mischia centrale. Il Bolide aveva preso in tronco di un albero che aveva deviato, con uno schianto sonoro, la sua traiettoria e stava puntando verso Fleur. Bill la avvicinò, ma Fleur se n’era già accorta e l’aveva evitata, lasciando che fosse Tonks, con rabbia, a rispedirla verso Fred.

Il gioco proseguì per un’altra mezz’ora senza colpi di scena particolari e con un ritmo che diede il tempo ai giocatori di rendersi conto di quanto fossero tutti fuori allenamento cercando di trovare un minimo di memoria delle partite fatte a scuola. Poi cominciarono ad osare anche qualche gioco di formazione, qualche passaggio a schema. Tonks e Bill riuscivano, grazie alla lentezza del gioco, a dare istruzioni alle proprie squadre.

Tonks stava lasciando mano libera a Charlie di distruggere a suo piacimento uno dei gemelli e a Percy e Lucinda di muoversi con passaggi corti e veloci contro Bill e Fleur che, legati agli schemi di gioco più organizzati di Hogwarts, facevano fatica a trovare un ritmo per contrastare quei due. Harry ogni tanto dall’alto guardava Tonks prendere con rabbia un Bolide e buttarlo nella traiettoria dei Cacciatori, per poi passare a parlare con i giocatori e dare istruzioni, che a suo parere, a volte erano contrastanti. Ron aveva molto più lavoro di Oliver in quanto Fred e George riuscivano a fare una barriera più serrata di Tonks e Charlie alle incursioni dei Cacciatori. Ma per ora nessuno aveva segnato. Tranne qualche tiro sbagliato contro i tronchi degli alberi.

I bambini si stavano animando e cominciavano a tifare a voce alta.

Poi arrivò il gol di Percy, tra la sorpresa generale di tutti. In realtà era un gol di Tonks e Charlie, che erano riusciti a mettere in difficoltà i gemelli e quindi a lasciare via libera ai passaggi di Percy e Lucinda. Fino al Bolide lanciato da Tonks contro Oliver che lo aveva sbilanciato a sufficienza da far passare la Pluffa di Percy in un angolino dell’anello centrale. Praticamente pura fortuna. Ma a nessuno interessava puntualizzare la cosa. Neville convalidò il gol e riprese Percy che stava facendo una strana danza della pioggia in aria per autofesteggiarsi. Percy lo accusò di scarsa sensibilità verso lo spirito libero dei topi di biblioteca. Neville gli ricordò che anche lui faceva parte della categoria e quindi aveva poco da raccontargliela, che la partita doveva ricominciare. Dopo la battuta di George che doveva ricredersi su chi comandava a casa, vista la determinazione del cognato, Neville fischiò nuovamente l’inizio del gioco, sotto lo sguardo ammirato della moglie.

Proseguirono per un’altra ora fino ad arrivare ad un pareggio momentaneo che risultò essere il punteggio finale. Infatti, mentre volteggiava in alto, osservando la sua squadra che prendeva posizione, Tonks sentì fischiare il bolide che le si avvicinava a per schivarlo andò a sbattere contro un ramo, più sporgente degli altri, dell’albero vicino a lei. Il primo ad arrivare fu Charlie che la sorresse sulla scopa. Sembrava essere una piccola botta sulla quale lei e Charlie cominciarono a scherzare, ma quando venne il momento di riprendere il gioco, Tonks prima si raddrizzò sulla scopa e subito dopo si piegò in due dal dolore, lanciando un grido. Fred che non l’aveva persa di vista neppure un momento, si allungò volando sulla scopa e si fermò secco al suo fianco, avvolgendole il braccio attorno alla vita per sorreggerla. Tonks gridò di nuovo.

“Le costole,” sentenziò Fred a Charlie che l’aveva di nuovo raggiunta. “Ha qualche costola incrinata o rotta. Aiutami a prenderla.”

“Scendo da sola!” boccheggiò tra il dolore Tonks.

“Tonks…” intervenne secco Fred.

“Aiutami a scendere, ma sulla mia scopa,” rispose altrettanto secca lei, respirando a scatti e a fatica.

Fred si sposò dietro di lei e lentamente la fece scendere a terra mentre Charlie lo seguiva tenendo con una mano la scopa del fratello.

Cercando di controllare respiro e dolore, Tonks si insultò per quella scelta così stupida. Sentire il corpo di Fred incollato al suo, una mano appoggiata delicatamente al suo stomaco, il respiro che le muoveva i capelli non era di certo la soluzione meno rischiosa che poteva trovare. E quella voce leggera e dolce che le ripeteva di non preoccuparsi, che sarebbero scesi e l’avrebbe portata al San Mungo per un controllo, non era un balsamo lenitivo, ma una scossa costante per le sue emozioni.

Messi i piedi a terra, Tonks si ritrovò distesa sul prato con Ginny che la controllava velocemente, muovendole la bacchetta sopra lo sterno. Chiuse gli occhi. Troppo teste rosse.

“Fred,” sussurrò.

“Cosa?” era in ginocchio di fianco a lei. Lo aveva visto sistemarsi a fianco della sorella.

“Le bambine. Avranno paura,”

“Sono con Lucinda, ho già controllato, stai tranquilla,” le rispose con un piccolo sorriso. Quasi fossero sue, pensò tra il divertito, lo scocciato e la speranza.

“Costole rotte direi, Tonks. Un paio almeno. Devi farti controllare al San Mungo perché te le riassestino,” sentenziò Ginny, guardandola con una espressione meno preoccupata di prima. Il grido dell’amica l’aveva messa in serio allarme.

“Allora non so rompermi più come una volta,” disse Tonks riaprendo gli occhi. “Non mi ricordo che facessero così male… me ne sono rotte altre gli anni scorsi.” Respirava veloce e leggera, per sentire meno dolore.

Fred le mise una mano sulla fronte. “Cosa vuoi, è l’età…”

“Stupido!” buttò fuori lei a bassa voce.

“Adesso, ragazza, dobbiamo portarti in ospedale. Preferisci in piedi o distesa?” le chiese Fred, rialzandosi. Maggie e Reggie arrivarono immediatamente a stringersi alla sue gambe.

“Ninpha…” Maggie la guardava con gli occhini spalancati. Reggie aveva un dito in bocca.

“Ehi, ragazze.” Sorrise loro. “A quanto pare, dobbiamo finire qui la partita. Devono risistemarmi un po’.”

“Ma poi torni?” le chiese Maggie. Fred mise ad entrambe una mano sulla spalla e le strinse a sé. Anche se facevano periodici controlli al San Mungo e lo conoscevano bene, il ricordo di Maggie sembrava arrivare ancora all’incidente della mamma.

“Certo! Ho solo un osso rotto. Quello che succede a chi gioca seriamente a Quidditch… Sapeste quante volte è successo ai giocatori veri.”

“Adesso la porto in ospedale per un controllo, poi la metto a letto. E ci vediamo a casa. Voi state con zia Lucinda, zio George e Ernestine, d’accordo? Io passo a prendervi quando Ninpha sarà zitta e addormentata a letto.” Fred si era piegato sulle ginocchia e stava parlando ad entrambe le figlie.

“Ma Ninpha può stare sola di notte, se sta male? Noi non possiamo,” gli fece notare Maggie, un po’ preoccupata.

Fred guardò Tonks, aspettando da lei una risposta.

“Sì, i grandi possono, Maggie.”

“Ma possono anche andare a casa di amici ed essere coccolati,” intervenne Ginny. “Vieni da noi, per questa notte,” le offrì.

Tonks provò a dire di no, ma intervenne anche Neville per chiudere la questione. “Stiamo così vicini, Tonks, che non ci sono motivi per dire di no. Andiamo.”

“Tutto deciso,” disse in fretta Arthur. “Adesso al San Mungo.” E fece cenno a Fred di muoversi. Ginny prese per mano le nipotine. Tonks cercò di alzarsi con evidenti smorfie di dolore, appoggiandosi al braccio e poi al corpo di Fred.

“Potrei portarti distesa, Tonks,” provò a dirle.

“No, non serve. Ma devi Smaterializzarmi tu. Non ce la faccio.

Nessuno degli altri presenti si offrì di seguirli o di aiutarli. Si era creata una involontaria solidarietà tra fratelli nel considerare Tonks una invidiabile futura cognata. E quello era un buon momento per lasciarli da soli.

Fred le mise nuovamente un braccio intorno alla vita e la fece appoggiare contro di sé. Lanciando un’occhiata al fratello e strizzando un occhio alle figlie per salutarle, si Smaterializzo con lei direttamente davanti all’entrata del San Mungo.

 

San Mungo – pochi attimi dopo.

Immediatamente al loro ingresso arrivò un guaritore che fece stendere Tonks e la controllò con la bacchetta come aveva fatto Ginny.

“Cosa è accaduto?” chiese rivolgendosi ad entrambi. Solo allora notò le divise che indossavano. “Ahhh, Quidditch. Professionale?”

“No, tra amici,” disse Fred.

“Sono un Auror,” intervenne Tonks. Subito il guaritore si fermò e le confermò che avrebbe chiamato qualcuno della sezione medica che seguiva specificatamente gli Auror. Qualcuno che avesse sotto stretto controllo, come era richiesto, la loro salute fisica.

Intanto la trasportò attraverso l’ampio corridoio dove c’erano persone in attesa di avere notizie dei feriti o degli ammalati che venivano controllati e curati in ampi spazi delimitati da divisori in metallo. Tonks finì dietro uno di questi e a Fred fu chiesto di aspettare fuori, seduto in una delle poltroncine per l’attesa. Si mise seduto e appoggiò con un sospiro la testa alla parete. Non gli piaceva essere lì, proprio per nulla. Ancora troppi ricordi. Con le bambine frequentava gli spazi del settore pediatrico, ma non si era più avvicinato al reparto dove era morta Angelina.

Sospirò profondamente cercando di non lasciarsi andare troppo ai ricordi. Ma era di nuovo lì, con la donna che amava e che stava male. Una situazione non paragonabile, ma comunque era di nuovo lì. Sentire Tonks gridare l’aveva terrorizzato. Il primo pensiero era stato che doveva dirle che l’amava. Prima ancora di pensare che doveva soccorrerla. Era arrivato prima Charlie solo per quello. Poi vedendo che si trattava solo delle costole, si era tranquillizzato. Ma doveva parlarle, non era più possibile aspettare. Chiuse gli occhi, la testa rivolta al soffitto. Doveva dirle che era innamorato di lei. Anche se aveva paura di perdere quello che avevano costruito in quegli anni, quella amicizia che ormai non gli era più sufficiente. Desiderava quella donna ben oltre il limite dell’amicizia. E non intendeva privarsi del piacere della loro amicizia. Che gran confusione che si era creata. Era partito tutto solo come un aiuto pratico ed era finito per diventare una scelta di vita. Cercò di svuotare la mente e di concentrarsi sul nulla per rilassarsi un po’. Si sfregò le mani sugli occhi per diminuire il turbinio dei pensieri.

Dopo meno di mezz’ora la parete scorrevole si aprì e Tonks uscì, in piedi, sorridente.

“Tutto fatto,” gli disse. “Due costole rotte e riaggiustate. E un po’ di medicine per aiutare le ossa,” gli mostrò il sacchetto trasparente nel quale si intravedevano due contenitori di vetro pieni di liquido colorato.

Dietro di lei uscì la guaritrice che era entrata poco dopo di lei. Le mise una mano sulla spalla per salutarla, poi vide Fred e si fermò interdetta.

Tonks notò lo sguardo e li presentò.

“Elizabeth Gressy, guaritrice e Fred Weasley, un mio amico.”

“Weasley…” ripeté la guaritrice. “Piacere,” e gli diede la mano che Fred strinse deciso. “Parente di Percy Weasley?”

“Sì, sono uno dei fratelli,” confermò Fred.

Alla guaritrice si illuminarono gli occhi. “Oh, non lo vedo da quasi un anno. Me lo può salutare?”

Fred si mantenne serio a fatica. “Certamente.” Se suo fratello Percy riusciva a far illuminare in quel modo una donna c’era qualche cosa che lui non sapeva.

“Grazie,” e si girò per salutare anche Tonks.

Quando furono quasi fuori dal reparto Tonks gli disse, cercando di suonare casuale, “Credevo fosse un colpo di fulmine, da come ti ha guardato.”

“Bah, no. Sembrava che avesse visto un fantasma,” la corresse Fred. Poi le mise una mano sulla spalla. “Nessun dolore?”

Tonks si lasciò scivolare verso di lui, stanca. “No, ho ancora l’effetto dei medicinali.”

“Andiamo direttamente a casa di Neville e Ginny?”

“No devo prendere delle cose a casa mia per la notte.” Non voleva andarci da sola. Era sfinita, puzzolente e sporca, ma per una volta aveva Fred solo per lei. Senza altre persone intorno. E non intendeva rinunciare neppure ad un secondo di quel tempo. Anzi, poteva anche permettersi qualche lusso, per una volta. “Puoi Smaterializzarci tu, ancora? Così non faccio troppi sforzi.”

Fred annuì e stringendola a sé li fece arrivare davanti a casa sua.

 

Casa di Tonks – tardo pomeriggio

 

La casa era chiusa e buia. Una volta entrati e spalancate le finestre Fred si rese conto che era anche piccola. Molto piccola. Non l’aveva mia vista prima in tutti quegli anni. Era sempre stata Tonks ad entrare nella sua vita, non il contrario.

L’ingresso dava direttamente in un’unica stanza con un angolo cottura e in fondo delle scale portavano al piano superiore dove doveva esserci la camera. Arredamento minimo. Molto semplice. Molto colorato. Quasi un arcobaleno di colori. Vide immediatamente le foto delle figlie in tre diversi momenti della loro vita. In una c’era anche lui. E poi una foto di Remus, al centro di un mobile con una quantità spropositata di libri. Tonks si avviò direttamente alle scale e al piano superiore. Senza chiedere il permesso Fred la seguì.

Quello era il mondo personale di Tonks. Tutti quei colori. Gli stessi che aveva insegnato ad usare alle sue figlie. Tanti libri letti e sparsi per la stanza. Vestiti buttati sulla sedia davanti al letto e nella parte del letto matrimoniale ancora intatta. Quella dove dormiva lei era un groviglio di lenzuola.

Fred si fermò a fissare il letto. Desiderava guardarla mentre dormiva. Vedere se i suoi capelli si arruffavano più del solito. Imparare quale fosse la sua posizione preferita. Riconoscere quando stava per svegliarsi. Sentire il suo respiro tranquillo vicino a sé. E desiderava tutto quello che poteva starci prima e dopo.

Tonks aveva preso una piccola sacca dall’armadio e ci stava infilando biancheria, un paio di jeans e una maglietta. Avrebbe fatto la doccia da Ginny e Neville.

Fred la guardò sistemare tutto infilandolo senza cura e sorrise pensando con quale cura piegava a sistemava i vestiti delle bambine. E a volte anche qualche camicia sua. Sentiva l’odore di Tonks che pervadeva la camera. Quel misto di cannella e spezie che sentiva anche sui vestiti delle bambine quando passavano molto tempo vicine a lei, a giocare o a farsi consolare.

Lasciò cadere ogni minima barriera che si era costruito. Non poteva aspettare. Voleva quel profumo solo per sé.

“Ninphadora…” la chiamò, piano, dallo stipite della porta al quale era appoggiato.

“Fred, sai che non lo sopporto quel nome.”

“Ninpha…” le disse di nuovo. Tonks stava cercando un pigiama pulito e non lo guardava. Lui intrecciò nervoso le mani.

“Fred …. Mi chiamo Tonks!”

“Nei miei sogni sei sempre Ninpha.” Lo sussurrò piano, naturale. Era così ovvio adesso, per lui, che poteva esserci solo Ninpha.

Tonks si fermò. Si fermò anche il suo respiro per qualche secondo. Poi accelerò all’improvviso. Chiuse gli occhi.

E si girò a guardarlo.

Oh, Merlino, Merlino, Merlino. Eccolo. Era proprio lì, per lei.

Quel sorriso, appena accennato.

Quel sorriso ironico e sbruffone che avevano sempre avuto tutti i Weasley e che adesso, rivolto a lei, era così sensuale. La stessa divertita sensualità con la quale George sorrideva a Lucinda, con la quale Ron aveva sorriso ad Hermione, con la quale Ginny sorrideva a Neville e Arthur a Molly. Con la quale Fred la stava guardando.

Tutta la stanza attorno a lei sparì. C’era solo lui che la sognava di notte e la chiamava per nome. E c’erano tutti quegli anni di amicizia e di dialogo, di battute e di discussioni che li avevano portati fino a lì. Tonks e Fred.

Tonks provò a parlare due volte, senza trovare la voce. Fred rimase fermo a guardarla, in attesa. Poi anche Tonks gli sorrise. E ritrovò la semplicità nel parlare con lui.

“Anch’io… oh… io ti chiamo sempre Fred.” La voce uscì quasi incerta, ma con il suo tono sornione, attenuato dal sorriso dolce e dalla luce degli occhi.

Il sorriso di Fred divenne ancora più grande. Si infilò le mani nelle tasche posteriori della divisa, come se fosse un po’ intimidito.

“Dato che ho cinque fratelli mi fa piacere sapere che non mi chiami solo Weasley…”

“Quale altro Weasley potrei volere, se non te?” gli chiese piano.

“Non lo so. Non mi interessa nulla adesso, se non te.”

Si guardarono in silenzio.

“Ninpha…” iniziò Fred. Poi si fermò. Fece un profondo respiro e allargò le braccia, con una smorfia. “Non voglio bruciare tutto mentre siamo qui sudati e con queste ridicole divise da gioco. Non dopo aver aspettato mesi.”

Tonks annuì. Mesi, come lei, aveva atteso mesi.

“Non so cosa pensavo di fare. Non avevo progettato nulla, se non che ti desidero. E mi piaci. E…” si fermò.

Tonks gli fece un piccolo sorriso. “E,” gli disse semplicemente.

“Adesso ti porto da Neville e Ginny, e ti lascerò come il solito.” La guardò deciso e stanco. “E faremo come il solito la prossima settimana. Poi venerdì sera George e Lucinda prenderanno le bambine e noi… saremo solo noi due. Puoi aspettare?”

“Fred…” gli sorrise dolce e divertita, in risposta, “mi farà male la costola tra poco. E farò fatica a muovermi. E non voglio preoccuparmi di dovermi svegliare per andare a lavorare il giorno dopo. E anch’io ti desidero da mesi, Fred. E mi piaci. E.”

Si sorrisero, meravigliati di tutta quella calma che li pervadeva, della tranquillità della loro voce.no parlando della loro e

Sentivano il cuore battere all’impazzata e i pensieri in testa sprizzare come scintille. Ma volevano il massimo adesso e non era certo un primo bacio in una stanza da letto disordinata, con una costola appena rimarginata, sudati dopo una partita di Quidditch sotto il sole. Era una serata per loro, lune di candela, del tempo da soli, la sicurezza che Maggie e Reggie fossero tranquille. Tempo per parlare e per baciarsi e toccarsi senza fretta. Venerdì sera. E notte. Di questo erano entrambi sicuri.

A fatica riuscirono a distogliere lo sguardo uno dall’altra e poi Tonks infilò il pigiama nella sacca e seguì Fred lungo le scale.

Arrivarono da Ginny e Neville a piedi, in pochissimi minuti, tenendosi per mano fino al cancello. Poi si separarono e quando Ginny accolse Tonks sulla porta, e Tonks si assicurò che Fred sarebbe andato immediatamente a dire alle bambine che il pomeriggio successivo sarebbe stata con loro, si abbracciarono per qualche secondo e Fred le appoggiò le labbra sulla fronte. Come faceva con Ginny. La quale li osservò in silenzio e senza dire nulla abbracciò Tonks e l’accompagnò in casa per fare una doccia.

 

Se ci sono errori nel Quidditch chiedo scusa....

Grazie, grazie a tutti quelli che hanno recensito.

Per Nonna Minerva: sapessi quanto ho riso per Under the table...

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Capitolo 8
*** Countdown ***


Sono arrivata in fondo. Ringrazio tutti quelli che hanno letto e recensito (in particolare Alektos per la costante partecipazione) e... forse potrà esserci un altro punto di vista, se la fantasia mi assiste.

Ciao e buona lettura.

 

8.    Countdown

Inizio luglio

Lunedì

Tonks si alzò dal letto a casa di Ginny e Neville un po’ dolorante. Medicine, colazione e via al lavoro. L’incidente le permetteva di avere un orario ridotto per l’intera settimana. Perfetto. L’impegno di un Auror, in quei tempi, era compatibile con orari d’ufficio o orari ridotti.

A metà mattina arrivò alla finestra del suo ufficio il gufo di Fred.

Sentì i brividi sulla pelle. Fred. Prese la pergamena, controllò di non essere disturbata e la aprì. La pioggia all’esterno batteva a ritmo con il cuore.

Lunedì… 1 bacio.

Vestiti sexy e pochi bottoni.

Divento imbranato con i bottoni.

- 4

Sorrise all’aria davanti a sé e non riuscì a togliersi il sorriso per lunghi minuti. Lisciò e lesse il biglietto più volte, pensando alla risposta. E godendosi quell’invito. Legò la sua pergamena alle zampe del gufo quasi mezz’ora dopo e la spedì a lui.

 

Fred si era alzato prestissimo, ma non riusciva a stare fermo, neppure mentre dormiva. Il letto era un campo di battaglia. Le bambine riflettevano la sua euforia ridendo e giocando più del solito. A metà mattina gli era venuta l’idea del biglietto e adesso, prima di pranzo, era in attesa. L’ultima lettera commerciale che aveva davanti l’aveva letta almeno sei volte senza riuscire a mettere una lettera insieme all’altra. George non gli aveva chiesto nulla, ma ogni tanto entrava in ufficio dal negozio, lo guardava e ridacchiava. Il suo gufo atterrò bagnato quasi un’ora dopo che lo aveva inviato. Prese il pezzo di pergamena.

Lunedì… 1 bacio

Non dirmi come vestirmi.

Puoi solo decidere come svestirmi.

-4

L’attesa metteva i brividi.

 

Alla sera si ritrovarono a cena. Nessuno dei due accennò allo scambio di pergamene. Parlarono con le bambine e delle bambine, della cena di giovedì alla quale di solito veniva Ron, ma alla quale si aggiungeva Harry per questa settimana. Si salutarono sulla porta. Fred le diede un bacio in fronte.

 

Martedì

Il biglietto arrivò ancora in tarda mattinata. Ancora con la pioggia. Tonks lo prese e lo tenne con sé durante un noiosissimo colloquio di orientamento con una nuova recluta, entrata nel suo ufficio pochi minuti prima dell’arrivo del gufo. Quando riuscì a liberarsene, chiuse la porta e lesse la pergamena.

Martedì…2 baci

Cena all’aperto.

Baci sotto le stelle.

-3

Cena all’aperto… chissà dove. Come doveva vestirsi? Oh, non riusciva a non pensare a quello. Sexy, lei? Doveva parlare con Lucinda. Anzi, doveva fare un controllo del suo armadio con Lucinda per decidere cosa mettere! Riprese il biglietto e pensò alla risposta.

 

Fred era alle prese con un emergenza familiare quella mattina. Maggie a scuola era scivolata e si era rotta un braccio. L’aveva presa con sé al San Mungo e l’aveva portata a casa con il braccio ricomposto, ma con una grande paura. Era il suo primo incidente. Mentre la cullava seduto sul divano, con lei quasi addormentata tra le braccia arrivò il gufo e atterrò vicino alla sua testa, appollaiato sullo schienale. Quando capì che Maggie stava dormendo allungò una mano e prese la pergamena. Il gufo paziente attese che lui la slegasse.

Martedì… 2 baci

Ti voglio in jeans e camicia.

Romantico.

- 3

Sorridendo, piegò il biglietto e lo annusò. Il profumo di Tonks. Anche lì.

 

Si videro il pomeriggio, quando Tonks arrivò a casa sua per dargli il cambio con Maggie che cominciava a sentirsi di nuovo tranquilla. L’aveva avvisata poco prima del suo arrivo, per farla venire direttamente lì e non alla scuola della figlia. Parlarono di Maggie per tutta la giornata. E alla sera entrambe le bambine avevano bisogno di essere coccolare a causa del temporale che imperversava all’esterno.

 

Mercoledì

Tonks era alle prese con una denuncia di furto al Ministero. Un piccolo problema interno. Stava leggendo gli interrogatori dei dipendenti coinvolti per cercare dei collegamenti quando arrivò il gufo. Un po’ in ritardo, pensò. Chiuse la porta e si sedette alla scrivania per leggerlo.

Mercoledì… 3 baci

Mi manca il tuo profumo.

Come lo posso avere?

- 2

Tonks rimare pensierosa per un bel pezzo. Farsi venire un’idea questa volta era difficile.

 

Fred aveva le gambe appoggiate al suo tavolo e guardava fuori dalla finestra. Chissà cosa le sarebbe venuto in mente. George entrò ridacchiando e scusandosi se disturbava i suoi sogni, ma era solo in negozio e c’era bisogno di aiuto. Forse Fred poteva rimanere un’oretta senza pensare a Tonks? Fred si alzò con l’aria di un adolescente scoperto dai genitori e seguì il fratello. Il gufo arrivò molto tardi quella mattina.

Mercoledì… 3 baci

Fino a questa sera.

Ti lascerò una parte di me a casa.

- 2

Fred riuscì a leggere la pergamena da solo in ufficio. Appena aperta sentì il profumo di Tonks, inteso. Sulla pergamena c’era un piccolo pezzo di stoffa che lasciava uscire il profumo di lei. Non aveva idea di quale incantesimo avesse fatto, ma quella stoffa stava benissimo dentro la tasca dei pantaloni e lo copriva di spezie e cannella.

 

Alla sera si accordarono per la cena del giorno dopo con Ron e Harry. Tonks lo avvisò che sarebbe passata al cimitero per Remus e sarebbe arrivata tardi. Quando se ne fu andata e le bambine furono a letto entrò in camera sua. Sul letto c’era un maglione di Tonks, aperto sopra il copriletto. Profumato. Se lo mise vicino al cuscino, mentre dormiva.

 

Giovedì

Tonks arrivò in ufficio quasi insieme al gufo. Meravigliata prese in fretta la pergamena. La aprì un po’ tesa.

Giovedì… 4 baci

Grazie. È stato con me tutta la notte.

Cosa posso fare in cambio?

- 1

Tutta la notte. Sospirò di gioia. E chiuse gli occhi per immaginarselo. Cosa voleva lei?

 

Fred attese ben poco la risposta. E poi quella sera non avrebbero avuto possibilità di stare molto da soli. Troppi ospiti per cena. George scuoteva la testa ogni volta che lo vedeva con lo sguardo perso nel vuoto. Secondo lui l’aveva proprio presa dura, questa volta! Aprì il biglietto.

Giovedì… 4 baci

Farti desiderare.

Farmi desiderare…

- 1

 

Alla sera Harry e Ron presero loro tutto il tempo. Harry aveva in programma un colloquio con Minerva McGrannit che si preannunciava difficile, dato che la Preside di Hogwarts non gli avrebbe nascosto la sua disapprovazione per la scelta disfattista che aveva fatto della sua vita, chiudendosi dentro il Ministero. E probabilmente lo avrebbe messo di fronte ad una scelta. Tonks li aggiornò sulla situazione dei professori e passarono parecchio tempo a parlare tutti e quattro di Quidditch.

Uscendo di casa, quando ormai i due uomini erano partiti, Fred la prese per un braccio e la tirò verso di sé, dandole un bacio lento e quasi impalpabile a lato della bocca. Un colpo di vento, una piuma. Gli occhi di entrambi si riempirono di desiderio. Poi senza aggiungere parole lei uscì e gli diede un veloce bacio sulla guancia. E tornò a casa.

 

Venerdì

Il gufo picchiò contro il vetro dell’ufficio di Tonks mentre leggeva la risposta di Lucinda alla sua richiesta d’aiuto per avere un consulente di abbigliamento, trucco e gestione dell’ansia per il pomeriggio. Lucinda si considerava arruolata insieme alle bambine che avrebbero giocato a casa di Tonks.

Prese la nuova pergamena, un profondo respiro e la aprì.

Venerdì… 5 baci

Arrivo da te alle 7.00 pm.

E non voglio lasciarti più.

0

Sorridendo e agitandosi sulla sedia cercò di concentrarsi sulla risposta.

 

Fred finì di risistemare alcuni documenti in ufficio, chiuse tutto e aprì la porta per andare a pranzo con il fratello, a casa sua. Il gufo lo fermò sulla porta. Corse a prendere la pergamena, leggendola in fretta.

Venerdì… 5 baci

Ti aspetto.

Per non lasciarti più.

0

Sorridendo raggiunse George che gli circondò le spalle con un braccio e gli chiese, serio, “Devo spiegarti qualcosa sulle api e i fiori o pensi di aver letto abbastanza libri?”

 

Casa di Tonks – tramonto

Primo bacio

Fred bussò a casa di Tonks alle 7.00 in punto. Vestito con un paio di jeans neri e una camicia grigia cangiante. Giacca appoggiata su un braccio. Pettinato e sbarbato. Con il maglione di Tonks in mano. Le bambine avevano approvato la scelta del padre, dividendo il loro interesse tra un papà vestito elegante e la prospettiva di un pigiama party con la cugina. Maggie gli disse che lo avrebbe disegnato per poi dare il suo ritratto a Ninpha. Reggie gli sorrise divertita da tutta quella gioia che sentiva attorno a sé.

La porta di aprì, ma dietro non c’era nessuno. Sentì Tonks gridare dal piano superiore, “Arrivo, aspettami in salotto.”

Rimase fermo al centro della stanza, guardandosi ancora attorno. Non c’era stato nessun tentativo di fare ordine. Poi dalle scale scese Tonks, sorridente.

“Ho svuotato il mio armadio con Lucinda e ho trovato qualcosa senza bottoni…” gli disse.

Fred la guardò. Con un abito rosso scuro, lungo e leggero, un “cosino” di stoffa infilato sulle spalle e chiuso con un nodo al suo fianco. Scarpe basse, capelli castani corti, sciolti e pettinati all’indietro. Spuntò il sorriso Weasley.

“Grazie…” le rispose, sornione.

“Grazie anche a te,” disse Tonks guardandolo dall’ultimo scalino. Lui le fece vedere il maglione e lo appoggiò allo schienale del divano e poi le si avvicinò e stese la mano, in attesa della sua.

Tonks allungò la sua per metterla sopra quella di Fred, che la strinse. “Adesso ti porto al ristorante. Lì vicino c’è una meravigliosa vecchia quercia. E ti bacerò. Con le prime stelle o al tramonto.” Tonks gli sorrise, entusiasta.

 

Looney Park – sera.

In pochi attimi erano davanti al piccolo ristorante all’interno del Parco. C’erano tavoli all’aperto, ciascuno con una grande candela al centro, abbastanza lontani da non disturbarsi l’uno con l’altro. Fred avvisò del loro arrivo, dicendo che facevano due passi lì attorno e poi si sarebbero seduti.

E sotto la quercia si abbracciarono, con esitazione all’inizio, con dolcezza poi. E parlarono di loro. E arrivò il primo bacio. Esitante, lento, lungo e profondo.

 

Secondo bacio

Seduti al tavolo, in attesa di ordinare, parlarono degli ultimi tre anni.

Seduti al tavolo, in attesa di quello che avevano ordinato, parlarono degli ultimi tre anni.

Mangiando quello che avevano ordinato, parlarono degli ultimi tre anni.

Tenendosi per mano il più possibile.

Poi, al momento del dolce, Fred allungò il braccio e prese un pezzo della torta di Tonks con la forchetta e la portò verso la bocca di lei, che la aprì guardandolo negli occhi mentre la imboccava. E Tonks restituì il favore.

Terminata la cena, andarono a camminare nel parco e tornarono alla vecchia quercia. E si baciarono, esplorandosi con le mani.

 

Casa di Tonks – notte

Terzo bacio

Arrivati davanti alla porta della casa di Tonks entrarono tenendosi per mano. Appena entrati Fred la spinse contro la porta. E si baciarono con foga.

La giacca di Fred e il “cosino” di Tonks finirono per terra.

“Ottima scelta, quell’affare che ho tolto,” le sussurrò Fred all’orecchio.

 

Quarto bacio

Il quarto bacio arrivò mentre erano sdraiati sul divano, proseguì mentre salivano le scale e finì molto molto tempo dopo, abbandonati e ansanti sul letto.

I loro vestiti contribuivano ad aumentare il caos.

Fred abbracciò Tonks e le sussurrò, “Ho notato che sei stata informata della fissazione degli uomini Weasley per il pizzo…” Tonks gli sorrise contro l’orecchio. “Volevo controllare se era vero…”

 

Quinto bacio

Fred si svegliò abbracciando Tonks. Con i suoi capelli rosa in bocca. Spostò la testa indietro e lentamente si staccò da lei, sedendosi sul letto e guardandola. Era sdraiata su un fianco, un braccio sotto il cuscino e l’altro abbandonato sul letto.

Si allungò sopra di lei e la baciò.

Parecchio tempo dopo, ma in orario con quanto concordato, scesero le scale, sorridendosi scioccamente, per andare a pranzo da George e Lucinda. Senza riuscire a non tenersi per mano.

 

Antivigilia di Natale – martedì sera.

Ron era sdraiato per terra, sopra il tappeto del salotto, a casa del fratello. Harry era seduto, anzi semisdraiato, sul divano di casa di Fred. Fred era seduto sullo schienale del divano, calzini ai piedi, piedi sul divano. Fred e Harry stavano chiacchierando del corso di Harry per diventare insegnate di Difesa contro le Arti Oscure ad Hogwarts. La McGrannit gli aveva offerto la cattedra quattro mesi prima, all’incirca, e lo aveva caldamente invitato a partecipare ai tre anni di formazione previsti per tutti i nuovi insegnati. Lui e Ginny per la cattedra in Trasfigurazione. Adesso Harry viveva a casa di Ron e Grimmauld Place era disabitata. Ron disteso a pancia in giù giocava con la nipotina più piccola ad una specie di braccio di ferro inventato da loro due che consisteva nel tentativo di Reggie di afferrare con la mano il pollice della mano sinistra di Ron che si muoveva mentre il pugno era fisso a terra. Reggie rideva battendo i piedi, mentre Ron si alternava tra un commento al dialogo tra Fred e Harry e una risata con la nipote.

Tonks era al piano superiore con Maggie per decidere quale vestito indossare per il giorno di Natale. Circa una settimana prima Maggie aveva cominciato a mostrare i segni di quella che Fred aveva definito “follia femminile da controllare”. Commentava i suoi comportamenti richiamandolo quando secondo lei si comportava male, accettava di parlare di vestiti solo con Tonks, guardava con sufficienza i giochi, secondo lei infantili, della sorella, commentava i suoi nuovi compagni di classe, aveva insomma opinioni su tutto. E le esprimeva senza remore.

La guardò scendere dalle scale lentamente, mentre ascoltava la descrizione di Harry dell’ultima lezione di didattica alla quale aveva partecipato, seguita da Tonks che aveva il suo solito, attraente, sorriso sulle labbra.

“Hai scelto Maggie?” le chiese.

La figlia annuì seria. “Ho provato con Ninpha. Sarà una sorpresa. Posso disegnare in cucina?” chiese.

“Fino al momento di preparare la cena.” Maggie i prese i suoi colori, carta e piuma e si arrampicò sulla sedia. Tonks andò a sedersi sul divano tra Harry e Fred e solo allora Fred scese vicino a lei per metterle un braccio attorno alle spalle. Reggie decise di raggiungere la sorella.

Continuarono a chiacchierare senza sosta del lavoro di ognuno di loro, del nuovo interesse di Ron per l’economia e del nuovo corso che stava seguendo (in realtà seguiva con interesse anche una delle docenti…) per destreggiarsi nelle trame bancarie, dell’incontro di Harry con Susan Bones con la quale aveva cominciato ad uscire pochi giorni prima, del prossimo matrimonio di Fred e Tonks previsto entro la fine di gennaio, del figlio di Hermione e Oliver che occupava tutta l’attenzione della sua mamma, della gravidanza inattesa di Ginny che aveva portato lei e Neville al settimo cielo, proprio perché quasi senza speranza, dei piccoli problemi di cuore di Arthur che stava facendo dei controlli al San Mungo e delle litigate sempre più frequenti tra Charlie e la moglie. Il rapporto di coppia fu un argomento molto dibattuto, dato che tutti erano coinvolti in prima persona in nuove relazioni e una osservazione casuale di Tonks sulla poca attenzione che secondo lei Oliver dava alla moglie in quel periodo fece impensierire sia Harry sia Ron, ancora legati profondamente all’amica. Ma sembrava una situazione transitoria.

Reggie arrivò in quel momento per chiedere di giocare con qualcuno perché Maggie voleva disegnare da sola. Tonks si alzò e la accompagnò di nuovo dalla sorella dividendo equamente gli spazi e il materiale tra le sorelle perché potessero disegnare entrambe. Maggie sbuffò un po’ per quella che considerava un’invasione, ma poi riprese a colorare il foglio davanti a lei dove c’era una grande macchia verde con tante persone attorno.

Tonks rimase a guardarle per qualche minuto e poi ritornò a sedersi sul divano. Fred la abbracciò di nuovo, accarezzandole una spalla. Tonks si abbondò sul divano, chiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dalle voci del suo fidanzato e dei suoi cognati, reali o meno. La decisione di sposarsi era di pochi giorni prima e nonostante avesse preteso da Fred un matrimonio tranquillo e semplice, la sua fantasia cominciava a spaziare tra vestiti da sposa, paggetti e torta di nozze. Doveva affrontare l’organizzazione con Fred. E chiedere consiglio a chi ci era già passato come Lucinda, Hermione o Ginny. Le bambine erano eccitate dall’idea, avevano capito che avrebbe vissuto con loro, che avrebbe diviso la camera con il papà, come facevano tutti gli altri zii e zie, che non era necessario chiamarla mamma se non volevano, che le regole di casa sarebbero un po’ cambiate, con questo nuovo ingresso. Aprì gli occhi solo quando sentì le bambine arrivare da loro.

 “Ma se adesso la mamma diventa Ninpha,” chiese Reggie, incrociando le braccia davanti a sé, “allora io lo posso avere un fratellino?” “Ah, ah, dovevano chiedervi questo!” esclamò Maggie. “Adesso si può?”

Ecco, questo non l’avevano previsto. E Fred stava certamente sorridendo all’idea di questi preparativi. Lo sentiva. E lo fece anche lei.

 

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