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di La_Nene_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Milano ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: incontro in centro ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: cena a base di vita. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Non posso.. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Tu lo sapevi ?! ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 : Gate 8 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: Trasloco ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Proposte ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Milano ***


Questa è la mia prima storia originale, spero vi possa piacere.

Il mio sogno è poter lavorare con la mia passione, cioè la scrittura.

Vi ringrazio in anticipo

 

 

Rincontrati:

 

Capitolo 1: Milano.

Mi aumenta il battito mentre la musica pulsa dalle cuffie e seguo il ritmo tamburellando le dita sulle ginocchia. Venti minuti e sono a casa. Casa.. che parola strana. Ma che poi casa mia dov’è? Londa o Milano? Probabilmente entrambe. Londra è la mia nuova città ci vivo da 5 anni e mi sento bene, accettata, accolta a braccia aperte. In fondo, è sempre stato il mio sogno vivere là. Ma Milano.. Milano è dove ho lasciato tutto: la mia famiglia, i miei amici…il mio amore.  Già. Il mio amore. Ho cercato di non pensarci .. di non pensare alla possibilità che tronando potrei rivederlo dopo questi lunghi 5 anni. Eppure, quella possibilità mi dilania in due: da una parte fremo nell’agitazione, felice e febbrile, di un incontro, e dall’altra affogo nella mia paura e nella mia angoscia di rivedere quel volto, quegl’occhi .. quelle labbra.

Il mio aereo atterra. Eccoci. Milano.

Scendo dai gradini instabili che portano sulla pista d’atterraggio e riesco a sentire l’aria pungente di fine Febbraio sulle guance, quell’aria carica di frenesia e di smog. Quell’aria cosi famigliare.

Ora devo riprendermi i miei bagagli, ho sempre l’ansia di non trovarli. Eccola la mia valigia rossa, inconfondibile! .. Giro con gli occhiali scuri ben posati su naso, a nascondere gli occhi gonfi di una serata a spasso per i locali. Nel mio completo beige, gonna fino al ginocchio e giacca slacciata sopra una camicia bianca, mi sento un po’ fuori posto in mezzo a così tanta gente. Sento freddo e, allora, indosso il mio cappotto nero che tengo sempre a portata di mano, mentre mi sistemo il ciuffo lungo dietro l’orecchio destro. Chissà cosa diranno le mie amiche del mio taglio! Finalmente sono riuscita a tingermi i capelli di rosso, ma  non completamente. Il mio colore naturale, biondo chiaro, ora è mesciato da diverse ciocche rosse che ben si sposano con le altre nel taglio corto, ben studiato.  Un urlo richiama la mia attenzione, mentre cerco di non ammazzarmi nel tirarmi dietro la mia valigia stracolma. Ed eccole, le mie due migliori amiche mi corrono in contro, seguite a ruota dalla mia pazza, inconfondibile, cugina.  –Seeeree!...- rido, rido e sono felice di rivederle: -Ragazzee!- mi saltano al collo e mi abbracciano. Mi abbracciano stretto, mentre vedo qualche lacrima solcare le loro guance rosse.  –Come stai?-  mi chiede Elena, sempre più bella, magra e snella con i suoi capelli lunghi bruni e i suoi occhi nocciola così profondi da perdersi dentro.  E io so quante cose quegl’occhi possono nascondere e so quanto bisogna, a volte, scavare per riuscire a scorgere quello che veramente vogliono dire. E mi tornano in mente tutte le nostre risate, le nostre chiacchierate e gli abbracci e le parole di conforto … e gli anni sui banchi di scuola, l’una accanto all’altra. Sorrido. –Bene tesoro.- l’abbraccio stretta, mi è mancata. –Mi sei mancata. Troppo.-  Lei piange –Anche tu, amore.-  Piango anche io. È sempre cosi, se una piange poi inizia anche l’altra. Mentre ne abbraccio una, l’altra mi guarda orgogliosa: - com’è andato il viaggio? Non vedevamo l’ora che tronassi.- sorride. Eleonora. Siamo cresciute insieme, sulla stessa via per anni e ci siamo sempre aiutate l’una con l’altra ed ora siamo cresciute, mai state per così tanto tempo lontane. –Bene grazie, anche io non vedevo l’ora di tornare.- e la abbraccio forte.  Poi mia cugina la guardo e non ci diciamo niente, è sempre stato cosi. Siamo sorelle mancate, è stata lei a dirlo ed io non posso che darle ragione. Ci basta guardarci per capire cosa pensiamo e cosa vogliamo dirci. Ci basta guardarci e sappiamo .. ed abbiamo detto tutto quello che dovevamo. Abbraccio anche lei, con il suo metro e novanta di altezza, riesco a capire quanto mi serviva vederla.

Mentre chiacchieriamo e ci raccontiamo di tutto,  arrivano trapelati i miei genitori. Piango alla loro vista, piango perché mi sono mancati. La mia mamma, il mio pazzo papà.. certo, vivere tutti i giorni con loro e poi passare cinque anni da sola dall’altra parte del mondo  è stato un gran cambiamento  e non potevo immaginare che sarebbe stato cosi difficile allontanarmi da loro.

Mio padre mi abbraccia forte e non vuole più lasciarmi, mia madre la vedo commossa per la prima volta in tutta la mia vita e so che sono felici. Li guardo e mi sento a casa.

Raggiungiamo le diverse macchine e andiamo a mangiare tutti dai miei. Raggiungiamo la casa e passo a rassegna con lo sguardo il quartiere e i posti in cui andavo a giocare da piccola, i giardinetti, e la scuola elementare. Arrivo al palazzo del mio condominio e lo saluto con un grande sorriso, mentre mi godo con calma la passeggiata del vialetto. Incontro diversi vicini e ragazzi che conosco, che anche loro sono venuti a trovare i genitori.  Incontro un vecchio amico lo saluto, gli dò due baci sulle guance e ci raccontiamo un po’. –Come sei diventata bella!- mi dice spavaldo. Ah gli uomini! Lo vedo come mi guarda. Lo so cosa vuole non ci metto molto a capirlo, ma faccio finta di niente e lo ringrazio per il complimento,  congedandomi  e raggiungendo il mio gruppo di benvenuto.  Decisamente non è il momento di flirtare.

Saliamo in casa e sono invasa dai ricordi. Tutto è come l’ho lasciato. Passeggio per la casa, stregata, mentre le mie amiche e la mia famiglia preparano il pranzo, concedendomi un momento di solitudine. È una cosa che devo fare da sola. Ricordare. La mia camera è ancora là, ancora piena di libri, ancora con i mille cartelli di pensieri e frasi attaccate all’armadio a muro.  E ci sono ancora le stesse foto e in quelle foto rivivo tutto. Perché c’è lui. Riesco quasi a sentirne il profumo.  La prima carezza, il primo sorriso, le risate, il primo bacio, le prime vacanze, i primi sguardi maliziosi, la prima volta. Flash su flash tutto ritorna. Esattamente come l’avevo lasciato. E non mi accorgo di avere le lacrime agl’occhi. Elena arriva e mi chiama per nome, la prima volta non la sento. –Sere è pronto!- la fisso, mi guarda. Sa perché piango. –Oh,  tesoro.- mi abbraccia. – Coraggio, siamo grandi adesso.- Sorrido. Ha ragione. Non dobbiamo piangere. Non lo dobbiamo fare.. anche perché piangere è inutile. Certo i ricordi sono belli, molto belli. E allora sorrido. Sorrido perché i ricordi sono, ancora, belli.

Mangiamo tranquilli e io racconto la mia vita londinese e il mio lavoro da redattrice in un piccolo giornale poco fuori dal centro. Mi trovo bene e mi piace. Il mio lavoro mi intriga e mi esalta. Le amicizie che ho fatto sono belle e solide. So che quando tronerò saranno là ad attendermi, ma se anche dovessi decidere di restare in Italia, so che non le perderei. Quei pazzi fuori di testa dei miei coinquilini!

Finito di pranzare le mie amiche tornano alla loro vita e così anche mia cugina: -Ma stasera ci vediamo!- -Si infatti organizziamo una bella seratina tra donne! Invitiamo anche la Marta e la Chiara.- Sorrido, ooh si le voglio vedere! –Assolutamente…non vedo l’ora!-

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: incontro in centro ***


Capitolo 2: Incontro in centro.

 

 

I miei mi fanno domande su domande e le prime ore del pomeriggio volano via in un batter d’occhio.

 –Mamma guarda che più tardi esco. Ho un incontro di lavoro.- devo incontrarmi con un giornalista italiano, che ho incontrato a Londra e mi ha aiutato per un articolo. Ma tutto questo a mia madre non lo spiego. Ho 26 anni. Direi che non mi serve una spiegazione per uscire. Ed il più tardi è arrivato in fretta.  Mi cambio e mi vesto con un paio di jeans neri e una camicia blu e bianca a scacchi, aperta, mentre sotto lascio intravvedere una canottiera bianca semplice, che mette in risalto la mia forma snella e la mia pancia piatta, che dopo tanto, duro lavoro è arrivata anche a me. Mi trucco: matita nera, mascara, un po’ di terra e un bel rossetto rosso. Quanto mi piace il rossetto! Infilo un paio di scarpe nere con il tacco, un magione nero e il giaccone. Borsa, cellulare, chiavi .. ok ho tut…azz, la macchina … –Papà! Mi presti la macchina!- mi guarda stranito, ma sorride.. –Vai vai, ma sta attenta.- -Certo!- gli do un bacio sulla guancia e scappo.

In strada c’è traffico, come sempre. E quando sono quasi arrivata, sono in ritardo. Perfetto!

Posteggio e cammino spedita verso piazza Duomo. Sono super in ritardo. Eccolo! Christian mi sorride nel suo completo da ufficio scuro. Elegante, affascinate. La sua carnagione abbronzata è messa in risalto dalla camicia bianca un po’ sbottonata e sgualcita, ma con classe.  –Ciao. Scusami per il ritardo! Milano è sempre un casino- Sorride e mi lascia vedere i suoi denti bianchissimi, curati, che si contrano con la sua barba scura lasciata incolta, ma volutamente e regolata perfettamente.  I suoi occhi verdi incrociano i miei nocciola. Si passa una mano tra i capelli scuri, corti, ma non troppo. –Tranquilla, non è molto che aspetto. – due baci sulle guance, la sua mano sul mio fianco e sento il suo profumo di marca, forte, mascolino. Un po’ mi eccita. Ho sempre trovato intrigante quell’uomo. Sorrido.  –Ti vedo in forma!- ammicca. –Grazie, anche tu stai molto bene, anche se sei appena arrivata. Il viaggio tutto a posto?-  -Si, ti ringrazio. – ci incamminiamo verso il bar e ci sediamo a un tavolino sulla piazza. Parliamo del più e del meno e lui mi stuzzica. –Allora, avrai lasciato a Londra mille cuori spezzati ..- ammicca. –No..- esito, distolgo lo sguardo .. conosco questo gioco.. –Non mille .. un paio.- Ride.. – Eh brava! E qui .. c’è qualche cuore solitario che ti attende?- mi fissa, penetrate. Ha due occhi stupendi. Intanto allunga la mano sul tavolino e prende la mia, la sfiora appena. Io scappo al suo tocco. –Ma non dovevamo parlare di lavoro?- sorride. –D’accordo.- Mi parla della sua proposta di fare un articolo incrociato tra Milano e Londra e una collaborazione per diverse interviste e sondaggi. Parliamo di lavoro per un ora e si sono fatte le sei. Ci scambiamo i numeri di telefono per risentirci sull’offerta di lavoro, che mi pare abbastanza interessante.  –E poi, mi puoi chiamare se ti senti sola qua a casa.- sorrido e lo guardo .. –Si, potrei farlo.- Mi posa la mano sul fianco e mi bacia sulla guancia. Un bacio intenso, prolungato, speranzoso di un proseguimento che va oltre i vestiti. –Ci sentiamo, allora, Chris.- Mi guarda. Sorride e spera. –Quando vuoi.-  Mi incammino verso il posteggio, ma mi giro per l’ultima volta a guardarlo. Lui è ancora li e mi fissa allontanarmi. Si, mi sa proprio che lo chiamerò presto.

Passeggio spedita ed è buio. Il Duomo illuminato mi emoziona sempre e senza accorgermi mi sono fermata a fissarlo, rapita dalla sua magia.  Trenta secondi che mi sono fermata e BAAAM .. cado. Ho il sedere per terra e mi fa male. –Ahia! .- -Scusami, scusami tantissimo. Non guardavo dove andavo.- Una voce calda, maschile si scusa, frettolosamente e una mano forte e grande mi prende per un braccio e mi aiuta a mettermi in piedi. –Aah che mano fredda!-  Tolgo il braccio dalla stretta. La mano era congelata. –Scusa, ho sempre le mani fredde.- Sbuffo. Mi ricorda qualcuno. Scaccio il pensiero. –Bè, stai più attento e non andare in giro ad ammazzare le persone!- -Che tragica. Mi pare che sei ancora viva, o sbaglio?- -Ah . Ah spiritoso.. guarda che mi sono fat..- alzo lo sguardo per fissare irritata il mio assalitore e mi gelo. Mi pietrifico sulle mie gambe che tremano, ma riescono ancora a sorreggermi. Non è possibile! No! Non può essere lui! Su centinaia di persone in piazza duomo a quest’ora : lui! Eh no! No! Non è possibile…. –Ti senti bene?-  No, non è lui, non mi ha riconosciuta. Ok che in 5 anni sono cambiata parecchio, li taglio di capelli, ho tolto gli occhiali, sono dimagrita…però se fosse lui saprebbe chi sono. Scuoto la testa. –Si, scusa è che mi pareva.. – Lo guardo ancora e sembra perplesso, un po’ preoccupato. –Niente. Sto bene. – Sorrido. E lui mi sorride. Un tuffo al cuore. Ha lo stesso sorriso.  È il tipico uomo dai colori meridionali. Capelli scuri, occhi scuri. Fisico snello, ma robusto. Indossa un bellissimo completo nero e camicia bianca con cravatta, un po’allentata. La barba incolta gli sta divinamente. Avrà sui 28 anni. Dio! Gli assomiglia cosi tanto!  Raccoglie la sua valigetta –Bene allora, scusami ancora .. davvero non volevo ucciderti, come dici tu.- Sorride ancora. Io mi passo una mano nei capelli, mentre lui aggrotta la fronte e mi studia. Mi guarda per un po’ e poi sgrana gli occhi. Apre la bocca e poi la richiude. Scuote la testa. Apre di nuovo la bocca per dire qualcosa, ma non la dice. Non ho tempo da perdere. –Bè , si ok … ora vado. Arriderci.- Lo supero. Mi blocca per un braccio. –Aspetta!- Lo guardo un po’ spaventata, non mi aspettavo questa reazione. –Posso vedere il tuo polso destro.?- Lo guardo stranita… ma che domanda è?  Perplessa mi sgancio dalla sua presa e mi tiro su leggermente la manica: - ok. Ecco.- Lui guarda il mio polso e impallidisce. – Non è possibile.-  -E’ un tatuaggio .. niente di che. – Mi fissa. –Come ti chiami?- Lo guardo, non capisco, non capisco cosa vuole. –Serena. Tu?- Sbianca ancora di più. –Non è possibile. - -Strano nome.. – Sorrido. Ma lui è paralizzato e scuote la testa.. –Non puoi essere tu..- ..E  allora capisco.. il mio timore iniziale era vero. È lui.. questa volta sono io a sbiancare e scuotere la testa.. –Federico..- Lo sussurro .. ho quasi paura di dirlo. Paura che sparisca , paura che scappi.. lo fisso e a stento trattengo le lacrime. Mentre sta per dirmi qualcosa , un bambino gli si affianca e gli tira la giacca. –Papà ! Sono arrivato io da te ! –Sorride felice.  Papà?! .. mi manca il fiato, mi viene da svenire. Papà? No, no avrò capito male. Lui guarda il bambino e poi di scatto torna a fissarmi, mentre una donna si avvicina: -Ah signor Fumagalli, mi scusi .. ma è voluto correrle in contro.-  Lui si gira: - Non  c’è problema signora Bianchi.- Sorride gentile. –Allora ci vediamo domani mattina.- -Certo- -Ciao, Enea! Ci vediamo domani!- -A domani, signora Bianchi.- Il bambino è bellissimo, biondo scuro e occhi chiari, e molto educato. Avrà, più o meno, quattro anni e fa fatica a pronunciare le “n”, ma si vede che si impegna.  Lui mi guarda ancora stupefatto. –Ma sei davvero tu, Sere? – Sospiro. –Si..-Non so che altro dire e continuo a fissare il bambino che ora mi guarda interessato. Cala il silenzio per qualche minuto e mi sembra di sentire un gran peso sulle spalle. Lui guarda il bambino. –Sere, lui.. lui è mio figlio Enea.- Trattengo il fiato. Sapevo che stava con una donna, lo sapevo. Ma non sapevo di nessun figlio e di nessuna moglie.  Però guardando quel bel bambino mi si addolcisce lo sguardo. –Ciao, Enea.. -  Sorrido. –Lo sai che sei proprio un bel bambino.- e mi sporgo verso di lui. Lui, forse impaurito, si nasconde dietro alla gamba del padre. –Enea! Fai il bravo. Ringrazia.- Il suo tono è dolce, affettuoso. –Grazie.- Enea  lo sussurra. Lui mi guarda –Scusalo, non ama molto gli estranei.- Sorride, dolce, buono.  Lo guardo e rimango a fissarlo un po’, ancora mi sembra  di provare l’eco di quei sentimenti che pensavo assopiti. Quei sentimenti che ci hanno tenuti legati per 4 lunghi anni. Anche lui mi guarda, mi guarda con occhi brillanti. Quei suoi occhi scuri cosi densi, cosi intensi, cosi belli. –Sei sempre più bella.- Sorrido. –Grazie. Anche tu. .. cioè ti vedo in forma!- Mi sento cosi impacciata. Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo, a quando avevo 18 anni e siamo usciti insieme per la prima volta. Ride. –Grazie. Lui mi mantiene in forma. Devo corrergli dietro.- e indica il piccolo aggrappato alla sua gamba. Mi guarda –Perché non mangi con noi. Parliamo un po’- Sorride, benigno, sincero, speranzoso. Mi guarda con occhi carichi di aspettative e che in silenzio mi pregano di dire si. E io non me ne accorgo, le parole escono da sole: -Si, certo.-  Ci incamminiamo verso casa sua, o meglio, casa loro e restiamo per un po’ in silenzio. – Allora quando sei tornata?-  -Stamattina. Ero in centro per lavoro.-   Annuisce.  –Capisco.-  Cade di nuovo il silenzio.  –Hai intenzione di rimanere o riparti subito?-  -No, no rimango un po’.  Magari un paio di settimane.- Sorride. –Dormi dai tuoi?-  Mi sento un po’ imbarazzata. –Si, mi pare l’idea più economica.- Ride. –Hai ragione.-  Dopo pochi passi raggiungiamo un gran palazzo con un bel portone di legno e ferro battuto. –Casa.-  Il bambino saltella sul gradino d’ingresso. Mi sento a disagio. –Sei sicuro che non disturbo. Magari tua moglie non gradisce ospiti, soprattutto tue ex. E poi così all’ultimo momento, non è educato.- Parlo in fretta, agitata, in ansia. Lui mi guarda e aggrotta la fronte –Mia moglie?!-  -Si tua moglie, la madre del bambino.. suppongo viva con voi.- Sorride e scuote la testa. –No, no .. non sono sposato. La madre di Enea è… via. Molto lontano da qui.- E sembra un po’ triste, sospira quasi quelle parole fossero pesanti macigni, che si porta dentro da tanto tempo -Oh.-  Non so bene che altro dire. Ero felice che non ci fosse nessuna donna in casa ad aspettarlo, ma dall’altra parte mi sorprendeva che avesse fatto un figlio con una donna che non fosse sua moglie e che non abitasse con loro.

Varcammo il portone ed Enea fece tutte le scale di corsa. –Papà ho fame!-  Sorrido e lui mi guarda. Sorride a sua volta. –Adesso mangiamo. Fai il bravo che abbiamo un ospite.- Arrossisco. Un po’ mi sento in imbarazzo.  Entriamo in un bel appartamento arredato accuratamente, con i mobili in legno scuro e le pareti bianche alternate da colori accesi. Una cucina all’avanguardia e ben ordinata nell’angolo a sinistra, un salone con due bei divani color crema, davanti all’ingresso, con un televisore al centro. Una scala portava al piano superiore dove, supponevo, si trovava la camera matrimoniale e una singola con un bagno.

-Bè, non è molto grande, però..- -E’ bellissima.- Sorrido sincera. Mi pace d’avvero. E mi vengono in mente i nostri sogni, i nostri progetti insieme. Mi si stringe il cuore. Non abbiamo fatto nulla di quello che c’eravamo promessi.. –Fai come se fossi a casa tua, mentre preparo un piatto di pasta.-  -Sii la pasta!- Enea ride. Il padre gli sorride. –Vuoi una mano?-  Mi guarda. –Sei gentile, ma no.. d’avvero, faccio da solo.-  Posa la giacca sul divano e la valigetta ai piedi della scala. Mi tolgo anche io la giacca e vedo che Enea fatica un po’a togliere la sua. –Aspetta , ti aiuto.- Aiuto il bambino a spogliarsi e a mettersi le ciabatte. Intanto parliamo un po’ e facciamo amicizia. Mi sono sempre piaciuti i bambini e lui è tanto dolce. Ci mettiamo sul tappeto di fronte alla tv e cominciamo a giocare insieme e io, dispettosa, gli faccio il solletico. Lui ride, ride forte. E Fede esce dalla cucina e ci guarda sorpreso. Io rido con Enea perché non riesco a trattenermi quando sento un bambino felice.  –Pazzesco!- sento dire a quell’uomo che conosco, ma non poi così bene come pensavo.  Guardo ancora quel bambino che rotola sul tappeto e ride, mentre gli faccio il solletico. Penso a tutto quello che c’eravamo promessi, alle mille cose che c’eravamo detti e, guardando quegl’occhi chiari e dolci e quella risata felice, capisco che tutto è stato messo da parte. Tutto è stato lasciato indietro in un piccolo angolo del cuore, ma magari non del tutto perduto. Alla fine, la speranza è sempre l’ultima a morire.

Mando qualche messaggio, per  annullare i piani della serata: questa cena sarà più lunga del previsto! Metto il silenzioso e ripongo il telefono in borsa, mentre con voce leggermente tremante Fede chiama entrambi a rapporto, posando tre piatti a tavola.

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: cena a base di vita. ***


Capitolo 3: cena a base di vita.

 

Seduti a tavola cominciammo a mangiare in silenzio, mentre io e lui ci scambiavamo occhiate intense. Avremmo rimandato a dopo le rispettive storie.  Federico aiutava il suo bambino a mangiare e gli chiedeva, distrattamente, come era andata la sua giornata e se si era divertito al parco con la tata. Più li guardavo e più mi sembrava impossibile che lui fosse un ragazzo padre. Un bambino era qualcosa di veramente importante, e, soprattutto, bisogna essere responsabili. Certo, lui lo è sempre stato e io stessa dicevo e sapevo che sarebbe stato un  ottimo padre, ma vederlo ora, mentre insegnava a suo figlio come tenere per bene la forchetta in mano, mi emozionava. Da una parte orgogliosa di quell’uomo che era diventato, capace di essere così adulto e provvedere a un bambino tutto da solo, dall’altra il mio cuore era colmo di tristezza e rammarico: avevo sempre immaginato che sarei stata io a dagli un figlio e che l’avremmo accudito con amore e dedizione. E ora, guardaci adesso. Cosa è rimasto di tutto quell’amore, quella passione, quei sogni, quelle speranze, quei progetti.. In fondo al mio cuore sono ancora lì, esattamente dove li avevamo lasciati, ma come faremo adesso a realizzarli? E dopo tutto questo tempo, c’è ancora la possibilità che possiamo, anche solo, tentare di renderli veri ? 

Lo vedo voltarsi lentamente verso di me e guardarmi con occhi un po’ desolati: -So a cosa stai pensando.- e abbassa lo sguardo, un po’ dispiaciuto.  Mi coglie di sorpresa, ma subito dopo sorrido, sapeva sempre cosa pensavo, riusciva a guardarmi e leggermi dentro, come nessuno, dopo di lui, c’è riuscito e, forse, nessuno ci riuscirà. Sospiro. –Scusa. Non voglio rovinare una così bella serata con i miei pensieri depressi.-  e gli sorrisi socchiudendo gli occhi. –Non ti preoccupare, so benissimo che non è una situazione facile e forse ti ho chiesto troppo a venire qui. – Sospira anche lui –Non so più come ci si comporta con le donne. Soprattutto, non so come comportarmi con te..-  e lasca la sua frase in sospeso. So, perfettamente,  a cosa allude. Mi rabbuio e comincio a fissare attentamente il mio piatto, mangiando in silenzio.  Dentro di me ribolle una gran rabbia. Non potevo ancora accettare l’idea che lui credesse ancora a quella storia, che lui ci avesse creduto cinque anni fa e mi avesse buttato fuori dalla sua vita, senza nemmeno ascoltarmi. Odiavo quel litigio e tutto ciò che era stato per colpa di una voce. Lo sentii sospirare di nuovo, mentre si alzava a posare il piatto nella lavastoviglie: -Comunque è storia passata.. sono successe così tante cose da quando sei partita. Non riesco nemmeno a ricordarmele tutte. -  -Papà!-  Enea interruppe quel momento un po’ malinconico –Perché tu e Serena siete tristi ?- Lui si volta  a guardarlo e sorride dolcemente. Gli va vicino e gli accarezza una guancia: -Ee piccolo, siamo tristi perché siamo rimasti lontani per molto tempo e siamo molto… amici.. – aggrotta la fronte.  –E se siete amici, perché  siete rimasti lontani per tanto tempo?-  -Perché lei è andata via.-  -E perché è andata via?- -Perché doveva inseguire un sogno.- -Che songo?- - Chiedilo a lei…- E mi fissa  -Che sogno dovevi inseguire, Serena.?- con la sua voce innocente mi chiede spiegazioni troppo grandi. Allora, cercai di semplificare –Volevo diventare una giornalista. - -E ci sei riuscita?- sorrisi –Si. -  -Quindi ora sei felice?-  Rimasi senza fiato a quella domanda. Sono felice? Io? Quante volte me la sono posta questa domanda. Gli risposi la cosa più vera che potevo digli. –Non lo so.- e sospirai. Federico mi guarda perplesso. –Non sei felice?- Lo guardo e penso bene alle parole da usare prima di rispondere –Bè, felice è qualcosa di veramente grande.. diciamo che sto bene, non mi posso lamentare, ma è come se mi mancasse sempre qualcosa.-  Non ero mai stata così sincera, nemmeno con me stessa. Parliamo ancora un po’ di tutto e niente, mentre racconto la vita in Inghilterra e Enea mi guarda con due occhi grandi ed ammaliati. Federico mi osserva  e scruta con attenzione,  come se volesse incidersi nella memoria le mie espressioni, i miei lineamenti. Come se volesse cogliere qualcosa che non volevo dire apertamente e questo suo guardare così intenso, un po’ mi fa sentire in imbarazzo, come se fossi nuda davanti a lui, perché sapevo di non riuscire a mascherare i miei sentimenti con lui. Al pensiero, arrossii. Lui mi sorride, dolce.  Abbasso lo sguardo e lo sento dire : -Mamma mia, com’è tardi! Enea andiamo a nanna che domani ci dobbiamo svegliare presto!-  si alza e sparecchia velocemente, facendo partire la lavastoviglie.  –No, voglio restare ancora un po’!! E poi non ho sonno.- Ma il suo corpo lo tradì, perché uno sbadiglio, sfacciato, si fece strada sul suo volto. – Si certo, e io ci credo.  Dai vai a lavare i denti e a mettere il pigiama.-  gli arruffa i capelli biondi. –Si ma non è giusto!- protesta il piccolo. –Lo so, lo so. Ma ora vai.- Enea si alza riluttante e corre su, facendo come gli era stato detto. Guardo l’orologio al polso. Le 10.15. Pensavo fosse più tardi. Ma in effetti per un bimbo è tardi e sorrisi. Mi alzo e aiuto a sparecchiare le ultime cose. –Bè sarà meglio che anche io vada, fra poco. Ho già disturbato abbastanza.- Lui mi fissa, dritto negl’occhi. –Tu non mi disturbi mai, Sere. Lo sai.- Ci guardiamo senza dire nulla per qualche secondo, mentre tutto quello che era stato ci passa per la testa e per il cuore. Non potevamo cancellare ciò che era stato e nemmeno lo volevamo. Sapevamo che, in qualche modo, ci saremmo amati per sempre. I nostri sguardi rimasero legati per secondi che mi parvero secoli e poi lui cominciò a guardarmi le labbra. E io sapevo cosa voleva. Lo volevo anche io. Ma non potevamo. Non dovevamo.  – Eccomi, pronto per dormire!.- Enea ci interruppe. Per lo spavento e la sorpresa saltai, un poco, sul posto. –Bravo il mio bambino! Dai saluta la Sere e andiamo a nanna!- Il bimbo mi si avvicino e io mi abbassai per guardarlo negl’occhi. –Buona notte, Enea, fai tanti bei sogni!- Lui mi sorrise, radioso.  E poi mi abbracciò –Buona notte. -  Rimasi impietrita per un secondo e poi ricambiai la sua stretta decisa. Chiusi gli occhi e sorrisi beatamente. Mi sentivo leggera.  –Ciao piccolo.- Gli diedi un piccolo bacio sulla guancia fresca e morbida.  Si staccò e si diresse dal padre, che mi guardava stranito e senza fiato. Poi serrò le mascelle e il suo sguardo si rabbuiò, ma poi sorrise a entrambi. Si diressero verso la stanza, ma prima di sparire oltre le scale Enea si girò –Spero che tornerai presto. Sei molto simpatica.- E rise e scappò via. Risi anche io. Che altro potevo fare?

Rimasi per un po’ da sola a fissare il lavandino e mi concentrai su qualsiasi altro pensiero  che non fosse il presente che stavo vivendo e, cioè, del fatto che ero nell’appartamento del mio ex ragazzo , che trovavo ancora alquanto affascinante, ed eravamo soli, più o meno.  I battiti accelerarono e cercai di respirare con calma. Mentre cercavo di far mente locale su cosa dire e cosa fare, sentii dei passi dietro di me.  Lo sentii aprire un armadietto e sentii dei rumori di bicchieri di vetro.  –Andiamo di là.- Mi voltai e lo guardai. Teneva in mano due bicchieri e una bottiglia di vino rosso. –Parliamo un po’.- E si avviò verso la sala. Non potevo fare altro che seguirlo.

Ci sedemmo l’uno accanto all’altra, lui alla mia destra. Mi porse un bicchiere mezzo pieno e io ne bevvi una gran sorsata. L’alcool aiuta sempre. Almeno era quello che speravo. Mi sorrise. Calò il silenzio. Nessuno dei due sapeva da che parte cominciare. –Allora.. ti piace Londra? Ti trattano bene?- Aveva deciso di parlare per primo. Sospirai, cercando coraggio. –Si, mi piace molto e sto bene. Sono tutti molto gentili e ho un po’ di amici.- sorrise. –Certo, sei sempre stata brava ad ambientarti e conoscere nuove persone. Una delle cose che ti ho sempre invidiato.- Mi guardò, intensamente negli occhi. –Grazie. Ma dimmi di te. – Dovevamo affrontare l’argomento. Entrambi lo sapevamo. Lui sospirò. –Va bene, partiamo dall’inizio.- Bevve una generosa sorsata di vino –Ho conosciuto Gloria tre mesi dopo che eri partita. Non volevo storie. Non volevo niente. Solo stare da solo nella mia desolazione di uomo ferito e non mi aspettavo che mi sarei rinnamorato cosi facilmente.- fece una pausa per fissarmi. Ma io rimasi impassibile. Non volevo fagli capire che odiavo il fatto che lui credesse ancora che l’avevo tradito e odiavo con tutta me stessa questa Gloria perché gli aveva fatto dimenticare di me. Ma d’altronde cosa pensavo? Anche io sono stata con un paio di ragazzi. Non potevo di certo credere che lui mi avrebbe aspettato o che mi avrebbe supplicato di tronare da lui.  Anche se per molto tempo, di notte, stavo sveglia e pregavo che mi chiamasse. Lui proseguì –Gloria ti somiglia molto per certi aspetti. E credo che fosse per questo che mi piaceva. Perché spesso in lei vedevo te. In ogni caso, cominciammo ad uscire e io non ero sicuro di essere pronto a impegnarmi sul serio, tuttavia mi piaceva stare con lei. Dopo poco meno di un paio di mesi mi disse che era incinta. – Chiuse gli occhi al ricordo –Mi sono sentito così stupido. Avrei dovuto fare più attenzione. Non era cosi che volevo diventare padre. Tuttavia, le dissi che sarebbe andato tutto bene e che saremmo riusciti a cavarcela. Comprai questo appartamento e mi misi a lavorare sul serio, più di otto ore al giorno, per provvedere ai bisogni di una famiglia. All’inizio, nonostante i sacrifici, eravamo contenti e stavamo bene. Certo, non era una cosa facile, ma niente è facile.- Pausa. Beve un po’ di vino e ricomincia –Così lei venne a vivere da me e nacque Enea. Ricordo che quando lo vidi capì che era la cosa giusta. Era mio figlio, non importava quanti sacrifici avrei dovuto fare e quanti ostacoli avrei dovuto affrontare, avrei fatto di tutto per lui. Non appena tornammo a casa dall’ospedale le cose cominciarono a peggiorare. Lei non era mai a casa , lavorava poco ed era sempre nervosa. Mi trattava male e urlava contro nostro figlio. Diceva che le avevo rovinato la vita e che Enea era un errore. Le ho detto che se non la piantava poteva andarsene. Mi prese sul serio. Dopo tre mesi fece le valige e partì per Bali con il suo istruttore di yoga. – contraeva la mascella e lo vedevo serrare i pugni. Avevo il voltastomaco. Mi veniva voglia di picchiarla. Non potevo credere che aveva abbandonato lui e il loro figlio. Avevo le lacrime agl’occhi per la rabbia e nell’immaginare quanto dolore e frustrazione aveva provato lui, da solo con un figlio da crescere.  Lo guardai mentre fissava dritto davanti a sé, in silenzio, teso. Non sapevo cosa dire, non avevo parole per il disprezzo che provavo per quella donna. Se prima la odiavo per avermelo portato via, ora la odiavo ancora di più, per averlo ferito e abbandonato. –Dio, Fede! Mi dispiace così tanto!- Poso il mio bicchiere e gli stringo la mano. Lui mi guarda e vede i miei occhi sinceri. Si rilassa un po’ e ricambia la mia stretta. –Grazie.- Sorride. –Sei bravissimo, con lui. L’hai cresciuto benissimo. È un bambino così adorabile!-  Il suo sguardo si addolcisce e mi sorride –Grazie. Lui per me è una benedizione. È per lui che vado avanti e mi fa stare bene.- Annuisco. –E tu? Storie tragiche d’amore?- Sorride ironico. –In effetti ne ho, ma non poi così fuori dal normale. Sono stata con un paio di ragazzi, ma nessuno per tanto tempo. Niente di importante. – Avrei voluto aggiungere “niente di importante, dopo di te..” ma ho lascito perdere, meglio non girare il dito nella piaga.  –Mi spiace che per tutto questo tempo non ci siamo sentiti. Solo.. non sapevo bene cosa dirti.-  Abbassa il capo. –Fede, ancora ci credi?- Mi guarda –A cosa?- -Alla storia che ti ho tradito. Come te lo devo dire? Non sono andata a letto con nessuno. Tanto meno con Massimo. Davvero, era una balla.- lui sbuffa –Continui a ripetermelo, ma io ho visto le foto!- Lo guardo scettica –E si vedeva chiaramente che ero io, immagino.- Lui ci pensa un attimo. –Bè no, però ti assomigliava molto.. – Rido. Lui era irritato. –Guardami. Guardami dritto negl’occhi e dimmi che non ti sei fatta quello là!-  mi volto completamente verso di lui e lo fisso negli occhi, seria e sincera. –Mai. Te lo giuro.- Rimane a bocca aperta per un po’ e poi la richiude, abbassa lo sguardo e scuote la testa. –Quanto sono scemo.- Sorrido e gli accarezzo una guancia –Si un po’ lo sei.- Mi fissa –Potrai mai perdonarmi?- Sospiro. –Credo di averlo già fatto.-  Mi sorride, raggiante. –Mi dispiace tanto.- Annuisco –Lo so, Fede, lo so.- -E’ che ero così… arrabbiato. Non volevo ascoltarti. Non volevo crederti.. – Scuote la testa –Non fa niente, d’avvero. È passato.- Mi guarda e mi fissa esattamente come mi fissava quando stavamo insieme. Mi fissa come un uomo fissa la donna che ama, come un uomo che ha bisogno di sentirsi amare, come un uomo che ha bisogno di sentire  pelle su pelle. Era quello che volevo anche io ed ero sicura che si poteva leggere palesemente il mio desiderio. Il mio bisogno di lui. –Sere…- Mi chiama dolcemente, sussurrando il mio nome, mentre mi accarezza la mano posata sulla sua guancia e si avvicina verso di me. Mi mordo il labbro. Lo volevo! Lo volevo,  tremendamente! Ma era sbagliato, non dovevo, lo sapevo, ma non mi importava. Non ora. Ci avrei pensato dopo. Colmo lo spazio che ci separava e lo bacio con foga, come se volessi  imprimere l’impronta delle mie labbra sulle sue. Lui ricambia con lo stesso slancio e ben presto schiude le labbra e le nostre lingue si incontrano. Si riconoscono e si ritrovano, finalmente, unite. Sentivo la voglia di lui crescere nel mio corpo e il desiderio prendere possesso di me, mentre con crescente foga ci baciavamo.  Sembrava lo volessi mangiare o volessi respirare con i suoi polmoni, ne avevo bisogno come si necessita l’ossigeno. E per troppo tempo ero rimasta in apnea.

Ben presto mi ritrovo stesa sul divano sotto di lui, mentre le sue mani cercano la mia pelle, fameliche. Prese a baciarmi il collo e mi tolse la camicia, senza staccarsi da me.  Gli slegai la cravatta, mentre la mia mano, ardente, affondava nei suoi capelli. Lo sentivo tendersi sopra di me mentre si sbottonava la camicia, i suoi muscoli tesi per non crollarmi addosso. –Aspetta. Sei sicuro che possiamo?- mi guarda con lo sguardo velato dalla passione e il fiato un po’ affannato. –Solo se lo vuoi.-  Sorrido. Era sempre così premuroso con me. –Oh si, certo che lo voglio …- Sorrido, un po’ maliziosa. –Ma di sopra c’è tuo figlio.-  Sorride. –Basta che non facciamo troppo rumore. – Rido. E lui riprese a baciarmi. Più forte di prima. Era rimasto a petto nudo e ora potevo sentire la sua pelle sotto le mie dita. Liscia, calda, perfetta.  Sentivo le sue scapole e il suo petto ben delineato, il suo addome ben scolpito.  E a ogni carezza che mi faceva e che gli facevo, la mia eccitazione aumentava. Mi slaccia i jeans e mi toglie la canottiera. Ogni pezzo di pelle scoperto è invaso dalle sue labbra, posseduto dai suoi baci. Fremo sotto di lui e mi mordo ancora di più le labbra per non gemere.  Mi bacia il seno, piccolo e sodo, sopra il pizzo del reggiseno nero, mentre con le mani raggiunge le cosce. Scende lungo la pancia e io inarco la schiena, mentre con una mano mi toglie i pantaloni, gettandoli chissà dove.  Devo prendere in mano la situazione. Mi alzo e mi posiziono sopra di lui, senza mai interrompere l’unione delle nostre labbra. Gli sfilo la cintura e slaccio i pantaloni. Riesco già sentire la sua erezione sotto il tessuto.  Mi tocca con possessione la pelle nuda e, con uno strattone, mi slaccia il reggiseno. Sorrido e non riesco a trattenere un gemito sommesso. Lui si alza a sedere e mi bacia il collo, i seni e mi morde i capezzoli, li succhia avido. Inarco ancora la schiena e lascio cadere indietro al testa, godendomi le sue attenzioni.  In questa posizione la sua erezione sbatte contro la mia entrata, già pronta ad accoglierlo. Lo bacio con foga e lo faccio stendere. Lo bacio ovunque. Sul collo, sul petto leccando i suoi capezzoli turgidi e lo vedo mettersi comodo per godere appieno dei miei baci e del gioco della mia lingua. Scendo lungo l’addome e mordicchio leggermente la sua pelle, facendolo scattare e inarcare la schiena. Raggiungo l’ombelico e i suoi boxer grigi, attillati che mi mostrano la sua voglia e il suo bisogno. Lo guardo e sorrido. Sa cosa voglio fare. Mi sorride. Gioco un po’ con l’elastico dei boxer lasciando passare appena un dito. Lo vedo gettare indietro al testa e chiudere gli occhi. Abbasso quel lembo di tessuto che mi separa dalla sua nudità e, finalmente, riesco a vedere il suo membro eretto per me. Lascio correre tutte e dieci le mie dita lungo la sua erezione e lo sento gemere. Comincio a leccare la sua carne morbida, nei suoi punti più delicati e lo sento fremere di piacere a ogni mio tocco. Mi lascia fare, non si oppone al mio comando, mentre mi gusto il sapore di quel potere che ho su di lui. Ben presto, però, la situazione si ribalta: ora è lui sopra di me e mi bacia senza fermarsi. La pressione delle sue mani è forte, mentre con un dito sfrega il mio centro.  Ora è lui a giocare con me e a leccare la mia carne più tenera, mentre le mie mutande di pizzo vengo gettate lontano. Scende, con estrema lentezza, con la bocca verso il mio interno coscia provocando diverse scariche di piacere lungo tutto il mio corpo. Stimola il mio clitoride con denti e lingua facendomi sussultare. In poco tempo il piacere diventa incontrollabile e vengo scaraventata nel mio primo lungo orgasmo. Mentre cerco di riprendermi, lui mi guarda con lo sguardo carico di desiderio e si posiziona di nuovo su di me, baciandomi le labbra, mordendole, leccandole.  Si stende completamente su di me e, con una spinta decisa,  supera tutte le mie barrire. Trattengo il fiato e poi mi rilasso completamente. Era questo che aspettavo. Scivola in me come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se fossimo stati progettati per inserirci, perfettamente, l’uno nell’altra. A ogni spinta mi sentivo la testa leggera, staccata dai pensieri e lasciavo che i sensi mi dicessero cosa fare. Mi aggrappavo alle sue spalle come se dipendessi da lui e da quella stretta. Scendeva in me sempre più a fondo, cercando quel punto in cui avrei perso la ragione e la consapevolezza di me. Sentivo il suo respiro accelerare e il suo fiato sul collo, mentre si impegnava a darmi tutto se stesso.  Non capivo più dove iniziavo io e dove terminava lui. Le nostre anime si sono toccate nel preciso momento in cui, con un ultima spinta, raggiugiamo l’orgasmo insieme. Per non gridare sprofondo nelle sue labbra.  Ancora uniti, ci guardiamo negli occhi e improvvisamente tutto divenne chiaro. Era chiaro che l’avrei amato, nonostante tutto. Nonostante la distanze e gli anni passati lontani. Ancora lo amavo e non avrei smesso. E sapevo che anche lui la pensava cosi, lo leggevo nei suoi occhi. Si staccò da me e mi fece sedere. Mi strinse forte, cosi forte da farmi mancare il respiro. Mi abbracciò come non aveva mai fatto: -Dio! Quanto mi sei mancata!. – sorrido contro la sua pelle leggermente sudata. Sorrido e lo abbraccio a mia volta, mentre mi crogiolo nella sua stretta forte.

Raggiungiamo camera sua e facciamo di nuovo l’amore, ancora e ancora. Non riusciamo a stancarci.

Poi con il fiato corto e la gioia di stare l’uno accanto all’altra, ci addormentiamo abbracciati.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Non posso.. ***


Dormivo beatamente, in un letto dalle lenzuola fresche e dal materasso comodissimo. Mi beavo della sensazione di benessere e del calore di un corpo accanto al mio che contrastava con la frescura del letto. Un momento?

Un corpo accanto al mio?

Cosa?

Spalanco gli occhi.

Ma dove cavolo sono ?

Non riconosco la stanza e per poco non mi viene un infarto. Grazie al cielo, a poco a poco, rimetto a posto i tasselli della memoria e ricordo la serata  precedente. E comprendo anche chi è il corpo attaccato al mio.  Mi rilasso e arrossisco un po’ al pensiero dell’altra sera. Non volevo girarmi, né far vedere che ero sveglia. Per ora volevo stare solo così e non pensare a niente. Sento che lui è sveglio e lo sento respirare tranquillo, regolare, mentre passa dolcemente la sua mano sulla mia schiena. Ne segue i contorni fino a raggiungere i fianchi. Mi accarezza piano, premuroso, dolce.  Mi bacia una spalla e sorride contro la mia pelle. Non riesco a trattenere un sorriso. Mi fa tenerezza.

-Ti amo.- lo bisbiglia, come se non volesse farsi sentire sul serio. Come se non volesse renderlo vero e tenerlo per sé, sicuro nel suo cuore.

Sgrano un po’ gli occhi. Poi mi rilasso. Lo sapevo. Non c’erano dubbi. Sorrido. Entrambi sappiamo che lo amo anche io, che il nostro amore, in qualche modo è lì.. non del tutto come prima, ma mai perduto.

Ripenso a ieri e a quando l’ho rivisto. Ripenso a tutto quello che ha vissuto e un po’ mi rattristo. In fondo al mio cuore sento che qualcosa non va. Qualcosa di minuscolo, quasi impercettibile. Una piccola vocina che mi dice di pensare bene e di riflettere se davvero tutto è così perfetto come sembra. E di colpo, realizzo di cosa sta parlando quella vocina. Di Enea. Suo figlio.

Un figlio. Cazzo, un figlio. Avuto da un'altra . L’avrei mai sopportato? Accettato?

C’eravamo detti così tante cose, ci eravamo promessi così troppe cose. Mentre sentivo il suo tocco leggero sulla schiena, cominciavo a voler andar via. Mi veniva da piangere. C’eravamo lasciati in un modo così ingiusto, così doloroso. E adesso era tutto dimenticato? No. Di certo, no. Non ancora. Ripensavo alle sue  promesse di restare con me per sempre e ai suoi discorsi di una vita insieme. E poi tutto era andato perso. Perché lui non si era fidato di me. Sentivo le lacrime cominciare a inondarmi gli occhi. Mi alzo di scatto. Non mi deve vedere cosi. Chiudo gli occhi e prendo fiato. Lui si alza con me. –Buongiorno.- la sua voce è dolce. Mentre mi abbraccia da dietro. Lo lascio fare, ma ci metto un po’ prima di rispondere. –Buongiorno. Che ore sono ?-  -Quasi le nove.- mi da un bacio leggero sul collo. Sorride contro la mia pelle nuda. –Credo che sia meglio che io vada.- -E’ sabato, Sere. Puoi restare se vuoi. – Il suo tono e carico di speranze. No. Non potevo restare. Mi ero svegliata dal verso sbagliato, o forse dal verso giusto ma nel letto sbagliato,  e ora tutti i nostri bei discorsi mi martellavano il cervello.  Mi alzo e raccolgo i vestiti.  Mi rivesto un po’ in fretta. –No, Fede. Devo andare, ho promesso ai miei di sistemare un paio di cose e ho da fare.-  mi infilo i jeans  e lo guardo. Sospira abbattuto. Annuisce. –Capisco. Vai allora.- Si alza e si veste solo con un paio di boxer.  –Immagino che tu non voglia neanche fermarti a colazione.- si ferma sulla soglia della stanza. Si volta e mi fissa con gli occhi un po’ più scuri. Lo guardo. Sono dispiaciuta e spero che nei miei occhi lo riesca a vedere, però non posso. Non posso. Dannazione! E poi lui cosa voleva? Come potevo essere certa che mi amasse ancora? Certo, l’ha detto e ieri sera era stato bellissimo, ma non bastava. C’erano troppe cose in sospeso. E poi il bambino.. lui doveva occuparsene e io, forse, avrei incasinato le cose. Le incasino sempre. Non riesco mai a semplificarle, nemmeno per me stessa, figuriamoci per un padre con un figlio a carico. No, no, non era fattibile. E poi la mia casa a Londra? Il mio lavoro? No. Era stato bellissimo, ma io non avevo certezze qua. In lui non vedevo sicurezze. Non più. Tutto era stato sgretolato in un addio non detto. In un saluto appena accennato. In uno sguardo di ribrezzo. Mi ricordo all’aeroporto come mi guardava, come se fossi sporca , come se non lo meritassi.  E forse era così, forse non lo meritavo.  Si. Dovevo andar via. Era la cosa migliore.

-Ti ringrazio, ma no. Vado a casa. – Sospira ed esce dalla stanza. Mi rivesto completamente e scendo in salone dove ritrovo la mia giacca e la mia borsa. Lui è in cucina, armeggia con la caffettiera. Cade un silenzio tombale e io non so cosa dire. Mi fermo sull’ingresso della cucina. Lui è di spalle e la sua pelle, perfetta, è rischiarata dai raggi di sole che entrano ,flebili, dalla finestra. –Bè, allora io vado.-  Lui non si volta. Accende il fuoco e mette la caffettiera sul fornello. Si ferma. Sembra, quasi , che non mi abbia sentito.  –Ci possiamo sentire quando vuoi. – prendo un foglietto e gli scrivo il mio numero di telefono. Lo metto sul tavolo. –Questo  è il mio nuovo numero. Se ti va chiamami. – Non dice niente. Mi sto incazzando. –Vado allora.- Mi sto per girare e uscire, quando lui si volta e mi fissa, dritto negl’occhi. Mi guarda come se non capisse con due occhi confusi e un po’ arrabbiati. –Quindi ?-  lo guardo perplessa: -Quindi cosa?- Mi si avvicina lento. –Quindi te ne vai così?-  Lo guardo seria –E come me ne devo andare?-  Mi guarda e contrae i muscoli del volto. Lo so che lo sto irritando. Ma lui irrita me. –La domanda è perché te ne vuoi andare.. -  Sbuffo. –Me ne vado perché ho da fare, Fede. Non posso restare.- Silenzio. Lo guardo, senza lasciare altri dubbi. Lo guardo con sfida, con orgoglio. Non ammetto repliche. –Lo sai che non posso restare.-  Lui mi guarda.  Lo sa. Ci sono mille ragioni per cui non posso. Nessuna di queste sarebbe sufficiente se lui mi dicesse di restare, perché io resterei. Solo se lo dicesse. Ma non lo dirà. Lo so che non lo dirà. Sospira. –Si, hai ragione.- Ecco. Appunto. Sorrido, con un sapore amaro in bocca. Mi dirigo verso la porta e lui mi segue. Me la apre. –Salutami Enea.- Annuisce senza guardarmi negli occhi. Sospiro. Il nostro gioco del silenzio mi ha stancato. –Buona giornata.- Lo guardo ancora un ultima volta. Mi sorride, educato. –Anche a te.- Esco e sento l’umido del mattino  che mi avvolge. Mi stringo nella mia giacca e non mi volto, mentre sento i suoi occhi puntati sulla mia schiena… Se devi dirmi qualcosa, fermami e dimmela.   Non sono mai riuscita a capirlo completamente, mi è sempre sfuggito qualcosa .. o magari ero io che me lo lasciavo sfuggire, troppo intenta ad essere innamorata.  Troppo intenta ad amare l’amore.

Corro giù per le scale e non mi volto. Sento la porta chiudersi a chiave dietro di me.  Sospiro triste pensando che, forse, non riusciremo a rivederci, che forse non riusciremo a superare le divergenze, i problemi e le mille cose lasciate in sospeso.  Percorro Piazza Duomo mentre tutti questi pensieri mi frullano in testa e senza nemmeno rifletterci troppo estraggo il mio telefono dalla borsa e chiamo il numero che so a memoria.  Uno, due, tre squilli.. –Pronto?!- Una Elena con la voce impastata dal sonno mi risponde dall’altro capo. –Pronto, Ele sono io, Sere.- -Ehi, Ciao. Mattiniera eh?- Guardo l’orologio. Le nove e dieci. –Bè dai, è un orario decente. -  -Si, bè non per me che ancora dormivo.- Sbuffo –Pigrona!- La prendo in giro, ma mi diverto. –Sese..allora?- -Allora cosa?- -Perché mi hai chiamato ?- -Così. Volevo sentirti.- Silenzio. Lo sa che devo dirle qualcosa. Lo sa sempre. –Si .. e immagino non potevi aspettare un paio d’ore..-  Silenzio. Non so bene da che parte cominciare. –Ho visto Fede. – Silenzio. Nessuna delle due sa cosa dire. –Ci sono andata a letto.- Silenzio. E ora mi sento scema. –Ha un figlio.- -Merda!.- è l’unica cosa che dice, ma è perfetta per descrivere il momento.  –Già.-  è l’unica cosa che mi viene in mente. –Non so proprio cosa dire- Silenzio. Nemmeno io lo sapevo. –Ma come è possibile? Cioè io non sapevo avesse un’altra. E poi, scusa, ci sei andata a letto che lui ha un figlio? E sua moglie?- -Non è sposato. Non c’è nessuna donna. È troppo lunga da spiegare.- Raggiungo la macchina. –Ci vediamo stasera?- le chiedo. –Ti racconto e ho bisogno di sfogarmi.- -Certo! Assolutamente.-  -Perfetto. Ci sentiamo dopo, che adesso vado a casa.- -Va bene.. Un bacio, tesoro. Non farti troppe pare mentali.- Sorrido. Ci azzecca sempre! –Ci provo, amo. Bacio.- Ripongo il telefono in borsa e mi siedo in macchina. Rimango in silenzio per un attimo e rifletto a tutto quello che è successo ieri. È un caos nella mia testa. Ma soprattutto nel mio cuore. I sentimenti per Fede sono lì, esattamente dove li avevo lasciati. Pensavo di averli sepolti in qualche parte oscura di me e averli abbandonati al corso inarrestabile della memoria. E invece.. si sono ripresentati, chiedendomi il conto, in sospeso, da pagare .. con anche gli interessi. Poi…Quel bambino! Adoro i bambini, ne ho sempre voluti. E quanti progetti avevamo fatto insieme! Quante volte ci eravamo detti che ne avremmo avuti minimo due e massimo quattro. Avevamo anche deciso i nomi, nel caso. Sorrido. Una lacrima sfugge alla presa tremolante delle mie ciglia. Mi mancava. Lui e le sue promesse. Lui e il suo amore candido. Lui e le sue labbra rosse e morbide. Lui e tutto quello che c’era stato e che, forse, da qualche parte, per entrambi, c’era ancora. Scuoto la testa e metto in moto. In meno di mezz’ora sono a casa e i miei sono usciti. Meno male. Sospiro e butto la borsa sul tappeto. Mi spoglio e mi infilo sotto le coperte.

Poco dopo e sono sprofondata in un sonno agitato.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: Tu lo sapevi ?! ***


Scusate il ritardo e gli eventuali errori. Capitolo scritto in un ora, adesso, di getto.

Spero vi piaccia.

 

 

 

 

 

Capitolo 5: Tu lo sapevi?!

 

Mi sveglio rintronata e spaesata, mentre in pochi secondi metto a fuoco la mia stanza. Non sono per niente rilassata, anzi, se possibile sono ancora più stanca dopo questa dormita imprevista.

Sbadiglio e mi stiracchio. Sono le dodici e mezza. Decido di cercare qualcosa da mangiare. In cucina trovo un biglietto di mia madre che mi avvisa della loro assenza per l’intera giornata e della presenza, in frigorifero, di un arrosto già pronto.  Perfetto!  Mangio tranquilla davanti alla tv e un po’ mi sento in colpa per non aver nulla da fare, soprattutto non riesco a non pensare a ieri sera e a stamattina. Non riesco a non pensare a Fede. È ancora così bello, così affascinante. Ma parliamone, io non potevo permettermi di entrare nella sua vita così e cambiare tutte le carte in tavola. E poi chi se lo aspettava di incontrarlo? E che saremmo finiti a letto insieme? Io no di certo! E soprattutto, l’ultima cosa al mondo che andavo a pensare era che lui fosse padre!  Sbatto furiosa la forchetta sul piatto e salto per  l’assordante rumore che io stessa ho provocata. –Sono proprio cretina!- Perfetto, mi do anche della cretina da sola. Ci mancava. Sbuffo e alzo gli occhi al cielo. E lo so che me lo dico per altri motivi e non, solamente, per aver sbattuto la forchetta sul piatto…

Lavo le due stoviglie che ho sporcato e vado a fare shopping. È sicuramente il miglior modo per distrarmi!

Il pomeriggio passa, relativamente, veloce, anche se vago per le vie del centro terrorizzata all’idea di ritrovarmelo davanti e guardo, indagatrice, tutti i ragazzi mori attorno a me. Alcuni mi hanno anche guardato male. Penseranno che sono pazza… e non mi pare che abbiano tutti i torti. Serena, dovresti rilassarti, entrare in qualche negozio e non pensarci. Certo se ieri sera avessi avuto il buon senso di far meno la ragazza facile, ora non avresti questo problema!   Oh Madonna santa mi faccio anche la predica! Meraviglioso! Ho bisogno decisamente di uno psicologo! Sbuffo e vado a casa. Sono le quattro. Direi che basta shopping. Ma non dovevo rilassarmi?! Fatto sta che sono più tesa di una corda di violino.

Arrivata a casa sbatto  per terra le due buste che avevo in mano. Chiudo la porta e mi spoglio in fretta. Scazzata. Accendo la tv e faccio zapping tra i canali. Trovo un bel film strappalacrime e mi siedo sul divano. Lo guardo tutto, piangendo come una deficiente, decisa nell’autoinfliggermi quella punizione emotiva.

Arrivano le sei e accordo con le mie amiche per una cena fuori. Ho bisogno di parlare e di consigli.

Mi faccio una doccia tiepida e un po’ mi sento meglio. Mi asciugo in fretta e puntualmente mi tornano i ricordi. Tutte le docce fatte insieme e le risate di asciugarci a vicenda. E come dimenticare la prima. Nudi e imbarazzati, non volevamo guardarci, per paura di sembrare troppo sfacciati. Avevamo paura di sfiorarci, ma che bello scoprire i suoi punti più delicati e i miei più sensibili. E le risate per smorzare la tensione. E l’amore.. l’amore nei nostri occhi.   Tutto quel tempo passato insieme non poteva essere cancellato, anche perché il primo amore non si scorda mai, giusto!? Esatto. Non si scorda mai, nemmeno a chilometri di distanza. Ho provato a stare con altri ragazzi e, si, per un breve periodo ci sono riuscita, ma nessuno di loro mi appagava completamente. E non si trattava del sesso. Perché di quello ce n’era a sufficienza, ma era qualcosa che mancava nel mio cuore. E, senza dubbio, anche nel loro.

Accendo il computer e metto su un po’ di musica, la alzo per bene per far tacere i pensieri, mentre mi organizzo per stasera. Faccio un giro di chiamate per confermare la serata. Mi sento più tranquilla ora che le ho sentite tutte e ho riso un po’. Felice di avere un bel progetto per stasera.  Ci troviamo tutte alle otto e mezza al nostro solito pub. È una vita che non ci vado. Chissà se è cambiato qualcosa o no. Guardo l’orologio: Le sette e mezza. Ho un oretta. Mentre dalle casse mi arriva allegra la  musica degli Articolo 31 – Spirale ovale, sospiro. Madonna quanti ricordi! Questa canzone è storica.. mi ricordo ancora quando l’abbiamo cantata in macchina io quelle tre pazze:  Marta, Chiara e Eleonora. Quante risate, quante confidenze.. E quelle serate passate a parlare di Fede e dei dubbi che avevo.. E quel duo pazzesco, Chiara e Marta, che non potevi nominare una senza includere anche l’altra, che si completano a vicenda , che adoro entrambe. Quante volte le ho asfissiate con i miei problemi di cuore. Sorrido al pensiero. Chissà se si ricordano ancora.  E Eleonora.. ah, lei è la mia confidente, le ho raccontato tutto e forse, cose che non era poi così entusiasta di sapere. E le vacanze insieme e le risate insieme.  I pomeriggi e le cazzate. Sospiro, sognante.  Mentre penso a tutto questo vago su internet e controllo la posta. Qualche mail dal lavoro, una da Christian che mi ha mandato quei documenti che gli avevo chiesto e un invito a cena. Sbuffo, proprio non molla questo! Rido. Ci penserò. Chiudo tutto e scelgo i vestiti per stasera. Pantacollant neri, ben attillati, una maglia un po’ lunga a maniche corte, bianca con su una foto della mia Londra e un maglioncino grigio che richiama il colore della borsa e delle scarpe chiuse con il tacco. Mi trucco: matita nera, ombretto grigio chiaro sfumato con il bianco, blush, mascara e rossetto rosso. Perfetto.  Pronta

Esco di casa alle otto e dieci, ora che arrivo a destinazione sono in ritardo… Strano! Sorrido. Tanto le ragazze sono abituate e, di solito, sono più in ritardo di me. Parcheggio, alla buona , e scendo. Ravano nella borsa alla ricerca del telefono e faccio uno squillo a tutte le mie quattro amiche sbandate.  Cinque minuti di attesa e sono tutte li. Mi tornano i pensieri di prima e quasi mi metto a piangere. Le stringo tutte così forte che quasi le strozzo. Soprattutto la mia Elena.. e lei ricambia la mia stretta, sa perché mi sto aggrappando a lei. E lei mi lascia fare. La mia ancora di salvezza.

Entriamo nel locale ed è esattamente come l’avevo lasciato. Gli stessi tavolini di legno e le pareti coperte da girasoli e quell’aria, un po’, da pub irlandese. Sorriso chiudo gli occhi e respiro a pieni polmoni. Per assorbire i ricordi e chiamare la memoria all’appello. Per sprofondare nei sorrisi. Per navigare nelle risate e nelle chiacchierate che sono state l’anima, così spesso, di questo posto che ha fatto da cornice. Le guardo e sorrido a tutte, con un bel luccichio negl’occhi. Ci sediamo e la musica ci raggiunge. È forte e per parlare un po’ urliamo. Ordiniamo i nostri drink e tutto quello che non ci siamo dette viene buttato fuori come una valanga di fatti, eventi, incontri e racconti. Tutto quello che è successo in questi anni distanti ci occupa un’intera ora.. e a pensarci è strano come cinque anni vengano ridotti a un’ora..

Alla fine, al secondo drink, decido di parlare apertamente: -Ho visto Fede. –  Guardo il mio bicchiere cercando chissà quale risposta nel ghiaccio che lentamente si sta sciogliendo. Cala il silenzio. La musica e il chiacchiericcio del locale ci rimbombano intorno, ma noi non ne seguiamo il ritmo. Non ora. –Cosa?!- Chiara mi guarda con due occhi sbarrati. Elena non è sorpresa. Eleonora è preoccupata e Marta curiosa.

-Si, ci siamo imbattuti in Duomo a Milano. Oddio, forse è meglio dire scontrati.- sorrido, vaga. –E cosa è successo?- -E.. cosa vuoi che sia successo Chia?! .. Abbiamo parlato ..- Tra me e me mi sento una deficiente .. si…parlato..  –Abbiamo parlato del più e del meno, del suo lavoro, del mio lavoro, di Londra ecc.. Poi è arrivato suo figlio.-  Silenzio. Riguardo il mio bicchiere. Non so bene cosa pensare. –Cosaaaaa?!- Chiara urla e quasi tutto il locale si gira a guardarci. Elena e Marta si ingozzano e tossiscono insieme. Eleonora sembra la meno sorpresa.  –Si, suo figlio. Enea. Più o meno  quattro anni..- Mi tempestano di domande. Non so rispondere a tutte. Poi il silenzio e gli sguardi accesi, intensi e lunghi. Domande non dette, parole non pronunciate.  So cosa, implicitamente, mi stanno chiedendo. – Ci sono andata a letto. – Un  sospiro generale. –Cazzo!- Chiara sbatte la sua corona sul tavolo. –Ma Sere?! ..come ti è venuto in mente? - -Eravamo a casa sua ..una cosa tira l’altra.- Sbuffò, che palle mi devo sempre scusare di quello che faccio.  –Si ma a casa sua.. con suo figlio!! Dannazione.. autocontrollo zero eh?!-  -Chiara, cazzo è Fede lo sai.. non riesco a controllarmi con lui.- Ci zittiamo tutte e nessuno sa dove guardare. Alla fine racconto a tutti anche il risveglio e la mia decisione di andarmene..  – Hai fatto bene. È uno stronzo..- Chiara beve un altro intenso sorso della sua birra dopo aver detto quelle parole fatidiche che la soddisfano, per poi riprendere il suo sfogo incazzato  –Non può aver fatto un figlio con un'altra e pretendere che tu resti a guardare e che ti vada bene. Ok i sentimenti ancora ci sono e tutti lo sappiamo. Sappiamo quanto è stata importante la vostra storia ecc.. però un figlio è qualcosa di grosso. E poi se ha quattro anni, quanto tempo dopo di te si è trovato un'altra?.-  sospiro  -Si sono incontrati tre mesi dopo che ero partita.- ho un groppo in gola. Possibile che mi abbia rimpiazzato veramente così in fretta ? –Ah..- Chiara appoggia, di nuovo, pesantemente sul tavolino la sua birra. Di nuovo silenzio, tutte stiamo pensando la stessa cosa. Ha fatto in fretta a sostituirmi. Amara consolazione, penso ai ragazzi che ho avuto a Londra. E io che ci ho messo circa sette mesi per tornare ad avere una vita sociale e a pensare di avere una possibilità con l’altro sesso. Sospiro. –Sicuramente troverete un modo per risolvere questa situazione. – sorrido. Non ho bisogno di alzare lo sguardo so chi ha parlato. Marta. L’ottimista, la mediatrice. Sorrido. La fisso e mi si addolcisce lo sguardo. Appoggia anche lei la sua birra e riprende a parlare –Si, la risolverete, alla fine l’avete capito e tutti lo sappiamo, come ha detto Chiara, che i sentimenti ci sono ancora e che la vostra è stata una storia importante.. forse mai conclusa e quindi dovete parlare e trovare un modo per riavvicinarvi.-  Silenzio. Non ha tutti i torti. –Si però non dobbiamo dimenticare come ti ha trattata. Ci sono i pro e i contro di quando vi siete lasciati in un modo così poco carino, diciamo. Lui praticamente non ti voleva nemmeno guardare in faccia e ha preferito credere a una voce detta da chissà chi, piuttosto che a te .. -  Elena mi fa osservare la realtà e le possibilità da tutti i punti di vista. Giusto.. la fantomatica voce sul mio tradimento. Tzè mi sale una rabbia se ci penso! –Giusto. Vedi doppio stronzo. Ti ha lasciato da parte e non voleva vederti, in più si è trovato un’altra.. carino!- Chiara mi guarda irritata. –Certo, è vero. Però si può chiarire anche questa cosa. Lo sappiamo tutte che tu non l’hai tradito e dopo tutto questo tempo e dopo tutto quello che è successo, sono sicura che a lui non interessa più e basta ripeterglielo ancora una volta che non hai fatto niente. Se si parla e ci si confronta tutto si può sistemare. – Annuisco. Hanno tutte ragione, ma sono più confusa di prima. Si può davvero sistemare tutto? Sospiro. Un po’ abbattuta. Guardo Eleonora che è rimasta nel suo angolino e non ha ancora parlato. Non ha toccato il suo cocktail e guarda in basso. –Ele che c’è? Non ti senti bene?- Mi guarda ed è pallida. Mi preoccupo. –Ele?!- Scuote la testa. –Scusa. Scusa. Scusa. Scusa e ancora scusa. – La guardo e non capisco cos’ha e perché si sta scusando. –Di cosa scusa? Non hai fatto niente.. – continua a scuotere la testa. –Dimmi cosa c’è!- mi sto incazzando adesso. –Io lo sapevo.. – la guardo, la fronte aggrottata per decifrare il messaggio che sta cercando di mandarmi. Tutte la osserviamo stranite. –Cosa sapevi ?-  Sospira. Non mi guarda in faccia. –Di Enea.- silenzio. –Sapevo che Fede aveva un figlio. -  Sgrano gli occhi e rimango stupefatta. Anche le altre trattengono il respiro dallo stupore. –Tu cosaaa ?!- Mi guarda con due occhi imploranti. –Scusa. Scusa. Ma me l’ha fatto promettere. Mi ha detto di non dire niente a nessuno del suo problema con Gloria e di Enea. Soprattutto mi ha detto di non dirlo a te. Mi ha detto che non aveva più importanza ormai dirti quello che succedeva a lui, tanto tu eri a chilometri di distanza e non ci sarebbe stato il modo, per voi due, di rivedervi e tornare ad avere un rapporto, anche minimo. Non potevo sapere che l’avresti incontrato. E io, non sai quante volte, avrei voluto parlartene, ma non potevo, l’avevo promesso. – Lo vedo che è dispiaciuta. Ma io sono troppo arrabbiata per poterla perdonare, ora.  Mi sento tradita. –Tu lo sapevi ? E come hai potuto tenermelo nascosto? Dovevi dirmelo. Non me ne frega niente di nessuna promessa. Dovevi dirmelo. Punto. Sono la tua migliore amica. Siamo cresciute insieme e ci siamo sempre dette tutto. Una cosa così importate dovevi dirmela!- Ora sto urlando e il locale ci guarda. Prendo le mie cose e esco. Non riesco a stare in quel posto. Sono bollente e ho i nervi a fior di pelle. Mi catapulto fuori e fa freddo ma non lo sento. Dopo circa cinque minuti anche le altre sono fuori e mi seguono, ma io cammino svelta e non mi fermo ad aspettarle. –Sere, aspetta. Ragiona un attimo.- Marta mi richiama all’ordine, mi dice di usare la testa. –Scusami davvero, lo sai che te l’avrei detto se avessi potuto.- La voce piena di dispiacere e rammarico di Eleonora mi colpisce, ma ora mi irrita e basta. Mi giro di scatto. –Tu lo sapevi?! Io non posso crederci.. magari lo sapevi da un sacco di anni. Da quando è nato. E non mi hai detto niente. Per tutti questi anni abbiamo parlato di stronzate e di quanto mi mancava lui e come non riuscissi a stare con altri uomini e tu non mi hai detto questa cosa? .. non posso crederci- parlo veloce, accaldata e senza pensare. I miei battiti sono accelerati e il mio cuore pompa sangue e rabbia. –Cazzo, Sere, sta calma.- Chiara mi ha raggiunto ed è spaventata nel vedermi così incazzata. –Non dirmi di stare calma, Chia!- La guardo furente. –Cosa potevo fare? Ci siamo sentiti e scontrati un paio di volte, non siamo in confidenza come prima, ma mi sono imbattuta in lui e in Enea, quando il piccolo aveva due anni.. non potevo non fargli delle domande a cui lui ha gentilmente risposto, ma ha voluto in cambio riservatezza. Cosa potevo fare? È mio amico. E se mi chiede un favore io cerco di fare il possibile.- Ha ragione. Lo so che ha ragione. So che anche io avrei agito così. Ma mi fa incazzare tutta questa situazione. mi manda fuori di testa l’idea di lui con un'altra e che la mia migliore amica sapesse tutto senza dirmi mai niente. E che io come una scema, le confidassi quanto ancora provassi sentimenti profondi per il mio ex che invece si scopava un'altra che ha anche messo incinta. Mi faceva incazzare tutta questa situazione. perché non doveva andare così. La mia vita non doveva andare così. La nostra vita non doveva andare cosi.

Sento le lacrime rigarmi le guance. Non ho la forza per trattenerle perché nemmeno mi accorgo che ho gli occhi lucidi e che piango. Ho solo voglia di urlare e tornare indietro. Per cambiare tutto e fare tutto per bene. Mentre sento l’odore della pioggia e un temporale in lontananza, Chiara mi abbraccia e mi stringe forte.  Tutte si avvicinano e mi stringono. Tranne Eleonora che mi guarda e aspetta che io la perdoni. Anche se sa che l’ho già fatto. Perché ora ce l’ho con il destino, il fato, Dio.. la vita, chiamatela come volete. Che è molto diversa dai mille progetti che avevo costruito in testa e nel cuore.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 : Gate 8 ***


Scusatee il mega ritardoooo! Solo ora riesco ad avere un momento di pausa dagli esami universitari! Spero che gli ultimi capitoli vi soddisfino.

Grazieee!

 

Capitolo 6: Gate 8

 

E’ passata una settimana. Mi sto organizzando per partire. Torno a Londra. La mia nuova casa, la mia nuova vita. Il mio nuovo inizio. Non è per questo che si parte? Per ricominciare da capo? Magari cercando di evitare di sbagliare. Ancora, di nuovo. Ci avevo provato. E, prima di tornare qui, mi sembrava di esserci riuscita. Di aver messo da parte la mia vecchia me e i miei vecchi problemi mentali,  le mille paure e paranoie. Ora, guardandomi allo specchio,  riesco a capire che mi ero illusa. Niente era stato dimenticato, niente era stato cambiato. Era ancora tutto li, dove l’avevo lasciato. Dove l’avevo nascosto e mi ero auto convinta  che stavo andando bene, che ce la stavo facendo,  che stavo sorgendo dalle mie ceneri. Ma io non sono una fenice. E non risorgo. Mi rialzo e cerco di rimettermi in piedi, nonostante le gambe tremino, nonostante i piedi facciano male e i polmoni fatichino a respirare dopo i colpi incassati. Perché di colpi ne avevo incassati e, osservandomi, quasi potevo vedere i lividi sotto la superficie lattea della mia pelle. È passata una settimana. Fede mi aveva chiamato. Io avevo risposto. Avevamo parlato per circa due o tre minuti. Poi è calato il silenzio. Non sapevamo cosa dirci, cosa prometterci, cosa aspettarci. Lui aveva richiamato. Io ho smesso di rispondere. Ora anche lui ha smesso di chiamare. Ha smesso di tentare. Forse, anche di sperare.  Tre giorni di mutuo silenzio. Forse era meglio così. Forse era questo il modo migliore per dirsi addio.  Addio..  Così pensante da dire. Non l’avevo ancora detto ad alta voce. Ne avevo paura. Troppa per poterlo sentire con le mie orecchie, espresso dalla mia voce.  Sospiro. Comincio a sentire freddo. Un'altra giornata, tiepida, qui a Milano. Il sole splende sulla giungla d’asfalto. Anche il tempo sembra prendermi per il culo. Io ho ancora le finestre chiuse e le tapparelle abbassate. I miei sono usciti stamattina presto. Io resto prigioniera della mia gabbia di cemento. Una gabbia che io stessa ho costruito. Una gabbia buia, che mi fa sentire ancora più da schifo.  Sono le nove e mezza e sono nuda davanti allo specchio del bagno. Ho appena fatto la doccia. E’ da quella sera che ho quest’angoscia nel petto, questa sensazione di sconfitta. Di aver perso. Tutto, che poi forse è niente.  Sospiro. Mi rivesto.  E mi mando a quel paese da sola. Perché sono una cretina. Una cretina, depressa e acida.  Con rabbia tiro su le tapparelle e apro le finestre. Facciamolo entrare questo benedetto sole, lasciamo che continui a prendersi gioco di me e del mio stato d’animo grigio e cupo, mentre lui, d’oro e splendente, infiamma il cielo azzurro. E mentre mi rivesto distratta vendo il mondo fuori che si muove e vive, anche senza il mio contributo attivo. Resto passiva. E sento la vita che mi fotte. Forse mi sta bene, forse era questo che mi dovevo aspettare.

Butto le ultime cose che trovo in giro nelle valige. Decido sempre di partire con una valigia piccolina e la mia borsa e poi mi ritrovo con le cose divise e sparpagliate in due, gigantesche, valige. Manco fossi stata via sei mesi, in una città arretrata, tipo del terzo mondo. Sbuffo. Oggi torvo che ogni cosa mi irriti. Mi irrito persino da sola, mi irrita persino questa vocina della mia coscienza che mi parla con tono strafottente da sottuttoio.. Prendo una mela e la addento con rabbia. Oggi faccio tutto con rabbia, ma la rabbia può essere positiva, ti spinge a dare il massimo e a fare tutto con forza, tenacia. Ma la mia, oggi, non è una rabbia positiva. ‘Fanculo! Che autocommiserazione di merda. Proprio non ce la faccio … mi irrito da sola!

L’aereo parte tra tre ore. E i miei stanno per tornare, per portarmi all’aeroporto le consuete due ore prima, inutili, che mi fanno solo spazientire. Tzè. Ok, ora basta, cerchiamo di darci una calmata. Mi sciacquo le mani e faccio mente locale su ciò che devo portar via: computer, telefono, vestiti, libri, portafoglio, biglietto.. Una lista infinita … ok, dovrei avere tutto. Sospiro. Guardo il cellulare e in quel momento mi arriva un messaggio : - Veniamo tutte a salutarti in aeroporto, non hai modo di controbattere e di dire che non vuoi, siamo già là, praticamente. Quindi taci e ci vediamo dopo. Bacini.- Chiara. Riesce sempre a dirti le cose come se ti desse due schiaffi, ma con quella tenerezza e quell’affetto che alla fine, di sberle, ne vorresti altre, da lei. Non so come fa. Ma ci riesce. Sorrido, allegra e amara, a quel messaggio. Dire di nuovo a tutte un “a presto” tirato e velato dalle lacrime, mi fa sentire il cuore pesante. Pesante e stanco. Ma dovevo tornare. Ora la mia vita è Londra e ho dei doveri. Ho un lavoro e un appartamento. Giusto ? Giusto! Sbuffo. Non ne sono molto convinta.

Il tempo passa lento, ma mai abbastanza. I miei sono tornati e ora mia madre mi sta tempestando di domande chiedendomi se ho questo, quello e quell’altro. Alla fine sento solo un ronzio di sottofondo. Mi scombina il cervello la sua voce. Come quando abitavamo ancora sotto lo stesso tetto: dopo i primi dieci minuti di sfuriata, quando era incazzata, staccavo il cervello. Lo mettevo in standby. Se no impazzivo. E, forse, un po’ sono impazzita lo stesso.

Carichiamo tutte le immense valige sulla macchina e partiamo. La strada mi sembra lunghissima e tutto sembra muoversi a rallentatore, come se mi desse il tempo di guardare, osservare e salutare ogni cosa per l’ultima volta. Dopo quest’avventura italiana, forse non tornerò tanto facilmente. La possibilità di rivivere tutto mi sconvolge già ora, e non credo di averne il coraggio.  Mi addormento in macchina e quando arriviamo mi sembra di aver appena chiuso gli occhi. Scendiamo, io e le mie gigantesche compagne di viaggio. Imbarco le valige che sono pesantissime e mi faccio dire il gate. 8. Gate 8. L’otto mi è sempre piaciuto come numero, è sempre stato il mio preferito. Ciccione e tondeggiante mi  ha, da sempre, dato un senso di simpatia. Sorrido un po’.  Sarà un buon segno! Mi dirigo al gate le trovo tutte lì, schierate le une accanto alle altre, le mie quattro amiche più mia cugina e il suo compagno. Che carini che sono venuti davvero. Sembrano un piccolo esercito in miniatura e un po’, con quelle loro facce serie, mi fanno anche paura. -Ehilà gentaglia!- le saluto così per cercare di smorzare la tensione. E loro sorridono. Missione compiuta. -Ehilà pagliaccia!- rido. -Smettila di chiamarmi pagliaccia, Chia. Ormai siamo cresciute.. Facciamo le serie.- -Si, certo tu seria?! Allora stasera piove all’incontrario. - rido ancora. -Addirittura!- ci abbracciamo tutte. Che bello sentirle così vicine, così presenti. Sempre. Sorrido a mia cugina e la abbraccio forte. Abbraccio anche il suo compagno e mi sento meglio. Alla fine è bello averli tutti qui e sono più tranquilla, so che ci vorremo sempre bene. Io ci sarò per loro e loro per me. Questa certezza mi fa sorridere sincera e più spensierata, lasciando da parte, almeno per un po’, i miei casini.  Ci sediamo e parliamo di tutto, manca poco meno di mezzora prima della mia partenza. Chiacchieriamo spensierate e il tempo, stavolta, come sempre quando si è in buona compagnia, passa, davvero, troppo in fretta. È arrivato il momento dell’imbarco. -Bè bella gente vi devo salutare..- Ecco, il momento tanto temuto. Vedo le espressioni delle mie amiche cambiare e farsi cupe, tristi. Anche io sono triste. Cazzo, mi mancheranno un sacco. -Dai ragazze, ci scriviamo tutti i giorni e ci vediamo via skype. Dai, promesso!- Cerco di fare la dura e trattenere le lacrime. Vedo i loro occhi lucidi. -Certo che ci scriviamo. Tu ci devi aggiornare della tua vita mondana in Inghilterra!- Sorrido. Ci abbracciamo di nuovo. Mentre stringo Eleonora, lei mi sussurra all’orecchio: -Gliel’ho detto che partivi oggi!- Salto per la sorpresa tra le sue braccia. Le rispondo anch’io sussurrando: -Non era necessario. Oramai è finita.- -Lo sai, che non è cosi. Vi amate. Vi amerete sempre.- Una lacrima calda, di ammissione di colpa, cade traditrice sulla mia guancia. -Lo so..- Sospiro e mi sposto da lei. Le guardo tutte e sorrido. Abbraccio i miei. E saluto mia cugina. Mi giro di spalle e mi incammino verso l’entrata del mio aereo. È la fine. Lascio tutto e ritorno nel mio rifugio e nel mio mondo di sogni, sperando di poter ripartire da dove avevo lasciato. Sono quasi all’entrata quando sento un grido: -Aspetta!-  La voce, la voce..quella voce. Il mio cuore batteva all’impazzata nella cassa toracica. Ma per essere sicura che fosse lui, avrei dovuto girarmi.. Presi un bel respiro e mi voltai.

Era lì di fronte a me, di fianco a Eleonora che raggiante e sorridente continuava a fare si con la testa.

Era bello come sempre. Come un dio greco con quella sua pelle un po’ abbronzata, i suoi capelli scuri e la sua barba perfettamente curata per dare l’impressione di non esserlo affatto. E quei suoi occhi scuri, sinceri e veri che mi guardano con un non so che di supplica, un’attesa e una richiesta, una paura e un’eccitazione che li facevano brillare come gemme preziose. Ci guardammo senza dire nulla per diversi minuti. Né io né lui sapevamo bene cosa dire. Lo guardavo e non vedevo altro. Il mondo intorno a me era sparito, inghiottito dal suo sguardo.  Poi sento una pressione al ginocchio. Qualcuno che mi tira i pantaloni. Sorpresa abbasso lo sguardo. Enea con i suoi occhi azzurri, tendenti al grigio, mi guardava con un punto di domanda stampato sul volto. Mi abbasso per guardarci negl’occhi: -Ehi piccolo!- Sorrido -Ciao.-  E’ restio a parlare, ma dopo qualche minuto mi risponde. -Caio.. - Sorrido ancora. -Come stai?- -Bene.- -Bravo piccolo.- Gli accarezzo i capelli biondi con dolcezza. -Vai via?- La sua domanda schietta mi prende alla sprovvista. Sospiro -Si piccolo, torno da dove sono venuta. Torno a Londra.- -Perché?- -Perché è la mia casa, adesso.- -Questa non ti piace più?- -Bè.. No, questa sarà sempre la mia casa speciale, ma a Londra ho il lavoro.- -E non puoi lavorare qui, come il mio papà?- Ora sono un po’ turbata. -No, piccolo. Devo andare.- -Ma non è giusto.-  Non immaginavo di stare a cuore a quel bambino e ora, partire era ancora più difficile. Ma era il mio dovere. Dovevo farlo. Giusto ? … -Lo so, piccolo..- -Non voglio che vai via, a me piaci.- Sorrido, ora sto per piangere. Ho un groppo in gola. -Anche tu mi piaci, piccolino.. - -Allora resta. Papà sarà contento.- Mi tremano le gambe. Il cuore mi rimbomba nelle orecchie. -Dici? Davvero papà è contento se resto?- Alzo lo sguardo per guardarlo. Fede mi guarda preoccupato. Non so se per me, per lui o per suo figlio. Lo vedo sospirare e contrarre la mascella. -Sisi, papà è contento se resti.- Si volta e corre da suo padre. Comincia a saltellare sul posto: -Vero, papà? Vero, papà? Vero?- Fede guarda suo figlio e non trova le parole. Non sa cosa dire. Né a lui né a me. Non sa se può rassicurare il suo bambino che io resterò, non sa se è la cosa giusta fargli credere delle cose che poi non succederanno. Non sa che fare. Sospira. -Si,si, Enea. Anche io sono contento se la Sere resta.- Mi rialzo e quasi vacillo dall’emozione. Fede sposta gentilmente di lato il suo bimbo e gli sussurra piano qualche parola, mentre all’altoparlante sento pronunciare le tipiche parole che avvisano che sto per perdere l’aereo. Mi si avvicina piano. Ora siamo faccia a faccia e riesco quasi a specchiarmi nei suoi occhi densi. -Ciao.- Lo sussurra. -Ciao.. Non dovevi venire per forza.- -No, non dovevo…- Abbassa il capo -Ma ho scelto di venire. Dovevo vederti.- -Si?! Come mai?- Sospira. Cerca di trovare le forze, le parole giuste. -Per dirti quello che cinque anni fa non sono riuscito a dirti.-  Aggrotto le sopracciglia. Ma di cosa sta parlando? -Cioè?-  Mi guarda intensamente, come se fosse caduto in trans, come se ci fosse un segreto in fondo ai miei occhi, un segreto che voleva conoscere e forse, quel segreto, era la mia anima, che gli è sempre appartenuta. -Resta- Spalanco gli occhi e socchiudo le labbra. Non so se ho sentito bene. Stupita e perplessa, lui capisce la mia confusione. Mi stringe le braccia con le mani, forti e salde. Mi guarda con ferocia, rabbia e sicurezza. -Resta.- E lo dice ad alta voce, forse tutto l’aeroporto l’ha sentito. Ma non mi interessa. Alla fine, non ce l’ho fatta a tratternere le lacrime. Ora, fissa nei suoi occhi piango. Disperata, senza trattenermi. E piango così forte che le mie gambe non reggono. E mi siedo a terra, trascinando con me anche lui. Tra le lacrime vedo che lui mi osserva incredulo e non capisce cosa sta succedendo. E cerco di contenermi, ma non riesco a impedire alle lacrime, salate, di sollievo di cadere copiose. Lo guardo e sorrido, mentre piango. Gli butto le braccia al collo e lo stringo forte. -Sono cinque anni che aspetto di sentirtelo dire.- E allora lui ricambia la stretta e mi tira a sé e mi fa alzare da terra, così forte che mi fanno male le costole, ma non mi importa. Non mi importa di niente. Nemmeno che mezzo aeroporto si è fermato a guardarci e i miei amici e famigliari hanno le lacrime agli occhi per la gioia. Non mi importa di niente. Solo della sua stretta. E quando mi lascia mi guarda con gli occhi lucidi. -Sei sicura che vuoi restare?- Scuoto la testa -Non chiedermelo più. Certo che sono sicura. È con te che devo stare.- E per la prima volta, l’ho visto piangere di gioia, nei suoi occhi vedevo un fiammella di felicità. E mentre ci guardavamo consapevoli di aver raggiunto ogni obbiettivo, sento due manine stingermi le gambe. Guardo in basso e Enea è lì con noi. Mi abbasso. Io guardo l’uomo che ho sempre amato e nei suoi occhi leggo un bisogno, una domanda. Sorrido. Guardo Enea e senza dire niente, lo abbraccio, forte. Lo tiro su con me. E chiudo gli occhi per inalare il profumo dell’innocenza. Li riapro e vedo di nuovo gli occhi lucidi di Fede, che poi ci abbraccia entrambi.

La voce metallica dell’alto parlante annuncia l’ultima chiamata del volo per Londra. E io mi allontano con il mio nuovo presente e futuro con il sorriso stampato sul volto, ancora un po‘ rigato dalle lacrime, mentre, dalle vetrate alle mie spalle, l’aereo decolla.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: Trasloco ***


Capitolo 7: Trasloco.

 

-Hai preso tutto?- -Si, Fede!- -Sicura?- -Si, sicura.- -Ok.- -Poi non ci trasferiamo a duemiliardi di chilometri di distanza da casa dei miei. È solo una mezzora da qui a casa tua.- -Nostra!- Si volta di scatto mentre gli passo l’ultimo scatolone che cerca di incastrare nel bagagliaio dell’auto. Mi fissa deciso e sicuro. -Giusto, scusa, casa nostra.- Mi fa ancora strano dirlo. Mi viene spontaneo sorridere beata.

Sono passate solo due settimane da quel giorno all’aeroporto e adesso abbiamo deciso che non c’è più nessun motivo per aspettare. Abbiamo deciso che vogliamo viverla insieme questa bella vita. Io, lui ed Enea. E la vogliamo vivere sotto lo stesso tetto. Quando me l’ha proposto pensavo scherzasse. Ora guardando la macchina stracolma della mia roba, capisco che è tutto vero. Gli do un bacio a fior di labbra, mentre lui, soddisfatto, chiude il baule. Mi sorride. Sale in macchina. Io mi volto e do uno sguardo veloce al condominio che mi ha ospitato per tutti questi anni e che adesso non chiamerò più casa. Perché, ora l’ho capito, casa mia è dove sta l’uomo che amo.

Viaggiamo tranquilli mentre io, come solito, canto una canzone romanticissima a squarciagola e lui ride. Mi sono mancate queste piccolezze, questi gesti innocui. Mi è mancata la sua risata allegra, e mi è mancato sapere che la causa di quella risata sono io.

Arrivati a casa passiamo l’intera giornata a riorganizzare lo style dell’appartamente, per farci stare le mie duecentomila cose che non posso non avere. E a pomeriggio inoltrato ci mancavano ancora una buona parte degli scatoloni -Ma quanta roba hai?- Si siede per terra stanco e sconvolto -Tanta.- Mi siedo accanto a lui, altrettanto stanca e stravolta. -Si, troppa direi.- -Ee mi serve!- Rimaniamo in silenzio per riprendere le forze. Enea entra spalancando la porta come un mini uragano che devasta ogni cosa, pieno di energie entra in casa e comincia a parlare a raffica. Ci racconta tutto quello che ha fatto e cosa ha imparato. Cosa ha letto, cosa ha disegnato .. Non riesco a stagli dietro. Guardo Fede e gli sussurro: -Ma è sempre cosi ?- Lui mi sorride comprensivo e annuisce. O mamma mia! Però sorrido allegra. Quel piccolo pazzo mi fa passare la stanchezza e allora mi alzo e lo prendo in braccio. Lo porto sul tappeto e comincio a fargli il solletico ovunque. Ride, ride forte e alla fine scappa via e io lo inseguo per tutta casa, praticamente distruggendone mezza. Fede scuote la testa e ride, mentre si rialza e sistema un altro po’ di cose.

A cena le forze si erano esaurite. Mangiamo in un silenzio felice e pacifico. Mezzora dopo Enea si è addormentato sulla sedia. Insieme, io e Fede lo portiamo in camera sua e lo cambiamo in un mutuo silenzio e accordo. Come se facessimo questa cosa da anni, invece che da pochi giorni. Non era la prima volta che mi fermavo da loro a dormire. Lo mettiamo a letto e lo guardiamo dormire per qualche minuto, mentre sento le sue braccia forti stringermi la vita e il suo mento fare pressione sulla mia spalla. Appoggio la testa alla sua e tutto mi sembra aver trovato il suo equilibrio.

Finito di sistemare la sala e la cucina, finalmente ci possiamo concedere il nostro meritato riposo.

Mi spoglio e indosso la mia mini camicia da notte bianca-trasparente. Mi infilo sotto coperte e lui mi raggiunge poco dopo. Sento il suo respiro contro il mio collo e le sue mani cingermi i fianchi. Sono stanca. Ma non così tanto. Sorrido, maliziosa.

Mi giro vero di lui e i nostri nasi si sfiorano, mentre vedo il suo sguardo farsi languido ed esigente. Lascio correre i miei occhi sul suo corpo ben definito, mentre la mia mano ne segue i lineamenti e mi accorgo che indossa solo un paio di boxer blu scuro, attillati. Sorrido. Allora era tutto programmato. Lo guardo e sorride anche lui.  Mi stringe a sé. Forte ed eccitato. Sento la sua virilità premuta contro le mie cosce. Chiudo gli occhi e sospiro. Lo guardo e ora lascio intravvedere, palesemente, la mia eccitazione.

Mi si avvicina e mi bacia. Affondo le mie mani nei suoi capelli setosi e lo attraggo a me, affamata, mentre con una gamba gli cingo la vita. Ora sento, ancora, più nitidamente la sua erezione fremere sulla mia femminilità. Sospiro. Lui scende a baciarmi il collo e  mi posiziona sotto di lui. Lascia una scia di baci e scende sul mio corpo, precorrendolo tutto. Si sofferma sui seni che ora accarezza dolcemente. Lo guardo. Stasera non mi va di essere dolce, stasera non mi va di ricevere dolcezza. O almeno, non solo quella. Inverto le posizioni e ora io sono sopra di lui. Mi siedo sul suo membro eretto e lo faccio sussultare. Sorrido. Lo bacio sulla bocca, con rabbia, con desiderio e gli mordo un labbro. Poi scendo sul petto e gli lascio una scia di tanti piccoli morsi. Lo guardo e ha chiuso gli occhi. Mi lascia fare. Sorrido, eccitata ancora di più, ora che ho potere decisionale. Scendo sui suoi addominali, mentre con una mano mi occupo della sua erezione. Con l’altra gioco con l’elastico dei suoi boxer che, subito dopo, vengono sfilati con fretta. Ora la sua virilità è in bella mostra davanti a me e io non posso che apprezzare quella magnificenza. Mordicchio la pelle più sensibile nell’interno coscia e sul linguine, lui sussulta e cerca di sottrarsi ai miei, vogliosi, morsi. Sento il suo respiro che si fa più accelerato, mentre gioco a testare il suo autocontrollo. Poco dopo, scendo con il volto e racchiudo tutto il suo membro nella mia bocca. Prendo il ritmo giusto e la sua resistenza comincia a vacillare. A ritmo serrato e discretamente veloce, pregusto tutto il suo sapore, in tutta la sua lunghezza. Lo sento pulsare e lo vedo afferrare il lenzuolo o aggrapparsi al materasso. Vuole resistere, ma io non glielo permetto. Proseguo nel mio lavoro, che direi, è più un piacere che un dovere. -Sere, ti prego..così vengo.- ..è proprio quello che voglio.. Gli costa fatica trovare la forza per parlare e cercare di mantenere un tono di voce basso e normale.

Orgogliosa proseguo. Poco dopo, lui cede e il suo seme mi inonda il palato.

Soddisfatta lo guardo, mentre ha ancora gli occhi chiusi e il respiro affannato. Lo bacio e lui spalanca gl’occhi. Il suo desiderio è palpabile e visibile, nella scintilla quasi animalesca, che infiamma le sue pupille. Si mette a sedere per baciarmi con più foga, facendomi appoggiare le ginocchia al materasso e facendomi sedere su di lui. Sento le sue mani calde vagarmi sulla schiena, impazienti. Raggiunge il reggiseno e me lo toglie. Mi bacia sul collo e mi stuzzica i seni, giocando con i miei capezzoli. Morde piano, ma morde. Finalmente! Ora abbiamo deciso che piega far prendere a questo meraviglioso gioco.

Fremo sotto il suo tocco e inclino la testa indietro, per godere appieno delle sue attenzioni. Le sue mani vagano ancora sul mio corpo per, poi, raggiunger il fondo schiena. Lo percorre con entrambi i palmi, tastandone la morbidezza. Poi lo stringe. Forte, rude. La sua mano grande quasi riesce a contenere la mia intera natica. Sento la stretta possessiva, tra il dolore e il piacere. Strizzo ancora di più gli occhi. Tutto questo comincia a piacermi molto..potrei abituarmi.

 Mi alzo, leggermente, con un colpo di anche e mi aiuta, sorreggendomi, per spogliarmi del mio ultimo indumento. Ora siamo entrambi, completamente, nudi, l’uno appoggiato all’atra. Lo guardo ancora una volta negli occhi profondi e interrompo per un secondo il contatto delle nostre labbra. Cerca famelico il contatto con la mia bocca, ma lo tengo a debita distanza. Voglio guardare il momento esatto in cui mi penetra. Lo guardo ancora e in quella posizione, con un colpo di reni, lo faccio entrare in me. Un sospiro, di liberazione e di completezza, mi sfugge tra i denti. Lentamente cominciamo la nostra erotica danza, l’uno legato all’altra. A ogni spinta lo sentivo scivolare sempre più in profondità, cercando il mio punto più sensibile. Chiudo gli occhi e lascio che il ritmo lento e cadenzato si impossessi di tutto il mio corpo. Lo vedo stendersi sul letto, appoggiando la schiena. Sotto di me, lo vedo lasciarsi andare, lo vedo chiudere gli occhi e sorridere, mentre ascolto il suo respiro farsi affannoso e vedo il suo diaframma alzarsi e abbassarsi sempre più velocemente. Vederlo così, in balia dei miei gesti e delle mie decisioni, mi eccita ancora di più. Decido di rendere la cosa un po’ più movimentata. Appoggio entrambe le mani sul suo torace e mi piego leggermente, per approfondire ancora di più la penetrazione. Accelero i movimenti del bacino e mi muovo sempre più velocemente. Comincio a perdere la capacità di ragionare chiaramente. Il piacere mi stordisce. Le sue mani, ora, sono sui miei fianchi e mi incitano a non smettere. Mi stringe con possessione, come se si stesse aggrappando a me per non cadere, completamente, preda del piacere crescente.  I movimenti si fanno meno distinti e non riesco più a riconoscere il ritmo e la fine o l’inizio del mio corpo. Comincia a mancarmi il respiro e comincio a sentire l’eccitazione crescere, in fretta e senza controllo. Apro gli occhi e, nonostante lo sguardo appannato, lo vedo alzarsi e mettersi seduto. Spinge i fianchi contro di me con violenza, quasi volesse entrare in me con l’intero bacino. I miei gemiti cominciano a farsi più frequenti e rumorosi. Poco dopo, con le braccia intorno alle sue spalle e le unghie premute contro la sua pelle, leggermente sudata, raggiungo l’orgasmo. Cerco di trattenere l’urlo di piacere e soddisfazione, mordendomi le labbra. Lui non fa cenno di volersi fermare e continua a muovermi e muoversi, ancora, finché non cede e, anche lui, raggiunge l’orgasmo, gemendo sommessamente.

Esausti ci accasciamo sul letto, io sopra di lui. Appoggio l’orecchio sopra il suo petto e sento il suo respiro e il suo battito accelerato, cercare di calmarsi e tornare alla normalità. Mi abbraccia stretto e alzo il volto per guardarlo. Sorride e i suoi occhi dolci mi attraversano il cuore. Sorrido, felice. Mi alzo e lo bacio per poi tornare nella posizione di prima. Con mano lesta prende il lenzuolo e ci copre entrambi, mentre mi da un tenerissimo bacio sul capo. Ora torniamo al nostro respiro regolare. Prima di addormentarmi, sento le sue carezze spostarmi i capelli: -Potrei abituarmi a tutto questo.- Lo sento sorridere. -Anche io.-  E quasi mi metto a ridere.  -Io voglio abituarmi. - Lo guardo un po’ perplessa e, nel buio della stanza, riesco a intravvedere i suoi occhi caldi, che come gemme luccicano d’emozione. -Resta con me..-  Sorrido. -La verità è che non sono mai andata da nessun’altra parte, Fede. Sono sempre rimasta qui..- Sorride. E ci addormentiamo, consapevoli che è questo il nostro destino.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8: Proposte ***


Capitolo 8: Proposte.

 

Il sole mi sbatte in faccia, annunciandomi l‘arrivo, incombente della mattina. Io rimango distesa nel letto ancora un po’, mentre strizzo gli occhi per far finta di nulla e do le spalle alla finestra.

Sonnecchio nelle lenzuola tiepide, lisce e leggere, che ormai ho imparato a conoscere.  Il materasso comodo e il cuscino morbido,  mi invitano a restare ancora al loro cospetto e io non mi faccio di certo pregare. Dormire è sempre stata una mia grande passione. Sento dei passi leggeri varcare la soglia e un tintinnio arrivare con loro. Non voglio aprire gli occhi. Mi sposto appena, arrotolandomi ancora di più nelle lenzuola bianche. -Buongiorno, dormigliona!- La voce di Fede mi raggiunge, squillante e calda. Come sempre. Mugugno una risposta non ben definita e schiaccio la faccia contro il cuscino. -Sveglia, sveglia! C’è la colazione!- Alzo un po’ la testa e vedo il vassoio appoggiato di fianco a me. Mi alzo di scatto e mi metto a sedere. Sbalordita lo guardo. -Mi hai portato la colazione a letto ?- Lui mi guarda preoccupato -Si. ..- Sorrido a trentasei denti, o forse, a trentanove, non lo so, di certo era un sorrisone -Mi hai portato la colazione a letto! - e mi fiondo sul croissant, che, con mia squisita sorpresa, è al cioccolato: il mio preferito. Lo guardo con due occhi sognanti e colmi di gratitudine. Sbatto le palpebre,  come una cerbiatta e lui ride. –Bè, vedo che hai gradito.- Scuoto la testa, affermativamente, mentre bevo il cappuccino -Assolutamente!- e lui ride di nuovo. -Hai i baffi di latte, aspetta.- Si sporge verso di me, prontamente armato di un tovagliolo. Mi si avvicina veloce e il mio cuore comincia a perdere i battiti. Cazzo, so lui mi fa sto effetto da droga anestetica che rallenta, ma allo stesso tempo eccita, ogni parte del mio corpo. Mi fissa le labbra e lo vedo deglutire, agitato. Poi mi guarda fisso negl’occhi. I suoi pozzi scuri incontrano i miei cioccolato. Delicatamente, mi passa il tovagliolo intorno alle labbra e compie il suo lavoro, da bravo ragazzo, senza fare altro e si rimette al suo posto. L’aria intorno a noi è diventata elettrica. Deglutisco. -Che ore sono?- Una domanda più idiota non la potevo fare. Ma cosa me ne fregava a me di che ore erano? Ma io non lo so! Brava, Serena, ottimo. Capacità di fare domande cretine, direi, 100 e lode. Scuoto la testa per scacciare via quella vocina fastidiosa. Lui si volta per guardare la sveglia sul comodino -9.15.- Si volta e mi sorride. –Bè, pensavo più tardi, mi hai fatto credere di aver dormito novecento ore!- Ridiamo -Ma non devi essere al lavoro a quest’ora?- -Si, in teoria. Ma ho portato Enea all’asilo e ho deciso di prendermi la mattinata libera.- Sorride e socchiude gli occhi. Sembra davvero felice. Sorrido anche io. -Bravo, hai fatto bene..- Poso la tazza e sposto il vassoio. -Sai..- mi avvicino gattonando davanti a lui con indosso solo la mia biancheria nera di pizzo, che mi hanno regalato quelle tre pazze di Chiara, Marta e Eleonora. Praticamente potevano anche evitare di comprarmi quel completo, perché era come non indossare nulla: tanga striminzito, uno stuzzicadenti, di pizzo, e un reggiseno trasparentissimo che non copriva assolutamente niente! - … ho qualche idea su come riempire questa vuota mattinata..- Sorrido, un po’ troppo maliziosamente. Lui mi guarda e mi lascia vedere come apprezza il regalo delle miei amiche, mentre studia ogni centimetro del mio corpo. Sorride. -Ah si?!.. Credo di aver capito..- Mi si avvicina e mi bacia a stampo, un po’ rude. Sa che mi piace quando fa così. Mi avvicino ancora di più e lascio che lui si stenda sul letto, mentre io lo sormonto senza problemi. Ci baciamo appassionatamente, famelici come se non lo facessimo da anni.. Ma l’ultima volta era stata, proprio,emm.. ieri sera. Ormai è diventato un  rito, prima di addormentarsi: fare l’amore. Perché era di quello che si trattava. Fare l’amore. E non il sesso. Perché tra di noi c’era quella complicità, che solo gli amanti anno, tra noi c’era quella passione e quel trasporto, che con nessun altro avevo mai provato. Certo, di sesso, anche con altri, ne avevo fatto. Ma questo.. Questo cercarsi, trovarsi, amarsi fino a stancarsi e poi addormentarsi l’uno tra le braccia dell’altro, non era la stessa cosa. E poi.. Con lui era così,dannatamente, bello. Così, fottutamente, erotico e non mi sentivo mai stanca, mai sazia. E lui lo sapeva e giocava a provocarmi e poi a farmi sentire una donna un po’ senza scrupoli e senza valori, mentre io lo chiamavo pudico e finto casto.  Tutto  faceva parte del nostro tacito accordo di stuzzicarci e provocarci. È sempre stato così e mi è sempre piaciuto.

Le sue mani presero subito possesso del mio sedere, stringendolo amabilmente. E mentre lo baciavo e mi strusciavo sopra il suo copro fremente, ripercorrevo i ricordi degli ultimi mesi.  Infatti, ormai, sono dieci mesi che viviamo insieme. Abbiamo raggiunto un equilibrio quasi, oserei dire, famigliare. Lui porta Enea all’asilo, io lo vado a prendere. Lui prepara la colazione e io la cena. Sistemiamo insieme l’appartamento e andiamo a fare spese insieme, con Enea che trotterella felice per i corridoi dei centri commerciali.

Lo bacio e non riesco a non sorridere. Lui se ne accorge: -Cosa c’è da ridere?-  -Nulla, nulla.- Riprendo a baciarlo. -Aspetta..- Mi fa alzare. Seduti, sul letto ci guardiamo. -Che c’è?- Non voglio interrompere il nostro momento idilliaco. -Perché sorridevi?- Sospiro. -Perché sono felice.- Mi guarda piacevolmente sorpreso -Davvero?- Mi avvicino a lui e lo abbraccio. Sono seduta sulle sue gambe e riesco a sentire un rigonfiamento, non del tutto completo, all’interno dei suoi slip bianchi. -Certo che si! Come posso non esserlo?!- Sorride dolce, mentre mi accarezza il viso. -Anche io sono felice. E sembra che lo sai anche Enea.-  Sorrido. -Si, sembra proprio di si.- rimaniamo in silenzio a guardarci negli occhi. A volte le parole non servono. Possiamo leggere, nelle nostre pupille, l’amore che ci lega. -Lo sai che giorno è oggi?- Ci penso un attimo -Oggi è il nove marzo.- Sorride - Si.. Quindi?- Rifletto ancora un po’,  ma non riesco a capire a cosa si riferisce. –Sei anni fa, ci siamo baciati per la prima volta.- Lo guardo con infinita dolcezza e quasi mi metto a piangere dall’emozione. -Te lo ricordi ancora?!- -Certo, che si! - si è quasi offeso. -Poi oggi sono dieci mesi che viviamo insieme.- Gli do un bacio sincero e lungo. -Sono stati dieci mesi fantastici, Fede, davvero. Non sono mai stata così felice.- Mi guarda,  compiaciuto -Anche per me è lo stesso.- Mi bacia. -Lo sai che ti amo.-  -Ti amo anche io.- Un altro bacio..  - Potremmo andare fuori a pranzare,  per festeggiare.- -Mm..magari prima finiamo quello che stavamo iniziando eh?!- Sorrido e mi butto sopra di lui e lo sento ridere. -Sei proprio insaziabile!- Gli bacio le labbra, le guance, il collo e mordicchio la pelle che trovo sul mio percorso -Ovvio!.- Rido e lui ride con me, mentre le nostre bocche si cercano ancora. Ci baciamo con foga, ma lui interrompe la danza di lingue e mi bisbiglia nell’orecchio una proposta, che è più un comando, che lascia poco spazio ai commenti e alle lamentele: -Spogliati e lasciati guardare. - Perplessa, lo guardo con gli occhi spalancati, piacevolmente sorpresa della sua naturale sfrontatezza. Decido di obbedirgli, senza troppi complimenti. Scendo dal letto e improvviso un lento e sensuale strip tease. Lui si stende comodo sul letto a pancia sotto, per godersi appieno lo spettacolo. Tolgo il tanga con un gesto veloce e deciso, mentre per il reggiseno ci metto un po’ e quando l’ho slegato e sto per lasciar liberi i miei seni piccoli e sodi, mi giro di schiena, fingendo una castità che non mi appartiene. Sento lamenti e proteste arrivare dal letto. Mentre rido di quel gioco, nato dal niente, mi giro, di nuovo, ritrovandomi completamente nuda di fronte a lui. Mi fa cenno di avvicinarmi e io obbedisco. Ora riesco a toccare il materasso con le ginocchia. Lui si mette a sedere, mentre lascia correre lo sguardo, con sfacciata lussuria, su tutto il mio corpo. Riesco quasi a cogliere i suoi pensieri e per un attimo lo vedo umettarsi le labbra. Passa le sue mani grandi e calde, lungo le mie cosce per poi salire, impaziente lungo le mie natiche. Raggiunge il bacino e accarezza il mio ventre, per poi correre sui seni, le spalle e l’incavo del collo. Mi prende il volto tra le mani e mi bacia con passione, facendomi cadere sul letto, sopra di lui. Si volta e mi porta con sé trascinandomi sotto il suo peso. È un vortice di mani, lingue, passione e desiderio. Due corpi che cercano il loro vero posto l’uno nell’altro.

Le sue mani frementi raggiungono la mia femminilità, mentre affonda sempre di più la sua lingua nella mia gola. E presto trovano il lavoro adatto a loro. Stimolano il mio clitoride e, con due abili dita, penetrano ogni mia barriera. In poco tempo, questo lavoro di mano, ben ritmato, mi fa raggiungere l’apice del piacere e vengo con un grido. Posso lasciarmi andare completamente alle grida di piacere, tanto siamo soli in casa, e questa volta non c’è nulla a trattenerci.. Mi guarda, mentre l’orgasmo mi fa perdere il filo dei pensieri e quando riapro gli occhi è sopra di me con gli occhi lucidi di voglia e la bocca semiaperta. -Sei bella da morire..- Sorrido e lo tiro verso di me, soffocandoci in un bacio. In poco tempo, l’aria si fa bollente e sento caldo. Un caldo che mi fa avvampare, ma credo non sia solo per quello che ho il fiato corto. Mentre ci baciamo, lascio scivolare una mano lungo il suo ventre in direzione del suo pene, già turgido,  che aspetta fremente la mia mano. Lo sento sussultare, quando raggiungo il mio obbiettivo e trattenere un attimo il fiato, per poi lasciarsi andare alle mie amorose cure. Con gesti lenti percorro tutta la sua virilità, ma subito dopo lui mi ferma e mi fa girare. Ora sono a pancia sotto, con il materasso fresco che mi provoca un bel senso di refrigerio e lui sopra di me, che trova la posizione giusta. Mi fa chiudere le gambe e io, istintivamente, porto un po’ in fuori il sedere. Ho qualche idea su cosa vuole fare. Si inginocchia sul materasso all’altezza del mio sedere e lentamente, comincia a penetrarmi. Grazie al cielo decide di non provare la nuova possibilità del sesso anale, perché sicuramente, avrei provato dolore all’inizio.. Ci penseremo più avanti. La penetrazione in quella posizione è più stretta e intensa. Infatti, il piacere che sto provando adesso, è cosi scioccante che non trovo nemmeno il tempo e il fiato per gemere. In poco tempo con decise spinte ritmate, mi fa raggiungere il secondo orgasmo di quella mattinata. Subito dopo, lo vedo stendersi di più sulla mia schiena, senza mai toccarmi con il suo torace. Mette le mani sul materasso vicino alle mie spalle e vedo le sue braccia tese e sotto sforzo nel sorreggersi. Ora, in questa posizione, spinge ancora più a fondo e perdo del tutto la cognizione di me e di ciò che mi sta accanto. Sento solo il suo membro dentro di me, scendere sempre di più e il piacere aumentare, ancora, a ogni spinta.

Raggiungo il terzo orgasmo con un grido forte e deciso. Subito dopo altre due spinte, anche lui non si trattiene più e sdraiandosi e rilassandosi raggiunge, anche lui, l’apice del piacere.

Appagati e soddisfatti ci abbracciamo con il fiato corto. Sorrido contro il suo petto. -Ogni volta meglio..- e lo guardo. Ha gli occhi chiusi e sorride orgoglioso. -E’ tutta questione di allenamento. Tra poco sarò un professionista.- Rido e ci accoccoliamo, un po’, l’uno tra le braccia dell’altro.

Dopo una doccia rinfrescante e una preparazione un po’ troppo lunga, sono pronta per il nostro pranzo e il nostro festeggiamento. Mangiamo in piazza Duomo, sotto un bel sole tiepido.  Ridiamo, scherziamo e parliamo di un po’ di tutto, mentre mangiamo e sorseggiamo buon vino. Arrivati al dolce, ordino un pezzo di torta al cioccolato e lui una bottiglia di champagne. -Ah, così mi vizi però!- Gli sorrido e lui mi sorride -Bè è un momento speciale. Si deve festeggiare. - Sorseggiamo le nostre bollicine e mi sembra di essere una principessa ad un invito galante con un meraviglioso principe. 

Il pranzo ci aveva soddisfatto ed eravamo felici e leggeri. Andammo insieme a prendere Enea all’asilo, il primo pomeriggio, visto che aveva chiamato in ufficio e si era preso anche il pomeriggio libero, con una scusa improvvisata di una malattia appena auto-diagnosticata. Portammo Enea al parco e ci divertimmo come matti tutta la giornata, per poi alle sei cadere rovinosamente sull’erba umida tra le risate generali. Io e Fede ci guardammo, felici come non lo eravamo mai stati, per poi osservare Enea che rideva a crepapelle. -Dai dai, corriamo ancora.. - Quel bambino è un vulcano! Ma come fa?! Strizzai gli occhi e cercai di riprendere fiato. Mi siedo e lo fisso un attimo -Aspetta, fammi respirare.- e sorrido. Lui mi prende un braccio e mi tira verso di sé. Fede è seduto accanto a me.. -Dai, dai, dai.. Mamma dai!. - Rimango spiazzata per circa una decina di secondi e il mio cuore fa un tuffo nel vuoto … Mamma?! .. No, avrò sentito male. Guardo Fede e vedo che ha la bocca spalancata e gli occhi fissi verso suo figlio, stupefatto. Enea mi lascia il braccio, ha capito che qualcosa non va. -Cosa ho sbagliato? - Lo guardo e mi sento in colpa. -No, non hai sbagliato niente.. Però mi hai chiamato mamma. - -Si, lo so.. - Cala un leggero silenzio imbarazzante. Guardo di nuovo Fede. Scuote la testa. -Non so che dire.- anche lui è sorpreso quanto me. Enea si siede di fronte a noi -Ci ho pensato.. Io la mia mamma vera non so chi è, non me la ricordo. E tu vivi con noi e vuoi tanto bene a me e al mio papà. Mi piaci e mi fai tanto ridere. Poi mi curi e mi racconti le favole..è questo che fanno le mamme.. - Lo guardo senza sapere bene cosa dire. Mi fa una tenerezza infinita. Guardo Fede e gli accarezzo un braccio. -Credo che abbia ragione.- Sorrido. Lui mi guarda con due occhi grandi e commossi, pieni d’amore. Io guardo quel bambino adorabile e lo abbraccio forte. -Sono contenta che mi ritieni la tua mamma. Io sono felice .. Se lo posso essere sarò ancora più felice.- lo guardo. -Tu vuoi che io sia la tua mamma?- Lui è un po’ indeciso e non sa bene se lo può dire, però è quello che prova : -Si!- Mi guarda convinto. Sorrido e mi metto un po’ a piangere. Lo abbraccio di nuovo. Forte e gli stringo la testa,  quella magnifica testolina,  con una mano,  come fanno le mamme. -Ora vai a giocare. Ma non ti allontanare.- Mi viene naturale.. Mi da un bacino veloce sulla guancia e corre via. Mi asciugo le lacrime e faccio appena in tempo a guardare il volto dell’uomo che amo, rigato dalle lacrime di gioia, che le sue braccia mi avvolgo in un abbraccio stretto, fino a farmi mancare il respiro. Restiamo così per una decina di minuti. Poi lui si scosta da me. Mi guarda serio -Sposami.- Strabuzzo gli occhi. -Eh?-  -Sposami.- silenzio -Sposami. Enea ti considera sua madre e io ho sempre voluto te come moglie e madre dei miei figli. Era con te che dovevo avere Enea. Era con te che dovevo stare. È con te che devo passare il resto della mia vita, mai, prima di adesso, mi è parso così chiaro. Il mio destino è con te. Sposami. E rimaniamo felici per sempre.-  Cosa potevo fare? Cosa potevo dire?

Cosa potevo dire se non sì.

A dir la verità, “sì” l’ho urlato e tutto il parco si è girato a guardarci, mentre gli saltavo addosso abbracciandolo esultante e precipitando di nuovo stesi sull’erba.

Ci sposammo il sette maggio di quell’anno. Due mesi dopo la proposta. Non c’era motivo di aspettare.

Ora la nostra casa è un po’ più grande. Enea cresce in fretta ed è mio figlio, in tutto per tutto, esattamente come i due gemelli, maschio e femmina, che sono in arrivo.

Che dire..la mia favola si è conclusa. Anzi. È appena iniziata.

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