Frammenti

di lady dreamer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** capitolo V ***
Capitolo 7: *** capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Settimo ed ultimo capitolo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Frammenti
 
Prologo.
 
Il suono stridulo
Di un violino
Non accordato.
 
Il tocco leggero
Di una mano inesperta
Sulla tastiera
Di un vecchio piano.
 
Il sapore dolciastro
Di una mousse al limone
Di un bar del centro.
 
Il frusciante eco
Dello chiffon rosa
Degli abiti chic
Delle damigelle
Di un matrimonio.
 
L’azzurro intenso
Della federa del cuscino
Per non svegliarsi mai
Con un umore nero.
 
Il rosso carminio
Del sangue innocente
Di chi non ha colpe
Se non quella di essere
Nel posto giusto
Al momento sbagliato.
 
Frammenti di vita.
Aleggia nell’aria
Il ritornello sussurrato
Di una vecchia canzone
Che esiste da sempre.
 
Frammenti di morte
Perché tutto quello
Che ieri era
Domani potrebbe
Non essere più. 

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Giulia.
Quanto tempo che non la vedeva! Gli sembrava fossero passati secoli da quando avevano finito il liceo, ricordava il giorno in cui erano andati insieme a leggere i quadri esposti in bacheca, ricordava che si erano abbracciati, ricordava l’emozione che aveva provato. Ricordava la festa che avevano fatto tutti insieme in pizzeria. Ricordava che avrebbe voluto baciarla, che quando l’aveva vista l’ultima volta lei gli aveva promesso che si sarebbero rivisti, che la loro amicizia non sarebbe finita così. Lui aveva sorriso, aveva annuito e l’aveva salutata infine con un gesto infantile della mano. 
Erano solo frammenti. Frammenti di una vita sempre a pezzi. Quanti anni erano passati? Cinque, forse sei. Lui si era laureato in architettura e lei? Cosa aveva fatto della sua vita? Era venuta a capo del suo più grande dubbio “Voglio continuare gli studi al conservatorio o laurearmi in lingue o entrambe le cose?” Si ricordava bene com’era fatta Giulia. Dietro quelle sei lettere c’era un mondo, un universo inesplorato pieno di colori, di frasi, di sguardi, di sorrisi che lui sentiva di aver compreso. Non aveva incontrato nessuno come lei, perché non esisteva un’altra Giulia. Perché se l’era lasciata sfuggire dalle mani? Perché?
In quel momento squillò il telefono.
Chi poteva essere a quell’ora? Il cuore gli suggerì una risposta che la mente non poteva approvare, ma in testa aveva solo Giulia.
“Pronto?”
“Lorenzo, sono io, ho un problema…”
“Noemi?! Che ti è successo?”
“A me niente, si tratta di mio fratello.”
“Paolo?!” Il ragazzo balzò in piedi.
“No, non ti agitare, calmati così ti spiego.”
“Cosa è capitato?”
“Insomma…”
“Non fare giri di parole! Va dritta al punto!”
“Ha fatto un incidente con la moto, se potessi venire in ospedale.”
“Sta bene? Com’è successo? Dove l’hanno ricoverato?” Lorenzo si stava già infilando il giubbotto.
“Stai tranquillo, siamo al pronto soccorso per ora, vieni comunque, ti vuole vedere…Lorenzo? Ci sei?”
Il ragazzo non aveva ascoltato le ultime parole di Noemi, al suono delle parole “pronto soccorso” aveva attaccato il telefono e si era precipitato alla porta. L’edificio era vicino casa sua, quindi non gli fu necessario prendere la macchina. Appena arrivato trovò l’amica nella sala d’aspetto, impegnata ad attraversare la stanza a passo spedito facendo sempre lo stesso tragitto: dalla finestra alla porta e dalla porta alla finestra.
“Lorenzo!” La ragazza gli corse incontro e lo abbracciò.
“Dov’è Paolo?”
“Vieni da questa parte…”
“Com’è successo?”
“Era in moto ed un’auto gli ha tagliato la strada, ha sbandato ma per fortuna ha solo una frattura alla gamba, gli metteranno il gesso e lo dovrà tenere per due mesi.”
“Dovrà rimanere in ospedale questa notte?”
“Sì, pare sia necessario. Ti volevo chiedere…”
“Puoi stare da me per oggi. Domani decideremo il da farsi. Mi porti da lui?”
“Sì, vieni.”
Paolo stava relativamente bene ma era un po’ abbattuto, un incidente non gli era mai capitato e poi per il suo ideale di spericolato e immune alla sfortuna si sentiva tradito dalla sua stessa filosofia di vita.
Era un ragazzo alto, magro, super sportivo con i capelli castani tagliati a spazzola. I suoi occhi erano blu oltremare e se potevano apparire a prima vista capaci di sguardi profondi e carichi di serietà, si rivelavano ad una più attenta analisi, portatori di sarcasmo e voglia di divertimento.
Terminata la visita in ospedale Noemi e Lorenzo si recarono a casa di quest’ultimo.
“E’ molto che non ci vediamo…”
“Sì, sembra che tu mi chiami solo quando hai bisogno di qualcosa. Nessuno ti ha mai detto che si è amici anche nei momenti lieti della vita?”
“Sembra che tu non sia mai felice da quanto mi dice mio fratello… Mica pensi ancora a quella Giulia?”
“Giulia? Giulia chi?” Lorenzo fece il finto tonto.
“Quella che veniva in classe con te e Paolo. Quella di cui ti eri innamorato…e parlavi solo di lei…e uscivi solo con lei…e lei non sapeva che tu…, ma davvero non ti ricordi?”
“Ah, quella Giulia, no, figurati, l’avevo sentita fino a qualche anno fa, l’anno scorso mi pare, ma ho perso i contatti… Se  una persona non la vedi per cinque - sei anni, ma la senti saltuariamente per telefono anche il sentimento più forte si affievolisce.” Sapeva bene che non era vero.
 
Il giorno dopo Paolo venne dimesso dall’ospedale e potè tornare a casa, conoscendolo Lorenzo sapeva bene che avrebbe voluto tanto scoprire chi gli aveva tagliato la strada senza prestargli soccorso e l’aveva fatta franca. Sinceramente avrebbe interessato anche a lui scoprirlo perché sapeva che all’amico era andata bene e che tanti, per incidenti del genere perdevano la vita. Alla polizia avevano raccontato tutto l’accaduto ma la descrizione di Paolo, così gli avevano detto, era troppo vaga, era solo un frammento di una tessera già piccola di un puzzle: una macchina rossa, forse un’utilitaria, con “RB” scritto nella targa. Non ricordava se ci fosse un uomo o una donna alla guida.
La vita cominciò a scorrere con rinnovata normalità, i problemi con il lavoro, le lamentele di Paolo, il gatto della signora di fronte che scappava e che si intrufolava in casa d’altri, il telefono che squillava quando ci si è appena seduti con nessuna intenzione di alzarsi, tutte quelle cose che capitano. Solo Noemi continuava a non dargli pace infatti, lei che pure era iscritta alla facoltà di filosofia, doveva fare due esami di lingua straniera. Il problema era che la ragazza era proprio il genere di persona poco portata non solo per l’inglese ma anche per qualsiasi altro idioma. Un giorno gli aveva chiesto di darle una mano, insomma voleva delle lezioni private, Lorenzo se la cavava ma non era in grado di aiutare qualcuno a superare un esame universitario. Al massimo poteva essere d’aiuto ad un ragazzino delle medie o dei primi anni delle superiori per svolgere qualche semplice esercizio, ma la gravosa responsabilità di aiutare l’amica a superare l’esame non se la sarebbe mai assunta.
Quel giorno stava andando a cercare Noemi per conto di Paolo, che non potendo muoversi per raggiungerla lui stesso o chiamarla perché aveva il cellulare spento, ritenne doverosa la collaborazione di un vero amico, e a chi rivolgersi se non a Lorenzo? La sorellina di Paolo era all’università quindi il ragazzo fu costretto ad entrarvi. In bacheca vide un annuncio che sembrava adatto al caso di Noemi (ovviamente non si trattava di un cervello nuovo per suo fratello), sul biglietto era scritto pressappoco così:
“Si impartiscono lezioni private di lingue straniere (inglese o francese) da laureata da poco in materia. Telefono: ………… Chiedete di Giulia.”
Fu proprio la firma che lo colpì: c’era scritto Giulia. Quelle sei lettere lo avevano attirato come una calamita. La sua materia grigia, però, segnalò ben presto di esistere ancora, infatti si disse:- Chissà quante ragazze ci saranno con questo nome! Decine, centinaia forse. Meglio lasciar perdere…ma Giulia o non Giulia comunque ci può aiutare. Può essere utile a Noemi per studiare inglese e a me perché non verrò più tirato in ballo. Ottimo piano.
Inutile dire con quanto entusiasmo aveva raccomandato a Noemi di chiamare la ragazza delle ripetizioni appena la vide. Inutile anche dire che all’amica non sembrò un’idea malvagia infatti rispose sorridendo:- Perché no?
 
Le campane della chiesa adiacente l’albergo scoccarono la mezzanotte. Alessandra aveva deciso di andarsene da quella pensione soffocante in cui la proprietaria, Grazia, controllava tutto e tutti. Era come vivere in una famiglia, se uscivi era ovvio chiedere dove andavi, con chi e perché senza applicare il minimo di discrezione. Non esisteva la parola privacy.
Si era svegliata di soprassalto nel cuore della notte con una strana sensazione ed un solo obiettivo: fuggire. Doveva andarsene, fece la valigia inserendovi tutti i suoi effetti personali alla rinfusa, senza ordine e senza criterio. Non poteva sottostare a quelle regole soffocanti e a quel controllo degno della dogana svizzera. Se era andata a vivere da sola in un paese a lei estraneo voleva che nessuno avesse più da ridire per ogni suo passo falso. In provincia se non facevi parte di un gruppo non eri nessuno, solo un emarginato senza  importanza a cui nessuno parlava, la stessa cosa capitava se facevi parte del gruppo sbagliato.
Uscì per strada ignorando le raccomandazioni del portiere trascinandosi dietro il suo trolley e la borsa di cuoio invecchiato. Dove sarebbe andata? Non lo sapeva nemmeno lei. Forse all’appartamento fatiscente vicino il conservatorio. E il violino? Per fortuna lo aveva lasciato nel suo armadietto dopo l’ultima lezione. Stava entrando in macchina quando qualcuno la colpì alle spalle. Cadde sull’asfalto gelido e chi le aveva sparato la lasciò lì, morente. L’ultima cosa che vide fu un’utilitaria rossa sfrecciare sull’asfalto.
 
“Lorenzo, dove vai?”
“Esco, devo andare da una cliente, una ragazza che deve ristrutturare un vecchio appartamento nei pressi del conservatorio “Note stonate”. È buffo, mi sembra di averla già vista da qualche parte. Ma dove?”
“Forse in un sogno” L’amico ridacchiò malizioso.
“Fai poco lo spiritoso e pensa a lavorare. A dopo…”
Stefano era stato compagno di università di Lorenzo e ora lavorava con lui allo studio di quest’ultimo. Era un ragazzo simpatico con i capelli castani tendenti al biondo e gli occhi azzurri. Conosceva bene il conservatorio “Note stonate” perché vi aveva preso lezioni di piano e di violino sin da piccolo, aveva sperato di diventare un esecutore famoso e aveva persino provato a comporre ma la fortuna aveva deciso di non arridergli  per soddisfare questa sua ambizione, la dea bendata aveva baciato invece i suoi genitori che alla figura dell’artista squattrinato ma felice non avevano mai creduto e lo preferivano architetto infelice, anche se non lo credevano tale.
Lorenzo uscì per strada e con l’autobus arrivò all’appartamento e trovò una volante della polizia posteggiata davanti al portone. “Coincidenze” sussurrò  e suonò il  campanello con il talloncino bianco che corrispondeva all’appartamento di una certa Alessandra de Vincenzo, giovane insegnante di violino al conservatorio che intendeva trasferirsi in quella casa dopo averla rimessa a nuovo.  La struttura dell’edificio era piuttosto fatiscente e senza dubbio l’interno doveva essere peggiore dell’esterno.  Non rispondeva nessuno. “Strano, avevamo appuntamento qui.” Pensò Lorenzo. Tentò di nuovo. Niente. Stava per andarsene quando una voce maschile rispose al citofono.“Salga, primo piano.”
Ad aspettarlo sulla soglia c’era un agente di polizia che si presentò come Massimo Ghiberti.  Era un uomo sulla quarantina dal fisico robusto ma non esageratamente appesantito, qualche capello bianco che cominciava a crescere sporadicamente sul tra i folti capelli corvini. Prima di dirgli perché si trovava lì gli chiese il perché della sua visita. Il giovane spiegò tutto e al termine dell’interrogatorio che Lorenzo attribuì ad una deformazione professionale e non a qualcosa di ben più tragico, gli venne spiegato, almeno parzialmente, l’accaduto.
“La signora Alessandra de Vincenzo è stata assassinata ieri notte.”
“Assassinata? Da chi?”
“Le hanno sparato intorno alle ventiquattro. Era uscita incautamente dall’albergo dove alloggiava e stava per entrare in macchina. È stata portata al pronto soccorso ma non ce l’ha fatta.”
“Mi dispiace, se avessi saputo non sarei venuto ad importunarvi.”
“Si figuri, lei come poteva saperlo… Non ne ha parlato ancora nessun giornale ma provi a guardare il Tg delle 13.00 forse ne saprà qualcos’altro.”
Lorenzo quella sera tornò a casa ancora meditabondo. Aveva riflettuto sull’episodio per tutto il giorno: al lavoro, a pranzo, uscendo, entrando, si chiedeva chi mai avrebbe potuto uccidere quella donna, aveva una trentina d’anni, forse qualcuno in meno; insegnava al conservatorio, quando gli si era presentata non sembrava una persona che potesse avere dei nemici, sembrava semplice, timida, forse facilmente impressionabile ma pur sempre una persona come lui.
Stava per passare oltre la cassetta della posta senza aprirla quando vide qualcosa che attirò la sua attenzione, sembrava un biglietto, forse una lettera. Prese in mano il pezzo di carta e vi lesse quanto scritto:
 
Caro Lorenzo,
ci conosciamo appena ma sei l’unica persona di cui sento di potermi fidare. Nel caso dovesse succedermi qualcosa indaga sulla mia morte e scopri al posto mio dove volano le aquile.                     

Tua,
Alessandra.” 

La lettera, che portava la data di  alcuni giorni prima, lo lasciò completamente spiazzato. Cosa voleva dire? Doveva portarla alla polizia? Perché aveva paura di morire? Perché aveva scritto proprio a lui? Che senso aveva l’espressione “Scopri tu dove volano le aquile”? Appena a casa nascose il biglietto in un libro di arte contemporanea e andò a dormire sperando che quando avrebbe riaperto gli occhi la lettera sarebbe scomparsa… 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Noemi aveva contattato la ragazza delle ripetizioni, l’omonima di Giulia. Lorenzo, preso da problemi di maggiore importanza, non aveva avuto nemmeno il tempo di informarsi sulle lezioni o sulla donna. Un giorno uscito dall’ufficio decise di andare a trovare Paolo e la sorella. Così era venuto a conoscenza del fatto che Noemi era migliorata in inglese e scoprì anche che l’amica era in possesso delle fotocopie degli appunti di Giulia, così decise di mettere alla prova la sua memoria: se era la scrittura della ragazza che aveva amato per tanto tempo l’avrebbe riconosciuta senz’altro. Si fece quindi dare il raccoglitore ma non servì a niente perché erano stati trascritti a computer. Lorenzo decise di rassegnarsi all’idea che non l’avrebbe più vista.
 

 
La polizia continuava ad indagare sulla morte di Alessandra senza ottenere risultati esaltanti. Alcuni effetti personali non si trovavano e per questo si pensava ad una rapina finita male. Lorenzo non si lasciava persuadere dai telegiornali.  “ Non si può avere la sensazione di venire uccisi da un ladro… Evidentemente c’era qualcuno che la seguiva, la spiava, conosceva i suoi  spostamenti abituali. Ma chi poteva sapere che sarebbe uscita a quell’ora dall’albergo? Sicuramente era stato un pazzo ad ucciderla senza averlo premeditato. Ma dove volano le aquile?” Lorenzo continuava a chiederselo. Forse era lì la chiave del mistero.
Un giorno si recò all’albergo della signora Grazia dove aveva alloggiato Alessandra. Voleva solo indagare ma appena entrò si rese conto che avrebbe dovuto necessariamente prendere una stanza per qualche giorno. La cosa non lo entusiasmava affatto ma era l’unico modo per lavorare indisturbato, o almeno lo sperava. Finse di avere la casa allagata per la rottura di un tubo dell’acqua e si informò sui prezzi, fece finta di valutare, di pensarci un attimo, fece una finta telefonata e infine prese una stanza al secondo piano. Gli fu chiesto come mai non avesse bagagli e lui disse che li sarebbe andati a prendere subito per cercare di tornare in tempo per il pranzo. Uscendo vide entrare Stefano che lo salutò e gli chiese come mai si trovasse alla pensione. Lorenzo fu costretto a raccontargli tutta la storia inventata in precedenza riguardo la casa allagata sotto l’occhio vigile di Sergio, il ragazzo che poco prima gli aveva assegnato la stanza numero 24. Stefano rimase colpito da quanto gli disse l’amico e dovette aspettare per tranquillizzarlo di raggiungere un posto dove Sergio non avrebbe potuto ascoltare la conversazione: il bar di fronte. Allora gli spiegò che aveva inventato tutto e che a casa sua non era successo niente. Quindi fu la volta delle spiegazioni di Stefano…
“Lasciamo stare me” disse Lorenzo “ poi ti spiego meglio… tu che ci facevi all’albergo?”
“Da me si sono stabiliti i miei genitori perché a casa loro ci sono gli imbianchini e fidati non posso stare con loro un momento di più. Sapevo di questa pensione perché quando venivo al conservatorio spesso rimanevo a pranzo al ristorante che viene aperto al pubblico per i pasti… Ma scusa, se  casa tua non è allagata…” e aggiunse sottovoce “perché hai preso una stanza?”
“E’ una lunga storia, vieni da me che lì potremo parlare tranquillamente lontani da orecchie indiscrete.”
 
“Hai capito come sono andate le cose?”
“Mi sembra una storia paradossale. Sicuro di non aver immaginato tutto?”
“Secondo te ho la faccia di uno che scherza o di un visionario?” Gli mostrò il foglio ripiegato con l’ultimo messaggio di Alessandra. “Credi che me lo sia scritto da solo? Così, tanto per fare qualcosa...”
“Non ti arrabbiare! Devi ammettere che quello che è accaduto è alquanto insolito. Io non avrei mai potuto immaginare una cosa del genere.”
“Piuttosto, riguardo il fatto delle aquile, hai idea di cosa possa significare? Io non so più cosa pensare. Magari hai qualche idea…tu il conservatorio lo conosci meglio di me…forse potresti…”
“Potrei cosa?”
“Sai, io non riesco neanche a distinguere le note sullo spartito, altrimenti non te lo chiederei…”
“Chiedere cosa?!”
“Potresti andare al conservatorio e iscriverti ad un corso di qualunque strumento?”
“No, mi conoscono, ho preso il diploma lì, mi farebbero troppe domande.”
“Sì, hai ragione, però…sai che si potrebbe fare?”
“Se non me lo dici non potrò mai saperlo…”
“Credi che ti prenderebbero come professore? C’è un posto vacante, ricordi?”
“Non mi accetterebbero mai, non ho fatto gli studi adeguati per diventare docente.”
“Perché? Hai il diploma di conservatorio no? Hanno un corso di ragazzini senza insegnante e dove ne trovano uno più preparato di un loro ex-studente?”
“Non mi accoglierebbero a braccia aperte. Non mi prenderebbero mai.”
“Eravate una grande famiglia, no?”
“Ecco, appunto, peggio di quella naturale.”
“Scusa, sono stato indelicato. Lo so che non hai un buon rapporto con i tuoi ma ti prometto che appena questa pagliacciata finirà, troveremo un modo per risolvere il tuo problema.”
“Non c’è soluzione. Vuoi farmi adottare? Sono un po’ grandicello, non pensi?”
“No, ti farò diventare un grande musicista.”
“Non farmi credere che il mondo abbia bisogno di me, un…”
Lorenzo non gli fece continuare la frase ed aggiunse  “Un genio incompreso che non è destinato a rimanere tale a piagnucolare nell’ombra!!!”
“Come devo fare con te? Riesci sempre a convincermi…”
L’amico sorrise.
“…purtroppo!”
“Ora invece di tornare all’albergo, sai che facciamo? Ci prendiamo un giorno di pausa da questo mistero. Oggi ti presento Noemi e Paolo.”
A casa dei due amici, Lorenzo e Stefano trovarono anche un’ospite inattesa, la ragazza che dava ripetizioni a Noemi. Era arrivato il momento della verità.
 Ad aprire loro la porta fu Paolo, che era rimasto eccezionalmente a casa nonostante la sorella avesse le lezioni private di inglese, a cui lui non voleva assistere perché la riteneva incapace di apprendere una lingua straniera.
“C’è una sorpresa per te!”
“Per me?! Cos’è successo? Hai deciso di fere un altro incidente stradale allo scopo di farti uccidere…”
“Non fare lo spiritoso! Tra poco riderò io…Si tratta di una persona che conosciamo entrambi e che non vedi da molto tempo, direi troppo…”
“Ma chi…” Fu allora che la vide ed ebbe per un attimo il dubbio che fosse solo un sogno destinato a svanire.. ma lui non voleva svegliarsi…
“Lorenzo?!” la ragazza che era stata fino a quel momento di spalle perché intenta a parlare con Noemi si era voltata e lo aveva riconosciuto, evidentemente non erano tanto cambiati…
“Giulia! Non mi aspettavo di trovarti qui…” disse ma aggiunse col pensiero “ ...ma ci speravo…” le andò in contro e lei lo abbracciò con affetto.
“Quanto mi sei mancata!” avrebbe voluto dirle ma si limitò a sorridere lasciando che i suoi occhi gli facessero da ambasciatori.
Dopo averla rincontrata tutto passava in secondo piano: sapeva che era sbagliato, che aveva preso un impegno con Alessandra e che niente sarebbe dovuto passare al primo posto, declassando la cosa più importante ad una banale e accessibile seconda posizione… Ma per una volta che sentiva di avere in mano le redini della sua vita, perché lasciarsi sfuggire quell’occasione? Perché lasciarsi sfuggire di nuovo Giulia? La guardò, era ancora più bella di come la ricordava, aveva i capelli corti come qualche anno prima, ma alcune ciocche sparse erano più lunghe e sfuggivano all’ordine. Aveva gli occhi azzurri ma gli sembrarono più scuri, come se il tempo li avesse resi più impenetrabili e il passaggio al suo mondo era chiuso da un cancello d’argento: portava gli occhiali. “Ma sei ancora tu, Giulia?” avrebbe voluto chiederle ma non lo fece. Sarebbe riuscito a calare il cestello nel pozzo e portare alla luce i pensieri della Giulia che conosceva? La osservò ancora durante la conversazione che seguì: in fondo la riconosceva ma gli sembrava invecchiata…invecchiata dentro…aveva l’aria di chi ha già visto tutto e non sa più stupirsi, un tempo non era così.
“Ricordi questo bracciale?” gli chiese la ragazza tirando fuori tirando fuori dalla manica del maglioncino una catenella dorata con appeso un ciondolo.
Lorenzo non poteva crederci, quel monile glielo aveva regalato lui, davvero lo aveva tenuto al polso per tutto quel tempo? Ancora stordito per l’emozione rispose  solamente “Si, lo ricordo…”
“Giulia, non sai quanto ho pianto per te” non potè scriverglielo nel biglietto di accompagnamento all’epoca e neanche poteva ammetterlo dopo tanti anni: si vergognava di quella sua debolezza, si era chiesto da sempre “Piangere non è una cosa che fanno le ragazze?” Lui avrebbe dovuto rimanere imperturbabile e  vivere tranquillo senza versare neanche una lacrima. “Ma a cosa sto pensando?!” si rimproverò mentalmente mentre il discorso continuava senza di lui. Stava riprendendosi dallo stordimento dovuto allo sforzo fatto per riportare alla memoria quei frammenti del suo passato quando si rese conto che senza accorgersene aveva annuito alla proposta di andare a pranzo fuori tutti insieme. “In fin dei conti” si disse “il mistero può attendere…” e infilata la giacca fece strada verso l’uscita a Stefano che era per la prima volta ospite dagli amici di Lorenzo.
Avrebbe dovuto pensare, invece, che l’assassino era in libertà e non avrebbe abbassato mai la guardia.
 
Sapeva che i giorni sarebbero passati frenetici ora che nella sua vita era tornata Giulia. Leggera come una brezza marina era entrata dalla finestra che Lorenzo avrebbe voluto tenere chiusa: quella del cuore. Aveva avuto delle avventure, certo, ma non gli era mai capitato di innamorarsi di nuovo. Con il passato del tempo si rese conto che quell’amore totalizzante non lo avrebbe provato per nessun’ altra.
Era cambiata, certo un po’ la vita fa questo effetto, ma lei sembrava, come dire, insolita. L’altro giorno, ad esempio, l’aveva invitata a colazione all’hotel (dove nonostante tutto si era stabilito per le indagini) e aveva intravisto nella sua borsa tre quotidiani diversi. Certo, non c’era niente di strano in quell’episodio però Giulia non era mai stata una sostenitrice dell’informazione a tutti i costi. Lui la ricordava smemorata, spesso con la testa tra le nuvole, che certi giorni dimenticava perfino se fosse martedì o venerdì. Era una ragazza un po’ buffa che faceva di questa sua stranezza un pregio. Sapeva essere così affascinante con il suo tenero modo di comportarsi. “Giulia, cosa ti ha fatto cambiare?” pensò Lorenzo davanti ad una cioccolata calda ma quando la vide stupirsi di aver ordinato un the quando desiderava un cappuccino si rese conto che in fondo Giulia era ancora come la ricordava: simpaticamente infantile.
“Ti ricordi il matrimonio della professoressa di lettere? S’era talmente affezionata a tutti noi che ci invitò al suo sposalizio…i tavoli erano disposti nel prato e  c’era una ragazza dai capelli rossi che suonava il piano.”
“Sì, lo ricordo…”Giulia rimase sul tono vago di chi ha paura di non sapere cosa dire o di dire qualcosa di sbagliato…o di sospetto.
“Dai, c’era un tavolo solo per noi dell’ultimo anno, ti ricordi? Durante le vacanze estive dopo la maturità…”
“Cosa ti fa pensare che non abbia capito a cosa ti riferisci? Ricordo che feci una figura simile a quella che ho fatto ora: c’era un buffet di torte alla fine del pranzo e io che stavo parlando con qualcuno di quanto non mi piacesse la crostata con la crema e la frutta e quando il cameriere mi chiese quali dei dolci avrei gradito, io, invece di prendere la torta al cacao, dissi il nome sbagliato.”
“Sì…e quando te la portarono cominciarono le discussioni con il giovanotto…alla fine la tua torta la mangiai io e tu prendesti la mia che era l’ultima fetta al cioccolato.”
Entrambi sorrisero ripensando ai vecchi tempi quando, essendo ragazzi, tutto sembrava realizzabile.
“Paolo dovrebbe ancora avere il filmino che facemmo al ristorante…devo chiedergli se lo trova, sarebbe divertente vederlo tutti insieme, no?”
Giulia annuì ma, Lorenzo non ci fece caso, senza sorridere. 

 

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Capitolo 4
*** capitolo III ***


“Mi scusi, mi potrebbe chiamare Lorenzo Valdesi ?”
“Chi devo annunciare?”
“Un amico.”
“ Come preferisce…”
 
“Stefano, che piacere vederti!”
“Lorenzo, è possibile che devo chiedere a Sergio di te per parlarti?Avevamo appuntamento…”
“Avevo da fare e me ne sono dimenticato.”
“Ma se non vieni neanche a lavoro…”
“Sai cosa mi tiene impegnato e sai anche non possiamo parlarne qui…”
“Sì, lo so ma ricordati che non sono un agente segreto…”
“Andiamo ad aprire l’ufficio” disse ad alta voce in modo che anche Sergio lo sentisse.
 
“Ti sei fatto assumere al conservatorio?
“Ci sono riuscito ma hanno fatto storie, mi hanno fatto fare degli esami e hanno cercato in tutti i modi di mettermi in difficoltà…mi hanno preso a tempo determinato…”
“Quanto determinato?”
“Una settimana…il tempo necessario ad assumerne uno più qualificato…io non ho fatto tutti i corsi e le specializzazioni per diventare docente.”
“Quindi abbiamo solo una settimana per le indagini. Quando cominci?”
“Oggi pomeriggio.”
“Ti hanno già assegnato un cassetto, un armadietto, una cosa del genere?”
“No, perché? Cos’hai in mente?”
“Sai, ogni professore dovrebbe averne uno…quindi anche Alessandra, non credi?”
“Sì, però il suo sarà sotto sequestro se la polizia non l’ha già perquisito.”
“Tu devi solo informarti con discrezione. Nessuno sospetterà di te.”
“E perché non dovrebbero? Ho fatto io richiesta di essere assunto, già questo è strano perché io ho già un lavoro…tranne se non ti sia venuta in mente la brillante idea di licenziarmi…”
“Ti faccio presente che le battute in questo momento sono fuori luogo.”
“Invece quella Giulia non lo è mai, vero?”
“Preferisco non parlarne…e poi ne sai già abbastanza…”
“Eccolo che diventa serio e timido. Dai, Lorenzo, non prendertela, devi capire che non sono abituato a questo genere di situazione e che sto cercando di aiutarti, ma toglimi  anche la libertà di parola e divento un tuo schiavo.”
“Hai ragione, sto facendo il dittatore. Propongo e approvo le mie idee senza chiedere il tuo parere e ti obbligo a collaborare quando tu vorresti non avere ulteriori problemi. Scusami.”
“Se c’è una cosa che non sopporto di te è che passi da carnefice a vittima senza intermezzi…”
“Eh?! E questa espressione da dove salta fuori?”
“Lascia stare, è una cosa che dice sempre mio padre…”
“Se la tua situazione famigliare è travagliata mi chiedo perché devo preoccuparmi anch’io delle vostre scaramucce!”
Stefano lo guardò interrogativo non cogliendo l’allusione di Lorenzo, così quest’ultimo riprese la parola.
“Tu dovresti dire che preferisci non parlarne e che ne so già abbastanza…”
L’amico comprese che era il suo modo per mettere definitivamente un punto alla questione e per fortificare la loro intesa. Così entrambi sorrisero.
“Dove eravamo rimasti?”
“Al dibattito da prima pagina: Stefano verrà scoperto da tutti coloro che frequentano il conservatorio?”
“Secondo me il mio comportamento può apparire sospetto a chiunque mi conosce…”
“Non capisco perché. C’è qualcosa che ti ostini a non volermi dire.”
La sua supposizione si rivelò esatta perché l’amico aveva abbassato gli occhi e fissava un punto indefinito del pavimento. Dopo un attimo di insostenibile silenzio Stefano cominciò a parlare…
“Al conservatorio mi conoscono da tantissimo tempo. Avevo dieci anni quando varcai per la prima volta la soglia del fantastico mondo della musica. Ero affascinato dal suono dei violini e del pianoforte. Sembrava tutto uscito fuori da una favola. Fin quando i miei genitori mi spezzarono le ali. Mi riempirono la testa di preoccupazioni e di paure e per molto tempo abbandonai la musica ma questa trovò il modo di tornare da me. Una persona mi fece capire che non potevo separarmi da una parte di me stesso e quindi all’età di diciassette anni, dopo mesi di abbandono, tornai al conservatorio. I miei non ne sapevano niente e io ero costretto a pagare la retta con qualche lavoretto nella pizzeria del padre di un mio amico di allora. Il  tempo che non impiegavo a studiare musica o a guadagnare di che continuare a farlo lo passavo sui libri. A notte tarda, dopo aver cercato di fare nel minor tempo possibile i compiti del giorno dopo, finalmente prendevo sonno. La mattina mi svegliavo presto, studiavo quello che potevo per la scuola e prima di recarmici  andavo da un amico a esercitarmi con il violino. Ero perennemente in ritardo e, pur di guadagnare tempo libero, partecipavo a tutti gli scioperi. Tutto proseguì tranquillamente per i miei genitori che non faticavano a credermi a casa di un amico a fare i compiti anziché al conservatorio o in pizzeria o a sonnecchiare in biblioteca mentre cercavo di mettere insieme il coraggio per propormi volontario in latino o greco o qualunque altra materia avessi avuto il tempo di capire e studiare decententemente. Le giornate si susseguivano veloci senza un attimo di tregua. Ma ad un certo punto non riuscii più a reggere il corso degli eventi. Presi molte insufficienze che non ebbi il tempo di recuperare prima che arrivassero i colloqui. I miei, quindi, vennero a conoscenza della mia situazione scolastica e si presero la briga di controllarmi i quaderni e di impedirmi di uscire. I miei voti migliorarono notevolmente ma non ebbi più il tempo di andare alle lezioni al conservatorio. Quindi il mio insegnante, a cui non avevo raccontato tutti gli espedienti che adoperavo per continuare a studiare musica, chiamò a casa e anche questa mia attività “illecita” venne alla luce.”
“E poi?”
“I miei decisero che non potevo andare avanti così e mi lasciarono continuare gli studi ma mi fecero cambiare professore. Ne scelsero loro uno. Era terribile, non mi lasciava tregua, appena sbagliavo cominciava a lamentarsi, dirmi che non valevo niente, che non sarei  mai diventato qualcuno. Così finii per crederci. Decisi di lasciare di nuovo gli studi musicali, ma qualcuno mi spinse a ricominciare a vivere.”
“Ora mi sorge spontaneo un interrogativo: chi ti ha spinto a tornare per la terza volta al conservatorio?”
Lorenzo era in piedi davanti a Stefano e attendeva una risposta che lui era restio a fornire.
Quando alzò lo sguardo e incontrò quello dell’amico si era arreso a  svelare l’arcano ma inconsciamente cercò con gli occhi  l’orologio appeso alla parete…
“Mi spiace, devo andare. Mi aspettano…ho la prima lezione al Note stonate.”
Lorenzo lo seguì alla porta e con il capo accennò un segno di saluto.
“Questa volta me la sono cercata” pensò. Sconsolato andò all’albergo. Erano ormai due giorni che vi soggiornava ma non aveva ottenuto nessuna notizia di riguardo che non avesse già appreso dai giornali. La camera di Alessandra era stata la 15 e ora era sotto sequestro, ogni tanto la polizia vi tornava a cercare qualcosa che muovesse un po’ le acque, ma queste ristagnavano in un acquitrino di notizie sempre uguali e sempre più evidenti. L’autopsia aveva rivelato che la causa della morte era palese: un proiettile che l’aveva colpita mentre era di spalle. Era stato il colpo preciso di una mano esperta, di qualcuno che sapeva chi e dove doveva uccidere, si trattava senza dubbio di un assassinio premeditato.
Lorenzo aveva pensato più volte di intrufolarsi nella stanza e di trovarvi chissà che cosa ma era chiaro che non ci sarebbe stato niente che chi di dovere non avesse già prelevato. La sua unica speranza era Stefano, che nascondeva, a sua volta, un mistero. Nonostante tutto sentiva di potersi fidare di un compagno di università e di lavoro. Sentiva di potersi fidare di un amico. Prese quindi la decisione di abbandonare l’albergo, costatando di aver speso inutilmente il suo denaro: nella camera non  sarebbe potuto entrare, il personale non ne sapeva niente e da quello che aveva appreso da Sergio, quella sventurata notte la donna aveva fatto i bagagli e se ne era andata senza dare spiegazioni. Finse dunque una telefonata nella quale un interlocutore inesistente gli comunicava che sebbene i lavori a casa sua non fossero terminati, ora vi poteva tornare. Fu un sollievo tornare a casa, ma era meno rassicurante apprendere che il suo raggio d’azione era limitato e che dove non riusciva la polizia, non sarebbe certo riuscito lui.
Aveva sperato di incontrare al funerale di Alessandra qualche parente che avrebbe avuto la compiacenza di dargli qualche spiegazione, ma la salma venne trasportata al paese natale della donna e gli fu difficile raggiungerlo. Si trattava di un piccolo comune di provincia ubicato su una catena montuosa a lui sconosciuta. La notizia gli venne comunicata da un sms di Stefano che aveva visto, entrando al conservatorio, il manifesto delle onoranze funebri nel quale il corpo docente e gli studenti  esprimevano il loro cordoglio per la morte improvvisa di una valente insegnante ma in particolar modo di una donna dall’animo gentile e di indole generosa. “Tutti le volevano bene” pensò Lorenzo “ma qualcuno l’ha uccisa.” 

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Giunse in chiesa appena in tempo per l’inizio della cerimonia e assistette al funerale in piedi appoggiato ad una parete della navata laterale. I posti a sedere erano tutti occupati e la gente era ammassata in fondo alla chiesa. Nell’oscurità degli abiti spenti che si tirano fuori dell’armadio solo per i funerali risplendevano i fazzoletti bianchi che molti cercavano con frenesia nelle tasche dei cappotti o nelle borse. Lorenzo si chiese che senso avesse per quella gente nascondere il dolore in fogli di cellulosa o quadrati di stoffa ricamata, era ovvio, era naturale piangere la scomparsa di una persona che si conosceva, che si amava. Lui era fuori luogo, si sentiva un estraneo, uno che va a ficcanasare senza permesso nei fatti altrui. Che diritto aveva lui di piangere in mezzo a quegli sconosciuti? Avrebbe voluto avere un fazzoletto da estrarre come una spada dal fodero di cuoio, ma non ne aveva. Lasciò che qualche lacrima gli imperlasse il viso e al termine della liturgia si ritrovò, spinto dalla folla, nella fila di coloro che devono dare le condoglianze ai parenti del morto, con gli occhi ancora umidi. Si aspettava che i genitori, la sorella e gli altri familiari schierati per ricevere l’abbraccio e il conforto dai propri cari si stupissero della presenza di un estraneo, invece lo abbracciarono e baciarono come fosse uno di loro. Si chiese se ciò fosse dovuto alla distrazione del momento, alla vista appannata per le lacrime, ma si rese conto che importunare chiunque di loro per fare domande su Alessandra, sarebbe stato senza dubbio un crimine. Uscì dalla chiesa e arrivò alla sua auto senza guardarsi mai indietro per non avere la tentazione di voltarsi e commettere quel sacrilegio.
Tornò dunque a casa sua anche se sarebbe voluto andare al conservatorio ad aspettare che Stefano avesse finito le lezioni, ma si rese conto che sarebbe apparso oppressivo e pesante, quindi giunse alla conclusione che la cosa migliore da fare sarebbe stata mangiare e mettersi subito a letto.
Infatti Lorenzo quella sera, come previsto in macchina, andò a dormire presto perché era abbattuto. I funerali gli mettevano tristezza e anche quello di Alessandra, che a malapena conosceva, gli aveva fatto il medesimo effetto.
Da ragazzo, quando quasi annegava nella filosofia e nel mal di vivere (cause: l’età, gli studi e….Giulia ) si poneva quelle domande che tanti si sono fatti prima di noi e tanti altri seguiteranno a farsi nel futuro, quando di noi resterà solo cenere. Gli stessi interrogativi tornavano alla morte di qualcuno. A che serve stare su questa terra se nessuno dopo di noi ci ricorderà? A che serve affannarsi se non saremo nessuno neanche da morti, quando pittori, artisti e quant’altro vengono rivalutati? A che serve? Se il nostro corpo è destinato a tornare cenere perché non siamo fatti di solo spirito?
Ma il sonno era troppo, il filo dei suoi pensieri troppo lungo e il posto dove conduceva ignoto. Lorenzo combatté a lungo per non addormentarsi, ma sulla sua coscienza momentaneamente venne calato il sipario e i suoi occhi marroni si chiusero.
Dopo un sonno apparentemente tranquillo, il ragazzo si risvegliò. Ebbe un attimo di  indecisione, come una sensazione angosciosa. Era strano. Si sentiva…diverso. Si guardò intorno e si rese conto che tutto era così come l’aveva lasciato: era tutto al suo posto, era a casa sua, nella sua stanza, nel suo letto. Non c’era niente di strano, niente che potesse inquietarlo a tal punto. Si mise seduto sulle coperte e con calma cercò di riflettere. Aveva sognato, forse, qualcosa di spiacevole che la mente ora voleva celargli, come una profezia ascoltata per metà. “Suggestioni”si disse “sono cose che capitano…” Decise quindi che una doccia calda sarebbe stata la cosa migliore per iniziare la giornata e andò in bagno. Si guardò allo specchio con distrazione, ma qualcosa lo spinse a soffermarsi sulla sua immagine riflessa sul vetro. Era la cicatrice che si era fatto cadendo dalla bici all’età di quindici anni. Era un segno quasi impercettibile sulla pelle della sua guancia, infatti pensava che fosse sparita, invece…si passò una mano sullo sfregio quasi invisibile e per associazione di idee, ricordò cosa aveva sognato. Fu abbastanza forte per non svenire e corse in camera da letto. Cercò il cuscino che era finito sotto le coperte con frenesia e quando lo trovò lo rigirò tra le mai con ansia. Per fortuna, non trovò niente di quello che aveva sperato di non vedere. La federa azzurra non era macchiata di sangue, come nel sogno. In quell’incubo aveva rivissuto l’incidente facendosi però molto più male, infatti ricordava che la cicatrice gli attraversava tutto il viso che era interamente ricoperto di sangue. Aveva paura di trovarne sul cuscino. In quel momento qualcuno suonò al citofono. Lorenzo sobbalzò e fu per un attimo indeciso sull’andare o no a rispondere. Appena si avvicinò all’apparecchio si ricordò: aveva promesso a Giulia di portarla a fare un giro. Ma che ore erano? Le 10.30….
Lorenzo si precipitò a rispondere.
“Chi è?”
“Polizia. Apra. Deve seguirci in questura”
“Un attimo, scendo subito.”
 
“Ebbene, perché mi avete fatto chiamare?”
“Si tratta dell’omicidio di Alessandra de Vincenzo. La conosceva, vero?”
“Sì, doveva ristrutturare un appartamento e si era rivolta al mio studio per una consulenza,  sono un architetto.”
“Quando è stata l’ultima volta che l’ha vista?”
“Ricordo che venne nel mio ufficio una o due volte la settimana prima dell’uccisione.”
“Perché si trovava sotto casa sua il giorno dopo la sua morte?”
“Lei è Massimo Ghiberti, vero?”
“Si ricorda, dunque?”
“Certo, come le dissi allora, avevo un appuntamento con la signora ma mi imbattei in lei…cioè ebbi il piacere di fare la sua conoscenza…”
L’uomo abbozzò un sorriso.
“Sa, a volte capita di dover fare delle domande…domande che non si vorrebbero fare…ma spero che lei mi scuserà…”
“Dica pure. Sono consapevole di non parlare con un giornalista di gossip…”
Immaginava già il genere di domanda che gli avrebbe fatto...
“La differenza d’età tra lei e la defunta signora de Vincenzo è di appena quattro anni o pressappoco…da cosa nasce cosa…”
“Se ero innamorato di lei? Non lo ero. E se ci tiene a saperlo, non credo sia possibile innamorarsi di qualcuno che a malapena si conosce…lei dovrebbe saperlo meglio di me…le risparmierò altre domande incresciose…era una cliente come le altre.”
“La ringrazio della sua disponibilità…La lascio andare.”
Lorenzo si alzò e dopo aver salutato si stava dirigendo verso la porta.
“Signor Valdesi?”
“Sì?”
“Crede che Alessandra avesse dei nemici?”
“No, sarei tentato di rispondere che non ne aveva…ma ripensando a quanto è accaduto mi sembra ovvio che c’era qualcuno che aveva dei buoni motivi per ucciderla…non ci vuole molto a capire che non si è trattato di un incidente.”
“Se sa qualcosa, o ha qualche sospetto, si rivolga alla polizia.”
“Cosa le fa pensare che sappia qualcosa che non voglio dirle?”
“Deformazione professionale…lo dico a tutti…”
“Con me può stare tranquillo: sono un pessimo attore. Buongiorno.”
 
L’agente di polizia rifletté a lungo su quel giovane e su chi avrebbe potuto chiamare al suo ufficio da un telefono pubblico consigliandogli di indagare su Lorenzo Valdesi, perché secondo l’informatore avrebbe potuto sapere qualcosa o essere coinvolto…eppure non sembrava il tipo…e poi l’assassino non va sotto casa della vittima il giorno che la polizia vi sta facendo i sopralluoghi…non era lui l’omicida…Massimo se lo sentiva…i suoi sospetti cadevano piuttosto sull’autore della soffiata…chi poteva cercare di creare una falsa pista se non l’assassino?
 
“C’è mancato poco che mi scoprisse” pensò uscendo dall’ ufficio di polizia “per fortuna ero un ottimo interprete…  Giulia lo diceva sempre…. Giulia!!!” si ricordò che avevano appuntamento e si chiese cosa fare per rimediare quella figuraccia.
Si precipitò, dunque, a casa ma sotto il portone non c’era nessuno. Si mise una mano in tasca per cercare il cellulare senza ottenere risultati. Salì in ascensore e lasciò la mente aperta all’affollarsi di pensieri senza sottoporre nessuno di questi al controllo della ragione: “Giulia…chissà che pensa di me…ma che ore sono? Le 11.30…Giulia era sempre in ritardo…potrebbe non essere ancora arrivata…ma un’ora insomma…ma dove ho la testa? Lascio il telefono a casa e mi dimentico degli appuntamenti…maledizione! Capitano tutte a me!”
Appena rientrato nel suo appartamento si mise alla ricerca del cellulare per sapere che fine aveva fatto Giulia…lo trovò in  cucina e tra i messaggi ricevuti nel trovò uno della donna “Ciao dunque ti sei scordato di me…non importa…magari ci sentiamo un altro giorno (se ti va perché se devi comportarti come oggi non mi contattare più).”
Si affrettò a rispondere scusandosi e assicurandole che gli era capitato un imprevisto improrogabile e che la aspettava quel pomeriggio al bar in piazzetta, quello che frequentavano ai tempi del liceo. Con gli occhi ancora abbassati per inviare il messaggio andò in camera sua e il suo piede si scontrò con qualcosa di solido. Alzò lo sguardo e vide che davanti a lui c’era un caos colossale…qualcuno aveva fatto irruzione nel suo appartamento…per terra c’erano la maggior parte dei suoi libri aperti o ammassati in modo disordinato, i vestiti che prima erano riposti sulla sedia e il contenuto di vari cassetti…ma evidentemente l’autore del soqquadro aveva trovato ciò che cercava…il libro di architettura in cui aveva nascosto il biglietto di Alessandra era aperto sul letto alla pagina in cui lui l’aveva riposto. Il foglio plastificato del volume era macchiato con una sottile striscia di sangue… D’un colpo un’anta della finestra aperta sbatté contro l’altra. Lorenzo, che nel frattempo aveva preso il telefono per chiamare la polizia ripensando alle confortanti parole di Massimo, si voltò attonito mentre sentiva il sangue raggelarsi nelle vene.
“Polizia, come posso esserle utile?”
Il ragazzo non rispose niente alla voce di donna che proveniva dall’altra parte del ricevitore ma, con le immagini inquietanti dell’incubo di quella mattina ancora davanti agli occhi  emise solo un “No!” che apparve all’interlocutrice come un preoccupante urlo sommesso.
Lorenzo era rimasto impietrito sul pavimento dinanzi al letto intento a squadrare il libro e la macchia di sangue. Il telefono portatile era caduto a terra in seguito al farsi strada nella sua mente di un idea che normalmente non avrebbe mai attecchito: qualcosa di sovrannaturale voleva impedirgli di portare a compimento la missione che Alessandra gli aveva affidato e gli stava mostrando come avvertimento il disordine della stanza che rispecchiava il caos presente nella sua testa e il sangue, tema ricorrente anche nell’incubo. Non era in sé e in quel momento di follia tutta questa fandonia gli sembrò verosimile. A porre fine ai suoi inquietanti pensieri fu il suono del campanello.
A malapena riuscì ad alzarsi da terra dicendosi che era giusto usare le sue ultime forze per andare incontro alla morte, che solo per gentilezza, aveva deciso di bussare alla sua porta senza fare irruzione con violenza. Si disse che era spacciato e che niente ormai avrebbe potuto salvarlo. Aprì la porta.  Si ritrovò davanti Massimo Ghiberti.
“Polizia.”
“Eh? Lei cosa ci fa qui?”
“Se non erro lei ha chiamato in questura ed in seguito si è sentito poco bene. Visto che le avevo appena consigliato di farsi vivo nel caso volesse comunicarci qualcosa di relativo alle indagini, mi è sembrato giusto accertarmi della sua incolumità…”
“Entri…”
Gli mostrò la sua stanza e gli disse che tornato a casa aveva trovato quel casino e che il colpevole aveva perso del sangue tagliandosi con un libro. Allora Massimo cominciò con le sue domande…
“Capisco che quanto accaduto non è affatto rassicurante e che l’artefice le ha messo la camera in un disordine assurdo ma… la sua reazione è stata esagerata…per quanto il sangue sia presente, si tratta solo di una macchiolina insignificante…insomma non è un bambino, non si spaventerebbe mai per così poco…qual è il motivo della sua reazione? Le hanno sottratto qualcosa?”
“Non lo so…”
“È un pessimo attore, lo ha detto anche lei…mi dica la verità…per il suo bene…”
“Si tratta di una sciocchezza…pensavo si trattasse di uno scherzo…uno di quelli di cattivo gusto…non gliene ho parlato per questo…”
“Continui.”
Lorenzo fu costretto a dirgli del biglietto firmato da Alessandra e di ammettere che non aveva idea di che significato avesse e per questo aveva provato ad indagare trasferendosi all’albergo. Tuttavia interruppe qui la narrazione, escludendo quindi il seguito delle sue ricerche e la collaborazione di Stefano. Si sentiva consolato dall’idea che se lui ormai era nei guai, almeno non aveva coinvolto ulteriormente l’amico.  Gli raccontò anche dell’incubo e di tutto il resto.
Massimo soffocò un sorriso che gli sorgeva spontaneo, insomma non avrebbe mai immaginato che quel giovane si impressionasse per un brutto sogno come lo avrebbe fatto un bambino. Stava per chiedergli se lo spaventavano anche i  temporali ma si astenne dal fare una simile battuta. Si preoccupò, tuttavia, di quello che era successo, che bisognava ammetterlo, non aveva in sé nulla di spiritoso. Lorenzo sporse denuncia contro ignoti per furto e violazione della proprietà privata e per questo fu invitato a ritornare in questura, ma stavolta venne lasciato un agente in borghese ad osservare la situazione per intervenire nel caso il ladro si fosse rifatto vivo. Prima di lasciarlo tornare a casa a mettere ordine nelle sue cose gli fece un’ultima importantissima domanda.
“Lorenzo, ha idea di chi potrebbe essere stato?”
“Sinceramente no. E penso che possa credermi, ormai le ho raccontato tutto.”
“Qualcuno ha una copia delle chiavi di casa sua? Non lo so, un parente, un amico?”
“No…cioè…ora che mi ci fa pensare…sì…il mio amico Paolo, ma lui non farebbe mai una cosa del genere!”
“Qualcuno potrebbe averle sottratte al suo amico…”
“Ma chi avrebbe potuto farlo?”
“La domanda dovrei porgerla io a lei, e non il contrario…”
“Il risultato non cambia, la risposta la ignoriamo entrambi.”
  

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Capitolo 6
*** capitolo V ***


Fiducioso uscì di casa con la vana speranza di incontrare Giulia. Quella giornata non gli aveva portato che brutte notizie. Era stato in questura due volte in una sola mattinata, aveva dovuto provvedere al disordine causato da altri per lui, precisamente da un ladro che gli aveva sottratto il biglietto di Alessandra. L’unica cosa da fare per non pensare a tutti gli avvenimenti allegri che gli avevano ricordato che il buon giorno si vede sempre dal mattino, era incontrare Giulia.
La ragazza lo attendeva al solito bar. Il locale era piccolo ma accogliente e d’estate nello spazio dinanzi all’ingresso vi erano dei tavolini che servivano ad equilibrare la mancanza dell’interno. Era seduta ad un tavolino appartato e consumava già l’ordinazione: una mousse al limone. Lorenzo, appena la vide, dovette frenare l’impulso di correrle incontro e si costrinse a fare un ingresso elegante e distinto.
“È da molto che aspetti?”
“No. Questa volta non sei tu ad essere in difetto. Sono io ad essere arrivata in anticipo.”
“Scusami per stamattina…C’è stato un imprevisto…”
“Lo so.”             
“Lo sai?”
“Sì, me l’hai detto tu nel messaggio…hai già dimenticato?”
“Sì, hai ragione…scusami in questo periodo sono un po’ nervoso…distrarmi mi farà bene…”
“Non preoccuparti, capita a tutti di avere un lapsus a volte.”
 “Poi questa mattina che hai fatto? Scusami ancora ti avrò fatto perdere un sacco di tempo prezioso…”
Giulia ebbe un attimo di indecisione e poi rispose con nervosismo non molto abilmente mascherato “Come mai questa curiosità?”
Lorenzo la guardò stupito,  non si aspettava una reazione del genere…
“Non volevo essere indiscreto…”
“No, scusami tu…ti volevo dire una bugia… sono stata a casa a non far niente…volevo sembrare piena di impegni, invece a parte le ripetizioni faccio ben poco…”
Il ragazzo sorrise e le prese la mano. Cominciava a riconoscere la Giulia di un tempo: la ragazza con un’aria un po’ infantile che finge di essere forte per mascherare le sue debolezze.
“Non hai bisogno di mentirmi…io ti  ho sempre voluto bene per quella che sei…”
La ragazza fece un sospiro di sollievo che se Lorenzo avesse notato avrebbe considerato sospetto.
“Che ne dici di fare una passeggiata?”
“Sono d’accordo.”
I ragazzi pagarono il conto e uscirono dal locale.
“Per il filmino del matrimonio…sai l’ho detto a Paolo e lui mi ha risposto con la sua finezza abituale che queste idee vengono in mente solo a me…che non ho niente da fare…che ha ancora la gamba ingessata e non può mettersi a cercare tutte le stupidaggini che mi saltano in mente anche perché non riesce più a trovare un mazzo di chiavi…”
“Dai, non disturbarti…non importa…”
“Ma per fortuna è intervenuta Noemi che ha ricordato al gentleman che non ho chiesto la luna e dopo aver consigliato al fratello di andare a mettere le mani sotto l’acqua fredda mi ha assicurato che si occuperà lei della ricerca…”
“Ma non dovevi disturbarli…non importa…”
“Ma no, non ti sarai mica fatta intimorire? Ha un caratteraccio ma quando Noemi riporterà alla luce il reperto archeologico dal disordine di Paolo, anche lui si farà due risate con noi. Piuttosto, pensiamo a cosa fare mentre aspettiamo di assistere alla proiezione del filmino…ti va di andare al cinema?”
“Certo, a vedere cosa?”
“Fanno un film di quelli che piacciono a te…si chiama Fiori di serra…pare che sia uscito da poco…”
“Come fai ad essere così sicuro che mi piacerà? È passato molto tempo da quando eravamo in confidenza...”
“Perché, ora non lo siamo più?”
Giulia abbassò gli occhi e gli sussurrò: “Ci sono tante cose che non sai di me.”
Lorenzo si fermò e le accarezzò la guancia destra con il dorso della mano.
“Non pretendo di conoscere tutto il tuo passato, mi interessa solo sapere se ci sarà un posto per me nel tuo futuro.”
La ragazza si irrigidì e spostò lo sguardo in modo da non incrociare quello dell’interlocutore.
“Non voglio metterti in gabbia, lo so che sei uno spirito libero, hai bisogno del tuo spazio per crescere e vivere…io non voglio invadere il tuo territorio e assoggettarti a me, voglio condividere con te un giorno, un anno, un qualsiasi lasso di tempo. Voglio semplicemente avere un senso accanto a te che mi sei apparsa sempre qualcosa di più giusto, di più vero, sai…ti ho sempre giudicata migliore di me…in ogni cosa…e se all’inizio ti volevo solo per una sfida con me stesso, ora mi rendo conto che ti ho sempre amata. Quando mi sorridevi, quando mi cacciavi via, quando volevi parlarmi, quando mi tenevi il broncio, quando mi dicevi che amavi un altro, quando mi sussurravi quelle frasi piene di puntini di sospensione e mi illudevo che il soggetto fossi io, quando capivo che non ero la persona giusta ma non riuscivo a sentirmi sbagliato.”
“Non andare avanti.”
“Non mi ricambi vero? Se è così dimmelo, non continuare a prendermi in giro…”
“Lorenzo, non dire così. Sono io che mi sono illusa di amare altri quando invece i miei pensieri erano indirizzati verso di te…lo sono sempre stati…e lo sono tuttora…ma…”
Lorenzo la guardò con dolcezza e avvicinò il suo capo a quello di Giulia pensando che fosse solo confusa ma che un bacio avrebbe fatto eclissato ogni suo dubbio. Le loro labbra si cercarono e si incontrarono per un istante di oblio. Tutto sembrava aver trovato una soluzione, ma Lorenzo non sapeva che i suoi problemi non avevano certo perso la loro importanza, anzi, avevano trovato un nuovo fratellino. Giulia si divincolò dall’abbraccio del giovane e gli disse: “Sono io ad essere sbagliata…tu non hai fatto niente per meritarti una come me…Perdonami.”
Così dicendo la ragazza lo lasciò da solo in mezzo alla piazza, vuota come la sua vita.
Nella sua mente tante domande, ma sulle sue labbra un solo nome: Giulia.
Non cercò di raggiungerla, sapeva che anche con le migliori argomentazioni lei non lo avrebbe ascoltato. Alzò lo sguardo verso il cielo e si stupì di non trovarlo affollato da nubi minacciose.
“Se fossi in un film si sarebbe messo a piovere. Ma purtroppo questa è la mia vita, non una commedia. Cavolo, non me ne va una giusta.”
Pensò ancora alla ragazza e a quanto aveva aspettato quel momento, a quanti anni addietro risaliva la sua voglia folle di baciarla, di stringerla forte a sé. Aveva vissuto a lungo solo per diventare per Giulia più di un amico, per poter essere la spalla su cui potesse piangere. Lei era il suo sogno più bello e nel momento in cui vide prendere vita quello che avrebbe potuto essere l’inizio di un’esistenza diversa, tutto era andato in fumo. Eppure, ripensandoci, Lorenzo dovette  riconoscere a se stesso che la ragazza non aveva detto di non amarlo, bensì di non poter stare con lui perché non aveva la coscienza a posto…a cosa era dovuta questa giustificazione? Innanzitutto, era davvero una scusa per non ferirlo oppure si trattava di qualcosa da ricercarsi nel passato della ragazza? Lorenzo non sapeva più a cosa pensare…forse si vergognava perchè si manteneva facendo delle ripetizioni, perché non aveva un posto fisso? Certo lui era un architetto e se la passava abbastanza bene da poter mantenere entrambi in modo da condurre un tenore di vita normale, ma davvero Giulia era così limpida come aveva creduto, tanto da farsi uno scrupolo come quello? E se fosse arrivata, pur di sopravvivere, a fare cose disonorevoli come rubare o, addirittura, uccidere? “Ma no…mi sto facendo problemi inutili, Giulia non mi nasconde un bel niente…solo voleva essere gentile perché siamo stati amici per tanto tempo…non volendo che soffrissi si è comportata di conseguenza…e allora a quale scopo, se non per alimentare le mie illusioni, non si è sottratta a quel bacio?” sospirò ed infine sorrise “Se prima di conoscerla mi avessero detto che sarei stato innamorato di lei e che avrei perseverato in quell’amore impossibile per ben sette anni della mia vita, sarei scoppiato in una sonora risata.” Decise, dunque, di vagare per la città senza meta e, seguendo solo il filo dei suoi pensieri, inoltrarsi tra le auto e i palazzi per poi vedere dove sarebbe finito. Dopo aver analizzato ogni frase pronunciata da Giulia e ogni sua risposta, stufo di quelle riflessioni decise che la corsa era finita e che il treno avrebbe dovuto fermarsi per vedere che distanza c’era tra lui e la stazione. Si trovò davanti al cinema, sulla locandina appariva il titolo del film che aveva proposto di vedere insieme a Giulia. Perché non entrare ugualmente? Se ci fosse stata lo avrebbe visto…perché non ingannare la sua razionalità ed andare a vedere quel film da solo, illudendosi di avere a fianco a sé la ragazza? Non gli sarebbe costato niente indugiare nel presupposto sbagliato che lei lo amava per altre due ore. Ci avrebbe guadagnato invece. Cosa? Non lo sapeva ma se da una parte aveva senso lasciar andare l’ennesima opportunità per prendersi in giro, dall’altra quell’ultimo sbandamento era per lui troppo affascinante per essere accantonato senza poi rimpiangere di averlo fatto. Quindi, armatosi dell’autostima necessaria, entrò nel cinema. Il  ragazzo alla biglietteria gli disse che il film era appena iniziato e faceva ancora in tempo ad entrare. Lorenzo, con un sorriso amaro dipinto sul viso, pagò il biglietto e si diresse in sala. C’era molta più gente di quanto si aspettasse. Sbirciò il pezzo di carta che stringeva tra le mani e cercò di individuare il suo posto nella stanza semi-buia. Per fortuna c’erano delle lucine per terra e gli fu abbastanza semplice. Fila “G” ovviamente. “D'altronde” pensò “era destinato che ci venissi con Giulia. Si accomodò sulla poltrona che il caso gli aveva assegnato. Alla sua destra c’erano due ragazzi, due fidanzati, presuppose, che si tenevano mano nella mano, alla sua sinistra c’era un posto vuoto.
Quando il film finì Lorenzo fu l’ultimo ad andarsene. Non aveva fretta di tornare a casa per trovarla vuota. Decise di aspettare che finissero anche i titoli di coda. Dapprima non prestava loro attenzione, infondo erano solo un pretesto. Ma visto che c’era, si chiese “Perché non buttarci un occhio?” alla fine si scoprì interessato. Gli apparve sorprendente la quantità di persone che avevano lavorato alla realizzazione del film. Oltre gli attori e il regista che diventavano famosi c’erano tante altre figure di uguale fascino: lo sceneggiatore, le comparse, i costumisti, gli addetti all’audio e alle luci. E poi si chiedeva chi avesse potuto scrivere quella canzone così bella che faceva da colonna sonora al film…la melodia si proponeva alla sua attenzione continuamente, non era un’accozzaglia di note ma queste formavano un sentiero nascosto nel bosco che portava in un luogo fatato dove nessuno era mai arrivato ma dove sarebbe stato piacevole smarrirsi. I suoi pensieri fluttuavano in un’atmosfera immaginaria e i problemi, ascoltando il motivo ricorrente del brano musicale, si scioglievano senza far rumore come la neve nei paesi di mare. Era talmente rilassante da sembrare che donasse nuova ninfa vitale all’ascoltatore ad ogni nota, ad ogni suono. Si sentiva come risollevato dalle questioni terrene, era come un balsamo per il suo cuore infranto, era come luce dopo una notte di nebbia. E con la melodia si faceva strada la consapevolezza di non poter cambiare quello che era successo nel pomeriggio, ma non era una sensazione spiacevole, al contrario gli metteva tranquillità e poneva un punto d’arrivo al percorso iniziato dopo l’incontro-scontro con Giulia: la vita avrebbe continuato a scorrere anche se la donna che amava lo aveva respinto. A quale prezzo? Lorenzo non volendo rispondere a quella domanda fastidiosamente ricorrente la lasciò inabissarsi con il tema malinconico della composizione che aveva tanto apprezzato durante il film e che ora accompagnava i titoli di coda. Alzò lo sguardo e cercò tra i vari nomi quello del compositore di quella melodia unica che aveva rivoltato, seppur con gentilezza, il suo animo come un calzino. Aveva abbandonato la speranza di soddisfare la propria curiosità quando trovò la risposta al suo quesito: “Musiche di Alessandra di Vincenzo”. Scioccato, Lorenzo uscì dal cinema.


note dell'autrice: mi rendo conto solo adesso di quanto tempo sia passato dall'ultimo aggiornamento, mi scuso con i miei pochi lettori e con il numero ancor più esiguo di chi mi recensisce. ringrazio particolarmente marig 28 libra che c'è sempre ma anche quelli che leggono senza recensire... anche se ricordo loro che un commento è sempre gradito :) alla prossima

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Capitolo 7
*** capitolo VI ***



Note dell'autrice: lo so che bisognerebbe metterle alla fine ma per questa volta faccio un'eccezione XD dato che ho saltato un sacco di aggiornamenti preferisco questa volta farne due... così che il prossimo sarà l'ultimo!

Il giorno seguente venne contattato da Stefano che  gli disse di andare a cercarlo al conservatorio verso le 12.30 quando la sua lezione finiva e aveva inizio la pausa pranzo. Lorenzo, dopo aver riflettuto a lungo, giunse alla rassicurante conclusione che quanto era accaduto la sera prima non era stato abilmente architettato dal destino, da Dio o da chi per loro, ma si trattava semplicemente di un’imbarazzante coincidenza.
Quando uscì di casa alle 12.00 con l’intenzione di percorrere a piedi la distanza tra casa sua e il “Note stonate” non cercava chiarimenti come il giorno precedente, voleva solo trovare se stesso. La sua persona era passata troppe volte in secondo piano: a scombussolare la sua scala delle priorità dapprima Alessandra e la sua morte ancora senza spiegazione e contemporaneamente Giulia e la riscoperta di quei sentimenti che aveva cercato invano di soffocare. Due donne, che pur non incontrandosi mai, orchestravano la sua vita indirizzando le sue azioni quotidiane. Riflettendoci, Lorenzo convenne che sia di Alessandra sia di Giulia sapeva molte cose ma gli mancavano le chiavi di accesso ai loro mondi, alle verità che rappresentavano. Cosa volevano da lui? E lui cosa voleva da loro? Sicuramente pretendeva troppo, incosciamente si aspettava che il mistero sull’omicidio della professoressa di pianoforte si risolvesse autonomamente e, in fondo, sperava che, per il semplice motivo che lui l’amava, Giulia avrebbe dovuto ricambiarlo.
“Le cose non vanno mai come ci si aspetta che vadano” una vocina si fece largo nella massa informe dei suoi pensieri non ancora sviluppati che giacevano ammucchiati con le conoscenze senza fonte. “Perché se il mondo fa come vuole io non posso fare lo stesso ed essere felice?” ma non si rispose perché sapeva che tutta quella questione era fondata su un presupposto sbagliato: si può avere tutto dalla vita.
Soffocò quei pensieri quando giunse davanti al conservatorio. Entrò. L’aveva immaginato tante volte ed in tanti modi diversi ma quando potè osservarne l’interno in prima persona restò interdetto. L’ingresso era molto semplice: vi trovavano posto due armadietti, l’ufficio del portinaio, una bacheca che occupava gran parte della parete e poche altre cose.
“Buongiorno, sto cercando uno dei vostri docenti: Stefano Franchi. Dove posso trovarlo?”
“Provi al primo piano…”
Lorenzo si accorse solo in quel momento dell’ampia e imponente scalinata che conduceva al piano superiore. Arrivatoci, non gli fu difficile individuare un corridoio di classi con le porte chiuse. “Quale sarà quella giusta?” gli venne incontro una figura dal fondo del corridoio. Si trattava di una ragazza che aveva in mano la custodia di un violino. Venne seguita poco dopo da quello che doveva essere il resto della scolaresca. L’ultimo a uscire fu Stefano. “Grazie al Cielo se uscito allo scoperto…Non avevo idea di dove venirti a cercare…”
“Sono qui, ora puoi tranquillizzarti. Come vedi sono sopravvissuto a quella banda di ragazzini!” Non riuscì a trattenere una risata.
“Non mi preoccupavo della tua incolumità, piuttosto della mia sanità mentale…ma lasciamo perdere…Non hai idea di cosa ho scoperto…”
“Non è questo il posto più tranquillo per parlare, seguimi in aula docenti.”
“Non ci potrebbe essere qualcuno?”
“No, oggi l’ultima lezione era la mia e gli addetti alle pulizie vengono dopo le 14.00.”
“Non ho niente da dire: hai organizzato tutto nei minimi dettagli. Meglio che se me ne fossi occupato io…”
“L’umiltà è sempre stata il tuo forte, vero?”
“Passiamo alle cose serie. Ieri sono andato al cinema…”
“E ovviamente dopo aver fatto questa scoperta la mia vita cambierà in modo radicale…meno male che la proposta della serietà l’hai fatta tu!”
“Fai poco lo spiritoso…Hai presente il film Fiori di serra?”
“No, ma visto che tu ci sei già andato con Giulia e io non saprei chi portarci, non dare a me il biglietto omaggio che ti è stato regalato dal direttore del cinema per quei titoli tipo milionesimo cliente.” Sorrise.
“Non ci sono andato con Giulia.” Lorenzo non poteva essere più serio.
“E con chi allora?”
“Da solo.” L’amico, non sapendo cosa rispondere, rimase in silenzio.
“Comunque, ho fatto una scoperta involontaria ma non so se è utile. La colonna sonora è stata scritta dalla donna che è stata uccisa.”
“Da Alessandra?! No, non può essere!” poi abbassando la voce chiese a se stesso “Perché non me l’ha detto?”
“Da quando fai sedute spiritiche?”
“Io?! Ma ti è andato di volta il cervello?”
“Hai appena affermato che una donna defunta avrebbe dovuto comunicarti via fax che la sua composizione aveva avuto fortuna, poi sono io il pazzo!”
“Diciamo che c’è qualcosa che non ti ho detto…”
“Confessa: fai il negromante per hobby.” Intercettò lo sguardo dell’amico e si scusò.
“Ti ricordi quella volta che iniziai a raccontarti la storia travagliata dei miei studi musicali?” Lorenzo annuì. “Tu mi chiedesti chi fosse la ragazza che mi incoraggiò a tornare al conservatorio. Ebbene, è arrivato il momento di parlarti di lei. L’avevo conosciuta qui al Note stonate, si stava preparando per potervi insegnare ma il suo sogno era quello di comporre per il cinema.” Lorenzo strabuzzò gli occhi, aveva avuto un’intuizione che trascinava con sé un terribile sospetto. “Era bellissima, aveva i capelli rossi che teneva spesso raccolti in una treccia e due magnifici occhi verdi. Mi innamorai di lei. Ma partiamo dall’inizio: quando fui costretto ad abbandonare il conservatorio la prima volta, a volte il mio corpo mi riconduceva involontariamente qui. Fu una volta di queste che la conobbi…era imbronciata perchè il suo professore di pianoforte era assente e aspettava impotente che arrivasse l’ora della lezione di solfeggio. Era seduta all’ingresso, sull’ultimo gradino della scalinata. Quel giorno decisi di entrare per salutare il mio maestro e visto che in portineria non c’era nessuno mi rivolsi a lei. Mi rispose che era assente e poi si presentò…”
“Era Alessandra, vero?”
“Sì.” Dopo la confessione Stefano si alzò dalla poltrona su cui era seduto e iniziò a camminare per la stanza con un misto di nervosismo e liberazione.
“Se l’hai uccisa tu non me lo dire, mi basta quello che ho ascoltato per immaginare un movente plausibile.”
La reazione di Stefano fu fulminea: si voltò di scatto e, avvicinatosi all’amico occupò il suo posto di prima quasi scivolando per la foga e lo fissò dritto negli occhi.
“Davvero credi che io, il tuo amico Stefano Franchi, sia capace di fare una cosa del genere?!”
“Da quello che mi hai raccontato e soprattutto dal momento in cui lo hai fatto sembrerebbe che tu sia stato capace di fare molte cose che non avresti dovuto fare…”
“Lorenzo, guardami negli occhi, ti sembro un assassino?”
L’amico osò a malapena alzare lo sguardo per guardare in faccia il suo interlocutore. Stefano sembrava più un angelo del Botticelli che un efferato omicida.
“Da come hai impostato il racconto sembra una tragedia greca dove appena ti distrai salta fuori il dramma…”
“Ti assicuro che non sono stato io.” Lorenzo gli prese la mano e la strinse.
“Ti credo. Mi scuso tantissimo per aver osato dubitare di te, ma questo mistero è tanto fitto che se scoprissi di essere stato io mentre facevo il sonnambulo, la notizia sarebbe ugualmente confortante. Comunque, perché non me lo hai detto prima?”
“Perché mi sembrava impossibile, ci eravamo sentiti solo qualche giorno prima ed avevamo per giunta litigato. E poi, non volevo che sospettassi di me. Rifletti, come avresti reagito?”
“Male e avrei cominciato a fare domande indiscrete…”La sua affermazione sottendeva una richiesta.
“Ti do il permesso di chiedermi ciò che vuoi e cercherò di rispondere. Comunque smentisco ciò che leggo nei tuoi occhi: tra noi due nacque un’amicizia sincera che smise di esserlo solo perché io mi innamorai di lei…ma lei non…come te e Giulia insomma…”
“Eh, come me e Giulia.” Lorenzo ripeté quasi per inerzia fissando il tavolo.
“È successo qualcosa?”
“In un certo senso…”voleva mantenersi sul vago ma le parole furono più veloci delle barriere che la mente voleva issare. “Ieri ci siamo visti e io mi sono dichiarato. L’ho baciata e…”
“E?!”
“Mi ha respinto dicendomi che non mi merito una come lei…non so più che pensare…”
“E poi?!”
“E poi niente, con la morte nel cuore, aggirandomi come un fantasma per la città, sono giunto davanti al cinema e sono entrato.” Stefano gli diede una pacca sulla spalla.
 
“Parliamo di te ora…” disse Lorenzo “hai scoperto qualcosa?”
“Sì, ho trovato il violino di Alessandra nello stanzino dove si conservano gli strumenti della scuola.”
“Come fai a sapere che sia il suo?”
“Sulla custodia ci sono scritte le sue iniziali…Comunque, l’ho aperta e dentro ho trovato questo foglio.”
Stefano mostrò all’amico il pezzo di carta dove era stata scritta con elegante grafia la seguente poesia:
 
“Come in un museo
 
Una fresca fragranza
Mi inebria i sensi.
Forse è un sogno
Ma assomiglia tanto
Alla realtà.
Sono come in un museo,
una sala piena
di quadri.
Paesaggi: nuvole,
campi in fiore,
il mare.
C’è tutta la vita
Su quelle tele:
ogni attimo
vi è stato intrappolato
dall’abile mano
del pittore.
Vado avanti titubante
Ma il corridoio è lungo,
sembra non finire mai.
Vi sono dei ritratti,
il mio sguardo vi si posa
ma in realtà…
non li guardo davvero.
Cerco di evitare di soffermarvi
Su quegli occhi
Che se pur unicamente
Dipinti su una tela,
sembrano essere
ugualmente vigili:
pronti ad emettere
una sentenza.
Ho paura di quei volti,
sarà perché è gente
che non conosco.
Qualcosa mi spinge
A fermarmi:
sarà la stanchezza.
Davanti a questo quadro
C’è una poltroncina.
E dinanzi alla poltroncina
C’è una quadro.
Cerco invano di
Distoglier lo sguardo,
ma il dipinto
ne assume il monopolio.
Chi rappresenta?
Non mi sembra di saperlo…
Ma…
Può essere?
Scatto in piedi…
Non posso sbagliarmi.
Riconosco quel viso
E cado nuovamente,
mi lascio cadere
sulla poltrona.
Riconosco quei lineamenti.
Ma non può essere.
Forse la vista mi inganna.
Forse è la memoria
che mi tende
un ignobile tranello.
Forse è solo uno sbaglio,
una svista, un abbaglio.
È mai possibile?
Forse sì.
Ma è vero,
non posso dubitare
di ciò che percepisco
con i sensi.
È un ritratto
E il soggetto
Sono io:
ho le sembianze
di una dama
d’altri tempi
con un violino
in mano.
E sul violino…
Un’aquila
che spicca il volo.”
 
“Secondo me la chiave del mistero è l’aquila, è menzionata nella poesia e anche in quel biglietto che ti ha lasciato. Ho provato anche a fare una ricerca su Internet, è il simbolo di Zeus, la divinità principale del pantheon greco. A parer mio dobbiamo cercare qui al conservatorio qualcosa che abbia a che fare con il rapace.”
“Sì, ma dove?”
“Ho già cercato nello stanzino dove ho trovato il violino ma non c’era niente. A quel punto ho provato a capire quale fosse l’armadietto di Alessandra, ma ho scoperto che è stato già svuotato dalla polizia. Dunque, direi che abbiamo un’ultima alternativa.”
“E sarebbe?”
“La biblioteca.”
I due ragazzi si scambiarono uno sguardo complice e uscirono dalla stanza per cercare l’unico posto che avrebbe potuto aiutarli nelle loro ricerche ormai disperate. Sulla loro strada si trovò il portinaio che fece loro varie domande, ma Stefano lo convinse del fatto che l’amico aveva bisogno di consultare l’archivio per delle ricerche legate a qualcosa di cui Lorenzo non sapeva neanche l’esistenza. La scuola sarebbe rimasta aperta perché c’erano tanti ragazzi che venivano da fuori e rimanevano al conservatorio per le lezioni del pomeriggio e all’uomo la scusa inventata sul momento sembrò plausibile. Finalmente soli, andarono in biblioteca. Non era situata in un ambiente molto grande ma era abbastanza fornita. I volumi erano troppi per essere esaminati uno per uno, bisognava quindi scegliere un criterio. Decisero ci cercare nella sezione storica tra i libri sull’antica Grecia dopo avere sprecato venti minuti alla ricerca di libri sugli animali dove cercare l’aquila. Si imbatterono in una raccolta dei più famosi miti legati alla civiltà che aveva abitato l’Ellade. Sfogliarono il volume con frenesia e ad una prima analisi non trovarono niente. In un primo momento, presi dallo sconforto, stavano per issare bandiera bianca, ma qualcosa li spinse a provare di nuovo a cercare qualcosa tra le pagine del libro che alla prima indagine gli era sfuggito. Trovarono uno spartito piegato in quattro. Non un titolo, non un’indicazione, solo una firma: Giulia Pignani.
“E questo che vuol dire? Non capisco.”
“Non c’è niente da capire. La tua amica ha voluto farmi perdere tempo. Andiamocene da qui.”
“E lo spartito?”
“Tienilo tu, io non so che farmene.” 

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Capitolo 8
*** Settimo ed ultimo capitolo ***


Lorenzo non riusciva a capire il senso di quel percorso che Alessandra gli aveva fatto fare: il biglietto, l’aquila, la poesia, lo spartito. Cosa voleva dire? E cosa c’entrava Giulia? Si impose di non pensarci più, se c’era qualcuno che doveva occuparsi delle indagini era la polizia. C’era gente che veniva pagata per fare quello che lui stava cercando di fare senza alcun motivo. Lui la conosceva appena, cosa gliene importava? Era morta e basta, non per questo doveva trascinare nella tomba anche lui. Perché proprio lui?
Era stufo della decisione insensata che aveva preso dopo aver letto quel dannatissimo biglietto, da allora la sua vita era andata in pezzi e delle cose che erano state fino a quel momento importanti, il lavoro, le amicizie, la donna che amava, non era rimasto niente. Solo schifosissimi frammenti, tessere di un puzzle senza più una base, senza più collocazione.
Se avesse potuto avrebbe urlato. Non riusciva più a sopportare quella situazione di impotenza. Non aveva mai creduto al destino: la sua vita era solo il risultato di quello che lui faceva (o non faceva) per renderla migliore. E allora basta. Non avrebbe continuato indugiare in quella falsa. Se sarebbe potuto servire a qualcosa si sarebbe dato uno schiaffo. Invece l’unica cosa da fare era porgere un guanto di sfida alla vita. In che modo? Non lo sapeva ancora. Sorrise, forse andare dal suo amico più sovversivo sarebbe servito a qualcosa…e chi era il suo amico più sovversivo? Paolo, ovviamente.
 
Quando suonò al campanello gli rispose Noemi.
“Accomodati…sei arrivato giusto in tempo!”
“In tempo per cosa?”
“Io e mio fratello stavamo per telefonarti. Ho trovato la ripresa del giorno del matrimonio della prof.”
“Ah…bene.”
“Tutto questo l’entusiasmo? Ho dovuto mettere la casa a ferro e fuoco per trovare il filmino.”
“Scusami, è che in questo periodo le cose vanno un po’ come vogliono…”
“Problemi a lavoro?”
“No, sono cose mie…”
“Giulia?”
“E tu cosa ne sai di Giulia?”
“Niente…è che l’altro giorno ho ritrovato quel mazzo di chiavi che avevo perso…sai erano le chiavi di casa tua…e….”
“Le chiavi di casa mia?!”
“Non ti arrabbiare…ma come Paolo non te l’ha detto?”
Lo sguardo di Lorenzo parlò per lui.
“Non te l’ha detto. Insomma pensavamo che le avesse prese lei perché le abbiamo trovate sul tavolino dove lei aveva poggiato la borsa e dove…inutile dirlo…è stato il primo posto dove le abbiamo cercate. Pensavamo che fosse venuta a trovarti…a farti una sorpresa. Avevamo persino pensato che vi foste messi insieme. No, eh?”
“No.” Guardò il cellulare e finse che gli fosse arrivato un messaggio. “Scusami, mi sono ricordato di avere un appuntamento. Torno un’altra volta.”
“E il filmato?”
“Dammelo, lo vedo a casa quando ho tempo.”
Uscì dopo aver preso la cassetta senza pronunciare una sola parola di spiegazione.
Avrebbe tanto voluto sbattere la testa contro il muro. Era stata Giulia a entrare nel suo appartamento e rubare il biglietto. Era stata lei a uccidere Alessandra. Non poteva crederci. Ecco perché aveva affermato di aver avuto da fare quella mattina. Ecco perché mi ha respinto. Chi sono stato io per lei? Assolutamente niente. Avrebbe voluto andare in caserma e denunciarla ma non aveva prove…non ancora.
 
“Stefano, dove sei?”
“A casa perché?
“Posso raggiungerti lì? Ci sono novità.”
“Si, ma che cosa è successo?”
“Il nome Alessandra ti dice qualcosa?”
“Ti aspetto.”
 
Lorenzo dieci minuti dopo era a casa di Stefano che, stupito dalla telefonata ricevuta e della rocambolesca apparizione dell’amico, aspettava spiegazioni.
“Scusami, ti disturbo?”
“No, figurati. Entra.”
“Tu hai un pianoforte vero?”
“Certo, ma questo che c’entra?”
“Non c’è tempo per spiegare. Hai anche il foglio che abbiamo trovato oggi?”
“Sì, perché?”
“Sei in grado di suonare ciò che c’è scritto?”
“Ma è una composizione per piano?”
“Sì. Forza, muoviti.”
Ormai consapevole del fatto che le spiegazioni non sarebbero arrivate, facendo strada all’amico per condurlo in salotto dove teneva lo strumento, pensò: “Come gli viene bene la parte del carnefice…” e fu costretto a nascondere un sorriso.
 
Lorenzo attese con poca pazienza che l’amico si accomodasse sullo sgabello e mettesse lo spartito sul leggio. Quel momento era cruciale. La sua ipotesi poteva essere accettata solo se fosse stata avvallata da delle prove e questa era l’unica che sarebbe stato in grado di fornire a Massimo Ghiberti. Quando Stefano iniziò a suonare Lorenzo andò nel pallone. In realtà ricordava ben poco della colonna sonora di  Fiori di serra. Quando le abili dita dell’amico iniziarono a dare un suono a quelli che per lui erano solo stanghette e pallini tutti i suoi sensi erano all’erta. Quando riconobbe la melodia che aveva tanto ammirato al cinema non ebbe più dubbi. Tutto era finalmente chiaro.
 
“Lorenzo Valdesi, come mai ho il piacere di incontrarla di nuovo?”
“Sono qui per darle una buona notizia. Ho scoperto chi ha ucciso Alessandra de Vincenzo.”
“Che cosa?! Lo sa che ci vogliono delle prove per accusare qualcuno?”
“Le ho. Innanzitutto, le presento il mio amico Stefano Franchi.”
I due si strinsero la mano.
“Lei ha visto il film Fiori di serra? Sa chi ha scritto la colonna sonora?”
“Sinceramente no. Inoltre questa non è la redazione di un giornale di spettacolo e nemmeno un quiz televisivo. Ho l’impressione che lei voglia farmi perdere tempo.”
“No, la prego mi ascolti.  Nei titoli di coda compare il nome della donna uccisa.”
“Quindi l’ha scritta lei?”
“Questo è il punto, risulta che sia sua, ma in realtà è stata composta da Giulia Pignani. Abbiamo il suo spartito originale e Stefano ha provato a eseguire quello che c’è scritto. È la stessa melodia del film. Si ricorda quando mi misero la casa a soqquadro e rubarono il biglietto di Alessandra?”
“Certo.”
“Ebbene, ricorda quando mi chiese se qualcuno aveva le chiavi di casa mia?” Ghiberti annuì. “Le risposi che Paolo ne possedeva una copia. Giulia dà ripetizioni alla sorella del mio amico. Un giorno non trovarono più le chiavi di casa mia che poi riapparirono un pomeriggio che la ragazza era andata da loro, sullo stesso tavolino dove aveva poggiato la borsa.”
“E questa Giulia come faceva a sapere che lei era in possesso del biglietto?”
“Lei non lo sapeva ma aveva il sospetto che fossi in possesso di qualcosa che avrebbe potuto inchiodarla. Io, infatti, le avevo accennato l’eventualità di ritrovare un vecchio filmino della festa di nozze dove eravamo stati invitati sia io che lei…e sospetto anche Alessandra.”
“Come…sospetta?”
“Io ricordo che c’era una ragazza con i capelli rossi che suonava il piano.”
“E noi dovremmo basarci sulle sue vaghe memorie?”
“Ho qui il filmato apposta per visionarlo.”
“Lo lasci qui, poi lo vedremo in un altro momento e glielo restituiremo. Continui piuttosto con la sua testimonianza…”
“Sì, secondo me le due si conoscevano, in fin dei conti entrambe frequentavano il conservatorio e suonavano il pianoforte. La composizione che è diventata la colonna sonora del film che prima ho nominato era stata composta da Giulia, ma Alessandra, a cui era stata data una copia della partitura dall’amica, l’ha usata per guadagnarsi il successo. Quando la ragazza l’ha scoperto non è riuscita a dominarsi e l’ha uccisa. D’altronde non ha un lavoro fisso, fa solo delle ripetizioni e non penso che guadagni molto.”
“Quello che dice non fa un piega…”
 
Passarono i giorni e la veridicità delle intuizioni di Lorenzo fu verificata dalla polizia. Giulia avrebbe dovuto affrontare un processo dal quale sarebbe stato difficile non ottenere una condanna.
Ghiberti scoprì, inoltre, che l’utilitaria rossa con “RB” nella targa era in possesso di Giulia Pinardi e che era stata quest’ultima a tagliare la strada a Paolo la sera che aveva litigato con Alessandra per la disputa sulla “maternità” della colonna sonora di Fiori di serra. Lorenzo intuì che era stata quella notte che era maturata in Giulia la voglia di vendetta che l’aveva spinta a uccidere ma promise a se stesso che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe pensato a tutto ciò che era accaduto in quella settimana.
Lorenzo non la incontrò più e cercò di cancellare quello che era successo. Voleva salvaguardare la memoria della ragazza che, suo malgrado, gli aveva insegnato cosa voleva dire amare e l’importanza del fatto che essere o non essere ricambiati è secondario a quello che si prova che viene prima di tutto. Massimo Ghiberti fu di parola e gli restituì il filmato. Lo guardò e riguardò molte volte cercandovi sempre qualcosa di nuovo, si rivedeva e riscopriva l’età del possibile, della tristezza e della gioia senza limiti, l’età dove non ci sono barriere ma solo confini facilmente valicabili. Rivedeva Giulia…e Alessandra. Si rese conto di quanto i rapporti umani siano fragili. Di quanto poco ci voglia a rendere nulli anni di amicizia. Si accorse che la vita è fatta di bicchieri e di mensole: i primi sono le persone o quello che queste hanno rappresentato per noi (un amico, un famigliare, un prof.) e la mensola è la stabilità, la normalità. Monotona forse ma indubbiamente rassicurante. Quando il calice cade, essendo di vetro, va  in pezzi e dei tempi in cui quel “bicchiere” era nella tua vita rimangono solo dei frammenti e tentare di rimettere tutto a posto con un po’ di colla non serve a niente. Quei frammenti ci tormentano ma è da quell’angoscia, da quella consapevolezza di non avere scampo che si trova la forza per uscire dal vicolo cieco e ritornare a vivere calpestando con violenza gli ultimi frammenti di quel tutto che ci ha abbandonato lasciando dietro di sé solo un dolcissimo velo di tristezza. 

 
Note dell’autrice: Salve a tutti! Eccomi a pubblicare l’ultimo capitolo di Frammenti. Sembra che non abbia raccolto molti consensi perché nonostante il numero elevato di visualizzazioni le recensioni sono sempre poche… ringrazio tuttavia tutti quelli che hanno letto la storia e i pochi temerari che l’hanno recensita. Saluti a tutti,
lady dreamer.   





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