Ciao!
Non so davvero come iniziare questa recensione, forse partendo da delle scuse. E da una giustificazione, per quanto inutile e davvero banale, ma sincera fino al midollo: avevo dimenticato di leggere questa storia.
Per ragioni personali, ho abbandonato per un po' di tempo efp, il forum e il mondo dei contest in generale, e non avevo più pensato alla promessa che ti avevo fatto. Soltanto qualche mese fa, quando ho indetto il primo contest dopo "La magia delle parole", riguardando l'email ho ritrovato la tua storia e ho ricordato.
È passato più di un anno, e probabilmente avrai dimenticato me e il mio contest, e ancora più probabile non te ne fregherà nulla di questa recensione (non so neanche se la leggerai, la tua ultima storia pubblicata risale a due anni fa), ma io per mia natura - anche con un mostruoso e vergognoso ritardo - devo mantenere la promessa che ti avevo fatto.
Cercherò, seppure in una semplice recensione senza punteggio, di trattare tutti i punti fondamentali della valutazione che avresti dovuto ricevere se avessi partecipato al contest.
Allora, grammatica.
Ho trovato soltanto semplici refusi, piccoli errori che possono sfuggire durante la revisione della propria storia. Te li riporto di seguito:
compresivi -> comprensivi
un’innocenza sollevata -> Questo non è un errore, ma ho trovato quest'espressione un po' contorta. Credo sarebbe più corretto invertire sostantivo e aggettivo, nel senso "sollievo innocente".
per quando intensamente avesse bramato udirle -> per quanto
di una spiaggia Greca -> "greca" dovrebbe andare in minuscolo
Riguardo allo stile.
È uno stile semplice nel suo insieme ma ricercato nella formulazioni di alcuni passaggi e nella ricercatezza di alcuni termini (che personalmente non mi dispiacciono), con periodi piuttosto lunghi, e un uso abbondante degli aggettivi. Ci sono alcune espressioni, come quella segnalata sopra (innocenza sollevata) che rendono meno fluidi alcuni passaggi, ma nel complesso trovo che tu abbia cercato di “alzare” un po’ l’asticella della forma per avvicinarti maggiormente al contest e alla tematica. Trovo anche che una commistione di termini più “ricercati” si adatti al tipo di dialogo che viene messo in scena: tra un personaggio nobile e la sua creatrice (la scrittrice). Trovo quindi che lo stile, in una qualche misura, rispecchi da una parte la semplicità della realtà – una notte come tante altre, in una stanza da letto come tante altre, ma dall’altra la stravaganza del momento – l’incontro tra la scrittrice e il suo personaggio. L’elaborazione di alcuni passaggi tende a rendere l’offuscamento della notte, di questo evento a metà tra la realtà e il sogno. Nel complesso, per una questione di comprensione, però, io consiglio di rivedere alcune combinazioni. Soprattutto per quanto riguarda l’uso abbondante di aggettivi, in alcuni paragrafi vi è la sensazione che siano davvero troppi, che tendano ad “abbellire”, ma soprattutto a dare troppe informazioni, quando invece io avrei preferito qualcosa di più snello, più limitato.
In generale, rivedrei la punteggiatura e le pause, di conseguenza.
Avrei utilizzato meno il punto-virgola per dare pause più forti ed esaltare così alcuni passaggi come, per esempio:
Al dolore sommesso e dilaniante di quelle parole, invece, mi era impossibile rendermi sorda: perché quelle parole erano mie, erano quelle che avevo scelto di non usare per descrivere la sua morte, preferendo loro la drammaticità del fatto compiuto; le parole erano mie, ma la sofferenza era la sua e in quella pena straziante espressa con pacatezza rassegnata mi parvero acquisire una forza nuova, una verità che io non ero riuscita a dare loro. -> Al dolore sommesso e dilaniante di quelle parole, invece, mi era impossibile rendermi sorda: (ci sono i due punti, si dà per scontato che quel che segue sia una spiegazione, quindi la frase acquista più impatto diretto senza il “perché”) quelle parole erano mie, erano quelle che avevo scelto di non usare per descrivere la sua morte, preferendo loro la drammaticità del fatto compiuto. Le parole erano mie, ma la sofferenza era la sua; e in quella pena straziante espressa con pacatezza rassegnata mi parvero acquisire una forza nuova, una verità che io non ero riuscita a dare loro.
Anche il modo in cui continua il paragrafo:
Visti da vicino, la sua morte e il suo dolore mi sembrarono meno romantici e lirici, più crudeli e ingiustificabili; mi parve gridassero vendetta al cospetto di Dio e fu terribile realizzare che non l’avrebbero mai avuta, perché era Dio, perché ero io, ad essere colpevole. -> Qui credo che tu abbia più frecce nel tuo arco. Potresti limitarti a mettere una virgola prima di “e fu”, per evidenziare il cambio soggetto. Ma io andrei su qualcosa di più forte, mettendo un punto deciso o proprio prima di “e fu” o addirittura metterei una virgola lì e un punto prima di “perché”.
Poi ci sarebbe delle intonazioni da correggere. Per esempio:
Lo sapevo, ovviamente, perché non chiederemmo tutti la stessa cosa al cospetto di Dio? -> Io scriverei “Lo sapevo, ovviamente. Perché, non chiederemmo tutti la stessa cosa al cospetto di Dio?”
Essendo prima persona narrante, secondo me, spezzare la continuità del “parlato”, rendere la voce con pause più forti, interruzioni, e altri espedienti simili la renderebbe più emotiva, più vera. Detto questo, però, trovo che la prima persona sia perfetta per questo tipo di storia, una storia che sembra quasi autobiografica e in cui a me sembra essere stato messo in atto un gioco di comparazione trasversale. Ciò che intendo è che si ha questo continuo scambio di posto tra dio-narratore/scrittore-personaggio. E tutta la vicenda di Sorot sembra in qualche modo riflettere lo spaccato di vita della protagonista attraverso le domande e le accuse del suo stesso personaggio. Il bello di questa storia, ed è ciò che me ne ha fatto innamorare, sono le diverse chiavi di lettura in cui si può leggere. Forse è tutto nella mia mente, ma io ho letto una storia in cui si afferma che “chi scrive mette sempre, volente o nolente, qualcosa di suo nella trama e nei personaggi”, che “si scrive solo di ciò che si conosce” e che “la scrittura è catartica, e non sempre e non subito ce ne rendiamo conto”. La protagonista/voce narrante/scrittrice comprende questo attraverso questo incontro: Sorot, secondo me, rappresenta lei più di quanto possa fare Galoth, che nonostante ciò è il suo preferito. La rappresenta in quel momento, perché la costringe a prendere il posto di quello stesso Dio a cui forse lei imputa alcuni avvenimenti della sua vita (e chi non lo fa, aggiungerei). Il modo in cui tratti la tematica del divino è elegante, originale e profonda. Questa storia è sicuramente piena di riflessione, e il dialogo tra i due – mortale e divino, personaggio e scrittrice – non è semplicemente che il contenitore, la cornice, il guscio. È una storia con messaggi meta-testuali molto forti e ben trattati, soprattutto. Hai fatto, da questo punto di vista, un ottimo lavoro.
Passando ai dialoghi, che sono i veri protagonisti insieme all’introspezione della protagonista – che grazie alla prima persona diventa una vera e propria lettura immersiva e totale (ecco perché trovo che la prima persona sia perfetta per le tematiche, ti permette di renderle con un occhio soggettivo, personale, e soprattutto ti consente di trattarle da vicino pur mantenendo un certo grado di delicato distacco, filtrando un messaggio molto potente; inoltre ti ha permesso di filtrare anche descrizioni e narrazione, in modo da inserirle nel contesto senza renderle protagonista, ma commentandole, impregnandole di interiorizzazione. Questo ti ha aiutato a rendere al lettore un aspetto visivo senza per questo spezzare l’atmosfera creata) – trovo che questa storia sarebbe stata perfetta per il contest, perché è proprio attraverso la parola che ogni cosa si svolge, ed era proprio la parola (non del narratore, ma del personaggio) che volevo che il tema del contest venisse sviluppato. I dialoghi sono ben resi, caratterizzanti dei personaggi (mi piace il modo in cui hai reso il parlare di Sorot posato, pacato, in contrapposizione con le frasi meno altisonanti ma più lunghe e incerte della protagonista), esprimono davvero bene le loro sensazioni ed emozioni, il loro diverso modo di parlare, e sono loro a portare avanti la tematica, a innescare l’evoluzione dei due personaggi. Attraverso il confronto, questo dibattito, vengono a galla i vari particolari e la presa di consapevolezza di entrambi. Mi piace che la “crescita” passi attraverso la comunicazione, anche questo è un altro messaggio bello e significativo.
Trama e personaggi
Bellissimo il paragone tra Dio e lo scrittore, nonostante la metafora gioca molto su questi due ruoli, a me ha dato molto su cui pensare, proprio a livello metafisico. Non si tratta della religione in cui credi, ma più semplicemente sull'identità, qualunque essa sia (se ci sia) in cui ognuno di noi crede, e più esattamente si tratta di interrogarsi sulla sua natura. Benevola? Maligna? Incurante? Incapace? Più debole di quanto pensiamo in realtà? Troppo grande per notarci? Semplice osservatore? E' un argomento che mi affascina tantissimo.
So che non c'entra niente, ma una volta in un libro ho letto (era un fantasy e il discorso è più lungo e complesso di così) che dio in realtà doveva essere donna, e che come tutte le madri che mettono al mondo i propri figli poteva soltanto guardarci muovere i nostri passi, piangere con noi i nostri fallimenti e dolori, senza la forza di intervenire, tutto il suo potere immenso speso per darci vita.
Altra cosa che mi ha colpito è il discorso sui personaggi, e cu ciò che attrae, che ci coinvolge maggiormente. Il discorso tra pathos e dolore, ma soprattutto l’umanità (inumanità) dei personaggi. Ho letteralmente adorato il modo in cui hai parlato del dramma che chi scrive fa vivere, ed è vero, io ho ritrovato me nelle tue parole: più un personaggio lo si ama, più lo si fa soffrire. Così come mi è piaciuto il passaggio in cui le parole della descrizione di Sorot, pronunciate da lui, si spogliavano di tutta l’epicità restando crude, brutali. Ed ecco che il paragone con un dio che scrive una bella storia (la nostra storia) cercando di renderla memorabile, e quindi dolorosamente epica, mi ha conquistato.
Altrettanto significativo e crudelmente vero è il discorso sulla bontà. È una di quelle verità scomode ma che vengono attuate dalla mentalità di tutti i giorni. Chi è buono viene scambiato molto spesso per un cretino, un fessacchiotto. Mentre ci vuole davvero tanta forza per restare buoni in mezzo a tanta derisione e dolore. Mi par di capire che in questo Sorot ci sia riuscito, perché anche davanti al suo dio, nel momento più amaro dove il suo pagamento per tutta la bontà mostrata è stata la morte, la sua bontà non è fatta a pezzi dallo sconcerto, dalla rabbia, dal senso di ingiustizia. Ma solo profonda amarezza, forse a tratti delusione. Ma in fine dei conti, con questo atteggiamento, Sorot dimostra di essere forte. Forse dio l’ha deluso, ma non è riuscito a cambiare la sua natura. E restare fedeli a se stessi è una grandissima vittoria, al di là dei meriti che vengono riconosciuti.
Ottima cura nella caratterizzazione del personaggio, sia di Sorot, ma anche in realtà della protagonista/voce narrante, la quale ha reazioni più che comprensibili, anche se ammiro la sua "pacatezza" (al suo posto avrei serrato gli occhi, sudato freddo e non avrei mosso più un muscolo fino all'indomani, con la luce del giorno... sì, sono un cuor di leone). L'idea che sia Sorot a prendersi cura del suo Dio, poi, riesce a donare umanità a qualcosa che nella concezione generale è onnipotente e, quindi, perfetto, che non conosce fastidio o sofferenza. Mentre il Dio di Sorot è ignorante, fragile, spaventato e anche bisognoso di aiuto.
E infine, la parte che ho preferito:
- «Non dovresti amarci tutti allo stesso modo?»
Avrei voluto saperlo, ma non potevo rispondere per Dio, così cercai di rispondere per me stessa, sopportando l’inquietante consapevolezza che per Sorot non vi fosse alcuna differenza. → La risposta che dà la protagonista è forte, spietata, ma non per questo meno profonda. Una tragica armonia. Serve il complementare dell’opposto per esaltare l’amore, la bellezza. Ancora una volta, contrasto. Equilibrio.
E ancora:
- «Perché dici “in una storia”?»
Non era l’interrogativo che mi aspettavo e la sua risposta era surreale quanto la situazione in cui mi trovavo, tuttavia non mi tirai indietro.
«Perché per me non era altro che una storia. Non ho mai inteso creare un mondo, se non come un grande racconto e non nel senso comune per cui Dio crea tramite la propria parola: ho parlato di te, ne ho scritto e attraverso la mia narrazione altri ti hanno conosciuto, ma non ho mai pensato che un giorno ti avrei incontrato, che saresti stato vero, vicino.» → Anche questa è una cocente verità. Ed è trasversale, perché fa riflettere a diversi livelli. Se la gente venisse a tu per tu con le conseguenze delle sue azioni, le più banali, forse agirebbe con mi assennatezza. Mi fa pensare a quanta influenza può avere un nostro ingenuo gesto, o un commento banale sulla vita di chi ci sta attorno.
Tornando un momento veloce ai personaggi, posso dirti che ho amato (e anche il modo in cui lo hai fatto, la trama è scorrevole proprio perché passa attraverso questo dialogo introspettivo) persino Galoth, perché lo hai presentato attraverso le cicatrici che lo hanno segnato, perché pur capendo che era l’antagonista di Sorot non era il “cattivo perché cattivo”, aveva un motivo, una ragione, anche lui era stato ucciso, ma più lentamente di Sorot. E adesso ti sorprenderò, ma amo di più Sorot. Nonostante di solito amo i cattivi, nonostante il fascino delle persone carismatiche, credo che Sorot, nel suo incontro con dio, si sia riscattato, perché ha mostrato davvero che tipo di forza c’è dietro alla bontà. E io non posso fare a meno che ammirarlo. Con la sua posatezza, eleganza e amarezza anche ha ferito, non solo la sua creatrice ma anche me lettore. Anche lui sembra non avere scelta, in un certo senso, come Galoth è condannato dal suo buon cuore a mostrarsi sempre gentile e controllato (penso al modo in cui si è preso cura della protagonista quando ha avuto un brivido). È ed è una condanna diversa, meno oscura, ma non per questo non meno dannata.
Posso dire che questa storia non poteva avere finale migliore? Sembra quasi che baciandolo, accettandolo e trovando dio la pace, abbia inglobato il personaggio, lo abbia fatto passare oltre, come se l’incontro con dio fosse avvenuto sulla soglia di un “altro luogo”. In un certo senso, Sorot rappresentava, secondo me, il lato fragile della protagonista stessa. Una fragilità ma soprattutto un’amarezza che lei nascondeva sotto cumuli di odio ma che, grazie a quell’incontro, ha finalmente accettato e imparato ad amare, perché ha capito che doveva perdonare quel lato di sé, doveva riconoscerli la sua importanza, la sua forza. Alla fine, questo dialogo ha aiutato entrambi.
Inutile aggiungerlo a questo punto, ma la storia avrebbe rispettato appieno la categoria per la quale doveva concorrere, anche se forse avresti perso qualcosina per il fatto che la morte del personaggio era avvenuta prima dell’inizio della storia, e che in realtà è vero che dà il motore a questo incontro, ma è anche vero che ne determina inizio e fine, non stravolge la trama.
Complimenti per la storia, l’ho aggiunta alle ricordate. Grazie per avermela proposta, grazie anche per averla scritta. E scusami, se puoi.
A presto! |