Ti saluto, Ghevurah!
Finalmente ho preso il coraggio di iscrivermi al forum, e non potevo che cominciare da te a recensire. Volendo essere onesti, dovrei dire che è proprio questa tua bellissima storia che mi ha fatto fare il passo definitivo per il mio ingresso in EFP (anzi, per usare le tue parole, sono uno di quei possibili autori che ti auguravi di stimolare).
Ma adesso che sono qui, ho quasi paura di non riuscire ad esprimere al meglio le emozioni che ha suscitato in me questo tuo capolavoro!
Premetto che sono molto legata a questa coppia di amici (o più che amici, dal mio punto di vista) e a questo legame che sopravvive a tutto. All'abbandono, al tradimento, alla lontananza. A me piace pensare, anche alla morte. L'episodio della liberazione di Maedhros merita di essere narrato per esteso e tu lo fai magistralmente, trasmettendo i sentimenti di Fingon dritti al cuore del lettore.
Inoltre. Io sono una che legge ad alta voce. Che si sofferma su ogni parola e ne sente il suono e dal suono ricava una buona parte delle emozioni che il testo comunica. I vocaboli giusti, nella corretta sequenza, la punteggiatura adatta, l'assenza di ripetizioni inutili (solo quelle inutili, eh?, quelle utili le adoro!)… insomma l'uso dell'italiano, non dico raffinato, che è una parola che evoca un po' il prediligere della forma alla sostanza, ma… spinto fino in fondo alle sue potenzialità, per me è proprio una goduria! (E anche un traguardo da raggiungere nei miei stessi scritti, per inciso, quindi grazie anche per il tuo esempio).
Chiaramente tutto questo non avrebbe senso, se non fosse fatto per sorreggere una storia che ha qualcosa da comunicare; sarebbe solo un mero esercizio di forma. Ma, inutile dire, non è questo il caso. Già il fatto che si narra di uno degli episodi più coinvolgenti dell'intera opera del Professore ci mette al riparo da questo rischio. Ma tu fai ben di più, regalandoci una visione molto personale degli Eldar, di Maedhros in particolare, che, visto con gli occhi di Fingon, appare come una "creatura" verso la quale non si può fare a meno di provare soggezione, anche se sei il suo migliore amico… anche se ne sei l'amante.
Ho apprezzato ogni singola parte del tuo racconto, che ho trovato di un'originalità preziosa. Un gioiello.
Ma mi permetto di citarne alcune frasi che mi hanno particolarmente colpito… diciamolo pure: commosso.
"Alza lo sguardo e lo vede all’orizzonte, sospeso, e sente la terra mancargli sotto i piedi. Perde l’equilibrio, scivola: le mani sulla roccia umida e tagliante. Si rialza a fatica, arranca. Calma, dice." Mi è sembrato di essere lì con lui. Mi è sembrato di essere lui.
E poi la preghiera. Il crescendo di rinunce di Findekáno ci dipinge l'essenza di ciò che Maitimo è stato per lui fin dal giorno del loro primo incontro: la perfezione. ("Rinuncio al riverbero del sole che infiamma i suoi capelli, rinuncio ai raggi della luna che scivolano sulla sua pelle."). O meglio, la perfezione che si fa completa nel suo rapporto con il cugino. ("Rinuncio al disegno pieno delle sue labbra, tese in radi sorrisi. Rinuncio alle sue mani, alla sua risata bassa e roca come il crepitare d’un fuoco.")
Mi ha anche fatto piacere ritrovare alcuni dei miei headcanon: la parola pronunciata da Findekáno nell'accingersi all'amputazione non può che essere "Perdonami", il bisogno di Maitimo dell'approvazione del padre, che (se non ho male interpretato) traspare da: "Il giovane gli sorride e i suoi occhi stellari sembrano farsi ancora più luminosi." Il coraggio di Findekáno che travalica i limiti della follia: "Eppure ne sfida lo sguardo d’ombra, infiltrandosi nel suo regno con un’audacia che appartiene solo ai folli."
E vado a concludere (altrimenti rischio di citare tutta la fiction per intero): abituata ormai a leggere prevalentemente in inglese, è davvero – ma davvero! – un piacere tornare alla lingua madre, quando è trattata con tale padronanza. Brava!
E grazie per aver condiviso questo capolavoro.
Losiliel |