Dream Collapse

di Iridia
(/viewuser.php?uid=131173)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Incipit - Pt.1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

 

"Reality is a lovely place,
but i wouldn't wanna live there." - Adam Young

0 . Prologo


Quel cielo così azzurro la sconvolse e le regalò un colore che le riempì gli occhi, rinfrescandole lo spirito. Il sole brillava alto ed un piacevole soffio d'aria faceva danzare l'erba di quella sconfinata prateria sotto il suo angelico  tocco. 

Osservò le nuvole, che, solitarie e candide, cambiavano forma, si avvolgevano su se stesse e scomparivano come onde sulla sabbia.

Si alzò. Un vestito bianco l'avvolgeva, i capelli erano sciolti e leggeri, di quella loro sfumatura strana; un castano olivastro, una tonalità fredda e dolce.

Qualcosa si mosse a pochi passi da lei. Dalla terra si innalzava una scala appena visibile. Era di cristallo, completamente trasparente.

Lentamente, la ragazza si avvicinò. Attraversati dai raggi, i gradini rilucevano di un bagliore proprio, inghiottendo la luce e trasformandola in guizzi che nuotavano vivaci in un mare d'oro. Salì un poco, fino ad arrivare ad un metro da terra, quando si accorse della mancanza di una ringhiera o di un appiglio.

Non fece in tempo a guardare dietro di sé, l'erba era già lontana ed il cielo cambiato. Nuvole, diverse da quelle candide che poco prima la sovrastavano, le scorrevano di fianco. Erano grigie, malinconiche, nuvole da pioggia. La circondarono, nascondendola dal mondo.

La scala si era distesa, divenendo una passerella. Le luci si erano tramutate in ombre violacee.

Lei proseguì, prima a passo svelto, poi correndo.

Non si accorse del metallo che la circondava, di quelle forme ben definite che nascevano dal nulla. Dei corridoi, delle luci sterili, delle porte; lei correva verso un'uscita. I piedi nudi sul pavimento non facevano rumore, l'unico suono che emetteva era il suo respiro.

Si trovò di fronte ad un bivio; da una parte una luce arancione, dall'altra una rossa, due cerchi luminosi che posti sulla soglia dei due corridoi  pulsavano allo stesso ritmo del suo cuore.

Ferma di fronte alla scelta, riprese fiato, mentre cercava disperatamente un modo per trovare una via di fuga.
Click.  
Si sentì trascinare via. Cadde, lasciando che fosse il destino a decidere dove portarla; verso la salvezza, o verso l'oblio.
 

 

 
-L'ha portata lui?-

-Sì, era nel nostro sistema. Che ne vuoi fare?-

-Non lo so. Chiudi quella porta intanto, che se scappa son guai. - la ragazza udì scattare una serratura. Una, due, tre mandate.

Quando riprese completamente conoscenza aprì gli occhi e, come probabilmente avrebbe potuto immaginare, scoprì di trovarsi in una cella. Era buio, ed aveva le mani legate. Qualcosa però attirò la sua attenzione; le sbarre erano spesse e lo spazio tra loro abbastanza ampio da passarci attraverso.

Tentò più volte di alzarsi inciampando nel suo vestito, ora dal colore ambrato. Quando fu in piedi trattenne il respiro e, sperando con tutta se stessa di essere abbastanza sottile, uscì. Non toccò nulla.

Non c'era nessuno, non c'era niente. Era in un corridoio stretto che conduceva dalla cella ad una porta d'acciaio. Nessun'altra via di uscita.

Fece un respiro profondo.

Strinse i pugni, vinse la paura e guardò l'anta metallica come se quella fosse il suo acerrimo nemico. Si diresse verso di essa, e con mano tremante, girò la maniglia.
Era aperta.

Il metallo le sfuggì dalle dita e la porta si spalancò come spinta da un meccanismo, sbattendo rumorosamente contro la parete adiacente.
-Chi sei?- tuonò una voce maschile.

Il respiro le morì in gola, il cuore perse un battito.

Era finita in una sala circolare enorme, la luce filtrava dal soffitto a cupola illuminando di rosa e oro migliaia di schermi fissati alle pareti. Computer, tastiere, cavi che correvano ovunque.

-Ti ho chiesto, chi sei.- senza lasciarle il tempo di rispondere alzò il braccio verso di lei, e sparò.

Un calore piacevole le invase i polmoni e sparì in meno di un secondo, mentre il cuore silenziosamente batteva ancora.

Gocce cremisi caddero ai suoi piedi.

Il dolore tardava ad arrivare.

Con gli occhi fissi in quelli del suo aggressore, rimase immobile, ad aspettare.

Nulla.

Fu lui allora a muoversi.

La raggiunse, e questa volta però, le punto la pistola in fronte.

-Chi sei? Cosa ci fai qui?- urlò.

Se non fosse stato per quelle iridi scarlatte, per quei capelli di un blu scuro, per quella giacca lunga e nera, non si sarebbe sentita così piccola.

-Io… io … -

-Da dove vieni? Come sei arrivata qui?- Era giovane, molto giovane.

-Un bivio …-

-Prima- la interruppe.

-Corridoi e …-

-Prima ancora!-

-Nuvole e una scalinata e una prateria … e …-

-Dillo!-

-Non lo so!- a quelle parole, lui sorrise.

Le prese una mano e la spinse verso la porta rimasta intrappolata nella parete.

-Dimmi una cosa. Cosa senti ora?-

-La ferita … -

- Non mentire.- Si avvicinò al suo volto. - Cosa senti, davvero?-

Davvero?

Lei arrossì, imbarazzata da quella vicinanza.

Cosa sento davvero?

-Niente.- si rispose da sola.

Il ragazzo spostò la pistola dalla fronte al palmo della mano. Fu tremendamente veloce; sparò di nuovo.

Lei non ebbe il coraggio di guardare, aveva chiuso gli occhi poco prima dello scoppio. Pensava che fosse tutto una messa in scena per spaventarla, che alla fine avesse sparato in aria, ma quando li riaprì vide solo sangue. Della mano rimaneva poco.

A quella vista non le venne nemmeno la nausea, era troppo per avere una reazione umana.

-Ed ora cosa senti?-

Niente.

Niente …


Fu allora che accadde.

Un terremoto scosse la terra, i monitor si spensero.

Mentre lei osservava la sua carne a brandelli, il sangue che sgorgava veloce dalle sue ferite, la terra continuava a scuotersi. Sembrava coinvolgere anche l'aria, ogni molecola, ogni luce; tutto tremava.

Il ragazzo sorrise, ma questa volta sembrava … felice?

Lasciò cadere la pistola e le prese le spalle.

-Non mi lasciare! Rimani qui, ti prego, qualunque cosa accada.- urlò.

Un boato improvviso. Un'onda d'energia si espanse da loro e travolse tutto.

Poi, silenzio.

Lei, pallida, immobile, sussurrò qualcosa, qualcosa che rimbombò nelle orecchie di lui e che gli illuminò lo sguardo di una gioia rimasta assopita da troppo tempo.


-E' un sogno.- 





Salve! eccomi di nuovo all'attacco con un'altra serie ^^ Spero possa fare di meglio, e che magari sia un po' più interessante dell'altra :) Come si può notare questa sarà rating arancione; niente di esagerato, volevo solor essere sicura di non essere "troppo" per un rating giallo >_<
Comunque, c'è qualche sognatore lucido quaggiù? *w*
Bene, detto questo, buona lettura; i capitoli saranno postati a seconda degli impegni scolastici ç_ç Sì, scusate, lo so, prima o poi troverò la regolarità XD P.s. Dimenticavo; CRITICATE se vi va °3° grazie <3 x)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Incipit - Pt.1 ***



Incipit - Pt.1



Fu come passare la mano su un vetro appannato. Il mondo che si era sempre nascosto oltre era apparso solo come forme sfocate, come fotogrammi di un filmato che rielaborati potevano suggerire una storia, un'azione, ma che non avrebbero mai raggiunto la definizione della realtà. Erano colori e luci, linee e sensazioni piacevoli o di sconforto, niente dolore, niente tatto, niente odori.
Ora invece poteva sentire.
Calore era quello che le mani del ragazzo le infondevano nella pelle, caldo era il suo sangue lungo il braccio, sull'addome.
Solletico era quello che provava sul volto quando i suoi capelli si muovevano al respiro di lui.
Luce era quella che la abbagliava, gelido era il metallo sulla sua schiena.
Profondo ero lo sguardo scarlatto, diafana la pelle.
Bello fu quello che pensò.
Anche la prospettiva era cambiata; prima vedeva se stessa da diverse angolazioni, cambiava inquadratura ogni volta, mentre ora il punto di vista era uno soltanto. Percepiva il suo peso gravare sui piedi, sentiva le dita, tutte. Nessuna ferita da fuoco, solo l'abito bianco, ora immacolato, che aveva al suo arrivo, morbido e leggero.
Era davvero in un sogno? Sì, altrimenti ora non sarebbe viva. Avrebbe infinitamente preferito che quello fosse un sogno.
Improvvisamente le sembrò tutto più logico; che fine aveva fatto la prateria? Che fine avevano fatto le manette? Com'era possibile che fosse stata rinchiusa in un cella dove le sbarre sembravano solo un'illusione? E come aveva fatto il suo vestito a cambiare colore?
Ma nei sogni non c'è chi ti porta a ragionare, basta seguire il flusso della storia, lasciarsi trasportare e cercare la via d'uscita come aveva fatto poco prima. Ora che non ne aveva più bisogno non sapeva cosa sarebbe successo. Quel luogo era talmente ricco di dettagli, così definito che …
Mi sveglierò?
Forse era accaduto tutto questo perché non sarebbe più stata in grado di svegliarsi. Avrebbe vissuto in un limbo per sempre? Avrebbe mai lasciato quel mondo? Sarebbe stato immediato oppure sarebbe servito qualcosa, come un portale o un oggetto?
Non mi lasciare! Rimani qui, ti prego, qualunque cosa accada.
Ti prego.
Quelle due parole la colpirono più delle pallottole che l'avevano trapassata. Erano una supplica, un misto di speranza e disperazione, un'apertura nella corazza che si era costruito, la sua parte vulnerabile che riprendeva il controllo.
C'era un silenzio innaturale, un'immobilità totale.
-Non sparire, capito?- bisbigliò lui.
-Mi vuoi torturare ancora?- rispose lei, spavalda. Ora che sapeva di non poter morire, aveva il potere nelle sue mani. La sensazione la fece rabbrividire.
Una scossa di terremoto, più piccola stavolta, fece tremare le pareti.
-Non ti voglio fare male. Non ti spaventare, non ti distrarre. Ti prego, guardami negli occhi e ascolta attentamente.-
Era straordinariamente convincente, sembrava che avesse potuto abbracciarla da un momento all'altro, così vicino al suo viso, con quegli occhi speranzosi, e in un qualche strano modo teneri, che gettavano nei suoi la loro ancora di salvezza.
Lei rimase in silenzio, beandosi segretamente di quella vicinanza che mai le era capitato di vivere realmente, mantenendo un'espressione ostile.
-Il sogno cederà tra poco, sarai tu a farlo cedere, è normale che succeda. Io non posso entrare nei sogni altrui, vengo semplicemente spostato da uno spazio all'altro, sei stata tu a trovarmi questa volta. Ti prego, ricordati di me. Ho bisogno che tu mi sogni ancora. Ho bisogno che tu ti renda conto che ti trovi in un sogno ogni volta che mi vedi. Solo allora potrò spiegarti tutto. Posso spiegare perché ti ho sparato, come puoi controllare questo mondo, come stare alla larga dai pericoli.
Quando ti sveglierai, ignora le voci, il rumore, qualunque cosa. Se non riesci a muoverti, respira profondamente. Riordina i pensieri e poi scrivi tutto. Scrivi tutte le sensazioni, quello che è accaduto, ciò che ti ha fatto capire di essere in un sogno. Devi ritrovarmi.-
Il soffittò crollò con un fragore assordante e loro vennero investiti da una nuvola di polvere e calcinacci, ma nulla li colpì; i detriti li sfioravano ed i frammenti più piccoli colorarono soltanto l'aria. Lui si volse, continuando a tenere le sue mani tiepide sulle spalle della ragazza e lei ne approfittò.
Invertì la situazione, lui contro il metallo, lei che lo teneva fermo.
Una sensazione di rabbia le cresceva dentro, la voglia di vendicarsi, di sparare alla sua mano, di ridurre in brandelli le sue dita. Non le aveva dato il tempo di rispondere a nemmeno una domanda, appena era entrata era già stata colpita, senza spiegazioni.
Raccolse la pistola e la puntò alla tempia del giovane, muovendo quei capelli blu come una sera d'estate, ma abbastanza scuri da sembrare naturali. Non si era chinata, era stata l'arma a muoversi da terra direttamente nel suo palmo.
Il fragore del crollo si era trasformato in un mormorio sommesso, come se una folla stessa bisbigliando.
-Non premere il grilletto!-
-Tu l'hai fatto. Per ben due volte se non mi sbaglio, vero?-
-Non ti ho fatto male. Non ti avrei uccisa, non me lo avresti permesso.-
-E tu mi chiedi di ricordarti? Di sognarti ancora? Perché dovrei sognare un intruso? Tu non sei reale.-
-Sono più reale di quanto tu pensi.- sorrise con una briciola di amarezza negli occhi, e spostò lo sguardo a terra. -Ma se vuoi uccidermi, allora fallo. Anche se morissi in questo sogno, tu potresti sempre rievocare inconsciamente la mia immagine in un altro sogno.-
Altra rabbia. I computer esplosero, ma il loro suono si era amalgamato alla folla, diventando quasi quello della pioggia sul metallo, o di una vecchia radio.
-Dimmi il tuo nome.-
-Dubito che potrai ricordarlo, come primo sogno è già pieno di dettagli.-
La ragazza premette di più sulla tempia, spostandogli il capo di lato.
-Ethan. Mi chiamo Ethan. Contenta?-
-Non fare quella faccia. Non attacca.- Oh, attacca eccome. Era un'espressione ammiccante, quella stessa stampata sul volto di chi sta cercando di farsi dire il numero di una single.
Ethan rise.
-E tu invece ce l'hai un nome?-
-Come fai a essere nel mio sogno senza nemmeno sapere come mi chiamo? Come invasore, sei scarso.-
-Sei tu il Dio qui, se Dio mi vuole tenere nascosto qualcosa, ci riesce sempre e comunque.-
-Allora Dio qui si chiama Siria.-
Non sentì più nulla, il rumore era troppo forte. Vide solo Ethan sorridere, e poi tutto si fece buio, ed assieme ai colori delle macerie, si spensero anche le due iridi scarlatte.
Quando ti sveglierai, ignora le voci, il rumore, qualunque cosa. Se non riesci a muoverti, respira profondamente.
 
 
 
Respirava.
Era quello l'importante. Le lenzuola a contatto con la pelle le diedero conferma di essere nella sua realtà, nel suo mondo reale, dove aveva un corpo e poteva provare dolore.
Nel mondo dove non era lei il Dio.
 
 
-Le persone posso avere le iridi rosse?-
-Siria ma che hai oggi? Non hai fatto altro che farmi domande stupide. Io non ho mai visto nessuno con le iridi rosse, né con i capelli blu, non ho mai visto una sala circolare piena di computer da queste parti e non so il significato della scelta tra arancione e rosso. Forse dovresti dormire di più.-
-Mh.- rispose senza averla minimamente ascoltata. Le domande non erano rivolte a nessuno, ma Chara non lo aveva ancora capito.
Il treno sfrecciava veloce sulle rotaie sospese ad una decina di metri da terra, e Siria, che quella mattina si era ritrovata due occhiaie violacce sotto gli occhi, fissava i grattacieli in lontananza, ancora avvolti in una nebbia rosata. Era uscita di casa intrappolata nella sua bolla di confusione, tempestata dalle immagini di quella notte. Quando però aveva alzato gli occhi al cielo, il sole di aprile le aveva ricordato che nulla era come il mondo in cui viveva ogni giorno e che nemmeno il sogno più dettagliato avrebbe mai potuto sostituire un'alba così luminosa. Le nuvole erano dorate, sembrava che brillassero di luce propria interrompendo i raggi, che attraversando l'umidità dell'aria disegnavano chiare linee nell'aria. L'atmosfera estiva era però contrastata dalla nudità degli alberi, che ancora assopiti nel loro inverno, tendevano verso l'etere i rami che presto avrebbero ospitato i frutti della primavera.
Siria aveva inspirato profondamente, ricordando il freddo del metallo ad ogni soffio d'aria che le sfiorava la schiena.
La voce inespressiva che proveniva dagli schermi sopra le uscite annunciò la fermata:
-Scuola Superiore della Scienza e della Tecnologia, istituto sette.- Chara dovette tirare Siria per la manica dell'uniforme per riscuoterla dai suoi pensieri. Quando scesero, rimasero ad aspettare che il treno chiudesse le porte trasparenti prima di vederlo sfrecciare via argentato e splendente tra i palazzi della città. Quella giornata ispirava serenità; il colorito grigio e spento del cemento era scomparso ed aveva fatto rinascere i particolari che solitamente venivano trascurati e considerati parte del paesaggio. Le automobili si muovevano silenziose per le strade, riflettevano sulla loro linea sinuosa le forme dei grattacieli. Le imponenti costruzioni non erano più colossi opprimenti, apparivano solamente come braccia che si levavano verso l'alto, finendo in una punta di luce rossa. Diversi schermi trasmettevano le previsioni meteo della giornata, facevano scorrere le ultime notizie e ad ogni ora lanciavano un segnale acustico; Siria aveva sentito dire che un tempo erano le campane a scandire il tempo.
Era sempre stata attratta dal passato, da quando le città avevano nomi dal suono melodico e non contenevano cifre. Aveva sempre vissuto nella metropoli chiamata LOTH32, tra vetro e cemento. Si chiedeva quindi come fosse la vita prima di Apophis, quando era ancora il petrolio a muovere l'economia e la crisi stava distruggendo nazione per nazione, ma la terra conservava ancora le meraviglie dell'antichità.
Lo schermo che mostrava l'orario segnava le sette e tre quarti.
-Dai, sbrighiamoci. Non voglio arrivare tardi, ho una verifica al primo periodo.- ormai Chara si era rassegnata all'assenza dell'amica, così la portava con sé quasi fosse una marionetta spaesata.
-Tu sogni?- le chiese Siria all'improvviso, mentre camminavano sul reticolo di passerelle alla stessa altezza della linea ferroviaria.
-Perché dovrei?-
-Perché è una scappatoia alla solita vita, no? E poi era naturale.-
-Una volta non si avevano le conoscenze di oggi, una volta non sapevano che sognare danneggia il cervello.-
-Non credo sia così, insomma, ogni tanto mi capita di sognare ma non ho mai riscontrato nessun danno.-
-A lungo andare si faranno vedere! E' una delle centinaia di piccole cose che ti accorciano la vita. Io non voglio rischiare, non mi costa nulla prendere una caramella prima di dormire.-
La chiamava caramella. Siria rabbrividì.
C'era solo una cosa che la tormentava mentre saliva le scale dell'istituto, mentre entrava in classe ed accendeva il computer;
Dubito che potrai ricordarlo, come primo sogno è già pieno di dettagli.
Dannato nome. Era sicura di poterlo ricordare.
 
 
Dormi. Ora. Lo devi rivedere, quindi dormi.
Come se potesse decidere; come se il battito del suo cuore potesse essere regolato da un pensiero. Solo l'idea di rivedere quegli occhi la faceva sussultare. Solo il pensiero di essere di nuovo Dio era energia pura, come poter volare; poteva andare ovunque, fare qualunque cosa.
Chiuse gli occhi, immaginando di trovarsi di nuovo nella stessa sala, ripetendosi le stesse parole.
Passarono ore.
Era tutto avvolto dall'oscurità.
-E' instabile. Finché non ti tranquillizzerai non potrai fare nulla.- disse una voce.
A quel suono le si erano aggrovigliate le viscere. Aveva poi aperto gli occhi ed aveva stretto a sé il cuscino, maledicendosi in mille modi per essersi svegliata. Mancavano ancora quattro ore all'alba. Si alzò, ed ignorando il freddo del pavimento, si diresse verso il bagno. Avrebbe voluto immergere la testa nell'acqua gelata, rinfrescare la mente e ripulire i pensieri. Premette il pulsante blu, impostando la temperatura sotto lo zero.
Clack.
L'acqua non arrivò. Forse aveva scelto una temperatura troppo bassa, pensò.
Il getto partì pochi secondi dopo. La ragazza cadde all'indietro finendo contro una parete di pietra.
Il suo grido lacerò il silenzio della notte. Quella non era acqua.
Sangue, sangue ovunque. Riempiva il lavandino, sporcava il bianco sterile di quello che una volta era il suo bagno.
Cercò una porta, e senza nemmeno sapere dove conducesse, la varcò, inorridita e sporca di minuscole gocce cremisi.
Si ritrovò in una stanza angusta, le pareti di cemento ed il pavimento di linoleum. Una luce fioca proveniva dalla lampadina appesa al soffitto con qualche cavo malridotto. Ondeggiava lentamente, illuminando a tratti una figura seduta su una seggiola, fissata ad essa con spesse corde. Teneva la testa china, lasciando che i riflessi bluastri dei suoi capelli attirassero l'attenzione.
-Ora va meglio.- le disse. -però preferirei che mi liberassi.-
Siria lo guardava silenziosa.
-Siria, questo è un sogno. Ti ricordi di me, è ovvio, altrimenti non sarei qui. E' normale che le prime volte tu non riesca a rendertene conto subito, ma credimi, stai sognando.- parlava come se lei fosse una bambina sull'orlo di un pianto disperato.
-Un sogno?- impossibile, quello era il suo bagno, la sua casa.
-Pensa: non è reale tutto questo. Guardati la mano.-
Sbarrò gli occhi quando riuscì a vedere attraverso la sua stessa carne. Spostò il suo sguardo di smeraldo sul ragazzo.
-Ethan! E' un sogno!-
-Calmati! La stabilità del sogno dipende da te, se ti lasci prendere dall'entusiasmo finirai per distruggerlo. Guarda la lampada.-
Aveva iniziato ad ondeggiare, come se la stanza stesse galleggiando in mare ma loro fossero fissati al pavimento.
Di nuovo, le forme si misero a fuoco, tutto si fece più reale, come la notte prima.
-Anche se ci sono delle anomalie, non ti spaventare. Di solito sono proprio le mani ad essere deformate di più nel mondo onirico. Devi solo tranquillizzarti. Pensi di poterlo mantenere?-
-Credo di sì.-
-Allora lascia che ti spieghi alcune cose, ma prima … Ti dispiacerebbe liberarmi?- chiese sorridendo cordialmente.
Siria fece per dirigersi verso di lui.
-Prova nel modo più semplice; immaginalo.-
Le corde si strinsero ancora di più facendolo tossire.
-Ehi!-
-Non mi fido di te.- disse lei incrociando le braccia e scostandosi la frangia dagli occhi con un movimento repentino della testa.
Ethan mantenne un'espressione seria:
-Bene. Come preferisci.-
-Bene.- Fece eco lei.
-Che hai fatto alla … maglietta?-
Siria arrossì violentemente mentre la stanza si inclinava sempre più. Portava un paio di pantaloncini rossi e una t-shirt bianca sporca di sangue. Si sentì troppo scoperta, come una tartaruga senza un carapace.
-Scusa.- Aggiunse lui immediatamente, ma quando pronunciò quelle parole, lei portava già una giacca di pelle e jeans a sigaretta, rigorosamente neri.
-Incidente di percorso.- disse cominciando a girargli attorno, quasi fosse un'investigatrice che interroga il suo sospettato pluriomicida.
-Di cosa mi dovevi parlare?-
Ethan sospirò e piazzò i suoi occhi in quelli della ragazza.
-Vuoi sapere che sta succedendo?-
-Certo.-
Si schiarì la voce, ed iniziò a parlare.
 
 
 

 Si ringrazia Lavender per il sostegno morale e per sopportare questa ragazza che di normale ha poco >_<'' Controllate la sua nuova storia ;)
 Ho pensato di fare capitoli più brevi, attorno alle 2000-2500 parole. Meglio corti così o i papironi da 6000/5000? D:
L'ambiente è futuristico, se volete sapere in anticipo cosa è Apophis, gogglate che con Wikipedia si trova presto :) Ovviamente qualcosa è stato modificato °-°
Beene, detto questo, vado a continuare (questi capitoli così bremi mi confondono xD), sperando in qualche sogno lucido questa notte. 
*L'avessi io un amico di sogno con i capelli blu e gli occhi rossi XD* 
Fatemi sapere che ne pensate, criticate soprattutto :) 
Alla prossima ^_^

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=994323