Buongiorno, Yu!
Ammetto che avrei dovuto, e voluto, recensire questa storia ancora un’estate fa, ma per tutta una serie di fattori – crisi esistenziali, pigrizia, chi più ne ha più ne metta – mi risolvo a farlo solo adesso. Chiedo venia!
Ci ero già incappata dopo aver visto l’anime, lo ammetto, ma dato il suo finale un (bel) po’ campato in aria mi sono decisa ad addentrarmi più profondamente in sezione solo dopo aver iniziato il manga; nonostante tutt’ora non l’abbia ancora finito. Però era troppa la curiosità, troppa la voglia di leggere qualcosa di ben scritto in mezzo al consistente ciarpame che, ahimè, EFP sta nel complesso diventando. Le belle storie scarseggiano e commentatori pure, quindi non c’è niente di meglio che compensare le due cose. In ogni caso, frenata la mia inutile parlantina, cominciamo!
L’idea generale mi è piaciuta moltissimo. Io stessa ho scritto un modern!au che un po’ si rifà al tuo brano – senza saperlo abbiamo avuto la stessa idea, Echo e Noise gemelle! – ma sono i ricordi dei quali hai parlato e fatto tema centrale del racconto che rendono speciale questa manciata di parole. Ho adorato il climax iniziale che pare gettare subito il lettore nell’Abisso in un vortice di nostalgia e tenerezza e sì, anche timore; timore per quello che succederà, per chi sarà in grado di ricordare e chi no. Perché da una parte sarebbe stato interessante analizzare le reazione di una Alice (e, consequenzialmente, di una Alyss) che ricorda il passato burrascoso che si è passata alle spalle, ma mi rendo conto che il tutto sia molto più fluido così. Lo stesso principio vale per Leo, che con tutto quello ha passato – in termini di danni, passami il termine, psicologici – non merita altro che felicità e un Elliot pronto ad amarlo allo scoperto, alla luce del giorno.
Complimenti anche per il modo in cui hai gestito l’ambientazione della vicenda, che rimanendo nel mondo anglosassone spazia comunque, a parer mio, tra Regno Unito e Stati Uniti per certe scene. L’interazione tra Oz ed Elliot in quel sabato sera non può rievocare quei classici meeting points nordamericani dove ci si ferma a contemplare il panorama, così come le feste organizzate da Sharon ricordano tanto quei big parties tipici della moderna mondanità statunitense. Sono due mondi che si fondono un po’, quello creato dalla Mochizuki e questa nostra contemporaneità, tanto sono complessi i suoi personaggi e meravigliosamente s’incastrano in molteplici scenari. Il complesso sembra oltretutto avvolto da una cortina trasparente, appena velata, che permette al lettore di assistere alla vicenda ed esserne personalmente, anzi, emotivamente coinvolto senza interferire; un po’ come una vecchia pellicola proiettata nei cinema della Belle Epoque francese.
Nonostante il setting non corrisponda all’opera originale la caratterizzazione dei personaggi si adatta a questa nuova ambientazione senza che i tratti particolari di ciascuna comparsa vengano persi o eccessivamente manipolati. Apprezzo molto questo sforzo! L’IC è importante, e per quanto affrontare un tema così delicato come quello dei ricordi – che, realizzo solo ora, si riconnette al principio di Pandora Hearts in sé – e del loro recupero possa essere talvolta insidioso tu hai trattato il tutto in modo sublime e gentile, veramente, senza eccessivi stravolgimenti che altrimenti avrebbero minato alla coerenza della one-shot. In particolare ho amato Alice e Lacie che, sebbene la prima sia il fulcro centrale della storia senza esserne la protagonista e la seconda semplicemente una comparsa essenziale alla trama, ho trovato tridimensionali e credibili – e bellissime.
Dal punto di vista grammaticale c’è solo una minuscola svista (izio → inizio) al principio della quarta sequenza narrativa, quella del dialogo tra Elliot e Oz, per intenderci, e per il resto non posso che applaudirti virtualmente per questo stile semplice ma ricco che hai usato e che ben si adatta all’one-shot nel complesso: nessuna descrizione superflua, dialoghi naturali e scorrevoli e spaccati di vita quotidiana dipinti con notevole destrezza. Insomma, decisamente un ottimo lavoro!
Dunque, prima di lasciarti definitivamente, ti rinnovo i miei complimenti per questi carinissimi quadretti da te illustrati e, anche se sono passati ormai tre anni dalla tua ultima pubblicazione qui, non nascondo che mi piacerebbe moltissimo poter leggere qualcos’altro di tuo; nel frattempo mi impegnerò a finire di recensire Daylight come avrei dovuto fare ancora qualche mese fa (ma alla fine è sempre la stessa storia e non mi pare il caso di perdermi ancora in digressioni decisamente superflue) nella speranza di beccarci in futuro in giro per qualche sezione.
A presto,
lullbythesea |