Recensioni per
Melancholy of a sentimentalist day.
di _The Little Dreamer_

Questa storia ha ottenuto 3 recensioni.
Positive : 3
Neutre o critiche: 0


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Recensore Master
20/08/17, ore 18:57

Quanta tenerezza, in questa storia: è breve, ma è perfettamente calibrata così, anzi è colma di significato.
Sherlock che riflette in solitudine è nel contempo una immagine IC e una scoperta, un viaggio nella sua mente, perché escludo che faccia pensieri banali anche mentre esegue gesti abituali, per lui.
cos'è questa cosa senza nome - e per questo più spaventosa - che gli impedisce di godere della musica, di essere a suo agio?
Bisogno di occupare il tempo, noia?
No, perchè sono cose che ha, alle quali è avvezzo.
E' tristezza, caro Sherlock. E' vuoto, è mancanza di John Watson.
una persona chiara e semplice, ma non "una semplice persona".
uno sostutuibile come una pedina degli scacchi. Lui è il Re.
Qualcuno che ha scosso quel patto interiore di dedizione alla propria mente, schiavo della ragione
John è il contrario, una presenza luminosa e irrinunciabile, che rende una poltrona non occupata non libera, ma vuota.
la frase che trovo senz'altro più bella - ma tantissimo! - è quella del nome ripassato tra le labbra, come se memorizzassero la forma che assumono per pronunciarlo, per tenerlo con loro...
sono felice di averla letta e scrivine ancora, intese?
bacio
Setsy

Recensore Master
27/07/16, ore 22:14

“…Esclusa… Eliminata a priori…”: mi è piaciuto molto il modo con cui hai espresso il meccanismo immediato e degno di una macchina, assolutamente IC, con cui la mente di Sh affronta i problemi. Infatti c’è l’enunciato di un interrogativo a cui segue quasi immediatamente, vista l’intelligenza straordinaria del detective, l’esclusione o la considerazione. Dopo aver scartato le più probabili cause del disagio che lo sta tormentando, cioè quelle che conosce perché le ha sperimentate già, trova una risposta che lo lascia sconcertato: emozioni, umanissime e, secondo lui, “inutili. Ma ben presenti nel suo cuore, lo assediano, rendendo muto addirittura il suo violino e facendo diventare gigantesca e sinistra una semplice poltrona vuota. “…John Watson…”: tutto ruota intorno a quelle due parole che evocano le immagini ed il significato più profondo di una vita incompiuta perché resa monca da tutto ciò che è stato taciuto e soffocato per la paura, il dubbio, il non considerarsi una persona degna di essere amata. Un nome, John Watson, nemmeno troppo raro ed originale, che, però, evoca tematiche terribilmente importanti: “…omicidio…vita…morire…”. La tua ff mi è piaciuta, molto, perché è una piccola grande storia. Brava.

Recensore Master
26/07/16, ore 14:15

"Finalmente realizzi. John non è una semplice persona." Inizio citando quella che è, senza ombra di dubbio, la frase che più mi ha colpita di questa flashfic, che più che altro mi è parsa un po' come una poesia. Ne ha la struttura e anche tutta l'aria, a dire la verità. Ci sono diversi passaggi d'impatto, frasi brevi e che offrono immagini molto chiare e nitide, a cui io personalmente sono molto affezionata. Sherlock che deve arrivare a capo di un problema e non ci riesce perché il problema non è semplice. E, ancor più difficile, non si tratta di un caso. Non sono altri i soggetti coinvolti, quindi la razionalità va a farsi benedire. Sherlock deve affrontare un "caso" molto particolare, deve trovare il bandolo di una matassa ed è tutto tranne che facile. L'immagine è a me cara, quella di Sherlock che suona il violino di fronte alla finestra. Mi ha fatta sorridere l'idea che tenti di suonare, ma che non ci riesca e che non sia soddisfatto dai suoni che produce. Che cos'è John Watson? Si chiede. Chi è per lui? Non è una persona come le altre, è diverso, ma in che modo? E come mai, tra tutti, proprio John Watson? La risposta non arriva in modo chiaro, ma viene soltanto sfiorata in quello che io ho interpretato (non so se giustamente o meno) come un finale aperto. Si possono vedere più interlinee, più sfaccettature e forse tutte possono considerasi corrette. Si intuiscono diverse risposte, però. Si comprende che c'è qualcosa, in Sherlock. Un sentimento che lui stesso fatica a comprendere, che non riesce ad accettare e che gli fa fare strane cose, tipo far fatica a suonare. I risvolti non sono del tutto positivi e infatti c'è una leggera amarezza, malinconia e tristezza. E forse è quello che più ho apprezzato. Perché John non è lì con lui e l'assenza pesa. Anzi, l'assenza pesa tanto, che forse è proprio a causa di essa, che Sherlock si ritrova a pensare a certe cose. E finalmente, capisce che John non è una persona "semplice". Non è uno come tanti, la sua presenza a Baker Street, piuttosto che al suo fianco, ha un valore. E, di conseguenza, anche la sua assenza ha una rilevanza.

La struttura è d'impatto. La seconda persona efficace, distaccata e al tempo stesso coinvolta col personaggio in una commistione di dolcezza e durezza che soltanto la seconda persona è in grado di creare, e che personalmente ho apprezzato.

Breve, e notevole, lavoro. Complimenti.
Koa