Recensioni di SherryVernet

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Recensione alla storia Every time your hand fits in mine - 20/08/20, ore 12:03
Capitolo 1: Every time your hand fits in mine

Carissima,

Tu sai che io, lento pede lento pede, mi scorrerò la tua intera bibliografia su questi due (più uno opzionale XD), vero? Nel mentre, spero di non risultare una lettrice particolarmente molesta,  nonostante tenda un pochettino a  divagare e a dilungarmi a caso sui dettagli  che catturino la mia attenzione o su quei massimi sistemi su cui sarebbe a volte il caso di risparmiarsi discettazioni non richieste. Nel caso, fammi sapere ed  aggiusterò il tiro, tomorrow and tomorrow and tomorrow…

Nel frattempo, però, inizio a sdilinquirmi sulle tue scelte stilistiche quanto all’articolazione interna, alla focalizzazione, ed allo stile della prosa. Sono tutti elementi che, in una concomitanza assolutamente coerente, contribuiscono a creare un pezzo di grande efficacia – e leggere pezzi di grande efficacia è uno di quei piaceri, ahimè sempre più rari, per cui continuo  a bazzicare su questo archivio. (Dunque, nota a margine, ma d’importanza prioritaria: grazie! <3)

Una struttura che, in quello che ho letto fino  ad ora di tuo, è stata in un certo senso ricorrente (due su tre conta!), è quella della divisione in due parti, ciascuna coerente per unità di tempo, di luogo e d’azione. Questa articolazione dialettica, in una one-shot, a me piace moltissimo, sia perché mantiene sezioni definite appunto secondo le unità classiche – al buon vecchio Aristotele, sarà deformazione professionale, ma io non so resistere –;  sia perché la dialettica tra un prima e un poi, tra una  premessa ed una conclusione, un antefatto ed un esito, almeno per una lettrice come me,   amante di connessioni e strutture, crea un effetto di maggiore impatto nel veicolare il tono, l’umore, il contenuto emotivo e concettuale di ciascuna parte, per simmetria o per contrasto. Crea, movimento, la dialettica strutturale; dà un senso dell’evoluzione, del progredire di una situazione o di un ragionamento – il che, combinato ad un’esecuzione impeccabile come la tua, è intrinsecamente soddisfacente. Ancora più soddisfacente qui, perché le due parti hanno una sorta di staticità plastica, con quel dinamismo interno che i volumoni di storia dell’arte del liceo attribuivano a certi intarsi, certi bassorilievi, e che io sto iniziando a capire con quasi vent’anni di ritardo – perché, a onor del vero, ho sempre snobbato una materia che richiedesse di guardare le figure. Divago. XD Dicevo della plasticità interna delle sezioni. È vero, e credo che sia la parola più adatta tra  quelle  che mi vengono in mente.

E qui la transizione ad un paio di considerazioni sul punto di vista è quasi naturale. Credo di averti già detto, a seguito di una delle mie precedenti letture, di quanto abbia ammirato e trovato godibile la tua maestria nel catturare il tono di questo film, il sottile equilibrio con cui mantieni  il filo di quel senso dell’umorismo che tanto ho amato, come un sottotono costante – anche in circostanze estreme come quell di cui qui –  che lasci emergere sempre al momento giusto, nella misura giusta. Ed ho l’impressione che il punto di vista di Napoleon si presti particolarmente bene a camminare su questo filo – magari con Illya sarebbe anche fattibile, ché è ironico anche lui, ma è anche tanto russo e renderebbe facile lasciarsi andare ad un tono da sinfonia di Šostakovič prima di subito. Perché Napoleon è assolutamente uno che, con due costole rotte e possibilmente una perforazione polmonare, penserebbe alla camicia rovinata – da fashion victim, ormai perlopiù da poltrona, approvo senza riserve e con tanti scuoricinamenti! Ride sputando sangue e con un dolore cane, quest’uomo, tra un urlo e l’altro; come si può non volergli bene? Pensa alle gargolle di Notre Dame, mentre  il compare penzola da un tetto di Parigi e lui prende fuoco nemico, da buon ladro d’arte che si rispetti. Basterebbe questo a farmi amare il suo punto di vista. Ma nel caso specifico – tornando a ruota sulla plasticità statica di cui ti dicevo – il punto di vista di Napoleon, nel presentare la tensione di una scena che è e rimane uno scorcio di una scena d’azione, crea un bilanciamento perfetto, matematico, con il lato introspettivo, tenendo alto il ritmo e la tensione.

E qui la tua prosa aiuta ed è in perfetta sintonia col resto. Sembra di sentirla, la pioggia battente, coll’eco della sventagliata di proiettili, nel ritmo delle frasi, nelle parole che cadono e che pesano, nel significato e fonicamente – grasse gocce incazzate e traditrici è di un’efficacia e di una bellezza! Merita anche una menzione d’onore quell’ idiotica che fa una comparsata senza passare però inosservato: aggettivo raro, quasi barocco nel  suo grecismo – no, non è  un anglicismo – , è uno di quei dettagli che mi sono balzati agli occhi come assolutamente giusti, piccoli e perfetti.

Giro di frase che, per qualche ragione profonda su cui il mio analista amerebbe soffermarsi se solo gli dessi la soddisfazione, mi è rimasta nel cuore: … la paura dietro all’indifferenza di chi ha sempre un piano di riserva. È Napoleon, dietro gli abiti di design, l’arte, e l’indole da cowboy tirato a lucido (Illya non ha torto, nossignora). Ma è anche una massima immensamente generale; relatable, come dicono gli anglosassoni, almeno per chi ama avere mille piani di riserva ed un paio di assi nella manica, nella pochette e pure nei pantaloni, ché non si sa mai.

Comunque, tanto amore anche per Gaby, ché in due righe per interposta persona risplende e fa sorridere di soddisfazione, perché  è una donna efficiente e le si vuole bene a priori.

Ancora una volta mi sono un pochettino dilungata e ti prego di scusarmi per il papiro. Ma  è stato davvero un assoluto piacere. E spero sinceramente che “alla prossima” non suoni come una minaccia! <3


Recensione alla storia The perfect number - 05/08/20, ore 12:28
Capitolo 1: The perfect number

Non si diceva forse che le Threesome fanno bene all’anima? Data la comunanza di credo, passare di qui, a questo punto, era un po’ un dovere morale o spirituale. Fonte di salvezza, lo è stato indubbiamente! Ok, ora la smetto con le boutade vagamente pretesche ed un po’ meno vagamente blasfeme. XD

Comincio col prendere in considerazione, come spunto, una questione di ordine generale, di struttura, che sollevi nelle note – qualche volta non fa male iniziare dalla fine –, ovvero la gestione di interazioni narrative  tra più di due personaggi. Una volta, tanto tempo fa, quando ancora leggevo cose che non fossero quasi esclusivamente in latinaccio o formule, mi imbattei – non ricordo bene dove, ma conservo una memoria relativamente vivida del contenuto – in un dettagliato esame del perché le interazioni a tre personaggi siano incredibilmente difficili da gestire, sia sulla scena teatrale sia in un testo letterario. L’autore, ormai a me ignoto, di quel saggio lo poneva come un fatto oggettivo. E, dunque, è un fatto altrettanto oggettivo – e non solo una considerazione personale o relativa al mio soggettivissimo gusto – che tu abbia fatto un lavoro ammirevole. Perché, no, Gaby non è  affatto la terza ruota del carro. Qui Gaby, in un certo senso, è la chiave di volta, il cardine su cui ruota il perno della dinamica tra Napoleon e Illya, in una rotazione che è l’inizio dei una rivoluzione. Non intendo, con questo, ridurre Gaby ad una funzione strumentale, perché non credo che renderebbe giustizia a come l’hai presentata. Gaby è ben presente e ben caratterizzata nella prima metà della storia, dove in una certa misura è lei il movente, il motore (non certo aristotelicamente immobile) dell’azione; è il centro dell’attenzione, e che sia anche un pretesto per lo sviluppo del terzo lato del triangolo non le toglie nulla, ma è invece un testamento a quanto elegantemente tu abbia gestito un’interazione fluida  e credibile tra tre personaggi. La seconda metà della storia, quel tempo indefinito tra la notte e l’ora della sveglia, il mattino vero e proprio; quella, è certamente uno spazio più focalizzato su Napoleon e Illya – sarà che anche la loro relazione, qui, sembra  essere ancora indefinita, come tutte le cose che stanno cambiando; e, dunque, quel tempo indefinito non può che essere il loro. Quel quasi-mattino, il mattino dopo, ha un sentore di corteggiamento, ancora di seduzione. Tuttavia, pur nel sonno, Gaby è ancora ben presente, è un terzo vertice stabile, e non solo come termine di paragone. La simmetria a tre che hai stabilito non solo incanta, ma è uno sviluppo convincente dal punto in cui il canone ci ha piante in asso (dannazione!), quasi in una sintesi dialettica. (Niente, in questi giorni sto ricevendo decine  di  email a ricordarmi che tra  un paio di  settimane è il duecentocinquantesimo compleanno di Hegel e, mio malgrado, a risvegliare umori hegeliani che  non ho mai davvero avuto. Abbi indulgenza e prometto di non iniziare un monologo su come le threesome siano sistematiche ed incarnino la pienezza dello Spirito Assoluto. XD)

In fondo, che Illya abbia una riverenza verso Gaby,  era assodato. Così  come è assodato quel quid di shippabilissimo che intercorre tra Napoleon e Illya, biunivocamente – dai battibecchi sul buon gusto, al punzecchiarsi politico, alla complicità che traspare in ogni singola battuta.

Quello che mi impressiona maggiormente e che mi invoglia a scorrere tutta la tua bibliografia su questo fandom, è il modo in cui catturi esattamente quell’equilibrio preciso tra tensione ed umorismo, tra dramma ed ironia, che ha consacrato The Man from UNCLE all’olimpo dei film che riguardo sempre con piacere; e di come tu lo faccia con un senso della misura e dello stile che purtroppo non si leggono spesso.


Recensione alla storia Promise you won't dream a little dream of us - 01/08/20, ore 10:57
Capitolo 1: Promise you won't dream a little dream of us

Cara Fuuma,

Come ti dicevo altrove, l’unica pecca che si può ragionevolmente imputare – sì, mi ergo a magister elegantiarum e pontifico come se non ci fosse un domani – a The Man from UNCLE è che non abbia seguito. Una delle tante che si possono imputare a me, è che non mi sia mai accorta che esistesse un fandom attivo, perché altrimenti sarei stata qui anni fa a leggere voracemente, un po’ come un’eroinomane in piena crisi di astinenza.

“Non dar retta a sogni” – sic, con la determinazione assolutamente indefinita data dalla mancanza di un qualunque articolo – è una di quelle massime, morali o forse di vita (che trascende la morale), che mi si è impressa in mente presto, nei giorni dell’infanzia. Non so se sia una citazione dotta, un modo di dire locale, o una perla di saggezza individuale; negli anni, non mi sono mai premurata di scoprirlo, perché, certe cose, assai occasionalmente, è bene lasciarle nel loro alone di mistero, nella loro assolutezza lapidaria, che  non richiede un contesto. Non ho mai neppure colto in pieno che  cosa volesse dire, e del resto la forza delle massime assolute è  nel lasciare un ampio margine all’interpretazione alla suggestione – il che, nel caso specifico, crea quasi un ossimoro, un paradosso dell’autoriferimento. Eppure, qui, divorando riga dopo riga di questo tuo splendido, impeccabile lavoro, ne ho trovato quasi una declinazione – analitica nell’essere narrativa, concreta, perché  dar retta a sogni è un lusso frivolo che solo gli stolti si possono concedere. Dar retta  agli obiettivi, alle circostanze, ai desideri concreti, ai cuori difettosi e a tutto il resto, finanche alle affinità elettive, questa è un’altra cosa. E quella che mostri qui, d’altronde, è la fisionomia, la fisiologia, di un’elezione, per frammenti cruciali. Stars shining bright above you… e cosa importa se siano circondate da un campo di strisce (ah, la sobrietà!) o, invece, quell’unica stella che troneggiava in un angolo, quasi in esilio, su una vecchia bandiera rossa? Sono stelle che vanno relegate sullo sfondo, di cui ci si può – un po’ ci si deve?– dimenticare, ma di cui chi è ben sveglio e non spera di sognare sogni da camomilla Bonomelli non ha, poi, bisogno.

A me, personalmente, piace la struttura dell’ “n+1” (dove “n” sia un numero naturale a scelta, di solito 5, come in questo caso). Mi piace un po’ perché mi piacciono le  strutture rigide in generale, il focus di riflessione che consentono e l’assoluta libertà di sviluppo che  si apre all’interno di paletti fissati e confini ben definiti; e mi piace per la simmetria, il nitore di progresso e sviluppo, che la macrostruttura impone al contenuto, la profonda coerenza che ne risulta e tiene insieme il famoso n numero di frammenti selezionati. A me piace la coerenza, a priori; e, altrettanto aprioristicamente, poi, a me piacciono anche i frammenti, in sé e per sé. Credo, senza se e senza ma, che  questa sia una delle n+1  più belle e meglio concepite che mi sia  capitato di leggere negli ultimi anni. Un giorno, imparerò a scrivere recensioni ordinate, che non sembrino un monologo da bar, una di quelle cose che si sciorinano di fronte ad un caffè rigorosamente corretto. Un giorno, magari, imparerò anche a non dilungarmi ad oltranza. Ma, al di là degli elementi che ho menzionato en passant, ti prego di consentirmi di sottolineare rapidissimamente due cose. Innanzitutto, ho amato la tua scelta di procedere con una focalizzazione interna dal punto di vista di Illya. Non ha l’estro camaleontico di Napoleon, Illya; è un personaggio almeno  in apparenza più pacato, più solido, per certi versi più sottile o che richiede un altro tipo di sottigliezza per farsi raccontare; impone un altro tono, Illya. Dalla prima visione, Illya mi ha ispirato una tenerezza ed una simpatia infinite. Tutti lo hanno fatto, in verità – Gaby pure, ché in una spy story è raro trovare un personaggio femminile che non sia presentato né come la Bond Girl di turno né come femme fatale D.O.C..

In secondo luogo, consentimi di menzionare come abbia trovato assolutamente godibile, di immenso impatto, la scelta di ogni tua parola, di ogni immagine lapidaria, delle evocazioni piene di suggestione nella loro secchezza e del loro contrasto con l’essenzialità cruda ma sobria – senza fronzoli né sdilinquimenti – dei passaggi erotici. Ho amato ogni riga della tua prosa, così incisiva, così ritmica.

È stato davvero un piacere e temo, dunque, che non ti libererai di me tanto presto.

Sherry

P.S. Ti prego di perdonarmi per la pedanteria che  segue, ma sono una brutta persona e tendo a soffermarmi su quello che non mi è chiaro. C’è un “Pecchino” nella sezione V; si tratta di un posto che non conosco – ebbene, signori e signori, in un glorioso test di geografia, nell’una tantum più ignominiosa della mia carriera scolastica, riuscii a prendere un tre, grasso, tondo, netto, e secondo me era anche un voto gonfiato; quindi è plausibilissimo che si tratti di un luogo esistente a me ignoto – o di “Pechino”?