Rincontrarti di La_Nene_ (/viewuser.php?uid=113646)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Milano ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: incontro in centro ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: cena a base di vita. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Non posso.. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Tu lo sapevi ?! ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 : Gate 8 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: Trasloco ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Proposte ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1: Milano ***
Questa è la mia prima
storia originale, spero vi possa
piacere.
Il mio sogno è poter
lavorare con la mia passione, cioè
la scrittura.
Vi ringrazio in anticipo
Rincontrati:
Capitolo 1: Milano.
Mi aumenta il battito mentre la
musica pulsa dalle cuffie
e seguo il ritmo tamburellando le dita sulle ginocchia. Venti minuti e
sono a
casa. Casa.. che parola strana. Ma che poi casa mia
dov’è? Londa o Milano?
Probabilmente entrambe. Londra è la mia nuova
città ci vivo da 5 anni e mi
sento bene, accettata, accolta a braccia aperte. In fondo, è
sempre stato il
mio sogno vivere là. Ma Milano.. Milano è dove ho
lasciato tutto: la mia
famiglia, i miei amici…il mio amore.
Già. Il mio amore. Ho cercato di non pensarci
.. di non pensare alla
possibilità che tronando potrei rivederlo dopo questi lunghi
5 anni. Eppure,
quella possibilità mi dilania in due: da una parte fremo
nell’agitazione,
felice e febbrile, di un incontro, e dall’altra affogo nella
mia paura e nella
mia angoscia di rivedere quel volto, quegl’occhi .. quelle
labbra.
Il mio aereo atterra. Eccoci.
Milano.
Scendo dai gradini instabili che
portano sulla pista
d’atterraggio e riesco a sentire l’aria pungente di
fine Febbraio sulle guance,
quell’aria carica di frenesia e di smog. Quell’aria
cosi famigliare.
Ora devo riprendermi i miei
bagagli, ho sempre l’ansia di
non trovarli. Eccola la mia valigia rossa, inconfondibile! .. Giro con
gli
occhiali scuri ben posati su naso, a nascondere gli occhi gonfi di una
serata a
spasso per i locali. Nel mio completo beige, gonna fino al ginocchio e
giacca
slacciata sopra una camicia bianca, mi sento un po’ fuori
posto in mezzo a così
tanta gente. Sento freddo e, allora, indosso il mio cappotto nero che
tengo
sempre a portata di mano, mentre mi sistemo il ciuffo lungo dietro
l’orecchio
destro. Chissà cosa diranno le mie amiche del mio taglio!
Finalmente sono
riuscita a tingermi i capelli di rosso, ma non
completamente. Il mio colore naturale,
biondo chiaro, ora è mesciato da diverse ciocche rosse che
ben si sposano con
le altre nel taglio corto, ben studiato. Un
urlo richiama la mia attenzione, mentre
cerco di non ammazzarmi nel tirarmi dietro la mia valigia stracolma. Ed
eccole,
le mie due migliori amiche mi corrono in contro, seguite a ruota dalla
mia
pazza, inconfondibile, cugina. –Seeeree!...-
rido, rido e sono felice di rivederle: -Ragazzee!- mi saltano al collo
e mi
abbracciano. Mi abbracciano stretto, mentre vedo qualche lacrima
solcare le
loro guance rosse. –Come
stai?- mi chiede
Elena, sempre più bella, magra e
snella con i suoi capelli lunghi bruni e i suoi occhi nocciola
così profondi da
perdersi dentro. E
io so quante cose
quegl’occhi possono nascondere e so quanto bisogna, a volte,
scavare per
riuscire a scorgere quello che veramente vogliono dire. E mi tornano in
mente
tutte le nostre risate, le nostre chiacchierate e gli abbracci e le
parole di
conforto … e gli anni sui banchi di scuola, l’una
accanto all’altra. Sorrido.
–Bene tesoro.- l’abbraccio stretta, mi è
mancata. –Mi sei mancata. Troppo.-
Lei piange –Anche tu, amore.-
Piango anche io. È sempre cosi, se una piange
poi inizia anche l’altra. Mentre ne abbraccio una,
l’altra mi guarda
orgogliosa: - com’è andato il viaggio? Non
vedevamo l’ora che tronassi.-
sorride. Eleonora. Siamo cresciute insieme, sulla stessa via per anni e
ci
siamo sempre aiutate l’una con l’altra ed ora siamo
cresciute, mai state per
così tanto tempo lontane. –Bene grazie, anche io
non vedevo l’ora di tornare.-
e la abbraccio forte. Poi
mia cugina la
guardo e non ci diciamo niente, è sempre stato cosi. Siamo
sorelle mancate, è
stata lei a dirlo ed io non posso che darle ragione. Ci basta guardarci
per
capire cosa pensiamo e cosa vogliamo dirci. Ci basta guardarci e
sappiamo .. ed
abbiamo detto tutto quello che dovevamo. Abbraccio anche lei, con il
suo metro
e novanta di altezza, riesco a capire quanto mi serviva vederla.
Mentre chiacchieriamo e ci
raccontiamo di tutto, arrivano
trapelati i miei genitori. Piango
alla loro vista, piango perché mi sono mancati. La mia
mamma, il mio pazzo papà..
certo, vivere tutti i giorni con loro e poi passare cinque anni da sola
dall’altra parte del mondo
è stato un
gran cambiamento e
non potevo immaginare
che sarebbe stato cosi difficile allontanarmi da loro.
Mio padre mi abbraccia forte e non
vuole più lasciarmi,
mia madre la vedo commossa per la prima volta in tutta la mia vita e so
che
sono felici. Li guardo e mi sento a casa.
Raggiungiamo le diverse macchine e
andiamo a mangiare
tutti dai miei. Raggiungiamo la casa e passo a rassegna con lo sguardo
il
quartiere e i posti in cui andavo a giocare da piccola, i giardinetti,
e la
scuola elementare. Arrivo al palazzo del mio condominio e lo saluto con
un
grande sorriso, mentre mi godo con calma la passeggiata del vialetto.
Incontro
diversi vicini e ragazzi che conosco, che anche loro sono venuti a
trovare i
genitori. Incontro
un vecchio amico lo
saluto, gli dò due baci sulle guance e ci raccontiamo un
po’. –Come sei
diventata bella!- mi dice spavaldo. Ah gli uomini! Lo vedo come mi
guarda. Lo
so cosa vuole non ci metto molto a capirlo, ma faccio finta di niente e
lo
ringrazio per il complimento, congedandomi
e raggiungendo il mio gruppo di benvenuto.
Decisamente non è il momento di flirtare.
Saliamo in casa e sono invasa dai
ricordi. Tutto è come
l’ho lasciato. Passeggio per la casa, stregata, mentre le mie
amiche e la mia
famiglia preparano il pranzo, concedendomi un momento di solitudine.
È una cosa
che devo fare da sola. Ricordare. La mia camera è ancora
là, ancora piena di
libri, ancora con i mille cartelli di pensieri e frasi attaccate
all’armadio a
muro. E ci sono
ancora le stesse foto e
in quelle foto rivivo tutto. Perché c’è
lui. Riesco quasi a sentirne il
profumo. La prima
carezza, il primo
sorriso, le risate, il primo bacio, le prime vacanze, i primi sguardi
maliziosi, la prima volta. Flash su flash tutto ritorna. Esattamente
come
l’avevo lasciato. E non mi accorgo di avere le lacrime
agl’occhi. Elena arriva
e mi chiama per nome, la prima volta non la sento. –Sere
è pronto!- la fisso,
mi guarda. Sa perché piango. –Oh, tesoro.- mi abbraccia.
– Coraggio, siamo
grandi adesso.- Sorrido. Ha ragione. Non dobbiamo piangere. Non lo
dobbiamo
fare.. anche perché piangere è inutile. Certo i
ricordi sono belli, molto
belli. E allora sorrido. Sorrido perché i ricordi sono,
ancora, belli.
Mangiamo tranquilli e io racconto
la mia vita londinese e
il mio lavoro da redattrice in un piccolo giornale poco fuori dal
centro. Mi
trovo bene e mi piace. Il mio lavoro mi intriga e mi esalta. Le
amicizie che ho
fatto sono belle e solide. So che quando tronerò saranno
là ad attendermi, ma
se anche dovessi decidere di restare in Italia, so che non le perderei.
Quei
pazzi fuori di testa dei miei coinquilini!
Finito di pranzare le mie amiche
tornano alla loro vita e
così anche mia cugina: -Ma stasera ci vediamo!- -Si infatti
organizziamo una
bella seratina tra donne! Invitiamo anche la Marta e la Chiara.-
Sorrido, ooh
si le voglio vedere! –Assolutamente…non vedo
lora!-
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Capitolo 2 *** Capitolo 2: incontro in centro ***
Capitolo 2: Incontro in centro.
I
miei mi fanno domande su
domande e le prime ore del pomeriggio volano via in un batter
d’occhio.
–Mamma guarda che
più tardi esco. Ho un
incontro di lavoro.- devo incontrarmi con un giornalista italiano, che
ho
incontrato a Londra e mi ha aiutato per un articolo. Ma tutto questo a
mia
madre non lo spiego. Ho 26 anni. Direi che non mi serve una spiegazione
per
uscire. Ed il più tardi è arrivato in fretta.
Mi cambio e mi vesto con un paio di jeans neri e una
camicia blu e
bianca a scacchi, aperta, mentre sotto lascio intravvedere una
canottiera
bianca semplice, che mette in risalto la mia forma snella e la mia
pancia
piatta, che dopo tanto, duro lavoro è arrivata anche a me.
Mi trucco: matita
nera, mascara, un po’ di terra e un bel rossetto rosso.
Quanto mi piace il
rossetto! Infilo un paio di scarpe nere con il tacco, un magione nero e
il
giaccone. Borsa, cellulare, chiavi .. ok ho tut…azz, la
macchina … –Papà! Mi
presti la macchina!- mi guarda stranito, ma sorride.. –Vai
vai, ma sta attenta.-
-Certo!- gli do un bacio sulla guancia e scappo.
In
strada c’è traffico, come
sempre. E quando sono quasi arrivata, sono in ritardo. Perfetto!
Posteggio
e cammino spedita
verso piazza Duomo. Sono super in ritardo. Eccolo! Christian mi sorride
nel suo
completo da ufficio scuro. Elegante, affascinate. La sua carnagione
abbronzata
è messa in risalto dalla camicia bianca un po’
sbottonata e sgualcita, ma con
classe. –Ciao.
Scusami per il ritardo!
Milano è sempre un casino- Sorride e mi lascia vedere i suoi
denti bianchissimi,
curati, che si contrano con la sua barba scura lasciata incolta, ma
volutamente
e regolata perfettamente. I
suoi occhi
verdi incrociano i miei nocciola. Si passa una mano tra i capelli
scuri, corti,
ma non troppo. –Tranquilla, non è molto che
aspetto. – due baci sulle guance,
la sua mano sul mio fianco e sento il suo profumo di marca, forte,
mascolino.
Un po’ mi eccita. Ho sempre trovato intrigante
quell’uomo. Sorrido. –Ti
vedo in forma!- ammicca. –Grazie, anche
tu stai molto bene, anche se sei appena arrivata. Il viaggio tutto a
posto?- -Si, ti
ringrazio. – ci
incamminiamo verso il bar e ci sediamo a un tavolino sulla piazza.
Parliamo del
più e del meno e lui mi stuzzica. –Allora, avrai
lasciato a Londra mille cuori
spezzati ..- ammicca. –No..- esito, distolgo lo sguardo ..
conosco questo
gioco.. –Non mille .. un paio.- Ride.. – Eh brava!
E qui .. c’è qualche cuore
solitario che ti attende?- mi fissa, penetrate. Ha due occhi stupendi.
Intanto
allunga la mano sul tavolino e prende la mia, la sfiora appena. Io
scappo al
suo tocco. –Ma non dovevamo parlare di lavoro?- sorride.
–D’accordo.- Mi parla
della sua proposta di fare un articolo incrociato tra Milano e Londra e
una
collaborazione per diverse interviste e sondaggi. Parliamo di lavoro
per un ora
e si sono fatte le sei. Ci scambiamo i numeri di telefono per
risentirci
sull’offerta di lavoro, che mi pare abbastanza interessante. –E poi, mi puoi
chiamare se ti senti sola qua
a casa.- sorrido e lo guardo .. –Si, potrei farlo.- Mi posa
la mano sul fianco
e mi bacia sulla guancia. Un bacio intenso, prolungato, speranzoso di
un
proseguimento che va oltre i vestiti. –Ci sentiamo, allora,
Chris.- Mi guarda. Sorride
e spera. –Quando vuoi.-
Mi incammino
verso il posteggio, ma mi giro per l’ultima volta a
guardarlo. Lui è ancora li
e mi fissa allontanarmi. Si, mi sa proprio che lo chiamerò
presto.
Passeggio
spedita ed è buio.
Il Duomo illuminato mi emoziona sempre e senza accorgermi mi sono
fermata a
fissarlo, rapita dalla sua magia.
Trenta
secondi che mi sono fermata e BAAAM .. cado. Ho il sedere per terra e
mi fa
male. –Ahia! .- -Scusami, scusami tantissimo. Non guardavo
dove andavo.- Una voce
calda, maschile si scusa, frettolosamente e una mano forte e grande mi
prende
per un braccio e mi aiuta a mettermi in piedi. –Aah che mano
fredda!- Tolgo il
braccio dalla stretta. La mano era
congelata. –Scusa, ho sempre le mani fredde.- Sbuffo. Mi
ricorda qualcuno.
Scaccio il pensiero. –Bè, stai più
attento e non andare in giro ad ammazzare le
persone!- -Che tragica. Mi pare che sei ancora viva, o sbaglio?- -Ah .
Ah
spiritoso.. guarda che mi sono fat..- alzo lo sguardo per fissare
irritata il
mio assalitore e mi gelo. Mi pietrifico sulle mie gambe che tremano, ma
riescono ancora a sorreggermi. Non è possibile! No! Non
può essere lui! Su
centinaia di persone in piazza duomo a quest’ora : lui! Eh
no! No! Non è
possibile…. –Ti senti bene?-
No, non è
lui, non mi ha riconosciuta. Ok che in 5 anni sono cambiata parecchio,
li
taglio di capelli, ho tolto gli occhiali, sono
dimagrita…però se fosse lui
saprebbe chi sono. Scuoto la testa. –Si, scusa è
che mi pareva.. – Lo guardo
ancora e sembra perplesso, un po’ preoccupato.
–Niente. Sto bene. – Sorrido. E
lui mi sorride. Un tuffo al cuore. Ha lo stesso sorriso. È il tipico
uomo dai colori meridionali.
Capelli scuri, occhi scuri. Fisico snello, ma robusto. Indossa un
bellissimo
completo nero e camicia bianca con cravatta, un po’allentata.
La barba incolta
gli sta divinamente. Avrà sui 28 anni. Dio! Gli assomiglia
cosi tanto! Raccoglie
la sua valigetta –Bene allora,
scusami ancora .. davvero non volevo ucciderti, come dici tu.- Sorride
ancora.
Io mi passo una mano nei capelli, mentre lui aggrotta la fronte e mi
studia. Mi
guarda per un po’ e poi sgrana gli occhi. Apre la bocca e poi
la richiude.
Scuote la testa. Apre di nuovo la bocca per dire qualcosa, ma non la
dice. Non
ho tempo da perdere. –Bè , si ok … ora
vado. Arriderci.- Lo supero. Mi blocca
per un braccio. –Aspetta!- Lo guardo un po’
spaventata, non mi aspettavo questa
reazione. –Posso vedere il tuo polso destro.?- Lo guardo
stranita… ma che
domanda è? Perplessa
mi sgancio dalla
sua presa e mi tiro su leggermente la manica: - ok. Ecco.- Lui guarda
il mio
polso e impallidisce. – Non è possibile.-
-E’ un tatuaggio .. niente di che. –
Mi fissa. –Come ti chiami?- Lo
guardo, non capisco, non capisco cosa vuole. –Serena. Tu?-
Sbianca ancora di
più. –Non è possibile. - -Strano nome..
– Sorrido. Ma lui è paralizzato e
scuote la testa.. –Non puoi essere tu..- ..E allora capisco.. il mio
timore iniziale era
vero. È lui.. questa volta sono io a sbiancare e scuotere la
testa..
–Federico..- Lo sussurro .. ho quasi paura di dirlo. Paura
che sparisca , paura
che scappi.. lo fisso e a stento trattengo le lacrime. Mentre sta per
dirmi
qualcosa , un bambino gli si affianca e gli tira la giacca.
–Papà ! Sono
arrivato io da te ! –Sorride felice.
Papà?! .. mi manca il fiato, mi viene da
svenire. Papà? No, no avrò
capito male. Lui guarda il bambino e poi di scatto torna a fissarmi,
mentre una
donna si avvicina: -Ah signor Fumagalli, mi scusi .. ma è
voluto correrle in
contro.- Lui si
gira: - Non c’è
problema signora Bianchi.- Sorride
gentile. –Allora ci vediamo domani mattina.- -Certo- -Ciao,
Enea! Ci vediamo
domani!- -A domani, signora Bianchi.- Il bambino è
bellissimo, biondo scuro e
occhi chiari, e molto educato. Avrà, più o meno,
quattro anni e fa fatica a
pronunciare le “n”, ma si vede che si impegna.
Lui mi guarda ancora stupefatto. –Ma sei davvero
tu, Sere? – Sospiro.
–Si..-Non so che altro dire e continuo a fissare il bambino
che ora mi guarda
interessato. Cala il silenzio per qualche minuto e mi sembra di sentire
un gran
peso sulle spalle. Lui guarda il bambino. –Sere, lui.. lui
è mio figlio Enea.-
Trattengo il fiato. Sapevo che stava con una donna, lo sapevo. Ma non
sapevo di
nessun figlio e di nessuna moglie.
Però
guardando quel bel bambino mi si addolcisce lo sguardo.
–Ciao, Enea.. - Sorrido.
–Lo sai che sei proprio un bel
bambino.- e mi sporgo verso di lui. Lui, forse impaurito, si nasconde
dietro
alla gamba del padre. –Enea! Fai il bravo. Ringrazia.- Il suo
tono è dolce,
affettuoso. –Grazie.- Enea
lo sussurra.
Lui mi guarda –Scusalo, non ama molto gli estranei.- Sorride,
dolce,
buono. Lo guardo e
rimango a fissarlo un
po’, ancora mi sembra di
provare l’eco
di quei sentimenti che pensavo assopiti. Quei sentimenti che ci hanno
tenuti
legati per 4 lunghi anni. Anche lui mi guarda, mi guarda con occhi
brillanti.
Quei suoi occhi scuri cosi densi, cosi intensi, cosi belli.
–Sei sempre più
bella.- Sorrido. –Grazie. Anche tu. .. cioè ti
vedo in forma!- Mi sento cosi
impacciata. Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo, a quando
avevo 18
anni e siamo usciti insieme per la prima volta. Ride.
–Grazie. Lui mi mantiene
in forma. Devo corrergli dietro.- e indica il piccolo aggrappato alla
sua
gamba. Mi guarda –Perché non mangi con noi.
Parliamo un po’- Sorride, benigno,
sincero, speranzoso. Mi guarda con occhi carichi di aspettative e che
in
silenzio mi pregano di dire si. E io non me ne accorgo, le parole
escono da
sole: -Si, certo.- Ci
incamminiamo verso
casa sua, o meglio, casa loro e restiamo per un po’ in
silenzio. – Allora
quando sei tornata?- -Stamattina.
Ero in
centro per lavoro.- Annuisce. –Capisco.-
Cade di nuovo il silenzio.
–Hai
intenzione di rimanere o riparti subito?-
-No, no rimango un po’.
Magari un
paio di settimane.- Sorride. –Dormi dai tuoi?-
Mi sento un po’ imbarazzata. –Si, mi
pare l’idea più economica.- Ride.
–Hai ragione.- Dopo
pochi passi
raggiungiamo un gran palazzo con un bel portone di legno e ferro
battuto.
–Casa.- Il
bambino saltella sul gradino
d’ingresso. Mi sento a disagio. –Sei sicuro che non
disturbo. Magari tua moglie
non gradisce ospiti, soprattutto tue ex. E poi così
all’ultimo momento, non è
educato.- Parlo in fretta, agitata, in ansia. Lui mi guarda e aggrotta
la
fronte –Mia moglie?!- -Si
tua moglie, la
madre del bambino.. suppongo viva con voi.- Sorride e scuote la testa.
–No, no
.. non sono sposato. La madre di Enea è… via.
Molto lontano da qui.- E sembra
un po’ triste, sospira quasi quelle parole fossero pesanti
macigni, che si
porta dentro da tanto tempo -Oh.-
Non so
bene che altro dire. Ero felice che non ci fosse nessuna donna in casa
ad
aspettarlo, ma dall’altra parte mi sorprendeva che avesse
fatto un figlio con
una donna che non fosse sua moglie e che non abitasse con loro.
Varcammo
il portone ed Enea
fece tutte le scale di corsa. –Papà ho fame!-
Sorrido e lui mi guarda. Sorride a sua volta.
–Adesso mangiamo. Fai il
bravo che abbiamo un ospite.- Arrossisco. Un po’ mi sento in
imbarazzo. Entriamo
in un bel appartamento arredato
accuratamente, con i mobili in legno scuro e le pareti bianche
alternate da
colori accesi. Una cucina all’avanguardia e ben ordinata
nell’angolo a sinistra,
un salone con due bei divani color crema, davanti
all’ingresso, con un
televisore al centro. Una scala portava al piano superiore dove,
supponevo, si
trovava la camera matrimoniale e una singola con un bagno.
-Bè,
non è molto grande,
però..- -E’ bellissima.- Sorrido sincera. Mi pace
d’avvero. E mi vengono in
mente i nostri sogni, i nostri progetti insieme. Mi si stringe il
cuore. Non abbiamo
fatto nulla di quello che c’eravamo promessi.. –Fai
come se fossi a casa tua,
mentre preparo un piatto di pasta.-
-Sii
la pasta!- Enea ride. Il padre gli sorride. –Vuoi una mano?- Mi guarda. –Sei
gentile, ma no.. d’avvero,
faccio da solo.- Posa
la giacca sul
divano e la valigetta ai piedi della scala. Mi tolgo anche io la giacca
e vedo
che Enea fatica un po’a togliere la sua. –Aspetta ,
ti aiuto.- Aiuto il bambino
a spogliarsi e a mettersi le ciabatte. Intanto parliamo un
po’ e facciamo
amicizia. Mi sono sempre piaciuti i bambini e lui è tanto
dolce. Ci mettiamo
sul tappeto di fronte alla tv e cominciamo a giocare insieme e io,
dispettosa,
gli faccio il solletico. Lui ride, ride forte. E Fede esce dalla cucina
e ci
guarda sorpreso. Io rido con Enea perché non riesco a
trattenermi quando sento
un bambino felice. –Pazzesco!-
sento
dire a quell’uomo che conosco, ma non poi così
bene come pensavo. Guardo
ancora quel bambino che rotola sul
tappeto e ride, mentre gli faccio il solletico. Penso a tutto quello
che c’eravamo
promessi, alle mille cose che c’eravamo detti e, guardando
quegl’occhi chiari e
dolci e quella risata felice, capisco che tutto è stato
messo da parte. Tutto è
stato lasciato indietro in un piccolo angolo del cuore, ma magari non
del tutto
perduto. Alla fine, la speranza è sempre l’ultima
a morire.
Mando
qualche messaggio,
per annullare i
piani della serata:
questa cena sarà più lunga del previsto! Metto il
silenzioso e ripongo il
telefono in borsa, mentre con voce leggermente tremante Fede chiama
entrambi a
rapporto, posando tre piatti a tavola.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3: cena a base di vita. ***
Capitolo 3: cena a base di vita.
Seduti a tavola cominciammo a
mangiare in silenzio,
mentre io e lui ci scambiavamo occhiate intense. Avremmo rimandato a
dopo le
rispettive storie. Federico
aiutava il
suo bambino a mangiare e gli chiedeva, distrattamente, come era andata
la sua
giornata e se si era divertito al parco con la tata. Più li
guardavo e più mi
sembrava impossibile che lui fosse un ragazzo padre. Un bambino era
qualcosa di
veramente importante, e, soprattutto, bisogna essere responsabili.
Certo, lui
lo è sempre stato e io stessa dicevo e sapevo che sarebbe
stato un ottimo
padre, ma vederlo ora, mentre insegnava
a suo figlio come tenere per bene la forchetta in mano, mi emozionava.
Da una
parte orgogliosa di quell’uomo che era diventato, capace di
essere così adulto
e provvedere a un bambino tutto da solo, dall’altra il mio
cuore era colmo di
tristezza e rammarico: avevo sempre immaginato che sarei stata io a
dagli un
figlio e che l’avremmo accudito con amore e dedizione. E ora,
guardaci adesso.
Cosa è rimasto di tutto quell’amore, quella
passione, quei sogni, quelle
speranze, quei progetti.. In fondo al mio cuore sono ancora
lì, esattamente dove
li avevamo lasciati, ma come faremo adesso a realizzarli? E dopo tutto
questo
tempo, c’è ancora la possibilità che
possiamo, anche solo, tentare di renderli
veri ?
Lo vedo voltarsi lentamente verso
di me e guardarmi con
occhi un po’ desolati: -So a cosa stai pensando.- e abbassa
lo sguardo, un po’
dispiaciuto. Mi
coglie di sorpresa, ma
subito dopo sorrido, sapeva sempre cosa pensavo, riusciva a guardarmi e
leggermi dentro, come nessuno, dopo di lui, c’è
riuscito e, forse, nessuno ci
riuscirà. Sospiro. –Scusa. Non voglio rovinare una
così bella serata con i miei
pensieri depressi.- e
gli sorrisi
socchiudendo gli occhi. –Non ti preoccupare, so benissimo che
non è una
situazione facile e forse ti ho chiesto troppo a venire qui.
– Sospira anche
lui –Non so più come ci si comporta con le donne.
Soprattutto, non so come
comportarmi con te..- e
lasca la sua
frase in sospeso. So, perfettamente, a
cosa allude. Mi rabbuio e comincio a fissare attentamente il mio
piatto,
mangiando in silenzio. Dentro
di me
ribolle una gran rabbia. Non potevo ancora accettare l’idea
che lui credesse
ancora a quella storia, che lui ci avesse creduto cinque anni fa e mi
avesse
buttato fuori dalla sua vita, senza nemmeno ascoltarmi. Odiavo quel
litigio e
tutto ciò che era stato per colpa di una voce. Lo sentii
sospirare di nuovo,
mentre si alzava a posare il piatto nella lavastoviglie: -Comunque
è storia
passata.. sono successe così tante cose da quando sei
partita. Non riesco
nemmeno a ricordarmele tutte. - -Papà!-
Enea interruppe quel
momento un po’
malinconico –Perché tu e Serena siete tristi ?-
Lui si volta a
guardarlo e sorride dolcemente. Gli va vicino
e gli accarezza una guancia: -Ee piccolo, siamo tristi
perché siamo rimasti
lontani per molto tempo e siamo molto… amici.. –
aggrotta la fronte. –E
se siete amici, perché
siete rimasti lontani per tanto tempo?-
-Perché lei è andata via.- -E perché
è andata via?- -Perché doveva
inseguire un sogno.- -Che songo?- - Chiedilo a lei…- E mi
fissa -Che sogno
dovevi inseguire, Serena.?- con la
sua voce innocente mi chiede spiegazioni troppo grandi. Allora, cercai
di
semplificare –Volevo diventare una giornalista. - -E ci sei
riuscita?- sorrisi
–Si. - -Quindi
ora sei felice?- Rimasi
senza fiato a quella domanda. Sono
felice? Io? Quante volte me la sono posta questa domanda. Gli risposi
la cosa
più vera che potevo digli. –Non lo so.- e
sospirai. Federico mi guarda
perplesso. –Non sei felice?- Lo guardo e penso bene alle
parole da usare prima
di rispondere –Bè, felice è qualcosa di
veramente grande.. diciamo che sto
bene, non mi posso lamentare, ma è come se mi mancasse
sempre qualcosa.- Non
ero mai stata così sincera, nemmeno con me
stessa. Parliamo ancora un po’ di tutto e niente, mentre
racconto la vita in
Inghilterra e Enea mi guarda con due occhi grandi ed ammaliati.
Federico mi
osserva e scruta
con attenzione, come
se volesse incidersi nella memoria le mie
espressioni, i miei lineamenti. Come se volesse cogliere qualcosa che
non
volevo dire apertamente e questo suo guardare così intenso,
un po’ mi fa sentire
in imbarazzo, come se fossi nuda davanti a lui, perché
sapevo di non riuscire a
mascherare i miei sentimenti con lui. Al pensiero, arrossii. Lui mi
sorride,
dolce. Abbasso lo
sguardo e lo sento
dire : -Mamma mia, com’è tardi! Enea andiamo a
nanna che domani ci dobbiamo
svegliare presto!- si
alza e sparecchia
velocemente, facendo partire la lavastoviglie.
–No, voglio restare ancora un po’!! E
poi non ho sonno.- Ma il suo corpo
lo tradì, perché uno sbadiglio, sfacciato, si
fece strada sul suo volto. – Si
certo, e io ci credo. Dai
vai a lavare i
denti e a mettere il pigiama.- gli
arruffa i capelli biondi. –Si ma non è giusto!-
protesta il piccolo. –Lo so, lo
so. Ma ora vai.- Enea si alza riluttante e corre su, facendo come gli
era stato
detto. Guardo l’orologio al polso. Le 10.15. Pensavo fosse
più tardi. Ma in
effetti per un bimbo è tardi e sorrisi. Mi alzo e aiuto a
sparecchiare le
ultime cose. –Bè sarà meglio che anche
io vada, fra poco. Ho già disturbato
abbastanza.- Lui mi fissa, dritto negl’occhi. –Tu
non mi disturbi mai, Sere. Lo
sai.- Ci guardiamo senza dire nulla per qualche secondo, mentre tutto
quello
che era stato ci passa per la testa e per il cuore. Non potevamo
cancellare ciò
che era stato e nemmeno lo volevamo. Sapevamo che, in qualche modo, ci
saremmo
amati per sempre. I nostri sguardi rimasero legati per secondi che mi
parvero
secoli e poi lui cominciò a guardarmi le labbra. E io sapevo
cosa voleva. Lo
volevo anche io. Ma non potevamo. Non dovevamo. –
Eccomi, pronto per dormire!.- Enea ci
interruppe. Per lo spavento e la sorpresa saltai, un poco, sul posto.
–Bravo il
mio bambino! Dai saluta la Sere e andiamo a nanna!- Il bimbo mi si
avvicino e
io mi abbassai per guardarlo negl’occhi. –Buona
notte, Enea, fai tanti bei
sogni!- Lui mi sorrise, radioso. E
poi
mi abbracciò –Buona notte. -
Rimasi
impietrita per un secondo e poi ricambiai la sua stretta decisa. Chiusi
gli
occhi e sorrisi beatamente. Mi sentivo leggera.
–Ciao piccolo.- Gli diedi un piccolo bacio sulla
guancia fresca e
morbida. Si
staccò e si diresse dal
padre, che mi guardava stranito e senza fiato. Poi serrò le
mascelle e il suo
sguardo si rabbuiò, ma poi sorrise a entrambi. Si diressero
verso la stanza, ma
prima di sparire oltre le scale Enea si girò
–Spero che tornerai presto. Sei
molto simpatica.- E rise e scappò via. Risi anche io. Che
altro potevo fare?
Rimasi per un po’ da
sola a fissare il lavandino e mi concentrai
su qualsiasi altro pensiero che
non
fosse il presente che stavo vivendo e, cioè, del fatto che
ero
nell’appartamento del mio ex ragazzo , che trovavo ancora
alquanto
affascinante, ed eravamo soli, più o meno.
I battiti accelerarono e cercai di respirare con calma.
Mentre cercavo
di far mente locale su cosa dire e cosa fare, sentii dei passi dietro
di
me. Lo sentii
aprire un armadietto e
sentii dei rumori di bicchieri di vetro.
–Andiamo di là.- Mi voltai e lo
guardai. Teneva in mano due bicchieri e
una bottiglia di vino rosso. –Parliamo un po’.- E
si avviò verso la sala. Non
potevo fare altro che seguirlo.
Ci sedemmo l’uno accanto
all’altra, lui alla mia destra.
Mi porse un bicchiere mezzo pieno e io ne bevvi una gran sorsata.
L’alcool
aiuta sempre. Almeno era quello che speravo. Mi sorrise.
Calò il silenzio.
Nessuno dei due sapeva da che parte cominciare. –Allora.. ti
piace Londra? Ti
trattano bene?- Aveva deciso di parlare per primo. Sospirai, cercando
coraggio.
–Si, mi piace molto e sto bene. Sono tutti molto gentili e ho
un po’ di amici.-
sorrise. –Certo, sei sempre stata brava ad ambientarti e
conoscere nuove
persone. Una delle cose che ti ho sempre invidiato.- Mi
guardò, intensamente
negli occhi. –Grazie. Ma dimmi di te. – Dovevamo
affrontare l’argomento.
Entrambi lo sapevamo. Lui sospirò. –Va bene,
partiamo dall’inizio.- Bevve una
generosa sorsata di vino –Ho conosciuto Gloria tre mesi dopo
che eri partita.
Non volevo storie. Non volevo niente. Solo stare da solo nella mia
desolazione
di uomo ferito e non mi aspettavo che mi sarei rinnamorato cosi
facilmente.-
fece una pausa per fissarmi. Ma io rimasi impassibile. Non volevo fagli
capire
che odiavo il fatto che lui credesse ancora che l’avevo
tradito e odiavo con
tutta me stessa questa Gloria perché gli aveva fatto
dimenticare di me. Ma
d’altronde cosa pensavo? Anche io sono stata con un paio di
ragazzi. Non potevo
di certo credere che lui mi avrebbe aspettato o che mi avrebbe
supplicato di
tronare da lui. Anche
se per molto
tempo, di notte, stavo sveglia e pregavo che mi chiamasse. Lui
proseguì –Gloria
ti somiglia molto per certi aspetti. E credo che fosse per questo che
mi
piaceva. Perché spesso in lei vedevo te. In ogni caso,
cominciammo ad uscire e
io non ero sicuro di essere pronto a impegnarmi sul serio, tuttavia mi
piaceva
stare con lei. Dopo poco meno di un paio di mesi mi disse che era
incinta. –
Chiuse gli occhi al ricordo –Mi sono sentito così
stupido. Avrei dovuto fare
più attenzione. Non era cosi che volevo diventare padre.
Tuttavia, le dissi che
sarebbe andato tutto bene e che saremmo riusciti a cavarcela. Comprai
questo
appartamento e mi misi a lavorare sul serio, più di otto ore
al giorno, per
provvedere ai bisogni di una famiglia. All’inizio, nonostante
i sacrifici,
eravamo contenti e stavamo bene. Certo, non era una cosa facile, ma
niente è
facile.- Pausa. Beve un po’ di vino e ricomincia
–Così lei venne a vivere da me
e nacque Enea. Ricordo che quando lo vidi capì che era la
cosa giusta. Era mio
figlio, non importava quanti sacrifici avrei dovuto fare e quanti
ostacoli
avrei dovuto affrontare, avrei fatto di tutto per lui. Non appena
tornammo a
casa dall’ospedale le cose cominciarono a peggiorare. Lei non
era mai a casa ,
lavorava poco ed era sempre nervosa. Mi trattava male e urlava contro
nostro
figlio. Diceva che le avevo rovinato la vita e che Enea era un errore.
Le ho
detto che se non la piantava poteva andarsene. Mi prese sul serio. Dopo
tre
mesi fece le valige e partì per Bali con il suo istruttore
di yoga. – contraeva
la mascella e lo vedevo serrare i pugni. Avevo il voltastomaco. Mi
veniva
voglia di picchiarla. Non potevo credere che aveva abbandonato lui e il
loro
figlio. Avevo le lacrime agl’occhi per la rabbia e
nell’immaginare quanto
dolore e frustrazione aveva provato lui, da solo con un figlio da
crescere. Lo
guardai mentre fissava dritto davanti a
sé, in silenzio, teso. Non sapevo cosa dire, non avevo
parole per il disprezzo
che provavo per quella donna. Se prima la odiavo per avermelo portato
via, ora
la odiavo ancora di più, per averlo ferito e abbandonato.
–Dio, Fede! Mi
dispiace così tanto!- Poso il mio bicchiere e gli stringo la
mano. Lui mi guarda
e vede i miei occhi sinceri. Si rilassa un po’ e ricambia la
mia stretta.
–Grazie.- Sorride. –Sei bravissimo, con lui.
L’hai cresciuto benissimo. È un
bambino così adorabile!-
Il suo sguardo
si addolcisce e mi sorride –Grazie. Lui per me è
una benedizione. È per lui che
vado avanti e mi fa stare bene.- Annuisco. –E tu? Storie
tragiche d’amore?- Sorride
ironico. –In effetti ne ho, ma non poi così fuori
dal normale. Sono stata con
un paio di ragazzi, ma nessuno per tanto tempo. Niente di importante.
– Avrei
voluto aggiungere “niente di importante, dopo di
te..” ma ho lascito perdere,
meglio non girare il dito nella piaga.
–Mi spiace che per tutto questo tempo non ci
siamo sentiti. Solo.. non
sapevo bene cosa dirti.- Abbassa
il capo.
–Fede, ancora ci credi?- Mi guarda –A cosa?- -Alla
storia che ti ho tradito.
Come te lo devo dire? Non sono andata a letto con nessuno. Tanto meno
con
Massimo. Davvero, era una balla.- lui sbuffa –Continui a
ripetermelo, ma io ho
visto le foto!- Lo guardo scettica –E si vedeva chiaramente
che ero io,
immagino.- Lui ci pensa un attimo. –Bè no,
però ti assomigliava molto.. – Rido.
Lui era irritato. –Guardami. Guardami dritto
negl’occhi e dimmi che non ti sei
fatta quello là!- mi
volto completamente
verso di lui e lo fisso negli occhi, seria e sincera. –Mai.
Te lo giuro.- Rimane
a bocca aperta per un po’ e poi la richiude, abbassa lo
sguardo e scuote la testa.
–Quanto sono scemo.- Sorrido e gli accarezzo una guancia
–Si un po’ lo sei.- Mi
fissa –Potrai mai perdonarmi?- Sospiro. –Credo di
averlo già fatto.- Mi
sorride, raggiante. –Mi dispiace tanto.- Annuisco
–Lo so, Fede, lo so.- -E’ che ero
così… arrabbiato. Non volevo ascoltarti. Non
volevo crederti.. – Scuote la testa –Non fa niente,
d’avvero. È passato.- Mi
guarda e mi fissa esattamente come mi fissava quando stavamo insieme.
Mi fissa
come un uomo fissa la donna che ama, come un uomo che ha bisogno di
sentirsi
amare, come un uomo che ha bisogno di sentire pelle
su pelle. Era quello che volevo anche io
ed ero sicura che si poteva leggere palesemente il mio desiderio. Il
mio
bisogno di lui. –Sere…- Mi chiama dolcemente,
sussurrando il mio nome, mentre
mi accarezza la mano posata sulla sua guancia e si avvicina verso di
me. Mi
mordo il labbro. Lo volevo! Lo volevo,
tremendamente! Ma era sbagliato, non dovevo, lo sapevo, ma
non mi
importava. Non ora. Ci avrei pensato dopo. Colmo lo spazio che ci
separava e lo
bacio con foga, come se volessi
imprimere l’impronta delle mie labbra sulle sue.
Lui ricambia con lo stesso
slancio e ben presto schiude le labbra e le nostre lingue si
incontrano. Si riconoscono
e si ritrovano, finalmente, unite. Sentivo la voglia di lui crescere
nel mio
corpo e il desiderio prendere possesso di me, mentre con crescente foga
ci
baciavamo. Sembrava
lo volessi mangiare
o volessi respirare con i suoi polmoni, ne avevo bisogno come si
necessita l’ossigeno.
E per troppo tempo ero rimasta in apnea.
Ben presto mi ritrovo stesa sul
divano sotto di lui,
mentre le sue mani cercano la mia pelle, fameliche. Prese a baciarmi il
collo e
mi tolse la camicia, senza staccarsi da me.
Gli slegai la cravatta, mentre la mia mano, ardente,
affondava nei suoi
capelli. Lo sentivo tendersi sopra di me mentre si sbottonava la
camicia, i
suoi muscoli tesi per non crollarmi addosso. –Aspetta. Sei
sicuro che
possiamo?- mi guarda con lo sguardo velato dalla passione e il fiato un
po’
affannato. –Solo se lo vuoi.-
Sorrido.
Era sempre così premuroso con me. –Oh si, certo
che lo voglio …- Sorrido, un
po’ maliziosa. –Ma di sopra
c’è tuo figlio.-
Sorride. –Basta che non facciamo troppo rumore.
– Rido. E lui riprese a
baciarmi. Più forte di prima. Era rimasto a petto nudo e ora
potevo sentire la
sua pelle sotto le mie dita. Liscia, calda, perfetta.
Sentivo le sue scapole e il suo petto ben
delineato, il suo addome ben scolpito.
E
a ogni carezza che mi faceva e che gli facevo, la mia eccitazione
aumentava. Mi
slaccia i jeans e mi toglie la canottiera. Ogni pezzo di pelle scoperto
è
invaso dalle sue labbra, posseduto dai suoi baci. Fremo sotto di lui e
mi mordo
ancora di più le labbra per non gemere.
Mi bacia il seno, piccolo e sodo, sopra il pizzo del
reggiseno nero,
mentre con le mani raggiunge le cosce. Scende lungo la pancia e io
inarco la
schiena, mentre con una mano mi toglie i pantaloni, gettandoli
chissà
dove. Devo prendere
in mano la
situazione. Mi alzo e mi posiziono sopra di lui, senza mai interrompere
l’unione delle nostre labbra. Gli sfilo la cintura e slaccio
i pantaloni.
Riesco già sentire la sua erezione sotto il tessuto. Mi tocca con possessione
la pelle nuda e, con
uno strattone, mi slaccia il reggiseno. Sorrido e non riesco a
trattenere un
gemito sommesso. Lui si alza a sedere e mi bacia il collo, i seni e mi
morde i
capezzoli, li succhia avido. Inarco ancora la schiena e lascio cadere
indietro
al testa, godendomi le sue attenzioni.
In
questa posizione la sua erezione sbatte contro la mia entrata,
già pronta ad
accoglierlo. Lo bacio con foga e lo faccio stendere. Lo bacio ovunque.
Sul
collo, sul petto leccando i suoi capezzoli turgidi e lo vedo mettersi
comodo
per godere appieno dei miei baci e del gioco della mia lingua. Scendo
lungo
l’addome e mordicchio leggermente la sua pelle, facendolo
scattare e inarcare
la schiena. Raggiungo l’ombelico e i suoi boxer grigi,
attillati che mi
mostrano la sua voglia e il suo bisogno. Lo guardo e sorrido. Sa cosa
voglio
fare. Mi sorride. Gioco un po’ con l’elastico dei
boxer lasciando passare
appena un dito. Lo vedo gettare indietro al testa e chiudere gli occhi.
Abbasso
quel lembo di tessuto che mi separa dalla sua nudità e,
finalmente, riesco a vedere
il suo membro eretto per me. Lascio correre tutte e dieci le mie dita
lungo la
sua erezione e lo sento gemere. Comincio a leccare la sua carne
morbida, nei
suoi punti più delicati e lo sento fremere di piacere a ogni
mio tocco. Mi
lascia fare, non si oppone al mio comando, mentre mi gusto il sapore di
quel
potere che ho su di lui. Ben presto, però, la situazione si
ribalta: ora è lui
sopra di me e mi bacia senza fermarsi. La pressione delle sue mani
è forte,
mentre con un dito sfrega il mio centro.
Ora è lui a giocare con me e a leccare la mia
carne più tenera, mentre
le mie mutande di pizzo vengo gettate lontano. Scende, con estrema
lentezza,
con la bocca verso il mio interno coscia provocando diverse scariche di
piacere
lungo tutto il mio corpo. Stimola il mio clitoride con denti e lingua
facendomi
sussultare. In poco tempo il piacere diventa incontrollabile e vengo
scaraventata nel mio primo lungo orgasmo. Mentre cerco di riprendermi,
lui mi
guarda con lo sguardo carico di desiderio e si posiziona di nuovo su di
me,
baciandomi le labbra, mordendole, leccandole.
Si stende completamente su di me e, con una spinta decisa, supera tutte le mie
barrire. Trattengo il
fiato e poi mi rilasso completamente. Era questo che aspettavo. Scivola
in me
come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se
fossimo stati progettati
per inserirci, perfettamente, l’uno nell’altra. A
ogni spinta mi sentivo la
testa leggera, staccata dai pensieri e lasciavo che i sensi mi
dicessero cosa
fare. Mi aggrappavo alle sue spalle come se dipendessi da lui e da
quella
stretta. Scendeva in me sempre più a fondo, cercando quel
punto in cui avrei
perso la ragione e la consapevolezza di me. Sentivo il suo respiro
accelerare e
il suo fiato sul collo, mentre si impegnava a darmi tutto se stesso. Non capivo più
dove iniziavo io e dove
terminava lui. Le nostre anime si sono toccate nel preciso momento in
cui, con
un ultima spinta, raggiugiamo l’orgasmo insieme. Per non
gridare sprofondo
nelle sue labbra. Ancora
uniti, ci
guardiamo negli occhi e improvvisamente tutto divenne chiaro. Era
chiaro che
l’avrei amato, nonostante tutto. Nonostante la distanze e gli
anni passati
lontani. Ancora lo amavo e non avrei smesso. E sapevo che anche lui la
pensava
cosi, lo leggevo nei suoi occhi. Si staccò da me e mi fece
sedere. Mi strinse
forte, cosi forte da farmi mancare il respiro. Mi abbracciò
come non aveva mai
fatto: -Dio! Quanto mi sei mancata!. – sorrido contro la sua
pelle leggermente
sudata. Sorrido e lo abbraccio a mia volta, mentre mi crogiolo nella
sua
stretta forte.
Raggiungiamo camera sua e facciamo
di nuovo l’amore,
ancora e ancora. Non riusciamo a stancarci.
Poi con il fiato corto e la gioia
di stare l’uno accanto
all’altra, ci addormentiamo abbracciati.
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4: Non posso.. ***
Dormivo beatamente, in un letto
dalle lenzuola fresche e
dal materasso comodissimo. Mi beavo della sensazione di benessere e del
calore
di un corpo accanto al mio che contrastava con la frescura del letto.
Un
momento?
Un corpo accanto al mio?
Cosa?
Spalanco gli occhi.
Ma dove cavolo sono ?
Non riconosco la stanza e per poco
non mi viene un
infarto. Grazie al cielo, a poco a poco, rimetto a posto i tasselli
della
memoria e ricordo la serata precedente.
E comprendo anche chi è il corpo attaccato al mio. Mi rilasso e arrossisco un
po’ al pensiero
dell’altra sera. Non volevo girarmi, né far vedere
che ero sveglia. Per ora
volevo stare solo così e non pensare a niente. Sento che lui
è sveglio e lo
sento respirare tranquillo, regolare, mentre passa dolcemente la sua
mano sulla
mia schiena. Ne segue i contorni fino a raggiungere i fianchi. Mi
accarezza
piano, premuroso, dolce. Mi
bacia una
spalla e sorride contro la mia pelle. Non riesco a trattenere un
sorriso. Mi fa
tenerezza.
-Ti amo.- lo bisbiglia, come se
non volesse farsi sentire
sul serio. Come se non volesse renderlo vero e tenerlo per
sé, sicuro nel suo
cuore.
Sgrano un po’ gli occhi.
Poi mi rilasso. Lo sapevo. Non
c’erano dubbi. Sorrido. Entrambi sappiamo che lo amo anche
io, che il nostro
amore, in qualche modo è lì.. non del tutto come
prima, ma mai perduto.
Ripenso a ieri e a quando
l’ho rivisto. Ripenso a tutto
quello che ha vissuto e un po’ mi rattristo. In fondo al mio
cuore sento che
qualcosa non va. Qualcosa di minuscolo, quasi impercettibile. Una
piccola
vocina che mi dice di pensare bene e di riflettere se davvero tutto
è così
perfetto come sembra. E di colpo, realizzo di cosa sta parlando quella
vocina.
Di Enea. Suo figlio.
Un figlio. Cazzo, un figlio. Avuto
da un'altra . L’avrei
mai sopportato? Accettato?
C’eravamo detti
così tante cose, ci eravamo promessi così
troppe cose. Mentre sentivo il suo tocco leggero sulla schiena,
cominciavo a
voler andar via. Mi veniva da piangere. C’eravamo lasciati in
un modo così
ingiusto, così doloroso. E adesso era tutto dimenticato? No.
Di certo, no. Non
ancora. Ripensavo alle sue promesse
di
restare con me per sempre e ai suoi discorsi di una vita insieme. E poi
tutto
era andato perso. Perché lui non si era fidato di me.
Sentivo le lacrime
cominciare a inondarmi gli occhi. Mi alzo di scatto. Non mi deve vedere
cosi.
Chiudo gli occhi e prendo fiato. Lui si alza con me.
–Buongiorno.- la sua voce
è dolce. Mentre mi abbraccia da dietro. Lo lascio fare, ma
ci metto un po’
prima di rispondere. –Buongiorno. Che ore sono ?- -Quasi le nove.- mi da un
bacio leggero sul
collo. Sorride contro la mia pelle nuda. –Credo che sia
meglio che io vada.-
-E’ sabato, Sere. Puoi restare se vuoi. – Il suo
tono e carico di speranze. No.
Non potevo restare. Mi ero svegliata dal verso sbagliato, o forse dal
verso
giusto ma nel letto sbagliato, e
ora
tutti i nostri bei discorsi mi martellavano il cervello. Mi alzo e raccolgo i
vestiti. Mi rivesto
un po’ in fretta. –No, Fede. Devo
andare, ho promesso ai miei di sistemare un paio di cose e ho da fare.- mi infilo i jeans e lo guardo. Sospira
abbattuto. Annuisce.
–Capisco. Vai allora.- Si alza e si veste solo con un paio di
boxer. –Immagino
che tu non voglia neanche fermarti
a colazione.- si ferma sulla soglia della stanza. Si volta e mi fissa
con gli
occhi un po’ più scuri. Lo guardo. Sono
dispiaciuta e spero che nei miei occhi
lo riesca a vedere, però non posso. Non posso. Dannazione! E
poi lui cosa
voleva? Come potevo essere certa che mi amasse ancora? Certo,
l’ha detto e ieri
sera era stato bellissimo, ma non bastava. C’erano troppe
cose in sospeso. E
poi il bambino.. lui doveva occuparsene e io, forse, avrei incasinato
le cose.
Le incasino sempre. Non riesco mai a semplificarle, nemmeno per me
stessa,
figuriamoci per un padre con un figlio a carico. No, no, non era
fattibile. E
poi la mia casa a Londra? Il mio lavoro? No. Era stato bellissimo, ma
io non
avevo certezze qua. In lui non vedevo sicurezze. Non più.
Tutto era stato
sgretolato in un addio non detto. In un saluto appena accennato. In uno
sguardo
di ribrezzo. Mi ricordo all’aeroporto come mi guardava, come
se fossi sporca ,
come se non lo meritassi. E
forse era
così, forse non lo meritavo.
Si. Dovevo
andar via. Era la cosa migliore.
-Ti ringrazio, ma no. Vado a casa.
– Sospira ed esce
dalla stanza. Mi rivesto completamente e scendo in salone dove ritrovo
la mia
giacca e la mia borsa. Lui è in cucina, armeggia con la
caffettiera. Cade un
silenzio tombale e io non so cosa dire. Mi fermo
sull’ingresso della cucina.
Lui è di spalle e la sua pelle, perfetta, è
rischiarata dai raggi di sole che
entrano ,flebili, dalla finestra. –Bè, allora io
vado.- Lui non si
volta. Accende il fuoco e mette la
caffettiera sul fornello. Si ferma. Sembra, quasi , che non mi abbia
sentito. –Ci
possiamo sentire quando
vuoi. – prendo un foglietto e gli scrivo il mio numero di
telefono. Lo metto
sul tavolo. –Questo è
il mio nuovo
numero. Se ti va chiamami. – Non dice niente. Mi sto
incazzando. –Vado allora.-
Mi sto per girare e uscire, quando lui si volta e mi fissa, dritto
negl’occhi.
Mi guarda come se non capisse con due occhi confusi e un po’
arrabbiati.
–Quindi ?- lo
guardo perplessa: -Quindi
cosa?- Mi si avvicina lento. –Quindi te ne vai
così?- Lo
guardo seria –E come me ne devo
andare?- Mi guarda
e contrae i muscoli
del volto. Lo so che lo sto irritando. Ma lui irrita me. –La
domanda è perché
te ne vuoi andare.. - Sbuffo.
–Me ne
vado perché ho da fare, Fede. Non posso restare.- Silenzio.
Lo guardo, senza
lasciare altri dubbi. Lo guardo con sfida, con orgoglio. Non ammetto
repliche.
–Lo sai che non posso restare.- Lui
mi
guarda. Lo sa. Ci
sono mille ragioni per
cui non posso. Nessuna di queste sarebbe sufficiente se lui mi dicesse
di
restare, perché io resterei. Solo se lo dicesse. Ma non lo
dirà. Lo so che non
lo dirà. Sospira. –Si, hai ragione.- Ecco.
Appunto. Sorrido, con un sapore
amaro in bocca. Mi dirigo verso la porta e lui mi segue. Me la apre.
–Salutami
Enea.- Annuisce senza guardarmi negli occhi. Sospiro. Il nostro gioco
del
silenzio mi ha stancato. –Buona giornata.- Lo guardo ancora
un ultima volta. Mi
sorride, educato. –Anche a te.- Esco e sento
l’umido del mattino che
mi avvolge. Mi stringo nella mia giacca e
non mi volto, mentre sento i suoi occhi puntati sulla mia
schiena… Se devi
dirmi qualcosa, fermami e dimmela. Non
sono
mai riuscita a capirlo completamente, mi è sempre sfuggito
qualcosa .. o magari
ero io che me lo lasciavo sfuggire, troppo intenta ad essere innamorata. Troppo intenta ad amare
l’amore.
Corro giù per le scale
e non mi volto. Sento la porta
chiudersi a chiave dietro di me. Sospiro
triste pensando che, forse, non riusciremo a rivederci, che forse non
riusciremo a superare le divergenze, i problemi e le mille cose
lasciate in
sospeso. Percorro
Piazza Duomo mentre
tutti questi pensieri mi frullano in testa e senza nemmeno rifletterci
troppo
estraggo il mio telefono dalla borsa e chiamo il numero che so a
memoria. Uno, due,
tre squilli.. –Pronto?!- Una Elena
con la voce impastata dal sonno mi risponde dall’altro capo.
–Pronto, Ele sono
io, Sere.- -Ehi, Ciao. Mattiniera eh?- Guardo l’orologio. Le
nove e dieci. –Bè dai,
è un orario decente. -
-Si, bè non per
me che ancora dormivo.- Sbuffo –Pigrona!- La prendo in giro,
ma mi diverto. –Sese..allora?-
-Allora cosa?- -Perché mi hai chiamato ?- -Così.
Volevo sentirti.- Silenzio. Lo
sa che devo dirle qualcosa. Lo sa sempre. –Si .. e immagino
non potevi
aspettare un paio d’ore..-
Silenzio. Non
so bene da che parte cominciare. –Ho visto Fede. –
Silenzio. Nessuna delle due
sa cosa dire. –Ci sono andata a letto.- Silenzio. E ora mi
sento scema. –Ha un
figlio.- -Merda!.- è l’unica cosa che dice, ma
è perfetta per descrivere il
momento. –Già.- è
l’unica cosa che mi viene in mente. –Non so
proprio cosa dire- Silenzio. Nemmeno io lo sapevo. –Ma come
è possibile? Cioè io
non sapevo avesse un’altra. E poi, scusa, ci sei andata a
letto che lui ha un
figlio? E sua moglie?- -Non è sposato. Non
c’è nessuna donna. È troppo lunga da
spiegare.- Raggiungo la macchina. –Ci vediamo stasera?- le
chiedo. –Ti racconto
e ho bisogno di sfogarmi.- -Certo! Assolutamente.- -Perfetto.
Ci sentiamo dopo, che adesso vado a
casa.- -Va bene.. Un bacio, tesoro. Non farti troppe pare mentali.-
Sorrido. Ci
azzecca sempre! –Ci provo, amo. Bacio.- Ripongo il telefono
in borsa e mi siedo
in macchina. Rimango in silenzio per un attimo e rifletto a tutto
quello che è
successo ieri. È un caos nella mia testa. Ma soprattutto nel
mio cuore. I
sentimenti per Fede sono lì, esattamente dove li avevo
lasciati. Pensavo di averli
sepolti in qualche parte oscura di me e averli abbandonati al corso
inarrestabile della memoria. E invece.. si sono ripresentati,
chiedendomi il
conto, in sospeso, da pagare .. con anche gli interessi.
Poi…Quel bambino!
Adoro i bambini, ne ho sempre voluti. E quanti progetti avevamo fatto
insieme! Quante
volte ci eravamo detti che ne avremmo avuti minimo due e massimo
quattro.
Avevamo anche deciso i nomi, nel caso. Sorrido. Una lacrima sfugge alla
presa
tremolante delle mie ciglia. Mi mancava. Lui e le sue promesse. Lui e
il suo
amore candido. Lui e le sue labbra rosse e morbide. Lui e tutto quello
che c’era
stato e che, forse, da qualche parte, per entrambi, c’era
ancora. Scuoto la
testa e metto in moto. In meno di mezz’ora sono a casa e i
miei sono usciti. Meno
male. Sospiro e butto la borsa sul tappeto. Mi spoglio e mi infilo
sotto le
coperte.
Poco dopo e sono sprofondata in un
sonno agitato.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5: Tu lo sapevi ?! ***
Scusate il ritardo e gli eventuali
errori. Capitolo scritto
in un ora, adesso, di getto.
Spero vi piaccia.
Capitolo 5: Tu lo sapevi?!
Mi sveglio rintronata e spaesata,
mentre in pochi secondi
metto a fuoco la mia stanza. Non sono per niente rilassata, anzi, se
possibile
sono ancora più stanca dopo questa dormita imprevista.
Sbadiglio e mi stiracchio. Sono le
dodici e mezza. Decido
di cercare qualcosa da mangiare. In cucina trovo un biglietto di mia
madre che
mi avvisa della loro assenza per l’intera giornata e della
presenza, in
frigorifero, di un arrosto già pronto.
Perfetto! Mangio
tranquilla
davanti alla tv e un po’ mi sento in colpa per non aver nulla
da fare,
soprattutto non riesco a non pensare a ieri sera e a stamattina. Non
riesco a
non pensare a Fede. È ancora così bello,
così affascinante. Ma parliamone, io
non potevo permettermi di entrare nella sua vita così e
cambiare tutte le carte
in tavola. E poi chi se lo aspettava di incontrarlo? E che saremmo
finiti a
letto insieme? Io no di certo! E soprattutto, l’ultima cosa
al mondo che andavo
a pensare era che lui fosse padre!
Sbatto furiosa la forchetta sul piatto e salto per l’assordante
rumore che io stessa ho provocata.
–Sono proprio cretina!- Perfetto, mi do anche della cretina
da sola. Ci
mancava. Sbuffo e alzo gli occhi al cielo. E lo so che me lo dico per
altri
motivi e non, solamente, per aver sbattuto la forchetta sul
piatto…
Lavo le due stoviglie che ho
sporcato e vado a fare
shopping. È sicuramente il miglior modo per distrarmi!
Il pomeriggio passa,
relativamente, veloce, anche se vago
per le vie del centro terrorizzata all’idea di ritrovarmelo
davanti e guardo,
indagatrice, tutti i ragazzi mori attorno a me. Alcuni mi hanno anche
guardato
male. Penseranno che sono pazza… e non mi pare che abbiano
tutti i torti.
Serena, dovresti rilassarti, entrare in qualche negozio e non pensarci.
Certo
se ieri sera avessi avuto il buon senso di far meno la ragazza facile,
ora non
avresti questo problema! Oh Madonna santa mi faccio
anche la predica!
Meraviglioso! Ho bisogno decisamente di uno psicologo! Sbuffo e vado a
casa. Sono
le quattro. Direi che basta shopping. Ma non dovevo rilassarmi?! Fatto
sta che
sono più tesa di una corda di violino.
Arrivata a casa sbatto per terra le due buste che
avevo in mano.
Chiudo la porta e mi spoglio in fretta. Scazzata. Accendo la tv e
faccio
zapping tra i canali. Trovo un bel film strappalacrime e mi siedo sul
divano.
Lo guardo tutto, piangendo come una deficiente, decisa
nell’autoinfliggermi
quella punizione emotiva.
Arrivano le sei e accordo con le
mie amiche per una cena
fuori. Ho bisogno di parlare e di consigli.
Mi faccio una doccia tiepida e un
po’ mi sento meglio. Mi
asciugo in fretta e puntualmente mi tornano i ricordi. Tutte le docce
fatte
insieme e le risate di asciugarci a vicenda. E come dimenticare la
prima. Nudi
e imbarazzati, non volevamo guardarci, per paura di sembrare troppo
sfacciati.
Avevamo paura di sfiorarci, ma che bello scoprire i suoi punti
più delicati e i
miei più sensibili. E le risate per smorzare la tensione. E
l’amore.. l’amore
nei nostri occhi. Tutto
quel tempo
passato insieme non poteva essere cancellato, anche perché
il primo amore non si
scorda mai, giusto!? Esatto. Non si scorda mai, nemmeno a chilometri di
distanza. Ho provato a stare con altri ragazzi e, si, per un breve
periodo ci
sono riuscita, ma nessuno di loro mi appagava completamente. E non si
trattava
del sesso. Perché di quello ce n’era a
sufficienza, ma era qualcosa che mancava
nel mio cuore. E, senza dubbio, anche nel loro.
Accendo il computer e metto su un
po’ di musica, la alzo
per bene per far tacere i pensieri, mentre mi organizzo per stasera.
Faccio un
giro di chiamate per confermare la serata. Mi sento più
tranquilla ora che le
ho sentite tutte e ho riso un po’. Felice di avere un bel
progetto per
stasera. Ci
troviamo tutte alle otto e
mezza al nostro solito pub. È una vita che non ci vado.
Chissà se è cambiato
qualcosa o no. Guardo l’orologio: Le sette e mezza. Ho un
oretta. Mentre dalle
casse mi arriva allegra la musica
degli
Articolo 31 – Spirale ovale, sospiro. Madonna quanti ricordi!
Questa canzone è
storica.. mi ricordo ancora quando l’abbiamo cantata in
macchina io quelle tre
pazze: Marta,
Chiara e Eleonora. Quante
risate, quante confidenze.. E quelle serate passate a parlare di Fede e
dei
dubbi che avevo.. E quel duo pazzesco, Chiara e Marta, che non potevi
nominare
una senza includere anche l’altra, che si completano a
vicenda , che adoro
entrambe. Quante volte le ho asfissiate con i miei problemi di cuore.
Sorrido
al pensiero. Chissà se si ricordano ancora. E Eleonora.. ah, lei
è la mia confidente, le
ho raccontato tutto e forse, cose che non era poi così
entusiasta di sapere. E
le vacanze insieme e le risate insieme.
I pomeriggi e le cazzate. Sospiro, sognante. Mentre penso a tutto
questo vago su internet
e controllo la posta. Qualche mail dal lavoro, una da Christian che mi
ha
mandato quei documenti che gli avevo chiesto e un invito a cena.
Sbuffo,
proprio non molla questo! Rido. Ci penserò. Chiudo tutto e
scelgo i vestiti per
stasera. Pantacollant neri, ben attillati, una maglia un po’
lunga a maniche
corte, bianca con su una foto della mia Londra e un maglioncino grigio
che
richiama il colore della borsa e delle scarpe chiuse con il tacco. Mi
trucco:
matita nera, ombretto grigio chiaro sfumato con il bianco, blush,
mascara e
rossetto rosso. Perfetto. Pronta
Esco di casa alle otto e dieci,
ora che arrivo a
destinazione sono in ritardo… Strano! Sorrido. Tanto le
ragazze sono abituate
e, di solito, sono più in ritardo di me. Parcheggio, alla
buona , e scendo.
Ravano nella borsa alla ricerca del telefono e faccio uno squillo a
tutte le
mie quattro amiche sbandate. Cinque
minuti di attesa e sono tutte li. Mi tornano i pensieri di prima e
quasi mi
metto a piangere. Le stringo tutte così forte che quasi le
strozzo. Soprattutto
la mia Elena.. e lei ricambia la mia stretta, sa perché mi
sto aggrappando a
lei. E lei mi lascia fare. La mia ancora di salvezza.
Entriamo nel locale ed
è esattamente come l’avevo
lasciato. Gli stessi tavolini di legno e le pareti coperte da girasoli
e
quell’aria, un po’, da pub irlandese. Sorriso
chiudo gli occhi e respiro a
pieni polmoni. Per assorbire i ricordi e chiamare la memoria
all’appello. Per
sprofondare nei sorrisi. Per navigare nelle risate e nelle
chiacchierate che
sono state l’anima, così spesso, di questo posto
che ha fatto da cornice. Le
guardo e sorrido a tutte, con un bel luccichio negl’occhi. Ci
sediamo e la
musica ci raggiunge. È forte e per parlare un po’
urliamo. Ordiniamo i nostri
drink e tutto quello che non ci siamo dette viene buttato fuori come
una
valanga di fatti, eventi, incontri e racconti. Tutto quello che
è successo in
questi anni distanti ci occupa un’intera ora.. e a pensarci
è strano come
cinque anni vengano ridotti a un’ora..
Alla fine, al secondo drink,
decido di parlare
apertamente: -Ho visto Fede. –
Guardo il
mio bicchiere cercando chissà quale risposta nel ghiaccio
che lentamente si sta
sciogliendo. Cala il silenzio. La musica e il chiacchiericcio del
locale ci
rimbombano intorno, ma noi non ne seguiamo il ritmo. Non ora.
–Cosa?!- Chiara
mi guarda con due occhi sbarrati. Elena non è sorpresa.
Eleonora è preoccupata
e Marta curiosa.
-Si, ci siamo imbattuti in Duomo a
Milano. Oddio, forse è
meglio dire scontrati.- sorrido, vaga. –E cosa è
successo?- -E.. cosa vuoi che
sia successo Chia?! .. Abbiamo parlato ..- Tra me e me mi sento una
deficiente
.. si…parlato.. –Abbiamo
parlato del più
e del meno, del suo lavoro, del mio lavoro, di Londra ecc.. Poi
è arrivato suo
figlio.- Silenzio.
Riguardo il mio
bicchiere. Non so bene cosa pensare. –Cosaaaaa?!- Chiara urla
e quasi tutto il
locale si gira a guardarci. Elena e Marta si ingozzano e tossiscono
insieme.
Eleonora sembra la meno sorpresa. –Si,
suo figlio. Enea. Più o meno
quattro
anni..- Mi tempestano di domande. Non so rispondere a tutte. Poi il
silenzio e
gli sguardi accesi, intensi e lunghi. Domande non dette, parole non
pronunciate. So
cosa, implicitamente, mi
stanno chiedendo. – Ci sono andata a letto. – Un sospiro generale.
–Cazzo!- Chiara sbatte la
sua corona sul tavolo. –Ma Sere?! ..come ti è
venuto in mente? - -Eravamo a
casa sua ..una cosa tira l’altra.- Sbuffò, che
palle mi devo sempre scusare di
quello che faccio. –Si
ma a casa sua..
con suo figlio!! Dannazione.. autocontrollo zero eh?!- -Chiara, cazzo è
Fede lo sai.. non riesco a
controllarmi con lui.- Ci zittiamo tutte e nessuno sa dove guardare.
Alla fine
racconto a tutti anche il risveglio e la mia decisione di andarmene.. – Hai fatto bene.
È uno stronzo..- Chiara beve
un altro intenso sorso della sua birra dopo aver detto quelle parole
fatidiche
che la soddisfano, per poi riprendere il suo sfogo incazzato –Non
può aver fatto un figlio con un'altra e
pretendere che tu resti a guardare e che ti vada bene. Ok i sentimenti
ancora
ci sono e tutti lo sappiamo. Sappiamo quanto è stata
importante la vostra
storia ecc.. però un figlio è qualcosa di grosso.
E poi se ha quattro anni,
quanto tempo dopo di te si è trovato un'altra?.- sospiro
-Si sono incontrati tre mesi dopo che ero partita.- ho un
groppo in
gola. Possibile che mi abbia rimpiazzato veramente così in
fretta ? –Ah..-
Chiara appoggia, di nuovo, pesantemente sul tavolino la sua birra. Di
nuovo
silenzio, tutte stiamo pensando la stessa cosa. Ha fatto in fretta a
sostituirmi. Amara consolazione, penso ai ragazzi che ho avuto a
Londra. E io
che ci ho messo circa sette mesi per tornare ad avere una vita sociale
e a
pensare di avere una possibilità con l’altro
sesso. Sospiro. –Sicuramente troverete
un modo per risolvere questa situazione. – sorrido. Non ho
bisogno di alzare lo
sguardo so chi ha parlato. Marta. L’ottimista, la mediatrice.
Sorrido. La fisso
e mi si addolcisce lo sguardo. Appoggia anche lei la sua birra e
riprende a
parlare –Si, la risolverete, alla fine l’avete
capito e tutti lo sappiamo, come
ha detto Chiara, che i sentimenti ci sono ancora e che la vostra
è stata una
storia importante.. forse mai conclusa e quindi dovete parlare e
trovare un
modo per riavvicinarvi.- Silenzio.
Non
ha tutti i torti. –Si però non dobbiamo
dimenticare come ti ha trattata. Ci
sono i pro e i contro di quando vi siete lasciati in un modo
così poco carino,
diciamo. Lui praticamente non ti voleva nemmeno guardare in faccia e ha
preferito credere a una voce detta da chissà chi, piuttosto
che a te .. - Elena
mi fa osservare la realtà e le
possibilità da tutti i punti di vista. Giusto.. la
fantomatica voce sul mio
tradimento. Tzè mi sale una rabbia se ci penso!
–Giusto. Vedi doppio stronzo. Ti
ha lasciato da parte e non voleva vederti, in più si
è trovato un’altra..
carino!- Chiara mi guarda irritata. –Certo, è
vero. Però si può chiarire anche
questa cosa. Lo sappiamo tutte che tu non l’hai tradito e
dopo tutto questo
tempo e dopo tutto quello che è successo, sono sicura che a
lui non interessa
più e basta ripeterglielo ancora una volta che non hai fatto
niente. Se si
parla e ci si confronta tutto si può sistemare. –
Annuisco. Hanno tutte
ragione, ma sono più confusa di prima. Si può
davvero sistemare tutto? Sospiro.
Un po’ abbattuta. Guardo Eleonora che è rimasta
nel suo angolino e non ha
ancora parlato. Non ha toccato il suo cocktail e guarda in basso.
–Ele che c’è?
Non ti senti bene?- Mi guarda ed è pallida. Mi preoccupo.
–Ele?!- Scuote la
testa. –Scusa. Scusa. Scusa. Scusa e ancora scusa.
– La guardo e non capisco
cos’ha e perché si sta scusando. –Di
cosa scusa? Non hai fatto niente.. –
continua a scuotere la testa. –Dimmi cosa
c’è!- mi sto incazzando adesso. –Io lo
sapevo.. – la guardo, la fronte aggrottata per decifrare il
messaggio che sta
cercando di mandarmi. Tutte la osserviamo stranite. –Cosa
sapevi ?- Sospira.
Non mi guarda in faccia. –Di Enea.-
silenzio. –Sapevo che Fede aveva un figlio. -
Sgrano gli occhi e rimango stupefatta. Anche le altre
trattengono il
respiro dallo stupore. –Tu cosaaa ?!- Mi guarda con due occhi
imploranti. –Scusa.
Scusa. Ma me l’ha fatto promettere. Mi ha detto di non dire
niente a nessuno
del suo problema con Gloria e di Enea. Soprattutto mi ha detto di non
dirlo a
te. Mi ha detto che non aveva più importanza ormai dirti
quello che succedeva a
lui, tanto tu eri a chilometri di distanza e non ci sarebbe stato il
modo, per
voi due, di rivedervi e tornare ad avere un rapporto, anche minimo. Non
potevo
sapere che l’avresti incontrato. E io, non sai quante volte,
avrei voluto
parlartene, ma non potevo, l’avevo promesso. – Lo
vedo che è dispiaciuta. Ma io
sono troppo arrabbiata per poterla perdonare, ora.
Mi sento tradita. –Tu lo sapevi ? E come hai
potuto tenermelo nascosto? Dovevi dirmelo. Non me ne frega niente di
nessuna
promessa. Dovevi dirmelo. Punto. Sono la tua migliore amica. Siamo
cresciute
insieme e ci siamo sempre dette tutto. Una cosa così
importate dovevi dirmela!-
Ora sto urlando e il locale ci guarda. Prendo le mie cose e esco. Non
riesco a
stare in quel posto. Sono bollente e ho i nervi a fior di pelle. Mi
catapulto
fuori e fa freddo ma non lo sento. Dopo circa cinque minuti anche le
altre sono
fuori e mi seguono, ma io cammino svelta e non mi fermo ad aspettarle.
–Sere,
aspetta. Ragiona un attimo.- Marta mi richiama all’ordine, mi
dice di usare la
testa. –Scusami davvero, lo sai che te l’avrei
detto se avessi potuto.- La voce
piena di dispiacere e rammarico di Eleonora mi colpisce, ma ora mi
irrita e
basta. Mi giro di scatto. –Tu lo sapevi?! Io non posso
crederci.. magari lo
sapevi da un sacco di anni. Da quando è nato. E non mi hai
detto niente. Per
tutti questi anni abbiamo parlato di stronzate e di quanto mi mancava
lui e
come non riuscissi a stare con altri uomini e tu non mi hai detto
questa cosa?
.. non posso crederci- parlo veloce, accaldata e senza pensare. I miei
battiti
sono accelerati e il mio cuore pompa sangue e rabbia. –Cazzo,
Sere, sta calma.-
Chiara mi ha raggiunto ed è spaventata nel vedermi
così incazzata. –Non dirmi
di stare calma, Chia!- La guardo furente. –Cosa potevo fare?
Ci siamo sentiti e
scontrati un paio di volte, non siamo in confidenza come prima, ma mi
sono
imbattuta in lui e in Enea, quando il piccolo aveva due anni.. non
potevo non
fargli delle domande a cui lui ha gentilmente risposto, ma ha voluto in
cambio
riservatezza. Cosa potevo fare? È mio amico. E se mi chiede
un favore io cerco
di fare il possibile.- Ha ragione. Lo so che ha ragione. So che anche
io avrei
agito così. Ma mi fa incazzare tutta questa situazione. mi
manda fuori di testa
l’idea di lui con un'altra e che la mia migliore amica
sapesse tutto senza
dirmi mai niente. E che io come una scema, le confidassi quanto ancora
provassi
sentimenti profondi per il mio ex che invece si scopava un'altra che ha
anche
messo incinta. Mi faceva incazzare tutta questa situazione.
perché non doveva
andare così. La mia vita non doveva andare così.
La nostra vita non doveva
andare cosi.
Sento le lacrime rigarmi le
guance. Non ho la forza per
trattenerle perché nemmeno mi accorgo che ho gli occhi
lucidi e che piango. Ho solo
voglia di urlare e tornare indietro. Per cambiare tutto e fare tutto
per bene.
Mentre sento l’odore della pioggia e un temporale in
lontananza, Chiara mi
abbraccia e mi stringe forte. Tutte
si
avvicinano e mi stringono. Tranne Eleonora che mi guarda e aspetta che
io la
perdoni. Anche se sa che l’ho già fatto.
Perché ora ce l’ho con il destino, il
fato, Dio.. la vita, chiamatela come volete. Che è molto
diversa dai mille
progetti che avevo costruito in testa e nel cuore.
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 : Gate 8 ***
Scusatee il mega ritardoooo! Solo ora
riesco ad avere un
momento di pausa dagli esami universitari! Spero che gli ultimi
capitoli vi
soddisfino.
Grazieee!
Capitolo 6: Gate 8
E’
passata una settimana. Mi sto organizzando per partire. Torno a
Londra. La mia nuova casa, la mia nuova vita. Il mio nuovo inizio. Non
è per
questo che si parte? Per ricominciare da capo? Magari cercando di
evitare di
sbagliare. Ancora, di nuovo. Ci avevo provato. E, prima di tornare qui,
mi
sembrava di esserci riuscita. Di aver messo da parte la mia vecchia me
e i miei
vecchi problemi mentali, le
mille paure
e paranoie. Ora, guardandomi allo specchio, riesco
a capire che mi ero illusa. Niente era
stato dimenticato, niente era stato cambiato. Era ancora tutto li, dove
l’avevo
lasciato. Dove l’avevo nascosto e mi ero auto convinta che stavo andando bene,
che ce la stavo
facendo, che stavo
sorgendo dalle mie
ceneri. Ma io non sono una fenice. E non risorgo. Mi rialzo e cerco di
rimettermi in piedi, nonostante le gambe tremino, nonostante i piedi
facciano
male e i polmoni fatichino a respirare dopo i colpi incassati.
Perché di colpi
ne avevo incassati e, osservandomi, quasi potevo vedere i lividi sotto
la
superficie lattea della mia pelle. È passata una settimana.
Fede mi aveva
chiamato. Io avevo risposto. Avevamo parlato per circa due o tre
minuti. Poi è
calato il silenzio. Non sapevamo cosa dirci, cosa prometterci, cosa
aspettarci.
Lui aveva richiamato. Io ho smesso di rispondere. Ora anche lui ha
smesso di
chiamare. Ha smesso di tentare. Forse, anche di sperare. Tre giorni di mutuo
silenzio. Forse era
meglio così. Forse era questo il modo migliore per dirsi
addio. Addio.. Così pensante da
dire. Non l’avevo ancora
detto ad alta voce. Ne avevo paura. Troppa per poterlo sentire con le
mie
orecchie, espresso dalla mia voce.
Sospiro. Comincio a sentire freddo. Un'altra giornata,
tiepida, qui a
Milano. Il sole splende sulla giungla d’asfalto. Anche il
tempo sembra
prendermi per il culo. Io ho ancora le finestre chiuse e le tapparelle
abbassate. I miei sono usciti stamattina presto. Io resto prigioniera
della mia
gabbia di cemento. Una gabbia che io stessa ho costruito. Una gabbia
buia, che
mi fa sentire ancora più da schifo.
Sono
le nove e mezza e sono nuda davanti allo specchio del bagno. Ho appena
fatto la
doccia. E’ da quella sera che ho quest’angoscia nel
petto, questa sensazione di
sconfitta. Di aver perso. Tutto, che poi forse è niente. Sospiro. Mi rivesto. E mi mando a quel paese da
sola. Perché sono
una cretina. Una cretina, depressa e acida.
Con rabbia tiro su le tapparelle e apro le finestre.
Facciamolo entrare
questo benedetto sole, lasciamo che continui a prendersi gioco di me e
del mio
stato d’animo grigio e cupo, mentre lui, d’oro e
splendente, infiamma il cielo
azzurro. E mentre mi rivesto distratta vendo il mondo fuori che si
muove e
vive, anche senza il mio contributo attivo. Resto passiva. E sento la
vita che
mi fotte. Forse mi sta bene, forse era questo che mi dovevo aspettare.
Butto
le ultime cose che trovo in giro nelle valige. Decido sempre di
partire con una valigia piccolina e la mia borsa e poi mi ritrovo con
le cose
divise e sparpagliate in due, gigantesche, valige. Manco fossi stata
via sei
mesi, in una città arretrata, tipo del terzo mondo. Sbuffo.
Oggi torvo che ogni
cosa mi irriti. Mi irrito persino da sola, mi irrita persino questa
vocina
della mia coscienza che mi parla con tono strafottente da sottuttoio..
Prendo
una mela e la addento con rabbia. Oggi faccio tutto con rabbia, ma la
rabbia
può essere positiva, ti spinge a dare il massimo e a fare
tutto con forza,
tenacia. Ma la mia, oggi, non è una rabbia positiva.
‘Fanculo! Che
autocommiserazione di merda. Proprio non ce la faccio … mi
irrito da sola!
L’aereo
parte tra tre ore. E i miei stanno per tornare, per portarmi
all’aeroporto le consuete due ore prima, inutili, che mi
fanno solo
spazientire. Tzè. Ok, ora basta, cerchiamo di darci una
calmata. Mi sciacquo le
mani e faccio mente locale su ciò che devo portar via:
computer, telefono,
vestiti, libri, portafoglio, biglietto.. Una lista infinita
… ok, dovrei avere
tutto. Sospiro. Guardo il cellulare e in quel momento mi arriva un
messaggio :
- Veniamo tutte a salutarti in aeroporto, non hai modo di controbattere
e di
dire che non vuoi, siamo già là, praticamente.
Quindi taci e ci vediamo dopo.
Bacini.- Chiara. Riesce sempre a dirti le cose come se ti desse due
schiaffi,
ma con quella tenerezza e quell’affetto che alla fine, di
sberle, ne vorresti
altre, da lei. Non so come fa. Ma ci riesce. Sorrido, allegra e amara,
a quel
messaggio. Dire di nuovo a tutte un “a presto”
tirato e velato dalle lacrime,
mi fa sentire il cuore pesante. Pesante e stanco. Ma dovevo tornare.
Ora la mia
vita è Londra e ho dei doveri. Ho un lavoro e un
appartamento. Giusto ? Giusto!
Sbuffo. Non ne sono molto convinta.
Il
tempo passa lento, ma mai abbastanza. I miei sono tornati e ora mia
madre mi sta tempestando di domande chiedendomi se ho questo, quello e
quell’altro. Alla fine sento solo un ronzio di sottofondo. Mi
scombina il
cervello la sua voce. Come quando abitavamo ancora sotto lo stesso
tetto: dopo
i primi dieci minuti di sfuriata, quando era incazzata, staccavo il
cervello.
Lo mettevo in standby. Se no impazzivo. E, forse, un po’ sono
impazzita lo
stesso.
Carichiamo
tutte le immense valige sulla macchina e partiamo. La strada
mi sembra lunghissima e tutto sembra muoversi a rallentatore, come se
mi desse
il tempo di guardare, osservare e salutare ogni cosa per
l’ultima volta. Dopo
quest’avventura italiana, forse non tornerò tanto
facilmente. La possibilità di
rivivere tutto mi sconvolge già ora, e non credo di averne
il coraggio. Mi
addormento in macchina e quando arriviamo
mi sembra di aver appena chiuso gli occhi. Scendiamo, io e le mie
gigantesche
compagne di viaggio. Imbarco le valige che sono pesantissime e mi
faccio dire
il gate. 8. Gate 8. L’otto mi è sempre piaciuto
come numero, è sempre stato il
mio preferito. Ciccione e tondeggiante mi
ha, da sempre, dato un senso di simpatia. Sorrido un
po’. Sarà
un buon segno! Mi dirigo al gate le
trovo tutte lì, schierate le une accanto alle altre, le mie
quattro amiche più
mia cugina e il suo compagno. Che carini che sono venuti davvero.
Sembrano un
piccolo esercito in miniatura e un po’, con quelle loro facce
serie, mi fanno
anche paura. -Ehilà gentaglia!- le saluto così
per cercare di smorzare la
tensione. E loro sorridono. Missione compiuta. -Ehilà
pagliaccia!- rido.
-Smettila di chiamarmi pagliaccia, Chia. Ormai siamo cresciute..
Facciamo le
serie.- -Si, certo tu seria?! Allora stasera piove
all’incontrario. - rido
ancora. -Addirittura!- ci abbracciamo tutte. Che bello sentirle
così vicine,
così presenti. Sempre. Sorrido a mia cugina e la abbraccio
forte. Abbraccio
anche il suo compagno e mi sento meglio. Alla fine è bello
averli tutti qui e
sono più tranquilla, so che ci vorremo sempre bene. Io ci
sarò per loro e loro
per me. Questa certezza mi fa sorridere sincera e più
spensierata, lasciando da
parte, almeno per un po’, i miei casini.
Ci sediamo e parliamo di tutto, manca poco meno di mezzora
prima della
mia partenza. Chiacchieriamo spensierate e il tempo, stavolta, come
sempre
quando si è in buona compagnia, passa, davvero, troppo in
fretta. È arrivato il
momento dell’imbarco. -Bè bella gente vi devo
salutare..- Ecco, il momento
tanto temuto. Vedo le espressioni delle mie amiche cambiare e farsi
cupe,
tristi. Anche io sono triste. Cazzo, mi mancheranno un sacco. -Dai
ragazze, ci
scriviamo tutti i giorni e ci vediamo via skype. Dai, promesso!- Cerco
di fare
la dura e trattenere le lacrime. Vedo i loro occhi lucidi. -Certo che
ci
scriviamo. Tu ci devi aggiornare della tua vita mondana in
Inghilterra!- Sorrido.
Ci abbracciamo di nuovo. Mentre stringo Eleonora, lei mi sussurra
all’orecchio:
-Gliel’ho detto che partivi oggi!- Salto per la sorpresa tra
le sue braccia. Le
rispondo anch’io sussurrando: -Non era necessario. Oramai
è finita.- -Lo sai,
che non è cosi. Vi amate. Vi amerete sempre.- Una lacrima
calda, di ammissione
di colpa, cade traditrice sulla mia guancia. -Lo so..- Sospiro e mi
sposto da
lei. Le guardo tutte e sorrido. Abbraccio i miei. E saluto mia cugina.
Mi giro
di spalle e mi incammino verso l’entrata del mio aereo.
È la fine. Lascio tutto
e ritorno nel mio rifugio e nel mio mondo di sogni, sperando di poter
ripartire
da dove avevo lasciato. Sono quasi all’entrata quando sento
un grido:
-Aspetta!- La voce,
la voce..quella
voce. Il mio cuore batteva all’impazzata nella cassa
toracica. Ma per essere
sicura che fosse lui, avrei dovuto girarmi.. Presi un bel respiro e mi
voltai.
Era
lì di fronte a me, di fianco a Eleonora che raggiante e
sorridente
continuava a fare si con la testa.
Era
bello come sempre. Come un dio greco con quella sua pelle un
po’
abbronzata, i suoi capelli scuri e la sua barba perfettamente curata
per dare
l’impressione di non esserlo affatto. E quei suoi occhi
scuri, sinceri e veri
che mi guardano con un non so che di supplica, un’attesa e
una richiesta, una
paura e un’eccitazione che li facevano brillare come gemme
preziose. Ci
guardammo senza dire nulla per diversi minuti. Né io
né lui sapevamo bene cosa
dire. Lo guardavo e non vedevo altro. Il mondo intorno a me era
sparito,
inghiottito dal suo sguardo. Poi
sento
una pressione al ginocchio. Qualcuno che mi tira i pantaloni. Sorpresa
abbasso
lo sguardo. Enea con i suoi occhi azzurri, tendenti al grigio, mi
guardava con
un punto di domanda stampato sul volto. Mi abbasso per guardarci
negl’occhi:
-Ehi piccolo!- Sorrido -Ciao.- E’
restio
a parlare, ma dopo qualche minuto mi risponde. -Caio.. - Sorrido
ancora. -Come
stai?- -Bene.- -Bravo piccolo.- Gli accarezzo i capelli biondi con
dolcezza.
-Vai via?- La sua domanda schietta mi prende alla sprovvista. Sospiro
-Si
piccolo, torno da dove sono venuta. Torno a Londra.-
-Perché?- -Perché è la mia
casa, adesso.- -Questa non ti piace più?- -Bè..
No, questa sarà sempre la mia
casa speciale, ma a Londra ho il lavoro.- -E non puoi lavorare qui,
come il mio
papà?- Ora sono un po’ turbata. -No, piccolo. Devo
andare.- -Ma non è
giusto.- Non
immaginavo di stare a cuore
a quel bambino e ora, partire era ancora più difficile. Ma
era il mio dovere.
Dovevo farlo. Giusto ? … -Lo so, piccolo..- -Non voglio che
vai via, a me
piaci.- Sorrido, ora sto per piangere. Ho un groppo in gola. -Anche tu
mi
piaci, piccolino.. - -Allora resta. Papà sarà
contento.- Mi tremano le gambe.
Il cuore mi rimbomba nelle orecchie. -Dici? Davvero papà
è contento se resto?-
Alzo lo sguardo per guardarlo. Fede mi guarda preoccupato. Non so se
per me,
per lui o per suo figlio. Lo vedo sospirare e contrarre la mascella.
-Sisi,
papà è contento se resti.- Si volta e corre da
suo padre. Comincia a saltellare
sul posto: -Vero, papà? Vero, papà? Vero?- Fede
guarda suo figlio e non trova
le parole. Non sa cosa dire. Né a lui né a me.
Non sa se può rassicurare il suo
bambino che io resterò, non sa se è la cosa
giusta fargli credere delle cose
che poi non succederanno. Non sa che fare. Sospira. -Si,si, Enea. Anche
io sono
contento se la Sere resta.- Mi rialzo e quasi vacillo
dall’emozione. Fede
sposta gentilmente di lato il suo bimbo e gli sussurra piano qualche
parola,
mentre all’altoparlante sento pronunciare le tipiche parole
che avvisano che
sto per perdere l’aereo. Mi si avvicina piano. Ora siamo
faccia a faccia e
riesco quasi a specchiarmi nei suoi occhi densi. -Ciao.- Lo sussurra.
-Ciao..
Non dovevi venire per forza.- -No, non dovevo…- Abbassa il
capo -Ma ho scelto
di venire. Dovevo vederti.- -Si?! Come mai?- Sospira. Cerca di trovare
le
forze, le parole giuste. -Per dirti quello che cinque anni fa non sono
riuscito
a dirti.- Aggrotto
le sopracciglia. Ma di
cosa sta parlando? -Cioè?-
Mi guarda
intensamente, come se fosse caduto in trans, come se ci fosse un
segreto in
fondo ai miei occhi, un segreto che voleva conoscere e forse, quel
segreto, era
la mia anima, che gli è sempre appartenuta. -Resta- Spalanco
gli occhi e
socchiudo le labbra. Non so se ho sentito bene. Stupita e perplessa,
lui
capisce la mia confusione. Mi stringe le braccia con le mani, forti e
salde. Mi
guarda con ferocia, rabbia e sicurezza. -Resta.- E lo dice ad alta
voce, forse
tutto l’aeroporto l’ha sentito. Ma non mi
interessa. Alla fine, non ce l’ho
fatta a tratternere le lacrime. Ora, fissa nei suoi occhi piango.
Disperata,
senza trattenermi. E piango così forte che le mie gambe non
reggono. E mi siedo
a terra, trascinando con me anche lui. Tra le lacrime vedo che lui mi
osserva
incredulo e non capisce cosa sta succedendo. E cerco di contenermi, ma
non
riesco a impedire alle lacrime, salate, di sollievo di cadere copiose.
Lo
guardo e sorrido, mentre piango. Gli butto le braccia al collo e lo
stringo
forte. -Sono cinque anni che aspetto di sentirtelo dire.- E allora lui
ricambia
la stretta e mi tira a sé e mi fa alzare da terra,
così forte che mi fanno male
le costole, ma non mi importa. Non mi importa di niente. Nemmeno che
mezzo
aeroporto si è fermato a guardarci e i miei amici e
famigliari hanno le lacrime
agli occhi per la gioia. Non mi importa di niente. Solo della sua
stretta. E
quando mi lascia mi guarda con gli occhi lucidi. -Sei sicura che vuoi
restare?-
Scuoto la testa -Non chiedermelo più. Certo che sono sicura.
È con te che devo
stare.- E per la prima volta, l’ho visto piangere di gioia,
nei suoi occhi vedevo
un fiammella di felicità. E mentre ci guardavamo consapevoli
di aver raggiunto
ogni obbiettivo, sento due manine stingermi le gambe. Guardo in basso e
Enea è
lì con noi. Mi abbasso. Io guardo l’uomo che ho
sempre amato e nei suoi occhi
leggo un bisogno, una domanda. Sorrido. Guardo Enea e senza dire
niente, lo
abbraccio, forte. Lo tiro su con me. E chiudo gli occhi per inalare il
profumo
dell’innocenza. Li riapro e vedo di nuovo gli occhi lucidi di
Fede, che poi ci
abbraccia entrambi.
La
voce metallica dell’alto parlante annuncia l’ultima
chiamata del
volo per Londra. E io mi allontano con il mio nuovo presente e futuro
con il
sorriso stampato sul volto, ancora un po‘ rigato dalle
lacrime, mentre, dalle
vetrate alle mie spalle, l’aereo decolla.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7: Trasloco ***
Capitolo
7: Trasloco.
-Hai
preso tutto?- -Si, Fede!- -Sicura?- -Si, sicura.- -Ok.- -Poi non
ci trasferiamo a duemiliardi di chilometri di distanza da casa dei
miei. È solo
una mezzora da qui a casa tua.- -Nostra!- Si volta di scatto mentre gli
passo
l’ultimo scatolone che cerca di incastrare nel bagagliaio
dell’auto. Mi fissa
deciso e sicuro. -Giusto, scusa, casa nostra.- Mi fa ancora strano
dirlo. Mi
viene spontaneo sorridere beata.
Sono
passate solo due settimane da quel giorno all’aeroporto e
adesso
abbiamo deciso che non c’è più nessun
motivo per aspettare. Abbiamo deciso che
vogliamo viverla insieme questa bella vita. Io, lui ed Enea. E la
vogliamo
vivere sotto lo stesso tetto. Quando me l’ha proposto pensavo
scherzasse. Ora
guardando la macchina stracolma della mia roba, capisco che
è tutto vero. Gli
do un bacio a fior di labbra, mentre lui, soddisfatto, chiude il baule.
Mi
sorride. Sale in macchina. Io mi volto e do uno sguardo veloce al
condominio
che mi ha ospitato per tutti questi anni e che adesso non
chiamerò più casa.
Perché, ora l’ho capito, casa mia è
dove sta l’uomo che amo.
Viaggiamo
tranquilli mentre io, come solito, canto una canzone
romanticissima a squarciagola e lui ride. Mi sono mancate queste
piccolezze,
questi gesti innocui. Mi è mancata la sua risata allegra, e
mi è mancato sapere
che la causa di quella risata sono io.
Arrivati
a casa passiamo l’intera giornata a riorganizzare lo style
dell’appartamente, per farci stare le mie duecentomila cose
che non posso non
avere. E a pomeriggio inoltrato ci mancavano ancora una buona parte
degli
scatoloni -Ma quanta roba hai?- Si siede per terra stanco e sconvolto
-Tanta.-
Mi siedo accanto a lui, altrettanto stanca e stravolta. -Si, troppa
direi.- -Ee
mi serve!- Rimaniamo in silenzio per riprendere le forze. Enea entra
spalancando la porta come un mini uragano che devasta ogni cosa, pieno
di
energie entra in casa e comincia a parlare a raffica. Ci racconta tutto
quello
che ha fatto e cosa ha imparato. Cosa ha letto, cosa ha disegnato ..
Non riesco
a stagli dietro. Guardo Fede e gli sussurro: -Ma è sempre
cosi ?- Lui mi
sorride comprensivo e annuisce. O mamma mia! Però sorrido
allegra. Quel piccolo
pazzo mi fa passare la stanchezza e allora mi alzo e lo prendo in
braccio. Lo
porto sul tappeto e comincio a fargli il solletico ovunque. Ride, ride
forte e
alla fine scappa via e io lo inseguo per tutta casa, praticamente
distruggendone mezza. Fede scuote la testa e ride, mentre si rialza e
sistema
un altro po’ di cose.
A cena
le forze si erano esaurite. Mangiamo in un silenzio felice e
pacifico. Mezzora dopo Enea si è addormentato sulla sedia.
Insieme, io e Fede
lo portiamo in camera sua e lo cambiamo in un mutuo silenzio e accordo.
Come se
facessimo questa cosa da anni, invece che da pochi giorni. Non era la
prima
volta che mi fermavo da loro a dormire. Lo mettiamo a letto e lo
guardiamo
dormire per qualche minuto, mentre sento le sue braccia forti
stringermi la
vita e il suo mento fare pressione sulla mia spalla. Appoggio la testa
alla sua
e tutto mi sembra aver trovato il suo equilibrio.
Finito
di sistemare la sala e la cucina, finalmente ci possiamo
concedere il nostro meritato riposo.
Mi
spoglio e indosso la mia mini camicia da notte bianca-trasparente.
Mi infilo sotto coperte e lui mi raggiunge poco dopo. Sento il suo
respiro
contro il mio collo e le sue mani cingermi i fianchi. Sono stanca. Ma
non così
tanto. Sorrido, maliziosa.
Mi
giro vero di lui e i nostri nasi si sfiorano, mentre vedo il suo
sguardo farsi languido ed esigente. Lascio correre i miei occhi sul suo
corpo
ben definito, mentre la mia mano ne segue i lineamenti e mi accorgo che
indossa
solo un paio di boxer blu scuro, attillati. Sorrido. Allora era tutto
programmato. Lo guardo e sorride anche lui.
Mi stringe a sé. Forte ed eccitato. Sento la
sua virilità premuta contro
le mie cosce. Chiudo gli occhi e sospiro. Lo guardo e ora lascio
intravvedere,
palesemente, la mia eccitazione.
Mi si
avvicina e mi bacia. Affondo le mie mani nei suoi capelli setosi
e lo attraggo a me, affamata, mentre con una gamba gli cingo la vita.
Ora
sento, ancora, più nitidamente la sua erezione fremere sulla
mia femminilità.
Sospiro. Lui scende a baciarmi il collo e
mi posiziona sotto di lui. Lascia una scia di baci e
scende sul mio corpo,
precorrendolo tutto. Si sofferma sui seni che ora accarezza dolcemente.
Lo
guardo. Stasera non mi va di essere dolce, stasera non mi va di
ricevere
dolcezza. O almeno, non solo quella. Inverto le posizioni e ora io sono
sopra
di lui. Mi siedo sul suo membro eretto e lo faccio sussultare. Sorrido.
Lo
bacio sulla bocca, con rabbia, con desiderio e gli mordo un labbro. Poi
scendo
sul petto e gli lascio una scia di tanti piccoli morsi. Lo guardo e ha
chiuso
gli occhi. Mi lascia fare. Sorrido, eccitata ancora di più,
ora che ho potere
decisionale. Scendo sui suoi addominali, mentre con una mano mi occupo
della
sua erezione. Con l’altra gioco con l’elastico dei
suoi boxer che, subito dopo,
vengono sfilati con fretta. Ora la sua virilità è
in bella mostra davanti a me
e io non posso che apprezzare quella magnificenza. Mordicchio la pelle
più
sensibile nell’interno coscia e sul linguine, lui sussulta e
cerca di sottrarsi
ai miei, vogliosi, morsi. Sento il suo respiro che si fa più
accelerato, mentre
gioco a testare il suo autocontrollo. Poco dopo, scendo con il volto e
racchiudo tutto il suo membro nella mia bocca. Prendo il ritmo giusto e
la sua
resistenza comincia a vacillare. A ritmo serrato e discretamente
veloce,
pregusto tutto il suo sapore, in tutta la sua lunghezza. Lo sento
pulsare e lo
vedo afferrare il lenzuolo o aggrapparsi al materasso. Vuole resistere,
ma io
non glielo permetto. Proseguo nel mio lavoro, che direi, è
più un piacere che
un dovere. -Sere, ti prego..così vengo.- ..è
proprio quello che voglio.. Gli
costa fatica trovare la forza per parlare e cercare di mantenere un
tono di
voce basso e normale.
Orgogliosa
proseguo. Poco dopo, lui cede e il suo seme mi inonda il
palato.
Soddisfatta
lo guardo, mentre ha ancora gli occhi chiusi e il respiro
affannato. Lo bacio e lui spalanca gl’occhi. Il suo desiderio
è palpabile e
visibile, nella scintilla quasi animalesca, che infiamma le sue
pupille. Si
mette a sedere per baciarmi con più foga, facendomi
appoggiare le ginocchia al
materasso e facendomi sedere su di lui. Sento le sue mani calde vagarmi
sulla
schiena, impazienti. Raggiunge il reggiseno e me lo toglie. Mi bacia
sul collo
e mi stuzzica i seni, giocando con i miei capezzoli. Morde piano, ma
morde.
Finalmente! Ora abbiamo deciso che piega far prendere a questo
meraviglioso
gioco.
Fremo
sotto il suo tocco e inclino la testa indietro, per godere
appieno delle sue attenzioni. Le sue mani vagano ancora sul mio corpo
per, poi,
raggiunger il fondo schiena. Lo percorre con entrambi i palmi,
tastandone la
morbidezza. Poi lo stringe. Forte, rude. La sua mano grande quasi
riesce a
contenere la mia intera natica. Sento la stretta possessiva, tra il
dolore e il
piacere. Strizzo ancora di più gli occhi. Tutto questo
comincia a piacermi
molto..potrei abituarmi.
Mi alzo, leggermente, con un
colpo di anche e mi aiuta, sorreggendomi, per spogliarmi del mio ultimo
indumento. Ora siamo entrambi, completamente, nudi, l’uno
appoggiato all’atra.
Lo guardo ancora una volta negli occhi profondi e interrompo per un
secondo il
contatto delle nostre labbra. Cerca famelico il contatto con la mia
bocca, ma
lo tengo a debita distanza. Voglio guardare il momento esatto in cui mi
penetra. Lo guardo ancora e in quella posizione, con un colpo di reni,
lo
faccio entrare in me. Un sospiro, di liberazione e di completezza, mi
sfugge
tra i denti. Lentamente cominciamo la nostra erotica danza,
l’uno legato
all’altra. A ogni spinta lo sentivo scivolare sempre
più in profondità,
cercando il mio punto più sensibile. Chiudo gli occhi e
lascio che il ritmo
lento e cadenzato si impossessi di tutto il mio corpo. Lo vedo
stendersi sul
letto, appoggiando la schiena. Sotto di me, lo vedo lasciarsi andare,
lo vedo
chiudere gli occhi e sorridere, mentre ascolto il suo respiro farsi
affannoso e
vedo il suo diaframma alzarsi e abbassarsi sempre più
velocemente. Vederlo così,
in balia dei miei gesti e delle mie decisioni, mi eccita ancora di
più. Decido
di rendere la cosa un po’ più movimentata.
Appoggio entrambe le mani sul suo
torace e mi piego leggermente, per approfondire ancora di
più la penetrazione.
Accelero i movimenti del bacino e mi muovo sempre più
velocemente. Comincio a
perdere la capacità di ragionare chiaramente. Il piacere mi
stordisce. Le sue
mani, ora, sono sui miei fianchi e mi incitano a non smettere. Mi
stringe con
possessione, come se si stesse aggrappando a me per non cadere,
completamente,
preda del piacere crescente. I
movimenti
si fanno meno distinti e non riesco più a riconoscere il
ritmo e la fine o
l’inizio del mio corpo. Comincia a mancarmi il respiro e
comincio a sentire
l’eccitazione crescere, in fretta e senza controllo. Apro gli
occhi e,
nonostante lo sguardo appannato, lo vedo alzarsi e mettersi seduto.
Spinge i
fianchi contro di me con violenza, quasi volesse entrare in me con
l’intero
bacino. I miei gemiti cominciano a farsi più frequenti e
rumorosi. Poco dopo,
con le braccia intorno alle sue spalle e le unghie premute contro la
sua pelle,
leggermente sudata, raggiungo l’orgasmo. Cerco di trattenere
l’urlo di piacere
e soddisfazione, mordendomi le labbra. Lui non fa cenno di volersi
fermare e
continua a muovermi e muoversi, ancora, finché non cede e,
anche lui, raggiunge
l’orgasmo, gemendo sommessamente.
Esausti
ci accasciamo sul letto, io sopra di lui. Appoggio l’orecchio
sopra il suo petto e sento il suo respiro e il suo battito accelerato,
cercare
di calmarsi e tornare alla normalità. Mi abbraccia stretto e
alzo il volto per
guardarlo. Sorride e i suoi occhi dolci mi attraversano il cuore.
Sorrido,
felice. Mi alzo e lo bacio per poi tornare nella posizione di prima.
Con mano
lesta prende il lenzuolo e ci copre entrambi, mentre mi da un
tenerissimo bacio
sul capo. Ora torniamo al nostro respiro regolare. Prima di
addormentarmi,
sento le sue carezze spostarmi i capelli: -Potrei abituarmi a tutto
questo.- Lo
sento sorridere. -Anche io.- E
quasi mi
metto a ridere. -Io
voglio abituarmi. -
Lo guardo un po’ perplessa e, nel buio della stanza, riesco a
intravvedere i
suoi occhi caldi, che come gemme luccicano d’emozione. -Resta
con me..- Sorrido.
-La verità è che non sono mai andata
da nessun’altra parte, Fede. Sono sempre rimasta qui..-
Sorride. E ci
addormentiamo, consapevoli che è questo il nostro destino.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8: Proposte ***
Capitolo
8: Proposte.
Il
sole mi sbatte in faccia, annunciandomi l‘arrivo, incombente
della
mattina. Io rimango distesa nel letto ancora un po’, mentre
strizzo gli occhi
per far finta di nulla e do le spalle alla finestra.
Sonnecchio
nelle lenzuola tiepide, lisce e leggere, che ormai ho
imparato a conoscere. Il
materasso
comodo e il cuscino morbido, mi
invitano
a restare ancora al loro cospetto e io non mi faccio di certo pregare.
Dormire
è sempre stata una mia grande passione. Sento dei passi
leggeri varcare la
soglia e un tintinnio arrivare con loro. Non voglio aprire gli occhi.
Mi sposto
appena, arrotolandomi ancora di più nelle lenzuola bianche.
-Buongiorno,
dormigliona!- La voce di Fede mi raggiunge, squillante e calda. Come
sempre.
Mugugno una risposta non ben definita e schiaccio la faccia contro il
cuscino.
-Sveglia, sveglia! C’è la colazione!- Alzo un
po’ la testa e vedo il vassoio
appoggiato di fianco a me. Mi alzo di scatto e mi metto a sedere.
Sbalordita lo
guardo. -Mi hai portato la colazione a letto ?- Lui mi guarda
preoccupato -Si.
..- Sorrido a trentasei denti, o forse, a trentanove, non lo so, di
certo era
un sorrisone -Mi hai portato la colazione a letto! - e mi fiondo sul
croissant,
che, con mia squisita sorpresa, è al cioccolato: il mio
preferito. Lo guardo
con due occhi sognanti e colmi di gratitudine. Sbatto le palpebre, come una cerbiatta e lui
ride. –Bè, vedo che
hai gradito.- Scuoto la testa, affermativamente, mentre bevo il
cappuccino
-Assolutamente!- e lui ride di nuovo. -Hai i baffi di latte, aspetta.-
Si
sporge verso di me, prontamente armato di un tovagliolo. Mi si avvicina
veloce
e il mio cuore comincia a perdere i battiti. Cazzo, so lui mi fa sto
effetto da
droga anestetica che rallenta, ma allo stesso tempo eccita, ogni parte
del mio
corpo. Mi fissa le labbra e lo vedo deglutire, agitato. Poi mi guarda
fisso
negl’occhi. I suoi pozzi scuri incontrano i miei cioccolato.
Delicatamente, mi
passa il tovagliolo intorno alle labbra e compie il suo lavoro, da
bravo
ragazzo, senza fare altro e si rimette al suo posto. L’aria
intorno a noi è
diventata elettrica. Deglutisco. -Che ore sono?- Una domanda
più idiota non la
potevo fare. Ma cosa me ne fregava a me di che ore erano? Ma io non lo
so!
Brava, Serena, ottimo. Capacità di fare domande cretine,
direi, 100 e lode. Scuoto
la testa per scacciare via quella vocina fastidiosa. Lui si volta per
guardare
la sveglia sul comodino -9.15.- Si volta e mi sorride.
–Bè, pensavo più tardi,
mi hai fatto credere di aver dormito novecento ore!- Ridiamo -Ma non
devi
essere al lavoro a quest’ora?- -Si, in teoria. Ma ho portato
Enea all’asilo e
ho deciso di prendermi la mattinata libera.- Sorride e socchiude gli
occhi.
Sembra davvero felice. Sorrido anche io. -Bravo, hai fatto bene..- Poso
la
tazza e sposto il vassoio. -Sai..- mi avvicino gattonando davanti a lui
con
indosso solo la mia biancheria nera di pizzo, che mi hanno regalato
quelle tre
pazze di Chiara, Marta e Eleonora. Praticamente potevano anche evitare
di
comprarmi quel completo, perché era come non indossare
nulla: tanga striminzito,
uno stuzzicadenti, di pizzo, e un reggiseno trasparentissimo che non
copriva
assolutamente niente! - … ho qualche idea su come riempire
questa vuota
mattinata..- Sorrido, un po’ troppo maliziosamente. Lui mi
guarda e mi lascia
vedere come apprezza il regalo delle miei amiche, mentre studia ogni
centimetro
del mio corpo. Sorride. -Ah si?!.. Credo di aver capito..- Mi si
avvicina e mi
bacia a stampo, un po’ rude. Sa che mi piace quando fa
così. Mi avvicino ancora
di più e lascio che lui si stenda sul letto, mentre io lo
sormonto senza
problemi. Ci baciamo appassionatamente, famelici come se non lo
facessimo da
anni.. Ma l’ultima volta era stata, proprio,emm.. ieri sera.
Ormai è diventato
un rito, prima di
addormentarsi: fare
l’amore. Perché era di quello che si trattava.
Fare l’amore. E non il sesso.
Perché tra di noi c’era quella
complicità, che solo gli amanti anno, tra noi
c’era quella passione e quel trasporto, che con nessun altro
avevo mai provato.
Certo, di sesso, anche con altri, ne avevo fatto. Ma questo.. Questo
cercarsi,
trovarsi, amarsi fino a stancarsi e poi addormentarsi l’uno
tra le braccia
dell’altro, non era la stessa cosa. E poi.. Con lui era
così,dannatamente,
bello. Così, fottutamente, erotico e non mi sentivo mai
stanca, mai sazia. E lui
lo sapeva e giocava a provocarmi e poi a farmi sentire una donna un
po’ senza
scrupoli e senza valori, mentre io lo chiamavo pudico e finto casto. Tutto
faceva parte del nostro tacito accordo di stuzzicarci e
provocarci. È
sempre stato così e mi è sempre piaciuto.
Le sue
mani presero subito possesso del mio sedere, stringendolo
amabilmente. E mentre lo baciavo e mi strusciavo sopra il suo copro
fremente,
ripercorrevo i ricordi degli ultimi mesi.
Infatti, ormai, sono dieci mesi che viviamo insieme.
Abbiamo raggiunto
un equilibrio quasi, oserei dire, famigliare. Lui porta Enea
all’asilo, io lo
vado a prendere. Lui prepara la colazione e io la cena. Sistemiamo
insieme
l’appartamento e andiamo a fare spese insieme, con Enea che
trotterella felice
per i corridoi dei centri commerciali.
Lo
bacio e non riesco a non sorridere. Lui se ne accorge: -Cosa
c’è da
ridere?- -Nulla,
nulla.- Riprendo a
baciarlo. -Aspetta..- Mi fa alzare. Seduti, sul letto ci guardiamo.
-Che c’è?-
Non voglio interrompere il nostro momento idilliaco. -Perché
sorridevi?-
Sospiro. -Perché sono felice.- Mi guarda piacevolmente
sorpreso -Davvero?- Mi
avvicino a lui e lo abbraccio. Sono seduta sulle sue gambe e riesco a
sentire
un rigonfiamento, non del tutto completo, all’interno dei
suoi slip bianchi.
-Certo che si! Come posso non esserlo?!- Sorride dolce, mentre mi
accarezza il
viso. -Anche io sono felice. E sembra che lo sai anche Enea.- Sorrido. -Si, sembra
proprio di si.-
rimaniamo in silenzio a guardarci negli occhi. A volte le parole non
servono.
Possiamo leggere, nelle nostre pupille, l’amore che ci lega.
-Lo sai che giorno
è oggi?- Ci penso un attimo -Oggi è il nove
marzo.- Sorride - Si.. Quindi?-
Rifletto ancora un po’,
ma non riesco a
capire a cosa si riferisce. –Sei anni fa, ci siamo baciati
per la prima volta.-
Lo guardo con infinita dolcezza e quasi mi metto a piangere
dall’emozione. -Te
lo ricordi ancora?!- -Certo, che si! - si è quasi offeso.
-Poi oggi sono dieci
mesi che viviamo insieme.- Gli do un bacio sincero e lungo. -Sono stati
dieci
mesi fantastici, Fede, davvero. Non sono mai stata così
felice.- Mi guarda, compiaciuto
-Anche per me è lo stesso.- Mi
bacia. -Lo sai che ti amo.- -Ti
amo
anche io.- Un altro bacio.. -
Potremmo
andare fuori a pranzare, per
festeggiare.- -Mm..magari prima finiamo quello che stavamo iniziando
eh?!- Sorrido
e mi butto sopra di lui e lo sento ridere. -Sei proprio insaziabile!-
Gli bacio
le labbra, le guance, il collo e mordicchio la pelle che trovo sul mio
percorso
-Ovvio!.- Rido e lui ride con me, mentre le nostre bocche si cercano
ancora. Ci
baciamo con foga, ma lui interrompe la danza di lingue e mi bisbiglia
nell’orecchio una proposta, che è più
un comando, che lascia poco spazio ai
commenti e alle lamentele: -Spogliati e lasciati guardare. - Perplessa,
lo
guardo con gli occhi spalancati, piacevolmente sorpresa della sua
naturale
sfrontatezza. Decido di obbedirgli, senza troppi complimenti. Scendo
dal letto
e improvviso un lento e sensuale strip tease. Lui si stende comodo sul
letto a
pancia sotto, per godersi appieno lo spettacolo. Tolgo il tanga con un
gesto
veloce e deciso, mentre per il reggiseno ci metto un po’ e
quando l’ho slegato
e sto per lasciar liberi i miei seni piccoli e sodi, mi giro di
schiena,
fingendo una castità che non mi appartiene. Sento lamenti e
proteste arrivare
dal letto. Mentre rido di quel gioco, nato dal niente, mi giro, di
nuovo,
ritrovandomi completamente nuda di fronte a lui. Mi fa cenno di
avvicinarmi e
io obbedisco. Ora riesco a toccare il materasso con le ginocchia. Lui
si mette
a sedere, mentre lascia correre lo sguardo, con sfacciata lussuria, su
tutto il
mio corpo. Riesco quasi a cogliere i suoi pensieri e per un attimo lo
vedo
umettarsi le labbra. Passa le sue mani grandi e calde, lungo le mie
cosce per
poi salire, impaziente lungo le mie natiche. Raggiunge il bacino e
accarezza il
mio ventre, per poi correre sui seni, le spalle e l’incavo
del collo. Mi prende
il volto tra le mani e mi bacia con passione, facendomi cadere sul
letto, sopra
di lui. Si volta e mi porta con sé trascinandomi sotto il
suo peso. È un
vortice di mani, lingue, passione e desiderio. Due corpi che cercano il
loro
vero posto l’uno nell’altro.
Le sue
mani frementi raggiungono la mia femminilità, mentre affonda
sempre di più la sua lingua nella mia gola. E presto trovano
il lavoro adatto a
loro. Stimolano il mio clitoride e, con due abili dita, penetrano ogni
mia
barriera. In poco tempo, questo lavoro di mano, ben ritmato, mi fa
raggiungere
l’apice del piacere e vengo con un grido. Posso lasciarmi
andare completamente
alle grida di piacere, tanto siamo soli in casa, e questa volta non
c’è nulla a
trattenerci.. Mi guarda, mentre l’orgasmo mi fa perdere il
filo dei pensieri e
quando riapro gli occhi è sopra di me con gli occhi lucidi
di voglia e la bocca
semiaperta. -Sei bella da morire..- Sorrido e lo tiro verso di me,
soffocandoci
in un bacio. In poco tempo, l’aria si fa bollente e sento
caldo. Un caldo che
mi fa avvampare, ma credo non sia solo per quello che ho il fiato
corto. Mentre
ci baciamo, lascio scivolare una mano lungo il suo ventre in direzione
del suo
pene, già turgido, che
aspetta fremente
la mia mano. Lo sento sussultare, quando raggiungo il mio obbiettivo e
trattenere un attimo il fiato, per poi lasciarsi andare alle mie
amorose cure. Con
gesti lenti percorro tutta la sua virilità, ma subito dopo
lui mi ferma e mi fa
girare. Ora sono a pancia sotto, con il materasso fresco che mi provoca
un bel
senso di refrigerio e lui sopra di me, che trova la posizione giusta.
Mi fa
chiudere le gambe e io, istintivamente, porto un po’ in fuori
il sedere. Ho
qualche idea su cosa vuole fare. Si inginocchia sul materasso
all’altezza del
mio sedere e lentamente, comincia a penetrarmi. Grazie al cielo decide
di non
provare la nuova possibilità del sesso anale,
perché sicuramente, avrei provato
dolore all’inizio.. Ci penseremo più avanti. La
penetrazione in quella
posizione è più stretta e intensa. Infatti, il
piacere che sto provando adesso,
è cosi scioccante che non trovo nemmeno il tempo e il fiato
per gemere. In poco
tempo con decise spinte ritmate, mi fa raggiungere il secondo orgasmo
di quella
mattinata. Subito dopo, lo vedo stendersi di più sulla mia
schiena, senza mai
toccarmi con il suo torace. Mette le mani sul materasso vicino alle mie
spalle
e vedo le sue braccia tese e sotto sforzo nel sorreggersi. Ora, in
questa
posizione, spinge ancora più a fondo e perdo del tutto la
cognizione di me e di
ciò che mi sta accanto. Sento solo il suo membro dentro di
me, scendere sempre
di più e il piacere aumentare, ancora, a ogni spinta.
Raggiungo
il terzo orgasmo con un grido forte e deciso. Subito dopo
altre due spinte, anche lui non si trattiene più e
sdraiandosi e rilassandosi
raggiunge, anche lui, l’apice del piacere.
Appagati
e soddisfatti ci abbracciamo con il fiato corto. Sorrido
contro il suo petto. -Ogni volta meglio..- e lo guardo. Ha gli occhi
chiusi e
sorride orgoglioso. -E’ tutta questione di allenamento. Tra
poco sarò un
professionista.- Rido e ci accoccoliamo, un po’,
l’uno tra le braccia
dell’altro.
Dopo
una doccia rinfrescante e una preparazione un po’ troppo
lunga,
sono pronta per il nostro pranzo e il nostro festeggiamento. Mangiamo
in piazza
Duomo, sotto un bel sole tiepido.
Ridiamo, scherziamo e parliamo di un po’ di
tutto, mentre mangiamo e
sorseggiamo buon vino. Arrivati al dolce, ordino un pezzo di torta al
cioccolato e lui una bottiglia di champagne. -Ah, così mi
vizi però!- Gli
sorrido e lui mi sorride -Bè è un momento
speciale. Si deve festeggiare. -
Sorseggiamo le nostre bollicine e mi sembra di essere una principessa
ad un
invito galante con un meraviglioso principe.
Il
pranzo ci aveva soddisfatto ed eravamo felici e leggeri. Andammo
insieme a prendere Enea all’asilo, il primo pomeriggio, visto
che aveva
chiamato in ufficio e si era preso anche il pomeriggio libero, con una
scusa
improvvisata di una malattia appena auto-diagnosticata. Portammo Enea
al parco
e ci divertimmo come matti tutta la giornata, per poi alle sei cadere
rovinosamente sull’erba umida tra le risate generali. Io e
Fede ci guardammo,
felici come non lo eravamo mai stati, per poi osservare Enea che rideva
a
crepapelle. -Dai dai, corriamo ancora.. - Quel bambino è un
vulcano! Ma come
fa?! Strizzai gli occhi e cercai di riprendere fiato. Mi siedo e lo
fisso un
attimo -Aspetta, fammi respirare.- e sorrido. Lui mi prende un braccio
e mi
tira verso di sé. Fede è seduto accanto a me..
-Dai, dai, dai.. Mamma dai!. - Rimango
spiazzata per circa una decina di secondi e il mio cuore fa un tuffo
nel vuoto
… Mamma?! .. No, avrò sentito male. Guardo Fede e
vedo che ha la bocca
spalancata e gli occhi fissi verso suo figlio, stupefatto. Enea mi
lascia il
braccio, ha capito che qualcosa non va. -Cosa ho sbagliato? - Lo guardo
e mi
sento in colpa. -No, non hai sbagliato niente.. Però mi hai
chiamato mamma. -
-Si, lo so.. - Cala un leggero silenzio imbarazzante. Guardo di nuovo
Fede.
Scuote la testa. -Non so che dire.- anche lui è sorpreso
quanto me. Enea si
siede di fronte a noi -Ci ho pensato.. Io la mia mamma vera non so chi
è, non
me la ricordo. E tu vivi con noi e vuoi tanto bene a me e al mio
papà. Mi piaci
e mi fai tanto ridere. Poi mi curi e mi racconti le
favole..è questo che fanno
le mamme.. - Lo guardo senza sapere bene cosa dire. Mi fa una tenerezza
infinita. Guardo Fede e gli accarezzo un braccio. -Credo che abbia
ragione.- Sorrido.
Lui mi guarda con due occhi grandi e commossi, pieni d’amore.
Io guardo quel
bambino adorabile e lo abbraccio forte. -Sono contenta che mi ritieni
la tua
mamma. Io sono felice .. Se lo posso essere sarò ancora
più felice.- lo guardo.
-Tu vuoi che io sia la tua mamma?- Lui è un po’
indeciso e non sa bene se lo
può dire, però è quello che prova :
-Si!- Mi guarda convinto. Sorrido e mi
metto un po’ a piangere. Lo abbraccio di nuovo. Forte e gli
stringo la testa, quella
magnifica testolina, con
una mano, come
fanno le mamme. -Ora vai a giocare. Ma
non ti allontanare.- Mi viene naturale.. Mi da un bacino veloce sulla
guancia e
corre via. Mi asciugo le lacrime e faccio appena in tempo a guardare il
volto
dell’uomo che amo, rigato dalle lacrime di gioia, che le sue
braccia mi avvolgo
in un abbraccio stretto, fino a farmi mancare il respiro. Restiamo
così per una
decina di minuti. Poi lui si scosta da me. Mi guarda serio -Sposami.-
Strabuzzo
gli occhi. -Eh?- -Sposami.-
silenzio
-Sposami. Enea ti considera sua madre e io ho sempre voluto te come
moglie e
madre dei miei figli. Era con te che dovevo avere Enea. Era con te che
dovevo
stare. È con te che devo passare il resto della mia vita,
mai, prima di adesso,
mi è parso così chiaro. Il mio destino
è con te. Sposami. E rimaniamo felici
per sempre.- Cosa
potevo fare? Cosa
potevo dire?
Cosa
potevo dire se non sì.
A dir
la verità, “sì”
l’ho urlato e tutto il parco si è girato a
guardarci, mentre gli saltavo addosso abbracciandolo esultante e
precipitando
di nuovo stesi sull’erba.
Ci
sposammo il sette maggio di quell’anno. Due mesi dopo la
proposta.
Non c’era motivo di aspettare.
Ora la
nostra casa è un po’ più grande. Enea
cresce in fretta ed è mio
figlio, in tutto per tutto, esattamente come i due gemelli, maschio e
femmina,
che sono in arrivo.
Che
dire..la mia favola si è conclusa. Anzi. È appena
iniziata.
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