Recensioni per
Randagia
di Kiki S

Questa storia ha ottenuto 1 recensioni.
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Nuovo recensore
02/02/18, ore 17:13
Cap. 1:

Eccola finalmente, la nostra micia "saputa"! Un batuffolo di pelo ancora quasi cucciola, ma che per tante cose, anzi diciamo per quasi-tutto, si sente non solo adulta ma addirittura superiore ad altre specie animali e ai suoi simili. È una micia curiosa, femminista, pronta a dare giudizi caustici su tutto e su tutti come se fosse ormai un’adulta navigata mentre lei stessa ammette di essere ancora persino troppo piccola per l’accoppiamento. Me la vedo mentre saltella nel cortile a testa alta, coda dritta e musetto all’insù con un po’ di puzza sotto il naso, a guardare il mondo dall’alto in basso, un mondo di cui non ha esperienza e che invece è convinta di stringere tra le sue zampette. Giudica tutto ciò che la circonda con un'aria di sufficienza, è imbevuta di pregiudizi come una adolescente che pensa di sapere ogni cosa e invece non sa niente, e proprio come un'adolescente incontra l'anziano che non ascolta per principio, da cui crede di non aver nulla da imparare. Invece poi riflette e capisce che il mondo non è tutto lì dove pensa che sia.
La micia però alcune cose le sa. Quelle che la sua specie racchiude in sé fin dalla nascita. L'istinto atavico animale che la fa essere una bravissima gatta cacciatrice e a ricordare perfettamente le raccomandazioni della madre: stare stare alla larga dai cani, dagli uomini e dalle macchine.
Il racconto, soprattutto fin nella prima buona metà, sembra svolgersi come un’intervista. Come se qualcuno, una voce fuori dal campo, le stesse rivolgendo delle domande riguardo la sua vita e il suo interagire con le cose belle e con le cose brutte. Non sta ovviamente parlando con un uomo, con un esemplare dei Maligni, e non sta certo parlando con un cane. Non sta neppure parlando con i suoi simili casalinghi, palle di pelo senza “palle”, che, pur di trovar sempre la minestra pronta, hanno dimenticato quale sia la loro vera natura gattesca. E allora? L’impressione è che si stia rivolgendo al lettore inteso come concetto, al quale dimostra una confidenza che in realtà agli esseri umani non si permette di concedere.
Il giudizio che dà degli uomini è reale e preciso, noi siamo una specie pericolosa perché stupida ma che si crede intelligente. Eppure da un certo punto di vista la sua ricerca di libertà mi pare molto umana, anche se la sua curiosità è certamente tipica dei gatti che vanno ad infilarsi ovunque e non si accontentano mai, tanto che la micia dal tetto in un attimo è finita sul marciapiede. E poi, quando ha trovato finalmente coraggio e motivazioni sufficienti a varcare le sbarre del cancello ho pensato "Mo' tu guarda questa se non fa una brutta fine..." Appunto. Zacchete, la macchina l'ha stesa in tre secondi mentre lei si trastullava a guardare il cielo e ringraziare il vecchio “cornacchio” che le aveva fatto il favore di indurla ad uscire dal cortile, lodandole le bellezze di un mondo che non conosceva, chiusa com’era nella sua provincialistica esistenza. Vendetta trasversale nei confronti dei due merli uccisi nella sua caccia meglio riuscita? Chissà!
Toccante la scena finale. La gatta non è morta sul colpo ma sente che non ce la farà. Prova dolore e disperazione, ma nello stesso tempo anche soddisfazione perché la sua morte significa che ha vissuto in libertà. Mi piace la scelta di mandare ad aiutarla proprio la ragazzina che lei teneva lontana e da cui, diceva, non si faceva incantare.
Ad una prima e rapida riflessione l'ultima scena sembrerebbe un tentativo di riabilitare la cattiva fama che si sono fatti gli essere umani nel mondo dei gatti. Poi però penso che la macchina è proprio una persona a guidarla e non posso che giustificare tutte le riflessioni negativi nei confronti della nostra specie che hanno sfarfallato nella mente felina della protagonista.