Leggere questa storia è stato un piacere.
Lo dico ogni volta che mi imbatto in un tuo racconto, ma è come se qui io avessi trovato la summa delle storie che ho letto in precedenza; o, più probabilmente, è il mio cervello malato che ha abbastanza tessere per ricostruire un disegno completo, e indulge nel notare tanti, piccoli dettagli che adesso, con una conoscenza maggiore della tua penna, può permettersi di mettere in dialogo.
Il Fiore di Envers è una storia splendida. Parla di sirene, descrivendole non dal punto di vista umano – una donna con la coda di pesce, qualunque cosa questo voglia dire - ma da quello di una creatura fatta d’acqua. Lo premetti tu stessa nell’epigrafe: che Freyaè fatta d’acqua, e la tua penna mantiene le promesse, mostrandoci un mondo alieno, quello delle sirene, dalla loro ottica.
L’olio del mare, la protezione delle sirene, è, credo, un’idea geniale, che si discosta dalla tradizione, ma la reinterpreta, ché in molte culture la sirena è un trofeo pregiatissimo. A seconda delle latitudini c’è chi vuole mangiarla per ottenere l’immortalità, e chi vuole staccare una certa scaglia, da portarsi al collo per evitare di perire tra i flutti. Come sia, come non sia, anche il marinaio che ha incuriosito Ajanah si prende la sua protezione, nemmeno la sirena fosse una cosa, un ramo caduto da cui strappare pezzo di legno per sagomarlo a forma di scoiattolo per allietare le ore di tedio. La curiosità è una benedizione, ché ci spinge ad andare avanti, altrimenti ce ne resteremmo dentro alla conchiglia come fa il paguro; ma la curiosità deve essere accompagnata da un quantitativo sensato di prudenza. Ajanah pecca in questo, sentendosi superiore al marinaio perché sirena, perché creatura fatata, perché protetta dal mare. Ed è toccare con mano che no, non è sempre così, a lasciarle un vuoto incolmabile nel cuore, che nessuno, neppure Freya, potrà pareggiare.
La vendetta, ti dicevo altrove, è un sentimento assoluto, che acceca e porta a compiere scelleratezze efferate, ma mentre in “La Spirale di Pietra” il sentimento di Kira s’è fatto roccia granitica su cui poi l’antagonista ha potuto edificare il suo regno, quello di Ajanah è di natura differente, ma ugualmente pericoloso. È acqua, sì; ma acqua che al tempo stesso si fa rema ed acqua che si abbatte con violenza sulla costa.
Se in “La Spirale di Pietra” Kira si faceva vendetta, ne “Il Fiore di Envers” Freya non riesce ad opporsi alla vendetta di un’altra persona – sua sorella – finendo per alimentare lei stessa la rovina che colpirà il mondo così come lo conosce.
Questa storia sa d’acqua, ad ogni riga, ogni virgola, ogni pausa, e non solo perché sei bravissima a rendere vive e vibranti le tue descrizioni, a farmi sentire lo stridio dei gabbiani, il suono della risacca, le vele al vento, la sabbia, gli scogli e la fontana che manda zampilli, i passi delle donne sul molo che attendono i loro uomini – padri, fratelli, figli, amanti.
Questa storia sa d’acqua per come si comporta Freya: si lascia scorrere addosso l’ira della sorella, la sua vendetta che non riesce a contenere, arginare, rinchiudere in una qualche bottiglia e gettare via, lontano. Freya, che è fatta d’acqua, diventa acqua per stornare da sé la vendetta furiosa di Ajanah, una vendetta che sa di tempesta e onde alte e mareggiate che si portano appresso l’intera linea di costa. Ajanah è la mente e Freya, che non sa opporsi, che non riesce a circoscrivere sua sorella – per amore, per pietà, per solidarietà di stirpe e di genere – diventa il braccio. Che sì, tutto sommato non ha grossi problemi a portarle ciò che lei vuole, almeno fin quando non le viene chiesto l’irreparabile, ché Ajanah vuole un atto simbolico da parte di sua sorella, un sacrificio, in tutti i sensi possibili e immaginabili. Ma anche allora, anche davanti all’amore di Daniel che non la vede per una sirena da scuoiare, come hanno fatto tutti gli altri marinai, ma che la considera la sua donna, anche in quell’istante Freya non riesce ad opporsi, a controbattere con altra acqua (lei) alla mugghia che Ajanah sta per reversare sulla città, finendo per andare ad ingrossare un’onda che si abbatterà su tutto: Envers, Ajanah, Daniel, lei stessa.
Ho amato il ribaltamento di ruoli: è proprio Daniel, con una giravolta metatestuale, il fiore di questa città, l’essere più puro, quello non contaminato dal fumo nero del tabacco – come se il fumo, in un certo senso, macchiasse anche l’anima di chi lo inspira, ragionamento più che logico da parte di chi respira acqua. Come diceva Einstein, cito a memoria, l’uomo avrà anche inventato la bomba atomica, ma nessun topo inventerebbe mai una trappola per topi gigantesca.
La prima persona è funzionale alla voce narrante: io non la amo e trovo che sia difficile rendere a trecentosessantacinque gradi una vicenda utilizzando il punto di vista del narratore; eppure, tu ti sei limitata all’essenziale, scegliendo di spiegare la morfologia della sirena e la sua anatomia come se fosse una scoperta della stessa Freya, annientando qualsiasi momento didascalico che avrebbe appesantito una narrazione che, invece, doveva essere leggera, ma non impalpabile. Come l’acqua.
Ho sentito il dolore di Ajanah, l’impotenza di Freya di fronte al dolore di sua sorella – ché sì, il sangue non è acqua – e la sua incapacità di prendere una decisione, la sua volontà che non trova sponda nella follia di sua sorella, la sua ansia nel cercare di allietare i suoi giorni, le sue afflizioni, i suoi fantasmi, il suo procedere a testa bassa, come un mulo, pur di non vedere su quali abissi la stava costringendo ad affacciarsi Ajanah, ché certi cammini non si possono intraprendere da soli. Abbiamo bisogno di un compagno, di chi ci assista, ci accudisca, ci assecondi.
Mi hai dato il pathos e la trama, rivisitando un classico senza tempo che continua ad affascinare i popoli di mezzo mondo perché parla di un mostro seducente e affascinante, ribaltando la questione: non sono mai i mostri, le creature bizzarre, ad attaccare l’uomo se non provocate. Una bella lezione, troppo spesso dimenticata. |