Dal momento che ho già adempito ai miei doveri di lettrice analitica e oculata (?), posso sfruttare questa recensione per dar libero sfogo all’ondata di fangirlismo che mi ha travolta durante la lettura (o meglio, la rilettura) di questa storia, che rappresenta senza dubbio uno dei fiori all’occhiello della tua produzione. Quel che avevo da dire di serio l’ho già detto (non particolarmente bene, ma almeno ci ho provato), pertanto attenditi un commento molto sconclusionato e molto poco degno.
L’ambientazione è magnifica e, malgrado l’abbia già lodata nella segnalazione, non posso non farvi cenno anche qui. Ho letteralmente respirato la distruzione e la desolazione del post battaglia ed ho camminato nelle strade deserte e diroccate di New York. Mi son sentita immersa nello scenario raccontato e questo dimostra la bravura con cui hai saputo tratteggiarlo. La cosa più bella è che è avvenuta la stessa identica cosa con le emozioni dei protagonisti e, se è difficile dipingere l’ambientazione, rappresentare l’anima e il vissuto interiore dei protagonisti diventa addirittura proibitivo, e l’abilità con cui tu sei riuscita a farlo è invidiabile (sì, sono invidiosa di questa storia, è una di quelle che avrei voluto scrivere io). Ti sono grata per il modo in cui mi hai fatto vivere i personaggi (anzi, le persone che si nascondono dietro di essi) e mi hai resa partecipe dei loro pensieri, dei loro timori, dei loro sentimenti. È impressionante il modo in cui hai sfruttato il linguaggio del corpo (“C’era qualcosa di assolutamente tragico e struggente nel modo in cui contorceva i muscoli della faccia, qualcosa di innaturale nella maniera con la quale stringeva le labbra pallide e sottili, qualcosa di spaventoso nel chiarore della pelle delle braccia, rizzate per lo spavento, qualcosa di troppo afflitto nella postura rigida della schiena e nella stretta compulsiva della mano attorno all’impugnatura dell’arco, qualcosa di esageratamente desolante nelle iridi splendenti”. Questo è uno dei passi che ho preferito in assoluto) e la mimica facciale (“Si voltarono simultaneamente a fissare la Romanoff e quando videro i suoi occhi vitrei e, per la prima volta, espressivi – di sorpresa, sgomento, incredulità pura – ne seguirono la direzione fino a scorgere la fonte di quello sbigottimento”) per raccontare quello che è celato, quello che c’è dentro (e che viene portato alla luce dalle tua parole). Hai scavato nell’anima dei personaggi e l’hai fatto con tutti i mezzi a tua disposizione. Il risultato, a mio avviso, è sensazionale.
L’aspetto che mi ha fatto fangirlizzare in maniera indecente innamorare di questa storia è senza dubbio la gestione, MAESTOSA, dei rapporti di coppia (e fu così che partì un “AW” sonoro e ridondante). In questa storia c’è, a mio avviso, il più bel Pepperony che tu abbia mai scritto. La naturalezza con cui hai raccontato il legame di Tony e Pepper è straordinaria. M’è parso di vederli camminare l’uno accanto all’altra (anzi, m’è parso di camminare al loro fianco!), mano nella mano tra le macerie, e di vedere la serenità dipinta sui loro volti (la serenità di chi non desidererebbe essere da nessun altra parte e con nessun altra persona al mondo). Li ho trovati incredibilmente loro, nel modo di completarsi, di comprendersi, di darsi forza, di battibeccare (“Non sapevo fossi così bravo a preparare frappè”; “Dimmi cosa non so fare, tesoro”; “Abbassa la cresta, caro”; “Amore, non essere violenta”. Ecco, queste battute le ho sentite con le mie orecchie, posso assicurartelo!).
La caratterizzazione di Natasha rasenta la perfezione (in realtà non riesco a trovarle difetti, quindi potrei anche dire che, la perfezione, la centra in pieno). Sono ammirata per l’equilibrio con cui hai saputo tratteggiarla (e che io, quando si tratta di lei, proprio non riesco a trovare): è lei in tutto e per tutto e non soltanto nell’interazione con Bruce, ma in quella con tutti i Vendicatori. È vicina e lontana contemporaneamente, distaccata e partecipe nello stesso tempo. È estremamente difficile raccontare la sensibilità di Natasha ed il suo modo di vivere le cose; ebbene, per quanto possa contare il parere di un’autrice che non ne è assolutamente capace, trovo che tu, nella circostanza, l’abbia fatto benissimo. E poi BRUTASHA (no no Gabriella, trattieniti, je la stavi facendo a fa ‘na discreta figura, non rovinare tutto…) *scuoricina* *awwweggia* *muore male* Ma COME SI FA A NON SHIPPARLI? *piange* sapevo che questa recensione sarebbe finita male . Quando mi imbatto in autrici che offrono una versione così bella di questa coppia (che ha, a mio avviso, un potenziale smisurato) non riesco a fare a meno di domandarmi perché sia così bistrattata. Forse proprio perché le autrici che la raccontano (e che sanno farlo) si contano sulle dita di una mano. Il “vedo non vedo” del loro dialogo è impagabile. È bellissimo il modo in cui la loro sintonia si cela dietro le parole e quello, filtrato ma efficacissimo, in cui traspare (mi son spiegata come troglodita, me ne rendo conto. Quel che intendo dire è che sono credibilissimi e splendidamente caratterizzati e che amoli, ecco).
Poi ecco aspetta, mi sto ancora riprendendo, dammi solo un altro minuto . Quando, nella segnalazione, ho parlato di “interazioni (verbali e gestuali) di grandissimo valore emotivo” mi riferivo alla scena di Phil e Clint (che, secondo me, meritava d’esser riportata integralmente, ma c’erano altissime probabilità che ad Erika venisse una sincope davanti alla lunghezza della recensione e allora ho evitato, ma credimi, l’ho fatto a fatica): potrei tranquillamente decantarla, per tutte le volte che l’ho riletta. Per me quella scena ha valore paradigmatico (non soltanto la amo, ma sono convinta di poter imparare molto, come autrice, dal modo in cui è costruita), perché racconta TUTTO di un rapporto con un singolo gesto (“Rimase in silenzio a sua volta per parecchi minuti e alla fine allungò un braccio e gli afferrò la mano. Barton trasalì di nuovo, stavolta con molta più forza, e Phil strinse la mano, felice di ritrovarla com’era, calda, confortevole, densa di calli e il Falco rispose e senza volerlo vi si aggrappò disperatamente” […] Come poteva, dopo quell’ultimo litigio, quelle urla, quelle promesse disperate, adesso afferrare quella mano, aggrapparvisi come se ne dipendesse la vita?”). È l’apoteosi della sintesi e della comunicatività (di tutto ciò che non posseggo, insomma). E poi è densissima, sia nella parte narrativa che in quella dialogica, ed è visiva da morire (e a trecentosessanta gradi: si vede con gli occhi e con il cuore), è proprio il ritratto di due persone che sono insieme, nel modo più autentico e viscerale del termine. In realtà è anche più di tutto questo, ma non sono molto brava a sciorinare quello che sento davanti ad immagini come queste (il commento più eloquente sarebbe il silenzio che segue al “che ne pensi?” al telefono, ma dal momento che i silenzi non possono essere inseriti nelle recensioni devi accontentarti di questo sproloquio).
Non può assolutamente mancare la nota di merito per Thor, che ho amato in maniera profonda. L’ho amato perché, questa volta, non hai soltanto sfruttato il potenziale comico insito nella sua figura, ma l’hai anche nobilitato, attribuendogli riflessioni (e sentimenti) di una bellezza e di uno spessore regali. Principe non soltanto di nome, ma anche di fatto (principe bambino[ne], ma pur sempre principe).
Concludo qui semplicemente perché non voglio rubarti altro tempo con il mio vaneggiare, ma potrei andare avanti a vita con le lodi. Questo è senza dubbio uno dei tuoi lavori più riusciti e, dal momento che racconta legami e personaggi esattamente come li vedo io, non l’ho solo apprezzato (cosa che, per il suo valore, può fare tranquillamente anche chi non condivida le tue vedute), ma ho l’ho vissuto, con grandissima partecipazione ed emozione ancor maggiore.
Grazie DI CUORE. (Recensione modificata il 29/08/2013 - 12:32 pm) |