Recensioni per
Crescendo - Storia Parallela - Forza
di avalon9

Questa storia ha ottenuto 4 recensioni.
Positive : 4
Neutre o critiche: 0


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Recensore Master
18/03/18, ore 12:53

Di tuo avevo già letto gli intermezzi di Omega dedicati a Shaina, non trovando il coraggio di recensirli. Mi sembrava un sacrilegio, perché non conosco quella saga e perché erano troppo ben scritti per essere sviliti da parole banali di apprezzamento formale. Stavolta però voglio dirtelo. Che mi hai tolto le parole, e mi hai trascinato fra le onde di questo monologo interiore in cui si affonda nei meandri delle emozioni di Marin e si riaffiora solo di tanto in tanto in quei brevi dialoghi fra Marin e Lythia. Ho sentito anche io sulla mia pelle il fiato di Aiolia, e il tocco ruvido delle sue mani che si aggrappano alla sola persona che gli tende una mano in un Santuario in cui lui è prima di tutto il fratello di un traditore, e solo dopo un Santo d'Oro. 
La tua scelta di far incontrare le due donne che hanno avuto una qualche relazione con lui mi ha intrigato e incuriosito. Ma la lettura mi ha portato altrove, in un territorio inaspettato. Dopo essere stata sballottata per il mare tempestoso del sentimento di Marin mi sento come un naufrago esausto su una spiaggia sconosciuta. Cerco di riprendere fiato, e di dare un nome al groviglio che mi hai lasciato nello stomaco.
Peccato che il tuo tempo di scrivere sia poco. Si contano sulla punta delle dita di una mano gli autori che hanno la tua capacità di lasciarmi qui, incapace di articolare in parole le sensazioni che mi hanno fatto provare. Non so se questo per te sia un complimento. Prendilo come tale, per favore. Altro non riesco a dirti.
A presto
S. 

Recensore Master
22/02/18, ore 12:44

Perché gli istanti sono dei bastardi, e quando passano, e passano subito, sono passati. E allora puoi solo restartene lì, a chiederti tutti i ma se però che non hai detto. E a sognare.
E Anissa. Anissa aveva capito.
Anissa aveva capito e le aveva sorriso, in quel giorno d’autunno, le nuvole basse a rincorrersi nel cielo di Atene. Anissa le aveva sorriso, e le aveva detto puoi scegliere.
Perché l’amava, anche se non la capiva.
Perché intuiva dietro al suo dubbio e alla sua ritrosia, la difficoltà di una decisione che sembrava labile come un sogno. Perché Anissa sapeva il desiderio che si era fatto strada in Marin, nei giorni passati al capezzale del fratello. E perché conosceva le molte, troppe cicatrici che Marin si portava dentro, collezionate nel silenzio del guerriero saldo nella sua determinazione. Ma ci sono, quelle cicatrici. E bruciano.
 
Sì, che bruciano. Bruciano come tutte le cose che ti toccano, ti segnano, ti rendono viva. Perché le cicatrici sono una cosa viva: sono carne che si ricompatta, che rinasce, che chiude una ferita, uno strappo, un buco. E lo fa come meglio può, ché quando il nostro corpo si forma, nel grembo materno, ha nove mesi di tempo per mettere a posto tutti i dettagli, una mano, un piede, la forma degli occhi. Quando vivi -   da quando sei fuori dal rassicurante e protettivo e caldo avello materno – non hai tutto ‘sto tempo, né ti puoi fermare a. O meglio: sì, ti puoi fermare, in molte parti del mondo, e attendere che il tempo faccia il suo corso e rattoppi per bene le tue ferite. Ma quando sei una guerriera, puoi concederti questo lusso?
Non sempre.
Magari, adesso che finalmente c’è un attimo di pace in cui tirare il fiato, sì. Ma spesso, avere un momento per tirare il fiato assomiglia a trangugiare certe medicine amarissime, di quelle che, piuttosto che mandarne giù anche una sola sorsata, siam disposte a tenerci il braccio dolorante e la febbre alta.
Questa storia è una storia di catarsi, di accettazione, di rassegnazione. Di speranza no, che è ancora troppo presto per parlare di speranza, e quando si attraversa un momento come quello che ha sballottolato Marin occorre andare coi piedi di piombo. Perché lei, Marin, è passata attraverso un ciclone con una candela in mano e l’ha lasciata accesa; ha attraversato il fuoco, quello vero, con un ghiacciolo in mano e non l’ha fatto sciogliere.
Solo quando è uscita fuori dal ciclone e dal fuoco, s’è accorta che di quella candela accesa e di quel ghiacciolo le erano rimasti sono uno stoppino ed il legnetto. E una miriade di cicatrici addosso.
Sì, la Vita dà e la Vita prende, e per ogni porta che si chiude, ti si spalanca un portone. Dicono. Già il fatto di aver riabbracciato Touma vuol dire tanto – tantissimo! – ma se il prezzo da pagare è stato Aiolia, la domanda che sorge spontanea è terribile e dolorosa. Perché sembra quasi che la Vita abbia voluto ridarle suo fratello, ma che, in cambio, abbia preteso un altro amore, ugualmente profondo e radicato, che non si fondava sul legame genetico e affettivo della famiglia, ma su quello della scelta.
E allora, sì, Marin cambia. Cambia come cambiano quei reduci che rientrano a casa, come chi raggiunge una meta, come chi approda ad Itaca. E se in un primo momento c’è l’euforia e la contentezza di essere riuscite a toccare terra – finalmente! – già l’istante dopo, con la sabbia ancora nelle scarpe, qualcosa dentro di noi muta.
Perché raggiungere quell’obbiettivo era diventato una parte di noi, e adesso che l’abbiamo raggiunto dobbiamo trovarci un altro orizzonte, un’altra meta, un altro progetto. Ché l’uomo è così, un mutamento costante, come le maree. Non ci si può fermare, ché chi si ferma è perduto, diceva la saggezza angioina; e allora. Allora ci si rimette in moto. E si cambia. Come le stagioni, come le foglie sugli alberi d’autunno o i fiori sui prati a primavera.
Tutto passa, tutto si sistema, e il Tempo è il migliore dei dottori.
È vero.
Ma il problema, quello vero, è che siamo noi a non avere la pazienza di aspettare. Mi sono rivista tantissimo in Marin, lo confesso. Lo scorso anno ho avuto tre lutti in meno di un mese e mezzo, e, a distanza di dodici mesi, riconosco in lei le stesse fasi che ho attraversato io. Il dolore. L’incredulità. L’ottundimento. E la voglia di dire “Okay, aspetto”, come se questo fosse la chiave per aprire la porta magica, come se in quell’attesa fosse racchiusa tutta la saggezza dell’universo.
E invece, no.
Invece, occorre imparare ad accettare il dolore come se fosse un tassello della nostra personalità, del nostro vissuto, ché il tempo non cancella, attenua.
Ci sono uomini che riescono a fare delle proprie cicatrici una sorta di abbellimento, un po’ come certi tatuaggi arabescati – non quella pletora incoerente di disegnetti tutti uguali che stan bene addosso ai marinai di certe cartoline illustrate, nossignore: parlo dei veri tatuaggi tribali, che in certe spedute isole dell’Oceania arrivano a ricoprire la pelle con una miriade di piccoli segni, linee, curve.
Questo, sono le cicatrici.
Le medaglie dei maschi, dice Seiya in una botta di testosterone.
Quello che rende una persona diversa da tutte le altre, ché ognuno di noi porta incise ferite differenti sul proprio corpo e sulla propria anima: graffi, sbucciature, lacerazioni. E anche buchi. Quello reale e metatestuale che Marin si porta dentro, che le ha tolto cuore e ventre. E come lo si colma, un vuoto simile?
Non si colma.
Si accetta per quello che è, e, con pazienza, si va avanti a vivere, con un buco in mezzo al busto e la rassegnazione – l’accettazione – che comporta il comprendere che se non trovi una ragione o un motivo in ciò che accade, quella ragione e quel motivo non fanno per te. Non ancora, almeno.
Ma poi la Vita, che è una gran signora, ci prende per mano e ci spiega tutto. Ci fa vedere cosa è successo e perché, e ci svela i motivi e le ragioni e ci rivela gli altarini nascosti solo quando siamo in grado di comprenderli per davvero. Quando, magari, non fa più troppo male. O quando, come in questo caso, ci serve un poco di zucchero per mandare giù quella medicina che sa di fiele di cui parlavo sopra.
Hai ragione: è un peccato che un personaggio come Marin sia scomparso dai radar. In Soul of Gold non poteva comparire per ovvie ragioni di sceneggiatura, ed il fatto che Aiolia non si sia fermato neppure per un istante a pensare a lei mi ha fatto supporre che il Cialtrone avesse deciso di cambiare le carte in tavola.
Tu, invece, ci mostri una quadratura del cerchio magistrale. Ci hai mostrato Marin, uno tra i tanti pedoni che Athena schiera sulla scacchiera, conscia del suo ruolo di pedina sacrificabile, di carne da cannone. Un pedone può dare scacco al Re, certo che può; ma è il trionfo di un attimo, ché il Re se lo mangerà nella mano successiva, senza troppe remore. Ma il pedone – ma Marin-pedone – lo sa, ed è conscia che il suo è un sacrificio strategico, perdi un pezzo per vincere la partita. Un rischio calcolato, ché Atena ha sempre un piano, anche quando ti sembra che stia perdendo. E se Marin-pedone ha da perire, pur di far avanzare l’artiglieria pesante – Torri, Cavalli, Alfieri in cui ho rivisto Hyoga, Seiya e Shiryu, correggimi se sbaglio – che sia.
E quindi, testa bassa e pedalare, addestrandosi, addestrando un bambino pestifero a cui sovrapporre suo fratello, amando un guerriero e scivolando fuori dal suo letto prima che fosse troppo tardi e il pedone assaporasse la dolcezza della quotidianità e decidesse che, tutto sommato, la sua vita gli stava bene così com’era: intatta, senza troppi scossoni.
Ma, all’epoca, Marin non poteva concedersi il lusso di essere qualcosa di più di un pedone sacrificabile – e, perdonami se mi azzardo a fare un passo più in là, non poteva perché c’erano pezzi più pregiati di lei, sulla scacchiera, mentre adesso Athena deve fare quel che si può con quel che ha a sua disposizione – adesso che la vita le ha tolto Aiolia, adesso che non deve più correre alla ricerca di qualcuno – di Seiya che s’è ficcato nell’ennesimo pastrocchio; di Seika che sa Iddio perché non ha trovato prima, a due passi da casa; di Touma, la sua personalissima Itaca – adesso Marin può pretendere dalla vita di pensare un po’ a sé. E di indulgere, persino, in quei pensieri dolorosi come se l’aiutassero a spurgare tutta l’oscurità che le si è annidata nel cuore e che rischia di farle perdere di vista il vero faro. Aiolia. O il suo ricordo, luminoso e puro, talmente luminoso da far male.
Ecco che metti in scena Ljúfa. Ché sì, non ti piacerà, ché sì, rispetto a Marin ci perde, eccome, ma che tu hai la decenza e il buonsenso di mostrarci come personaggio. Da un punto di vista neutro. Ljúfa, dal nome dolcissimo (“amata”, come Milo/Mila, come Ljuba, come Liebelei), è una donna del nord. Non è una guerriera, come Marin, non è una Valchiria, come avrebbe potuto – e dovuto – esserlo Hilda, se solo l’Anello del Nibelungo non si fosse chiuso attorno al suo dito. È stata vessillo, strumento, ancella. Celebrante di Odino, gyðja, ma il suo ruolo non le ha impedito di essere altro: donna, sposa, madre. L’hai fatta crescere, le hai dato un amico, Fróði, e le hai dato uno sposo, Syvurr (e grazie, dal profondo del cuore per aver tenuto in vita Syd e Bud. Grazie.).
Sono così diametralmente opposte, queste due donne, che solo l’essere state toccate da Athena – in modi diversi – e l’aver conosciuto Aiolia possono unire. Un piccolo punto di contatto, è vero. Ma bastevole a creare un sottoinsieme in cui il Santo del Leone fa, appunto, la parte del leone.
Perché Ljúfa sa. Ljúfa, fresca e allegra e alle prese con la logorrea di chi è emozionato e terrorizzato assieme – dovesse cavarmi gli occhi, ‘sta qua – conosce un pezzo della vita di Aiolia che Marin neppure sospettava che esistesse. E quindi, se già c’era la gelosia a farsi avanti quando Ljúfa, innocentemente, le racconta di Aiolia, c’è anche la curiosità di conoscere della battaglia di cui questa ragazza sta parlando. Una battaglia crudele, che ha strappato Aiolia dalla morte per un attimo appena, quel tanto che bastava ad aver fortuna e ragione delle mire di Loki (e di chi, sennò?). E la gelosia nasce dal sapere che questi due hanno guardato assieme lo stesso orizzonte, per citare una certa volpe ed un certo principe, così come Aiolia ha fatto con lei, senza sapere – senza sospettare – che c’è modo e modo di guardare l’orizzonte. Tutto dipende da cosa si sta guardando: il panorama nella sua interezza? Una nuvola nel cielo? Il rosso del tramonto?
E mi ha fatto davvero tenerezza come hai rigirato il pastrocchio con cui termina Soul of Gold. A me Ljúfa piace. Lo confesso, mi fa tenerezza questa ragazza che agisce come Freya, senza essere leziosa come la principessa. Sarà che Freya allunga gli occhioni belli su Hyoga, e che per me Aiolia è praticamente sposato a Marin (o a Shura, in quei momenti di sfiducia nel genere umano), sicché può accadere quel che volete, non mi preoccupo né spavento più di tanto. Ma è stato il sentire lui fare quella mezza dichiarazione a lei, a lasciarmi perplessa. Capiamoci, rientrava nell’economia di una storia mandata avanti a cazzotti (e che coinvolge le camicie improbabili, le redenzioni istantanee e i mutamenti di personalità tali da far sembrare Saga uno a posto), ma no, non mi convinceva.
Mi convince di più la tua proposta, con una richiesta ed una spiegazione che ha il sapore dell’ineffabile potere che solo il pudore sa regalare. Ché alle volte è davvero difficile parlare di chi amiamo in maniera esaustiva: ci sembra di condividere troppo di un angolo di privacy che, in un mondo in cui si condividono anche i risultati delle analisi del sangue, forse risulterà un comportamento bizzarro; ma i sentimenti, quelli veri, non si possono spiegare. Li intendono solo chi li prova, quei sentimenti, tanto per toccarla piano.
Ed è meravigliosa, Marin, mentre rifiuta il ciondolo che Ljúfa ha custodito per lei. Non le serve. Anche se la guerra le ha lasciato una cicatrice e un grembo sterile, lei ha Aiolia dentro di sé. Quella scheggia lucente che le causava dolore, adesso, dopo questa personalissima Apocalisse, s’è trasformata in faro, in scintilla, in lampada che illumini il cammino.
Adesso, Marin ne è uscita rafforzata, completa, dopo un confronto tra donne, tra lei e Ljúfa, ché Athena – Anissa – è sì donna, ma non poteva aiutarla a lenire quella pena d’amore, ché lei, il peso di un uomo, non lo conosce. Anissa può essere madre e asciugare le tue lacrime, ma la ferita di una donna non sa cosa sia. Ama, Anissa, ma come una madre, una sorella, una dea che manda i suoi pedoni al macello col sorriso sulle labbra e il sangue e le ossa sotto al chitone. Ma non è donna. Ljúfa, sì. Ljúfa lo è. È come Marin, toccata dalla luminosa presenza di Aiolia; appena appena, ma sufficiente a rimettere Marin in carreggiata.
Davvero, questa storia è un piccolo gioiellino da custodire e rimirare di tanto in tanto. Ho amato tanti piccoli rimandi: ad Asgard, ai miti del nord, a quelle donne che erano al contempo femmine e guerriere, alla rinascita di Marin, all’etimologia dei nomi stessi, alla ricerca – disperata – di far quadrare il cerchio ed i conti di un’economia allo sbando, di coprire un re nudo con una coperta sempre troppo corta. T’è bastato sferruzzare un po’, come solo sai fare tu, e a colpi di diritto e rovescio hai portato a casa gioco, partita e incontro, con la stessa delicatezza della neve che cade e ammanta tutto il panorama che occhieggia dalla finestra.
 
Spero di leggere di nuovo qualcosa di tuo, che riesci a rendere potabile anche l’impossibile; sono sicura che tu riusciresti a rendere credibile anche la pazzesca sbandata di Camus e il suo rinsavimento davanti alla morte di Shura; non che mi dispiaccia, sia chiaro, ma mi lascia perplessa. Sì, te lo sto chiedendo. Spudoratamente. Sfacciatamente. Spero di leggere qualcosa di tuo, prestissimo, anche a costo di venirti a cercare col lanternino. Tranquilla, i cordialini e i generi di conforto li porto io!!
 

Recensore Master
20/02/18, ore 22:15

Ciao Avalon.
Io non avevo mai letto le tue storie, ma dopo aver letto questa ho sbirciato le altre di Crescendo, e non sono più riuscita a smettere.
Omega non mi è piaciuta, ma i tuoi intermezzi li ho adorati. Catturano il lettore in una maniera che non so descrivere.
Hai uno stile spettacolare. Ti butta dentro al cuore dei personaggi, l'angoscia, la paura, la risolutezza, la nostalgia, e tutte quelle altre emozioni che hai descritto nelle storie. La forza, il cambiamento.
Descrivi gli uomini, e i cavalieri.
Kiki, Seiya, Saori, Shiryu.
E qui, Marin.
Marin che è forte, Marin che è una combattente, Marin che è così poco calcolata. Marin che non potrà mai essere sostituita da Lyfia, lo penso anche io, l'ho sempre pensato, e non smetterò mai di farlo.
Perché Marin è perfetta per Aiolia, e lo sarà sempre.
Mi è piaciuto molto come hai descritto lei, la forza, la risolutezza. Mi è piaciuto persino il fatto che tenga la maschera persino nei momenti di intimità, quando in fin dei conti potrebbe toglierla, potrebbe permettere ad Aioria di vederla in viso.
Ma è giusto così, perché stiamo parlando di Marin, e Marin è forza. Prima di qualsiasi altra cosa.
Complimenti, non saprei che altro dirti. Solo tanti complimenti.

Un bacione,
Asu

Recensore Master
18/02/18, ore 22:29

Beh...farti i complimenti per questa storia direi che è riduttivo e non rende davvero la bellezza di ciò che hai scritto. Ho appena finito di leggere e ancora le lacrime mi bagnano il viso perché si...mi sono commossa, e per me è una cosa più unica che rara, vuol dire che ai toccato i tasti giusti. Perché io lo percepito davvero il dolore di Marin, quel dolore, quella solitudine, quel malessere che ti scavano l'anima che lei non può esternare perché cosa le resterebbe poi di tutta la fierezza del cavaliere di tutti i sacrifici fatti se si lasciasse andare così al dolore. Questo confronto fra due donne, che poi confronto non c'è mai stato perché io sono la prima a pensare che se Aiolia avesse avuto un legame l'unica con la quale avrebbe potuto è proprio Marin, loro si completano a vicenda. E leggendo mi è parsa di riscoprirla per la prima volta questa sacerdotessa guerriero, come se non l'avessi mai vista prima, un caleidoscopio di emozioni così vere, profonde e toccanti da mozzare il fiato. Questa scelta che ai fatto di lasciarle la maschera anche nei momenti d'intimita' con il suo uomo, quasi a volersi concedere ma mai del tutto, o forse per ricordarsi che era pur sempre un soldato che aveva fatto una scelta di vita...chissà. Eppure quanto amore, quanti desiderio c'era nei loro incontri, un cercarsi a vicenda...per amore, per passione, per lenire insieme le ferite dell'anima. Bello...bello davvero uno dei migliori che abbia mai letto cara avalon9, spero di leggere altre storie tue quanto prima. Un consiglio...non smettere, perché doni come il tuo vanno sempre alimentati, ciao a presto.