Pipe, stetoscopi e poppatoi

di Bethesda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***



Capitolo 1
*** I ***


E va bene, lo ammetto! Ho mentito: la one-shot che ho scritto qualche giorno fa non sarà l'ultima! Ma l'idea di scrivere questa fan fiction mi ha colpita all'improvviso e mi è subito venuto voglia di scriverla! Il capitolo è piuttosto breve ma spero vi piaccia come inizio ^^

In tutti gli anni passati accanto a Holmes, nonostante le varie avventure che hanno caratterizzato la nostra vita, nessuna fu stressante quanto quella che mi accingo a narrare.
Non che gli avvenimenti fossero estremamente raccapriccianti o grotteschi, ma la situazione che io e lui dovemmo affrontare  ci costrinse a fare ciò che io, e soprattutto Holmes, mai avremmo immaginato.
 
Avevamo superato indenni anche il 1897 e Holmes aveva da pochi giorni compiuto quarantacinque anni quando, rintanati nel nostro appartamento pregno di fumo, discutendo senza troppa convinzione sull’ultimo concerto a cui avevamo assistito, sentimmo qualcuno bussare con forza al portone, cosa piuttosto insolita a quell’ora di notte.
Holmes si zittì e tese l’orecchio, avvertendo poco dopo i passi della cameriera dirigersi ad aprire all’inatteso ospite.
Lo imitai e con sorpresa avvertii poco dopo dei passi dirigersi al piano superiore –il nostro- con estrema fretta.
Holmes era accigliato e aspirava meditabondo, aspettando che la cameriera si decidesse a bussare, cosa che avvenne poco dopo.
Un avanti secco uscì dalle labbra del mio amico e con estrema lentezza fece il suo ingresso nella stanza la giovane che aiutava la signora Hudson (che in quei giorni si trovava presso sua sorella fuori Londra).
Pensai che la sua cautela fosse dovuta al timore reverenziale che provava nei confronti del mio amico ma con mia grande sorpresa dovetti ricredermi quando mi accorsi che stava cercando solo di non far cadere un fagotto che stringeva fra le braccia.
«Chi era, signorina Graham?»
La ragazza non rispose e ci guardò entrambi con aria sorpresa.
«Nessuno, signor Holmes. Ma…»
«Ma cosa», domandò il mio amico cercando di dissimulare l’irritazione.
In tutta miss Graham si fece avanti e ci rese possibile vedere ciò che stava reggendo con tanta apprensione.
Sobbalzai per la sorpresa e persino Holmes, che generalmente riusciva a nascondere qualunque emozione lo attraversasse, sgranò gli occhi.
«L’ho trovato qui fuori ma non c’era nessun altro.»
«Un bambino?! Holmes! Credono che ci sia una ruota qua fuori?!»
Holmes si alzò dalla poltrona, avvicinandosi alla giovane e osservando la cosina rosa che dormiva placida avvolta dalle coperte, quando allungò una mano e prese una lettera, nascosta fra le pieghe del tessuto e sfuggita alla ragazza.
Io mi accostai al dormiente e lo osservai: doveva avere quattro, forse cinque mesi. Aveva la carnagione di un bel rosa vivo, leggermente arrossato sulle guance a causa del freddo di cui era stato vittima, anche solo per pochi istanti.
Nonostante fossi stato sposato non riuscii ad avere figli e comunque non ero mai stato attratto dall’idea di avere per casa dei piccoli urlatori, capaci di distruggere i miei scritti o i miei strumenti lavorativi. Osservando il bambino però mi domandai come si potesse abbandonare una creatura tanto fragile come quella.
«AH!»
Io e la signorina ci girammo verso Holmes che aveva appena finito di leggere.
«Legga lei stesso, Watson!»
Mi porse la lettera e cominciai a far scorrere lo sguardo.
 
All’attenzione del signor S.Holmes.
Per ragioni che sono impossibilitata a spiegare sono costretta a lasciare temporaneamente mio figlio.
Mi rendo conto che non sia un comportamento degno di una madre rispettabile ma debbo comportarmi in questo modo per difendere la mia creatura. Purtroppo non posso rivelarle chi sono e tantomeno il perché debba lasciarlo nelle sue affidabili mani. La prego solo di non rivelare a nessuno della sua presenza nella vostra casa e di non lasciare che qualcun altro se ne occupi. La sua vita, come la mia, è in pericolo.
Non appena tutto si sarà placato, allora tornerò a prenderlo.
Fino ad allora le chiedo di proteggere Charles.
In fede,
                                                                                                                                                                                                                                                                                                       Chi Le Sarà Debitrice Per Sempre
 

 
Alzai lo sguardo verso il mio amico e  mi accorsi che aveva spento la pipa e osservava incuriosito il piccolo.
«Signorina Graham.»
«Sì, signore?»
«Lei non ha mai visto il bambino, né dirà ad anima viva che si trova in questa casa. Ha capito?»
La giovane annuì e lasciò che il detective, che aveva allungato le braccia, prendesse l’ospite.
Io ero allibito: Holmes, se un caso lo interessava, era capace di qualsiasi cosa, ma questa volta era implicito che si sarebbe dovuto occupare del bambino!
Aspettai che la cameriera uscisse e glielo dissi.
«Occuparmi? Vorrà dire occuparci, dottore! Dopotutto io non sono avvezzo alle gioie della maternità e non credo di potermi occupare del qui presente Charles da solo.»
Effettivamente già il modo in cui reggeva il piccolo indicava quanto poco sapesse sull’argomento: sembrava che stesse sollevando un sacco di patate e la cosa disturbò il bambino dal suo sonno. Fortunatamente fu più sorpreso che spaventato e cominciò a fissare l’uomo davanti a sé con i piccoli occhi azzurri.
Nonostante ciò mi sentii piuttosto offeso.
«Non sono una mamma chioccia, Holmes!
«Ovvio che no, sareste ridicolo. Però, essendo un dottore, avrete sicuramente affrontato casi pediatrici e ciò vi rende superiore a me…»
Alzai un sopracciglio: raramente Holmes mi concedeva di essere più abile di lui.
«…in questo campo.»
Ecco, mi era sembrato piuttosto strano…
 
 

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Capitolo 2
*** II ***


Breve premessa: questa storia comincia a diventare un po' stupida ma mi stavo divertendo troppo e mi son rifiutata di essere più "rigida", quindi prendetela alla leggera. Scusate ancora: so che è breve ma non so quando posterò il prossimo!
Buona lettura xD



Fissai il mio amico con aria preoccupata: stava analizzando il bambino con lo sguardo e cominciai a credere che potesse scrollarlo per sentire cosa contenesse.
«E adesso cosa pensa di fare? Non è in grado…»
Mi lanciò un’occhiataccia e mi corressi.
«Non siamo in grado di badare a un bambino! Non c’è neanche la signora Hudson e dubito che la signorina Graham sappia come comportarsi, visto che ha solo sedici anni!»
«Suvvia, Watson. Anche se qui ci fosse la nostra paziente governante mi è comunque stato detto curarmene io stesso. Se solo riuscissi a capire…»
Si zittì, corrugando le sopracciglia e guardando il povero Charles, vittima inconsapevole.
«Watson, cosa sta facendo?»
Mi avvicinai a lui e constatai con orrore che il bambino stava per scoppiare a piangere, ma non feci in tempo a dirlo che quello lanciò un urlo disperato, versando lacrime copiose e aprendo la bocca alla ricerca di aria.
Holmes si voltò verso di me e mi guardò sconvolto.
«Perché piange?!»
«Forse perché lo sta tenendo come se fosse un gatto randagio con le zecche! Non deve reggerlo da sotto le ascelle, gli fa male! Ecco, si fa così…»
Mostrai all’uomo come reggere il bambino ma questo non si calmò, anzi. Cominciò ad urlare con maggiore forza e vidi Holmes fare una smorfia.
«Non mi sembra che sia riuscito a calmarlo!»
«Forse ha fame! Bisogna allattarlo!»
Holmes mi guardò negli occhi, aspettando che facessi qualcosa.
«…allora?»
«Holmes, non si aspetterà che lo allatti io al seno!»
«Per carità del cielo, vederla come nutrice turberebbe sia me che il bambino», disse ridacchiando e chiudendo gli occhi quando il piccolo lanciò un acuto particolarmente forte.
Sgranai gli occhi incredulo: possibile che quella situazione lo divertisse tanto?!
«Dice che ha fame? Bene, ci vuole latte…»
Aprì la credenza e prese il latte avanzato dal mattino e mi guardò.
«Abbiamo bisogno di una tettarella!»
«L’ultima che ho visto era la mia, dottore! E dove trovo una tettarella a quest’ora di notte?!»
«E’ lei quello che sa quali sono i negozianti che soffrono d’insonnia, non io!»
Il mio amico sbuffò irritato e si guardò intorno, stordito dal pianto continuo del bambino.
Allungò improvvisamente una mano, recuperando un contagocce dal suo bancone degli esperimenti.
«Non credo che avvelenarlo sia la soluzione!»
Discutemmo per un po’ di tempo sui pro e contra dello sfamare un bambino con uno strumento che a malapena avrebbe potuto aiutare a nutrire un uccellino e sul fatto che fosse stato utilizzato con materiali pericolosi.
Vinsi io e lo convinsi a scendere al piano di sotto a recuperare qualcosa dalla casa della signora Hudson.
Per fortuna la figlia della donna aveva avuto poco tempo prima un bambino e così la signorina Graham trovò facilmente una tettarella e la consegnò al detective.
Non senza difficoltà riuscii io stesso ad allattarlo, seduto sulla mia poltrona e osservato con curiosità da Holmes.
La cosa mi metteva parecchio in soggezione e dovetti chiedergli di smetterla.
«Non è lei che sto fissando, Watson, ma il bambino. La lettera non mostra alcun indizio interessante, se non che la donna in questione –dal tono che utilizza nella lettera- deve conoscermi…non c’è neanche la filigrana…sono in un vicolo cieco.»
Guardai il bambino che poppava placidamente: chi poteva mettere in pericolo una creaturina tanto innocua?
Non feci in tempo a concludere il pensiero che questo finì il latte e, ormai sazio, riprese a piangere.
Holmes mi fissò irritato.
«Ma non ha detto che aveva fame?!»
«Adesso debbo farlo digerire!»
L’uomo alzò il sopracciglio con aria perplessa mentre io cominciavo a vagare per la stanza tenendo il bambino attaccato a una spalla e tirandogli leggeri colpetti alla schiena.
Un sorrisino gli increspò le labbra.
«Parola mia, Watson: siete una madre nata.»
Mi trattenni dal mandarlo al diavolo perché il piccolo, oltre ad aver digerito -con annesso rigurgito sulla mia camicia migliore- si era assopito nuovamente.
Sospirai di sollievo e misi il bambino in una culla improvvisata –un cesto con alcune coperte dentro, e lo misi accanto a me, in modo che lo potessi controllare.
«E poi dice di non essere una mamma chioccia…»
Lo zittii con uno sguardo, chiedendogli se durante il mio vagare per la stanza nel tentativo di calmare il bambino avesse pensato a qualcosa.
«No, amico mio, nulla. Purtroppo neanche ciò che indossa il bambino rivela chi sia questa donna misteriosa…»
Mi lasciai cadere sul divano, osservando Holmes rimuginare. E quando rimuginava voleva dire solo una cosa.
Allungò una mano verso la pipa di ciliegio e fece per accenderla quando mi slanciai su di lui per strappargliela dalle mani.
Mi guardò con disappunto, protestando.
«Già sono abbastanza mefitici per il sottoscritto i fumi del suo trinciato, figuriamoci per un bambino così piccolo!»
Holmes disse con cinicità  che, vista l’epoca in cui vivevamo, il fumo da tabacco era sano rispetto a quello che si respirava per la città e che Charles ne avrebbe tratto solo che un vantaggio.
Per fortuna rinunciò al suo fumoso intento e dovette accontentarsi di un bicchiere di chiaretto, magra consolazione.
«Comunque è tardi per elucubrazioni varie. Domani mattina inizierò a indagare.»
«Pensavo non dovessimo dare nell’occhio.»
«Basta non far sapere a nessuno che il bambino è qui.»
Mi parve piuttosto difficile come proposito visto che le urla del piccolo avrebbero potuto risvegliare anche i morti.
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** III ***


Pensai che il piccolo avrebbe potuto prender freddo nella camera da letto e così, con rammarico, decisi di restare nel salotto scaldato dalle fiamme vermiglie del camino.
Cercai anche inutilmente di coinvolgere Holmes ma questo si dileguò prima che potessi dire qualcosa e mi abbandonò sul divano, comodo ma deleterio per la mia gamba.
Mi ero ormai assopito da qualche ora quando, interrompendo i miei sogni a base di bambini che fumavano da enormi pipe, Charles cominciò a piangere.
Non credevo fosse possibile che un essere così piccolo potesse trovare la forza di urlare a quel modo, perforando timpani e rendendo sempre più labile la mia pazienza.
«Cosa c’è adesso? Su, su…»
Il tentare di cullarlo fu a dir poco inutile e dopo poco Holmes uscì dalla sua stanza.
Rimasi colpito dal fatto che fosse piuttosto scompigliato ed assonnato e che nel suo sguardo non si leggesse più l’intelligenza ma un’insana furia omicida.
Sembrò comunque far tronare almeno lei a dormire nel più profondo del suo animo e dopo essersi passato una mano fra i capelli neri si avvicinò.
«Qual è il problema?»
«Non lo so. Charles, Charlie…dai, di’ a zio John cosa succede…»
Dopo aver detto questa frase con un tono basso e amorevole –o almeno quello voleva essere l’intento- mi voltai verso Holmes e lo vidi fissarmi come se fossi completamente impazzito.
Mi schiarii la voce con fare imbarazzato e distolsi lo sguardo, cercando di concentrarmi sul bambino.
Holmes però, esasperato dal pianto continuo e straziante, prese il bambino e lo sollevò, trovando l’origine del problema.
Il detective storse il naso.
«Per l’amor del cielo, Watson! Questo bambino deve essere cambiato!»
Effettivamente l’odore che mi giunse alle narici mi costrinse a giungere alla medesima conclusione.
Il mio amico ormai doveva avermi scambiato per una balia perché mi tese Charles come se fosse un sacco di farina.
«Io?!»
«Ovviamente. E’ più esperto di me in questo campo!»
«Io potrei curarlo da un’eventuale febbre ma non mi sono mai dovuto occupare di un lattante e quindi la mia abilità è pari alla sua! E inoltre questo caso non l’ho certo accettato io e la lettera richiedeva esplicitamente che fosse lei a occuparsi del bambino!»
«E va bene, allora», sentenziò con aria stizzita.
Mi disse di stendere un panno sul tavolo in cucina e ,dopo aver fatto come mi aveva ordinato, mi allontanai assicurandomi di occupare una posizione adatta per assistere a quello spettacolo.
Holmes all’iniziò sembrò piuttosto impacciato ma l’espressione che assunse quando tolse al bambino il tessuto che lo fasciava fu impagabile e mi riscattò da i soprusi delle ore precedenti.
Durò poco la sua goffaggine: che si trattasse di istinto paterno o meno cambiò in pochi istanti il piccolo Charles che perlomeno aveva smesso di piangere.
Si sbarazzò del contenitore altamente nocivo e guardò il bambino con la stessa soddisfazione che un artista può provare di fronte alla propria opera compiuta.
Un poco piccato per la sua ennesima vittoria gli feci i complimenti.
«Devo ammettere che non è stato semplice, Watson. Fortunatamente non era poi così difficile.»
Annuii e guardai il piccolo che si era riaddormentato quando mi accorsi di cosa il mio amico aveva utilizzato per fasciare nuovamente il piccolo.
«Ma quella è la mia camicia migliore!»
«Davvero? Non la usa mai ed era a portata di mano.»
«Non la uso mai perché è una delle mie preferite nonché più eleganti! Questo è stato un colpo basso!»
«Suvvia, amico mio, la prenda con filosofia: potrà sempre lavarla.»
Lo fissai allibito mentre riponeva un Charles pulito e dormiente nella cesta e sono ancora sicuro di aver intravisto un ghigno vittorioso sul suo volto prima che Holmes si ritirasse nella stanza.
 
 
«Ho controllato tutti casi in cui sono stati coinvolte delle donne, Watson. Tutti! Ovviamente deve essere una donna che si fida di me e con dei nemici e ogniqualvolta le ho tratte fuori da qualche brutta situazione ho automaticamente eliminato oppure annichilito l’origine dei loro danni. Ma non ci siamo, non ci siamo…»
Stavo allattando il bambino, osservando il mio amico aggirarsi fra i vari documenti che aveva accumulato durante tutti i suoi anni di indagine, e il fatto che non potesse fumare lo rendeva parecchio nervoso.
«Magari è una donna che la conosce per fama.»
«Watson, sia serio: lei affiderebbe mai suo figlio ad uno sconosciuto benché di grande fama?»
«…no, effettivamente no…»
Mosse la mano nella mia direzione come a dire “Ecco, visto?” e si buttò nella propria poltrona, sprofondando e raggomitolandosi con lo sguardo fisso alle fiamme del camino.
In quei momenti sarebbe stato impossibile cavargli anche una sola parola di bocca e la mancanza di fumo lo chiuse in un silenzio ancora più duro.
Lasciai che il bambino finisse di poppare e lo rimisi nella culla dove si addormentò poco dopo.
Forse fu il piacevole tepore che riscaldava la stanza, forse il fatto che fossero tre giorni che le indagini procedevano e che il bambino si svegliava più volte nel bel mezzo della notte, ma il sonno mi prese e caddi addormentato in pochi minuti.
Non so quanto tempo passò prima che il bambino decidesse di svegliarmi, fatto sta che Holmes doveva averlo spostato in una zona piuttosto lontana rispetto al camino –cominciava a capire che un calore troppo intenso avrebbe potuto infastidirlo- e quindi che Charles si trovasse a una distanza per me insormontabile a causa della stanchezza.
Anche il mio amico doveva essersi addormentato e grugnì qualcosa.
«…Watson, vada lei…»
«Io ci sono già andato ieri sera…»
«Ma io l’ho cambiato qualche ora fa…»
«E io gli ho dato da mangiare…»
Sbuffò e distese le lunghe gambe fino a toccare terra, alzandosi e trascinandosi fino alla culla.
Lo vidi tornare  vicino a me con il bambino in braccio, cullandolo e canticchiando quella che avrebbe dovuto essere una ninnananna, ma il fatto che contenesse le parole “squartatore”, “assassino” e “ghigliottina” la rendeva estremamente inquietante.
Nonostante ciò sembrò fare effetto e il bambino si addormentò fra le braccia del mio amico che, notandolo, sorrise impercettibilmente.
«Chi sarebbe mamma chioccia», chiesi con un sussurro per non disturbare Charles.
Mi meravigliai di non essere finito a terra fulminato visto lo sguardo d’odio che mi aveva lanciato.



Ecco qui il terzo e breve capitolo! Vi ringrazio per i commenti e spero che anche questo vi piaccia come i precedenti ^^ 

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Capitolo 4
*** IV ***


Furono giorni di lavoro intenso e continuo: sia io che il mio amico dovevamo alternarci fra i rispettivi lavori e Charles, che richiedeva continue attenzioni e non sembrava intenzionato a concederci di dormire neanche una notte in santa pace.
Spesso finivamo per crollare addormentati sul divano, il bambino fra le braccia, circondati da articoli di giornale e documenti sui casi più vecchi e ormai archiviati.
Il fatto incredibile era che anche il mio amico, abituato a lavorare costantemente senza dormire né mangiare per affrontare i criminali londinesi, risultava completamente distrutto e privo di energie a causa di un bambino di appena sei mesi con –testuali parole- “le capacità cognitive di un mantice”.
«La verità, Watson», iniziò la sera del sesto giorno, «è che sto brancolando nel buio. Non ho la più pallida idea di chi possa essere la madre di Charles.»
Dicendo questo allungò le braccia verso il bambino e lo strinse a sé, stendendosi sul logoro divano e appoggiandolo sul proprio petto: avevamo infatti scoperto che uno dei modi per tranquillizzarlo e impedire che scoppiasse a piangere era tenerlo a stretto contatto con il proprio corpo, cullandolo con il sali e scendi del petto.
Era uno spettacolo strano ma sia Holmes che il bambino sembravano a proprio agio  e il primo continuava a parlare con un braccio piegato a reggere la testa e l’altro a tenere il bambino con cautela, muovendo ogni tanto la mano quando voleva dar enfasi a ciò che stava dicendo.
«E dunque? Cosa facciamo?»
«Sono sicuro che la madre tornerà a prenderlo.»
«Come fa a dirlo? E se ci mettesse anni?!»
«Lo avrebbe previsto e una madre che manda suo figlio da un detective affinché lo protegga non cerca sicuramente di abbandonarlo per anni, anzi! Questa donna sa che potrà prenderlo fra poco, ma fino ad allora dobbiamo custodirlo noi…»
Distolse lo sguardo da me quando vide la mano di Charles farsi avanti per afferrare incerta il suo naso e dovetti trattenermi non poco dal scoppiargli a ridere in faccia.
«Questo giovanotto comincia a diventare impertinente…»
 
 
Una delle cosa delle quali non avevamo tenuto conto era la signora Hudson.
Nonostante i nostri continui tentativi di tener buono il bambino e di cercare di calmarlo prima che scoppiasse nei suoi pianti disperati, spesso non riuscivamo a controllarlo e sono sicuro che tutta Baker street sapesse che ci fosse un nuovo infante nella zona.
Ovviamente, una volta che la signora Hudson tornò dalla visita a sua sorella, divenne insostenibile tenerla all’oscuro della nostra condizione.
«Signor Holmes! Vuole dirmi che questo povero bambino non esce di qui da più di una settimana?!»
Il mio amico manteneva sempre un contegno signorile e cavalleresco con tutto il genere femminile, ma il sapersi digiuno di qualcosa come il curarsi dei bambini lo rendeva più spigoloso del solito.
«Ovviamente. Fa freddo e non possiamo certo vagare con un bambino di pochi mesi in braccio.»
La governante scosse la testa e prese il bambino in braccio, cullandolo con la sua esperienza di madre e nonna.
«Non potete lasciare un bambino sempre nella stessa stanza. Deve cambiare un po’ d’aria! Gli farà bene! Dovrei avere ancora una culla piuttosto vecchia che utilizzavo per mia figlia nella soffitta!»
Vani furono i tentativi di Holmes di opporsi alla signora Hudson e in meno di un’ora avreste potuto vedere due uomini vagare per Regent’s park, uno spingendo una carrozzina, l’altro fumando come un turco per rifarsi delle poche pipate di quei giorni.
L’aria era secca ma fredda e spesso mi trovai con fare apprensivo a rimboccare le coperte al bambino che sembrava parecchio contento del cambio di ambiente.
Holmes, al contrario, si guardava intorno circospetto e pensava.
«Che idea sciocca.»
«Perché mai? E’ una giornata stranamente soleggiata ed effettivamente è un piacere poter passeggiare.»
«Non è tanto normale che due uomini vaghino per un parco il giovedì pomeriggio con una carrozzina. E’ sospetta come cosa e se davvero qualcuno è sulle tracce di Charles sarà per lui facile individuarlo. Inoltre le devo ricordare che sia io che lei siamo tutt’altro che sconosciuti e chiunque potrebbe riconoscerci, da un suo paziente a un criminale che ho mandato in prigione anni fa.»
Effettivamente, messa in quel modo, la situazione non era delle migliori.
Cominciai anche io a temere e a guardare con sospetto chiunque si avvicinasse a noi, quando all’improvviso, ormai decisi a ritornare al tepore del nostro appartamento, un’anziana signora ci fermò.
«Ma che grazioso pargolo! Dite, quanto ha?»
«Cinque, forse sei mesi», risposi piuttosto insicuro, ottenendo uno sguardo confuso dalla donna e uno di disapprovazione da Holmes.
Questa, però, non sembrava intenzionata a demordere.
«Ma guardi, è proprio uguale a lei!»
«Ma veramente io non sono il padre…»
Credo che se le avessi detto che in verità ero Jack lo Squartatore avrebbe avuto una reazione più pacata perché sgranò gli occhi e mi fissò come se fossi un depravato.
Holmes, estremamente irritato, si fece avanti.
«John, per favore, Violet ha detto che vuole che riporti Charles a casa prima delle sei. Signora…»
«Signorina», lo corresse.
«…signorina, mia moglie vuole che riporti il bambino a casa al più presto. La prego di scusarci e le auguriamo una buona giornata.»
Mi costrinse a cambiare bruscamente direzione, tanto che il bambino spalancò gli occhi spaesato.
Una volta che ci fummo ben ben allontanati cominciò a parlare.
«Watson, sinceramente, mettersi a parlare con anziane signore sconosciute rivelando che non si è il padre del bambino che si sta portando a passeggio non è uno dei modi migliori per passare inosservati.»*
 
 
Altra peculiarità del bambino che si rivelò in quei giorni era il suo amore –se così si può definire- per la musica.
Fu un estremo e disperato tentativo che ci portò a questa scoperta: Charles non sembrava intenzionato a dormire e Holmes, parola mia, era a un passo da una crisi nervosa.
Ritenne opportuno cercare di sovrastare quel pianto disperato con il suono del suo violino e appena cominciò a suonare una delle sue composizioni il bambino smise di piangere.
Era estasiato da quella melodia e si ostinava a fissare Holmes, tanto che fui costretto a lasciare che si sedesse sul tappeto davanti al camino, continuando a reggerlo a causa della sua instabilità.
Holmes, lieto di aver riscosso un tale successo, diede il meglio di sé e, oltre alle sue composizioni, ci deliziò con Locatelli, Vivaldi, Schubert.
Fu una grande serata e io stesso ne trassi giovamento e grande piacere.
«Se mai dovessi suonare in un qualche concerto», mi confessò il mio amico dopo diversi mesi, «sceglierei come pubblico dei bambini. Loro non sono influenzati dalle buone maniere e non sentono la necessità di mentire per compiacere il musicista. Fanno propria la musica, ne rimangono incantati e lasciano che li sconvolga piacevolmente. Se il musicista è mediocre sono invece insofferenti, scalpitano e vogliono allontanarsi e mai cercheranno di dissimulare ciò che pensano. Un bambino può essere lo spettatore migliore come il più distruttivo.»
In qualunque caso Charles fu sicuramente un ottimo pubblico e crollò addormentato solo dopo circa due ore ininterrotte di melodie.


Ecco a voi il quarto capitolo! Vi ringrazio ancora per i commenti e spero che anche questo vi sia piaciuto come gli altri. Mi rendo conto che non ci siano grandi progresi dal punto di vista investigativo ma la cosa che preferisco sottolineare è proprio il comportamento di Holmes e Watson nei confronti di questa nuova situazione. Nel prossimo capitolo (che spero di poter postare domani!) ci sarà più "movimento" ^^ 
Un bacio,
Beth


*Ero seriamente tentata di fare qualcosa sullo stile della carrozzina de "La corazzata Potëmkin" ma sarebbe stato esagerato xD 

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Capitolo 5
*** V ***


Non l’avrei mai detto ma cominciavo ad abituarmi all’idea di avere un bambino per casa e anche Holmes, per quanto cercasse di essere freddo e distaccato come al solito, non mostrava più quei segni di insofferenza iniziali –o almeno non molto.
Devo ammettere che fu anche grazie alla signora Hudson che riuscimmo a non impazzire totalmente e fui grato del fatto che non si avventurò in domande a cui non avremmo potuto rispondere.
Tutto sembrava andare alla perfezione, se si teneva conto del fatto che non avevamo ancora la più pallida idea di quale fosse la minaccia che incombeva sul nostro ospite, ma nonostante tutto Holmes non sembrava intenzionato a smettere di indagare.
Fu alla fine dell’ultima settimana che finalmente successe qualcosa che permise al mio amico di capire di chi fosse figlio quel bambino.
Io mi ero ritirato in camera da qualche ore con Charles che dormiva nella sua culla ben coperto dal freddo di inizio anno.
Holmes, stranamente, non era ancora tornato: alle tre del pomeriggio era uscito, dicendo che avrebbe fatto tardi, e non facendosi più sentire per tutto il resto della giornata.
Non mi preoccupai più di tanto: spesso si comportava in quel modo e sapevo che sarebbe tornato più tardi, magari con un occhio nero e un sorrisino soddisfatto.
Dormivo da qualche ora quando avvertii un suono nella stanza accanto, passi leggeri e probabilmente il gemito di qualcuno che aveva sbattuto lo stinco contro uno sgabello che mi aveva procurato più di un’imprecazione in tutti i miei anni di convivenza.
Non ci feci inizialmente caso, pensando che si trattasse di Holmes, ma quando vidi la porta di camera mia aprirsi leggermente mi allarmai.
La figura che si stava insinuando silenziosamente nella mia camera non aveva le fattezze di Holmes ed era facile intuirlo nonostante la poca luce che filtrava dalla finestra.
Per un attimo pensai che potesse trattarsi di uno dei suoi ennesimi travestimenti ma come mai sforzare tanto la propria schiena per mantenere quell’altezza in casa? Non doveva certo nascondersi da qualcuno e anche se fosse stato per dare prova della propria abilità di travestimento che senso avrebbe avuto farlo mentre io dormivo?
Quando quell’individuo si avvicinò alla culla di Charles e allungò le mani per prenderlo balzai giù dal letto, avvertendo una forte fitta alla gamba ferita e cercando qualcosa che potesse proteggere sia me che il bambino.
Sfortunatamente avevo solo qualche rivista medica sul comodino e il revolver era nel comò a qualche metro di distanza.
L’uomo si girò e mi accorsi in quel momento che  aveva il volto coperto.
«Chi è lei?! Cosa vuole?!»
L’intruso si allarmò e prese in mano un coltello che fino a pochi istanti prima aveva nella fodera della propria cintura. Un brivido di paura mi percorse la schiena ma non potevo permettere che facesse del male al bambino.
Scattai in avanti ma era evidentemente molto più allenato di me, così schivò facilmente il mio assalto e mi colpì la nuca con una forte gomitata.
Sentii una scarica partire dalla zona colpita per raggiungere tutto il corpo e mi per qualche istante si fece tutto buio.
Quando rinvenni, pochi istanti dopo, non riuscivo minimamente a muovermi.
Dovetti sforzarmi grandemente per raggiungere la sedia della mia stanza alla quale appoggiarmi per tirarmi su e nel frattempo il mascalzone aveva rinfoderato il coltello e aveva preso il bambino, imprecando in una strana lingua quando questo iniziò a piangere.
Doveva avvertire la minaccia perché mai lo avevo sentito urlare in quel modo e anche quel malvivente sembrò piuttosto impreparato. Tentò di calmarlo per un po’ di tempo in una lingua a me sconosciuta e presto vidi l’ira deformare il suo volto.
Temetti che gli facessi del male e questo bastò a far sì che facessi appello a tutte le mie forze e mi alzassi in piedi, barcollante ma deciso a non cedere facilmente Charles.
L’uomo però si accorse che mi ero rimesso in piedi e prima che riuscissi a muovere qualche incerto passo si gettò fuori dalla stanza, ignorando il lamento continuo del piccolo.
Ero ormai disperato e rischiai di cadere nel correre verso il salotto, ma una voce familiare mi giunse alle orecchie accompagnata dal suono del cane di una rivoltella in carica.
«Le consiglio di mollare il bambino.»
 Mi appoggiai allo stipite della porta avvertendo il continuo pulsare delle tempie ma la vista del mio amico a bloccare l’uscita mi rinfrancò.
«Holmes!»
«Watson, sta bene?»
«Ha tentato di stordirmi ma c’è riuscito solo parzialmente.»
Holmes non era un uomo che lasciava facilmente alle proprie emozioni di manifestarsi ma in quel momento la mascella contratta, la fronte corrugata e lo sguardo duro indicavano quanto fosse infuriato.
«Non solo vuole rapire un bambino indifeso, ha anche rischiato di ammazzare il Dottore. Sinceramente non è in una posizione molto buona. Posi immediatamente Charles e forse non le sparerò.»
Vedendosi con le spalle al muro e senza possibilità di fuga l’uomo mollò il bambino in malo modo sul divano, facendo sì che io e Holmes ci distraessimo per controllare se si fosse fatto male, e, cogliendo al volo quel piccolo lasso di tempo ne approfittò per superare il mio amico e fuggire.
Questo si mise al suo inseguimento, lasciando che io controllassi Charles.
Per fortuna il divano aveva attutito la caduta e il piccolo non era ferito.
Lo presi in braccio per calmarlo e dopo poco vidi Holmes tornare in casa imprecando sottovoce –evento più unico che raro.
«E’ fuggito, Watson! Piccolo e veloce, come un ratto! Maledizione! Sta bene?»
«Per fortuna è solo spaventato, nulla di più.»
«E lei?»
In quel momento mi accorsi che la testa ancora non aveva smesso di pulsare e il mio amico se ne accorse.
 
Poco dopo, calmato Charles e rimesso al sicuro nella culla, lasciai che Holmes mi controllasse.
A quanto pare avevo una ferita nel punto in cui mi aveva colpito il fuggiasco ma nulla di grave, tanto che il sangue si era coagulato quasi subito.
Holmes però, preoccupato, insistette per disinfettarlo e lasciai che facesse, trattenendomi quando premeva con troppa forza la zona dolorante.
«Comunque ho capito di chi è figlio Charles.»
«Cosa?! Come haAHI!»
«Scusi. Ad essere sincero è stato proprio il nostro visitatore di poco fa a suggerirmi la risposta.»
«Ma come è possibile? Non aveva nulla di particolare!»
«Come le ho già detto più volte lei vede ma non osserva. Eppure anche lei lo ha sentito parlare.»
«Poche parole e in una lingua straniera. Non vedo come ciò…»
«Mentre lo inseguivo mi ha apostrofato con il simpatico epiteto di angličtina parchant*», disse lasciando trapelare una nota gioiosa.
«Sarebbe…?»
«”Bastardo Inglese” in Boemo, amico mio. Non le suggerisce niente?»



*Mi son dovuta affidare a Google translate, quindi abbiate pietà! xD

Comunque ecco qui il quinto capitolo, direi piuttosto movimentato e rivelatore ma soprattutto meno "divertente" rispett agli altri! 
Nel caso ci fossero errori di sintassi o grammatica vi prego di segnalarli!! (Quanto mi sto trattenendo dal trasformarla in slash!)
Un bacio,
Beth

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Capitolo 6
*** VI ***


Mi voltai verso di lui con sguardo incredulo, incontrando un sorrisino vittorioso che spesso andava a incurvare le sue labbra quando trovava un qualche indizio edificante per un caso.
«Quel tipo era boemo? Ma quindi…»
Non mi diede il tempo di finire che si gettò verso una pila di vecchi articoli di giornale, risalenti anche a un anno prima, e cominciò a sfogliarli con energia febbrile.
« Che sciocco che sono stato, Watson ! Un completo idiota! Se qualche mese fa non fossi stato così impegnato con la questione che voi avete definito “L’avventura del piede di diavolo” non avrei lasciato in mezzo a questo ciarpame ciò che mi avrebbe permesso di risolvere questo ca…trovato! Eccolo qui! Sapevo di averlo conservato da qualche parte!»
Con aria vittoriosa estrasse un articolo risalente al Marzo dell’anno precedente e me lo porse.
 
LUTTO IN BOEMIA
Con grande rammarico annunciamo la dipartita della sovrana
 del regno di Boemia, giovane consorte del sovrano Wilhelm
Gottsreich Sigismond von Ormstrein.
La coppia reale avrebbe festeggiato fra non molto i nove
 anni di matrimonio ma una malattia ormai da mesi stringeva
 nelle proprie spire la regina.
[…]

 
Prima che potessi andare avanti prese il giornale e si alzò, arrotolandolo e brandendolo come se fosse una spada.
«Tutto quadra! Il sovrano, nostra vecchia e alquanto sgradita conoscenza, è rimasto vedovo!»
«La madre del bambino è quindi…»
«Irene Adler, ovvio! Questo deve essere il frutto suo e di –come si chiamava?-…ah, sì! Di Norton!»
«Ma perché mai il sovrano vorrebbe far del male a lei e al bambino?»
«L’uomo è capriccioso ed egoista, Watson. E il fatto che costui sia un sovrano non le eleva certo al di sopra della propria miserrima condizione umana.»
Questa risposta sibillina mi lasciò dubbioso ma sapevo che quando il mio amico non voleva sbottonarsi su un caso non lo avrebbe fatto neanche se la regina in persona glielo avesse chiesto.
 
 
Holmes ritenne che il bambino fosse estremamente in pericolo adesso che sapevano con certezza dove si trovava e, facendo leva sul fatto che cominciassi davvero ad affezionarmi a Charles,  mi spinse a spostare tutti gli appuntamenti con i miei pazienti –e pazienti molti lo erano davvero visto il numero di volte in cui, durante i miei anni divisi fra indagini e medicina, li avevo affibbiati a un collega o costretti ad attendere giorni per la visita- per badare al piccolo.
Fu così che mi trovai barricato in casa, attento al minimo rumore e teso come una corda di violino ogni qual volta la signora Hudson entrava per rifornire sia me che il pargolo di cibo.
Holmes, d’altra parte, continuava ad indagare e la nuova scoperta lo rendeva in uno stato di eccitazione costante che lui esprimeva andando avanti e indietro per tutta Londra, travestito ora da mendicante, ora da stalliere.
I nostri incontri avvenivano principalmente di sera, quando lui tornava affamato, con le solitamente bianche gote arrossate e lo sguardo da predatore.
Tre giorni dopo il tentato rapimento, mentre si stava rifocillando di cacciagione fredda che la signora Hudson aveva pazientemente preparato, gli chiesi come procedessero le indagini.
«Come mi ha già dimostrato in passato la signora Adler è furba ed estremamente intelligente. Ha badato bene di non lasciare indizi che la portassero a lei...ma ovviamente questo tentativo di nascondersi non era nei miei confronti.»
«Vuol dire che l’ha trovata?!»
Ridacchiando in maniera chioccia abbandonò il tavolo da pranzo e si lasciò sprofondare in poltrona, le lunghe gambe distese verso il caminetto.
«Diciamo che sono sicuro che si farà vedere al più presto…»
Lo fissai cercando di fargli dire qualcosa di più sulle novità ma sembrava deciso a non parlare.
Era insopportabile quando cercava di dare un “effetto sorpresa”.
Feci per ribattere e oppormi, affermando che ormai in quella storia eravamo invischiati grandemente entrambi, quando bussarono alla porta e notai una scintilla illuminare gli occhi d’acciaio del mio amico.
«Watson, può farmi la gentilezza di andare ad aprire?»
Non mi opposi solo perché avvertii nella sua voce una nota eccitata, impercettibile per tutti tranne che per me.
Uno sbuffo uscì comunque spontaneo quando mi diressi ad aprire.
Con mia grande sorpresa non vidi davanti a me la bella Irene e neanche un qualche rapitore Boemo dalla lama facile. Magro e ben vestito stava davanti a me un ragazzo con una bombetta calata sugli occhi a coprire i capelli castani pettinati all’indietro. Il bavero del cappotto era tirato su, probabilmente per proteggersi dal freddo della notte che incombeva.
«Desidera», domandai mantenendomi comunque pronto ad un eventuale attacco.
«Lasci entrare il nostro ospite, Watson. Dubito che parlerà prima di essere completamente al sicuro, con la porta ben chiusa.»
Corrugai le sopracciglia ma lasciai comunque entrare quell’uomo che, mi resi conto in quel momento, era piuttosto basso. Chiusi la porta alle mie spalle, girando la chiave nella toppa come mi aveva chiesto di fare il mio amico e mi avvicinai al nuovo venuto.
«Può togliersi il travestimento, signora Norton: le assicuro che qui dentro è al sicuro.»
Sobbalzai incredulo: avevo sentito bene?
«Non ne dubito, signor Holmes. Se non mi fossi fidata della sicurezza della casa e dei valori dei propri abitanti non avrei mandato mio figlio qui.»
La mano guantata dell’ospite andò a togliere la bombetta, scoprendo gli occhi azzurro cielo della bella Irene Adler. I capelli, che prima avevo pensato essere corti, erano semplicemente raccolti sulla nuca.
Holmes le fece segno di accomodarsi, ma prima che questa lo facesse la vidi guardarsi intorno con apprensione.
«Dorme in camera del Dottore. Sta bene.»
La donna sospirò di sollievo e si lasciò cadere nella poltrona, senza però togliersi il cappotto.
«Vi sono estremamente grata. La situazione che si è andata a creare mi ha costretta a girare per Londra sempre travestita in questo periodo e ciò non ha reso semplici tutte le operazioni che ho fatto. Cominciavo a credere che non sarebbe risalita a me, signor Holmes. Quando questa mattina ho trovato il suo biglietto mi sono grandemente rinfrancata.»
Il mio sguardo passo dalla signora Norton al mio amico. Biglietto?
«Purtroppo sono arrivato tardi alla conclusione a causa della mancanza di materia prima che mi aiutasse a risolvere il caso. E inoltre avevo dei dubbi sul come contattarla e ho dovuto continuare a indagare per qualche giorno in più del previsto.»
«Sapevo però che ci sarebbe arrivato.»
«Quando sono venuto a scoprire che la sua vecchia dimora qui a Londra era all’asta e temporaneamente senza abitanti ho avuto l’illuminazione. Sapendo che ormai dovevo aver capito che Charles era suo figlio di sicuro sarei anche giunto alla conclusione che l’unico modo per contattarla era lasciarle la conferma nel posto in cui aveva nascosto la foto compromettente che ritraeva il sovrano di Boemia con lei.»
Un sorriso un po’ triste fece capolino sulle labbra della donna ma io mi sentivo piuttosto confuso.
«Perché vogliono Charles», domandai cercando di ritrovare il bandolo della matassa.
«Credo che entrambi vi siate già fatti un’idea. Sicuramente sapete che la regina di Boemia, consorte di Wilhelm, è morta lo scorso Marzo. Non diedi gran peso alla cosa: in quel periodo ero a Edimburgo con mio marito e a Luglio finalmente diedi alla luce mio figlio. Tutto sembrava andare per il meglio e mio marito ricevette anche un’offerta di lavoro per l’America. Avevo il bambino da appena due mesi che fu costretto a partire per preparare quella che sarebbe dovuta diventare casa nostra a Boston, lasciandomi a Edimburgo fino a che non fossi stata pronta a intraprendere la traversata e, sinceramente, non la ritenevo una scelta saggia quella di affrontare l’oceano con un neonato. Ah, fossi partita!
Non so ancora come riuscì ad arrivare a me, fatto sta che un giorno di Settembre alla mia porta vidi il re di Boemia in persona, avvolto nel suo pacchiano mantello e con la sua solita aria di superiorità.»
Holmes annuì impercettibilmente a quell’affermazione e lasciò che continuasse.
«Ero allibita: non lo vedevo da anni e in quel momento era alla mia porta, con un mazzo di rose e un sorriso vittorioso in faccia. Sapete cosa mi disse? “Ormai sono un uomo libero e non ho intenzione di sbagliare ancora: Irene, son venuto qui per donarti il mio cuore.”»
Una smorfia di disprezzo le attraversò il bel volto.
«Il corpo di sua moglie giaceva ancora caldo nella tomba e lui osava infangarlo così. E non solo! Non mi chiese di sposarlo, sarebbe stato troppo vergognoso per lui e per il suo rango. Mi domandò esplicitamente di diventare sua amante. Credo possiate immaginare la mia risposta a quell’affronto! Ma purtroppo il mio semplice rifiuto non bastò. Passò una buona mezz’ora ad alternare rabbia e suppliche finchè non si allontanò, giurandomi che avrebbe ottenuto ciò che voleva.»
«Fu allora» iniziò Holmes «che cominciò a tormentarla.»
«Esattamente. Alternava minacce a lodi e il sapere mio marito lontano lo rendeva ancora più audace. Può immaginare di quali mezzi disponga un sovrano, signor Holmes. A Dicembre capì che doveva far presa sul bambino e cercò più volte di rapirlo e solo per grazia divina sono riuscita a tenerlo lontano dalle sue fameliche grinfie. Mi son dovuta dare alla macchia quando, tentando di partire per l’America e raggiugere mio marito, mi hanno detto che per me sarebbe stato impossibile, che per qualche strana ragione non mi era concesso uscire dal paese. Decisi di andare a Londra, lì di sicuro avrei trovato un modo per uscire da questa brutta situazione. Ma come potevo aggirarmi per la città con Charles? Era troppo rischioso, anche travestita. Così mi venne in mente lei.»
Ero estasiato dalla forza d’animo e dal coraggio della donna e anche Holmes, che aveva assunto la sua tipica posizione di quando ascoltava qualcuno esporre un caso –le lunghe gambe distese e le punte delle dita unite-, pendeva dalle sue labbra.
«Lasciai qui il bambino e passai i giorni a cercare un modo per partire, anche falsificando i documenti e facendo leva sulle mie vecchie conoscenze. E posso dire di esserci riuscita: la mia nave parte domani. In America non potrà tormentarmi.»
«Immagino che la foto che vi ritrae insieme si sarebbe rivelata inutile in questa occasione.»
Annuì.
Holmes si alzò e lentamente si diresse verso la cesta in cui era riposto il piccolo.
Gli occhi della madre, a quella visione, si illuminarono e inumidirono.
Prese Charles fra le braccia e portò le labbra rosee sulle sue guance, sussurrando parole consolanti.
Quel momento di tenerezza durò poco perché il pendolo scoccò le dodici e la donna si allarmò.
«Devo andare a prendere il treno per Southampton o perderò l’unica mia via di scampo!»
A quella notizia Holmes e io ci proponemmo come scorta e a nulla valsero le proteste della donna: avremmo protetto lei e il bambino ad ogni costo.
 
Fu un viaggio di parecchie ore e quando alle sei del mattino arrivammo a Southampton notammo con gioia, fin dalla stazione, il pennacchio di fumo della moderna nave che madre e figlio avrebbero utilizzato per la traversata.
Sempre guardinghi ci dirigemmo verso il porto e con grande gioia non trovammo intoppi.
Quel gigante di metallo era lì a pochi metri e stava ingurgitando gli ultimi passeggeri.
Un suono cupo annunciò che da lì a poco sarebbe partita e la donna si voltò verso di noi.
«…farò meglio ad imbarcarmi.»
Annuimmo entrambi e lo sguardo andrò subito verso il bambino nella culla, gentilmente donata dalla signora Hudson.
Charles ci guardava con gli occhi spalancati, avvertendo l’eccitazione del momento.
Holmes mi avrebbe sicuramente dato del sentimentale dopo ma non potei fare a meno di abbassarmi per dargli un bacio sulla fronte, ottenendo in cambio una tirata di baffi da quelle piccole manine.
«Questa volta credo che sarà davvero l’ultima in cui ci vedremo, signora Norton.»
«Almeno questa volta  non sono stata una sua avversaria.»
«Se tutti i miei avversai fossero come lei il mio lavoro sarebbe uno dei più gradevoli al mondo.»
Irene sorrise per quel particolare complimento e si voltò verso di me accennando ad un inchino al quale risposi con garbo.
«Ringrazio entrambi di cuore. Senza di voi mi avrebbero tolto Charles e non so davvero come avrei fatto.»
«Dovere e piacere. Ma ora le consiglio di andare o rischierà di perdere la nave.»
Annuì e si voltò per consegnare a un facchino il proprio bagaglio e in quei brevi istanti vidi Holmes allungare la mano verso la culla per accarezzare il bambino e sorridergli con dolcezza.
 
 
La nave stava uscendo dal porto lasciandosi dietro una colonna fumosa che si univa alla bassa nebbia del porto, donandogli un’aria triste e pittoresca.
Ci incamminammo verso la stazione, Holmes già alla quarta sigaretta per rifarsi dei giorni di astinenza.
«…mi mancherà», ammisi con mestizia.
«Andiamo, Watson. Era un caso come un altro.»
Lo guardai male per pochi istanti, lasciando che un ghigno mi si stampasse poco dopo sul volto.
«Ah sì? Non l’ho mai vista accarezzare i clienti con aria triste alla conclusione di ogni caso.»
Aspirò con forza un’altra boccata di fumo, riducendosi al silenzio per un po’ di tempo.
Solo quando fummo nel nostro scompartimento sul treno di ritorno aprì la bocca per ribattere.
«Anche se fosse ora è con la madre, al sicuro.»
«Ciò non toglie che stesse cominciando ad abituarsi ad avere un infante per casa!»
«E dunque? Mi sta proponendo di adottare?»
«…so che vicino a Piccadilly c’è un convento che accoglie gli orfani…»
Holmes si portò l’ennesima sigaretta alla bocca.
«Watson?»
«Sì?»
Alzò lo sguardo verso di me, distogliendolo dal fiammifero ormai spento e congelandomi con i suoi occhi grigi.
«Non ci pensi nemmeno.»




Ecco qui l'ultimo capitolo di questa fan fiction! Chiedo scusa per il ritardo: speravo di postarla ieri ma mi son data ad altre faccende e non son riuscita a concludere, ma come potete vedere...TADAAAAAN! Spero che vi piaccia e vi invito a commentare! 
Un bacio, 
Beth

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