Recensioni per
Mille giorni, mille passi, l'universo
di IlMostro

Questa storia ha ottenuto 14 recensioni.
Positive : 14
Neutre o critiche: 0


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Recensore Veterano
13/07/16, ore 11:01
Cap. 17:

A volte aspettiamo troppo, pur sapendo che avremmo dovuto aspettare il minimo o non aspettare at all.
Le giornate si avvolgono, si accartocciano, hanno quell'aspetto di non-sopportazione, di indifferenza, di monotonia che tu hai inserito nei tuoi versi, mentre raccontavi allegoricamente una giornata d'attese, un osservare gli altri osservare te attendere invano. C'è una nausea crescente parallela a quelle ore che trascorrono, c'è quella speranza iniziale trafitta da una smentita secca e palese - e la curiosità quasi maligna di chi assiste a fare da cornice, con l'aria saccente di chi è pronto a giurare che ci avrebbe scommesso. Le ore passavano, eppure non te ne sei andata. Ed eri pronta, pronta ad accogliere chi avebbe dovuto arrivare, afferrarti e tenerti con sé, eri pronta ma sei rimasta sola là fuori. Hai aspettato ugualmente, anche quando hai iniziato a sentirti ridicola: ridicola per le speranze infrante, per il tempo perso, per aver creduto in qualcosa.
Io penso che non si possa essere ridicoli, anche se la tua poesia dice il contrario - perché è la poesia d'una ferita aperta -, io penso che quando si vivono così intensamente i rapporti e gli eventi, al punto da credere di vedere qualcosa anche dove non c'è e dove non c'è nulla da aspettare, ecco io credo che di ridicolo non ci sia nulla. C'è solo la parte più bella di noi, quella che crede e quella che spera, che riesce ad andare oltre la stigmatica fattualità dell'oggi, quella che avverte il bisogno di amare anche a costo di ferirsi. E sì, sprecarsi non è mai bello: ci rende comunque vivi, perlomeno capaci d'inseguire qualcosa, fosse anche una chimera.
Poesia schietta, senza fronzoli, senza giri di parole. E attendista. Esprime bene quel che tu avevi in testa (o nel cuore). Bravissima.

Recensore Veterano
30/06/16, ore 11:48
Cap. 13:

So che te lo dico quasi ogni giorno, ma è vero: il tuo modo di proteggerti e di "spiegarlo" (è un termine impreciso) nelle tue poesie è dolcissimo.
In questi versi c'è il desiderio di renderti impercettibile e di essere impeccabile nel senso di poter continuare a procedere senza tornare indietro o commettere un qualsiasi errore che possa rivelare la tua presenza o una tua fraintendibile voglia di aprirti al mondo, che possa tradire il tuo bisogno di quiete e pace e silenzio e apatia. Con cura eviti (meglio: vorresti evitare, una parte di te lo vorrebbe) qualsiasi incontro, eviti di sfiorare e di farti sfiorare, è un isolamento in cui perseveri con la massima attenzione - sempre ammesso che ci sia tu al centro di questi versi; me lo domando poco spesso, in quanto la tua poesia è fortemente introspettiva e le tue parole sono allineate a quello che hai già detto poesie fa, finisco sempre per dare per scontato il sì -, non vuoi luci accese (sarebbe più facile osservarti e osservarti barcollare altrimenti) per nascondere meglio la fatica che ti costa ogni passo in più. Tapparsi le orecchie per non ascoltare nessuno è un non volersi fidare più (senza stringerci le mani sopra: tutto deve essere impercettibile, niente gesti inconsueti o che possano suscitare dubbi), insieme alle altre indicazioni che hai lasciato a te stessa, come se fosse una guida su come comportarsi in questi mille giorni, in questi mille passi. C'è una sola destinazione ed è dentro di te - è rin-chiuderti, è metterti al sicuro, è assicurarti che nessuno possa stare ancora ad osservare quel che farai. Solo dopo aver chiuso a chiave quella porta potrai riaccendere le luci. Ammesso che a quel punto tu ne abbia il coraggio, ammesso che tu sia riuscita a sfuggire ai tuoi demoni. Devi prima passare inosservata attraverso un percorso irto di mine antiuomo pronte a brillare.
You might turn off the lights, young girl, but your poetry is shining anyway.


Ps.
"e se provano a sfiorarti, tu fa sì che sia la sola volta."

fa' è imperativo, vuole l'apostrofo.

Recensore Veterano
29/06/16, ore 22:25
Cap. 14:

Ti sei superata, Gi.
È una poesia magnifica, abbiamo dialogato altrove sulle sfaccettature che ti danno forma e in questa poesia rientrano istanze diverse della Gi che abbiamo imparato a conoscere, verso dopo verso. È una poesia difficile che riflette una persona non meno difficile - riconosciamolo pure; non che tu pretenda chissà che, ma hai un animo delicato e forte allo stesso tempo, è difficile da trattare, lo riconsocerai -, in un certo senso è difficile da digerire, come è difficile mandar giù certe delusioni, certi abbandoni. Ci vuole tempo.
Qua sei del tutto immersa in quella spirale di solitudine (che, lo dicevi tu bene, non è vera e propria solitudine, quanto voglia di estraniarsi, sensazione d'essere messa in disparte, è un isolamento forzato e (non) voluto; a ben vedere, tuttavia, pure questa è solo una sfaccettatura della solitudine, di quella vera, quindi continuerò a chiamarla così ma sai cosa intendo), hai trovato rifugio solo in te stessa, è l'unico posto in cui ti senti del tutto a sicuro. No, non del tutto: eppure sempre meglio del pericoloso e tagliente mondo che c'è là fuori, quello in cui ci si abbandona come se nulla fosse; anzi, come se nulla fossimo. Come rasoi usa e getta.
E tu sei affilata in questa poesia e refrattaria a qualsiasi forma di aiuto. Rifiuti quei tentativi falsi o poco utili o poco convinti, li rifiuti perché ti commiserano senza comprenderti, non vedono cosa c'è oltre, dietro la tua paura, il tuo silenzio, la tua fuga dal mondo. Devi rifugiarti in te stessa e nelle tue parole, in attesa che qualcuno inizi a cercarti sul serio. E hai bisogno di allontanarti, di prendere le distanze dalle mani, dalle dita soffici o ruvide, dalle guancie e dagli sguardi invadenti (soprattutto da quelli troppo attenti), fuggi persino da chi vorrebbe aiutarti davvero - e la cui unica colpa è forse non sapere come farlo. Una colpa che non è tale, ciò nonostante devi farti da parte.
E quella finestra che vai aprendo ma da cui non ti sporgi (e soprattutto, da cui non esci, da cui non fuggi) e da cui non sempre lasci che la luce di un giorno nuovo filtri è l'immagine che meglio rappresenta il tuo chiuderti in te stessa, quell'accovacciarti di cui parlavi una poesia fa (per me, in linea d'aria, era solo una poesia fa) per racchiuderti e non fissare nulla, mentre avresti solo dovuto chiudere la finestra che volge su (certi) ricordi passati. Non è facile superare quelle emozioni passate, però, non è che si possa semplicemente ricacciare indietro tutto e pretendere che vada tutto bene: è uno spettacolo che puoi portare avanti finché lo show must goes on, pubblicamente puoi provarci e riuscire brillantemente, ma dentro geli nel tentativo di sopravvivere ad una tempesta che non sai affrontare. Uno tsnunami è per antonomasia un'onda troppo alta, è travolgente. E non pretendi che la te di oggi possa improvvisamente volar via: è vero che quell'armatura non pesa più, ma volare adesso sarebbe anacronistico, sarebbe un azzardo, sarebbe la fine. Sarebbe impossibile. E tu hai a malapena voglia di stare a terra, figurarsi volare (e pure a terra, stai senza armi e senza l'ambizione di vincere il gelo, parole tue. E se la soluzione fosse proprio spiccare il volo?)
Non sei pronta a rischiare, non ancora - sembri così apatica, sai? Pulluli d'emozioni vividamente conservate (e sono travolgenti!) eppure sembri apatica. Ti dici di dover tenere i piedi ben saldi a terra, devi tentare di resistere ai venti e alle loro raffiche poderose (ci riderai su, ma immagino la scena come in uno di quei film catastrofici di stampo hollywoodiano in cui una tempesta perfetta sconvolge e distrugge quasi tutto quel che incontra. Tu rientri in quel quasi, per me) e attendere che la quiete faccia ritorno - che un cielo blu irrompa e squarci le nubi, parafrasando una raccolta diversa e non diversa.
Una bellissima poesia, dico sul serio. Bellissima.

Recensore Veterano
28/06/16, ore 22:04

Bello il titolo, bella soprattutto la tua poesia.
Questa poesia, che pur ti rappresenta non meno delle altre, è di una tenerezza e di una sottile (ma palpabile) malinconia che la contraddistingue e che la mette in una categoria a parte, con quel suo piccolo intro - è il testo di una canzone? Se come penso lo è, è una canzone che vi riguarda o è solo una canzone adatta al contesto? O entrambe le cose? O diversamente, è una canzone che ti ha ispirato? - e con quel testo ben poco passionale eppure caloroso, a suo tempo. Sembra la cronaca a posteriori di un'amicizia andata a male, di un rapporto che ha perso la franchezza e la naturalità di un tempo, che ha perso quella sensazione di reciproco bisogno ed essenzialità, di non poter fare a meno dell'altra persona e viceversa. Adesso, qualcosa di diverso ha riempito il cuore di chi un tempo giurava di non abbandonarti mai, di chi ti riteneva necessaria per non perdersi. E ufficialmente non l'ha fatto (non ti ha abbandonato), stando alle tue parole quel rapporto ha continuato ad esistere sulla carta, ma come l'ombra di ciò che era stato: era come tenere in attività un contratto pro forma, solo per specularci sopra e poter assicurare le banche che sì, valeva la pena continuare a finanziare la catena produttiva. Per rimandare la bancarotta fraudolenta, prima o poi inevitabile.
La tua poesia l'ho tacciata di tenerezza. Non c'è solo questo: è palese il tuo risentimento, è tangibile e tu volevi che lo fosse, specie nella seconda strofa (possiamo parlare di strofe nelle tue poesie? A volte anche queste definizioni mi sembrano fuori luogo, quei versi che hai separati io li definirei come un sottoinsieme, non come una "strofa" che dà l'idea di un mondo a parte, punto a capo. Come potrebbero mai esserlo, come potrebbero essere slegati dai primi versi? Non possono. L'idea che le poesie siano fatte di "strofe" è forviante. E sì, potevo anche evitare questa considerazione, ma i flussi di coscienza non vanno mai arrestati, mi hanno detto una volta; spero concorderai anche tu) e hai realizzato lo scopo di questi versi, hai reso bene le tue percezioni di un rapporto che doveva essere speciale, di una relazione a due privata e piena di promesse di colpo annullate, tradite senza ritegno. Tu non puoi accontentarti di una farsa, non puoi continuare a tenerle la mano solo per rassicurarla e farti rassicurare: significherebbe ammettere che va bene anche così, mentre per te sarebbe solo una bugia. E tu odi, odi quelle bugie, odi le bugie, odi doverti accontentare dei fantismi, odi che la tua mano adesso sia fredda, che il tuo calore sia disperso (e che le sia rimasto addosso, mentre tu ne sei svuotata), che tu sia stata lasciata in mezzo alla tormenta (quella dal freddo glaciale, quella di quasi ogni poesia), ma odi soprattutto che possa fingere di ritrovarti solo per degli (in)opportuni sensi di colpa verso di te, per uno schifoso debito e non per un amore sincero (di un amore diverso, ma sempre d'amore si tratta). Non puoi accettare tutto questo.
Questa poesia è l'ennesima accusa pubblica alla meritocrazia: se è vero che nell'universo l'energia non si disperde, se ad ogni azione corrisponde una reazione (uguale e contraria, però), perché qualcosa non torna a pro-muoverti?, perché ti senti così, come una a- privativa? L'universo sa essere ingiusto, è una nuova dimostrazione. Sembri collezionarle, in questa raccolta. E i tuoi versi finali, e ancora prima quando ti figuravi accovacciata o mentre morivi di freddo, sono estremamente pacati ed estremamente tristi, il tuo modo di essere polemica e il tuo modo di essere sincera si conciliano, si uniscono in una strana formazione che ti rende malinconica eppure gentile, mentre tenti di difenderti. Sembra un paradosso, uno di quelli in cui tu non dovresti neppure esistere.
Poesie fa (ormai è la nostra unità di misura standard, vedrai che presto la inseriranno nel sistema internazionale, aw!) parlavi di un istinto che avresti dovuto ascoltare. In questi versi, sembravi incapace di poter prevedere che per non perdersi potesse bastare sostituire l'amore vecchio con uno nuovo come si fa con le lampadine; il tuo istinto chissà cosa ti diceva, in quel caso. Di certo, oggi predica prudenza e dargli torto è complicato.
Bella, bella la tua poesia. Il tuo modo di scrivere è sempre d'impatto (nel senso che i tuoi versi, anche quando pacati come quelli di "oggi", impattano su chi li legge, il loro contraccolpo non si può ignorare - o almeno, io non ci riesco, mi prendono).

Recensore Veterano
26/06/16, ore 18:16
Cap. 10:

Nelle scelte poetiche raramente mi intrometto (nella prosa, invece, sono fin troppo fiscale), ma stavolta un "deteriorarmi" alla fine non sarebbe stato più efficace?
Andando avanti, direi che in questa poesia sei uscita allo scoperto, hai parlato di te e delle parti in cui sei sud-divisa, delle istanze che si sfidano dentro di te e tirano la fune e non si curano di quello che accade quando un lato tira più dell'altro o di quando la fune è troppo tesa e tu sei solo un campo di battaglia maltrattato. Parli di ciò che ti sta dentro, è una moltitudine di pensieri e di voci, come di un coro, di demoni e parti e ricordi e tra il loro mescolarsi e spingersi (per usare un termine che ti piace) qualcuno finisce spesso per farsi male. Quel qualcuno sei, fondamentalmente, tu: tu che ricadi da una parte all'altra, che sei sospinta verso impulsi diversi e incontrollabili (eppure devi controllarli, spesso, e questo fa ancora più male) e sono zone di guerra che potrebbero avere vita breve - come porzioni di anima che muoiono - o durare per sempre, troppo a lungo - come zone dell'anima inquinate, con tempi di guarigione troppo lunghi.
Sei in una burrasca da cui fatichi ad uscire. Annoti quanto accade e ce lo racconti, come fanno i poeti. Ti stimo per questo e ribadisco i miei complimenti, sei bellissima.

Ps. ho appena letto la piccola bio che hai lasciato nella tua pagina. Sai che, proprio alcuni giorni fa, in un'altra recensione, mi lamentavo dei profili privi di qualche riga per descriversi? Adesso c'è qualcosa in più da aggiungere al puzzle che ti rappresenta per chi tenta di leggerti in versi - e le poesie dicono tanto, molto più di quelle righe, tuttavia è bello poter inserire in un contesto quei versi e poter immaginare qualcosa di più di quella poetessa che sei tu. Avevo peraltro indovinato bene la tua età (sono diventato bravo a dedurre le età partendo dai versi, su questo sito). E nulla, mi sembrava giusto dirtelo.

Recensore Veterano
26/06/16, ore 17:56

Notavo una cosa mentre leggevo questa poesia. Non so come chiamarti: non mi piace il tuo nome (non ti offendi, vero?) e non mi piace il tuo nickname (non ti offendi neanche stavolta, vero?), non posso usare solo la tua iniziale e quindi mi trovo ad un'impasse. Mi aiuteresti a superarlo? Come potrei chiamarti?
Venendo alla tua poesia, al tuo rimpasto di rimpianti, è brillante come hai giocato con i nodi in gola e con i nodi dei regali. Forse non è una poesia recente (dettaglio non essenziale, comunque) e forse anche a te piace annodare i regali (per quel che mi riguarda, i pacchetti devono sempre essere preparati a regola d'arte; la tua poesia, a proposito, mi ha fatto venire un piccolo dubbio materiale: quei nodi eri stata proprio tu a farli?), ci sono però due considerazione da fare: 1) sto abusando delle parentesi - scusa, volevo sdrammatizzare; 2) la vera considerazione, è un regalo che non avresti voluto (ri)fare.
Tralasciando il consumismo del S. Valentino, regalarsi dei cioccolattini è il più tradizionale dei regali tra fidanzati e osservarti adesso rimpiangere quel gesto, quella premura, quel piccolo dono (e il pensiero dello scegliere, impacchettare, conservare e regalare qualcosa a qualcuno... quando è fatto con amore, ecco, è dolcissimo!) la dice lunga su quanto adesso rimpiangi, su quanto desideriresti tornare indietro - stando alle tue parole, molto. Vorresti consumare da sola tutti quei cioccolattini, che pure avevano fatto sorridere qualcuno raggiungendo il proprio scopo, soprattutto saresti pronta a compiere un gesto dissacrante: sciogliere quel nodo che solo lui avrebbe dovuto disfare, sconfezionare quel regalo e tenerlo per te, annullarne l'esistenza e quindi il significato, tuo unico intento. Tutto ciò per non rinunciare al tuo orgoglio, per difendere te stessa da quei nodi che nel futuro, adesso, ti logorano e ti lasciano poco spazio per prendere aria.
Ti rimproveri, ti dici che avresti dovuto essere più sveglia, più attenta, più sincera con te stessa e con quello che, col tuo senno di poi, avresti dovuto sapere.
Se oggi sei ciò che sei, tuttavia, è anche merito di quei cioccolattini, (qua avrei inserito il tuo nome, o il modo in cui potrei chiamarti).
Te la sentiresti di tornare indietro? O forse è solo il dover andare avanti che ti spaventa da morire?

Recensore Veterano
26/06/16, ore 17:30

Bellissima ancora una volta.
Il modo in cui hai deciso di trasmettere la tua sensazione d'immobilità - o meglio, dell'immobilità tutt'intorno a te, di certe cose che non sembrano poter cambiare, col tempo che rallenta sino a dilatare ogni attimo e farlo sembrare troppo lungo (e non eterno, che avrebbe una connotazione positiva che hai voluto evitare), è bello. Mi è piaciuta la figura del salvaschermo, che subentra e congela uno schermo inattivo da troppi minuti, analogamente è come se tu fossi da troppo inattiva nel tuo mondo - per restare in tema, agiti il mouse ma il puntatore per qualche strana ragione resta immobile e il salvaschermo, come un sipario moderno, è pronto a calare. E cala, arrestando ogni processo, congelando la tua anima ancora in subbuglio.
A volte succede che gli istanti smettano di dilatarsi, alcuni si restringono e trascorrono come dovrebbero, in regola e non in nero, e quel cielo apparentemente fermo muta forma in una figura nuova, e una nuvola passeggera lo attraversa, e quel vostro rapporto (perchè di questo, dopotutto, tratta veramente la tua poesia) si risveglia e riprende vita per qualche attimo, c'è un pensiero reciproco; poi torna il nulla, il sipario si chiude ancora, le dimenticanze sopraggiungono e l'immobilità riprende il sopravvento.
C'è qualcosa di terribile in tutto ciò: l'immobilità percepita è fastidiosa, è dolorosa per chi sente il bisogno e il desiderio di muovere e muoversi, di essere la causa che spinge qualcuno a muoversi, di essere un motore che possa fare la propria parte e far girare il mondo. Non riesci, però, a far girare la tua vita e questo compromette ogni altro sforzo, sei costretta ad assistere all'immobilità del mondo fuori di te col rischio di venirne contagiata.
Soprattutto, sai che quell'immobilità è poco reale: è la tua mente a decretarla. Non esisterebbe, se tu non fossi convinta che sia così: eppure non è una percezione che puoi controllare, e così sopraggiungono i tuoi paradossi, e finisci per sentirti l'unica in movimento  (a fare i suoi passi, diremmo noi in questa raccolta) in un universo immobile.
Che altro dirti? C'est magnifique. Leggendoti, non si direbbe che tu non stia funzionando come dovresti.

edit: quasi dimenticavo, ho apprezzato molto il titolo, con la sua richiesta d'aiuto altrove inespressa. Questo è uno di quelli venuti molto bene.
(Recensione modificata il 26/06/2016 - 05:33 pm)

Recensore Veterano
25/06/16, ore 18:30
Cap. 9:

Starò diventando "di parte", ma io trovo che il tuo stile e la tua spontaneità siano magnifici, li trovo più splendidi ad ogni nuova poesia.
Questo componimento, così ricco di venature cromatiche, di presenze e assenze, di ricordi impressi o sbiaditi, di anime sofferenti e manchevoli di qualcosa o in pace e dimentiche di quel che non hanno più (o che hanno rimpiazzato in fretta), tutto ciò che si trova nei tuoi versi ha un aspetto così bello!
Hai giocato in particolare sul nero, hai giocato su quella percezione, la tua anima che si va annerendo a causa sua, mentre tu come persona, come ragazza, come gioventù sbiadisci e lasci il posto a una lottatrice dopata, apparentemente invincibile eppure, dentro di sè, tremendamente fragile. I tuoi colori stanno sbiadendo, divorati dal un nero che ricopre tutto, uniformemente (è questa l'eredità che ti ha lasciato), mentre ti domandi come possa tu essere già stata dimenticata, come se non fossi mai esistita fisicamente. E sarai la sola a prenderti cura di te stessa, dovrai temporeggiare sino a quando non verrà il momento di cessare ogni tinteggiatura, sarai sempre più scura e meno attraente, sei come un capo delicato rilavato mille e mille volte bruscamente.
Il modo in cui parlo della tua poesia è riduttivo: il modo in cui hai giocato con i colori, con le parole, con i ricordi, le tue ansie e con la tua autocoscienza è superbo, molto più di quanto sia possibile scriverci intorno (oggi le tue parole superano la mia capacità di mettermi a margine e di annotare qualcosa di importante).
La tua spiegazione del titolo (non quello di oggi che è molto immediato, ma quello della raccolta) non mi ha soddisfatto, devo ammetterlo - lo avrai immaginato. È un titolo che suona troppo bene e che è troppo impegnativo per giustificarsi in maniera tanto indefinita e vaga; è un titolo che tira in ballo l'universo intero, la tua anima intera, che mira ad un progetto a lungo termine (mille è una cifra consistente) che è allo stesso tempo temporale (mille giorni), spaziale (l'universo), il loro incrocio (in divenire, i passi dell'istante che trapassa in un altro istante). Mi hai fatto la stessa domanda e io sono pronto a risponderti. Il tuo titolo è un insieme di coordinate, è un modo per rappresentare allo stesso tempo a) la pochezza di ciò che sei rispetto a un tutto tanto grande b) il tuo cammino che, nonostante tutto, non è un punto fermo o morto, fa solo parte di quei mille passi da intraprendere per arrivare a ciò che sarai.
Potresti dirmi che quei mille passi vanno distribuiti anche nel passato: al passato, però, ne riserverai la metà; mille giorni sono tanti, almeno cinquecento vanno conservati per decidere cosa resterà di te, dopo tutto questo. Perché proprio mille? È il simbolo di qualcosa di immenso, di stancante, di infinito. Nel bene e nel male.
Sarai poi tu a dirmi, tra qualche tempo, cosa quel mille avrà significato.

Ps. te l'ho già detto che sei poeticamente splendida? Sì, mi serviva una scusa per ridirlo.

Recensore Veterano
24/06/16, ore 15:01

Morti insieme in uno dei mille giorni di questa raccolta, uno di quelli che segna un limitare attorno ad un finale infelice.
Mi piace anche questa tua poesia, è semplice, fisica e d'impatto immediato, non c'è alcun elemento a mediare fra te, fra voi, fra le tue parole e chi le legge. Niente fronzoli, li hai tutti rimossi (come quel rossetto) invitando alla guerra chiunque sia pronto ad ascoltare la voce di questi versi. Un bacio da condannare e che condannerà voialtri, in cui l'oggetto del desiderio diventa l'oggetto del delitto, una scena di passione diventa una scena del crimine. Tutto cambia aspetto così rapidamente nel momento in cui ritrovi quel ricordo e lo rivaluti col senno di poi, di chi sa distinguere una promessa vera da una falsa, un bacio profondo da uno effimero e pronto a svanire troppo presto. Ti senti come chi crede d'aver offerto all'assassino l'arma per uccidere (ancora), ti senti colpevole non meno di lui. La vostra morte è in sincronia, è morto ciò che eravate insieme ed è rimasto solo ciò che siete adesso, separati.
Detto fra noi, è una poesia che t'aspetti da una poetessa che come nickname ha scelto "IlMostro" (se potessi, te lo cambierei all'istante).
Bravissima comunque.

Ps. Mille giorni, mille passi, l'universo. Perché proprio mille?

Recensore Veterano

Quanto mi piace questo titolo! A questo riguardo, dai l'impressione di essere una che ha qualche difficoltà a trovare il suo titolo perfetto - o è solo un'impressione sbagliata, la mia? -, ciò che conta comunque è che spesso riesci ad azzeccarlo in pieno, o almeno personalmente trovo tu riesca a trovare l'elemento giusto da far risaltare. Ogni titolo è, sostanzialmente, un grosso spoiler, ci sono aspettative che si legano a quel trafiletto, c'è il rischio di fare un buco nell'acqua (nel banalmente), d'altra parte è l'opportunità di anticipare qualcosa e di indirizzare chi ti leggerà verso una precisa linea ermeneutica scelta da te. Qualche volta invece è solo un pretesto per fare poesia nella poesia. In questo specifico caso il tuo punto di partenza mi ha catturato, la sua immediatezza mi ha trascinato verso quanto seguiva. È un titolo che rivela molto: rivela la presunzione di chi ritiene sia così semplice scacciare via qualcuno o qualcosa dalla propria mente (ammettendo, per, che per qualcuno lo è davvero), rivela l'intenzione di spingere e far cadere quel chiodo (fisso o malmesso; nel tuo caso fisso), rivela un farsi male. È un titolo che può tanto adattarsi a te quanto non a te - e ad esclusione, a chi non ti cerca.
La ri-cerca ri-torna spesso nelle tue poesie, è una sorta di tòpos di cui forse abusi, ma sempre con molta diligenza e sagacia. Sì, ecco, sei brava anche a non dare mai l'impressione di non essere ripetitiva, tra le altre cose, perfino quando dici le stesse cose invertendo solo l'ordine delle parole. Non procedi per tecnicismi, ma per sensazioni.
La ricerca di questa poesia, dicevo (dovrei divagare meno!), è una ricerca che non c'è, è disinteresse e non ricerca disinteressata, come l'amore avrebbe dovuto essere. Il primo verso rimanda ad un arrivederci che, da saluto, è vero incipit, è una promessa che dopotutto non tutto finisca del tutto, è la possibilità che gli sguardi tornino ad incrociarsi - ammesso che non si cerchi di schivarli. E non certo per pudore o imbarazzo. Il tuo arrivederci mantiene le promesse, ci hai fatto una poesia dopo. Così non è stato in altre occasioni.
E se ti spintono con lo sguardo non mi saluti e non apri neppure bocca ma mi hai detto arrivederci, e mica addio e hai quindi ragione di pretendere che un arrivederci corrisponda ad un arrivederci e non a un addio; almeno, vorresti che così fosse, da qualche parte dentro di te. Solo, se i tuoi sguardi non sortiscono effetti, se sono parati così abilmente, ad occhi chiusi - quante cose non hanno intravisto di te quegli occhi chiusi? -, allora è come fissare la carta da parati e spingersi oltre serve solo a farsi male.
Mi piaccioni i tuoi titoli e mi piacciono le tue poesie. Io dico che sei brava.

Recensore Veterano
21/06/16, ore 19:41

Questi sono versi molto teneri – come il tuo modo di fare poesia, d’altronde: capita che sia più ruvido in certi passaggi, capita che sia più violento laddove necessario, ma spannung ed estremità a parte, le tue poesie trasmettono sempre una sensazione di malinconica accettazione, di un profondo coinvolgimento ma anche di un piccolo distacco (da te stessa e da chiunque altro), nel profondo è come se tu cercassi di descrivere in versi un innato senso di solitudine. Il modo in cui ti poni ad affrontare ogni poesia è tenero, come in questo caso, in cui i ricordi si mescolano all’atto del volere o non volere ricordare; a onor del vero fai intendere che avresti preferito la seconda, ma non è neppure detto. Senza i nostri ricordi, tutti i nostri ricordi, non saremmo noi stessi – e a te, per metà delle volte, ciò che sei ti piace, lo si legge. Non se prendono il sopravvento, tuttavia, sino ad inibirti come un enzima da disattivare.
Questi versi di resa segnano la tua disfatta odierna, ci sono frammenti pungenti e dolorosi, piccoli ricordi a forma di ice box come gelata rugiada che non sbrina, freddi e taglienti ri-cadono come una tempesta magnetica di grandine e tu non sei al centro del polo che l’attira, tu sei quel polo. Ed è un gelicidio.
Oggi non puoi fare a meno di arrenderti all’apatia, alla memoria a lungo termine, quei colpi ti lasciano indifferente, il loro battere non ti lascia spazio, non c’è altro su cui puoi concentrarti. Sei travolta da ricordi che a loro tempo furono emozionanti, c’era del pàthos in quel tempo e oggi è deceduto, la catarsi è annullata e tu sei immobile, immobile come solo un bambino ostinato sa essere, per gioco.
Bellissima la parte finale, hai giocato audacemente con le parole e con quell’alzare/abbassare. Meno bella l’apatia che descrivi, di cui sei attrice protagonista; in compenso, quando ti fa scrivere così, la tua apatia ha il dono di saper fare emozionare. Non è un paradosso, che sia proprio l’apatia a suscitare altre emozioni?
 
Bravissima, davvero.
 
(e riecco il gelo di cui parlavo soltanto una poesia fa)

Recensore Veterano
21/06/16, ore 11:31
Cap. 1:

Quante sfumature in questi tuoi versi. Spogliarsi, scoprirsi, svestirsi, togliersi i vestiti, amarsi, appassionarsi, accarezzarsi, volersi bene (ho seguito una specie di ordine anche io), è un concerto di falsi sinonimi e di falsi amici, di chiasmi ascendenti o discendenti, di piccoli climax enumerativi che nascondono nessi semantici più ampi, scaturiti da quella stessa stanza ma in due linee temporali differenti.
In una c'eri tu e c'era un voi in cui tu eri inclusa; c'era quello spogliarsi, che per te era uno scoprire e per lui era un liberare le proprie tensioni, c'era una passione sì carnale, ché non sarebbe passione altrimenti, il punto è che se tu liberavi lui, lui non liberava te, anzi si direbbe che t'incastrasse mentre si limitava a toglierti i vestiti di dosso.
Le parti, nella seconda linea temporale, sono quasi capovolte; non c'è più un voi, c'è un loro, e chi prima si lasciava liberare, adesso libera lei (che ha preso il tuo posto) e la spoglia per scoprirla, per curarla, è una nuova quiete, una seconda quiete - a parti invertite? Chissà se lei sarà come lui era con te, o forse sarà dievrso e ri-cambiato; non ci è dato saperlo, non è su questo che intoni i tuoi versi - sarebbe un odio ben poco nobile, stonerebbe col bene velle.
L'ultimo verso, così solo e chiuso, è una finta asserzione, è il tuo modo di chiederti: perché non con me?
L'universo sa essere ingiusto.

Recensore Veterano
19/06/16, ore 15:46

Hai un sapore dolce in questa poesia. La tua malinconia è contagiosa, il senso d'abbandono occupa ogni angolo del tuo universo, compreso quello in cui ti sei rintanata, e quella malinconia per quel che è stato, per ciò che ti manca (forse non tanto in sé stesso, quanto per quello che ha rappresentato o che avrebbe potuto rappresentare), ricade sopra di te come uno strato di pioggia interminabile. Le tue parole sono piene, piene, piene di malinconia, povere di rancore, aride di emozioni: è l'effetto dell'anima ammalata, simile a quello di una foglia che muore, fredda.
Quella foglia che si era posata su di te, che ti ricopriva e che ti riscaldava, quella foglia che pensavi di meritare (e quante volte avrai cambiato idea?), è stata portata via da un vento che l'ha sistemata altrove, forse in un posto dove starà meglio o forse dove starà peggio, sarà qualcun'altro comunque a goderne del calore, dei suoi benefici. Non tu, non più. Sembri quasi turbata dai tuoi stessi versi, in questa poesia, non fraintendermi se ti dico che sei stata fin troppo dolce, forse non ti aspettavi che questa poesia sarebbe uscita così; ed è bello che ti abbia sorpreso, per quanto sia dilaniante quell'allontanamento, avresti voluto abituarti alla presenza confortante di quella foglia da cui perfino temevi di farti amare - prevedevi già che se ne sarebbe andata, che sarebbe ri-volata via. La tua prudenza non è stata abbastanza: non potevi far finta di niente, non potevi non amare quel calore che riusciva a risvegliare dal torpore quelle parti di te che avevi ibernato, per preservarle da morte sicura, e ti eri sorpresa a scoprire che la loro condizione era reversibile, che senza volerlo qualcosa stava guarendo, che ti saresti destata. Se solo quella foglia fosse rimasta più a lungo - o in eterno.
Bellissimi gli ultimi versi, e so che non è carino dirlo di versi così tristi; sono così forti che pare di sentirli, pare di sentirti sussurrare quelle parole mentre fissi qualcosa di indefinito in alto, in attesa di un cielo migliore, non-privativo. Sono, sì, versi bellissimi e dolci. Non so chi ti abbia abbandonato in questa poesia, ma so che si è perso qualcosa di bello - questa poesia basta a capirlo.

Nuovo recensore
13/06/16, ore 18:29
Cap. 1:

Bellissimo...molti sottovalutano l'importanza delle parole e la differenza tra due termini che possono sì essere sinonimi ma hanno nel profondo significati completamente opposti! Mi è piaciuto molto...spero di leggere qualcosa di nuovo molto presto ❤️