Ed eccomi a recensire un secondo tuo lavoro.
Forse meno solenne, dalle aspirazioni e aneliti meno "cosmici" del precedente, sebbene rimanga encomiabile la fluiditą nel cambio di direzione, nelle intersezioni - perfettamente riuscite - fra immagini auliche e altre tanto vividamente quotidiane. Il connubio in sč e il suo stesso tono (che, a pensarci bene, forse č pił languido, mesto, come dovrebbe essere il tono di un rapsodo che narra di ciclopiche civiltą che furono e ora non sono pił) rende in maniera unica l'idea della delusione, la sciacqua degli attributi triviali di cui essa si condisce nell'ambito di una "trita" storia d'amore.
Mi ritrovo in questo componimento perchč vi percepisco (sperando che mi sia concesso) la corpositą straziante dell'amore che non c'č, o fa finta di esserci, quella non-esistenza per la quale non si puņ incolpare nessuno, nč le foglie, nč il vento, nč le stagioni...e alla fine tutto si chiude com'era iniziato, con la roccia, la roccia delle civiltą di cui sopra, ora stupida, infangata dal presente, prima immagine di grandi speranze e poi, conseguentemente, di tradite illusioni.
Complimenti.

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Sento in questi versi tutto il peso della difficoltą della relazione. Una comunicazione bloccata o attesa e mai nata.La fluiditą dell'acqua, che consentirebbe la trasmissione di parole essenziali, autentiche, si impietrisce nell' ostacolo roccioso che raggela e spegne i significati, consegnandoli al deserto del non - essenziale. Da quel momento l' incontro diventa impossibile e ci si rincorre dentro labirinti.Complimenti all'autore.Rende molto bene il senso della solitudine di chi ha perduto o non ha mai avuto trasparenza di linguaggio.