Recensioni di Nirvana_04

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Recensione alla storia Disposto a tutto - 14/03/18, ore 14:20
Capitolo 1: Disposto a tutto
Quinta classificata

e

Vincitrice del Premio "Rana"

Disposto a tutto


di fiore di girasole







Grammatica: 3.25/10

Ci sono diversi errori ortografici, che hanno fatto la loro parte per penalizzare il testo. Ricordo che la d eufonica va usata solo tra vocali uguali. Inoltre ho trovato un modo errato di riportare i dialoghi: a dispetto dei vari metodi, ricordo che i verbi dicendi vanno sempre in minuscolo e che in loro presenza il discorso diretto non vuole il punto.
Altro problema: i verbi. Ci sono alcuni casi in cui è stato adoperato un’errata concordanza; non sono molti, però ci sono. Una cosa importante: fai più attenzione a quando usi il presente nella narrazione. Fin quando lo fai per pensieri indipendenti e generali, va bene, ma se il pensiero è qualcosa legato all’introspezione o al modo di pensare del personaggio, questo dev’essere espresso con il tempo portante della narrazione, che sia l’imperfetto o il passato remoto, a seconda delle circostanze.
Di seguito gli errori trovati (è possibile che io non abbia riportato tutte le d eufoniche o gli errori di dialogo presenti nel testo):

se almeno l'avesse tradito con una persona in carne ed ossa → -0.5 PENALITÀ GENERALE (togli la d eufonica)
ma essere rimpiazzati da un morto!? → -0.25 (“ma rimpiazzare un morto”, perché credo che sia Eric che debba provare a rimpiazzare Alan, ovvero il morto)
Quale soluzione si può mai trovare? → -1 PENALITÀ GENERALE (“si poteva”)
La loro prima sera insieme c'era stato un momento in cui poteva arrendersi e lasciarsi ammazzare però aveva lottato per vivere → -1 PENALITÀ GENERALE -0.3 (“Durante la loro prima sera insieme”, “avrebbe potuto arrendersi”)
adossarsi tutte le colpe → -0.1 (addossarsi)
Yellow se ne stava comodamente steso lungo, sul divano e oltre → -0.2 (Togli la virgola)
«È un ricordo del primo omicidio.» Gli aveva risposto. → -0.8 PENALITÀ GENERALE (non va messo il punto all’interno del discorso diretto, inoltre in presenza dei verbi dicendi la battuta va inizia in minuscolo)
Ho ammazzato lei e mi son preso lui → -0.1 (“sono preso”, non si tronca il verbo davanti alla “p”)
Il giorno che si apprestava ad iniziare sarebbe stato San Valentino → (togli la d)
«Dai, vieni qui, dove vuoi andare a quest'ora?» Gli disse con la voce impastata mentre cercava di trattenerlo a sé. → (stessa cosa di prima: va in minuscolo)
quegli uomini testosteronici → -0.1 (non esiste come termine)
Sperò che essendo un uomo alto e incazzato nessuno gli avrebbe dato corda. → (La forma “spero che” vuole il congiuntivo, quindi: “gli desse corda”)
Ad essere sincero → -0.1 (togli la d)
«Ho capito, sei in cerca di compagnia.» Rispose lei, sedendosi sulle sue gambe. → (stesso discorso di prima)
«Ho capito, ma non c'è bisogno di offendere.» Disse lei stizzita mentre già si allontanava. → (stesso discorso di prima)
follia andavano sempre in coppia e che, anzi, quasi certamente la follia è il grado più elevato dell’intelletto. → (Anche questa frase è da intendere all’interno del contesto, e non come massima generale, quindi va usato l’imperfetto: era il grado)
Dev'esserci un limite invalicabile tra le due cose, nelle persone "normali" è così, Christoph però quel limite lo aveva scavalcato da tempo e lui, che l'aveva fatto per amore, un po' folle doveva esserlo diventato a sua volta. → (era così, stesso discorso di prima)
Stavolta fu egli stesso a prendere ciò che restava del pacchetto di sigarette e stritolarlo tra le mani → -0.3 (e a stritolarlo, la preposizione va ripetuta)
attorniato da Yellow a scaldarsi l'un l'altro → -0.3 (per scaldarsi, al fine di scaldarsi. Scegli tu quale delle due)
una passeggiata extra per non tornare a pranzo dal suo uomo, e il lavoro fino al tardo pomeriggio → -0.2 (togli la virgola)
«Ad essere conquistato?» → (togli la d)
«Ok.» Si limitò a rispondere. → (stesso discorso di prima)
anch'io posso mostrarmi educato ed impegnarmi a fare bella figura → (togli la d)
sentì il cuore riemprsi di malinconia → -0.1 (riempirsi)
Per la prima volta non era sicuro che uccidere deliberatamente qualcuno fosse la cosa giusta, specie se quel qualcuno è un fanatico della Gratitudine → (era un fanatico)
«Più meno... → -0.1 (più o meno)
E perché mai una persona che potrebbe avere chiunque, sceglie di soffrire dannatamente per un figlio di puttana che non merita il suo amore? → (va portata tutta all’imperfetto, in concordanza con le altre, a meno che non le fai diventare pensiero del personaggio; in questo caso, o le metti tra le caporali come hai fatto con l’altro pensiero o, ancora meglio, in corsivo)
«Se andiamo via subito sì, visto che non avevo mai mentito.» → (non ho mai mentito, errore di concordanza)
Il quartire di Travis → -0.1 (quartiere)
Poco doop → -0.1 (dopo)
e ora mi trovo in questa situazone di merda → -0.1 (situazione)
ma uno che mi tenesse legato a sé per egoismo in più mi trattasse di merda → -0.3 (ma se uno…)
Se fossi disposto a morire, o ad uccidere per lui → (togli la d)
Se continui ad essere gentile, io poi come faccio con te?» → (togli la d)
lo rifarei altre mille volte per qunato mi è piaciuto → -0.1 (quanto)
Dopo avergli sussurrato Ti voglio bene → -0.2 (il “ti voglio bene” ma scritto in minuscolo e chiuso tra virgolette)
Aveva guardato Travis in volto mentre lo colpiva a morte; fissato i suoi occhi finché non si spensero → (“si erano spenti”, errore di concordanza)
Quando ebbe preso quel cuore tra le mani, quasi si commosse per tutto ciò che quella piccola conquista aveva rappresentato per lui. → (“prese quel cuore”, “rappresentava”, errore di concordanza)
L'ultima cosa che fece Eric prima di lasciare quell'appartamento fu quella a cui Cristoph → -0.1 (Christoph)
ma credeva che ad unirli → (togli la d)
Il ragazzo prese il coltello che aveva con sé, e se lo puntò contro. → -0.2 (togli la virgola)
Gli tirò un ceffone così forte che il ragazzo cadde e sbattè la testa → -0.1 (sbatté)
non sarebbe riuscito ad impedirgli → (togli la d)


Stile: 6.5/10

Ci sono diverse imperfezioni nello stile, purtroppo. A partire dal narratore: ne usi uno esterno a focalizzazione interna. Sei stata brava nella prima parte, dove segui attentamente un unico POV, ovvero quello di Eric; poi, lentamente, inserisci pensieri e singole frasi appartenenti ad altri personaggi, per poi, dopo la metà del testo, perdere completamente il controllo del narratore e del POV.
Ti riporto i primi esempi:

A Christoph sembrò che volesse picchiarlo, ma per fortuna quello si trattenne. → Fai sembrare che il POV sia di Chris, invece è di Alec, e quindi questo pensiero dovrebbe essere dal suo punto di vista, ovvero diventare qualcosa tipo “Christoph doveva avergli letto in viso la voglia di picchiarlo, ma Eric trattenne comunque i suoi istinti”, dev’essere Eric a intuire o a immaginare le reazioni e i pensieri di Chris, e non il contrario.

L'uomo sembrava contento della prospettiva di potersi dedicare a lui in modo più esclusivo. Conosceva la gente e notò che Eric nonostante si mostrasse tranquillo aveva il volto velato di tristezza. → La stessa cosa qui. La prima frase va bene, perché è un’impressione che Eric, guardandolo, può intuire; ma dopo non puoi passare a ciò che nota Travis.

Con una focalizzazione interna, poi, non puoi inserire senza presentarlo un personaggio con il proprio nome, come fai per Travis; prima del lettore, dev’essere il personaggio POV a scoprirlo. Quindi dovresti eliminare l’uso del suo nome e usarlo dopo che Travis e Eric si presentano.
È stato un peccato, perché, ripeto, all’inizio lo avevi controllato molto bene, tanto che immedesimarsi nel protagonista era risultato piacevole e facile. L’uso di un POV salterino, oltre ad aver reso più acerbo e meno curato lo stile, ha anche ostacolato la narrazione.
Un altro effetto poco gradevole, secondo me, è dato dall’uso dell’aggettivo dimostrativo “questo. Per distacco dalla scena, io userei “quello” invece di “questo”. Non posso considerarlo errore grammaticale, ma stilisticamente crea un contrasto un po’ brusco tra la distanza resa dal passato remoto e la vicinanza che l’uso di “questo” crea.
La punteggiatura è a tratti ostica e usata in maniera molto arbitraria. Ti faccio un esempio:

Aveva guardato Travis in volto mentre lo colpiva a morte; fissato i suoi occhi finché non si spensero, e dopo avergli fatto un'ultima carezza si mise al lavoro per estrargli il cuore dal petto, concentrato come un orologiaio intento ad assemblare minuziosamente degli ingranaggi. → Se usi il punto-virgola in quel punto, è meglio riportare anche l’ausiliare, perché la pausa che si viene a creare è più forte di una semplice virgola; ma non è questo il punto. Secondo me, hai gestito male l’uso del punto-virgola in generale, usandolo nei punti sbagliati. Per esempio, in questa frase andava usato prima di “e dopo”, e non dopo “morte”, perché è la congiunzione, usata dopo due coordinate, che chiede un respiro al lettore che legge; mettendola dove ti dico io, il testo guadagna in scorrevolezza.

Questo è uno dei casi in cui la punteggiatura ostacola un po’ la lettura, anche perché un uso arbitrario della stessa cambia il tono della narrazione e influisce sul modo in cui un lettore percepisce il senso delle frasi. Credimi, una punteggiatura corretta fa la differenza quando si legge. Sono segni grafici che, come il linguaggio, hanno un codice più o meno comune per tutti, proprio al fine di trasmettere al lettore esattamente ciò che l’autore vuole fargli provare. Se la usi in maniera personale (e la punteggiatura non è un’opinione, come pensano alcuni, ma ha le sue regole) il lettore si confonde e ha problemi con il testo.
Una cosa che mi ha diviso mentre leggevo è stato l’uso del lessico: se da una parte l’ho trovato attinente con il protagonista, visto che all’inizio ne seguivi molto attentamente il POV, dall’altro l’ho trovato in alcuni punti, soprattutto nel finale, poco adatto al genere trattato: a volte hai esagerato, rendendolo troppo colloquiale e “caratteristico”, tanto che il tono della narrazione ne ha subito gli effetti. In questa maniera, il tono angoscioso, horror e drammatico si è perso verso toni più blandi e leggeri, un effetto che mi ha infastidito, soprattutto in presenza di tematiche così importanti.
Le tematiche come “follia”, “omicidio seriale”, “istinti compulsivi”, “traumi” richiedevano una ricerca più approfondita e una sensibilità maggiore. Sei stata brava ad analizzare il rapporto tra i due, ma credo sia mancata quell’esperienza e padronanza dell’argomento, che in questo caso ti ha portato a esporre queste tematiche in un contesto troppo semplicistico.
Anche i discorsi subiscono questo effetto “diluito”, un po’ ingenuo, soprattutto dopo la prima metà della storia, risultano poco incisivi, troppo pieni di spiegazioni e privi di pathos. Le persone che parlano tra di loro non si perdono in tante chiacchiere, quando uno parla non fa mai così tanti lunghi monologhi. Le frasi andrebbero spezzettate, alcuni pensieri snelliti e sintetizzati; alcune battute riviste completamente.
Hai prediletto una narrazione quasi spoglia di descrizioni, se non in punti mirati; e questo, per il tipo di testo, così introspettivo soprattutto, va bene. Il tipo di testo, secondo me, non richiedeva grandi descrizioni; se non fosse stato che in alcuni punti hai abusato dell’introspezione (proprio perché il POV è salterino) il bilanciamento tra narrazione e introspezione sarebbe stato molto piacevole e ben equilibrato, tanto che nel suo insieme la storia risulta continua e senza grossi buchi.
Nel complesso, lo stile è a tratti troppo semplice e ingenuo, paga per colpa del narratore e del tono, ma, per quello che ho comunque intravisto nell’incipit, può migliorare sicuramente: va semplicemente limato.


Originalità e Trama: 8/10

Parto, come sempre, dall’attinenza al bando.
Direi che questa è una delle poche storie che, da questo punto di vista, mi ha soddisfatto appieno. Hai esaltato molto bene la natura di questo rapporto di coppia e di questi due personaggi, soprattutto di Eric. C’è una natura che insita in loro, che si nasconde al mondo esterno, ma che comunque sembra emanare un odore, chiamiamolo così, che persino Travis, invaghito del nostro protagonista, percepisce; questo lo mette in allarme, a disagio, gli lascia un’impronta addosso che lo conduce alla morte, perché purtroppo la natura di Eric è qualcosa che si nasconde al di sotto della sua pelle, sotto la faccia di quella faccia d’angelo, come la chiava la povera vittima.
Un doppio complimento, in questo caso, lo devo fare anche per la doppia ambivalenza con cui hai interpretato la seconda categoria, per intenderci quella in cui vi chiedevo di far combattere al personaggio la sua vera natura, una lotta che è destinato, obbligatoriamente, a perdere. E i complimenti te li faccio perché non solo Eric per un attimo lotta per non uccidere Travis, si abbandona alla dolcezza e alla gentilezza dell’altro, ma soprattutto perché Eric per un attimo cerca di scappare da Christoph, di rinunciare al suo amore malato per lui, per poi fallire miseramente, poiché non ne può fare a meno, come più volte egli stesso sottolinea, quasi fosse una droga o una dipendenza, o ancora meglio un’affinità che non può ritrovare in nessun altro; perché la sua natura, come egli stesso dice, non smetterebbe di esistere in questa forma dopo aver ucciso Christoph, sarebbe solo questione di tempo e la stessa fine la farebbe anche Travis. Si tratta solo di decidere se ucciderlo prima o dopo.
Passando alla trama vera e propria, nel complesso è stata ben ideata, ma purtroppo presenta delle incoerenze e degli errori di base, che credo siano dovute alla poca ricerca dell’argomento, o forse sono io che ne so troppo poco per giudicare; ma prima parliamo della trama.
Ho apprezzato moltissimo l’incipit, l’ho trovato stimolante per un lettore, invoglia a continuare: abbiamo un uomo che viene svegliato dai gemiti del compagno e che comprende che il sogno è eccitante proprio perché egli sogna l’amante morto. Si entra quindi in un primo momento in cui si pensa a un amore travagliato, a un defunto che non si può rimpiazzare; poi, pian piano, vengono inserite le altre tessere del puzzle, prima tra tutte il serpente. La sua presenza, e ovviamente con la spiegazione che lo segue, immette all’interno del contesto un’aura più oscura e macabra, l’ho trovato perfetto per esaltare la parte più contorta e folle della loro natura e del tipo di rapporto che li lega.
Lo svolgimento della trama, nel suo complesso, ha il suo perché, soprattutto ho apprezzato molto l’espediente del regalo e l’idea di questo “San Valentino”: cosa può regalare un serial killer al suo compagno di omicidio, se non un cuore ancora caldo di una persona bella e pura? Ho trovato quest’idea, macabra, oscura e densa di significati. Ma è nei particolari più tecnici che ti sei persa, secondo me. Stai parlando di due ragazzi giovani – se non ho capito male, Christoph, addirittura, va ancora a scuola, mentre Eric ha appena ventitré anni – che non sono stati ancora catturati dalla polizia, la quale non sa che pesci prendere. Mi aspetto quindi due menti brillanti e attente, scrupolose, ma la realizzazione del tutto mi fa pensare tutto tranne a questo. Io non me ne intendo, però, Eric strappa un lenzuolo a mani nude e vi ci scrive sopra con del sangue, tocca a mani nude i vestiti della vittima, si avvolge nel lenzuolo dopo aver fatto sesso, e tutto questo non lascia DNA e impronte digitali? Poco, ma davvero poco credibile! Inoltre se ne torna a casa con la moto della vittima (certo, se ne sbarazzerà, ma immagino un contesto moderno, dove le vie sono tappezzate di videocamere), e ancor prima adesca la vittima in un locale affollato, viene accompagnato da un barman super-richiesto, e quindi tenuto d’occhio, nel retro… e nessuno li vede? E gli amici che si è portato dietro? Lo avranno visto, si è portato dappresso testimoni che comunque lo conoscono e lo tengono d’occhio (se esco con qualcuno, ogni tanto gli lancio un’occhiata per vedere dov’è o cosa fa). Ecco, tutto questo ha smontato un po’ la credibilità di ciò che accade.
La fine, soprattutto per la resa di pathos e angst (che mi aspettavo) ha dato poco: mi aspettavo più tormento, indecisione, espressioni più fanatiche, dialoghi più incisivi e macabri, ma il tutto è finito in toni smorzati e in uno svolgimento di finale continuo, senza climax o capacità di aumentare la tensione, il battito cardiaco del lettore. Anche la fine, dove lui torna dal suo amante, ho trovato semplice e priva di quel pathos che richiedeva una simile trama. Questo perché il genere horror, seppur trattato nel pieno dei suo argomenti peculiari, non è stato messo in mostra nel modo giusto, nel finale quanto meno. Ed è stata la pecca di questa trama davvero interessante.


Titolo e Impaginazione: 5/5

Il testo è giustificato, quindi va benissimo. Credo che, seppur a volte ci siano troppi spazi, nell’economia della storia siano stati usati correttamente.
Il titolo è semplice, dipende con che tono lo si legge può dire tutto oppure niente, ma usato con un genere horror e un rating rosso fa tutto un altro effetto, soprattutto dopo aver letto la storia. Il titolo è perfetto per il contesto sviluppato, per la psicologia del personaggio soprattutto, il quale mette in atto davvero un gioco perverso e alquanto seducente, nelle sue sfumature macabre, nel giorno più romantico dell’anno. Ed ecco che il titolo acquista toni allo stesso tempo drammatici, macabri e romantici, quest’ultimo portato davvero all’estremo, proprio come richiama il significato del titolo.
Eric è davvero disposto a tutto pur di strappare al fantasma di Alan il suo amato; e quel disposto a tutto significa non solo sacrificare un innocente, ma soprattutto sacrificare la gentilezza che era stata rivolta a lui e i sentimenti che lui in prima persona aveva provato per la prima volta nella sua vita. Eric sacrifica un qualcosa che lo ha fatto star bene dopo tanto tempo pur di alimentare il suo amore malato. Davvero accattivante come titolo.


Caratterizzazione dei personaggi: 8/10

Tutti i tuoi personaggi hanno del potenziale, sono molto originali, dove con originale non intendo che possiedono caratteristiche uniche, ma indico il grado di personalità con cui si presentano nella storia. E la partenza, per ognuno di loro, è davvero interessante. Il problema però sta nell’insieme, dove i difetti vengono a galla, e con essi i vuoti e le domande lasciate in sospeso. Il grado di caratterizzazione tra personaggi principali e secondari cambia, è giusto dare più complessità e maggiori caratteristiche a un personaggio principale piuttosto che a una comparsa, però non bisogna mai dimenticare che ci sono delle informazioni che si devono comunque dare per coinvolgere appieno il lettore. E qui, alcune mancano.
Ma procediamo con ordine! Direi che i personaggi erano tre e mezzo (e con mezzo mi riferisco ad Alec).
Travis ha un suo ruolo ben definito: è la vittima ma anche la tentazione che mette alla prova il protagonista. Ne dai alcune caratteristiche fisiche – non esageri, e questo è un punto a favore, perché lo rendi definito ma comunque un personaggio in cui è possibile immaginare, non limiti la fantasia del lettore con tratti rigorosi e precisi – che sono importanti anche per la trama, come il tatuaggio (anche io l’ho trovato singolare e con un significato molto originale); ne dai anche una dimensione caratteriale (gentile, premuroso, a tratti un po’ ingenuo, scherzoso, il tipo che evita le risse, ed è tutto dire visto che lavora in un locale, al bancone); non ci sono azioni comportamentali specifiche però attraverso i suoi gesti (come la preparazione del drink o della bevanda a casa sua) ne definisci molto bene le tendenze, nel senso che per lui il suo lavoro è anche uno stile di comportamento e di vita, lo rispecchia; e poi ne dai anche un riferimento sociale-lavorativo (è un barman che ama andare in moto e vive lontano dal luogo di lavoro, il che mi fa capire che è un tipo che ama rilassarsi, godersi la vita e viaggiare, respirare il mondo). Travis, a dirla tutta, è il personaggio che paradossalmente caratterizzi meglio. Della sua caratterizzazione, però, c’è una sola pecca: la voce. Probabilmente volevi far capire che gli piace parlare, conversare, ma i dialoghi devono anche esprimere la personalità in modo incisivo. Quando lui parla dà troppe spiegazioni di sé, a volte le ho trovate più infodump nascoste piuttosto che parte del suo carattere.
Parliamo adesso di Eric, il protagonista: fisicamente un angelo, mi par di capire che è anche un rugbista anche se del suo lavoro non sappiamo nulla (o forse mi è sfuggito) il che è una pecca perché soprattutto di un serial killer il tipo di lavoro e la sua capacità di relazionarsi nel quotidiano avrebbero detto non poco su di lui e la sua psiche. Caratterialmente è un tipo focoso e impulsivo, anche se non sembra provare nei confronti dell’omicidio una foga o un bisogno per sfogare ciò che prova (al contrario, per quello che ho capito, di Christoph, che invece si fa coinvolgere molto da ciò che fa, ne ha proprio bisogno, per lui è un rituale legato molto a ciò che gli è successo, anche se è poi lui quello che sta più attento ai dettagli, forse perché è quello che non può farne a meno) ma che, trasportato dal suo amore assoluto e incontrollato e possessivo di Crhistoph tende a fare più pazzie dell’altro. Lui è stato più difficile da immaginare, anche a livello fisico direi rispetto a Travis, e questo già un piccolissimo difetto; ma quello più grande è quello caratteriale, perché è, sì, dato ma non è supportato da un background chiaro. Forse anche qui mi è sfuggito qualcosa, ma non ho ben capito quando Eric entra nella vita di Crhistoph, prima o dopo la morte di Alec, cosa lo spinge all’inizio a seguirlo in questo suo rito e come o perché il primo lo abbia accettato al suo fianco. Eric è combattuto dal suo bisogno di Crhistoph e la sua attrazione per un compagno più calmo, gentile; e questa dualità non riesco a spiegarmela. La presenti come un tratto di lui, però senza la presenza di tutto quello che indirettamente concorre alla sua realizzazione è davvero difficile comprenderne le motivazioni.
E lo stesso avviene per Christoph: lui è il calcolatore, ma è anche quello che tra i due ha la nomea di folle e serial killer, da lui parte tutto (ma come?); lui è quello che ha bisogno di uccidere, è il suo rituale in cui poi fa accedere anche Eric (perché e come?). Va ancora a scuola (liceo o università? Sembra essere più giovane, quindi opto per la prima), ha avuto problemi con la famiglia, ha ucciso la madre e preso il serpente (si deduce che non doveva essere una grande madre, forse parlava e rompeva troppo, visto che il serpente come animale è piuttosto silenzioso oltre a essere un animale “domestico” piuttosto macabro e pericoloso). Il suo ruolo è importante ma marginale, e va bene per il tipo di storia che hai voluto raccontare, sul tipo di focus usato, però è altrettanto indispensabile comprendere il suo ruolo nell’economia del protagonista, perché sennò c’è un tassello mancante che supporta la loro caratterizzazione. Manca un tassello importante.
Secondo me, l’errore è stato dovuto al fatto di non dare più informazioni su Alec, perché è lui la chiave del loro rapporto, di ciò che lo frena e di ciò che paradossalmente li unisce. Quindi, mi chiedo: chi è Alec, che ruolo aveva e come è morto? Questo vuoto avrebbe riempito molto di più del semplice posto di questo personaggio, avrebbe fatto da collante tra i tasselli che compongono anche gli altri due.
Soprattutto, però, sono state le “voci” dei personaggi a convincermi poco, a non essere coerenti fino in fondo con i loro caratteri. A volte danno troppe spiegazioni quando parlavano – come Travis o Eric quando ci prova con lui – altre sono piene di informazioni, e non era necessario, altre, invece, sono anonime, non esprimono la loro personalità. Insomma, ricorda che quando un personaggio parla, dice di sé più di quando il narratore descrive o analizza. Una personalità nei dialoghi e una buona base comportamentale fanno molto più di descrizioni fisiche e caratteriali. Sono i dettagli che fanno la differenza, e qui vanno limati; una volta fatto questo, la caratterizzazione sarà un buon punto solido e forte.


Gradimento personale: 3/5

Non mi intendo molto di omicidi, ma guardando spesso serie tv come Criminal Mind o NCIS non ho potuto non trovare inverosimile il modo in cui si svolgono gli eventi nella tua storia. Ci sta perfettamente che un serial killer giovane e inesperto tenti imprese sfrontate e un po’ istintive come l’adescare la sua vittima in un locale strapieno, che si faccia tirare dalla foga del momento; ma non ho potuto fare a meno di pensare che se il livello di accortezza che ha dimostrato Eric in questo frangente è lo stesso che hanno mantenuto negli altri omicidi, in cui dici che la polizia non sa che pesci prendere, allora io ho qualcosa da ridire. La stanza di Travis a questo punto sarà piena delle sue impronte digitali, come minimo. Ci sono molti altri punti che non mi hanno convinto, altre cose che dici come il fatto di avere un rapporto e farsi sottomettere per non lasciare tracce sul suo corpo, che anche qui trovo inverosimili. Quindi, se l’idea di fondo - San Valentino, omicidi, regalo macabro – l’ho trovata geniale e molto intrigante, la resa e lo sviluppo del contesto non è stato all’altezza: troppo semplicistico.
Altrettanto poco coinvolgente è il livello emotivo che si respira, secondo me. Le loro conversazioni non mi hanno coinvolto, l’angst e i dubbi di cui dovrebbe essere preda il protagonista non sono stati prorompenti quanto dovevano essere. Questa storia doveva spaccare, in tutti i sensi, doveva colpirmi al centro dello stomaco, ma anche il livello di efferatezza è stato un po’ “leggero”; il rituale, per esempio, io cui gli strappa il cuore doveva avere un significato per Eric molto profondo sentito, ma tu ti sei concentrata più sulla parte tecnica della faccenda e non mi hai fatto sentire cosa doveva significare per lui quel gesto. Davvero, un grandissimo peccato, e la delusione è maggiore proprio perché lo scheletro della storia mi ha intrigato non poco.

Per quanto riguarda i punti bonus (il commento non ha valore per la voce “gradimento personale”, lo inserisco qui per comodità), te li sei guadagnati in pieno, perché credo che tutta la storia ruoti proprio sul contrasto e la doppia voce che c’è dentro questo personaggio, da una parte il rapporto di cui vorrebbe poter fare a meno ma non può, dall’altra una attrazione che potrebbe tirarlo fuori dai suoi demoni ma non ci riesce. La natura del personaggio vince.

Totale: 33.75+2/50+2
Recensione alla storia Danny - 14/03/18, ore 14:18
Capitolo 1: Danny
Sesta classificata

Danny

di melian






Grammatica: 1.4/10

Ho trovato difficilissimo correggere la grammatica di questa storia. Ci sono stati momenti in cui pensavo che ero io a non capire, a non riuscire a comprendere i meccanismi verbali messi in atto, a non sapere identificare la struttura portante della storia. Ancora adesso ho molti dubbi a riguardo, ma ho deciso di agire secondo le mie conoscenze e il mio modo di rapportarmi alla scrittura, o non avrei mai trovato il bandolo di questa matassa.
Ti dico che, secondo me, c’è un gravissimo errore di tempo portante, che ha reso confusa l’esposizione degli eventi. Ho percepito in maniera molto brusca diversi passaggi. In generale, sono due gli errori che hai fatto: l’utilizzare l’imperfetto come sostituto e tempo sinonimo del trapassato prossimo (è un uso che si fa nel parlato, non nello scritto) o, in alcuni casi concordandolo in modo errato (nella stessa frase o paragrafo utilizzi il trapassato prossimo per rendere un evento passato rispetto al tempo degli eventi e lo concordi con l’imperfetto, il quale rende il tutto come se fosse contemporaneo degli eventi) → -2; il passaggio tra trapassato prossimo e passato remoto → -2.
Questi errori, in quanto rappresentano paragrafi interi, non li riporterò tutti di seguito, solo quelli più isolati; Di seguito gli errori trovati:

pickup rosso → -0.5 PENALITÀ GENERALE (pick-up; è un errore che commetti in tutto il testo)
«Danny compra sempre le stesse cose, lo stesso giorno, alla stessa ora. Non credo ci stia tanto con la testa.», dicevano tra di loro → -0.5 PENALITÀ GENERALE (Il punto, quando la battuta continua in minuscolo, non va messo all’interno del discorso diretto; è un errore che commetti più di due volte)
era l'occupazione con cui aveva trovato il senso dei suoi giorni. → -0.3 (Qui forse ho capito male io, casomai tolgo la penalità. Credo che sia più corretto dire “in cui aveva trovato”)
dove non c'era nemmeno un custode che si prendesse la briga di fare un giro di ronda, i muri a secco scrostati e il cancello cigolante e arrugginito chiuso con un catenaccio. → -0.3 (È sintatticamente ambigua. Sembra che non ci sono nemmeno i muri a secco e il cancello cigolante. Io rivedrei la frase, o al limite aggiungerei il verbo per chiarire)
ad illuminare -0.5 PENALITÀ GENERALE (Togli la d eufonica; è un errore che commetti più di due volte)
L'importante è che fossero donne → (“era che fossero donne”. Usando il narratore onnisciente, l’uso del presente può andare, ma solo per introdurre riflessione generali del narratore.)
Anche sua madre era morta, circa vent'anni prima a soli quarantacinque anni, e aveva lunghi capelli castani striati dalle prime ciocche grigie → (e aveva avuto; errore di concordanza dei tempi verbali)
Con quell'abito castigato dalle maniche lunghe, lo scollo tondo e lungo fino ai piedi sembrava una sposa. → → -0.3 (lungo si riferisce a scollo, in questa maniera sembra che è lo scollo che arrivasse fino ai piedi. La frase va riscritta)
Bianco il vestito, bianca la pelle esangue, che dava l'impressione di essere quasi traslucida quando, distesa nella bara foderata di raso durante le esequie, il sole l'aveva accarezzata e le piccole, torbide vene bluastre erano spiccate, in contrasto, come una ragnatela. → (“aveva dato l’impressione”, errore di concordanza dei tempi)
sicuramente il Diavolo se l'è portato.”, gli ripeteva → (Anche qui, il punto non va dentro. Vale la stessa regola del discorso diretto)
Un Daniel bambino la guardava con i suoi grandi occhi scuri → (l’aveva guardata)
Glielo ripeteva come una litania se lo sorprendeva a spiare le ragazze nella piazzetta quando andavano a fare la spesa, dal momento in cui Daniel le aveva raccontato che, a scuola, una ragazza si era rifiutata di uscire con lui ed era scoppiata a ridergli in faccia. → (Questo è uno dei casi in cui andrebbe rivista tutta in chiave trapassato prossimo)
Eppure, nonostante questo bisogno di tenerlo legato al suo guinzaglio, Annabel non lo abbracciava mai → (non lo aveva mai abbracciato)
La donna lo aveva spinto nella vasca piena di acqua gelida e gli aveva tenuto la testa immersa fin quasi ad affogarlo, mentre Danny si dimenava in preda alle convulsioni. Gli ripeteva che solo attraverso il dolore e la penitenza avrebbe potuto purificarsi dal peccato, che non avrebbe più dovuto toccarsi e che lo avrebbe punito ancora se lo avesse scoperto a disubbidirle. → (Sono tutte azioni che si sono susseguite in un momento passato al presente della narrazione. Anche gli altri verbi vanno usati al trapassato prossimo)
misto ad un amore viscerale → (Togli la d)
Un giorno, aveva assistito al funerale di una ragazza morta a trent'anni per una brutta malattia. La famiglia, distrutta, piangeva la morta; il prete officiava l'estremo saluto e poi, quando erano andati tutti via e la terra era ancora fresca sul tumulo, Danny avevo preso una pala e aveva cominciato a scavare senza chiedersi nemmeno perché lo stesse facendo. → (Va usato il trapassato prossimo) -0.1 (aveva preso)
Ne aveva avvertito l'impulso e vi obbediva. → (vi aveva obbedito; errore di concordanza dei tempi verbali)
A Daniel continuavano a tremare le mani mentre le toccava il volto livido e i capelli pettinati in modo ordinato, come un sudario funebre. → (avevano continuato a tremare)
La sua decisione fu rapida: si appropriò del corpo, lo caricò sul cassone del pickup e lo portò a casa. → (Va al trapassato prossimo. Da qui fino alla fine delle memorie passate, i verbi vanno cambiati)
Quella notte fu l'inizio della sua avventura, ciò che gli diede una ragione di vita o, comunque, della sua turpe ossessione. → (Va al trapassato prossimo)
Contemplare il corpo nudo di una morta, gli procurò una sensazione indefinita → -0.2 (Togli la virgola; gli aveva procurato)
era stato come ritrovaresua madre → -0.1 (serve uno spazio)
Si procurava tutti i corpi di cui avesse bisogno → (aveva bisogno)
Spolpò le ossa e le usò come i piedi di un tavolino basso e sciancato → -0.3 (come piedi, a mo’ di piedi)
E la faccia, sopratutto → -0.5 PENALITÀ GENERALE (soprattutto; è un errore che commetti più di due volte)
in quel momento Daniel capiva coma mai gli piacesse → -0.1 (come mai)
e ad un cuore umano → (togli la d)
«Lo vedi mamma? Non sono il buono a nulla che temevi potessi diventare. Ho un talento: ci so fare, con le mani.», → (togli il punto)
sopratutto quello che stava preparando per lei con tanto amore → (soprattutto)
uno circondò la casa e l'altra si diresse → -0.1 (l’altro)
poteva, sopratutto, essere ancora viva → (soprattutto)
la zaffata del sangue che li accolse → -0.3 (di sangue)
attaccato ad un muro da robuste catene e ganci → (togli la d)
singulto shockato. → -0.1 (È una declinazione inopportuna del termine straniero “shock”. In italiano c’è la forma “scioccato”)
Un rumore di passi al piano di sopra, suggerì → -0.2 (togli la virgola)
sorrise alla sua immagine riflessa o, meglio alla faccia che copriva la sua, → -0.2 (la virgola o la aggiungi dopo “meglio” o la metti prima della congiunzione)
«Adesso possiamo stare davvero insieme, mamma. Ora mi ami, non è vero? So cosa significa essere dentro di te, essere te. Mi vedi, mamma? Siamo una cosa sola, per sempre.», cantilenò Danny. → (Stesso problema del punto)
Lo Sceriffo sentì lo sparo, secco ed echeggiante, proprio mentre si era accostato alla porta → (“si accostò”, errore di concordanza dei tempi)


Stile: 7/10

Lo stile è scostante e disomogeneo, nel suo insieme sembra un assembramento di diversi pezzi scritti in stili diversi e in modi diversi. L’effetto finale è disorientante per un lettore che si accinge a leggere per la prima volta questa storia e deve imparare a scoprirla pian piano. Andando oltre questo primo impatto, comunque, ho potuto rilevare alcuni pregi insieme ai difetti.
A volte abbondi con le virgole, spezzettando il flusso delle frasi; ma nel complesso non abusi del punto-virgola e non usi in maniera discutibile i due punti. La struttura delle frasi, invece, si presenta a tratti ostica, altalenante: utilizzi inversioni di posizione che rallentano la lettura troppo spesso, per i miei gusti.
Il lessico è anch’esso un miscuglio tra uno più colloquiale e uno più ricercato. Per esempio ho apprezzato molto i diversi modi con cui ti riferisci alla casa e al capanno, dando sempre più la sensazione di orrore e disgusto, poi però cadi su termini più “dozzinali” del parlato come “shockato”, e tutto il clima crolla. C’è un’attenzione per il lessico altalenante, insomma; non è tanto una questione di varietà di lessico, quanto più o meno cura rispetto a un punto della narrazione.
La prosa è piuttosto asciutta, non ti perdi in metafore o similitudini, ma soprattutto nelle descrizioni del macabro e dell’horror ti dilunghi molto sui particolari, mostrandoli al lettore in modo chiaro e diretto, senza ghirigori o abbellimenti poetici. Questo fa sì che il tono della narrazione risulti omogeneo e coerente con i generi trattati. Dall’inizio alla fine della storia, sei stata capace di mantenere un tono angosciante, cupo, smorto, decadente. Tutto questo contribuisce a calare nella scena il lettore.
Il ritmo della storia, invece, è confuso, e credo che questo sia dovuto a una mancanza di chiarezza di fondo sull’idea che doveva fare da collante. Questa storia parte come se dovesse studiare il comportamento di Daniel, ma poi si trasforma nell’analizzare in particolare il rapporto che questo aveva con la madre e come abbia influito sulla sua natura. E le due cose, secondo il mio punto di vista, sono un po’ diverse; in altre parole, la seconda è un’idea più mirata rispetto alla prima, ed è stato come se tu a un certo punto avessi deciso di concentrarti su un singolo tratto del background e ne avessi lasciato a metà un pezzo. Abbiamo, quindi, un inizio lento che immette nella storia, e che poi viene seguito da un’altalena di eventi, passati e presenti, che si susseguono a diversa velocità.
La parte migliore dello stile è il narratore, che tu non perdi mai di vista. Ne hai utilizzato uno onnisciente con focalizzazione zero, e devo dire che l’ho trovata azzeccata, perché ti ha permesso di portare avanti con naturalezza lo studio su questo individuo, mostrandocelo non in un contrasto di luci ed ombre ma come un’attrazione, la particolarità di questa cittadina invisibile e anonima. Hai conferito alla lettura una prosa un po' vecchia, con quel tono investigativo che difficilmente si riscontra ai giorni nostri; il che ha permesso alla storia di uscire direttamente dal passato.
Anche i dialoghi sono gestiti molto bene: sono pochi, ma espressivi del personaggio in questione. Quelli di Danny sono piuttosto ripetitivi-compulsivi, e a ragione, ma soprattutto quelli della madre mi hanno colpito perché hanno puntato proprio al cuore della sua natura, una natura religiosa, acida, abusata forse, tipica di una donna con una mentalità ristretta, per niente amorevole, con un’ossessione di natura diversa ma altrettanto pericolosa come quella del figlio.
Il testo è molto descrittivo, ma non per questo motivo reso pesante. La narrazione si limita a introdurre le varie azioni e poi si perde in continue analisi del personaggio o in descrizioni dettagliate dei suoi impulsi e degli oggetti ai quali questi portano. La scelta di battere più volte su questo punto non ha reso monocorde l’argomento, ma ha fatto in modo di esaltarlo.
Infine, le tematiche trattate sono delicate e complesse, e più che affrontarle mi è parso che tu ti limitassi a esporle nella loro linearità, semplificando un po’ la chiave di lettura dei comportamenti e delle ossessioni di Danny.
Nel complesso, una scelta di stile adatto alla storia ma da definire nei particolari.


Originalità e Trama: 7.5/10

Iniziamo dall’attinenza al bando.
Questa storia rientra perfettamente nella cosiddetta “prima categoria”, ovvero l’esaltazione della natura del personaggio. In questo caso, è una natura unilaterale, potrei dire quasi in maniera inappropriata, nel senso che tutto ciò che è questo personaggio si concentra nel suo essere un serial killer. Fortunatamente non ti limiti a presentare i suoi crimini, ma fai diversi excursus sul suo passato, andando a esaltare anche la causa di questa sua natura, ovvero il rapporto con la madre.
Una pecca, purtroppo, è l’originalità della trama. Su questo termine sono piuttosto di manica larga, perché non desidero che mi venga presentata la storia più strana e insolita sulla faccia della terra (un’impresa utopica, direi) ma di solito richiedo un po’ di personalità che caratterizzi e distingui dalla massa l’argomento che mi viene proposto. Qui si parla semplicemente di un serial killer, con un passato turbolento e una madre ossessiva reprensiva e protettiva a tratti in maniera compulsiva, atta a sopprimere gli impulsi e lo sviluppo naturale del figlio. Un’analisi come altre ho potuto seguire in diverse serie tv. Anche il contesto in cui è inserito risulta già visto: una cittadina anonima che attira l’attenzione per una serie di omicidi macabri e irrisolti.
Passando alla trama vera e propria, ho apprezzato l’incipit, il quale è molto ben curato e secondo me funge in modo ottimo come introduttore alla storia: presenti l’ambientazione, dipingi il contesto e inizi a dare le prime chiarificazioni sul protagonista. E il quadro generale è piuttosto completo.
Nonostante sia intuibile dal tono narrativo, hai abilmente introdotto a poco a poco ciò che rende Danny così repellente agli occhi quanto all’anima. Ho trovato ben calibrata la scelta di inserire prima ciò che la gente nota e poi ciò che il narratore presenta come il vero particolare macabro di questo personaggio.
Superata la prima metà della storia, iniziano secondo me i primi problemi che sono scorgibile sono alla fine: hai presentato i ricordi della madre e del suo primo cadavere, dando loro un certo spazio all’interno del testo. Poi si ritorna al momento “presente” e narri della sua prima vittima. Questa scena, però, che secondo me dovrebbe rappresentare il centro della narrazione, quello che funge come spartiacque tra il prima e il dopo, non acquista una particolare importanza nell’economia della trama e si perde, un po’ allo stesso livello dei due ricordi che la precedono.
L’errore più grande, però, sta nel finale: è brusco all’inverosimile, non c’è una chiusura nel testo, e figurati che ho persino controllato più volte per vedere se avevo saltato qualche pezzo. La sequenza finale è ben resa, ma non può da sola rappresentare la fine della storia, serve una “formula” finale che avverta il lettore, dopotutto hai a disposizione un narratore onnisciente che ha iniziato con l’idea di presentare questo personaggio come particolarità all’interno di questa anonima cittadina e che quindi può spendere due parole su come questo abbia cambiato, o non aver cambiato, il vivere comune dopo la scoperta degli eventi di quel giorno.


Titolo e Impaginazione: 5/5

Il testo è giustificato.
Il titolo può apparire semplice e anonimo, e in realtà io non apprezzo molto quelli che sono formati da una singola parola, soprattutto se, come in questo caso, quella parola è semplicemente il nome proprio del protagonista. In questo caso, però, non solo è azzeccato perché è coerente con l’idea della storia, ma è anche particolare. Particolare, sì, perché tu non scegli di utilizzare il nome completo – Daniel – ma un diminutivo, quasi infantile.
Mettere il punto sul protagonista, in questo caso, è coerente con la storia ed è azzeccato, perché Danny rappresenta proprio la particolarità di questa città, la macchia originale e macabra che si snoda in mezzo all’anonimato e alla monotonia di questa città che difficilmente si trova nelle cartine stradali. Il nome non è solo proprio del personaggio ma soprattutto della pazzia e dell’efferatezza che si ramificano tra le vie della cittadina, che covano nei cimiteri e in quella casa.
La forma abbreviata del nome, poi, unita al genere horror, mette angoscia nel lettore; anche solo a livello di suono, “Danny” è un masso che ti sbarra la strada, che ti impedisce di scappare, è forte come suono, deciso, lapidario. Richiama alla mente, però, anche qualcosa di infantile, di colloquiale, di familiare. E non a caso hai adoperato questo nomignolo: è quello che utilizza la madre, è la sua ossessione; ed è anche l’ossessione di tutta la storia.


Caratterizzazione dei personaggi: 10/10

Il protagonista è anche l’unico personaggio di questa storia, ma attraverso i suoi ricordi – e considerata l’importanza che ha nello sviluppo della sua natura – anche la madre va analizzata a pieno titolo in questa voce.
Annabel (ancora una volta il nome è azzeccato) è una donna religiosa, fanatica direi, e questo si ripercuote sul figlio. Di lei possiamo solo dedurre alcuni tratti, ma posso immaginare la sua vita difficile accanto a un uomo violento e di conseguenza immaginare il suo carattere aspro ma fragile, suggestionabile, di chi ha subito per tutta la vita le angherie di un uomo ubriacone e violento e che ha trovato nella fede in dio una specie di rifugio mentale. Questo, però, ha avuto anche un’altra causa. Il figlio è qualcosa a metà strada tra una bambola su cui esercita una grande possessione e il riflesso di quell’uomo che l’ha maltrattata. Il suo attaccamento morboso al figlio, il suo non volerlo condividere con altre donne, hanno fatto il resto.
E tutto questo ha influito ovviamente su Danny. Descrivi entrambi fisicamente, ma di lui ne spezzetti i vari elementi, in modo da non creare un unico blocco descrittivo sulla sua figura; essa, nel suo insieme, comunque risulta esplicativa della sua natura (un espediente usato spesso nella narrazione, quello di far combaciare l’aspetto fisico con il carattere e la natura del personaggio, e che risulta sempre infallibile per coinvolgere il lettore). Anche i comportamenti, le abitudini, la vita sociale – o in questo caso la non vita sociale – del personaggio vengono presi in esame. Il carattere schivo e strano lo rendono un personaggio di cui diffidare, che provoca ribrezzo nelle altre persone. Studi il suo difficile rapporto con le donne che, a causa della madre e dell’educazione che gli impartisce, diventano tutte un surrogato possibile di quest’ultima.
Insomma, hai saputo creare un personaggio in tutte le sue declinazioni fondamentali e lo hai inserito con cura all’interno di un contesto studiato ad hoc.


Gradimento personale: 2.5/5

Ho visto troppe puntate di Criminal Mind per trovare questa storia originale o coinvolgente. Al suo interno non ho trovato elementi che mi facessero urlare all’orrore o al disgusto, non più di tanto in realtà. Il che mi fa pensare non poco, visto la scena finale con lui che indossa i guanti o la cintura o il vestito “umano”, che a questo mondo stiamo diventando troppo avvezzi a questi particolari: se non ci colpiscono più, qualcosa sta andando a scatafascio. Ma questo è più una considerazione personale.
Tornando alla tua storia, credo che l’errore sia la sua conformità con tutto quello che di solito gira su questo tema: non ho trovato carattere, ecco; non c’è personalità o una voce carismatica che mi coinvolgesse al suo interno. Da una parte è il rischio che, purtroppo, si corre con un narratore onnisciente, ma dall’altra è colpa anche della mancanza di un collante tra le parti, di una omogeneità nello stile, di un filo portante nella trama, di una presenza più varia di personaggi. È monocromatica questa storia, ha un singolo elemento, e quell’elemento, da solo, è troppo uguale a molti altri per colpirmi.
Non nego che parte del problema è il mio rapporto con il tuo tipo di scrittura. Io non riesco a non farmi influenzare anche dallo stile di un autore quando devo gradire o meno una storia. E il tuo mi è davvero molto ostico. Il tempo verbale dovrebbe aiutare il lettore a orientarsi nello spazio-tempo, ma nella tua storia è stata un’impresa cercare di mettere ogni cosa al punto giusto. Forse la si potrebbe definire una scelta stilistica, ma per me è una mancanza di ordine nelle idee, di capacità di spostarsi con scorrevolezza tra gli eventi del presente e del passato. Se la narrazione inciampa, è il lettore a cadere.

Per quanto riguarda i punti bonus non c’è assolutamente un contrasto con la propria natura, anzi: la storia esalta più che mai ciò che sta dentro l’animo di Danny.

Totale: 33.4+0/50+2
Recensione alla storia Mosquito - 22/12/17, ore 16:55
Capitolo 1: E guardo il mondo da un'oblò
Ciao!
Giungo qui in veste di eschimese: sono nella mia stanza, con coperta sulle gambe e cappuccio di lana in testa; ho le mani assiderate e le dita fanno il rumore di un grissino che si spezza mentre pigiano sulla tastieraXD
Leggere di Luglio, quindi, può solo farmi bene!^.^
La tua protagonista parla del caldo d'estate, con le magliette che lasciano la schiena scoperta e la confusione insopportabile delle discoteche, proprio chiuse a pochi metri alle sue spalle, dietro a qualche porta, mentre lei se ne sta in un vicolo malamente illuminato, fatta per intero.
Sei stata molto brava a farmi immergere nella mente di una drogata, nelle sensazioni allucinanti che ella prova, dai suoi sbalzi d'umore, ai suoi pensieri che si spostano con differente umore da una critica qua e un ricordo là, fino alla malinconia che permea questo suo mondo brutto, fatto di fumo e depressione, di solitudine e incomprensione, di una sensazione che ricerca e che, nonostante tutto, non sembra ottenere. Perché è vero che dice che la droga le dà il paradiso, ma la verità è che l'inferno non sparisce, la droga non lo elimina: semplicemente irretisce a tal punto i sensi che il pensiero e le emozioni che proverebbe una mente lucida nei confronti degli eventi si spengono, si smorzano, e in questa apatia lei può smettere di restarci male o di provare sensazioni forti e dolorose. Ma l'inferno continua, e a mio dire peggio di prima.
Se non si è capito, stai affrontando quello che per me è un punto incomprensibile. Luna si sente invincibile, dice "provo una volta, in nome della conoscenza, tanto la cosa in sé non mi interessa", ma la vera forza, secondo me, sta nel non provare affatto. Il sentire il bisogno, che sia mascherato da curiosità o quello che di si voglia, di provare una droga denota già una mancanza o un dolore nella vita, è il segnale per riconoscere chi ha il desiderio di trovare una cura a qualche male interiore che lo affligge. Non proverebbe se non fosse alla ricerca di una scappatoia. In un certo senso, nel ricordo in cui tu la mostri a guardare Stefano farsi, sembra quasi invidiare il suo calare in un languore. E' proprio quella promessa di effimera pace che ella insegue.
Per tutta la prima parte di questa storia, quindi, ho potuto provare tristezza e immergermi nello squallore della vita che ella affronta. Ciò che fa più male è che chi le sta attorno - metà dei quali sembrano non vederla neanche - non se ne accorge. E io penso: ma come fa a non vedere? E allora lì arriva la comprensione di ciò che la spinge. Un altro fattore che lo esalta è il modo in cui lei si lascia affascinare dalla perfezione di quello ragazzo, dalla sua bellezza e dal profumo di soldi che emana. Voglio dire, è ancora una volta il bisogno di una cura, di qualcosa di bello e pacifico che le fa rincorrere questo tizio.
Emil, di suo, è un ragazzo strano, lasciamelo dire. E in realtà mi inquieta. Non per qualcosa in particolare, la verità è che si presenta con la calma e l'eleganza di un cavaliere: getta via la sigaretta e l'accendino, la porta a fare una passeggiata, la invita a cercare un divertimento più "sano"... ma è uno sconosciuto, che è rimasto fermo a guardarla per diverso tempo, che sembra incurante del suo stato - seppure mi pare ovvio - e di chi ella sia. Ed è questo interesse che non trova una vera spiegazione, seppure viene mascherato da una chiacchierata innocente, ha mettermi i brividi.
Questa prima parte l'ho letta con davvero gusto e interesse. Adesso procederò nella lettura, parte per parte, in modo da recensire cercando di analizzare più cose possibile.
Ti dico solo che ci sono due refusi, per ora:
E se fosse un manico? O uno schifoso drogato? E se… -> maniaco
il fumo della sigaretta che si perde nella pallore della luna. -> nel pallore

Infondo, non è una bugia vera e propria, no? -> è un errore che ripeti nel testo. Tutto unito "infondo" è una coniugazione del verbo infondere, mentre in questo caso va scritto "in fondo".
Questa seconda parte è altrettanto travolgente, crea il passaggio tra l'inferno della vita di Luna e il paradiso dei suoi sogni, dove ogni sua convinzione viene abilmente smentita dai modi e dalle conoscenze di Emil. Posso dire che è un vampiro? Sai, può darsi che ho mancato la soluzione a questo grande mistero che è, ma è dall'inizio che penso ai vampiri, non so perché... è tutta la questione delle persone che sembrano guardarle dentro, oltre i vestiti, fino alle vene... il cocktail della ragazza gelosa, gli occhi blu accesi di Emil... tutto urla sovrannaturale.
In ogni caso, mi è piaciuto tantissimo il paragone con gli ippopotami, per descrivere il sorriso denso di sottintesi che si scambiano Emile e la ragazza. Adesso devo solo capire cosa il giovane voglia davvero da Luna e se è il riscatto o qualche specie di vendetta che stia cercando... o forse Luna è il regalo di compleanno per il festeggiato?
Mi piace il modo in cui mi hai trasportato all'interno della discoteca, con questa modernizzazione dei classici, fa apparire tutto un new gotic, dove l'antico si mischia con i piaceri del moderno, in questa combinazione che è eleganza e perfezione agli occhi della protagonista.

L'inizio della terza parte mi ha dato un senso di trance, nel senso che il trasporto che prova Luna, il suo immergersi totalmente nella musica e nel sogno che sta vivendo, mi ha fatto credere che il tempo passasse senza che lei se ne rendesse conto e che d'un tratto, tornando, cosciente, si sia accorta che Emil non c'era più. Un effetto particolare, che mi è piaciuto.
In questa frase si crea un attimo di confusione a causa delle virgole:
Lei dà le spalle alla rossa che continua a fissarla, perforandole la schiena con i suoi occhi penetranti. -> dovresti mettere una virgola prima di "che", perché in questo momento "perforandole" sembra legato al soggetto, mentre in realtà è la rossa che le perfora la schiena.
Jordan sembra più "giovane" degli altri, nuovo, più alla mano. In effetti, è un pesce fuor d'acqua tra quei signori di altri tempi, però la sua genuinità mi piace.
Luna sembra trattata come un animale da tenere al guinzaglio, Emile non la lascia sola, e quando lo fa le mette a fianco una guardia. Sembra non volersi far sfuggire la sua preda. Ma siccome è attraverso gli occhi di Luna che assistiamo a tutta la scena, questa inquietudine di sottofondo viene abilmente placata dalle sue ansie di gelosia, dal suo sentirsi fantastica tra persone fantastiche, il suo ancora una volta sognare a occhi aperti.

E finalmente tutti i sotterfugi si chiarificano. Felice di non aver perso qualcosa per strada. L'inquietudine che mi aveva fatto provare Emile sin dall'inizio è stata ben ripagata. I suoi modi così gentili ed eleganti dovevano avere per forza un secondo fine. Luna è stata un'ingenua, e non credo sia stata colpa delle droghe. L'ho percepita come troppo propensa a "lagnarsi", come se il mondo fosse orrendo e tutto ciò che di non favoloso riguardasse la sua vita "mediocre" fosse colpa degli altri. Alla fine, questo mi è stata in parte confermato dalla sequenza di pensieri che ha avuto mentre Moritz la dissanguava.
Sei stata bravissima a controllare il narratore interno, a far percepire il tutto attraverso il punto di vista di Luna, ma allo stesso tempo a disseminare indizi nelle descrizioni dei luoghi e dei personaggi. E' stato uno stile non solo elegante ma molto curato. Complimenti.
Il titolo credo che sia perfetto, perché racchiude l'essenza di questi vampiri - Mosquito è l'emblema della loro vita notturna, dell'ebbrezza della loro vita, dell'eleganza, dell'elité e della suggestione che queste creature fanno provare e provocano nella gente - ma non imbocca alcuna soluzione al grande mistero che si nasconde dietro l'interesse di Emil o alla vita di Luna. E' perfetto.
Ho solo una domanda: quando clicco, mi spunta come sottotitolo "e guardo il mondo da un oblò", ma non capisco a cosa faccio riferimento. Forse al modo di vedere le cose di Luna, non esattamente reale ma pieno di illusioni e verità nascoste... In ogni caso, una storia davvero entusiasmante, dallo stile e dai personaggi coinvolgenti.
A presto!
Recensione alla storia Il mostro di Galgenberg - 02/08/17, ore 15:17
Capitolo 4: Epilogo?
Terza Recensione Premio per il contest "Angeli&Demoni"
Ciao, eccomi all'epilogo(?) di questa sorprendente e ben congegnata storia.
Ti dico subito una cosa: sono felice di aver aspettato la fine prima di parlare dei personaggi principali, poiché avrei preso un grosso granchio. E ti dico perché.
Letto il secondo capitolo, mi è sorta una domanda: ma l'omosessualità non era severamente punita nell'ottocento? E quindi ti volevo dire per quale motivo Thellmann confessa con naturalezza un simile "crimine", quasi a volerti suggerire che era meglio giocare sul sottinteso. E finalmente la risposta arriva nel finale (a parte il fatto che non pensavo più che si trovasse in un "manicomio"): Leitner infatti considera il tutto come una degenerazione di quel primo fattore, che causa tutto il resto come una concatenazione che porta l'uomo a creare un mondo perfetto e inappuntabile per nascondere la pazzia che lo ha colto alla morte del suo amato.
Lo stile è stato coerente fino alla fine. Mi è piaciuto il fatto che la storia si sia aperta e chiusa con un rapporto della "polizia", e allo stesso tempo è stato un colpo di genio il fatto che il finale apra nuovi e terribili scenari. Il linguaggio è perfetto e inappuntabile come sempre, mi vergogno a dire quanti termini mi costringi a cercare ogni volta per poter comprendere fino in fondo quello che narri, in ogni sua sfaccettatura. E' sempre un piacere scoprire la profondità e puntigliosità di ogni vocabolo, messo al giusto posto e al giusto momento.
Sulla trama c'è un qualcosa che voglio condividere con te (ma bada bene, è solo un opinione personale che va bene dal mio punto di vista ma non è obiettiva). Ho adorato l'idea di questo "virus" di Dio che colpisce tutti, come se Thelllmann avesse aperto il vaso di Pandora e ora il male dilaghi di nuovo tentatore tra le genti, contaminando e attecchendo nelle persone che vengono a contatto con chi ne è già vittima, facendo presa sulle sue debolezze. Ed è ironico e di grandissimo effetto che chi ha tanto criticato il dottore poi si ritrovi a fare di peggio e con tanta naturalezza il suo stesso percorso verso l'inferno, come a dire che l'uomo non impara mai dai propri errori.
L'unica cosa, come si è verificato per "la scelta" è che il finale mi è parso troppo frettoloso. Dopo esserti preso due capitolo - e a ragione - per il conflitto di Thellmann, mi sarebbe piaciuto che avessi speso un po' di più per questo cambio di rotta. Non per forza aggiungere altre 2000 parole, ma avrei creato un pensiero più pressante per la sorte della moglie, quasi a interrompere il flusso dei pensieri di Leitner più spesso. Qualche accenno lo avrei messo anche nel primo capitolo, tanto da creare una sorta di "precedente" e un nesso con l'inizio e la fine che racchiudesse anche la vicenda del dottore.
Tolto questo particolare - ripeto, è un'idea mia, soggettiva - ti devo fare i complimenti per aver reso così bene "l'arroganza" di Leitner(mi vien da pensare che la sua sorte sia stata più orrenda proprio a causa della sua troppa sicurezza). La sua idea di tenere il flusso del sangue attivo durante il rituale sembra aver reso più terribile le conseguenze. Ha giocato troppo e si è scottato con atroce dolore.
Ed eccoci finalmente ai personaggi principali, tra i quali includo anche il nostro poverino. Leitner ha avuto i paraocchi, fede nella sua scienza, fino a quando credere nel rituale non gli ha fatto comodo. Il suo personaggio, che sembra fare da cornice, è molto importante per dare spessore al messaggio di sottofondo: in qualunque modo cerchi di innalzarti e diventare Dio, ti ritroverai sempre una bestia pronta a fagocitarti, nascosta nell'abisso ai tuoi piedi.
Erich è stato descritto inizialmente molto bene, la presentazione attraverso gli occhi del dottore ha saputo regalarci un'idea di un giovane altero, composto, a modo, molto colto e con un grande senso dell'onore, tanto da diventare alle volte... non ridicolo, ma lo ha isolato. Se da un lato mancava la parte umana, il suo provare terrore per la morte evidente, ha reso al massimo quando combatteva con la bestia che il dottor Thellmann aveva risvegliato in lui. Il suo personaggio si è mostrato un guerriero e un salvatore della vita, amante fino in fondo di quella persona di cui si era fidato e un uomo che è vissuto ed è voluto morire pur di rimanere integro.
Il dottor Thellmann ovviamente ha riempito la scena, e lo ha fatto in modo magnifico. La sua professionalità, la sua ammirazione, il suo senso di protezione che è diventato amore e si è trasformato in ossessione disperata è stata un'evoluzione che hai esplicato benissimo, ha legato la scena in modo potente e significativo, dando alla trama la giusta potenza riflessiva. I suoi pensieri sono stati gestiti bene, soprattutto nel momento in cui era combattuto in quell'altalena di "sta migliorando" e "che orrore è mai questo". Davvero molto ben realizzato, con un'ottima profondità introspettiva.
Stavolta credo di aver detto tutto - sempre qualcosa la dimentico, ma sono così ioXD. Complimenti per questa storia.
A presto!
Recensione alla storia Il mostro di Galgenberg - 01/08/17, ore 15:01
Capitolo 3: L’inferno è la sofferenza di non poter più amare
Seconda Recensione Premio per il contest "Angeli&Demoni"
Rieccomi! Oggi è un giorno perfetto per lasciarti la seconda recensione:D
A livello grammaticale ho intravisto solo un errore: da qualche parte hai scritto "non" al posto di "con", ma è un semplice errore di battitura. La sintassi è pressoché perfetta, non ho prestato occhio attento ma ho la lettura scorre come sempre piacevole e senza intoppi. Cosa che non posso mai evitare di fare è lodare il lessico. Io non so se è tutta preparazione o è sintomo delle grandi ricerche che fai prima di scrivere. In entrambi i casi, t'invidio un dizionario così forbito e puntuale, molto tecnico, tanto da accompagnare con perfetta precisione ogni passaggio, arricchendolo con la giusta terminologia, che ti evita giri di parole, perifrasi o termini più comuni ma meno puntuali per la situazione che ogni volta viene presa in esame.
Dello stile voglio dire una cosa che l'altra volta credo di non aver fatto. Termini come "diciamo così" o "se così vogliamo chiamarlo" (ora non ricordo quale formula hai usato con precisione né dove) sono da evitare in qualsiasi testo narrativo, TRANNE in uno scritto in prima persona. Intercalari come questi aumentano l'impressione del parlato di chi racconta e rendono la narrazione in prima persona più autentica e sentita. Il fatto che sia il dottor Thellmann a narrare a chi di dovere l'intera vicenda è qualcosa che ti permette di tenere il linguaggio tecnico e forbito tipici della sua istruzione, ma la prima persona fa anche un altro "miracolo": ti consente di intervenire con una voce più personale sulla narrazione. L'introspezione ne risulta esaltata, e quella del dottore è resa molto bene in questo capitolo.
Un particolare che determina l'intero capitolo e, soprattutto, interi passaggi come quello finale (ho adorato il paragrafo finale) è il modo in cui hai reso la dualità, la lotta tra istinto e ragione all'interno di Erich/mostro. Ciò che è malvagio lotta con ciò che resta del ragazzo altero che il dottore ha amato. Hai reso magnificamente la sua incapacità di parlare (apro una parentesi prima che mi dimentico. Non so a quale reale scopo tu lo abbia reso muto, ma a me sembra che il non poter parlare, il non potersi esprimersi in modo verbale, dia alla tua creatura un'affinità alle belve, la faccia regredire a bestia. Inoltre l'impossibilità ad aprire la bocca tranne che per cibarsi esalta l'idea che ci sia una forza, risvegliata o richiamata nel corpo di Erich, che azzittisce la sua parte umana, i suoi pensieri. Lo prima della parola, e quindi del potere decisionale.), il suo esprimersi con indizi e riferimenti simbolici che solo Friedrich (scusa se scrivo il nome in modo errato) può cogliere. Ci sono diverse battaglia psicologiche e filosofiche in questo capitolo, oltre a quelle fisiche, che garantiscano profondità al tema trattato. Forse te l'ho già detto, ma il tutto mi ricorda molto "Dracula" di Bram Stoker o Frankenstein di Mary Shelley. Non solo il tema ma soprattutto l'atmosfera, che tu hai saputo rendere alla perfezione.
Ancora una volta non mi pronuncio sulla caratterizzazione dei personaggi principali, preferisco avere il quadro finale, però sappi che il livello introspettivo di questo capitolo è stato più curato. Ti sei maggiormente soffermato sui pensieri e sulla lotta interna del dottor Thellmann, e questo mi ha permesso di vivere gli eventi narrati con più empatia. Il sali e scendi di orrore e speranza è stato esplicativo delle due parti che identificano qualunque uomo: cuore e ragione. Molto bello. Infine un commento lo spendo per il rapporto che continua anche qui tra i due. L'unica lacrima che il mostro concede a Erich è non solo un richiamo al fatto che gli occhi sono lo specchio dell'anima ma è anche il simbolo della grande forza d'amore che Erich mette in atto per fermare il mostro che domina i suoi primordiali istinti. Scena stupenda, non mi stancherò di ripeterlo.
A presto!