Recensioni di shilyss

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Recensione alla storia The Sweet Song From the Devil - 08/10/20, ore 17:13
Capitolo 3: Preston
Cara la mia Mirycosa!
Oggi doppia razione dei deliri recensori di Shilys, sei contenta? Sì? No? Nì? Vabbé. Preston è un personaggio detestabile, ma ho apprezzato come ti sei calata nella sua mente. Ho letto la shot con la voce di Pattinson, di cui peraltro riconosco la bravura nel film. I dettagli che hai messo nelle note contribuiscono a inquadrarlo ancora meglio e rendono la lettura preziosa; per Preston la fede è solamente un modo per avere la pancia piena e un gregge di agnelli da divorare non appena i contadini ignoranti volgono gli occhi e tu hai reso tutto ciò benissimo. Le tue shot sono accomunate da una presa di coscienza dei personaggi circa la propria natura che fa assomigliare il progetto/raccolta all’Antologia di Spoon River.

Preston è reso magnificamente nella sua feroce misoginia e nel suo cinismo bieco perché non si pente, anzi: abbraccia l’arrivo all’Inferno come se fosse un demone rientrato nei ranghi dopo un periodo di prova sulla Terra. Non che affronti la morte col coraggio di un eroe, beninteso, ma lo fa con la consapevolezza di non avere scampo. Finché può sperare di salvarsi lo fa (e nel film mi pare supplichi e menta, scrollandosi di dosso ogni colpa, come ammette qui), ma quando guarda negli occhi il Diavolo – che, per inciso, è l’unico che vuole ristabilire una qualche giustizia e che, se uccide, lo fa per difendersi o difendere e mai per sadico piacere, capisce che il suo tempo è arrivato.

C’è qualcosa di sacrilego e folle nell’obbligare le donne a recitare passi del testo sacro nel momento dell’amplesso, ma più di questo è tragicamente doloroso il disinteresse che Preston prova per le comunità contadine presso cui lavora, per le ragazzine deboli, sole e fragili che sceglie, per il modo subdolo con cui, dopo averle circuite, le abbandona raccontando talmente tante idiozie da far credere loro di essere colpevoli e folli. E su questa crudeltà di Preston nei confronti delle donne potrei andare avanti per pagine, perché se era resa benissimo nel film, tu l’hai esaltata ancora di più qui. Nel film, a proposito, provai un sincero disgusto nel vedere che la ragazzina che sostituisce Lenora è davvero piccola, quindi il Diavolo Arvin fa veramente una cosa buona e giusta seccandolo. Per quanto concerne lo stile, sto amando questa tua deriva che si adatta tanto bene alla crudezza del mondo di Pollock. I termini forti colpiscono, le costruzioni si adattano ai personaggi e il risultato è che dimostri di essere un’Autrice versatile, capace di ascoltare anche le voci più turpi dei tuoi personaggi senza sclerotizzarti. Adesso purtroppo debbo tornare alla real life, ma sappi che recupererò ben presto anche Rewrite, che attendevo da MESI, e non solo :P. Un abbraccio forte forte forte, mia muffin al pistacchio e cacao,
Shilyss
Recensione alla storia The Sweet Song From the Devil - 08/10/20, ore 16:57
Capitolo 2: Sandy
Cara la mia Mirycosa!

Giungo a te in estremo e folle ritardo, ma eccomi qui e noto con piacere che ho tante cose da leggere **. Questa shot su Sandy mi è piaciuta moltissimo, perché tira fuori la consapevolezza della situazione che avvolge questa donna bellissima – perché è bellissima – sciupata da una vita povera e che l’ha fatta sfiorire. Che Sandy sia stanca lo rivelano tanti fattori; ha un rimorso di coscienza quando chiama il soldato, guarda le foto, è insofferente. È entrata in una spirale in cui è perfettamente cosciente di far parte di un gioco folle e non ci vuole più giocare. Non ama Carl (non più, almeno) e questa relazione non l’ha migliorata. È la modella di un set in cui l’occhio nemmeno si posa su di lei, ma sui cadaveri scempiati, i modelli perfetti, ma meschini, perché nemmeno loro sono del tutto salvabili, in questo film/romanzo che colpisce per la crudezza con cui è raccontata la vita umana in generale, la vita della provincia più fonda degli States in particolare. Sandy dice che nessuno dei modelli si è tirato indietro dal farle le avances, ricordando in tal modo i bambini golosi che mangiano la casetta di marzapane, evidente trappola della strega golosa in cui, purtuttavia, tutti cadono.

L’altro tema molto bello e che hai descritto bene è sull’opportunità. Sandy è diventata prostituta e si è adeguata alle fantasie morbose di Carl perché vive in un ambiente in cui, dalla fuga di suo padre, tutto si è degradato. Lei riconosce che ha avuto meno probabilità di suo fratello Lee, ma riconosce anche che la presunta superiorità sociale del poliziotto è stata pagata con l’omertà, con la corruzione e con l’abuso di alcool. Lee non è migliore di lei. Piuttosto, Sandy è l’esempio di una profezia avveratasi: poiché tutti la vedevano finire a fare la prostituta, alla fine lo è diventata, degradandosi ancora di più e lasciando corrompere la sua bellezza, che tu hai reso sciupata con quell’unica nota, perfettamente inserita, sui denti gialli di lei.

Il diavolo in questo senso è il ragazzo, Arvin. Il modello perfetto con questi occhi fiammeggianti, che non ci sta a crepare per esaudire le perversioni di un fotografo fallito e si difende. Ed effettivamente nel film c’è un momento di esitazione, da parte di entrambi, sullo sparare, ma il gesto si rivela necessario. Arvin non può lasciare testimoni e nemmeno Sandy può permettersi che lui le sopravviva. Le strade del diavolo non sono solamente quelle che si inoltrano nelle sperdute e disagiate campagne americane, ma anche il tragico intreccio di destini che non lascia alcuno scampo, anche le scelte fatte dai personaggi (penso alla Sandy ancora cameriera che, in un breve momento del film, incontra Carl, lusingata dai suoi complimenti). Di tutt’altro genere sono i miei complimenti, tesi a prometterti che avrai a breve mie notizie e che recuperò tutto come ‘na catapulta. È un bellissimo momento introspettivo, Cosetta mia <3
Un abbraccio,

Shilyss e che il Pistacchio sia con te <3
Recensione alla storia The Sweet Song From the Devil - 19/09/20, ore 19:04
Capitolo 1: Arvin
Cara Miricosetta pistacchiosa mia!
Ieri sera era venerdì e il venerdì si guardano i film e io mi sono vista The Devil All The Time. E mi è piaciuto così come mi è piaciuta moltissimo anche questa prima shot che spiega molto bene il personaggio di Arvin – sebbene, avendo visto solo il film, io mi debba attenere unicamente a questo, per ora. Ma andiamo con ordine. TDATT fotografa una realtà rurale americana dura, fatta di comunità piccole e piccolissime che vivono lontane dai grandi centri o che non si allontanano mai dalle lunghe strade su cui sorgono le loro minuscole comunità. Una realtà con prospettive limitate, dove Dio entra, talvolta, per bocca di predicatori più interessati al loro successo personale o a espiare i propri deliri che seguendo le scritture. E queste scritture rimangono ostiche, lontane, avulse da una realtà fatta di terra, lavoro, sudore, armi e un tramonto da ammirare da una veranda. Arvin, sebbene giovanissimo, ha già in sé un cinismo che respira fin da bambino.

La tragedia che vede Charlotte morire giovanissima e il padre suicidarsi appresso a lei è una macchia che ha spento ogni luce o redenzione – comunque non cercata. La poesia di due anime che si sono amate al punto di non voler vivere l’una senza l’altra diventa, nel pragmatismo contadinesco e quasi verista dello zio di Arvin, un atto naturale e ripetitivo, la messa al mondo di un bambino nel dolore e nel sangue, così come avverrebbe e avviene per un agnello o un vitellino. Bella l’immagine della nonna, che vede nel nipote le vestigia del figlio, bello Arvin, che con le sue poche parole racchiude un mondo di cui hai colto l’essenza. Perché è di poche parole, fa a botte, beve, ma si interroga sempre su quel padre che non sapeva o poteva amarlo come necessitava e la sua tragedia – la loro tragedia collettiva, di famiglia – gli è rimasta appiccicata addosso. Poi c’è il diavolo, quel destino che sembra condannare chi è povero e infelice a rimanere tale e che parla di altro. Di anime che pur abbrutite da un’esistenza nella polvere, si rialzano. L’anima di Arvin sono i pensieri di un ragazzo che nelle brutture del mondo si interroga sull’amore, sull’eredità dello stesso, sul genere umano che nella sua bruttezza vanta, comunque, qualcosa da salvare, nella terra che, come diceva Pascoli, è un atomo opaco di male. E niente co, so stata un po’ poetica e sconclusionata e spero di non aver scritto troppe ca**te, ma trovo che questa shot sia profonda e dia giustizia a un personaggio complesso, di cui potrei parlare per ore.
Un abbraccio,
Shilyss
Recensione alla storia Credemmo di non morire - 01/08/20, ore 17:49
Capitolo 1: Credemmo di non morire
Cara Cosettina,
Tu sai perché oggi sono qua e sai che amo il trash (che però è per certe scelte del film, non per quello che scrivi tu) e sai che adoro quando sperimenti e sai che devo recuperà sto monno e quell’altro, quindi cominciamo. Amo che tu ti sia dedicata a tutta l’old guard e che tu abbia scelto il momento fondante della nostra civiltà, quell’Ilio infuocata da cui scappa Enea con Anchise sulle spalle e il figlioletto per mano; è realtà storica ed epica che si incontrano, dato che Andromaca combatte in quella che è una sorta di guerra mondiale dell’antichità. Particolarmente indicata è anche la drabble dedicata al cavaliere crociato, spinto dal desiderio di liberare il sepolcro di Cristo, che attraversa il mare pregando. Mi sono piaciute moltissimo le corde marce d’acqua – è un’immagine bellissima, come l’accostamento della fede che acceca (la ragione) come il sole del Medioriente, e che si ricollega all’Helios della precedente drabble.

Approvo – e come potrei non farlo? – anche la scelta di inserire il djinn e il Giardino, concetti propri della società in cui vive il guerriero islamico, Yusuf/Joe, che percepisce l’essere diventato immortale come una maledizione, una sospensione dal tempo, dato che arde e continua farlo, senza però ritrovare quel paradiso promesso rallegrato dal vino e da tante altre belle cose. Il riferimento alla mirra e alla cannella è squisitamente appartenente alle Sacre Scritture, testo fondante delle religioni monoteiste, tutte e tre, e quindi ci sta semplicemente da dio. Ah, che gioco di parole. Con Booker siamo in una contemporaneità che conosciamo: lasciata da parte la Grecia micenea e omerica, accantonate le guerre di religione medievali – che nascono però dall’esigenza per i cadetti delle famiglie nobili di trovare nuove terre su cui esercitare un diritto che la primogenitura mancata toglieva loro; che sia stato così anche per il nostro nobile genovese dagli occhi cerulei? – eccoci all’età della ragione, illuminata e moderna, quasi contemporanea.

Booker e i cosacchi, oltre a essere impregnati di Faber, fonte che tu trasformi in frasi che sembrano versi (quel cercarti il cuore mi ha colpita tantissimo rammentandomi “mi cercarono l’anima a forza di botte” da “Un blasfemo”), sono un po’ casa tua o forse il riferimento a Raskol’nikov li ha resi casa mia. Non so, ma quest’ultima drabble è così vibrante e realistica con lo schiocco delle vertebre che mi pareva di sentirlo. Il tema della condanna e della malattia mi richiama alla mente l’epoca della Restaurazione anche per l’uso delicatissimo dei petali di male, intesi sia come il male divorante che uccide il figlio di Booker nel pezzo così straziante del film sia l’opera di Baudealaire, i Fiori del Male, appunto. E la chiusa è una sentenza dolorosa, ché la prima morte, come il primo amore, non si scorda mai. Sperimenta sempre, cosetta cosacca mia <3
Shilyss :* :*