Faccio una digressione e pongo una domanda: perché si scrive una storia?
Per certi versi per se stessi, perché si prende del tempo per sé e si fa qualcosa di creativo, che da soddisfazione, mentre il resto della famiglia si fa, per una volta, una forchettatina di fatti propri - che si sia adolescenti, che si sia adulti in casa dei genitori o adulti in casa propria, ad un certo punto l'esigenza di uno spazio personale c'è. Poi qualcuno va a correre, qualcuno va a camminare e gli parte l'embolo per i contapassi, altri rabboccano religiosamente la pasta madre, altri ancora scrivono. A ciascuno il suo.
Però l'attività sportiva, se non è di squadra, nasce in solitaria e, anche quando di squadra, non richiede per forza un pubblico. A cucinare ci si soddisfa da sé.
Scrivere, invece, è una operazione di presunzione e di condivisione.
Presunzione perché improvvisamente si ritiene che questa cosa che ci frulla per la testa interesserà per forza a qualcuno - chi l'ha detto? E' una presunzione dell'autore.
Così succede che uno scriva di due fidanzati che non riescono a sposarsi e pensa che un sacco di gente se ne occuperà e magari ne faranno pure un paio di sceneggiati televisivi, un altro decide che è rilevante parlare di caccia alla balena, specialmente se bianca - vuoi mettere? - ed un'altra dice no, io voglio raccontarvi tutte le chiacchiere pettegole di un vicinato dove il problema che affligge tutti e come sposare le proprie figlie!
E' una operazione di condivisione perché il lettore ci deve essere. Non è detto che sia il mondo, ci si accontenta di un fandom, e non è nemmeno detto che sia il fandom tutto, nemmeno che sia una porzione rilevante di tutte le recensore idealmente riunite a giuria che quel fandom lo hanno bazzicato dall'inizio all'hic et nunc.
Ogni storia ha un suo target, ammettiamolo, e l'importante è scrivere in modo che quel target apprezzi, perché alla fine si scrive per quello. Per se stessi, ma pure per condividere.
Il successo di una storia alla fine lo misuri in questo: l'abilità di condividere bene una storia con il proprio target di lettori, seguendo le regole del genere che ha scelto.
Se uno vuole scrivere una storia angosciosa ed introspettiva non può aspettarsi di piacere a chi vuole leggere una favola, ma questo non vuol dire che la storia sia "migliore" e sono gli altri che non capiscono, o "peggiore" perché non piace ad una fetta di lettori.
Se uno vuole scrivere un harmony e lo farcisce di espressioni inusuali e di un linguaggio arcaicheggiante e di citazioni colte... beh... deve sapere che la maggior parte dei lettori mollerà il colpo dopo pochi paragrafi, insoddisfatto. Poi una parte resterà, ma saranno quelli che non amano solo gli harmony ma pure le commistioni di genere e lo svuotamento delle regole, quelli, per intenderci, che leggono i gialli classici, ma poi apprezzano anche Sei Problemi per Don Isidro Parodi, o Il nome della rosa. Un target particolare anche questo.
In ogni caso una buona storia (per il giusto target) narra qualcosa che tiene desta l'attenzione per tutto il tempo che la storia si prende - una one shot può essere celebrativa, una racconto di 100 capitoli (per dire), no.
Condivide qualcosa della visione dell'autore, senza essere densamente moralistica / bacchettona / didascalica. Ma una visione ci deve essere, non può essere una sequela di scemenze senza senso una appresso all'altra.
E' coerente con le "regole del gioco" che ha dichiarato: se uno ha scelto un personaggio risoltissimo, allora non può avere insicurezze di un certo tipo, per dire, se non dopo un percorso che porti a farlo ripensare a tutte le cose fondamentali che da per scontate... se il personaggio è stronzo... beh resta tale, c'è da chiedersi chi lo ama perché mai lo faccia, ma certo non diventerà una timide violetta, ad un certo punto, perché ci piaceva una scena così nella nostra storia.
Se guardo le storie più popolari nel tempo - e la tua è una di queste - credo di ravvisare questi tratti in comune. Non ho idea di quanto fossero popolari durante la loro epoca . forse erano l'equivalente dei best seller, forse no, sarebbe carino se uno dovesse scrivere una tesi... diciamo che quando guardi le storie del tuo "presente" sei consapevole che tante cose concorrono alla loro ricezione: è condivisione, ma si condivide anche su altri piani e modi per cui la persona "popolare" può rendere "popolare" anche la sua storia, c'è un effetto valanga per cui ci si trova più rispettose nel recensire chi è già recensito parecchio, mentre si è più critiche verso chi non è recensito affatto... si creano cricche di autori e lettori per cui alcune storie vengono recensite a valanga, anche se non se lo meritano in modo oggettivo (ci si illude? si mente? si passa dal "recensire" al "dimostrare la propria amicizia" piuttosto che si gode del piacere di far parte di un gruppo? ah saperlo) .
E probabilmente si creano anche invidie, gelosie e ripicche - siamo esseri umani.
Ma se guardo le storie negli anni, direi che ciò che sopravvive all'autore, che passa ad altro e quindi diventa ignoto - non sai più se era adulto o ragazzino, maschio o femmina, cosa votava, che recensioni lasciava e a chi... resta solo la storia che ha scritto... le storie vecchie, dicevo, hanno questi elementi in comune, più un elemento da cui non si sfugge: non esiste oscar senza André e viceversa - prova a scrivere un capolavoro in cui André òa manda a quel paese e se ne va in Inghilterra con Girodelle dove aprono una tipografia ed una casa editrice e tu vedi quel che succede ;P il muro del silenzio ahahaha!
Ora tutto questo per dire che la condivisione qui sta funzionando bene: ti ringrazio perché hai saputo scrivere una storia fresca e leggera.
Non volevi scrivere una storia cupa e non l'hai fatto: hai saputo mantenere una mano leggera per tutti i capitoli (fino a questo), e, anche nei momenti più tristi non hai mai trascinato i tuoi personaggi verso la depressione e lo sconforto (attenzione: a me le storie cupe piacciono! ma mi piace la coerenza in ciò che leggo!).
La tua storia è molto gentile, a tutti stai dando un amore e un pochino di serenità, pure alla povera Diane, spero - non farmi rimangiare queste parole!
Alain che è sempre stato un sottoposto scomodo, che fa fatica a non giudicare chi lo comanda è diventato un re, così può dimostrare se davvero lui farebbe meglio degli altri.
André, relegato a zerbino, stavolta ha un suo riscatto: si ubriaca in una bettola e invece di un posto da soldato rimedia... un posto da soldato ;P Ma può fare carriera e mostrare quanto vale senza il fardello delle differenze di rango e senza Oscar a castrarlo.
Madame Marguerite è morta, ma solo con la sua morte potevi giustificare lo follia del Re - una madre vera si suppone che faccia di meglio che assecondare sempre il marito pure nelle cattiverie.
Il re ce lo siamo tolti dai piedi - ad un certo punto si cresce, non si è figli in eterno, ma il caso di Oscar... supera i trenta ed il padre è là che decide che è ora di cambiarle la vita, non farla pià lavorare e farla sposare a chi dice lui... meglio una morte serena, con riconciliazione finale: i ricordi rendono tutti più dolce e finalmente si assapora un po' di libertà.
Pure a Rosalie dai il diritto di dire la sua: noi la bistrattiamo, la ikeda la bistratta, ma alla fine ha avuto una vita molto difficile, voleva pure far fuori qualcuno, direi che non è una fanciullina scema che sa solo piangere...
Bernard come capocameriere di lusso va bene, che fa meno danni.
Solo Girodelle... ma, si sa, un cattivo ci vuole e qualcuno lo doveva pur fare.
La tua storia non è introspettiva - lo è il giusto, sia chiaro, ma non è basata sullo scavare delle emozioni dei personaggi.
Il linguaggio che hai scelto è semplice e va bene così. Non ho detto da troglodita, ho detto semplice. E funziona con questa narrazione che sa un po' di favola.
I dialoghi non sono da slapstick comedy, ma non era questo l'effetto che volevi avere e non sono nemmeno un inseme di stronzate senza sugo, come capita certe volte di leggere restando basiti.
Non cercavi un contrasto con battute al vetriolo e personaggi sarcastici: brave persone che parlano come le brave persone tranquille.
Non hai dato la stura alla mania descrittiva che a volte ci prende - te ne ringrazio: descrizioni giuste e cioè poche e dove servivano. Non sappiamo nulla della pianta del castello, di quanti piani, della finestre e di come sono decorate le camere e che tipo di vestito indossa Rosalie e sai che c'è? Non ce ne importa nulla ;P A noi interessava il procedere della storia.
Hai scelto un setting "altro" - è una favola medievaleggiante per cui chi se ne frega di come era il vestito, e se era filologicamente corretto e se era possibile per André diventare Generale... non ci interessa!
Poi si, ci sono storie che fanno queste analisi, è un piacere se lo fanno, ma non è su questo che si basa una storia. Alcune sono una palla ed un affastellamento di dettagli inutili, carini per un librino di curiosità sull'epoca e nulla più. Supponenti, insomma.
Di tutti i capitoli quello che secondo me riceve più hit è la scena d'amore di André con Oscar, quando lei, al dunque, invoca Fersen: sei stata abile, hai stuzzicato la lettrice guardona che è in noi con un buon rosso e poi hai dato la mazzata.
Il cuore della storia, il motore, sta lì: non in Oscar maschio o femmina - qui non gliene frega nulla, lo strappo si basa su altro, e nemmeno su Oscar traditrice della propria classe sociale - fa la Regina, è oltre una classe sociale, il motore è "Oscar ama Fersen" e la fine presumo arriverà quando per André verrà corretta questa affermazione e diventerà "oscar ha smesso di amare fersen" |