Recensioni per
Errando nella nebbia
di Hotaru_Tomoe

Questa storia ha ottenuto 241 recensioni.
Positive : 241
Neutre o critiche: 0


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Nuovo recensore

Sono di nuovo arrivata alla fine, non ricordo se per la seconda o la terza volta, e mi sono stupita che non avevo lasciato un commento... Lo sai dalle mie altre recensioni che adoro come scrivi e una delle tue storie del fanfom è tra le mie tre preferite in assoluto. Che dire di questa in particolare se non che è perfetta, tra angoscia, disperazione, la mia e quella di Sherlock quando non sono insieme 😁, amore, desiderio, felicità e serenità. Insomma perfetta. Come sempre complimenti e grazie per averla scritta e condivisa.

Recensore Master
13/07/17, ore 16:08

Con quest’ultimo, straordinario pezzo, ci hai concesso il privilegio di entrare, per un momento, nel tuo personale Mind Palace, indicandoci gli scaffali in cui hai riposto tutto il materiale riguardante questa che, secondo me, è una delle long meglio riuscite di questa sezione del fandom fino ad ora. E, considerando che ti parlo di essa nel 2017, significa che questa tua distinzione, assieme a pochissimi altri autori che stimo e seguo con affetto, ti appartiene ancora. Posso dirlo in tutta tranquillità, anche perché il giudizio, che mi permetto di esprimere sul lavoro di persone che, come te, mi regalano, in modo del tutto gratuito, dei momenti di evasione in un mondo che amo alla follia, quello che ruota attorno al 221b, si fonda su tutto ciò che andrebbe considerato riguardo a qualcuno che scrive. Infatti, come primo "ingrediente" per una buona riuscita, c'è il tuo indiscutibile saper scrivere: ovviamente mi crogiolo nella correttezza assoluta della parte sintattica e grammaticale e, non ridere, perché non è scontato trovare delle cose in un italiano libero da errori, poi c'è l'estrema flessibilità di fronte al registro linguistico adeguato alle varie scene. C'è ironia, quando ci vuole per alleggerire certi momenti o per mettere in risalto, per esempio, il contrasto tra il carattere di John quello di Sh, c’è lo sguardo appassionato che segue le espressioni di una grande passione, c’è il fluire del racconto con connotazioni gialle. Insomma s’immerge la mente in un mondo di cose che costituiscono un esempio di saper raccontare. Il che non è semplice. “…Ci sono alcune scene scartate o solo appena abbozzate che riposano su un quaderno…”: fai uscire quelle scene e quelle idee, sono sicura che, altrimenti, ci perderemmo qualcosa di estremamente valido. Sono, allo stesso tempo, contenta di aver recuperato questa preziosa ff e dispiaciuta perché l’ho terminata di leggere. Ora, tu stessa mi hai indicato la via per recuperare ancora cose belle, a proposito della tua personale rielaborazione del lutto, che io, dopo anni, non ho ancora completato, e cioè i titoli di altre due tappe che segnano la fase del rifiuto e la fase della rabbia. Vado, comunque, grazie per la tua immensa fatica.

Recensore Master

La prima cosa che mi viene in mente, dopo la lettura di questo capitolo non inferiore ai precedenti, per contenuti ed efficacia narrativa, è che mi trovo davanti ad uno scenario perfetto. Perfetto anche perché reale, in tutta la sua aderenza a quello che veramente può succedere nella vita. Siamo nella stabilità rassicurante di un legame che ha dell’unico e dell’irripetibile, che, però, è sottoposto alle incognite che la quotidianità ed il trascorrere del tempo seminano sulla nostra strada (“…John ha avuto un leggero infarto…”). Sono Sh e John, protetti dal loro essere “noi due contro il resto del mondo” che, nonostante l’età, continuano a stupirsi di quanto amore possano donare al partner e riceverne altrettanto. Questo concetto l’hai espresso e sviluppato con chiarezza e fissato in immagini che rimangono, per la suggestione che riescono a creare. Tra altre di non minor impatto emotivo, mi è piaciuto soffermarmi particolarmente su quella visione, grazie alla quale, John riesce ad uscire dall’angoscia dell’incubo che, in realtà, rappresenta esattamente la vita che gli sarebbe toccata se non avesse perdonato e riaccolto Sh. Ed il salvataggio da un mare d’angoscia lo trova, dopo un brusco ma provvidenziale risveglio, nell’ “…aver subito cercato la massa di capelli argentei di Sherlock sul cuscino di fianco al suo…”. Fai emergere quelli che sono la sostanza ed il volto del vero amore, cioè il vivere la quotidianità come se fosse, ogni giorno, una meravigliosa scoperta e condividere tutto, per camminare insieme. Anche quello che può sembrare un banale chiacchiericcio o delle nostalgiche rievocazioni di due persone anziane, in realtà è la trama di un profondo sentimento che garantisce la durata negli anni.
A conclusione di questa long, che è una delle più belle che abbia mai letto, e non è una bugia, trovo dei versi di Elisabetta Fabrini. Sarò sincera, ma non conoscevo quest’ autrice e sono corsa su Google, per avere qualche info in merito. Non ho trovato alcunchè come notizie biografiche, ma ho potuto leggere, qui e là, in qualche blog, delle composizioni poetiche davvero splendide che mi hanno veramente colpito. E ho fatto questa citazione, qui da te, perché hai saputo scegliere, nell’oceano sconfinato della poesia d’amore, dei versi che sembrano scritti apposta per suggellare, con immagini luminose e commoventi, quella che è, almeno per me, l’essenza stessa della johnlock (“…giardini…albe…”). “Immortale”, e so di non essere retorica, perché l’innesto tra la macchina perfetta della BBC, che ha messo in campo attori unici e splendidamente corrispondenti ai personaggi loro assegnati, l’humus creativo del canone di Doyle e l’originalità degli autori, ci ha regalato una delle più belle storie d’amore (anche se molti asseriscono che si tratta solo di un’amicizia speciale) mai rappresentata sugli schermi. Posso affermare che, oltre che sherlocked, sono anche johnlocked senza ombra di dubbio. Comunque tu hai scelto dei versi meravigliosi, che sembrano scritti apposta per quei due. Un altro riferimento che mi è piaciuto molto è stato quello quando hai citato Yoko Hogawa, un’autrice che ritengo rientrare tra quelle di voi con più spessore sia stilistico che relativo alla creatività ed originalità.

Recensore Master
12/07/17, ore 23:15

Siamo trasportati, alla velocità della luce, dalla travolgente atmosfera, ad alta tensione emotiva e passionale del precedente capitolo, all’ironia più simpatica dell’inizio di questo, con un John, che sembra letteralmente in un mondo al di fuori della nostra galassia, che incontra un allibito Greg (“…cerca comandare alle sue palpebre di sollevarsi a sufficienza…”). È decisamente un quadro significativo quello che si presenta agli occhi del buon Lestrade, compresa l’apparizione grandiosa di Sh, in “abiti adamitici”. Lo yarder , tutto sommato, è sinceramente contento della piega che hanno preso le cose tra quei due, avendone vissuto in pieno il doloroso percorso di riavvicinamento e conoscendo bene il loro essere legati, praticamente, dal primo momento che si sono visti. Riesci veramente a trasmetterci la splendida sensazione che al 221b si sia riaccesa una luce che era stata spenta e che non farà più tornare il buio.
Ma, in questo capitolo, non c'è solo ironia, divertimento, senso di un equilibrio e di una serenità finalmente raggiunti. Inserisci la questione del divorzio di John: nella tua ottima capacità narrativa sai benissimo che lasciare questioni importanti irrisolte, non creerebbe troppi dissesti, nello splendore della johnlock, ma toglierebbe credibilità a ciò che racconti. Nella vita reale, infatti, il "tutti vissero felici e contenti" esiste solo nella misura in cui si risolvono anche fastidiosi problemi pratici ed economici. Ed è del tutto realistico che Mary presenti, al suo ormai ex marito, il "conto" relativo alla sua scelta. Se poi, in campo c'è un avvocato divorzista con gli attributi quadrangolari, come Penelope, è estremamente verosimile che la causa che viene avviata abbia un costo salato per chi se n'è andato. Tutto 'sto sproloquio per comunicarti che mi è piaciuto anche questo aspetto del tuo saper raccontare le cose, perché cala fatti e personaggi, altrimenti irreali, nella concretezza della nostra vita. Uno dei punti di forza di questo capitolo è il "duello" tra Sh e Penelope: la scena è da te descritta così minuziosamente ed i dialoghi risultano credibili e privi di ogni banalità che mi sembra di essere veramente lì. Un intrecciarsi di frasi, concetti e personalità che ha un esito davvero avvincente.
Nel finale, poi, altro giro sulle montagne russe delle emozioni più forti già vissute nel precedente capitolo. Domina la scena uno Sh passionale e deciso a far capire a John che è e sarà solo suo. Sei una fonte inesauribile di situazioni narrative sorprendenti che attirano continuamente la nostra attenzione di lettori. Per le croniche shippatrici di johnlock come me, poi, le tue storie sono come "Le Mille ed una notte"...

Recensore Master

Toccante il modo con cui hai messo in risalto quella sorpresa di Sh, di fronte alla sua stessa risposta affermativa che costituisce l’inizio di una travolgente scena d’amore. Lo fai apparire quasi sconcertato nell’emettere quel “Sì” che fa svanire tutti i dubbi e le remore che li hanno incatenati fino ad ora. Ed il suo sconcerto è comprensibile perché, da sempre, lo aveva guidato la razionalità ed il lucido calcolo di tutte le varianti e le soluzioni possibili relative ad una determinata situazione. Ora, di fronte a John che, finalmente, ha trovato le parole ed i modi giusti per comunicare con lui, Sh lascia che sia il suo cuore a rispondere e, ovviamente, l’esito non può essere che affermativo. Un altro momento forte, per la carica di emozioni travolgenti che libera, è quando John scopre, sul corpo dell’ormai suo Sh, le cicatrici lasciate dalla violenza criminale dei seguaci di Moriarty, durante il suo esilio forzato del post Reichenbach (“…l'immagine di Sherlock, ferito e braccato… raggomitolato su se stesso per il dolore…”). Una visione commovente che fa affiorare, sul volto del medico, quel sentimento prepotente di protezione nei confronti del suo amato, che illumina il suo sguardo di un’energia e di una forza superiori a qualsiasi attacco “nemico”. Proseguendo nella lettura, quasi imbarazzata spettatrice di fronte a tale espressione di passione e di appartenenza, trovo estremamente affascinate quel comportamento che fai assumere a Sh di tenero impaccio, ma d’ inesauribile desiderio scaturito proprio dalla sua verginità fisica ed emozionale. Con lui ritrai un John gigantesco, nella sua generosa preoccupazione di permettere, al suo amato, di scoprire liberamente tutto quello che l’amore gli può dare.
“…L'universo intero è John…Non è mai esistito nulla prima di Sherlock e non potrà mai esserci nulla dopo di lui.”: ecco cosa sono l’uno per l’altro. Ho scelto queste parole ma le frasi significative, nella loro originalità e veramente di spessore che tu hai saputo scrivere e dedicare all’espressione del loro unico sentimento, sarebbero molte di più. È un capitolo particolare, questo, dove la tua capacità di scrivere e di cercare i dettagli più nascosti per evidenziare il messaggio che vuoi lasciarci, in questo caso quello di trovarci di fronte ad un amore grande ed irripetibile, mi lascia, dopo la lettura, pervasa di sensazioni ed emozioni molto forti, tanto intenso è il realismo di quei due corpi che stanno cercando, e ci riescono, di raggiungere attraverso i gesti anche le loro anime. Sei veramente in gamba.

Recensore Master

Qui, in questo capitolo, la tua capacità di analisi psicologica, che è una efficientissima macchina da guerra che non lascia proprio alcun spazio all’immaginazione ed al dilettantismo, si è attivata per illustrare chiaramente tutti gli aspetti relativi a quel bacio così particolare con cui John ha suggellato la sua visita a Sh all’ospedale. È un crescendo di “messe a fuoco” che, tramite i pensieri di John, riguardano Holmes e la sua esperienza in materia e che ci fanno assistere, con una punta di divertita compartecipazione, all’imbarazzante presa di coscienza che travolge Watson con la verità: “…Era il tuo primo bacio…”. Descrivi perfettamente, con quel corsivo inserito qui e là, la voce della sua anima che gli suggerisce l’effettiva portata di quello che è successo e, visto che per lui Sh è al di sopra di qualsiasi altra persona, lo travolge la paura di aver rovinato tutto, ora che le cose stavano andando bene tra loro e s’intravvedeva una luce in fondo al tunnel dell’incomprensione e del malinteso. Hai fatto agire uno Sh meravigliosamente IC nella sua lucida razionaltà che però, di fronte all’energia espressa dai sentimenti, si trove spiazzato ed impreparato a coglierne la vera portata. Un momento davvero magico è quello in cui Watson chiede a Sh se vuole provare un “primo” bacio, senza il filtro dell’irruenza, del dolore di una situazione critica, del voler aprire prepotentemente una porta altrimenti destinata, probabilmente, a rimanere chiusa per sempre. Il “sì” che fai pronunciare a Sh è reso ancora più dolce e suggestivo dalla luce preziosa che emanano i suoi occhi. Sei stata proprio in gamba a compiere questo delicato passaggio dall’incertezza di Holmes, mista al desiderio di comunicare a John la sua disponibilità, alla resa incondizionata, finalmente senza più ombre. Splendido. Quello che segue, cioè la successione di tutte quelle azioni che i due compiono è una parte descrittiva veramente coinvolgente e scritta con grande capacità di dare rilievo anche al più insignificante gesto che, invece, in un rapporto d’amore, assume un’importanza significativa (“…John osa accarezzargli le labbra…”). Ormai il cammino è iniziato, in loro c’è la consapevolezza che le difficoltà non mancheranno, che il loro vivere in balìa dell’adrenalina e dell’avventura è rischioso, ma nulla è più deleterio del rinunciare al loro grande amore per paura. Si adattano perfettamente le parole, tratte da un sonetto di Neruda, che hai scelto come titolo in quanto esprimono interamente, con pochi tratti, il significato più profondo dell’amarsi: da uno si diventa due, tutto viene ricondotto alla dimensione del “noi”.

Recensore Master
09/07/17, ore 23:42

Ogni volta che ti voglio comunicare che un capitolo è più bello degli altri che lo precedono, vengo prontamente smentita da quello successivo. Infatti questo tredicesimo l’ho trovato unico, e così coinvolgente da ritrovarmi a sorridere come un’adolescente innamorata davanti al testo. Indubbiamente stiamo per arrivare al porto sicuro di un amore grande ed unico, reso profondo ed indelebile anche dalle mille sofferenze, dai mille malintesi, egoismi, paure, silenzi inutili. Tutto il buio che c’è stato ha contribuito a rendere la luce della comprensione dei fatti ancora più abbagliante. E, quello che sembrava ormai aggrovigliato in modo inestricabile, si scioglie magicamente nella semplicità di quella supplica che John rivolge a Sh, chiedendogli di cancellare dalla mente l'ultimo anno e mezzo. Hai usato tutta la tua capacità introspettiva per farci toccare il fondo della disperazione di John (“…cancellare dalla tua mente l'ultimo anno e mezzo…”) in un modo talmente realistico che ci ha trasportati lì, al 221b, di fronte a quei malinconici cocci della tazza e del vasetto infranti sul tappeto, come il cuore di Watson. È come se avessi potuto allungare una mano e toccare la testa del medico, per tentare di consolarlo. O prendere Sh per un braccio e scuoterlo dall’abisso di confusione in cui si staagitando, cieco e sordo. La scena si è improvvisamente illuminata dall’effetto che quell’apparentemente banale frase di John ha sul consulting: l’affetto, la semplicità della generosa umanità del medico e la sua paziente attesa. Ma, sono soprattutto gli occhi di John, che tu fai accendere di un’energia data dalla disperazione e dalla consapevolezza che loro due sono necessari l’uno all’altro, che squarciano la nebbia che ancora ristagna nel cuore di Sh in modo da indicargli la via d’uscita. E, l’unico modo per salvarsi, è seguire il richiamo struggente di quello sguardo. Ritengo, almeno questo è il mio pensiero, che il momento più forte di questo bellissimo capitolo, sia la scena del Mind Palace, in cui l’ingombrante baule del dolore del passato diventa un ostacolo troppo difficile da rimuovere per le sole forze di Sh. Ed è qui che hai intrecciato splendidamente la veglia con il sonno, in cui il labile confine tra consapevolezza e dimensione irreale del sogno, si confondono e si esprimono in immagini che hai descritto con grande perizia ed autenticità. La tenace lealtà di John e la sua sconfinata pazienza hanno fatto in modo che Sh abbia finalmente la rivelazione che gli permetterà di vedere chiaramente la strada, non più da solo ma con la persona che, ormai fa parte di lui (“… -John...-sussurra, con un sorriso stupito sulle labbra…”). Dopo capitoli durissimi pieni zeppi di chiusure, ostentata e dolorosa indifferenza, di sofferenze che ritornavano con maggior violenza su chi cercava di superarle, ecco la ricompensa: quell’abbraccio lunghissimo tra i due, fuori dal tempo e dallo spazio, lontani da tutto e da tutti. Fissato da te con parole dolcissime che racchiudono tutto ciò che è l’essenza del magnifico legame che tiene Sh e John e li rende inseparabili. Ho sempre meno possibilità fi farti i complimenti che meriti perché sono veramente ammutolita dalla tua bravura.

Recensore Master
09/07/17, ore 22:41

Apre questo capitolo la signora Hudson, che tu usi, spesso, nel pieno rispetto delle sue caratteristiche IC, come un elemento di raccordo tra un momento intenso ed un altro. In quello precedente l’abbiamo vista cercare di scuotere Mycroft dalla sua apatica lontananza da Sh, qui accoglie John, sicura, come lei è sempre stata, che solo il medico possa essere artefice della felicità di Sh. L’incontro, tanto atteso tra i due, ha l’effetto di una doccia fredda sulle mie attese ma, conoscendo la tua cura nel non dar mai nulla per scontato o troppo “happy end”, ho compreso le motivazioni di quello Sh che accoglie John con freddezza, spegnendo tutto il suo entusiasmo (“…temo dovrai ripulirla se stanotte vuoi dormirci…” ). Hai ben circostanziato la scelta di Sh di non aprirsi alla gioia di un abbraccio, ed è comprensibile. Il consulting, com’è sua abitudine ha “scannerizzato” tutto ciò che riguarda il John che ha sposato Mary, che gli ha fatto imporre un ordine restrittivo, che ha dimostrato di essere in grado di lasciarlo solo pur conoscendone le fragilità. Persino il momento forte del bacio all’ospedale viene interpretato come un gesto fine a se stesso, usato da John per scuoterlo dalla sua apatia. Dunque la conclusione della lucida analisi razionale, cui il consulting ha sottoposto le azioni del suo blogger, è che di Watson non ci si può fidare: se il suo cuore ha avuto un sussulto di gioia nell’udire i passi inconfondibili salire le scale del 221b, altrettanto non si può affermare della sua mente. Ecco, quindi, quelle note sgraziate che salgono dalle corde del violino che Holmes sta pizzicando, ecco quel “Mh.” di risposta ai tentativi di John d’intavolare una conversazione, ecco quella porta della camera di Sh spietatamente chiusa. Ritorna la saggezza di Martha Hudson che, con il paragone del soriano rosso fa capire al medico che tutto si può spiegare, anche ciò che appare negativo e lontano, basta saper attendere. Fai scivolare via il capitolo con la tua consueta bravura nel parlare di persone e sentimenti, e si comprende come, mediante questo, tu voglia ancora farci partecipi delle profonde incertezze di Sh che si trasformano in arroganza e gesti che risultano veramente antipatici, come quel tornare a casa con i capelli sistemati da un barbiere. È il suo modo di sbattere così, platealmente, in faccia a John, il suo rifiuto di farsi toccare da lui. “…la sua mano si allunga verso la nuca dell'uomo…”: hai fermato con poche, semplici parole, tutto ciò che si agita nel cuore del medico, il suo immenso bisogno di comunicare a Sh ciò che prova per lui. Giuro che, leggere della delusione del medico, che lo fa sentire così amareggiato da “aver quasi voglia di piangere”, ha contagiato anche me con la profonda tristezza che costituisce lo sfondo di questa scena, tanta è la credibilità e l’attenzione che poni nel trattare i comportamenti dei personaggi. Di personaggi, poi, estremamente difficili da “fotografare” come, appunto, Sh. Il tuo realismo, nel rappresentare il momento difficile che stanno vivendo quei due fa sì che ci sentiamo vicini a loro, come si trattasse di vita vera.

Recensore Master
09/07/17, ore 17:13

Il capitolo inizia con una lucida riflessione sul comportamento di Mycroft e mi trovo perfettamente d'accordo con te nell'aggiungere, alle peculiarità del suo carattere, per niente incline ai rapporti umani, compresi quelli familiari, anche un opportunismo politico, decisamente machiavellico, per cui non ha esitato a servirsi del fratello, pur di avere un "materiale" di scambio nei riguardi di Moriarty. Ora, però, la situazione è precipitata, riaffiora un affetto fraterno fino ad ora sopito e l’ “iceman” si reca velocemente all'ospedale in cui è stato ricoverato Sh. Ed è qui che sposti tutta la nostra attenzione, accogliendoci con un clima di angoscia, di rimorso ("...avrei dovuto insistere... fare qualcosa...") e di grande preoccupazione.
Guarda, tutto questo capitolo è denso di momenti intensi, in cui le emozioni, dei protagonisti e degli altri che stanno loro intorno sono da te ricostruite, in modo talmente credibile e preciso, da coinvolgere chi legge fino a far si che, per esempio, lo stesso "groppo in gola", che John percepisce quando Mycroft lo obbliga a guardare le due foto di ciò che rimane dell'affascinante Sh, lo sentiamo anche noi, partecipi della pietà di fronte all'autodistruzione di una vita così particolare. Ogni creatura ha diritto ad essere amata, anche chi, come Sh, ha eretto dei muri di spietata razionalità per non soccombere alle ragioni del cuore. E tu hai scritto con estrema sensibilità e, davvero, un ottimo italiano, su quello che è un dramma umano veramente angosciante. I germi narrativi già c'erano nelle Serie BBC, ma tu li hai colti e saputi sviluppare in una narrazione che tocca dei punti di verosimiglianza umana e di acutezza descrittiva veramente alti.
"...Non provarci nemmeno...": grazie alla tua capacità di creare atmosfere e dare la misura esatta dell'intensità di un'emozione o l'espressione di un sentimento, bastano queste tre parole per esprimere tutta la rabbia, tutta la consapevolezza dolorosa, tutto il rimorso, tutto l'amore di John. Secondo me è uno tra i momenti più intensi di tutta la long, questo in cui, nell’asettica solitudine della camera d’ospedale, il suono di quella voce, che qui assume toni decisi e quasi duri, riporta Sh alla vita.
“…John si sente come Sherlock sul tetto del Barts…”: da qui comincia, dal punto di vista anche tecnico, un pezzo in cui hai ritmato, con l’alternarsi dei piani temporali, con ottimi esiti, la decisione di John e quella di Sh. Due facce della stessa medaglia, due volti di un grande amore che sta trovando la via per non perdersi più. John va da Mary per por fine alla farsa grottesca del suo matrimonio, Sh sale sul tetto del Barts per affrontare Moriarty. Entrambi per il bene dell’altro. Un capitolo meraviglioso, indimenticabile, davvero.

Recensore Master
06/07/17, ore 16:41

Questa seconda parte la inizi presentandoci il grande rivolgimento interiore che vede John passare, dal rifiuto rabbioso e cieco di accettare la realtà del ritorno di Sh, quasi nutrendosi di un sentimento di rivalsa nei suoi confronti per essere stato tenuto all’oscuro di tutto, alla malinconica convinzione che il consulting lo abbia lucidamente estromesso dalla sua vita in quanto, secondo ciò che pensa sia vero, “Sherlock Holmes non ha più bisogno di lui”. Efficacemente rappresenti, infatti, lo stato d’animo del medico che, ormai in balìa dei sensi di colpa e del rimorso di aver chiuso la porta del suo cuore in faccia a chi, ora, lo occupa interamente, tenta di costruirsi una via di fuga dall’angoscia cercando un alibi che lo giustifichi di quanto ha fatto. Vuole autoconvincersi di aver fatto bene a non perdonare Sh per la sua menzogna, attribuendogli un senso dell’amicizia, o di quello che è, piuttosto inconsistente. Mentre il baratro in cui sta scivolando John si fa sempre più profondo, quello in cui la droga e la disperazione stanno soffocando Sh, si distingue in maniera sempre più netta come un viaggio dentro il nulla dell’oblio indotto dagli stupefacenti. Inserisci due elementi simmetrici nei due percorsi, distinti ma paralleli, dei due protagonisti e cioè gli incontri casuali, con personaggi particolari, che radicano in loro, in maniera evidente e suggestiva, la convinzione di non poter vivere lontani l’uno dall’altro ma la tragica consapevolezza che un muro di malintesi ed inutili chiusure li separi. Sh si trova a confrontarsi con il concetto di “anima gemella” cui cede completamente, in quanto identifica John in essa, quest’ultimo viene energicamente messo di fronte, come in uno specchio spietato e veritiero, alla negatività del suo trascinarsi in quella che tu definisci giustamente “orrida normalità”. E lui ha perso la sua luce, offuscata dal nero di una rinuncia a quella che sarebbe la sua vera vita accanto a Sh. In questo capitolo continua il viaggio terribile e meraviglioso dentro il cuore e dentro la mente di due che non possono e non devono restare separati, tanto grande è ciò che li unisce. Brava.

Recensore Master
06/07/17, ore 16:37

Già mi piace il titolo che hai ideato per le due parti del decimo capitolo; ovviamente questa struttura rappresenta le facce di un unico grande dolore, quella di Sh soffocato e svuotato di energia vitale per essersi affidato, nel tentativo di supplire la sempre più straziante crisi “d’astinenza” riguardante John, al dominio della ragione ed all’oblio della droga e quella di Watson, che prova ad anestetizzare completamente la sua consapevolezza che, nonostante tutto, la sua vita senza Sh non ha alcun senso. In questa prima parte, hai saputo veramente comunicare il senso di profonda tristezza che ci pervade quando ci rendiamo conto a che punto sia arrivata la volontà di autodistruzione nel consulting: addirittura si riduce a rubare fiale di morfina in ospedale ed a comportarsi in modo spregevole con la povera Molly che viene travolta, erroneamente, dai sensi di colpa. Lui, che ha sempre viaggiato ad una velocità superiore rispetto alle debolezze degli altri, ora sembra strisciare nel buio, incapace di arrestare la sua folle corsa verso l’annientamento. Altrettanto penosa, anche se apparentemente senza angoscia, è l’agghiacciante e falsa normalità in cui si sta arenando il matrimonio di John (“…colazione insieme al mattino, un saluto, un sorriso…”) e trovo molto efficace la similitudine che hai ideato della recita teatrale che il medico si trova ad affrontare ogni mattina. Anche lui si sta muovendo sull’orlo dello stesso abisso che rende precaria sempre di più la vita di Sh, cioè quel baratro generato dal tentativo di cancellare qualcosa che, una volta rimosso dalla coscienza, trascinerà verso la rovina definitiva, la morte di ogni speranza: Holmes sta precipitando verso l’annientamento fisico, Watson verso l’annullamento dell’energia interiore, dei suoi desideri più intensi e potrebbe vedersi trasformato in un vuoto manichino, quello che Mary vede in lui. Un altro momento intenso che hai saputo costruire è quello in cui John, dall’autobus, vede Sh intento, molto probabilmente, ad un’indagine ed il suo cuore reagisce con una “fitta nostalgica” che gli provoca lo stesso, se non più intenso, dolore di quando l’ha rivisto dopo il finto suicidio. Ora, in lui, si sta facendo più aspro il rimorso per non aver saputo mettere a tacere il risentimento e la rabbia di fronte ad uno Sh tornato clamorosamente dal mondo dei (falsi) morti e per non aver voluto accogliere lui e la sua problematica ma affascinante umanità. Con la tua abilità nel portare avanti, in modo sincronico, lo svolgimento della trama, tenendo la nostra attenzione rivolta contemporaneamente su ciò che fanno e pensano i due protagonisti nel loro delirio, ci accompagni dentro i loro pensieri, le loro sofferenze. Particolarmente toccante è l’immagine di quello Sh che “…si arrotola la manica della camicia: le vene delle gambe sono troppo martoriate…”. Ci presenti, verso la fine del capitolo, la cara signora Hudson che cerca aiuto. Una figura, la sua, che hai saputo tratteggiare con tocchi quasi affettuosi di compartecipazione. Anche per quanto riguarda lei, dunque, ma soprattutto relativamente a Sh e John, questo pezzo si conferma scritto con la sensibilità di chi sa vedere dentro il cuore, anche nei suoi lati più nascosti.

Recensore Master
06/07/17, ore 16:33

Dal deserto che si stende attorno e dentro Sh, illuminato da una lucida e spietata razionalità, che tu hai descritto nel precedente capitolo, passiamo qui alla specie di bolla d'aria, banale e opaca, in cui si trascina il matrimonio di John. Egli si sente sempre più in un labirinto in cui il carattere di Mary, che lo domina, forse per timore di perderlo, ma per me è odiosa lo stesso, lo ha costretto. Questa situazione, destinata ad incrinarsi, trasmette un senso di angoscia e di soffocamento che tu hai condensato, in modo originale ed efficace, in quella specie di mantra che riecheggia nella testa di John (“…-Libri?- 
-Sì, libri.- 
Crick…”). La superficie della banalità della loro vita matrimoniale, in cui si è lasciato trascinare Watson, comincia ad incrinarsi ed i sorrisi che si scambiano hanno un sapore insipido di apparenza e di ipocrisia. Forse è l’alibi che John attendeva per cominciare a fare i conti con quel matrimonio che, ora, si sta rivelando nella dimensione di penoso tentativo di colmare il vuoto lasciato da Sh, il che è ovviamente impossibile. Questo capitolo è dominato da una profonda analisi introspettiva che ci permette di leggere e comprendere i pensieri di John, nel loro accavallarsi come nuvoloni minacciosi. Non è un pezzo semplice e rassicurante, rivela tutto l’impegno con cui è stato scritto per costruire uno sfondo psicologico credibile e realistico. Direi che ci sei riuscita in pieno. Il tuo stile qui si fa incalzante, senza troppi indugi al sentimentalismo: è una vera e propria cronaca, soprattutto interiore, di un fallimento annunciato, che rimette a nudo quello che, ora, sta ripresentandosi nella sua abbagliante chiarezza cioè il volto di Sh. John sta rendendosi conto, infatti, che, l’unica ragione valida per vivere una vita a due, non può essere quella che lo ha fatto sposare con Mary. Non si può impegnare una vita per una volontà nascosta di punire chi ha causato rabbia e delusione con un atto falso, se questa persona ha agito per amore. Anche perché è lo stesso sentimento che ha riempito di “…un'intera ragnatela di crepe…” la superficie ghiacciata di un matrimonio iniziato già morto. Sei stata proprio in gamba.

Recensore Master
30/06/17, ore 23:01

Il dolore per il tragico vuoto lasciato da John nella sua vita, unito alla scoperta che, addirittura, il medico l’ha allontanato da sé in modo inequivocabile, chiude Sh in una dimensione quasi asettica di completa dedizione al suo lavoro e di ricorso costante ai periodi d’oblio che gli causa la droga. Ora la sua vita è dominata completamente dalla razionalità che controlla, o almeno così lui crede, anche l’effetto che gli stupefacenti hanno sulla sua mente e sul suo fisico. Il consulting ha elaborato un dosaggio al sette per cento con cui, secondo i suoi calcoli e la sua esperienza, si ottiene un “bilanciamento perfetto” tra l’azzeramento completo della mente e un margine necessario di controllo sugli effetti. Con l’esposizione del suddetto ragionamento, che sembra quasi il programma di una quotidianità rasserenante nella sua metodica routine, traduci perfettamente l’agghiacciante percorso che Sh ha intrapreso da solo, mettendo a tacere il cuore e tutto ciò che potrebbe ancora farlo soffrire troppo. Ha trasformato i suoi organi pulsanti in ingranaggi meccanici, senza umanità, dunque, secondo lui, senza più sofferenza. Questo suo atteggiamento lo metti efficacemente in risalto sulla scena del crimine in cui è chiamato a collaborare. Il fatto stesso che il suo buonumore derivi dall’entità e dalle modalità barbare con cui è stata sterminata una famiglia, la dice lunga sul silenzio assordante dei sentimenti in cui la perdita di John lo ha gettato. Infatti, per esempio, quella che è per Greg e per chi è presente l’espressione di una normale e prevedibile partecipazione emotiva al terribile spettacolo di quei corpi senza vita, per Holmes altro non è che lasciare spazio a dei “patetici risvolti sentimentali”. Questo capitolo è senza speranza, aspro, colmo di amarezza e rispecchia l’aridità in cui Sh pensa di poter continuare ad andare avanti. Persino il tuo stile si fa più lapidario, senza troppi indugi all’introspezione, dal taglio coerente con la freddezza di Holmes senza il suo “conduttore di luce”. Scritto e pensato con ottimi risultati.

Recensore Master
29/06/17, ore 00:29

Già il titolo è curioso e l’ho capito solo riflettendo dopo la lettura. Sh, per cercare di sfuggire all’immenso dolore causato dal matrimonio di John e dalla consapevolezza di averlo perduto per sempre, ritorna tra le braccia della sua “vecchia amante” che è la droga. Questo capitolo è, forse, il più doloroso di tutta la storia (l’ho letta interamente in pochissimo tempo, tanto mi prendeva), e tutto il suo carico di angoscia, quella di John nella sorda consapevolezza di trovarsi al posto sbagliato con la persona sbagliata e quella di Sh, assordato dal silenzio e dal vuoto del 221b, lo esprimi in un modo veramente suggestivo, che ha il ritmo di un componimento poetico o di una composizione musicale. È quell’alternarsi simmetrico di immagini e voci della cerimonia nuziale che si sta svolgendo e dei gesti, agghiaccianti nella loro ritualità di morte, con cui Sh torna tra le braccia distruttive della droga. Magnifica e terribile allo stesso tempo, quella specie di ballata in cui voci alterne rievocano due comportamenti contemporanei e apparentemente diversi: John si sposa, Sh s’inietta una dose. Ma si tratta della stessa volontà di annullamento: entrambi cercano l’oblio, il consulting nel velenoso silenzio imposto dallo stupefacente, Watson nello stordimento di essersi abbandonato alla corrente. È l’errore in cui cade, pensando di scoprire Sh a spiarlo durante il banchetto nuziale, che gli farà vedere la verità livida di quello a cui si è ridotto (“…prova un senso di abbandono che lo lascia smarrito…”). Hai reso i due drammi in una visione sincrona che merita tutta la mia ammirazione perché è molto difficile ritrovare in una storia una tale identificazione tra stile e contenuto.

Recensore Master
28/06/17, ore 23:55

In questo capitolo metti in risalto, in modo efficace, l'atteggiamento passivo che caratterizza John nel suo avvicinarsi sempre più alla data delle nozze. Fai chiaramente emergere come Mary sia una persona determinata ma anche poco rispettosa di quello che è il normale atteggiamento di una coppia in procinto di sposarsi: mi colpisce sfavorevolmente l'invito, assolutamente sconveniente, di Penelope alla cena "di prova" nel ristorante prescelto. L'invitare una nota divorzista mi sembra proprio un mónito rivolto al futuro sposo e un'invadenza di dubbio gusto nei preparativi delle nozze. È significativa la reazione di John, con cui tu metti in evidenza la sua apatica condiscendenza, si potrebbe dire che "si lascia sposare". Ed il motivo ci è chiaro: il suo miracolo é veramente morto, ora che la menzogna si è rivelata e lui si sente escluso da tutto. Triste quel suo affermare, forse più a se stesso che a Mary, che lui e Sh erano solo due persone che condividevano l'affitto quando, nel suo cuore, la verità è un'altra. In contrasto con il suo atteggiamento passivo e taciturno, poni la cocciutaggine di Mary nel difendere la sua scelta anche di fronte alle perplessità, comunque accettabili, della lungimirante Penelope. Ma metti in luce progressivamente che, quella della futura sposa, non è proprio cattiveria ma ostinata e, a mio avviso, un po’ cieca, determinazione a non lasciarsi sfuggire un’occasione preziosa di accasarsi prima che, di anni senza un legame stabile, ne passino troppi. Per quanto riguarda John, una frase mi ha colpito per la sua inquietante lapidarietà :”… e la noia non mi spaventa…”. Lui lo sa perfettamente che è proprio vero il contrario ma la rabbia nei confronti di Sh è talmente devastante che è come se volesse seppellirlo veramente sotto una colata di risentimento espressa dal concetto opposto a quello che la vita con il consulting esprimeva: non noia, ma travolgente energia vitale ed un sentirsi in due, sempre, “contro il resto del mondo”. Quello che, ora con Mary, invece, è diventata una profonda solitudine e la sensazione di un vuoto incolmabile.
Il capitolo si chiude con la figura rassicurante di Greg che, con la sua malinconica e mite consapevolezza che John sta sbagliando e si sta facendo del male, e non solo a se stesso, purtroppo, è come se assorbisse tutta la negatività di quei pugni stretti con rabbia e indicasse a Watson la via, difficile ma miracolosamente vitale, del perdono e della comprensione. Comprensione verso chi, comunque, gli ha salvato la vita sacrificando la propria possibilità di essere felice.

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