Il Signore delle Mosche è uno dei miei libri preferiti (uno dei testi più interessanti letti durante l'adolescenza) per il suo valore distopico e per il suo mostrare come in realtà sia illusorio pensare che la civiltà sia un proesso irreversibile e come fossero in errore quei pensatori che pensano che lo "stato di natura" sia sinonimo di felicità e di purezza, poi contaminata dal passaggio allo "stato civile".
Insomma, tutta questa introduzione (non so quanto necesssaria) per dire che sono molto lieto di aver trovato un racconto ispirato a quel libro.
Il personaggio in questione mi ha sempre fatto tenerezza, forse per la sua debolezza fisica ripone fiducia sconfinata nelle istituzioni democratica che la comunità di piccoli naufraghi si dà, ma poi con l'involuzione che colpisce i suoi componenti si ritrova nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Ho parlato di "stato di natura", ebbene la natura (madre o matrigna che sia) ha una sola risposta per chi è in difficoltà, ed è qualcosa che suona più o meno come "Crepa", che è appunto la fine che fa il povero tapino, volendo fare un discorso paradarwiniano, aveva scarse possibilità di sopravvivenza.