Recensioni per
Auschwitz
di Daniela Arena

Questa storia ha ottenuto 2 recensioni.
Positive : 1
Neutre o critiche: 1 (guarda)


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Recensore Junior
24/09/17, ore 21:29
Cap. 1:

Ciao! Come promesso su Facebook, sono passata a leggere e a lasciare la mia recensione. All’inizio sono stata catturata dalla tua piccola presentazione della storia. Il tema dell’omosessualità e dell’Olocausto mi sono molto cari per motivi personali, e vederli trattati insieme mi ha fatto venire voglia di leggere questa storia. Ma ammetto che ne sono rimasta piuttosto delusa.

Ora, a mio parere questo racconto è stato affrontato con molta ingenuità. Sotto specificherò le mie motivazioni, non temere. Prima, però, mi concentro sulla parte linguistico-stilistica.

Ci sono svariati errori nella storia, alcuni dovuti forse da distrazioni, altri dovuti forse a piccole regole di grammatica imparate male. A seguire ti faccio una lista:

- Risposi [ovvio] chiudendo gli occhi: Quell’«ovvio» non c’entra molto con la frase, probabilmente è stata una distrazione. Scrivi da telefono? In tal caso può essere colpa del T9. Ad ogni modo, è forse il caso di toglierlo: gli errori di distrazione, a lungo andare, appesantiscono la lettura.
- La macchina mi attendeva a qualche metro di distanza, all’interno [in] tenente Rolf e Ben aspettavano in silenzio: Quell’«in» molto probabilmente voleva essere un “il”.
- […] mentre io [tornai] indietro sui miei passi: Quel «tornai» in realtà dovrebbe essere un «tornavo». Ho notato altri errori simili sparsi per il testo. Forse dovresti riguardare la regola dell’utilizzo di “mentre”.
- Un altro errore che si ripete spesso è il mettere la virgola tra soggetto e predicato, come in questa frase: «Fuori, la pioggia[,] si abbatteva con violenza». La seconda virgola è sbagliata, non puoi staccare il soggetto (pioggia) dal verbo (abbattersi).

Questi sono gli errori di grammatica e/o distrazione. Ho notato, poi, anche errori di lessico, come:
- Tanto per cominciare, l’utilizzo della parola «Olocausto». Nonostante come termine esista da prima della shoah, in realtà durante il periodo del nazismo si parlava solo di “sterminio”. Non c’era un termine specifico, e sicuramente quel termine non era «Olocausto», tanto che ci sono voluti anni dopo la fine della guerra per poter anche solo dare un nome alla shoah.
- Un’altra cosa è l’utilizzo della parola «lager». «Lager» in tedesco vuole intendere tutto l’impianto del campo di concentramento o di sterminio. In questa storia, invece, la parola «lager» viene spesso usata come sinonimo di «baracca» (o zona, ma il termine più adatto sarebbe baracca). Come in questa frase: “silenzioso mi feci largo tra i [lager] completamente vuoti rimasti nel campo e mi avviai verso l’uscita”. Scritta così sembra che il protagonista passi da un campo di concentramento all’altro… Non è fisicamente possibile.
- Certi termini, diciamo, non sono i più… appropriati. Un buon scrittore deve sapere quand’è il caso di usare certe parole, quand’è il caso di mettere determinate scene. In una delle ultime, quando il treno merci arriva in ritardo, c’è questo dialogo: «Dormiglione, sveglia, è arrivato il treno.». Ora… Se qualcuno mi avesse mandato solo questa piccola frase, io avrei pensato che il protagonista sta svegliando il suo compagno per salire su un treno e andare a fare un giretto. Per quanto io possa capire che, a lungo andare, “treno” potesse essere lo slang adatto all’interno di un campo di concentramento, non può davvero esserci una scena in cui il protagonista – che, tra l’altro, si proclama essere tormentato dall’idea di veder morire altra gente – in una situazione simile si limiti a dire “dormiglione, sveglia”. Cioè, a parte la completa mancanza di pathos, qui c’è un totale annullamento della psicologia del personaggio.

Come ho detto sopra, credo che questo racconto sia stato affrontato con davvero molta ingenuità. Ci sono molte cose che, storicamente, non tornano; tanto per cominciare, posso citare la completa assenza dei kapò e dei sonderkommando (erano loro a occuparsi dello smistamento e accompagnamento della gente nelle camere a gas + la successiva pulizia), per arrivare poi, al fatto che mi risulta abbastanza assurdo che i gas delle camere vengano liberate nell’aria… Perché l’aria si sposta, il gas non scompare subito, e praticamente tutti quelli nelle vicinanze rischiano il soffocamento.

In più, l’ordine di smantellamento delle camere a gas arriva direttamente da Himmler, ben due mesi prima della liberazione di Auschwitz-Birkenau. Storicamente, la storia non torna. A livello di logica, invece, è assurdo che un campo di concentramento (coperto da una sfilza di soldati) si renda conto solo il giorno stesso che sta per essere attaccato. Cioè, in linea di massima la tua trama avrebbe potuto funzionare (c’erano comunque dei soldati rimasti anche quando l’Armata Rossa entrò per liberare i campi, quindi i due sarebbero potuti morire comunque), ma hai voluto affrontare il tutto in modo melodrammatico e rapido, lasciando da parte quindi le dovute ricerche che avresti dovuto fare.

Come ho già detto, entrambi i temi trattati qui mi sono molto a cuore, ed entrambi, a mio parere, sono stati affrontati con molta superficialità. In alcuni punti, anzi, mi sono quasi sentita male nel leggere ciò che stava succedendo.

Partendo dalle motivazioni del protagonista, tutta la storia gira attorno ai suoi sensi di colpa per l’essere impossibilitato a fare qualcosa. Gli internati sono solo un’ombra nello sfondo, qualcosa che serve per muovere la trama del protagonista. Protagonista che, tra l’altro, è incoerente con se stesso e con i suoi pensieri. Per non parlare poi del fatto che il modo in cui ragiona è a dir poco offensivo: se gli ebrei non hanno il “coraggio” di ribellarsi, non è perché non vogliono farlo, ma perché non ne hanno le capacità. Ancora, qui manca tutto l’approfondimento psicologico che c’è dietro all’Olocausto. Ciò che ha reso l’Olocausto tanto grave non è solo lo sterminio di massa, ma il metodo con cui sono riusciti ad arrivare a tale sterminio. La propaganda ha fatto in modo che gli ebrei stessi (ma anche gli omosessuali, gli zingari, persino polacchi a caso con la sola colpa di essere nati polacchi) si sentissero inferiori all’uomo, e persino inferiori alle zecche. Se tu spogli un uomo della sua natura, gli togli anche la forza di combattere. Perché non ne ha motivo: l’hai distrutto psicologicamente. Il protagonista non sembra arrivare a questo ragionamento, però. Anzi, tutt’altro.

La storia in sé è concentrata sui sensi di colpa del personaggio, non sull’orrore che prova verso ciò che vede ogni giorno e, soprattutto, ciò che è costretto a fare.

Ancora, questo tema poteva essere affrontato in modi migliori. Naturalmente è possibilissimo che esistessero persone come il tuo protagonista, che partecipavano allo sterminio e restavano disgustati da loro stessi, ma questo non è sicuramente il modo migliore per affrontare l’argomento.

In più, l’omosessualità dei personaggi è affrontata con troppa superficialità. Sembra quasi una cosa messa lì a caso. In un mondo in cui anche solo il dubbio può portare alla tua condanna a morte, è impossibile che due persone vivano la loro relazione così liberamente. E no, non è possibile che lo facciano nemmeno nel privato della loro casupola, perché semplicemente la paura è troppo grande. (Se vuoi vedere un bel film sull’omosessualità e i campi di sterminio, ti consiglio Bent.)

Come dicevo anche sopra, questo ha portato ad un completo annullamento dei personaggi, che sembrano vuoti, senza motivazioni, e sicuramente privi di emozioni. Non ho provato empatia per il personaggio. Né per le persone uccise in sottofondo, alla fine. Anzi, questa storia mi ha lasciata abbastanza scossa per la leggerezza che non si addice per niente agli argomenti trattati.

Sono stata ad Auschwitz io stessa, mi sono documentata a lungo non solo sulla storia generale, ma anche sulle storie singole, sulla psicologia, sulla propaganda, e su tantissime altre sfumature che hanno contribuito a quella modalità di pensiero e a questo orribile periodo della nostra storia. Ed è per questo che dico, e ripeto, che questa storia è stata affrontata con innocenza e superficialità.

Apprezzo lo sforzo. È difficile parlare di queste cose, ancor più difficile scriverci sopra. Si vede che l’argomento ti sta a cuore, ed è ovvio che la tua visita ai campi abbia lasciato un’impronta su di te. Ma questo non è un fantasy; questo argomento non è qualcosa che puoi ricucire come vuoi tu, rigirare a tuo favore per poter concludere il racconto. Quando si parla di storia, ci sono delle cose da tenere a conto. E in questo caso, be’, diciamo che c’è stata abbastanza ingenuità.

Io ti consiglierei di rivedere il testo e correggere i buchi della trama, della storia e della psicologia. Perché il potenziale c’è, di fondo: è solo che il racconto non è per niente curato.

Spero che questa mia recensione possa aiutarti. Spero anche che tu non fraintenda i miei commenti. Non mi piace fare recensioni negative, e spero che niente di ciò che ho detto possa arrivare come maleducato od offensivo, ma non potevo semplicemente fare finta di niente.

L’Olocausto è un tema complesso, che va studiato e capito, e forse, lo dico dal punto di vista di un’altra scrittrice in erba, per questa storia non c’è stato il giusto studio dell’ambientazione e del personaggio.

Ancora, spero che la mia critica motivata non ti butti giù, ma che ti spinga, anzi, a migliorare. Magari più avanti potrò leggere una nuova versione di questa storia, e in quel caso, ti assicuro, sarò più che felice di modificare la mia idea su quanto appena letto.

Con questo ti saluto. Alla prossima,
heartbreakerz