Scheletro è un racconto che mi ha catturata subito. Il titolo è potente, evocativo e mi ha messo una gran curiosità. La trama della storia è del tutto diversa da ciò che mi aspettavo all’inizio, anche se i temi del macabro sono presenti in abbondanza: l’incubo, lo scheletro, la chiromante, il cimitero, le ossa, i morti, l’ambientazione lugubre, l’ossessione. Ho apprezzato molto il messaggio che lanci alla fine e che si riassume bene o male nell’ultimo capitolo, un messaggio-denuncia nei confronti di un tragico problema che affligge la società moderna. Helen, nelle righe finali, espone in poche e semplici parole la sua incredulità alla scelta della sorella, una scelta di vita che la porterà alla morte.
QUEL SOGNO
La frase che apre il racconto è eloquente, con quattro parole la protagonista si è già presentata: Helen è una ragazza con i piedi per terra, non si fa certo terrorizzare dalle banalità né influenzare dalle cose assurde. Tanto che bolla fin dall’inizio il sogno come qualcosa di “ridicolo, stupido”. Helen ha una mente razionale, che la tiene sempre molto vicina alla realtà. Non solo trova ridicolo il sogno (che l’aveva fatta ridere come una matta quando si era svegliata), ma fa sapere subito che lei non ha paura dei film horror, degli incubi e del buio e che, razionalmente, lo scheletro che le è comparso nel sonno non la preoccupa. Anche se si sveglia dal sogno in preda ad un fortissimo disagio, le basta prendere atto che si tratta in fondo soltanto di un sogno per mantenere il controllo, ritrovare la calma e prendersi gioco di se stessa. Perché, obiettivamente, come può uno scheletro terrorizzarla? Come può, uno stupido sogno, sconvolgerla così? Insomma, non è da lei.
Ma il sogno comincia inspiegabilmente a diventare ricorrente, scalfendo le sue certezze. È come una goccia d’acqua che insiste sempre sullo stesso punto del terreno creando, a lungo andare, un’incrinatura che con il passare dei giorni si allarga, si allunga, si spacca. Nel sogno lo scheletro che le va incontro la guarda attraverso orbite vuote, cammina sorreggendosi al muro di un lungo corridoio anonimo, che le è impossibile localizzare, la terrorizza e questo terrore (un’evoluzione del disagio iniziale) comincia a mettere radici, a lasciare strascichi di malessere anche quando è sveglia. Riflettendoci (perché Helen comincia a pensarci) a spaventarla non è tanto lo scheletro in sé, con la sua pelle attaccata alle ossa, il suo ricadere del teschio ad ogni passo. È il modo in cui cammina che le dà orrore, il modo in cui cerca di avvicinarsi, con una sua lentezza apparente che annulla ogni concezione di tempo e di spazio, perché si muove piano eppure sta per raggiungerla anche se Helen se la dà a gambe. Questo anche se, nell’avanzare inspiegabilmente rapido dello scheletro, lei non vede una vera e propria aggressione. C’è qualcosa sotto che non riesce a identificare, che la terrorizza ancora di più. Lo scheletro si porta dietro un significato terribile, che Helen non è un grado di affrontare e allora scappa. L’orrore di Helen non è nello scheletro in sé, ma in ciò che lui rappresenta, forse nel significato della sofferenza che lo ha ridotto così. Sembra quasi che Helen sappia che lo scheletro non vuole farle del male fisico. Infatti quando lo scheletro la raggiunge, le cade semplicemente addosso. Non l’aggredisce, non la ferisce, vuole trasmetterle soltanto una sofferenza psicologica che lei non è in grado di sostenere e di affrontare. Una sofferenza che la fa scappare.
Il sogno continua a visitarla tutte le notti e la seconda reazione che si nota in Helen, dopo una decisa ironia contro se stessa, è la curiosità. Helen vuole scoprire cosa significa il sogno, perché il fatto che si ripeta deve per forza rappresentare qualcosa, deve essere un messaggio che se stessa dà inconsciamente a se stessa.
OSSESSIONE
Così Helen inizia la ricerca del significato del sogno che le fa visita tutte le notti. La sua personalità razionale continua a tenerla con i piedi per terra, anche se d’altra parte comincia a rendersi conto che fare lo stesso sogno per due mesi di seguito non è una buona cosa. Il messaggio che sta ricevendo inconsciamente è assolutamente importante e lei deve affrettarsi a coglierlo prima che il sogno diventi un’ossessione. Il sogno è tanto più inspiegabile perché lei, tirando le somme della sua esistenza, si sente a posto: nessun problema, nessuna angoscia, nessuna preoccupazione. E allora da cosa deriva la presenza dello scheletro tutte le sante notti? I sogni sono manifestazioni di ciò che ci turba, ma come fa ad essere turbata Helen se la sua vita scorre placida come un ruscello di campagna? Studia con motivazione all’università, va d’accordo con la sua compagna di appartamento, segue una vita regolare, quindi perché ad un certo punto il suo inconscio si è focalizzato sull’immagine di uno scheletro in modo così insistente da farglielo sognare in continuazione? Cosa sta succedendo? La sua mente razionale deve assolutamente trovare una risposta coerente che si porti via lo scheletro e le permetta di tornare alla sua solita, tranquilla routine. Il sogno seguita a manifestarsi ininterrottamente e la crepa nelle sue certezze si allarga. La spaccatura si fa più profonda. Helen non riesce più a giustificare in maniera razionale quello che le sta succedendo.
In questo capitolo Helen si presenta in modo più preciso. È una ragazza indipendente che vive lontana dalla casa dei genitori-chioccia di cui, alla sua età, percepisce l’invadente presenza. È in quella fase in cui ha disperatamente bisogno dei suoi spazi. La sua assennatezza le consente di gestire il suo tempo in modo proficuo, studiando per una facoltà che richiede il massimo impegno.
Helen ha una sorella maggiore, Sarah, che non sente da mesi. Tra loro si intuisce un rapporto molto stretto, eppure questa sorella, nella routine della vita universitaria di Helen, è passata in secondo piano, quasi dimenticata. Sarah è tornata a casa ma Helen non ha avuto ancora il tempo di chiamarla (o più probabilmente la voglia, concentrata com’è su se stessa). Non solo, Sarah le ha mandato un messaggio a cui lei ha risposto in modo così distratto che non ricorda più neppure cosa le abbia scritto.
Con l’andare del tempo l’incubo si trasforma in un’ossessione, prende piede nella testa di Helen con una tale supremazia da far andare in coda tutto il resto, dall’università fino alla famiglia. Ai genitori non telefona più e neppure si preoccupa di dar loro notizie. Del resto non è stata mai troppo attaccata a loro e adesso non le sembra un problema se è sua madre a chiamare, invece che lei.
Ma siamo ancora all’inizio. Il terrore dentro di lei lotta ancora con la sua personalità controllata e razionale (o ciò che ne è rimasto), ed è da ragazza ponderata che si reca in biblioteca con la speranza di far luce sullo scheletro sfogliando qualche tomo. Basta l’illustrazione di un libro ad annichilire i suoi pensieri, lasciandola in grado soltanto di ricopiarla a matita su un foglio. Mentre guarda ciò che ha disegnato, Helen è cosciente del fatto che il controllo le sta sfuggendo di mano. È così concentrata su di sé che non si pone neppure il problema che lo scheletro possa rappresentare qualcun altro.
Il cellulare squilla mentre è immersa nelle sue riflessioni, pensieri in cui mette sempre al centro se stessa. Helen si rifiuta di parlare con sua sorella senza neppure sentire cosa ha da dirle perché, prima di ogni altra cosa, deve risolvere quell’enigma che riguarda soltanto lei e che la sta facendo uscire pazza. Eppure, un segnale c’è stato. La telefonata di Sarah avviene quando Helen ha appena finito di tracciare lo scheletro sul foglio. Sarah la sta cercando perché vuole vederla, perché ha bisogno di lei, ma Helen non ha tempo di cogliere questa velata richiesta di aiuto.
Se dopo giorni e giorni di confusione Helen non sta tirando fuori un ragno dal buco, perché allora non prova a parlarne con qualcuno che le è vicino, a confidarsi con la sorella che tanto adora, a distrarsi un attimo, a guardarsi intorno per cercare un’altra soluzione visto che in se stessa non riesce assolutamente a trovarla? La sua pretesa indipendenza, la porta a cercare di risolvere da sola il problema, chiudendosi a riccio su ciò che la circonda.
Il fondo Helen lo tocca quando torna a casa e affronta la sua compagna di stanza. Qui è chiara la misura che ha raggiunto l’incubo, quando il suo ricorrere per un tempo così lungo abbia lasciato un segno, una traccia devastante nella psiche della ragazza. Le sicurezze di Helen vacillano, comincia ad aver paura di tutto e di tutti, si crea delle fobie assurde e non riesce a controllarsi, dà di matto persino con la sua compagna di appartamento.
Helen non riesce più a fare niente, se non pensare allo scheletro e, in senso lato, a cosa le stia succedendo o meglio, per succedere. Si sta rinchiudendo in se stessa, nel mondo della sua ossessione, lasciando fuori tutto il resto. Un incubo ricorrente l’ha trasformata da persona razionale a ragazza paranoica, paurosa di tutto e soprattutto, per come interpreta la presenza dello scheletro, di morire. Ne ha talmente paura che cammina per strada incurante della pioggia, guardandosi intorno con sospetto, vedendo assurdi e ingiustificati pericoli ovunque: in una macchina che potrebbe accidentalmente investirla, in un cane randagio, in un uomo, in una donna.
INCONTRO CON L’OCCULTO
Questo capitolo è mitico. Nonostante la trama lugubre, mi sono divertita molto a leggerlo. La chiromante è perfetta, mi è piaciuta un sacco. Ma andiamo con ordine.
Helen è uscita di testa ma in uno sprazzo di lucidità decide che non può arrendersi alla paranoia.
Il sogno continua ad assillarla tutte le notti e il terrore che le incute è tale che non può assolutamente non reagire. Già nel capitolo precedente il sogno aveva compiuto una trasformazione. Non era più come all’inizio che, quando Helen si svegliava, ne rideva e quasi lo dimenticava. Non le faceva più paura, quando era sveglia. Adesso l’incubo la tormenta non solo la notte, ma anche durante il giorno. Helen ne sente gli strascichi. Il terrore la pervade, in sordina all’inizio, pure quando è sveglia. Alla fine del capitolo precedente Helen la notte aveva paura ad addormentarsi, in questo ammette finalmente che per risolvere il problema ha bisogno dell’aiuto di qualcuno. Ma non di qualcuno che le è vicino e che la ama, qualcuno che sia uno specialista. Questo mi fa pensare, insieme ad altri aspetti della sua personalità, che Helen sia una ragazza indipendente ma anche sola. Lei è certa di potercela fare senza l’aiuto di nessuno, senza l’aiuto dei suoi cari. Da una parte poi, la mente razionale di Helen esita ancora ad accettare l’assurdità di ciò che le fa paura impendendole di confidarsi, forse col timore che chiunque reagirebbe come ha reagito lei all’inizio, e cioè trovando il tutto stupido e ridicolo. D’altra parte, forse ha anche paura che chi le sta intorno la scopra improvvisamente fragile, cosa che lei non vuole essere agli occhi degli altri. A questo punto non le resta altro che lasciar crollare tutte le sue certezze, mettere da parte la sua personalità più profonda e andare dall’ultima persona che fino a due mesi prima avrebbe preso in considerazione: una chiromante. Questa sua decisione dà tantissimo il senso di angoscia e di sofferenza in cui Helen si trova, il terrore di stare per morire. Farebbe qualsiasi cosa ormai per liberarsi dall’incubo dello scheletro e per tornare la persona forte e sicura che era un tempo. Il suo stato psichico la fa soffrire anche perché non ci si riconosce e non vuole che chi la conosce la veda ridotta a una pazza paranoica. Per questo si “abbassa” a trovare su internet il contatto di Madame Luna Calante (il mio personaggio preferito!), una CARA donna, per metà ciarlatana, per metà nonna preoccupata, che le darà risposte fantastiche che non serviranno a niente.
Ma prima Helen si sofferma ad osservare il disegno dello scheletro tracciato in biblioteca. Il foglio è rovinato dalla pioggia ma il disegno è intatto, senza neppure una sbavatura, a dimostrare che nonostante la febbre di tre giorni e la disperazione di due mesi abbondanti, il problema è lì invariato, tale e quale come l’ha lasciato.
Helen insomma decide di fare il grande passo e di prendere un appuntamento con la chiromante. E solo la decisione è sufficiente a spingerla verso un tentativo di ritorno alla normalità, a rifrequentare le lezioni all’università.
Madame Luna Calante è uno spettacolo dall’inizio alla fine. Intanto non è vestita né di nero né di rosso, cosa che, nonostante il nervosismo, Helen nota subito. Così come l’arredamento della sala d’attesa. Niente di esoterico, che forse l’avrebbe fatta dubitare della scelta, niente simboli strani, niente di sinistro. Ciò la rassicura, se non altro non le fa tornare in mente i suoi pregiudizi verso tutto ciò che è assurdo e illogico, che l’avrebbero spinta magari ad andarsene senza neppure provare. Niente di ridicolo, niente di ostentato, solo una ventata di incenso, poltrone piuttosto comode e una luce gradevole. Madame Luna Calante è tinteggiata con i colori che si addicono al suo nome. Il vestito azzurro come il cielo, i capelli biondi (in ogni caso chiari, come la luna) e le unghie candide, come il chiarore lunare. Il tavolo ricoperto di verde come la terra, verso cui la luna si protende. La sua voce è carezzevole, dà un senso di sicurezza e di tranquillità al quale Helen tenta disperatamente di aggrapparsi senza riuscirci, quasi che la sua mente cerchi di ricordarle che si è cacciata in una situazione assurda e ridicola. Inaccettabile. Lei che si abbassa a credere al responso delle carte. Eppure qualcosa la spinge a sperare che Madame abbia una soluzione definitiva al suo problema. Ci si afferra, a questa speranza, perché la chiromante è l’ultimo appiglio a cui può aggrapparsi.
Helen vuole una risposta sicura che la donna non può darle. Le sue spiegazioni non sono chiare e precise, quello che dice a lei potrebbe dirlo a chiunque. Helen si innervosisce, ma forse non tanto con la signora Calante, quanto per il fatto che inizia a capire che non sarà lì che troverà una soluzione.
In definitiva questo capitolo è bellissimo, più leggero, con Madame che fa quasi ridere, Helen che fa quasi pena e le carte che appaiono una dopo l’altra e fanno quasi trattenere il fiato, perché non si sa quale sarà la prossima che verrà pescata e che significato avrà.
NOTTI FREDDE, BUIE, SOLITARIE … E INSANE
Alla fine del capitolo precedente Helen, nonostante qualche moto di stizza iniziale (forse un’ultima traccia di ribellione da parte di ciò che resta della sua razionalità) accetta di buon grado le spiegazioni della chiromante. Chissà, probabilmente si mette l’anima in pace e decide che in qualche modo riuscirà a cavarne qualcosa per liberarsi del sogno. Madame le dice che solo da sveglia troverà una risposta a ciò che l’angoscia durante la notte. Ora come ad Helen sia venuto in mente di andare a cercare lo scheletro nel cimitero non lo so. Forse è stata la carta della Morte rimasta sul tavolo, che ha guardato un’ultima volta prima di congedarsi, a darle quell’indicazione fasulla. Helen non si pente di essere andata da Madame, ma scopriremo poi che ciò che ne ha guadagnato è un madornale errore. Insomma, non c’ha capito un fico secco: e come avrebbe potuto fare altrimenti? Madame non è stata sibillina, di più. Da quella visita Helen ha guadagnato solo una cosa: riuscire a dormire per una volta non proprio tranquilla, ma almeno rassegnata.
Già nelle prime righe del capitolo ci ritroviamo di fronte alla sua determinazione, al suo ribadire di essere una donna piena di certezze. Si sveglia pronta, ha già in testa la sua idea. Sa come e quando dovrà reagire, in pratica è convinta di aver capito tutto, che la notte successiva la sua sofferenza finirà. Ho trovato questo suo atteggiamento carico di presunzione, ma anche come un modo per liberarsi dall’angoscia visto che il mistero, lei crede, sta per essere risolto. E infine un altro tipo di sollievo che viene dal significato delle carte. Helen prende coscienza di qualcosa che aveva intuito fin da subito (a parte quella parentesi di terrore paranoico con cui torna a casa dalla biblioteca): lo scheletro non vuole farle del male, vuole soltanto comunicarle “un cambiamento”.
Dunque è sicura che troverà la risposta alla carta della morte nel luogo di morte (il cimitero), un’associazione di pensiero che ora mi sembra molto più plausibile se accostata al tarocco. Chissà cosa avrebbe fatto se non fosse andata da Madame Luna Calante. Probabilmente, da “testarda” qual è avrebbe continuato a cercare una spiegazione, ma forse non si sarebbe ridotta a passare notti e notti nel cimitero. Helen è determinata a continuare sulla strada che in fondo si è costruita da sola finché non troverà la risposta di cui ha tanto bisogno.
Mi pare indicativo del suo turbamento il fatto che lei si accosti al cimitero già di giorno, studi il territorio quando è ancora aperto al pubblico e non le incute timore. Ed è anche un aspetto della sua mente razionale a spingerla a pianificare l’esperienza in ogni particolare.
La sua prima notte nel cimitero è relativamente tranquilla, a parte il sussulto al gracchiare del corvo. Ancora spera, Helen, di avere presto una risposta ai suoi quesiti. Neppure si dispera troppo quando capisce che dalla prima notte non otterrà niente. Vagare nel cimitero a caso, munita della sola torcia, l’ha soltanto infreddolita. Ma lei sa che dovrà avere pazienza, un sogno complicato non può risolversi così facilmente. Cosa si aspettava, in fondo? Di veder spuntare uno scheletro dalla tomba, risorto solo per parlarle? Chissà…
La terza notte cominciano a farsi strada in lei le prime perplessità che però mette subito da parte. Helen vuole trovare la risposta nel cimitero. La cerca lì, disperatamente, mentre i giorni si susseguono e lei diventa preda di una nuova paranoia. Vuole trovare assolutamente la soluzione del suo problema tra le tombe, si aggrappa a questa speranza soltanto perché non ha nessuna idea di dove altro cercarla. Non può che essere lì e se lì non c’è lei è perduta, non si libererà mai di quell’ossessione. Persevera contro ogni logica, passa al cimitero una notte dopo l’altra. Il fatto poi che non dorma più, l’allontana ulteriormente dal mistero perché lo scheletro, che si presenta soltanto nel sonno, ora smette di comparire. Nel cimitero, tra le tombe, non si è trasformato in una presenza reale e in più è scomparsa la presenza onirica che era portatrice di un messaggio. Al massimo della confusione, Helen ricomincia a porsi al centro del suo problema. Torna di nuovo ad ignorare i genitori, la sorella, la sua compagna di appartamento, l’università. Di nuovo si isola perché lo scheletro non soltanto è presagio e comunicazione di qualcosa che la riguarda, ma perché forse le è entrato dentro. Si guarda le ginocchia, si sente dimagrita e in un attacco di spavento immagina addirittura che lo scheletro sia in lei, che la figura che ha sognato, quella pelle attaccaticcia alle ossa col teschio che ciondola, è ciò in cui lei presto si trasformerà. Insomma, Helen è decisamente fuori strada, continua a dimostrarsi troppo concentrata su se stessa e sulla convinzione di restare nel cimitero perché prima o poi qualcosa succederà. Insomma, se lì la soluzione non c’è, cosa aspettia a cercarla da un’altra parte?
Ma niente… resta, persiste, finché crolla in un misto tra stizza e follia. Helen sta gelando, il freddo le è entrato nelle ossa, non sente più i piedi e lo scheletro, dopo lunghe notti insonni passate all’addiaccio, non si è ancora fatto vedere. Allora ha un attacco isterico, di pura follia e comincia a piagnucolare, infine a gridare, chiedendo alla presenza di farsi finalmente vedere. La sua coscienza non ne può più, tanto farla da regredire fino all’infanzia (il gesto di succhiarsi il pollice). Helen ha bisogno di tornare a vivere, di riemergere dal buio in cui si trova. Anche se in un modo diverso, le sue notti continuano ad essere un vero incubo. Arrivata l’alba che è stremata. Helen non ne può più, ma non riesce a non comportarsi come sta facendo. È come se non avesse scelta. Ho notato anche una specie di stacco tra le prime visite al cimitero, piene di una certa speranza che pian piano va scemando, e le altre che lei sembra affrontare con rassegnazione. Me lo ha fatto pensare il fatto che lei, prima di affrontare il secondo “ciclo” di visite al cimitero, si rimetta in sesto, ritorni a mangiare qualcosa. È come se si rassegnasse a dover aspettare ancora a lungo per trovare la soluzione.
Col passare del giorni, o meglio delle notti, Helen si è talmente abituata a non trovare nulla, né una presenza né una risposta, che quando finalmente qualcosa succede non è preparata ad affrontarla e la prima cosa che fa è scappare. Qui, nonostante la tragicità del momento, c’è da sorridere. Ma come, Helen! Forse hai davanti ciò che cerchi da mesi e fuggi via? È chiaro che Helen è un bel po’ tutto fumo e niente arrosto. La corazza di certezze e di forza che si è costruita (già messa a dura prova dall’incubo) si infrange in mille pezzi alla prima difficoltà e lei si dimostra totalmente incapace (come del resto ha fatto dalle prime comparse del sogno) di affrontarla. Insomma, Helen si prende un bello spavento! Altroché!
SCHELETRO
La citazione del sogno subito all’inizio dell’ultimo capitolo è un chiaro messaggio sul fatto che ormai siamo vicini alla soluzione del problema. Sappiamo che presto Helen troverà le sue risposte.
Da questo momento in poi il sogno non si presenterà più e nella sua ultima apparizione sembra quasi scatenarsi un’ultima volta con tutta la sua potenza. Helen fatica non poco a riemergerne e non soltanto perché non riposa bene da mesi. Il sogno l’avvolge stretta perché in quel momento si lega indissolubilmente alla realtà, s’intreccia all’incubo reale. Per la prima volta nella mente di Helen lo scheletro del sogno emette un rumore e lei ha bisogno di svegliarsi per riuscire a capire che questo proviene da altrove. Nel momento in cui entra in bagno e vede la sorella, viene scossa da un moto di preoccupazione ma anche di raccapriccio. Mi viene da pensare che se lo scheletro non le fosse comparso tutte le notti in sogno non avrebbe avuto questa seconda reazione. Ma ora la sua mente, consciamente o inconsciamente, non può evitare di collegare il corpo magrissimo ed emaciato della sua adorata Sarah, allo scheletro dell’incubo. La repulsione che prova per lei è tale che la nausea le attanaglia lo stomaco. Anche quando la sorella l’abbraccia in cerca di non so bene cosa, forse di comprensione e rassicurazioni, Helen vorrebbe fuggire a gambe levate tanto è l’orrore che il contatto con le sue ossa le provoca. Il fatto di chiudere gli occhi e limitarsi ad ascoltare i deliri di Sarah sia anche un modo per difendersi dalla sua vista. Mentre la tiene stretta a sé finalmente Helen si rende conto del suo madornale errore. Era talmente presa da se stessa da non prendere neppure in considerazione il fatto che il messaggio che lo scheletro stava cercando di comunicare non riguardasse lei. È una beffa crudele, questa. Ora a Helen non rimangono altro che le “lacrime e una sorella anoressica”.
La situazione è talmente irrecuperabile, ormai, che da lì passiamo direttamente al giorno della morte di Sarah dove il destino beffardo non fa altro che ripetere passo passo il sogno ricorrente di Helen. Il sogno non compare più, ora che il suo significato è stato svelato. Ma è stato davvero presagio di cambiamento, perché Helen non può tornare lo stesso alla sua vita precedente: spinta dall’affetto, dall’amore ma anche, probabilmente, dal rimorso per non essere riuscita a stare vicina alla sorella nel momento del bisogno, lascia la sua vita indipendente per tornare a vivere dai genitori e smette di frequentare l’università per prendersi cura di lei a tempo pieno. I sentimenti che prova verso la sorella-scheletro sono ormai di confusione totale perché a tutto l’affetto del mondo, si è aggiunta una collera violenta che la spingerebbe a prenderla a schiaffi. Un gesto che potrebbe aiutarla a sfogare l’impotenza scatenata da quell’assurda situazione, dal fatto di non poter fare più niente per aiutarla. Avrebbe dovuto esserci prima, per lei, non quando ormai è troppo tardi. In Helen troviamo la naturale, plausibile e totale incomprensione per le scelte di Sarah. Helen non capisce cosa e perché l’abbia spinta verso quel suicidio. È inconcepibile, inaccettabile e profondamente ingiusto.
Più il tempo passa e più Sarah diventa pelle e ossa e il senso di ribrezzo e raccapriccio che Helen prova nei suoi confronti si fa più insopportabile, quasi ingestibile. Mentre le accarezza la fronte mi sembra quasi di vederla stringere i denti pur di ricacciare l’orrore dentro di sé e mostrarsi una sorella premurosa e affettuosa.
Il suo autocontrollo si sbriciola il giorno in cui, quasi per caso, si ripete la scena che Helen ha sognato per mesi e mesi. Sua sorella avanza nel corridoio, il corpo emaciato, ormai praticamente uno scheletro, senza più la forza non solo di camminare ma di tenere su la testa che ricade in avanti. La sua “camminata di morte”, il suo sguardo vuoto con cui la fissa, fanno ripiombare Helen nell’incubo che aveva quasi dimenticato ma che adesso le si para davanti in tutta la sua crudezza, nel pieno del significato. Prima lo scheletro non era niente, era la rappresentazione di un messaggio. Ora lo scheletro è la sua adorata sorella, ormai in fin di vita. Questa consapevolezza si fa strada in Helen con un orrore tale che invece di prestarle soccorso, si ritrova di nuovo, e per l’ultima volta, a fuggire. Ma non c’è niente da fare. Il sogno si avvera come un presagio, Sarah le rovina sopra e muore lì, su di lei, bloccandola a terra urlante, finché i genitori non le ritrovano. |