Eight days a week

di Shatzy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Klaine as babies ***
Capitolo 2: *** Klaine AU ***
Capitolo 3: *** Missing moment ***
Capitolo 4: *** Klaine's Anniversary ***
Capitolo 5: *** College ***
Capitolo 6: *** Proposal&Wedding ***
Capitolo 7: *** Domestic/Daddy!Klaine ***



Capitolo 1
*** Klaine as babies ***


Note: partecipo anche io alla Klaine Week! Che ho scoperto esistere poco prima della mezzanotte di lunedì... In due ore e qualcosa ho fatto il possibile, è un po' insulsa, ma volevo contribuire.
Il titolo è preso dall'omonima canzone dei Beatles. Buona settimana a tutti!




Capitolo 1. Klaine as babies


Quando suo padre gli aveva detto un paio di giorni prima che quel sabato sarebbero andati al matrimonio di una cugina di sua madre, Kurt non ne era stato entusiasta. Non ricordava nemmeno il nome di questa sua zia, non gli piaceva la campagna, e soprattutto l’idea di tanti altri bambini con cui giocare, secondo quanto detto dai suoi genitori, in verità non lo allettava per nulla. Ma all’ennesimo tentativo di fuga, e all’ennesimo no, Kurt, non puoi rimanere a casa da solo perché hai solo sette anni, cedette. Non che avesse molte alternative, suo padre in fondo era così alto e così forte che niente lo avrebbe mai buttato giù.

E così quella mattina si ritrovò sul sedile posteriore dell’auto con indosso una camicia azzurra e un’espressione corrucciata, mentre guardava scorrere velocemente la strada fuori dal finestrino. Era più che convinto che la sua camera fosse un posto confortevole e adatto a passare le giornate, mentre vedeva qualche cartone animato, spolverava il suo mini servizio da tè e dipingeva con lo smalto di sua madre le macchinine che suo padre gli aveva regalato all’ultimo compleanno. E invece era lì, in quell’inferno verde, ed era esattamente come se lo era immaginato, se non peggio: troppo caldo, troppi insetti e soprattutto troppi bambini.
Sospirò, stringendosi di più alla mano di sua madre – finché la teneva nessuno poteva fargli niente, no? Quindi non l’avrebbe lasciata mai.
“Kurt, vuoi andare a giocare?” gli chiese dolcemente lei, accarezzandolo sui capelli.
“No. Sto bene qui con te”.
“Kurt…” tentò suo padre, passandosi una mano sul viso. “Puoi almeno provarci?” Ma bastò un’occhiata della moglie per farlo desistere. Burt si sedette su una sedia, passandosi due dita sotto al colletto della camicia.
“Puoi rimanere seduto qui, noi andiamo laggiù a portare i nostri regali. Kurt, non ti muovere” concesse lei.
Il bambino annuì convinto, guardando poi i suoi genitori allontanarsi tra un “Posso levare la cravatta, ora?” e un “Pensi sia semplice camminare con un tacco 10 sull’erba? E no, Burt, non sei calvo, la gente non ti sta guardando per questo”. Stette lì, immobile su quella sedia, per diversi minuti, o almeno fino a quando non decise che dondolare le gambe nel vuoto non era poi così divertente dopo le prime cinquanta volte; forse poteva almeno guardarsi attorno… Fu così che notò un movimento sospetto sotto il tavolo affianco al suo. La lunga tovaglia bianca arrivava fino a terra, ma c’era decisamente qualcosa che si agitava al di sotto di essa. Forse un gattino, come quello che la loro vicina di casa gli lasciava accarezzare quando era triste.
Senza pensarci più di tanto si alzò e si avvicinò al tavolo, alzando il tessuto e sbirciando al suo interno con un enorme sorriso stampato sulle labbra.
Enorme sorriso che scomparve appena vide che non c’era alcun gattino, ma solo… “Un bambino” sussurrò sconsolato. E uno nemmeno tanto carino, per la cronaca.
“Ehi!” gridò quello spaventato, voltandosi verso di lui e sbattendo la testa contro il tavolo.
“Ti sei fatto male?” chiese Kurt, preoccupato.
“Entra, sbrigati!”
“Come, scusa?”
“Vieni qui!” e senza troppi scrupoli gli prese la mano e lo trascinò sotto al tavolo, riposizionando bene la tovaglia a terra.
Kurt si guardò attorno spaesato, per quanto quel metro quadrato glielo permettesse, e si focalizzò poi sull’altro bambino. Camicia rossa a quadri, strani capelli ricci, due occhi nocciola che lo fissavano con un’intensità quasi minacciosa. “Ehm… Perché sei qui sotto? Ti sei perso? Mia mamma dice che-”
“Come mi hai trovato?”
“Beh. Ero seduto qui accanto e a un certo punto ho visto agitarsi qualcosa da questa parte, così ho pensato che-”
“Lavori per loro, vero?”
“Cosa?”
“Lo sapevo!”
“Io non so di cosa tu stia-”
“Adesso sei il mio ostaggio!”
“Mi lasci almeno finire di parlare?” sbottò Kurt, leggermente sopra le righe, ma riuscendo a far chiudere la bocca a quel ragazzino esuberante, che sembrò colto alla sprovvista. “Volevo solo vedere se c’era un gattino qui sotto, non voglio stare con te e non lavoro per nessuno. Il mio papà dice che quelle sono cose da grandi” spiegò, sistemandosi distrattamente un ciuffo sulla fronte.
L’altro lo squadrò incerto, ma poi sorrise. “Okay, ti credo. Wes e David staranno ancora tentando di trovarmi, dopotutto”.
“Chi?”
“Nessuno ci era mai riuscito prima d’ora, sono il migliore in questo gioco!” si vantò. “Da ora in poi quindi noi due siamo migliori amici” evidenziò, sorridendo ampiamente.
“E perché mai?”
“Beh, perché mi hai trovato” rispose convinto. “E perché sei carino come una bambina, e mi piace tenerti per mano” concluse, stringendo leggermente le dita dell’altro che ancora teneva saldamente nel proprio palmo.  
Kurt si ritrovò ad arrossire appena, prima di corrucciare la fronte. “Le bambine non sono carine”.
“Certo che lo sono!” s’impuntò quello. “Lo dice anche mio padre!”
“Le bambine non sono carine” ripeté Kurt, ponderando bene le sue parole. “Le bambine sono… pulite”.
L’altro sembrò pensarci su per qualche secondo, aggrottando le sopracciglia e fissando un punto imprecisato del tavolo sopra la sua testa. “Mi sa che hai ragione”.
Kurt annuì compiaciuto, per poi ricordarsi di una cosa. “Ma perché stai qui sotto? Non ti piacciono gli altri bambini? Nemmeno a me!”
“Oh, no” disse quello. “Stiamo giocando” spiegò, “è divertente! Ti va di giocare con me? Sono il migliore in assoluto!” si vantò, sfoggiando un sorriso enorme.
“E come funziona?”
“Devi nasconderti in un posto e stare immobile finché quelli della squadra avversaria non ti trovano, e poi correre velocemente fino all’auto di Thad, che è la nostra base e i suoi genitori sono troppo lontani per accorgersene, o almeno così ha detto”.
Kurt piegò la testa da un lato, pensieroso. “E dov’è il divertimento? Sembra faticoso”.
“Oh” il viso dell’altro sembrò intristirsi improvvisamente, e Kurt si ritrovò a pensare che preferiva di gran lunga il suo sorriso. “Beh, se non ti piace possiamo giocare ad altro, tanto io sono il capo!”
“Il capo?” chiese incredulo.
“Certo. Perché sono il più alto” si vantò, battendosi una mano sul petto.
Kurt si ritrovò a sorridere senza nemmeno sapere bene perché, decidendo che quel bambino forse era meglio di qualsiasi gattino che avrebbe potuto accarezzare. “D’accordo” acconsentì, ma la luce del sole li colpì entrambi all’improvviso e fece loro chiudere gli occhi.
“Kurt!” si sentì chiamare. “Ti avevo detto di non allontanarti”.
Kurt si sentì immediatamente colpevole sotto il tono accusatorio di sua madre, ed uscì lentamente da sotto al tavolo.
“E questo chi è?” sentì suo padre dire, probabilmente rivolgendosi al bambino che era ancora attaccato alla sua mano.
“Ehm… lui è…”
“Signora mamma e signor papà di… ehm, Kurt, mi chiamo Blaine Anderson, i miei genitori hanno quella macchina nera laggiù, un giorno sarò alto come mio fratello, ma più gentile, e sono il migliore amico di Kurt” si presentò, con un sorriso raggiante.
“Oh, molto piacere, Blaine” rispose la madre di Kurt, sorridendo e passandogli una mano tra i ricci.
“Quello è l’ultimo modello uscito di una BMW?”
“Burt”.
“E’ importata direttamente dall’Europa!”
“Burt!”
“Okay” capitolò, tornando a guardare suo figlio, per poi corrucciare la fronte. “Perché lo tieni per mano?”
“Perché è il mio migliore amico, signore” spiegò Blaine con fare sicuro, mentre Kurt arrossiva.
“E, Kurt, vuoi andare a giocare con lui?” propose sua madre.
Quello annuì piano, mentre l’altro bambino gli sorrideva e lo trascinava via.
“State dove posso vedervi!” urlò Burt, un po’ burbero, mentre i due correvano verso un albero poco lontano, dove altri bambini si stavano radunando.
L’ultima cosa che Kurt vide fu sia madre che rideva mentre suo padre incrociava le braccia al petto. Non sapeva bene se era nei guai o no, ma era certo che non doveva preoccuparsene. La sua mamma riusciva sempre ad averla vinta.

*

“Kurt!”
“Mh?”
“La tua mamma è proprio bellissima”.
Kurt sorrise, sdraiato sull’erba dietro al muretto dove si trovavano. “Lo so, è la mamma più bella del mondo”.
Blaine annuì pensieroso, sdraiandosi accanto a lui e tenendogli ancora la mano. “Ha il tuo stesso colore di occhi. Non ho mai visto un colore così” disse, avvicinandosi un po’ al suo viso.
“Non è niente di particolare” ammise l’altro, scrollando una spalla. A me invece piace il tuo, pensò.
“Tu le somigli tanto” gli disse subito dopo, sorridendo.
“Oh” arrossì. È bellissima, gli aveva detto. “Grazie”.
Blaine si limitò a stringergli di più la mano, e poi si ritrovarono a guardare gli alberi sopra le loro teste che si muovevano piano con il vento della tarda mattinata.
Non seppero quanto tempo passò, ma quel silenzio e quel calore erano le cose più piacevoli che avevano mai provato.
“Blaine?” chiese Kurt dopo poco.
“Mh?”
“Pensi che ci troveranno mai qui?”
“… No”.
“Si sta bene”.
“Sì.”
“… Ho un po’ fame”.
“Anche io!”
È sempre dalle piccole cose che si capisce la nascita di una grande amicizia, in fondo.
“Ti do la metà del mio dolce se mi riporti dai miei genitori”.
“E mi fai provare il tuo papillon?”
“Solo per cinque minuti”.
“Affare fatto!”
O di qualcosa di più.

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Capitolo 2
*** Klaine AU ***


Capitolo 2. Klaine AU




La prima volta che Kurt notò Blaine era un pomeriggio nuvoloso di inizio novembre. Il Lima Bean era piuttosto affollato per via del freddo di quei giorni, studenti di diverse scuole accerchiavano i tavolini coperti di compiti e biscotti, un mormorio sommesso si levava dalla fila irregolare di clienti, e lui da dietro il bancone era intento ad eseguire gli ordini che la sua collega gli passava. E ad un certo punto, appena la campanella sopra la porta suonò, Kurt alzò la testa, e rimase a fissare il nuovo arrivato fino a quando il latte bollente non uscì dal bordo del bicchiere di carta che stava riempiendo, scottandogli una mano.

Non ci parlò direttamente, e tutto quello che scoprì in quella giornata fu che il suo nome era Blaine, che portava la divisa di una scuola privata che non aveva mai visto, e che aveva un sorriso da sogno.
Gli preparò il miglior caffè medio che l’Ohio avesse mai assaggiato.
La prima volta che Blaine notò Kurt fu soltanto qualche mese dopo.

*

“E quindi ci stiamo già preparando per le Regionali, non possiamo perdere tempo, non possiamo perdere nemmeno un minuto, non dopo quel pareggio con quel gruppo di damerini che ballano fuori tempo. Ovviamente non ci saranno problemi, almeno fino a quando il signor Schue e gli altri continueranno ad essere d’accordo che sia io a cantare una ballata, perché in quel caso- Kurt, mi stai ascoltando?”
Kurt venne improvvisamente interrotto dal suo sogno ad occhi aperti, che prevedeva lui, un ragazzo con i capelli ricci e un campo di lillà. “Rachel, anche se non c’è tanta gente non dovrei parlare con te, sto lavorando” la rimproverò. “E comunque parlavi del tuo prossimo assolo” provò, sapendo di andare sul sicuro anche se non aveva sentito una sola parola negli ultimi cinque minuti.
La ragazza gli sorrise compiaciuta, per poi guardarlo con un velo di malinconia. “Ci manchi al Glee Club”.
“Mi mancate anche voi” sospirò, “ma non ho tempo per fare entrambe le cose, e questo lavoro mi serve davvero” spiegò per l’ennesima volta.
“Tuo padre come sta?” chiese interessata.
“Meglio. Certo, non riesce ad abituarsi all’idea che un pasto senza sale sia commestibile” e che io lo aiuti a pagare le spese mediche, “ma sta molto meglio”.
“Puoi sempre unirti a noi tra qualche mese, per le Nazionali avremo bisogno di te!” tentò di convincerlo Rachel.
Kurt rise, scuotendo poi la testa. La sua amica non sarebbe cambiata mai. “Ti preparo il caffè”.
“Con panna, grazie”.
Quando il campanello sopra la porta risuonò nel locale semi-vuoto, alzò gli occhi pronto a salutare il nuovo cliente.
“Oh mio dio”.
“Okay, niente panna” accordò lei.
“No, non è questo. È lui!”
“Lui chi?”
Lui! Il ragazzo da sogno di cui ti parlavo” sussurrò, avvicinandosi all’amica e indicando la divisa blu che si stava avvicinando a un tavolino in un angolo.
“Il tuo futuro marito?”
“Esatto!”
Rachel era una persona fin troppo curiosa e decisamente poco discreta, ma questo non le impedì di voltarsi nella direzione indicata di Kurt. E quando scorse la figura di un ragazzo che rideva con dei suoi amici, non riuscì a bloccare un gridolino oltraggiato. “Oh mio dio! È lui!”
“Lui chi?”
Lui! Il damerino che balla fuori tempo!”
E tutto quello che Kurt registrò di quella giornata, era che l’uomo della sua vita doveva avere anche una voce da sogno. Perfetto.  

*

“È che ha insistito molto, in fondo a me non cambia niente”.
Se c’era una cosa veramente positiva nel lavorare come barista al Lima Bean, era poter ascoltare indisturbato tutti i discorsi dei clienti senza passare per curioso o indiscreto, proprio come Rachel. Era assurdo come le persone parlassero della propria vita come se fossero da soli, anche dei dettagli più sordidi, mentre aspettavano che le loro ordinazioni fossero pronte. E Kurt avrebbe volentieri continuato ad indossare quegli orribili pantaloni color kaki ancora per diverso tempo, solo per avere l’occasione di captare qualcosa della vita del ragazzo dei suoi sogni.
“Lo so, Blaine, ma non è la stessa cosa. Non puoi fare un duetto con un ragazzo, e non puoi ripeterlo trenta volta solo perché Trent ti considera una divinità”.
“Ma, Wes, io… Ecco, non volevo ferire i suoi sentimenti”.
Kurt non sapeva bene di cosa stavano parlando, ma quell’espressione contrita sul viso del suo Blaine gli ricordava tanto quella di un cucciolo. Magari potevano averne uno nella loro casa, un giorno; uno di quelli con il pelo scuro, esuberanti e amanti delle coccole.
“Quella canzone è un flirt continuo, ti serve una ragazza con cui hai una certa chimica, al massimo. O un ragazzo, nel tuo caso”.
Blaine sorrise timidamente, e Kurt percepì perfettamente la sensazione dei suoi occhi che sfuggivano dalle orbite. Okay, non era il momento di pulire il bancone con una stupida salvietta profumata, questo era il segno che aspettava, il miracolo in cui non osava sperare, il sogno che viveva da un mese e mezzo, un regalo di Natale in anticipo di una settimana.
“Non è andata poi così male. E allo spettacolo dovrò cantare con una ragazza, quindi è meglio abituarmi a qualcuno con cui non posso avere chimica” spiegò calmo, mentre prendeva una bustina di zucchero da una ciotola lì accanto.
Il suo amico – Wes, ricordò Kurt – scosse la testa debolmente, per poi prendere entrambi i bicchieri ripieni di caffè e voltarsi a cercare un tavolo. “È questo sabato, no?”
“Questo sabato al Kings Island” precisò l’altro. E poi scomparvero nella massa di clienti del locale.
Kurt rimase con la salvietta a mezz’aria per almeno trenta secondi, paralizzato dalla sua nuova scoperta mentre un sorriso enorme nasceva sulle sue labbra. Blaine era gay. Gay.
E inoltre, aveva appena trovato un impegno molto interessante a cui Mercedes non avrebbe potuto sottrarsi, per quel sabato.
La cosa negativa nel lavorare come barista al Lima Bean, tuttavia, oltre ad indossare dei pantaloni color kaki fuori moda di almeno venti anni, era il passare inosservato a chiunque, essere invisibile dietro al bancone, come se non potessi sentire, parlare o capire, come se non esistessi nemmeno.   

*

Quel giorno di fine gennaio Kurt era particolarmente allegro. Un timido sole splendeva nel cielo, aveva appena ricevuto il suo primo aumento, e aveva deciso di dichiararsi a Blaine. In fondo era il ragazzo dei suoi sogni e aveva già pianificato i colori del loro matrimonio, non c’era motivo di perdere altro tempo. Kurt Hummel era un giovane ragazzo innamorato dell’Ohio, e niente e nessuno poteva rovinargli il buonumore.
Tranne forse un ragazzo alto e biondo che era appena entrato al Lima Bean insieme a Blaine, e che gli sorrideva in un modo che non lasciava scampo a interpretazioni sbagliate. Era un appuntamento.
Gli crollò il mondo addosso, quantomeno sotto forma dei bicchieri di carta che stava tentando di ordinare sul ripiano. Si sentì ferito, deluso, arrabbiato, tradito. Come aveva potuto fargli questo?
Si limitò a rimanere immobile accanto alla macchina per l’espresso, appoggiando la testa contro una ciotola di vetro contenente i chicchi di caffè; lanciò qualche timida occhiata ai due in fila, notando come ogni sguardo di Blaine, ogni sorriso, ogni gesto impacciato fosse una pugnalata al petto. Quel tipo poteva anche avere i capelli più gay di tutta la città, ma era indubbiamente attraente, e maturo, e con tanto tempo libero da passare con il suo ragazzo dei sogni, invece di stare chiuso dentro un locale a preparare caffè vestito in modo ridicolo.
Ma se solo Blaine lo avesse guardato, anche per un attimo, Kurt era certo che si sarebbe accorto del loro potenziale. Se gli avesse dato una possibilità, gli avrebbe dato tutta la felicità che meritava. E dita incerte e calde che stringevano le sue mani, sorrisi complici scambiati in mezzo alla gente, labbra delicate sulla sua pelle; avrebbero avuto una loro canzone, o una colonna sonora più che altro, per raccontare tutto quello che sarebbero stati, avrebbero guardati vecchi film d’amore sul divano, dividendo una coperta e una cioccolata calda senza panna, e avrebbero pianificato la loro vita insieme dopo il diploma, a New York, lontano da tutto, dove i pantaloni kaki erano scomparsi negli anni ’80 e i ragazzi con i capelli biondi e perfetti esistevano solo nelle favole, magari insieme a una principessa, non a un principe. Blaine avrebbe scelto il nome del loro cane, e Kurt si sarebbe occupato della sua dieta, e avrebbero decorato insieme la stanza dei loro figli comprando un miliardo di riviste di arredamento e di gravidanza, anche solo per sapere tutti, ma proprio tutti i dettagli. E sarebbero invecchiati insieme, guardando i tramonti dall’attico del loro appartamento, si sarebbero tenuti per mano fino alla fine dicendosi “Ti amo”, senza stancarsi mai.
Kurt prese l’ordinazione senza pensarci, e meccanicamente mise insieme gli ingredienti. Guardò per un’ultima volta Blaine, intento a fissare il pavimento, imbarazzato per qualcosa che l’altro aveva detto.
Sospirò.
Fu certo di aver preparato il peggior caffè medio di tutto l’Ohio, quel giorno.

*

Nelle rare sere in cui era l’addetto alla chiusura del locale, lasciava che i suoi pensieri vagassero più del dovuto. Immaginava un posto grande come quello riempito da una folla adorante, un palco rialzato e le luci che lo illuminavano mentre cantava per il suo pubblico, riusciva a sentire persino il rumore degli applausi se si concentrava bene, e il profumo dei fiori che gli venivano regalati. E poi c’era sempre Blaine, seduto in disparte, che gli sorrideva orgoglioso con amore.
Ogni tanto intonava qualche motivetto mentre strofinava il bancone, qualche passo di danza con la scopa, qualche inchino e ringraziamento, almeno fino a quando non notò che non era solo. Come al solito.
“Ehm, siamo chiusi” disse ricomponendosi all’istante, notando una figura seduta a un tavolo appena dietro a una colonna.
“Oh, chiedo scusa, ho perso la cognizione del tempo”.
E a Kurt sembrò di trovarsi in uno di quei film romantici di seconda categoria in cui sai già come va a finire da quando compare il titolo sullo schermo. E avrebbe dato di tutto per poter correre mano nella mano verso il tramonto con Blaine, che ovviamente era seduto proprio di fronte a lui in quel momento.
“M-me ne vado subito” evidenziò quello, scambiando gli occhi sgranati di Kurt per qualcosa di minaccioso, probabilmente.
“No!” strillò, più acuto del necessario, tanto che Blaine sussultò.
“No?”
“No. Cioè, non serve. Devo ancora chiudere la cassa, quindi se vuoi un ultimo caffè prima di andare via posso preparartelo” e wow, la sua voce era stranamente ferma. Tutte le prove di approccio davanti allo specchio della sua camera erano servite a qualcosa.
L’altro sembrò pensarci su per qualche secondo, ma poi sorrise ed esordì con: “Un caffè medio, per favore”.
Lo so, si trattenne dal rispondere. E disse soltanto, sovrappensiero: “Con un extra di cannella”, mentre si voltava verso il bancone.
Sentì Blaine trattenere il respiro, e poi alzarsi dalla sedia e seguirlo. Che fosse pronto a scappare verso il tramonto?
“Sei tu?” chiese, appoggiandosi con i gomiti sulla lastra di marmo mentre Kurt gli preparava l’ordine.
“Sono io…?” rispose. L’uomo della tua vita? Perché la risposta è sì.
“Il mio folletto misterioso. Se vengo in determinati orari e in certi giorni, il mio caffè ha un tocco di cannella in più che semplicemente adoro” spiegò.
E io adoro te. “Oh. Forse calco troppo la mano senza rendermene conto. Meglio che ci stia attento prima che finisca le scorte e mi licenzino” ridacchiò, cercando di cambiare argomento e di non approfondire il discorso di quando un mese prima aveva ascoltato per caso una conversazione tra lui e- uhm, mi sa che l’altro si chiamava David, in cui diceva di avere un debole per la cannella.
“Mi sento in dovere di ringraziarti”.
“Come, scusa?”
“Per il caffè. E per la cannella. Dimmi il tuo sogno più grande e io tenterò di realizzarlo” propose entusiasta. Ed era strano come i suoi occhi fossero ancora più belli quando guardavano Kurt, quasi più luminosi.
“Il mio sogno più grande?” ripeté incerto l’altro.
“Esatto”.
“Oh. Broadway” rispose sicuro.
Blaine sembrò preso alla sprovvista, ma il suo sorriso si allargò ancora di più. “Sogni in grande! Sai cantare?”
“Ero nel Glee Club della mia scuola, il liceo McKinley”.
“Lo conosco! Ci dobbiamo confrontare con loro la prossima settimana alle Regionali, siete in gamba, soprattutto la vostra solista, è piccola ma piena di talento”.
Rachel sarà felice di saperlo, riuscì a pensare Kurt in un momento di lucidità. “Non ne faccio più parte, purtroppo. Sai, il lavoro…” lasciò il discorso in sospeso, facendo un vago cenno con la mano e tornando ad occuparsi del caffè. Suo padre stava molto meglio e le spese mediche erano state quasi del tutto pagate, magari poteva davvero pensare a licenziarsi a breve e tornare nelle Nuove Direzioni in tempo per il loro debutto alle Nazionali.
Blaine inclinò la testa di lato, guardandolo meglio forse per la prima volta e facendolo arrossire. “Sei al primo anno?”
“Sono al terzo!” sbottò Kurt indignato, rovesciando violentemente la tazzina di caffè nel bicchiere di carta apposito.
“Oh, anche io!” e sorrise di nuovo. Cosa c’era da sorridere così tanto non lo sapeva, ma non se ne sarebbe lamentato. “Sono Blaine, comunque” si presentò, tendendo una mano verso di lui, oltre il bancone.
Lo so, avrebbe voluto dirgli, di nuovo, ma voleva proprio evitare di passare per il suo stalker di fiducia. “Kurt, piacere” disse, stringendo quelle dita calde e sicure. E quello era proprio il momento giusto per uscire dalla porta del Lima Bean e correre insieme verso il tramonto.
“Kurt. Ti va di farmi compagnia mentre bevo il caffè?”
“Ma è tardi, non devi tornare a casa?” e cosa diamine gli stava dicendo il cervello in quel momento?
“Forse non ci voglio tornare” ammise in un sussurro, e i suoi lineamenti si distorsero appena.
Oh. Forse Kurt non era l’unico ad avere qualche problema nella sua giovane vita. Forse Blaine non era così solare ed estroverso come appariva, forse aveva dei lati oscuri anche lui. E questo lo rendeva stranamente ancora più affascinante, tanto che Kurt si ritrovò a voler conoscere ogni più piccolo dettaglio della sua vita.
“Ho ancora mezz’ora prima di chiudere” gli propose, e Blaine sorrise di nuovo.
“Allora magari mi puoi raccontare com’è la vita di un barista” gli offrì.
“Oh, non molto interessante… Tanti clienti, sempre le stesse facce, non che io ricordi tutte le facce, o i clienti, sono una specie di massa informe per noi oltre il bancone, ordinano, pagano, se ne vanno, è piuttosto noioso. Non che tu sia noioso. Cioè, almeno credo, non ho mai ascoltato un tuo discorso ed è la prima volta che ti vedo. Comunque sì, accetto la tua offerta e ti prego levami da questa situazione imbarazzante”.
Blaine rise sinceramente, e Kurt non poté fare altro che fissarlo entusiasta, anche se l’altro stava ridendo di lui. “Perché non prepari un caffè anche per te? Pago io, ovviamente, poi ci sediamo laggiù” disse, indicando un tavolino vicino a una finestra, “e approfondiamo l’argomento della fantastica vita all’interno del Lima Bean”.
E sì, quella era l’ennesima conferma che Blaine era proprio destinato a diventare l’uomo della vita di Kurt.
E forse non proprio tutti i suoi sogni si sarebbero realizzati, forse non avrebbe mai avuto un cane, non sarebbe mai corso verso il tramonto con qualcuno, o non avrebbe conosciuto a fondo un prato di lillà, ma se la vita era esattamente come se l’era immaginata, non sarebbe stato tanto divertente viverla. Insieme a Blaine, ovviamente.
“Ah, devo ancora realizzare il tuo desiderio. Broadway è fuori dalle mie competenze, lo ammetto”.
E Kurt sorrise. “Lo hai già fatto”.







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Note: non sapevo proprio che scegliere come AU, mi hanno proposto la barista!kurt ed eccola qui :D
Volevo ringraziare tantissimo chi ha recensito lo scorso capitolo, sakuraelisa e glenn :) e chi ha messo la storia nelle seguite.

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Capitolo 3
*** Missing moment ***


Capitolo 3. Missing moment (dalla 3x11-Michael)


“Kurt, non pensi che potresti anche alzarti adesso?”

“No, sto bene così, grazie”.
Blaine alzò gli occhi al cielo, pensando che sarebbe stato troppo facile riuscire a convincerlo con una semplice domanda; passò una mano tra i capelli di Kurt, sorridendo, mentre l’altra gli accarezzava lentamente la schiena. “Vuoi stare tutto il giorno su questo letto abbracciato alle mie ginocchia o prima o poi mi guarderai negli occhi? Beh, nell’occhio” scherzò, tentando di far tornare il buonumore al suo ragazzo, che per tutta risposta strinse più forte le gambe dell’altro.
“Non è divertente”.
“Come no?! Hai idea di tutte le battute sui pirati che possiamo usare e che pensavamo non avremmo mai potuto dire?”
Kurt si alzò a sedere, girandosi a fronteggiarlo. “Blaine, non ho mai voluto dire una battuta sui pirati in tutta la mia vita e non comincerò ora” evidenziò.
“Ma almeno ora mi guardi” gli fece notare compiaciuto, passandogli due dita sotto al mento, che l’altro prontamente scostò.
“Non cambia niente” si ostinò, incrociando le braccia al petto.
Blaine riuscì comunque a convincerlo – con un po’ di forza e un po’ di sguardi che giocavano sul senso di colpa per non aver assecondato un malato – a sdraiarsi accanto a lui, circondandogli le spalle con un braccio e facendogli poggiare la testa sul suo petto. “Sono molto fiero di quello che hai fatto, Kurt”.
“Io non credo” borbottò l’altro, con la bocca premuta contro il pigiama del ragazzo.
“Invece sì” sorrise. “Era la cosa giusta da fare, la violenza non paga mai. E sono così orgoglioso che tu sia rimasto fedele ai tuoi principi”.
Kurt sussurrò qualcosa di indefinito, per poi sistemarsi meglio contro la sua spalla e stringere forte la stoffa tra le mani. Cominciò sovrappensiero ad accarezzargli una caviglia con il piede, in un gesto ormai abituale, mentre Blaine gli passava la mano tra i capelli e gli lasciava piccoli baci su una tempia.
“Vuoi riposare?” chiese Kurt.
“No”.
“Sei sicuro che vada bene così?”
“Assolutamente sì”.
L’altro ci penso su qualche secondo, prima di portare una mano al viso di Blaine e sfiorargli una guancia. Era liscia, ma in fondo lo aveva aiutato prima a radersi. “Sei davvero-?”
“Sì” ma mentre tentava di baciarlo sulle labbra urtò il suo naso con il proprio. “Oh, scusami, continuo a dimenticare che gli esseri umani hanno anche una certa profondità, anche se non la percepisco più” rise. “Mi sembra di essere tornato ai nostri primi giorni insieme”.
Kurt si massaggiò velocemente la parte lesa, alzandosi quel poco che bastava per guardarlo negli occhi. “Forse è meglio se ci penso io”.
“Totalmente d’accordo”.
Ma dopo un paio di baci lenti e delicati, si fermò all’improvviso. “Sicuro che non ti senti male?”
“Kurt, mi fa male l’occhio, non la bocca” evidenziò, incitandolo a continuare.
L’altro tuttavia tornò sdraiato contro la sua spalla, con sommo dispiacere di Blaine – che era malato, sì, ma non infetto, e qualche coccola l’avrebbe volentieri apprezzata –, restando in silenzio per qualche minuto. “Sei spaventato per l’operazione?”
“Terrorizzato” ammise, stringendolo a sé e trovando un po’ di coraggio.
“Sarò lì tutto il tempo e ti terrò la mano finché non ti svegli” dichiarò sicuro.
Blaine sorrise. “Sarai la prima cosa che vedrò allora, non potevo chiedere di meglio”. E sapeva che Kurt stava arrossendo.
“Tecnicamente dovrai portare la benda per qualche altro giorno, per non sforzare l’occhio destro” spiegò.
“E quindi potremo usare altre battute sui pirati!”
Kurt lasciò andare un sospiro, a metà tra il seccato e il tranquillizzato. Gli lambì il collo con le labbra, chiudendo gli occhi e perdendosi un attimo nell’odore che tanto amava, mentre cercava di infondergli quel coraggio di cui Blaine parlava sempre. “I tuoi genitori mi odiano”.
“Non è vero. Si sono solo spaventati quando hanno saputo che sono finito di nuovo in ospedale, non ti odiano” al massimo odiano me.
L’altro sembrò cogliere il flusso dei suoi pensieri, così si strinse a lui ancora più forte. “Mi dispiace”.
“Non esserlo” rispose pronto, dandogli un bacio tra i capelli. “Sarei stato molto più terrorizzato se fosse toccato a te”.
“Non è vero”.
“Certo che è vero, non sei nella mia mente” gli disse paziente. “Beh, meglio, lì dentro c’è molta confusione ed è pieno di tue immagini” scherzò.
“Blaine, quello è il tuo armadietto a scuola” sbuffò, sorridendo.
L’altro annuì. “C’è anche una continua musica in sottofondo che si alterna tra la Top40 e il rock anni ‘70, non ti piacerebbe stare qui dentro”.
Kurt lo guardò scettico, con tanto di sopracciglio alzato. “Non hai accettato di nuovo gli steroidi di Puck, vero? Perché non sono antidolorifici”.
“Stai dubitando delle mie medicine?” chiese fintamente oltraggiato, mentre lo abbracciava con entrambe le braccia e gli strofinava la guancia sui capelli.
“Smettila” disse poco convinto, tanto che la protesta finì dopo qualche secondo e si ritrovarono in silenzio, stretti l’uno all’altro e con troppi pensieri in testa.
“È andata bene così, Kurt, fidati”.
“Non è vero”.
“È vero invece, e sai perché?” domandò gentilmente.
“Perché mi ami e non vuoi vedermi soffrire? Ci hai mai pensato che forse vale lo stesso per me?” si agitò, alzando leggermente la voce e arrossendo un po’.
“Uhm… sì, anche” acconsentì, baciandolo sulla fronte. “Ma soprattutto perché tu non mi avresti mai permesso di giocare ai pirati con la tua benda!”








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Note: avevo scritto questa storia appena dopo la 3x11, in realtà avevo passato una notte a scrivere delle drabble demenziali su quell'episodio perché era troppo angst, ma quando le ho passate a un'amica mi sono vergognata troppo e ho dovuto aggiungere qualcosa di sensato, che è appunto questo capitolo qui. So che magari è banale e credo che altri ci abbiano scritto sopra a suo tempo, ma avevo questo già pronto e non so quanto tempo per scrivere avrò nei prossimi giorni, così mi sono portata avanti e ho reciclato questo capitolo :D
Grazie a chi ha letto la mia storia tra le tante che ci sono in giro, e soprattutto un grazie infinito a chi ha trovato il tempo di commentarla, significa tanto per me sapere che qualcuno apprezza quello che mi impegno a scrivere :)
A domani!

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Capitolo 4
*** Klaine's Anniversary ***


Capitolo 4. Klaine's Anniversary <3



“Non doveva andare così”.

La campagna ai lati della strada si estendeva a perdita occhio, fino alle colline all’orizzonte e a qualche casa isolata circondata da sparuti alberi e recinzioni di legno.
“Non importa…”
“Te lo giuro, Kurt, avevo organizzato ogni minimo dettaglio, non ho idea del perché sia finita in questo modo”.
E tutto intorno a loro, avanti, dietro, ai lati, c’erano automobili ferme ordinate in una fila infinita, motori spenti, gruppi di gente accanto al guard-rail che facevano amicizia tra loro.
“Non importa, davvero”.
“È che… Lo so che non potevamo evitare questo incidente stradale che doveva avvenire proprio stasera, e lo so che ci sono persone ferite e dovrei preoccuparmi di questo, solo che-”
“Be’, se mi avessi dato retta e avessi preso la strada OH-117W diretta per Bellefontaine, invece di svoltare per questa…” mormorò Kurt, incrociando le braccia al petto.
Blaine si girò verso di lui, sgranando gli occhi. “La OH-196S circonda il lago, Kurt, ha una vista panoramica migliore e molto più romantica” si difese.
“L’altra è più breve”.
“Per un chilometro appena!”
“E va bene, hai ragione tu, è stata una pura casualità trovare un ingorgo di dimensioni epiche in Ohio e rimanere bloccati per tre ore la sera del nostro anniversario” ammise sconfitto, guardando fuori dal finestrino e incrociando lo sguardo del guidatore della macchina affianco, a meno di un metro di distanza. Sbuffò, tornando a fissare il cruscotto.
“Avevo davvero organizzato tutto da un mese almeno, Kurt, devi credermi. Volevo ripercorrere insieme a te tutte le tappe del nostro rapporto, tornare sui luoghi importanti per noi due, ho implorato Mr Schue di prestarmi le chiavi dell’auditorium e minacciato David per lasciare aperto il cancello sul retro alla Dalton” precisò concitato.
“E invece ci siamo arenati dopo il Lima Bean” evidenziò l’altro.
Blaine lo guardò per qualche secondo, pensieroso. “Forse se non fossimo scappati via dopo aver preso i nostri caffè, ma se ci fossimo fermati per almeno qualche minuto al tavolino dove ho detto di amarti per la prima volta, avremmo saputo in tempo di questo incidente”.
“C’era Sebastian! Come al solito! Non avevo intenzione di rovinarmi l’anniversario a causa di qualche battuta che sicuramente ci avrebbe detto” sbottò indignato.
“Non capisco perché ancora ti importi di lui, ti ho detto mille volte che-”
“La volete smettere? Mi sembrate i miei genitori e non vi sopporto più!” gridò una ragazza seduta nell’auto accanto a Blaine. “Almeno alzate i finestrini”.
I due arrossirono all’istante e borbottarono qualche scusa sincera, facendo piombare un silenzio imbarazzato nell’abitacolo. Poi Kurt sospirò.
“Non è poi così male” concesse, lasciando che Blaine gli prendesse la mano. “Tra cinque chilometri c’è lo svincolo per tornare indietro, e siamo stati insieme tre ore in un piccolo spazio –  senza poterci toccare perché siamo circondati di persone – ma non è male”.
“Vuoi tornare indietro senza nemmeno arrivare a Westerville?” chiese.
“Blaine, non siamo nemmeno a metà strada, sono le nove di sera e domani abbiamo scuola. E mio padre ha già chiamato cinque volte” gli fece sapere.
“Ti avrei baciato in ogni stanza, scalinata o corridoio in cui siamo passati”.
“Ci avremmo messo ore! La Dalton è immensa” dichiarò stupito Kurt, ma notando lo sguardo eloquente del suo ragazzo non poté fare a meno di arrossire e dargli una pacca sul braccio, allontanandolo, mentre un sorriso timido e dolce si apriva comunque sulle sue labbra.
Blaine gli prese di nuovo la mano, accarezzandola piano e intrecciando le dita. “Vuoi sentire un po’ di musica?”
“Non voglio esaurire la batteria e il tuo Ipod si è scaricato dieci minuti fa”.
“Avremmo cantato Perfect in auditorium e avremmo ballato un lento in palestra, per la cronaca” disse, assorto nei suoi pensieri.
“L’unica cosa che voglio al momento è del cibo, Blaine” ammise candidamente.
“Non me ne parlare, la nostra prenotazione da Breadstix era un’ora e mezza fa” chiarì sconsolato, ed entrambi sospirarono nello stesso momento, per poi scoppiare a ridere.
“Forse hanno ragione a dire che ci comportiamo come una coppia sposata” concordò Kurt.
“E se ci comportiamo così adesso, non riesco ad immaginare come saremo tra dieci anni, o venti, o cinquanta!” enfatizzò Blaine, sorridendo ampiamente, non facendo caso che l’altro aveva sgranato gli occhi ed era tornato improvvisamente serio.
“Tu… Tu pensi a queste cose? A noi, dico, tra anni?” chiese in un sussurro incerto.
Quello lo guardò alzando un sopracciglio. “Perché, tu no?”
“Certo che sì! Ma non ad alta voce. Non davanti a te” spiegò, arrossendo. “Non durante il nostro anniversario”.
“E per fortuna ce ne sarà solo uno di primo anniversario, Kurt. È stato un disastro” sbuffò. “Ti prometto che i prossimi saranno perfetti” affermò con un sorriso sicuro.
“Tutti e cinquanta?” lo prese in giro.
“Oh. Cinquanta almeno” precisò, allungandosi verso di lui fino a sfiorargli il naso con il proprio. Un borbottio non proprio sommesso li fece sobbalzare prima che le loro labbra si toccassero, notando poi che derivava da un gruppetto di uomini riuniti intorno a una radio che trasmetteva i risultati di una partita di football.
“Era meglio l’altra strada!” capitolò Blaine, tornando seduto al suo posto e portando le mani al volante, espirando pesantemente.
“Te l’avevo detto” lo canzonò Kurt con un sorrisetto di sfida.
Sfida che l’altro accolse rapidamente. “Però forse posso ancora salvare l’ultima tappa della nostra storia” disse infatti, accendendo il motore per alzare i finestrini e guardandosi attorno furtivo.
“E quale sarebbe stata?” domandò vagamente curioso.
Blaine si sporse fino ad arrivargli pericolosamente vicino, alzò una mano per accarezzargli una guancia mentre l’altra si muoveva vicino al suo fianco. “Casa mia” sussurrò, tirando la leva per abbassare il sedile fino a trovarsi quasi distesi l’uno sull’altro.
“Che stai facendo?” domandò Kurt con un velo di insicurezza.
“Ci ritaglio un po’ di privacy”.
Si guardò intorno, il sole ormai era calato ma erano comunque circondati da un’infinità di persone. “Non mi sembra una buona idea, e comunque per l’ora in cui saremo a casa i tuoi saranno già tornati”.
“… Hai ragione” concordò un po’ triste. “Depenno anche questo dalla mia lista dell’anniversario perfetto, vero?” chiese, dandogli un bacio leggero sulle labbra.
“Vero” rise Kurt, circondandogli le spalle con le braccia e trattenendolo su di sé qualche secondo. “Domani dovremo sorbirci tutte le battutine di Santana e non avranno nemmeno un minimo di fondamento, purtroppo”.
“L’anno prossimo sarà perfetto” promise Blaine, rialzandosi per tornare seduto al suo posto.
L’altro riportò il sedile in una posizione consona e si passò una mano tra i capelli, sistemandoli. “Ne sono sicuro, anche perché toccherà a me organizzare la serata mentre tu ti limiterai a regalarmi i fiori” precisò, indicando con un cenno del capo il mazzo di rose rosse, in bella mostra sul sedile posteriore, che gli aveva regalato quella mattina.
“Intanto questo fine settimana ho intenzione di ripetere il nostro appuntamento” ammise serio.
Kurt sorrise. “Ottimo, così posso provare il nuovo accessorio di McQueen che ho comprato all’ultima asta online”.
“E sarà romantico proprio come lo hai sempre sognato” continuò. “Sarà dolce e delicato, potremmo anche fare un picnic in un campo di lillà, e poi ci terremo per mano come nei musical di Broadway mentre mi canterai tutto quello che vorrai. Io mi complimenterò ancora una volta sulla scelta del nostro abbigliamento, che sarà coordinato secondo il tuo gusto, e ti dirò per l’ennesima volta quanto sei bello e quanto-”
“Blaine?”
“Sì?”
“Ti amo”.
E Blaine si fermò, sorridendo ampiamente. Si voltò verso l’altro e gli prese una mano tra le sue, avvicinandosi. “Ti amo anche io” sussurrò, sfiorandogli le labbra.
“Blaine?”
“Mh?” chiese piano, socchiudendo gli occhi e baciandogli piano una guancia.
“La fila si muove…” avvertì Kurt.
“Oh!” saltò su, notando le auto avanti a loro spostarsi lentamente e accendendo finalmente il motore.
Alla fine, cenarono in un fast-food che trovarono sulla via del ritorno, Kurt non si lamentò nemmeno del colesterolo e dei trigliceridi che sarebbero schizzati alle stelle il giorno seguente, ma regalò comunque a Blaine la sua porzione di patatine. Cantarono Perfect di Pink a squarciagola almeno cinque volte, insieme a una decina di pezzi di Broadway e alla metà della discografia di Lady Gaga e Roxy Music; ballarono un lento suonato nelle loro teste durante una sosta al distributore di benzina, rendendosi conto di essere completamente soli nella campagna dell’Ohio e nel buio della notte. Si baciarono ad ogni incrocio e semaforo che incontrarono fino a Lima, e furono molti più baci di quelli che si sarebbero dati alla Dalton.
E alla fine, proprio alla fine, quando Blaine accompagnò Kurt fino alla porta di casa tenendolo per mano, si scambiarono un sorriso che sapeva di complicità, amore ed eternità. E nessuno dei due pensò che la giornata fosse stata meno che perfetta.






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Note: questo capitolo è stato un parto! Ma dovevo scriverlo entro oggi, e a tal proposito auguri a Kurt&Blaine per il loro primo anno insieme, sperando che continuino a darci tanto amore e dolcezza e duetti romantici anche per i prossimi, perché ne abbiamo bisogno. 
Grazie come sempre a Me_Mi e sakuraelisa per i commenti :)

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Capitolo 5
*** College ***


Note: questo prompt mi ha ucciso... troppo vasto e non avevo nessuna idea. Ho optato per una scenetta domestica quando sono entrambi al college a New York, perché odio gli autori per averli improvvisamente resi di età diverse e averci dato la sicurezza dell'angst che arriverà quando si dovranno separare (a meno che Kurt non rimandi il primo anno di college, ma dopo tutto questo casino - elezioni studentesche, umiliazioni varie, litigio con Rachel, lettera che dice che è finalista e conseguente briciolo di felicità in questa serie, e chissà che altro che ci riserva il futuro - ce lo spedisco a calci alla NYADA, e se non lo faccio io ci pensa Burt). No, seriamente, come siamo finiti dalla promessa di Kurt&Blaine insieme a New York nella 2x22 a Rachel e Finn? E Finn non compare nella mia shot, ma potete pensare quello che vi pare, può essere in Ohio o vivere nello stanzino dell'appartamento di Rachel e Kurt, non importa.






Capitolo 5. College

New York poteva anche essere una delle tante città americane che non dormivano mai, sempre illuminate e vive fino all’alba, ma a Kurt bastava il suo alimentari di fiducia a un paio di isolati da casa, aperto tutta la notte, per risolvere le dimenticanze della sua coinquilina e conservare le sane abitudini che si era portato dietro dall’Ohio. Aprì la porta del suo minuscolo appartamento con il cartone di latte nell’altra mano, posando poi le chiavi in una ciotola e dirigendosi in cucina.

Ma la cosa migliore di tutta New York, senza dubbio, era la presenza di Blaine, al momento addormentato su una sedia della cucina con le braccia sopra i libri di storia del teatro che stava studiando e la bocca semi-aperta. Da quando appena sei mesi prima lo aveva seguito lì per il college avevano cominciato a vivere il loro sogno nella grande città, insieme e liberi di mostrare il loro amore – e con la promessa di vedere almeno un musical al mese.
“È crollato circa dieci minuti fa” gli fece sapere Rachel, intenta a lavare i piatti. “Dici che dobbiamo svegliarlo? Gli esami di metà anno sono solo tra due settimane”.
Kurt sorrise, accarezzando i capelli dell’altro con la mano, piano. “Tra un po’. Non sta facendo altro che studiare ultimamente”.
“Ma poi si fa tardi se deve tornare alla sua stanza al college” disse pensierosa.
Lui scrollò una spalla, poco interessato. “Chiameremo un taxi”.
“O resterà qui, come al solito” precisò lei con un sorrisetto malizioso.
“Comunque ho comprato il latte” cambiò discorso, posando la confezione sul tavolo e prendendo un paio di tazze dalla credenza. “Visto che tu te ne sei dimenticata”.
“Oh andiamo, Kurt, puoi sopravvivere per una sera senza-” e l’urlo che ne seguì fu così alto e potente che Kurt non ebbe dubbi che la sua amica sarebbe diventata la stella che diceva di essere, anche perché riusciva perfino a gridare con la voce impostata, raggiungendo note degne di un soprano.
“Che succede?” salto su Blaine, decisamente spaesato.
“Rachel! Ma sei impazzita? Perché urli così?” la rimproverò Kurt, corso a poggiare le mani sulle spalle dell’altro, per calmarlo.
“Santo cielo, Kurt, c’è uno scarafaggio nel lavandino!” strillò più forte lei.
“Cosa?” gridò a sua volta Blaine, alzandosi in piedi di scatto – lasciando cadere a terra il suo prezioso libro – e condividendo un’occhiata d’intesa con Rachel.  E Kurt riuscì a contare al massimo tre secondi prima che i due furono fuori dalla stanza, con tanto di porta chiusa a chiave.
“Kurt, pensaci tu!” gli disse la ragazza, anche se il suono della sua voce arrivava ovattato.
“Che schifo, non bastava il topo nelle docce dei dormitori del campus, la settimana scorsa…” mormorò Blaine.
Kurt sospirò, ormai ben consapevole di quel comportamento e del suo dovere. “Me ne libero subito, così possiamo tornare ad essere tre adulti” affermò.
“No!” strillarono in coro gli altri due.
“Non puoi ucciderlo, Kurt” si lamentò Blaine. “È un essere vivente!”
“E come dovrei fare?” chiese spazientito l’altro. Che ci fosse una porta a dividerli poi rendeva tutto più assurdo.
“Prendo la tua lacca per capelli in camera, magari puoi stordirlo con quella e poi accompagnarlo fuori” propose Rachel.
“Non ci provare!” si agitò Kurt. “Mi è costata cinquantadue dollari, non la sprecherò per uno scarafaggio!”
I due si guardarono per un attimo, indecisi sul da farsi, ma prima che potessero trovare una soluzione Kurt aprì la porta della cucina, facendoli sobbalzare.
“State calmi, l’ho preso con un foglio di carta e lasciato sul davanzale, così è libero di arrampicarsi dove vuole fino a entrare nella finestra di qualcun altro, va bene?”
Rachel e Blaine si scambiarono un sorriso compiaciuto, prima di gettarsi al collo dell’altro in un abbraccio che gli fece smettere di respirare.
“Sei il miglior fidanzato del mondo!”
“Sei il miglior migliore amico del mondo!”
“Lo so, ma, Rachel, non dovevi finire di asciugare i piatti?” le disse, tentando di liberarsi di lei.
“Oh. Giusto”.
“E Blaine” riprese, “ormai è tardi per studiare, è meglio se torni al campus”.
“Ecco… Pensavo che visto com’è andata la serata, io…” provò incerto, guardandolo in quel modo che sapeva fare breccia nel cuore del suo ragazzo.
“Vuoi rimanere qui?”
L’altro annuì vigorosamente, stringendogli una mano. “Posso usare il tuo pigiama?”
“E io posso usare il tuo? Tanto ne hai lasciati un paio nel mio armadio” chiese arrossendo. “E comunque passi più tempo da noi che nella tua stanza, magari l’anno prossimo puoi trasferirti direttamente qui…” propose, incerto.
Blaine sorrise apertamente, per poi baciarlo dolcemente sulle labbra. “Sarebbe stupendo”.
“Più che stupendo!” ammise Rachel, spuntando dalla cucina. “Divideremmo l’affitto in tre e io risparmierei abbastanza per dei posti migliori a teatro, e avrei in casa qualcuno con una voce maschile adatta per aiutarmi con le parti di recitazione e canto che ci fanno studiare alla NYADA” esultò.
“Grazie mille, Rachel” rispose in modo retorico Kurt, riferendosi all’ultima frase della ragazza.
“Prego” enunciò, prendendolo sotto braccio. “E magari visto che voi due siete una sola entità potrei tenermi tutti i miei cassetti nel bagno senza doverli spartire ulteriormente, e-”
“Scordatelo. E cosa stai facendo?” domandò alzando la voce, notando come Rachel lo stesse trascinando per il corridoio verso la sua stanza.
Lei sorrise in modo angelico. “È tardi e bisogna andare a dormire”.
“Tu non dormirai con noi” provò a dire, ma Blaine gli parlò sopra.
“Che bello, un pigiama party!” esclamò, infatti. “Manca solo Mercedes!”
“Magari la prossima volta possiamo chiamarla” propose lei. “Come ai vecchi tempi, Kurt!”
E Kurt si lasciò trascinare per un braccio da Rachel e per una mano da Blaine verso la sua camera. Oh, sarebbe stata una notte estremamente lunga…
“Ah, venerdì prossimo danno una festa al mio piano, al college, pensavo che potremmo andarci insieme…” gli fece sapere Blaine.
“Fantastico! Ho la canzone adatta da cantare in queste occasioni” s’intromise Rachel.
L’anno prossimo sarebbe stato proprio interessante ed estremamente stancante, già lo sapeva.
“Diceva a me, Rachel, sono io il suo ragazzo e io andrò alla festa con lui”.
Magari doveva solo allevare qualche scarafaggio da lasciare ogni tanto nella camera della sua coinquilina!









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Note finali: io non ho più una vita! Questa klaine week mi sta uccidendo lentamente... passo le giornate a scrivere e non leggo più niente, aiuto! Per fortuna siamo già a venerdì :D Ah, e per la cronaca avrei così tante storie sugli insetti in generale da poterci scrivere un libro... si accaniscono su di me, sentono la paura!
Grazie a sakuraelisa e Me_Mi per i commenti <333

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Capitolo 6
*** Proposal&Wedding ***


Capitolo 6. Proposal & Wedding

Blaine se ne era accorto per caso una sera qualsiasi in cui erano seduti pigramente sul divano del loro appartamento, a New York. Kurt aveva la schiena contro i cuscini e le gambe sopra quelle dell’altro, intento a leggere una rivista di moda mentre beveva lentamente il suo latte caldo, la televisione era solo un mormorio sommesso in sottofondo, sintonizzata su una partita di football.

Quando Blaine aveva fatto cenno di muoversi per alzarsi, Kurt lo aveva bloccato e aveva preso un piattino dal tavolino alle sue spalle, poggiando sotto al naso del suo ragazzo dei biscotti al cioccolato.
“Ma come-?”
“E ti ho stirato la camicia per domani, lo so che ti riduci sempre all’ultimo secondo… Il lunedì bisogna iniziare a lavorare al massimo delle forze e al meglio dell’abbigliamento! E così domani mattina ti avanza del tempo per comprarmi un caffè nel nostro bar preferito” gli fece sapere, continuando a sfogliare la sua rivista.
Blaine era rimasto in silenzio per un minuto buono, guardandolo come se avesse avuto la più grande rivelazione della storia; si chiese se era normale comprendere le cose sempre all’improvviso e nei momenti meno opportuni, e se era più dignitoso raccontare ai nipoti della morte di Pavarotti e della canzone di Kurt, o di come un biscotto al cioccolato gli avesse mostrato la via.
Ma quello che importava, al momento, era un’unica cosa. Il suo ragazzo riusciva a capirlo meglio di chiunque altro, e non solo sopportava i suoi difetti, ma sapeva anche come trattarli per farlo vivere al meglio, senza ritardi e litigi.
Aveva deciso. Avrebbe chiesto a Kurt di sposarlo.

*

Il problema non era tanto il ripensamento che di solito prendeva gli uomini dopo la grande decisione, ma come effettivamente mettere in pratica il suo piano. Avevano ventotto anni, in fondo, e Kurt aveva sempre detto che avrebbe voluto sposarsi entro i trenta – legalmente; erano sicuramente in tempo, tenendo conto anche dei preparativi immensi che sarebbero seguiti per organizzare il matrimonio secondo un certo stile.
Prima di tutto, comunque, doveva procurarsi un anello, ed era convinto che uno formato dalla carta delle gomme da masticare non sarebbe più stato apprezzato come al liceo. Fece il giro di almeno cinque gioiellerie, comparando modelli, prezzi e colori, fino a quando non trovò quello perfetto su un catalogo: una fedina semplice d’oro bianco con un piccolo diamante al centro. Elegante, raffinata, appariscente ma non troppo – meglio mettere in chiaro le regole di fronte alla popolazione gay di New York: quello era il suo fidanzato.
Illuminò la commessa con il suo sorriso e pagò il suo acconto, annuendo vigorosamente quando quella gli disse di tornare a prendere il suo acquisto il sabato seguente.
Blaine uscì dal negozio sentendosi più leggero e più alto, respirando a pieni polmoni l’aria inquinata della città. Niente gli avrebbe impedito di dichiararsi a Kurt.

*

Quel sabato aveva pensato davvero a tutto: avrebbe convinto il suo ragazzo a vestirsi molto elegante per andare a cena fuori, gli avrebbe regalato dei fiori, lo avrebbe portato nel suo ristorante francese preferito, avrebbero passeggiato per Central Park al chiaro di luna e sarebbero tornati a casa, dove Blaine lo avrebbe fatto sedere sul divano, si sarebbe inginocchiato al suo fianco e gli avrebbe dedicato un discorso per cui avrebbero entrambi pianto, mostrandogli poi l’anello. Kurt non avrebbe potuto far altro che dire .
Era tutto perfetto, e sapeva quanto l’altro amasse il romanticismo, e quanto spesso gli rimproverava bonariamente il fatto che Blaine ne fosse incapace. Ma tutti quei film da ragazza che aveva visto con Rachel nella sua vita non erano stati tempo sprecato, e gli appunti che aveva preso erano tornati effettivamente utili.
Il primo segno che forse quella era la vita reale e non un film si presentò sotto forma di un uomo alto quasi due metri e largo quanto una porta, dall’aria seria e dall’accento francese.
“Come sarebbe a dire che non c’è posto?” domandò per la terza volta Blaine, incredulo.
“È stato tutto prenotato stamattina. Lettura di un testamento. C’è tutta la famiglia del morto riunita per festeggiare” spiegò di nuovo l’uomo dietro al bancone del locale.
“È uno scherzo? Devo chiedere al mio ragazzo di sposarmi! È il suo ristorante preferito!” lo pregò Blaine, appoggiandosi stancamente a una sedia.
Quello lo guardò arcigno. “C’è un tavolo…”
“Davvero?”
“Accanto alla porta del bagno”.
E le sue speranze crollarono come il castello di sabbia che i bambini più grandi gli distruggevano sempre in spiaggia. “No, grazie… Non credo gradirebbe” disse, incurvando le spalle e uscendo dal ristorante.
“Se tornate la prossima settimana possiamo offrirvi un piatto di lumache per festeggiare il vostro amore” gli urlò dietro, ma Blaine lo ignorò.
Okay, erano solo le cinque del pomeriggio, poteva sempre preparare una romantica cenetta al lume di candela nel loro appartamento, bastava ricreare la giusta atmosfera.
Il secondo segno che New York non si prestava al romanticismo fu quando il mazzo di rose rosse che aveva appena comprato fu trascinato via da un taxi in corsa mentre tentava di attraversare la strada sulle strisce pedonali e con il semaforo verde.
Quando tornò al negozio per recuperare il suo anello, ebbe il suo terzo segno. Il postino aveva avuto problemi a recapitare il pacco visto che c’era stato un furto e la polizia aveva sequestrato tutto ciò che era rimasto nel suo furgoncino fino a data da destinarsi. Sì, lo sapeva che New York era una città pericolosa con un alto numero di incidenti criminali, ma non riuscì ad impedirsi di passarsi le mani tra i capelli per la disperazione ed emettere un lamento straziante. La commessa gli promise uno sconto e gli offrì una caramella, e Blaine lasciò a quell’idea malsana di attraversare la sua mente solo per cinque secondi. No, non avrebbe replicato il suo regalo di Natale del liceo, anche perché nessuno ha mai detto “Tutto quello che voglio per il matrimonio sei tu”, ma più che altro sei tu e l’anello di diamanti con il quale mi convincerai.
Al quarto segno non fece nemmeno troppo caso, si limitò a passare dentro Central Park e notare un palco montato proprio accanto alla panchina dove una volta Kurt aveva detto che riusciva a vedere qualche stella, e lesse poi il volantino attaccato al palo che proponeva una cena a base di barbecue e birra proprio per quella sera.
Tornò a casa sconsolato, rendendosi poi conto che non aveva nemmeno preparato uno straccio di discorso con cui stupire Kurt e farlo cadere tra le sue braccia. Pensava che ripetere quello che aveva detto alla Dalton tanti anni prima non sarebbe stato credibile, anche perché era meglio non ricordargli della morte di Pavarotti o sarebbe scoppiato a piangere per i motivi sbagliati, ed era convinto che il suo ragazzo si sarebbe accorto immediatamente se avesse copiato la dichiarazione di Harry a Sally – che era una delle sue idee, ma concordò con se stesso che era effettivamente poco romantica, per quanto lui la trovasse adatta. Forse doveva solo improvvisare e sorprenderlo, e forse avrebbe gradito lo stesso.
Quando entrò in cucina e trovò Kurt intento a girare un mestolo in una pentola che emanava un odore divino, mentre canticchiava qualcosa sottovoce e si voltava a rivolgergli il sorriso più innamorato che avesse mai visto, decise senza troppi problemi che avrebbe rimandato la sua dichiarazione di un settimana. Il sabato successo avrebbe sicuramente reso tutto perfetto e speciale proprio come meritava il suo Kurt. In fondo, per lui avrebbe aspettato anche una vita intera.

*

“Oh, i pantaloni larghi sono tornati di moda, che orrore…” commentò Kurt dal divano.
“Mh. Io non capisco perché l’allenatore si ostini a tenere il numero cinque in panchina” evidenziò Blaine, guardando la televisione mentre accarezzava languidamente un polpaccio dell’altro, visto che teneva come al solito le gambe sulle sue.
“Comunque non mi hai detto dove sei stato oggi pomeriggio” chiese, alzando gli occhi dalla sua rivista.
Blaine scrollò le spalle. “In giro” ridimensionò. Ed entrambi tornarono alle loro occupazioni del dopo cena.
“La signora Thomson del piano di sotto ci ha regalato dei biscotti alle mandorle” gli fece sapere dopo un po’, mentre guardava le foto dell’ultima sfilata di Vivienne Westwood.
“Oh, l’ho incontrata prima quando sono tornato a casa. Dovremmo regalarle dei fiori” disse sovrappensiero l’altro.
“E un guinzaglio per il suo cane, mi ha sporcato i pantaloni bianchi ieri” commentò Kurt.
Restarono in silenzio qualche altro minuto, ognuno intento alla sua occupazione, fino a quando Kurt non sospirò.
“Blaine?” lo chiamò, facendolo voltare verso di lui. “Io credo che dovremmo sposarci”.
Blaine sentì chiaramente il suo cuore fermarsi per un battito e il suo stomaco fare un salto mortale – e non per la cena succulenta che il suo ragazzo gli aveva preparato – decidendo di non pensare a quanto i suoi occhi fossero sgranati e a quanto ridicolo dovesse apparire. “D-dovremmo? Cosa?”
“Sì. Lo so che doveva essere tutto più romantico, ma quando ti rendi conto che vuoi passare il resto della tua vita con una persona, vuoi che il resto della tua vita inizi il prima possibile” ammise candidamente, tenendo ancora le mani sulla rivista e i piedi sulle gambe dell’altro.
“Stai citando Billy Crystal? Santo cielo, Kurt” riuscì a dire Blaine, prima di avvicinarsi goffamente all’altro e stringerlo in un abbraccio scomodo che li fece ridacchiare entrambi. “Ti amo”.
“È un sì?” chiese Kurt con un sorrisetto compiaciuto.
“È un sì, certo che ti sposo, non riesco a credere che dopo questa giornata orribile alla fine- Lascia stare” concluse, baciandolo con impeto fino a farlo sdraiare sul divano. Rimasero lì fino a quando tutti i loro arti non furono indolenziti per la posizione, fino a quando Blaine non baciò ogni centimetro del viso di Kurt e Kurt non gli propose tutte le idee che aveva avuto nel corso degli anni per il loro matrimonio, dall’abbinamento dei colori di tovaglie e tende, ai modelli dei loro abiti, alle decorazioni sugli inviti. Rimasero lì per ore, fino a quando non si addormentarono con un sorriso sulle labbra e le mani intrecciate. La loro vita sarebbe stata perfetta come i loro sogni, non c’era altro da aggiungere.

*

“No, le ho detto chiaramente che questa cosa non era nel menù stabilito e non ho intenzione di farla portare al tavolo”.
“È un omaggio della casa!” sorrise l’uomo oltre il bancone. “È la nostra specialità”.
“Non lo voglio!”
“Kurt… Perché non lasci perdere?” propose Blaine, accomodante.
“È il nostro matrimonio, Blaine, è il nostro giorno! Ed è stato tutto perfetto fino ad ora, non so cosa voglia questo tizio” si ostinò l’altro.
“Un omaggio” continuò imperterrito l’altro, mostrando il suo sorriso più sincero.
“È un omaggio, sentito, Kurt? Perché non lo accettiamo? È sempre cucina francese, dopotutto, e abbiamo deciso di fare il rinfresco in questo ristorante perché è il tuo preferito” provò.
“È un piatto di lumache. Non c’entra niente con la soupe de poisson, le ostriche gratinate e i dieci tipi diversi di fromage che questo signore ci ha consigliato mesi fa quando abbiamo fatto l’ordine” s’impuntò.
Blaine sospirò. “Perché non lo consideri un regalo di nozze molto gentile e torni a ballare con me? Magari è arrivata l’ora del karaoke!”
“Mh…”
“E comunque sono sicuro che tuo fratello non farà storie se lo rifili a lui” gli sussurrò, decretando la vittoria.
“D’accordo. Molte grazie, signore” ringraziò sorridendo il direttore del locale, che batté le mani entusiasta. “Ma la prima canzone la scelgo io” disse a Blaine, prendendolo per una mano e portandolo al centro del palco.
Mentre partivano le prime note e Kurt prendeva il microfono con fare sicuro, si scambiarono un sorriso intenso. Erano davvero sposati. E molto probabilmente Blaine avrebbe scritto a Billy Crystal per ringraziarlo del suo aiuto indiretto e di quella frase citata nel film, e forse avrebbe ricevuto un ordine restrittivo nei suoi confronti, ma ne sarebbe valsa la pena, anche solo per sentire la risata di suo marito quando gli avrebbe esposto la sua idea, più tardi.
Passò ore a cantare e ballare con Kurt, a stringerlo a sé e a baciarlo. Da ora in poi avrebbero avuto tutta la vita per essere innamorati.






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Note: volevo scrivere qualcosa di romantico, poi di comico, poi non lo so più perché ero in ritardo, quindi non so cosa sia uscito fuori. Non è neanche betato perché la mia beta è scappata :D A domani con l'ultimo capitolo!
Grazie come sempre a sakuraelisa e Me_Mi :)

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Capitolo 7
*** Domestic/Daddy!Klaine ***


Capitolo 6. Domestic/Daddy!Klaine


“Papà, papà, spegni la luce!”
Kurt spinse l’interruttore principale sul muro, creando un’atmosfera soffusa e intima nel salotto. “Ecco, tesoro” accordò alla figlia, in piedi sul tavolino da caffè al centro della stanza. Elizabeth, tre anni e mezzo e un sorriso che poteva conquistare il mondo, o che almeno aveva già conquistato i suoi papà.  
“Lì, lì!” disse indicando il divano, e lui si sedette sulle gambe di Blaine, passandogli un braccio intorno alle spalle.
“Sono così emozionato…” gli disse l’altro.
“Oh piantala, sono emozionato anche io”.
“Pronti?” chiese la bimba, portandosi una ciocca di capelli biondi dietro le spalle con una certa abilità e tenendo poi il microfono con entrambe le mani.
“Vai, amore, come l’abbiamo provata ieri. Facciamola sentire anche a papà” le fece segno Blaine, spingendo un tasto sul telecomando dell’home-theatre e facendo partire una base musicale.
Kurt riconobbe la canzone fin dalle prime note: i Beatles erano uno dei tre fondamenti di quella famiglia, oltre al canto e al rispetto reciproco. “Oh…” si commosse, stringendosi di più al marito. “Non credi sia un po’ inopportuno per lei?” chiese, mentre la bambina cominciava la prima strofa.
Oh I need your love baby, guess you know it’s true”.
“Inopportuno? E perché mai? È la festa del papà oggi, e questa può benissimo essere una canzone che uno dei suoi papà vuole dedicare all’altro” chiarì, baciandolo piano su una guancia.
“E la fai cantare a Liz?”
I love you every day, girl, always on my mind”.
“Io te la canto ogni giorno” ammise, scrollando le spalle e passando le labbra sul suo mento.
Kurt si lasciò distrarre per un attimo da quelle attenzioni, ma i suoi occhi lucidi erano fissi sulla figlia. “È adorabile. Hai visto come si muove? Il primo premio a quel concorso di danza l’anno scorso è stato totalmente meritato”.
“Guarda adesso, guarda adesso!”
Hold me, love me, hold me, love me”.
“Oh”.
“Quella mossa gliel’ho insegnata io! La fa così bene…” iniziò a commuoversi pure Blaine.
E quella nota così alta è merito mio, comunque” lo riprese, piccato.
L’altro sospirò sognante. “È bellissima… e ha il tuo sguardo mentre canta” dichiarò, stringendo le braccia attorno alla vita di Kurt e poggiando il mento sopra la sua spalla.
Eight days a week I love you, eight days a week is not enough to show I care”.  
Kurt accarezzò con la guancia i capelli del marito, lasciando che un paio di lacrime scivolassero sul suo viso. “Questa è la più bella festa del papà di sempre” disse, guardando la figlia concludere la canzone con gli occhi chiusi e un sorriso aperto. Ain’t got nothin’ but love, baby, eight days a week.
“Perché tu sei il miglior papà di sempre” gli sussurrò Blaine all’orecchio, facendogli scorrere un brivido lungo la schiena. “E il miglior marito di sempre”.
L’altro si asciugò velocemente le lacrime dalle guance, incrociando il suo sguardo. Di fronte a quegli occhi sinceri, grandi e innamorati non era mai stato capace di rimanere impassibile. “Solo perché ho te”. Ma prima che potessero dedicarsi a uno dei loro baci lunghi e intensi furono bloccati da un “Ehi!” così forte che sembrava impossibile essere uscito da polmoni così piccoli. I due si riscossero subito, tornando a guardare la bambina.
“Sei stata bravissima, tesoro” si complimentò Blaine, battendo le mani.
“Oh sì, assolutamente divina” continuò Kurt, applaudendo anche lui.
Elizabeth li guardò compiaciuta, portando una mano sul fianco. “Ora canto un’altra cosa” disse, e improvvisamente ai suoi papà la situazione apparve lampante, tanto che fece loro gelare il sangue.
La luce soffusa, il palco improvvisato, le lezioni di danza, il modo di maneggiare il microfono e l’atteggiamento da diva.
“Oh mia Gaga” esclamò Kurt. “Nostra figlia è una piccola Rachel Berry!”
“N-no! E comunque il suo guardaroba è più bello” provò a salvarsi Blaine.
“Blaine! Mi avevi promesso al nostro matrimonio che non sarebbe successo” lo sgridò. “È colpa tua, la tieni sempre troppo in braccio e gliele dai tutte vinte” spiegò.
“Cosa? Sei tu che hai insistito per le lezioni di canto, ballo e recitazione” tentò di difendersi.
“Papà, papà! Sono stata brava?” li interruppe lei.
“La performance più bella che tu abbia mai fatto, amore”.
“Oh sì, potresti salire sul palco di Broadway con me, tesoro” si affrettò ad aggiungere Kurt.
“E magari potremmo regalarle quel gattino che desiderava tanto… no?” chiese l’altro con tono di supplica, rivolto al marito.
“Blaine, stai esagerando ora”.
Lei cominciò a saltellare allegra, riempiendo la stanza delle sue risate. Entrambi sorrisero, perché quella era la cosa più bella che fosse mai arrivata nella loro vita, e l’avrebbero protetta con tutto il loro amore.
“E comunque nostra figlia non è come Rachel Berry” precisò Blaine, mettendo su un broncio adorabile e stringendosi di più all’altro. Kurt gli prestò tutta l’attenzione possibile, mentre la bimba volteggiava su se stessa cantando Eight days a week, eight days a week, eight days a week. “Nostra figlia è molto meglio”.






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Note: è finita! yay! :D stavo impazzendo (ma credo che lo rifarei già domani se ci fosse un'altra Klaine Week), ora posso leggere la montagna di roba che ho lasciato indietro questa settimana... Ho la casella di posta intasata.
Comunque, io penso che Kurt&Blaine un giorno saranno padri eccezionali che vizieranno senza ritegno i loro figli, una specie dei Berry, ma più adorabili.
Anche questo capitolo non è betato, credo che passerò domani con calma a riguardarlo, ma oggi non mi sento bene :( se ci sono errori segnalate pure.

Un grazie speciale a Me_Mi e sakuraelisa (sì, sono riuscita a staccarmi da quel tuo video dell'anniversario, anche se non so come) per aver recensito fino alla fine, siete state importantissime per me ed è merito vostro se sono riuscita a finire la raccolta :) Grazie davvero di cuore per il supporto, spesso non ci si rende conto di quanto una recensione possa essere importante per un'autrice, quindi quando ne ricevo cerco di rispondere bene e farlo capire. Thanks <3
 

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