Recensioni per
God eat God
di Nocturnia

Questa storia ha ottenuto 3 recensioni.
Positive : 3
Neutre o critiche: 0


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Recensore Veterano
11/07/20, ore 22:20
Cap. 1:

Recensione premio relativa al contest “L’enigma dell’Uroboro”
Eccomi qui a immergermi in questo nuovissimo universo. Sarò sincera: dopo aver letto una trama generale su internet, posso confermare che questa serie di videogiochi non è assolutamente il mio genere. Tuttavia, la tua versione letterale ha sicuramente i suoi puti di forza e, complessivamente, sono riuscita ad apprezzare questa oneshot anche senza i vari riferimenti esterni.
La prima cosa che colpisce, fin dalle primissime righe, è l’atmosfera entro cui ci troviamo. È un misto di horror, azione, in cui però non manca l’introspezione e la drammaticità.
Le descrizioni sono complete ed esaustive, entrambi i protagonisti delineati veramente a fondo, tanto che dopo aver letto una sola fic mi sembra ormai di conoscerli da tempo. La storia d’amore è alquanto tragica, travagliata da un destino di distruzione che irrompe con forza nell’idillio temporaneo creatosi tra i due.
Lo stile è diretto, d’impatto, non si perde via in convenevoli ma va dritto al punto, e specialmente il momento in cui Albert e Alex si guardano mentre tutto intorno a loro crolla è molto suggestivo, mi è proprio parso di essere lì insieme a loro sul precipizio della morte.
L’attimo di separazione definitiva risulta assai doloroso e forse ancora di più lo sono i momenti che precedono la fine, dove la narrazione si fa frenetica, quasi ansiogena, cosa che ben si addice al clima generale che i personaggi stessi percepiscono.
Una delle mie frasi preferite è stata “Non se ne andranno in silenzio. Esploderanno - e sarà grandioso” – credo che qualunque personalità a cui siano riferite queste parole valga la pena di essere conosciuta, e infatti è stato così: mi ha fatto piacere conoscere tutte le sfumature di Albert, l’ho trovato un uomo complesso e pieno di sfaccettature, e così anche Alex. La loro storia è sì drammatica e destinata a non aver un lieto fine, ma la loro determinazione e testardaggine con cui affrontano la vita è ammirabile e davvero affascinante da leggere.
Ci saranno senz’altro stati diversi riferimenti al canon che non sono riuscita a capire appieno – la presenza stessa dei personaggi non protagonisti mi ha un po’ destabilizzata inizialmente –, ma il tuo stile di scrittura mi ha comunque spronata ad andare avanti, e devo dire che alla fine sono riuscita a ricavare qualcosa da questa esperienza.
Spero che questo commento sia comunque all’altezza del compito e mi scuso già in anticipo nel caso in cui avessi completamente traviato qualche evento. Ti chiedo un po’ di pazienza per le altre due recensioni, in quanto hai scritto storie parecchio lunghe, ma cercherò di fare del mio meglio per concludere quanto prima.
A presto,
Federica ♛

Recensore Junior
30/07/17, ore 23:56
Cap. 1:

La storia di Albert e Alexandra è una tragedia dall’inizio alla fine, canto che forgia da sofferenza e dolore un monumento ad amore e passione. Dicono che la mancanza d’amore sia male -ma pare altrettanto vero il contrario -che il surplus sia troppo, che un’eccedenza sia parimenti dannosa. Ed è inusuale affermarlo, agli occhi di certuni perfino oltraggioso -ma in fondo è proprio questo che suggerisce God Eat God, da cosa pensano derivi questa disgrazia? Da cosa, se non un sentimento talmente accecante da sacrificare il mondo perché sopravviva la fiamma che lo alimenta? Un sentimento impossibile e assoluto -una furia normale e umana- un’arma letale che chiunque avrebbe impugnato se gli fosse stata offerta la possibilità di salvare ciò di più importante, ciò di essenziale e vitale.
E’ una storia affascinante God Eat God, un finale nebbioso e lacrime d’infinita tristezza -fumo e tormento per un’opera che nella sua completezza rappresenta essa stessa il finale, la conclusione di un racconto molto più lungo, sofferto ma nonostante tutto profondamente ispirato. Qualcosa che merita il giusto approfondimento, il corretto studio perché sia pienamente compreso -e per questo sarebbe piacevole poter prendere in prestito alcune strofe di un testo che di sé fa una poesia, che racconta di una poesia proprio come quella di Albert e Alexandra.
          
There's an old tale wrought with mystery of [Tom] the Poet and his muse
And a magic lake which gave a life to the words the poet used

 
Now the muse she was his happiness and he rhymed about her grace
And told her stories of treasures deep beneath the blackened waves


God Eat God si pone a valle di una storia più antica, di una leggenda lontana che narrava di un uomo che aveva trovato la sua musa, di una donna che lo ispirasse nello scorrere della vita -che lo comprendesse, sostenesse, che gli desse una ragione per impugnare la sua penna e dipingere la sua tela. Un uomo qualsiasi, un uomo come Wesker, piccolo poeta maledetto, che della sua forza voleva dare prova e del suo potere fare una costante. Tante erano state le donne che aveva incontrato, altrettante coloro che aveva sfruttato nella stesura del suo prepotente dettato -sfortunatamente però nessuna era riuscita davvero a colpirlo, mai nessuna era entrata a far parte della sua grande poesia.
Finché non era arrivata lei, giovane donna che aveva reso il suo nome mantra e preghiera, che del silenzio aveva fatto soave e ardente melodia. Erano state proprio questa musica e poesia ad abbagliare il poeta, ad affascinarlo lo splendore e l'armonia -la sua musa un gioiello prezioso, capace di svettare nella fogna che un maledetto come lui aveva consacrato a suo regno e dimora.
Così il tempo era passato e i due si erano conosciuti -si erano innamorati, e non era passato giorno in cui non fossero stati insieme, vicini o lontani per mano di quel filo che li connetteva come nient’altro avrebbe mai potuto fare; non vi era stato giorno in cui non si fossero visti e incontrati, in cui non avessero combattuto per confessarsi ciò che non avevano il coraggio di vedere e tantomeno pronunciare. Era un amore profondo e bellissimo quello del poeta e della sua musa, invisibile agli occhi ma saldo nei gesti e nel cuore -Albert e la sua laboriosa penna che tracciava e narrava di sogni in cui lui era principe e Alexandra principessa, in un mondo che finalmente sarebbe stato solo e tutto per loro. Sogni dove erano l’eleganza e la grazia della sua bella a svegliarlo ogni giorno -non il caldo d’Africa e un profumo sulla pelle che non era quello di lei-, dove era la sua mano ferma e severa a dettare legge e il suo messo a portare ordine tra i sudditi rumorosi e stupidi -poesia per un solo circolo di prescelti, pestilenza alla plebe ignorante, silenzio a corona di un impero dove solo lui e la sua musa avrebbero avuto importanza.
Questo era ciò che Albert raccontava ad Alexandra quando nel freddo del lago si ritrovavano e amavano, questi i tesori che prometteva di offrirle fedelmente, nel bene e nel male, perché nulla potesse più separarli.     
 
Till in the stillness of one dawn still in its misty crown
The muse she went down to the lake and in the waves she drowned

[…]
The poet came down to the lake to call out to his dear
When there was no answer he was overcome with fear


Finché qualcosa -tutto- non era andato storto, e il dramma era tornato per loro. Crudele, cattivo, aveva stracciato ogni speranza racchiusa nella poesia e infranto ogni singola promessa -non aveva avuto pietà di nulla, distrutto ogni riga e cosa bella, ma bramava più di tutto strappar via la musa al suo poeta. Un poeta disperato, un poeta terribile e arrabbiato, amareggiato, che si era rifiutato di cedere e abbandonarsi -un Albert che non aveva accettato che il filo che li connetteva fosse lo stesso che avrebbe impiccato la sua bella Alexandra, affogato i loro sogni nella profondità di un lago che non sarebbe bastata a sottrarli entrambi a un destino segnato.
E’ così che una mattina, svegliandosi, il poeta aveva avuto paura di rimanere solo -si era risvegliato solo, la musa una presenza al suo fianco improvvisamente flebile e sempre più fragile. E lui l’aveva cercata, presa, rincuorata, le aveva ripromesso ogni promessa che quel mostruoso verme le avesse portato via -ma un’altra volta lei aveva scelto il silenzio, e non era stata più la stessa. Era come se si fosse spenta, come se avesse smesso di reagire e di sognare ciò che il poeta avrebbe tanto sinceramente voluto donarle -e Albert, sognatore afflitto, aveva ricominciato a maledire e maledirsi, a chiamarla, invocarla a tacite urla che l’avevano sì raggiunta, ma non erano state sufficienti a svegliarla davvero.      

He searched in vain for his treasure lost and too soon the night would fall
And only his own echo would wail back at his call

And when he swore to bring back his love by stories he'd create
Nightmares shifted in their sleep in the darkness of the lake


E così il poeta si era arrabbiato -la sua inutile poesia gettata, i suoi pregiati manoscritti stracciati. Aveva abbandonato quello stile patetico e capace di dargli nulla -per tornare alle origini, per adottare Potere e Pugno di Ferro, per scegliere davvero ciò che tanto tempo prima -prima di tutto, prima di lei- aveva superbamente scritto per sé. Li aveva presi e rimodellati, riscritti e ridisegnati a gloria del manifesto più feroce in cui un movimento avesse mai potuto riconoscersi: selezione dell’umanità, sopravvivenza dei prescelti, trionfo della Nuova Razza a opera di un messo sceso a purgare il mondo dagli infedeli; un angelo che avrebbe rubato la sua musa alla Morte e una volta per tutte consegnato loro il trono strappandolo dalle mani dei Non-Degni.   
E' allora che Albert aveva deciso di riscrivere la storia -è allora che, pensando di perdere Alexandra, si era smarrito risvegliando qualcosa che non avrebbe dovuto, qualcosa di oscuro. Qualcosa che da sempre si agitava nelle profondità di quel lago che solo tesori avrebbe voluto regalare alla sua musa -un mostro nero e i suoi incubi che rispondeva al nome di Uroboros, la bestia dormiente sul fondo, l’oscurità che la musa conosceva bene e aveva sperato col suo amore di riuscire a quietare.
Una belva nata per salvare, con unico intento quello di distruggere.
Errore e vergogna, incipit e fine di God Eat God -poesia meravigliosa mutata in elegia e poi triste e tremenda tragedia.
 
Albert, un poeta perduto; Alexandra, una musa segnata. Peccando di troppo amore lui aveva creduto di salvarla, cambiando la storia e il fato aveva miseramente fallito. Una ragione comprensibile, un dolore giustificabile, Albert aveva scatenato sull’umanità una furia senza capo né coda, senza inizio e senza fine, a immagine e somiglianza della sua stessa ingrata tragedia. Aveva divorato ogni cosa Uroboros, qualsiasi fosse gioiosa e avesse vita -talmente era ingordo e affamato, talmente aveva dormito sul fondo di quel lago, che una volta risvegliato la sua fame era stata insaziabile. Insensibile al volere del poeta, la sua creatura si era ribellata: sgranocchiate case, mura e palazzi, roccaforti, basi e quartier generali, era passato alle persone -ai solitari e agli egoisti, alle famiglie e ai puri di cuore senza distinzione alcuna tra buono e cattivo, adulto e bambino, amato e odiato. Con le persone Uroboros si era fortificato, nutrito di ciò che le rendeva tali -le loro coscienze, sporche o pulite, le loro emozioni, sincere o fallite, i loro sentimenti, l'amore e la rabbia, la tristezza e la gioia, la solitudine, felicità e rancore. Tutto aveva divorato, tutto aveva corroso -non risparmiando nemmeno la musa per cui era nato. L'aveva divorata, digerita, vomitata, calpestate le fragili speranze rimaste a sostenerla, rovinata la sua anima senza più punti fermi -perché lei era cosciente mentre coglieva il suo mondo scricchiolare e andare in frantumi, cosciente mentre sentiva il suo bel poeta spegnersi. Lui, che aveva sempre agito contro ogni impossibile previsione; lui, che aveva fatto dell’impossibile il suo folle destriero. Lui, spento.

Albert, signore e scrittore di quel manifesto che avrebbe dovuto ricreare il mondo, sconfitto.
Alexandra, sua ragione e ispirazione, condannata.
Il resto inutile, dimenticato.
Ed è questo il perno della leggenda, il fulcro di God Eat God -oltre al danno la beffa, perché alla musa era toccato porre fine a quella catastrofe, all’innamorata farsi carico degli errori e dei difetti che il poeta aveva lottato perché lei non vedesse -perché non ne soffrisse. Perciò Alexandra aveva scelto di prendersi cura di Excella, ragazza e madre vittime di un inganno e di un uomo che non era mai realmente esistito; Alexandra aveva dovuto uccidere quello stesso bambino che l’indifferenza aveva reso prematuramente orfano di padre. E ancora Alexandra si era fatta carico del tradimento, lei delle mille bugie per nascondere la verità di una storia che non era mai stata destinata a vivere, lei quella stessa donna sadica e crudele che aveva mentito pur di alleviare le sofferenze della figlia di un amico. Lei, l’unica che avrebbe dovuto salvarsi, a organizzare la propria fine e quella di colui che aveva tanto amato.

In the dead of night she came to him with darkness in her eyes
Wearing a mourning gown sweet words as her disguise

He took her in without a word for he saw his grave mistake
And vowed them both to silence deep beneath the lake


Ai gioielli non dovrebbe essere permesso sporcarsi, perdere la propria brillantezza -altrimenti sarebbe inutile comprarli, poiché incapaci di dimostrare il loro reale valore. I gioielli che amiamo sono tanti e diversi -bianchi, blu, rossi, se siamo fortunati perfino umani, e se lo siamo ancor di più potremmo perfino accorgercene in tempo, prima di perderli. Ma è un gioiello strano, l’uomo, da un certo punto di vista quasi incredibile per la sua capacità di tornare a sfoggiare i propri colori anche dopo essersi macchiato. E non stupiamoci se in fondo è proprio questo il motivo che aveva spinto il poeta a scegliere la propria musa, che lo aveva spinto ad innamorarsene: lei brillava, era preziosa, era riuscita a illuminare ogni sua giornata più cupa -lei aveva bisogno di lui quanto lui ne aveva di lei.
Un bisogno reciproco, un amore imperituro, un sentimento celato che il poeta non era davvero stato in grado di apprezzare pienamente. Perso nei suoi labirintici preconcetti, in componimenti e confezionati pregiudizi, Albert non aveva udito la sua bella pregarlo di smettere, implorarlo di rimanere con lei più che inseguire gli incubi, la trappola da cui non avrebbe più fatto ritorno. Ma lui non aveva ascoltato, piccolo scrivano impertinente -non si era accorto di aver svenduto i propri sogni per quelli più vecchi e lisi di colui che a suo tempo era stato delirante e osceno mentore, che gli aveva insegnato l’arte della scrittura, del potere, del vergare col sangue e il martello la storia delle sue mirabili gesta. Una svista stupida, che gli era costata tutto -la musa, i sogni, l’amore: una vita non più valevole di essere vissuta.

A cuore pesante Alexandra aveva testimoniato tutto questo, aveva capito.
E se n’era andata.
Aveva salutato il suo poeta amandolo un’ultima notte, come solo lei fosse mai stata capace di fare. Per una notte l’aveva sottratto ai suoi tormenti, gli aveva ricordato com’era quando erano giovani e solamente Albert Wesker e Alexandra Fayer, scienziato e scienziata di livello 4 dello stabilimento di ricerca dell’Umbrella di Raccoon. Gli aveva ricordato com’era bello quando erano solo il Poeta e la Musa, quando amarsi, perdersi e ritrovarsi era cosa semplice, un gioco quasi dovuto, per loro. Per una notte erano stati ciò che lui tante volte le aveva sussurrato e promesso, per una notte erano stati ciò che semplicemente avrebbero solo voluto essere.
E il giorno dopo, doloroso -orribile, ostile, una melodia spezzata e gettata via per l’ultima volta. Lei era partita, lo aveva lasciato, e mille tragedie non sarebbero state abbastanza per descrivere lo strazio che l'aveva animata -e mille altre sarebbe state futili per raccontare quanto male le avesse fatto ritrovare il suo poeta ridotto a uno straccio, a un’ombra di ciò che ricordava da quell’ultima notte di troppi mesi prima. Un Albert consunto, un amore ferito -Alexandra tornata a sigillare le cicatrici e a porgere il suo ultimo, affranto saluto.
Un saluto di poche parole in verità, per sancire un dolore che ormai entrambi avevano ben conosciuto; pochi gesti a raccontare di un sentimento che non sarebbe mai sfiorito.
Un’ultima fatica, un’ultima battaglia per mettere fine a tutte le altre, due anime prossime e un velo a lutto a piangere entrambe.
Perse la vita e la sua poesia, il poeta non aveva più avuto nulla per cui continuare: in silenzio era rimasto per accogliere la sua innamorata, amarla anche mentre la combatteva, mentre giurava che l'avrebbe uccisa con le sue mani, che sarebbe stata lei a ucciderlo perché cancellasse tutti i suoi rovinosi fallimenti. L’aveva amata in maniera assoluta e totale, completa e irrazionale, trascendentale, fino al momento in cui l’aveva vista morire -per mano sua, di ciò che avrebbe dovuto salvarla. Fino al momento in cui aveva avuto la forza di recitare quell’ultimo verso per lei che chiudesse per sempre la loro poesia.

Now if it’s real or just a dream
One mystery remains
For it is said on moonless nights
They may still haunt this place.

(The Poet And The Muse, Poets Of The Fall)

God Eat God è una tragedia bellissima, ha detto bene Alexandra. Ed è piena di vita -all’inizio, alla fine, poco importa quando è Uroboros a prendere banco in scena. Una tragedia capace di urlare, di farsi sentire, che si vuole far sentire perché siano dimenticate ignoranza e indifferenza -perché sia chiaro cosa si agitasse sul fondo di quel lago oltre ai mostri, gli incubi e la pura oscurità. Un lago nero come Mezzanotte, una superficie increspata, falsamente quietata -acqua che sa sì accarezzare, così come agitarsi e fare male. Ed è stata furia quella di Albert, onda che ha quasi spazzato via l’umanità -un mare che infine ha risposto a crepe e dolori antichi e perenni che ne martoriavano il fondale. Perciò era quasi normale che si consumasse un’ecatombe simile, inesorabile -un disastro su scala mondiale, un’ultima goccia che facesse traboccare il vaso e conducesse a milioni e milioni di morti -e tutto a causa delle mire di uno stupido malato.
Albert Wesker: un maledetto, uno stupido forse, ma un malato… un malato probabilmente no. Albert era solo addolorato, innamorato, e nel momento in cui è stato privato dell’unica cosa che avesse avuto -quando il Progenitore gli ha donato Alex solo per portargliela via- ha semplicemente reagito.
E' impazzito.
Ha perso la testa, ma in maniera talmente lucida da mettere a punto non solo il piano per salvare Alexandra, ma anche quello per concederle il mondo e il trono che le spettava.
Un piano magnificente, un piano fallito, perché God Eat God è funerea al riguardo -caustica a raccontarci come ciò che desideriamo alla fine non sia mai ciò che ci serve davvero, come sarà sempre la virtù a cui badiamo di meno quella che potrà salvarci. Parole inutili purtroppo, parole vuote come i componimenti del povero Albert, poiché non sono state comprese in tempo.

Eppure qualcosa ancora c'era che albergava in quelle pagine strappate, un’anima magica e molto potente.
Un cuore (due) sopravvissuto nelle profondità del lago, senza aria, senza luce, anche quando l’oscurità si era ritirata regalando solo polvere e macerie.
Qualcosa che era stato capace di autoconservarsi, di scovare in sé la forza per nutrirsi, cullarsi, allontanarsi dal corvo e da ciò che di funesto recava con sé.
Perché la conclusione di questa lunga leggenda narra di un corvo che aveva provato, cinereo, a portare via un anello -ma non l’aveva trovato appetibile. Narra di uno spettro che aveva provato, Raccoon, a portare via con sé l’ultima traccia del legame che aveva unito una musa al suo poeta -ma non ci era riuscito. Ancora una volta, perché non l’aveva trovata appetibile -non era gradito a Lei qualcosa che ancora sapeva di così umano, di così vivo, quando proprio Lei si era divertita a forgiare da tali presupposti i suoi incubi più deliranti; indigesta era a Lei questa natura così profonda, schifoso un sentimento che nell’anno 1998 si era divertita a spezzare, bruciare, cancellare dalle anime di coloro che avevano avuto la sfortuna di incappare nella sua vivida follia.
Per questo era fuggita via Raccoon, e con Lei il suo lugubre messaggio -impaurita da qualcosa di più fatale della Morte, terrorizzata da fantasmi che non vivono e non muoiono -da un Amore capace di trascendere il buio, il tempo e il male, da ciò che alla fine uccide per rendere immortale.    
(Recensione modificata il 30/07/2017 - 11:56 pm)

Recensore Master
04/07/17, ore 01:27
Cap. 1:

Ciao :)
"Non vede cosa che sei realmente." (cit)
Chris: Noctiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii😂 *spupazza l'autrice* non ho capito se quel CHE nella frase è di troppo, oppure se volevi dire Non vede che cosa sei realmente ed hai scambiato il COSA ed il CHE di postooooooo!!!!!😂😂
Claire: Scommetto che adesso la povera Noct è diventata sorda a causa tua... -.-
Sherry: ... *porge all'autrice delle gocce per le orecchie*
***
A proposito Noct, eccoti come ho reagito sia mentre leggevo sia adesso che ho finito----->@___@ non ho capito una mazza della storiaaaaaaaaaa!!!!!!😭😭😭😭
Albert: QUOI????????? O.o
Alex: summer; come sarebbe a dire che non hai capito un caXXo?😶😶
Io: Alex, anche te eddai: prima sembri essere contro tuo fratello, poi passi ad uno scenario con la Excella che manco ho capito bene cos'aveva-
Excella: -secondo me l'Albertuccio m'ha inguaiata; di lui incinta so' restata-
Alex: -e alla fine sei schiXXXXta...
Albert: ... pappamolla d'una Excella...
Alex: ... parli proprio te che nel canon usavi un siero per controllare l'Uroboros -.- sennò schiXXXXvi pure te -.- alleluia alè alè...
Albert: SNORT >////<
Io: ... andiamo avanti, dopo passi ad uno scenario con un Leon divorato pure lui dal parassita-
Leon: -e sorvoliamo sul come probabilmente pure io sono creXXto😭
Io: E poi *guarda Alex* ti troviamo assieme ad Albert che prima fate scintille e poi decidere di creXXre assieme???? O.o
Alex: Ehm ehm^^''''''
Io: @___________@ *stramazza al suolo*
Albert: Noct😶 porta i sali😶 sbrigatiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!!!!!!!!!!😶
Alex: summer l'è incasinata😶 aiuto!😶
***
Sul serio Noct, a furia di cambiare scenari e punti di vista m'è come partita la capoccia @.@ ed anche rileggendo la storia continuo a non capirci niente😶 sono proprio tonta scusaaaaaa!!!!😭😭😭
Chris: Dlin dlon😜 serve un disegnino per la summer😜 dlin dlon!!!!😜
***
Non mi fraintendere neh; la tua shot è scritta benissimo come tuo solito, m'hai inchiodata allo schermo come tuo solito, è bellissima come tuo solito-
Excella: -ma questo Uroboros del caXXo ha divorato persino la testa della povera summer :/ e adesso lei è partita...
Albert: ... è dov'è andata di bello? :)
Alex: ... è partito anche mio fratello -.- con il cervello però... -.-
***
Ad esempio Noct, non ho ben capito QUANDO è ambientato il what-if, in un episodio specifico di RE oppure hai ripercorso un po' l'intera saga??
Della serie cosa sarebbe successo se il pi-Albert avesse diffuso prima l'Uroboros oppure se Alex fosse entrata prima in scena...
***
Davvero, anche se la shot m'è piaciuta davvero molto l'ho trovata come un po' troppo complicata per me^^'''''' e non sono mai stata una persona che va d'accordissimo con le cose complicate... *detto questo s'inabissa*
***
Alla prossima! xD
Saluti da una summer_moon un po' troppo sempliciotta