Recensioni per
Inverni dello stesso sangue
di Kiki S

Questa storia ha ottenuto 5 recensioni.
Positive : 5
Neutre o critiche: 0


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Nuovo recensore
09/08/16, ore 08:17
Cap. 5:

È un Angelo che dipinge il mondo in questa storia, un talento fin troppo appropriato per una persona tanto buona, così profondamente altruista da trovare, nonostante il dolore che la squarcia da dentro con una ferita che da anni non smette di sanguinare, il tempo per consolare gli altri. Un Angelo che trova la forza (e che forza!) di accantonare la propria sofferenza per incoraggiare e sollevare l’umore di un’amica che sembra più scontenta del mondo che altro. Ma la sofferenza di Angie non è che, per l’appunto, accantonata e se anche non viene esternata, sembra aumentare proporzionalmente alla sua età. Il passare degli anni l’allontana dal ricordo di Jenny, la sorellina perduta, e la sua figura bambina diventa una visione che pian piano si affievolisce, scompare nella nebbia del trascorrere degli anni. Così ad un certo punto, la necessità impellente di non perderla definitivamente anche nei ricordi, si fa talmente forte da guidare la mano di Angie nella creazione di un quadro.
Tanta importanza, anche in questa storia, hai deciso di dedicare alle condizioni atmosferiche e in particolare alla neve, al paesaggio innevato, al freddo che spesso la fa da padrone nei tuoi racconti. Un freddo doppio: prima rappresentato nel quadro, poi fisicamente provato nella casa. Si tratta di un freddo che simboleggia perdita e sofferenza ma che spinge Angie a reagire e a cercare un modo per ritrovare se stessa, Jenny e la pace (o vogliamo chiamarla “rassegnazione”?). Dopo un saluto veloce alla lapide, che rappresenta una Jenny morta e sul punto di essere dimenticata, Angie torna nella vecchia casa di montagna con la speranza di incontrare una Jenny “viva” (cosa che poi succede perché la manina che stringe è tiepida, non certo quella di un morto e neppure quella di una visione!). Il freddo qui è invasivo, l’avvolge e le entra dentro quando mette piede nell’abitazione chiusa da mesi, senza riscaldamento, i mobili impolverati, senza luce. Angie è pronta a tutto pur di incontrare Jenny e il fatto che cerchi la sorellina nel riflesso dello specchio secondo me è anche un tentativo di ribadire a se stessa che nonostante l’immagine che si riflette è quella di una persona adulta, il passare degli anni non l’ha allontanata dall’affetto verso la sorella. L’amore che prova è lo stesso di un tempo, anche se il suo corpo è cambiato. E Jenny lo sa, per cui la riconosce e le porge la mano. Quindi è Jenny stessa ad entrare nella stanza portando con sé l’erba, le foglie cadute e il vento, avvicinandosi alla sorella ormai cresciuta e a stringerle la mano. Angie ha inseguito il suo ricordo per anni ma può trovare Jenny soltanto se è lei ad andarle incontro. All’inizio, nonostante la chiami, Jenny sembra non sentirla. È il suo spirito, la sua anima o insomma quello che è, a decidere quando mostrare la sua presenza o interagire con la persona viva. Mi è piaciuto il particolare di Blue Dog. Il fatto che Jenny lo tenga stretto a sé è quasi un rimarcare il fatto che lei è rimasta bambina mentre la sorella è cresciuta. Nello stesso tempo però Blue Dog rappresenta il legame che continua ad unirle.
A forza di mandar giù sonniferi per cadere in questa specie di stato di trance, perché se Angie non riesce ad estraniarsi, ad accantonare la propria materialità, a perdere quella parte pragmatica di sé e finire in una specie di limbo, non può entrare in contatto con il soprannaturale, ho creduto davvero che l’avresti fatta volare in cielo insieme a Jenny. Per questo ho quasi tirato un sospiro di sollievo quando l’Angelo si è risvegliato in ospedale sotto gli occhi preoccupati e carichi di amore di sua madre. Mi è piaciuto molto l’inserimento della ninna nanna, che stavolta è la madre a cantare alla figlia, mentre in “Qui con te” era Angie, sul letto di morte di Jenny. È come se la scena si ripetesse, per fortuna con un lieto fine. Per quanto riguarda Dominique, non sono riuscita a farmi un’idea precisa del personaggio a parte il fatto, cosa che tu stessa hai fatto notare, che si tratta di una ragazza disturbata. Ti dirò che non sono riuscita a individuare bene neppure quale sia, il suo problema. Ma è un personaggio di contorno, mi interessava Angel e sono pienamente soddisfatta di ciò che ho letto soprattutto perché, contrariamente ad altre tue storie che alla fine lasciano un filino d’angoscia, questa mi ha trasmesso, nonostante le altalene vuote e coperte di neve o forse proprio grazie a loro, un liberatorio senso di pace. Se mi entra vorrei scriverti giusto due righe sulla prima parte, dedicata al lavoro di Angie. Altro che pennellate ai quadri. La tua descrizione dell’attività del pittore è una vera e propria pennellata di colori, con tocchi qua e là così precisi che sembra, per un momento, di essere finiti davvero in uno studio di pittura. Sarà pure che Angie usa il suo talento artistico per esorcizzare, con la rappresentazione del mondo, la sua profonda sofferenza. Chissà!
Ultimissima cosa! Adoro le ragazze dai capelli rossi e secondo me hai proprio azzeccato il colore!

Nuovo recensore
25/08/15, ore 12:08
Cap. 4:

Scheletro è un racconto che mi ha catturata subito. Il titolo è potente, evocativo e mi ha messo una gran curiosità. La trama della storia è del tutto diversa da ciò che mi aspettavo all’inizio, anche se i temi del macabro sono presenti in abbondanza: l’incubo, lo scheletro, la chiromante, il cimitero, le ossa, i morti, l’ambientazione lugubre, l’ossessione. Ho apprezzato molto il messaggio che lanci alla fine e che si riassume bene o male nell’ultimo capitolo, un messaggio-denuncia nei confronti di un tragico problema che affligge la società moderna. Helen, nelle righe finali, espone in poche e semplici parole la sua incredulità alla scelta della sorella, una scelta di vita che la porterà alla morte.
QUEL SOGNO
La frase che apre il racconto è eloquente, con quattro parole la protagonista si è già presentata: Helen è una ragazza con i piedi per terra, non si fa certo terrorizzare dalle banalità né influenzare dalle cose assurde. Tanto che bolla fin dall’inizio il sogno come qualcosa di “ridicolo, stupido”. Helen ha una mente razionale, che la tiene sempre molto vicina alla realtà. Non solo trova ridicolo il sogno (che l’aveva fatta ridere come una matta quando si era svegliata), ma fa sapere subito che lei non ha paura dei film horror, degli incubi e del buio e che, razionalmente, lo scheletro che le è comparso nel sonno non la preoccupa. Anche se si sveglia dal sogno in preda ad un fortissimo disagio, le basta prendere atto che si tratta in fondo soltanto di un sogno per mantenere il controllo, ritrovare la calma e prendersi gioco di se stessa. Perché, obiettivamente, come può uno scheletro terrorizzarla? Come può, uno stupido sogno, sconvolgerla così? Insomma, non è da lei.
Ma il sogno comincia inspiegabilmente a diventare ricorrente, scalfendo le sue certezze. È come una goccia d’acqua che insiste sempre sullo stesso punto del terreno creando, a lungo andare, un’incrinatura che con il passare dei giorni si allarga, si allunga, si spacca. Nel sogno lo scheletro che le va incontro la guarda attraverso orbite vuote, cammina sorreggendosi al muro di un lungo corridoio anonimo, che le è impossibile localizzare, la terrorizza e questo terrore (un’evoluzione del disagio iniziale) comincia a mettere radici, a lasciare strascichi di malessere anche quando è sveglia. Riflettendoci (perché Helen comincia a pensarci) a spaventarla non è tanto lo scheletro in sé, con la sua pelle attaccata alle ossa, il suo ricadere del teschio ad ogni passo. È il modo in cui cammina che le dà orrore, il modo in cui cerca di avvicinarsi, con una sua lentezza apparente che annulla ogni concezione di tempo e di spazio, perché si muove piano eppure sta per raggiungerla anche se Helen se la dà a gambe. Questo anche se, nell’avanzare inspiegabilmente rapido dello scheletro, lei non vede una vera e propria aggressione. C’è qualcosa sotto che non riesce a identificare, che la terrorizza ancora di più. Lo scheletro si porta dietro un significato terribile, che Helen non è un grado di affrontare e allora scappa. L’orrore di Helen non è nello scheletro in sé, ma in ciò che lui rappresenta, forse nel significato della sofferenza che lo ha ridotto così. Sembra quasi che Helen sappia che lo scheletro non vuole farle del male fisico. Infatti quando lo scheletro la raggiunge, le cade semplicemente addosso. Non l’aggredisce, non la ferisce, vuole trasmetterle soltanto una sofferenza psicologica che lei non è in grado di sostenere e di affrontare. Una sofferenza che la fa scappare.
Il sogno continua a visitarla tutte le notti e la seconda reazione che si nota in Helen, dopo una decisa ironia contro se stessa, è la curiosità. Helen vuole scoprire cosa significa il sogno, perché il fatto che si ripeta deve per forza rappresentare qualcosa, deve essere un messaggio che se stessa dà inconsciamente a se stessa.
OSSESSIONE
Così Helen inizia la ricerca del significato del sogno che le fa visita tutte le notti. La sua personalità razionale continua a tenerla con i piedi per terra, anche se d’altra parte comincia a rendersi conto che fare lo stesso sogno per due mesi di seguito non è una buona cosa. Il messaggio che sta ricevendo inconsciamente è assolutamente importante e lei deve affrettarsi a coglierlo prima che il sogno diventi un’ossessione. Il sogno è tanto più inspiegabile perché lei, tirando le somme della sua esistenza, si sente a posto: nessun problema, nessuna angoscia, nessuna preoccupazione. E allora da cosa deriva la presenza dello scheletro tutte le sante notti? I sogni sono manifestazioni di ciò che ci turba, ma come fa ad essere turbata Helen se la sua vita scorre placida come un ruscello di campagna? Studia con motivazione all’università, va d’accordo con la sua compagna di appartamento, segue una vita regolare, quindi perché ad un certo punto il suo inconscio si è focalizzato sull’immagine di uno scheletro in modo così insistente da farglielo sognare in continuazione? Cosa sta succedendo? La sua mente razionale deve assolutamente trovare una risposta coerente che si porti via lo scheletro e le permetta di tornare alla sua solita, tranquilla routine. Il sogno seguita a manifestarsi ininterrottamente e la crepa nelle sue certezze si allarga. La spaccatura si fa più profonda. Helen non riesce più a giustificare in maniera razionale quello che le sta succedendo.
In questo capitolo Helen si presenta in modo più preciso. È una ragazza indipendente che vive lontana dalla casa dei genitori-chioccia di cui, alla sua età, percepisce l’invadente presenza. È in quella fase in cui ha disperatamente bisogno dei suoi spazi. La sua assennatezza le consente di gestire il suo tempo in modo proficuo, studiando per una facoltà che richiede il massimo impegno.
Helen ha una sorella maggiore, Sarah, che non sente da mesi. Tra loro si intuisce un rapporto molto stretto, eppure questa sorella, nella routine della vita universitaria di Helen, è passata in secondo piano, quasi dimenticata. Sarah è tornata a casa ma Helen non ha avuto ancora il tempo di chiamarla (o più probabilmente la voglia, concentrata com’è su se stessa). Non solo, Sarah le ha mandato un messaggio a cui lei ha risposto in modo così distratto che non ricorda più neppure cosa le abbia scritto.
Con l’andare del tempo l’incubo si trasforma in un’ossessione, prende piede nella testa di Helen con una tale supremazia da far andare in coda tutto il resto, dall’università fino alla famiglia. Ai genitori non telefona più e neppure si preoccupa di dar loro notizie. Del resto non è stata mai troppo attaccata a loro e adesso non le sembra un problema se è sua madre a chiamare, invece che lei.
Ma siamo ancora all’inizio. Il terrore dentro di lei lotta ancora con la sua personalità controllata e razionale (o ciò che ne è rimasto), ed è da ragazza ponderata che si reca in biblioteca con la speranza di far luce sullo scheletro sfogliando qualche tomo. Basta l’illustrazione di un libro ad annichilire i suoi pensieri, lasciandola in grado soltanto di ricopiarla a matita su un foglio. Mentre guarda ciò che ha disegnato, Helen è cosciente del fatto che il controllo le sta sfuggendo di mano. È così concentrata su di sé che non si pone neppure il problema che lo scheletro possa rappresentare qualcun altro.
Il cellulare squilla mentre è immersa nelle sue riflessioni, pensieri in cui mette sempre al centro se stessa. Helen si rifiuta di parlare con sua sorella senza neppure sentire cosa ha da dirle perché, prima di ogni altra cosa, deve risolvere quell’enigma che riguarda soltanto lei e che la sta facendo uscire pazza. Eppure, un segnale c’è stato. La telefonata di Sarah avviene quando Helen ha appena finito di tracciare lo scheletro sul foglio. Sarah la sta cercando perché vuole vederla, perché ha bisogno di lei, ma Helen non ha tempo di cogliere questa velata richiesta di aiuto.
Se dopo giorni e giorni di confusione Helen non sta tirando fuori un ragno dal buco, perché allora non prova a parlarne con qualcuno che le è vicino, a confidarsi con la sorella che tanto adora, a distrarsi un attimo, a guardarsi intorno per cercare un’altra soluzione visto che in se stessa non riesce assolutamente a trovarla? La sua pretesa indipendenza, la porta a cercare di risolvere da sola il problema, chiudendosi a riccio su ciò che la circonda.
Il fondo Helen lo tocca quando torna a casa e affronta la sua compagna di stanza. Qui è chiara la misura che ha raggiunto l’incubo, quando il suo ricorrere per un tempo così lungo abbia lasciato un segno, una traccia devastante nella psiche della ragazza. Le sicurezze di Helen vacillano, comincia ad aver paura di tutto e di tutti, si crea delle fobie assurde e non riesce a controllarsi, dà di matto persino con la sua compagna di appartamento.
Helen non riesce più a fare niente, se non pensare allo scheletro e, in senso lato, a cosa le stia succedendo o meglio, per succedere. Si sta rinchiudendo in se stessa, nel mondo della sua ossessione, lasciando fuori tutto il resto. Un incubo ricorrente l’ha trasformata da persona razionale a ragazza paranoica, paurosa di tutto e soprattutto, per come interpreta la presenza dello scheletro, di morire. Ne ha talmente paura che cammina per strada incurante della pioggia, guardandosi intorno con sospetto, vedendo assurdi e ingiustificati pericoli ovunque: in una macchina che potrebbe accidentalmente investirla, in un cane randagio, in un uomo, in una donna.
INCONTRO CON L’OCCULTO
Questo capitolo è mitico. Nonostante la trama lugubre, mi sono divertita molto a leggerlo. La chiromante è perfetta, mi è piaciuta un sacco. Ma andiamo con ordine.
Helen è uscita di testa ma in uno sprazzo di lucidità decide che non può arrendersi alla paranoia.
Il sogno continua ad assillarla tutte le notti e il terrore che le incute è tale che non può assolutamente non reagire. Già nel capitolo precedente il sogno aveva compiuto una trasformazione. Non era più come all’inizio che, quando Helen si svegliava, ne rideva e quasi lo dimenticava. Non le faceva più paura, quando era sveglia. Adesso l’incubo la tormenta non solo la notte, ma anche durante il giorno. Helen ne sente gli strascichi. Il terrore la pervade, in sordina all’inizio, pure quando è sveglia. Alla fine del capitolo precedente Helen la notte aveva paura ad addormentarsi, in questo ammette finalmente che per risolvere il problema ha bisogno dell’aiuto di qualcuno. Ma non di qualcuno che le è vicino e che la ama, qualcuno che sia uno specialista. Questo mi fa pensare, insieme ad altri aspetti della sua personalità, che Helen sia una ragazza indipendente ma anche sola. Lei è certa di potercela fare senza l’aiuto di nessuno, senza l’aiuto dei suoi cari. Da una parte poi, la mente razionale di Helen esita ancora ad accettare l’assurdità di ciò che le fa paura impendendole di confidarsi, forse col timore che chiunque reagirebbe come ha reagito lei all’inizio, e cioè trovando il tutto stupido e ridicolo. D’altra parte, forse ha anche paura che chi le sta intorno la scopra improvvisamente fragile, cosa che lei non vuole essere agli occhi degli altri. A questo punto non le resta altro che lasciar crollare tutte le sue certezze, mettere da parte la sua personalità più profonda e andare dall’ultima persona che fino a due mesi prima avrebbe preso in considerazione: una chiromante. Questa sua decisione dà tantissimo il senso di angoscia e di sofferenza in cui Helen si trova, il terrore di stare per morire. Farebbe qualsiasi cosa ormai per liberarsi dall’incubo dello scheletro e per tornare la persona forte e sicura che era un tempo. Il suo stato psichico la fa soffrire anche perché non ci si riconosce e non vuole che chi la conosce la veda ridotta a una pazza paranoica. Per questo si “abbassa” a trovare su internet il contatto di Madame Luna Calante (il mio personaggio preferito!), una CARA donna, per metà ciarlatana, per metà nonna preoccupata, che le darà risposte fantastiche che non serviranno a niente.
Ma prima Helen si sofferma ad osservare il disegno dello scheletro tracciato in biblioteca. Il foglio è rovinato dalla pioggia ma il disegno è intatto, senza neppure una sbavatura, a dimostrare che nonostante la febbre di tre giorni e la disperazione di due mesi abbondanti, il problema è lì invariato, tale e quale come l’ha lasciato.
Helen insomma decide di fare il grande passo e di prendere un appuntamento con la chiromante. E solo la decisione è sufficiente a spingerla verso un tentativo di ritorno alla normalità, a rifrequentare le lezioni all’università.
Madame Luna Calante è uno spettacolo dall’inizio alla fine. Intanto non è vestita né di nero né di rosso, cosa che, nonostante il nervosismo, Helen nota subito. Così come l’arredamento della sala d’attesa. Niente di esoterico, che forse l’avrebbe fatta dubitare della scelta, niente simboli strani, niente di sinistro. Ciò la rassicura, se non altro non le fa tornare in mente i suoi pregiudizi verso tutto ciò che è assurdo e illogico, che l’avrebbero spinta magari ad andarsene senza neppure provare. Niente di ridicolo, niente di ostentato, solo una ventata di incenso, poltrone piuttosto comode e una luce gradevole. Madame Luna Calante è tinteggiata con i colori che si addicono al suo nome. Il vestito azzurro come il cielo, i capelli biondi (in ogni caso chiari, come la luna) e le unghie candide, come il chiarore lunare. Il tavolo ricoperto di verde come la terra, verso cui la luna si protende. La sua voce è carezzevole, dà un senso di sicurezza e di tranquillità al quale Helen tenta disperatamente di aggrapparsi senza riuscirci, quasi che la sua mente cerchi di ricordarle che si è cacciata in una situazione assurda e ridicola. Inaccettabile. Lei che si abbassa a credere al responso delle carte. Eppure qualcosa la spinge a sperare che Madame abbia una soluzione definitiva al suo problema. Ci si afferra, a questa speranza, perché la chiromante è l’ultimo appiglio a cui può aggrapparsi.
Helen vuole una risposta sicura che la donna non può darle. Le sue spiegazioni non sono chiare e precise, quello che dice a lei potrebbe dirlo a chiunque. Helen si innervosisce, ma forse non tanto con la signora Calante, quanto per il fatto che inizia a capire che non sarà lì che troverà una soluzione.
In definitiva questo capitolo è bellissimo, più leggero, con Madame che fa quasi ridere, Helen che fa quasi pena e le carte che appaiono una dopo l’altra e fanno quasi trattenere il fiato, perché non si sa quale sarà la prossima che verrà pescata e che significato avrà.
NOTTI FREDDE, BUIE, SOLITARIE … E INSANE
Alla fine del capitolo precedente Helen, nonostante qualche moto di stizza iniziale (forse un’ultima traccia di ribellione da parte di ciò che resta della sua razionalità) accetta di buon grado le spiegazioni della chiromante. Chissà, probabilmente si mette l’anima in pace e decide che in qualche modo riuscirà a cavarne qualcosa per liberarsi del sogno. Madame le dice che solo da sveglia troverà una risposta a ciò che l’angoscia durante la notte. Ora come ad Helen sia venuto in mente di andare a cercare lo scheletro nel cimitero non lo so. Forse è stata la carta della Morte rimasta sul tavolo, che ha guardato un’ultima volta prima di congedarsi, a darle quell’indicazione fasulla. Helen non si pente di essere andata da Madame, ma scopriremo poi che ciò che ne ha guadagnato è un madornale errore. Insomma, non c’ha capito un fico secco: e come avrebbe potuto fare altrimenti? Madame non è stata sibillina, di più. Da quella visita Helen ha guadagnato solo una cosa: riuscire a dormire per una volta non proprio tranquilla, ma almeno rassegnata.
Già nelle prime righe del capitolo ci ritroviamo di fronte alla sua determinazione, al suo ribadire di essere una donna piena di certezze. Si sveglia pronta, ha già in testa la sua idea. Sa come e quando dovrà reagire, in pratica è convinta di aver capito tutto, che la notte successiva la sua sofferenza finirà. Ho trovato questo suo atteggiamento carico di presunzione, ma anche come un modo per liberarsi dall’angoscia visto che il mistero, lei crede, sta per essere risolto. E infine un altro tipo di sollievo che viene dal significato delle carte. Helen prende coscienza di qualcosa che aveva intuito fin da subito (a parte quella parentesi di terrore paranoico con cui torna a casa dalla biblioteca): lo scheletro non vuole farle del male, vuole soltanto comunicarle “un cambiamento”.
Dunque è sicura che troverà la risposta alla carta della morte nel luogo di morte (il cimitero), un’associazione di pensiero che ora mi sembra molto più plausibile se accostata al tarocco. Chissà cosa avrebbe fatto se non fosse andata da Madame Luna Calante. Probabilmente, da “testarda” qual è avrebbe continuato a cercare una spiegazione, ma forse non si sarebbe ridotta a passare notti e notti nel cimitero. Helen è determinata a continuare sulla strada che in fondo si è costruita da sola finché non troverà la risposta di cui ha tanto bisogno.
Mi pare indicativo del suo turbamento il fatto che lei si accosti al cimitero già di giorno, studi il territorio quando è ancora aperto al pubblico e non le incute timore. Ed è anche un aspetto della sua mente razionale a spingerla a pianificare l’esperienza in ogni particolare.
La sua prima notte nel cimitero è relativamente tranquilla, a parte il sussulto al gracchiare del corvo. Ancora spera, Helen, di avere presto una risposta ai suoi quesiti. Neppure si dispera troppo quando capisce che dalla prima notte non otterrà niente. Vagare nel cimitero a caso, munita della sola torcia, l’ha soltanto infreddolita. Ma lei sa che dovrà avere pazienza, un sogno complicato non può risolversi così facilmente. Cosa si aspettava, in fondo? Di veder spuntare uno scheletro dalla tomba, risorto solo per parlarle? Chissà…
La terza notte cominciano a farsi strada in lei le prime perplessità che però mette subito da parte. Helen vuole trovare la risposta nel cimitero. La cerca lì, disperatamente, mentre i giorni si susseguono e lei diventa preda di una nuova paranoia. Vuole trovare assolutamente la soluzione del suo problema tra le tombe, si aggrappa a questa speranza soltanto perché non ha nessuna idea di dove altro cercarla. Non può che essere lì e se lì non c’è lei è perduta, non si libererà mai di quell’ossessione. Persevera contro ogni logica, passa al cimitero una notte dopo l’altra. Il fatto poi che non dorma più, l’allontana ulteriormente dal mistero perché lo scheletro, che si presenta soltanto nel sonno, ora smette di comparire. Nel cimitero, tra le tombe, non si è trasformato in una presenza reale e in più è scomparsa la presenza onirica che era portatrice di un messaggio. Al massimo della confusione, Helen ricomincia a porsi al centro del suo problema. Torna di nuovo ad ignorare i genitori, la sorella, la sua compagna di appartamento, l’università. Di nuovo si isola perché lo scheletro non soltanto è presagio e comunicazione di qualcosa che la riguarda, ma perché forse le è entrato dentro. Si guarda le ginocchia, si sente dimagrita e in un attacco di spavento immagina addirittura che lo scheletro sia in lei, che la figura che ha sognato, quella pelle attaccaticcia alle ossa col teschio che ciondola, è ciò in cui lei presto si trasformerà. Insomma, Helen è decisamente fuori strada, continua a dimostrarsi troppo concentrata su se stessa e sulla convinzione di restare nel cimitero perché prima o poi qualcosa succederà. Insomma, se lì la soluzione non c’è, cosa aspettia a cercarla da un’altra parte?
Ma niente… resta, persiste, finché crolla in un misto tra stizza e follia. Helen sta gelando, il freddo le è entrato nelle ossa, non sente più i piedi e lo scheletro, dopo lunghe notti insonni passate all’addiaccio, non si è ancora fatto vedere. Allora ha un attacco isterico, di pura follia e comincia a piagnucolare, infine a gridare, chiedendo alla presenza di farsi finalmente vedere. La sua coscienza non ne può più, tanto farla da regredire fino all’infanzia (il gesto di succhiarsi il pollice). Helen ha bisogno di tornare a vivere, di riemergere dal buio in cui si trova. Anche se in un modo diverso, le sue notti continuano ad essere un vero incubo. Arrivata l’alba che è stremata. Helen non ne può più, ma non riesce a non comportarsi come sta facendo. È come se non avesse scelta. Ho notato anche una specie di stacco tra le prime visite al cimitero, piene di una certa speranza che pian piano va scemando, e le altre che lei sembra affrontare con rassegnazione. Me lo ha fatto pensare il fatto che lei, prima di affrontare il secondo “ciclo” di visite al cimitero, si rimetta in sesto, ritorni a mangiare qualcosa. È come se si rassegnasse a dover aspettare ancora a lungo per trovare la soluzione.
Col passare del giorni, o meglio delle notti, Helen si è talmente abituata a non trovare nulla, né una presenza né una risposta, che quando finalmente qualcosa succede non è preparata ad affrontarla e la prima cosa che fa è scappare. Qui, nonostante la tragicità del momento, c’è da sorridere. Ma come, Helen! Forse hai davanti ciò che cerchi da mesi e fuggi via? È chiaro che Helen è un bel po’ tutto fumo e niente arrosto. La corazza di certezze e di forza che si è costruita (già messa a dura prova dall’incubo) si infrange in mille pezzi alla prima difficoltà e lei si dimostra totalmente incapace (come del resto ha fatto dalle prime comparse del sogno) di affrontarla. Insomma, Helen si prende un bello spavento! Altroché!
SCHELETRO
La citazione del sogno subito all’inizio dell’ultimo capitolo è un chiaro messaggio sul fatto che ormai siamo vicini alla soluzione del problema. Sappiamo che presto Helen troverà le sue risposte.
Da questo momento in poi il sogno non si presenterà più e nella sua ultima apparizione sembra quasi scatenarsi un’ultima volta con tutta la sua potenza. Helen fatica non poco a riemergerne e non soltanto perché non riposa bene da mesi. Il sogno l’avvolge stretta perché in quel momento si lega indissolubilmente alla realtà, s’intreccia all’incubo reale. Per la prima volta nella mente di Helen lo scheletro del sogno emette un rumore e lei ha bisogno di svegliarsi per riuscire a capire che questo proviene da altrove. Nel momento in cui entra in bagno e vede la sorella, viene scossa da un moto di preoccupazione ma anche di raccapriccio. Mi viene da pensare che se lo scheletro non le fosse comparso tutte le notti in sogno non avrebbe avuto questa seconda reazione. Ma ora la sua mente, consciamente o inconsciamente, non può evitare di collegare il corpo magrissimo ed emaciato della sua adorata Sarah, allo scheletro dell’incubo. La repulsione che prova per lei è tale che la nausea le attanaglia lo stomaco. Anche quando la sorella l’abbraccia in cerca di non so bene cosa, forse di comprensione e rassicurazioni, Helen vorrebbe fuggire a gambe levate tanto è l’orrore che il contatto con le sue ossa le provoca. Il fatto di chiudere gli occhi e limitarsi ad ascoltare i deliri di Sarah sia anche un modo per difendersi dalla sua vista. Mentre la tiene stretta a sé finalmente Helen si rende conto del suo madornale errore. Era talmente presa da se stessa da non prendere neppure in considerazione il fatto che il messaggio che lo scheletro stava cercando di comunicare non riguardasse lei. È una beffa crudele, questa. Ora a Helen non rimangono altro che le “lacrime e una sorella anoressica”.
La situazione è talmente irrecuperabile, ormai, che da lì passiamo direttamente al giorno della morte di Sarah dove il destino beffardo non fa altro che ripetere passo passo il sogno ricorrente di Helen. Il sogno non compare più, ora che il suo significato è stato svelato. Ma è stato davvero presagio di cambiamento, perché Helen non può tornare lo stesso alla sua vita precedente: spinta dall’affetto, dall’amore ma anche, probabilmente, dal rimorso per non essere riuscita a stare vicina alla sorella nel momento del bisogno, lascia la sua vita indipendente per tornare a vivere dai genitori e smette di frequentare l’università per prendersi cura di lei a tempo pieno. I sentimenti che prova verso la sorella-scheletro sono ormai di confusione totale perché a tutto l’affetto del mondo, si è aggiunta una collera violenta che la spingerebbe a prenderla a schiaffi. Un gesto che potrebbe aiutarla a sfogare l’impotenza scatenata da quell’assurda situazione, dal fatto di non poter fare più niente per aiutarla. Avrebbe dovuto esserci prima, per lei, non quando ormai è troppo tardi. In Helen troviamo la naturale, plausibile e totale incomprensione per le scelte di Sarah. Helen non capisce cosa e perché l’abbia spinta verso quel suicidio. È inconcepibile, inaccettabile e profondamente ingiusto.
Più il tempo passa e più Sarah diventa pelle e ossa e il senso di ribrezzo e raccapriccio che Helen prova nei suoi confronti si fa più insopportabile, quasi ingestibile. Mentre le accarezza la fronte mi sembra quasi di vederla stringere i denti pur di ricacciare l’orrore dentro di sé e mostrarsi una sorella premurosa e affettuosa.
Il suo autocontrollo si sbriciola il giorno in cui, quasi per caso, si ripete la scena che Helen ha sognato per mesi e mesi. Sua sorella avanza nel corridoio, il corpo emaciato, ormai praticamente uno scheletro, senza più la forza non solo di camminare ma di tenere su la testa che ricade in avanti. La sua “camminata di morte”, il suo sguardo vuoto con cui la fissa, fanno ripiombare Helen nell’incubo che aveva quasi dimenticato ma che adesso le si para davanti in tutta la sua crudezza, nel pieno del significato. Prima lo scheletro non era niente, era la rappresentazione di un messaggio. Ora lo scheletro è la sua adorata sorella, ormai in fin di vita. Questa consapevolezza si fa strada in Helen con un orrore tale che invece di prestarle soccorso, si ritrova di nuovo, e per l’ultima volta, a fuggire. Ma non c’è niente da fare. Il sogno si avvera come un presagio, Sarah le rovina sopra e muore lì, su di lei, bloccandola a terra urlante, finché i genitori non le ritrovano.

Nuovo recensore
09/07/15, ore 12:02

Per dare un “ordine” alla mia recensione, ho pensato di suddividerla e concentrarmi su un paragrafo alla volta. Sappi che in questo momento, al di là del tema trattato, leggere un racconto ambientato in gennaio dove la neve ha tanto spazio, è davvero rinfrescante.
1 – LAURIE: “La neve ricopre il passato, ma non lo cancella.”
Il racconto si svolge interamente durante le vacanze di Natale, quello che dovrebbe essere un periodo di gioia e che invece la famiglia di Laurie deve trascorrere in modo separato. Lei e sua madre dalla zia, sua sorella Leyla e il padre nella loro casa di Edimburgo. Questo perché, ma lo scopriremo più avanti, Leyla non sopporta di mettere piede nella casa della zia materna dopo lo shock subito da piccola. La narrazione si apre con un’immagine bellissima, quella di una bambina vestita di rosso che cammina nella neve. La palla di vetro, che viene rievocata più tardi nel sogno di Laurie, secondo me è perfetta anche per questa scena iniziale in cui lei procede nel silenzio, circondata ovunque dalla neve, quella che ricopre tutto e quella che continua a cadere. Anzi, se vogliamo rimanere in tema di palle di vetro, direi che prima di iniziare il racconto, a questa palla è stata data una bella scossa perché sembra che Laurie stia camminando da un po’. Il suo cappottino “natalizio” si è già ricoperto di fiocchi candidi, la neve è penetrata nelle scarpette e le sta gelando i piedi. Ma con la tipica testardaggine infantile, Laurie continua ad andare avanti, procedendo d’istinto verso qualcosa (non sa neppure lei cosa) che l’attrae. Non ha paura di allontanarsi dalla casa della zia, l’unica cosa che teme sono i rimproveri della madre che l’ha persa di vista. La neve le piace, è un sogno, rappresenta il bianco del paradiso. L’attira al punto che vuole assaggiarla anche se, insapore e gelata com’è, non ne rimane particolarmente entusiasta.
A chiudere l’avventura tra la neve è l’apparente fortuito ritrovamento del topo di pezza. Laurie lo prende e se ne appropria senza pensarci troppo. Da brava bambina qual è, dà una nuova casa al giocattolo che qualche altro bambino deve aver perduto. Dopodichè, il freddo comincia davvero a farsi sentire e il vento la spinge, quasi con sollievo, verso la casa della zia. Da questo momento il topolino diventa “la chiave” che comincia ad agire facendo scaturire dentro di lei intuizioni (la chiave, la porta), sensazioni e sogni. Ed è appunto attraverso un sogno che Laurie ha la visione di una bambina vestita di verde, una bimba che lei non sa essere la sua sorellina perduta. Un evento quasi magico, caratterizzato da una neve sottilissima che potrebbe quasi rompersi, dall’impossibilità di tornare indietro e dai fiocchi che, invece di cadere dall’alto verso il basso, girano in tondo. Lo spirito di Hillary che sembra non riuscire a trovare pace, crea quasi una magia e decide di farsi vedere da Laurie, di mandarle dei segnali. Sceglie Laurie, una bambina come lei, forse proprio per la sua simile età, perché i bambini non sono ancora disincantati come gli adulti e credono a ciò che vedono e accettano il possibile e l'impossibile senza farsi troppe domande. Credo che sia questo il motivo per cui Hillary si sia mostrata a Laurie, a parte il fatto che Leyla ormai l'ha dimenticata (direi piuttosto "cancellata" più o meno consapevolmente).
Ma Laurie ancora non riesce a interpretare il significato del ritrovamento del topolino e tantomeno il messaggio che Hillary le trasmette attraverso il sogno. Anche perché, nel momento in cui cerca di saperne di più chiedendo il nome alla bambina, questa è sparita. In compenso, dal cielo, cominciano a cadere fiocchi di neve rossa.
2 – HILLARY: “La neve cade, ricopre, ma non cancella. Però nasconde, alla vista come alla memoria…”
A dimostrare quanto sia stretto il legame tra le due gemelle, il capitolo in cui tratti il punto di vista di Leyla è intitolato Hillary. Un chiaro segno, mi pare, che questo legame sia sopito ma ancora esistente. E infatti basta un input per risvegliarlo. Apro parentesi su una tua riflessione, su cui mi trovi perfettamente d’accordo: il primo gennaio è un giorno stranissimo in cui ci si aspetta che qualcosa, cominciato il nuovo anno, debba cambiare e invece tutto sommato la giornata prosegue come tante precedenti.
Anche Leyla procede per immagini: come la sua mente entra in collegamento con il topolino, ecco comparire la neve rossa, la porta rossa. Rosso è anche l’abito che indossava Laurie al momento del ritrovamento del topolino, rossa è la neve che cade dal cielo dopo la scomparsa di Hillary che è apparsa nel sogno di Laurie. Bianco e rosso, due colori che rappresentano un legame con la tragedia della bambina scomparsa.
White Key (il topolino bianco, la chiave di pezza), con la sua ricomparsa, manda il cervello di Leyla in confusione, tanto che la sua voce si spezza mentre chiede a Laurie di non far parola a nessuno del suo ritrovamento. Poi Leyla ha bisogno di alzarsi, di chiudersi in camera con il topolino, di raccogliere le idee che sembrano girare in tondo. All’inizio lo shock è tale che riesce soltanto ad ascoltare il suono inudibile della neve che cade dentro la sua testa (cioè il massimo della confusione). È stata tanta, tantissima neve, ad aver cancellato i ricordi di Leyla e ora che il topolino di pezza è incredibilmente saltato fuori, deve per forza mettersi a scavare per recuperare ciò che ha deciso di dimenticare. Perché se il topolino è scomparso e riapparso, ci deve essere un motivo.
Una delle prime sensazioni che scaturiscono dai ricordi di Leyla sono la gioia di quel giorno spensierato di tanti anni prima e l’attrazione per la neve, così forte da trascinare lei e Hillary fuori dalla casa della zia. Per loro due, come per Laurie e come per tutti i bambini, la neve rappresenta una tentazione irresistibile.
I ricordi del giorno della scomparsa di Hillary riaffiorano con forza ma il dolore di Leyla si incentra tutto sul fatto di aver completamente dimenticato che undici anni prima lei aveva una gemella. E questa rappresenta una tragedia ancora più grande della sua scomparsa, qualcosa di imperdonabile, di terribile. E se Leyla bambina sceglie di dimenticare la sorella come una sorta di difesa allo spezzarsi di un legame tanto forte, il suo inconscio aveva tentato di impedirle di dimenticarla e aveva continuato, per mesi, a ricordargliela insieme allo spirito inquieto di Hillary che aveva tentato di mandarle dei segnali. Perché altrimenti l’urlo, il sangue, la porta rossa? Nonostante ciò, Leyla non era riuscita a stringere un legame con lei, come se il dolore per la sua scomparsa le avesse annebbiato tutti i sensi. E così, dopo tanti anni, Hillary ci aveva riprovato ed era riuscita a creare un collegamento con Laurie quando Leyla, ormai cresciuta, sarebbe stata in grado finalmente di capire.
3 – JAMIE: “la neve non cancella, ma ricopre e nasconde, e può celare a fondo.”
Con il ritrovamento della chiave di pezza e dei ricordi che la sua coscienza (o la neve?) aveva cancellato, la sedicenne Leyla si sente investita del terribile compito di fare luce sulla scomparsa della sorella. Si rende conto che per raccapezzarsi ha bisogno dell’aiuto di un adulto, ma non vuole mettere in mezzo sua madre, che ha tanto sofferto per la scomparsa di Hillary e a cui non desidera infliggere altro dolore, anche perché, se è vero che dopo tutto questo tempo “qualcosa” si è risvegliato, è vero anche che non sa assolutamente dove la porterà la magica ricomparsa della chiave di pezza. Leyla, a questo punto, non può fare altro che destreggiarsi tra ricordi sopiti, immagini dei sogni e intuizioni forse scaturite direttamente dal pupazzo.
Come siano andate realmente le cose, in quel lontano 13 febbraio 2001, è piuttosto semplice. Leyla e Jamie sono già arrivate alla soluzione dopo le prime ipotesi. Le due bambine stavano giocando a nascondino, Hillary si è allontanata, qualcuno, che era nascosto, l’ha rapita, il pupazzo le è caduto di mano ed è rimasto nascosto per tutti quegli anni, finché Laurie non lo ha trovato. In tutto questo però rimangono una serie di interrogativi insoluti. Chi? Perché? E soprattutto, che fine ha fatto Hillary? Che poi, secondo me, nonostante tanta linearità, accenni di paranormale rimangono. Come fa, il pupazzo, dopo essere rimasto abbandonato chissà dove per undici anni, tornare nelle mani di Laurie pulito e ancora tutto intero? E perché le apparizioni nei sogni di Leyla, con il sangue, la porta rossa e la neve rossa? E perché l’apparizione della bambina col vestito verde, sepolta nella neve, sorridente nonostante l’idea che mi ha dato sia quella di una morta distesa in una tomba? Insomma, da qui in poi le domande si sprecano e la voglia di arrivare alla fine della storia si fa sempre più impellente. La curiosità che hai seminato già da queste poche scene, spinge sicuramente ad andare avanti.
Per cui proseguiamo. Jamie è un’amica di famiglia, affezionata alla madre di Leyla, affezionata a Leyla stessa, che non si tira indietro alla sua richiesta d’aiuto. Secondo me dentro il suo cuore non ha mai abbandonato il caso (chiaramente i casi insoluti rimangono vivi come spine nel fianco) e ora è dispostissima a rimettersi a investigare. Si fida ciecamente delle sensazioni di Leyla, non mette in dubbio la sua parola e mi sembra anche felice che la ragazza non abbia intenzione di tirar dentro nessuno, né i genitori, né la polizia. Questo permetterà, secondo Jamie, di proseguire attraverso strade non ufficiali che consentiranno loro di percorrere sentieri alternativi.
Leyla capisce che riaprire vecchie ferite e riprendere la ricerca porterà nuovo dolore ma nello stesso tempo anche più serenità a tutti. Una volta scoperto che fine abbia fatto Hillary, sia lei stessa che la sua famiglia potranno affrontare il suo ricordo più serenamente, senza timore di aver lasciato in sospeso qualcosa, senza la paura di non aver potuto far niente per aiutarla. Una verità, anche terribile, sarà comunque un modo per raggiungere una sorta di rassegnazione.
L’ultima parte del capitolo, nonostante tutte le aspettative e la curiosità che sono scaturite sugli esiti futuri delle ricerche di Leyla, permette di tirare solo un secondo il fiato e di godere appieno del rapporto carico di affetto tra le due sorelle.
4 – LEYLA: “in certi casi è più facile lasciare che la neve scenda e ricopra tutto. Non importa che non cancelli.”
Il capitolo dedicato a Leyla, colei che ha il compito di investigare sulla sparizione di Hillary, guarda caso introduce e presenta Josh Scott, un poliziotto dall’aria schiva e misteriosa che, come vedremo più avanti, sarà il personaggio chiave per la risoluzione del mistero. Mi chiedo se l’attrazione improvvisa e quasi inspiegabile che Leyla prova nei confronti di Josh non scaturisca in qualche modo anche da ciò che l’uomo rappresenta (cioè il suo essere risolutivo nel comprendere la verità della scomparsa della sorellina), come se anche questo fosse un segnale, oltre all’apparizione di Hillary, che deve indicare a Leyla la strada da seguire. Infatti questa attrazione è immediata, repentina. Non serve che Leyla gli parli, la prova a pelle, subito, soltanto a vederlo. E, come è successo quando era bambina, quando ha represso i segnali che le mandava Hillary e si è rifiutata di ascoltarli lasciandoli cadere nel più completo oblio, anche ora si trova a reprimere le sensazioni che prova nei confronti di Josh, pensando che lei non è lì per sedurre o lasciarsi sedurre da un poliziotto trentacinquenne, ma per svelare il mistero della scomparsa della sua sorellina. In fondo quando Leyla spera di diradare sentimentalmente le tenebre che avvolgono Josh, non si allontana molto da ciò che effettivamente succederà, anche se è con una sorta di ironica presa in giro che lei si augura di riuscire a risolvere il mistero del poliziotto, scovando nella sua personalità qualcosa di decisamente affascinante. Da quando Josh compare, inizia il momento del depistaggio. Dopo l’incursione alla stazione di polizia, i documenti che Jamie e Leyla riescono a visionare cominciano a portarle verso una strada sbagliata. Eppure tutto sembra collimare, l’arresto di Paul Gallant, un uomo che rapiva bambini per “ridistribuirli” in una rete di adozioni illegali, il fatto che l’uomo abbia operato in tutto il paese per oltre vent’anni (per cui non si esclude il periodo della scomparsa di Hillary) e infine ciò che a Leyla sembra più significativo, il fatto che nell’abitazione dell’arrestato si acceda attraverso una porta rossa come quella che ha visto in sogno. Per Jamie e Leyla tutte queste coincidenze devono per forza significare qualcosa. A questo punto la ragazza si ritrova quasi lacerata, costretta com’è a passare dalla certezza inconscia del sangue e dell’urlo che nei sogni le indicavano che Hillary fosse ormai morta, all’evidenza dei fatti, portatrice non solo di speranza, ma anche timore e ansia che la sorella sia ancora viva, da qualche parte, lontano da lei.
Emozioni non del tutto positive che vanno a cozzare con un’euforia scatenata da tutt’altro, vale a dire il poter condividere la stessa abitazione del poliziotto. I violenti sentimenti che il ritrovamento della chiave di pezza ha risvegliato in Leyla, fanno quasi un tutt’uno con le emozioni incontrollabili e inspiegabili del primo innamoramento di un’adolescente. Il cuore di Leyla batte forte, batte il doppio, sia per gli avvenimenti che sta vivendo, sia per la presenza del misterioso poliziotto che la porta a provare sensazioni che fino a quel momento non ha mai sperimentato.
5 – PAUL GALLANT
La speranza che Hillary sia viva si fa sempre più forte mentre Leyla attende di poter parlare con l’uomo arrestato. E mano a mano che ci pensa, nella ragazza cominciano a mettere radici un barlume di speranza e un accenno di felicità. La sorellina potrebbe non essere morta, come invece le avevano fatto credere i suoi sogni, potrebbe essere ancora viva, forse presa in adozione da un’altra famiglia. Potrebbe vivere felice da qualche altra parte.
Durante l’interrogatorio Leyla sembra quasi lacerarsi in due, il terrore che prova nei confronti del brutto ceffo che ha davanti e il desiderio di avere accanto la figura rassicurante di Josh di cui si infatua ogni giorno di più, al punto che nei suoi sogni sostituirà la figura della sorellina scomparsa.
Leyla assiste all’interrogatorio di Jamie ma non riesce a resistere, presa dal disgusto di un pensiero, dall’accusare Gallant di aver stuprato e ucciso la sua sorellina, mandando quindi a carte quarantotto i tentativi di Jamie di aiutarla e finendo per discutere e litigare con la sua unica alleata. A quel punto a Leyla, affranta, non rimane altro che insistere per farsi portare a casa dell’accusato e verificare di persona se all’interno dell’abitazione è presente il sole-luna da parete, che è entrato nel suo sogno ed è andato ad allungare la lista degli indizi che potrebbero condurla alla soluzione di tutto. Stringendo la chiave di pezza al petto, Leyla, chiusa nella propria stanza, piange di frustrazione, perché sente di essere arrivata molto vicino alla verità e non vuole abbandonare tutto. A quel punto l’uomo chiave esce dal suo mutismo e si svela in tutta la sua ambiguità. L’offerta di aiuto di Josh, che a parole impiega un secondo per irretire una ragazzina che ha già perso la testa per lui, arriva nel momento giusto per risolvere il problema di Leyla. Il poliziotto, che ancora non sa nulla di ciò che le sue due ospiti stanno cercando, si offre di condurla nell’abitazione di Gallant per un rapido sopralluogo. Tanta disponibilità insperata trasforma in un attimo l’infatuazione in amore.
In questo capitolo non ci sono particolari accenni alla neve, il leitmotiv non si ripete, forse perché in fondo quella intrapresa è una strada che non porterà da nessuna parte se non a capire che nelle deduzioni di Jamie e Leyla c’è qualcosa di sbagliato.
6 – LA PORTA ROSSA: “una neve che non cancellava, ma avrebbe coperto ancora e ancora, finché non si fosse notato più nulla.”
L’abitazione di Gallant si presenta come una delusione di Leyla traspare in tutta la sua forza. Non è riuscita a svelare il mistero della scomparsa della sorellina e arriva anche a darsi della stupida per aver sperato di riuscirci. Il suo viaggio a Bonnyrigg non è servito a niente se non a gettarla prima nella speranza e poi nella frustrazione più completa. Del resto, pensa Leyla, come poteva sperare, lei, una ragazzina, di risolvere in pochi giorni un problema di cui la polizia, che ha investigato per anni, non è riuscita a venire a capo? Si sente proprio, qui, tutta la sua frustrazione, si percepisce quanto Leyla sia affranta e depressa perché se non è stato Gallant a prendere Hillary, non la ritroverà mai più. Il sogno che fa durante la notte può sembrare quasi una specie di conforto prima della partenza. Come se, non avendo trovato la sorellina, la sua fatica viene almeno compensata con il “ritrovamento” di Josh. Ammetto che la prima volta che ho letto la storia eri riuscita a convincermi che l’amore tra loro accadesse davvero ed ero rimasta stupita, quasi scioccata, dal comportamento dell’uomo che finora aveva agito sempre in modo corretto e irreprensibile nei confronti di Leyla e di Jamie. E poi, all’inizio, quando lo avevi presentato, avevi fatto quasi intuire che tra lui e Jamie ci fosse stata una mezza storia, quindi non riuscivo a capacitarmi che il sogno fosse realtà. Ma del resto hai colto perfettamente, con queste poche righe così delicate e realistiche, quali sono i sogni e le speranze di una ragazzina che possono trasformarsi in realtà solo nel momento del sonno. Così, come all’inizio Leyla sogna di ritrovare Hillary (cosa che non avverrà), Leyla sogna di avere Josh (altra cosa che non avverrà). Insomma, mentre da una parte i suoi sogni sono veritieri e sparpagliano indizi, dall’altra sono ingannevoli perché le fanno percepire una realtà onirica che non si avvererà mai. In definitiva, la chiave di pezza che la ragazza continua a stringersi spasmodicamente addosso nei momenti più critici o quando è più in ansia, è servita fino ad un certo punto. L’ha introdotta su una strada che però è piena di false piste e Leyla sta procedendo a tentoni, in attesa di una svolta risolutiva che teme che ormai non ci sarà più.
È quindi per puro caso che il terribile mistero della scomparsa di Hillary viene svelato. L’ultima parte della storia fa venire davvero brividi e ansia per la sua crudeltà. Finisce per essere in un certo senso proprio Josh stesso, con la rottura della statuetta che Leyla associa a lui, a far sì che la verità venga finalmente a galla. E oltre ad esserne l’input, la statuetta è anche la rappresentazione della rottura, che avverrà di lì a qualche momento, dell’immagine idealizzata che non solo Leyla ma anche l’intera società (lui è un poliziotto) si è fatta di quest’uomo. La scoperta poi le risulta talmente agghiacciante che in un attimo non solo l’amore che provava per lui si sgretola, ma lo dimentica completamente, facendolo scomparire dalla sua coscienza.
EPILOGO: “la neve nasconde, ma non cancella; se si scava a fondo la vita può tornare alla luce, anche attraverso la morte.”
Infine, dopo tutto questo orrore, una tranquilla e serena rassegnazione spinge Leyla ad andare con Laurie al cimitero per un primo (di tanti altri futuri) incontro con la tomba di Hillary. E Laurie “spezza” il legame che attraverso la chiave di pezza aveva avuto con la bimba scomparsa, restituendole il pupazzo in un gesto davvero molto commovente.

Hai descritto in modo perfetto lo strettissimo legame (sopito ma ancora esistente che ha bisogno di una scossa per essere risvegliato) che unisce la gemella vivente alla sorella scomparsa, un legame che continua a persistere anche se una delle due ormai è morta da anni. Lo spirito di Hillary cercava la pace e per averla sentiva il bisogno che chi le aveva fatto del male e stava continuando a farne, venisse fermato e punito.
Questo racconto, oltre a contenere spunti di drammatico e di macabro, contiene gli indizi tipici del giallo, che si fanno strada nella narrazione uno dopo l’altro, dando la possibilità a Leyla di arrivare per tappe alla spiegazione finale.
Tra tutti ho apprezzato in particolar modo il personaggio di Laurie. Anche se non è lei la protagonista, l’hai tratteggiata in modo bellissimo, fresco, ingenuo. La sua naturale spontaneità infantile non le permette di avere paura della strana bambina che incontra sulla neve ma le fa temere che la mamma sia stata in pensiero per la sua sparizione improvvisa e che qualcuno la sgriderà perché ha raccolto il pupazzo e l’ha portato con sé. Laurie è perfettamente in grado di mantenere il segreto che le impone Leyla, accetta senza riserve, da un giorno all'altro, la presenza di una sorellina che non ha mai conosciuto e decide di accompagnare la sorella maggiore al cimitero per dare l'ultimo addio a Hillary. E poi, quando la fai parlare, sembra davvero di sentire le parole di un bambino.
Per concludere questa lunga recensione, che la storia si merita tutta, il tuo stile è come sempre scorrevolissimo e si va avanti con piacere.

Nuovo recensore
26/05/15, ore 15:25
Cap. 2:

Ciao Kiki, sono arrivata finalmente alla seconda storia. Sono stata contenta di rileggerla, ho fatto caso a molti particolari che nella prima lettura mi erano sfuggiti e ti dirò, il fatto di sapere come finisce il racconto non mi ha assolutamente tolto il piacere di leggerlo. Protagonista è di nuovo il rapporto disuguale tra due sorelle, che sfiora gli eccessi sia da una parte che dall'altra. Liz super-adora la sorella maggiore, sproporzionatamente direi, visto che viene praticamente ignorata, se non schernita, dall’altra. Questa mancanza di reciprocità nell’affetto sconfinato che prova per Keira, non affievolisce in nessun modo l’amore straripante che ha per lei. La idolatra pure nei difetti, scusa ogni suo comportamento, la difende sempre e nonostante l'esempio dei genitori (che puniscono e rimproverano spesso Keira) non riesce a vedere oltre i sentimenti di affetto che la legano morbosamente a lei. Per Liz la felicità di Keira è la sua, prova nei suoi confronti una venerazione totale e anzi è felice di assecondarla nelle sue richieste, convinta che non facendo i capricci ed obbedendo ai suoi desideri, sua sorella le vorrà più bene.
Keira rappresenta il suo esatto contrario, e fin dalle prime battute si capisce che Liz, a otto anni, ha più sale in zucca di lei. E non si tratta soltanto di un’irresponsabilità nel comportamento, dei suoi casini adolescenziali che la portano di continuo a disubbidire ai genitori e fare cose proibite. In Keira trasuda un’insofferenza profonda nei confronti della sorellina. Per Keira, Liz è insignificante, fessa, scema, noiosa, sfigata. L’atteggiamento odioso che ha nei suoi confronti non è giustificabile con la sua età. Neppure se si tratta di un momento, quello dell’adolescenza, in cui i ragazzi diventano ingestibili e fanno il contrario di tutto ciò che si dice loro, girando a largo da prudenza e buonsenso. Dovrebbe essere naturale essere protettivi nei confronti dei fratelli o delle sorelle più piccole, anche se a volte non si sopportano con le loro pretese e con i loro capricci, soprattutto perché di solito i genitori danno sempre ragione al più piccolo e lo coccolano e lo viziano in modo indecente (con le ovvie eccezioni). Ma Keira va al di là di tutto questo. Lei la sorella non la vede, la ignora, non la sopporta, la schernisce, la usa in ogni modo per i suoi fini. Se ne serve per rabbonire i genitori e arriva ad inveire contro sua madre perché sta educando Liz ad essere una brava bambina. Keira non snobba la sorellina solo quando ci sono le sue amiche e si diverte, lo fa sempre, abitualmente. Keira è fondamentalmente una ribelle, in piena crisi adolescenziale, che nel suo caso si manifesta in modo persino eccessivo. I valori di Keira sono improntati al più profondo egoismo e superficialità. La sua una filosofia è rappresentata dalla frase “meglio pensare a se stessi prima che agli altri”. È una ragazza vuota che non dà importanza a niente se non alle cose futili. Al suo confronto, Liz ha dei pensieri molto più profondi e maturi (anche se presentano chiaramente sfumature infantili, come è giusto che sia), nonostante la sua giovane età, di Keira e le amiche tutte insieme.
Ho trovato comica la conversazione tra le adolescenti riunite in casa, le loro frasi sgrammaticate, i termini sbagliati e il gergo tipico della loro età. Mi è piaciuto moltissimo come sei riuscita a rendere i loro botta e risposta e i loro atteggiamenti. Calzante anche l'ambientazione della discoteca, mentre leggevo mi sembrava quasi di sentire la puzza di sudore di quei corpi accaldati che si muovevano al ritmo della musica. Qui è l’unico momento in cui la sicurezza dell’affetto di Liz verso Keira vacilla. La paura della bambina è tale che persino a lei cominciano a venire dei dubbi sull’intelligenza e l’affidabilità di Keira. Poverina, ci prova in tutti i modi ma è molto combattuta se dare o meno la colpa alla sorella per la brutta situazione in cui si trova. È chiaro che è sconvolta ogni sua certezza, ogni sua sicurezza (vale a dire l’affetto che prova per Keira) comincia a crollare, per poi risolidificarsi non appena la rincontra sana e salva.
Nella parte finale all’ospedale ho trovato azzeccato lo spazio che hai lasciato come interlinea nella parte finale della conversazione di Keira con la madre, quando la ragazza si risveglia. Lo spazio bianco fa sentire la tensione e fa venire i brividi.
Essendo questa una seconda lettura del racconto, sapevo già che con l’incidente Liz non sarebbe morta e ribadisco, come ho già fatto in altra sede, che questa è la giusta punizione che Keira si merita. Una sorella morta Keira se la sarebbe presto dimenticata e i sensi di colpa si sarebbero affievoliti col tempo. Invece ridotta in quello stato l'avrà sempre davanti, a ricordarsi per tutta la vita quanto è stata irresponsabile e incosciente. Anche se è uno strazio il fatto che per la stupidità della sorella maggiore ci abbia rimesso la minore, un’innocente che continuerà ad amare incondizionatamente chi l'ha resa un'invalida per sempre.

Nuovo recensore
12/05/15, ore 14:58
Cap. 1:

Ciao Kiki,
è davvero un piacere immenso trovarti finalmente su EFP, sono contenta che nonostante le lungaggini tecnologiche, tu sia riuscita a pubblicare anche qui. Le tue storie sono bellissime, dalle trame impegnative ma molto toccanti, perché sfiorano temi forti con una sensibilità veramente unica. Non sono molti gli scrittori amatoriali in grado di trattare particolari tematiche come sai farlo tu, e a volte riesce deludente pure chi lo scrittore lo fa di professione. Per quanto mi riguarda, non vedo l’ora di rileggere tutte le tue storie.
Sai bene che ho una speciale predilezione per questo racconto e mi sono affrettata a recensirlo, perché voglio assolutamente essere la prima a farlo. Mi è piaciuto a pelle, a lettura, a occhi, a orecchio. Mi ha toccato moltissimo, mi ha commossa davvero. È breve ma di una profondità immensa. Rileggendolo per la seconda volta, sono riuscita sicuramente ad apprezzarlo in modo migliore, cogliendo tante sfumature che con una sola lettura mi erano sfuggite. Mi hanno colpito ancora sempre in modo molto forte le sensazioni e i pensieri di questa bimba di cinque anni (non lo sveliamo il nome) che fatica a capire il senso dei grandi misteri della vita ma che tuttavia è costretta dalle dolorose circostanze a dare una spiegazione alla tragedia che si è appena abbattuta sulla sua vita. Già dalle prime righe, il suo voler cantare la ninna nanna alla sorellina morta è davvero commovente! A mio parere sei riuscita a rendere perfettamente le sue sensazioni, i suoi pensieri, i suoi punti interrogativi, le sue perplessità infantili, dall’inizio alla fine. Non c’è un pensiero o una parola inadatti o fuori posto. È tutto molto accurato, tutto molto pertinente e, come mi piace sempre dire, plausibile. Lo dico convintissima e sfido chiunque a ribadire il contrario.
È tratteggiata in modo sublime questa bimba di cinque anni che cerca di sforzarsi di capire qualcosa che neppure un adulto riesce a comprendere: la morte di un bambino innocente ingiustificabile e inspiegabile. Lei cerca di ridimensionare al suo livello, con le sue parole, con le sue sensazioni e le sue emozioni il mistero della scomparsa della sorellina. Continua instancabilmente a domandarsi dove sia andata, perché le risposte dei genitori non la soddisfano, le accetta ma è convinta che non possa essere come dicono. Vuole raggiungerla, vuole averla con sé, perché senza di lei non può giocare a nascondino e non riesce a dormire, da sola nella sua stanza. Il suo chiedersi dove sia andata Jenny, per poterla raggiungere e riprendere a giocare con lei è continuo e incessante. Si dice che non può essere in cielo, come affermano i genitori, perché altrimenti sarebbe sufficiente alzare gli occhi per vederla. Allora stringe a sé Blue Dog sperando che questo serva a far tornare Jenny a riprenderselo. Con una sorta di insofferenza e di fastidio (vogliamo dire di infantile esasperazione?), pensa che la sorellina debba assolutamente dirle dov’è, visto che lei è la maggiore tra le due. È impossibile (e qui c’è l’incredulità) che non possano non vedersi più, non giocare più insieme. Un tale pensiero, per la bimba, è profondamente inaccettabile.
La pioggia autunnale incombe nel cielo scuro, c’è vento. È una giornata nuvolosa, probabilmente fredda. Tutto ciò si sposa in modo superbo con le lacrime incessanti della madre, che si aggrappa alla figlia maggiore in cerca di un appiglio e di consolazione. Piccoli accenni del mondo circostante tratteggiati qua e là, che fanno da sfondo al susseguirsi dei pensieri della bimba. Essi spaziano dai ricordi della scuola fino alla chiesa in cui la famiglia si riunisce per l’ultimo saluto alla bara. Poi l’ultima scena, al cimitero, dove ci sono amichetti di scuola, insegnanti, altre mamme, a fare da testimoni per una tragedia senza senso, perché la morte di un bambino non è altro che questo. Una scena che racchiude un sogno, l’ultimo desiderio.
E poi bellissimo nel finale lo stacco quasi gioioso che dura parecchie righe. È sempre autunno ma il cielo è terso, il tempo è bello (all’inizio). Nella mente della bimba compare l’immagine di un giardino, uno spazio di gioco che la sua fantasia costruisce e dedica all’ultimo incontro con la sorellina. Un giardino bello, tranquillo, rappresentato intimamente quasi come una sorta di autodifesa al dolore che la circonda nel momento più triste, quello del funerale. La bimba aspetta Jenny seduta sulla panchina, Blue Dog tra le mani. Il pupazzo è della sorellina morta e la bambina sa che lei tornerà per riprenderselo. Le foglie rosse e gialle sono cadute a terra (ma qualcuna è rimasta sui rami), tappezzano il suolo e i loro colori darebbero allegria, se l’autunno, col suo clima bigio, non trasmettesse invece un sentimento di mestizia.
Il vento bambino (un bambino come lei) canta a sussurri e insegna la canzone, gioca con le altalene dondolandole avanti e indietro, agita le foglie sui rami intrecciati come fili magici (come ti vengono in mente queste splendide similitudini?) e i capelli della bambina vanno avanti e indietro con il movimento dell'altalena. È una scena bellissima, tratteggiata e descritta così bene che non ho avuto nessuna fatica ad immaginarla.
Ho interpretato la visione di questo giardino fantastico come una sorta di addio che la protagonista dà alla sorella, l'ultimo momento in cui possono giocare insieme e infine salutarsi per sempre sotto un cielo che comincia a piangere di sofferenza per un legame tanto forte spezzato così presto e in modo così brusco. E appena l'immagine scompare, il sogno finisce, anche la bambina si libera, può dar sfogo alle lacrime, al suo dolore. La fine del sogno è qualcosa che si spezza, la consapevolezza di una mancanza che sarà per sempre.
Io trovo il tuo stile azzeccatissimo, le parole sono semplici, i periodi sono brevi ed essenziali, senza fronzoli, come sono effettivamente i pensieri di una bimba. Lei si trova di fronte a qualcosa di troppo grande, di insostenibile e andando avanti nella lettura sembra quasi che fatichi sempre di più a prendere fiato, a mettere insieme le frasi. Più la storia va verso la fine, verso l'inesorabile consapevolezza della morte e più queste si susseguono a ritmo serrato. Così, non riuscendo a star dietro all’incalzare del dolore, arriva il suo volersi fermare, voler arrestare il mondo, il desiderio di non crescere senza la sorellina, di restare bambina per tutta la vita, come lo resterà Jenny, morta troppo presto.
Questo racconto è splendido, un gioiello finemente cesellato.