Recensioni per
Gimme Five ~ Makoto x Haruka
di Secret Whispers

Questa storia ha ottenuto 1 recensioni.
Positive : 1
Neutre o critiche: 0


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Nuovo recensore
06/11/14, ore 21:00

Giudizio espresso per il Contest Fear indetto dal Secret Whispers GDR.

Dal punto di vista del regolamento sono rispettati tutti i canoni fissati e il compito viene assolto senza riserve. Le frasi hanno una resa pulita, probabilmente afflosciata dalla ripetizione di sempre e del concetto di sapere/non sapere, in tema con il terrore dell’ignoto, del non famigliare. Il secondo punto palesa una certa ingenuità nella concezione, a monte di una struttura pensata e immersa nel what if del pairing; l’incertezza, difatti, resta per certi versi contraddittoria in seno al personaggio di Makoto (sottoposto a una fascinazione travolgente, dalla connotazione letale) e nella contrapposizione gelido/vivo nell’incontro fra i due. La creatura dei mari al cospetto dell’umano rasenta una sfumatura data per scontata al lettore, in quanto sottintesa, non chiarificata, indiziaria. Da un lato la scelta potrebbe ottimizzare l’alone di suspance, ma riesce in questo proposito neanche a metà; l’idea di immettere il tutto in medias res non paga la chiarezza, né aiuta a discernere il pattern scheletrico del racconto, svilendolo. Più che d’intreccio, l’elaborato è di un’atmosfera evocativa (e criptica); il brivido viene centellinato, l’umano strappato dalla terra natia e condotto nelle profondità marine.
L’acqua toglie la scena ai protagonisti, divenendo il motore e la ragione dell’angoscia; in questo senso, nonostante una lacuna nell’originalità del punto di vista narrante e della scena creata, si ha una vera e propria suggestione nella messa in scena del mistero e della sua componente emotiva. La confusione dei personaggi e il passo tra la stasi e il movimento estremo, ultimo della vita, hanno una certa centralità tale da rendere plausibile lo sconcerto, la paralisi e l’atteggiamento instabile della sopravvivenza, che cede il passo al desiderio del contatto e dell’incontro.
Alcuni cliché sono ricorrenti: l’orizzonte senza fine e il buio che domina tutto, che peccano di banalizzare la maturità del testo. La forma è abbondante; l’utilizzo di forse o in realtà aggiunge un implicito giudizio che scardina l’attenzione dal punto di vista del personaggio e immette l’autore nella narrazione, guidando eccessivamente il lettore e inculcandogli una data visione dell’insieme, che dovrebbe arrivare da sé, senza giudizi o percorsi forniti. Le formule di circostanza come più di ogni altra cosa lasciano una sensazione vaga. Non descrivono né funzionano veramente per l’opera; sono, in effetti, strascichi del parlato che hanno il solo scopo di sviare il nocciolo della prosa.
La terza frase è quella più pregnante, a dispetto dell’utilizzo a mo’ di elenco degli aggettivi. Riesce, indicativamente, a creare un vero punto di contatto e a sintetizzare il volto della paura umana, nel gioco dell’attrazione e della repulsione, della differenza fra preda e predatore.
Lo stile è privo di fronzoli, anche se non del tutto asciutto. Una delle carenze è quella della scarsa incisività: la realizzazione di un mood interessante non trova riscontro nel risultato ultimo, poiché la prova sembra mancare di un elemento solido a sostenerla, che vada oltre l’impressione inquietante, manovrata senza troppa padronanza del genere.
L’introspezione riesce, per quanto non emergano del tutto i personaggi. C’è la sensazione che essi siano presenti, tuttavia si tratta di un’impronta debole, una scia labile.