GIUDIZIO PER AVER PARTECIPATO AL «SUMMER CONTEST PER STORIE EDITE»
«I'M MY FATHER'S SON» DI GIUNS (CHARA)
“Posso sentire il tuo sangue scorrere nelle mie vene, perché le menzogne, le truffe, il furto… sono passati attraverso di me. A me, da te.”
Avevo quattordici anni quando trovai quel biglietto, sentii qualcosa dentro di me andare in pezzi perché finalmente trovai l’evidenza che ricercavo da sempre, come il riflesso del lampadario.
- Sviluppo della trama e dei personaggi
Ci sarebbero molte cose da dire su questa storia, tante cose su cui soffermarsi a rimuginare e su cui fare ipotesi su ipotesi, ma tali parole sarebbero superflue, poiché in un appena un paio di pagine spieghi quanto c'è da spiegare senza creare lacune e senza strafare, facendo sì che il mondo che hai immaginato e che si affaccia su un lontano 1928 appaia nella sua terrificante bellezza e sofferenza dinanzi agli occhi di chi si ritrova, anche solo per caso, a leggere.
La caratterizzazione dei personaggi principali mi piace. Vediamo due fratelli che si spalleggiano a vicenda come possono dopo aver visto la propria madre ridursi in quello stato per la morte dell'uomo che amava, e a poco a poco cresce in entrambi la consapevolezza di ciò che quell'uomo ha fatto e di come ciò abbia ridotto alla fine la loro famiglia, privandoli del nucleo famigliare che avrebbero dovuto avere come ogni bambino normale; il nostro protagonista si ritrova dinanzi ad una realtà in cui la madre è solo l'ombra di se stessa ed è dunque la sorella a doversi prendere cura di tutto, abbandonando la scuola per fare lei la parte del genitore anche per il fratello minore. Una realtà che a volte, purtroppo, è presente tuttora, e che dunque è una quotidianità che sembra ripetersi durante il corso degli anni, accrescendo un deteminato senso civico che, per fortuna o per l'aver semplicemente capito che tutti quegli errori non hanno portato altro che guai, li spinge su una via che non segue le orme del padre e della madre.
Sull'originalità mi pronuncio poco, forse perché qualcosa sul proibizionismo l'ho comunque letta un bel po' di tempo fa, ma a modo suo la storia ha quella marcia che cerca di insinuarsi nell'animo del lettore e che ci da una chiara visione di come al principio tutto ciò venga visto con gli occhi innocenti di un bambino che si vede crollare pezzo dopo pezzo il mondo addosso, con una chiara nota di tristezza che comincia a diramarsi paragrafo dopo paragrafo come un albero dalle radici troppo lunghe, un albero che sembra non volersi fermare mai e voler continuare fino alla fine il proprio percorso.
Non si tratta comunque del solito racconto banale che vuole apparire angst ad ogni costo, spesso peccando di presunzione, ma di qualcosa che comincia a farsi spazio a poco a poco, prendendo forma attraverso i pensieri di un bambino di cinque anni che si vede morire il padre e che durante il corso della propria esistenza inizia a capire che cosa significhino quei sussurri, quelle occhiate e l'aria contenta che vedeva sui volti delle persone presenti al funerale del suo genitore. Deve passare altrettanto tempo per lasciare che lo comprenda appieno ma, quando lo fa, ecco che la consapevolezza gli attanaglia le viscere, dando vita ad una sorta di eventi che alla fine lo portano persino su un campo di battaglia, dove anche la morte sembra non desiderarlo e lasciare che continui ad espiare colpe di cui non si è mai macchiato; una punizione infinita contro cui lui non può combatere, a differenza dei nemici contro cui si è scontrato per ben quattro anni prima di arrivare ad una decadente Parigi.
Proprio lì, forse per uno scherzo del destino, forse perché il fato sembra finalmente sorridergli, incontra in un mercatinodelle pulci una bambina che potrebbe anche essere la figlia della sua scomparsa sorella, e la speranza finale di poterla finalmente rivedere e adempiere alla promessa fatta tempo addietro, prima di quella lunga partenza, lascia quasi senza fiato.
- Sintassi, stile & grammatica
Stile piacevole, descrittivo quanto basta per una storia di questo tipo e pregno di emozioni, atto a far incuriosire a poco a poco il lettore e a fargli venir voglia di sapere come la cosa continuerà. Mi sembra un po' superfluo aggiungere questo passaggio, ma devo ammettere che, in quanto errori o distrazioni, la tua storia è quella che ha avuto meno lacune se non da un semplice punto di vista di punteggiatura; non era sbagliata ma, in alcuni punti, sarebbe stato meglio inserire altri segni di interpunzione per rendere il tutto più fluido e meno pesante. Te ne riporto giusto un paio di esempi:
❒ cose poterono fare, che segnarono me – anche se ero troppo piccolo per esserne già consapevole – in modo tale da farmi invocare la morte più volte, in futuro, → Giacché la frase è lunga e ci sono molte virgole, la riscriverei così: “cose poterono fare; che segnarono me [...]”
❒ quel corpo freddo, che nemmeno → “quel corpo freddo che nemmeno”
❒ quella lettera, portando → “quella lettera e portando”
❒ Uno dei miei rimpianti più grandi è di non averle mai chiesto se il mio affetto fosse sufficiente a colmare le delusioni che le infliggevo con il mio semplice comportamento da ragazzino disadattato. → Rivedrei questa frase, poiché la mancanza di punteggiatura lascia un effetto apnea
❒ cattivo gusto, che gli appostamenti → “cattivo gusto; che gli appostamenti”
❒ Ero avido di conoscenza, volevo → “Ero avido di conoscenza: volevo”
❒ Avevo quattordici anni quando trovai quel biglietto, sentii qualcosa dentro di me andare in pezzi perché finalmente trovai l’evidenza che ricercavo da sempre, → “Avevo quattordici anni quando trovai quel biglietto. Sentii qualcosa dentro di me andare in pezzi perché finalmente trovai l’evidenza che ricercavo da sempre,”
❒ perché non eravamo più ricchi.
Ma → Puoi tranquillamente salire di una riga, poiché è sconsigliato cominciare con una negazione
❒ Ho quest’immagine vivida di Beck che si tiene il ventre con la mano, non mi confessò → “Ho quest’immagine vivida di Beck che si tiene il ventre con la mano. Non mi confessò”
❒ Decisi di arruolarmi nell’esercito, volevo → “Decisi di arruolarmi nell’esercito. Volevo ”
❒ era quello che speravo.
Ma quando guardai → Come sopra. Puoi far salire la frase di una riga
❒ degli accampamenti, delle vere pulci nei nostri giacigli di fortuna e non trovo → “degli accampamenti, delle vere pulci nei nostri giacigli di fortuna, e non trovo”
- Parere personale
Direi che ho amato questa storia sarebbe riduttivo. Non sono esattamente una fan delle storie introspettive - molto spesso mi annoiano, non riescono a dare un buon ritmo calzante al racconto, non hanno quella marcia in più che potrebbe intrigarmi e finiscono per farmi scocciare più di quanto io stessa voglia -, ma questa aveva qualcosa di profondo ed è riuscita a farsi amare, è riuscita a scavare a poco a poco dentro al mio animo e, proprio come la frase che ricorrente si affaccia nei pensieri del protagonista, è passata attraverso di me e ha fatto sì che trovassi diversi spunti interessanti su cui poter posare occhio.
Ho visto in tutto il racconto amarezza, dolore, sofferenza per la perdita di una persona cara e voglia di immolarsi per una causa che si credeva più giusta, e in seguito il ritorno ad una vita che si può definire quantomeno normale o in linea di massima pacifica, per quanto i demoni del passato tormentino ancora il nostro protagonista senza nome.
Una storia che porta con sé un bagaglio di emozioni e che è riuscita a farle provare anche a me, facendo in modo che mi calassi nei personaggi che muovevi. I miei più sinceri complimenti per come l'hai portata avanti fino alla sua conclusione. |