L'effimera vita della farfalla.

di itsjones_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Changes. ***
Capitolo 3: *** Goodbye,goodbye. ***
Capitolo 4: *** Hakuna Matata. ***
Capitolo 5: *** Box of memories. ***
Capitolo 6: *** Musty smell. ***
Capitolo 7: *** Dejavuù. ***
Capitolo 8: *** Hidden truth. ***
Capitolo 9: *** Blackout. ***
Capitolo 10: *** Salt meets wound. ***
Capitolo 11: *** Near. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Capitolo primo. Prologo.





Conobbi Jacob Twist nel 1986, all’epoca avevo 6 anni e lui soltanto uno in più di me. Era una calda estate, forse una delle più afose degli ultimi 10 anni, -così diceva sempre mio padre-.
Come ogni anno passavo luglio e agosto a ‘Blue Lake’, un piccolo paesino americano che non è nemmeno segnato sulle cartine geografiche. Ho sempre amato quel posto,sin da bambina, ricordo ancora il cartello di benvenuto –tipico di posti come quello-, ‘benvenuti a Blue Lake. Non troverete carpe come le nostre in nessun altro posto!’ ed era vero, erano dei pesci enormi, più grossi di un neonato, ma non sono mai stata un’amante del pesce e quindi carpe o no per me non faceva alcuna differenza.
Jacob Twist era uno dei 1.210 abitanti di Blue Lake, ah questo proposito non so se ringraziare il destino o meno. Era un ragazzino piuttosto nella media,tranne che per il viso, il suo volto infatti mi piaceva particolarmente: i suoi grandi occhi blu chiaro erano come avere un orgasmo senza fare sesso o qualsiasi altra cosa che possa suscitarlo, ma la cosa che più amavo erano quelle macchioline minuscole, piccole, ma sobrie lentiggini che gli illuminavano il volto come fanno le stelle nel cielo. Ricordo vagamente il nostro incontro, poiché della tenera età ho solo i ricordi più significativi, e, sebbene questo fosse uno di quelli, ci sono dei particolari che temo non rimembrerò mai. Giocavo a nascondino con dei bambini poco più grandi di me del luogo ed essendo io la più giovane decisero che toccava a me fare la conta, essendo ancora piccola e non conoscendo bene la zona non avevo idea di dove dovessi dirigermi, andai alla rinfusa. Penso di non aver mai perdonato quelle persone per avermi lasciato da sola, tuttavia trovai la strada che portava al lago e non sapendo dove altro andare mi ci diressi. ‘’ci saranno dei pescatori’’ pensai convinta.
Arrivata a destinazione, non c’era nessuno, non un’anima viva. Ero solo una bambina all’epoca e mi misi a frignare.
«donne.» aveva sbuffato
Alzai il capo con un buffo broncio sul viso,quasi fossi contrariata di quella affermazione che però non ero riuscita a comprendere a pieno.
«cosa vorresti insinuare?» non sapevo nemmeno cosa volesse dire, ma il verbo ‘insinuare’ mi faceva sentire così adulta.
Lui scrollò le spalle, «voi donne non fate altro che piangere»
Un’altra smorfia di disprezzo comparve sul mio roseo volto «pft,io non sono nemmeno una donna»
Quello strano bambino si sedette vicino a me e scrutò il cielo, teneva in mano un retino per catturare gli insetti e lo poggiò sull’erba umida.
«hai ragione»
Mi stropicciai gli occhi per asciugare le lacrime e continuai: «farfalle» sussurrai guardando avanti a me, le bellissime danzatrici alate.
«sono tornate!» urlò ridendo
Lo guardai stupita «tornate?»
«sono tornate per vendicarsi!» continuò con tono che si alternava tra l’allegro e l’arrabbiato «prima le ho catturate e adesso me la vogliono far pagare»
Risi, quel bambino era così buffo che non potei fare a meno che mandare via la tristezza.
«come ti chiami?»
Tornò a guardarmi. «Jacob Twist» sorrise mostrando i denti
«io sono Stel-» poi m’interruppe «Stella Parker, lo so, stai nella villa orange, tuo padre è originario di qui, mentre tua madre è spagnola ed è per questo che abiti là, dico bene?»
Rimasi basita. «tu come fa a-?»
Mi fissò. « questo è un paesino molto piccolo,le voci girano»
Non mi pentii di essermi persa e tornai a casa di ottimo umore, anche se, poi venni punita severamente per il mio ritardo. Non dissi niente a nessuno di quella piccola avventura, raccontai solo di essermi persa per colpa di quegli idioti, ma ahimè, non fui creduta.
Fino a quell’estate, odiavo Blue Lake, mi annoiava perché non c’era mai niente da fare, il mare era troppo lontano e ci andavamo ogni tanto nelle giornate in cui il caldo era così soffocante che si rischiava di svenire solo uscendo di casa. In alternativa il mio passatempo era leggere; i miei insinuavano che ero una bambina ‘chiusa’ e che se avessi continuato così starei stata emarginata, non avevo molti amici all’epoca e quelli che avevo non mi trattavano nemmeno come una persona, ma la cosa non mi sfiorava nemmeno l’anticamera del cervello, stavo bene così, per conto mio, poiché avevo imparato a fidarmi solo di me stessa.
Questo almeno finchè non conobbi Jacob Twist.
L’ho già detto che fu l’estate più calda da ben oltre dieci anni?












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piccolo spazio personale.
allora, i primi capitoli li ho scritti molto tempo fa,quindi se ci sono errori e varie è perchè beh, è un pochino da revisionare ahahahh,anyway, I HOPE U LIKE IT ;)

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Capitolo 2
*** Changes. ***


Capitolo Secondo.
 
 changes. 
 






 
Nessuno lo chiamava ‘Jacob’,oh perlomeno, non io, per me era semplicemente Jake; jake con i pantaloni strappati nel suo dolce metro e cinquanta che continuava a salire man mano che cresceva. Jake nelle lunghe mattine estive che bussava alla porta di casa mia, e Jake, Jake nell’inchiostro della mia penna stilografica che andava a posarsi tranquillamente sul foglio bianco di una lettera da spedire. Era Jake,per me. Jacob non era altro che un nome scritto nella linea tratteggiata dei documenti del comune.
Dopo la famosa estate del 1986, tutto quello che pensavo di conoscere, tutte le cose che avevo letto sui miei libri, seppure semplici e con molte figure, le dimenticai, fu Jacob Twist a farmele dimenticare.
Tornai successivamente, anche l’anno seguente,quello dopo ancora e così via.
Quel ragazzino riempiva le mie giornate come nessun libro era mai riuscito a fare.
L’inverno del 1995 fu particolarmente piovoso, ricordo ancora quanto soffrivo per via di quel tempo che si alternava di male in peggio, l’unica cosa che potevo fare per sentirmi meno sola era scrivere, ci scrivevamo lettere tutte le settimane, mi raccontava della scuola e di come una certa Olivia Dicrer si era presa una brutta cotta per lui. Io non avevo mai un granché da dire,preferivo invece leggere quello che mi mandava lui. In quell’anno ne avevo quindici e frequentavo una scuola di danza, era un liceo piuttosto rinomato per via della sua dura e ardua selezione. Mi piaceva ballare, e gli e lo dicevo in quasi tutte le nostre lettere.
farfallina' – così mi chiamava lui, diceva che mi muovevo come loro, in modo fine ed aggraziato. Ma a me le farfalle non piacevano molto:
- Riescono ad incantarti con le loro meravigliose ali colorate, ma se le fissi attentamente noti che sono insetti, insetti pelosi, piene di zampe e antenne e non così belle come paiono
A questo proposito lui rispondeva sempre che, non la pensava come me e poi cambiava argomento.
Jacob Twist abitava in una casa completamente gialla, era carina per via dei fiori che vi crescevano attorno, abitava con la nonna, un’anziana signora molto gentile, anche se, morì di cause naturali qualche anno più tardi.
La sua infanzia, non fu come la mia, coccolata ed amata da tutti. Il padre, un ubriacone senza scrupoli lo picchiava, mentre la madre era deceduta per via di una malattia quando lui era solo un bebè. Non parlava mai della sua famiglia, soprattutto di suo padre, ma quando lo faceva usava un tono dispregiativo definendolo ‘quell’uomo’ e mai –papà- perché non lo considerava come tale.
Provavo molta pena nei suoi confronti per questa ragione, ma lui diceva che non dovevo provare tristezza, perché lui era felice così con o senza quell’uomo.
Nel 1996 appena compiuti sedici anni entrai a far parte di una compagnia di ballo che superava ogni mia più rosea aspettativa, la prima cosa che feci fu proprio scrivere una lettera al mio migliore amico,dissi:
- Caro Jake,
- Come stai? Sono due settimane che non ci scriviamo, spero tu stia bene e che anche gli studi ti stiano gratificando, perché vedi a me è successa una cosa molto più che gratificante, ieri delle persone sono venute a vederci ballare per scegliere qualcuno da inserire in una compagnia molto famosa, indovina? Sono stata scelta, non riesco ancora a crederci. Lucinda è molto arrabbiata con me, dice che non me lo merito e che lei è molto più brava, in effetti mi dispiace per lei, ma sono troppo contenta per me, spero che anche tu lo sia.
- A presto, tua farfallina.

 
La lettera ci mise quasi tre giorni ad arrivare, all’epoca i computer erano ancora grosse scatole grigie che si vantavano di avere una scarsa qualità e poi a Blue Lake il pc non era ancora usato e quindi le lettere e a volte il telefono erano il nostro unico mezzo di comunicazione, anche se la linea telefonica laggiù prendeva solo in alcuni determinati mesi dell’anno.
La sua risposta ci mise altrettanti giorni ad arrivare e con molto piacere ne lessi il contenuto, fu proprio come mi aspettavo.
- Hola Stella,
- Si dice così laggiù,non è vero? Comunque, si sto bene, le cose qui sono sempre le stesse, sai non è una città e non c’è un granchè di cose da fare. Tuttavia non mi lamento. Ah,oh, che squisita notizia! Non è che adesso che diventerai famosa te ne andrai in qualche località balneare, vero?
- Mi manchi molto,l’estate è l’unico periodo in cui posso sperare di fare qualcosa di bello. A comunque mancano solo due mesi e mezzo, datti da fare e sii sempre la migliore.
- Un bacio, Jake.
 
P.s. ti ricordi Olivia? Olivia Dicrer, alla fine ho accettato le sue avance , speriamo che vada tutto apposto.








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piccolo spazio personale. 
ToShine_ : oh ma che carina grazie! spero che il continuo della storia sia di tuo gradimento xxx

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Capitolo 3
*** Goodbye,goodbye. ***


Capitolo Terzo.
goodbye goodbye.







Sebbene trovassi in Blue Lake un luogo dove rifugiarmi, la mia dolce Barcellona era pur sempre casa mia, il mio luogo natio e la mia vita reale. L’estate del 1996, mi sconvolse, mi cambiò per sempre.
Come ogni anno oramai la cara vecchia Blue Lake mi ospitava per due bei lunghi mesi, ma le mie prospettive per quell’anno erano ben diverse.
Passai tutto il mese di Luglio sola, poiché i miei genitori erano rimasti a casa per sbrigare alcune commissioni, mentre Jake semplicemente non era lì; i primi di Agosto, però, forse il 3, me ne stavo seduta in riva al lago con un blocco da disegno e lo vidi,finalmente.
Se ne stava su una barchetta di legno molto carina nel bel mezzo dell’acqua limpida, ma la cosa che mi fece rimanere basita, fu proprio, l’accompagnatrice.
«nehh,Jake!» urlai cercando d’attirare la sua attenzione.
Non rispose ne si voltò, ma notai con molta tristezza, il suo volto che sorrideva gioiosamente.
Sospirai e riprovai. Finalmente si girò.
«Stella!» gridò alzando le mani al cielo con molta euforia, l’altra mi scrutò soltanto.
L’imbarcazione ci mise due o tre minuti per arrivare a riva, io l’aspettai li senza muovermi d’un centimetro.
«dove sei stato per tutto il mese?» lo riproverai scherzosamente correndo ad abbracciarlo.
Jake sorrise e ricambiò l’abbraccio con molta esaltazione.
«io? Io sono sempre stato qui! Ma effettivamente sono uscito poco..» si rimproverò massaggiandosi la testa castana.
Non dissi nulla, avremmo parlato più tardi. –pensavo-.
La ragazza mi fissava senza aprir bocca; era una sua coetanea, probabilmente. Pensai subito a quanto fosse graziosa, alta e bionda, praticamente tutto il contrario di me, sebbene non fossi bassa, il mio metro e settanta non era paragonabile ad un fisico come il suo, i capelli invece, non erano molto lunghi, le toccavano appena alle spalle,liscissimi e ordinati; quando i miei erano lunghi, neri e ricci; mi sentii quasi a disagio.
«lei è Olivia, comunque» s’interruppe Jake «ricordi? Te ne ho parlato!»
Rimembrai tutto, della lettera in cui parlava del loro ‘fidanzamento’ e delle loro ‘avventure’.
Tossicchiai e abbozzai un finto sorriso,porgendo la mano sudata. «piacere,io sono Stella»
Lei mi scrutò,osservandomi a puntino. «piacere» disse soltanto, evidenziando la ‘r’ moscia.
Tornai a guardare Jake, come per dire, -bene e adesso che sono arrivata io, lei se ne può anche andare- ma quando alzai lo sguardo mi accorsi che si stavano guardando e stavano sussurrando qualcosa,ridendo.
Feci una smorfia. «Jake mi ha detto che ti piace ballare» fece lei.
Mi risvegliai dai miei pensieri e tornai a guardare Olivia. «oh si moltissimo, è praticamente la mia vita.»
La ragazza sorrise. «capisco» abbozzò.
Il ricordo di quella giornata mi ha sempre annebbiato il cuore, non avevo mai fatto i conti con il destino, avrei dovuto prevedere che un giorno Jake mi sarebbe stato strappato via. Il solo vederlo con un’altra mi faceva star male,un’altra,che non ero io.
Poi ruppe il silenzio. «io e Olivia pensavamo di andare a mangiare qualcosa,ti unisci a noi?» mi chiese,anche se con tono un po’ scocciato.
Feci un cenno con la testa, «grazie mah..» tossicchiai «non voglio fare la terza in comodo, e poi devo tornare a casa»
Si accorse che quella era soltanto una scusa, ma non insisté ne provò a farmi cambiare idea. Li vidi andar via e me ne tornai a casa poiché stava per giungere un bel temporale.
Le giornate che si susseguirono furono più o meno tutte così, il Jake che conoscevo io non veniva più a suonarmi alla porta ogni mattina e le mie giornate erano tornate ad essere come quando avevo sei anni. Mi sentivo semplicemente sola.
Mancavano due giorni alla mia partenza, aveva rovinato tutto, ma l’avrei salutato a dovere,così, senza pensarci due volte mi diressi a casa sua.
Suonai e la porta si apri poco dopo.
«Ciao,stella,non ti ho vista ultimamente in giro,come stai?» disse con la sua solita euforia,uscendo fuori di casa.
Io annuii solamente.
«tutto più o meno bene,» sospirai «dopo domani parto sai»
Lui rimase sorpreso. «di già?»
Annuii nuovamente «si»
Fece una smorfia «peccato»
Continuammo a parlare ancora per un pò e senza che me ne accorgessi eravamo al lago.
«che estate..» sussurrai sedendomi sull’erba fresca che macchiò di verde i miei shorts bianchi
Lui si buttò su di me,abbracciandomi. «mi dispiace d’averti trascurata»
Sorrisi. «tranquillo» ricambiai l’abbraccio, avrei seriamente voluto piangere, ma non lo feci, più per orgoglio che per altro.
Poi si distolse da quell’abbraccio e dopo avermi fissata mi baciò sulle labbra.
Non era il mio primo bacio, David un ragazzo della mia classe ed io avevamo avuto una storia poco tempo prima. Ma fu diverso.
Fu esattamente in quel momento che mi accorsi di provare qualcosa per Jake, qualcosa che non era semplice amicizia. Desideravo passare il resto della mia vita con lui, perché era soltanto mio.
«scusami» disse,poi
«mh?»
Mi scrutò «mi dispiace,io,io non volevo» poi si alzò di scatto «io amo Olivia,ho sbagliato, quindi amici come prima?»
Abbassai lo sguardo,un po’ confusa.
«ci vediamo il prossimo anno,eh?» disse afono mentre si allontanava
E mentre lo vedevo scomparire nella foschia di quegli alberi antichi, grossi lacrimoni uscivano a fiotte dai miei occhi, tutte quelle che non avevo versato in quei tristi giorni e che, comprimendosi dentro di me erano raddoppiate, ognuna di loro provocava un dolore insopportabile.
Fu come la prima volta, solo che ‘sta volta non venne a consolarmi,non provò a far smettere quel pianto.
Così, piena di rabbia urlai.
«IO, IO TI ODIO JAKE.»

The pouring, cold rain melted into blue scars.
Non riconobbi quell’emozione, un misto d’amore e odio. Come una pistola puntata alla mia testa, poi fu solo freddo.






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piccolo spazio personale.

ToShine_ : ancora una volta mi hai resa molto felice! davvero,sono molto contenta che ti piaccia,spero di riuscire a farti appassionare con questa fic,come appassiona me. xx

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Capitolo 4
*** Hakuna Matata. ***


Capitolo 4.
Hakuna Matata.








Quella fu l’ultima volta che tornai, l'ultima che vidi e sentii Jacob Twist.

[…]

4 anni dopo.

Era esattamente il 2000, avevo 20 anni spaccati e fui presa come prima ballerina per interpretare la meravigliosa Odette, nel rinomato e famoso - lago dei cigni, oramai non pensavo più alle mie vacanze, le passavo quasi tutte con la compagnia organizzando gite in tutta la spagna.
i miei genitori per motivi di lavoro decisero di andare altrove per le loro vacanze cedendomi così, le chiavi di villa orange –adesso è tua- dicevano; ma io le riposi in un cassetto del mio comodino a 18 anni..
Frequentavo un’università d’arte, perché con il tempo avevo imparato ad apprezzare la fotografia e volevo trovare un’altra passione oltre a quella per la danza. Le cose erano ben diverse, era come se fossi un’altra persona, i dolori del passato mi avevano resa più forte, tanto che avevo rimosso ogni cosa.
All’epoca stavo con un tipo, un certo Tomàs, era il classico bulletto sono-figo-solo-io che si fa vedere in giro con le ragazze pon pon e quelle cui seno superava la terza. In effetti non avevo idea del perché stesse con me, mi chiamava ‘la sua pupa’ o ‘puttanella’, ma non era un’offesa, anzi da parte sua risuonava quasi come una bella cosa. Sebbene la sua fama di grandissimo stronzo tromba gnocche fosse oramai risaputa da chiunque, con me era diverso, mostrava la sua parte più ‘tenera’ anche se sempre nel suo modo un po’ rozzo.
Capelli neri,grandi occhi da cucciolo e un fisico da modello, a tutte le ragazze piaceva Tomàs lopez, a tutte meno che a me, ma con il tempo avevo imparato ad amarlo. Ci eravamo conosciuti ad una festa a cui,tra l’altro mi ero imbucata, sapevo chi era, poiché studiava nel mio corso, ma non ci avevo mai dato troppo spago.
«ehy tesoro,me la fai una pompa?» mi aveva chiesto ridendo.
Era ubriaco fradicio e assolutamente fatto. Nemmeno io ero sobria, così mi aveva trascinata in bagno per darmi una bella,come amava dire lui, chiara e veloce ripassata.
Non ricordo un granchè, ma la mattina seguente con un bel mal di testa permanente mi aveva riaccompagnata a casa con la sua auto rossa fiammeggiante dicendomi «domani ti porto a scuola,pupa»
Da lì era nato tutto, oramai faceva parte della mia vita e di Jacob Twist non sentii più parlare.

Il caldo cominciava ad arrivare, la bella stagione, e anche l’estate.
«allora stasera venite da me? Io e i ragazzi pensavamo di vedere un horror,oh una roba così» aveva esclamato Pablo,un’amico di Tomàs.
Il mio ragazzo scosse la testa. «no, stasera no, sto con la puttanella» aveva poi,detto ridendo ed indicandomi
Io sorrisi e infilai la cintura di sicurezza della spaziosa auto di Tomàs,aspettando che partisse.
Accesi poi,la radio, le canzoni erano tutte vecchie e parlavano d’amore e di cose sdolcinate,così la spensi amareggiata.
Casa sua era un macello, non abitava più con i suoi e se ne fregava altamente di riordinare o di pulire,così di tanto in tanto ci pensavo io.
«è una camera o una giungla?» feci sarcastica
Lui non rispose,si limitò a sbuffare. «pazienza»
Mi sedetti sul morbido divano verde acceso del salottino,sprofondando tra i cuscini. «birra?» chiese lui affacciandosi.
Io annuii.
Quando tornò portava in mano due lattine di birra ghiacciata appena tolta dal frigo e me ne porse una, aprendo nel frattempo la sua.
«che vogliamo fare stasera?» chiesi voltandomi a guardarlo
Lui scrollò le spalle. «non sapre-» poi si bloccò e un sorriso beffardo comparve sul suo volto roseo.
Io lo fissai,in attesa di qualcosa.
«oh Stella, guarda cos’ho!» rise appoggiando la birra sul pavimento ed estraendo dalla tasca dei jeans scuri una piccola e sobria busta trasparente.
«pillole?» chiesi eccitata
Lui annuii entusiasta.
Ci tengo a far sapere che non ero una drogata, mi piaceva solamente fare qualcosa di proibito,di tanto in tanto.
Porsi le mani, ma lui scosse il capo ridendo.
«sicura? Guarda che poi sai che succede»
Immaginai senza nemmeno utilizzare un briciolo di fantasia, le emozionanti e lunghe ore di sesso selvaggio che mi aspettavano da fatta.
Mi strinsi nelle spalle, «oh,lo so bene»
Ne prendemmo un paio a testa e nel giro di pochi minuti non capivo più niente, tutto intorno a me cominciò a danzare, come quelle farfalle colorate che avevo visto quella volta a Blue Lake. Vidi Tomàs spogliarsi e io lo seguii euforica, lasciando che mi togliesse la biancheria intima. Poi mi prese in braccio e sbattendomi contro il muro cominciò a spingere. Non ero in me, la testa mi girava e girava, c’erano un sacco di luci che andavano e venivano,quasi accecandomi.
Ma non mi importava, com’è che si dice?
Hakuna matatasenza pensieri.










piccolo spazio personale_______________________________________
<3
beh che dire, in questo capitolo si può subito intuire un cambiamento radicale delle cose, Stella è cambiata,è cresciuta,così come tutto il suo mondo,
i giochi,i libri con le figure e le gite in barca hanno lasciato spazio a fumo e sesso sfrenato. °O°

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Capitolo 5
*** Box of memories. ***


Capitolo 5.
Box of memories.







Oramai l’estate era alla porta, quello che mi chiedevo era, quanto ci avrebbe messo per suonare il campanello, quella maledetta.
Da quando stavamo insieme io e Tomàs passavamo l’estate nella calda capitale spagnola, un mese insieme in una casa di un suo vecchio zio che non c’era quasi mai, era perfetto.
Era una mattina afosa di inizio giugno, il mio ragazzo dormiva tranquillo nel mio letto ad una piazza e mezzo, io, invece me ne stavo appollaiata sulla scrivania con lo schermo del computer acceso.
che palle’ pensai appoggiando goffamente il viso al polso destro, sbuffando.
Notai quasi subito la scatola,effettivamente, rilegata da un delizioso nastro rosso spento,con i bordi d’orati. Ma mi ci volle un po’ però, per concepire cosa effettivamente era.
Un oggetto che apparteneva al mio passato, un passato che avevo avidamente deciso di rimuovere dalla mia testa; quando si soffre ci sono tre strade che possiamo percorrere. La prima è affrontare il dolore con forza e sconfiggerlo.
La seconda è soffrire,in silenzio. Mentre la terza è la rimozione, dimenticare tutto, cancellare,anche se è sbagliato, ogni piccolo frammento di tristezza. Io avevo scelto la terza, senza indugi ne troppi pensieri.
‘un attimo..’ pensai, fissandola era come se tutto fosse tornato nella mia testa,improvvisamente. Così la presi e con cura tolsi il nastro. Dentro la scatola c’erano tanti pezzi di carta, oh meglio,lettere. Mi chiesi quante ne doveva contenere, ma ottenni subito la risposta, guardandole tutte. Erano tante, troppe.
La prima ricorreva al marzo del 1990, la calligrafia non era un granchè, avendo all’epoca appena 10 anni, mah quello che vi era scritto mi fece spuntare un leggero sorriso sul viso.
‘non sono andato a caccia di farfalle oggi, so che ti piacciono tanto e ho deciso di non farlo più, ma se lo farò giuro che verranno liberate tutte, fino all’ultima, è meraviglioso vederle volar via nei loro mille colori luminosi’.
Era piuttosto corta, ma dolce,molto dolce.
Andai avanti e le lessi più o meno tutte, senza indugiare, senza accorgermi di quanto il tempo stava passando veloce. Ma quando arrivai all’ultima capii che c’era qualcosa che avevo lasciato –incompleto-.
L’ultima lettera della scatola infatti, ricorreva a Settembre, settembre del 1996.
Era una lettera chiusa, mai stata aperta ne letta. Così decisi di farlo, più per curiosità che per altro.
Diceva:


‘’i bambini sono più innocenti degli adulti.
Quello che fanno, lo fanno perché lo sentono dentro, e non importa se è giusto o sbagliato, sanno sempre cosa è meglio fare,perché distinguono la luce dalle tenebre.
Un adulto invece prende vie sbagliate, vie che sembrano giuste e corrette perché pensano troppo. Ma quelle vie piene di fiori e odori gradevoli si scoprono essere in realtà incubi con grosse spine. Questi adulti hanno solo bisogno di qualcuno, qualcuno che li porti via da quell’inferno o che vi cammini dentro con lui mano per la mano cercando una via d’uscita.
Senza la tua mano io, sono come uno di quegli uomini, troppo stupidi e ingordi per uscire da quel posto, da soli.
La bambina che ho conosciuto tanti anni fa riuscirà mai a perdonare questa persona ottusa che sono diventato?.’’



La lettera finiva così. Chiara e concisa. Una lettera di scuse che veniva dal cuore.
Rimasi sconvolta da quelle parole così intense e profonde.
Jacob Twist. Jake Twist, il bambino che avevo amato nella mia tenera età si era prostrato ai miei piedi riconoscendo d’aver sbagliato.
Ma fu solo in quel momento che capii, capii che fui stata io l’ottusa.
Avevo buttato via dei meravigliosi ricordi per uno stupido orgoglio.
‘mi manchi..’ sospirai con le lacrime agli occhi
mi manchi terribilmente
In quel momento Tomàs si voltò con gli occhi ancora assonati e un tenero sorriso sul volto.
«quanto ho dormito? » chiese tra uno sbadiglio e l’altro.
Scossi le spalle.
«un momento, ma tu stai piangendo»
«n-no» scossi il capo stropicciandomi gli occhi «ma devo dirti una cosa..»
Lui rimase fermo ad ascoltarmi
«quando parti per Parigi, per il viaggio con i tuoi?» chiesi soltanto
Tomàs si fermò un attimo a pensare: «il primo di luglio,perché?»
Sorrisi. «anch’io» poi rimasi zitta per qualche secondo attendendo una sua risposta
Storse lo sguardo «ma ad agosto Madrid insieme, vero?»
Io annuii, mentre lui tornava a ronfare allegramente.








____________________________________________________
piccolo spazio personale.
ho postato immediatamente il successivo perchè i primi capitoli li ho scritti un pò di tempo fa,quindi sono già pronti anche se ammetto che alcuni sono corti °O° beh rimedierò quando arriverò al punto di dover continuare, eh allora temo che sarò lentuccia, beh <.< comunque ringrazio la mia adorabile lettrice che non si dimentica mai di recensire *O* (mi scuso comunque per i vari errori ortografici,ma mi faceva fatica revisionare!) <3

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Capitolo 6
*** Musty smell. ***


 Capitolo 6.
musty smell.








‘’l’aereo per Orlando è in partenza. Ripeto, l’aereo in partenza per Orlando sta per partire, si pregano i gentili passeggeri di recarsi alla scaletta per l’imminente partenza. Grazie’’
Questo suono riecheggiò molto familiare nelle mie orecchie che erano però intente nel frattempo ad ascoltare la soave musichetta del biscotti ‘crispy crocodile’ che proveniva dalla sala ristoro dell’aeroporto, era una musica piuttosto allegra,con un motivetto creato apposta per incantarti: crispy crispy siamo i migliori, crispy crisps si sciolgon sulla lingua, crips crispy con cioccolato e dolce vaniglia.
Mi alzai di scatto e mi diressi velocemente all’aereo che stava per decollare. Era la prima volta che viaggiavo sola per andare a Blue Lake, da piccola era tutto diverso, il viaggio in aereo era la parte più noiosa, adoravo invece il tragitto fatto con l’auto che mio padre noleggiava non appena arrivati ad Orlando, da lì ci aspettavano sempre 3 entusiasmanti ore sulla vettura.
Una volta che l’aereo fu arrivato però non essendoci nessun padre e nessuna madre mi toccò prendere il treno e due taxi, ma alla fine dopo ben tre ore e mezzo, arrivai a destinazione.
Non fu un viaggio noioso, anche se molte donne anziane mi chiesero come mai fossi diretta in un posto tanto dimenticato da dio. –new york city. Quello è un posto per voi giovani- così aveva detto una. –non vedo il motivo- disse un’altra, -date le circostanze-. Non capii a cosa si riferisse, almeno questo finché non arrivai.
Come dicevo, il tempo passò piuttosto in fretta e una volta arrivata feci caso che fui l’unica a scendere alla fermata. Poi camminai, un altro quarto d’ora lungo la vallata verde che portava a Blue Lake. Non ne capii il motivo, l’autobus aveva sempre portato fino alla fine,sentendo ciò che dicevano i miei. Ma non ci pensai molto.
Ma quando lo vidi, non riuscii a crederci nemmeno io.
La deliziosa aria profumata della pasticceria ‘da fred’ era andata completamente perduta e al suo posto, un’acre odore di chiuso e bruciato riecheggiava nell’aria come lo smog di una grande città. Il suono delle risa dei bambini che giocavano a campana nella strada sen’era andato, lasciando che il nulla più assoluto entrasse fastidiosamente nelle mie orecchie. Era come se la Blue Lake che conoscevo io, quella dove ero cresciuta, fosse semplicemente morta.
Non riuscivo a crederci.
Più camminavo, trascinando la mia trolley verde acceso dietro di me, più guardandomi attorno vedevo quanto quel posto fosse diventato grigio e spento. Le case, le dolci e meravigliose dimore pittoresche e colorate, erano sempre le stesse, ma allo stesso tempo avevano qualcosa di diverso, erano vuote.
Villa Orange invece, era esattamente come la ricordavo, la mia vecchia casa d’infanzia era più o meno sempre la stessa, tranne che per le erbacce che con gli anni avevano deciso di impadronirsi del mio giardino. I miei amati fiori non c’erano più.
La puzza di muffa e chiuso aveva invaso l’interno e la mia camera, la camera di una piccola bambina non aveva avuto nessun problema con il tempo. I miei giochi, le mie bambole e i miei libri erano rimasti là, immobili ed immutabili. Il mio vecchio carillon con la ballerina, s’era impolverato ed appoggiando la valigia a terra mi diressi immediatamente da lui. Girai la manovella il più possibile,poiché volevo sentire tutta la melodia; e il dolce suono armonico cominciò ad accompagnare la danzatrice che si mosse a ritmo di musica in modo lineare ed aggraziato.
«perfetta» sussurrai fissando le sue deliziose movenze.
Per un attimo dimenticai il motivo del mio ritorno e mi persi nello scintillare di quel tutù, nella mia vita l’unico grande amore che avevo avuto era lei, la danza, l’unica che non mi aveva mai deluso, era sempre rimasta al mio fianco ed io gli e ne ero infinitamente grata.
Ma qualcosa prese la mia attenzione,nei passi in lontananza. Mi affacciai immediatamente alla vecchia finestra per controllare, ‘finalmente qualcuno si è svegliato’, pensai guardando l’orologio erano le sette in punto.
E finalmente vidi qualcuno. Era un uomo, e da come era vestito doveva essere un turista o comunque qualcuno che non faceva parte di Blue Lake. Era piuttosto alto, con un buonissimo portamento. Capelli sul biondo un po’ scuro e due vispi occhi verde palude. Un uomo che a prima vista poteva sembrare avere venticinque,ventisei anni, non oltre.
Portava con se una valigetta ventiquattrore nera,nella mano destra e un cellulare nella sinistra. A prima vista una persona molto distinta, non sapevo chi fosse, ma ci tenevo a parlare con qualcuno, almeno per sapere cosa stava succedendo.

[...]


«salve» tossii avvicinandomi all’uomo che nel frattempo mi aveva scrutata nel mio arrivare così freddolosamente.
Accennò un leggero sorriso e poi parlò «buongiorno»
Lo guardai attentamente prima di riaprir bocca «mi può dire cosa sta succedendo qui?»
«lei è del posto?» m’interruppe lui
«non si risponde ad una domanda con un’altra domanda» risi io «comunque no,non proprio»
Ricambiò il sorriso e poi mi porse la mano «il mio nome è William Collins e-»
«come il poeta» aggiunsi io fissandolo.
Il biondo rise «come il poeta» ripeté infine.
Poi tirò fuori dalla tasca della giacca un pacchetto di Camel e lo scartò con cura, dopo di che ne estrasse una sigaretta con le labbra e me ne porse una, io però feci un segno di no con la testa e così rimise il pacchetto nella tasca.
«dicevo» continuò mentre accendeva la sua sigaretta «lavoro nel distretto di Leesburg, è mai stata ad Leesburg, è una città davvero adorabile, ad ogni modo, un mio collega aveva dei parenti qui un tempo» il suo sguardo perso nel passato mi fece quasi rabbrividire, come il suo forbito linguaggio di grande uomo di politica
«lei è un’agente?» chiesi quasi sorpresa
Lui sbuffò in modo quasi ovvio «certamente,desidera vedere il distintivo?»
A quella frase, scoppiai immediatamente a ridere,ma in modo silenzioso «si figuri,le credo comunque, diceva?»
«mi dia del tu, infondo avrai non più di quattro anni meno di me» rise lui «comunque, qualche giorno fa un mio caro amico,non che collega e superiore, mi ha accennato di questo posto e del perché oramai è effettivamente dimenticato da dio, io personalmente l’ho trovata una storia molto particolare e ho deciso di dare un’occhiata al riguardo»
Rimasi ad ascoltarlo attenta a non perdermi nemmeno una virgola, quattro anni di assenza ed era come se il cielo mi fosse caduto in testa.
«esattamente» chiesi «esattamente cos’è che è successo?»
Mi fissò sbalordito,come se avessi detto una cosa assurda e fuori dall’ordinario «eppure lei è qui» poi si voltò a destra e a sinistra, come per controllare che nessuno lo stesse guardando o ascoltando.
Ma il problema era che non c’era anima viva.
«tuttavia le racconterò volentieri cosa accadde l’estate del 1997» poi sospirò e riprese fiato «successe ad agosto, non conosco il giorno preciso, ma poco importa. Pare che ci fu un incendio..»
«incendio?» chiesi. Un brivido mi percorse la schiena ed io rabbrividii «non ho visto niente di distrutt-» poi mi fermai, ricordai l’odore acre e il puzzo di bruciato e chiuso all’inizio di Blue Lake e tacqui.
«nell’ala Nord di questo posto, scoppiò un incendio» non mi sentii nemmeno ed andò avanti a modo suo: «morirono molte persone quel giorno, alcune delle case furono ricostruite, ma il puzzo era insostenibile e nessuno voleva più rimanere in un posto così.. mh, se posso dirlo, ‘sfigato’.»
Assottigliai lo sguardo per capire meglio. «che successe poi?»
William prese un tiro dalla sigaretta, finendola guardò ciò che ne ero rimasto e lo lanciò via con un gesto veloce. «se ne andarono tutti» poi tornò a guardarmi «o perlomeno quei pochi che non erano morti quel giorno»
Rimasi in silenzio, le sue parole, ma soprattutto la storia in se mi avevano sconvolta, non potevo credere a ciò che mi aveva appena detto, Blue Lake era davvero morta per sempre?
Poi tornai a parlare,anche se sentii la mia voce tremare tra una sillaba e l’altra «c-che cosa,esattamente, scatenò l’incendio?»
Alzò la testa e fissò il cielo, quell'immensa distesa senza nuvole. «signorina» esclamò afono «è esattamente per questo che mi trovo qui»
«dovrai avere almeno un idea..» sussurrai
Scrollò le spalle «beh»
«beh?»
«io non penso che sia stato accidentale quest’incendio sa»
Scostai lo sguardo,incuriosita da quell’affermazione «cos’è che ti fa dire questo?»
Si irrigidii per poi mettere le braccia conserte «quel giorno deve essere successo qualcos’altro,signorina mi creda quando le dico che per me tutto questo non è un caso.. c’è qualcosa sotto»
Ma il mio pensiero in quel momento era rivolto a Jake, se gli fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonata.
«a proposito,come ha detto che si chiama?»
«non l’ho detto» feci abbozzando un mezzo sorriso «comunque il mio nome è Stella,Stella Parker»
«Parker» ripetè lui con un sorriso sul viso «come Peter Parker?»
Trattenni una risata, non era il momento di battute, nemmeno se queste erano state fatte in precedenza da me. Poi uscii dai miei pensieri e tornai a fissarlo.
«può portarmi da l-loro?»
Lui annuii. Dopo di che, tirò fuori un’altra sigaretta dal taschino e se la ficcò in bocca.
«assolutamente»










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piccolo spazio personale.
in realtà sarebbero due capitoli che ho deciso di unire,perchè prima avevo questa mania di farli corti e mi dispiace LOL, perciò li ho uniti eeee nulla.
hope u like it. 
<3

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Capitolo 7
*** Dejavuù. ***


Capitolo 7.
Dejavuù.


 





William mi accompagnò a piedi, non vi era bisogno di prendere l’auto il posto dove eravamo diretti era più vicino di quanto credessi, anche se l’avevo visto solo una volta, a sette anni, era stato proprio Jake a mostrarmelo –spero di non doverci tornare- disse ridendo. Era quello che speravo anch’io, adesso più che allora.
«eccoci» fece afono il mio accompagnatore, indicandomi in cancello d’entrata «fai con calma»
A quel punto alzai lo sguardo, la cancellata era lunga e tetra, di un colore che somigliava al- no non era di nessun colore, è impossibile provare a descriverla, forse color sabbia,sarebbe appropriato. O più semplicemente color morte.
«non tira una bella aria» sospirai aspramente
Lui mi precedette ed entrò «ti ricordo che siamo in un cimitero..» disse quasi ridendo «se tirasse una buona aria, non sarebbe tale»
Entrai anch’io. L’enorme distesa di lapidi sorgeva intrepida sulla lunga e verde collina. Non c’era altro che quello, lapidi,mausolei e ancora lapidi. Rabbrividii.
Cominciai a girare quelle tombe cercando. Più precisamente sperando di non vedere il suo nome impresso su una di queste.
«precisamente chi stai cercando?» mi chiese lui a qualche metro di distanza da me «ti do una mano»
Mi voltai a guardarlo, nel dire quel nome mi sentii strana. Come dare una soffiata ad una vecchia scatola impolverata e far volare via tutti i granelli di polvere. Mi sentii esattamente così,piena di rimorsi e ricordi. «Jake-» tossii facendo finta di non aver detto niente «Jacob. Jacob Twist»
William annuii e comincio a girare un po’ più lontano da me.
«è triste!» esclamai nel silenzio più assoluto.
Lui si voltò. «cosa è triste?»
«nemmeno un fiore, nessuno è venuto qua..» sussurrai «nessuno è venuto a trovarli»
«dimentichi dove siamo, Stella»
Sbuffai,allora «si a volte mi succede..»
continuai a camminare, guardando tutti i nomi, uno ad uno. Di Blue Lake non conoscevo nessuno, quei pochi erano amici dei miei, sebbene anche loro ne avessero pochi qui, ma non ricordavo ne i loro visi ne tantomeno i nomi.
Ma fu lo stesso un enorme shock vedere quel nome.
«oddio» sussurrai spalancando i miei grandi occhi color nocciola «..non posso crederci, io-»
«l’hai trovato?» urlò con una virgola di dispiacere il biondo
Mi piegai sulla lapide color panna, mettendomi in ginocchio, la scrutai. «oddio» seppi ripetere soltanto mentre una lacrima, una sola, che non fu preceduta da altre, mi cadde leggera sul volto, percorrendo il mio intero viso ed andando a cascare dolcemente sul terreno già inumidito dalla temperatura e dalla pioggia.
Con entrambe le mani tolsi le erbacce che erano cresciute intorno ad essa e ne lessi il nome una seconda volta. E poi una terza.
«allora,è lui?» mi chiese William piegandosi vicino a me
«no» dissi soltanto asciugandomi il viso «ma la conoscevo»
«Oliva Dicker» analizzò «mi dispiace»
Io annuii soltanto continuando a fissare quell’oggetto inanimato:
‘’Olivia Dicker. 4 marzo 1979 – 18 Agosto 1997.’’ Non c’era scritto altro, nessuno l’aveva commemorata,niente. La cosa mi fece pena. Tutte quelle lapidi mi facevano terribilmente pena.
Allora mi alzai,continuando a cercare e cercando di non pensare, poiché ogni mio pensiero temeva il peggio e vedeva già il suo nome stampato a lettere cubitali su quei grandi pezzi di marmo, ed io non volevo fosse così.
«Stella» disse William attirando la mia attenzione «non c’è»
«come?»
«lui non è qui» sospirò con un mezzo sorriso sulle labbra
Ne ero felice. Ma se non era a Blue Lake, dove si trovava adesso?
«senti,io devo andare adesso,devo tornare in centrale per dei resoconti,ma tornerò domani,magari ci prendiamo un caffè insieme» fece il biondo avvicinandosi a me con cautela
Io mi voltai ed annuii. «mi farebbe molto piacere» sorrisi «allora ciao»
William si voltò e si avviò verso l’uscita,lasciandomi sola, completamente sola in quel posto tanto macabro.
Sbuffai, era tempo per me di tornare a villa Orange, avrei fatto una bella dormita e l’indomani dopo aver salutato definitivamente William me ne sarei tornata a casa. In spagna. Da Tòmas.
Esattamente in quel momento il cellulare squillò, era il mio ragazzo.
«tesoro,ehy» sussurrai rispondendo
«Stella! Aspettavo una tua chiamata io!» rise lui «come stai? Com’è andato il viaggio?»
Rimasi qualche secondo in silenzio prima di rispondere «tutto bene, anche il viaggio è andato bene..»
«ehy..ti sento un po’ strana. Dove sei adesso?»
Mi trattenni dal far notare la mia preoccupazione «sono in giardino di casa mia, villa Orange, te ne ho parlato tanto no?»
Se quello fosse stato davvero il giardino di casa mia penso che avrei traslocato immediatamente, tuttavia non potevo dirgli dove mi trovavo, tutto questo avrebbe necessitato di una spiegazione, e non era il caso. Avevo anche poca batteria al cellulare, a dirla tutta.
«adesso devo proprio andare Tòm. Io,io ti richiamo stasera» tagliai corto a quel punto
«certo, a più tardi, un bacio»
«un bacio..»
Riattaccai il cellulare e mi diressi all’uscita del cimitero. Non potevo sapere, non potevo prevedere però che l’avrei vista.
Una triste e vuota lapide senza nome, e quando dico vuota è proprio quello che intendo, non vi era nessun nome ne data incisi sopra, e fu allora, allora soltanto che m’immaginai:
‘'Jacob Twist. 19 dicembre 1979 - 18 Agosto 1997’’.
Il mio cuore si fermò nello stesso momento in cui lo lessi o perlomeno immaginai di farlo. Chiaro e scolpito, nessuna erbaccia copriva il suo ricordo stampato sul marmo. Nemmeno una.

[...]


Oramai erano le sei passate del pomeriggio e per quanto mi dilettassi a non pensarci, il mio pensiero, sebbene non troppo sicuro, ricadeva sempre su quella tetra lapide vuota.
L’unico posto dove potevo andare, per riflettere, era il lago. Era il luogo dove ci eravamo conosciuti, e solo li sapevo che avrei connesso il cervello, così da poter pensare senza dare conclusioni affrettate.
Sbuffai quando lo vidi: la tiepida acqua cristallina che se ne era rimasta là ferma per tutti quegli anni, ed anche allora, non diede segno di vita, nonostante il vento, rimaneva ferma.
Guardando tutta quella natura, mi tornarono in mente molti dei momenti che avevo trascorso insieme a Jake; le corse con gli aquiloni, le scalate sugli alberi che prima mi sembravano quasi immensi mentre adesso riuscivo ad delimitarne una fine, le calde giornate a fare il bagno o in barca a provare a pescare..
Tutto questo, accompagnato dalla tristezza di quell’ultimo giorno.
E di quell’addio, aspro e conciso che avevo urlato nel silenzio di quel temporale. Continuai a guardarmi attorno e mentre i ricordi spuntavano come funghi nella mia testa non sapevo di essere osservata.
Mi sedetti nell’erba morbida esattamente come feci allora, ma sta volta risparmiai le lacrime, non ero sicura che fosse morto, anzi, a dirla tutta non lo credevo nemmeno vero, cercavo solo di pensare al meglio, al ritorno di William avremmo indagato.
Ma non potevo fare a meno di pensare a dove poteva trovarsi e con chi poteva essere, magari aveva una famiglia ed era felice e magari forse mi aveva anche dimenticata.
Esattamente come avevo fatto io.
Mi poggiai la borsa davanti alle ginocchia e con delicatezza l’aprii, tenevo sempre con me il mio cellulare, un beauty per ‘l’occorrenza e altre cianfrusaglie tra cui anche la mia Canon per eventuali foto extra-scolastiche. Che però sembrava essere scomparsa; non era una macchina troppo grande, pensai subito d’averla dimenticata, ma ricordai con molta precisione d’avercela infilata dentro quella mattina stessa.
«dove diamine-?» mormorai continuando a cercare, nonostante ogni mio tentativo fosse vano per via delle ristrette dimensioni della borsa.
‘’click’’
Mi voltai immediatamente. Il suono che avevo appena sentito ero quello di uno scatto, come se qualcuno avesse fatto una foto. Drizzai immediatamente le orecchie e rimasi in ascolto,immobile.
‘’click’’
Di nuovo.
«c’è qualcuno?» domandai al nulla.
Poi voltai la testa in ogni dove, non c’era nessuno, ero sola. Ma non era stata la mia immaginazione. Tuttavia continuai la mia ricerca senza badarci troppo.
«stai cercando..questa?»
Scostai lo sguardo dalla borsa e lo vidi, era un ragazzo a qualche metro di distanza da me, con in mano la mia Canon
Rimasi in silenzio ed annuii.
«non te l’ho rubata» si giustificò a bassa voce «l’ho trovata vicino al cimitero, in realtà dentro..ma..» poi la portò davanti al viso e con agilità scattò un’ennesima fotografia. Click.
Mi alzai in piedi e lo squadrai da cima a fondo, lui intanto mi sorrise. Un sorriso molto umile, ma lui in per se, era e sembrava una persona tale.
«mi hai seguita?» chiesi a quel punto, rimanendo però esattamente dove mi trovavo
«no» disse soltanto,mantenendo la stessa espressione facciale
Alzai un sopracciglio «vieni qui spesso?»
«no» disse nuovamente, scaturendo in me un po’ di nervosismo
«prima» mormorò poi «..credo»
«come?»
Scrollò le spalle «la foto è venuta bene»
Non capii di cosa parlava, saltava di palo in frasca, aveva quasi un comportamento irrazionale. Da bambino.
Spostai lo sguardo da lui alla mia macchinetta, sembrava ancora intatta, come prima.
«potrei riaverla?»
Lui annuii e me la porse avvicinandosi cautamente
Mi ricordava tanto la storia del piccolo principe, quando il giovane aviatore si perde nel deserto e conosce il principino e quest’ultimo gli chiede di disegnare per lui una capra in modo molto pignolo sui dettagli, dicendo allo stesso tempo cose sconnesse tra loro.
«credevo che dopo l’incendio qui non ci vivesse più nessuno..» sussurrai senza guardarlo in faccia
«è vero,infatti» sorrise «io sono qui solo di passaggio»
«e dove sei diretto,se posso» feci rimettendo la canon nella borsa senza dare nemmeno un’occhiata alle foto che erano state scattate in precedenza da lui
All’inizio non rispose, come per pensarci su, poi finalmente aprì bocca «non ho una metà precisa, vado in giro.. per lo più»
«figo.» abbozzai quello che sembrava un sorriso un po’ forzato.
Lo guardai dritto in faccia. Una faccia, normale, una bocca non troppo grande e un naso che non dava nell’occhio. Poi appiattii lo sguardo per vederlo nei minimi particolari.
‘macchioline minuscole, piccole, ma sobrie lentiggini che gli illuminavano il volto come fanno le stelle nel cielo.’ E due grandi occhi blu chiaro.
Spalancai la bocca.
«dio mio» sussurrai senza poterci credere «-Jake»
Sembrava non capire cosa stessi dicendo,ma continuò a fissarmi
«tu sei vivo» mi trattenni dal piangere e dal buttare le mie braccia intorno al suo collo, tenendo invece i piedi ben saldi al terreno, per evitare scenate.
«ci conosciamo?» chiese il ragazzo senza staccarmi gli occhi di dosso
Io annuii,lo feci più volte, ma continuava a non capire «guardamisono io! Stella» esclamai tutta d’un fiato «guardami,Jake!»
Sembrava inutile,ogni mio sforzo sembrava continuare ad essere inutile.
«io mi chiamo Jacob» disse,afono.
Deglutii e continuai ad annuire «Jake.. perché non mi riconosci?» indietreggiai, ero sconvolta «sono Stella, giocavamo sempre insieme da bambini, io.. noi due eravamo molto amici, ci scrivevamo..ricordi? vivevo a villa orange, in estate»
Si mise come a pensare, ma poi roteo gli occhi «mi dispiace,non ricordo»
Non mi persi d’animo ed estrassi dalla tasca più piccola della borsa la lettera,l’ultima, la sua.
Lui la lesse senza proferire parola. Non aspettavo altro che un verdetto finale. «allora? Adesso ricordi?» chiesi infine.
Jacob si grattò il capo, ancora confuso «mi dispiace» seppe soltanto ripetere «..io non mi ricordo,io non mi ricordo di te».
Impallidii. Mi sentii triste e arrabbiata, possibile che mi avesse rimossa.. rimossa fino a questo punto?
Scoppiai. Lacrime di ogni forma e grandezza uscirono a flotte dai miei occhi bagnando in pochi secondi il mio intero viso si bagnò completamente. Poi mi buttai a terra con le mani a comprimermi il volto.
C’eravamo io e lui, Jake e Stella, in riva al lago. Piangevo anche quella volta, quattordici anni prima.
Poi si chinò vicino a me posandomi una mano sulla spalla, per confortarmi.
«ehy» mormorò vicino al mio orecchio scoperto dai lunghi capelli neri «non piangere, ehy»
la rabbia non è altro che una forma di dolore.
soffocando il dolore non facciamo che alimentare la rabbia.
- e le lacrime non risolveranno niente.








___________________________________________________________
piccolo spazio personale.

ancora una volta ho unito due capitoli, voglio finire in fretta di postare tutto quello che ho scritto fino ad ora,perchè sì,perchè voglio andare avanti a scrivere,ecco °O° <3

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Capitolo 8
*** Hidden truth. ***


Capitolo 8.
Hidden Truth.

 








I miei vari tentativi furono vani, uno dopo l’altro mi accorgevo sempre di più, di quanto quella situazione stesse cominciando ad oscillare al limite del possibile. Lui,era Jake. Non ne avevo alcun dubbio, il suo viso, le sue lentiggini i suoi occhi. Persino il suo sguardo perso nel vuoto. Jacob, anche il nome era quello. Dovevo solo capire cosa gli fosse successo.
Decisi di condurlo in quella che sarebbe dovuta essere la sua casa, o meglio quella che lo era un tempo. Anche lei non era cambiata poi così tanto, le pareti color giallo canarino emanavano una grande solarità nonostante qualche ammaccatura causata dal tempo e dall’incendio. Le piante che crescevano un tempo intorno all’abitazione avevano lasciato il loro posto a delle grosse e vecchie erbacce che emanavano un cattivo odore.
«eccola» masticai continuando a fissare la vecchia abitazione della famiglia Twist.
Lui non disse niente, ma la scrutò a lungo con sguardo che divagava nel vuoto più totale.
Sapevo persino dove trovare la chiave di riserva, fu proprio Jake a dirmelo; diceva sempre che se ne avessi avuto bisogno avrei saputo dove trovarla. Alzai infatti il terzo vaso semivuoto dal terriccio inumidito dalla pioggia,che si trovava nel vialetto e li le trovai. Ne fui felice, in effetti, certe cose non sarebbero potute cambiare.
«è un classico» disse Jacob, con sguardo beffardo.
Aprii la porta senza fare troppo rumore. L’abitudine. Pensai.
Molte volte era successo che io e Jake eravamo sgattaiolati silenziosamente nel bungalow per non farci beccare da sua nonna a rubare biscotti e pasticcini appena sfornati.
L’interno puzzava ancor più dell’esterno, la muffa e l’odore di chiuso avevano devastato le pareti e il piccolo ingressino color panna. Ma a parte quello, tutto era rimasto uguale. I quadri di pittori sconosciuti erano appesi alle pareti e nessuno di questi era ne simmetrico ne dritto. Il salottino assomigliava vagamente ad un ritrovo di un qualche club del libro, infatti le due poltrone e il divanetto verde scuro formavano una ‘U’ intorno al grande tappeto e al camino spento. Il piano di sotto era formato da tre stanze, compreso l’ingresso, una deliziosa cucina che la nonna di Jake aveva sempre curato nei minimi dettagli, il salottino e uno stanzino delle scope in cui non ero mai stata. Mentre al piano di sopra, vi erano il bagno e le tre camere. Quella del mio amico, della nonna, e un’altra che supponevo fosse dei suoi genitori.
«ti ricorda qualcosa?» chiesi mentre salivo la scala a chiocciola
Lui sbuffò e si guardò attorno «non so»
O era un suo sosia. O mi prendeva per il culo.
«tu sei proprio sicuro di non essere Jake Twist?»
Sbatté le palpebre più volte prima di rispondermi «è difficile,dirlo»
Nello stesso momento, aprii con cautela la porta di legno della camera di Jake, sulla porta c’era un delizioso cartellino appeso con su scritto: ‘caution- do not enter’, che mi ricordavo per filo e per segno.
Anche la sua stanza non era cambiata poi così tanto da come io la ricordavo: il letto, la libreria colma di libri e varie cianfrusaglie, il cassettone, i poster e tutto il resto,niente si era mosso.
Mi accomodai sul lenzuolo celeste chiaro per rilassarmi un momento,nonostante Jacob rimase sull’anta della porta a fissarmi.
«allora.. Jacob» decisi di mantenere la calma, avrei scoperto ogni cosa se mi fossi comportata con cautela «da dove vieni?»
«Leesburg» disse soltanto
Era la città dove lavorava William,non avevo dubbi.
«ho sentito dire che è..carina»
Lui scosse il capo «in realtà io non saprei» sbuffò nuovamente «sono sempre stato ‘per conto mio’» nel dire le ultime tre parole fece delle virgolette immaginarie con le dita
«che intendi?»
Si avvicinò e si mise a sedere a terra, sul piccolo tappetino vicino al letto «io sto al Virginia Church hospital»
Rimasi atterrita, conoscevo quel nome poiché non era un luogo a me nuovo. «è un Ospedale psichiatrico..»
Lui annuii.
«come mai?» non volevo intromettermi,in realtà, ma la curiosità si infittiva ogni secondo di più.
«è per via della mia malattia» sospirò lui «una malattia, che tuttavia non esiste, sai, sono stato catalogato come ‘schizofrenico’ ma non è così che stanno le cose..»
Rimasi in silenzio, avrei ascoltato ogni parola, se queste mi avessero fatto capire qual’era la verità.
«per quanto ne so potrei anche essere questo Jake Twist,ma il problema è che ho perso la memoria tre anni fa per via di un incendio..»
Oramai non avevo più dubbi,era lui.
«Jake»
Non mi ascoltò ed andò semplicemente avanti con la narrazione «vedevo le cose e sentivo delle voci,non ho parlato con nessuno per quasi un anno per questo mi hanno rinchiuso in quel posto di merda.. ho dimenticato il colore delle cose, il profumo dei fiori, il suono del cinguettio degli uccellini alle cinque del mattino e il sapore di molti cibi che mi piacevano tanto, in quel posto muori, muori psicologicamente,anche se all’esterno sei ancora vivo,dentro sei già deceduto.»
Sgranai gli occhi. «sei fuggito?»
«no, ho trovato degli agganci»
«che tipo di agganci?»
Jacob rise nervosamente «mi sono fatto la mia infermiera,era cotta di me ed io avevo bisogno che qualcuno mi desse il passepartout. per uscire da quell’inferno: mi segnò come ‘sano’ e mi fece uscire»
Tutto quello che diceva mi faceva quasi ricordare le nostre avventure da bambini,risi.
«disse che nel mio portafogli, oh perlomeno quello che ne rimaneva dopo l’incendio.. aveva trovato una tessera della biblioteca di un certo ‘blue lake’ che non conosceva, internet e l’autobus fino a qui hanno fatto il resto»
«è incredibile» tossii io «adesso sei qui,non lo trovi chiaro?»
Quasi le lacrime non mi uscivano dagli occhi,di nuovo
«che cosa?»
«sei a casa Jake» ma non le ressi più, esplosero una dopo l’altra «tu sei Jake Twist e sei tornato a casa»
Lui sorrise leggermente, per quanto ne sapeva era forse l’unica soluzione plausibile che poteva esserci
«vedrai che mi ricorderai» mi asciugai il viso e abbozzai un sorriso sornione
Jake continuò a scrutarmi «se noi eravamo amici..perchè te ne sei andata?»
Impallidii,nuovamente, ma prima di rispondere, notai per la prima volta una cosa in quella stanza a cui non avevo fatto caso. E mi mancò quasi il respiro.
Una farfalla di grosse dimensioni era appesa al soffitto con sue meravigliose ali spiegate ed attaccate da due minuscoli chiodi che si vedevano appena.
I suoi colori erano incantevoli, non perché fossero tanti ed accesi, anzi erano piuttosto spenti, ma quell’oro leggero mischiato al bianco pallido mi fecero brillare gli occhi istintivamente.

. . . . .
 

sgattaiolai fuori da quell’abitazione non appena si fece buio, lasciando Jake, quello vero,solo. Avrebbe ricordato meglio,così,pensavo; solo da tutto e tutti, ma sarei tornata,presto.
Arrivai alla strada quando mi accorsi di essermi dimenticata la borsa a tracolla in tessuto sul letto del mio amico, così voltai lo sguardo verso la casa, l’unica cosa che potevo fare era rientrare così da poterla riprendere, ma prima che potessi fare qualsiasi gesto la mia tasca vibrò improvvisamente.
Tomàs. Il cellulare. Un messaggio.
Diceva: pupa tutto bene? Avevi detto che mi avresti richiamato.
Abbozzai un mezzo sorriso, quasi nervosa. Aveva ragione,avevo dimenticato le mie parole,ciò che avevo detto solo qualche ora prima. Ma in quel momento avevo qualcosa di più importante a cui pensare,forse.
La porta d’ingresso era chiusa e avevo lasciato le chiavi di riserva a lui perché non avevamo la più pallida idea di fossero andate a finire le altre,quelle vere. Così feci una cosa, una cosa che non facevo da anni, da quando avevo tredici anni più o meno. Mi arrampicai sulla pianta ormai marcia che cresceva in sinuosa intorno all’abitazione. Non avevo paura, il bungalow era piuttosto basso sebbene fosse a due piani, non mi fu difficile arrivare alla finestra aperta di camera sua. Scavalcai senza problemi, ed in meno di un momento fui dentro la stanza. Vuota. Fu il mio primo pensiero, Jake doveva essere in cucina o cose simili. Non mi fu nemmeno complicato trovare la mia borsa poiché sapevo bene dove l’avevo accidentalmente lasciata, infatti era là, poggiata sul cuscino di raso bianco pallido.
«menomale» sospirai pronta ad andarmene, quando qualcosa, però me lo impedii.
Era davanti a me,con sguardo beffardo e disorientato, coperto soltanto da quello che doveva essere un asciugamano per il bagno.
«Stella» esclamò silenzioso nel suo scrutare la mia presenza nella stanza
Rimasi in silenzio e continuai a fissarlo.
«tu te ne sei appena..ehy!»
Poi rise,stranito
«avevo dimenticato questa» mormorai mostrando la borsa che tenevo nella mano destra «ma adesso vado,tranquillo»
«tu,sei entrata dalla finistra?» rise nuovamente lui,avvicinandosi alle ante spalancate per controllare di sotto, poi esclamò qualcosa,incredulo «ti eri fatta male,l’ultima volta,eri caduta!»
Stavo per sorridere quando le sue ultime parole bloccarono in me qualsiasi reazione «tu che ne sai.. è successo diversi anni fa..»
Jake si allontanò leggermente, stringendo l’asciugamano per non farlo cadere. Avevo dimenticato quanto il suo corpo mi piacesse, nelle sue forme mascoline e forti, sebbene fosse magro e piuttosto slanciato, rimaneva sempre un corpo di un uomo. Un uomo. Perché nella mia testa si ripeteva quella parola incessantemente. Io e lui eravamo cresciuti insieme, il suo viso e i suoi teneri tratti da bambino goffo avevano lasciato il posto ad un viso ruvido e appuntito da adulto, così come il resto. Mi rimase difficile guardarlo in quelle condizioni,in quello stato.
«è strano» sospirò «ma l’ho ricordato,quando ti ho vista..i tuoi jeans strappati e la maglia dei rollin’ ho avuto una sensazione.. mi è sembrato di veder salire una bambina da qui..capisci?»
Risi nervosamente «è fantastico,significa che piano,piano stanno tornando..wow» mi morsi il labbro inferiore,nonostante quello che era appena successo lui era ancora li, mezzo nudo davanti a me.
«avevo urlato così forte che ti sei affacciato subito.. sei corso subito da me,ad aiutarmi. E mi avevi fatto giurare che non sarei più salita da li per questo hai lasciato le chiavi per me»
Jake si avvicinò. «ti ricordi proprio tutto? Magari anch’io potessi ricordarmi tutto questo!» esclamò sorpreso poi
«non ricordi altro?» chiesi,dunque.
Lui annuii, rise e si parò davanti a me con estrema rapidità. «questo» disse soltanto.
Mi sentii bruciare, quando con un semplice scatto mi baciò a stampo sulle labbra.

‘’e dopo avermi fissata mi baciò sulle labbra.
Non era il mio primo bacio, David un ragazzo della mia classe ed io avevamo avuto una storia poco tempo prima. Ma fu diverso.
Fu esattamente in quel momento che mi accorsi di provare qualcosa per Jake, qualcosa che non era semplice amicizia. Desideravo passare il resto della mia vita con lui, perché era soltanto mio.’’


Ricordai in un attimo l’ultimo gesto, il suo ultimo gesto prima di scappare lasciandomi sola in quel bagno di lacrime. Si staccò da me immediatamente senza però staccarmi gli occhi di dosso.
«tu..ricordi questo?»
Jake si appoggiò al muro e sospirò barcollando tra un breve passo e l’altro «non lo so,sono un po’ confuso..» poi con una mano si resse la testa,sbarrando entrambi gli occhi con un colpo netto.
«jake..» sospirai poggiandogli una mano tremante sulla spalla sudata «..non devi sforzarti»
Che sarebbe successo? Troppe domande annebbiavano la mia mente,troppe, senza risposta.
«fallo con me» esclamò voltandosi «io lo so cos’è che provi per me.. non saresti tornata altrimenti»
Impallidii. «io..no,non posso»
Risposi, mentre il suo corpo scivolò sul pavimento in legno per guardarmi dal basso. «non hai più 13 anni Stella. Puoi prendere da sola le tue decisioni.»
Mi sedetti vicino a lui appoggiando la testa con delicatezza alla spalla e rimasi impassibile «ricordi la tua prima volta,Jake?»
Scosse il capo «credo di no, forse..» sbuffò «no»
«non ricordi nemmeno Olivia?»
S’ammutolii di colpo, quel nome l’aveva turbato e si vedeva.
«Olivia..» mormorò solo «..Stella perché mi stai facendo queste domande..io..io non ricordo un cazzo» poi si portò entrambe le mani al volto,così da coprirlo.
«non ho mai letto l’ultima lettera, se l’avessi fatto prima,adesso..probabilmente adesso io sarei..»
«no,non lo devi dire» m’interruppe lui,di colpo «tu sei qui,sei viva, Olivia è morta,Olivia non era una bella persona,e nemmeno io lo sono stato,sono cambiato e sono stato stupido!»
Poi,silenzio. Non parlò più,io non parlai oltre. Mi limitai a fissarlo mentre ricordava lentamente i frammenti del nostro passato.
E quella farfalla appesa al soffitto continuava a fissarmi..amareggiata.

Gli baciai un braccio inumidito dal sudore e riappoggiai lenta la testa alla sua spalla chiudendo gli occhi,finchè stanca e stremata non m’addormentai.




 




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piccolo spazio personale.
mbho,questa volta ho poco e nulla da dire,direi che il capitolo parla da solo °O° <3

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Capitolo 9
*** Blackout. ***


 

 

Capitolo 9.

Blackout.





 




«neh,Jake tu ci pensi mai alla morte?»
«alla morte dici?»
«s-sì»
«io penso a quanto mi divertirò questa sera alla fiera di paese.. la morte non è divertente, non ci sono nemmeno gli assaggini gratuiti»

Sentii un sussulto nel vuoto, capii solo allora di essermi addormentata e di essere, in quel momento in uno strano stato di dormiveglia. Non avevo idea di quanto avessi dormito,ma mi sentivo in forma sebbene sentissi un agghiacciante torcicollo pervadermi l’intera zona della giugulare.
«smettila di dormire»
Aprii gli occhi,prima l’uno e poi l’altro,lentamente «mh?»
«ma si, ma si..hai dormito tutto troppo e sei più pesante di prima sai?» rise Jake come divertito da una situazione di cui non avevo ancora la piena visuale
«che intendi?» chiesi solo, alzando la testa, per poi capire di essere sdraiata nel letto e non dove mi ero lasciata molte ore prima. «guarda che non ho più-»
«tredici anni,l’hai ripetuto un bel po’ di volte..» m’interruppe lui con un sorrisetto beffardo sulle labbra un po’ secche.
Sospirai e ammiccai un sorriso per poi ributtarmi a capofitto sul cuscino.
Nel mio cellulare c’erano sette chiamate senza risposta e tutte provenivano dal mobile del mio ragazzo, ma non diedi loro molta importanza, avrei detto che non stavo bene oh che avevo semplicemente poco campo per mandare messaggi. Non gli avrei parlato del bacio con Jake, non gli avrei parlato di Jake, avrei rimosso nuovamente tutto tornata a casa, una volta scoperta la verità.
«anche il seno t’è cresciuto» ridacchiò ancora Jacob prendendo una bottiglia dal frigo della cucina,di quelle piccole,che avevo portato io per il viaggio.
«dici?» arrossii fissando il mio petto gonfio ed arrossendo di colpo «ricordi il mio..le mie tette?»
Fine come mio solito.
«no,in realtà, è solo una sensazione» finii tra un sorso e l’altro.
Poi aprii la porta ed uscii di casa, il primo sole entrò di colpo, illuminando tutto l’ingresso di arancione sfocato. «che caldo insopportabile» disse,stirandosi
«peccato che non ci sia nessun altro,ricordo che prima al mattino mi bastava aprire la finestra per sentire il gradevole odore di pane caldo e ciambelle appena sfornate»
«questo posto è morto»
Lo fissai,intristita dalle sue parole.
«mi manca»
Si girò non appena finii di pronunciare quella frase, «già..manca molto anche a me» poi tossi e lasciando la porta spalancata se ne andò nel corridoio che si illuminò al suo passaggio
«vado a farmi una doccia,aspettami qui,mh»
Sospirai. «Jake»
«si,mh?»
«anche tu mi sei mancato»
Non mi voltai,ma sperai mi avesse sentito
«tu, il nostro tempo insieme.. quanti giorni sono passati,quanti ne ho sprecati,sola»
Non lo sentii più, così mi voltai per controllare,ma Jake era sparito tra le scale senza far il minimo rumore. Sorrisi. Forse era meglio così.
Mi sistemai la maglia che si era stropicciata nella notte e mi appoggiai all’anta guardando il dolce sole che se stava in bilico nel cielo sfumato.
Fu proprio allora,che la vidi da lontano, l’auto grigia targata ’90 di William,entrare nel vialetto vicino frenando di colpo. Così, mi precipitai a salutarlo a passo veloce.
Ma mi bloccai a pochi metri,quando notai che non era solo. Infatti, altre due persone scesero dall’auto insieme a lui,un uomo e una donna. Lui si chiamava Liam Robinson, era un coetaneo di William e anche un suo sottoposto,oh meglio il suo allievo nel campo. Aveva i capelli castani molto scompigliati che gli regalavano un aspetto alquanto sbarazzino per la sua età e un viso piuttosto allegro da chi è ancora giovane, sia dentro che fuori, la prima cosa che notai fu infatti il leggero salto che fece scendendo dall’auto. Lei, Juliet Privet,di origini Francesi, era il classico tipo di donna che ci sa fare con le armi pesanti, bassina e piuttosto snella. Portava i capelli rosso ramato legati in una coda alta e gli occhi coperti da un paio di occhiali da sole a specchio.
«ehy parker» sbuffò William infilandosi in bocca una sigaretta: di quelle ‘fatte in casa’ «ho portato con me due colleghi,spero non ti dispiaccia»
Cercai di sorridere,nonostante avessi il sole puntato negli occhi e mi presentai in modo cortese ai due nuovi individui.
«dì un po’, alla fine l’hai trovata..quella cosa?»
Sospirai e feci segno di no con la testa «fortunatamente no»
I due si guardarono non capendo quale fosse il motivo di tale conversazione.
«volete un caffè? Qualcosa?» chiesi,allora
«molto gentile,ma abbiamo mangiato per strada» abbozzò Liam con un mezzo sorriso scolpito nel viso roseo
Ricambiai e misi le braccia conserte,per quanto potesse essere agosto a Blue Lake aveva sempre tirato un vento piuttosto gelido nel primo mattino.
«cosa avete intenzione di fare?» chiesi guardando prima William e poi gli altri due
Lui scrollò le spalle «diamo un’occhiata in giro, qualche ora fa abbiamo interrogato un certo Benjamin,un tipo strano,abita appena fuori da qui e..»
Benjamin Reymont abitava in una casa molto modesta a pochi kilometri da dove ci trovavamo adesso,con la moglie deceduta seppellita nel giardinetto dell’abitazione, se ne stava li,tutto solo,tutto il giorno al pascolo con le sue amate pecore e il suo grasso pastore tedesco.
«credo sia matto» concluse poi, «non ha spicciato parola, se non ‘le fiamme ingoiano tutto,ma io sono qui..al sicuro’ cose così, senza senso..»
Tossicchiai,non ricordavo bene il vecchio Benjamin,ma l’avevo visto diverse volte, con il suo trattore sporco far compere a Blue Lake. Ma non pensavo fosse ancora vivo,date le circostanze.
«è meglio che andiamo» sbuffò la ragazza facendo segno di rimontare nell’automobile
«..e dove?» chiesi io,allora
I due scrollarono le spalle all’unisono e poi William si mosse nella direzione opposta alla mia «diamo un’altra occhiata in giro, ci vediamo questo pomeriggio» poi si voltò,nuovamente e sorrise,montando alla guida dell’auto e rimettendo in moto,seguito dall’altro.
Un’altra gelida ventata mi percosse,facendo venire altri brividi di freddo lungo la mia schiena,coperta soltanto dalla camicia da boscaiolo a quadri rossi e bianchi.
Rimasi soltanto pochi secondi immobile, quando Jake mi poggiò la sua grande e tiepida mano sulla spalla.
«qualcosa non va?»
Scossi il capo
«che volevano quelli?»
«fanno ricerche. In poche parole,cercano di capire cosa,chi e come ha ridotto questo posto così»
Jake sospirò e con la mano strinse la mia spalla infreddolita «stai attenta»
A quel punto mi voltai,come confusa «che intendi?»
Prese aria a pieni polmoni e poi si allontanò un po’ «credo stia per arrivare un bel temporale,è meglio se torniamo in casa adesso»
Annuii, e prendendo la sua mano che nel frattempo era diventata fredda rientrammo in casa Twist.

Quando fummo dentro mi accorsi,quasi immediatamente, che l’odore di muffa e di chiuso era completamente sparito e adesso nell’aria riecheggiava un intenso aroma di prato verde e di pulito.
«hai rimesso a posto?»
Jake che nel frattempo mi aveva preceduta,mi fissava scostante dalla porta della cucina «questo posto ne aveva bisogno non credi?»
Mi limitai ad annuire e rimasi in silenzio.
«vorrei farti vedere una cosa» sussurrò porgendomi la mano un po’ sudata «vieni»
Non feci domande lo segui,lasciando ancora una volta che il mio cellulare squillasse invano.
C’era un luogo, in quella casa che non conoscevo,in cui il mio piede non aveva mai toccato il pavimento scricchiolante. La ‘piccola’ cantina,la cui porta se ne stava tra l’ingresso e le scale.
«che c’è qui?» chiesi mentre Jake era impegnato a cercare le chiavi nella tasca dei suoi Jeans.
«ora lo vedrai»
La porta si aprii ed incurante del resto ci ficcai subito la faccia dentro, senza però vedere niente,per via del buio totale. Lui si parò davanti a me ed andò avanti,sempre stringendomi la mano per farmi avanzare. Così lo seguii,un po’ alla cieca lungo le varie scale di legno.
«ecco» esclamò afono alla fine dei dieci scalini
«continuo a non vedere niente» risposi con tono sarcastico
Nello stesso istante però,Jake accese un interruttore che mi permise di vedere l’interno della stanza.
Era una cantina come tante, come quella di villa Orange. Ma aveva qualcosa,in se che la faceva sembrare ed essere diversa. Sulle pareti erano appese delle farfalle, riposte accuratamente dentro contenitori di vetro lucido. I loro colori facevano sembrare quel posto meno tetro,ma davano anch’esse una strana aria macabra.
«questa notte mentre stavi dormendo,ho fatto un giro della casa e ho trovato questo posto» disse Jake guardandosi intorno come me.
Sospirai «sei stato tu?»
Lui si voltò «non lo so» poi si allontanò da me e cominciò a perlustrare la zona; non era una stanza colma di roba, ma a parte le farfalle vi era una vecchia libreria colma di libri ed una lunga scrivania di legno scuro,su cui erano riposti vari oggetti,come carta da lettera,matite,penne,un vecchio orologio ed una piantina ormai marcia.
La vista di quei poveri animali morti ed appesi,così al soffitto non poteva che darmi i brividi «che posto strano» continuai,senza però,una reazione da parte di Jacob
Era troppo impegnato a controllare la scrivania,così anch’io mi avvicinai per dare un’occhiata e fu soltanto allora che mi accorsi della piccola cornice appoggiata su di essa. La foto al suo interno ritraeva due bambini sui dodici anni con i piedi immersi nell’acqua del lago.
«chi ha fatto questa foto,Jake?»
Lui rimase in silenzio e la fissò bene «siamo noi?»
Io annuii.
«questa cosa mi inquieta.. io..ho paura..io»
«com’eri bella»
Mi fermai. E mi girai a guardarlo,perdendomi in quello sguardo tenero e dolce che fissava quell’immagine. «quella volta sei caduta in acqua..stavi per affogare»
Quelle parole mi strapparono un mezzo sorriso: «mi hai ripresa in tempo»
Jake si portò entrambe le mani alle tempie,come per prevenire un grosso mal di testa e rimase immobile. In quello stesso momento un tuono fece scuotere la casa e dopo pochi secondi l’intenso rumore della pioggia m’invase entrambe le orecchie. Proprio come Jake aveva detto. Poi buio.
Un blackout.
«merda! e adesso?» esclamai cominciando a protendere le mani in avanti per capire dove stavo andando «Jake,è meglio se torniamo su»
Lui non rispose.
«Jake,oh mio dio dove sei?» esclamai,cercandolo con le mani alla cieca «dove sei?»
Cominciai ad avere paura,ma mi prese sul serio,soltanto quando con un colpo netto sentii una porta chiudersi di colpo.
Ero sola. Dov’era Jake?
«MERDA» urlai presa dal panico, odiavo il buio e quel posto mi intimoriva più di quanto non facesse la mia attuale situazione.
Ma tutto finii presto. Passò non più di un minuto che la porta si riaprii,cigolando lievemente e mostrando un ombra scura e alta.
Chi era?
Sentii i suoi piedi percorrere veloci le scale facendole tremare ad ogni passo,sempre di più finchè non fu arrivato e si piantò vicino a me. Potevo sentirlo respirare,in quel silenzio angosciante.
«dio, STELLA»
Poi riconobbi la voce, e la luce si riaccese.
«tomàs! Che ci fai qui?» esclamai correndo ad abbracciarlo,ero solo felice di vederlo,di non essere sola.
«il tuo cellulare è morto o cosa? Scema ti ho chiamato un sacco di volte..ma tu,tu non hai mai risposto» fece,ricambiando l’abbraccio,con forza.
«scusa» dissi soltanto,inebriandomi con il suo profumo un po’ forte.
«ero preoccupato,questo posto è orribile,ti ho cercata per tutto il paese,non c’è nessuno,e questa era l’unica casa con la porta aperta..menomale avevi la porta nell’ingresso e..»
«la porta era aperta?»
Lui annuii «si,perché?»
Chi aveva aperto la porta?
«allora hai visto-» poi mi bloccai,non dovevo parlagli di Jake, si sarebbe infuriato sicuramente.
«chi? Chi devo aver visto?» chiese però,su mio grosso errore. «Stella,di chi parli?»
Rimasi in silenzio ed abbassai lo sguardo, continuando a fissare le farfalle appese, finchè non mi accorsi che su ognuna di queste era appeso un piccolo, ma comunque visibile cartellino con su scritti vari mesi,giorni ed anni. Impallidii.
«che cosa mi stai nascondendo








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piccolo spazio personale.

 ToShine_ ahahah,probabilmente ora mi odierai perchè succedono un fottio di altre cose u.u col tempo tutte le tue domande avranno una risposta. x

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Capitolo 10
*** Salt meets wound. ***


Capitolo 10.
Salt meets wound. 

 


 
Una volta da bambina sognai un posto, un luogo strano,pieno d’alberi e lunghi ruscelli che conducevano a grandi vallate verdi,con immense distese di cielo azzurro sopra il mio volto. Correvo senza mai stancarmi laggiù, più avanzavo e più prendevo forza,senza perdere nemmeno una goccia di sudore. Quella era casa. Avanti a me c’erano delle case,non molte, ma erano tutte colorate con colori luminosi e freschi, e poi più avanti un lago,un luogo meraviglioso dove pescare e prendere il sole. Dalla cima della mia collinetta fiorita,riuscivo a vederla tutta, Blue Lake era casa mia,da sempre. Il mio piccolo paradiso terrestre dove mi rifugiavo quando avevo paura o mi sentivo sola e spesso anche inconsapevolmente.
Ma più ora guardavo quel posto,più credevo di essere finita all’inferno.
-
Accompagnai Thòmas a casa mia e gli e la mostrai,mangiammo qualcosa in fretta e poi gli dissi che avevo alcune faccende da sbrigare,ma che sarei tornata presto. Perlustrai a lungo ogni angolo più remoto di Blue Lake, ma non trovai Jake.
Quando tornai a casa la sera,tardi, thòm cominciò a farmi alcune domande, come e perché mi quel posto fosse ridotto così e come io,potevo centrarvi qualcosa. Gli dissi dell’incendio e che avevo bisogno di tempo per capire e per ritrovare la mia pace interiore e sarei tornata tra meno di due settimane ed era meglio se lui se ne fosse tornato a casa. All’inizio parve arrabbiato e disorientato: ‘tu mi tradisci’ urlò furioso,cominciando a sbraitare per tutte le stanze di villa Orange. Ma io rimasi in silenzio,finchè sfinito,non si addormentò nel divanetto blu del mio salotto. Era appena l’una,quando stanca anch’io mi avviai  verso la mia camera,lasciando il mio ragazzo da solo. Ma quando vi arrivai notai che qualcuno sedeva sul mio letto e mi fissava con i suoi occhi blu accesi nel buio artificiale della stanza: Jake.
«pensavo che non saresti più venuta» sorrise rimanendo composto.
Entrando feci scricchiolare il parquet e mi chiesi se Thòmas avesse potuto sentirmi, non avrei voluto che lo vedesse. «dove sei stato? Sono stata in pensiero»
«ho sentito arrivare un’automobile» affermò afono. «tecnicamente io non potrei stare qui»
Il ragionamento tornava. «ci sono ancora molte cose che devo sapere,molte domande che necessitano una risposta..» sospirai,per poi sedermi vicino a lui.
«ho paura» affermò poi,ed io appoggiai la testa sulla sua spalla calda.
«anch’io»
Ero troppo stanca,troppe cose stavano accadendo così tutte insieme,troppo poco tempo per pensare e riposarsi..
[…]
Indossava un vestito semplice,celeste chiaro,senza spalline. Era tenuto su dalla sua terza di seno e sopra vi era una fantasia fatta da graziosi fiorellini bianchi e arancio opaco. Non era troppo corto, le arrivava infatti,giusto appena sopra i ginocchi un po’ sbucciati. Era decisamente bella da vedere,specialmente con i capelli raccolti ai lati da un nastro intonato al vestito.
«oddio»
«hai visto un fantasma per caso?»
Il ragazzo mugugnò qualcosa e poi tossii,per mascherare l’imbarazzo. Odiava le smancerie e non le avrebbe mai fatto un complimento sincero, ma quella volta era diverso, aveva grandi progetti.
«sembri un angelo»
Lei sorrise,molto più imbarazzata di quanto potesse essere lui in quello stesso momento. E se avesse saputo, di certo lo avrebbe ringraziato,ma rimase zitta e si morse il labbro inferiore.
«che bello,la fanno ogni anno,ma sembra sempre più divertente..non trovi?»
La ragazza fissò le luci che provenivano dall’unica piazza del paese e i tendoni con le bancarelle. Quello era il giorno che preferiva in assoluto, gli abitanti di Blue Lake organizzavano una fiera,ogni trecentosessantacinque giorni,con danze, giochi e piccoli e sobri fuochi d’artificio.
Era meraviglioso.
«tre colori insieme! Diamine,non ne avevo mai visto uno così!» rise il diciassettenne fissando il botto che scoppiava nel cielo notturno,per poi morire nello stesso vuoto oscuro, e cadere,ormai invisibile,sul terreno spoglio.
«fantastico» seppe soltanto dire,lei.
Lui aveva pensato a quella notte da oltre un mese, sapeva che sarebbe successo, perché l’amava, perché la voleva troppo. Lo stesso valeva per lei, ma era troppo ingenua,ancora.
«guarda lì» fece lei, voltando il capo verso la foresta. Erano entrambi sdraiati sull’erba umida e lui rizzò il capo ed orecchie, vedendo mille insetti luminosi che vibravano quasi a ritmo di musica nell’aria.
«lucciole?»
«no..» rise lei «farfalle!» poi sospirò,continuando a fissarle «oh,non le trovi bellissime?»
«oh,si,lo sono» mah non le degnò del minimo sguardo,poiché il suo era rivolto soltanto a lei. E più la fissava più capiva,che ciò che voleva,stava combattendo con le unghie e con i denti per essere ottenuta.
Ma prima che lui potesse aprir bocca,lei si alzò in piedi e cominciò a muoversi. Anche lei cercò di andare a ritmo, ma non ne aveva bisogno,poiché era aggraziata e leggera come quegli stessi insetti.
«guardami» disse «sono una farfalla,SONO UNA FARFALLA
[…]
«ti sei addormentata di nuovo»
Stella aprii gli occhi e d’istinto fissò la finestra. Era ancora buio.
Jake la baciò. «ti amo» le sussurrò ad un centimetro dalle labbra un po’ secche.
Lei annuii e si rifugiò nella sua felpa. «ti amo» ripetè. «ti amo» di nuovo.
Ti amerò finchè ce ne sarà bisogno. Anche quando arriverà il sole,io sarò ancora qui e ti amerò.
Poi si sdraiarono ed infine lei lo lasciò entrare, con il corpo e anche con il cuore.
 
 
La cosa più triste che ricordo della mia infanzia,oltre al mio addio con Jake, è il funerale di sua nonna. La signora con il maglione rosso di lana profumata e la crocchia grigia,alta sulla testa,sempre in ordine. Non era alta,ne tantomeno magra, ma era sempre dolce con me e con suo nipote. Diceva sempre che lei era nata lì e che quella era casa sua, e ci sarebbe anche morta. Ricordo che fui molto triste quando successe. Poiché per me,lei,era come una nonna,poiché le mie non c’erano già più. Il giorno del funerale lo ricordo come se fosse ieri, indossavo un vestitino nero e delle ballerine semplici,dello stesso colore. Jake con la camicia,teneva le mani incrociate,come se pregasse e se ne stava al suo posto con il viso sull’orlo delle lacrime, ma senza piangere.
‘adesso sono solo’
Non faceva altro che ripeterlo: ‘adesso non ho più nessuno’ e poi lanciò un sasso nel lago,facendolo oscillare sulla superficie trasparente per una o due volte. I suoi occhi quel giorno brillavano più del solito, ma di una luce spenta e malinconica. lo abbracciai forte e per la prima volta da quando ci conoscevamo gli e lo dissi in faccia.
«ci sono io qui per te, ci terremo compagnia a vicenda.. perché anch’io sono sola,anch’io mi sento così,Jake»
E mentre lo dicevo pregavo con tutta me stessa, pregavo di non tornare mai più ad un funerale.
 
«guardami»
«i-io ti prego,ti posso spiegare»
«guardami,cazzo! »
Mi voltai ed i miei occhi si scontrarono con i suoi.
«ecco,vedi..»
«cosa?»
«non sono gli stessi occhi di cui mi sono innamorato,tu non sei più la stessa,ed io lo vedo sai?»
«ti prego! Ascoltami!»
«no,stella! Ascoltami tu,adesso!»
Nel suo sguardo era impressa una rabbia che non conoscevo,una sofferenza che non potevo provare,ma potevo riconoscere e capire.
«io ti amo,tom!»
Lui scosse il capo sorridendo nervosamente,
«no,non è vero.. e lo sai anche tu»
Poi sbuffò e finii di mettere la roba nel borsone, dopodiché si diresse alla porta e dopo avermi lanciato un’ultima,sofferente occhiata, si voltò e se ne andò da casa mia,da Blue Lake,per sempre.
Appoggiai la testa all’anta della porta. E dentro di me,nel mio profondo,sapevo che aveva ragione. Nonostante l’avessi amato,anch’io. Davvero.
«mi dispiace» fece Jake,appoggiando la guancia alla mia spalla nuda.
Io non mi voltai e continuai a guardare la sua macchina che spariva nella strada deserta «già,dispiace sempre quando succede,ma niente è per sempre..dico bene?» cercai di sorridere,di sdrammatizzare la cosa,mi mancava,è vero,ma doveva andare così.
Lui annui semplicemente e mi fissò. «ma fa sempre male,quando qualcuno se ne va»
Era un’allusione,era palese ed ovvio.
Mi accorsi di stare piangendo solo dopo pochi secondi.
«perché piangi adesso?»
«perché tu hai sofferto quando me ne sono andata.. non è così?»
Jake non rispose, ma alzò la testa da me e la inclinò verso destra e sospirò.
«non è forse così?»
« beh» disse «il nostro amore non si è mai fermato,nemmeno la distanza l’ha distrutto»
Non sapevo cosa dire, ero spiazzata, mi limitai a sorridere.
«Jake» esclamai soltanto.
«mh?»
«tu sai che è successo qui,non è vero?»
 
Quella notte feci un sogno.
Sognai il funerale della signora Margaret Twist. Rividi Jake e me vestiti di nero, con le stesse espressioni e la stessa tristezza nel volto,di tutti i presenti. Ma a differenza di quel giorno, i loro volti erano completamente bianchi,senza gli occhi,il naso e la bocca e nemmeno le sopracciglia. Erano soltanto vuoti,vuoti e macabri.
Rimanevo ferma perché avevo braccia e gambe immobilizzate dal nulla, da qualcosa che era invisibile ai miei occhi,ma che percepivo bene con la mente, era una presenza buia e triste come l’atmosfera, mi diceva qualcosa e mi impediva di portare il mio fiore bianco alla bara aperta nel terreno.
Poi,urlavo ed improvvisamente mi liberavo, ma quando arrivavo davanti ad essa, il mio volto s’impallidiva mentre guardavo cosa vi era dentro.
Avrei preferito morire,in quello stesso istante, morire o svegliarmi da quell’incubo,
ma poco prima vidi i fiori sulla bara che prendevano fuoco e con essi una giovane farfalla moriva bruciata e cadeva a terra disintegrata, come polvere.
Passò un altro giorno da allora e Jake sembrava più spento del solito, aveva persino la febbre, così decise di andare a letto,mentre io facevo una passeggiata,sola.
Finchè non incontrai l’assistente di William. Come si chiamava?
«Liam» disse con un leggero sorriso sul volto.
«scusami, è un periodaccio e dimentico le cose..»
Lui scosse il viso e si scusò.
«avete scoperto qualcosa?» chiesi cambiando argomento.
Eravamo davanti a quello che un tempo era il parco, o meglio i deliziosi giardinetti pubblici dove si riunivano i bambini per giocare, ma dove io e Jake non andavamo quasi mai, le poche volte erano quelle in cui c’erano gare e contest di pesca ed il lago era inaccessibile.
«poco,purtroppo» sospirò lui «qui il clima fa schifo..e Juliet fa sempre quel che diamine gli dice Will,la trovo insopportabile!»
«lei ti piace,vero?»
Lui si fece rosso in volto. «ehy! Non è vero!»
«ma a lei piace l’altro. È un classico, ci sono passata anch’io»
Liam cominciò a ridere come un bambino «dì un po’,Stella..ce l’hai il ragazzo?»
Ci pensai un po’ su. «fino a due giorni fa si,poi lui ha scoperto che avevo un altro eh..beh è complicato, Jake è complicato!»
Sembrò non capire. «chi è Jake?»
«oh,giusto,non l’avete mai visto voi.. beh lui è,è difficile da spiegare in effetti» feci con aria pensierosa «sta a villa orange con me, eravamo amici da bambini e adesso lui è tornato,si,come un fungo!»
Liam parve ancora più perplesso «Jake,mh,sai che non mi è un nome nuovo?»
«bhe,qui in america è un nome piuttosto diffuso»
Poi lui scosse il capo. «oh,no,scusa..mi sto confondendo, vedi ho fatto una specie di ricerca per capire quali abitanti di Blue Lake fossero ancora vivi,per poterli intervistare,capisci?»
Io annuii.
«eh mi era capitato di leggere di un certo Jacob Twist,la sua storia è molto famosa,perlomeno se si parla di Blue Lake»
«quale storia?» chiesi,dunque.
«mah si,dai! La storia dei Twist! Pare che ci sia un mistero bello grosso dietro quella famiglia.. vedi,si dice che il padre abbia fatto fuori la madre..BANG! un colpo secco di pistola e lei è schiattata..»
Quelle parole mi lasciarono più perplessa di quanto già non fossi.
«oh mio dio..e che mi dici di Jacob?» se c’era altro da sapere,qualcosa che Jake non mi avesse voluto dire da piccoli,adesso l’avrei saputo.
«beh si dice che il padre sia tornato successivamente e che..»
«e che?»
Lui sbuffò «che abbia fatto fuori pure il ragazzo e poi si sia ucciso»
Impossibile. L’unica cosa che il mio cervello partorì in quell’istante fu ‘impossibile’
«mah non mi prendere il parola,Parker! Queste sono tutte leggende metropolitane, chissà magari adesso Twist è casa sua,chissà dove, che mangia un panino o guarda la tv»

 







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piccolo spazio personale.
ok ci siamo, da ora in poi posso tornare a scrivere °O° mhuahauhuh,quindi temo ci vorrà un pò di più per postare, LOL, ok, france, scusami se qualche volta tomàs lo scrivo così e qualche volta scrivo thomas, o tòmas ma sono vecchi errori di distrazione, comunque GRAZIE per tutto quello che scrivi, mi fa davvero tanto tanto piacere! <3

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Capitolo 11
*** Near. ***


Capitolo 11.
Near.

 






I giorni non facevano che peggiorare, e con il tempo comprendevo cose che non ritenevo nemmeno possibili, e come la mia infanzia,felice si fosse trasformata in un adolescenza passata a pregare che lui stesse bene.
Ma del resto,adesso,lui come stava davvero?
Spalancai la porta di casa con una botta secca e sentii un sussulto provenire dalle scale. Mi precipitai velocemente su di esse,rischiando,più volte di cascare e farmi male. Sentivo il mio cuore che batteva più forte una locomotiva in ritardo di due ore sulla tabella di marcia,avevo paura.
«Jake! Dio mio,Jake» gracchiai,con quel poco di voce che mi rimaneva. «sei qui?» continuai,certa di trovarlo nella sua camera.
Ma con mia grande sorpresa,la camera era vuota. Nessun Jacob Twist occupava quel letto disfatto,nessuno stava alla finestra aperta,dalla quale ora entrava una fresca aria di montagna e nessuno giaceva sul tappeto e controllava la libreria. Sebbene fosse colma di roba,quella stanza era vuota.
«Jake..» mormorai cercando di riprendere il fiato che avevo perso nella lunga corsa fino a casa twist. Tolsi il cappello con la visiera verde ed appoggiai la nuca sull’anta della porta, tentando di non vomitare per lo sforzo.
«non pensavo tornassi così presto»
Sobbalzai.
«JAKE. » urlai voltandomi «un giorno mi farai crepare!»
«mi stavi cercando?» disse lui. Indossava un paio di bermuda,semplici,marroni,con le tasche laterali e una t-shirt blu scuro con sopra un piccolo ma visibile gabbiano bianco.
«ho incontrato Liam nella foresta e-»
Lui crucciò il viso e mi fissò come deluso «non devi parlare con loro» disse,prima,calmo «te lo avevo detto la scorsa mattina,Stella!» ghignò i denti,poi,quasi infuriato.
Sussultai nuovamente «Jake,cosa ti prende, loro sono qui per aiutarmi,per AIUTARCI..»
Jacob rise nervosamente scuotendo il capo «tu non capisci,TU NON HAI VISTO CHE HO VISTO IO!»
Ancora una volta le mille domande che mi affollavano il cervello tornarono a devastare la mia mente confusa. Avevo bisogno di risposte chiare. E lui sapeva qualcosa, qualcosa che molte volte avevo provato a farmi dire,ma senza alcun risultato.
Mi buttai le mani sulla testa, accarezzandomi i capelli e ne avvertii l’umidità che avevano recepito dall’aria,così da diventare quasi crespi e gonfi. Sentivo il cervello scoppiarmi ed ogni secondo che passava diventata sempre peggio.
«ad ogni modo..» infierì lui rimanendo impassibile «sono tornato in cantina,poco fa ed ho trovato questo..» Jake frugò nella tasta e mi porse il pugno chiuso davanti agli occhi, non mi aspettavo nulla,ma nel momento in cui me lo mostrò ebbi un ennesimo tuffo al cuore.
Un bozzolo, una larva di farfalla che non era mai nata, una giovane danzatrice che non aveva ancora completato il suo ciclo, secca,sfibrata e morta.
«oh..» sussurrai allora «mi ricordo di questa, l’abbiamo trovata nel bosco pochi giorni prima della mia partenza,quattro anni fa..» ripensai al momento preciso,cercando di focalizzarlo meglio.
«la volevo buttare nel fiume» fece lui fissandola «e come sempre ti sei arrabbiata»
«non è bellissima?» quelle parole mi risuonarono nella testa come una campana suona il rintocco di ogni ora e mi punsero le pareti del cranio come ghiaccio.
«è sorprendente, Stella, riesci a trovare la bellezza anche in una cosa tanto indefinita»
«sono molto più simile a lei che alle altre..»
«ti senti indefinita?»
«incompleta.»
Ricordo quei giorni come i più confusi, per via di quello che successe poco dopo,ma avevo dimenticato quel giorno, l’ultimo prima della tragedia,della pioggia e del bacio.
«ah» disse poi «e c’erano anche queste» alzai lo sguardo e notai che nella mano sinistra del mio amico c’era un mazzetto di foto, delle polaroid vecchie e piene di polvere.
«posso?» chiesi,dunque
Jake mi fissò nervoso prima di proferire parola «..si» non mi sembrò convinto,ma me le cedette comunque vista la mia ostinazione.
Le guardai attentamente, una dopo l’altra, la prima raffigurava Jake, un bambino dannatamente bello con i capelli bagnati dall’acqua del lago, in lontananza la piccola cascata che si trovava infondo al lago,prima dei monti. La seconda ritraeva Olivia, la ragazza se ne stava seduta su una roccia e sorrideva pallida,anche lei fradicia dava le spalle alla cascata.
«le abbiamo fatte insieme,queste» disse Jake riguardandole insieme a me, poi fissò la terza con sguardo severo «ma questa..» sussurrò piano in modo che soltanto io potessi sentirlo «questa non l’avevo mai vista prima d’ora»
L’ultima foto era leggermente bruciata ai lati e ritraeva una giovane con i capelli neri e lunghi, il suo volto era colorito e allegro e danzava, danzava sull’erba con una ventina di farfalle tutte intorno, con indosso solamente un vestito di seta verde.
«è inquietante!» esclamai all’improvviso alzando la testa «questa sono io.. chi è stato?»
Jake scrollò le spalle e la testa nello stesso momento «io non lo so»
Poi tornai a guardarla e lui si mise a sedere sul pavimento di legno chiaro «quella notte..»
Non lo feci terminare che altri ricordi giunsero l’uno su l’altro «noi» dissi soltanto «dicesti che l’avevi già fatto,ma fu imbarazzante e confuso e sentii male» poi deglutii.
Jake abbozzò una risata «era la prima, eri la prima»
Annuii «lo so e lo sapevo anche allora» continuai ad annuire finchè non incontrai di nuovo il suo viso «andiamo via Jake, andiamocene..blue lake non è più il nostro posto lei non è..»
«casa.»
Mi fissò amaro e guardò in alto facendo scomparire il suo sorriso.
«non mi interessa sapere dell’incendio,delle  farfalle appese in cantina, del perché il bozzolo si trovava lì o di queste foto,voglio solo andare via, con te» mi sentii quasi mancare,ma trovai comunque la forza di dirglielo «ho sempre amato soltanto te e adesso che siamo di nuovo insieme..»
Ancora una volta sembrò non ascoltarmi e si sorresse il capo con entrambe le mani «Stella,capiscimi.. ho bisogno di ricordare ogni cosa e ormai mancano solo pochi frammenti»
Pochi.
«dobbiamo andare a cercare Willliam,Juliet e Liam,allora»
A quel punto si alzò di scatto.
«no» scosse il capo «rifletti,dove dobbiamo andare» lo scosse di nuovo «eppure è così chiaro..»
A quel punto la risposta fu chiara come l’olio.
C’era un unico posto da perlustrare, un unico luogo da vedere e allora forse tutto sarebbe stato limpido.
«andiamo Jake, mostrami come arrivare alla cascata.»









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piccolo spazio personale.
oddio scusami per il ritardo,ma non ho avuto tanto tempo,tra la scuola e il resto ;___; comunque spero ti piaccia (non l'ho revisionata,quindi se ci sono degli errori MEA CULPAA!) <3

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