I malvagi, i cattivi, i villanzoni non possono salvare il Natale. Sono geneticamente impreparati a compiere una buona azione, non è nella loro natura. Un malvagio tende a soddisfare le proprie ambizioni/idee/necessità. Tende al proprio divertimento, anche a costo di mandare tutto a gambe all’aria. Ed è quello che succede, e grazie per averlo fatto succedere.
Esistono due tipi di storie natalizie: quelle fluffose, che fanno emergere i buoni sentimenti in maniera più o meno zuccherosa; e quelle ciniche, che ci strappano una risata e ci sbattono davanti agli occhi come la magia del Natale abbia vita breve. Ventiquattro ore appena, più una lunga preparazione avventizia il cui scopo è quello di logorare i nervi delle persone.
È stato divertente vedere questi villanzoni battibeccare tra loro, ciascuno a proprio agio col Natale come potrebbe esserlo un pinguino a cena con un orso polare. Avete messo in campo una quantità sostanziosa di cattivoni – forse sono troppi; in alcuni punti si è avuta l’impressione che alcuni personaggi parlassero tanto per aver qualcosa da dire e ricordare al lettore la loro presenza in scena – e, per quelli che conosco bene (Pennywise, Loki, Hela, Marten e il Maestro), posso dire che la caratterizzazione è stata azzeccata. Forse la prima parte, fino all’avvento di Darth Vader, è troppo lunga, rispetto alla seconda, come se voleste cuocere a fuoco lento il lettore, ma capisco che, data la mole imponente di attori in scena, occorresse riservare un po’ di spazio ciascuno.
Per il resto, mi sono divertita molto, ho riso, ho apprezzato la sempiterna sobrietà di quel <s>tamarro</s> personaggio di Dio Brando, il senso pratico di Darth Vader (giuro, ho riso come una pazza quando ha candidamente ammesso di aver investito Babbo Natale con la sua slitta, renne e regali compresi!) e il tentativo di Zarkon di distrarsi un po’ dai suoi crucci e da quei maledetti paladini.
Ci sono, però, alcune dolenti note, prima fra tutte la costante e sistematica presenza di refusi. Un refuso è un peccato veniale, capiamoci, quando si tratta di un errore di battitura. Il vostro è un sistematico uso di né e sé senza accento. Ora, la Polizia della Grammatica non sfonderà le finestra del salotto di ciascuno di voi per arrestarvi, sia chiaro (anche perché, ne avrebbe di gente da sbattere dentro, la sottoscritta tra i primissimi); tuttavia, un refuso è un segnale incorretto che il cervello riceve in fase di lettura.
Ogni lingua ha un suo proprio codice, ed è attraverso questo codice che si comunica. Se si fornisce un input incorretto al cervello, questo dovrà fermarsi, processare l’informazione ricevuta, filtrarla, ricodificarla in maniera corretta e riprendere la lettura. Il cervello lo fa velocemente, ma se ad ogni riga si ritrova un refuso, ad ogni riga dovrà fermarsi, finendo per perdere il ritmo. E, come voi mi insegnate, il ritmo in una storia comica è tutto. Se si perde il ritmo, la storia si sgonfia come un soufflé, e considerato quanto sia impegnativo scrivere una commedia (e preparare un soufflé), è un peccato.
Altro problema, i segni minore e maggiore (< e >) usati al posto delle virgolette alla caporale (« e »).
Lo so che si assomigliano – e che sono anche più semplici da digitare sulla tastiera – ma i segni di interpunzione sono quelli e sono ben codificati. Vale il discorso di cui sopra: sono un segnale non corretto che il cervello registra e che, ogni volta, deve correggere automaticamente.
Senza contare che quei segni si utilizzano all’interno del codice HTML, e se per disgrazia, per pura disgrazia, qualcosa va storto, rischiate che il vostro testo PUFF sparisca, senza alcun preavviso.
Il mio consiglio è quello di rivolgervi ad un beta esterno, perché, essendo voi in sei (se non ho contato male), occorre anche tenere d’occhio un’eventuale coerenza interna, ché sempre sei siete. Voi siete stati bravissimi, capiamoci, non ho trovato, in fase di lettura, degli stacchi tra uno stile e l’altro, avete creato una buona amalgama, tanto di cappello, ché quando si è in così tanti a scrivere è difficile fornire una voce unica.
Ma, proprio perché siete in sei a scrivere, buttare un’occhiata alla coerenza stilistica non guasta. Vedila come una polizza assicurativa, niente più. Se avete fatto trenta, fate trentuno.
In conclusione, la storia mi è piaciuta molto: siete stati ironici, un po’ cinisci e decisamente spassosi. Scrivere una commedia non è semplice affatto, ché si fa presto a fare piangere, ma per far ridere – e per far ridere con intelligenza – ce ne vuole.
Prima che me ne dimentichi, nei giorni scorsi ho letto di un contest, sul forum di EFP, che si basava sulla favola dello scorpione e della rana – o della rana e della fanciulla, tanto per tirare in ballo Stephen King – quella in cui lo scorpione mostra la sua vera natura attaccando la rana. Se il contest è ancora aperto, perché non provate a parteciparvi? |