Buonasera!
In realtà questa recensione sarebbe dovuta arrivare diverse settimane fa in quanto l'avevo già iniziata ma ho perso gli appunti dove "filosofeggiavo" e mi soffermavo su questo scorcio di vita, così come l'hai descritto tu semplicemente.
La cosa che mi ha colpito principalmente è il tipo della lente d'ingrandimento che hai saputo dare a questa storia, concentrandoti inizialmente su una descrizione sempre più specifica e intimista, come se fosse una ripresa cinematica (e cinematografica) della protagonista che viene descritta e quasi spogliata della sua stessa anima, per via della sua condizione critica e così delicatamente fragile, distante dalla realtà circostante.
Mi è venuto spontaneo immaginarmela come una sorta di adolescente fortemente sentimentale (o al limite una giovane adulta con lo stesso tipo di empatia) che non riesce a creare con la vita una sorta di legame solido e forte, una persona che passa dei periodacci continui e che nessuno sembri curarsene, obbligandola a un tipo di solitudine latente e lancinante.
La sequenza di azioni che compie la ragazza in maniera volontaria per coprirsi e non dare nell'occhio ma anche quelle involontarie che il suo corpo fa perché piange e non può evitare è particolarmente coinvolgente e ben descritta; c'è da dire che tramite gli occhi del narratore assume una connotazione empatica e più vicina affinché il lettore possa immaginarsi vividamente la scena, anche per la realizzazione che non è una reazione allergica o qualcosa del genere.
Poi la lente di riflessione e interesse si sposta su tutto il luogo (in questo caso l'autobus) e sul tipo di emozione che scaturisce nella mente di questa persona.
Da una persona specifica capisce e conferma quanto stare in quel veicolo sia per lui/lei una parte della vita che non può ignorare e considerare statica, in quanto sente una forte empatia nei confronti di tutte quelle storie sconosciute, emozioni palpabili e percettibili tramite il linguaggio del volto o del corpo stesso della gente.
Chiedersi quasi in maniera enigmatica come la vita sia imprevidibile e come gli altri possano provare esperienze simili alle nostre ha un non so di che filosofico e ragionato, credo anche molto più empatico del dovuto... è come se il narratore fosse curioso di scoprire, fosse bramoso di sentire tutto su di sè, con tutti i sensi possibili e immaginabili.
In definitiva, uno slice of life molto enigmatico, quasi tetro a tratti ma incisivo nel suo essere analizzatore e filosofeggiante, portando a una visione della vita più completa e compresa di ogni persona - anche sconosciuta - che regala novità e immedesimazioni concrete fino a quando non si riprende il corso con il tran tran quotidiano.
Bel lavoro!
Un abbraccio,
Watashiwa |