Le Due Facce del Duca di Hivy (/viewuser.php?uid=100678)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
cap.1
Le
due facce del Duca
***
Non era un
bruto, e mai, s’era ostinato d’esserlo.
Era solo
focoso. Nel suo sangue caldo di spagnolo, ardeva un fuoco.
Il fuoco dei
Borgia.
***
Faenza, Anno Domini 1500
Il rampollo di Castel Sant’Angelo, Cesare Borgia,
detto il Valentino,
assedia da
sei mesi il castello.
Il Borgia era alla testa del
ben armato e nutrito esercito papale.
Assediava la città da sei
mesi; con l’anima infiammata dalla determinazione, e il cuore pieno d’orgoglio
spagnolo, famelico di vittoria. Si vociava che non mangiasse da tre mesi, così
occupato com’era a progettare una vittoria rapida e schiacciante.
Faenza era l’ultima mira del
Valentino, dopo, che, nell’ottobre di quello stesso anno, aveva intrapreso la
seconda campagna contro i nemici della Chiesa, finanziata dal suo ricco ed
immorale padre Alessandro VI.
Aveva seminato paura e
distruzione dietro di sé, espugnando, con il pugno di ferro, i ricchi castelli
laziali dei nemici del padre: i Colonna e i Savelli.
La voce della sua
schiacciante vittoria aveva raggiunto gli orecchi di Pandolfo Malatesta,
signore della ricca Rimini e di Giovanni Sforza, signore di Pesaro, che spaventati
fuggirono come cani, lasciando che l’invasione dello spietato Borgia prendesse
sempre più piede nella Romagna, mentre i poveri lo acclamavano come un
liberatore, portatore della voce di Dio.
Il Borgia aveva fama
d’essere un grande uomo, forte e invincibile, spinto dalla stessa voce
dell’Altissimo. Che leggenda fosse vera o no, non ci è dato di sapere. Ma in
quegli ultimi mesi d’assedio, pareva veramente che Iddio parlasse per mezzo di
lui; aggiungendo altra forza al suo braccio, ampliando e fomentando la fiamma
incandescente che gli ardeva dentro. Era ancora più ardimentoso ed impaziente,
girovagava come un febbricitante per il
campo, borbottando parole assennate, sussurrate al vento.
Era dunque in quello spirito,
irrequieto e tormentato da pensieri tenebrosi, che risiedeva la voce di Dio.
<< E’ la spada di
Satana che impugna! >> sbottò con voce ardimentosa il Manfredi,
passeggiando nervosamente su e giù per la stanza.
<< Calma, fratello!
>> esordì con voce piatta il giovane Gian Galeazzo II Manfredi, il più
saggio e filosofico tra i due fratelli signori di Faenza:<< Il Borgia è
pur sempre il figlio del Santo Padre… >> gli rammentò con calma:<<
se la nostra resa è ciò che vuole Iddio, allora è alla sua volontà che ci
dobbiamo inchinare… >> disse.
<< Dio, fratello? >>
sbottò l’altro:<< guarda! Guardalo! >> urlò febbricitante,
indicando oltre la finestra:<< ti sembra un figlio di Dio, quello!?
>> fece una pausa e attese che anche il fratello si accostasse alla
finestra:<< un figlio di Dio che uccide, violenta, assale, distrugge? Di
che Dio stiamo parlando?! >> sbottò:<< di che Dio parliamo?! E’
palese che quel demone serve solo sé stesso, sé e quella sua fame di potere, di
vittoria! Lo ha ben istruito il suo Santo Padre! Inganno, sotterfugi, omicidi!
E’ questo che fa Dio? >> sbottò.
Gian Galeazzo restò in
silenzio, a fissare con intensità oltre il vetro della finestra. Il Borgia, infuriava
nella battaglia a spada tratta, con la rabbia che traboccava nel suo cuore,
annebbiandogli anche gli occhi. La sete di vittoria che bruciava nel petto.
<< Non è della sua
Santa ispirazione di cui parliamo adesso, Astorre… >> disse con calma un
uomo, che indossava una pesante armatura a placche.
<< Cosa suggerisci,
allora? >>sbottò il giovane duca, voltandosi di scatto famelico,
rendendosi conto di essere stato troppo duro con il suo più fidato braccio
destro:<< perdona la mia irruenza, Petronio… >> disse con voce più
calma, cercando di non ascoltare le urla di guerra e il cozzare delle spade che
proveniva da fuori.
<< La tua idea,
Petronio? >> si intromise Gian Galeazzo, mettendo una mano sulla spalla
del fratello, invitandolo a riprendere le redini del suo autocontrollo.
<< Siamo alla fame…
>> prese a dire l’uomo con calma pacata nella voce:<< il Borgia e
il suo esercito hanno tagliato le nostre risorse, e preso le campagne sempre
più in profondità, non ci arrivano più provviste e pare che… >> fece una
pausa e abbassò lo sguardo gravemente.
<< Parla, per Dio!
>> sbottò l’irrequieto Manfredi, perdendo nuovamente la calma:<< se
sono cattive notizie che devi portare, non attendere oltre! >> aggiunse
irritato, con il volto paonazzo.
<< l’esercito e
soprattutto lo stuolo di prostitute che lo seguono devono… >> fece
nuovamente una pausa, ma nel vedere il volto di Astorre diventare sempre più
paonazzo, si affrettò ad aggiungere altro:<< aver dato l’avvio ad un
epidemia… >> spiegò seriamente.
Astorre ebbe un moto d’ira,
che lo costrinse a digrignare i denti:<< deve aver architettato tutto
lui! Quel mostro! >> urlò.
<< Calmati fratello!
>> si intromise Gian Galeazzo un poco più preoccupato.
<< Sì, potrebbe essere
come dici tu, Astorre… >> prese a spiegare Petronio:<< ma io non
penso, non è certo stato Cesare Borgia a costringere i nostri contadini
insoddisfatti ad andare dalle sue prostitute! >> disse seriamente
l’uomo:<< non penso sia stata una mossa programmata… >> continuò.
Astorre strinse il pugno,
nervoso ed irritato:<< lo proteggi, Petronio? >> sbottò.
<< No, Astorre, ma non
possiamo esserne sicuri! >> disse con voce più franca l’uomo, mentre
l’armatura scintillava lugubre alla luce della prima mattina:<< in dieci
anni di battaglie non ho mai visto una città espugnata senza inganno,
sotterfugio e furbizia… e dobbiamo ricordarci che l’esercito papale può
muoversi liberamente, trovare alleati, rafforzarsi, noi siamo bloccati qui,
senza aiuti, né cibo e… >> fece una pausa e abbassò lo sguardo, ma ad una
mossa di Astorre riprese a parlare:<< devono aver scoperto l’esistenza
del secondo pozzo… proprio stamane una famiglia di cinque persone è morta
avvelenata, e altre subiranno la stessa sorte… non sappiamo quanti abbiano già
utilizzato quell’acqua dopo la contaminazione, né chi l’abbia avvelenata…
>> constatò lentamente.
<< E’ terribile!
>> intervenne Gian Galeazzo, affranto, con lo sguardo assorto nei suoi
pensieri:<< cosa possiamo fare, Petronio? >> chiese ingenuamente.
L’uomo fece schioccare la
lingua sul palato, poi si strofinò le mani nervoso e dubbioso, infine, riprese
a parlare titubante:<< io credo che… la nostra unica speranza sia…
>> fece una lunga pausa, ma né Astorre, né il fratello minore ebbero la
forza di ribadire, quella moltitudine di notizie li aveva profondamente
scossi:<< innalzare il vessillo
della resa… >> mormorò.
Per la sala aleggiò un
silenzio profondo e teso, mentre di sotto, provenivano le grida della
battaglia.
Il volto di Astorre si
incupì, mentre Gian Galeazzo, parve riflettere seriamente sul consiglio
dell’uomo.
<< Petronio! >>
sbottò il maggiore tra i fratelli, Astorre, portandosi due dita all’attaccatura
del naso:<< come puoi dire una cosa simile! >> disse infuriato,
trattenendo il tono di voce irritato.
<< Calma, Astorre!
>> sbottò Gian Galeazzo, prendendo la parola, con occhi iniettati di
determinazione, che di rado si poteva scorgere sul suo volto:<< potremmo
non avere altra scelta! >> aggiunse lentamente.
<< No, mai! >>
sbottò l’altro, sciogliendosi dalla presa del fratello, che ancora poggiava la
mano alla sua spalla:<< non cederò mai agli sporchi ricatti di quel
demone! Mai! A costo di morire io stesso di sete! >> sbottò deciso.
<< Dici bene,
fratello! >> intervenne Gin Galeazzo, serio e deciso: > sbottò.
Astorre digrignò i denti per
la rabbia, e fissò alternativamente il fratello ed il fidato Petronio, infine,
con passi lenti si avviò verso la finestra.
La scena che gli si presentò
davanti agli occhi lo fece fremere per la rabbia e per l’orrore. Il Borgia
infuriava nel cuore pulsante della battaglia, mentre i suoi soldati mercenari
dissanguavano i nemici, e, ormai sotto le mura, violentavano le donne che si
erano rifugiate nella corte interna.
Non ebbe il tempo per
riprendersi del tutto da quella vista, voltò lo sguardo e fissò per qualche attimo
il pavimento. Non poteva arrendersi, non voleva. Faenza non era mai stata
attaccata prima dall’ora, lui aveva giurato di proteggere i suoi abitanti dalle
violenze e dalle ingiustizie, ed il Duca Valentino era la minaccia più crudele
e spietata che potesse capitar loro.
Allo stesso tempo, il suo
animo nobile, non gli permetteva di lasciare che tutto quello accadesse. Non
poteva fingere di non vedere. Non poteva evitare di guardare oltre le finestre.
Forse Dio aveva tracciato
una via diversa per lui, un cammino al fianco della Chiesa, non contro d’essa,
lontano dalla sua amata Faenza, a Roma…
Si tormentò con quei
pensieri per lunghi minuti, aveva la vista annebbiata dalle lacrime di rabbia e
frustrazione. Le urla disperate delle donne, i pianti dei bambini e il fragore
delle spade rimbombavano nelle sue orecchie, come il battito di un cuore
spaventato.
Come poteva fingere che non
succedesse nulla?
Se si fosse arreso
spontaneamente, la vita dei suoi sudditi sarebbe stata salva, e forse, il
Borgia sarebbe stato clemente con lui. Ancora aleggiavano i racconti della sua
bontà nei rispetti di Caterina Sforza, alla quale aveva risparmiato la vita,
mandandola in convento, piuttosto che ordinare la sua esecuzione. Forse anche
lui avrebbe avuto salva la vita. Era anche vero che Caterina Sforza era una
donna, e anche molto bella, a quanto si narrava. Un motivo in più per non
ucciderla, si vociferava, che i Borgia, avessero un particolare ‘appetito’ in
questo senso.
No, Cesare Borgia, non gli
avrebbe mai risparmiato la vita. Ma non poteva permettergli di continuare con
la sua invasione.
<< Innalza il
vessillo! >> disse seriamente:<< e assicurati che Cesare e i suoi
animali smettano di combattere, la città è loro! >>
|
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
capitolo II
***
Era questo, che stupiva in lui.
Non era uno studioso, eppure, le sue parole erano pura
poesia.
Una soave musica, era la sua voce, armoniosa e magnifica.
Espressione di un animo forte e tormentato.
Tormentato, come poteva essere solo quello
di un Borgia.
***
Faenza, 1500 A.D.
Il Rampollo di Castel Sant’Angelo,
si è impossessato della città dei Manfredi,
e convoca i due fratelli al suo cospetto.
Era un giovane di
bell’aspetto, con il fisico atletico, gli occhi falcati e azzurri. Aveva la
fronte un poco alta, ma il viso lungo si sposava alla perfezione con quel corpo
poderoso. Una rada barbetta crespa gli incorniciava il mento e la zazzera di
capelli biondi lo facevano apparire come un angelo. Il più bello e letale di
tutti. Nella sua voce v’era qualcosa di sorprendentemente affascinante, che non
lasciava nessuno scampo alla mente e toccava le corde più sensibili dell’animo.
Si era rapiti dalla sua baldanza e dalla poesia delle sue parole. Pareva di
ascoltare Dio stesso che parlava, mentre fluttuava a pochi centimetri dal
pavimento, come se si innalzasse ad una
vita ultraterrena forte e stupefacente. Non era umano, o almeno, non pareva
esserlo.
Molti, che in quel momento
erano nella stanza, parevano rapidi dal suo sguardo di fuoco, e tutti gli occhi
dei presenti erano, inevitabilmente, calamitati a lui, come se una tale
bellezza, non potesse far altro che attrarre.
I fratelli Manfredi erano
ben ritti sulle gambe, e parevano essere dei pilastri al centro della stanza.
Si erano prostrati ai piedi del Borgia con tanta contrizione, che persino gli
occhi di ghiaccio del figlio del Papa s’erano leggermente addolciti, come se
provasse una pietà infinita verso di loro, innalzando ancora di più la sua purezza e il coraggio del
suo cuore verso Nostro Signore.
Era giovane, ma parlava con
tanto impeto e fermezza da apparire un più che esperto mediatore.
<< A voi, dunque,
Manfredi, l’ultima parola! >> disse, indicando con il movimento di un
braccio Astorre, che, ancora, restava immobile.
Il silenzio aleggio per la
sala, infine, sulle labbra del Manfredi, apparve un largo e lento sorriso
divertito.
<< Dubito, Borgia, che
l’ultima parola sia la mia! >> disse.
Il Borgia indugiò per
qualche attimo, infine, abbozzò un sorriso e ridacchiò, facendo imporporare
delicatamente le sue gote pallide. << Siete astuto, Astorre… >>
disse sotto voce, massaggiandosi lentamente la barbetta rozza e bionda.
<< La vostra astuzia, tuttavia … >> prese a dire più
seriamente:<< vi può aiutare, come può svantaggiarvi. >> fece una
pausa, e lo valutò con un occhiata severa, evidentemente in cerca di un
ennesima dimostrazione di prostrazione:<< Ma ho l’impellente bisogno di
ricevere una vostra risposta! >> sbottò, infine, indurendo un poco in
lineamenti del volto.
<< Come desiderate,
Duca Valentino… >> disse Astorre, digrignando lentamente i denti,
chinando un poco la testa:<< sono conscio, che la vostra, di astuzia,
superi nettamente la mia, soprattutto perché risulta indifesa davanti alla
schiera di mercenari pronti a prostrarsi alla vostra! >> disse con un tocco
si malizia nella voce.
Il Borgia si incupì ancora
di più, e i suoi occhi, parvero ridursi a delle linee sottili. << Il
sarcasmo… >> aggiunse lentamente, mantenendo un tono saldo, reprimendo la
voglia di trafiggerlo:<< non sarà egualmente esaltato! >> sbottò.
Astorre chinò ulteriormente
il capo, intuendo di aver irritato più del dovuto il Borgia.
<< Vi chiederei un
ultimo piacere! >> intervenne d’impulso Gian Galeazzo, alzando il volto e
incontrando lo sguardo dell’uomo. Era un sguardo freddo, calcolatore, ma allo
stesso tempo, gli trasmetteva qualcosa di diverso. Gli pareva di poter
intravedere il tormento nel quale volgeva il suo Essere. Si sentiva quasi
colmare dalla sua rabbia e dalla sua
forza. Quelle percezioni erano magnifiche, e vi avrebbe indugiato per ore, se
non fosse, che in quel momento, la ragione ebbe la meglio sui sentimenti.
<< Parlate, di
grazia…! >> sbottò il Borgia, distogliendo lo sguardo. Non si era quasi
accorto del giovane fino a pochi attimi prima, e la vista di quell’uomo lo
inquietava. Vi era troppa perfezione, troppa purezza nel suo animo, e in
qualche modo, provava invidia verso di lui. Lui voleva essere puro, ma la
tentazione di Satana lo avvolgeva sempre, lasciandolo senza fiato, cullandolo
tra le sue braccia d’oscurità e peccato. A tratti gli piaceva indugiare in quei
piaceri effimeri, che solo il Male poteva offrire, a tratti, odiava se stesso,
perché non aveva abbastanza forza per resistere a quelle tentazioni. Non era
degno di essere considerato un liberatore, non era degno di essere considerato
l’uomo tramite cui Dio parlava. Digrignò i denti e strinse i pugni, poi, il suo
viso divenne ancora più cupo.
Gian Galeazzo prese a
parlare velocemente, non voleva infastidire ancora di più il Borgia, non voleva
che il suo bel volto fosse sfigurato dalla rabbia, non voleva che la sua anima
si macchiasse. Doveva restare immacolato il suo volto, come il suo Essere.
<< Io e mio fratello
vorremmo il permesso per riflettere sulla vostra generosa proposta, prendendo
atto del parere del nostro più fidato consigliere, Petronio. Vorremmo
interpellarlo, forse per l’ultima volta. Ci fidiamo ciecamente di lui, è stato
quasi un padre per me e mio fratello, quando il nostro morì durante… >>
dalla sua bacca non fuoriuscì nessun’altra parola, mentre la mano alzata del
Borgia lo bloccava, non aveva la forza di opporsi a lui.
<< Permesso accordato!
>> sbottò in un ringhio, mentre la voglia di uccidere entrambi si
insinuava sempre più profondamente nella sua mente e nel suo cuore, come fosse un
serpente che strisciava lentamente a lui. Ancora una volta Satana stava usando
le sue lusinghe, e Dio, lo sapeva, lo stava mettendo alla prova.
<< Fra un ora precisa
da questo momento … >> sbottò infine, sporgendosi in avanti con il busto,
fissando famelico i due:<< vi ripeterò la mia generosa proposta, ed
allora, esigerò una risposta! >> disse:<< o morte, o vittoria, è questo
il destino di una guerra, e voi, Astorre… >> prese a dire in tono di
stizza, poggiando a fondo la schiena
nello scrano di legno:<< dovreste prenderne atto con maggiore
consapevolezza! >> sibilò, mentre il Manfredi chinava maggiormente il
capo, evitando di guardarlo in volto, conscio, che se l’avesse fatto la sua
furia non sarebbe più stata contenibile.
Lentamente, i due Manfredi
si voltarono e si avviarono verso l’altra sala, per discutere di quella
difficile situazione.
<< … per questo e per
altri innumerevoli motivi… >> la voce di Gian Galeazzo Manfredi gli
perforava le orecchie prepotente. Avrebbe voluto vedere il suo sangue scorrere
di tra le sue dita, macchiare il pavimento di marmo, imbrattare i suo capelli.
Avrebbe voluto assaporarne l’odore, berne goccia dopo goccia sempre di più,
fino a saziarsene completamente. Ah, quanto lo desiderava… era il bisogno più
impellente che avesse mai provato. Ascoltava quelle sue parole da minuti
interminabili, e quella voce lo tormentava. Era la voce di Dio, lo sentiva. Quel
suo tono, gentile e devoto, lo schiaffeggiavano in pieno volto, mostrandogli la gravità dei suoi
gesti. Dio lo puniva. Lo puniva perché non era riuscito a resistere alle
lusinghe di Satana.
Poggiando il capo su una
mano, in un gesto pieno di irritazione, strinse i capelli tra le dita. Voleva
solo che quella situazione terminasse. Odiava sé stesso. Non avrebbe più ceduto
a nessun istinto demoniaco, se solo quella tortura fosse terminata.
<< abbiamo, infine,
deciso di accettare la vostra generosa proposta, e… >> il giovane
Manfredi lanciò una rapida occhiata in direzione del fratello maggiore.
Petronio aveva consigliato loro quella tattica, ma era evidente il bruciante
disaccordo di Astorre. << ci vorremmo porre sotto il vostro servizio, non
come vassalli qui a Faenza, ma come vostri fidati consiglieri, generali… Mio
fratello… >> prese a spiegare con garbo, indicando Astorre con una
mano:<< è un ottimo combattente, astuto nelle battaglie, ed io… >>
fece una pausa e chinò un poco il capo, per non apparire come troppo
arrogante:<< sono un ottimo mediatore, mi interesso di politica, e
sarebbe un onore, per me, potervi aiutare nella gestione delle vostre faccende.
Saremmo degli ottimi assistenti per voi e vi seguiremmo con lealtà e fiducia in
tutte le vostre imprese, o più semplicemente, eseguiremo allo stremo delle
nostre forze, tutto ciò che ci ordinerete, senza indugi… >> chiuse le
mani dietro la schiena e attese che il Borgia dicesse qualcosa, con i cuore che
batteva all’impazzata. Desiderava con tutto sé stesso di porsi al servizio di
quell’uomo. Non desiderava altro. Il Borgia era un uomo astuto, forte,
intrepido, e per lui, sarebbe stato un onore poter stare in sua compagnia, per
eseguire uno qualsiasi dei suoi ordini, perfino se fosse stato un semplice
capriccio. Avrebbe fatto tutto ciò che il Borgia desiderava. Tutto.
Il Valentino si passò una
mano nella zazzera di capelli ricci e biondi, ed infine, riassunse un
atteggiamento più serio, accompagnato da una postura retta e decisa. I
lineamenti del suo volto si erano nettamente tesi, e i suoi occhi azzurri parevano
ardere nella fiamme, le fiamme dell’Inferno. Sentiva che nel proprio animo
ardevano sentimenti contrastanti. Odiava i fratelli Manfredi, e si era già
mostrato fin troppo magnanimo nei loro confronti, eppure, loro volevano di più?
Chi erano per chiedere a lui, Cesare
Borgia, Duca Valentino, figlio del Papa, un favore tanto ignobile? Quell’unico
e semplice pensiero gli stringeva la bocca dello stomaco, e gli impediva di
pensare con decisione.
La voglia di uccidere
entrambi si faceva sempre più largo dentro di lui, eppure, nel profondo del suo
Essere, poteva sentire un calore differente da quello delle fiamme infernali
nella quali bruciava. Era un calore avvolgente, intenso, qualcosa che lo faceva
sentire bene, appagato. La pace, proveniva da quel tepore lontano. La Sua,
pace. Era la voce di Dio. La sentiva, ma come poteva esserne certo? Satana lo
tentava sempre, ogni giorno di più, con sempre maggiore determinazione, e con
sotterfugi. Voleva trascinarlo con sé negli inferi, tra i lussuriosi, i
fraudolenti, giù, fin tra le ali dello stesso Lucifero, per ghiacciarlo a sua
volta, imprigionandolo insieme a quel mostro.
Le sue membra ebbero un
sussulto, e in un attimo, riprese a fissare i due Manfredi:<< D’accordo…
>> ringhiò sommessamente:<< dubito, comunque, che il vostro prode fratello
possa essere considerato un buon combattente! >> sbottò, mentre vedeva
che Astorre fremeva per la rabbia. Non temeva quell’uomo, lo avrebbe ucciso
come aveva fatto con i soldati che aveva incontrato nel suo cammino. Era suo
fratello che odiava, con quel suo modo di fare angelico, perfetto, puro, come
lui non sarebbe mai potuto essere.
Gian Galeazzo prese per una
spalla il fratello, intuendo la sua voglia di saltare addosso al
Borgia:<< vi ringraziamo dal più profondo del nostro cuore, Duca Valentino…
>> disse:<< vorremo prendere congedo da voi, ora, se ci è permesso…
>> disse con garbo.
Cesare ringhiò un assenso,
infine, mentre i due fratelli stavano per lasciare la sala, li bloccò con una
parola:<< vostro fratello resterà a Faenza, ci potrebbero essere
insurrezioni, è bene che i contadini abbiano un punto di riferimento! >>
sbottò seriamente, nella direzione di Gian Galeazzo. Desiderava la sua
approvazione più di quella di chiunque, Dio, parlava per mezzo di lui, ne era
certo:<< in quanto a voi… >> riprese a dire:<< se siete
davvero un buon politico come andate dicendo, allora qui siete sprecato,
verrete a Roma con me! >> spiegò:<< sarete presentato al Papa come
un infedele convertitosi, poi sarete al mio servizio! >> concluse
d’impulso, senza troppi altri giri di parole.
Per un attimo, gli occhi di
Gian Galeazzo scintillarono, empiti d’orgoglio e ammirazione. Addirittura a
Roma. Sarebbe stato il fidato servo di Cesare Borgia, nella sua stessa dimora,
presentato al suo stesso padre. Sperava in una duratura alleanza con il Duca
Valentino, ma addirittura Roma… non si sarebbe mai aspettato una cosa simile.
<< Vi ringrazio, mio
signore… >> disse inchinandosi profondamente mentre Astorre, sprezzante,
usciva dalla sala con fragore.
<< Si prende gioco di
te! >> sbottò Astorre, paonazzo in volto, per via della rabbia
crescente:<< e anche di me! >> urlò.
<< Calmati, fratello!
>> replicò con calma Gian Galeazzo:<< avrebbe potuto ucciderci,
invece, ci offre un’ occasione così tanto favorevole e generosa… >>
disse:<< cos’hai contro di lui, si è dimostrato generoso quando poteva
non esserlo! E’ un uomo giusto, degno di fiducia, e dei nostri servigi…
>> spiegò seriamente, fissando con sguardo piatto il fratello, che pian
piano si stava ricomponendo.
Con passi lenti e gravi,
Astorre si avviò verso il fratello, e con calma, gli poggiò una mano sulla
spalla e gliela strinse, fissandolo dolcemente, aprendosi in un sorriso un poco
forzato:<< sei sempre stato il più ragionevole tra i due! >> disse,
sorridendo un poco più sinceramente. Gian Galeazzo si aprì a sua volta in un
abbozzo di sorriso, che comparve di lato sulle sue labbra.
<< Come farò senza di
te! >> disse infine Astorre, stringendolo in un abbraccio caldo e
famigliare, ma allo stesso tempo mascolino ed impacciato. I due fratelli erano
sempre stati molto differenti, eppure, erano sempre riusciti a superare tutte
le avversità che si erano presentate loro davanti. Unendo le loro forze.
Il Borgia, tuttavia, pareva
essere un ostacolo troppo forte da poter esser superato, perché dalla sua parte
aveva una certa follia innata, che lo avvicinava al male più puro, e che allo
stesso tempo, lo faceva somigliare ad un ottimo messo di Dio.
Il suo tormento, avrebbe
fatto gli interessi di molti. Gian Galeazzo ne era certo.
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Capitolo 3 *** Capitolo III ***
Capitolo III
Roma era caotica.
Il regno del caos, dove Satana,
e i suoi servitori, potevano muoversi liberamente.
Si insinuavano nel cuore e nella mente.
Bramando potere
come i Borgia.
***
Roma, 1500 A.D.
Il Rampollo di Castel Sant’ Angelo,
è rientrato nella capitale,
in compagnia di Gian Galeazzo Manfredi.
La Roma che si presentò ai
suoi occhi, era una grande ed incivile moltitudine di corpi, case, strade e
voci.
Il caos che vi regnava era
ben lontano dalla civile e ben organizzata ‘Roma’ di cui aveva sentito parlare.
Castel Sant’Angelo spiccava
in controluce, oltre la striscia scintillante ch’era il Tevere. Era una
costruzione ampia, ed il colore dei suoi mattoni accecava ed empiva lo sguardo,
come se non vi fosse altro da osservare.
Aveva ammirato miriadi di
costruzioni magnifiche da quando era nella capitale della Santità, visto
palazzi, case, castelli, sculture della Roma antica. Tutto quello che l’occhio
umano doveva ammirare, era Roma. Niente più. Roma, Roma e ancora Roma. Da un
orizzonte all’altro, incontrastata, indefinita, forte, sonora. Incorniciata
magnificamente dalla striscia del Tevere, che brillava alla luce dorata del tardo
sole del pomeriggio.
Il Borgia ebbe un
accoglienza regale, una volta giunto a Castel Sant’Angelo, eppure, parve sprezzare
quel comportamento. Rimase in compagnia dei suoi consiglieri e dei suoi paggi
il minor tempo possibile, ritirandosi velocemente come un’ombra, nelle sue
stanze.
Il Manfredi vagò per lungo
tempo tra le vie della capitale Santa, osservando estasiato i colori, le
strade, le case. Ascoltando con piacere le voci gioiose, cercando di non
sentire, tuttavia, le urla di disperazione della povera gente, le suppliche dei
malati. Sapeva bene che tutto quel tormento non avrebbe fatto altro che
ricordargli la sua amata Faenza, ancora semi distrutta dall’orda papale che il
Borgia aveva fatto sfilare per tutta la Romagna.
Aveva tuttavia la sensazione
che il Male stesse seguendo i suoi passi, tracciando orme scure per le vie.
Alzando gli occhi, poteva vedere solo uno squarcio di cielo sopra di sé. Gli
mancava l’aria salmastra che spirava sopra la sua Faenza, il cielo adamantino,
azzurro come non si poteva nemmeno immaginare. Le nuvole bianche gli
rammentavano la spuma del mare, mentre a Roma, le nuvole erano soltanto
portatrici di pessimo auspicio.
Vagabondando così, per i
sobborghi della città, s’era dovuto costringere a non guardare altro che la
punta dei suoi stivali, sotto i quali, correva la strada lastricata. Non poteva
alzare lo sguardo, non voleva. Le prostitute lo avrebbero circondato,
toccandolo, infettandolo. I borseggiatori l’avrebbero assalito, trascinandolo
via, e la voce della disperazione dei poveri, gli avrebbe fatto piangere il
cuore.
Roma era il luogo ideale,
ove i servitori di Satana, potevano muoversi indistinti tra la gente, tessendo
le loro ragnatele di male e oscurità attorno ai cuori, dentro le membra, nella
mente.
Il Borgia ringhiò e fremette
per la rabbia, prendendosi tra le mani il volto, graffiandolo. Il suo viso era
purpureo, e gli occhi falcati erano ridotti a delle linee sottili, dalle quali
divampava un incendio.
Non vi era ordine nella sua
mente, come non ve n’era nel suo cuore, o nella sua anima. Tutto il suo Essere
era squassato da profonde indecisioni e dalla rabbia bruciante, che si
manifestava con brividi a fior di pelle, che gli facevano tremare violentemente
le mani, come un forsennato.
Un urlo strozzato e cupo
scaturì dal fondo della sua gola, e per l’ennesima volta, si strinse le gote
tra le dita, infilando le unghie nella carne, come se volesse strapparsi la
pelle dalle ossa.
Sentiva il bruciante
desiderio della battaglia ch’ ardea nel fondo del suo cuore, facendolo fremere
in profondi spasmi di rabbia. Quanto desiderava impugnare la spada e fare
strage di corpi, di tutto avanti a sé!
Aveva sempre sentito che
dentro di lui, v’ea qualcosa di diverso, di sbagliato, di crudele, che
avvampava nella sua carne, dandogli la forza di vivere, incoraggiandolo a
trarre l’ennesimo respiro.
Odiava quel sentimento vile
e putrido, ma al contempo, non poteva evitare d’assecondarlo. L’aveva
assecondato quando aveva deciso di ritornare al suo stato laico, e quello era
stato il suo più grande errore.
Abbandonando la via del
Signore, aveva lasciato che quei sentimenti ingrati vagassero liberi dentro di
lui. Lo invadevano, investivano, schiaffeggiavano come il vento tra i capelli,
e allo stesso tempo, lo carezzavano, colmandolo
di tal gioia, che al paragone, una vita intera non avrebbe mai potuto offrire.
Quel tale, effimero piacere con cui si dilettava tutti i giorni, lo attraeva,
coinvolgendolo in una danza magnifica e sensuale, alla quale non poteva
resistere.
Nel profondo sapeva di amare
quella danza, e i sentimenti, erano più forti di qualsiasi altra cosa. Tuttavia,
nella mente, era conscio di non poter essere realmente attratto da quelle
finzioni.
Auspicava con tutto sé
stesso, che quella situazione terminasse. Le sue insicurezze lo rendevano
debole agli occhi degli altri, come ai suoi stessi occhi.
Sentiva che Satana lo stava
inevitabilmente traendo a sé, sempre più in basso, nel tetro più profondo. Lo
conduceva, giorno dopo giorno, ad un passo dal baratro, e la sua più grande
paura, tuttavia, non era cadervi dentro, ma restarne sull’orlo. Nella sua caduta
eterna, avrebbe incrociato percezioni magnifiche, che lo facevano fremere al
solo pensiero. Restare in bilico sul quel baratro, significava passare un altro
giorno ancora in quello stato di rabbia e di gioia, in quella decisa sensazione
di desiderio e di repulsione verso il male; strisciante e chiassosa nel suo
cuore, ingombrante nel suo animo.
I suoi muscoli si gonfiarono
ancor più, arroventati dal suo animo furente, dandogli la sensazione che
presto, la pelle si sarebbe staccata dalle ossa, per farlo bruciare eternamente
nel suo mare di peccato.
Avrebbe dovuto seguire la
sua via Divina, al fianco di Nostro Signore, quando ancora aveva la possibilità
di farlo. Ma no, lui bramava di più, qualcosa di più rozzo e virile,
irraggiungibile e allo stesso tempo vicinissimo. Aveva desiderato per tutta la
sua vita qualcosa che non avrebbe mai potuto avere, ed ora, che poteva
rinnegare quel suo bisogno, non ne aveva la forza. O forse, non voleva… Gli
piaceva crogiolarsi su quel baratro, perché gli donava la sensazione di essere
vivo. La sua vita era piatta, priva di sentimenti, senza quei dubbi che lo
dilaniavano.
Il suo animo impuro era la
sua più grande dannazione, e allo stesso tempo, lo coinvolgeva in una così tale
gioia, che lo innalzava ad una luce infinita, dandogli l’illusione effimera di
poter toccare Iddio con mano.
Non sentiva più la voce del
Signore nella sua mente, eppure, gli pareva di essergli vicino, perché ambedue
loro, combattevano contro il male.
Per qualche attimo, che
parve infinito, si accorse di volgere in uno stato di totale furia ed
abbandono, come mai prima gli era capitato. Non tollerava le voci che
provenivano di sotto le finestre, non tollerava il suo stesso respiro, ed i suo
digrignare i denti. Non poteva sopportare i suoi respiri affannati e sperduti,
perché vedeva in essi solo un ennesimo segno di debolezza e peccato. Perché Dio
gli aveva dato la possibilità di vivere, quando aveva poi dannato la sua
esistenza?
L’ennesimo urlo sommesso
scaturì dal fondo della sua gola, e mentre intorno a lui pareva che il silenzio
riprendesse a regnare, avvertì un calore infinito alle membra, e un brivido che
increspò superficialmente la sua pelle. Avvertì il sudore che gli imperlava il
volto, ed ebbe la percezione di essere nudo al cospetto di Nostro Signore,
arso, allo stesso tempo, dal furore di Satana.
Urlò ancora con tono cupo,
infine, si sentì febbricitante ed esausto, come se nemmeno avesse più la forza
per pensare.
D’un tratto, il suo sguardo
fu rallegrato da una forte luce dorata, e davanti ai suoi occhi si materializzò
la sua amata Roma. Le vie in fermento, le voci festanti, le magnifiche opere
d’arte e d’innanzi a lui… Dio. Il volto più angelico che avesse mai visto aveva
le sembianze di un uomo giovane, dalla barba rada, ed occhi castani, profondi e
caldi, che gettavano l’animo in un dolce tepore.
Le labbra del Borgia si
schiusero lentamente in un espressione stupita, ma troppo martoriata per essere
decifrata. Trasse un sussurro lento e travagliato, infine, dalle sue labbra
rosee scaturì un sussurro dolce e tenue.
<< Dio ti ringrazio…
>> e nulla più.
<< Santo Cielo, mio
signore!? >>
La scossa che inflisse alle
membra mollicce del Borgia non servì per ridestarlo dallo stato d’incoscienza
nel quale era sprofondato. Dalle labbra del Duca scaturì un leggero rantolo,
infine, parve essere morto.
<< Chiamate un
cerusico, presto! >>
***
Davanti ai suoi occhi non
v’era nulla, se non un unico, immenso ed infinito cielo azzurro. L’aria che
respirava era fresca, e un brezza gentile gli accarezzava le membra, donandogli
la piacevole e stravagante sensazione d’esser ignudo.
Non aveva mai pensato di
poter essere colmato di un tale entusiasmo, e ne bramava ancor più. Gli pareva
d’essere nel Regno dei Cieli, là, dove solo i Santi, Iddio e suo figlio
potevano risiedere. La sensazione di torpore gli scendeva sulle membra e
felice. Un tempore, attorno al suo corpo lo rassicurava, gli pareva di dormire,
eppure, sapeva di non stare riposando.
Era morto, ne era certo.
Quello era il Paradiso,
cos’altro?
Vagò in quei dolci pensieri
per attimi infiniti, poi, si rese conto di avere gli occhi chiusi.
Le palpebre serrate gli impedivano
di vedere, eppure, riusciva a distinguere chiaramente i cielo e le nuvole
candide. Il suo corpo continuava ad essere rinfrescato da una brezza gentile, e
allo stesso tempo, tenuto riscaldato da un velo invisibile. Di lontano,
proveniva una luce dorata, che pareva diventare attimo dopo attimo più intesa,
andando delineando sempre più nettamente una sagoma.
Ripensò a quanto gli
piacesse essere là, oltre il tempo. Era un luogo di pace, dove non esisteva
tempo, non esisteva nulla. Tutto si sgretolava tra le sue dita, si scioglieva
nella sua mente, e gli unici pensieri della sua testa erano felici e
spensierati, come quelli d’un bambino, ingenui e puri, come non lo erano mai
stati prima.
Si accorse che il suo cuore
batteva, sigillato entro il suo petto, e per qualche istante ne ascoltò il
ritmo rimbombare nelle orecchie, poi, si chiese come potesse, un morto, avere
un cuore che batte.
Non era dunque morto?
Fissò ancora per qualche
attimo il cielo sopra di sé, infine riacquistò la percezione di avere le
palpebre chiuse.
Mentre il suo respiro
aumentava per via dell’indecisione, fece scorrere gli occhi sulle nuvole, sul
cielo, e sulla sagoma dorata, e gli parve di riconoscervi il volto di Nostro
Signore.
Il suo cuore mancò un
battito, e colto dalla paura prematura di non essere abbastanza puro per poter
incrociare lo sguardo divino, fece l’istintivo atto di spalancare gli occhi…
La luce che regnava nel
luogo ove aveva giaciuto scomparve, e d’un tratto, una luce fioca lo invase.
Avvertì le coperte che lo avvolgevano
in parte, lasciandogli il torso nudo, e la brezza fresca del mattino, che
penetrava dalla finestra, dalla quale proveniva l’accecate bagliore del sole
romano.
Si accorse di essere
sveglio, ma non poté fare a meno di pensare che quello che stava vivendo in
quel preciso istante, fosse solo un sogno e nulla più.
Riconobbe lentamente la sua
stanza da letto, e nel soffitto della camera ammirò l’affresco paradisiaco,
constatando con un misto di orrore e stupore, che il paesaggio divino che
vedeva, era identico a quello nel quale era finito dopo ch’era morto. Era
buffo, non avrebbe mai potuto pensare che da morti si potesse sognare d’essere
vivi. Aveva spesso sognato la sua morte, quand’era vivo, ma quel cambio
prematuro lo spiazzava completamente. Per qualche attimo, pensò di non essere
realmente morto, infine, il suo rimuginare fu interrotto da un volto
sconosciuto, ma al contempo famigliare.
I capelli bruni, e gli occhi
marroni, abbinati col volto giovane gli ricordavano qualcuno. Qualcuno di
importante.
<< Mio signore!
>> quelle parole giunsero ovattate alle sue orecchie, infine, nella sua
mente riprese ad essere ben chiaro il significato di quella frase, e la
connotazione di quel viso.
D’impulso irrigidì i
muscoli, e si alzò a sedere, mentre i capelli biondi gli ricadevano sulla
fronte imperlata dal sudore. Si sfregò le mani, e si rese completamente conto
di essere vivo, e di possedere un corpo. Sfiorò le coperte con le dita, e ne
avvertì la ruvidità, riprendendo consapevolezza delle sue membra.
Non era morto, e non stava
nemmeno sognando.
Nella sua mente si
affollarono pensieri sconnessi, immagini irrazionali e stravaganti, mentre la
realtà lo invadeva in un attimo.
<< Mio signore, state
bene? >>.
Si rese conto che nel suo
capo visivo era ancora ben presente quell’uomo e con indecisione, schiuse le
labbra per parlare, mentre lo fissava con i suoi occhi di falco.
<< Gian Galeazzo…?
>> mormorò lentamente, mentre nelle sue orecchie iniziavano a farsi
sempre più forti le voci che provenivano da oltre la finestra spalancata. Quel
rumore lo infastidiva, lo opprimeva, gli pareva di essersi appena risvegliato
dopo un sonno lunghissimo.
<< Chiudi la finestra…
>> sbottò intorpidito:<< te ne prego… quel rumore mi da alla
testa…! >>.
In un attimo, il giovane
Manfredi richiuse la finestra, e si riposizionò nel campo visivo del
Borgia:<< Mio signore, perdonate, faceva caldo qui dentro, e v’era aria
viziata… >> spiegò gentilmente il giovane accomodandosi su una sedia, al
fianco del letto.
Il Borgia sorrise debolmente
a quelle parole, non gli era mai piaciuto restare rinchiuso in un luogo
opprimente per troppo tempo. Adorava l’aria, la gente, il chiasso, perché gli
impediva di sentire i suoi stessi pensieri tormentati. Eppure, in quel momento,
le voci erano intollerabili alle sue orecchie, non aleggiava nessuna
riflessione per la sua testa, solo la confusione più totale, e quelle voci, non
facevano altro che aumentare la sua indecisione.
<< Come vi sentite?
>> chiese lentamente il Manfredi, sporgendosi un poco in avanti sulla
sedia.
<< Che giorno è?
>> sbottò leggermente irritato l’altro, senza dare troppo conto alla
domanda del giovane.
<< Domenica, mio
signore, qualche ora dopo l’alba… >> spiegò con garbo il Manfredi,
trattenendo l’irritazione per l’indifferenza del Borgia nei rispetti della sua
domanda.
<< Domenica…? >>
farfugliò il Borgia, abbassando lo sguardo sulle lenzuola, frastornato.
<< Sì, mio signore,
avete dormito per tre giorni… >> si affrettò ad aggiungere il
giovane:<< avevate la febbre, e siete svenuto, siete stato per lunghi
giorni in bilico tra la vita e la morte… >> disse leggermente
rammaricato.
<< Morte… >>
mormorò il Borgia, quasi riflettendo senza pensieri. Nella sua mente rimbalzava
solo quella parola, nulla più. Gli pareva di meditare profondamente, eppure,
nella sua testa non v’era nessun pensiero.
<< Vi sentite bene,
mio signore? >> chiese per l’ennesima volta Gian Galeazzo.
Il Borgia riprese a
fissarlo, con sguardo insolitamente vuoto e gentile:<< frastornato…
>> disse infine:<< come se un cavallo mi avesse calpestato…
>> aggiunse:<< stanco… >> fece una pausa ed il suo sguardo
parve vagare per il nulla:<< come se avessi sostenuto mille battaglie…
>>.
Il Manfredi continuò a
fissarlo intensamente, il viso del Borgia rilassato era ancora più bello di
quello che ricordava. Gli occhi erano spenti, ma trasudavano una tale bellezza
da lasciarlo senza fiato. I capelli bagnati dal sudore aderivano alla fronte,
incorniciando assieme con la barbetta rada il volto. Le membra erano imperlate dal
sudore, ed il fisico così armonioso e scolpito, da attrarre ed eccitare alla
sola vista.
Non vi era nulla di
sbagliato nel fisico, né di più perfetto si poteva ammirare oltre che lui.
<< E’… normale, mio
signore… >> spiegò leggermente inquieto Gian Galeazzo:<< avete
avuto la febbre e le convulsioni per quasi tre giorni consecutivi, avete
delirato tanto, e i vostri incubi devono avervi straziato fisicamente, quanto
mentalmente… >> spiegò con voce leggermente più ferma.
Il Borgia continuò a
fissarlo, ascoltandolo attentamente, anche se nella sua testa, le parole del
giovane si disfacevano come aria.
<< Avete vegliato su
di me per tutto questo tempo? >> sbottò infine, distogliendo per qualche
attimo lo sguardo.
Il Manfredi sgranò gli
occhi, non riusciva a comprendere come, il Borgia, potesse essere così poco
consapevole:<< Sì, mio signore… >> rispose:<< vostra moglie è
stata al vostro capezzale per giorni, ma si è ritirata ieri notte per riposare…
le guardie sono restate qui tutti i giorni della vostra malattia… >> spiegò
con garbo, anche se un poco contrariato.
Il Borgia fece un cenno con
la mano di tacere, mentre avvertiva il battito del suo cuore regolare nel
petto. Non se n’era ancora reso conto, ma per la prima volta dopo mesi, il suo
cuore batteva regolare, e la sua mente era sgombra da immondi pensieri. Ricordò
la pace che aveva avvertito quando si trovava immerso nella sua
incoscienza, e lo sguardo di Dio, tanto
simile a quello del Manfredi che ora gli parlava.
In quel tempo non era morto.
Era rinato.
<< Gian Galeazzo!
>> esordì, alzando lo sguardo raggiante, mentre il Manfredi, lo vedeva
illuminarsi d’oro, come fosse un angelo.
<< Voi mi avete
salvato! >> disse ad alta voce:<< Dio mi ha perdonato! >>
aggiunse, allargandosi in un sorriso raggiante, sciogliendosi in una risata
gioiosa, come quella d’un fanciullo.
Il Manfredi lo fissò per
qualche attimo. La sua bellezza era esaltata da quel sorriso squisito, e la
purezza del suo animo, pareva avvolgerlo in una luce dorata, ancora più forte
di prima.
<< Avete detto che è
Domenica, vero?! >> sbottò infine, troncando di netto la sua risata,
fissandolo con occhi folli, ma magnifici, afferrandolo per la spalle.
<< Sì mio signore…
>> rispose Gian Galeazzo, fissandolo, come rapito.
Gli occhi del Borgia si
accesero, ed il suo volto fu solcato dall’ennesimo lieto sorriso.
<< Preparati, amico
mio… >> esordì l’uomo:<< andremo a messa! >>.
<< Ma mio signore voi
non… >> Gian Galeazzo cercò di replicare, ma il Borgia lo bloccò con un
cenno irritato della mano, ed il Manfredi, per non turbare quella bellezza
gioiosa si interruppe di colpo. << Come desiderate, mio signore… >>
disse con un filo di voce.
<< Gian Galeazzo!
>> lo bloccò il Borgia, mentre quest’ultimo stava per alzarsi:<<
chiamatemi Cesare, amico mio! >>
***
Rieccoci qui...
Sono un po' arrugginita per quanto riguarda gli
'angoli autrice', anche perchè non aggiungo da tanto, e non mi
ricordo mai di andare a fine capitolo per aggiungere/aggiornare questa
parte... comunque, mi sembrava doveroso e ossequiso per la fiducia e
per il vostro tempo perduto, leggendo e recensendo, farvi dei
ringraziamenti formali.
Vi ringrazio calorosamente, Morgan_ e
Rondinella, per avermi lasciato commenti generosi e sotto ad un certo
punto di vista, importanti, visto che per me questo scritto vale
molto...
Grazie molte, alla prossima...
Hivy...!
|
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Capitolo 4 *** Capitolo IV ***
Capitolo IX
Era uno spirito angariato.
Il suo animo era indomabile,
come quello di tutti
i Borgia.
***
Roma, 1501 A.D.
Il rampollo di Castel Sant’Angelo
è nella Capitale Santa.
<< Cesare! >> la
voce che lacerò il silenzio non lo infastidì. Il solo avvertire quel tono
allegro ed esaltato nella voce delle persone che lo circondavano lo metteva di
buon umore. Non aveva mai più indugiato in pensieri immorali o blasfemi da
quando era tornato a Roma, un anno addietro.
<< Cesare! >> la
voce appariva man mano più vicina, e il tono di gioia non si perdeva più per
nel vento, ma restava compatto e penetrava nelle sue orecchie come musica.
<< Cesare! >> al
terzo richiamo di quella melodia non poté evitarsi di fermare il suo cammino
per voltarsi con veemenza nei gesti. Di lontano, appariva contro la luce del
sole la sagoma di un uomo in corsa, che gli veniva in contro, seguendo, come
aveva fatto lui, il corso dello scintillante Tevere. Il sole indorava la
superficie cristallina dell’acqua e tingeva d’oro tutta Roma, facendola
risplendere preziosa come un diamante, romantica, come appariva sempre.
Mentre attendeva che l’uomo
fosse più vicino a sé, si soffermò nell’osservare il cielo rosseggiante, e
l’empireo più in alto, azzurro e vacuo. Aveva abbandonato la strada del Cristo,
e la sua vita era caduta nella distruzione dell’animo, erosa dalla rabbia,
dalla lussuria, dall’invidia, dalla bramosia. Eppure, Dio aveva sempre vegliato
su di lui, dandogli un ultima speranza, un ultima possibilità di redenzione, quando
nessun altro l’avrebbe mai perdonato Dio lo aveva fatto. Era rinato, quella
domenica di un anno prima, e da allora, la sua vita era nettamente migliorata.
Fece scivolare il suo
sguardo per il cielo, sulla superficie dell’acqua, ed infine, fissò la sagoma
ormai più prossima a raggiungerlo.
In un attimo, un giovane
uomo gli fu davanti, con gli occhi infiammati dall’ardore e dall’emozione, ed
un sorriso infantile sul volto.
<< Cesare! >>
esordì l’uomo, con il fiato corto per via della corsa, ed il viso imperlato da
un poco di sudore.
<< Gian Galeazzo,
amico mio! >> disse il Borgia, cingendogli le spalle con un braccio,
riprendendo a camminare lentamente al suo fianco.
<< E’… è arrivata una…
è… >> le parole gli mancarono per via del fiatone e dell’emozione.
<< Calmati, amico mio!
>> sbottò il Borgia, intensificando la forza della stretta sulle spalle
dell’amico, incoraggiandolo a ricomporsi:<< hai buone nuove da Faenza?
>> chiese poi, fissando con intensità il foglio che il Manfredi stringeva
in pugno.
L’uomo alzò il capo e fissò
il Borgia con furore, aprendosi in un sorriso sollevato e canzonatorio:<<
lo hai fatto di proposito?! >> sbottò tra una domanda e un’affermazione
euforica. Da quando era giunto a Roma, mille cose erano cambiate. Cesare era
cambiato, innalzando ancor più il suo animo a Dio, era veramente l’emissario di
Nostro Signore in terra. Pregava ogni giorno, almeno cinque volte ogni dì,
parlava come fosse un angelo, e la sua bellezza, pareva crescere ora dopo ora.
Gian Galeazzo aveva trovato un ottimo amico nel Borgia, anche se spesso, stare
accanto all’uomo, gli provocava gravi dilemmi.
Cesare era il suo migliore
amico, ma non si spiegava la prematura apprensione e la gelosia che provava,
era qualcosa di profondo che lo legava al Borgia… Dapprima, era un sentimento
vacuo ed effimero, poi, s’era intensificato, e non passava giorno in cui non
crescesse. Non era un semplice amicizia a legarli, e Gian Galeazzo ne era
spaventato, ma allo stesso tempo felice. Quella dolce e leggera eccitazione che
lo coglieva quando vedeva Cesare era per lui un calore innegabile, qualcosa che
non poteva, e non doveva mancare. Era la forza che faceva susseguire un respiro
ad un altro, la gioia che gli faceva battere forte il cuore quando era accanto
a lui.
<< Gian Galeazzo,
amico mio… >> disse con tono sarcastico il Borgia, picchiettando
gentilmente la spalla dell’uomo:<< lo ammetto! >> disse poi,
aprendosi in un sorriso:<< ho organizzato tutto io! Non potevo più
sopportare la tua orribile faccia martoriata dalla nostalgia! >> spiegò
ridendo, contagiando d’euforia crescente anche l’amico sotto il suo tocco
benevolo e gentile.
<< Non potendo portare
Faenza a Roma, e non potendoti lasciare andare, ho deciso di invitare Astorre
anch’esso a Roma! >> disse sorridendo.
<< Sei un folle,
Cesare! >> sbottò Gian Galeazzo, sorridendo, ma senza poter evitare di
manifestare imbarazzo e disappunto:<< chi resterà a Faenza, mentre
Astorre si reca a Roma? Lasceremo la città senza un comando? >> disse
increspando allora la voce in una genuina preoccupazione.
<< Oh, Gian Galeazzo!
>> sbottò il Borgia:<< quanti problemi riesci a porti? Astorre non
è un folle, lascerà certamente qualcuno al comando della città, e poi, il suo
soggiorno sarà breve! >> disse.
A quelle ultime parole, il
Manfredi parve incupirsi un poco, aveva molte cose di cui parlare con il
fratello, e avrebbe desiderato che il suo soggiorno a Roma fosse eterno.
<< Cosa ti angustia,
ora, amico mio? >> disse d’impulso il Borgia, notando la sua crescente
preoccupazione.
Gian Galeazzo scosse la
testa, quella voce era tanto perpetua da impedirgli di replicare, ma
soprattutto, era capace di infiammare il suo animo. Erano giorni, mesi, che non
riusciva a stare senza sentire la virtuosa ed angelica voce del Borgia.
<< Non ti devi
angustiare, amico mio… >> disse il Borgia, battendo più forte sulla
spalla del Manfredi:<< Astorre resterà a Roma il tempo necessario,
capisco come ti possa sentire, non lo rivedi da un anno… >> rassicurò con
voce delicata.
Gian Galeazzo lo fissò e
sorrise, contagiato dall’ennesimo sorriso dell’amico. Amava il volto del
Borgia, aveva la capacità di farlo sentire bene e felice. Non era una sua
fantasia, v’era un legame forte tra di lui e Cesare Borgia, e nel profondo,
avvertiva che anche l’altro la pensava allo stesso modo. V’era qualcosa di
mistico nel silenzio di mille parole che avrebbe desiderato dirgli.
<< Rallegrati, amico
mio! >> esordì il Borgia:<< presto i Manfredi saranno nuovamente
insieme! >>
***
<< Ah, fratello!
>> la voce tonante e preoccupata di Astorre Manfredi risuonò lentamente
per la stanza, mentre il suo sguardo scivolava sul fratello, che era retto
davanti a lui.
<< Sei giovane, Gian
Galeazzo… >> disse, con calma sorprendente. Gian Galeazzo non avrebbe mai
pensato di poter percepire una tale calma nella voce del fratello. Astorre era
cambiato molto durante quell’anno, e la sua reazione l’aveva confermato. Pareva
essersi, finalmente, capacitato di sé stesso, ed avere preso il controllo delle
proprie emozioni viscerali.
<< Dimmi Astorre, cosa
devo fare? >> chiese seriamente il più giovane tra i fratelli, prendendo
a fissarsi la punta degli stivali.
Astorre restò il silenzio
per qualche attimo. Non si sarebbe mai
aspettato quella rivelazione, ma non poteva dimostrarsi ingenuo, Gian Galeazzo
era suo fratello, tutto ciò che gli restava della sua famiglia, non poteva
abbandonarlo. Per quanto la sua capacità di autocontrollo fosse stata messa a
repentaglio e la sua repulsione crescesse, avrebbe fatto tutto ciò ch’era in
suo potere per dissuadere Gian Galeazzo, per farlo tornare in sé.
<< Devi confessarti,
fratello mio… >> disse seriamente, ricordando le divine inclinazioni del
fratello, posandogli contemporaneamente una mano di conforto sulla spalla,
stringendo con le dita sulla sua casacca blu.
Gian Galeazzo, suo fratello era
giovane, inesperto, non avrebbe mai dovuto lasciare che il Borgia lo portasse
via con sé; che lo allontanasse dal suo sguardo e dalla sua protezione. Si
rimproverò repentinamente. Per saziare la sua rabbia e per via del suo scarso
autocontrollo ora suo fratello era pervaso dalla malattia più grave e orrenda
che si potesse mai contrarre, la piaga dei Borgia.
Chissà quali stravaganti
idee il Valentino aveva inculcato nell’ancora giovane e malleabile mentre di
suo fratello. Chissà come Roma e tutti i suoi vizi, i suoi giochi, i suoi
tranelli e le sue oscenità avevano modificato e distrutto le difese spirituali
e morali di Gian Galeazzo.
Il Valentino aveva preso
ancora una volta il sopravvento. Li aveva ingannati con sapienza ed eleganza, ed
alla fine, il suo gioco li aveva sopraffatti. Cesare Borgia era arrivato là, dove
il cuore di Faenza batteva forte, ove gli impulsi non potevano più essere
controllati. Li aveva separati. Li aveva messi contro l’un l’altro. Li aveva
divisi, frapponendo tra loro la sua lama ed il suo fascino, le sue lusinghevoli
parole. Li aveva distrutti; e con loro anche l’onore di Faenza era caduto. Cosa
avrebbero raccontato i posteri in altre epoche? I due fratelli Manfredi
disonore della famiglia, caduti nell’inganno orrendo di un uomo ancora più
ignobile e raccapricciante delle sue stesse parole. Gli Angeli di Dio caduti
sotto i colpi del Figlio di Satana.
Dio solo, poteva salvarlo,
ma Astorre, sapeva sin troppo bene che l’Onnipotente aveva smesso di
presenziare presso il Vaticano da quando Rodrigo Borgia e tutta la sua schiera
di bastardi avevano flagellato le linee celesti degli angeli buoni per
sprofondare nel decadente.
Trattenne a stento la sua
ira. In fin dei conti era colpa sua. Avrebbe dovuto combattere, non lasciarsi
convincere a negoziare. Avrebbe dovuto proteggere suo fratello, e Faenza, ma
non l’aveva fatto. Era colpa sua, il Borgia non era stato altro che più astuto
di lui.
Cadde un pesante silenzio tra i due, ma in un
attimo, Gian Galeazzo alzò il capo e sgranò gli occhi, fissando il fratello
contraddetto:<< sei uscito di senno, Astorre? >> sbottò
divincolandosi dalla presa del consanguineo.
<< No, fratello!
>> sbottò l’altro, fissandolo intensamente, con volto che non tradiva
alcuna emozione.
<< Dimmi, Astorre!
>> sbottò famelico Gian Galeazzo, incupendosi di colpo:<< riveleresti
mai a Cesare che giaci con sua moglie?! >> sbottò, puntandogli contro un
dito:<< nel suo stesso letto, per giunta?! >> disse infuriato, come
non era mai stato, ed in quell’urlo riconobbe quell’animo incontrollabile che
aveva caratterizzato tanto allungo suo fratello. Il suo animo era spezzato in
due metà che parevano non poter coincidere.
<< No! >> sbottò
Astorre, alzando un poco la voce, scaldatosi a sua volta:<< no… >>
ripeté con più calma, stringendo i pugni lungo i fianchi, perdere le staffe non
era la cosa giusta da fare.
<< Non capiterà mai
più! >> disse poi, con voce più bassa, fissandosi nervosamente attorno,
nessuno doveva ascoltare quella conversazione, mai. Il Borgia, per quanto magnanimo lo ritenesse
Gian Galeazzo, e per quanto si fosse ammansito in quell’anno, possedeva sempre
quel suo animo di vendicatore che lo aveva reso indissolubilmente ed
orribilmente noto.
<< Devi credermi, Gian
Galeazzo! >> disse poi, prendendolo saldamente per la spalle,
costringendolo a fissarlo:<< è stato un errore, non capiterà mai più!
>> disse serio.
Gian Galeazzo parve meditare
per qualche attimo su quelle parole, eppure, nella sua mente, tutto era chiaro.
<< Lo dicesti anche due settimane orsono, fratello! Quando vi trovai io
stesso a giacere insieme! >> sbottò irritato, senza trovare la forza di
divincolarsi, o di biasimare seriamente il fratello. Anche lui, in quei giorni
di smarrimento aveva pensato cose indicibili, procurandosi piaceri illegittimi
e blasfemi, che avrebbe fatto fatica a confidare, perfino a Dio stesso.
<< Sei qui a Roma da
due mesi, Astorre, e già ti scavi un buco nel letto delle donna di un altro?
Nel letto della moglie del tuo protettore? >> disse in un sussurro,
mentre le lacrime gli arrossavano gli occhi.
Astorre abbassò il capo e lo
scosse, facendo oscillare nell’aria la capigliatura bruna. Aveva sbagliato, lo
sapeva, ma Gian Galeazzo non era certamente meno responsabile di lui.
<< Non mi puoi biasimare,
fratello! >> sbottò infine, digrignando i denti. Quello che gli aveva
confessato Gian Galeazzo era molto più grave di un tradimento carnale con la
donna di un altro.
<< Io amo Carlotta
d’Albret! >> sbottò infine Astorre, in preda all’ira crescente, come
poteva sua fratello giudicare? Come?
<< Come fai a dire una
cosa del genere? >> sbottò al culmine della rabbia e del dolore Gian
Galeazzo, l’incomprensione di suo fratello era ciò che più lo feriva.
<< Come fai tu a
giudicarmi, fratello? >> urlò, spintonandolo iracondo Astorre: <<
Come? >> urlò ancora, con calde lacrime di rabbia che gli bruciavano
attorno agli occhi: << Con quale criterio osi dire a me che non posso
amare una donna, quando per lo meno, io amo una donna! >> sbottò tra i denti, in un ringhio furioso che aveva
tutto l’aspetto d’essere una rinfacciarsi di eventi frustrati.
<< Una donna, hai
capito! >> saettò un attimo di silenzio << Non un uomo… pederasta! >> sibilò, in prossimità
dell’orecchio del fratello, mentre gli occhi di Gian Galeazzo si infiammavano
di pianto.
Il silenzio calò sui due, e
per l’ennesima volta, Astorre, ribollì per la rabbia. Cesare Borgia gli aveva
rubato tutto. Faenza era sua di diritto, eppure il Borgia gliela aveva
strappata dalle mani ed ora, era riuscito anche a portargli via l’affetto del
fratello, facendolo sprofondare nel peccato, portandolo con sé sulla via di
Satana.
Digrignò i denti, infine,
suo fratello si divincolò dalla presa delle sue mani, e in un attimo, sentì la
sua voce ronzargli nelle orecchie, mentre si allontanava:<< Non saprà
nessuno del tuo segreto, fratello! >> disse Gian Galeazzo:<< ma non
puoi evitare che nessuno sappia del mio! Dirò tutto a Cesare, adesso! Mi
confesserò, e seguirò quindi il tuo consiglio… >> gli disse, come se volesse
rinfacciargli qualcosa.
Prima d’uscire, tuttavia, si
fermò e fissò ancora il fratello, con fermezza mai vista prima.
<< Lui capirà, lui mi
ama… >>
Il Borgia trattenne a stento
un conato di vomito mentre fissava il volto dell’uomo che gli era davanti.
Per la prima volta dopo un
anno, sentì il bisogno di impugnare un arma e trafiggere una persona. Non aveva
più indugiato in certi dannati desideri, eppure, in quel momento, gli pareva di
essere ripiombato nell’ira più grave e cieca che avesse mai provato in vita
sua.
Mentre sentiva il suo respiro farsi sempre più
affannato ed il suo cuore battere sempre più forte, fu colto da un improvviso
tremore. Non si sentiva così frustrato da mesi, ormai. Il suo cuore aveva
sempre battuto colpi regolari e spensierati in quell’anno, eppure, ora, quella
calma era stata spezzata. Aveva creduto di poter morire come una persona
migliore, una persona pura, eppure, non gli era possibile. Sarebbe morto come
un peccatore, un uomo che desidera il sangue d’altri uomini. Un assassino.
Trattenne il famigerato
bisogno di sangue che provava, e cercò di non fissare troppo a lungo l’uomo che
gli stava davanti. Infine, l’insistenza di quell’istinto animalesco non poté
più essere trattenuta.
<< Guardie! >>
esplose in un urlo osceno. La sua voce era cupa, tonante e pareva risalire a
lui dagli inferi. Pareva fosse la voce stessa di Lucifero. << Guardie!
>> urlò ancora, mentre già si poteva avvertire il fragore degli stivali
sul marmo del palazzo.
Il Borgia avvertì quel
serpente di male strisciare sempre più inesorabilmente verso di sé,
pervadendolo ancora con la sua fiamma d’odio. << Guardie! >>
esplose ancora una volta, nello stesso istante nel quale un gruppo ben nutrito
di soldati facevano irruzione della sala. << Arrestatelo! >>
ringhiò sommessamente, puntando un dito contro all’uomo che gli stava dinnanzi,
con le lacrime che scorrevano copiose lungo le guance arrossate dall’imbarazzo
e dall’impotenza.
L’uomo non oppose alcuna
resistenza a quell’arresto, si fece legare le mani e condurre oltre la soglia
della porta, senza smettere di fissare l’uomo che amava, non poteva credere a
quello che stava succedendo. Conosceva Cesare, era impulsivo, presto sarebbe
tornato per scusarsi. Lo amava, come non aveva mai amato nessuno, e non poteva pensare che Cesare non l’amasse a sua volta. Era troppo doloroso
pensarlo.
Per un attimo, la calma
riprese a pervadere l’animo del Borgia, ma i tremori e la rabbia squassavano
ancora la sua carne, non poteva evitare di essere furioso, non poteva evitare
di assecondare i suoi istinti maligni. Li aveva già seguiti una volta, quando
aveva lasciato la strada di Cristo per intraprendere quella bellica, e a cosa
l’aveva portato quella scelta? Al successo!
Aveva riunificato il Lazio,
conquistato la Romagna tutta e messo in fuga i più grandi monarchi del suo
tempo.
No, Dio non serviva. A cosa
l’avrebbe condotto Dio, se l’avesse seguito quando ne aveva avuto la
possibilità? A cosa l’aveva condotto Dio, ora che era ritornato in seno alla
chiesa? A nulla! L’aveva condotto ad un esistenza casta e misera, circondato da
sodomiti, vili! No, quello era il suo
ultimo errore.
Lasciava la via di Dio ed
intraprendeva quella di Satana.
Non sarebbe tornato
indietro. Né adesso, né mai più.
***
Con un poderoso colpo
spalancò la porta a doppio battente, che si schiantò violentemente con il muro
affrescato della stanza.
Mentre la sua rabbia
cresceva ormai incontrollata, sentiva il sempre più bruciante desiderio di
apporsi la spada al fianco, che da tempo, giaceva inutilizzata nella sua
stanza. D’ora in avanti, non se ne sarebbe mai più separato.
Attraversò la stanza con
veemenza, mentre i suoi passi rimbombavano sempre più cupi e opprimenti per le
sale. Si avvicinò con maggiore rabbia e determinazione alla sua stanza da
letto, mentre i suoi occhi azzurri erano ridotti a delle linee sottili. Con
impeto spalancò la porta della stanza da letto, e con un ringhio, si costrinse
a bloccarsi sull’uscio, con il volto più cupo che mai.
Le donna con la quale
condivideva il letto fedelmente da ormai due anni, giaceva completamente ignuda,
sovrastata dalla grossa sagoma di un uomo conosciuto e odiato.
Ci volle poco perché il suo
volto s’imporporasse d’ira, fomentata dalle urla di piacere della donna e dal
respiro affannato e affaticato dell’uomo.
I suoi pugni si strinsero
fino a far sbiancare le nocche, mentre i muscoli della mascella si tendevano
nello sforzo di digrignare i denti. Dalla sua gola scaturì un grugnito di
rabbia, che per qualche attimo echeggiò per la sala, mentre le sue membra erano
colta da profondi brividi e i suoi occhi si infiammavano del fuoco di Satana.
Il bisogno istintivo e incontenibile di sentire il calore del sangue sulle sue
mani lo colse in un attimo, crollandogli addosso come un macigno. Quel
desiderio s’era sopito per quasi un anno, ma ora, era tornato più forte di
prima, come se reclamasse giustizia. Non avrebbe mai più dato spazio alla
ragione, d’ora in avanti, ci sarebbero stati solo odio, rabbia, frustrazione e
fuoco eterno.
Un ennesimo urlo di rabbia
scaturì dalla sua gola, mentre faceva un passo in avanti, senza riuscire a
staccare il suo sguardo dalla spada che giaceva immobile su di una panca. Con
un veloce balzo in avanti il Borgia estrasse l’arma, ed in un attimo fu pronto
a puntare l’arma alla gola dell’uomo, che s’era rapidamente alzato dal letto.
Gli occhi azzurri del figlio
del Papa si colmarono di tale rabbia che pareva riassumere l’eterno tormento
degli inferi. Aveva il volto purpureo ed imperlato dal sudore. Gli pareva di
bruciare, consumato dalla sua brama di sangue e morte. La fiamma che gli
invadeva il petto divampava sempre più forte. Digrignò i denti e spinse un poco
di più la lama della spada sulla gola dell’uomo.
<< Uccidimi! >>
sbottò l’altro, in un ringhio, inarcando la schiena e alzando il mento, dando
la possibilità al Borgia di prendere bene la mira sul suo collo. <<
Uccidimi, codardo, che aspetti?! >> urlò ancora fissandolo con odio. Non
gli importava nulla. Sua fratello era stato rapito dai Borgia, Faenza era
perduta, e anche se per poco aveva potuto avere la sua vendetta.
Il Borgia restò immobile per
qualche attimo, e la lama della spada si premette ancor più sulla carne
dell’uomo, lacerandola leggermente, mentre un rivolo di sangue scorreva sulla
pelle nuda. Il Borgia sorrise oscenamente alla vista del liquido vischioso che
tanto aveva agognato. Si umettò le labbra e strinse ben in pugno la
spada:<< tu dai del codardo a me, Astorre? >> sbottò:<< l’eunuco
che deve giacere di nascosto con una donna perché troppo impotente per avere
una donna da soddisfare veramente? >> sbottò, mentre infiltrava con più
veemenza la punta della spada nella carne lacerata dell’uomo. La sensazione
della pelle viva, il sangue che colava e la sensazione di onnipotenza che
provava in quel momento non potevano più essere controllate. Si sarebbe
abbandonato a quelle percezioni per il resto della sua vita. Auspicava
quell’attimo da insormontabile tempo. La rabbia che gli stringeva il cuore e gli
dava la forza di respirare esplose e divampò, illuminando i suoi occhi di
vendetta. Un sentimento così poco nobile, ma bramato per tantissimo tempo.
Si mosse rapidamente, e con
un colpo alla testa infertogli con l’elsa della spada lo fece crollare a terra
frastornato, mentre, con passo deciso e furibondo si avvicinava pericolosamente
alla donna ignuda.
<< Sporca puttanella
che non sei altro! >> sbottò con tanta ira nella voce che la moglie si
ritrasse velocemente verso un angolo della stanza. I passi del Borgia si
allungavano cupi sul pavimento, e il suo volto era completamente livido di
rabbia, tramutatosi in una maschera informe ed oscena d’odio e rancore. Voleva
solo la vendetta, null’altro.
<< No! No, Cesare, ti
prego! >> disse la donna con voce acuta, mentre le lacrime le colavano
rapidamente rigando le guance.
I passi del Borgia non si
placarono, continuarono inesorabili a tracciare il loro cammino lungo il
pavimento, rimbombando sonoramente. Nella sua mente non v’era altro che
vendetta, nel suo cuore solo cupidigia, nulla più. << Dimmi, puttana!
>> sbottò: << ti sei divertita? >> urlò, mentre l’afferrava
per un polso, conficcando profondamente le sue unghie nelle carne della
donna:<< spero di sì, perché questa sarà l’ultima volta! Farò in modo che
non possa capitare più! >> sbottò, infine, tra le urla della donna la
buttò a terra, facendole sbattere pesantemente il volto contro il marmo del
pavimento.
<< Cesare, ti prego…
no! Perdonami, perdonami! >>urlò, rialzando il volto, sfigurato dal
sangue che le fluiva dal naso rotto.
Il Borgia non disse nulla,
la fissò con odio in volto, mentre, senza preavviso faceva piovere una serie di
calci nelle costole della donna, facendole vomitare sangue tra le urla.
<< Petronio! >> l’urlo
del Borgia parve provenire dalle viscere della terra, e scosse profondamente le
membra della donna che ancora subiva le violenze dell’uomo. << Petronio!
>>.
I passi dell’uomo
echeggiarono lontani per il corridoio, infine, la sua figura apparve sulla
soglia, seguito da un manipolo di soldati:<< Mio signore? >> disse,
facendo irruzione nella stanza, restando sconcertato davanti alla pozza di
sangue nella quale giaceva la donna rantolante.
<< Prendetelo!
>> sbottò in un ringhio il Borgia, indicando con gesti risoluti Astorre,
che ancora era carponi sul pavimento, disorientato.
Il Borgia pareva essersi
calmato, i suoi occhi bruciavano di rabbia, ma il suo viso era tornato pallido
ed il suo atteggiamento era nuovamente risoluto e calmo. << prendetelo…!
>> ripeté con fermezza nella voce:<< subito! >> aggiunse più
irritato.
Petronio si affrettò a fare
cenno ad alcune delle guardie alle sue spalle, mentre a malin cuore vedeva che
il suo vecchio padrone ed amico veniva trascinato fuori dalla stanza. Il suo
cuore si spezzò in due parti, Astorre e Gian Galeazzo erano per lui come dei
figli, eppure, in suo nuovo padrone e signore, Cesare Borgia gli comandava di
rinnegare coloro che tanto fedelmente aveva servito per quasi trent’anni di
vita.
<< In quanto a te,
puttana! >> la voce del Borgia suonò tetra nella stanza. Con un gesto
irritato lanciò la spada a terra, mentre la lama tintinnava al contatto con il
marmo. Con un sol passo fu sopra la donna, ed assestandole un altro calcio
nelle costole si chinò su di lei e le prese la testa con una mano, tirandole i
capelli, mentre la cute pulsava dolorosamente. La donna lanciò un urlò d’orrore
e paura mentre si sentiva trascinare via, seguita dalla striscia di sangue che
abbandonava dietro di sé sul pavimento. Si sentì sollevare e la terra le mancò
sotto i piedi, infine, si ritrovò a fissare gli incandescenti occhi azzurri
dell’uomo ch’era suo marito.
<< Ti prego, Cesare…
no… >> rantolò, mentre il Borgia fissava sprezzante il volto insanguinato
e rotto da profondi tagli della donna. Un tempo l’aveva affascinato per via
della sua bellezza, e in quell’ultimo anno s’era illuso di poterla persino
amare, nonostante il loro fosso un matrimonio d’interesse. Ma non più. Ora, in
quel volto sfregiato e distrutto non vedeva altro che tradimento, menzogna,
nulla più che il volgare viso d’una prostituta qualsiasi. Avvampò di rabbia, e
un idea perversa e agghiacciante gli passò per la mente.
<< Tu…! >> disse
a breve distanza dal suo volto, con occhi ridotti a sottili linee
fiammeggianti:<< ti è piaciuto giacere con un orso figlio d’una cagna?
>> sbottò.
La donna non disse nulla, rantolò e pianse forte, mentre cercava
di aggrapparsi alle braccia dell’uomo con tutte le sue forze, graffiando la
pelle candida del Borgia, che la respingeva con tutto sé stesso. Il solo
pensiero di aver giaciuto con quella donna ignobile lo feriva profondamente.
<< Petronio! >>
sbottò in un impeto di rabbia, scagliando la donna verso il pavimento,
facendola sbattere pesantemente a terra.
L’uomo fece un passo avanti,
ma il Borgia gli impedì di soccorrere la donna, assestandole l’ennesimo calcio
al basso ventre, che la fecepiegare in due sputando sangue, mentre anche dalla
sua intimità iniziava a colare il liquido vermiglio.
<< Prendila! >>
sbottò il Borgia, indicandola con un dito teso, dalla sua posizione
statuaria:<< Vesti l’ignuda! >> ordinò seriamente, fissando l’uomo
con occhi tanto tenaci da non ammettere repliche:<< fa in modo che le
venga pitturato il volto, e che appaia bella, per quanto possa risultare difficile
tingere di puro coloro che sono impuri. Prendila, portala nei bassi fondi e
vendila come prostituta papale! I Borgia dalla loro altezza hanno deciso di far
divertire anche il popolo! >> disse, facendo comparire sul suo volto
angelico un sorriso perverso.
Petronio rimase immobile, ma
dai suoi occhi traspariva la paura ed il disprezzo.<< Ma mio signore…
>> cercò di dire.
<< Fa silenzio,
Petronio, se non vuoi che ordini di fare altrettanto su di te! >>
minacciò con voce ferma, voltandosi a fissarlo con sguardo talmente truce
d’apparire come quello di Satana stesso.
La follia del Borgia era
esplosa in tutta la sua brutalità e sete di vendetta.
<< Voglio che questa
sgualdrina sia portata in città, e venduta al minor prezzo ad un uomo a notte
per sette notti da questo giorno! >> ordinò fissando di sottecchi
Petronio.
<< No, ti prego!
>> urlò la donna, mentre si teneva il ventre con una mano:<< ti
prego, no! Non volevo, perdonami, no! Non succederà mai più, più, ti prego, non
farmi questo, tutto, ma non questo! >> le sue lacrime s’aggiunsero al
sangue del suo viso:<< prendimi! >> urlò:<< prendimi subito,
adesso! Come vuoi, non opporrò la minima resistenza, tagliami, uccidimi,
rendimi sterile, tutto! Ma non questo, tutto! Cesare, tutto! >> le
disperate parole della donna risuonarono per la stanza, ma il Borgia parve non
sentirle, infuocato dalla sua rabbia, perso nel suo buio.
<< Se mi è permesso…
>> cercò di dire Petronio, mentre il disgusto attanagliava il suo
stomaco. Aveva creduto che il Valentino fosse buono, era stato persuaso da Gian
Galeazzo a crederlo caritatevole e generoso, e lo aveva servito come tale. Ma
in lui, non vi era nulla di bello e cristiano; nulla di fragile e semplice.
Nella sua mentalità folle e corrotta, nei suoi occhi velenosi e capaci di
incutere terrore non vi era altro che ostentazione, l’orrore e la perversione.
Rabbia, forse, o forse era la voglia di vendicare tutto ciò che gli era stato
inflitto. Era l’ambizione repressa di un ragazzino privato della scelta,
intrappolato nel presente e gravoso del peso del passato. Proprio come la luce
che infiamma gli occhi di un toro infuriato prima della corrida, nulla di più
umano era quello che il Borgia esprimeva.
<< No! >> sbottò
il Valentino, tornando a fissarlo ancora più furiosamente di prima:<< non
ti è permesso dire nulla, questi sono i miei ordini, e questi eseguirai!
>> sbottò, mentre Petronio era costretto a chinare il capo in segno di
rispetto:<< inoltre! >> aggiunse il Borgia:<< osserverai
quanto accadrà ogni singola notte, per essere certo che mia moglie… sia nella
mani migliori! >> disse con un tocco tale d’ironia nella voce che lo fece
apparire come ancor più bruto agli occhi dei presenti. Pareva si giovasse dei
dolori e dei pentimenti altrui. Riusciva a vedere la paura nei cuori di chi
gl’era davanti, e usava questo timore contro di loro.
-Angolo Autrice-
Buon pomeriggio a tutti,
Premetto facendovi i miei complimenti, se
siete riusciti ad arrivare sino a qui in fondo, per ascoltare le
mie chiacchiere, allora godete di ottimi sistemi nervosi per non
esservi già stancati. Tuttavia, mi sembra corretto precisare
alcuni punti che, come parecchi di voi avranno notato, non sono
esattamente in sintonia con ciò che la Storia ci racconta, ma
per il bene della narrazione ho dovuto rendere il tutto un poco
più movimentato rimescolando un po' le carte in tavola,
altrimenti vi sareste veramente addormentiati sulle sedie... posso
immaginare che capitoli e capitoli sui rimugini frustrati di un uomo
arrabbiato e borioso non siano prorpio allegri...
Ecco quindi a voi la lista dei fatti, "eretici" per quanto riguarda la Storia:
-Cesare passò diversi momenti a Roma
durante il suo periodo di conquista, ma mai lunghi come quelli da me
descritti, ma tutti i suoi cambiamenti spirituali e mentali non
potevano certo avvenire in pochi giorni.
-Nel 1501 le campagne in Romagna non erano
certo finite, e anzi, si può dire che partissero proprio adesso,
ma io ho segnato questo anno come calmo per le stesse motivazioni di
sopra.
-Carlotta d'Albret, realmente moglie del
Valentino, non mise mai piede a Roma, né sul suolo italiano,
visto che fu sempre in Francia come garanzia per il buon comportamento
di Cesare. In oltre, in quel periodo aveva già avuto la figlia,
mai conosciuta da Cesare; Luisa nata tra Aprile e Maggio 1500.
-Cesare non fu mai il marito fedele di
Carlotta, né l'uso di sua moglie come ostaggio gli impedì
atti bruti. Tre le amanti vi furono Caterina Sforza, Dorotea
Malatesta Caracciolo etc... donne più o meno accondiscendenti
nei confronti dell'interesse del Duca.
-Astorre non fu mai amante di Carlotta d'Albret.
-Cesare non potè mai vendicarsi così crudelmente sulla moglie.
Per il resto la Storia racconta, (come in
tutte le cose dei Borgia con modi vaghi) una sorta di amicizia tra Gian
Galeazzo e Cesare, che secondo alcune malelingue avrebbe fatto
innamorare perdutamente il Manfredi del Valentino (e chi non lo
farebbe), io mi sono semplicemente avvalsa di questo pettegolezzo per
introdurre un po' lo spirito che vedo in Cesare.
Spero di non essermi dimenticata nulla, ma voi fatemi pure
presente erroracci o assurdità ed "eresie storiche", ve ne
prego...!
Ci rivedremo al prossimo capitolo se ne avrete voglia,
Saluti,
Hivy
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Capitolo 5 *** Capitolo V ***
Capitolo V
V’era qualcosa di spaventosamente
eretico nelle sue parole.
Eppure, il suo animo
pareva intatto.
Era il sortilegio di perfezione
dei Borgia.
***
Roma, 1501 A.D.
Nelle prigioni,
il
Rampollo di Castel Sant’Angelo,
scaglia la sua ira sulle testa dei due fratelli
Manfredi.
<< Non osare,
Astorre…! >> urlò il Borgia, stringendo i pugni lungo i fianchi:<<
puntarmi il dito contro! >> sbottò infine, fissandolo con i suoi occhi,
ormai perennemente infiammati dalla forza degli Inferi. Il suo Essere era
completamente in balia del male più puro, squassato da percezioni virili e
magnifiche, di cui non era mai sazio e che continuava a desiderare ora dopo
ora.
<< Altrimenti, mio
signore? >> rimbeccò l’altro mentre il volto diventava paonazzo, con tono
di sfida nella voce. Con un gesto di stizza Astorre sputò a terra e riprese a
fissare il Borgia, che ancora restava immobile, statuario, con il volto
sfigurato dalla rabbia e i pugni stretti tanto da far sbiancare le nocche. Per
un attimo i suoi lineamenti parvero distendersi e tornare ad essere mansueti,
ma nella sua anima s’agitava ancora il cavallo imbizzarrito ch’era in lui.
Sorrise mestamente, poi,
d’improvviso, fece cenno a due guardie d’afferrarlo saldamente per la spalle e
si voltò verso l’altro prigioniero, che giaceva incatenato all’altro angolo
della cella.
<< Liberalo! >>
sbottò in direzione di Petronio, che s’affrettò ad eseguire l’ordine, con la
consueta veemenza, mentre nella sua prigione di carne il suo cuore s’agitava e
si spezzava in due metà.
Con un gesto teatrale il
Borgia si sbottonò la giacca di velluto e se la tolse lentamente, restando con
indosso una sottile camicia di seta dalle ampie maniche. Lentamente, estrasse
la spada dal fodero, facendo vibrare il suono della lama che usciva dal fodero.
Quel suono era pari ad una poesia ai suoi orecchi, una dolce melodia che
gl’infliggeva più piacere di qualsiasi altra cosa.
<< Le mani… >>
disse sotto voce, mentre faceva mulinare la spada attorno al suo corpo:<<
subito… >> aggiunse, lanciando uno sguardo significativo a Petronio, che
stava trattenendo Gian Galeazzo per le spalle.
<< Mio signore non…
>> cercò di dire l’uomo, ma il Borgia lo zittì con un gesto della mano.
<< Ho detto…! >>
aggiunse:<< le mani! >> sbottò, mentre si preparava a vibrare il
colpo.
<< Bastardo! >>
urlò d’impulso Astorre, sputando ancora a terra, dimenandosi con forza:<<
tagliale a me le mani, bastardo! Hai capito, codardo! >> una della
guardie gli assestò un pugno tra le costole, ma l’uomo, s’eppur piegato in due
dal dolore, non smise di divincolarsi, come comandato da una forza superiore.
<< Sei solo un
impotente bastardo! >> urlò ancora, ma il Borgia non parve dagli troppo
conto.
Appena Petronio ebbe ben
disteso le mani di Gian Galeazzo su di un rozzo piano in legno, il Borgia alzò
la spada sopra la testa, reggendola con due mani. Caricò il colpo, mentre nel
suo Essere tutto era un insieme infinito di dolci ed eccitanti percezioni nelle
quali avrebbe vagato per tutta la vita. Fissò per qualche attimo il volto
chinato di Gian Galeazzo.
Il Manfredi non aveva detto
una parola, non s’era opposto al suo fato, aveva semplicemente accettato ciò
che gli sarebbe successo. Non provava nulla nel suo cuore, se non delusione.
Delusione per ciò che aveva pensato fosse Cesare Borgia. Era deluso del
comportamento del figlio del Papa, e per quanto cercasse d’odiarlo, non ci
riusciva. Lo amava, anche adesso, che stava per infliggergli una dura punizione,
non poteva odiarlo, non riusciva a guardarlo con stizza, a rivolgere a lui un
unico pensiero di maledizione, non un unico bruto desiderio di morte. Solo,
poteva offrire la sua anima.
I capelli bruni ondeggiavano
a ritmo con i brividi delle sue membra, mentre la lama era sempre più prossima
alle sue mani. Fu un lampo a saettare nell’aria, poi, un dolore forte lo
pervase, risalendo dalle braccia fino alla sua gola ed al suo petto,
costringendolo ad urlare. Il sangue schizzò nell’aria, ed imbrattò il rozzo
pavimento di pietra della cella, mettendo in fuga i ratti che lo tempestavano.
Le mani caddero a loro volta a terra, mentre le dita si muovevano a scatti su e
giù, sotto l’ultimo influsso dei nervi lacerati.
Gli spasmi del dolore lo
pervasero e gli fecero vibrare le membra, tendere i muscoli a lasciarlo
intontito e privo del controllo delle sue carni. Vide il sangue schizzare quasi
sino ad imbrattare la candida camicia del Borgia, e sotto l’influsso del dolore
più allucinante urlò e pianse senza potersi trattenere, mentre sentiva il cuore
martellargli in petto e le orecchie riempirsi delle sue stesse penose grida.
La vista gli si offuscò, per
via delle lacrima, e gli parve di svenire, ma non cadde, né l’aria che gli si
sentiva mancare cessò di reggerlo in vita.
Forse non era ancora giunto
il momento di morire per lui.
<< No! >> l’urlo
che scaturì dalla gola d’Astorre sovrastò per qualche attimo quello del
fratello minore:<< Bastardo! >> le catene che gli legavano i polsi
tintinnarono, ma non riuscì a divincolarsi.
Per qualche attimo il Borgia
fissò il sangue e le mani mutilate a terra, poi, alzò lo sguardo su Gian
Galeazzo, che, accasciato a terra piangeva e urlava, mentre si premeva i
moncherini tre le gambe, nel disperato tentativo di far diminuire il dolore
insopportabile che gli lanciava stilettate a tutto il torace.
<< Prendetelo…!
>> disse il Borgia, rinfoderando la spada e voltandosi a fissare
l’iracondo Astorre, anche ancora si dimenava, strattonando le catene come un
animale, con la bava alla bocca e gli occhi iniettati di furia.
<< Che sia medicato!
>> ordinò il Valentino.
Il cuore di Petronio perse
un colpo, e riuscì a trattenere le lacrime che gli bruciavano agli occhi. Il
raccapriccio di quella scena gli pulsava nelle tempie, eppure, non aveva potuto
fare nulla, il Borgia lo aveva reso incapace di opporsi ai suoi ordini, lo
aveva assuefatto a sé, e lui non riusciva a liberarsi dal suo controllo. Non lo
amava, e non desiderava il suo bene com’era stato per Astorre e Gian Galeazzo,
ma ogni qualvolta gli passava per la mente d’abbandonarlo, un filo sottile, del
quale non capiva l’esistenza gli impediva di ribellarsi.
Forse era caduto troppo
infondo alla tela dei Borgia per poterne uscire, e già si poteva sentire
divorato.
<< Il bastardo
sodomita morirà… >> aggiunse con stizza:<< ma lentamente… >>
aggiunse, fissando, poi Petronio, che distrutto dal dolore era costretto a
mordersi l’interno della guancia per evitare di scoppiare in lacrime. <<
Ottimo lavoro, Petronio! >> elargì freddo il Borgia.
<< Mio signore…
>> disse in un sussurro l’uomo:<< vi prego di lasciare me alla
guardia della cella questa notte! >> aggiunse alzando la testa, mostrando
gli occhi scintillanti di lacrime.
<< No… >> disse
seriamente il Borgia:<< è più sicuro che tu vada con mia moglie, non
vorrei che qualcuno le facesse del male… >> disse con stizza nella voce,
fissando di sottecchi Astorre, che a quelle parole aveva preso a dimenarsi
ancor più.
<< E poi… >>
prese a dire il Borgia:<< non vorrei che i prigionieri evadano! >>
disse tra i denti, lanciando sguardi orrendi a tutti i presenti. Infine,
avvertì il petto oppresso da una forza innata, potente che gli riscaldava il
sangue del cervello, e non poté più trattenersi. Colpì in pieno volto il
comandante e ringhiò sommessamente, colpendolo ancora più profondamente con il
suo sguardo ghiacciato.
<< No, mio signore,
io… >> cercò di spiegare Petronio, massaggiandosi invano la mascella, che
s’era dissestata per via della violenza del colpo.
<< Non voglio il tuo
giudizio! >> sbottò il Borgia:<< taci e limitati ed eseguire i miei
ordini, idiota! >>. A quell’affermazione, ancora una volto Petronio si
riscoprì incapace di reagire, e si tormentò l’animo senza trovare una risposta.
<< I comandi… >>
riprese a dire il Borgia sotto voce, come se stesse svelando un segreto
pericoloso: << provengono da Dio a
me… >> disse alzando un dito al cielo:<< e da me, a voi! >>
urlò infine, diventando paonazzo in volto.
<< Sei ancora convinto
che Dio ti protegga, bastardo? >> sbottò Astorre, mentre Gian Galeazzo
veniva trascinato via, seguito dalla sua stessa scia di sangue.
Il Borgia si voltò di
scatto:<< certamente, Dio non protegge né te né il tuo fratello sodomita!
>> rimbeccò in un ringhio, riprendendo la giubba di velluto e facendo
cenno a Petronio di seguirlo mentre usciva dalla cella.
<< Sei un bastardo! Mi
senti?! >> urlò Astorre:<< Cesare Borgia è un bastardo! >>.
Il Borgia si incamminò oltre
la soglia della cella:<< bastardo… >> disse:<< …ma bastardo del
Papa! >>.
***
Il suono dei tamburi ricordava
il cuore calmo d’un uomo, eppure, in quel momento, Gian Galeazzo, non riusciva a trattenere la paura. Il suo
cuore batteva all’impazzata, ed il suo respiro era irregolare come mai prima
d’allora.
Il buio l’avvolgeva ancora,
eppure, da dietro gli edifici più alti riusciva a vedere il cielo che si faceva
un poco più chiaro, rivelando la mistica presenza della luce Divina che presto,
sarebbe tornata a splendere nel cielo per un altro giorno.
Le tenebre scivolavano
ancora per la strada, ed il volto del Borgia era soltanto parzialmente
illuminato dalla fioca luce proveniente dal giorno non ancora nascente.
Nel buio il male si muoveva
sempre più velocemente, tessendo le proprie tele d’oscurità, nascondendosi nella notte, ed il Borgia, pareva
un predatore del buio, pronto a soddisfare la sua malvagia cupidigia.
Era passata una settimana
dall’ultima volta in cui Gian Galeazzo aveva posato il suo sguardo sul viso del
Borgia, e gli pareva un eternità. Era crudele, morbosamente attaccato al
potere. Ma stare senza Cesare Borgia era diventata la sfida più ardua per lui.
Non poteva evitare di fissare il suo profilo statuario, non poteva impedirsi di
perdersi completamente nel suo sguardo, in quegli occhi magnificamente azzurri,
dal taglio insolito e stupendo. Non poteva trattenere il suo amore quando incontrava
la folta chioma riccioluta e bionda. Il solo poterlo fissare era qualcosa di magico
e perfetto, un attimo infinito ed eterno, che gli provocava più desiderio e
felicità di qualsiasi altra cosa.
Per qualche momento, il
Borgia si soffermò a fissare i due prigionieri che venivano condotti fino alla
sponda del Tevere, e per un istante, il suo cuore ebbe un sussulto. Aveva
urlato molto per la rabbia, in quei famigerati giorni, aveva fatto uccidere,
violentare, aveva inflitto torture e dolore, e si era sentito bene,
completamente avvolto dalla sua rabbia. Compiaciuto da ciò che stava facendo.
Eppure, in quel frangente, la più remota luce del suo animo parve ridestarsi.
V’era qualcosa di sacro
nella vita, e lui stava per abusarne.
Puntò il suo sguardo al
suolo, sopraffatto da un’ antica indecisione che non provava più da tempo. Era
famigliare e rassicurante sentirsi dividere in quel modo. Allo stesso tempo, si
sentì spregevole, e come spesso gl’era capitato di fare, fremette di rabbia per
quella sua imperfezione fatale ed irresistibile. Si sentiva vivo quando rilasciava la sua
rabbia, sentiva il suo cuore battere nel petto, il sangue caldo scorrere nelle
vene. Eppure, si sentiva bene anche quando era diviso in due. La sua
indecisione, in un certo senso era allettante ed affascinante come la rabbia.
La gioia, la calma, la quiete e la pace non erano per lui.
Nel suo sangue infuriavano
grandi battaglie, nel suo petto batteva il cuore di un condottiero, non quello
di un uomo di Dio. Nel profondo del suo Essere sentiva un calore, come fossero
delle braccia benevole che l’avvolgevano.
Come poteva porre fine alla
vita che Iddio aveva creato?
Quel pensiero si fece largo
prepotente nella sua mente. Non gli era mai capitato di ripensare agli
insegnamenti antichi, recepiti durante gli anni di studio per diventare un uomo
di Chiesa, eppure, in quel momento, tutto tornava alle sue meningi, forte,
insormontabile.
Alzò lo sguardo e da dietro
gli edifici intravide un striscia di cielo azzurrino, dalla quale proveniva una
luce rossastra, un poco vacua. Doveva prendere una decisione, e doveva farlo in
fretta. Una parte di sé gli diceva che doveva ucciderli, prima che nascesse il
giorno, prima che Nostro Signore potesse vedere e proteggere i Manfredi con la
sua Luce. L’altra sua metà d’Essere diceva ch’era sbagliato ucciderli, facendo
le veci di Dio. Dio non aveva emissari, solo, esisteva la sua voce e
null’altro. Nemmeno il Papa stesso, seppur suo padre, era un vero mandante del
Signore, era solo un uomo avaro, come tutti gli altri. Nostro Signore era puro,
e per quanto i preti fossero arroganti nell’ostinarsi d’essere mandanti di Dio,
non lo erano. E nemmeno lui lo era.
Un’ anima persa era, nulla
più. Un uomo smarrito, intrappolato in un gabbia d’oscurità, diviso tra terra e
Cielo. In conflitto tra bene e male, Dio e Satana. Oggetto d’una disputa infinita.
Condiviso con bramosia tra eresia e verità. Condiviso e amato da ambedue, ma
infine abbandonato al suo destino, padrone come prigioniero del suo Fato. Il figliol
prodigo di due mondi opposti. Ad ogni sua azione v’era un giudizio, lo sentiva.
Entrambi lo volevano, ma infine, nessuno lo desiderava veramente. Non Dio, che
voleva solo dimostrare la sua supremazia sull’oscurità, riconvertendo anche i
più smarriti del suo gregge. Non Satana, che con il suo corpo e la sua mente
voleva solo assediare i Cieli. Era una pedina in bilico, una foglia mossa dal
vento. Desiderato ed odiato allo stesso tempo, amato come un figlio, ma rinnegato
come un appestato.
Nelle di lui membra, come
nella mente, aleggiavano questi pensieri d’amore ed odio. Di vittoria e morte. Due opposti troppo potenti
per essere compresi e chetati da uno solo, troppo irregolari da poter essere
limati, troppo imperfetti da poter essere purificati, troppo potenti da
trattenere in un solo corpo di carne.
Attese con impazienza che i
due prigionieri lo raggiungessero, infine, s’accostò a Gian Galeazzo e gli
sollevò il mento con due dita.
Il calore inebriante della
carne del Borgia lo pervase e lo eccitò profondamente, infine, incontrando i
suoi occhi belli come il cielo, il Regno di Nostro Signore.
Non poté fare a meno di
pensare a quanto profondamente l’amasse. S’era illuso che un piacere terreno e
volgare potesse sostituire l’amore che provava per il Borgia, ma ora più che
mai, capiva che nulla avrebbe mai sostituito lo sguardo dell’uomo, nulla
avrebbe mai potuto intaccare i suoi sentimenti. Nemmeno la morte avrebbe
potuto. Se fosse stato ammesso nel Regno dei Cieli, l’avrebbe atteso, perché
senz’ombra di dubbio sarebbe finito là il Borgia, accanto al Padre. Se fosse
stato dannato per la sua lussuria incontenibile, allora, una volta disceso
all’inferno, avrebbe sperato che il Borgia non lo raggiungesse, e che non si sentisse
in pena per lui. Mai, il dolce e fragile cuore del Borgia doveva essere
intaccato da pensieri così cupi. Mai avrebbe dovuto indugiare in ossessioni e
tribolazioni.
<< Menti, Gian
Galeazzo? >> chiese con voce insolitamente fragile il Borgia, con voce tanto
bassa da essere un sussurro straziato:<< menti quando confessi di amarmi?
>>.
Gli occhi del Borgia
parevano infiammati dalla lacrime amare di un tenero affetto, e Gian
Galeazzo non poté fare a meno di provare
una dolce pena per lui.
<< No… >> disse il
Manfredi, fissandolo quasi inebriato dalla sua bellezza.
Il Borgia ebbe un sussulto
di rabbia, e si sentì quasi infuocare. Satana lo richiamava al suo volere,
eppure, in lui, v’era una luce che lo ispirava a resistere a quelle lusinghe.
<< Menti, dunque tu, quando
dici di amarmi? >> domandò ancora, con voce un poco più alta, trattenendo
un esplosione di furia.
<< No… >>
rispose ancora il Manfredi, sempre più rapito da quell’infinito cielo che
scorgeva negli occhi del Borgia.
Era infinito, quel cielo, azzurro
e così bello… era il cielo della sua amata Faenza. Il cielo che tutti i gironi
aveva visto sopra le mura della sue città. Il cielo infinito e adorabile del
Regno di Dio. Era buffo pensare a quanto il Borgia rappresentasse per lui.
L’amore infinito non solo per un uomo, ma anche per la sua Faenza. L’azzurro
dei suoi occhi conteneva l’essenza stessa dell’amore che provava per la sua
città, per il cielo che la sovrastava, ed al contempo rappresentava in modo
distinto la sua fede di cristiano, che adora il suo Dio e che spera nella vita
nel Regno dei Cieli.
<< Menti tu, dichiarando
il tuo amore per me? >> sbottò ormai irrequieto il Borgia, sentendosi
trascinare sempre più nell’ombra, aggrappandosi però alla luce ch’era in lui
con tutte le forze. Un altro rinnego e non avrebbe più potuto evitare di
sprofondare nelle tenebre più ribollenti.
<< No >> disse
sicuro il Manfredi, fissandolo negli occhi:<< No! >> ripeté.
Il Borgia ebbe un moto di
rabbia incontrollabile, ed il suo volto s’imporporò. Satana aveva vinto, non
poteva più aggrapparsi ad una speranza vana, non poteva più contare sull’aiuto
e la protezione di Dio. Non aveva abbastanza forza divina per potersi opporre
all’incombente presenza del male più puro.
<< Ebbene…! >>
prese a dire tra i denti:<< tre volte ti è stato chiesto di porre fine
alla tua follia, e tre volte tu hai rifiutato… è così… con un rinnego di
troppo, che decidi il tuo destino con il destino stesso di tuo fratello!
>> disse:<< vi è qualcosa di sacro negli affetti delle persone… ed
è con l’unico affetto di tuo fratello, se ancora ne serba, che morirai!
>> fece una pausa e indietreggiò di qualche passo, fissandolo con sguardo
così duro d’apparire di marmo. << Non hai il mio affetto…! >> disse
infine, mentre nei suoi occhi brillava l’ombra di qualche lacrima d’amara
rabbia.
Le orecchie di Gian Galeazzo
parvero non cogliere quelle ultime frasi. Era completamente rivolto a lui, con
tutto sé stesso. Dalle labbra del Borgia provenivano solo le parole che voleva
sentirsi dire. Proveniva solo la forte dichiarazione di un amore
incondizionato, che li univa e li divideva.
<< Che siano legati!
>> sbottò il Borgia, facendo un cenno con la mano a due delle sue più
fidate guardie.
Appena i due fratelli
Manfredi furono legati, le due guardie li condussero fino all’acqua del Tevere,
e il fecero immergere sin all’altezza del petto. Infine, attesero che il Borgia
d’esse loro l’ordine.
Astorre gridava e si
dimenava, spezzando la sacralità di quell’attimo.
Il cielo, da dietro i tetti
degli edifici si tingeva sempre più di rosso, mentre anche l’empireo, più in
alto, si faceva più vacue e limpido, proclamando l’inizio del nuovo giorno.
“Prima che il gallo canti, tu, per ben tre volte,
mi rinnegherai”.
Il Borgia sentì risuonare i
rinneghi di Gian Galeazzo nella sua mente. Tre volte l’aveva rinnegato,
insolente come un ragazzino viziato aveva mantenuto la sua idea fino in fondo.
E sarebbe morto per quello.
Con i suoi occhi azzurri e
determinati lanciò un ultima occhiata al cielo. Non ancora albeggiava, ma
presto l’avrebbe fatto. << Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai
per ben tre volte … >> mormorò tra sé e sé, infine, abbassò il suo
sguardo cupo sul volto di Gian Galeazzo, ma non vi era paura nei suoi occhi.
<< O morte, o vittoria,
è questo il destino dei forti … >> sussurrò ancora il Borgia: <<
Muori, maledetto sodomita! Che la tua anima sia dannata in eterno! >>
ringhiò infine, fremendo per la rabbia. In quell’attimo la follia pura lo
avvolse, e si sentì bene nell’emanare quella sentenza di morte.
Dio poteva anche aver dato
la vita al Manfredi dall’alto del Cielo, ma lui
gli avrebbe dato la morte, accompagnato dalla fiamma di Satana.
<< A morte! >>
ringhiò, fissando senza pietà i due fratelli.
Astorre esplose in un urlo
senza precedenti, che risuonò per l’aere immobile. S’agitò come un ossesso,
facendo sciabordare l’acqua cheta del Tevere. Infine, venne preso per la
collottola ed il suo capo fu completamente immerso nella profondità dell’acqua.
Il capo di Gian Galeazzo si
chinò lentamente, mentre al contatto con l’acqua gelida mille spilli parvero pungergli il volto.
Mentre il suo capo s’immergeva nelle profondità del fiume il cuore nel suo
petto esplose in mille battiti incontrollati. La paura lo colse per ultima, ma
più spietata che mai. Gli chiuse la gola e, quando dovette riprendere fiato i
suoi polmoni s’inondarono completamente e gli parve che la sua gola venisse
graffiata da degli artigli. Cercò di tossire, ma non fece altro che aumentare
la sua agonia. L’acqua penetrò anche nella bocca, e parve esplodergli nella gola.
Quando fu perfettamente
conscio di non potere più resistere alla potenza dell’acqua voltò lo sguardo a
suo fratello, che si dimenava tra i fluttui, allo stremo delle forze. Fu un
attimo, ma i due si scambiarono un ultimo nostalgico e significativo sguardo.
“Come farò senza di te”. Quella frase si fece largo nella mentre di Gian
Galeazzo, era l’ultima dimostrazione d’affetto che suo fratello gl’aveva
rivolto prima che lui partisse per Roma, prima che succedesse tutto quello.
Sentì che, invano, i suoi
occhi si riempivano di lacrime, poi, vide ancora suo fratello, e lo sguardo che
si scambiarono fu più significativo di qualsiasi altro.
Astorre non avrebbe mai
potuto incolpare suo fratello per la loro morte. L’amore non perdona nessuno.
Gian Galeazzo, con sguardo
sempre più satinato dal pelo dell’acqua intravide la figura statuaria del
Borgia, che, dalla riva fissava la scena immobile. Ricordò i suoi lineamenti, i
suoi capelli dorati e i suoi occhi azzurri come il cielo. Infine, delle nuvole
allungate e vacue presero ad aleggiare davanti ai suoi occhi, e di sotto il
cielo celeste… v’erano le mura della sua amata Faenza. Un brivido lo colse,
infine, il cielo divenne infinito davanti ai suoi occhi.
S’assopì.
E così naufragò nel suo
cielo spinto dalla forza della acque che lo aveva preso.
Quando le membra dei due
fratelli furono completamente immobili, il Borgia diede l’ordine di abbandonare
i cadaveri, e questi, empiti d’acqua scivolarono mestamente nelle profondità
del Tevere, che per sempre avrebbe celato quell’omicidio.
Nel petto del Borgia
esplosero sensazioni differenti, ma inebrianti. La felicità l’avvolse, la rabbia,
il piacere e per ultima; l’indecisione, la paura.
Lanciò un’ occhiata
all’empireo, sempre più nitido. Infine, il suo cuore ebbe un sussulto quando
avvertì il canto d’un gallo in lontananza. Il suono s’amplificò nelle sue
orecchie, e gli parve di morire. Lanciò un ultima occhiata nervosa e spaventata
all’acqua, dove ormai i cadaveri
sprofondavano velocemente.
Per tre volte aveva
rinnegato Dio, ogni qual volta poneva la medesima domanda a Gian Galeazzo
faceva il gioco di Satana, come ogni
quel volta udiva la risposta pura e genuina dell’uomo e la rifiutava.
Le magnifiche percezioni di
piacere, felicità e soddisfazione di qualche attimo prima svanirono,
lasciandolo nudo davanti alla gravità del suo gesto.
Mentre la luce del giorno
s’alzava sempre più forte, avvertì l’impellente bisogno di scappare e di
rifugiarsi nel buio più profondo, nascondendosi al mondo tutto con la sua
vergogna.
Corse via, rapidamente, come
un bambino impaurito, a rotta di collo verso Castel Sant’Angelo e si rifugiò per
gironi nell’oscurità delle sue stanze, dilaniato da dubbi e dolori indicibili.
In ultimo, fece esplodere la
sua rabbia, e cadde per sempre in quel baratro di male sul quale aveva
indugiato per tempo immemore. S’era crogiolato nelle percezioni che la tenebra
donava, ed infine, se n’era totalmente abbandonato, squassato dalla profonda
paura di dover chiedere perdono a Nostro Signore.
Si concesse totalmente tra
le braccia di Satana, e lasciò che il male più puro lo pervadesse per gironi e
l’erodesse nelle profondità più intime del suo Essere.
Infine, dopo otto giorni,
evase dalla sua prigione di oscurità e dolore, per riemergere nella luce.
Il suo viso distrutto dalla
rabbia non sarebbe più stato palpabile, i suoi occhi azzurri di fanciullo
parevano incandescenti e falcati come quelli di un animale, ed erano il punto
di spicco di un anima morta, che si nascondeva dietro i lineamenti sereni e
modellati di una maschera nera.
Non si sarebbe mai più
mostrato dilaniato dalla malattia e distrutto nello spirito. Si sarebbe
rifugiato nel buio tetro che vedeva nelle forme della maschera.
Il suo cuore batteva freddo
e cupo nel petto, mosso dalla sola ed unica bramosia di procurare dolore e
sofferenza, violato dal desiderio di potere e conquista.
La sua vita s’era ridotta
alla disperata ricerca di sentimenti effimeri e virili, votata al male. Il suo
Essere era continuamente stimolato ad uccidere, per ritrovare quelle percezioni
fatali e sfuggenti.
Infine, la sua follia lo
consumò sempre più profondamente, mostrando ancor più le due facce di cui s’era
sempre avvalso. Ora, non v’era più il buon Cesare, combattuto tra bene e male.
Ora, v’era solo il Duca
Valentino, il braccio armato del Papa, unico e solo figlio di Satana.
***
Ascoltate bene queste mie parole,
perché sono le ultime che pronunzierò come
Essere Senziente:
non era un bruto.
Era un’ anima persa.
Un’ anima in collera, furibonda e letale.
Ascoltatemi bene, perché
è di tal dolce sentimento
che trabocca il mio cuore.
Io sono Gian Galeazzo Manfredi,
io…
Amo, Ora e per Sempre,
Cesare Borgia.
***
-Angolo Autrice-
E'
tristissimo dovere dire addio ad una narrazione, è triste dovere
dire addio al vostro sostegno anche per questa storia... E' la seconda
che termino di scrivere e pubblicare per intero, -e credo ci
vorrà ancora mooolto pima di riuscirne a compierne un'altra- ed
è sempre emozionante!
So
di non essere una scrittrice impeccabile, e so di avere molto da
imparare e da fare prima di potermi definire tale, ma tengo
particolarmente a questa storia, per motivi per i queli non sto ad
annoiarvi anche oggi...
Volevo
solamente dire GRAZIE.
Un
ringraziamento d'obbligo e sentito, -che spero arrivi a destinazione- va a Cesare
Borgia, che mi ha prestato la sua figura per esprimere qualcosa, e che
è sempre la principale fonte delle mie ispirazioni...
Un saluto a tutti!
Ci rivedremo, se vi va...
Ossequi,
la solita Hivy
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