Eight days a week di Shatzy (/viewuser.php?uid=8433)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Klaine as babies ***
Capitolo 2: *** Klaine AU ***
Capitolo 3: *** Missing moment ***
Capitolo 4: *** Klaine's Anniversary ***
Capitolo 5: *** College ***
Capitolo 6: *** Proposal&Wedding ***
Capitolo 7: *** Domestic/Daddy!Klaine ***
Capitolo 1 *** Klaine as babies ***
Note: partecipo
anche io alla Klaine Week! Che ho scoperto esistere poco prima della
mezzanotte di lunedì... In due ore e qualcosa ho fatto il
possibile, è un po' insulsa, ma volevo contribuire.
Il titolo è preso dall'omonima canzone dei Beatles. Buona
settimana a tutti!
Capitolo 1. Klaine as babies
Quando suo padre gli aveva detto un paio di giorni prima che quel
sabato sarebbero andati al matrimonio di una cugina di sua madre, Kurt
non ne era stato entusiasta. Non ricordava nemmeno il nome di questa
sua zia, non gli piaceva la campagna, e soprattutto l’idea di
tanti altri bambini con cui giocare, secondo quanto detto dai suoi
genitori, in verità non lo allettava per nulla. Ma
all’ennesimo tentativo di fuga, e all’ennesimo no, Kurt, non puoi rimanere a
casa da solo perché hai solo sette anni,
cedette. Non che avesse molte alternative, suo padre in fondo era
così alto e così forte che niente lo avrebbe mai
buttato giù.
E
così quella mattina si ritrovò sul sedile
posteriore dell’auto con indosso una camicia azzurra e
un’espressione corrucciata, mentre guardava scorrere
velocemente la strada fuori dal finestrino. Era più che
convinto che la sua camera fosse un posto confortevole e adatto a
passare le giornate, mentre vedeva qualche cartone animato, spolverava
il suo mini servizio da tè e dipingeva con lo smalto di sua
madre le macchinine che suo padre gli aveva regalato
all’ultimo compleanno. E invece era lì, in
quell’inferno verde, ed era esattamente come se lo era
immaginato, se non peggio: troppo caldo, troppi insetti e soprattutto
troppi bambini.
Sospirò,
stringendosi di più alla mano di sua madre –
finché la teneva nessuno poteva fargli niente, no? Quindi
non l’avrebbe lasciata mai.
“Kurt,
vuoi andare a giocare?” gli chiese dolcemente lei,
accarezzandolo sui capelli.
“No.
Sto bene qui con te”.
“Kurt…”
tentò suo padre, passandosi una mano sul viso.
“Puoi almeno provarci?” Ma bastò
un’occhiata della moglie per farlo desistere. Burt si sedette
su una sedia, passandosi due dita sotto al colletto della camicia.
“Puoi
rimanere seduto qui, noi andiamo laggiù a portare i nostri
regali. Kurt, non ti muovere” concesse lei.
Il
bambino annuì convinto, guardando poi i suoi genitori
allontanarsi tra un “Posso levare la cravatta,
ora?” e un “Pensi sia semplice camminare con un
tacco 10 sull’erba? E no, Burt, non sei calvo, la gente non
ti sta guardando per questo”. Stette lì, immobile
su quella sedia, per diversi minuti, o almeno fino a quando non decise
che dondolare le gambe nel vuoto non era poi così divertente
dopo le prime cinquanta volte; forse poteva almeno guardarsi
attorno… Fu così che notò un movimento
sospetto sotto il tavolo affianco al suo. La lunga tovaglia bianca
arrivava fino a terra, ma c’era decisamente qualcosa che si
agitava al di sotto di essa. Forse un gattino, come quello che la loro
vicina di casa gli lasciava accarezzare quando era triste.
Senza
pensarci più di tanto si alzò e si
avvicinò al tavolo, alzando il tessuto e sbirciando al suo
interno con un enorme sorriso stampato sulle labbra.
Enorme
sorriso che scomparve appena vide che non c’era alcun
gattino, ma solo… “Un bambino”
sussurrò sconsolato. E uno nemmeno tanto carino, per la
cronaca.
“Ehi!”
gridò quello spaventato, voltandosi verso di lui e sbattendo
la testa contro il tavolo.
“Ti
sei fatto male?” chiese Kurt, preoccupato.
“Entra,
sbrigati!”
“Come,
scusa?”
“Vieni
qui!” e senza troppi scrupoli gli prese la mano e lo
trascinò sotto al tavolo, riposizionando bene la tovaglia a
terra.
Kurt
si guardò attorno spaesato, per quanto quel metro quadrato
glielo permettesse, e si focalizzò poi sull’altro
bambino. Camicia rossa a quadri, strani capelli ricci, due occhi
nocciola che lo fissavano con un’intensità quasi
minacciosa. “Ehm… Perché sei qui sotto?
Ti sei perso? Mia mamma dice che-”
“Come
mi hai trovato?”
“Beh.
Ero seduto qui accanto e a un certo punto ho visto agitarsi qualcosa da
questa parte, così ho pensato che-”
“Lavori
per loro, vero?”
“Cosa?”
“Lo
sapevo!”
“Io
non so di cosa tu stia-”
“Adesso
sei il mio ostaggio!”
“Mi
lasci almeno finire di parlare?” sbottò Kurt,
leggermente sopra le righe, ma riuscendo a far chiudere la bocca a quel
ragazzino esuberante, che sembrò colto alla sprovvista.
“Volevo solo vedere se c’era un gattino qui sotto,
non voglio stare con te e non lavoro per nessuno. Il mio
papà dice che quelle sono cose da grandi”
spiegò, sistemandosi distrattamente un ciuffo sulla fronte.
L’altro
lo squadrò incerto, ma poi sorrise. “Okay, ti
credo. Wes e David staranno ancora tentando di trovarmi,
dopotutto”.
“Chi?”
“Nessuno
ci era mai riuscito prima d’ora, sono il migliore in questo
gioco!” si vantò. “Da ora in poi quindi
noi due siamo migliori amici” evidenziò,
sorridendo ampiamente.
“E
perché mai?”
“Beh,
perché mi hai trovato” rispose convinto.
“E perché sei carino come una bambina, e mi piace
tenerti per mano” concluse, stringendo leggermente le dita
dell’altro che ancora teneva saldamente nel proprio palmo.
Kurt
si ritrovò ad arrossire appena, prima di corrucciare la
fronte. “Le bambine non sono carine”.
“Certo
che lo sono!” s’impuntò quello.
“Lo dice anche mio padre!”
“Le
bambine non sono carine” ripeté Kurt, ponderando
bene le sue parole. “Le bambine sono…
pulite”.
L’altro
sembrò pensarci su per qualche secondo, aggrottando le
sopracciglia e fissando un punto imprecisato del tavolo sopra la sua
testa. “Mi sa che hai ragione”.
Kurt
annuì compiaciuto, per poi ricordarsi di una cosa.
“Ma perché stai qui sotto? Non ti piacciono gli
altri bambini? Nemmeno a me!”
“Oh,
no” disse quello. “Stiamo giocando”
spiegò, “è divertente! Ti va di giocare
con me? Sono il migliore in assoluto!” si vantò,
sfoggiando un sorriso enorme.
“E
come funziona?”
“Devi
nasconderti in un posto e stare immobile finché quelli della
squadra avversaria non ti trovano, e poi correre velocemente fino
all’auto di Thad, che è la nostra base e i suoi
genitori sono troppo lontani per accorgersene, o almeno così
ha detto”.
Kurt
piegò la testa da un lato, pensieroso. “E
dov’è il divertimento? Sembra faticoso”.
“Oh”
il viso dell’altro sembrò intristirsi
improvvisamente, e Kurt si ritrovò a pensare che preferiva
di gran lunga il suo sorriso. “Beh, se non ti piace possiamo
giocare ad altro, tanto io sono il capo!”
“Il
capo?” chiese incredulo.
“Certo.
Perché sono il più alto” si
vantò, battendosi una mano sul petto.
Kurt
si ritrovò a sorridere senza nemmeno sapere bene
perché, decidendo che quel bambino forse era meglio di
qualsiasi gattino che avrebbe potuto accarezzare.
“D’accordo” acconsentì, ma la
luce del sole li colpì entrambi all’improvviso e
fece loro chiudere gli occhi.
“Kurt!”
si sentì chiamare. “Ti avevo detto di non
allontanarti”.
Kurt
si sentì immediatamente colpevole sotto il tono accusatorio
di sua madre, ed uscì lentamente da sotto al tavolo.
“E
questo chi è?” sentì suo padre dire,
probabilmente rivolgendosi al bambino che era ancora attaccato alla sua
mano.
“Ehm…
lui è…”
“Signora
mamma e signor papà di… ehm, Kurt, mi chiamo
Blaine Anderson, i miei genitori hanno quella macchina nera
laggiù, un giorno sarò alto come mio fratello, ma
più gentile, e sono il migliore amico di Kurt” si
presentò, con un sorriso raggiante.
“Oh,
molto piacere, Blaine” rispose la madre di Kurt, sorridendo e
passandogli una mano tra i ricci.
“Quello
è l’ultimo modello uscito di una BMW?”
“Burt”.
“E’
importata direttamente dall’Europa!”
“Burt!”
“Okay”
capitolò, tornando a guardare suo figlio, per poi
corrucciare la fronte. “Perché lo tieni per
mano?”
“Perché
è il mio migliore amico, signore”
spiegò Blaine con fare sicuro, mentre Kurt arrossiva.
“E,
Kurt, vuoi andare a giocare con lui?” propose sua madre.
Quello
annuì piano, mentre l’altro bambino gli sorrideva
e lo trascinava via.
“State
dove posso vedervi!” urlò Burt, un po’
burbero, mentre i due correvano verso un albero poco lontano, dove
altri bambini si stavano radunando.
L’ultima
cosa che Kurt vide fu sia madre che rideva mentre suo padre incrociava
le braccia al petto. Non sapeva bene se era nei guai o no, ma era certo
che non doveva preoccuparsene. La sua mamma riusciva sempre ad averla
vinta.
*
“Kurt!”
“Mh?”
“La
tua mamma è proprio bellissima”.
Kurt
sorrise, sdraiato sull’erba dietro al muretto dove si
trovavano. “Lo so, è la mamma più bella
del mondo”.
Blaine
annuì pensieroso, sdraiandosi accanto a lui e tenendogli
ancora la mano. “Ha il tuo stesso colore di occhi. Non ho mai
visto un colore così” disse, avvicinandosi un
po’ al suo viso.
“Non
è niente di particolare” ammise l’altro,
scrollando una spalla. A
me invece piace il tuo, pensò.
“Tu
le somigli tanto” gli disse subito dopo, sorridendo.
“Oh”
arrossì. È
bellissima, gli aveva detto. “Grazie”.
Blaine
si limitò a stringergli di più la mano, e poi si
ritrovarono a guardare gli alberi sopra le loro teste che si muovevano
piano con il vento della tarda mattinata.
Non
seppero quanto tempo passò, ma quel silenzio e quel calore
erano le cose più piacevoli che avevano mai provato.
“Blaine?”
chiese Kurt dopo poco.
“Mh?”
“Pensi
che ci troveranno mai qui?”
“…
No”.
“Si
sta bene”.
“Sì.”
“…
Ho un po’ fame”.
“Anche
io!”
È
sempre dalle piccole cose che si capisce la nascita di una grande
amicizia, in fondo.
“Ti
do la metà del mio dolce se mi riporti dai miei
genitori”.
“E
mi fai provare il tuo papillon?”
“Solo
per cinque minuti”.
“Affare
fatto!”
O
di qualcosa di più.
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Capitolo 2 *** Klaine AU ***
Capitolo 2. Klaine AU
La prima volta che Kurt notò Blaine era un pomeriggio
nuvoloso di inizio novembre. Il Lima Bean era piuttosto affollato per
via del freddo di quei giorni, studenti di diverse scuole accerchiavano
i tavolini coperti di compiti e biscotti, un mormorio sommesso si
levava dalla fila irregolare di clienti, e lui da dietro il bancone era
intento ad eseguire gli ordini che la sua collega gli passava. E ad un
certo punto, appena la campanella sopra la porta suonò, Kurt
alzò la testa, e rimase a fissare il nuovo arrivato fino a
quando il latte bollente non uscì dal bordo del bicchiere di
carta che stava riempiendo, scottandogli una mano.
Non
ci parlò direttamente, e tutto quello che scoprì
in quella giornata fu che il suo nome era Blaine, che portava la divisa
di una scuola privata che non aveva mai visto, e che aveva un sorriso
da sogno.
Gli
preparò il miglior caffè medio che
l’Ohio avesse mai assaggiato.
La
prima volta che Blaine notò Kurt fu soltanto qualche mese
dopo.
*
“E
quindi ci stiamo già preparando per le Regionali, non
possiamo perdere tempo, non possiamo perdere nemmeno un minuto, non
dopo quel pareggio con quel gruppo di damerini che ballano fuori tempo.
Ovviamente non ci saranno problemi, almeno fino a quando il signor
Schue e gli altri continueranno ad essere d’accordo che sia
io a cantare una ballata, perché in quel caso- Kurt, mi stai
ascoltando?”
Kurt
venne improvvisamente interrotto dal suo sogno ad occhi aperti, che
prevedeva lui, un ragazzo con i capelli ricci e un campo di
lillà. “Rachel, anche se non
c’è tanta gente non dovrei parlare con te, sto
lavorando” la rimproverò. “E comunque
parlavi del tuo prossimo assolo” provò, sapendo di
andare sul sicuro anche se non aveva sentito una sola parola negli
ultimi cinque minuti.
La
ragazza gli sorrise compiaciuta, per poi guardarlo con un velo di
malinconia. “Ci manchi al Glee Club”.
“Mi
mancate anche voi” sospirò, “ma non ho
tempo per fare entrambe le cose, e questo lavoro mi serve
davvero” spiegò per l’ennesima volta.
“Tuo
padre come sta?” chiese interessata.
“Meglio.
Certo, non riesce ad abituarsi all’idea che un pasto senza
sale sia commestibile” e
che io lo aiuti a pagare le spese mediche, “ma
sta molto meglio”.
“Puoi
sempre unirti a noi tra qualche mese, per le Nazionali avremo bisogno
di te!” tentò di convincerlo Rachel.
Kurt
rise, scuotendo poi la testa. La sua amica non sarebbe cambiata mai.
“Ti preparo il caffè”.
“Con
panna, grazie”.
Quando
il campanello sopra la porta risuonò nel locale semi-vuoto,
alzò gli occhi pronto a salutare il nuovo cliente.
“Oh
mio dio”.
“Okay,
niente panna” accordò lei.
“No,
non è questo. È lui!”
“Lui
chi?”
“Lui! Il ragazzo da
sogno di cui ti parlavo” sussurrò, avvicinandosi
all’amica e indicando la divisa blu che si stava avvicinando
a un tavolino in un angolo.
“Il
tuo futuro marito?”
“Esatto!”
Rachel
era una persona fin troppo curiosa e decisamente poco discreta, ma
questo non le impedì di voltarsi nella direzione indicata di
Kurt. E quando scorse la figura di un ragazzo che rideva con dei suoi
amici, non riuscì a bloccare un gridolino oltraggiato.
“Oh mio dio! È lui!”
“Lui
chi?”
“Lui! Il damerino
che balla fuori tempo!”
E
tutto quello che Kurt registrò di quella giornata, era che
l’uomo della sua vita doveva avere anche una voce da sogno. Perfetto.
*
“È
che ha insistito molto, in fondo a me non cambia niente”.
Se
c’era una cosa veramente positiva nel lavorare come barista
al Lima Bean, era poter ascoltare indisturbato tutti i discorsi dei
clienti senza passare per curioso o indiscreto, proprio come Rachel.
Era assurdo come le persone parlassero della propria vita come se
fossero da soli, anche dei dettagli più sordidi, mentre
aspettavano che le loro ordinazioni fossero pronte. E Kurt avrebbe
volentieri continuato ad indossare quegli orribili pantaloni color kaki
ancora per diverso tempo, solo per avere l’occasione di
captare qualcosa della vita del ragazzo dei suoi sogni.
“Lo
so, Blaine, ma non
è la stessa cosa. Non puoi fare un duetto con
un ragazzo, e non puoi ripeterlo trenta volta solo perché
Trent ti considera una divinità”.
“Ma,
Wes, io… Ecco, non volevo ferire i suoi
sentimenti”.
Kurt
non sapeva bene di cosa stavano parlando, ma
quell’espressione contrita sul viso del suo Blaine gli
ricordava tanto quella di un cucciolo. Magari potevano averne uno nella
loro casa, un giorno; uno di quelli con il pelo scuro, esuberanti e
amanti delle coccole.
“Quella
canzone è un flirt continuo, ti serve una ragazza con cui
hai una certa chimica, al massimo. O un ragazzo, nel tuo
caso”.
Blaine
sorrise timidamente, e Kurt percepì perfettamente la
sensazione dei suoi occhi che sfuggivano dalle orbite. Okay, non era il
momento di pulire il bancone con una stupida salvietta profumata,
questo era il segno che aspettava, il miracolo in cui non osava
sperare, il sogno che viveva da un mese e mezzo, un regalo di Natale in
anticipo di una settimana.
“Non
è andata poi così male. E allo spettacolo
dovrò cantare con una ragazza, quindi è meglio
abituarmi a qualcuno con cui non posso avere chimica”
spiegò calmo, mentre prendeva una bustina di zucchero da una
ciotola lì accanto.
Il
suo amico – Wes, ricordò Kurt – scosse
la testa debolmente, per poi prendere entrambi i bicchieri ripieni di
caffè e voltarsi a cercare un tavolo.
“È questo sabato, no?”
“Questo
sabato al Kings Island” precisò l’altro.
E poi scomparvero nella massa di clienti del locale.
Kurt
rimase con la salvietta a mezz’aria per almeno trenta
secondi, paralizzato dalla sua nuova scoperta mentre un sorriso enorme
nasceva sulle sue labbra. Blaine era gay. Gay.
E
inoltre, aveva appena trovato un impegno molto interessante a cui
Mercedes non avrebbe potuto sottrarsi, per quel sabato.
La
cosa negativa nel lavorare come barista al Lima Bean, tuttavia, oltre
ad indossare dei pantaloni color kaki fuori moda di almeno venti anni,
era il passare inosservato a chiunque, essere invisibile dietro al
bancone, come se non potessi sentire, parlare o capire, come se non
esistessi nemmeno.
*
Quel
giorno di fine gennaio Kurt era particolarmente allegro. Un timido sole
splendeva nel cielo, aveva appena ricevuto il suo primo aumento, e
aveva deciso di dichiararsi a Blaine. In fondo era il ragazzo dei suoi
sogni e aveva già pianificato i colori del loro matrimonio,
non c’era motivo di perdere altro tempo. Kurt Hummel era un
giovane ragazzo innamorato dell’Ohio, e niente e nessuno
poteva rovinargli il buonumore.
Tranne
forse un ragazzo alto e biondo che era appena entrato al Lima Bean
insieme a Blaine, e che gli sorrideva in un modo che non lasciava
scampo a interpretazioni sbagliate. Era un appuntamento.
Gli
crollò il mondo addosso, quantomeno sotto forma dei
bicchieri di carta che stava tentando di ordinare sul ripiano. Si
sentì ferito, deluso, arrabbiato, tradito. Come aveva
potuto fargli questo?
Si
limitò a rimanere immobile accanto alla macchina per
l’espresso, appoggiando la testa contro una ciotola di vetro
contenente i chicchi di caffè; lanciò qualche
timida occhiata ai due in fila, notando come ogni sguardo di Blaine,
ogni sorriso, ogni gesto impacciato fosse una pugnalata al petto. Quel
tipo poteva anche avere i capelli più gay di tutta la
città, ma era indubbiamente attraente, e maturo, e con tanto
tempo libero da passare con il suo
ragazzo dei sogni, invece di stare chiuso dentro un locale a preparare
caffè vestito in modo ridicolo.
Ma
se solo Blaine lo avesse guardato, anche per un attimo, Kurt era certo
che si sarebbe accorto del loro potenziale. Se gli avesse dato una
possibilità, gli avrebbe dato tutta la felicità
che meritava. E dita incerte e calde che stringevano le sue mani,
sorrisi complici scambiati in mezzo alla gente, labbra delicate sulla
sua pelle; avrebbero avuto una loro canzone, o una colonna sonora
più che altro, per raccontare tutto quello che sarebbero
stati, avrebbero guardati vecchi film d’amore sul divano,
dividendo una coperta e una cioccolata calda senza panna, e avrebbero
pianificato la loro vita insieme dopo il diploma, a New York, lontano
da tutto, dove i pantaloni kaki erano scomparsi negli anni
’80 e i ragazzi con i capelli biondi e perfetti esistevano
solo nelle favole, magari insieme a una principessa, non a un principe.
Blaine avrebbe scelto il nome del loro cane, e Kurt si sarebbe occupato
della sua dieta, e avrebbero decorato insieme la stanza dei loro figli
comprando un miliardo di riviste di arredamento e di gravidanza, anche
solo per sapere tutti, ma proprio tutti i dettagli. E sarebbero
invecchiati insieme, guardando i tramonti dall’attico del
loro appartamento, si sarebbero tenuti per mano fino alla fine
dicendosi “Ti amo”, senza stancarsi mai.
Kurt
prese l’ordinazione senza pensarci, e meccanicamente mise
insieme gli ingredienti. Guardò per un’ultima
volta Blaine, intento a fissare il pavimento, imbarazzato per qualcosa
che l’altro aveva detto.
Sospirò.
Fu
certo di aver preparato il peggior caffè medio di tutto
l’Ohio, quel giorno.
*
Nelle
rare sere in cui era l’addetto alla chiusura del locale,
lasciava che i suoi pensieri vagassero più del dovuto.
Immaginava un posto grande come quello riempito da una folla adorante,
un palco rialzato e le luci che lo illuminavano mentre cantava per il
suo pubblico, riusciva a sentire persino il rumore degli applausi se si
concentrava bene, e il profumo dei fiori che gli venivano regalati. E
poi c’era sempre Blaine, seduto in disparte, che gli
sorrideva orgoglioso con amore.
Ogni
tanto intonava qualche motivetto mentre strofinava il bancone, qualche
passo di danza con la scopa, qualche inchino e ringraziamento, almeno
fino a quando non notò che non era solo. Come al solito.
“Ehm,
siamo chiusi” disse ricomponendosi all’istante,
notando una figura seduta a un tavolo appena dietro a una colonna.
“Oh,
chiedo scusa, ho perso la cognizione del tempo”.
E a
Kurt sembrò di trovarsi in uno di quei film romantici di
seconda categoria in cui sai già come va a finire da quando
compare il titolo sullo schermo. E avrebbe dato di tutto per poter
correre mano nella mano verso il tramonto con Blaine, che ovviamente
era seduto proprio di fronte a lui in quel momento.
“M-me
ne vado subito” evidenziò quello, scambiando gli
occhi sgranati di Kurt per qualcosa di minaccioso, probabilmente.
“No!”
strillò, più acuto del necessario, tanto che
Blaine sussultò.
“No?”
“No.
Cioè, non serve. Devo ancora chiudere la cassa, quindi se
vuoi un ultimo caffè prima di andare via posso
preparartelo” e wow, la sua voce era stranamente ferma. Tutte
le prove di approccio davanti allo specchio della sua camera erano
servite a qualcosa.
L’altro
sembrò pensarci su per qualche secondo, ma poi sorrise ed
esordì con: “Un caffè medio, per
favore”.
Lo so, si trattenne
dal rispondere. E disse soltanto, sovrappensiero: “Con un
extra di cannella”, mentre si voltava verso il bancone.
Sentì
Blaine trattenere il respiro, e poi alzarsi dalla sedia e seguirlo. Che
fosse pronto a scappare verso il tramonto?
“Sei
tu?” chiese, appoggiandosi con i gomiti sulla lastra di marmo
mentre Kurt gli preparava l’ordine.
“Sono
io…?” rispose. L’uomo della tua vita?
Perché la risposta è sì.
“Il
mio folletto misterioso. Se vengo in determinati orari e in certi
giorni, il mio caffè ha un tocco di cannella in
più che semplicemente adoro” spiegò.
E io adoro te.
“Oh. Forse calco troppo la mano senza rendermene conto.
Meglio che ci stia attento prima che finisca le scorte e mi
licenzino” ridacchiò, cercando di cambiare
argomento e di non approfondire il discorso di quando un mese prima
aveva ascoltato per caso una conversazione tra lui e- uhm, mi sa che
l’altro si chiamava David, in cui diceva di avere un debole
per la cannella.
“Mi
sento in dovere di ringraziarti”.
“Come,
scusa?”
“Per
il caffè. E per la cannella. Dimmi il tuo sogno
più grande e io tenterò di realizzarlo”
propose entusiasta. Ed era strano come i suoi occhi fossero ancora
più belli quando guardavano Kurt, quasi più
luminosi.
“Il
mio sogno più grande?” ripeté incerto
l’altro.
“Esatto”.
“Oh.
Broadway” rispose sicuro.
Blaine
sembrò preso alla sprovvista, ma il suo sorriso si
allargò ancora di più. “Sogni in
grande! Sai cantare?”
“Ero
nel Glee Club della mia scuola, il liceo McKinley”.
“Lo
conosco! Ci dobbiamo confrontare con loro la prossima settimana alle
Regionali, siete in gamba, soprattutto la vostra solista, è
piccola ma piena di talento”.
Rachel
sarà felice di saperlo, riuscì a pensare Kurt in
un momento di lucidità. “Non ne faccio
più parte, purtroppo. Sai, il lavoro…”
lasciò il discorso in sospeso, facendo un vago cenno con la
mano e tornando ad occuparsi del caffè. Suo padre stava
molto meglio e le spese mediche erano state quasi del tutto pagate,
magari poteva davvero pensare a licenziarsi a breve e tornare nelle
Nuove Direzioni in tempo per il loro debutto alle Nazionali.
Blaine
inclinò la testa di lato, guardandolo meglio forse per la
prima volta e facendolo arrossire. “Sei al primo
anno?”
“Sono
al terzo!” sbottò Kurt indignato, rovesciando
violentemente la tazzina di caffè nel bicchiere di carta
apposito.
“Oh,
anche io!” e sorrise di nuovo. Cosa c’era da
sorridere così tanto non lo sapeva, ma non se ne sarebbe
lamentato. “Sono Blaine, comunque” si
presentò, tendendo una mano verso di lui, oltre il bancone.
Lo so, avrebbe
voluto dirgli, di nuovo, ma voleva proprio evitare di passare per il
suo stalker di fiducia. “Kurt, piacere” disse,
stringendo quelle dita calde e sicure. E quello era proprio il momento
giusto per uscire dalla porta del Lima Bean e correre insieme verso il
tramonto.
“Kurt.
Ti va di farmi compagnia mentre bevo il caffè?”
“Ma
è tardi, non devi tornare a casa?” e cosa diamine
gli stava dicendo il cervello in quel momento?
“Forse
non ci voglio tornare” ammise in un sussurro, e i suoi
lineamenti si distorsero appena.
Oh.
Forse Kurt non era l’unico ad avere qualche problema nella
sua giovane vita. Forse Blaine non era così solare ed
estroverso come appariva, forse aveva dei lati oscuri anche lui. E
questo lo rendeva stranamente ancora più affascinante, tanto
che Kurt si ritrovò a voler conoscere ogni più
piccolo dettaglio della sua vita.
“Ho
ancora mezz’ora prima di chiudere” gli propose, e
Blaine sorrise di nuovo.
“Allora
magari mi puoi raccontare com’è la vita di un
barista” gli offrì.
“Oh,
non molto interessante… Tanti clienti, sempre le stesse
facce, non che io ricordi tutte le facce, o i clienti, sono una specie
di massa informe per noi oltre il bancone, ordinano, pagano, se ne
vanno, è piuttosto noioso. Non che tu sia noioso.
Cioè, almeno credo, non ho mai ascoltato un tuo discorso ed
è la prima volta che ti vedo. Comunque sì,
accetto la tua offerta e ti prego levami da questa situazione
imbarazzante”.
Blaine
rise sinceramente, e Kurt non poté fare altro che fissarlo
entusiasta, anche se l’altro stava ridendo di lui.
“Perché non prepari un caffè anche per
te? Pago io, ovviamente, poi ci sediamo laggiù”
disse, indicando un tavolino vicino a una finestra, “e
approfondiamo l’argomento della fantastica vita
all’interno del Lima Bean”.
E
sì, quella era l’ennesima conferma che Blaine era
proprio destinato a diventare l’uomo della vita di Kurt.
E
forse non proprio tutti i suoi sogni si sarebbero realizzati, forse non
avrebbe mai avuto un cane, non sarebbe mai corso verso il tramonto con
qualcuno, o non avrebbe conosciuto a fondo un prato di
lillà, ma se la vita era esattamente come se l’era
immaginata, non sarebbe stato tanto divertente viverla. Insieme a
Blaine, ovviamente.
“Ah,
devo ancora realizzare il tuo desiderio. Broadway è fuori
dalle mie competenze, lo ammetto”.
E
Kurt sorrise. “Lo hai già fatto”.
---
Note: non
sapevo proprio che scegliere come AU, mi hanno proposto la barista!kurt
ed eccola qui :D
Volevo ringraziare tantissimo chi ha recensito lo scorso capitolo,
sakuraelisa e glenn :) e chi ha messo la storia nelle seguite.
|
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Capitolo 3 *** Missing moment ***
Capitolo
3. Missing moment (dalla 3x11-Michael)
“Kurt, non pensi che potresti anche alzarti
adesso?”
“No,
sto bene così, grazie”.
Blaine
alzò gli occhi
al cielo, pensando che sarebbe stato troppo facile riuscire a
convincerlo con una semplice domanda; passò una mano tra i
capelli di Kurt, sorridendo, mentre l’altra gli accarezzava
lentamente la schiena. “Vuoi stare tutto il giorno su questo
letto abbracciato alle mie ginocchia o prima o poi mi guarderai negli
occhi? Beh, nell’occhio” scherzò,
tentando di far
tornare il buonumore al suo ragazzo, che per tutta risposta strinse
più forte le gambe dell’altro.
“Non
è divertente”.
“Come
no?! Hai idea di tutte le battute sui pirati che possiamo usare e che
pensavamo non avremmo mai potuto dire?”
Kurt si
alzò a
sedere, girandosi a fronteggiarlo. “Blaine, non ho mai voluto
dire una battuta sui pirati in tutta la mia vita e non
comincerò
ora” evidenziò.
“Ma
almeno ora mi
guardi” gli fece notare compiaciuto, passandogli due dita
sotto
al mento, che l’altro prontamente scostò.
“Non
cambia niente” si ostinò, incrociando le braccia
al petto.
Blaine
riuscì
comunque a convincerlo – con un po’ di forza e un
po’
di sguardi che giocavano sul senso di colpa per non aver assecondato un
malato – a sdraiarsi accanto a lui, circondandogli le spalle
con
un braccio e facendogli poggiare la testa sul suo petto.
“Sono
molto fiero di quello che hai fatto, Kurt”.
“Io
non credo” borbottò l’altro, con la
bocca premuta contro il pigiama del ragazzo.
“Invece
sì” sorrise. “Era la cosa giusta da
fare, la
violenza non paga mai. E sono così orgoglioso che tu sia
rimasto
fedele ai tuoi principi”.
Kurt
sussurrò
qualcosa di indefinito, per poi sistemarsi meglio contro la sua spalla
e stringere forte la stoffa tra le mani. Cominciò
sovrappensiero
ad accarezzargli una caviglia con il piede, in un gesto ormai abituale,
mentre Blaine gli passava la mano tra i capelli e gli lasciava piccoli
baci su una tempia.
“Vuoi
riposare?” chiese Kurt.
“No”.
“Sei
sicuro che vada bene così?”
“Assolutamente
sì”.
L’altro
ci penso su
qualche secondo, prima di portare una mano al viso di Blaine e
sfiorargli una guancia. Era liscia, ma in fondo lo aveva aiutato prima
a radersi. “Sei davvero-?”
“Sì”
ma
mentre tentava di baciarlo sulle labbra urtò il suo naso con
il
proprio. “Oh, scusami, continuo a dimenticare che gli esseri
umani hanno anche una certa profondità, anche se non la
percepisco più” rise. “Mi sembra di
essere tornato
ai nostri primi giorni insieme”.
Kurt si
massaggiò
velocemente la parte lesa, alzandosi quel poco che bastava per
guardarlo negli occhi. “Forse è meglio se ci penso
io”.
“Totalmente
d’accordo”.
Ma dopo un paio
di baci lenti e delicati, si fermò all’improvviso.
“Sicuro che non ti senti male?”
“Kurt,
mi fa male l’occhio, non la bocca”
evidenziò, incitandolo a continuare.
L’altro
tuttavia
tornò sdraiato contro la sua spalla, con sommo dispiacere di
Blaine – che era malato, sì, ma non infetto, e
qualche
coccola l’avrebbe volentieri apprezzata –, restando
in
silenzio per qualche minuto. “Sei spaventato per
l’operazione?”
“Terrorizzato”
ammise, stringendolo a sé e trovando un po’ di
coraggio.
“Sarò
lì
tutto il tempo e ti terrò la mano finché non ti
svegli” dichiarò sicuro.
Blaine sorrise.
“Sarai
la prima cosa che vedrò allora, non potevo chiedere di
meglio”. E sapeva che Kurt stava arrossendo.
“Tecnicamente
dovrai
portare la benda per qualche altro giorno, per non sforzare
l’occhio destro” spiegò.
“E
quindi potremo usare altre battute sui pirati!”
Kurt
lasciò andare un
sospiro, a metà tra il seccato e il tranquillizzato. Gli
lambì il collo con le labbra, chiudendo gli occhi e
perdendosi
un attimo nell’odore che tanto amava, mentre cercava di
infondergli quel coraggio di cui Blaine parlava sempre. “I
tuoi
genitori mi odiano”.
“Non
è vero. Si
sono solo spaventati quando hanno saputo che sono finito di nuovo in
ospedale, non ti odiano” al
massimo odiano me.
L’altro
sembrò
cogliere il flusso dei suoi pensieri, così si strinse a lui
ancora più forte. “Mi dispiace”.
“Non
esserlo”
rispose pronto, dandogli un bacio tra i capelli. “Sarei stato
molto più terrorizzato se fosse toccato a te”.
“Non
è vero”.
“Certo
che è
vero, non sei nella mia mente” gli disse paziente.
“Beh,
meglio, lì dentro c’è molta confusione
ed è
pieno di tue immagini” scherzò.
“Blaine,
quello è il tuo armadietto a scuola”
sbuffò, sorridendo.
L’altro
annuì.
“C’è anche una continua musica in
sottofondo che si
alterna tra la Top40 e il rock anni ‘70, non ti piacerebbe
stare
qui dentro”.
Kurt lo
guardò
scettico, con tanto di sopracciglio alzato. “Non hai
accettato di
nuovo gli steroidi di Puck, vero? Perché non sono
antidolorifici”.
“Stai
dubitando delle
mie medicine?” chiese fintamente oltraggiato, mentre lo
abbracciava con entrambe le braccia e gli strofinava la guancia sui
capelli.
“Smettila”
disse
poco convinto, tanto che la protesta finì dopo qualche
secondo e
si ritrovarono in silenzio, stretti l’uno all’altro
e con
troppi pensieri in testa.
“È
andata bene così, Kurt, fidati”.
“Non
è vero”.
“È
vero invece, e sai perché?” domandò
gentilmente.
“Perché
mi ami
e non vuoi vedermi soffrire? Ci hai mai pensato che forse vale lo
stesso per me?” si agitò, alzando leggermente la
voce e
arrossendo un po’.
“Uhm…
sì, anche” acconsentì, baciandolo sulla
fronte. “Ma soprattutto perché tu non mi avresti
mai permesso di giocare ai pirati con la tua benda!”
---
Note:
avevo scritto questa storia appena dopo la 3x11, in realtà
avevo
passato una notte a scrivere delle drabble demenziali su quell'episodio
perché era troppo angst, ma quando le ho passate a un'amica
mi
sono vergognata troppo e ho dovuto aggiungere qualcosa di sensato, che
è appunto questo capitolo qui. So che magari è
banale e
credo che altri ci abbiano scritto sopra a suo tempo, ma avevo questo
già pronto e non so quanto tempo per scrivere
avrò nei
prossimi giorni, così mi sono portata avanti e ho reciclato
questo capitolo :D
Grazie a chi ha
letto la mia storia tra le tante che ci sono in giro, e soprattutto
un grazie infinito a chi ha trovato il tempo di commentarla, significa
tanto per me sapere che qualcuno apprezza quello che mi impegno a
scrivere :)
A domani!
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Capitolo 4 *** Klaine's Anniversary ***
Capitolo 4. Klaine's Anniversary
<3
“Non doveva andare così”.
La campagna ai
lati della strada si estendeva a perdita occhio, fino alle colline
all’orizzonte e a qualche casa isolata circondata da sparuti
alberi e recinzioni di legno.
“Non
importa…”
“Te
lo giuro, Kurt, avevo organizzato ogni minimo dettaglio, non ho idea
del perché sia finita in questo modo”.
E tutto intorno
a loro, avanti, dietro, ai lati, c’erano automobili ferme
ordinate in una fila infinita, motori spenti, gruppi di gente accanto
al guard-rail che facevano amicizia tra loro.
“Non
importa, davvero”.
“È
che… Lo so che non potevamo evitare questo incidente
stradale che doveva avvenire proprio stasera, e lo so che ci sono
persone ferite e dovrei preoccuparmi di questo, solo che-”
“Be’,
se mi avessi dato retta e avessi preso la strada OH-117W diretta per
Bellefontaine, invece di svoltare per questa…”
mormorò Kurt, incrociando le braccia al petto.
Blaine si
girò verso di lui, sgranando gli occhi. “La
OH-196S circonda il lago, Kurt, ha una vista panoramica migliore e
molto più romantica” si difese.
“L’altra
è più breve”.
“Per
un chilometro appena!”
“E va
bene, hai ragione tu, è stata una pura casualità
trovare un ingorgo di dimensioni epiche in Ohio e rimanere bloccati per
tre ore la sera del nostro anniversario” ammise sconfitto,
guardando fuori dal finestrino e incrociando lo sguardo del guidatore
della macchina affianco, a meno di un metro di distanza.
Sbuffò, tornando a fissare il cruscotto.
“Avevo
davvero organizzato tutto da un mese almeno, Kurt, devi credermi.
Volevo ripercorrere insieme a te tutte le tappe del nostro rapporto,
tornare sui luoghi importanti per noi due, ho implorato Mr Schue di
prestarmi le chiavi dell’auditorium e minacciato David per
lasciare aperto il cancello sul retro alla Dalton”
precisò concitato.
“E
invece ci siamo arenati dopo il Lima Bean”
evidenziò l’altro.
Blaine lo
guardò per qualche secondo, pensieroso. “Forse se
non fossimo scappati via dopo aver preso i nostri caffè, ma
se ci fossimo fermati per almeno qualche minuto al tavolino dove ho
detto di amarti per la prima volta, avremmo saputo in tempo di questo
incidente”.
“C’era
Sebastian! Come al solito! Non avevo intenzione di rovinarmi
l’anniversario a causa di qualche battuta che sicuramente ci
avrebbe detto” sbottò indignato.
“Non
capisco perché ancora ti importi di lui, ti ho detto mille
volte che-”
“La
volete smettere? Mi sembrate i miei genitori e non vi sopporto
più!” gridò una ragazza seduta
nell’auto accanto a Blaine. “Almeno alzate i
finestrini”.
I due
arrossirono all’istante e borbottarono qualche scusa sincera,
facendo piombare un silenzio imbarazzato nell’abitacolo. Poi
Kurt sospirò.
“Non
è poi così male” concesse, lasciando
che Blaine gli prendesse la mano. “Tra cinque chilometri
c’è lo svincolo per tornare indietro, e siamo
stati insieme tre ore in un piccolo spazio – senza
poterci toccare perché siamo circondati di persone
– ma non è male”.
“Vuoi
tornare indietro senza nemmeno arrivare a Westerville?”
chiese.
“Blaine,
non siamo nemmeno a metà strada, sono le nove di sera e
domani abbiamo scuola. E mio padre ha già chiamato cinque
volte” gli fece sapere.
“Ti
avrei baciato in ogni stanza, scalinata o corridoio in cui siamo
passati”.
“Ci
avremmo messo ore!
La Dalton è immensa” dichiarò stupito
Kurt, ma notando lo sguardo eloquente del suo ragazzo non
poté fare a meno di arrossire e dargli una pacca sul
braccio, allontanandolo, mentre un sorriso timido e dolce si apriva
comunque sulle sue labbra.
Blaine gli
prese di nuovo la mano, accarezzandola piano e intrecciando le dita.
“Vuoi sentire un po’ di musica?”
“Non
voglio esaurire la batteria e il tuo Ipod si è scaricato
dieci minuti fa”.
“Avremmo
cantato Perfect
in auditorium e avremmo ballato un lento in palestra, per la
cronaca” disse, assorto nei suoi pensieri.
“L’unica
cosa che voglio al momento è del cibo, Blaine”
ammise candidamente.
“Non
me ne parlare, la nostra prenotazione da Breadstix era un’ora
e mezza fa” chiarì sconsolato, ed entrambi
sospirarono nello stesso momento, per poi scoppiare a ridere.
“Forse
hanno ragione a dire che ci comportiamo come una coppia
sposata” concordò Kurt.
“E se
ci comportiamo così adesso, non riesco ad immaginare come
saremo tra dieci anni, o venti, o cinquanta!”
enfatizzò Blaine, sorridendo ampiamente, non facendo caso
che l’altro aveva sgranato gli occhi ed era tornato
improvvisamente serio.
“Tu…
Tu pensi a queste cose? A noi, dico, tra anni?”
chiese in un sussurro incerto.
Quello lo
guardò alzando un sopracciglio.
“Perché, tu no?”
“Certo
che sì! Ma non ad alta voce. Non davanti a te”
spiegò, arrossendo. “Non durante il nostro
anniversario”.
“E
per fortuna ce ne sarà solo uno di primo anniversario,
Kurt. È stato un disastro” sbuffò.
“Ti prometto che i prossimi saranno perfetti”
affermò con un sorriso sicuro.
“Tutti
e cinquanta?” lo prese in giro.
“Oh.
Cinquanta almeno”
precisò, allungandosi verso di lui fino a sfiorargli il naso
con il proprio. Un borbottio non proprio sommesso li fece sobbalzare
prima che le loro labbra si toccassero, notando poi che derivava da un
gruppetto di uomini riuniti intorno a una radio che trasmetteva i
risultati di una partita di football.
“Era
meglio l’altra strada!” capitolò Blaine,
tornando seduto al suo posto e portando le mani al volante, espirando
pesantemente.
“Te
l’avevo detto” lo canzonò Kurt con un
sorrisetto di sfida.
Sfida che
l’altro accolse rapidamente. “Però forse
posso ancora salvare l’ultima tappa della nostra
storia” disse infatti, accendendo il motore per alzare i
finestrini e guardandosi attorno furtivo.
“E
quale sarebbe stata?” domandò vagamente curioso.
Blaine si
sporse fino ad arrivargli pericolosamente vicino, alzò una
mano per accarezzargli una guancia mentre l’altra si muoveva
vicino al suo fianco. “Casa mia”
sussurrò, tirando la leva per abbassare il sedile fino a
trovarsi quasi distesi l’uno sull’altro.
“Che
stai facendo?” domandò Kurt con un velo di
insicurezza.
“Ci
ritaglio un po’ di privacy”.
Si
guardò intorno, il sole ormai era calato ma erano comunque
circondati da un’infinità di persone.
“Non mi sembra una buona idea, e comunque per l’ora
in cui saremo a casa i tuoi saranno già tornati”.
“…
Hai ragione” concordò un po’ triste.
“Depenno anche questo dalla mia lista
dell’anniversario perfetto, vero?” chiese, dandogli
un bacio leggero sulle labbra.
“Vero”
rise Kurt, circondandogli le spalle con le braccia e trattenendolo su
di sé qualche secondo. “Domani dovremo sorbirci
tutte le battutine di Santana e non avranno nemmeno un minimo di
fondamento, purtroppo”.
“L’anno
prossimo sarà perfetto” promise Blaine,
rialzandosi per tornare seduto al suo posto.
L’altro
riportò il sedile in una posizione consona e si
passò una mano tra i capelli, sistemandoli. “Ne
sono sicuro, anche perché toccherà a me
organizzare la serata mentre tu ti limiterai a regalarmi i
fiori” precisò, indicando con un cenno del capo il
mazzo di rose rosse, in bella mostra sul sedile posteriore, che gli
aveva regalato quella mattina.
“Intanto
questo fine settimana ho intenzione di ripetere il nostro
appuntamento” ammise serio.
Kurt sorrise.
“Ottimo, così posso provare il nuovo accessorio di
McQueen che ho comprato all’ultima asta online”.
“E
sarà romantico proprio come lo hai sempre sognato”
continuò. “Sarà dolce e delicato,
potremmo anche fare un picnic in un campo di lillà, e poi ci
terremo per mano come nei musical di Broadway mentre mi canterai tutto
quello che vorrai. Io mi complimenterò ancora una volta
sulla scelta del nostro abbigliamento, che sarà coordinato
secondo il tuo gusto, e ti dirò per l’ennesima
volta quanto sei bello e quanto-”
“Blaine?”
“Sì?”
“Ti
amo”.
E Blaine si
fermò, sorridendo ampiamente. Si voltò verso
l’altro e gli prese una mano tra le sue, avvicinandosi.
“Ti amo anche io” sussurrò, sfiorandogli
le labbra.
“Blaine?”
“Mh?”
chiese piano, socchiudendo gli occhi e baciandogli piano una guancia.
“La
fila si muove…” avvertì Kurt.
“Oh!”
saltò su, notando le auto avanti a loro spostarsi lentamente
e accendendo finalmente il motore.
Alla fine,
cenarono in un fast-food che trovarono sulla via del ritorno, Kurt non
si lamentò nemmeno del colesterolo e dei trigliceridi che
sarebbero schizzati alle stelle il giorno seguente, ma
regalò comunque a Blaine la sua porzione di patatine.
Cantarono Perfect di
Pink a squarciagola almeno cinque volte, insieme a una decina di pezzi
di Broadway e alla metà della discografia di Lady Gaga e
Roxy Music; ballarono un lento suonato nelle loro teste durante una
sosta al distributore di benzina, rendendosi conto di essere
completamente soli nella campagna dell’Ohio e nel buio della
notte. Si baciarono ad ogni incrocio e semaforo che incontrarono fino a
Lima, e furono molti più baci di quelli che si sarebbero
dati alla Dalton.
E alla fine,
proprio alla fine, quando Blaine accompagnò Kurt fino alla
porta di casa tenendolo per mano, si scambiarono un sorriso che sapeva
di complicità, amore ed eternità. E nessuno dei
due pensò che la giornata fosse stata meno che perfetta.
---
Note: questo
capitolo è stato un parto! Ma dovevo scriverlo entro oggi, e
a tal proposito auguri a Kurt&Blaine per il loro primo anno
insieme, sperando che continuino a darci tanto amore e dolcezza e
duetti romantici anche per i prossimi, perché ne abbiamo
bisogno.
Grazie come sempre a Me_Mi e sakuraelisa per i commenti :)
|
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Capitolo 5 *** College ***
Note: questo prompt
mi ha ucciso... troppo vasto e non avevo nessuna idea. Ho optato per
una scenetta domestica quando sono entrambi al college a New York,
perché odio gli autori per averli improvvisamente resi di
età diverse e averci dato la sicurezza dell'angst che
arriverà quando si dovranno separare (a meno che Kurt non
rimandi il primo anno di college, ma dopo tutto questo casino -
elezioni studentesche, umiliazioni varie, litigio con Rachel, lettera
che dice che è finalista e conseguente briciolo di
felicità in questa serie, e chissà che altro che
ci riserva il futuro - ce lo spedisco a calci alla NYADA, e se non lo
faccio io ci pensa Burt). No, seriamente, come siamo finiti dalla
promessa di Kurt&Blaine insieme a New York nella 2x22
a Rachel e Finn?
E Finn non compare nella mia shot, ma potete pensare quello che vi
pare, può essere in Ohio o vivere nello stanzino
dell'appartamento di Rachel e Kurt, non importa.
Capitolo 5. College
New York poteva anche essere una delle tante città americane
che non dormivano mai, sempre illuminate e vive fino
all’alba, ma a Kurt bastava il suo alimentari di fiducia a un
paio di isolati da casa, aperto tutta la notte, per risolvere le
dimenticanze della sua coinquilina e conservare le sane abitudini che
si era portato dietro dall’Ohio. Aprì la porta del
suo minuscolo appartamento con il cartone di latte nell’altra
mano, posando poi le chiavi in una ciotola e dirigendosi in cucina.
Ma la cosa
migliore di tutta New York, senza dubbio, era la presenza di Blaine, al
momento addormentato su una sedia della cucina con le braccia sopra i
libri di storia del teatro che stava studiando e la bocca semi-aperta.
Da quando appena sei mesi prima lo aveva seguito lì per il
college avevano cominciato a vivere il loro sogno nella grande
città, insieme e liberi di mostrare il loro amore
– e con la promessa di vedere almeno un musical al mese.
“È
crollato circa dieci minuti fa” gli fece sapere Rachel,
intenta a lavare i piatti. “Dici che dobbiamo svegliarlo? Gli
esami di metà anno sono solo tra due settimane”.
Kurt sorrise,
accarezzando i capelli dell’altro con la mano, piano.
“Tra un po’. Non sta facendo altro che studiare
ultimamente”.
“Ma
poi si fa tardi se deve tornare alla sua stanza al college”
disse pensierosa.
Lui
scrollò una spalla, poco interessato. “Chiameremo
un taxi”.
“O
resterà qui, come al solito” precisò
lei con un sorrisetto malizioso.
“Comunque
ho comprato il latte” cambiò discorso, posando la
confezione sul tavolo e prendendo un paio di tazze dalla credenza.
“Visto che tu
te ne sei dimenticata”.
“Oh
andiamo, Kurt, puoi sopravvivere per una sera senza-” e
l’urlo che ne seguì fu così alto e
potente che Kurt non ebbe dubbi che la sua amica sarebbe diventata la
stella che diceva di essere, anche perché riusciva perfino a
gridare con la voce impostata, raggiungendo note degne di un soprano.
“Che
succede?” salto su Blaine, decisamente spaesato.
“Rachel!
Ma sei impazzita? Perché urli così?” la
rimproverò Kurt, corso a poggiare le mani sulle spalle
dell’altro, per calmarlo.
“Santo
cielo, Kurt, c’è uno scarafaggio nel
lavandino!” strillò più forte lei.
“Cosa?”
gridò a sua volta Blaine, alzandosi in piedi di scatto
– lasciando cadere a terra il suo prezioso libro –
e condividendo un’occhiata d’intesa con
Rachel. E Kurt riuscì a contare al massimo tre
secondi prima che i due furono fuori dalla stanza, con tanto di porta
chiusa a chiave.
“Kurt,
pensaci tu!” gli disse la ragazza, anche se il suono della
sua voce arrivava ovattato.
“Che
schifo, non bastava il topo nelle docce dei dormitori del campus, la
settimana scorsa…” mormorò Blaine.
Kurt
sospirò, ormai ben consapevole di quel comportamento e del
suo dovere. “Me ne libero subito, così possiamo
tornare ad essere tre adulti” affermò.
“No!”
strillarono in coro gli altri due.
“Non
puoi ucciderlo, Kurt” si lamentò Blaine.
“È un essere vivente!”
“E
come dovrei fare?” chiese spazientito l’altro. Che
ci fosse una porta a dividerli poi rendeva tutto più
assurdo.
“Prendo
la tua lacca per capelli in camera, magari puoi stordirlo con quella e
poi accompagnarlo fuori” propose Rachel.
“Non
ci provare!” si agitò Kurt. “Mi
è costata cinquantadue dollari, non la sprecherò
per uno scarafaggio!”
I due si
guardarono per un attimo, indecisi sul da farsi, ma prima che potessero
trovare una soluzione Kurt aprì la porta della cucina,
facendoli sobbalzare.
“State
calmi, l’ho preso con un foglio di carta e lasciato sul
davanzale, così è libero di arrampicarsi dove
vuole fino a entrare nella finestra di qualcun altro, va
bene?”
Rachel e Blaine
si scambiarono un sorriso compiaciuto, prima di gettarsi al collo
dell’altro in un abbraccio che gli fece smettere di
respirare.
“Sei
il miglior fidanzato del mondo!”
“Sei
il miglior migliore amico del mondo!”
“Lo
so, ma, Rachel, non dovevi finire di asciugare i piatti?” le
disse, tentando di liberarsi di lei.
“Oh.
Giusto”.
“E
Blaine” riprese, “ormai è tardi per
studiare, è meglio se torni al campus”.
“Ecco…
Pensavo che visto com’è andata la serata,
io…” provò incerto, guardandolo in quel
modo che sapeva
fare breccia nel cuore del suo ragazzo.
“Vuoi
rimanere qui?”
L’altro
annuì vigorosamente, stringendogli una mano.
“Posso usare il tuo pigiama?”
“E io
posso usare il tuo? Tanto ne hai lasciati un paio nel mio
armadio” chiese arrossendo. “E comunque passi
più tempo da noi che nella tua stanza, magari
l’anno prossimo puoi trasferirti direttamente
qui…” propose, incerto.
Blaine sorrise
apertamente, per poi baciarlo dolcemente sulle labbra.
“Sarebbe stupendo”.
“Più
che stupendo!” ammise Rachel, spuntando dalla cucina.
“Divideremmo l’affitto in tre e io risparmierei
abbastanza per dei posti migliori a teatro, e avrei in casa qualcuno
con una voce maschile adatta per aiutarmi con le parti di recitazione e
canto che ci fanno studiare alla NYADA” esultò.
“Grazie
mille, Rachel” rispose in modo retorico Kurt, riferendosi
all’ultima frase della ragazza.
“Prego”
enunciò, prendendolo sotto braccio. “E magari
visto che voi due siete una sola entità potrei tenermi tutti
i miei cassetti nel bagno senza doverli spartire ulteriormente,
e-”
“Scordatelo.
E cosa stai facendo?” domandò alzando la voce,
notando come Rachel lo stesse trascinando per il corridoio verso la sua
stanza.
Lei sorrise in
modo angelico. “È tardi e bisogna andare a
dormire”.
“Tu
non dormirai con noi” provò a dire, ma Blaine gli
parlò sopra.
“Che
bello, un pigiama party!” esclamò, infatti.
“Manca solo Mercedes!”
“Magari
la prossima volta possiamo chiamarla” propose lei.
“Come ai vecchi tempi, Kurt!”
E Kurt si
lasciò trascinare per un braccio da Rachel e per una mano da
Blaine verso la sua camera. Oh, sarebbe stata una notte estremamente
lunga…
“Ah,
venerdì prossimo danno una festa al mio piano, al college,
pensavo che potremmo andarci insieme…” gli fece
sapere Blaine.
“Fantastico!
Ho la canzone adatta da cantare in queste occasioni”
s’intromise Rachel.
L’anno
prossimo sarebbe stato proprio interessante ed estremamente stancante,
già lo sapeva.
“Diceva
a me,
Rachel, sono io
il suo ragazzo e io
andrò alla festa con
lui”.
Magari doveva
solo allevare qualche scarafaggio da lasciare ogni tanto nella camera
della sua coinquilina!
---
Note finali:
io non ho più una vita! Questa klaine week mi sta uccidendo
lentamente... passo le giornate a scrivere e non leggo più
niente, aiuto! Per fortuna siamo già a venerdì :D
Ah, e per la cronaca avrei così tante storie sugli insetti
in generale da poterci scrivere un libro... si accaniscono su di me,
sentono la paura!
Grazie a sakuraelisa e Me_Mi per i commenti <333
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Capitolo 6 *** Proposal&Wedding ***
Capitolo 6. Proposal &
Wedding
Blaine se ne era accorto per caso una sera qualsiasi in cui erano
seduti pigramente sul divano del loro appartamento, a New York. Kurt
aveva la schiena contro i cuscini e le gambe sopra quelle
dell’altro, intento a leggere una rivista di moda mentre
beveva lentamente il suo latte caldo, la televisione era solo un
mormorio sommesso in sottofondo, sintonizzata su una partita di
football.
Quando Blaine
aveva fatto cenno di muoversi per alzarsi, Kurt lo aveva bloccato e
aveva preso un piattino dal tavolino alle sue spalle, poggiando sotto
al naso del suo ragazzo dei biscotti al cioccolato.
“Ma
come-?”
“E ti
ho stirato la camicia per domani, lo so che ti riduci sempre
all’ultimo secondo… Il lunedì bisogna
iniziare a lavorare al massimo delle forze e al meglio
dell’abbigliamento! E così domani mattina ti
avanza del tempo per comprarmi un caffè nel nostro bar
preferito” gli fece sapere, continuando a sfogliare la sua
rivista.
Blaine era
rimasto in silenzio per un minuto buono, guardandolo come se avesse
avuto la più grande rivelazione della storia; si chiese se
era normale comprendere le cose sempre all’improvviso e nei
momenti meno opportuni, e se era più dignitoso raccontare ai
nipoti della morte di Pavarotti e della canzone di Kurt, o di come un
biscotto al cioccolato gli avesse mostrato la via.
Ma quello che
importava, al momento, era un’unica cosa. Il suo ragazzo
riusciva a capirlo meglio di chiunque altro, e non solo sopportava i
suoi difetti, ma sapeva anche come trattarli per farlo vivere al
meglio, senza ritardi e litigi.
Aveva deciso.
Avrebbe chiesto a Kurt di sposarlo.
*
Il problema non
era tanto il ripensamento che di solito prendeva gli uomini dopo la
grande decisione, ma come effettivamente mettere in pratica il suo
piano. Avevano ventotto anni, in fondo, e Kurt aveva sempre detto che
avrebbe voluto sposarsi entro i trenta – legalmente; erano
sicuramente in tempo, tenendo conto anche dei preparativi immensi che
sarebbero seguiti per organizzare il matrimonio secondo un certo stile.
Prima di tutto,
comunque, doveva procurarsi un anello, ed era convinto che uno formato
dalla carta delle gomme da masticare non sarebbe più stato
apprezzato come al liceo. Fece il giro di almeno cinque gioiellerie,
comparando modelli, prezzi e colori, fino a quando non trovò
quello perfetto su un catalogo: una fedina semplice d’oro
bianco con un piccolo diamante al centro. Elegante, raffinata,
appariscente ma non troppo – meglio mettere in chiaro le
regole di fronte alla popolazione gay di New York: quello era il suo fidanzato.
Illuminò
la commessa con il suo sorriso e pagò il suo acconto,
annuendo vigorosamente quando quella gli disse di tornare a prendere il
suo acquisto il sabato seguente.
Blaine
uscì dal negozio sentendosi più leggero e
più alto, respirando a pieni polmoni l’aria
inquinata della città. Niente gli avrebbe impedito di
dichiararsi a Kurt.
*
Quel sabato
aveva pensato davvero a tutto: avrebbe convinto il suo ragazzo a
vestirsi molto elegante per andare a cena fuori, gli avrebbe regalato
dei fiori, lo avrebbe portato nel suo ristorante francese preferito,
avrebbero passeggiato per Central Park al chiaro di luna e sarebbero
tornati a casa, dove Blaine lo avrebbe fatto sedere sul divano, si
sarebbe inginocchiato al suo fianco e gli avrebbe dedicato un discorso
per cui avrebbero entrambi pianto, mostrandogli poi l’anello.
Kurt non avrebbe potuto far altro che dire sì.
Era tutto
perfetto, e sapeva quanto l’altro amasse il romanticismo, e
quanto spesso gli rimproverava bonariamente il fatto che Blaine ne
fosse incapace. Ma tutti quei film da ragazza che aveva visto con
Rachel nella sua vita non erano stati tempo sprecato, e gli appunti che
aveva preso erano tornati effettivamente utili.
Il primo segno
che forse quella era la vita reale e non un film si presentò
sotto forma di un uomo alto quasi due metri e largo quanto una porta,
dall’aria seria e dall’accento francese.
“Come
sarebbe a dire che non c’è posto?”
domandò per la terza volta Blaine, incredulo.
“È
stato tutto prenotato stamattina. Lettura di un testamento.
C’è tutta la famiglia del morto riunita per
festeggiare” spiegò di nuovo l’uomo
dietro al bancone del locale.
“È
uno scherzo? Devo chiedere al mio ragazzo di sposarmi! È il
suo ristorante preferito!” lo pregò Blaine,
appoggiandosi stancamente a una sedia.
Quello lo
guardò arcigno. “C’è un
tavolo…”
“Davvero?”
“Accanto
alla porta del bagno”.
E le sue
speranze crollarono come il castello di sabbia che i bambini
più grandi gli distruggevano sempre in spiaggia.
“No, grazie… Non credo gradirebbe”
disse, incurvando le spalle e uscendo dal ristorante.
“Se
tornate la prossima settimana possiamo offrirvi un piatto di lumache
per festeggiare il vostro amore” gli urlò dietro,
ma Blaine lo ignorò.
Okay, erano
solo le cinque del pomeriggio, poteva sempre preparare una romantica
cenetta al lume di candela nel loro appartamento, bastava ricreare la
giusta atmosfera.
Il secondo
segno che New York non si prestava al romanticismo fu quando il mazzo
di rose rosse che aveva appena comprato fu trascinato via da un taxi in
corsa mentre tentava di attraversare la strada sulle strisce pedonali e
con il semaforo verde.
Quando
tornò al negozio per recuperare il suo anello, ebbe il suo
terzo segno. Il postino aveva avuto problemi a recapitare il pacco
visto che c’era stato un furto e la polizia aveva sequestrato
tutto ciò che era rimasto nel suo furgoncino fino a data da
destinarsi. Sì, lo sapeva che New York era una
città pericolosa con un alto numero di incidenti criminali,
ma non riuscì ad impedirsi di passarsi le mani tra i capelli
per la disperazione ed emettere un lamento straziante. La commessa gli
promise uno sconto e gli offrì una caramella, e Blaine
lasciò a quell’idea malsana di attraversare la sua
mente solo per cinque secondi. No, non avrebbe replicato il suo regalo
di Natale del liceo, anche perché nessuno ha mai detto
“Tutto quello che voglio per il matrimonio sei tu”,
ma più che altro sei
tu e l’anello di diamanti con il quale mi convincerai.
Al quarto segno
non fece nemmeno troppo caso, si limitò a passare dentro
Central Park e notare un palco montato proprio accanto alla panchina
dove una volta Kurt aveva detto che riusciva a vedere qualche stella, e
lesse poi il volantino attaccato al palo che proponeva una cena a base
di barbecue e birra proprio per quella sera.
Tornò
a casa sconsolato, rendendosi poi conto che non aveva nemmeno preparato
uno straccio di discorso con cui stupire Kurt e farlo cadere tra le sue
braccia. Pensava che ripetere quello che aveva detto alla Dalton tanti
anni prima non sarebbe stato credibile, anche perché era
meglio non ricordargli della morte di Pavarotti o sarebbe scoppiato a
piangere per i motivi sbagliati, ed era convinto che il suo ragazzo si
sarebbe accorto immediatamente se avesse copiato la dichiarazione di
Harry a Sally – che era una delle sue idee, ma
concordò con se stesso che era effettivamente poco
romantica, per quanto lui la trovasse adatta. Forse doveva solo
improvvisare e sorprenderlo, e forse
avrebbe gradito lo stesso.
Quando
entrò in cucina e trovò Kurt intento a girare un
mestolo in una pentola che emanava un odore divino, mentre canticchiava
qualcosa sottovoce e si voltava a rivolgergli il sorriso più
innamorato che avesse mai visto, decise senza troppi problemi che
avrebbe rimandato la sua dichiarazione di un settimana. Il sabato
successo avrebbe sicuramente reso tutto perfetto e speciale proprio
come meritava il suo Kurt. In fondo, per lui avrebbe aspettato anche
una vita intera.
*
“Oh,
i pantaloni larghi sono tornati di moda, che
orrore…” commentò Kurt dal divano.
“Mh.
Io non capisco perché l’allenatore si ostini a
tenere il numero cinque in panchina” evidenziò
Blaine, guardando la televisione mentre accarezzava languidamente un
polpaccio dell’altro, visto che teneva come al solito le
gambe sulle sue.
“Comunque
non mi hai detto dove sei stato oggi pomeriggio” chiese,
alzando gli occhi dalla sua rivista.
Blaine
scrollò le spalle. “In giro”
ridimensionò. Ed entrambi tornarono alle loro occupazioni
del dopo cena.
“La
signora Thomson del piano di sotto ci ha regalato dei biscotti alle
mandorle” gli fece sapere dopo un po’, mentre
guardava le foto dell’ultima sfilata di Vivienne Westwood.
“Oh,
l’ho incontrata prima quando sono tornato a casa. Dovremmo
regalarle dei fiori” disse sovrappensiero l’altro.
“E un
guinzaglio per il suo cane, mi ha sporcato i pantaloni bianchi
ieri” commentò Kurt.
Restarono in
silenzio qualche altro minuto, ognuno intento alla sua occupazione,
fino a quando Kurt non sospirò.
“Blaine?”
lo chiamò, facendolo voltare verso di lui. “Io
credo che dovremmo sposarci”.
Blaine
sentì chiaramente il suo cuore fermarsi per un battito e il
suo stomaco fare un salto mortale – e non per la cena
succulenta che il suo ragazzo gli aveva preparato – decidendo
di non pensare a quanto i suoi occhi fossero sgranati e a quanto
ridicolo dovesse apparire. “D-dovremmo? Cosa?”
“Sì.
Lo so che doveva essere tutto più romantico, ma quando ti
rendi conto che vuoi passare il resto della tua vita con una persona,
vuoi che il resto della tua vita inizi il prima possibile”
ammise candidamente, tenendo ancora le mani sulla rivista e i piedi
sulle gambe dell’altro.
“Stai
citando Billy Crystal? Santo cielo, Kurt” riuscì a
dire Blaine, prima di avvicinarsi goffamente all’altro e
stringerlo in un abbraccio scomodo che li fece ridacchiare entrambi.
“Ti amo”.
“È
un sì?” chiese Kurt con un sorrisetto compiaciuto.
“È
un sì, certo che ti sposo, non riesco a credere che dopo
questa giornata orribile alla fine- Lascia stare” concluse,
baciandolo con impeto fino a farlo sdraiare sul divano. Rimasero
lì fino a quando tutti i loro arti non furono indolenziti
per la posizione, fino a quando Blaine non baciò ogni
centimetro del viso di Kurt e Kurt non gli propose tutte le idee che
aveva avuto nel corso degli anni per il loro matrimonio,
dall’abbinamento dei colori di tovaglie e tende, ai modelli
dei loro abiti, alle decorazioni sugli inviti. Rimasero lì
per ore, fino a quando non si addormentarono con un sorriso sulle
labbra e le mani intrecciate. La loro vita sarebbe stata perfetta come
i loro sogni, non c’era altro da aggiungere.
*
“No,
le ho detto chiaramente che questa cosa
non era nel menù stabilito e non ho intenzione
di farla portare al tavolo”.
“È
un omaggio della casa!” sorrise l’uomo oltre il
bancone. “È la nostra
specialità”.
“Non
lo voglio!”
“Kurt…
Perché non lasci perdere?” propose Blaine,
accomodante.
“È
il nostro matrimonio, Blaine, è il nostro giorno! Ed
è stato tutto perfetto fino ad ora, non so cosa voglia
questo tizio” si ostinò l’altro.
“Un
omaggio” continuò imperterrito l’altro,
mostrando il suo sorriso più sincero.
“È
un omaggio, sentito, Kurt? Perché non lo accettiamo?
È sempre cucina francese, dopotutto, e abbiamo deciso di
fare il rinfresco in questo ristorante perché è
il tuo preferito” provò.
“È
un piatto di lumache.
Non c’entra niente con la soupe de poisson,
le ostriche gratinate e i dieci tipi diversi di fromage che questo
signore ci ha consigliato mesi fa quando abbiamo fatto
l’ordine” s’impuntò.
Blaine
sospirò. “Perché non lo consideri un
regalo di nozze molto gentile e torni a ballare con me? Magari
è arrivata l’ora del karaoke!”
“Mh…”
“E
comunque sono sicuro che tuo fratello non farà storie se lo
rifili a lui” gli sussurrò, decretando la
vittoria.
“D’accordo.
Molte grazie, signore” ringraziò sorridendo il
direttore del locale, che batté le mani entusiasta.
“Ma la prima canzone la scelgo io” disse a Blaine,
prendendolo per una mano e portandolo al centro del palco.
Mentre
partivano le prime note e Kurt prendeva il microfono con fare sicuro,
si scambiarono un sorriso intenso. Erano davvero sposati. E molto
probabilmente Blaine avrebbe scritto a Billy Crystal per ringraziarlo
del suo aiuto indiretto e di quella frase citata nel film, e forse
avrebbe ricevuto un ordine restrittivo nei suoi confronti, ma ne
sarebbe valsa la pena, anche solo per sentire la risata di suo marito
quando gli avrebbe esposto la sua idea, più tardi.
Passò
ore a cantare e ballare con Kurt, a stringerlo a sé e a
baciarlo. Da ora in poi avrebbero avuto tutta la vita per
essere innamorati.
---
Note: volevo
scrivere qualcosa di romantico, poi di comico, poi non lo so
più perché ero in ritardo, quindi non so cosa sia
uscito fuori. Non è neanche betato perché la mia
beta è scappata :D A domani con l'ultimo capitolo!
Grazie come sempre a sakuraelisa e Me_Mi :)
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Capitolo 7 *** Domestic/Daddy!Klaine ***
Capitolo 6.
Domestic/Daddy!Klaine
“Papà,
papà, spegni la luce!”
Kurt
spinse l’interruttore principale sul muro, creando
un’atmosfera soffusa e intima nel salotto. “Ecco,
tesoro” accordò alla figlia, in piedi sul tavolino
da caffè al centro della stanza. Elizabeth, tre anni e mezzo
e un sorriso che poteva conquistare il mondo, o che almeno aveva
già conquistato i suoi papà.
“Lì,
lì!” disse indicando il divano, e lui si sedette
sulle gambe di Blaine, passandogli un braccio intorno alle spalle.
“Sono
così emozionato…” gli disse
l’altro.
“Oh
piantala, sono emozionato anche io”.
“Pronti?”
chiese la bimba, portandosi una ciocca di capelli biondi dietro le
spalle con una certa abilità e tenendo poi il microfono con
entrambe le mani.
“Vai,
amore, come l’abbiamo provata ieri. Facciamola sentire anche
a papà” le fece segno Blaine, spingendo un tasto
sul telecomando dell’home-theatre e facendo partire una base
musicale.
Kurt
riconobbe la canzone fin dalle prime note: i Beatles erano uno dei tre
fondamenti di quella famiglia, oltre al canto e al rispetto reciproco.
“Oh…” si commosse, stringendosi di
più al marito. “Non credi sia un po’
inopportuno per lei?” chiese, mentre la bambina cominciava la
prima strofa.
“Oh I need your love baby, guess
you know it’s true”.
“Inopportuno?
E perché mai? È la festa del papà
oggi, e questa può benissimo essere una canzone che uno dei
suoi papà vuole dedicare all’altro”
chiarì, baciandolo piano su una guancia.
“E
la fai cantare a Liz?”
“I love you every day, girl,
always on my mind”.
“Io
te la canto ogni giorno” ammise, scrollando le spalle e
passando le labbra sul suo mento.
Kurt
si lasciò distrarre per un attimo da quelle attenzioni, ma i
suoi occhi lucidi erano fissi sulla figlia. “È
adorabile. Hai visto come si muove? Il primo premio a quel concorso di
danza l’anno scorso è stato totalmente
meritato”.
“Guarda
adesso, guarda adesso!”
“Hold me, love me, hold me, love
me”.
“Oh”.
“Quella
mossa gliel’ho insegnata io! La fa così
bene…” iniziò a commuoversi pure
Blaine.
“E
quella nota così alta è merito mio, comunque” lo
riprese, piccato.
L’altro
sospirò sognante. “È
bellissima… e ha il tuo sguardo mentre canta”
dichiarò, stringendo le braccia attorno alla vita di Kurt e
poggiando il mento sopra la sua spalla.
“Eight days a week I love you,
eight days a week is not enough to show I care”.
Kurt
accarezzò con la guancia i capelli del marito, lasciando che
un paio di lacrime scivolassero sul suo viso. “Questa
è la più bella festa del papà di
sempre” disse, guardando la figlia concludere la canzone con
gli occhi chiusi e un sorriso aperto. Ain’t got
nothin’ but love, baby, eight days a week.
“Perché
tu sei il miglior papà di sempre” gli
sussurrò Blaine all’orecchio, facendogli scorrere
un brivido lungo la schiena. “E il miglior marito di
sempre”.
L’altro
si asciugò velocemente le lacrime dalle guance, incrociando
il suo sguardo. Di fronte a quegli occhi sinceri, grandi e innamorati
non era mai stato capace di rimanere impassibile. “Solo
perché ho te”. Ma prima che potessero dedicarsi a
uno dei loro baci lunghi e intensi furono bloccati da un
“Ehi!” così forte che sembrava
impossibile essere uscito da polmoni così piccoli. I due si
riscossero subito, tornando a guardare la bambina.
“Sei
stata bravissima, tesoro” si complimentò Blaine,
battendo le mani.
“Oh
sì, assolutamente divina” continuò
Kurt, applaudendo anche lui.
Elizabeth
li guardò compiaciuta, portando una mano sul fianco.
“Ora canto un’altra cosa” disse, e
improvvisamente ai suoi papà la situazione apparve lampante,
tanto che fece loro gelare il sangue.
La
luce soffusa, il palco improvvisato, le lezioni di danza, il modo di
maneggiare il microfono e l’atteggiamento da diva.
“Oh
mia Gaga” esclamò Kurt. “Nostra figlia
è una piccola Rachel Berry!”
“N-no!
E comunque il suo guardaroba è più
bello” provò a salvarsi Blaine.
“Blaine!
Mi avevi promesso al nostro matrimonio che non sarebbe
successo” lo sgridò. “È colpa
tua, la tieni sempre troppo in braccio e gliele dai tutte
vinte” spiegò.
“Cosa?
Sei tu che hai insistito per le lezioni di canto, ballo e
recitazione” tentò di difendersi.
“Papà,
papà! Sono stata brava?” li interruppe lei.
“La
performance più bella che tu abbia mai fatto,
amore”.
“Oh
sì, potresti salire sul palco di Broadway con me,
tesoro” si affrettò ad aggiungere Kurt.
“E
magari potremmo regalarle quel gattino che desiderava tanto…
no?” chiese l’altro con tono di supplica, rivolto
al marito.
“Blaine,
stai esagerando ora”.
Lei
cominciò a saltellare allegra, riempiendo la stanza delle
sue risate. Entrambi sorrisero, perché quella era la cosa
più bella che fosse mai arrivata nella loro vita, e
l’avrebbero protetta con tutto il loro amore.
“E
comunque nostra figlia non è come Rachel Berry”
precisò Blaine, mettendo su un broncio adorabile e
stringendosi di più all’altro. Kurt gli
prestò tutta l’attenzione possibile, mentre la
bimba volteggiava su se stessa cantando Eight
days a week, eight days a week, eight days a week. “Nostra
figlia è molto
meglio”.
---
Note: è finita!
yay! :D stavo impazzendo (ma credo che lo rifarei già domani
se ci fosse un'altra Klaine Week), ora posso leggere la montagna di
roba che ho lasciato indietro questa settimana... Ho la casella di
posta intasata.
Comunque, io penso che Kurt&Blaine un giorno saranno padri
eccezionali che vizieranno senza ritegno i loro figli, una specie dei
Berry, ma più adorabili.
Anche questo capitolo non è betato, credo che
passerò domani con calma a riguardarlo, ma oggi non mi sento
bene :( se ci sono errori segnalate pure.
Un grazie speciale a Me_Mi e sakuraelisa (sì, sono riuscita
a staccarmi da quel tuo video dell'anniversario, anche se non so come)
per aver recensito fino alla fine, siete state importantissime per me
ed è merito vostro se sono riuscita a finire la raccolta :)
Grazie davvero di cuore per il supporto, spesso non ci si rende conto
di quanto una recensione possa essere importante per un'autrice, quindi
quando ne ricevo cerco di rispondere bene e farlo capire. Thanks
<3
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