Breathe [traduzione di Kit_05] di argosy (/viewuser.php?uid=16404)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Breathe - parte prima ***
Capitolo 2: *** Breathe - parte seconda ***
Capitolo 1 *** Breathe - parte prima ***
breathe 1
Disclaimer: Non ho
un bilione di sterline, al contrario di JKRowling, un altro peccato da
aggiungere al fatto che Harry Potter & Co non sono miei.
Nota della Traduttrice:
Ed ecco qua la promessa nuova traduzione. Stavolta la scelta
è caduta su una fanfiction di due capitoli di argosy,
classificatasi al secondo posto (su oltre 100 fanfiction) nell'ultimo dmhgficexchange,
"Hot
Summer Nights Exchange", indetto dall'omonima
comunità nella primavera di quest'anno. Potete trovare
l'orginale qui.
Così come per altre due one shot che ho tradotto in passato,
"What
Malfoys do Best" di Sunny
June 46 e "Charon's
Gift" di Philyra912,
scopo dello "scambio" è scrivere una fanfiction seguendo le
richieste e evitando i paletti imposti da un altro partecipante. I
requisiti a cui doveva sottostare Breathe
li troverete alla fine
della fic.
Se volete leggere altri lavori di argosy,
potete trovarli qui.
E con questo vi lascio, sperando di aver reso al meglio quella che io
considero una delle più belle fanfiction che abbia avuto il
piacere
di leggere negli ultimi tempi.
Buona lettura
Kit_05
Finita la guerra, Molly Weasley si rinchiuse nella sua stanza da letto
e pianse istericamente per due settimane buone.
“Non è morto nessuno di noi, vedi?”. Ron
gettò uno sguardo impacciato ad Hermione, che dovette
sforzarsi
per comprendere le sue parole sopra i gemiti che si propagavano dalla
camera di sua madre.
“Capisco”, rispose, i suoi occhi sullo speciale
orologio
della famiglia Weasley. Tutte le lancette che rappresentavano i
componenti della tribù dai capelli rossi erano puntate a
segnalare la stessa cosa: Fortunati.
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Voldemort era morto, quella era la cosa più importante.
Harry
l’aveva ucciso, com’era stato destinato a fare fin
da prima
d’essere nato. Forse era stato destino che la battaglia finale si
fosse
combattuta ad Hogwarts, in quello che sarebbe dovuto essere il giorno
in cui il ragazzo avrebbe ricevuto il diploma.
Per come stavano le cose in quel momento, non era certo che qualcun
altro si sarebbe mai diplomato nuovamente a Hogwarts. Il castello era
una distesa di rovine fumanti. La Sala Grande s’apriva al
cielo,
le lunghe tavolate bruciavano vivacemente nell’aspro fumo
grigio.
La Torre d’Astronomia era misericordiosamente ridotta a
macerie.
Quando Harry era emerso da quello che rimaneva della Torre dei
Grifondoro – da solo – ed era crollato
sull’erba,
ferito, ma certamente vivo, l’Ordine aveva capito che aveva
vinto. Contando i corpi, s’erano detti che se
l’erano
cavata sorprendentemente alla leggera.
Quel giorno.
L’Europa Magica era stata colpita da ondate e ondate di
distruzione, nell’ultimo mese della guerra. I rifugiati
stavano
ancora convergendo nella Londra magica, essa stessa largamente
danneggiata; il loro numero in aumento, giorno dopo giorno.
Avevano onorato i caduti della Battaglia di Hogwarts al meglio delle
loro possibilità – i funerali di Stato erano di
difficile
organizzazione, quando lo Stato stesso non esisteva praticamente
più: Susan Bones, Michael Corner, Hestia Jones, Nymphadora
Tonks. Sembrava che quei memoriali frettolosamente predisposti non
avessero mai fine.
E poi, in qualche modo, ne rimase solo uno.
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Hermione lisciò le pieghe del suo vestito nero e si
guardò allo specchio, per assicurarsi che le calze non
fossero smagliate.
“Stai molto bene, cara”, disse lo specchio.
“Sobria.”
“Non gli sarebbe piaciuto,” si accigliò
lei.
“Ci si deve vestire in maniera appropriata”,
replicò
lo specchio, una nota di solidarietà nella voce materna.
“Ci si deve?”, chiese lei con voce distratta, mentre si
toglieva le scarpe dagli alti tacchi.
Hermione poteva sentire lo specchio chiocciare alle sue spalle
–
qualcosa sulla tradizione, e i precedenti, e cose che non si dovevano fare
– mentre lei si dirigeva di nuovo verso il suo armadio, ma
non
gli prestò attenzione. Gli specchi davano sempre giudizi;
era il
loro lavoro, dopotutto.
Ah, così era meglio. La sua mano si chiuse su un abito di
cotone leggero. A lui sarebbe piaciuto quel colore.
I suoi occhi si riempirono di lacrime. Tirò fuori il
vestito,
con tale forza che diversi dei fogli sistemati in cima
all’armadio si sparsero caoticamente per terra. Hermione
imprecò, poi si costrinse alla calma, asciugandosi via le
lacrime. In quello stato non sarebbe mai arrivata alla fine della
giornata. S’inchinò a raccogliere i fogli.
C’era una brochure e una lista di università. College
St. Brigid, Oxford, proclamava la brochure luccicante. Il
miglior College Magico della Gran Bretagna.
Fissò la foto sulla copertina – un gruppo di maghi
e
streghe dal volto fresco, sereno, che stavano studiando su un prato. Un
ragazzo le rivolse un’occhiata veloce e la salutò
con una
mano, prima di ritornare ad immergersi nel suo libro.
Le era sembrato così importante, mesi prima, quando, nelle
nebbie
della caccia agli Horcrux, s’era concessa una deviazione
solitaria a Oxford per compilare la propria richiesta
d’ammissione. Aveva avvertito una sensazione di appartenenza,
mentre se ne stava ferma in mezzo a un quadrato d’erba verde a
guardare gli studenti – alcuni dei quali Babbani che non si
rendevano nemmeno conto di aver sforato in una zona magica –
agitarsi. Aveva respirato l’aria del college e aveva toccato
le
pietre con cui la sua struttura era stata costruita – antiche
quasi quanto quelle della stessa Hogwarts – e aveva giurato a
se
stessa che lì era dove sarebbe andata una volta che la
guerra fosse finita. E, a dire la verità, persino da
bambina,
persino prima di scoprire di essere una strega, aveva sempre desiderato andare a Oxford.
Solitamente i maghi e le streghe non s’immergevano in
un’educazione superiore. Hogwarts li preparava per la maggior
parte delle carriere, e poi c’erano comunque gli
apprendistati e
altre istituzioni del genere; ma uno non poteva mai imparare
abbastanza, e alla St. Brigid lei sarebbe stata immersa nel mezzo di
tutte le ricerche all’avanguardia del suo tempo. Aveva
già
una stupenda idea su un progetto che avrebbe permesso di combinare
l’Aritmanzia e la geometria frattale.
Sembrava tutto così stupido, ora. Che cosa avrebbe potuto
più insegnarle una scuola, dopo tutti quei funerali, tutto
il
sangue che aveva visto, tutto il sangue che aveva versato? Che cosa
importava?
Scosse la testa per liberarsi da quei ricordi di vecchi libri ed erba
appena tagliata. Cambiandosi velocemente d’abito,
gettò
un’ultima occhiata allo specchio, ignorando i suoi mormorii
di
disapprovazione.
Aveva indosso un abito estivo verde chiaro, ora, che le lasciava
scoperte le gambe. Era il colore delle serre, il colore di Erbologia.
Le persone avrebbero potuto guardarla di sbieco per quella scelta, ma
non le importava. Lei lo stava indossando per Neville. E si sentiva
certa che lui avrebbe approvato.
Prendendo un profondo respiro, si rassicurò di essere calma,
poi
prese una manciata di Polvere Volante e la gettò nel fuoco.
“Il Paiolo Magico”, disse.
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Harry aveva lì una suite con due stanze. Almeno due stanze,
forse anche più. Era impossibile dirlo, visto che Harry era,
in
quel momento, barricato dietro la porta che conduceva, presumibilmente,
nella stanza da letto, rifiutandosi di uscire. Ginny continuava a dare
dei colpi alla porta, mentre Ron era seduto sul divano del salotto, lo
sguardo triste.
“Devi venire, Harry”, stava dicendo Ginny, cercando
di
mantenere il timbro della voce gentile, mentre Hermione entrava nella
stanza. “Non sei venuto a nessuno dei funerali, e io credo
davvero che Neville vorrebbe che tu oggi fossi
lì.”.
Non ci fu risposta. “Ron”. Si voltò
verso il fratello.
“Sì, amico. Ti sentiresti meglio”, lo
invitò con poca convinzione.
Ancora sulla porta, Hermione osservò la scena e
sospirò. “Lasciate che ci provi io.”.
Avanzò fino alla porta della camera e bussò
leggermente. “Harry, sono io.”.
Non successe nulla. Hermione s’era appena girata quando,
finalmente, la porta si aprì con un crack.
C’era oscurità dall’altra parte, nessun
segno di
Harry. Avanzò, ignorando l’espressione ferita di
Ginny.
Era la prima volta che entrava nella stanza dove Harry s’era
rinchiuso fin dalla fine della guerra. Era piccola, e cupa, e
trascurata; il che, pensò Hermione, non costituiva una
sorpresa.
Sarebbe stato alla Tana, o con lei, o per lo meno in un hotel
più curato, altrimenti. Invece, al dileguarsi del fumo
dell’ultima battaglia, si era rintanato
lì, e solo
raramente ne usciva.
Si sedette sul letto sfatto, lo sguardo verso terra. Vecchie copie
della Gazzetta del Profeta
e vestiti sporchi cospargevano il pavimento – chiaramente
aveva
impedito anche agli elfi domestici l’ingresso. Hermione non
disse
nulla, si limitò a riordinare un po’.
Lui la guardò attraverso la frangia, per diversi momenti,
finché la ragazza non ebbe quasi finito. “Neville
avrebbe
capito”, disse infine.
“Sì”, rispose, andandosi a sedere sul
letto. “Capirebbe.”.
“Voglio venire, Hermione, è solo -”,
s’interruppe, lo sguardo ancora rivolto verso il basso.
“Va bene, Harry.” Gli prese una mano.
Finalmente lui alzò lo sguardo.
L’intensità dei suoi occhi la trafisse.
“Non capisci.”
Gli prese l’altra mano, portandosele entrambe nel grembo.
“Allora spiegami.”
Si fermò e sembrò sul punto di parlare.
“Ti
potresti sentire meglio”, continuò lei,
“se dicessi
a qualcuno cosa è successo quel giorno. Con Volde
-”
“Di’ loro”, alzò la voce
Harry, poi si
bloccò, sorpreso dal volume con cui aveva parlato, per
riprendere più calmo. “Di’ loro che non
vengo.
Di’ loro che sono malato.” La guardò
implorante.
Lei osservò gli occhi persi e la carnagione pallida. Non era
un’affermazione lontana dal vero.
“Va bene.” Sorrise, alzandosi.
“Va’ a dormire
un po’. Cerca di mangiare qualcosa. Vuoi che ritorni
più
tardi con -”
“No!” Si fermò, aggiungendo con voce
più
gentile, “No. Sto bene, Hermione. Veramente.”
Riuscì
persino a sorridere.
Ogni singola fibra del suo essere le urlava che non era la
verità, ma lei gli avrebbe lasciato la sua privacy, se era
quello che voleva. Non c’erano maledizioni su di lui;
né
fatture – avevano controllato bene al St. Mungo. Hermione
poteva
essere una persona curiosa, ma era anche pratica, e si rendeva conto
che pressare Harry quando non era pronto sarebbe stato peggio che
inutile.
Desiderava solo non essere lei quella a doverlo spiegare agli altri.
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Hermione si strinse le braccia attorno e tremò. Aveva
pensato
che gli altri partecipanti alle esequie sarebbero stati a disagio nei
loro abiti pesanti sotto il sole estivo, ma qualcuno aveva lanciato un
Incantesimo Refrigerante, e ora era lei l’unica ad essere
vestita
per il clima sbagliato. Erano migliorati di molto
nell’organizzare funerali, notò cinicamente.
Il suo vestito non aveva una tasca per nascondere la bacchetta,
così lei ora non poteva usare la magia per riscaldarsi. Ma
la
sua pelle d’oca era una buona distrazione. Non voleva
prestare
attenzione; ne aveva abbastanza di quelle cerimonie. Aveva pianto tutte
le sue lacrime, e aveva già detto come meglio poteva il suo
addio a Neville. Come aveva detto Harry, lui avrebbe compreso.
Era seduta tra Ron e Ginny, cercando di non sentire le parole di un
mago dai folti e scarmigliati capelli che parlava di
“onore”, e “coraggio”, e
“lealtà”. Tentando di non ricordare il
volto di
Neville, mentre giaceva immobile a meno di un quarto di miglio rispetto
a dove si trovava ora seduta, sulle rive del lago di Hogwarts. Dopo la
morte di Silente, quello era divenuto il luogo di riposo per gli eroi
di guerra, una tradizione che ormai sembrava derivare dalla notte dei
tempi. Se Hogwarts avesse mai riaperto, passeggiare per le rive del
lago sarebbe stata un’esperienza totalmente diversa per i
suoi
studenti.
Era in prima fila, sebbene avrebbe preferito
l’anonimato
delle retrovie. Scrutò la panca su cui erano seduti Frank e
Alice Paciock, insieme alla nonna di Neville. Il padre di Neville
doveva essere stato un uomo forte, imponente – ora,
così
magro, sembrava fragile. Era seduto, immobile, e teneva tra le sue una
mano della moglie, un’espressione perplessa in volto. Alice
sembrava uno di quegli angeli dipinti dai Babbani, con il suo viso
liscio, non segnato dal tempo, e incorniciato da un’aureola
di
capelli bianchi che brillavano al sole. Sorrideva a se stessa e si
guardava intorno di frequente, con uno sguardo meravigliato.
La nonna di Neville sedeva con la schiena dritta, orgogliosa.
Probabilmente ora Neville aveva raggiunto i suoi standard da eroe,
pensò Hermione, e cercò di non odiarla per
quello. Quando
erano arrivati, aveva guardato con disapprovazione l’abito
verde
di Hermione, ma quando Alice Paciock le aveva sorriso con gioia, la
ragazza aveva capito di aver fatto la scelta giusta.
L’uomo dai capelli scarmigliati stava ora parlando di
“tradizione Grifondoro” e Hermione non
riuscì a
resistere un secondo ancora. Si alzò, ignorando la domanda a
mezza voce di Ron, e si diresse verso il fondo delle file, il
più discretamente possibile.
Continuò a camminare finché non sentì
più
le voci della funzione, poi si fermò all’ombra di
un
faggio. Si chinò contro il suo tronco, poteva ancora vedere
e
distinguere la gente seduta davanti a lei. Poteva persino vedere il
drappo cremisi con il leone Grifondoro avvolto intorno a Neville.
Intorno al corpo di Neville, si ripeté
fermamente. Lui non era lì.
Era presente Luna, quasi traslucida nella luce brillante del sole. Suo
padre era stato ucciso l’inverno precedente in un raid dei
Mangiamorte negli uffici del Cavillo.
“Voleva essere un fantasma, per amor mio”, aveva
detto
solennemente Luna ad Hermione, non molto dopo l’omicidio.
“Ma io gli ho detto che sarei stata più felice se
se ne
fosse andato dall’altra parte.” Poi le si era
avvicinata,
come se stesse per condividere un segreto. “Gli ho quasi
chiesto
di rimanere. Ma sarebbe stato egoistico, non credi?”
C’era la Professoressa Sprite, seduta al fianco della
Professoressa McGranitt. Lacrime copiose scendevano sulle guance della
prima, mentre la seconda aveva irrigidito i tratti in
un’espressione stoica: aveva fatto molta pratica negli ultimi
tempi. Remus, il volto arcigno e determinato, era seduto accanto a
Kingsley Shacklebolt. Aveva sentito che Kingsley avrebbe tentato la
scalata al Ministero, adesso che a Scrimgeour era stato dato il ben
servito.
Si chiese distrattamente se fosse interessata a tutto quello e, mentre
raggiungeva la decisione che no, non gliene importava nulla,
sentì una voce alle sue spalle.
“Hermione.”
Aveva capito chi era ancor prima di girarsi. “Non dovresti
essere ad Azkaban?”
“Sarebbe giusto?” Draco Malfoy aggirò il
tronco di un faggio e si unì a lei.
“No”, sospirò. “Probabilmente
no.”
Era dalla loro parte, ora. Se ancora esistevano delle parti. Dopo la
morte di Silente, Piton l’aveva tenuto nascosto agli altri
Mangiamorte per quasi quattro mesi – fino alla fuga di Lucius
Malfoy da Azkaban, quando Draco era scappato per unirsi al padre.
S’era consegnato all’Ordine due mesi più
tardi, dopo
che Lucius aveva ucciso Piton, che aveva tentato, da solo, di far
allontanare Draco dal quartiere dei Mangiamorte.
Per il tempo in cui i fatti erano successi, il messaggio postumo di
Silente era stato scoperto, ed era risaputo che Piton aveva agito sotto
i suoi ordini. Ma era facile perdonare un uomo morto. Draco Malfoy
costitutiva un problema molto più complicato. Aveva sempre
agito
da solo, sia nell’abortito tentativo di assassinio di Silente
che, poi, nel ricercare il loro asilo.
Con riluttanza, gli avevano offerto rifugio, per settimane
l’avevano tenuto sotto il controllo di restrizioni magiche.
Aveva
ingoiato galloni di Veritaserum prima di riuscire a convincere i membri
importanti dell’Ordine della sua sincerità
Era stato Draco che aveva saputo dove trovare Voldemort, che aveva
detto loro che sarebbe stato ad Hogwarts, e quando. Il Signore Oscuro
aveva bisogno di creare un altro Horcrux, aveva spiegato Draco, e lui
aveva scoperto il piano. Tramite quali perversi metodi, Hermione non lo
sapeva, ma l’informazione fornita s’era rivelata
buona.
Ora che la guerra era finita, cosa fare di Draco Malfoy era nuovamente
un problema. Era stato fondamentale nella sconfitta di Voldemort, ma
aveva anche tentato di uccidere Silente, ed era stato un Mangiamorte
per quasi sei mesi. Si poteva gettare un eroe ad Azkaban? Si poteva
lasciare il tentato assassino di Silente libero?
“Ho un’udienza la prossima settimana”,
disse, facendola riemergere dai ricordi.
“Cosa?”
“Il Wizengamot. O quello che ne è
rimasto.”
“Oh”, rispose, girandosi di nuovo verso il
funerale.
“Verrai a trovarmi ad Azkaban, Hermione?”
Lei lo fissò. Le stava davvero sorridendo, ora.
“Con gioia”, rispose freddamente, poi
sussultò
internamente all’espressione che sembrava portar traccia di
dolore che gli attraversò i tratti. Beh, che cosa si
aspettava,
a parlarle come se fossero amici, lì, al funerale di
Neville?
Quasi come se stesse flirtando con lei.
Tremò. L’incantesimo raffreddante si estendeva fin
lì, a quanto pareva.
Lui puntò la sua bacchetta verso di lei. “Thermio.”
Si sentì immediatamente più calda.
“Grazie. Draco -”
“Sì?” chiese, quando lei non
continuò.
Lei lo guardò. Il suo cambiamento di convinzioni era stato,
a
quanto pareva, sincero – il Veritaserum l’aveva
certificato
– e lei non poté fare a meno di sentirsi un
po’
dispiaciuta per lui. La maggior parte dei suoi vecchi amici era ad
Azkaban, e Lucius era morto, colpito dalla sua stessa bacchetta, quando
aveva scelto il suicidio a fronte di una nuova prigionia. Sua madre si
stava nascondendo da qualche parte, nel caso qualche ultima frangia di
simpatizzanti dei Mangiamorte avessero avuto delle idee
vendicative.
La morte di Piton aveva cambiato Draco; quello Hermione lo credeva. Ma
anche l’aver visto il proprio padre naturale uccidere quello
che
era diventato il proprio padre adottivo non poteva non aver
trasformato il suo carattere. Era ancora lo stesso ragazzo che si
ricordava da Hogwarts, a dispetto di dove si era ritrovato schierato a
fine guerra. Non lo odiava più, credeva, ma quello era il
limite
massimo che era pronta a raggiungere.
Non siamo amici. Non ti voglio nella mia vita. Stava
raccogliendo i propri pensieri per dirglielo, quanto vide
un’alta
figura osservare il funerale dall’altra parte del lago.
Harry. Si chiese se fosse il caso di raggiungerlo.
“Sì?” chiese di nuovo Draco, una nota di
impazienza
nella voce che fece trasalire bruscamente Hermione. Non rispose.
Quando tornò a guardare in direzione di Harry, il ragazzo se
ne era andato.
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L’estate, in qualche modo, andò avanti. I giorni
si
susseguivano uno dopo l’altro, nella loro solita sequenza, e
se
si sentiva la mancanza degli amici assenti – se ci si
ritrovava a
pensare cosa avrebbe fatto Tonks, o a chiedersi se la sorella Corvonero
di Calì avrebbe apprezzato quel libro sulla magia teorica
– beh, allora si ignorava l’improvvisa sensazione
di vuoto
e ci si sentiva ancor più grati per gli amici rimasti.
Tutti i Weasley stavano bene, e se Ron stava ancora sorprendentemente
frequentando Lavanda, Hermione scoprì dentro se stessa che
non
gliene importava nulla. Harry stava facendo progressi; aveva accettato
di pranzare con lei, un giorno, in un bar all’aperto a Diagon
Alley, ed era passata quasi un’ora prima che incominciasse ad
apparire nervoso, prima che lei vedesse delle piccole gocce di sudore
sul suo labbro superiore.
Visto che, in un modo o nell’altro, si ha bisogno di
occupare il
proprio tempo, Hermione ottenne un lavoro temporaneo al Ministero, nel
nuovo Ufficio per Maghi Senza Casa. Aveva scoperto con sorpresa che la
burocrazia magica generava gli stessi problemi di quella Babbana. Remus
Lupin, ora disperatamente interessato a tutti gli aspetti della
politica, le aveva trovato quel posto. Hermione supponeva di non doversi soprendere della passione di Remus; l’aveva sempre
visto
bene nei panni del riformatore.
Passava il suo tempo ad una piccola scrivania in una grande stanza, che
si apriva su una parata senza fine di rifugiati bisognosi di una nuova
sistemazione. Non si trovava nemmeno nei vecchi edifici del Ministero,
quelli erano ancora in fase di ricostruzione dopo la quasi totale
distruzione della Londra Magica nell’Attacco della Notte
delle
Candele. I Babbani avevano pensato si fosse trattato di un terremoto.
L’Ufficio per Maghi Senza Casa era situato dietro a una porta
insignificante nel retro della sezione animali domestici di Harrods.
Persino con l’Incantesimo di Disillusione perennemente
attivo,
uno o due Babbani al giorno si ritrovavano a vagare lì, alla
ricerca di cacatua o di coniglietti, e dovevano essere Obliviati. Una
volta un bambino scontroso era arrivato lì alla ricerca di
un
furetto. Hermione aveva pensato che sarebbe stata un’ottima
soluzione per risolvere il problema Draco, ma si tenne per
sé il
parere.
Verso la fine di Luglio, sentì che Draco Malfoy, dopotutto,
non
sarebbe andato ad Azkaban. Fece un tentativo di essere solidale e
sentirsi felice. Non sentì, invece, nulla. Ma era la norma
in
quei giorni.
E poi, l’aria si fece più fredda e
l’autunno si
avvicinò, qualcosa per cui si sentì vagamente
sorpresa.
Se la vita fosse stata normale, sarebbe stato il momento di tornare ad
Hogwarts. D’altra parte, se la vita fosse stata normale, lei
si
sarebbe già diplomata.
Si chiese se la vita sarebbe mai ritornata alla normalità.
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“Abbiamo bisogno della tua decisione, signorina
Granger.”
“Hmm?”
“Per la St. Brigid, Hermione.” Il Dr. Jackson
sorrise.
“Stai cercando di battere in distrazione il
sottoscritto?”
L’aveva portata nella biblioteca. Quello non era giusto,
davvero.
Fece scorrere una mano su una fila di vecchi libri rilegati in cuoio, e
sentì la magia crepitare sotto i suoi polpastrelli. Aveva
pensato che la biblioteca di Hogwarts fosse il paradiso. Quella della St.
Brigid era almeno due volte più grande.
“Questo era il momento in cui avresti dovuto dirmi che non
sono un professore distratto.”
“E’ il Merrivale Codex?”
chiese incredula, indicando un antichissimo volume.
“L’unica copia conosciuta.”
Replicò.
“Siamo molto ansiosi che tu ti iscriva tra noi. Abbiamo
seguito
la tua carriera accademica per un po’ di tempo,
sai.”.
Oh. Quello era… lusinghiero, suppose. Sì,
definitivamente
lusinghiero, soprattutto lì, alla St. Brigid. Lì,
dove
quasi ogni innovazione nelle teorie e nelle applicazioni magiche aveva
avuto origine.
“Non siamo nel pieno delle nostre forze dopo le
recenti…
difficoltà, temo. Abbiamo solo pochi posti disponibili. Ma
siamo
pienamente determinati nel convincerti a venire tra noi.”
La stava guardando con così tanta speranza che lei quasi
odiò il pensiero di deluderlo. Si ritrovò a
cercare una
scusa. “Non ho nemmeno finito davvero Hogwarts,
sapete.”
“Possiamo fornire un’eccezione per i tempi di
guerra.” Si inclinò contro uno scaffale.
“Allora,
Hermione?”
Lei prese un profondo respiro. “Non so -”
“Non rispondere,” sollevò una mano,
“se la
risposta è un no. Possiamo darti ancora una settimana prima
della decisione finale.”
Avrebbe dovuto semplicemente dirgli no, lì e subito,
pensò fissando i capelli grigi e il volto pallido, e, alle
sue
spalle, tutti quei libri in attesa. Prese un altro respiro profondo.
“E’ solo che non credo -” si
fermò alla sua
occhiata sgomenta. “Con tutto quello che è
successo,
m’ero dimenticata persino di aver fatto domanda
finché non
ho ricevuto il vostro Gufo.”.
Questa è una bugia. Perché l'ho detta? Si accipigliò tra sé e sé.
Lui le sorrise, guardandola con intensità negli occhi.
“Una settimana”
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“Fatto.”
Stava lavorando al caso di una famiglia austriaca di maghi rifugiati
– numerosa, persino più dei Weasley. Aveva appena
deciso
di doverli dividere. Non c’era una sistemazione abbastanza
grande
per accoglierli tutti, neanche utilizzando un Incantesimo di
Espansione, e le ci volle un momento prima di alzare lo sguardo dai
documenti.
Remus era lì, che le sorrideva da sopra la scrivania,
più
felice di quanto non l’avesse visto da mesi.
“E’
perfetto sia per te”, disse, “che per
me.”. Le prese
d’impulso una mano e la strinse. La stava guardando con
un’intensità calorosa e una speranza che per un
pazzo
istante l’idea che lui volesse che lei prendesse il posto di
Tonks le balenò nella testa. Si sentì
istantaneamente
colpevole al pensiero, poi ridicola, per finire con l’essere
colpita dalla consueta sensazione di vuoto che la pervadeva ogni volta
che qualcosa le ricordava i caduti.
“Allora, Hermione?” Le lasciò andare la
mano. “Non vuoi sentire le novità?”
“Certo”, riuscì a sorridere. Remus
scostò la
sedia riservata solitamente ai rifugiati e, girando intorno alla sua
scrivania, si accostò ad Hermione con fare cospiratorio,
senza
degnarsi delle curiose occhiate degli altri impiegati presenti. Remus
Lupin era una persona importante all’interno del Ministero,
ora
che Shacklebot era stato designato come Ministro Provvisorio, e che era
sulla strada per rendere definitivo il titolo.
“Kingsley ha approvato le miei idee sulla
riorganizzazione.”.
“Congratulazioni”, rispose Hermione, cercando di
mostrare
una convinzione che non provava. Osservò attentamente il suo
ex-professore. La guerra aveva cambiato tutti, ma forse lui
più
di altri. I suoi capelli erano completamente grigi e la sua magrezza
era impressionante. Le trasformazioni mensili stavano richiedendo un
prezzo terribile – con Piton se ne era andata anche la
Pozione
Antilupo e, in quel giovane mondo in ricostruzione, nessuna nuova
misura preventiva era disponibile. Le morti che avevano flagellato
l’anno precedente pesavano gravemente su di lui; la sua
naturale
andatura a spalle basse s’era accentuata, diventando cronica
e
pronunciata.
La guardava ora con un fuoco negli occhi che Hermione s’era,
ormai, abituata a vedere, e che forse era persino più
sconcertante di tutti i suoi altri cambiamenti. Significava che non
c’era modo di distoglierlo dai suoi propositi o di
ragionarci,
significava che non si sarebbe fermato finché tutti i
problemi
del mondo non si fossero risolti. Quel fuoco interiore era pericoloso
– l’avrebbe bruciato. Sospettava che lui ne fosse
consapevole.
“L’Ufficio per i Maghi Senza Casa sta per essere
reso
permanente e i suoi poteri saranno ampliati”,
spiegò.
“Sarà chiamato Dipartimento per la
Ricostruzione.”.
Si fermò, come se volesse che lei dicesse qualcosa.
“Oh”, fu tutta la risposta di Hermione, mentre si
domandava
perché a lei questo dovesse interessare.
“Io ne sarò a capo. E,”
continuò, sorridendo, “tu sarai il mio
secondo.”.
Hermione avvertì il proprio stomaco chiudersi. Quello era un
lavoro temporaneo. Non aveva nessuna intenzione di
diventare la seconda di qualcuno, qualunque cosa si trattasse.
“Io – non sono qualificata”,
balbettò.
“Assurdo.” Le sorrise. “Hai imparato
quello che ti
serviva qui. E io ricordo ancora la strega più intelligente
del
suo anno, e la ragazza così appassionata e pronta ad aiutare
coloro che ne avessero avuto bisogno.”.
Maledetto C.R.E.P.A. “Ma -”
“Possiamo fare grandi cose. Fare in modo che tutti siano
assistiti, e che tutti possano far sentire la propria voce. Porteremo
aiuto anche ai lupi mannari, naturalmente, e a tutti gli altri esseri
emarginati. Non sarà facile, ma -”
s’interruppe alla
vista del suo volto, e posò una mano sulle sue spalle.
“Questo non è il momento in cui pensare a se
stessi,
Hermione. Sono sicuro che lo capisci.”
“Puoi trovare qualcun altro -”, sapeva che non
l’avrebbe ascoltata.
“Ho bisogno di te.” Ed eccolo
ancora lì. Il fuoco.
Un sonoro squawk annunciò
l’arrivo di un gufo per
le comunicazioni inter-uffici che posò una pergamena in
grembo a
Remus. La lesse velocemente, rimettendosi in piedi.
“Non preoccuparti”, disse, in un tono di voce che
avrebbe
voluto essere rassicurante. “Solo fra una settimana o due,
dopo
che avremmo programmato bene tutto, partiremo con il nuovo
progetto.”.
Le strinse la mano una volta ancora e poi uscì. Hermione si
lasciò affondare nella propria sedia e chiuse gli occhi.
Beh, quella era la fine dell’ipotesi St. Brigid. Aveva avuto
intenzione di rifiutare l’offerta comunque, lo
aveva
voluto veramente, ma ora si rese improvvisamente conto che avrebbe disperatamente
voluto accettarla. Voglio solo quello che non posso avere,
si disse tra sé, cercando di sorridere alla propria
personalità contorta. Ma fin dalla Grande Relazione Pubblica
Ron-Lavanda del 1997, aveva cercato d’essere sempre
brutalmente
onesta con se stessa, e non aveva voglia di cominciare a mentirsi ora.
La verità era che voleva intensamente completare la propria
educazione a Oxford insieme ai maghi e alle streghe più
brillanti della sua generazione. C’erano così
tante cose
che voleva fare,
così tanto che aveva ancora da imparare. Alla fine della sua
visita al college, il Dr Jackson le aveva messo in mano una copia del
libro Una Breve Storia della St. Brigid, e non era
giunta
nemmeno a finire le prime mille pagine senza essere pervasa dal
desiderio di aule universitarie e di quartieri collegiali, di antiche
biblioteche e sapere.
Ma Remus aveva ragione. Quello non era il momento per pensare a se
stessi. E lei era
incredibilmente qualificata per assisterlo. L’avrebbe fatto
alla
perfezione. Saperlo rendeva le cose solo peggiori. Appoggiò
i
gomiti sulla scrivania e si prese la testa tra le mani.
Sentì qualcuno che si sedeva sulla sedia riservata ai
rifugiati.
“Appuntamenti solo alla mattina”, disse senza
alzare lo sguardo. “Tornate domani.”
“Preferirei di no, se è lo stesso per
te.”
No. Non ora.
Alzò lo sguardo. “Non ho tempo, Draco. Se vuoi
tormentarmi, devi metterti in coda. Chiedi alla strega che
c’è qui fuori di darti un appuntamento.”
“Mi ferisci.”. La sua bocca si cesellò
in quello che
lei pensava fosse il Draco-Imbronciato. E da quando aveva iniziato
a catalogare le sue espressioni? “Sono qui perché
ho
bisogno dei tuoi servizi professionali.”
Io sono una professionista, ricordò a se
stessa. Riuscì ad evitare di roteare gli occhi.
“Sono un Mago Senza Casa”, proclamò.
“Lo sei?” chiese con mitezza, reclinandosi sulla
sedia.
“Sì, nei fatti, sì”,
replicò, la sua faccia che si sistemava nel
Draco-Sogghignante.
“Bene”, disse lei, riunendo i documenti per i maghi
austriaci. “Tutto questo è molto interessante, ma
ho del
lavoro da fare, e -”
“Tu non hai davvero letto la mia sentenza, eh? Del
Wizengamot.” La guardò con curiosità
genuina.
“Potrebbe sorprenderti”, replicò,
continuando a
leggere un foglio, “ma io non sto seguendo senza fiato le
Avventure di Draco Malfoy, ex-Mangiamorte.”
“Non mi hanno spedito ad Azkaban.”.
“Sì. Come dimostrato dalla tua sgradita presenza qui.”.
Si arrese e mise da parte i fogli su cui stava lavorando. “Va
bene, a cosa t’hanno condannato? Servizi Sociali Magici?
Raccolta
dei pacchi dispersi sulle maggiori linee di consegna via scopa?
Pomeriggi domenicali nelle Case di Riposo Magiche?”
“Mi hanno portato via la magia.”
Ebbe il coraggio di sorridere all’espressione shockata della
ragazza. “Per un anno. Mi hanno condannato a vivere da
Babbano.”
Si appoggiò sulla schiena, con fare imponente. Lei lo
fissò. Poi rise.
“Non è divertente”, sbottò
lui, in tono seccato.
“Sopravvivrai, per un anno,” gli disse tra le risa.
“Oh. È dannatamente brillante. Grazie per essere
passato,
Draco. Avevo bisogno di qualcosa che mi tirasse su.”.
Si alzò e fece per invitarlo ad uscire. Lui non si mosse.
“Come ho detto, sono senza casa. Sistemami. È
quello che fai, no?”
Lei sospirò, risedendosi. “Io trovo delle case per
i maghi
le cui vite sono state fatte a pezzi dalla guerra. Non per marmocchi
viziati che hanno bisogno di imparare le proprie lezioni. Stai al tuo
Maniero.”
“Incenerito, negli stessi giorni della distruzione di
Voldemort.
I suoi fedelissimi avranno voluto buttarsi sulla pira bruciante,
suppongo. Un po’ drammatico. Ma una magia
affascinante.”
“Stai con gli amici.” Inclinò la testa,
rivolgendole la
sua espressione
Potrei-Fare-un-Commento-Graffiante-Ma-Sarebbe-Fin-Troppo-Semplice.
“Giusto”, si inclinò
all’indietro.
“Azkaban. Beh, devono essere passati due mesi dalla data
della
tua sentenza -”
“Nove settimane”. Annuì, servizievole.
“E dove sei stato da allora?”
“In un hotel Babbano.”
“Giusto. Quale?”
“Il Ritz.”
“Il Ritz?” quasi si
strozzò.
“Sì.” Annuì. “Il
Wizengamot ha sospeso
il mio conto e i miei privilegi alla Gringott, e mi ha dato un
po’ di soldi Babbani con cui ricominciare.”.
“E tu sei andato al Ritz.”
“Non avevo nessun desiderio di farmi da mangiare e pulire
come un
barbaro, così ho trovato dove i Babbani vanno quando
desiderano
le stesse cose. Piuttosto intelligente da parte mia, credo.”
“Ma il Ritz è l’hotel più
sfarzoso di Londra.”
“Sì”, disse. Hermione era sicura che
stesse parlando
lentamente per suo beneficio. “E’ per quello che
sono
andato lì.”
“Ma non potevi permettertelo. Non con qualunque somma di
denaro t’abbia dato il Ministero.”
“Infatti.” Annuì di nuovo, osservandola
quasi con tenerezza. “Ora hai capito il problema.”
Aspettò pazientemente, non sembrando incline a dire
null’altro.
“E ora sono senza fondi”, disse infine, scrollando
le
spalle. “Così tu devi trovarmi un posto dove
vivere. O
trovarmi dei soldi”, aggiunse con aria pensierosa.
“Non posso aiutarti, Draco.”
“Assurdo. Certo che puoi.”
“Non ci sono abbastanza case per i veri
rifugiati.”
“Quindi sei pronta a lasciarmi deperire sulle
strade?”
“Non credo sia una possibilità molto alta,
questa”,
replicò, cercando di ignorare la sua espressione ferita e
sorpresa. Era un’espressione che gli aveva visto solo poche
volte, quella che cadeva sotto la tipologia
Non-Posso-Credere-Di-Non-Aver-Ottenuto-Quello-Che-Volevo.
“Va bene.” Si alzò. “Quando i
Babbani
troveranno il mio cadavere deperito a Piccadilly Circus,
farò in
modo che tu ne sia informata.”
“Devi solo imparare a prenderti cura di te stesso, Draco.
Trovati un lavoro.”
La sua lenta, drammatica, uscita si arrestò, e lui la
fissò a bocca aperta.
“Un… lavoro?” chiese incredulo.
“Un lavoro.”
Chiuse gli occhi, come incapace di capire cosa gli avesse suggerito,
per un momento. Poi le rivolse un’occhiata penetrante.
“Mi aspettavo qualcosa di più da parte tua,
Granger. Se
non volevi aiutarmi, avresti potuto dirmelo. Non c’era
bisogno
degli insulti.”
L’effetto scenico della sua grandiosa uscita fu leggermente
rovinato dal dover aggirare una ragazzina con in braccio una vaschetta
dei pesci rossi.
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“No, non va”, disse lo specchio con un tono di
disapprovazione. “Ti devi mettere qualcosa di più
sexy se
ti vedi con un ex”.
“Lui non è un mio ex”, disse Hermione,
controllandosi la dentatura. “E fatti gli affari
tuoi.” Si
chiese se avesse abbastanza tempo per utilizzare il filo interdentale.
“Ron Weasley? Non è quello che ho
sentito.”
“Da chi?” chiese, incredula.
“Un piccolo specchietto portatile che conosco, a
Hogwarts.”
“Gli specchi spettegolano?”
chiese. “No, aspetta. Non voglio saperlo.”
“Uno si tiene in contatto con i propri amici”,
rispose lo specchio altezzosamente.
Hermione sospirò e aggirò il letto alla ricerca
della sua
scarpa sinistra. Il giorno in cui aveva affittato quel piccolo
appartamento, lo specchio le aveva dato un’occhiata e aveva
detto, non senza cortesia, “Quella camicetta ha visto giorni
migliori.”. Lei era stata così felice di aver
finalmente
trovato un posto che potesse permettersi che l’aveva ignorato.
Se non altro, era felice di avere un posto in cui vivere, quando
così tante altre persone erano costrette a vivere tutte
insieme,
sempre che avessero un luogo in cui stare. E se il prezzo da pagare era
avere un gabinetto a cui partiva lo sciacquone alle ore più
strambe del giorno senza nessuna ragione apparente – anche se
Hermione sospettava di una miniatura di una ninfa acquatica
perennemente contrariata – e uno specchio invadente e
impiccione
impossibile da staccare dalla parete, beh… poteva sorridere
e
sopportarlo. Beh, per lo meno poteva sopportarlo.
Si era abituata a quel piccolo spazio, ormai, e le piaceva anche. Le
sue tre piccole stanze collegate tra loro e senza porte –
prima
una piccola cucina, poi un salotto non molto più grande e,
infine, una camera da letto così piccola che il solo letto
la
riempiva per quasi tutta la sua interezza. L’appartamento era
già arredato, e lei non s’era sentita
dell’umore
giusto per personalizzarlo, ma l’avrebbe fatto, un giorno.
Forse.
Trovò la sua scarpa e la indossò, fermandosi per
darsi un’ultima ricontrollata allo specchio.
“Non incolpare me”, disse la superficie vetrosa,
“quando non riuscirai a farti notare dal tuo ex.”.
“Non lo farò”, gli rispose uscendo.
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Avrebbe voluto arrivare alla Tana prima di Harry, ma quando
entrò nella cucina affollata lo trovò
già in
piedi, nervoso, vicino al camino e accanto a Charlie Weasley che gli
stava passando un bicchiere di Firewhiskey. Lo bevve tutto
d’un
fiato. Charlie, che aveva ancora in mano la bottiglia, lo
guardò
sorpreso ma poi gli riempì nuovamente il bicchiere, prima di
fare altrettanto con quelli di Fred e George, ignorando volutamente le
occhiate disapprovanti di Molly.
Era una festa di famiglia. Bill era accanto a Fleur – ormai
la
sua gravidanza era evidente, notò Hermione –
seduta
attorno al grande tavolo di legno. Erano presenti tutti i Weasley, a
parte Percy, che dopo aver fatto un tentativo di riconciliazione con la
sua famiglia se n’era andato in Australia non appena la
guerra
era finita.
Hermione sorrise a Lavanda, che, in piedi dall’altra parte
della
cucina con una mano appoggiata al braccio di Ron, rispose al saluto.
Lei e Harry erano gli unici ‘non-Weasley’ presenti.
L’ultima cosa che avrebbe voluto fare, nello stato
d’umore
in cui si trovava, era una riunione di famiglia, dove tutti le
avrebbero chiesto dei suoi piani futuri e del suo lavoro al Ministero,
ma sia Ron che Ginny l’avevano chiamata via camino quel
pomeriggio, insistendo ostinatamente per la sua presenza. Inoltre, non
aveva voluto lasciare Harry da solo in una delle sue rare fuoriuscite
dal Paiolo Magico. Osservando l’accogliente, affollata
stanza,
pensò che lasciarlo da solo era stata
una preoccupazione un po’ esagerata.
Lui alzò lo sguardo in quel momento, vedendola per la prima
volta, e il sollievo sul suo volto fu così tangibile che lei
lo
raggiunse immediatamente e posò una mano sulla sua che,
inquieta, si muoveva con leggerezza sulla cappa del camino. Le
rivolse un sorriso grato. Lei cercò di pensare a un modo per
chiedergli cosa lo tormentava, ma Molly iniziò a parlare.
“Bene, adesso che ci siamo finalmente tutti”, disse
guardando ostentatamente verso Hermione, “qualcuno ha
qualcosa
importante da dire. Fred, quello non è succo di
zucca”.
Gli sottrasse il bicchiere di Firewhiskey. “Ne hai
già
preso abbastanza.”
“Io sono George.”. Fece per riprendersi il
bicchiere.
“Non cambia nulla”, replicò,
sequestrando anche l’alcool dell’altro gemello.
Hermione osservò la folla lì riunita. Nessuno
sembrava
incline a fare un annuncio. Infine vide Lavanda fare un gesto di
incoraggiamento a Ron.
Lui fece un passo avanti, e rivolse una breve occhiata a Hermione e
Harry. Si rese immediatamente cosa stava succedendo ed ebbe appena il
tempo necessario per capire quali fossero i suoi sentimenti, poi lui
iniziò a parlare.
“Er -” le spalle di Ron erano innaturalmente basse.
“Io e Lavanda ci stiamo… per sposare”.
Guardò
nuovamente Hermione.
Un silenzio shockato avvolse la stanza. Tutti, ora,
stavano fissando Hermione. Beh, che cosa avrebbe dovuto fare lei?
Solo Ginny non aveva staccato gli occhi da suo fratello. Fissava la
coppia a bocca aperta, incredula. “Che è successo,
sei
incinta anche tu?”
Proprio mentre Lavanda stava assumendo un colorito tendente al rosso
vivace e si stava accigliando per la mancanza di gioia da parte dei
Weasley, Charlie diede una pacca vigorosa alla schiena del fratello
minore, accompagnandola con un caloroso
“Congratulazioni”.
Come se non avessero aspettato altro che qualcuno prendesse
l’iniziativa, tutti gli altri uomini di casa Weasley porsero
i
propri complimenti. Molly cinse Lavanda in un caldo abbraccio, e dopo
un momento e una scrollata di spalle Ginny fece lo stesso. La ragazza
ritornò con slancio le effusioni, crogiolandosi
nell’essere al centro dell’attenzione, e quel lato
della
stanza si riempì di voci chiassose e felici.
Hermione rimase completamente immobile, cercando di capire che cosa
stesse provando. Non può nascerne nulla di buono,
il pensiero che le passò velocemente per la testa. Si
aggrappò a quel pensiero e annuì tra
sé.
Sì, non ne sarebbe nato nulla di buono, ma non
c’entravano
per nulla i suoi sentimenti. Si sentì immensamente sollevata
nel
capire che i suoi dubbi non avevano nessun fondamento nella gelosia.
Vide che Harry la stava guardando con una certa preoccupazione, mentre
stringeva le mani. Lei tentò di rivolgergli uno sguardo
rassicurante, ma la preoccupazione non svanì dal suo volto.
“Sto bene”, gli sussurrò in un orecchio,
ma forse
lui non la sentì.
Il sorriso a trentadue denti di Lavanda abbagliò tutti per
l’intera durata della cena, e Hermione, per lo meno, si
sentì sollevata nel non essere lei al centro
dell’attenzione, bersagliata dalle domande, tutte fatte con
le
migliori intenzioni, sul suo futuro. La conversazione era tenuta
principalmente da Molly, Lavanda e Fleur, con il loro chiacchiericcio
eccitato sui preparativi per il matrimonio – Lavanda sembrava
volere centinaia di fate e folletti nelle decorazioni, mentre Fleur
informava la ragazza come gli ultimi trend della moda tendevano verso
un sofisticato minimalismo, e Molly era sicura che il proprio vestito
da sposa, con giusto un paio di incantesimi, sarebbe stato perfetto per
la futura nuora.
Harry, seduto in fronte a Hermione, non parlò mai, a meno
che
qualcuno non gli rivolgesse direttamente una domanda, e anche in quei
casi le sue risposte non erano articolate in più di una
manciata
di parole. Ginny, con un labbro stretto tra i denti, l’aveva
fissato in continuazione. Ron aveva mangiato lentamente e, per tutta la
cena, aveva continuato a lanciare occhiate tristi a Hermione. Oh
no, cercò lei di parlargli con il solo pensiero. Tienimi
fuori da tutto questo. Hai fatto tutto da solo.
Sapeva che, prima o poi durante quella serata, avrebbe cercato di
bloccarla in un qualche angolo per parlarle in privato. E lei non aveva
voglia di starlo a sentire, qualunque fossero le cose che aveva da
dire.
Stava pensando ai modi in cui avrebbe potuto evitare Ron – un
mal
di testa? Un veloce incantesimo per
l’invisibilità?
– quando un distinto crash interruppe i suoi pensieri.
Alzò gli occhi e gettò una veloce occhiata alla
scena
davanti a lei – Harry aveva rovesciato una brocca di succo di
zucca. Lavanda squittì e balzò in piedi per
evitare i
rivoli aranciati. Charlie fece lo stesso, quasi in contemporanea,
ridendo, e poco dopo l’intera combriccola era in piedi.
Fred rivolse alla tavolata uno sguardo di gran divertimento.
“Ben
fatto, Harry. Ormai ero cotto con tutto quel parlare di
matrimoni.”.
Il timido sorriso di Harry sembrava genuino, ma Hermione
notò
che non gli raggiungeva gli occhi e vide che la sua mano sinistra stava
iniziando a tremare.
“Mi dispiace. Non credo di sentirmi molto bene”,
disse, pacato.
“Qual è il problema, caro?” chiese
Molly, mentre richiamava un panno per asciugare.
“Solo un mal di testa”, replicò con un
pallido
sorriso. “Ma credo sia meglio se vado a casa, se non vi
dispiace.”
Ignorò il coro di proteste e l’offerta di Hermione
di
accompagnarlo, assicurando tutti che non avrebbe avuto problemi a usare
il camino del piano superiore. Li lasciò con quello che
doveva
essere, nelle intenzioni, un sorriso rassicurante, e con un invito a
una partita a Quidditch avanzato dai gemelli.
Anche Hermione voleva andarsene, quasi disperatamente, ma qualcuno
stava facendo un brindisi; poi ci furono le amichevoli punzecchiature a
Lavanda, e la discussione sui vestiti per le damigelle
d’onore
– argomento questo su cui anche Hermione fu, con suo grande
orrore, consultata. Ma la partenza di Harry aveva comunque lasciato il
party ricolmo di sfuggenti occhiate, e non passò molto tempo
prima che ognuno riprese la propria via verso casa.
Fece i propri saluti il più rapidamente possibile, volendo
uscire prima di dare la possibilità a Ron, fortunatamente
ancora
occupato con Lavanda, di bloccarla. Si stava dirigendo verso
l’ingresso, congratulandosi con se stessa per non essere
stata
notata, quando sentì qualcuno afferrarle un braccio.
Ginny si portò un dito alle labbra, affondando ancor
più
la stretta al bicipite di Hermione, e la condusse fin nella stanza da
cucito di Molly. Chiuse la porta e vi si appoggiò contro.
Hermione si rese conto che non aveva nessuna voglia di parlare
dell’argomento Ron nemmeno con Ginny. Stava per dirlo, quando
la
rossa iniziò a parlare con una certa urgenza.
“Rimettilo in sesto.”
“Cosa?” chiese Hermione, interdetta.
“Harry. Rimettilo in sesto.”
“Non credo ci sia qualcosa che vada messo a posto.”
“Andiamo, Hermione. L’hai visto. Non riesce nemmeno
a
mettere insieme due parole di fila senza sembrar seduto sopra uno
Schiopodo Sparacoda.”.
“Ne ha passate tante -”
“Sì. E non vuole parlarne con me. Ma lo
farà con te.”
“Che cosa ti fa credere -”
L’altra ragazza fece un gesto impaziente. “Tu puoi
riuscire
a farlo parlare, lo sappiamo entrambe che puoi riuscirci.”
“Ginny”, disse, iniziando a sentirsi arrabbiata, ma
cercando di mantenere un tono paziente, “non so cosa tu pensi
che
io possa fare.”
“Tu puoi rimetterlo in sesto. Sta soffrendo, e da troppo
tempo. E tu lo sai che puoi farlo.”
Sollevò una mano contro le proteste di Hermione.
“Non voglio affrontare una discussione su questo
argomento”, disse aprendo la porta. “Rimettilo in
sesto.”
Uscì senza gettarsi un’occhiata alle spalle.
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Hermione poteva distintamente sentire delle voci provenire dal suo
salotto. È venuto Ron, pensò
immediatamente. Doveva essersi Materializzato lì mentre lei
stava parlando con Ginny.
Dannazione, pensò confusamente, sedendosi
sul proprio
letto, al buio, e aspettando che la sua testa si schiarisse dopo la
sua, di Apparizione. È meglio che non sia qui per
lamentarsi con me di Lavanda. Naturalmente, avrebbe potuto
essere anche qualcosa di peggio, ma si rifiutò di
contemplarne la possibilità.
Tuttavia, si rese conto, quella non era la voce di Ron. Harry?
“Sì”, stava dicendo la voce pigramente.
“Non
ha mai avuto gran senso della moda neanche a Hogwarts.”
Oh, ecco chi era. Scattò dal letto, barcollando per le
vertigini post-Materializzazione, e irruppe nella stanza vicina.
Draco stava bighellonando davanti allo specchio, con cui aveva,
apparentemente, instaurato un rapporto di confidenza.
“Non è che sia esattamente poco attraente,”
stava dicendo lo specchio.
“Difficile da descrivere, vero?” annuì
Draco.
“Malfoy!” gridò Hermione, peggiorando le
condizioni del suo mal di testa.
Lui non ebbe nemmeno il buon gusto di sobbalzare; si girò
elegantemente e si sedette, guardandola con fare educato.
“Cosa”, continuò lei, con voce
più calma, “credi di star facendo qui?”
“Pensavo di essermi spiegato”, le rispose
pazientemente, e
anche con gli occhi annebbiati, Hermione poteva vedere il suo volto
nella modalità
Non-Hai-Ricevuto-Nessuna-Educazione-Quindi-Posso-Fare-Un’-Eccezione-Per-Te,
“non ho nessun posto in cui stare.”.
Lei appoggiò la testa al muro, sperando che le
parole potessero assisterla.
“E visto che tu hai detto che mi avresti aiutato se avessi
potuto, ho pensato che mi avessi dato la possibilità di
venire
da te.”
“Non ho mai detto che t’avrei aiutato se avessi
potuto.”.
“No?”, chiese. “Devo aver assunto fosse
quello che volevi dirmi.”.
Voleva elaborare una frase devastante che l’avrebbe ridotto a
un
esserino tremante – che l’avrebbe fatto scappar via
con la
coda tra le gambe. “Vattene via”, fu tutto quello
che
riuscì a mettere insieme.
“Ti sembra carino?” chiese.
“Merlino, spero di no”, rispose tra i denti
stretti. “Va’ fuori.”
“Aspetta un attimo”, mormorò.
“E’ tardi.
Siamo entrambi stanchi. Possiamo parlarne domani mattina.”
“Draco -” sospirò con esasperazione, e
improvvisamente le sue ginocchia cedettero. Si sedette con un tonfo
sulla sua unica sedia e chiuse gli occhi per un momento, sperando che
fosse tutto una strana illusione.
Li riaprì di nuovo per trovare Draco che le metteva un
bicchiere
d’acqua tra le mani. Aveva un’espressione che non
gli aveva
mai visto. Sembrava preoccupazione, ma Hermione decise di classificarla
nel sottogruppo Draco-Vuole-Qualcosa. E, definitivamente, stava
pensando troppo al suo viso.
“Hai passato una serata difficile. Bevi questo”.
Mimò il gesto di bere con la sua mano. “Il tuo
specchio mi
stava appunto dicendo come sei stata costretta a sopportare Weasel.”.
“Vattene. Vattene. Vattene!” picchiò i
piedi sul
pavimento. Stava diventando isterica. Hermione pensava di meritarsi
qualche attimo di pazzia, dopo i suoi ultimi giorni, ma così
non
andava bene. Non di fronte a Draco.
Si costrinse a respirare lentamente e accettò il bicchiere
d’acqua. “Come sei entrato qui?”
“Ah”, rispose, la preoccupazione che pian piano
svaniva.
“Le tue sofisticate protezioni magiche hanno bisogno di una
sistematina. Non sei protetta contro i Babbani. Cosa che”,
continuò con un tremito, “sono io al
momento.”.
“C’era una serratura.”
“Oh”, disse, abbassando lo sguardo in quello che
avrebbe potuto passare per imbarazzo. “Quella.”
Hermione decise che non voleva saperlo. “Malfoy –
Draco. Tu
non puoi stare qui. Innanzitutto non c’è
abbastanza
spazio.”
“Fa’ un incantesimo di Espansione.”.
“Ho già fatto un incantesimo
di Espansione.”
“Oh”, rispose, guardando attorno a sé il
minuscolo
appartamento. “Beh, sono disposto a sorvolare sui
dettagli.”
“Generoso da parte tua.”
“Sì”, replicò.
“Quindi io mi prendo la camera da letto, giusto?”
Lei chiuse di nuovo gli occhi. Contò fino a dieci, e
indietro. Contò attraverso figure Aritmantiche.
Non servì. “Non hai davvero nessun posto dove
stare?”
Quando riaprì gli occhi, l’espressione di Draco
sembrava
troppo compassionevole nei confronti del suo instabile stato mentale
perché lei volesse davvero sentire una risposta.
“Va bene”, disse velocemente. “Puoi stare
nel
salotto. Per una sola notte. Quando torno a casa dal lavoro, domani,
devi essertene andato. Intesi?”
“Perfettamente”. Annuì. “Solo
un’ultima cosa.”
“Sì?” chiese, sospirando.
“Dov’è il salotto?” si
guardò attorno,
cercando un’altra stanza oltre a quella lì,
minuscola con
la sua sola poltrona traballante.
“Ci sei ora.”
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Spero vi stia piacendo^^, metterò online la seconda parte
settimana prossima ;)
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Capitolo 2 *** Breathe - parte seconda ***
Breathe 2
Disclaimer: Non ho
un bilione di sterline, al contrario di JKRowling, un altro peccato da
aggiungere al fatto che Harry Potter & Co non sono miei
A Hermione faceva male la testa. Più del solito.
L’aveva sbattuta contro la sua scrivania
nell’Ufficio per i Maghi Senza Casa quando era caduta in un
repentino, inaspettato ed estremamente breve sonnellino. Era sicura che
le sarebbe venuto un bernoccolo.
Era tutta colpa di Draco.
La notte precedente gli aveva gettato un cuscino e aveva lasciato che
si arrangiasse da solo in quella miniatura di salotto. Mentre era
sdraiata nel suo letto, aveva sentito i suoi sforzi nel cercare di
trasformare la sua scomoda poltroncina – che oltre a ostentare
una tenace resistenza a tutti i tentativi di essere ammorbidita, aveva
anche l’abitudine di far emergere, lungo tutta la sua
superficie, molle appuntite. Avrebbe potuto dirgli che qualunque cosa
avesse fatto non avrebbe funzionato.
Tuttavia non lo fece, e passò, invece, alcuni momenti ad
ascoltare le sue imprecazioni e i suoi contorcimenti, prima di lanciare
un Incantesimo Silenziatore. Ne era sicura, alla fine si sarebbe arreso
e si sarebbe steso a terra. Era davvero l’unica opzione
sensata.
Pensò a lui, steso lì, nel buio. Il suo
appartamento era così piccolo che non era a più
di un paio di metri di distanza, sebbene in un’altra stanza.
In quel momento sarebbe stata incredibilmente contenta di possedere una
porta che separasse il salotto dalla camera da letto.
Rimuginò brevemente sulla possibilità di fare un
Incantesimo di Costruzione. Poteva sentirlo respirare nonostante
l’Incantesimo Silenziatore.
No. Quello doveva essere frutto solo della sua immaginazione come,
chiaramente, la sensazione di brividi che le pervadeva il corpo.
Era ridicolo. Afferrò la sua bacchetta e
sussurrò, ‘Protego’.
Ecco, così sarebbe dovuto bastare. Se a Draco fosse venuta
qualche divertente idea durante la notte, avrebbe cozzato contro una
barriera magica.
Sarebbe dovuto bastare per garantirle una notte di sonno sereno.
Perché non lo era?
Giusto quando aveva pensato che non sarebbe più riuscita ad
addormentarsi, doveva aver preso sonno davvero, perché
altrimenti non sarebbe stata svegliata, improvvisamente, da
un’arrabbiata voce maschile.
“Per le tette di Merlino!” il ruggito.
Hermione visse un momento di cieco panico, seguito da uno di cieca ira.
Rilasciò velocemente la barriera e balzò in
salotto. “Lumos!”.
Draco era steso sul pavimento, contro il muro, dove era stato messo ko
dallo schermo. Si teneva il naso con entrambe le mani.
“Malfoy -”
La interruppe con un gemito di dolore. “Mi hai rotto il
naso!”
“Cosa credevi di -”
“Stavo cercando di andare in bagno, stupida idiota. La tua virtù
è perfettamente al sicuro con me. Ooowwww!” gemette
ancora.
Hermione si sentì immediatamente in colpa, reazione
completamente ridicola visto che Draco si meritava qualunque cosa gli
fosse capitata. In ogni caso, gli concesse un veloce incantesimo
curante.
Draco tolse lentamente le mani dal volto e si toccò con
attenzione il naso con gli indici. Poi la guardò.
“Saresti così gentile da permettermi di usare il
tuo bagno, ora?”
Si spostò di lato, facendogli spazio. Era una vera
ingiustizia essere stata mortificata a morte nel proprio appartamento
nel bel mezzo della notte, “Grazie”. Quella era
un’espressione facile da riconoscere – lo
Sguardo-Assassino Malfoy. “E magari puoi anche tornartene a
letto, se non è chiedere troppo.”.
Non s’erano detti un’altra parola per il resto
della notte. Hermione non era riuscita a riaddormentarsi.
E il giorno successivo, Hermione stava pagando la mancanza di riposo.
Era stata persino scortese con una giovane coppia francese la cui unica
colpa era stata quella di aver avuto la propria vita messa a soqquadro
da Voldemort.
Dopo tutto quello che avevano passato, i due erano ancora
così innamorati, così appassionati e premurosi
l’un con l’altra, che a Hermione era venuta voglia
di cavar loro gli occhi, o per lo meno ridurre a brandelli quei ridicoli
berretti che indossavano. Rendendosi conto dello stato da deprivata di
sonno in cui si trovava, riuscì a trattenere gli impulsi e a
limitarsi a qualche brontolio. Non voleva vedere felici coppie
innamorate. Non dopo aver dovuto trattare con Ron e Lavanda. E Draco,
aggiunse la sua mente.
Draco? Da dove saltava fuori quel pensiero? Aveva davvero bisogno di
riposo.
Ma, almeno per quel giorno, una dormita non era nel destino. Remus era
arrivato nel suo ufficio non appena era riuscita a sistemare la coppia
francese in una casa comune nei dintorni di Covent Garden.
L’aveva portata a pranzo e aveva passato con lei tutto il
pomeriggio parlandole del Dipartimento per i Rifugiati.
“Darle un’idea”, così aveva
definito quel colloquio. E da quando Remus era diventato un burocrate?
Quando finalmente si diresse verso casa due ore più tardi,
non avrebbe voluto altro che un bagno bollente e un oblio di pace
imperitura, ma sapeva che aveva ancora Draco da sistemare. Aveva
promesso che se ne sarebbe andato per l’ora del suo ritorno
dal lavoro, ma Hermione aveva un’idea di quello che potessero
valere le solenni promesse di Draco Malfoy, soprattutto quando,
in alternativa, aveva la possibilità di
tormentarla.
No, lo avrebbe ritrovato ancora lì, arrogante e
insopportabile come sempre. Se solo vivere da Babbano avesse potuto
insegnargli un po’ di umiltà. Ma sarebbe stato
come chiedere a un Chizpurfle di cambiare casa. Beh, avrebbe solo
dovuto buttarlo fuori dall’appartamento con un po’
di fermezza, questa volta.
“Alohomora”, disse alla propria
porta, prima di introdursi in casa.
Aveva pianificato cosa dirgli. Non era un cattivo discorso –
risoluto, ma non privo di comprensione – e pieno di utili
consigli sulla necessità di imparare a cavarsela da solo.
Ma, per essere pronunciato, Hermione avrebbe dovuto avere
un pubblico, e Draco non era presente. Incapace di credere
che avesse effettivamente lasciato l’appartamento, Hermione
fece le due falcate che le permisero di raggiungere la propria camera
da letto. Draco non era neanche lì. Una veloce occhiata al
gabinetto, le mostrò che anche quello era vuoto.
Hermione si lasciò cadere a peso morto sul letto e
cercò di mettere a fuoco la situazione. Draco se ne era
andato. Ora non avrebbe potuto propinargli il suo discorso. Ed era un buon
discorso. E quello era l’unico motivo per
cui era dispiaciuta.
“Oooowwww!” un lamento giunse da un punto nei
pressi della cucina. Il suo stomaco si contorse per qualcosa che non
voleva esaminare troppo da vicino, ma che assomigliava terribilmente a
del sollievo. E, beh, se la prospettiva di un Malfoy sofferente era
motivazione sufficiente a rendere migliore la propria giornata, era
meglio che si assicurasse che non si fosse tagliato una mano con un
coltello.
Con al volto una maschera di profonda fermezza, avanzò verso
la cucina. Draco era rintanato in un angolo e fissava con malevolenza
il suo fornello, stile Babbano, a gas.
“Mi ha bruciato”,
esordì, con una voce ricolma di così tanto
oltraggiato shock che lei si mise a ridere.
Si voltò per rivolgerle un’occhiataccia.
“Gli ho chiesto molto gentilmente che mi preparasse la cena,
poi ho girato quei suoi cosi rotondeggianti, e lui mi ha bruciato.”
Hermione lo osservò mentre si succhiava un dito e si
lasciava sfuggire un altro uggiolio di dolore. Draco,
ripeté nella sua mente, il mondo Babbano non
è così orribile. Ci sono posti in cui puoi andare
che ti aiuteranno ad imparare a reggerti in piedi da solo. Il tempo
passerà in fretta…
“Puoi stare qui con me”, disse. Lui
sollevò velocemente lo sguardo. “Per un paio di
giorni. Finché non trovi un posto dove
sistemarti.”
La sua ricompensa fu un genuino Draco Sorridente. Così raro
che era quasi doloroso da vedere.
“E devi imparare alcune cose.”. Lui
guardò il suo dito arrossato. Lei sospirò.
“A incominciare da come farti da mangiare,
suppongo.”.
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"Quindi Weasel si sposa”. Sembrava pensieroso.
“Qui c'è la frutta e la verdura”,
indicò lei con un ampio gesto. Gli passò un
grappolo d’uva e lo guardò con attenzione
finché lui non lo posizionò con cura nel carrello
della spesa.
“E con tutto quello che ha passato durante il sesto anno.
Bene, bene.” Scosse la testa, la sua rassomiglianza con lo
specchio di casa era stupefacente.
“Broccoli”, disse lei.
“Non mi piacciono”. Li rimise sul bancone.
“Naturalmente tu sei molto meglio.”
“Non avrei dovuto dirtelo.”. Appunto,
perché glielo aveva detto?
“Probabilmente no.” Si guardò attorno.
“Dov’è il succo di zucca?”
“Ancora nella zucca.”
Ne prese in mano una e la guardò pensieroso. Se la
portò ad un orecchio e la scrollò, accigliandosi.
Hermione sospirò e gliela tolse dalla mani, posandola nel
carrello.
“Weasley è un deficiente.”.
“Draco. Stiamo facendo la spesa. Sta’ attento se
vuoi imparare a fartela da solo.” Aggiunse della lattuga.
Magari Draco sarebbe riuscito ad imparare a farsi un’insalata
senza fare dei danni, a se stesso o alla sua cucina.
“Deficiente”, ripeté. “Non che
ci sia bisogno di dirlo, naturalmente. Però sentirlo ad alta
voce è divertente. Weasley è un
defi-ciente.” Assaporò l’ultima parola,
facendola fuoriuscire lentamente dalle sua labbra.
“Draco -”
“Scegliere quella ridicola ragazza pon pon, quando avrebbe
potuto avere te.”
“Non avrebbe potuto avere me”, rispose lei infine,
cercando di non mostrare la sua gioia.
“No?” E non notò la
luce che improvvisamente gli illuminò il volto.
“No”, rispose. “Andiamo. È
arrivato il momento di imparare a pagare.”
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La sera successiva gli mostrò la metropolitana. Gli permise
di scegliere la destinazione e fu sorpresa dalla sua scelta –
Whitechapel - per lo meno finché non le disse che Jack lo
Squartatore era stato, in realtà, un mago e che, si
vociferava, fosse un cugino dei Malfoy.
“Ah”, fu tutto quel che disse.
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Il giorno seguente si trasferì nel suo nuovo ufficio, nella
rinnovata sezione del Ministero della Magia.
Il cartellino magico sulla porta segnalava “Hermione
Granger” in foglie d’oro, lei lo cambiò
in madre perla non appena fu sola. Sperimentò alcuni colori,
smeraldo e zaffiro, ma poi optò per uno sfondo nero.
Quando ritornò a casa, scoprì che Draco aveva
apparentemente passato tutto il giorno a provare detersivi e
detergenti, lasciando che l’acqua nella vasca fuoriuscisse e
che una poltiglia verde si riversasse dappertutto, rovinando
irrecuperabilmente il tappeto. Era ora che lo istruisse sul modo
Babbano di fare pulizia.
“Uno straccio?” chiese, prendendolo in mano con
disgusto.
“Sì”, disse lei e lo lasciò
al suo destino.
A suo merito, lo sentì dire Gratta e Netta
solo tre volte.
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La sera successiva gli disse che doveva uscire e gli lasciò
una copia del London Times, opportunamente aperta
sulla Sezione Cerca Lavoro.
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“E adesso provo io a rimetterti in sesto”. Hermione
s’accigliò. Non era stata sua intenzione uscirsene
con quella frase.
“Non credevo di essere a pezzi”, replicò
Harry, buttando giù un altro sorso di Firewhiskey.
“Ed è quello che ho detto a Ginny!”
Hermione fissò il suo bicchiere vuoto. Harry glielo
riempì di nuovo. Harry era gentile. Non era a pezzi.
“Ginny?” chiese, aggrottando la fronte.
Ginny. Che cosa c’entrava Ginny? Oh, sì. Ginny
voleva che lei rimettesse a posto Harry. Le aveva spedito
già due Gufi al Ministero e, in aggiunta, aveva minacciato
di ricorrere a una Strillettera la volta successiva. Ginny non era
gentile.
“Strillettera”, rispose, Harry annuì
come se avesse capito.
Giunta al Paiolo Magico aveva trovato Harry da basso, in mezzo alle
persone. Bene, aveva pensato, prima di rendersi conto che era da basso al
bar, e quello che stava facendo in mezzo alle persone era
bere. Però le aveva rivolto un sorriso caloroso ed era
sembrato genuinamente contento di vederla.
Era lì per rimetterlo a posto, o per lo meno per vederlo
così che Ginny la lasciasse finalmente in pace. Ma lui
insistette che, se aveva intenzione di rimanere con lui, allora avrebbe
dovuto farsi offrire un drink. E poi un altro.
Non le era parsa una buona idea sul momento, almeno così
ricordava vagamente. E perché no?
“Whoops.” Mancò poco che le scivolasse
il bicchiere di mano.
“Whoops”, le fece il verso Harry.
Cercare di pensare le provocò un dolore acuto dietro gli
occhi e fece girare un poco la stanza, così ci
rinunciò. Harry stava sorridendo, un sorriso vero, e lei si
stava divertendo come mai negli ultimi mesi. Il primo
divertimento che si stava concedendo da mesi. Harry era un genio.
Avrebbe dovuto dirglielo.
“Sei veramente intelligente”, gli disse.
“No, quella sei tu.”
“No, veramente, Harry. Non ti dai abbastanza
credito.”
E lui sorrise di nuovo, e qualunque cosa rendesse felice Harry in quei
giorni doveva essere una buona cosa.
Il barista aveva ormai chiuso il bar e aveva fatto ritornare tutti ai
piani superiori, ma anche quello andava bene visto che Harry aveva
ancora la bottiglia di Firewhiskey e il sorriso sulle labbra.
La camera d’albergo di Harry non era male, veramente. Il
divano era grande e soffice, ci si poteva reclinare indietro e guardare
il viso felice di Harry nella quasi totale oscurità.
“Remus mi ha dato una porta con il mio nome sopra,”
disse. “Qualcuno t’ha mai dato una porta con il tuo
nome sopra?”
“No” rispose. “Ce l’hai qui con
te?”
“E’ una porta, Harry.
È al Ministero. Vuole che gli faccia da
assistente.”
“Bene.”
“Io non voglio farlo.”
“Non è quasi mai una questione di quello che tu vuoi,
Hermione.”
Senza smettere di sorridere, riempì un altro bicchiere. Ma
all’improvviso lei si rese conto che lui non era felice, e
nemmeno si stava sentendo meglio. Per nulla.
“Harry”, cominciò.
“Che c’è?”
Si morse un labbro. “Niente.”
“Che c’è?”
Avrebbe potuto parlare del Ministero o di Quidditch o starsene
semplicemente zitta. Ma si sentiva senza freni inibitori e incapace di
fermarsi, come se fosse qualcun altro a parlare al posto suo.
Gli toccò una mano. “Non ti andrebbe di parlare
con me?”
“Stiamo parlando”. Stava ancora sorridendo, ma
c’era una traccia di avvertimento nella sua voce.
“Harry.”
“Per piacere, Hermione. Lascia perdere.” La sua
mano, appoggiata sul divano, era chiusa a pugno e gli si intravedevano
gocce di sudore sulla fronte.
Poi i suoi occhi incontrarono quelli di lei e il sorriso che aveva
aleggiato sul suo volto sparì. Sembrò
improvvisamente più giovane, e terrorizzato, e lei non
poteva sopportare di vedere quell’angustia sul suo viso.
Si avvicinò a lui e lo strinse tra le sue braccia.
“Ti prego, Harry, sono sicura che ti sentirai meglio se ne
parli con qualcuno.”
Ne era sicura? Si sentiva vulnerabile e scossa. Avrebbe fatto di tutto,
avrebbe provato a fare di tutto per far svanire
quell’espressione tormentata dal suo volto.
“Cosa vuoi sapere?” chiese con un tono di voce
vuoto, che non sembrava il suo. Un tono pericoloso.
Questa non era stata una buona idea. “Nulla”.
Cercò di ritrarsi. Lui la tenne stretta nel suo abbraccio,
rafforzando la presa. “Tutto quello che vuoi
dirmi”, disse.
“Su Voldemort? Su quello che è successo a
Hogwarts'?”
“Sì”, rispose. La stava schiacciando.
Sentì della lacrime formarsi negli occhi.
“Perché dovrei dirtelo?”
“Non farlo allora, Harry”. Le stava facendo male, e
lei poteva sentire delle lacrime sulle guance, ma quelle non erano per
il dolore. “Non dirmi nulla se non te la senti. Non importa,
non devi dire nulla.”
“Ero io l’Horcrux.”
Non la stava più tenendo. Si sentì fredda, e
vuota, e le parole volavano intorno a lei.
“No”, disse.
“Sì”, sbottò in una breve
risata. “Ero io l’ultimo Horcrux.”
“No, Harry. Il serpente -”
“Non è mai stato il serpente.” Sorrise,
un sorriso tremendo. Lei si sentì ghiacciare.
“Sono sempre stato io. Per tutta la mia vita, fin da quando
ero poco più che un neonato, ho avuto un pezzo
dell’anima di Voldemort in me.”.
“No, Harry.”. Ma non riusciva a negare la
verità neanche a se stessa.
“Sì. Ha ucciso i miei genitori, e poi mi ha usato
per restare in vita. Per tutto questo tempo.”.
Cercò di prendergli una mano. Lui
s’alzò, appoggiandosi alla parete. Non la stava
più guardando, e lei non sapeva se fosse meglio o peggio
così.
“E io l’ho ucciso, e ha fatto male.
Qualcosa in me è morto.”
“Harry.”
“E lui ha riso. Era dentro
di me, Hermione. Che cosa ne pensi di questo?” Rise di nuovo;
era il più brutto suono che avesse mai sentito.
Lo raggiunse, gli strinse le mani. “Non importa. Se ne
è andato, ora.”.
“Come puoi saperlo?” La sua voce trasudava
amarezza, adesso, e tremore.
“Voldemort se n’è andato. La sua anima
se n’è andata.”
“Mi ha usato.”
“Sì. E ora se n’è
andato.”.
“Era dentro di me. Ed è morto. E forse sono morto
anch’io, non lo so.”.
“Harry, Harry.” Di nuovo gli cinse attorno le
braccia e lasciò che le lacrime bagnassero il suo volto.
Stava parlando, ma nel suo mormorio continuo, se
n’è andato, se n’è andato,
non riusciva a ritrovare se stessa.
“Hermione.” La sua voce era ghiaccio.
“Vattene.”
Si tirò indietro. Lui non volle incrociare i suoi occhi. Si
sentiva vuota e irreale.
“Va’ ” le disse. “Non tornare
più.”
“Harry.”
“Non ti voglio qui. Non voglio vederti qui.”.
“Io -”
“Vattene e basta.”
Lui si ritirò nella sua camera da letto. Non si
girò a guardarla. Dopo un momento, lei se ne
andò.
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“Granger!”
La sua testa era piena di Billywigs. Saltellanti.
“Granger!”
Provò a mettersi a sedere, comprese che era una cattiva
idea, e si lasciò cadere nuovamente sul cuscino.
“Ooowww”
Oh, per l’amor – Era impossibile per Draco
sopravvivere cinque minuti da Babbano senza farsi del male?
Aprì lentamente gli occhi. La vista sembrava a posto. La
luce era accecante, ma come primo passo non era male.
Udì uno schianto e si catapultò fuori dalla
camera. I Billywigs aveva deciso di aumentare frequenza e forza nei
loro salti, e ci stavano riuscendo alla grande. Boom, boom,
boom.
La cucina era un disastro. Draco aveva tentato di farsi delle uova
strapazzate, o magari erano dei cereali, chi poteva dirlo? Gusci rotti
di uova punteggiavano il tavolo. Macchie di albume e tuorli si potevano
vedere dappertutto, alcune persino in un piatto.
Lui se ne stava nel mezzo di quel caos, una mano stretta a pugno.
Com’era possibile che quella fosse diventata ormai una scena
tanto famigliare? Sospirò.
Nell’altra mano aveva ancora uno dei suoi coltelli più grandi ed affilati. Per la barba di Merlino. Aveva cercato di
fare delle uova con un coltello?
Veramente, non aveva voglia di ascoltare la storia, ma lui doveva aver
notato il suo sguardo attonito e, dopo aver assunto la sua espressione
Non-Devo-Spiegarti-Quello-Che-Ho-Fatto-Ma-E’-Evidentemente-Tutta-Colpa-Tua,
indicò con il coltello un uovo ancora intatto.
“Beh, come si devono aprire ‘ste cose?”
Notò che s’era ferito il pollice. Supponeva di
dover essere contenta che non si fosse reciso un polso.
“Draco.” Roteò gli occhi. I Billywigs
lo interpretarono come il via a una serratissima partita di tennis (o
ping pong?) all’interno della sua scatola cranica.
“Metti giù il coltello.”
Si diresse in bagno per prendere un cerotto, ma prima di tornare
indietro decise che era il caso di far sloggiare dalla sua bocca quella
sensazione di marcio. Che Draco sanguinasse per un minuto.
“Sono affamato”, la chiamò dalla cucina.
“E sono ferito.”
Stava per sciacquarsi la bocca, ma all’improvviso un altro
giro di spazzolino le parve un’ottima idea.
“Granger,” la raggiunse di nuovo la sua voce.
“Sto sanguinando a morte.”
Sospirò e tornò in cucina. Trovandosi a corto di
parole, gli prese il polso e mise la sua mano sotto un getto
d’acqua fredda, ignorando i suoi gemiti di dolore. Bambino.
Gli mise il cerotto sul pollice, lisciandolo perché aderisse
bene. Era in piedi, molto vicino a lei, e non c’era davvero
nessun motivo perché lei continuasse a tenergli la mano.
Avrebbe dovuto lasciargliela e fare un passo indietro.
L’avrebbe fatto, fra un minuto.
Lui fissò il cerotto. “Che
cos’è questo coso?”
“Il modo in cui i Babbani curano le ferite”,
rispose, allontanandosi, finalmente.
Con la mano illesa gli diede dei colpetti, dubbioso.
“Primitivi.”.
Lei fissò il disastro che aveva combinato e
considerò per un attimo la possibilità di
farglielo pulire. Ma ciò avrebbe significato mostrargli come
fare e ascoltare le sue lamentele. Nello stato in cui si trovava la sua
mente, soprattutto. Così pronunciò un veloce
Incantesimo Pulente.
Draco si guardò attorno, con tristezza. “Non
riesco nemmeno a sentire la magia”. I
suoi occhi si posarono su di lei.
Hermione abbassò lo sguardo e arrossì. La sera
precedente s’era Materializzata direttamente in camera sua e
s’era a mala pena svestita. Aveva indossato la cosa
più vicina che aveva trovato, una corta t-shirt, e
s’era addormentata immediatamente – o aveva perso i
sensi, a voler essere più precisi.
Non s’era struccata la sera prima, e la larga maglietta che
indossava offriva alla vista una buona porzione delle sue mutandine
rosa. Draco non era il tipo da passare sopra a
un’opportunità per umiliarla. Attese.
Ma il previsto Ghigno di Superiorità non arrivò.
Anzi, quello che le toccò fu l’Occhiata
Disapprovante. “Grande serata?” chiese.
Harry. Era stata così avvolta in quelle sensazioni
nauseabonde che se ne era quasi dimenticata. Un grumo gelato nello
stomaco. Come aveva potuto essere così stupida? Beh,
l’avrebbe perdonata. Doveva. Aveva solo bisogno di un
po’ di tempo. Non le importava più che Draco
l’avesse vista mezza nuda.
“Come sta Potter?” Eccolo, il ghigno. Uno sguardo
dall’alto in basso, con una leccata alle labbra, giusto per
buona misura. “Sempre a impressionare le ragazze con il suo
eroismo?”
“Qualcosa del genere”, replicò con voce
bassa.
Sarebbe arrivata tardi al Ministero. Doveva far finta di tenere al
progetto per amor di Remus. No, per amor di Remus doveva veramente
tenere al progetto. Una nuova ondata di nausea la invase.
S’avviò verso la sua camera, sorpresa che Draco
avesse deciso di seguirla.
“Non ho voglia di -”
“T’è arrivato un Gufo ieri
sera”, disse, lanciandole un pacchetto.
Atterrò sul pavimento dietro di lei, il che significava che
avrebbe dovuto girarsi e chinarsi per raccoglierlo. L’aveva
fatto apposta? Probabilmente no; non s’era mostrato molto
coordinato in quegli ultimi giorni.
Lui roteò gli occhi alla sua esitazione. “Oxford
vuole la tua risposta entro tre giorni.”
“Tu l’hai letto?”
“Tu non puoi essere sorpresa.”
“No, suppongo di no.” Aprì il
guardaroba. “Devo vestirmi, ora.”
“Perché non hai detto loro che accetti?”
“Perché non è quello che
farò.”
“Assurdo. Certo che lo farai. La St. Brigid è
stata fatta per persone come te.”
Se ne avesse avuto la forza, si sarebbe chiesta se quello fosse un
insulto.
“Questo non è il momento per pensare a se stessi.
Non che io m’aspetti che tu capisca una
cosa del genere.”
“Questo è il momento perfetto per pensare a se
stessi. Lasciati trascinare dal lupo mannaro nella sua missione
distruttiva da brava persona, non riuscirai ad aiutare
nessuno.”
“Il mondo magico -”
“Va’ a Oxford. Inventa nuovi incantesimi. Scopri
come fermare il prossimo Voldemort. Ecco come puoi aiutare il mondo
magico.”
“Remus ha bisogno di me.”
“Lupin è innamorato del suo senso di colpa. Non ci
sono motivi perché questo inchiodi anche te.” Si
passò una mano tra i capelli. “Scommetto che
volevi andare ad Oxford ancor prima di sapere cosa fosse
Hogwarts.”
Era una completa ingiustizia che Draco Malfoy, tra tutte le persone,
fosse quella che riuscisse a vedere attraverso le sue pose e le sue
facciate. Se avesse mai incontrato gli dei dell’Ironia,
sarebbe stato il caso di avere con loro una chiacchierata faccia a
faccia.
“Rispondimi a questo. Vuoi andare alla St. Brigid?”
No, fu quello che incominciò a dire. Ma
poi lo guardò negli occhi e la sue labbra si rifiutarono di
formare la sillaba.
“Sì”, rispose. “Tantissimo, ma
-”
“Niente ma.” C’era uno strano scintillio
nei suoi occhi. Uno che non ricadeva in nessuna delle espressioni di
Draco che aveva catalogato.
“Tu non capisci.”
“Te? Io ti capisco perfettamente.”
Fece un mezzo passo avanti. Non era sicura di quello che doveva
aspettarsi, se un bacio o uno schiaffo.
Poi lui si fermò.
“E capisco anche che sono affamato. Ieri sera eri
così impegnata a fare la brava ragazza con Potter
– non hai pensato che sarei rimasto senza cena? Ho una fame
da lupi.”. Si strattonò la maglietta.
“Pelle e ossa, ecco quello che sono.”.
“Oh per l’amor – Devi imparare a farti da
mangiare da solo, Draco.”.
Lui la guardò genuinamente sorpreso.
“Perché? Io ho te.”.
Se avesse avuto una porta, l’avrebbe sbattuta.
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Stava iniziando a farsi un’idea di come sarebbe stata la sua
vita al Ministero. Incontri per tutta la mattinata – dove
Remus vigilava affinché la sua opinione fosse sentita da
tutti gli altri. I casi pratici nel pomeriggio. In quel momento stava
per incontrare i VIP – ambasciatori magici, principesse
straniere.
Intorno a mezzogiorno, Ginny le fece una chiamata via Camino per
pretendere di sapere cosa avesse fatto a Harry – se ne era
andato dal Paiolo Magico.
Hermione avvertì una stretta al cuore, solo la notizia che
al Paiolo Magico lo aspettavano di ritorno entro una settimana le diede
un minimo di tranquillità. Si sentì ancora meglio
quando scoprì che la sua nuova posizione le permetteva di
dire alla strega segretaria che non avrebbe più accettato
chiamate da parte di Ginny Weasley.
Tuttavia, quando la segretaria le mandò un gufo chiedendole
se poteva far passare Ron Weasley, decise che,
stringendo i denti, sarebbe valsa la pena affrontarlo senza
procrastinare ulteriormente. Le chiese balbettando se poteva uscire a
cenare con lui, e lei per un momento pensò di rifiutare, ma
quando si rese conto che ciò avrebbe significato lasciare
Draco ad arrangiarsi da solo, accettò. Draco aveva bisogno
che gli fosse impartita una lezione; c’era solo una minima
possibilità che soffrisse veramente la fame.
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La cena stava andando bene. Avevano parlato di Harry, naturalmente. Non
gli disse quello che Harry le aveva confidato, e lui non fece pressione
sull’argomento, ma era bello avvertire la sua incrollabile
fede nel ritorno del vecchio Harry tra loro. Era convinto che avesse
solo bisogno di tempo.
Le disse del suo apprendistato alla Gazzetta del Profeta
– per il momento doveva solo portare tè e
caffé ai giornalisti, ma era sicuro che, con il tempo,
sarebbe arrivato ad avere il suo spazio nella sezione Quidditch.
Era stato educatamente curioso a riguardo del Ministero, e si era
dichiarato d’accordo che questa fosse una cosa di gran lunga
più importante che non la St. Brigid –
l’ultima cosa di cui Hermione aveva bisogno era ancora della
scuola.
Erano riusciti ad evitare completamente l’argomento Lavanda,
e quando lui le chiese di fare una passeggiata nell’angolino
magico di Hyde Park, tutto sembrava quasi tornato alla
normalità tra loro.
La luna era piena e le luci della città non erano visibili
dal sentiero. Hermione iniziò a rilassarsi per la prima
volta dall’inizio della giornata. Harry sarebbe stato bene, e
lei stava facendo la scelta più onorabile
nell’optare per il Ministero invece che per
l’università, e Draco era uno stupido. Era
così sicura dell’ultima affermazione che
lasciò che Ron le mettesse un braccio intorno alle spalle, mentre procedevano nella camminata. Erano amici da tantissimo
tempo, non poteva esserci nessun malinteso, e sembrava tutto giusto.
Sembrava meraviglioso, a essere del tutto sinceri. Il suo braccio era
caldo e solido, sia fisicamente che letteralmente parlando. Quando lui
abbassò lo sguardo per guardarla, lei sorrise.
E all’improvviso non stavano più camminando, e lui
la stava portando più vicino a sé, e le stava
baciando i capelli, e la fronte, e lei si rese conto che stava giocando
con il fuoco. Non poteva nemmeno far finta di non esserne consapevole.
“Hermione”, ripeteva Ron,
“Hermione.”. Le sue labbra erano bollenti sul suo
orecchio e sul suo collo. Le sue mani irrequiete sulla sua schiena.
Avrebbe potuto lasciare che tutto continuasse così. Sarebbe
stato così semplice. Sarebbe stato qualcosa che stavano
costruendo da anni.
“E Lavanda?” chiese.
Lo sentì irrigidirsi. “Sei sempre stata tu, Hermione.
Sono stato così stupido.”
Le baciò il collo, le guance, le labbra. Lei glielo permise,
per un momento.
“Quindi questa non è solo una cosa tanto
per?”
“No, no. Ho sempre saputo che saremmo stati insieme, un
giorno.”. L’avvicinò ancor di
più. “Non so che cosa stessi
aspettando.”
“Ma ora sei pronto?”
“Sì”, mormorò sulle sue
labbra.
“Ron.” Lei ritrasse la testa. “Io non ti
stavo aspettando.”
Lui si chinò in avanti per ricatturare le sue labbra. Lei si
divincolò gentilmente dal suo abbraccio.
“Era il mio compito rimanermene qui, aspettando che tu
finalmente fossi pronto?”
Lui sembrò vacillare, colpito dalla sua reazione.
“Beh… sì,”
balbettò. “Voglio dire, no. Non è che
-”
“Se mi volevi, avresti dovuto dire qualcosa tanto tempo
fa.”
“No. Tu non capisci.”. La sua faccia era confusa.
“Io ti amo, Hermione. Romperò con Lavanda.
Sarà tutto perfetto.”
“Ron, mi dispiace.” E lo era veramente,
all’improvviso. Si rese conto che lui aveva contato su di
lei. Ma lui non me l’ha mai fatto sapere.
“Fa’ quello che vuoi con Lavanda. Ma io non sono
un’opzione.”
“Hermione.”
“Quando è iniziato tutto questo? Al quarto anno?
Al quinto? Non possiamo dimenticarlo? Non possiamo essere amici come lo
eravamo una volta?”
Voleva disperatamente che almeno una cosa fosse stabile. Avere una cosa
a cui aggrapparsi – qualcosa che fosse rimasta immutata nel
corso della guerra.
“Per piacere, Ron”, disse, calma. “Mi
manchi. Non possiamo tornare indietro?”
Lui la guardò confuso, ferito. Non mi ha mai visto
prima. Non veramente. In tutto questo tempo.
“No, Hermione”, disse infine. “Non credo
sia possibile.”
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“Harry è a Hogsmeade”, le disse Remus
dalla porta.
Entrò nel suo ufficio. “Credo sia andato a vedere
le rovine di Hogwarts. Dove è successo tutto.”
“Cosa?” chiese, “Come lo sai?”
Sorrise. “Il Ministero ha l’accesso ad avanzati
localizzatori di magia. Ginny Weasley mi ha chiesto di trovarlo. Ha
detto che era tutta settimana che non rispondevi alle sue
chiamate.”
“Oh”, sospirò. “No.”
“Ha insistito parecchio perché tu parlassi con
lui.”
Vuole che lo butti completamente giù dal precipizio?
“Le hai detto dov’è?”
“No. Ma se vuoi posso magari chiedere di avere un rapporto
sui progressi della ricostruzione di Hogwarts? Potrebbe richiedere una
visita sul posto.”
“Harry ha bisogno di un po’ di tempo da
solo.”
“Va bene,” rispose, “anche se non mi
piace l’idea di Harry a gironzolare là attorno e a
riportare in superficie brutti ricordi. O bei ricordi, per quel che
importa. Sicura di non voler andare? Potresti fargli del
bene.”
Non ha bisogno di me. Se è a Hogwarts, è
andato a vedere Silente.
Pensò un momento se dare quella risposta a Remus, poi disse
solamente: “No.”
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Così, invece di vedere Harry a Hogwarts, quelli che
passarono davanti ai suoi occhi furono orfani di guerra e un nuovo
orfanotrofio a cui Kingsley si stava dedicando.
C’erano così tanti bambini, biondi e mori, alti e
bassi. Vedeva gli occhi tormentati di Harry in ognuno di quei volti.
Kingsley rimase una ventina di minuti – giusto il tempo per
fare delle foto – e Remus forse un’ora, lei dovette
andarsene con lui per un incontro con l’ambasciatore turco
che non si poteva assolutamente saltare. Rimase seduta tutto il
pomeriggio mentre loro negoziavano – qualcosa,
e non ascoltò nemmeno una parola.
Era ancora chiaro quando uscì per dirigersi a Oxford.
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“Dr. Jackson, mi dispiace, non posso accettare la vostra
generosa offerta.”
Era sulle sue labbra, s’era esercitata a dirlo, tre volte
l’aveva ripetuto, e ora riusciva a pronunciare tutta la frase
senza incepparsi. Ma quando sollevò una mano, pronta per
bussare alla porta dell’ufficio del Dr. Jackson,
scoprì all’improvviso di non riuscire
più a respirare.
Il suo stupido corpo aveva persino iniziato a tremare ed era sicura di
essere impallidita. Doveva andarsene prima che a qualche docente
preoccupato fosse venuta l’idea di rendersi utile e
servizievole.
Corse fuori nei giardini e si lasciò cadere su una panca.
Respiri profondi, lì all’aperto. Inspirare,
espirare. Si sentiva la testa leggera ed incapace di focalizzare i suoi pensieri su
qualunque cosa; dannazione era passata attraverso una guerra e aveva
sempre mantenuto il controllo dei nervi. Era fuori discussione perdere
la testa lì, ad Oxford.
Ecco, così era meglio. Era riuscita a far entrare
dell’ossigeno nei polmoni e quando guardò di nuovo
la propria mano, il tremito era appena visibile. Se fosse rimasta
lì seduta per solo un altro minuto, sarebbe riuscita a
muoversi di nuovo. Avrebbe voluto vedere il proprio riflesso nello
specchietto che si portava in borsa, ma non osava. Non avrebbe dovuto
essere uno specchio magico, ma temeva che lo specchio nel suo
appartamento fosse riuscito a corrompere anche
quell’apparentemente innocuo pezzo di vetro.
La St. Brigid era così bella. L’erba era di un
verde così brillante, e persino i parchi della Oxford non
magica stavano iniziando a dorarsi nella brezza autunnale. Le antiche
mura – che Una Breve Storia della St. Brigid
l’aveva informata essere magicamente calcificate –
si stavano tingendo di riflessi aranciati con le ultime luci del sole.
I corsi non erano ancora iniziati, e c’erano solo poche
persone in giro. Era più facile riprendere il controllo,
così. Era così semplice chiudere gli occhi e
immaginare se stessa camminare per quei sentieri.
Sentì una stretta al cuore, e il respiro accelerare.
Aprì gli occhi, odiandosi e sentendosi ridicola allo stesso
tempo. Nulla di tutto quello poteva essere troppo per lei. Hermione
Granger aveva affrontato un Basilisco da bambina e combattuto una
guerra da adolescente. Era una persona pratica. Una persona a cui
rivolgersi se si aveva bisogno di qualcosa. Una persona su cui poter
fare affidamento.
Non poteva perdere il controllo in quel momento. E perché
avrebbe dovuto? Solo perché Remus – e per
estensione il suo mondo – aveva bisogno di lei al Ministero?
E Ron aveva bisogno che lei fosse qualcosa che non era mai stata? E
Harry – beh, avrebbe voluto sapere quello di cui aveva
bisogno Harry.
E Draco. Draco aveva bisogno di lei per tutto, a quanto sembrava.
Era perfettamente in grado di fare tutto da sola. Lo era sempre stata.
Se tutti volevano qualcosa da lei – bene, non era niente di
nuovo. Se il suo cuore stava battendo forte, e dentro di lei sentiva
una terribile sensazione di vuoto – non era nulla di cui
doveva preoccuparsi. Se ne sarebbe andata via con il tempo.
Si Materializzò a qualche isolato di distanza dal suo
appartamento, in modo da avere il tempo per pensare durante la
camminata verso casa. Quella sensazione di vuoto era ancora viva dentro
di lei.
Non era stata capace di dare al Dr. Jackson la sua risposta, ma ora era
in grado di controllarsi, e gli avrebbe spedito un Gufo una volta
arrivata a casa.
Non sapeva cosa fare per Ron o Harry, al momento – non sapeva
nemmeno se avrebbe dovuto far qualcosa. Forse tutti
loro erano cambiati troppo. Forse il tempo del trio era finito.
Ma Draco, sapeva cosa doveva fare con lui. Doveva andarsene, non
c’erano altre alternative. Al pensiero avvertì un sorprendente
contorcimento allo stomaco. S’era abituata ad
averlo attorno. In un certo senso, s’era pure divertita. Ma
non poteva fare lei tutto al posto suo. Doveva imparare a stare in
piedi da solo – c’erano troppe altre persone di cui
doveva occuparsi. Compresa se stessa, supponeva.
Persino in quel momento, lui stava probabilmente mettendo a soqquadro
la sua cucina, senza ovviamente ottenere nessun risultato in compenso.
O forse se ne stava semplicemente seduto nel mezzo del salotto, con le
braccia incrociate, ad aspettare che tornasse lei a nutrirlo.
Aveva raggiunto il suo edificio. Su per le scale e la sua porta, e poi
avrebbe dovuto dirglielo. Quella sensazione di vuoto s’era
espansa durante il tragitto fino a raggiungere i polpastrelli delle
dita, ma non c’era nient’altro da fare.
“Alohomora”, mormorò,
poi entrò.
La sua cucina era nello stesso stato in cui l’aveva lasciata
quella mattina, il che significava che Draco non aveva nemmeno tentato
di farsi da mangiare, e che avrebbe iniziato a lagnarsi per la fame da
un momento all’altro.
Avvertì i suoi muscoli tendersi, aspettando il suo sbotto,
ma lui era comodamente seduto sulla poltrona, il quotidiano tra le
mani, e a mala pena sollevò lo sguardo.
“Draco”, disse, e in un certo qual modo era
l’ultima cosa che avrebbe voluto dire al mondo.
Il suo sguardo si fece più profondo. E fu sicuramente
preoccupazione quella che lei vide passargli in volto, prima che lui
indossasse la solita espressione attentamente neutrale.
“Ah, giusto,” incominciò. “Hai
rifiutato Oxford, allora?”
“No”, disse. Il volto del ragazzo si
dispiegò in un sorriso genuino e lei non ebbe il cuore di
aggiungere, non ancora.
“Questa è una gran cosa, Hermione!” si
alzò e si avvicinò, ma lei fece un passo
indietro.
“Draco. Devo dirti una cosa.” Devi
andartene. Presto. Stasera, forse.
Poteva dirglielo. Aveva già esaurito la sua razione di
codardia giornaliera. Fece un respiro profondo.
Beh, forse avrebbe potuto dirglielo dopo cena. Dopotutto doveva
mangiare, e non sarebbe mai riuscito ad arrangiarsi da solo.
Era esausta. L’ultima cosa che avrebbe voluto fare era
cucinare, ma l’ultimissima cosa che voleva
fare era dirgli che doveva andarsene, quindi mettere mano alle pentole
poteva essere un giusto compromesso.
E perché non poteva arrangiarsi da solo?
Era così stupido. Sì, non
aveva mai dovuto alzare un dito per fare le cose da solo, ma il mondo
cambia, e anche lui era stato in guerra. Miliardi di Babbani nel mondo,
e la maggior parte di loro ce la faceva benissimo. Perché
diventava un imbecille quando si trattava di cibo, di pulizie
domestiche, di lavoro o di soldi e di tutte quelle miriadi di
piccolezze che i Babbani dovevano affrontare ogni giorno?
Perché non poteva nemmeno fare un tentativo?
Perché la stava costringendo a buttarlo fuori – e
perché la cosa, in maniera ridicola, impossibile e assurda,
la faceva sentire ancora più svuotata?
Tutti pretendevano così tanto da lei. E lei voleva
così tanto che lui fosse diverso dagli altri. Non aveva
capito quanto lo voleva fino a quel momento.
“Anch’io ho avuto una gran giornata.”.
Interruppe lui i suoi pensieri.
“Davvero?” a mala pena si reggeva in piedi, si
sentiva così inconsistentemente apatica.
“Sì” rispose. “Ho imparato a
usare il telefono.”
Beh, era più di quello che riusciva a qualche mago,
considerò lei.
“E’ meglio che vada a preparare la cena”.
Odiava doversi dirigere in cucina. Le sembrava troppo una sorta di
ultima cena.
Qualcuno suonò il campanello alla porta. Hermione
sobbalzò. Nessuno veniva mai a farle visita.
“E”, continuò Draco, “ho
imparato come si fa a ordinare una pizza.”
Aveva già visto l’espressione del Draco
Orgoglioso, naturalmente, ma quella era la prima volta in cui la vedeva
senza alcuna traccia di malizia.
Draco aprì la porta e pagò il ragazzo che aveva
effettuato la consegna. Pagò! Con l’esatto importo
di soldi Babbani, come se non avesse fatto altro in tutta la sua vita.
Poi prese la pizza e chiuse la porta.
Si voltò di nuovo verso Hermione, brandendo le scatole. Lei
si sentì gelare. Il sorriso del ragazzo svanì nel
guardare il suo volto.
“Sapevo che avresti avuto una giornata dura”, la
sua espressione era confusa. “Così ho pensato che
avrei potuto fare qualcosa per te. Hermione?”
Era come se tutto il suo sangue avesse incominciato improvvisamente a
scorrerle vorticosamente per le vene. Tutto il suo corpo tremava.
“Hermione?” Era allarmato, ora.
Lei non riusciva a parlare. Lasciò cadere le scatole sul
pavimento e la raggiunse con due falcate. La prese tra le sue braccia.
Lei scoppiò a piangere.
“Hermione, tesoro”. Era impossibile non riconoscere
il panico nella sua voce. “Hermione, amore, cosa
c’è? È tutto a posto. È solo
della pizza”, disse con una certa disperazione.
Un gran singulto, mezzo colpo di tosse, mezza risata, fece
sì che Draco le stringesse con più forza le
spalle. Non riusciva a smettere di singhiozzare. Draco
l’avvicinò più a sé, e
continuò a ripeterle “Tesoro”, ancora e
ancora, con voce urgente. E poi la ricoprì di bollenti baci,
dappertutto. Aveva le labbra bagnate dalle lacrime della ragazza.
Il suo autocontrollo era stato solo un’illusione,
evidentemente, visto come in quel momento se n’era
completamente andato. Tutto quello che non s’era permessa di
sentire per mesi stava ora fuoriuscendo con quelle lacrime. Era
incapace di fermarsi.
Dopo qualche momento smise di tentare di controllare i singhiozzi
tremolanti. Sarebbe stato inutile, in ogni caso. Non riusciva a
formulare le parole, non riusciva a dire a Draco cosa ci fosse che non
andava e, ancor più importante, cosa non ci fosse.
Ma poteva muovere le sue labbra, così che incontrassero
quelle in continuo movimento di lui. E poteva baciarlo profondamente,
anche se le lacrime non accennavano a fermarsi.
Draco ricambiò il bacio con passione, avvicinandola ancor
più e facendo vagare le sue mani su tutto il suo corpo. E
ancora lei non riusciva a parlare e dirgli che era tutto a posto, che
stava solo avendo una sorta di crisi emozionale a scoppio ritardato, ma
che stava bene. Così mise tutta la
rassicurazione che aveva nel suo bacio. Lui sembrò
comprenderlo.
Quella sensazione di vuoto se n’era finalmente andata.
Rimpiazzata da – non pienezza, ma una sorta di completezza.
Si sentiva viva così come mai lo era stata fin da prima
della guerra ed era sbalordita dalla rivelazione. Avrebbe dovuto dirlo
a Draco, una volta che avesse recuperato la capacità di
parola.
Più tardi. Gliel’avrebbe detto più
tardi. Le tracciò la linea del collo con la lingua. Ora
aveva cose più importanti da fare.
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“Weasley ha fatto cosa?”
Draco iniziò a dimenarsi sopra la tovaglia da picnic.
“Lo ucciderò.”
“Rilassati”. Hermione lo spinse, gentilmente, di
nuovo a terra. “Sto solo cercando di spiegarti
perché Ron e Lavanda non sono più
fidanzati.”
“Ma lei lo sta frequentando ancora?”.
Allungò un braccio per raggiungere il cestello con il cibo,
evidentemente decidendo che prendere una coscia di pollo era meglio che
arrabbiarsi.
Lei annuì. Lui scosse la testa, meravigliato.
“Frequentare Weasley. Quella donna è una santa. O
un’idiota. Forse entrambe le cose.”
Non gliel’avrebbe mai detto, ma almeno tra sé non
poteva fare a meno che concordare. Ripensò alla cena che
aveva avuto la sera prima con Ron, Lavanda e Harry al nuovo cottage di
quest'ultimo a Hogsmeade.
Ron, inizialmente, era stato parecchio teso, ma poi era riuscito sia a
parlare che, persino, a fare delle battute scherzose. Lavanda le aveva
chiesto dei suoi programmi e aveva fatto diversi commenti comprensivi,
a cui Ron aveva, apparentemente, veramente prestato attenzione.
Hermione aveva capito che, finalmente, il ragazzo s’era
arreso all’impossibilità di avere un futuro con
lei. Sarebbe stato un bene per tutti.
Harry s’era mostrato orgoglioso della sua piccola casa e
aveva parlato entusiasta delle riparazioni che aveva intenzione di
fare. Hermione l’aveva guardato attentamente per tutta la
serata, fin quando Harry stesso non s’era irritato per la sua
vigilanza, e mai aveva visto tremare le sue mani. Erano stati su fino a
tardi, a parlare e ridere, e nel mezzo della serata un pensiero aveva
attraversato la mente di Hermione: la guerra era finita, quella era la
vita.
Avrebbe voluto portare anche Draco alla cena da Harry, ma lui aveva
roteato gli occhi e le aveva annunciato che doveva rinunciare, grazie a
Merlino, perché era al lavoro. S’era divertito a
vedere la sua espressione a bocca spalancata per lo shock, Hermione ne
era certa, ma poi lei gli aveva levato quell’espressione
compiaciuta dal volto a furia di baci. Le aveva poi detto che aveva
trovato lavoro in una galleria d’arte a Soho, il direttore
s’era detto sicuro che la sua aria aristocratica e il suo
bell’aspetto sarebbero stati una risorsa inestimabile nella
vendita di dipinti sovrastimati a Babbani con troppi soldi.
Hermione s’inclinò all’indietro,
appoggiando le mani sull’erba. Chiuse gli occhi e
assaporò il sole sul viso, e respirò
l’odore dell’erba appena tagliata. Aprì
gli occhi e vide altri studenti avvantaggiarsi della giornata
insolitamente calda – il prato era pieno di gente.
C’era chi stava leggendo e chi stava facendo un picnic
– alcuni stavano persino divertendosi a rilasciare e
riprendere un Boccino. Nessuno di loro aveva lo stile di Harry. Vide il
Dr. Jackson attraversare i giardini e ricambiò felice il suo
saluto, prima di prendere in mano il pesante libro che aveva di fianco
a sé.
Draco si chinò per catturare un bacio. Lei lo spinse via,
indicando il libro ora aperto nel suo grembo. Moderne
Derivazioni dell’Artimanzia Avanzata. “Lo
sai che ho dato il mio assenso a questo solo se tu mi avessi lasciato
studiare.”
“I tuoi corsi non inizieranno prima del pomeriggio. Che cosa
c’è da studiare?”
Lei gli lanciò un’occhiataccia. Lui rise.
“Va bene, va bene. Mi arrendo.”.
Si stese nuovamente sull’erba e studiò il cielo.
“Mi chiedo come se la stia passando il lupo mannaro senza di
te. Il Ministero non sembra essersi disintegrato.”.
“Va bene, okay, sì Draco”, disse lei
senza sollevare lo sguardo dal libro. “Sei il mago
più brillantemente intelligente dell’intera storia
del mondo magico, e io non metterò mai più in
dubbio il tuo consiglio. Contento?”
Il modo in cui lui disse “Sì” le fece
alzare gli occhi dal testo. Gli sorrise con tenerezza.
“Naturalmente, Remus ha ancora bisogno di un assistente.
Suppongo che tu potresti sempre -”
Lui le afferrò un polso, e lei si trovò stesa
sopra di lui. Draco prese immediatamente vantaggio della sua posizione
per baciarla intensamente.
“Draco”, sospirò lei, quando dovette
ritrarsi per recuperare il fiato. “Sono alla mia
università. Mi piacerebbe mantenere un certo
decoro.”.
“Fai un incantesimo Occultante,” le
sussurrò in un orecchio.
Lei rise. “La St. Brigid ha avuto migliaia di studenti. Hanno
dei sensori contro queste cose.”
“Bene, allora”, sorrise e la baciò
ancora, “credo che dovrai sopportare
l’imbarazzo.”.
oO*Oo
FINE
Richieste: Post-sconfitta di Voldemort. Tutti stanno cercando
di rimettere in sesto le proprie vite. Hermione lavora al Ministero e
Draco ha bisogno del suo aiuto.
Rating: libero
Deal Breakers: stupri/miseria/torture/Hermione nel
ruolo di vittima
A/N: St. Brigid è la patrona degli
studenti. Probabilmente il suo mito trae origine da una dea celtica del
fuoco, le cui abilità includevano la musica,
l’artigianato, la poesia, e che gli Irlandesi consideravano
la fiamma della conoscenza, prima che i Cristiani adottassero il mito a
proprio uso. In un’altra leggenda, St. Brigid è
una principessa irlandese convertita al cristianesimo nel 468 dC.
oO*Oo
Grazie a cristina,
Francesca, Sara86, Clo87 (come va, carissima? Tutto bene,
spero ;) ), Emily Doe, _*Lyra*_ per le
recensioni che mi avete lasciato :D, e grazie, naturalmente, anche a
tutti quelli che hanno letto questa traduzione.
Fatemi sapere che ne pensate, oltre che se vi andrebbe di veder
tradotte altre fanfiction di argosy.
:p
Se
avete delle domande, chiedete pure. Vi risponderò
contattandovi personalmente (se lasciate delle recensioni da loggati),
o sul "mio" topic nel forum (sezione Presentazione Autori).
Alla prossima ;)
Kit_05
EDIT: 4 giugno 2009, versione corretta di Breathe online, si ringrazia la moglia ^^
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