Danduly Street - Fred e Tonks di tonksnape (/viewuser.php?uid=2765)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La separazione e l'addio ***
Capitolo 2: *** Qualche mese dopo... ***
Capitolo 3: *** Una serata al pub per sole donne ***
Capitolo 4: *** Vivere normalmente? ***
Capitolo 5: *** Vivere in una famiglia che non è la tua ***
Capitolo 6: *** Cercando di capire senza parlare ***
Capitolo 7: *** Trovare il coraggio di dirlo ***
Capitolo 8: *** Countdown ***
Capitolo 1 *** La separazione e l'addio ***
1.
La separazione e l’addio
Planger Place -
notte
Fred Weasley rientrò
in casa quando ormai il sole era tramontato. C’era solo la luce dei lampioni che
illuminava artificialmente la strada e i giardini dei piccoli cottage che la
delimitavano. A quell’ora, quando il freddo cominciava a farsi sentire, c’erano
poche persone lungo la via e per la maggior parte erano precedute da un cane al
guinzaglio, assetato di un po’ di movimento e qualche cespuglio. C’erano anche
sporadici adolescenti che camminavano borbottando o fantasticando o cantando a
voce alta, con le spalle coperte da enormi zaini pieni di tutta la vita che era
possibile portarsi dietro in una giornata. Ma Fred non era interessato a nulla,
non vedeva nulla se non quel vialetto d’ingresso un po’ trascurato poco
distante.
Entrò nel piccolo
giardino di casa e si trascinò fino alla porta d’ingresso, la aprì e la chiuse
stancamente dietro di sé, lieto che le sue due figlie fossero con i nonni,
almeno per quella sera. Era rimasto alla Tana, la casa dei suoi genitori, per
gran parte del pomeriggio dopo aver passato tutta la notte precedente e la
mattina all’Ospedale San Mungo per malattie e ferite magiche. E alla Tana aveva
voluto e dovuto giocare con le sue bambine per tutto il tempo possibile, mentre
i genitori, i suoceri, i fratelli, i cognati parlavano con lui o di lui. Le sue
mani raccoglievano e lanciavano giocattoli e la bocca emetteva piccole grida di
gioia in risposta a quelle delle bambine, ma la mente ritornava alla notte
precedente quando Angelina se n’era andata.
Si erano sposati così
velocemente, consapevoli della precarietà di quello che c’era attorno a loro,
della lotta tra Harry Potter, il Prescelto, il ragazzino magro e ostinato che
conoscevano da quando era arrivato a scuola con suo fratello Ron, e Tu-Sai-Chi, il
male personificato che neppure adesso trovava qualcuno disposto a pronunciarne
il nome. La battaglia tra tutto il mondo magico e i Mangiamorte. Si erano
sposati non appena il negozio si era avviato con sicurezza. Il negozio di giochi
e di scherzi immaginato durante gli anni della scuola e realizzato non appena se
n’era offerta la possibilità. Si erano sposati poco dopo
George, suo fratello gemello, e Lucinda, solo pochi mesi dopo. Angelina si era dedicata alla casa e poi
al suo lavoro. E erano arrivate le loro meravigliose bambine. E avevano
progettato il loro futuro non appena avevano sentito il senso di libertà che la
vittoria di Harry aveva regalato a tutti.
Quattro anni di
matrimonio, brevi e intensi, poi la malattia e l’addio.
Anzi non c’era stato
neppure il momento dell’addio. Semplicemente si era accasciata a terra, vicino
al negozio “Tiri Vispi”, dopo aver lasciato con lui le bambine per fare un
colloquio di lavoro. Solo questo. Non si era resa conto delle grida dei
passanti, del suo arrivo trafelato dopo che un conoscente lo aveva avvisato di
quello che era accaduto, del trasporto immediato al San Mungo, delle cure
intense alle quali era stata sottoposta, di quei sette lunghi giorni che aveva
passato silenziosa con gli occhi chiusi, rilassata nel letto
d’ospedale.
Non si era resa conto
di averlo lasciato solo. Solo con due figlie ancora piccole. Solo in mezzo ai
suoi genitori, ai fratelli, agli amici che erano arrivati da lui quello stesso
giorno e lo avevano aiutato, ascoltato, sostenuto fino alla
fine.
Sua madre aveva
pianto a lungo anche per lui, aveva accolto le bambine e, con sua sorella Ginny,
si era presa il pesante fardello di rispondere alle loro domande, dopo che lui
aveva spiegato loro che la mamma era molto malata e le avrebbe amate in
silenzio.
Suo padre, silenzioso
e prezioso, lo aveva stretto contro la sua spalla, lo aveva accompagnato ad ogni
colloquio con i medici, gli era rimasto vicino.
George, il suo
inseparabile fratello, ora più che mai, era la sua anima. Sapeva quando
doveva parlare anche per lui, sapeva cosa desiderava fare, sapeva cosa non
voleva sentire. Lo proteggeva. Non si erano mai fermati a parlare tra loro, non
gli aveva ai confidato il suo dolore, le sue paure. Ma George c’era
indipendentemente da tutto questo. Aveva chiamato la famiglia, organizzato la
cura delle sue figlie. A Fred sembrava essere sempre presente, anche quando si
guardava attorno e non lo vedeva. Ma dopo pochi minuti arrivava di fianco a lui.
Immancabilmente. Da solo o insieme alla moglie Lucinda, lasciando la loro
piccola Ernestine, che aveva la stessa età di Maggie, la sua figlia maggiore,
dai nonni o da uno zio.
Suo fratello minore
Ron e il suo famoso amico Harry Potter, pur nel pieno della loro attività di
Auror, erano riusciti spesso a fare da baby-sitter con le nipotine. Il suo
immacolato e perfetto fratello maggiore Percy aveva smobilitato il Ministero per
ottenere i migliori consulti medici per la cognata. I due fratelli più grandi,
Bill e Charlie, erano più distanti, ma arrivavano per una visita ogni giorno.
Persino Ninphadora Tonks, amica da tempo della famiglia Weasley e così legata ai
suoi genitori, aveva passato parecchio tempo con le
bambine.
Hermione Granger,
l’ultimo pezzo del famoso Trio Harry-Ron-Hemione, era via con il marito per una
delle sue partite a livello mondiale (Oliver Baston era ancora un nome forte del
Quidditch) e proprio quella sera ci sarebbe stata la partitissima di finale.
Anzi, erano stati tutti invitati. Una settimana prima erano tutti pronti ad
andarci.
Fred cominciò a
ridere sommessamente all’idea che potesse esistere ancora qualcosa di così
normale come una partita di Quidditch. Una stupida, insignificante partita di
Quidditch. Che non avrebbe mai perso fino ad una settimana
prima.
Ridendo e piangendo
si lasciò cadere su una delle sedie della piccola cucina di casa. Non aveva
toccato quasi nulla da una settimana. Solo i vestiti e i giochi delle bambine,
trasportati a casa dei nonni e qualcosa per lui e Angelina, l’indispensabile. Il
resto era ancora lasciato in disordine tra la cucina e le camere. Casa… che casa
poteva essere senza di lei? Avrebbe dovuto portare le bambine di nuovo lì
dentro. No. Non poteva ritornare lì senza di lei. Appoggiò le braccia sul
tavolo, si prese la testa tra le mani e continuò a piangere, da solo, al buio. A
lungo. Solo.
La
Tana -
notte
Alla Tana Molly
Weasley aveva appena finito di sistemare le due nipoti per la notte nella
vecchia camera dei gemelli. Scendendo le scale sospirò. Avrebbe voluto evitare
tutto questo al suo bambino, al suo Fred. Adulto, padre di famiglia,
proprietario di un negozio tra i migliori di Diagon Alley, ma pur sempre il suo
bambino. Quando erano nati i gemelli uno dei suoi pensieri più lieti era stato
che, qualsiasi cosa fosse accaduta, in quegli anni di paura e di incertezza,
loro sarebbero stati insieme. Sempre insieme. Si sarebbero
sostenuti.
Ma non aveva mai
pensato a questa tragedia. Quando i gemelli si erano sposati a pochi mesi di
distanza uno dall’altro pensava che fosse accaduto un miracolo. Che quei due
scalmanati potessero arrivare a decidere di fare una cosa così normale come
sposarsi giovani le era sembrato davvero un miracolo. E con sue ragazze così
“giuste” per loro. Lucinda e Angelina le erano sembrate il giusto equilibrio di
buonsenso per la pazzia di quei due inventori. Non credeva che avrebbero
affronto un impegno così importante e duraturo come un matrimonio con quella
determinazione. Lei la considerava ancora incoscienza, ma suo marito insisteva
che erano due ragazzi con la testa sulle spalle. Avevano o no aperto e gestito
uno dei negozi più redditizi di Diagon Alley? Avevano o no scelto la loro
carriera a 17 anni e quasi dieci anni dopo mantenevano il loro
impegno?
Molly raggiunse il
marito Arthur sul divano vicino al camino, sedendosi di fianco a lui che stava
leggendo il giornale. Senza guardarla lui allungò un braccio a circondarle le
spalle e la strinse contro di sé. Poi lasciò scivolare il giornale sul tavolino
davanti a loro e le sorrise con tristezza.
“Sono a letto?
Dormono?”
“Sì, sono brave
bambine. Maggie mi ha chiesto dove fosse il papà. Le ho detto che andava a
sistemare un po’ la casa. Abbiamo fatto bene a lasciarlo solo,
Arthur?”
“Non possiamo fare
altrimenti, tesoro. È da solo ora. Ma non lo abbandoneremo.” Sospirò
pesantemente. “Soffre e soffrirà Molly.” Chiuse gli occhi e appoggiò la testa
contro quella della moglie.
“Oh, Arthur, perché?”
sussurrò lei contro la sua spalla.
“Non lo so.” La
abbracciò ancora più stretta contro di sé. “Domani sarà una giornata pesante,
Molly. Andiamo a letto.” Con riluttanza si alzò e diede la mano alla moglie.
“Hai fatto l’incantesimo alla stanza per sentire le bambine se piangono?” Molly
annuì lentamente. Salirono le scale tenendosi per mano, in
silenzio.
Sede centrale degli
Auror – notte.
Ninphadora Tonks, o
meglio per tutti coloro, a parte rare eccezioni, che non volevano rischiare la
sua ira, solo Tonks, piegò la testa a destra e a sinistra, sentendo la tensione
dei muscoli rigidi e stanchi dopo 8 ore di guardia esterna per gli Auror,
servizio del Ministero per il quale lavorava da anni. Aveva camminato per tutto
il pomeriggio e aveva trascorso le ultime tre ore a controllare verbali e
documenti di arresto e di interrogatorio seduta in uno degli uffici,
microscopici, puzzolenti e tetri. Domani c’era il funerale di Angelina Weasley.
Quanto avrebbe voluto evitarlo. Dopo la morte del suo Remus, i funerali le
mettevano angoscia, tanta angoscia, più che tristezza. Ma lo doveva a Molly e
Arthur innanzitutto. E anche a Fred.
Aveva trascorso
parecchio tempo a casa Weasley nell’ultima settimana. Molly era distrutta dal
dolore per Angelina e per suo figlio. Tonks aveva notato, già dai primi giorni,
che Molly preferiva parlare con lei del suo dolore, più di quanto non facesse
con la figlia minore Ginny, che pure le rimaneva accanto tutto il tempo che le
era possibile. Quando stava per chiederle come mai era stata Molly a
risponderle, inconsapevolmente.
“Sai tesoro,” le
aveva detto guardando i punti di un lavoro a maglia che aveva iniziato per uno
dei nipoti, la voce roca e triste, “a volte devo ripetermi che i miei ragazzi
sono grandi… anche la stessa Ginny. È così brava con i nostri nipoti, sa cosa
dire, sa essere dolce e determinata. Eppure non riesco a parlarle come faccio
con te, come un adulto. È sempre la mia piccola Ginny.” Sospirò. “E Fred… vorrei
che non dovesse passare tutto questo…”
“Nessuno se lo
merita, Molly. Un dolore così grande. Nessuno.” Le aveva riposto sottovoce,
sistemando la tovaglia sulla tavola per la cena.
Molly aveva sospirato
di nuovo. Poi si era fermata, pensierosa. E l’aveva guardata, con colpevole
dolcezza.
“Tu meno di tutti,
Dora. Remus ti manca ancora tanto, vero?”
Lei non aveva
risposto. Con le persone che le erano care parlare di Remus Lupin, di un uomo,
il suo uomo, morto pochi anni prima, che aveva amato fino a stare male, era
ancora una sofferenza che la portava alle lacrime, a volte. Aveva continuato a
sistemare, inutilmente, la tovaglia.
“Ninphadora, ma ne
parli con qualcuno, tesoro?”
“No, non
molto.”
“Quando vuoi io e
Arthur siamo qui.”
Lei aveva sollevato
lo sguardo, luccicante di lacrime che non scendevano, e le aveva
sorriso.
“Non lo dimentico
mai.”
“Dora… cosa possiamo
fare per Fred quando… quando tutto questo sarà finito?” La diagnosi era chiara e
definitiva ormai. Fred aveva ascoltato il responso dei medici insieme al padre e
a George, neppure un giorno prima. Da allora era insieme ad Angelina tutto il
tempo che gli era concesso, anche solo per dormire nel letto accanto al suo
qualche ora. Oppure era alla Tana con le bambine. A giocare, in attesa di dover
parlare loro, per le prima volta, della morte. Almeno con Maggie . Reggie era
troppo piccola.
“Io non so
esattamente cosa potete fare Molly. Io non sopportavo di avere troppa gente
attorno, non volevo parlare di lui. Non volevo dividere i miei ricordi con
nessuno. Ma nessuno di noi due aveva una famiglia alle spalle. E non ho un
fratello gemello.” Si mise seduta su una sedia, pensierosa. “Forse solo stargli
accanto e aiutarlo praticamente, quello che fate adesso,
Molly.”
Erano rimaste in
silenzio a lungo, muovendosi solo al pianto di Reggie che si era svegliata al
piano di sopra.
Tonks si riscosse dai
ricordi di qualche giorno prima. Era tutto finito adesso. Apparentemente. Per
Fred era il momento peggiore. Sarebbero stati mesi e anni
difficili.
Si alzò dalla sedia
nella quale era crollata nello spogliatoio e si preparò per una lunga doccia
calda e solitaria. Aveva volutamente allungato il tempo di lavoro per evitare di
incontrare chi finiva il turno con lei. Adesso aveva tutto le spazio per
sé.
Quando ritornò nello
spogliatoio, quasi mezz’ora più tardi, pronta a mettersi i suoi vestiti, sentì
delle voci nello spogliatoio maschile accanto al suo. Erano divisi solo da una
piccola parete che non raggiungeva neppure il soffitto. Nessuno aveva mai
considerato di dover affrontare problemi di poco rispetto reciproco e raramente
qualcuno invadeva lo spazio che non suo. Riconobbe le voci di Ron Weasley e di
Harry Potter che stavano preparandosi per andare a casa. Avevano finito il loro
turno di ronda a quanto pare. Oppure avevano chiesto di poter terminare in
anticipo.
“Ron, non vuoi fare
la doccia adesso?” Hary stava quasi sussurrando.
“No, non voglio
niente.” Tonks ascoltò la voce sfinita di Ron e poi il silenzio. “Harry arrivo
tra un po’, vai pure a casa.”
“No, non ti lascio
così. Andiamo insieme, ti farai la doccia quando arriviamo a casa.” E la voce
stanca e preoccupata di Harry.
Silenzio.
“Ron…” La voce di
Harry era un insieme di tristezza, ansia e affetto. “Ron…”
Tonks sentì il suono
delle lacrime di Ron. Non c’era rumore, ma sapeva che stavano scendendo.
Immaginò Harry seduto di fianco a lui. Intimidita dalla loro amicizia lasciò lo
spogliatoio per tornarsene a casa.
Ebony Route – tarda
mattina
Fred era fermo in
piedi davanti alla tomba appena ricoperta di terra di Angelina. Rigido, a
braccia conserte, fissava un punto della terra dove un piccolo sasso bianco
spuntava dalla terra rossiccia, appena sistemata. Dietro a lui, c’era George con
una mano appoggiata alla sua spalla. Entrambi indossavano abiti eleganti, da
cerimonia, le cravatte ben strette e allineate. Rigidi e composti.
Impietriti.
Fred non riusciva a
pensare. Aveva cominciato a immaginare cosa fare della casa, come organizzare le
sue giornate, a chi chiedere aiuto per le figlie, ma ogni pensiero si
interrompeva su quel sasso bianco. Aveva provato a chiudere gli occhi, ma non
riusciva a togliersi quell’immagine. Ogni tanto si ricordava che stava
respirando e lo faceva in modo controllato e profondo, poi dimenticava anche
quello. Sapeva che le bambine erano al sicuro con i fratelli o gli amici. Le
aveva volute al funerale, soprattutto Maggie che poteva cominciare a capire cosa
stava accadendo. Nessuna delle due aveva pianto. Erano rimaste in braccio o per
mano a lui. E lui si era rifiutato di piangere. Davanti a loro, mai. Se l’era
ripromesso. Non avrebbe nascosto la tristezza, ma le lacrime, sì. Alla fine le
aveva lasciate tra le braccia di Ron e Hermione. Sua madre piangeva tra le
braccia di suo padre. Ron si era preso Maggie e aveva cominciato a parlarle
delle piante e dei fiori che c’erano nel cimitero, mostrandole i colori e le
forme. Era riuscito a farla sorridere dopo pochi minuti. La piccola invece si
era addormentata tra le braccia di Hermione, che passeggiava vicino al marito,
sussurrandosi a vicenda qualcosa che aveva spinto Oliver ad
abbracciarla.
E lui era rimasto
fermo lì, con George. Gli occhi di entrambi fissi sulla
tomba.
“Quando vuoi
traslocare?” gli chiese il fratello.
“Eh?” si riscosse dal
torpore dei suoi pensieri. Prese un profondo respiro. “Appena trovo qualcosa che
mi piace…, ma devo ancora parlarne con le bambine…”
“C’è una casa a
McPhermont Street,” disse piano il fratello, con lo sguardo verso gli alberi di
fronte a lui, “a due piani… credo ci siano almeno 3 o quattro stanze da letto al
piano superiore e ha un bel giardino.”
“Già…” Fred girò la
testa verso George, con un lampo di interesse. “Sai il
prezzo?”
“Non è impossibile
secondo me, dato il posto e la grandezza.”
“Non ti ho mai detto
che volevo traslocare, comunque…” disse, pensieroso, Fred.
“Lo so,” confermò
tranquillo il fratello. “Ma è quello che farei io,” gli ricordò George. “Fino a
lunedì è tutto organizzato in negozio. Poi… ci sarebbero tutte le scartoffie…
quelle che io odio…”
Fred accennò
leggermente ad un sorriso. Amava suo fratello. Lo amava come una parte di sé.
Anche adesso che parlava di lavoro e di soldi lì in cimitero e solo per
scuoterlo un po’. Avevano pianto insieme troppe volte nell’ultima settimana. E
adesso tentava di dargli, una volta tanto solo metaforicamente, un calcio nel
sedere e farlo reagire. In silenzio prese la mano di George sulla sua spalla e
la strinse. Poi cominciò a camminare verso l’uscita. Sarebbe ritornato presto e
spesso da Angelina. Adesso c’erano le figlie. E un qualche futuro da
imbastire.
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Capitolo 2 *** Qualche mese dopo... ***
2. Qualche
mese dopo…
McPhermont Street –
tarda mattina
“Papà, i pantaloni
sono sporchi… io non li voglio!” Maggie, dall’alto dei suoi tre anni si tirò via
alla meglio i pantaloni e li lanciò, irritata, sul letto.
Fred, in piedi in
bagno, prese un gran respiro, prima di reagire. Chiuse gli occhi, li riaprì, si
prese in braccio, avvolgendola nell’asciugamano, Reggie alla quale aveva appena
finito il bagno, e andò nella stanza della figlia maggiore, che trovò ferma di
fianco al letto con le braccia incrociate.
Appena il padre varcò
la soglia, Maggie lo affrontò a muso duro.
“Io voglio andare a
casa!”
“Sei a casa, Maggie.”
Tono calmo e deciso. Come da manuale. Controllato.
“No.” Il labbro
inferiore stava pericolosamente tremando.
“Maggie, ne abbiamo
parlato anche ieri. Questa è la nostra nuova casa. È diversa da prima, dobbiamo
conoscerla bene. Ma questa è la nostra casa. Adesso dobbiamo andare dai nonni
per mangiare,è domenica, quindi rimetti i pantaloni che hai indossato questa
mattina e andiamo non appena ho vestito Reggie.”
“No!” Gli occhi si
stavano arrossando.
“Maggie, vestiti e
andiamo dai nonni. Lì ne parliamo insieme.”
“Voglio la mamma…”
cominciò a singhiozzare Maggie.
Fred chiuse per un
secondo gli occhi e strinse la bocca. Poi si mise Reggie appoggiata su un
fianco, che osservava curiosa la sorella con le lacrime agli occhi, si avvicinò
alla figlia maggiore per abbracciarla, ma venne fermato.
“Non voglio te,
voglio la mamma!” lo respinse Maggie.
“La mamma non può più
venire, Maggie,” le sussurrò Fred.
“Non è
vero…”
“Maggie
…”
Qualcuno bussò alla
porta di casa al piano inferiore. Fred si sentì sull’orlo delle
lacrime.
Si girò verso la
porta della camera e urlò verso il basso.
“Chi è?” con tono
chiaramente al limite della sopportazione.
Dopo un attimo di
silenzio arrivò la risposta.
“Tonks… ripasso
più…”
“Sali!” le urlò di
nuovo Fred come fosse ai suoi ordini.
In pochi secondi
Tonks arrivò alla porta della camera e si trovò di fronte Fred che le tendeva
Reggie sul punto di piangere, mentre alle sue spalle Maggie piangeva a dirotto.
Aveva lo sguardo un po’ allarmato per il tono con il quale l’aveva accolta il
ragazzo.
Non era la prima
volta che passava a trovare Fred. Lo aveva anche aiutato nella preparazione del
trasloco poche settimane prima, lo aiutava con le bambine quando lo
chiedeva.
Molly e Arthur
Weasley erano per lei quanto di più vicino poteva avere dell’idea di famiglia
dopo che i suoi genitori erano morti e metà della famiglia era imprigionata ad
Azkaban o uccisa dai suoi colleghi perché passata dalla parte dei Mangiamorte
durante la guerra. Dalla morte di Remus Lupin era sola e la famiglia Weasley era
il suo appoggio per sentirsi ancora viva. A parte qualche relazione occasionale
e momentanea. Andare regolarmente da Fred lo aveva preso come un impegno verso
Molly, che vedeva il figlio a volte troppo orgoglioso per chiedere
aiuto.
Quella mattina,
sapendo che era previsto un pranzo alla Tana, era passata per salutare. E si
ritrovava nel mezzo di una crisi familiare.
“Vestila per favore,
io devo parlare con Maggie.”
“Io non ti voglio!”
gridò l’interessata.
Fred chiuse gli
occhi, mentre Tonks prendeva in braccio Reggie e si spostava nella camera della
bambina più piccola parlando per tranquillizzarla. Sempre con il sorriso
continuò a descriverle tutto quello che stava facendo, dalla ricerca del
pannolino a quella del vestito e delle scarpine, giocando a trasformarsi il
colore dei capelli e facendole il solletico così che Reggie ritrovò in breve il
sorriso. A giudicare dalle grida della camera a fianco invece Fred era in seria
difficoltà.
Alla fine Fred arrivò
nella camera di Maggie, stravolto.
“Non ce la faccio
Tonks, ho bisogno di un cambio.”
Tonks lo guardò
triste. Lo preoccupava davvero quel ragazzo in quel periodo. Anche Molly le
raccontava di quanto teso e preoccupato fosse per la figlia maggiore che
dimostrava tutto il suo dolore per la mancanza della mamma arrabbiandosi con il
padre. E inoltre si era intestardito di fare a modo suo, senza l’aiuto di
nessuno.
“Provo a parlarle
io…” gli propose, anche se aveva scarsa fiducia nelle sue abilità di dialogo con
i bambini di tre anni.
Bussarono di nuovo
alla porta.
“No!” esplose Fred,
coprendosi il volto con le mani, esausto.
“Chi è?” urlò Maggie
dalla camera accanto.
Fred alzò lo sguardo
meravigliato.
“Lo zio Ron…” sentì
rispondere.
“Zio!” esclamò la
bimba e cominciò a correre giù dalle scale verso la porta.
Fred guardò
sconsolato Tonks.
“Non so cosa
fare…”
“Valle dietro…”
disse, un po’ a caso, Tonks.
Fred sospirò e scese
le scale. Tonks lo seguì con Reggie in braccio che tentava di infilarle una mano
in bocca.
Ron, appena entrato,
prese in braccio la nipote per salutarla.
“Ehi, abbiamo pianto
qui…” le disse serio e preoccupato.
“Voglio la mamma…”
gli rispose lei imbronciandosi.
“Tutti vogliamo cose
che non possiamo avere,” disse Ron sbrigativo.
Maggie lo fissò
perplessa e poi guardò il padre. Lo zio le sembrava poco simpatico in quel
momento. Molto meno del solito. E non stava giocando con lei. Si girò verso il
padre e stese le mani per farsi prendere in braccio. Sarebbe stata più al sicuro
con lui. Fred la prese velocemente con sé, lieto della tregua e della
possibilità di abbracciarla tranquillamente e guardò perplesso il
fratello.
“Cosa è successo?”
chiese Tonks, più veloce di lui.
“Ho lasciato
Grimmauld Place. Per non tornarci. Harry mi ha schifato, decisamente,” affermò
Ron sprezzante e irritato.
Fred e Tonks si
guardarono meravigliati.
“Gran bella giornata,
questa…” commentò Fred ironico.
“Papà,” disse Maggie
mettendogli le braccia al collo e stringendosi a lui. “Ma la mamma non torna,
vero?” gli chiese sottovoce, del tutto disinteressata alla rabbia dello
zio.
Fred la strinse a sé,
con forza. Lanciò uno sguardo di scusa al fratello che scosse la testa,
comprensivo. Gli fece segno che ne avrebbero parlato dopo. Si allontanò dalla
porta con Maggie in braccio.
“No, amore, non può.
Vorrei anch’io, ma non può,” rispose alla figlia.
“Neppure tu puoi
farla tornare?” gli chiese speranzosa.
“No, tesoro, neppure
io,” le confermò triste il padre.
“Davvero?”
“Davvero, Maggie.
Nessuno può farla tornare.” La guardò negli occhi con
dolcezza.
Maggie rimase in
silenzio. Fred le accarezzò i capelli.
Tonks intanto aveva
messo la mano libera attorno alle spalle di Ron e lo stava accompagnando verso
il divano, parlandogli a bassa voce. Reggie, incuriosita dai capelli quasi
rasati dello zio tentava di afferrare quelle punte rosse che aveva in testa,
senza successo.
“Papà…” cominciò
seria Maggie.
“Dimmi…”
“Tu non te ne vai
vero?” chiese quasi piangendo.
“No, no! Hai paura di
questo?” le chiese sorpreso e ansioso. Ma perché non riusciva a seguire il filo
dei pensieri di sua figlia? Aveva solo tre anni e già lo metteva in
crisi.
Maggie annuì in
silenzio, un po’ meno preoccupata.
Cercando le parole
più semplici che trovava Fred le parlò nuovamente della mamma e di quanto amasse
le sue figlie e di quanto avrebbe voluto rimanere con loro. Le ricordò che anche
lui le amava tanto e non le avrebbe lasciate. Le parlò dei nonni e di tutti gli
zii e le zie cercando di farle capire quante persone le volevano bene e si
sarebbero presi cura di lei e della sorella. Maggie lo ascoltò appoggiata alla
sua spalla. La parola “strazio” per Fred diventava ogni giorno più
significativa. Poi però, dopo un po’ di silenzio, Maggie rialzò la testa
sorridendo al padre.
“Non è vero che non
ti voglio… ma ero come…” strinse gli occhi alla ricerca delle parole giuste.
“Come lo zio prima!” concluse soddisfatta.
Fred le sorrise
sentendosi un peso in meno sul cuore. Fino alla prossima
battaglia.
“Ma cosa vuol dire
schifato?” gli chiese curiosa.
Fred guardò Ron che
strinse le spalle in segno di scusa.
La
Tana – alcune ore
dopo
Ron sedeva
imbronciato sul divano a guardare Maggie e Ernestine che cercavano di prendere
una bolla verde costruita con le alghe da Neville Paciock che volteggiava in
aria, ma senza riuscirci, mentre l’inventore, seduto di fronte a lui,
abbracciava e baciava sua sorella Ginny, trattenendosi notevolmente da ulteriori
effusioni, data la presenza di Molly e Arthur poco
distante.
Sembrava che fossero
passati molto più di tre mesi dal loro matrimonio. Era stata una giornata
piacevole e divertente, la prima dalla morte di Angelina. Tutto era stato
programmato da tempo e Fred aveva rifiutato categoricamente di far posticipare
l’evento. Lui e Ginny ne avevano parlato seduti davanti alla porta della nuova
casa dei futuri sposi dopo aver controllato il lavoro degli idraulici e dei
muratori che era stato concluso in giornata. Ginny gli aveva appoggiato la testa
su una spalla e lo aveva tenuto stretto per un braccio. Lentamente aveva
affrontato la data del suo matrimonio e la possibilità di spostarla, dato il
lutto recente del fratello. Fred le aveva circondato le spalle con un braccio e
le aveva dato un bacio in fronte. Voleva gente allegra attorno, aveva detto alla
sorella, voleva vedere sorrisi e sentirsi circondato dalla famiglia. Lui e le
figlie. Poi avevano continuato a guardare le stelle, parlando ogni
tanto.
Adesso Ron invidiava
la sorella. Notevolmente. Aveva lasciato Grimmauld Place da qualche giorno e
ancora temeva di vedersi comparire davanti la faccia arrabbiata e tesa di Harry.
Per parecchi mesi aveva sopportato il suo silenzio, la sua rabbia mascherata da
indifferenza, il disinteresse che dimostrava verso di lui e verso il resto del
mondo. Poi, una sera, se n’era tornato a casa dicendogli che lasciava gli Auror.
Semplicemente.
Ron chiuse gli occhi
ripensando agli anni dopo l’uscita da Hogwarts. Diventare Auror era il loro
sogno comune. Avevano lavorato insieme per arrivarci. Avevano condiviso ogni
momento negli ultimi sei anni… ogni momento di vita era stato insieme. Parlavano
di ogni cosa, seria o meno, si confortavano a vicenda, si sostenevano a vicenda.
Parlano, insomma. E quanto gli era stato vicino solo qualche mese prima quando
Angelina era morta. Negli ultimi tempi il lavoro era sempre meno interessante e
coinvolgente, lo riconosceva anche lui, ma lasciare la squadra senza farne
parola con il suo migliore amico né prima né dopo… si era sentito tradito,
abbandonato, aveva perso in poche ore tutta la sua fiducia in Harry. Pensava che
la loro amicizia sarebbe arrivata prima di ogni altra cosa, prima dell’amore,
prima del lavoro, prima dei problemi. Ma a quanto pare per Harry non era così.
Aveva scelto da solo.
E dopo averlo tradito
non si era neppure degnato di spiegargli i motivi della sua scelta, non aveva
parlato con lui per giorni, gli semplicemente comunicato che aveva accettato
l’incarico di Ministro della Guerra che gli era stato offerto. Ron avrebbe
voluto urlargli che la guerra era finita sei anni prima e oltre, che non c’erano
attacchi dei Mangiamorte da almeno quattro anni, che tutti i seguaci di
Voldemort erano in prigione… che accidenti di lavoro era occuparsi della guerra
in tempo di pace?
Ogni tentativo di
parlare con Harry, però, cadeva nel vuoto. Non rispondeva, cambiava argomento,
faceva finta di non sentire. Ron aveva avuto la tentazione di rompergli la
faccia a pugni parecchie volte, ma non aveva ceduto alla rabbia, tranne quando,
una sera, stanco e arrabbiato per una giornata di lavoro del tutto
insignificante e inconcludente, era rientrato nella loro casa e si era ritrovato
solo, con il cibo freddo nei piatti, il disordine della casa, poco curata da
Harry e aveva pianto di rabbia e di delusione. Gli stava crollando tutto
addosso. Ma non avrebbe aspettato di morire così. Aveva fatto velocemente le
valige con poche cose e aveva lasciato un pezzo di pergamena ad Harry
informandolo che se ne andava, che cercava un’altra casa. Quello che era stato
il suo migliore amico stava partecipando a qualche festa, oppure era già a
letto. Ma a Ron non interessava più. Voleva solo poter ricominciare a vivere
senza il dolore della vicinanza di Harry che sembrava non vederlo
più.
E adesso era lì. A
casa dei suoi. Che cercava di pensare a come far quadrare i conti, come prendere
casa e lasciare gli alloggi nel quartiere generale degli Auror, dove si era
rifugiato, sicuro che Hary non vi avrebbe messo piede, per potersi ricostruire
uno spazio suo, solo suo. Harry non si faceva sentire e vedere da giorni, forse
settimane. A dire il vero non si erano mai più visti. E Ron non lo aveva
cercato. Era arrabbiato in quel momento. Furente, per essere precisi. E guardare
Ginny e Neville felici e sereni lo faceva imbestialire ancora di più. A lui
quello non era stato concesso più dopo la fine della storia con Hermione. E
anche se fosse proseguita si sarebbero dissanguati emotivamente a vicenda. Non
si era pentito, ma a volte gli mancava la sicurezza di avere una persona al suo
fianco. Adesso non aveva neppure Harry.
Sul tavolo di cucina
Fred e George stavano discutendo dell’organizzazione del negozio, definendo la
distribuzione delle varie attività. Fred aveva ripreso a lavorare dopo poco più
di una settimana dal funerale di Angelina, dopo essersi occupato
dell’organizzazione della vita sua e delle figlie. Ma era stato un lavoro un po’
disordinato. Non amava più starsene con i clienti, presentare pazientemente i
prodotti o attirare la curiosità dei ragazzini provandoli con loro. Preferiva il
lavoro d’ufficio, le carte da controllare, ricevere e smistare gli ordini che
arrivavano.
“Allora,” puntualizzò
George, dopo un sorriso veloce alla moglie che discuteva di dolci con Molly,
“per quanto riguarda la vendita e la produzione siamo quasi a
posto.”
“Potremmo chiedere a
Lettie di lavorare in negozio,” propose Fred.
“Era brava con i
clienti,” proseguì George.
“Togliendole
l’amministrazione che prenderei io,” disse Fred.
“Potrebbe stare con
me tutto il giorno, ma l’invenzione…” aggiunse George.
“Quella no, voglio
farla,” chiarì Fred.
“Ci prendiamo del
tempo per noi, per sperimentare.” Gorge si rilassò sulla
sedia.
“Potremmo usare la
parte del negozio di Jackson che è rimasto vuoto.”
“Lo sistemiamo come
laboratorio.”
“Ci entriamo solo
noi, lo proteggiamo dagli intrusi.”
“Facciamo in modo che
da fuori non si veda né senta nulla.”
Si guardarono
soddisfatti. Avevano fatto un buon lavoro.
“Così posso uscire
dal negozio per andare dalle bambine se serve,” disse Fred rilassandosi contro
la sedia. “Anche per quando dovrò cominciare a portare Maggie
all’asilo.”
“Maggie può
continuare a venire con noi e Ernestine al mattino. Il pomeriggio se vuoi
Lucinda può tenere anche lei e Reggie.”
“Lo so. Ma vorrei che
stesse a casa nostra. Voglio che si affezioni alla casa nuova. Voglio che impari
ad amarla come uno spazio suo. Costa una baby sitter per il pomeriggio…
tanto.”
Fred ogni tanto si
chiedeva se stare troppo a lungo con le bambine lo aveva contagiato: i pensieri
si rincorrevano nella sua testa senza sosta, a volte senza concludersi, oppure
si contraddicevano l’un con l’altro. Era estenuante prendere una decisione in
quel periodo.
“Fred, ma avete visto
Tonks oggi?” gli chiese la madre, sovrastando le voci nella
stanza.
“È passata questa
mattina, prima che arrivassimo. Le ho chiesto di venire qui, ma era passato solo
a controllare che non ci fossero troppi problemi per me. Non so dove sia
andata…” Fred sapeva di non averle praticamente parlato quella mattina se non
per chiederle aiuto, senza dimostrare interesse per lei, ma proprio non aveva
spazio per pensare agli altri in quel periodo, nonostante Tonks fosse da sempre
una persona estremamente simpatica e divertente. Vide la madre sorridere,
soddisfatta. Lucinda, più pronta di lui, sorrise di riflesso e chiese: “Cosa sai
Molly che noi non sappiamo?” Per tutti Tonks era parte della famiglia, anche
prima della morte di Remus. E quindi era parte dell’interesse e della curiosità
di tutti.
“Ha conosciuto un
ragazzo…” lanciò il sasso Molly.
“Molly!” intervenne
secco il marito per fermarla.
“Andiamo, Arthur è
una buona notizia per lei,” rispose piccata “ed era ora che trovasse un po’ di
pace, la mia ragazza.”
“Beh,” intervenne
Ginny, lasciando stare per un attimo la faccia del marito che stava baciando,
per sviare un po’ il discorso e salvare l’amica, “almeno adesso posso dividere
lo spazio con qualche altra donna Weasley, senza essere il centro
dell’attenzione di tutta la famiglia. Dovrò ringraziare
Ninpha…”
“Tesoro,” disse,
giocando con lei, la madre, “non provarci. Ci sono novità?” chiese con aria
ingenua e ironica.
“Mamma! Siamo sposati
da tre mesi!” la sgridò la figlia, pentita dello slancio fraterno verso Tonks.
Neville non la aiutava ridacchiando divertito dell’imbarazzo della moglie. Il
resto dei fratelli cominciò a ridere apertamente. “Chiedi a Ron di darsi da
fare, invece. Lui viene prima e Percy anche!”
“Non mi mettere in
mezzo!” Ron la guardò preoccupato. “Parla con Percy, mamma,” propose
direttamente a Molly che rideva della sua reazione
imbarazzata.
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Capitolo 3 *** Una serata al pub per sole donne ***
3.
Una serata al pub per sole
donne
Elephant Route – la
stessa sera
“Ciao!” disse
sorridente Ginny alla faccia di Tonks che spuntava dal camino di casa sua. “Sei
rientrata ora?”
“Ah, ah. Ho visto il
messaggio che hai mandato,” le sorrise. “Certo che vengo a pranzo con te!
Quando?”
“Pensavo di chiamare
anche Hermione… ok?”
“Sì!” Tonks appariva
molto felice della proposta, molto rilassata. “Non sarebbe meglio a cena?
Avremmo più tempo. Con Neville a Hogwarts per le lezioni e Oliver ad allenarsi
anche voi non avete orario di rientro…”
“Anche tu?” chiese
ironica Ginny, lanciandole un’occhiata.
La faccia di Tonks
passò dall’ilarità, alla delusione, alla felicità. “Molly ha
parlato?”
“Ha solo accennato in
modo molto vago… mi è rimasta la curiosità e l’ho passata a Hermione.” Ginny la
guardava ridendo. Poche parole permettevano alle due di capirsi bene, dopo
lunghi anni di amicizia.
Tonks sorrise. “Non
ho problemi, a questo punto della faccenda. Faccio ancora quello che voglio
senza rendere conto a nessuno. Quando?”
“Giovedì, direi, se i
tuoi turni di lavoro lo consentono…”
“Me li sistemo.
Avvisa Hermione. Sarò a vostra disposizione… Ciao” E
sparì.
Ginny inviò
immediatamente la conferma all’amica. Una serata tra donne ci voleva in quel
periodo… Chissà se Lucinda poteva unirsi.
Monillouby Place -
sera
Tre giorni dopo si
ritrovarono a cena vicino a casa di Lucinda e George. C’era un pub, molto
carino, dove spesso andavano a pranzo o cena quasi tutti i componenti della
famiglia Weasley. Per quella serata le quattro donne avevano preso un tavolo un
po’ riservato, lontano dall’entrata che permetteva loro di chiacchierare
liberamente, anche a voce alta. Il proprietario le conosceva e aveva detto
chiaramente che quando fossero state pronte per ordinare potevano fargli un
cenno e sarebbe arrivato qualcuno. Fino ad allora nessuno le avrebbe disturbate.
Mentre l’uomo tornava dietro il bancone, Ginny, Hermione, Lucinda e Tonks
presero posto.
Ginny, neosposa con
ancora scatoloni da sistemare e un lavoro da inventare, tranne qualche ora di
sostituzione al’Ospedale San Mungo come aiuto guaritrice, dove indossava sempre
un camice, ne aveva approfittato per tirare fuori quei vestiti che non vedeva da
dopo il matrimonio. Per la precisione da quando Neville passava la maggior parte
del suo tempo ad Hogwarts dove lavorava come insegnante di Erbologia, anche se
la cattedra non era ancora solo sua. Questo voleva dire passare da sola le
serate da lunedì a giovedì e quindi ogni occasione per sfoggiare abiti attillati
e scollati era benvenuta. Aveva trovato una vecchia gonna lunga fino alla
caviglia, aderente che aveva comprato ancora quando stava con Harry e che le
stava decisamente bene e sopra aveva messo una “cosa”, come la chiamava Neville,
intimidito dalle sue scelte, che doveva essere una camicetta, ma che era
composta da un unico pezzo di stoffa che girava attorno alla vita e si
allacciava davanti con un gran fiocco, alla quale erano state aggiunte le
maniche. Dato che non aveva più 20 anni (se lo ripeteva per convincersi che era
cresciuta anche lei), sotto c’era un top dello stesso colore che le copriva il
pancino, sempre parole del marito, che di solito glielo accarezzava pronto a
procedere oltre ad un suo cenno.
Lucinda, uscita con
gioia dalla prima maternità, non aveva recuperato del tutto il peso che aveva in
precedenza, ma questo non interessava né lei né George. Adesso che potevano
lasciare la bimba alla baby-sitter senza preoccuparsi di poppate e pianti
disperati, avevano occasioni per uscire di casa, in coppia oppure con Fred.
Quindi il guardaroba si era aggiornato e conteneva anche quei nuovi jeans
luccicanti e fintamente tagliati e quella camicetta ricamata e scollata che
lasciava vedere una generosa scollatura, che George definiva “sempre molto
interessante”. Nell’ultimo periodo il lavoro di casalinga si era allargato e
comprendeva, oltre a casa sua, anche la nuova casa di Fred, almeno fino a quando
non avrebbe trovato un aiuto per sé e le figlie. In realtà Fred le lasciava ben
poco da fare dentro casa. Preferiva sapere che stava con le figlie a giocare
piuttosto che saperla impegnata a pulire o rifarei letti. Il legame fortissimo
tra suo marito e suo cognato l’aveva coinvolta e non riusciva più ad immaginarsi
senza la presenza molto discreta di Fred nella loro vita. Ora più che
mai.
Hermione viveva
ancora con difficoltà la propria femminilità. Si sentiva bene con quei completi
giacca e pantalone che indossava quasi ogni giorno nel suo lavoro di giornalista
e che per la serata era diventato un completo giacca e gonna. Aderenti ma molto
coprenti. Oliver ci provava ogni volta a convincerla a comprare qualcosa di
trasparente o di quasi inesistente, ma non c’era mai riuscito. Aveva avuto più
successo Ron, durante la loro intensa relazione durata qualche anno, con il
quale usciva anche indossando camicette trasparenti o addirittura minigonne (e
mai insieme). Ma dopo la loro rottura, voluta da entrambi, aveva preferito un
guardaroba più contenuto nel quale si sentiva più sicura. Quando faceva acquisti
con Ginny provava anche qualche capo un po’ più scollato, ma alla fine ci
rinunciava. Forse anche perché Oliver non era mai stato molto disponibile ai
complimenti e alle battute. Con Ron almeno aveva avuto più soddisfazione. Era
giunta alla conclusione che ad Oliver piaceva il suo corpo e adorava il suo
cervello, mentre Ron aveva adorato il suo corpo e fraternamente apprezzato il
suo cervello. Per praticità era inutile sprecare tempo e soldi per qualcosa che
non serviva.
Tonks era radiosa.
Palestra, allentamenti, turni di sorveglianza la costringevano ad un fisico
asciutto e scattante che poco aveva a che fare con femminilità e sex-appeal, ma
le permetteva “cosine” attillate (per riprendere le parole di Neville) e
pratiche. Per l’occasione pantaloni lunghi che delineavano le cosce e si
aprivano sulle gambe e camicetta piena di pizzi sulla scollatura e sulle
maniche. Gli occhi erano nuovamente luminosi. Fred non lo aveva notato durante
il loro ultimo incontro e gli altri maschi Weasley non dimostravano molta
curiosità, tranne forse Ron e Percy che guardavano sempre con attenzione le
donne. Invece Molly l’aveva sottolineato immediatamente quando era passata da
lei una settimana prima. Aveva visto il volto disteso e sorridente. Dalla morte
di Remus era sempre più difficile poterla vedere così radiosa. Quella strana
relazione che stava mettendo in piedi con un suo collega di una ditta di
sorveglianza privata le stava a pennello. Senza alcuno scopo se non stare
insieme per qualche ora, senza discussioni di sentimenti e di emozioni. Senza
pensare di dover sostituire Remus. Non era sostituibile. Era il suo unico
immenso amore. Morto durante il periodo di guerra con Voldemort, morto perché
era un incosciente, morto perché… forse perché era più importante quella guerra
dell’amore per lei. Questo pensiero aveva cominciato a serpeggiarle dentro da
pochi mesi e ancora non aveva avuto il coraggio di parlarne con Molly o con
Arthur. Se lo teneva chiuso in un piccolo spazio del suo cervello e controllava
che non uscisse troppo spesso a disturbare il resto della sua
vita.
Ma adesso erano lì
per parlare di uomini. Non necessariamente di quelli che avevano
spostato.
“Allora, Tonks,”
iniziò Hermione con piglio direttivo, appoggiano i gomiti sul tavolo e la faccia
tra le mani, “cominciamo dalle cose fondamentali. Nome, età, fisico, stipendio,
letto, idee per il futuro.”
Lucinda e Ginny
sorrisero, si misero comode sulla sedia e guardarono l’amica, in
attesa.
Tonks alzò un
sopracciglio con finta sorpresa, poi accavallò le gambe e decise di stare al
gioco… era divertente la cosa.
“Elias, 34, fisico da
palestra, come Ron, stipendio normale, letto in ferro battuto, idee scarse sul
futuro. Nessuna idea tranne cosa fare domani.”
“Ti prego, non farmi
pensare a te che vai a letto con qualcuno di simile ai miei fratelli!” buttò
fuori Ginny con una smorfia.
Hermione e Lucinda
spalancarono gli occhi guardandola sorprese e Tonks le indicò con le mani, con
identica espressione.
“È diverso. Loro li
hanno voluti e sposati o quasi, tu trovi altro paragonandolo a Ron! Almeno pensa
a … Harry, piuttosto, non mi metti in difficoltà.” Ginny aveva il tono
incredulo. “Ma Ron… per me è come fare il confronto con Neville. Non cambierei
mai! Voglio dire… è Ron!” spiegò con il tono di chi dice una cosa
ovvia.
Hermione si sentiva
pronta a difendere l’amico, ma per lealtà verso il marito rimase zitta. Lucinda,
che vedeva Ron come molto simile al marito, sia fisicamente sia come carattere,
non era molto d’accordo, ma preferì rimanerne fuori.
Tonks invece andò
dritta al punto. Aveva comunque 8 anni più dell’amica e maggiore
esperienza.
“D’accordo che per te
Ron è come il fratellino piccolo, ma guarda le cose in modo oggettivo.
Fisicamente è o non è attraente tuo fratello?”
Ginny rimase in
silenzio, un po’ sconcertata dall’osservazione. Effettivamente anni di
allenamento e di lavoro come Auror avevano riempito il suo fisico lungo e
mingherlino. La faccia, il naso lungo, le lentiggini, la tendenza ad arrossire
c’erano ancora tutte, ma il fisico era davvero ben fatto.
“Beh… in effetti,”
ammise quasi del tutto convinta. “È un bel guardare, il
fratellino.”
“Hai sei fratelli
niente male, Ginny. Lasciatelo dire,” disse convinta Tonks. “Chi li prende è
fortunata. Io li vedo dall’esterno e ti posso assicurare che tutti insieme sono
un gran bello spettacolo. Anche Bill nonostante gli effetti del passaggio di
Greyback. E la loro bellezza non si ferma
all’esterno.”
Ginny la guardò,
cominciando a capire il punto di vista dell’amica. “Allora provaci con Ron!” le
disse ridendo. “O con Percy. Sono gli unici rimasti.”
Tonks rise. “Troppo
piccolo e troppo inflessibile. Nooo!” le rispose con una
smorfia.
“Ritornando
all’argomento principale della serata,” riprese Hermione, mentre le risate
scemavano “il letto in ferro battuto è una bella scelta, lo trovo molto
romantico, ma poi come viene usato?” chiese senza alcun cenno di
timidezza.
“Oh, bene, bene.”
Tonks sorrise al ricordo. Le altre tre sorrisero di riflesso. Erano tutte molto
riservate e il discorse sarebbe finito lì. Ma qualche accenno e qualche battuta
sarebbe uscito nuovamente nella serata.
“E c’è un futuro?”
chiese Lucinda.
Era l’ultima entrata
nel gruppo delle donne Weasley, con Angelina. Hermione era della famiglia già
dai tempi di Hogwarts, indipendentemente dalla relazione con Ron. Le mogli di
Bill e Charlie erano più distanti per età ed interessi, ma loro cinque si
ritrovavano spesso a condividere problemi e vita quotidiana. Angelina aveva
lasciato un gran vuoto anche tra di loro. Era stata molto simile a Ginny per
intraprendenza e forza. Sembrava che a volte fosse lei a trainare Fred nella
coppia, anche se sapevano che erano molto uniti, equilibrati e condividevano
ogni scelta. Angelina aveva portato Lucinda con sé già da quando erano fidanzate
con i gemelli e Lucida aveva trovato un suo posto nella famiglia, senza che
nessuno invadesse il suo spazio personale. Senza Angelina si sentiva un po’
persa, le mancava una persona con cui condividere la vita di ogni giorno. Aveva
perso una grande amica.
“Futuro… mah, se per
futuro intendi cosa facciamo domani o il fine settimana sì, ma non oltre. Non mi
interessa,” disse Tonks convinta.
“Tonks, non sarebbe
il momento di cominciare a pensarci?” le chiese dolce
Hermione.
“No. Non ancora.”
Accettarono semplicemente la risposta.
Ginny ricordava
ancora Tonks e Remus quando erano fidanzati, durante i suoi due ultimi anni di
Hogwarts e la guerra con Voldemort. Harry e lei erano ancora insieme e quella
coppia così strana era per loro un riferimento. Si estraniavano dal resto del
gruppo per starsene soli, si guardavano negli occhi senza parlare per interi
minuti, sparivano insieme per ore, litigavano ogni volta che parlavano della
loro relazione e del loro futuro. Poi erano cambiati tutti, a causa della guerra
oppure solo perché erano cresciuti. Ginny aveva cominciato a notare quanto Remus
fosse legato al ricordo di James, Lily e Sirius e quanto la loro morte lo avesse
privato di una gran parte del suo futuro, che la relazione con Tonks non
riusciva a ridargli. Aveva visto Tonks accettare forzatamente la cosa, tentare
di toglierlo dai pericoli e dalle battaglie, evitare che si mettesse in
situazioni troppo pericolose fino al momento dello scontro con un altro Animago
che lo aveva portato alla morte. E Tonks aveva sofferto moltissimo per quella
perdita, aveva pianto tra le braccia di Molly e Arthur, aveva gridato il suo
dolore, si era colpevolizzata di averlo lasciato solo a morire. Poi piano piano
aveva risalito la china e adesso era lì, a sorridere di nuovo. Pensare al domani
le sembrava già una grande vittoria.
In quel momento di
silenzio Hermione fece cenno al cameriere che raccolse le ordinazioni e poi la
conversazione riprese, leggera e divertita, fino a notte.
Parlarono di mariti e
figli, di lavoro e di tempo libero, di case e di arredamento, di uomini e di
donne, di ricordi e di vita fino a discutere della situazione di Ron ed Harry
che ancora non volevano parlare tra di loro.
“Mi fate un riassunto
della situazione?” chiese Lucinda. “Ho sempre sentito pezzi di storia, ma non
cosa sia successo.”
“Beh,” iniziò
Hermione, che aveva ancora il legame più forte con entrambi, “Harry ha scelto di
lasciare gli Auror. Secondo lui il loro ruolo, per il Ministero della Magia,
diventava sempre più di facciata e perdevano invece tutti i compiti di
protezione e sicurezza che potevano avere. È vero che dalla fine della guerra
non è più necessario un sistema di sicurezza così ampio e potente, ma Harry
pensa, a ragione secondo me, che la sconfitta di Voldemort non significhi la
sconfitta di tutti i suoi seguaci o delle sue idee. Né la fine della delinquenza
comune o dei problemi di sicurezza. E così ha preferito lasciare. E agire
dall’interno come Ministro della Guerra. Ma ha fatto tutto senza parlarne con
Ron e Ron lo ha sentito come un rifiuto nei suoi confronti. Hanno sempre
condiviso tutto da quando avevano 11 anni e questo Harry non ha voluto
condividerlo con lui. Ma nessuno ha capito perché. E così secondo Ron l’amicizia
si è rotta. E anche di questo Harry non sa perché. Ma la cosa folle è che hanno
fatto tutto senza mai parlarne tra loro. Hanno deciso e hanno fatto. Hanno la
stessa idea e non vogliono discuterne. Ron la pensa esattamente come Harry sugli
Auror solo che preferisce pensare di usare la sua esperienza per il benessere
della gente in altro modo, non proprio andandosene. Non vogliono parlarsi. Sono
dei bambinoni, davvero. Ho urlato ad entrambi la mia idea.” Hermione aveva una
espressione triste e un tono arrabbiato. Sembrava pronta a prenderli a
schiaffi.
“Mio fratello è
stupido e Harry rasenta la depressione, questa è la situazione. E nessuno dei
due fa un passo per cercare una soluzione,” disse con convinzione Ginny.
“Secondo me Harry non sta neppure molto bene. È spesso da solo, parla poco,
sembra chiuso a riccio. Non parla neppure con me e
Neville.”
Ci fu un attimo di
silenzio.
“Io prendo posizione
con Ron,” affermò Tonks. “E non perché penso sia più intrigante di Harry,” disse
con un sorriso a Ginny che apprezzò la battuta e rise apertamente. “Credo che
Harry abbia ragione nella sua valutazione della situazione degli Auror.
Pienamente ragione. Rischiamo di diventare delle marionette da esposizione per
le parate senza avere davvero un ruolo chiaro di sostegno al Ministero, ma
lasciare così non ha senso. E dall’interno non farà nulla. Non glielo
permetteranno, secondo me. Meglio cercare di utilizzare al meglio le proprie
abilità per fare altro, bene e per gli altri.”
“Chi lo dice ad
Harry?” domandò con tono retorico Hermione. “Credo non ascolterebbe neppure se
stesso allo specchio.”
“No, se stesso no,”
concordò Ginny. “Lo vedo davvero male, Hermione. Dobbiamo fare qualcosa.” E
guardò l’amica sconsolata.
“Piano d’azione
comune, Ginny. Lavoriamo ai fianchi. Li invitiamo a cena, parliamo, ascoltiamo e
li facciamo ragionare. Come sempre abbiamo fatto, naturalmente.” Mentre lo
diceva Hermione si convinceva della sua stessa proposta. A Ginny si illuminarono
gli occhi.
“Neville ci aiuterà.
Lo ascoltano sempre quando parla pacatamente come sa fare lui. Sono solo io che
mi esaspero!” ammise con una smorfia.
“E tanto per
rimettere a posto anche il resto della famiglia come vedete Fred?” chiese
Tonks.
“Perché?” si
incuriosì Lucinda.
“Qualche giorno fa
sono passata nella nuova casa, per vedere come andavano le cose e l’ho trovato
parecchio in difficoltà.” Le altre tre donne la guardarono
sorprese.
“Fred dice sempre che
va tutto abbastanza bene…” disse Ginny.
“Oh, forse perché per
lui abbastanza bene vuol dire che riesce ad affrontare tre disastri alla volta
senza uscire di testa. Stava facendo il bagno a Reggie, Maggie era in piena
crisi di pianto per la mancanza della mamma, Reggie poi era sul punto di
piangere anche lei ed era ancora da vestire. Io sono arrivata a questo punto e
ho finito con Reggie e poi è arrivato Ron con la notizia di Harry. Fred mi ha
detto almeno due volte che non ce la faceva più.” Tonks era ancora preoccupata
per la tensione che aveva visto in Fred e forse anche perché non gli aveva più
parlato da quella mattina.
“Ma in realtà ha le
cose sotto controllo, sai?” la tranquillizzò Lucinda. “Voglio dire che si
organizza molto bene nella giornata e riesce a stare molto tempo con le figlie
sacrificando un po’ il lavoro.”
“Ci siete tu e George
con lui. E siete una sicurezza per lui,” sottolineò Tonks.
“Sì, certamente. E
non abbiamo intenzione di lasciarlo. Credo siano le situazioni impreviste che lo
preoccupano. Cioè… quando lui ha organizzato le cose poi non ha problemi ha
gestire le emergenze come una delle bimbe con la febbre o il dolore di Maggie,
ma quando non riesce a sistemare la situazione si sente un incapace. Come
George. Vogliono avere tutto sotto controllo. È per quello credo che riuscivano
così bene nel fare scherzi ad Hogwarts. Sapevano il chi, il come, il quando di
ogni cosa. E Fred vorrebbe questo anche per casa sua.”
“Ma cosa manca alla
sua organizzazione? Non chiede mai niente…” disse Ginny. “Se mi offro per tenere
le bambine so che gli faccio piacere, ma non so mai quando è meglio farlo. Mi
sembra che tutti ci muoviamo, ma in modo scoordinato.”
“Credo ci sia il
problema del pomeriggio. Quando le bimbe sono tutte a casa. Io le terrei con me,
ma Fred vorrebbe, ed ha ragione, che passassero il tempo a casa loro, per farsi
le loro abitudini, per crearsi i loro spazi. Ma diventa difficile farlo con
tutte e tre.”
“È un orgoglioso.
Perché non chiede?” sbottò Tonks. “Io posso farmi gli orari che voglio per le
ronde. Posso avere liberi parecchi pomeriggi alla settimana. E mi piace stare
con le ragazze. E so cosa vuol dire trovarsi da soli a vivere la vita che facevi
in due.”
“Diglielo tu,”
propose Lucinda, cercando di non essere troppo pressante. “Ne avrebbe bisogno
Tonks, davvero. Ma hai ragione, non chiede. Oppure lo fa
pochissimo.”
“Ma che stupido…!”
lasciò scappare Tonks.
“Detto da chi non ha
accettato l’aiuto di nessuno per mesi…” disse piano Ginny.
“Appunto!” ammise
Tonks. “Adesso che sono passati anni ti posso dire che è stupido!” le spiegò
decisa.
“Ah… autocritica,
allora…” la canzonò.
Tonks pronunciò,
senza voce, un gentile insulto. Ma si sentì capita fino in fondo da quella
ragazzina così dolce e determinata. E lo sguardo sorridente di Hermione e di
Lucinda, senza commenti o giudizi, la portarono a fare un sospiro di
soddisfazione.
“Adesso devo solo
convincere Fred che sono abbastanza organizzata e fidata da occuparmi di una
bambina di pochi mesi e di una di tre anni,” sospirò di nuovo, ma con
rassegnazione. “Non ci crederà mai… e non so se ci credo neppure io… Meglio che
gli dica che intendo provarci e vedere come va, prima di impegnarmi
troppo.”
“Beh,” disse in tono
rassicurante Lucinda, “nessun genitore o familiare è preparato se prima non
prova e si fa aiutare. Sei nella stessa situazione di tutti
noi.”
“Sì, Lucinda, ma sono
io,” e Tonks indicò se stessa. “Quella che rompe o fa cadere ogni oggetto con il
quale entra in contatto. Oh, Merlino, vedo già il latte caldo che corre per la
cucina e Maggie che ride guardando i miei capelli bruciati perché ho scaldato
troppo il biberon!”
Cominciarono a ridere
tutte e quattro senza ritegno, fino alle lacrime.
“In effetti,”
confermò Ginny quando riuscì a parlare, “neppure a Ron è mai riuscito
tanto!”
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Capitolo 4 *** Vivere normalmente? ***
4.
Vivere
normalmente?
Diagon Alley –
parecchi mesi dopo
Nel negozio “Tiri
Vispi” a quell’ora della sera stava finalmente calando il silenzio. Mancavano
solo pochi minuti alla chiusura, era buio e la maggior parte degli studenti era
a casa per la cena oppure ad Hogwarts nel bel mezzo dell’anno scolastico.
Mancavano poche settimane alle vacanze di Natale e quindi ad uno dei periodi più
caotici per George e Fred che stavano finendo di elaborare nuovi scherzi per
rinnovare il catalogo della loro produzione. C’erano alcuni scherzi che non
sarebbero mai tramontati, ma altri avevano bisogno di qualche nuovo
accorgimento, perché era stato ormai trovato il modo di neutralizzarli da parte
degli insegnanti. E inoltre li aspettava l’annuale colloquio con Minerva
McGrannit, Preside di Hogwarts, per valutare insieme quali giochi permettere o
meno dentro la scuola. La pensione di Gazza consentiva agli studenti qualche
scherzo in più, ma l’accordo che avevano trovato i gemelli Weasley direttamente
con la Preside da qualche anno aveva ridotto
notevolmente i rischi di esplosioni indesiderate o di odori indesiderati o di
ustioni indesiderate o di mal di stomaco indesiderati durante le ore di lezione
o i momenti di libertà.
Certo, l’accordo
prevedeva anche che tutto quello che non era vietato era permesso e questo
metteva in gioco l’abilità dei gemelli nel presentare adeguatamente i loro
prodotti alla Preside, evitando di sottolineare quali sottoprodotti avevano
effetti simili, senza essere esplicitamente vietati e alla Preside di allenare
la propria abilità nel trovare una falla nel ragionamento dei gemelli per poter
bloccare eventuali gentili raggiri nei suoi confronti. Un accordo generale
basato su criteri di sicurezza e di buon senso evitava di dover discutere di
giochi particolarmente pericolosi o troppo elaborati che gli stessi gemelli
inserivano direttamente nella lista dei giochi vietati ad
Hogwarts.
In quel preciso
momento George e Fred erano impegnati nel loro laboratorio di fianco al negozio
nel cercare di trovare un antidoto ad una caramella che rallentava i movimenti
della lingua rendendo difficile parlare, pensata per essere offerta agli
studenti particolarmente rompiscatole, e nel cercare di riprodurre in una
formula, accessibile alle persone oltre i 17 anni, tutto quello che era
necessario per creare una palude come quella che aveva permesso loro di tenere
in scacco la
Professoressa Umbridge al loro sesto
anno.
Insieme a loro c’era
il fratello Percy che analizzava le possibili implicazioni legali di uno scherzo
del genere per evitare di dover poi seguire un iter troppo lungo con il
Ministero per ottenere la legalizzazione del prodotto.
Fred e George erano
seduti ad un tavolo del laboratorio e stavano osservano i singoli componenti
delle caramelle per poter elencare i singoli antidoti e trovarne la modalità
corretta per metterli insieme, mentre Percy studiava la formula della palude
elencando i punti critici, poco lontano da loro.
Avevano dovuto
attendere la fine dell’effetto di una di quelle caramelle sulla lingua di Fred
che si era offerto di sperimentarle e era stato zitto per quasi tre ore nel
pomeriggio, ma dato che aveva sistemato carte in ufficio non c’erano stati
problemi.
L’unico inconveniente
era stata una chiamata di Tonks dal camino del negozio che chiedeva se c’erano
altri stracci in casa oltre quelli che di solito Fred teneva nel cassetto vicino
all’acquaio perché un tubo del bagno gocciolava e lei non aveva ancora trovato
la formula adatta a riparalo. Fred aveva detto a cenni di cercare nello
sgabuzzino sotto le scale. Tonks, sapendo con chi aveva a che fare, non aveva
chiesto spiegazioni ulteriori e l’aveva lasciato dicendogli di non
preoccuparsi.
Proprio quello che
Fred invece aveva fatto per i minuti successivi.
Non era preoccupato
per le figlie. Aveva visto Tonks con loro in molte occasioni durante l’ultimo
anno e si fidava di lei. Era attenta, dolce e decisa quando serviva, le
ascoltava e giocava con loro, sapeva riconoscere quale fosse il loro bisogno.
Aveva affrontato da sola crisi di pianto, tagli, bernoccoli, cadute, febbre
alta, varicella e morbillo dimostrandosi all’altezza. E le bambine la adoravano.
Passare il pomeriggio con Tonks per loro era come andare alle giostre. Se poi si
aggiungevano Ernestine e la zia Lucinda era una festa
totale.
Fred era preoccupato
per la casa. Con quella Tonks era decisamente maldestra. Sembrava avere una
attenzione eccezionale per tutto quello che poteva essere rotto o reso
inutilizzabile. In questo caso erano i tubi del bagno. Pur ammirando Tonks e
considerandola una cara amica, Fred sapeva con certezza che non si trattava di
una rottura causale. Non lo erano mai…
In altre occasioni si
era rotto il fornello o una sedia oppure lo specchio. E sempre perché Tonks si
era mossa troppo velocemente o troppo rudemente. Beh, si trattava sempre di cose
che succedono nelle case di tutti, ma nella sua e di pomeriggio, più spesso
delle altre.
Una sera rientrando a
casa aveva trovato Maggie che teneva per mano Reggie la quale aveva camminava
ancora barcollante e stavano entrambe guardando in alto verso Tonks. Era in
piedi su una sedia e guardava sopra un mobile della cucina dove di solito
c’erano le pentole meno usate. Fred si era fermato dietro a loro senza che Tonks
si fosse accorta del suo arrivo. Lei aveva la bacchetta tra i denti e un braccio
infilato dentro il mobile. A Fred erano stati necessari alcuni secondi per
capire che c’era un buco in cima al mobile e Tonks stava cercando qualcosa
all’interno. Senza accorgersene aveva cominciato a guardarle anche le gambe
fasciate nei jeans e su, su fino alle spalle coperte da una maglia sformata. Da
quando guardava Tonks come una donna? Non aveva finito di formulare la domanda
nella sua testa che si era sentito tirare i pantaloni e aveva guardato in basso
verso Reggie che gli sorrideva. C’erano persone più importanti di
Tonks…
“
‘Ao.”
“ ‘Ao anche a te,” le
aveva risposto facendole il solletico sotto il mento.
Maggie si era girata
verso il padre, aveva lasciato la mano della sorella, ben aggrappata ai
pantaloni del padre, e aveva alzato le braccia per andare da lui. Fred si era
chinato, l’aveva presa in braccio stringendola a sé e baciandola. Poi si era
chinato per prendere anche Reggie che stava nuovamente guardando verso Tonks. La
quale sembrava non essersi accorta di nulla. Alla fine aveva alzato il braccio,
tenendo ben salda una padella di acciaio. L’aveva agitata trionfante e si era
girata verso di loro, meravigliandosi di vedere Fred.
“Ah, ciao…” aveva
detto frettolosamente. Gli aveva passato la padella che Fred aveva afferrato con
la mano con la quale sorreggeva Reggie e poi si era girata afferrando la
bacchetta e aveva pronunciato velocemente un “Reparo” che, immaginò Fred, doveva
servire a far sparire il buco sul tetto del mobile.
Era scesa saltando
dalla sedia, gli aveva preso la padella e poi Reggie e andando verso i fornelli,
gli aveva spiegato.
“Sono passata da
Molly con le bambine oggi pomeriggio e abbiamo guardato l’orto e non c’era
nulla, ma poi ci siamo ricordati della serra fatta da Charlie e abbiamo trovato
qualche zucchina con i fiori ancora attaccati e volevo friggerli con la pastella
che dovrebbe,” si era interrotta per girarsi, aprire il frigo, mentre con il
gomito faceva cadere la padella, si girava la recuperava mettendola esattamente
nel punto da quale era caduta e prendeva lentamente dal frigo un contenitore di
vetro con del liquido dentro, “ecco… essere pronta.”
“Perché la padella è
uscita da sopra il mobile?” le aveva chiesto tranquillo Fred. A volte con Tonks
era necessario pensare di avere una figlia adolescente più che un’amica più
grande di lui.
“Perché per errore,
giocando con le bambine, ho colpito il mobile con un incantesimo che ha
incollato le porte e non avevo tempo di trovare il rimedio e allora sono passata
per sopra.”
“È più semplice,”
aveva detto convinta Maggie.
“Decisamente,” aveva
aggiunto sottovoce, perplesso, Fred. “Hai i capelli rosso ciliegia Tonks, e
anche il naso. E mi sembra più grande del solito…” aveva aggiunto, con
calma.
“Oh, Merlino,” aveva
esclamato lei, portandosi una mano sulla faccia e brandendo con l’altra la
bacchetta, nonostante tenesse in equilibrio Reggie, fino a riportare capelli e
naso nelle solite condizioni. Era arrossita un po’. “Stavamo parlando di
metamorfismo…” si era scusata, stringendo le labbra tra i
denti.
Fred le aveva sorriso
come se fosse la situazione più normale rientrare a casa e ritrovarsi in una
situazione simile.
Ecco, con Tonks era
normale.
Adesso, chiuso nel
laboratorio con George a guardare gli ingredienti delle “Caramelle Tartaruga”,
il pensiero di Tonks alle prese con i tubi del bagno di casa sua non era così
pressante. Lo era di più capire come potevano contrastare l’effetto di una
pianta che permetteva di far rallentare la lingua senza usare un antidoto che la
accelerava troppo.
“Ragazzi miei, questa
è una palude di tranelli!” esclamò a qualche metro da lui
Percy.
“Oh?” alzò lo sguardo
interrogativo George. Fred lo seguì un secondo dopo.
“Sarà un’impresa
evitare che ve lo boccino.” Percy allungò le mani in alto, stirando i muscoli
della schiena e guardò i fratelli, soddisfatto del loro lavoro, così accurato.
“Avete creato una palude di pericoli. Si rischia di finirci dentro da tanto bene
siete riusciti a mascherarla. Non potreste farla meno perfetta? Ci sarebbero più
possibilità!” Percy sospirò. Erano dei geni della magia quei due, davvero. Se si
fossero applicati un po’ di più sarebbero finiti a dirigere qualche laboratorio
di ricerca a livello mondiale invece che ad inventare giochi in un laboratorio
di Diagon Alley. Era folle dover chiedere loro di essere meno bravi per poter
riuscire a vendere il loro prodotto.
Entrambi strinsero la
bocca nella medesima smorfia, facendo sorridere Percy. Lo facevano anche da
piccoli quando gli veniva vietato di fare qualcosa. Era il momento in cui le
rotelline dei loro cervelli entravano in attivazione spasmodica. Rimasero tutti
e tre in silenzio per un po’.
“Provate a parlarne
con il vostro avvocato, prima di prendere una decisione. Potrei sbagliarmi
comunque. Oppure brevettatela per il Ministero.”
“La lascerebbero a
marcire in un sotterraneo in attesa che diventi di qualche utilità per poi
ricordarsi di aver dimenticato come funziona,” sbottò Fred, irritato. Non
lavoravano volentieri per il Ministero. Carte, protocolli e poca attenzione.
Almeno da quando Percy ci lavorava all’interno riuscivano a far fare a lui
parecchi passaggi.
Tutti e tre di
rialzarono contemporaneamente dalle sedie allungando le braccia e il collo
indolenziti.
“Fame,” annunciò
Percy. Si passò una mano tra i capelli perfettamente pettinati e poi si sfiorò
la barba che stava crescendo a fine giornata.
“Ah, ah,”
concordarono i gemelli.
“Vieni da me?” gli
chiese George.
“No, grazie.”
Prendendo dalla sedia la giacca e la borsa di lavoro, gli sorrise. “Sono in
uscita in Scozia domani per una riunione con il Ministro delle Relazioni
Internazionali. Devo uscire presto per controllare che tutto sia a posto,” gli
rispose Percy.
“Tu?” chiese a
Fred.
“Tonks era alle prese
con i tubi del bagno quattro ore fa…” disse sconsolato.
George e Percy
annuirono solidali. Sapevano cosa doveva aspettarsi Fred a
casa.
“Domenica dalla
mamma?” chiese George dopo un po’, quando erano tutti fermi sulla porta per
uscire.
Fred
annuì.
“Sì,” confermò Percy.
“Ci sarà Ron o Harry?” Da quando i due non si parlavano, ed era passato un anno
e mezzo, le domeniche a pranzo da Molly e Arthur erano
alternate.
“Che stupidi!”
commentò Fred. “Ma cosa ci guadagnano a stare così? E poi quando ci parli ti
dicono le stesse cose!”
“Dovresti sentire
Hermione o Ginny quando raccontano i loro tentativi di farli ragionare. Si
imbestialiscono come poche volte le ho viste,” disse Percy. “A volte persino
Hermione assomiglia alla mamma.”
Pochi minuti dopo –
Mc Phermont Street.
Anche se si trattava
di casa sua, Fred si sentiva a disagio nel presentarsi direttamente in salotto,
sapendo che Tonks era lì con le figlie e preferiva fermarsi davanti al portone e
farsi sentire utilizzando le chiavi di casa. E poi c’era il momento del saluto
delle figlie. Indispensabile per finire bene la giornata.
“Papà!” sentì urlare
da Maggie. Il rumore di piedi felpati che raggiungevano la porta e poi un
folletto dai capelli rosso scuro che gli sorrideva, pronta a farsi prendere in
braccio.
“Ciao!” urlò Tonks da
qualche altra parte della casa. “Maggie chiedi al papà quello che volevi
sapere.”
“Perché devo andare
all’asilo?” Oh, Merlino, pensò Fred, ecco il meraviglioso broncio di sua figlia.
Prese tempo togliendosi il mantello e sistemandolo
all’ingresso.
“Perché trovi i tuoi
amici e puoi imparare cose nuove.”
“No. Non voglio
amici.”
“Perché?”
“Perché sono tutti
cretini.”
“Meg, quella è una
parola che non mi piace. E non la voglio sentire da nessuno. Almeno sai cosa
significa?”
Maggie si fermò con
un dito davanti alla bocca, così inconsapevolmente simile alla madre, e ci
provò. “Lo zio Harry e lo zio Ron.”
“Eh?” sfuggì a Fred,
sorpreso. “Cosa c’entrano gli zii?”
“Lo zio Ron dice che
lo zio Harry è un cretino e anche lo zio Harry dice che lo zio Ron è un
cretino,” spiegò tranquilla la bambina.
“Io sono arrivata
fino a questo…” Tonks stava arrivando al seguito di Reggie che trotterellava
verso il padre per farsi abbracciare. Fred la prese in braccio, stanco.
Accidenti, aveva una famiglia grande? E allora che tutti venissero
coinvolti!
“Senti Maggie, quella
parola non mi piace. E dato che la senti dire dagli zii, la prossima volta
spiega loro che il papà non vuole sentirla e chiedi che te la spieghino,
d’accordo?”
Tonks alzò un pollice
per complimentarsi. “Ottimo passaggio di palla. Gran giocatore di Quidditch,”
gli sussurrò. Fred sorrise, divertito.
Maggie non sembrava
altrettanto convinta. “Ma io non voglio andare all’asilo.”
“Papà pappa!” esclamò
contemporaneamente Reggie.
“Certo, tesoro,” Fred
guardò Reggie, sorridendo. “Mangiamo tutti insieme stasera. Maggie,” disse con
calma alla figlia maggiore, “può succedere di trovare antipatica qualche persona
oppure di litigare con gli amici, ma è importante fare la pace e cercare di non
trattare male nessuno.”
“Ma io non sono
strana!” precisò.
“No, non lo sei,
piccola.” Reggie gli tirò il colletto della camicia lasciandogli delle grandi
macchie di colore. “Reggie, credo che dovremmo lavarci la mani prima di
mangiare. Perché saresti strana, Maggie?” chiese.
“Perché faccio gli
alberi rossi e il prato giallo,” si indignò, incrociando le braccia sul
petto.
Tonks strizzò gli
occhi e strinse i denti. Guardando Fred indicò se stessa con una smorfia di
scusa. Fred le sorrise. Sapeva da dove arrivava quella sfrenata fantasia della
figlia nell’uso dei colori.
“Maggie, tu sai
benissimo di che colore sono gli alberi. Se poi vuoi colorarli di un colore
diverso sei libera di farlo.” Maggie annuì soddisfatta e lo prese per mano. “Ho
preparato io la tavola.” Reggie intanto proseguiva nel colorare la camicia del
padre con stampi delle sue mani. Tonks la prese con sé e la portò a lavarsi mani
e faccia.
“Maggie, vai con
Ninpha e lavati anche tu. Io mi metto qualcosa da casa e vengo a
tavola.”
Tonks lavò Reggie e
guardò Maggie che si puliva la mani. E intanto si guardò anche nello specchio.
Nessun apparente segno di stanchezza. Bene, a quanto pare aveva ancora risorse
per la serata che l’aspettava.
Si spostò in cucina
dove era pronta la tavola con i loro quattro posti. Ormai da mesi, quasi ogni
sera, si fermava a cena con Fred e le figlie. Era una abitudine che nessuno
aveva cercato, ma che era nata dalla necessità di parlare con Fred di quello che
era accaduto nel pomeriggio. Cena e bicchiere di vino mentre le bambine
giocavano prima di andare a letto era una piacevole routine. Si sentivano come
vecchi amici che potevano raccontarsi di tutto. Parlavano delle bambine e del
proprio lavoro, della famiglia e degli amici. Fred era molto più a suo agio e si
permetteva anche di parlarle della sua vita sentimentale, limitata a pochissime
cene con qualche donna conosciuta da poco, e persino a fare commenti sui dopo
cena. Forse perché sapeva che Tonks lo capiva e non si sarebbe mai permessa di
fare commenti o di avere sguardi stupidi o irritati per le sue scelte.
Semplicemente lo ascoltava. Tonks invece era più a disagio a parlare con lui
della sua vita privata. A volte si sentiva vicina a Molly quando diceva che per
lei i figli erano sempre piccoli. Conosceva la vita di Fred in molti dettagli e
lo ammirava per la sua determinazione, la serenità che aveva, ma rimaneva sempre
uno dei gemelli, uno dei ragazzini di casa Weasley. Eppure non aveva niente del
ragazzino ormai. Doveva rifletterci meglio, pensò Tonks sedendosi a tavola in
attesa che Fred arrivasse per iniziare a mangiare.
Reggie cercando di
prendere il bicchiere, fece cadere tutta l’acqua che c’era dentro. Persa nei
suoi pensieri, Tonks le disse, “Tesoro non fare come me, oppure tuo padre
comincerà a dubitare che tu sia figlia sua!”
Fred, dalla porta
della cucina, sorrise.
Maggie lo guardò e
chiese, “Ma da dove arrivano i bambini?”
Tonks si unì alla risata, stanca, di
Fred.
La cena era finita. Le bambine erano in salotto.
Fred e Tonks davanti all’acquaio a lavare i piatti. Era rilassante starsene
vicini a chiacchierare facendo una cosa così babbana come
quella.
Fred aveva le mani immerse nell’acqua e Tonks
aspettava con uno straccio in mano. Le passò il primo piatto mentre sceglievano
una strategia da tenere con Maggie e le parolacce.
“Davvero, Fred. A volte non mi trattengo neppure
io.”
“Lo so, ma vorrei che riuscissi a dirne il meno
possibile. Vedi che le assorbe come una spugna. Ha tempo per
impararle.”
“Dovresti anche spiegarle che non si possono dire
ovunque e con chiunque.”
“Quando crescerà Tonks. Per ora preferisco che non
le dica del tutto.”
“Mi sembra un po’ un’utopia, Fred.” Gli prese le
posate dalle mani grondanti d’acqua e cominciò ad
asciugarle.
“Non credo. Con me hanno fatto
così.”
“E quante ne hai dette?”
“Tante. E tutte distante dalle orecchie di mia
madre. E sempre nei momenti giusti. Non ho mai preso nessuna punizione per il
mio linguaggio.”
“Solo per il tuo comportamento!” Rimasero a
guardarsi con un piatto tra le mani.
“Tonks, mi hai conosciuto che ero un adolescente.
Non puoi fare riferimento a quello che ho fatto per un anno ad Hogwarts! Oppure
durante le riunioni dell’Ordine!”
“Avevi già 17 anni, Fred!”
“E tu 22, quindi non credo che ci fosse poi questa
gran differenza. Eravamo adolescenti entrambi.” Le lasciò il piatto e ributtò le
mani nell’acqua.
“Sono 5 anni, Fred.”
“E Maggie ne ha 4, Tonks. Troppo pochi per sentir
parlare di parolacce. E 5 anni quando siamo sulla trentina, mi sembrano
decisamente pochini. Pensando a tutto quello che abbiamo passato, tra la guerra,
Angelina e Remus mi sembra che si possano considerare annullati. Ti senti così
più vecchia di me?” La guardò incredulo, mentre le dava in mano una
pentola.
“No, solo che…” Solo che non sapeva neppure lei
cosa dire. C’erano davvero cinque anni, ma… descritti così da Fred erano davvero
insignificanti. “Non lo so, Fred. È solo una sensazione. Mi sembra sempre di…
come se ‘dovessi’ essere più grande di te. Capisci?”
“No.” Fred la guardò ancora più incredulo. “Non ti
seguo proprio.” Si scrollò l’acqua dalle mani e si girò a guardarla
direttamente. “Non credevo che una donna ci tenesse a dimostrarsi più vecchia di
un uomo, ma se proprio vuoi…”
“Cretino!” si lasciò scappare. Fred le lanciò
un’occhiata di evidente autorità paterna. “Scusami, scusami. Ne abbiamo appena
parlato, hai ragione. Ma non è questione di essere vecchia, ma di essere adulta.
Mi sento in dovere di essere più adulta, con cinque anni in
più.”
Fred continuò a fissarla tra l’incredulo e
l’ironico. “Spiegami dove sta l’essere più adulta di me in quello che di solito
fai o nel fatto che io sto crescendo due figlie da solo e tu no.” Cominciava
anche ad irritarsi. Tonks sentì salire la rabbia.
“Mi pare che ti aiuto in questa cosa del crescere
le figlie,” sottolineò con voce dura.
“Certo,” disse scuotendo la testa per mostrarsi
d’accordo, “sei la persona più vicina all’idea di mamma che possano avere,
Tonks!”
Tonks si irrigidì e lo guardò scossa da quello che
aveva detto. Oh, Merlino no! Non voleva quella responsabilità. Era troppo
grande. Fred vide il suo allarme e allungò una mano verso di lei, come per
indicarle che era proprio quello il centro della loro pacata
discussione.
“Vedi? La responsabilità di un legame così forte io
l’ho ogni giorno e senza sconti o senza potermi mai sottrarre. “ Si stava
infervorando. “Sono stato costretto a crescere di parecchi anni, Tonks, non solo
dalla morte di Angelina, come la morte di Remus ha costretto te a fare, ma anche
da quelle due meravigliose creature che sono di là e che amo alla follia” indicò
la porta della cucina oltre la quale si sentiva Maggie cantare, “e che non
lascerei mai ad altri. Sono costretto ad essere più adulto di te, ho due persone
che dipendono da me, nonostante ci sia tutta la mia famiglia, e tu ci sei
dentro, che mi aiuta. Non ho perso la voglia di fare scherzi o di essere
scapestrato, l’ho solo chiusa nel laboratorio dove lavoro, in qualche uscita con
gli amici.”
Tonks continuava a guardarlo con la bocca
leggermente aperta dalla sorpresa. Aveva ragione, quel ragazzino che giocava
ancora con gli scherzi di Hogwarts e che la stava guardando con gli occhi
spalancati, aveva ragione. Ma quando era cresciuto così tanto in così poco
tempo? Lo aveva sempre visto come un ragazzino… Tonks chiuse gli occhi colpita
da un pensiero improvviso. Lo aveva sempre visto con gli occhi di Molly… di sua
madre.
Fred le mise le mani sulle spalle, parlandole
piano, con una tensione controllata, con la preoccupazione di farle capire molto
bene cosa stava dicendo. “Tonks, non voglio togliere nulla a quello che stai
facendo. Ho bisogno anche di te e di poter parlare così liberamente con te.
Sento che i miei genitori mi ammirano e si fidano di quello che sto facendo, ma
sento anche che sono sempre il figlio scapestrato, come lo sarà sempre George. È
Bill quello grande e responsabile. Per favore non prendere il posto di mia madre
nella tua testa. Non lo sopporterei. Ho bisogno di
un’amica.”
“Non mi sento tua madre,” gli rispose di getto. Non
si sentiva sua madre in effetti, ma si era fatta prendere dall’amicizia che
aveva con lei e non aveva mai ragionato diversamente. Appoggiò le sue mani su
quelle di Fred. “Non l’avevo mai vista così. Hai ragione, io non ho tutte le
responsabilità che hai tu. Non le ho.” Tonks distolse lo sguardo da lui,
pensierosa.
Fred la fissò chiedendosi se aveva
esagerato.
“Devo pensarci.” Si staccò da lui e prese la
bacchetta che aveva appoggiato su una mensola.
“Ninpha, ho esagerato?” La guardò dritta negli
occhi. Gli serviva quell’amicizia solidale e costante.
“Hai davvero detto quello che pensi?” Lo guardò
attenta anche lei. Le serviva la sicurezza di quello strano rapporto di
amicizia.
“Sì.” Essere sinceri era sempre un buon consiglio
tra amici.
“Allora è ok.” Tonks distese lo straccio per
asciugare i piatti sul supporto sotto il lavello. “Domani c’è Ginny. Ci vediamo
lunedì.”
“Domenica sei dai miei?” Fred ributtò le mani in
acqua per finire il lavoro.
“No, esco con uno nuovo.”
Fred le sorrise. “Brava.”
Tonks rispose al sorriso e uscì dalla cucina per
salutare le bambine.
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Capitolo 5 *** Vivere in una famiglia che non è la tua ***
5.
Vivere in una famiglia che non è la
tua.
Quasi un anno dopo.
Tonks si alzò dal letto, intontita dal sonno.
Accidenti alle ronde notturne. Cominciavo a diventare pesanti. Si stiracchiò
felice di non avere nessuno vicino a lei nel letto. McKelly aveva ancora una
casa propria anche se uscivano regolarmente da quasi un anno. E lei era contenta
che ci tornasse ancora a dormire più spesso di quanto non si fermasse da lei.
Inoltre, con la scusa che l’appartamento in cui lui abitava era piccolo e
disagevole rispetto al suo, finivano per passare il loro tempo come coppia
sempre a casa sua.
Gradualmente prese contatto con la realtà compresi
i vestiti sparsi per la stanza (non era necessario neppure metterli in ordine
prima di addormentarsi), la pila di libri a fianco del letto (dove nessuno
sarebbe inciampato) e il vetro ancora scheggiato di una delle finestre (ecco,
per quello essere in due le sarebbe piaciuto).
Cercò di ricordare quale giorno della settimana
fosse. Sabato. Era sabato mattina. Giornata di riposo. E anche domenica. Due
giorni interi di riposo. E la settimana successiva sarebbe stata ad Hogwarts per
il periodo di addestramento degli studenti del sesto e settimo anno che Minerva
McGrannit aveva preteso dal Ministero, ritenendola indispensabile per un
completo corso di studi nella sua scuola. In barba alle opinioni di tutti i
Ministri. A parte Harry che l’approvava in pieno.
Sarebbe tornata ad Hogwarts per una settimana.
Sorrise felice all’idea di trascorrere cinque interi giorni a contatto con
quella marea di ragazzini scalmanati. Avrebbe rivisto Neville che adesso
occupava stabilmente la cattedra di Erbologia e parecchi altri
professori.
Allungò nuovamente le braccia sopra la testa,
sospirando di piacere.
La cena! Era la sera della cena con Ginny, Hermione
e Lucinda. E prima di erano accordate per acquistare dei vestiti tutte
insieme.
Calciò via la coperta e le lenzuola e si alzò
scattante e pronta a dare un po’ di ordine a quella casa.
Sistemati i vestiti, la cucina e la camera, lavato
tutto quello che era rimasto da giorni nel cesto della biancheria guardò la
finestra della camera. Un semplice “Reparo” era il minimo. Ma la finestra
guardava dal lato della casa più esposto alle intemperie sia del tempo sia dei
ragazzini che giocavano nel campo vicino. L’aveva riparata un sacco di volte.
Adesso era necessario pensare ad un supplemento di magia per potenziare
l’effetto di protezione. Rimase a fissarla con le braccia conserte, chiedendosi
cosa fare. Non aveva idee. E neppure incantesimi specifici. Non era un
costruttore di case. E non conosceva nessuno che costruiva case. Cominciò a
battere con un piede a terra. Inutile, non passava nessuna idea per la testa.
McKelly forse poteva saperne qualcosa, ma da come si occupava della sua di casa,
Tonks aveva dei gran dubbi. Kingsley probabilmente aveva più esperienza, ma era
a casa dei suoceri per il fine settimana con la moglie e il figlio. Lucinda! Lei
avrebbe saputo come fare.
Guardò fuori dalla finestra e calcolò che doveva
essere quasi ora di pranzo. Non avrebbe disturbato nessuno. Si mise velocemente
un tuta dopo aver inviato un messaggio a casa Weasley per annunciare il suo
arrivo alla ricerca di aiuto. Se non c’era nessuno sarebbe tornata semplicemente
a casa in attesa della sera.
Gottman Street – angolo McPhermont
Street
Le finestre erano tutte aperte e mentre entrava dal
cancello, attraversando il piccolo guardino fiorito di casa Weasley, la porta si
aprì e uscirono correndo Maggie e Ernestine.
“Ciao, Ninpha.” Le abbracciò entrambe. “Stavamo
preparando da mangiare con la mamma,” le spiegò Ernestine. “Però ti abbiamo
visto e siamo venute da te.”
Ringraziandole si fece precedere in casa, dove una
Lucinda sempre solare l’accolse con un grembiule da cucina macchiato di vari
colori e Reggie la salutava seduta sul seggiolone.
“Ciao, Tonks.” Lucinda la baciò su una guancia,
pulendole poi via la farina che era rimasta incollata alla guancia. “Sto
cucinando con tutte e tre,” le spiegò indicando il campo di battaglia della
cucina dietro di lei. “In cosa posso aiutarti? Mentre mi spieghi serviti
qualcosa da bere. Sai dove trovare tutto.”
Tonks si guardò intorno sorridendo. Prese un
bicchiere e del succo di frutta mentre Lucinda distribuiva i compiti alle
bambine. Maggie era cresciuta parecchio negli ultimi mesi e aveva
quasi raggiunto Ernestine. Era facile vedere quanto si assomigliassero quando
erano vicine, quando fossero simili ai loro papà. Longilinee e con i capelli
rossicci, si muovevano scattanti e soprattutto volevano provare ogni cosa.
Ernestine era un po’ più pacata, ma insieme alla cugina sembravano la versione
femminile dei gemelli. Molly spesso riconosceva gesti o comportamenti dei figli
guardando le nipoti. Reggie stava assomigliando sempre più ad Angelina.
Sorridente e seria allo stesso tempo. Giudiziosa per i suoi quattro anni scarsi.
Anche i tratti del viso ricordavano Angelina, in particolare quando
sorrideva.
Seduta su uno sgabello vicino a loro, Tonks spiegò
a Lucinda quale fosse il problema con la finestra e immediatamente Lucinda prese
in mano un librone di Incantesimi nel quale riuscì a trovarne uno adatto a
rinforzare le difese di una finestra. Mentre ascoltava a Tonks venne
un’idea.
“Sai, credo che oltre a rendere la finestra
praticamente infrangibile, chiederò a Fred un suggerimento per far sì che
rispedisca i palloni direttamente ai ragazzi e con una certa forza. Potrebbe
essere utile.”
“Ti danno così fastidio?” obiettò
Lucinda.
“A volte decisamente sì.” Prese un biscotto e
cominciò a morderlo.
“Ti fermi a pranzo?” propose
Lucinda.
“No, devo finire di sistemare a casa. Poi dormo un
altro po’ e mi preparo per la nostra lunga serata.”
“Dick?” le chiese l’amica.
“A casa sua. Gli ho detto che ero impegnata. E se
lo chiami Dick, invece di McKelly, mi confondo.”
“Può venire qui con Fred e George se vuole.”
Immediatamente Tonks le fece cenno di no, masticando il
biscotto.
“Lascia perdere. Non ha ancora capito che Fred non
è un suo concorrente. È davvero cocciuto.”
“Perché papà è un concorrente di Dick?” chiese
curiosa Maggie.
Tonks cercò una scusa veloce. “Perché… perché
vorrebbe anche lui avere due belle bambine come voi.”
“Ma non sono le donne a fare i bambini?” chiese
Ernestine.
“Oh, beh… comunque non è il caso,” chiuse
velocemente l’argomento Tonks.
Maggie e Ernestine ripresero a lavorare l’impasto
di farina che avevano di fronte.
“Ma io voglio un fratello!” piagnucolò
Reggie.
“Sì, Ninpha. Anch’io!” disse battendo le mani, e la
farina, Maggie.
“Ferme,” alzò le mani Tonks. “Se volete dei
fratelli dovete parlare con papà non con me.”
Lucinda tratteneva a stento le risate. Ernestine
ascoltava attenta.
“Ma per fare i bambini servono una mamma e un
papà,” disse con sicurezza Ernestine.
“E allora Dick a cosa serve?” chiese interdetta
Maggie.
“Uno zio!” spiegò Reggie.
Tonks si coprì la faccia con una mano. Lucinda
ridacchiava con gli occhi lucidi. Intanto la porta di casa si aprì, scatenando
le bambine, che salutarono urlando i rispettivi padri mentre entravano in
cucina.
“Papà!” urlò Reggie più di tutte. “Voglio un
fratellino!”
Fred sospirò. “Non posso comprarlo al supermercato,
Reggie.” E le sorrise.
“Ma se tu sei il papà e poi c’è la mamma…” si fermò
e guardò la cugina in cerca di aiuto. Era un po’ complicato quel
ragionamento.
“Con una mamma e un papà si può avere un fratello,”
concluse Ernestine. “Posso averlo anch’io?” chiese guardando George. Che guardò
la moglie. La quale stava ancora ridendo e gli fece cenno che ne avrebbero
parlato dopo. George spalancò gli occhi e le sorrise, con tono sensuale, “Sempre
pronto.”
“Per cosa?” chiese Maggie allo
zio.
“Per parlare di bambini,” rispose
George.
“Anche tu e Ninpha,” spiegò Maggie a suo padre,
lasciandolo senza parole. Fred guardò Tonks che era arrossita quasi quanto suo
fratello Ron.
“Non l’ho voluta io questa conversazione. È nata
per caso,” si giustificò, alzando le mani.
“Come sempre, con te,” sottolineò l’amico.
Ricevendo come risposta una bellissima vista della lingua di Tonks. Reggie
cominciò a ridere.
Tonks salutò dopo pochi minuti, lasciandoli ad
organizzare il pranzo. Fred l’accompagnò alla porta.
“Mi dispiace, Fred. È cominciata quando ho detto a
Lucinda che McKelly ti considera ancora un concorrente.”
“Un po’ ostinato, mi pare.” Le aprì la porta a si
fermò sulla soglia mentre lei si girava a guardarlo.
“Non riesce a capire perché passo tutto questo
tempo con te. Gli ho fatto persino il conto delle ore che passo con le ragazze e
quello che passo con te, ma ha risposto che se lo faccio, deve esserci un
motivo. È assurdo lo so. Ma non è sempre così.”
“Perché siamo amici, non è sufficiente come
risposta?”
“Un uomo e una donna amici?” gli disse lei imitando
il tono retorico di McKelly.
“Prova a chiedergli come potremmo fare qualsiasi
cosa con le bambine presenti. Oppure le immobilizziamo o le facciamo dormire con
un incantesimo?” propose Fred con un tono tra l’ironico e l’irritato. Non gli
piaceva il nuovo compagno di Tonks, anche se non l’aveva mai visto. Proprio per
niente. Da quando aveva cominciato ad uscirci insieme dopo la loro unica piccola
discussione sull’importanza dell’età.
“Non ha idea di cosa significa stare con i
bambini.”
“Si vede.” Fred le si avvicinò per abbracciarla.
Aveva cominciato da poco a farlo.
“Buona giornata e buona serata tra donne.” Le baciò
velocemente la fronte. Come faceva con Ginny, pensò subito
Tonks.
“Anche a voi uomini,” e restituì l’abbraccio. “Ci
vediamo tra una settimana. Sono ad Hogwarts.”
“Ah, ah. Già sistemato tutto con mia sorella e
Hermione.”
Salutandolo con la mano Tonks, leggera, si
Smaterializzò.
Fred rimase sulla porta a guardare il vuoto di
fronte a sé. Quando si girò trovò George che lo osservava con una Burrobirra in
mano. La alzò in segno di brindisi verso di lui.
“Sì,” gli disse. “La risposta è
sì..”
“A quale domanda?”
“È un’amica, ma ti piace sempre di più. Ed è solo
l’inizio, lo sai.”
Fred gli passò davanti.
“Adesso devo pensare come spiegare a Maggie la
differenza tra sua mamma e Tonks, perché me lo chiederà prima di
sera.”
“Quale è la differenza tra Tonks e Angelina per te,
fratello?”
Fred rimase in silenzio. Non aveva una risposta
chiara in testa.
Monillouby Place - sera
Lasciarono cadere tutti i pacchetti che avevano
accumulato nel pomeriggio. Di sabato sera quel pub era decisamente pieno. Uno
sguardo preoccupato del proprietario fece sì che sistemassero tutto nel minor
spazio possibile. Riuscirono a sedersi attorno al tavolo sospirando felici
perché potevano finalmente stare ferme.
Ginny e Hermione cominciarono a discutere del fatto
che ancora una volta Hermione non aveva preso un maglioncino di lana leggero e
morbido e molto scollato. Tonks e Lucinda di un completo di intimo che Tonks si
era rifiutata di prendere ritenendolo troppo esagerato.
“Tonks era solo fatto di pizzo trasparente,
andiamo. Si tratta di un completo intimo, non di qualcosa da far vedere a
tutti.” Lucinda, che lo aveva acquistato al posto suo, sosteneva da almeno
mezz’ora che Tonks doveva cominciare a scegliere qualcosa di diverso dai suoi
soliti completi di cotone.
“Cosa ti dice McKelly?”
“Non li vede neppure,
Lucinda.”
“Non li vede…? Ma almeno ti guarda oppure potresti
essere chiunque in quel momento?” Il rapporto tra Tonks e Lucinda era diventato
più stretto negli ultimi due anni e anche gli argomenti che affrontavano tra di
loro erano diventati più personali. Ginny e Hermione a questa domanda si
fermarono a guardarle.
“Lucinda! Non li guarda perché… andiamo in fretta.”
Tonks buttò lì una scusa qualsiasi. Non intendeva parlare della sua vita intima
in un pub con chissà chi ad ascoltare.
Lucinda non proseguì oltre. Ma Ginny decise di
indagare.
“Ma cosa ci trovi in lui, Tonks? Voglio dire…” alzò
una mano per fermare la risposta dell’amica. “Sei tu che ci vivi più o meno
insieme e di certo non deve piacere a noi, e ti abbiamo vista tutti molto serena
e felice nell’ultimo anno. Ma cominci a sembrare insofferente.” Non avevano mai
affrontato l’argomento fino a quel momento, ma tutti concordavano che Tonks non
sembrava proprio a suo agio, ultimamente.
Tonks rimase in silenzio. Ne aveva parlato a lungo
con Molly pochi giorni prima. Si sentiva a disagio a farlo con Lucinda o Ginny o
Hermione. Avrebbero individuato subito il centro del
problema.
Quando aveva cominciato a pensare al rapporto tra
lei e la famiglia di Fred si era resa conto sempre più che, a lei, il progetto
di una famiglia piaceva. Desiderava avere un marito e dei figli suoi. Avere una
casa e potersene occupare, come faceva Lucinda. A volte si era anche detta che
avrebbe rinunciato al suo lavoro di Auror per una famiglia. Questo era il
pensiero che l’aveva preoccupata di più. Per la prima volta c’era qualcosa di
più attraente, stimolante e interessante del suo lavoro, della libertà di vivere
da sola, delle sue amicizie. Il problema era crearsi una
famiglia.
Per tanti motivi.
Primo: la famiglia Weasley e quella di Fred in
particolare, le aveva trovate già ‘pronte’. La sua famiglia d’origine, nel bene
nel male, anche. Nessuna fatica per costruirla.
Secondo: il discorso di Fred sul senso di
responsabilità nell’avere altre persone che dipendono da te l’aveva spiazzata. E
impaurita. Era più facile realizzare il suo sogno grazie alla presenza di Molly
e Arthur come confidenti, di Ron o Ginny come fratelli, di Lucinda e George come
cognati e di Maggie e Reggie come figlie. A casa la sera e non ci si pensa più.
Problemi? Non erano suoi.
Terzo: in questo suo ragionamento Fred rimaneva
sempre escluso. Certo era un suo amico. Ma era il padre delle bambine. E lei
viveva in quella famiglia senza un ruolo molto chiaro. Per le bambine era
Ninpha, per Fred era Tonks e per lei… erano un rifugio. Ma fino a quando?
Effettivamente il suo ragionamento con Molly si era fermato molto prima di
prendere in considerazione Fred. Avevano parlato della gioia e della difficoltà
di essere genitori, del piacere e della fatica di essere coppia. Molly aveva
sempre preso come riferimento McKelly.
Quarto: il problema per Tonks stava diventando
anche Fred. Fred che usciva con altre donne. Fred che aveva un sacco di amici
con cui uscire oltre alle donne. Fred che condivideva con lei l’educazione delle
figlie. Fred che parlava liberamente di altre donne. E lei che cominciava a
sentire qualcosa che, alla fine, aveva ammesso essere pura
gelosia.
Quinto: lei accettava questo ruolo di amica, le
piaceva, la faceva stare bene. Fino a qualche settimana prima. Poi era accaduto
qualcosa, ma non capiva cosa. Forse quando avevano parlato a Maggie di come
nascono i bambini oppure quando Fred l’aveva afferrata e abbracciata per la
prima volta da quando si conoscevano, mentre cadeva da una sedia dove era salita
per prendere un pappagallo che aveva portato alle bambine, ma che si era
lasciata sfuggire. Fred aveva stretto le braccia attorno alla sua vita ridendo e
l’aveva fatta scendere a terra senza esitazione e senza prolungare quel contatto
oltre il minimo necessario. Lei ricordava ancora adesso la forza di
quell’abbraccio e il profumo di quell’uomo. Perché ai suoi occhi era diventato
un gran bell’uomo. Come aveva detto a Ginny, bello dentro e
fuori.
Sesto: aveva cominciato ad osservare come Fred
trattava sua sorella e si era resa conto che faceva quello che faceva con lei. E
dentro di sé lo aveva insultato. Tipica reazione di una sedicenne! Non le
piaceva l’idea di diventare una sorella per Fred, proprio per
nulla!
“Sono un po’ confusa,” ammise alla fine quasi
sottovoce. “Mi sto domandando un sacco di cose e il nome di McKelly non compare
spesso nelle risposte.”
“Possiamo darti una mano nelle risposte?” si offrì
Lucinda.
“No,” rispose velocemente Tonks.
“No.”
“Neppure Fred può aiutarti nelle risposte?” le
chiese Lucinda, con voce dolce.
Ginny e Hermione si scambiarono uno sguardo di
conferma. Lo avevano pensato anche loro.
“No,” ridisse Tonks. “Lui è anche troppo presente
nelle domande, Lucinda. Per favore parliamo di altro.” La sofferenza nella voce
di Tonks era un chiaro segnale. Le altre tre donne cambiarono immediatamente
argomento.
“Allora parliamo di nuovo di vestiti. Ripeto la
questione: perché Hermione non indossa una abito scollato?” chiese Ginny
guardando l’amica.
“Perché non ha motivo per farlo!” rispose piccata
Hermione.
“Andiamo Hermione con tutti gli incontri importanti
che fai per lavoro. E poi ti stanno benissimo le cose
scollate!”
“Non indosserei qualcosa di scollato al lavoro con
tutti quegli uomini che guardano. E ad Oliver non interessa,” precisò Hermione
guardando Ginny con una espressione che diceva chiaramente che se continuava su
quella strada l’avrebbe schiantata.
“Allora chiediamoci perché Lucinda cerca sempre
completini di pizzo…” buttò lì alla cognata ridendo.
Lucinda rise con lei. “Perché tuo fratello
apprezza, tesoro.”
“Tutti i miei fratelli apprezzano, Lucinda.
Dev’esserci un gene che li fa attivare di fronte ai pizzi! Potresti usare lo
stesso completo in ciascuna delle mie cognate e avresti lo stesso effetto: occhi
da pesce incollati sulla scollatura della moglie. Oh,” disse tra le risate, “non
guarderebbero quella delle altre, ma solo quella della moglie. A parte Percy. E
Ron, direi. Che però in questo periodo guarda molte scollature, devo
dire.”
“Neville?” chiese Tonks, decisamente più
rilassata.
“Non ha preferenze. Ma si accorge di tutto. Non
credevo, ma appena indosso qualcosa di nuovo, lui lo vede. È molto piacevole
sentirsi guardata,” disse Ginny compiaciuta.
“Hai ancora l’aria della moglie in luna di miele,”
le sorrise Hermione.
“Mi sento ancora in luna di miele,” confermò Ginny
arrossendo leggermente.
Dopo parecchie ore, con i piedi doloranti, Tonks
attraversò la soglia di casa. Accese le candele e si preparò un bagno caldo. Un
ottimo posto per pensare. A dove collocare Fred nei suoi desideri. E nei suoi
progetti. McKelley ne era già fuori.
A qualche chilometro Fred, disteso a letto,
guardava il soffitto di fronte a sé chiedendosi cosa fare adesso che aveva
capito che la situazione con Tonks non poteva andare avanti
così.
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Capitolo 6 *** Cercando di capire senza parlare ***
6.
Cercando
di capire senza parlare
Collina delle Querce – pochi mesi più
tardi
Bill Weasley si guardò intorno cercando il figlio
maggiore. La moglie Fleur era al suo fianco con la piccola di pochi mesi che
dormiva beata tra le sue braccia, tutta avvolta nella coperta di lana. Alla fine
lo vide impegnato a rincorrere una pecora insieme al cugino, figlio di Charlie.
E Charlie era appena dietro a loro con la figlia minore in braccio che indicava
il fratello e il cugino e rideva.
Era una giornata meravigliosa di sole e luce anche
se il freddo dell’inverno non era ancora scomparso. Erano tutti ben protetti con
cappotti pesanti e scarpe per camminare. L’idea era stata di Percy, l’unico
insieme a Ron, ancora alla ricerca di una compagna. Ritrovarsi, come facevano
loro da piccoli, in un enorme prato a giocare. Si erano organizzati in poco
tempo e ci erano riusciti. Tutti i fratelli Weasley con mogli, marito e figli in
quell’enorme prato verde che ricopriva la Collina delle Querce, a pochi
chilometri dalla Tana. Per un pomeriggio di giochi e tranquillità. Ginny aveva
allargato l’invito anche ad Hermione, che però era nei primi mesi di gravidanza
e aveva nausee improvvise a tutte le ore. Aveva preferito fermarsi alla Tana con
Molly e Arthur e con Harry. Oliver era impegnato da qualche parte per una
partita.
Dato che Harry e Ron ancora non si parlavano erano
stati divisi nei due gruppi. Senza che lo sapessero. Tonks era stata invitata
direttamente da Maggie ed Ernestine.
Dopo il rientro di Tonks da Hogwarts, nonostante
lei e Fred avessero passato la maggior parte del tempo a pensare l’uno
all’altra, non avevano mai più affrontato argomenti riguardanti la loro
relazioni. Che però si erano interrotte. McKelley era sparito dalla vita di
Tonks. Fred non usciva con nessuna da mesi. Entrambi avevano ripreso il solito
ritmo “familiare”. Fred preparava le figlie al mattino e le portava all’asilo,
Tonks le andava a riprendere il pomeriggio e stava con loro fino a sera, si
fermava per cena e per parlare un po’ con Fred e poi ritornava a casa sua.
Sembravano muoversi fuori dal tempo. George e Lucinda tentavano ogni tanto di
spronarli a parlare di qualcosa che non riguardasse il lavoro o le bambine, ma
senza successo.
Tutti i bambini in quel momento erano impegnati a
guardare o rincorrere le pecore di un enorme gregge che stavano passando sulla
collina. C’erano due pastori, che le accompagnavano e quattro cani da guardia.
Probabilmente erano abituati ad avere a che fare con i bambini perché si erano
fermati e avevano cominciato a rispondere alle loro domande con la massima
disponibilità. Mentre Bill e Fleur, rassicurati di dove fosse il figlio,
riprendevano a camminare per fare addormentare il piccolo, Charlie, Percy, Ron,
Neville e Ginny erano tutti insieme ai bambini. Passeggiavano tra le pecore
mostrandosi a vicenda tutto quello che vedevano di interessante e chiedendo
spiegazioni a chi era disposto a darle. La moglie di Charlie era seduta sul
prato intenta a completare delle corone di fiori per la figlia minore. Lucinda e
George se ne stavano appoggiati ad una quercia solitaria, intenti a raccontarsi
chissà cosa e a baciarsi.
Fred li osservava da distante, soddisfatto. Era in
piedi appoggiato ad uno dei paletti di sostegno di un passaggio tra due campi.
Il passaggio era fatto di tre semplici gradini di legno sostenuti da due paletti
verticali ai due lati, sistemati come una V rovesciata, tre gradini per salire e
tre per scendere. A destra e a sinistra dei paletti si alzava un piccolo muro di
sassi. Tonks era appoggiata all’altro sostegno, a meno di mezzo metro di
distanza. Entrambi avevano i cappotti ben chiusi, Tonks color ciclamino e Fred
nero, in netto contrasto con il colore dei rispettivi capelli, e le sciarpe ben
strette. Inoltre si tenevano le mani in tasca, anche se avevano i guanti. Non
era ancora il clima per potersene stare fermi all’aperto.
“Invidio l’amore tra George e Lucinda,” disse Fred,
rivolto al vento che gli scompigliava i capelli, un po’ troppo
lunghi.
Tonks seguì il suo sguardo.
“Anch’io.”
“Pensi che tu e Remus o io e Angelina ci saremmo
arrivati?” Era la prima domanda veramente personale che le faceva da mesi. Tonks
ci pensò un attimo prima di rispondere.
“Con Remus lo pensavamo. Di vivere insieme come
eterni fidanzati.” Tonks tolse lo sguardo dalla coppia quando cominciarono a
baciarsi.
“Davvero?” Fred la guardò. “Non avevate altri
progetti?”
“Non era il momento migliore per fare progetti, con
la guerra in corso. E con la situazione di Remus. In realtà non gli ho mai
chiesto nulla di più che stargli vicino. Non ho mai affrontato argomenti come il
matrimonio o diventare genitori. Era così lontano anche da me pensare di
diventare una mamma.” Il suono della sua voce arrivava a malapena da Fred a
causa del vento che tagliava l’aria, rendendola ancora più fredda, nonostante il
calore del sole.
Rimasero in silenzio per un bel
pezzo.
“Avresti voluto figli da
Remus?”
“Sì, immagino di sì, adesso. Non so se lui voleva o
poteva averne.”
“Credo che amasse Harry come un
figlio…”
“Sì, Lo sentiva come un dovere verso James e Lily.
Aveva un forte senso del dovere e dell’amicizia.” Silenzio. “Più forte
dell’amore.”
Silenzio.
“Anche dell’amore per te?” sussurrò Fred al
vento.
“Sì, mi sono convinta di sì, con il tempo.” Era
stato doloroso, ma lo aveva accettato.
Fred continuò a guardare verso le figlie, impegnate
a parlare con lo zio Percy.
“Mi ricordo che eravate una coppia molto unita. Non
vedevo ostacoli tra di voi, a parte i timori di Remus quando c’era luna piena.
Eravate… persi nel vostro mondo quasi sempre.” Fred sorrise. “Sarebbe morto
anche per te, Tonks, non solo per i suoi amici o per Harry. Io la vedo
così.”
“Davvero ci guardavi?” Tonks gli rivolse uno
sguardo sorpreso, ma Fred adesso stava osservando Ron che cercava di far
cavalcare a Reggie una pecora mentre Maggie gira su se stessa come una trottola
al vento.
“Sì,” le rispose senza girarsi verso di lei. “Tutti
vi guardavamo. Ginny e Harry vi prendevano ad esempio. Angelina una volta mi ha
anche fatto notare che io non avevo per lei lo stesso sguardo che Remus aveva
per te. Quando le ho riposto che doveva lasciarmi fare almeno altri 10 anni di
esperienza con altre donne per poterlo fare, mi sono preso una cuscinata
memorabile in faccia.” Fred ridacchiava al ricordo. “Poi abbiamo fatto pace, ed
è stata la parte migliore. Ho anche ringraziato Remus per questo.” Si girò a
guardala sorridente.
Rimasero a fissarsi per alcuni secondi, poi Tonks
distolse lo sguardo e lo riportò su George e Lucinda. Fred la fissò ancora per
un po’.
E ci fu ancora silenzio.
“Come mai tu e Angelina avete scelto di sposarvi
così presto? E di avere bambini così presto?” Toks continuava a guardare il
prato davanti a sé.
“Per utopia, per pazzia. Perché lo abbiamo scelto
tutti e quattro, non solo in due. Perché pensavamo che una nuova generazione
fosse indispensabile. Perché eravamo certi del successo di Harry e che i nostri
figli avrebbero avuto un futuro sicuro. Perché… perché sono arrivate, perché
amavamo entrambi una famiglia numerosa. Io per abitudine e lei perché amava la
mia famiglia. Era figlia unica in realtà. Perché avevamo poco più di 20 anni, un
lavoro sicuro e tanta voglia di credere in qualcosa.” Fred aveva parlato senza
esitazione. “A volte penso a come sarebbe stato rimanere senza di lei e non
avere loro. Non mi piace stare da solo. Non ci sono abituato. Vorrei anche altri
figli se ci sarà l’occasione, se cercherò l’occasione. Non voglio rimanere da
solo. E non voglio semplicemente sostituire lei. Desidero creare una nuova
famiglia.” Gli sembrava di essere un fiume in piena, raccontandole tutte le sue
riflessioni. Ma doveva poterle dire che non cercava un’altra Angelina, ma
un’altra compagna. Non avrebbe tradito Angelina né… chiunque sarebbe stata al
suo fianco.
Tonks si sentì salire le lacrime agli occhi e
maledì il vento che le sferzava la faccia. Incrociò le braccia davanti a sé e
alzò le spalle a proteggere la testa. Ma le lacrime non cessavano di
accumularsi.
Accidenti, accidenti, accidenti. Accidenti agli
uomini e a Fred, accidenti al suo desiderio di fare una famiglia, accidenti a
Remus che non c’era più e che le avrebbe evitato tutto questo. Accidenti alle
lacrime che stavano scendendo sulle sue guance.
Fred accolse il silenzio di Tonks e lo assecondò.
Aveva parlato anche troppo. Si era esposto anche troppo. Aveva detto chiaramente
cosa desiderava.
Rimasero in silenzio per parecchio
tempo.
La
Tana – due ore dopo o
poco più.
Arthur si guardò attorno alla ricerca di uno spazio
sufficientemente ampio da accogliere lui e quell’aggeggio babbano che gli aveva
appena regalato Harry e che doveva servire ad ascoltare musica presa da un
sistema chiamato Inernet o simile del quale non aveva poi capito molto. Comunque
non c’erano sedie libere. E neppure spazi sul tappeto. C’erano Weasley di prima,
seconda e terza generazione ovunque. Nuore e genero, amici di
famiglia.
Riuscì ad individuare uno spazio in un divano
prendendosi in braccio il figlio maggiore di Bill che adorava quanto lui tutti
quegli strani oggetti spesso inutili. Insieme cercarono di capire il significato
dei tasti, dopo che il nonno era riuscito a ricreare con un incantesimo quella
cosa chiamata “elettricità”.
In pochi minuti si unì anche il figlio di Charlie.
Le altre quattro nipoti erano sedute al centro del tappeto, intente a disegnare
su enormi fogli di carta che Molly teneva sempre a disposizione. Il resto della
tribù beveva the caldo o burrobirra per riscaldarsi dalla passeggiata all’aria
aperta. Il piccolo di Bill era al piano di sopra con la mamma per essere
cambiato. Hermione era seduta vicino alla porta di casa, alla ricerca di un po’
d’aria che diminuisse il senso di nausea che l’attanagliava. Ginny e Ron erano
con lei e stavano chiacchierando mentre Neville stava offrendo loro il the. Fred
e Percy stavano cercando di trovare un senso ad un gioco di corde che era stato
inventato a Hogwarts da qualche studente, che Neville aveva requisito quando uno
dei suoi allievi aveva legato, senza possibilità di liberarla, una sua compagna
di Casa, e che aveva portato ai gemelli per vedere se poteva diventare un loro
nuovo prodotto. George e Charlie discutevano animatamente del campionato di
Quidditch in corso, Molly, Lucinda, Tonks e la moglie di Charlie si scambiavano
opinioni sfogliando un nuovo magazine con le foto di alcuni maghi famosi. Bill
scese dal piano superiore con il piccolo in braccio, seguito da Fleur che non
aveva perso neppure un po’ del suo fascino di Veela. Si mosse leggera per la
stanza, avvicinandosi ad Hermione e facendole provare una crema profumata che
aveva usato durante i primi mesi delle sue gravidanze e l’aveva aiutata molto.
Nonostante la scarsa fiducia di Ginny, l’effetto fu immediato e molto
gratificante per l’amica che riuscì ad aggiungere un biscotto alla tazza di
the.
“Beh, Molly. Non puoi dire che non sia un
bell’uomo!” esclamò Lucinda indicando alla suocera la foto di un mago molto
giovane che giocava a Quidditch. “Giovane, giovane, ma
carino.”
“Tesoro, non mi dirai che questi sono i suoi
capelli. Secondo me chi ha fatto la foto ha fatto anche qualche incantesimo per
migliorarla.” Molly era decisamente scettica.
“Anche secondo me,” concordò Tonks prendendo il
giornale e guardando meglio. “Un giocatore di Quidditch ha quasi sempre segni di
lividi, se gioca costantemente.”
“Perché?” chiese la moglie di
Charlie.
“Perché sbatti sempre contro qualcosa o qualcuno.
Una Pluffa o un bolide se ti va male, un altro giocatore o qualche spalto del
campo da gioco. E poi cadi spesso nelle azioni di allenamento, quando
sbagli.”
“Non mi ricordo che i ragazzi avessero tutti questi
lividi,” disse Molly pensierosa. George che era il più vicino le rispose,
“Perché abbiamo imparato presto a curarci da soli. E poi non giocavamo così
spesso come i professionisti.”
“Curarci cosa?” chiese Bill.
“I lividi del Quiddich,” intervenne Charlie.
“Ricordi quando Fred ha tentato di sistemarti l’occhio viola che ti avevo fatto?
Aveva sei o sette anni…” disse strizzando l’occhio al fratello
maggiore.
“Merlino! Ne avevo due alla fine.” Bill spalancò
gli occhi al ricordo.
“Freed… hai rovinato il mio maritoo?” intervenne
Fleur guardando il cognato.
Fred stava ridacchiando. “Solo per qualche minuto,
poi è intervenuto lui direttamente guardandosi allo specchio. Eri già ad
Hogwarts, vero?” gli chiese Fred dall’altra parte della
sala.
“E c’era Patricia Milton che lo aspettava, se non
ricordo male,” completò George.
“Esatto, e voi due ci avete provato con me subito
dopo, per capire dove avevate sbagliato!” intervenne Ron puntando un dito contro
Fred.
“Ah, sì,” disse allora Arthur senza alzare la voce,
ma ottenendo l’attenzione di tutti. “È stato quando ci siamo ritrovati a cena
con Ginny che urlava perché nessuno le dava da mangiare e gli altri sei figli
avevano tutti qualcosa di viola: Bill l’occhio che gli aveva fatto Charlie,
Charlie un labbro per il colpo ricevuto da Bill, Ron un occhio per opera di
Fred, Fred l’altro perché Ron gli aveva infilato un gomito come difesa e George…
credo un occhio per simpatia con Fred. Percy aveva solo un maglione
viola.”
“Mai giocato a Quiddich, io!” esclamò Percy con
atteggiamento esageratamente altezzoso. “Troppo volgare e manesco. E poi non mi
avrebbe permesso di studiare.”
Questo scatenò un gioco di battute tra i fratelli
per sottolineare come il Quidditch avesse consentito a tutti di farsi un gran
fisico, tranne Percy che, a detta di Charlie, aveva dovuto recuperare da grande
per raddrizzare la gobba.
La discussione si concluse con Fred che puntando il
dito verso Ron esclamò, “Hai costruito un lavoro sul tuo corpo, tu!” facendo
scatenare le risate di tutti. Ron lo fissò con durezza. Ci mancava solo che per
sbaglio qualcuno dei fratelli si facesse sfuggire davanti ai genitori che per
mantenersi oltre alla guardia alla Gringott faceva anche l’accompagnatore per
signore altolocate per conto in un’agenzia.
Per fortuna Tonks deviò l’attenzione ribattendo,
“Beh, anche le guardie hanno un gran bel corpo, non solo i giocatori” ottenendo
un bacio da Ron.
“Ok, allora, Hermione ha sposato un giocatore e
Tonks usciva con una guardia. Discutetene un po’ e dateci un verdetto sul fisico
ideale,” propose Bill indicando le due donne.
Tonks gli rispose spalancando gli occhi, “Dato che
lei è ancora sposata con il giocatore e io non esco più con la guardia, credo
che la scelta sia ovvia!”
“Grazie, Tonks, hai rovinato il complimento di
prima,” si lamentò Ron, fingendosi arrabbiato.
“Allora chi vorresti al posto della guarrdia,
Tonks?” chiese Fleur. “Un sciocatore?”
Tonks sentì chiaramente che più di qualcuno era in
attesa della sua risposta. Non volle guardare verso Fred. Osservò invece lo
sguardo divertito di Lucinda.
“È difficile trovare chiunque di questi tempi… e
poi sono tutti impauriti dal fatto che credono che Ron sia mio fratello. Ti
capisco Ginny,” sospirò, scatenando altre risate.
Ginny le si avvicinò ridendo. E sottovoce, senza
farsi sentire da altri, le disse, “Gli unici a non avere paura di Ron sono i
suoi fratelli, Tonks. Vedi tu cosa fare.”
Per Alektos: grazie!! Altri due e siamo arrivati
all'epilogo...
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Capitolo 7 *** Trovare il coraggio di dirlo ***
7.
Trovare il coraggio di dirlo
La
Tana – giugno
“Io vorrei sapere chi ha deciso che Neville deve
arbitrare questa partita,” chiese, mani sui fianchi, Ron. Un Ron decisamente
irritato. “Vorrei sottolineare che sua moglie gioca in una delle
squadre.”
“Ron, non ci sono alternative,” gli rispose Harry,
tranquillo. Per essere solo un mese che avevano ripreso a parlarsi se la
cavavano benissimo. Zoppicavano ancora quando si trattava di dirsi chiaramente
cosa era successo negli ultimi tre anni, ma sembravano essersi ripresi il loro
ruolo di ‘ migliore amico ’ quasi del tutto. Sapevano che non sarebbero riusciti
a stare l’uno senza l’altro. “Chi altri potrebbe
arbitrare?”
Ron sbuffò poco convinto. “Papà!”
esclamò.
“Già perché lui invece di una moglie, ha sette
figli in squadra…” obiettò Oliver ironico.
Ron lo guardò con gli occhi socchiusi. Ogni tanto
diventava irritante quell’uomo. Gran giocatore, ma
irritante.
“Andiamo, Ron. Non rompere.” Bill chiuse
velocemente la discussione. “Se Neville fa preferenze faremo intervenire papà
come giudice inappellabile.”
“Non ho intenzione di fare preferenze per poi
rischiare le ritorsioni di qualche Weasley, moglie o cognato,” annunciò serafico
Neville, già a cavallo della scopa e pronto a controllare la composizione delle
squadre. “Intendete giocare o preferite passare la prossima mezz’ora a
discutere?” chiese indistintamente a tutti i presenti. Seguirono numerosi
borbottii e parecchi assensi.
Da bordo campo Molly e la moglie di Charlie
guardavano quello che stava accadendo con tutti i nipotini vicino, compresi i
più piccoli e Hermione che ormai a fine gravidanza se ne stava seduta su un
dondolo all’ombra di un albero insieme a tutti loro.
Arthur si prese la responsabilità di definire i
capitani delle squadre di gioco, che poi avrebbero deciso i componenti di ogni
singolo gruppo.
“Per evitare problemi il titolo di capitani va ai
due giocato più anziani del gruppo: Bill tra gli uomini e Tonks tra le donne.
Squadre semplificate con due cacciatori e non tre. Un portiere, un cercatore e
due battitori. Ok?”
Il resto della tribù diede segni di
assenso.
Bill e Tonks si portarono al centro del prato uno
di fronte all’altra, pensierosi. La responsabilità era notevole. Una partita a
Quidditch di quella portata non era un avvenimento da
sottovalutare.
Arthur dava le regole.
“Portieri. Comincia Bill per
anzianità.”
“Oliver. Naturalmente.” Oliver si spostò dietro di
lui.
Arthur guardò Tonks.
“Ron, naturalmente.” Ron si mise dietro all’amica,
appoggiandosi con noncuranza alla scopa.
“Battitori. A Tonks,” proseguì
Arthur
“Charlie e… io.”
Charlie si avvicinò al fratello, mettendo una mano
sulla spalla di Tonks.
“Fred e George.” I gemelli lo seguirono dando il
cinque ad Oliver.
“Cacciatori, a Bill.”
“Fleur” e le sorrise. “E io.”
“A me Lucinda e Percy” disse felice Tonks. Bill la
guardò meravigliato della scelta del fratello.
“Cercatore, a Tonks.”
Tonks si girò a guardare la sua squadra. Tre
scattanti e due massicci. Voleva Ginny, ma l’equilibrio ne avrebbe risentito. Ma
forse anche far giocare Harry con Ron. Si prese tutto il tempo per decidere. Poi
la folgorò l’immagine di Ron che litigava con Ginny.
Harry e Ginny erano rimasti in piedi tra le squadre
e aspettavano, tranquilli. A Ginny pareva di vedere i ragionamenti di Tonks che
si muovevano nell’aria come delle gran nuvole. Lei si sarebbe messa con Bill.
Per un buon equilibrio di forze. Harry aveva un sorriso ironico in faccia. Gli
sarebbe piaciuto giocare con Tonks come capitano. Un pizzico di
follia.
“Harry,” si decise Tonks, guardandolo. E sorridendo
poi a Ginny. Che si avviò verso il fratello maggiore che l’aspettava a braccia
aperte.
“Bene, adesso alcune regole generali,” annunciò
Arthur. I bambini a bordo campo erano in silenzio adorante. Non era mai successo
di vedere una vera partita a Quidditch con i loro genitori impegnati. E con un
vero giocatore come Olvier. E con il nonno che dirigeva
tutti.
“Volare basso, a parte i Cercatori e l’arbitro che
avranno protezione supplementare per non essere visti dai babbani qui intorno.
Non superare il punto massimo degli alberi. Neville arbitra. Lo fa anche ad
Hogwarts, quindi il fatto che sua moglie giochi in una delle squadre non è
decisivo. Si gioca una intera partita a meno che non arrivi prima l’ora di cena.
Ma avendo pranzato da poco non dovrebbero esserci problemi. Chiaro a tutti?” e
si guardò intorno. Tutti annuirono.
“Posizione,” disse risoluto Neville, aprendo il
contenitore dove già si agitavano i Bolidi. Intorno a lui si alzarono dodici
scope. Dai ripostigli di casa Wealsey erano usciti anche due intere divise che
Molly aveva velocemente adattato a tutti dopo che le avevano indossate. Sei
divise rosse e sei nere che si distinguevano bene nel cielo azzurro di
giugno.
Neville prese il fischietto e diede inizio alla
partita.
Nessuno dei giocatori, tranne Oliver, si allenava
con costanza dai tempi di Hogwarts. Ron e i gemelli avevano a loro vantaggio
notevoli giocate casuali con gli amici. Harry, a detta di Ron, non avrebbe
sollevato un Bolide con la forza che si ritrovava dopo tutti quegli anni di
dolce far niente al Ministero. Ginny, Fleur e Lucinda non giocavano da tempi
immemorabili. Bill e Charlie da tempi lunghi. Tonks aveva un allenamento
costante come Auror. Percy era un mistero per tutti, dato che nessuno lo aveva
mai visto giocare seriamente.
E infatti fu Percy il primo ad individuare
la Pluffa e
spedirla rapido a Lucinda, che resa molto reattiva da quasi sei anni di costante
attività con figlia e nipoti, riuscì ad inventarsi un passaggio a Percy che
lasciò quasi immobili Fleur e Bill che non si aspettavano tanta
agilità.
Percy spedì la
Pluffa verso Oliver, mentre più in
alto Fred cominciava a lanciare il Bolide contro Charlie che, senza pensarci
troppo, lo ributtò, duro, a George.
Oliver riuscì a fermare la Pluffa con una mossa repentina che lo
costrinse a rallentare notevolmente per non schiantarsi a
terra.
Harry e Ginny si stavano ancora guardando in giro,
alla ricerca del Boccino.
Neville, volteggiava nel campo osservando attento
tutti i passaggi.
Intanto a bordo campo i bambini avevano tutti la
testa rivolta al cielo e la bocca aperta dallo stupore. Mai visto uno spettacolo
del genere.
“Ma il papà ha buttato quella palla contro la
mamma?” chiese Ernestine, sorpresa.
“No,” la rassicurò Hermione. “Il papà deve
vedersela con Ninpha e con lo zio Charlie. La mamma gioca contro lo zio Bill e
la zia Fleur.” Esperta di Quidditch. Hermione doveva sottolinearlo a Ron, che
ancora la prendeva in giro.
“Guarda dove sta andando zio Harry. E zia Ginny lo
ha quasi raggiunto,” urlò il figlio maggiore di Bill puntando il dito verso il
cielo e alzandosi in piedi.
L’urlo di Fred riportò tutti con lo sguardo alla
mischia centrale. Il Bolide aveva preso in tronco di un albero che aveva
deviato, con uno schianto sonoro, la sua traiettoria e stava puntando verso
Fleur. Bill la avvicinò, ma Fleur se n’era già accorta e l’aveva evitata,
lasciando che fosse Tonks, con rabbia, a rispedirla verso
Fred.
Il gioco proseguì per un’altra mezz’ora senza colpi
di scena particolari e con un ritmo che diede il tempo ai giocatori di rendersi
conto di quanto fossero tutti fuori allenamento cercando di trovare un minimo di
memoria delle partite fatte a scuola. Poi cominciarono ad osare anche qualche
gioco di formazione, qualche passaggio a schema. Tonks e Bill riuscivano, grazie
alla lentezza del gioco, a dare istruzioni alle proprie
squadre.
Tonks stava lasciando mano libera a Charlie di
distruggere a suo piacimento uno dei gemelli e a Percy e Lucinda di muoversi con
passaggi corti e veloci contro Bill e Fleur che, legati agli schemi di gioco più
organizzati di Hogwarts, facevano fatica a trovare un ritmo per contrastare quei
due. Harry ogni tanto dall’alto guardava Tonks prendere con rabbia un Bolide e
buttarlo nella traiettoria dei Cacciatori, per poi passare a parlare con i
giocatori e dare istruzioni, che a suo parere, a volte erano contrastanti. Ron
aveva molto più lavoro di Oliver in quanto Fred e George riuscivano a fare una
barriera più serrata di Tonks e Charlie alle incursioni dei Cacciatori. Ma per
ora nessuno aveva segnato. Tranne qualche tiro sbagliato contro i tronchi degli
alberi.
I bambini si stavano animando e cominciavano a
tifare a voce alta.
Poi arrivò il gol di Percy, tra la sorpresa
generale di tutti. In realtà era un gol di Tonks e Charlie, che erano riusciti a
mettere in difficoltà i gemelli e quindi a lasciare via libera ai passaggi di
Percy e Lucinda. Fino al Bolide lanciato da Tonks contro Oliver che lo aveva
sbilanciato a sufficienza da far passare la
Pluffa di Percy in un angolino dell’anello centrale.
Praticamente pura fortuna. Ma a nessuno interessava puntualizzare la cosa.
Neville convalidò il gol e riprese Percy che stava facendo una strana danza
della pioggia in aria per autofesteggiarsi. Percy lo accusò di scarsa
sensibilità verso lo spirito libero dei topi di biblioteca. Neville gli ricordò
che anche lui faceva parte della categoria e quindi aveva poco da
raccontargliela, che la partita doveva ricominciare. Dopo la battuta di George
che doveva ricredersi su chi comandava a casa, vista la determinazione del cognato, Neville
fischiò nuovamente l’inizio del gioco, sotto lo sguardo ammirato della
moglie.
Proseguirono per un’altra ora fino ad arrivare ad
un pareggio momentaneo che risultò essere il punteggio finale. Infatti, mentre
volteggiava in alto, osservando la sua squadra che prendeva posizione, Tonks
sentì fischiare il bolide che le si avvicinava a per schivarlo andò a sbattere
contro un ramo, più sporgente degli altri, dell’albero vicino a lei. Il primo ad
arrivare fu Charlie che la sorresse sulla scopa. Sembrava essere una piccola
botta sulla quale lei e Charlie cominciarono a scherzare, ma quando venne il
momento di riprendere il gioco, Tonks prima si raddrizzò sulla scopa e subito
dopo si piegò in due dal dolore, lanciando un grido. Fred che non l’aveva persa
di vista neppure un momento, si allungò volando sulla scopa e si fermò secco al
suo fianco, avvolgendole il braccio attorno alla vita per sorreggerla. Tonks
gridò di nuovo.
“Le costole,” sentenziò Fred a Charlie che l’aveva
di nuovo raggiunta. “Ha qualche costola incrinata o rotta. Aiutami a
prenderla.”
“Scendo da sola!” boccheggiò tra il dolore
Tonks.
“Tonks…” intervenne secco
Fred.
“Aiutami a scendere, ma sulla mia scopa,” rispose
altrettanto secca lei, respirando a scatti e a fatica.
Fred si sposò dietro di lei e lentamente la fece
scendere a terra mentre Charlie lo seguiva tenendo con una mano la scopa del
fratello.
Cercando di controllare respiro e dolore, Tonks si
insultò per quella scelta così stupida. Sentire il corpo di Fred incollato al
suo, una mano appoggiata delicatamente al suo stomaco, il respiro che le muoveva
i capelli non era di certo la soluzione meno rischiosa che poteva trovare. E
quella voce leggera e dolce che le ripeteva di non preoccuparsi, che sarebbero
scesi e l’avrebbe portata al San Mungo per un controllo, non era un balsamo
lenitivo, ma una scossa costante per le sue emozioni.
Messi i piedi a terra, Tonks si ritrovò distesa sul
prato con Ginny che la controllava velocemente, muovendole la bacchetta sopra lo
sterno. Chiuse gli occhi. Troppo teste rosse.
“Fred,” sussurrò.
“Cosa?” era in ginocchio di fianco a lei. Lo aveva
visto sistemarsi a fianco della sorella.
“Le bambine. Avranno paura,”
“Sono con Lucinda, ho già controllato, stai
tranquilla,” le rispose con un piccolo sorriso. Quasi fossero sue, pensò tra il
divertito, lo scocciato e la speranza.
“Costole rotte direi, Tonks. Un paio almeno. Devi
farti controllare al San Mungo perché te le riassestino,” sentenziò Ginny,
guardandola con una espressione meno preoccupata di prima. Il grido dell’amica
l’aveva messa in serio allarme.
“Allora non so rompermi più come una volta,” disse
Tonks riaprendo gli occhi. “Non mi ricordo che facessero così male… me ne sono
rotte altre gli anni scorsi.” Respirava veloce e leggera, per sentire meno
dolore.
Fred le mise una mano sulla fronte. “Cosa vuoi, è
l’età…”
“Stupido!” buttò fuori lei a bassa
voce.
“Adesso, ragazza, dobbiamo portarti in ospedale.
Preferisci in piedi o distesa?” le chiese Fred, rialzandosi. Maggie e Reggie
arrivarono immediatamente a stringersi alla sue gambe.
“Ninpha…” Maggie la guardava con gli occhini
spalancati. Reggie aveva un dito in bocca.
“Ehi, ragazze.” Sorrise loro. “A quanto pare,
dobbiamo finire qui la partita. Devono risistemarmi un
po’.”
“Ma poi torni?” le chiese Maggie. Fred mise ad
entrambe una mano sulla spalla e le strinse a sé. Anche se facevano periodici
controlli al San Mungo e lo conoscevano bene, il ricordo di Maggie sembrava
arrivare ancora all’incidente della mamma.
“Certo! Ho solo un osso rotto. Quello che succede a
chi gioca seriamente a Quidditch… Sapeste quante volte è successo ai giocatori
veri.”
“Adesso la porto in ospedale per un controllo, poi
la metto a letto. E ci vediamo a casa. Voi state con zia Lucinda, zio George e
Ernestine, d’accordo? Io passo a prendervi quando Ninpha sarà zitta e
addormentata a letto.” Fred si era piegato sulle ginocchia e stava parlando ad
entrambe le figlie.
“Ma Ninpha può stare sola di notte, se sta male?
Noi non possiamo,” gli fece notare Maggie, un po’
preoccupata.
Fred guardò Tonks, aspettando da lei una
risposta.
“Sì, i grandi possono,
Maggie.”
“Ma possono anche andare a casa di amici ed essere
coccolati,” intervenne Ginny. “Vieni da noi, per questa notte,” le
offrì.
Tonks provò a dire di no, ma intervenne anche
Neville per chiudere la questione. “Stiamo così vicini, Tonks, che non ci sono
motivi per dire di no. Andiamo.”
“Tutto deciso,” disse in fretta Arthur. “Adesso al
San Mungo.” E fece cenno a Fred di muoversi. Ginny prese per mano le nipotine.
Tonks cercò di alzarsi con evidenti smorfie di dolore, appoggiandosi al braccio
e poi al corpo di Fred.
“Potrei portarti distesa, Tonks,” provò a
dirle.
“No, non serve. Ma devi Smaterializzarmi tu. Non ce
la faccio.
Nessuno degli altri presenti si offrì di seguirli o
di aiutarli. Si era creata una involontaria solidarietà tra fratelli nel
considerare Tonks una invidiabile futura cognata. E quello era un buon momento
per lasciarli da soli.
Fred le mise nuovamente un braccio intorno alla
vita e la fece appoggiare contro di sé. Lanciando un’occhiata al fratello e
strizzando un occhio alle figlie per salutarle, si Smaterializzo con lei
direttamente davanti all’entrata del San Mungo.
San Mungo – pochi attimi
dopo.
Immediatamente al loro ingresso arrivò un guaritore
che fece stendere Tonks e la controllò con la bacchetta come aveva fatto
Ginny.
“Cosa è accaduto?” chiese rivolgendosi ad entrambi.
Solo allora notò le divise che indossavano. “Ahhh, Quidditch.
Professionale?”
“No, tra amici,” disse Fred.
“Sono un Auror,” intervenne Tonks. Subito il
guaritore si fermò e le confermò che avrebbe chiamato qualcuno della sezione
medica che seguiva specificatamente gli Auror. Qualcuno che avesse sotto stretto
controllo, come era richiesto, la loro salute fisica.
Intanto la trasportò attraverso l’ampio corridoio
dove c’erano persone in attesa di avere notizie dei feriti o degli ammalati che
venivano controllati e curati in ampi spazi delimitati da divisori in metallo.
Tonks finì dietro uno di questi e a Fred fu chiesto di aspettare fuori, seduto
in una delle poltroncine per l’attesa. Si mise seduto e appoggiò con un sospiro
la testa alla parete. Non gli piaceva essere lì, proprio per nulla. Ancora
troppi ricordi. Con le bambine frequentava gli spazi del settore pediatrico, ma
non si era più avvicinato al reparto dove era morta Angelina.
Sospirò profondamente cercando di non lasciarsi
andare troppo ai ricordi. Ma era di nuovo lì, con la donna che amava e che stava
male. Una situazione non paragonabile, ma comunque era di nuovo lì. Sentire
Tonks gridare l’aveva terrorizzato. Il primo pensiero era stato che doveva dirle
che l’amava. Prima ancora di pensare che doveva soccorrerla. Era arrivato prima
Charlie solo per quello. Poi vedendo che si trattava solo delle costole, si era
tranquillizzato. Ma doveva parlarle, non era più possibile aspettare. Chiuse gli
occhi, la testa rivolta al soffitto. Doveva dirle che era innamorato di lei.
Anche se aveva paura di perdere quello che avevano costruito in quegli anni,
quella amicizia che ormai non gli era più sufficiente. Desiderava quella donna
ben oltre il limite dell’amicizia. E non intendeva privarsi del piacere della
loro amicizia. Che gran confusione che si era creata. Era partito tutto solo
come un aiuto pratico ed era finito per diventare una scelta di vita. Cercò di
svuotare la mente e di concentrarsi sul nulla per rilassarsi un po’. Si sfregò
le mani sugli occhi per diminuire il turbinio dei
pensieri.
Dopo meno di mezz’ora la parete scorrevole si aprì
e Tonks uscì, in piedi, sorridente.
“Tutto fatto,” gli disse. “Due costole rotte e
riaggiustate. E un po’ di medicine per aiutare le ossa,” gli mostrò il sacchetto
trasparente nel quale si intravedevano due contenitori di vetro pieni di liquido
colorato.
Dietro di lei uscì la guaritrice che era entrata
poco dopo di lei. Le mise una mano sulla spalla per salutarla, poi vide Fred e
si fermò interdetta.
Tonks notò lo sguardo e li
presentò.
“Elizabeth Gressy, guaritrice e Fred Weasley, un
mio amico.”
“Weasley…” ripeté la guaritrice. “Piacere,” e gli
diede la mano che Fred strinse deciso. “Parente di Percy
Weasley?”
“Sì, sono uno dei fratelli,” confermò
Fred.
Alla guaritrice si illuminarono gli occhi. “Oh, non
lo vedo da quasi un anno. Me lo può salutare?”
Fred si mantenne serio a fatica. “Certamente.” Se
suo fratello Percy riusciva a far illuminare in quel modo una donna c’era
qualche cosa che lui non sapeva.
“Grazie,” e si girò per salutare anche
Tonks.
Quando furono quasi fuori dal reparto Tonks gli
disse, cercando di suonare casuale, “Credevo fosse un colpo di fulmine, da come
ti ha guardato.”
“Bah, no. Sembrava che avesse visto un fantasma,”
la corresse Fred. Poi le mise una mano sulla spalla. “Nessun
dolore?”
Tonks si lasciò scivolare verso di lui, stanca.
“No, ho ancora l’effetto dei medicinali.”
“Andiamo direttamente a casa di Neville e
Ginny?”
“No devo prendere delle cose a casa mia per la
notte.” Non voleva andarci da sola. Era sfinita, puzzolente e sporca, ma per una
volta aveva Fred solo per lei. Senza altre persone intorno. E non intendeva
rinunciare neppure ad un secondo di quel tempo. Anzi, poteva anche permettersi
qualche lusso, per una volta. “Puoi Smaterializzarci tu, ancora? Così non faccio
troppi sforzi.”
Fred annuì e stringendola a sé li fece arrivare
davanti a casa sua.
Casa di Tonks – tardo
pomeriggio
La casa era chiusa e buia. Una volta entrati e
spalancate le finestre Fred si rese conto che era anche piccola. Molto piccola.
Non l’aveva mia vista prima in tutti quegli anni. Era sempre stata Tonks ad
entrare nella sua vita, non il contrario.
L’ingresso dava direttamente in un’unica stanza con
un angolo cottura e in fondo delle scale portavano al piano superiore dove
doveva esserci la camera. Arredamento minimo. Molto semplice. Molto colorato.
Quasi un arcobaleno di colori. Vide immediatamente le foto delle figlie in tre
diversi momenti della loro vita. In una c’era anche lui. E poi una foto di
Remus, al centro di un mobile con una quantità spropositata di libri. Tonks si
avviò direttamente alle scale e al piano superiore. Senza chiedere il permesso
Fred la seguì.
Quello era il mondo personale di Tonks. Tutti quei
colori. Gli stessi che aveva insegnato ad usare alle sue figlie. Tanti libri
letti e sparsi per la stanza. Vestiti buttati sulla sedia davanti al letto e
nella parte del letto matrimoniale ancora intatta. Quella dove dormiva lei era
un groviglio di lenzuola.
Fred si fermò a fissare il letto. Desiderava
guardarla mentre dormiva. Vedere se i suoi capelli si arruffavano più del
solito. Imparare quale fosse la sua posizione preferita. Riconoscere quando
stava per svegliarsi. Sentire il suo respiro tranquillo vicino a sé. E
desiderava tutto quello che poteva starci prima e dopo.
Tonks aveva preso una piccola sacca dall’armadio e
ci stava infilando biancheria, un paio di jeans e una maglietta. Avrebbe fatto
la doccia da Ginny e Neville.
Fred la guardò sistemare tutto infilandolo senza
cura e sorrise pensando con quale cura piegava a sistemava i vestiti delle
bambine. E a volte anche qualche camicia sua. Sentiva l’odore di Tonks che
pervadeva la camera. Quel misto di cannella e spezie che sentiva anche sui
vestiti delle bambine quando passavano molto tempo vicine a lei, a giocare o a
farsi consolare.
Lasciò cadere ogni minima barriera che si era
costruito. Non poteva aspettare. Voleva quel profumo solo per
sé.
“Ninphadora…” la chiamò, piano, dallo stipite della
porta al quale era appoggiato.
“Fred, sai che non lo sopporto quel
nome.”
“Ninpha…” le disse di nuovo. Tonks stava cercando
un pigiama pulito e non lo guardava. Lui intrecciò nervoso le
mani.
“Fred …. Mi chiamo Tonks!”
“Nei miei sogni sei sempre Ninpha.” Lo sussurrò
piano, naturale. Era così ovvio adesso, per lui, che poteva esserci solo
Ninpha.
Tonks si fermò. Si fermò anche il suo respiro per
qualche secondo. Poi accelerò all’improvviso. Chiuse gli
occhi.
E si girò a guardarlo.
Oh, Merlino, Merlino, Merlino. Eccolo. Era proprio
lì, per lei.
Quel sorriso, appena
accennato.
Quel sorriso ironico e sbruffone che avevano sempre
avuto tutti i Weasley e che adesso, rivolto a lei, era così sensuale. La stessa
divertita sensualità con la quale George sorrideva a Lucinda, con la quale Ron
aveva sorriso ad Hermione, con la quale Ginny sorrideva a Neville e Arthur a
Molly. Con la quale Fred la stava guardando.
Tutta la stanza attorno a lei sparì. C’era solo lui
che la sognava di notte e la chiamava per nome. E c’erano tutti quegli anni di
amicizia e di dialogo, di battute e di discussioni che li avevano portati fino a
lì. Tonks e Fred.
Tonks provò a parlare due volte, senza trovare la
voce. Fred rimase fermo a guardarla, in attesa. Poi anche Tonks gli sorrise. E
ritrovò la semplicità nel parlare con lui.
“Anch’io… oh… io ti chiamo sempre Fred.” La voce
uscì quasi incerta, ma con il suo tono sornione, attenuato dal sorriso dolce e
dalla luce degli occhi.
Il sorriso di Fred divenne ancora più grande. Si
infilò le mani nelle tasche posteriori della divisa, come se fosse un po’
intimidito.
“Dato che ho cinque fratelli mi fa piacere sapere
che non mi chiami solo Weasley…”
“Quale altro Weasley potrei volere, se non te?” gli
chiese piano.
“Non lo so. Non mi interessa nulla adesso, se non
te.”
Si guardarono in silenzio.
“Ninpha…” iniziò Fred. Poi si fermò. Fece un
profondo respiro e allargò le braccia, con una smorfia. “Non voglio bruciare
tutto mentre siamo qui sudati e con queste ridicole divise da gioco. Non dopo
aver aspettato mesi.”
Tonks annuì. Mesi, come lei, aveva atteso
mesi.
“Non so cosa pensavo di fare. Non avevo progettato
nulla, se non che ti desidero. E mi piaci. E…” si fermò.
Tonks gli fece un piccolo sorriso. “E,” gli disse
semplicemente.
“Adesso ti porto da Neville e Ginny, e ti lascerò
come il solito.” La guardò deciso e stanco. “E faremo come il solito la prossima
settimana. Poi venerdì sera George e Lucinda prenderanno le bambine e noi…
saremo solo noi due. Puoi aspettare?”
“Fred…” gli sorrise dolce e divertita, in risposta,
“mi farà male la costola tra poco. E farò fatica a muovermi. E non voglio
preoccuparmi di dovermi svegliare per andare a lavorare il giorno dopo. E
anch’io ti desidero da mesi, Fred. E mi piaci. E.”
Si sorrisero, meravigliati di tutta quella calma
che li pervadeva, della tranquillità della loro voce.no parlando della loro
e
Sentivano il cuore battere all’impazzata e i
pensieri in testa sprizzare come scintille. Ma volevano il massimo adesso e non
era certo un primo bacio in una stanza da letto disordinata, con una costola
appena rimarginata, sudati dopo una partita di Quidditch sotto il sole. Era una
serata per loro, lune di candela, del tempo da soli, la sicurezza che Maggie e
Reggie fossero tranquille. Tempo per parlare e per baciarsi e toccarsi senza
fretta. Venerdì sera. E notte. Di questo erano entrambi
sicuri.
A fatica riuscirono a distogliere lo sguardo uno
dall’altra e poi Tonks infilò il pigiama nella sacca e seguì Fred lungo le
scale.
Arrivarono da Ginny e Neville a piedi, in
pochissimi minuti, tenendosi per mano fino al cancello. Poi si separarono e
quando Ginny accolse Tonks sulla porta, e Tonks si assicurò che Fred sarebbe
andato immediatamente a dire alle bambine che il pomeriggio successivo sarebbe
stata con loro, si abbracciarono per qualche secondo e Fred le appoggiò le
labbra sulla fronte. Come faceva con Ginny. La quale li osservò in silenzio e
senza dire nulla abbracciò Tonks e l’accompagnò in casa per fare una
doccia.
Se ci sono errori nel Quidditch chiedo scusa....
Grazie, grazie a tutti quelli che hanno
recensito.
Per Nonna Minerva: sapessi quanto ho riso per Under the
table...
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Capitolo 8 *** Countdown ***
Sono arrivata in fondo. Ringrazio
tutti quelli che hanno letto e recensito (in particolare Alektos per la costante
partecipazione) e... forse potrà esserci un altro punto di vista, se la fantasia
mi assiste.
Ciao e buona
lettura.
8.
Countdown
Inizio luglio
Lunedì
Tonks si alzò dal letto a casa di Ginny e Neville
un po’ dolorante. Medicine, colazione e via al lavoro. L’incidente le permetteva
di avere un orario ridotto per l’intera settimana. Perfetto. L’impegno di un
Auror, in quei tempi, era compatibile con orari d’ufficio o orari
ridotti.
A metà mattina arrivò alla finestra del suo ufficio
il gufo di Fred.
Sentì i brividi sulla pelle. Fred. Prese la
pergamena, controllò di non essere disturbata e la aprì. La pioggia all’esterno
batteva a ritmo con il cuore.
Lunedì… 1
bacio.
Vestiti sexy e pochi
bottoni.
Divento imbranato con i
bottoni.
- 4
Sorrise all’aria davanti a sé e non riuscì a
togliersi il sorriso per lunghi minuti. Lisciò e lesse il biglietto più volte,
pensando alla risposta. E godendosi quell’invito. Legò la sua pergamena alle
zampe del gufo quasi mezz’ora dopo e la spedì a lui.
Fred si era alzato prestissimo, ma non riusciva a
stare fermo, neppure mentre dormiva. Il letto era un campo di battaglia. Le
bambine riflettevano la sua euforia ridendo e giocando più del solito. A metà
mattina gli era venuta l’idea del biglietto e adesso, prima di pranzo, era in
attesa. L’ultima lettera commerciale che aveva davanti l’aveva letta almeno sei
volte senza riuscire a mettere una lettera insieme all’altra. George non gli
aveva chiesto nulla, ma ogni tanto entrava in ufficio dal negozio, lo guardava e
ridacchiava. Il suo gufo atterrò bagnato quasi un’ora dopo che lo aveva inviato.
Prese il pezzo di pergamena.
Lunedì… 1
bacio
Non dirmi come
vestirmi.
Puoi solo decidere come
svestirmi.
-4
L’attesa metteva i brividi.
Alla sera si ritrovarono a cena. Nessuno dei due
accennò allo scambio di pergamene. Parlarono con le bambine e delle bambine,
della cena di giovedì alla quale di solito veniva Ron, ma alla quale si
aggiungeva Harry per questa settimana. Si salutarono sulla porta. Fred le diede
un bacio in fronte.
Martedì
Il biglietto arrivò ancora in tarda mattinata.
Ancora con la pioggia. Tonks lo prese e lo tenne con sé durante un noiosissimo
colloquio di orientamento con una nuova recluta, entrata nel suo ufficio pochi
minuti prima dell’arrivo del gufo. Quando riuscì a liberarsene, chiuse la porta
e lesse la pergamena.
Martedì…2
baci
Cena
all’aperto.
Baci sotto le
stelle.
-3
Cena all’aperto… chissà dove. Come doveva vestirsi?
Oh, non riusciva a non pensare a quello. Sexy, lei? Doveva parlare con Lucinda.
Anzi, doveva fare un controllo del suo armadio con Lucinda per decidere cosa
mettere! Riprese il biglietto e pensò alla risposta.
Fred era alle prese con un emergenza familiare
quella mattina. Maggie a scuola era scivolata e si era rotta un braccio. L’aveva
presa con sé al San Mungo e l’aveva portata a casa con il braccio ricomposto, ma
con una grande paura. Era il suo primo incidente. Mentre la cullava seduto sul
divano, con lei quasi addormentata tra le braccia arrivò il gufo e atterrò
vicino alla sua testa, appollaiato sullo schienale. Quando capì che Maggie stava
dormendo allungò una mano e prese la pergamena. Il gufo paziente attese che lui
la slegasse.
Martedì… 2
baci
Ti voglio in jeans e
camicia.
Romantico.
- 3
Sorridendo, piegò il biglietto e lo annusò. Il
profumo di Tonks. Anche lì.
Si videro il pomeriggio, quando Tonks arrivò a casa
sua per dargli il cambio con Maggie che cominciava a sentirsi di nuovo
tranquilla. L’aveva avvisata poco prima del suo arrivo, per farla venire
direttamente lì e non alla scuola della figlia. Parlarono di Maggie per tutta la
giornata. E alla sera entrambe le bambine avevano bisogno di essere coccolare a
causa del temporale che imperversava all’esterno.
Mercoledì
Tonks era alle prese con una denuncia di furto al
Ministero. Un piccolo problema interno. Stava leggendo gli interrogatori dei
dipendenti coinvolti per cercare dei collegamenti quando arrivò il gufo. Un po’
in ritardo, pensò. Chiuse la porta e si sedette alla scrivania per
leggerlo.
Mercoledì… 3
baci
Mi manca il tuo
profumo.
Come lo posso
avere?
- 2
Tonks rimare pensierosa per un bel pezzo. Farsi
venire un’idea questa volta era difficile.
Fred aveva le gambe appoggiate al suo tavolo e
guardava fuori dalla finestra. Chissà cosa le sarebbe venuto in mente. George
entrò ridacchiando e scusandosi se disturbava i suoi sogni, ma era solo in
negozio e c’era bisogno di aiuto. Forse Fred poteva rimanere un’oretta senza
pensare a Tonks? Fred si alzò con l’aria di un adolescente scoperto dai genitori
e seguì il fratello. Il gufo arrivò molto tardi quella
mattina.
Mercoledì… 3
baci
Fino a questa
sera.
Ti lascerò una parte di me a
casa.
- 2
Fred riuscì a leggere la pergamena da solo in
ufficio. Appena aperta sentì il profumo di Tonks, inteso. Sulla pergamena c’era
un piccolo pezzo di stoffa che lasciava uscire il profumo di lei. Non aveva idea
di quale incantesimo avesse fatto, ma quella stoffa stava benissimo dentro la
tasca dei pantaloni e lo copriva di spezie e cannella.
Alla sera si accordarono per la cena del giorno
dopo con Ron e Harry. Tonks lo avvisò che sarebbe passata al cimitero per Remus
e sarebbe arrivata tardi. Quando se ne fu andata e le bambine furono a letto
entrò in camera sua. Sul letto c’era un maglione di Tonks, aperto sopra il
copriletto. Profumato. Se lo mise vicino al cuscino, mentre
dormiva.
Giovedì
Tonks arrivò in ufficio quasi insieme al gufo.
Meravigliata prese in fretta la pergamena. La aprì un po’
tesa.
Giovedì… 4
baci
Grazie. È stato con me tutta la
notte.
Cosa posso fare in
cambio?
- 1
Tutta la notte. Sospirò di gioia. E chiuse gli
occhi per immaginarselo. Cosa voleva lei?
Fred attese ben poco la risposta. E poi quella sera
non avrebbero avuto possibilità di stare molto da soli. Troppi ospiti per cena.
George scuoteva la testa ogni volta che lo vedeva con lo sguardo perso nel
vuoto. Secondo lui l’aveva proprio presa dura, questa volta! Aprì il
biglietto.
Giovedì… 4
baci
Farti
desiderare.
Farmi
desiderare…
- 1
Alla sera Harry e Ron presero loro tutto il tempo.
Harry aveva in programma un colloquio con Minerva McGrannit che si preannunciava
difficile, dato che la Preside di Hogwarts non gli avrebbe
nascosto la sua disapprovazione per la scelta disfattista che aveva fatto della
sua vita, chiudendosi dentro il Ministero. E probabilmente lo avrebbe messo di
fronte ad una scelta. Tonks li aggiornò sulla situazione dei professori e
passarono parecchio tempo a parlare tutti e quattro di
Quidditch.
Uscendo di casa, quando ormai i due uomini erano
partiti, Fred la prese per un braccio e la tirò verso di sé, dandole un bacio
lento e quasi impalpabile a lato della bocca. Un colpo di vento, una piuma. Gli
occhi di entrambi si riempirono di desiderio. Poi senza aggiungere parole lei
uscì e gli diede un veloce bacio sulla guancia. E tornò a
casa.
Venerdì
Il gufo picchiò contro il vetro dell’ufficio di
Tonks mentre leggeva la risposta di Lucinda alla sua richiesta d’aiuto per avere
un consulente di abbigliamento, trucco e gestione dell’ansia per il pomeriggio.
Lucinda si considerava arruolata insieme alle bambine che avrebbero giocato a
casa di Tonks.
Prese la nuova pergamena, un profondo respiro e la
aprì.
Venerdì… 5
baci
Arrivo da te alle 7.00
pm.
E non voglio lasciarti
più.
0
Sorridendo e agitandosi sulla sedia cercò di
concentrarsi sulla risposta.
Fred finì di risistemare alcuni documenti in
ufficio, chiuse tutto e aprì la porta per andare a pranzo con il fratello, a
casa sua. Il gufo lo fermò sulla porta. Corse a prendere la pergamena,
leggendola in fretta.
Venerdì… 5
baci
Ti
aspetto.
Per non lasciarti
più.
0
Sorridendo raggiunse George che gli circondò le
spalle con un braccio e gli chiese, serio, “Devo spiegarti qualcosa sulle api e
i fiori o pensi di aver letto abbastanza libri?”
Casa di Tonks – tramonto
Primo bacio
Fred bussò a casa di Tonks alle
7.00 in
punto. Vestito con un paio di jeans neri e una camicia grigia cangiante. Giacca
appoggiata su un braccio. Pettinato e sbarbato. Con il maglione di Tonks in
mano. Le bambine avevano approvato la scelta del padre, dividendo il loro
interesse tra un papà vestito elegante e la prospettiva di un pigiama party con
la cugina. Maggie gli disse che lo avrebbe disegnato per poi dare il suo
ritratto a Ninpha. Reggie gli sorrise divertita da tutta quella gioia che
sentiva attorno a sé.
La porta di aprì, ma dietro non c’era nessuno.
Sentì Tonks gridare dal piano superiore, “Arrivo, aspettami in
salotto.”
Rimase fermo al centro della stanza, guardandosi
ancora attorno. Non c’era stato nessun tentativo di fare ordine. Poi dalle scale
scese Tonks, sorridente.
“Ho svuotato il mio armadio con Lucinda e ho
trovato qualcosa senza bottoni…” gli disse.
Fred la guardò. Con un abito rosso scuro, lungo e
leggero, un “cosino” di stoffa infilato sulle spalle e chiuso con un nodo al suo
fianco. Scarpe basse, capelli castani corti, sciolti e pettinati all’indietro.
Spuntò il sorriso Weasley.
“Grazie…” le rispose,
sornione.
“Grazie anche a te,” disse Tonks guardandolo
dall’ultimo scalino. Lui le fece vedere il maglione e lo appoggiò allo schienale
del divano e poi le si avvicinò e stese la mano, in attesa della
sua.
Tonks allungò la sua per metterla sopra quella di
Fred, che la strinse. “Adesso ti porto al ristorante. Lì vicino c’è una
meravigliosa vecchia quercia. E ti bacerò. Con le prime stelle o al tramonto.”
Tonks gli sorrise, entusiasta.
Looney Park – sera.
In pochi attimi erano davanti al piccolo ristorante
all’interno del Parco. C’erano tavoli all’aperto, ciascuno con una grande
candela al centro, abbastanza lontani da non disturbarsi l’uno con l’altro. Fred
avvisò del loro arrivo, dicendo che facevano due passi lì attorno e poi si
sarebbero seduti.
E sotto la quercia si abbracciarono, con esitazione
all’inizio, con dolcezza poi. E parlarono di loro. E arrivò il primo bacio.
Esitante, lento, lungo e profondo.
Secondo bacio
Seduti al tavolo, in attesa di ordinare, parlarono
degli ultimi tre anni.
Seduti al tavolo, in attesa di quello che avevano
ordinato, parlarono degli ultimi tre anni.
Mangiando quello che avevano ordinato, parlarono
degli ultimi tre anni.
Tenendosi per mano il più
possibile.
Poi, al momento del dolce, Fred allungò il braccio
e prese un pezzo della torta di Tonks con la forchetta e la portò verso la bocca
di lei, che la aprì guardandolo negli occhi mentre la imboccava. E Tonks
restituì il favore.
Terminata la cena, andarono a camminare nel parco e
tornarono alla vecchia quercia. E si baciarono, esplorandosi con le
mani.
Casa di Tonks – notte
Terzo bacio
Arrivati davanti alla porta della casa di Tonks
entrarono tenendosi per mano. Appena entrati Fred la spinse contro la porta. E
si baciarono con foga.
La giacca di Fred e il “cosino” di Tonks finirono
per terra.
“Ottima scelta, quell’affare che ho tolto,” le
sussurrò Fred all’orecchio.
Quarto bacio
Il quarto bacio arrivò mentre erano sdraiati sul
divano, proseguì mentre salivano le scale e finì molto molto tempo dopo,
abbandonati e ansanti sul letto.
I loro vestiti contribuivano ad aumentare il
caos.
Fred abbracciò Tonks e le sussurrò, “Ho notato che
sei stata informata della fissazione degli uomini Weasley per il pizzo…” Tonks
gli sorrise contro l’orecchio. “Volevo controllare se era
vero…”
Quinto bacio
Fred si svegliò abbracciando Tonks. Con i suoi
capelli rosa in bocca. Spostò la testa indietro e lentamente si staccò da lei,
sedendosi sul letto e guardandola. Era sdraiata su un fianco, un braccio sotto
il cuscino e l’altro abbandonato sul letto.
Si allungò sopra di lei e la
baciò.
Parecchio tempo dopo, ma in orario con quanto
concordato, scesero le scale, sorridendosi scioccamente, per andare a pranzo da
George e Lucinda. Senza riuscire a non tenersi per mano.
Antivigilia di Natale – martedì
sera.
Ron era sdraiato per terra, sopra il tappeto del
salotto, a casa del fratello. Harry era seduto, anzi semisdraiato, sul divano di
casa di Fred. Fred era seduto sullo schienale del divano, calzini ai piedi,
piedi sul divano. Fred e Harry stavano chiacchierando del corso di Harry per
diventare insegnate di Difesa contro le Arti Oscure ad Hogwarts. La McGrannit gli aveva
offerto la cattedra quattro mesi prima, all’incirca, e lo aveva caldamente
invitato a partecipare ai tre anni di formazione previsti per tutti i nuovi
insegnati. Lui e Ginny per la cattedra in Trasfigurazione. Adesso Harry viveva a
casa di Ron e Grimmauld Place era disabitata. Ron disteso a pancia in giù
giocava con la nipotina più piccola ad una specie di braccio di ferro inventato
da loro due che consisteva nel tentativo di Reggie di afferrare con la mano il
pollice della mano sinistra di Ron che si muoveva mentre il pugno era fisso a
terra. Reggie rideva battendo i piedi, mentre Ron si alternava tra un commento
al dialogo tra Fred e Harry e una risata con la nipote.
Tonks era al piano superiore con Maggie per
decidere quale vestito indossare per il giorno di Natale. Circa una settimana
prima Maggie aveva cominciato a mostrare i segni di quella che Fred aveva
definito “follia femminile da controllare”. Commentava i suoi comportamenti
richiamandolo quando secondo lei si comportava male, accettava di parlare di
vestiti solo con Tonks, guardava con sufficienza i giochi, secondo lei
infantili, della sorella, commentava i suoi nuovi compagni di classe, aveva
insomma opinioni su tutto. E le esprimeva senza remore.
La guardò scendere dalle scale lentamente, mentre
ascoltava la descrizione di Harry dell’ultima lezione di didattica alla quale
aveva partecipato, seguita da Tonks che aveva il suo solito, attraente, sorriso
sulle labbra.
“Hai scelto Maggie?” le
chiese.
La figlia annuì seria. “Ho provato con Ninpha. Sarà
una sorpresa. Posso disegnare in cucina?” chiese.
“Fino al momento di preparare la cena.” Maggie i
prese i suoi colori, carta e piuma e si arrampicò sulla sedia. Tonks andò a
sedersi sul divano tra Harry e Fred e solo allora Fred scese vicino a lei per
metterle un braccio attorno alle spalle. Reggie decise di raggiungere la
sorella.
Continuarono a chiacchierare senza sosta del lavoro
di ognuno di loro, del nuovo interesse di Ron per l’economia e del nuovo corso
che stava seguendo (in realtà seguiva con interesse anche una delle docenti…)
per destreggiarsi nelle trame bancarie, dell’incontro di Harry con Susan Bones
con la quale aveva cominciato ad uscire pochi giorni prima, del prossimo
matrimonio di Fred e Tonks previsto entro la fine di gennaio, del figlio di
Hermione e Oliver che occupava tutta l’attenzione della sua mamma, della
gravidanza inattesa di Ginny che aveva portato lei e Neville al settimo cielo,
proprio perché quasi senza speranza, dei piccoli problemi di cuore di Arthur che
stava facendo dei controlli al San Mungo e delle litigate sempre più frequenti
tra Charlie e la moglie. Il rapporto di coppia fu un argomento molto dibattuto,
dato che tutti erano coinvolti in prima persona in nuove relazioni e una
osservazione casuale di Tonks sulla poca attenzione che secondo lei Oliver dava
alla moglie in quel periodo fece impensierire sia Harry sia Ron, ancora legati
profondamente all’amica. Ma sembrava una situazione
transitoria.
Reggie arrivò in quel momento per chiedere di
giocare con qualcuno perché Maggie voleva disegnare da sola. Tonks si alzò e la
accompagnò di nuovo dalla sorella dividendo equamente gli spazi e il materiale
tra le sorelle perché potessero disegnare entrambe. Maggie sbuffò un po’ per
quella che considerava un’invasione, ma poi riprese a colorare il foglio davanti
a lei dove c’era una grande macchia verde con tante persone
attorno.
Tonks rimase a guardarle per qualche minuto e poi
ritornò a sedersi sul divano. Fred la abbracciò di nuovo, accarezzandole una
spalla. Tonks si abbondò sul divano, chiudendo gli occhi e lasciandosi cullare
dalle voci del suo fidanzato e dei suoi cognati, reali o meno. La decisione di
sposarsi era di pochi giorni prima e nonostante avesse preteso da Fred un
matrimonio tranquillo e semplice, la sua fantasia cominciava a spaziare tra
vestiti da sposa, paggetti e torta di nozze. Doveva affrontare l’organizzazione
con Fred. E chiedere consiglio a chi ci era già passato come Lucinda, Hermione o
Ginny. Le bambine erano eccitate dall’idea, avevano capito che avrebbe vissuto
con loro, che avrebbe diviso la camera con il papà, come facevano tutti gli
altri zii e zie, che non era necessario chiamarla mamma se non volevano, che le
regole di casa sarebbero un po’ cambiate, con questo nuovo ingresso. Aprì gli
occhi solo quando sentì le bambine arrivare da loro.
“Ma se
adesso la mamma diventa Ninpha,” chiese Reggie, incrociando le braccia davanti a
sé, “allora io lo posso avere un fratellino?” “Ah, ah, dovevano chiedervi
questo!” esclamò Maggie. “Adesso si può?”
Ecco, questo non l’avevano previsto. E Fred stava
certamente sorridendo all’idea di questi preparativi. Lo sentiva. E lo fece
anche lei.
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